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RITENUTO IN FATTO
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
In tema di diffamazione, ai fini della sussistenza dell'elemento soggettivo
del delitto di diffamazione, non si richiede che sussista l "animus iniurandi vel
diffamandi", essendo sufficiente il dolo generico, che può anche assumere la
forma del dolo eventuale, in quanto è sufficiente che l'agente,
consapevolmente, faccia uso di parole ed espressioni socialmente
interpretabili come offensive, ossia adoperate in base al significato che esse
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vengono oggettivamente ad assumere, senza un diretto riferimento alle
intenzioni dell'agente (Sez. 5, n. 4364 del 12/12/2012, dep. 2013, Arcadi, Rv.
254390; Sez. 5, n. 8419 del 16/10/2013, dep. 2014, Verratti, Rv. 258943).
Tanto premesso, la sentenza impugnata ha correttamente applicato il
principio di diritto richiamato, evidenziando la necessità della sola
consapevolezza di adoperare espressioni offensive e l'irrilevanza delle
intenzioni dell'agente, e, al fine di escludere qualsiasi profilo di
inconsapevolezza, sottolineando il significato univocamente offensivo del
termine adoperato ("banditi").
1.2. Il secondo ed il terzo motivo, concernenti il mancato riconoscimento
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2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al
pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di
denaro in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo
determinare in Euro 2.000,00.
P.Q.M.