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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

CORTE DI APPELLO di FIRENZE


SEZIONE LAVORO E PRESIDENZA

SUL LICENZIAMENTO
DELL’ARCHITETTO
DOTT. SSA DAMIANA SOZIO
POSTO IN ESSERE
DAL COMUNE DI MONTALE
INTORNO AGLI ANNI 2010
E CONFERMATO DALLA CASSAZIONE
CON DUE SENTENZE – 18517/2016 E 12160/2019
AI TEMPI
DELL’ECC.MO SINDACO PRO TEMPORE
L’ILL.MO SIGNOR RAGIONIER
FERDINANDO BETTI
E SOTTO L’ATA DIREZIONE TECNICO-GERARCHICA
DELLA SEGRETARIA GENERALE
DOTT.SSA DONATELLA D’AMICO
oggi chiamata a pronunciarsi in ossequio
ai princìpi affermati dalla Suprema Corte
circa l’obbligo di procedere
in sede disciplinare
nel caso (anomalo) della Dott.ssa
Comandante PM Paola Nanni
riguardo all’evento «pistola rotta» di un suo agente

Edizioni SA – Servizi Associati


Mont-Ana
2020
IURIS PRUDENTIA

In tema di procedimento disciplinare


nel rapporto di pubblico impiego contrattualizzato,
ai sensi dell’art. 24 del c.c.n.l. del 22.1.2004 (normativa
2002-2005 economico 2002-2003) degli Enti Locali,
la data di prima acquisizione della notizia dell’infrazione,
dalla quale decorre il termine di venti giorni,
entro il quale deve essere effettuata la contestazione disciplinare,
coincide con quella in cui la notizia è pervenuta
all’ufficio per i procedimenti disciplinari
o, se anteriore,
con la data in cui la notizia medesima
è pervenuta al responsabile della struttura
in cui il dipendente lavora,
restando irrilevante la conoscenza non formalmente acquisita
dal Responsabile della struttura e/o dall’Ufficio
per i procedimenti disciplinari

[Cass. Civ. n. 12160, 08/05/2019]

Nella fattispecie il «responsabile della struttura


in cui il dipendente lavora» coincide
con il Superiore Gerarchico
Dott.ssa Donatella D’Amico
Civile Sent. Sez. L Num. 18517 Anno 2016
Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: TORRICE AMELIA
Data pubblicazione: 21/09/2016

Corte di Cassazione - copia non ufficiale


SENTENZA

sul ricorso 23267-2012 proposto da:

COMUNE DI MONTALE C.F. 8003370477, in persona del

Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA A. BERTOLONI 27, presso lo studio

dell'avvocato ANDREA VARANO, che lo rappresenta e

difende unitamente all'avvocato ALBERTO NICCOLAI,

giusta delega in atti;


2016
- ricorrente -
2654
contro

SOZIO DAMIANA C.P. SZ0DMN63H55E036C, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 220, presso


lo studio dell'avvocato CARLA CORDESCHI,

rappresentata e difesa dall'avvocato ANDREA PETTINI,

giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 624/2012 della CORTE D'APPELLO

di FIRENZE, depositata il 20/06/2012 R.G.N. 521/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

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udienza del 05/07/2016 dal Consigliere Dott. AMELIA

TORRICE;

udito l'Avvocato VARANO ANDREA;

udito l'Avvocato RIZZO PIETRO per delega Avvocato

PETTINI ANDREA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per

l'accoglimento del primo motivo del ricorso.


RG 23267 2012

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.
P
riNLIR,
La Corte di appello di &CCM, adita dal Comune di Montale, con la sentenza n.
624/2012, ha confermato la sentenza di primo grado, che aveva dichiarato
l'illegittimità del licenziamento disciplinare intimato in data 19.1.2010 dal Comune di
Montale a Sozio Damiana.
2. La Corte territoriale ha ritenuto che: il licenziamento era stato adottato oltre il

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termine di 20 giorni, previsto dall'art. 24 del CCNL enti locali, in quanto la
contestazione disciplinare in data 4.11.2009 aveva ad oggetto condotte risalenti al
settembre 2008 di cui il Comune aveva avuto conoscenza già nel marzo 2009, allorchè
aveva denunciato in sede penale le inadempienze oggetto della contestazione
disciplinare; non rilevava il persistere delle condotte inadempienti della lavoratrice,
venendo, piuttosto, in rilievo l'omissione nel suo momento di istantanea percezione da
parte del datore di lavoro , avendo assunto l'omissione stessa per contenuti e gravità,
i caratteri del comportamento contestabile in sede disciplinare.
3. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il Comune di Montale con tre
motivi. Resiste la Sazio con controricorso.
4. Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell'art. 378 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

5. I motivi di ricorso
6. Con il primo motivo il Comune denuncia, ai sensi dell'art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c.,
violazione e falsa applicazione dell'art. 24 del CCNL del personale del comparto
Regioni ed Autonomie Locali (quadriennio normativa 2002-2005/2006-2009).
7. Sostiene che, ai sensi dell'art. 24 del CCNL richiamato in rubrica, il termine di
20 giorni, previsto per la contestazione disciplinare da parte della commissione di
disciplina, decorre dalla formale segnalazione del responsabile della struttura.
8. Deduce che l'iniziativa di raccogliere informazioni, per la eventuale trasmissione
all'autorità giudiziaria penale, era stata adottata dal Sindaco e non era stata condivisa
nè con il responsabile della struttura dalla quale dipendeva la Sazio nè con la
Commissione di disciplina; che la contestazione disciplinare aveva avuto ad oggetto
inadempimenti diversi ed ulteriori rispetto a quelli acquisiti con le indagini
Mai
"- RG 23267 2012

difensive; che solo a seguito della missiva in data 11.10.2009, con la quale l'impresa
esterna affidataria dei lavori relativi alla realizzazione di "Nuova Cucina a Montale"
aveva segnalato il protrarsi dell'inerzia della Sozio, responsabile unica dei
procedimento amministrativo, il responsabile della struttura, che aveva nel passato
tentato di evitare conflitti con la Sozio, aveva segnalato alla Commissione di disciplina
"il non più tollerabile, inadempimento della lavoratrice"
9. Con il _secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360 c. 1 n. 3

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c.p.c., violazione e falsa applicazione dell'art. 7 della L 300/1970 e degli artt. 2118,
2119 1175 e 1375 c.c., assumendo che la procedura disciplinare era stata svolta nei
rispetto dei termini previsti dall'art. 24 del richiamato CCNL e dei principi di cui agli
artt. 7 L. 300/1970 e 1175, 1375 e 2119 c.c.
10. Lamenta che la Corte territoriale avrebbe apoditticamente fissato nel marzo
2009 il termine "a quo" per la l'esercizio del potere disciplinare, omettendo di spiegare
le ragioni della affermata consumazione del potere disciplinare già nel "momento di
istantanea percezione dell'omissione", a fronte di contestazione disciplinare fondata
sul comportamento reiteratamente omissivo della lavoratrice. Ribadisce quanto
esposto nel primo motivo con riguardo alla nota trasmessa nell'ottobre 2009 dalla
ditta esterna.
11. Invoca i principi affermati da questa Corte, con riguardo all'art. 7 della L
300/1970, sulla nozione relativa della immediatezza della contestazione disciplinare.
12. Con il terzo motivo il Comune denuncia, ai sensi dell'art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c.,
omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, nella parte in cui
la Corte territoriale, nell'affermare che i fatti acquisiti nelle indagini difensive disposte
dal Sindaco nel marzo 2009, coincidevano con quelli oggetto della contestazione
disciplinare, aveva omesso di considerare i ripetuti inviti all'adempimento rivolti alla
Sozio. Deduce che la persistente condotta omissiva di quest'ultima aveva
rappresentato per l'Amministrazione la compiuta e definitiva lesione dell'elemento
fiduciario.
13. Assume che la lettura statica dell'inadempimento del lavoratore, offerta dalla
Corte territoriale, sarebbe riferibile alle sole ipotesi di comportamento che si consuma
in un unico atto che abbia esaurito la sua portata e non ai casi, quali quello dedotto in
giudizio, in cui la condotta inadempiente persiste a fronte di successive richieste di
adempimento.
2
" • RG 23267 2012

14. In via preliminare va respinta l'eccezione di inammisisbilità del ricorso formulata


dalla controricorrente.
15. L'indicazione nei ricorso degli atti delle precedenti fasi di merito e la
riproduzione del contenuto dei documenti richiamati ed allegati non è affatto
svincolato dai motivi di censura formulati, i quali sono stati sviluppati con critica
lettura delle statuizioni impugnate e delle argomentazioni motivazionali che le
sorreggono; le prospettazioni difensive esposte nei motivi di ricorso risultano esposte

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con puntuale richiamo dei documenti richiamati e riprodotti in piena conformità
all'art. 366 c.p.c. ("ex plurimis" Cass. 14784/2015; Ord. 18020/2013).
16. Esame dei motivi.
17. Il primo motivo è fondato.
18. L'art. 55 del D. Lgs. n. 165 del 2001 (nel testo vigente prima delle modifiche
apportate dal d.lgs. 150/09, ed applicabile "ratione temporis" perché la contestazione
disciplinare fu effettuata il 4.11.2009) prevede, al quarto comma, che "ciascuna
amministrazione, secondo il proprio ordinamento, individua l'ufficio competente per i
procedimenti disciplinari. Tale ufficio, su segnalazione del capo struttura in cui il
dipendente lavora, contesta l'addebito al dipendente medesimo, istruisce il
procedimento disciplinare e applica la sanzione. Quando le sanzioni da applicare siano
il rimprovero verbale e la censura, il capo della struttura in cui il dipendente lavora
provvede direttamente" e, al quinto comma, che "ogni provvedimento disciplinare, ad
eccezione del rimprovero verbale, deve essere adottato previa tempestiva
contestazione scritta dell'addebito al dipendente, che viene sentito a sua difesa con
l'eventuale assistenza di un procuratore ovvero di un rappresentante dell'associazione
sindacale cui aderisce o conferisce mandato".
19. Il CCNL del 22.1.2004, normativo 2002 - 2005 economico 2002 - 2003 del
Comparto del personale delle Regioni - autonomie locali, autorizzato ad integrare la
disciplina legale dall'art. 55 del D. Lgs. 165/2001, nel testo vigente prima delle
modifiche introdotte dal D. Lgs. 150/2009 (Cass. 9767/2011), ha regolato in modo
dettagliato il procedimento disciplinare.
20. All'art. 24 c.2, ha previsto, per quanto oggi rileva, "La contestazione deve
essere effettuata tempestivamente e comunque nel termine di 20 giorni che
decorrono: a) dal momento in cui il responsabile della struttura in cui il dipendente
lavora ha avuto conoscenza del fatto; b) dal momento in cui l'ufficio competente per i
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' - RG 23267 2012

procedimenti disciplinari, su segnalazione del responsabile della struttura in cui il


dipendente lavora, ha avuto conoscenza del fatto comportante la applicazione di
sanzioni più gravi del rimprovero verbale e di quello scritto."
21. L'art. 24 del richiamato CCNL precisa poi, che "Nel caso in cui, ai sensi dell' art.
55 del D.Lgs. n. 165/2001, la sanzione da comminare non sia di sua competenza, il
responsabile della struttura in cui il dipendente lavora, ai fini del comma 2, segnala
entro 10 giorni, all'ufficio competente per i procedimenti disciplinari, ai sensi del

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comma 4 dell'art. 55 citato, i fatti da contestare al dipendente per l'istruzione del
procedimento. In caso di mancata comunicazione nel termine predetto si darà corso
all'accertamento della responsabilità del soggetto tenuto alla comunicazione."
22. Le disposizioni di legge e di contratto collettivo fanno decorrere il termine per la
contestazione disciplinare o dal momento della conoscenza dei fatti da parte del
responsabile della struttura, o capo struttura, per le sanzioni meno gravi, ovvero dal
momento in cui l'ufficio competente per i procedimenti disciplinari, su segnalazione del
responsabile del responsabile della struttura, ha avuto conoscenza del fatto
comportante appunto l'applicazione di sanzioni più gravi del rimprovero verbale e di
quello scritto (la norma contrattuale collettiva ) o più grave del rimprovero verbale e
della censura (la norma di legge).
23. In continuità con l'orientamento giurisprudenziale di questa Corte (cfr. le recenti
sentenze n. i 12108/2016 e 12109/2016) deve ritenersi che la "segnalazione", che il
capo della struttura invia all'Ufficio competente per i procedimenti disciplinari, non
costituisce ancora avvio del procedimento.
24. E' stato osservato, nelle decisioni sopra richiamate, che ben potrebbe l'Ufficio
competente per i procedimenti disciplinari ritenere, in propria competenza, di non
avviarlo con la notifica della contestazione, come è confermato dalla distinzione della
"segnalazione" rispetto alla "contestazione", costituente primo atto del procedimento
disciplinare. E' stato anche rilevato che l'istruttoria, che inerisce al procedimento è
quella cui provvede l'Ufficio competente per i procedimenti disciplinari; essa fa seguito
alla contestazione disciplinare e non la precede, come si desume dall'ordine delle fasi
riportate dall'art. 55 citato ("contesta l'addebito..., istruisce il procedimento
disciplinare e applica la sanzione"), oggetto di espresso richiamo da parte del c. 4
dell'art. 24 del citato CCNL, mentre le informazioni raccolte dal capo struttura
costituiscono una fase prodromica, funzionale ad una verifica di non manifesta
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RG 23267 2012

infondatezza mediante un esame preliminare della notizia dell'infrazione.


L'espressione "su segnalazione dei capo struttura in cui il dipendente lavora" individua
soltanto un compito istituzionale che fa capo al dirigente che, in ragione della
posizione organizzativa e funzionale ricoperta, sia in grado di acquisire la conoscenza
dei fatti di potenziale rilievo disciplinare commessi dai dipendenti. A tale fase pre-
procedimentale resta estranea la posizione del lavoratore, che viene in rilievo solo con
la contestazione dell'addebito, ossia con l'avvio dei procedimento disciplinare in senso

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proprio, da cui scaturiscono anche le garanzie difensive per l'incolpato.
25. Deve, quindi affermarsi che ciò che conta, ai fini della decorrenza dei termine
per la contestazione disciplinare, è la conoscenza effettiva delle condotte
disciplinarmente rilevanti da parte degli uffici competenti e non da parte di qualsiasi
organo della pubblica amministrazione datrice di lavoro.
26. Come già osservato da questa Corte nelle decisioni n. 24157 e n. 20733 del
2015, il dato letterale delle disposizioni sopra richiamate richiama, infatti, soltanto
l'Ufficio competente per i procedimenti disciplinari ed il responsabile della struttura in
cui il dipendente lavora e, d'altra parte, la scansione del procedimento stesso richiede
necessariamente un'individuazione certa ed oggettiva del "dies a quo". Individuazione
Impossibile, ove si ritenesse di agganciarlo ad una qualsiasi notizia pervenuta a
qualunque ufficio o persona dell'amministrazione, magari anche priva di veste
formale.
27. La contraria opinione, inoltre, collide con la "ratio" della fissazione d'un termine
finale (art. 24 c. 6 del CCNL 6.7.2005 confermato dal CCNL del 22.1.2004 ) entro cui
concludere il procedimento, che è quella di far si che il dipendente non vi resti
assoggettato per un tempo indefinito. Ciò significa che, se esigenze di certezza sono a
base della tutela del dipendente, le medesime esigenze vanno rispettate, per
irrinunciabile simmetria, anche avuto riguardo alla posizione dell'Amministrazione, il
che non può avvenire se non individuando in modo certo ed oggettivamente
verificabile il "dies a quo" da cui far decorrere il termine per la contestazione
disciplinare.
28. Né va trascurato che il valore costituzionale di regole che assicurino il buon
andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) risulterebbe vulnerato da
un'interpretazione che lasciasse nel vago il "dies a qua' del procedimento,

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rimettendolo, in ipotesi, anche a notizie informali o comunque pervenute ad uffici
periferici di Amministrazioni di grandi dimensioni.
29. Va rilevato che la conoscenza della notizia dei fatti disciplinarmente rilevanti,
per essere correlata ad una serie di attività, da realizzarsi dall'organo competente
nella sua istituzionale consistenza, postula un' attività di ufficializzazione della notizia
dell'infrazione, anche attraverso un autonomo sistema di formale protocollazione, che
è propria dell'Ufficio nel suo complesso, nella sua veste istituzionale, che prescinde

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dalle attività effettuate e/o ricevute dai singoli componenti dell'organo, sia esso
individuale o collegiale.
30. Deve, in conclusione, affermarsi il principio di diritto secondo cui "In tema di
procedimento disciplinare nel rapporto di pubblico impiego contrattualizzato, ai sensi
dell'art. 24 del CCNL del 22.1.2004 ( normativo 2002 - 2005 economico 2002 - 2003)
degli Enti Locali, la data di prima acquisizione della notizia dell'infrazione, dalla quale
decorre il termine di venti giorni, entro il quale deve essere effettuata la contestazione
disciplinare, coincide con quella in cui la notizia è pervenuta all'ufficio per i
procedimenti disciplinari o, se anteriore, con la data in cui la notizia medesima è
pervenuta al responsabile della struttura in cui il dipendente lavora, restando
irrilevante la conoscenza non formalmente acquisita dal Responsabile della struttura
e/o dall'Ufficio per i procedimenti disciplinari".
31. Nella fattispecie in esame la Corte territoriale ha affermato che il termine di
venti giorni previsto per la contestazione disciplinare era stato violato, senza alcuna
analisi della fattispecie nella sua sequenza. Ha, infatti, ritenuto che fosse sufficiente a
ritenere violato detto termine il solo fatto che nel marzo 2009 vi era stata una
denuncia penale, omettendo di accertare da quale organo fu presentata e se ne furono
formalmente informati, e quando, gli uffici competenti ad attivare il procedimento
disciplinare. Fatti questi da ritenersi decisivi ai fini del giudizio sulla tempestività.
32. Sulla scorta delle considerazioni svolte il primo motivo di ricorso va accolto e la
sentenza va cassata, in relazione al motivo accolto/ cusotiatt 31
1" ettrvi .
-

ef -
33. La causa va rinviata alla Corte di Appello di ~Aia r• che deciderà il ricorso
facendo corretta applicazione del seguente principio di diritto "In tema di
procedimento disciplinare nel rapporto di pubblico impiego contrattualizzato, ai sensi
dell'art. 24 del CCNL del 22.1.2004 ( normativa 2002 - 2005 economico 2002 - 2003)
degli Enti Locali, la data di prima acquisizione della notizia dell'infrazione, dalla quale
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" RG 23267 2012

decorre il termine di venti giorni, entro il quale deve essere effettuata la contestazione
disciplinare, coincide con quella in cui la notizia è pervenuta all'ufficio per i
procedimenti disciplinari o, se anteriore, con la data in cui la notizia medesima è
pervenuta al responsabile della struttura in cui il dipendente lavora, restando
irrilevante la conoscenza non formalmente acquisita dal Responsabile della struttura
e/o dall'Ufficio per i procedimenti disciplinari" e provvederà anche sulle spese del
presente giudizio.

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La Corte
Accoglie il primo motivo di ricorso.
Fèrei1.2.4,
Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di 122193, che provvederà
anche sulle spese del giudizio di legittimità/ iweitive-ipa- comiooscaoste,
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 5.7.2016
Sentenza Cassazione Civile n. 12160 del 08/05/2019 – Sentenze La Legge per Tutti

Questo sito contribuisce alla audience di

Sentenza Cassazione Civile n. 12160 del 08/05/2019

Cassazione civile sez. lav., 08/05/2019, (ud. 13/02/2019, dep. 08/05/2019),


n.12160
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1481-2018 proposto da:

S.D., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA SALLUSTIO 9,

presso lo studio dell’avvocato LORENZO SPALLINA, che la rappresenta

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e difende unitamente all’avvocato LORENZO BOMBACCI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MONTALE, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio

dell’avvocato ANDREA VARANO, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato ALBERTO NICCOLAI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1082/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 26/10/2017 R.G.N. 1089/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/02/2019 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO PAOLA, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato LORENZO SPALLINA;

udito l’Avvocato ANDREA MELUCCO per delega verbale Avvocato ANDREA

VARANO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.1. Con ricorso al Tribunale di Pistoia S.D., architetto dipendente del Comune di Montale

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come funzionario tecnico, 8a qualifica funzionale, impugnava il licenziamento intimatole in


data 19.1.2010 all’esito del procedimento disciplinare con il quale le era stata contestata la
violazione del dovere di diligente collaborazione nell’incarico affidatole di Responsabile
unico del procedimento per i lavori di realizzazione di una cucina centralizzata a centrale
termica della mensa scolastica delle scuole di infanzia nel Comune di Montale.

1.2. Il Tribunale, con decisione confermata dalla Corte di appello di Firenze, accoglieva la
domanda e disponeva la reintegrazione della S. ritenendo che il potere disciplinare fosse
stato esercitato tardivamente in violazione dell’art. 24 del c.c.n.l. Enti locali.

1.3. Con sentenza di questa Corte n. 1857/2016 la decisbne di secondo grado veniva
cassata per essere stato considerato violato il termine di venti giorni previsto per la
contestazione disciplinare per il solo fatto che nel marzo 2009 vi era stata una denuncia
penale, senza che fosse accertato da quale organo la stessa era stata presentata e se ne
erano stati formalmente informati, e quando, gli uffici competenti ad attivare il procedimento
disciplinare. La causa era, pertanto, rimessa alla Corte d’appello di Firenze in diversa
composizione per un’analisi della sequenza procedimentale con applicazione dell’affermato
principio di diritto secondo il quale: “In tema di procedimento disciplinare nel rapporto di
pubblico impiego contrattualizzato, ai sensi dell’art. 24 del c.c.n.l. del 22.1.2004 (normativa
2002 – 2005 economico 2002 – 2003) degli Enti Locali, la data di prima acquisizione della
notizia dell’infrazione, dalla quale decorre il termine di venti giorni, entro il quale deve essere
effettuata la contestazione disciplinare, coincide con quella in cui la notizia è pervenuta
all’ufficio per i procedimenti disciplinari o, se anteriore, con la data in cui la notizia medesima
è pervenuta al responsabile della struttura in cui il dipendente lavora, restando irrilevante la
conoscenza non formalmente acquisita dal Responsabile della struttura e/o dall’Ufficio per i
procedimenti disciplinari”.

1.4. Decidendo in sede di rinvio la Corte d’appello di Firenze accoglieva l’impugnazione del
Comune di Montale e respingeva l’azionata domanda condannando la S. alla restituzione di
quanto ricevuto a titolo di risarcimento.

Riteneva la Corte territoriale che il termine di venti giorni previsto dal c.c.n.l. entro il quale
effettuare la contestazione disciplinare dovesse decorrere dalla comunicazione del 19
ottobre 2009 inviata dal Responsabile della struttura alla Commissione di disciplina e che

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pertanto la contestazione del 4/11/2009 fosse tempestiva.

Quanto al merito riteneva il licenziamento del tutto legittimo per essere emerso con
chiarezza il comportamento inadempiente dell’arch. S. che non aveva intrapreso alcuna
iniziativa in ordine all’incarico da svolgere benchè fossero trascorsi 15 mesi dall’affidamento
dello stesso e nonostante plurime sollecitazioni cui la medesima, senza fornire adeguate
risposte, aveva opposto problematiche personali (ufficio in dotazione, modalità di consegna
della corrispondenza).

Escludeva ogni rilevanza della questione relativa alla pretesa illegittimità dell’incarico posto
che la lavoratrice lo aveva formalmente accettato così vincolandosi al suo espletamento.

Rilevava che il comportamento della S. fosse stato accertato anche in sede penale essendo
stata la predetta condannata per il reato di interruzione di un ufficio o un servizio pubblico
(art. 340 c.p.) in primo e in secondo grado e che anche la sentenza della Cassazione
penale, pur mandandola assolta, non aveva smentito la ricostruzione in fatto oggetto delle
pronunce di merito avendo dato atto della paralisi della procedura causata dalla sua
prolungata e tuttavia ritenuto non configurabile il reato di cui all’art. 340 c.p. nell’ipotesi in cui
il servizio pubblico nel suo complesso continui a funzionare regolarmente adempiendo allo
scopo per il quale è stato predisposto.

Riteneva che il comportamento contestato costituisse giustificato motivo soggettivo di


licenziamento traducendosi in un reiterato e consapevole inadempimento degli obblighi
derivanti dal rapporto di lavoro con la Pubblica Amministrazione e dei doveri che ne
derivano e richiamava, ai fini della proporzionalità, l’art. 3, comma 7, lett. e), i) e j) del
c.c.n.l..

2. Per la cassazione di questa pronuncia ha proposto ricorso Damiana S. affidato a sette


motivi.

3. Il Comune di Montale ha resistito con controricorso.

4. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare, deve osservarsi che non si ravvisano profili di incompatibilità nei
confronti di alcuni componenti del collegio che hanno esaminato il precedente ricorso per
Cassazione nell’ambito del medesimo giudizio (sentenza n. 1857/2016). Come hanno avuto
modo di sottolineare le Sezioni Unite di questa Corte, il giudizio di legittimità non si riferisce
direttamente alla domanda proposta dall’attore, bensì alla decisione già assunta su tale
domanda al fine di verificarne, appunto, la correttezza; pertanto, qualora una sentenza
pronunciata dal giudice di rinvio formi oggetto di un nuovo ricorso per cassazione, il collegio
può essere composto anche con magistrati che abbiano partecipato al precedente giudizio
conclusosi con la sentenza di annullamento, ciò non determinando alcuna compromissione
dei requisiti di imparzialità e terzietà del giudice (v. Cass., Sez. U., 25 maggio 2013, n.
24148). Le Sezioni Unite hanno, invero, ritenuto che non sussiste la concreta possibilità che
il giudice che abbia partecipato al precedente giudizio di legittimità sia meno libero di
decidere o sia condizionato dalla volontà di difendere la precedente decisione di legittimità.

2. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione o
comunque falsa applicazione dell’art. 24 del c.c.n.l. del personale del comparto Regioni ed
Autonomie Locali (quadriennio normativa 2002-2005/2006-2009).

Insiste nel ritenere che il termine di venti giorni di cui all’art. 24 del c.c.n.l. dovesse decorrere
dal 27 marzo 2009, data dell’esposto alla Procura sostenendo che la comunicazione del 19
ottobre 2009, con cui il Responsabile della struttura, geom. M., a seguito della missiva
dell’11/10/2009 dell’arch. Ma. (datata 9/11/2009), aveva informato la commissione di
disciplina era solo apparentemente formale ma assolutamente tardiva e oltretutto irrilevante
tenuto conto che l’arch. Ma. era soggetto privo di legittimazione in quanto privo di incarico
da parte del Comune (circostanza, questa, che non poteva giustificare il ritardo nella
contestazione).

Rileva che il geom. M. era a conoscenza dei fatti almeno dal 19 marzo 2009 e cioè da
quando aveva rilasciato apposite dichiarazioni come persona informata all’avv. L., verbale
poi trasmesso alla Procura della Repubblica e che di tali fatti era anche a conoscenza il
Dott. Z., Segretario generale e Presidente dell’ufficio competente per i procedimenti
disciplinari che aveva presenziato alla seduta della giunta comunale n. 42 del 5/3/2009 con

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cui era stato affidato all’avv. L. l’incarico di assumere informazioni al fine di verificare se il
comportamento della S. rivestisse caratteri di rilievo penale.

Sostiene che la Corte territoriale, nel fondare il proprio convincimento solo sulla
comunicazione del 19/10/2009, avrebbe tralasciato la documentazione relativa ai fatti sopra
indicati, dotata di ufficializzazione e formale protocollazione.

Richiama l’art. 26 del c.c.n.l. e rileva che, alla luce di tale disposizione, nel caso di
commissione di gravi fatti di rilevanza penale l’ente deve contestualmente promuovere
l’azione disciplinare, salvo poi sospendere il procedimento.

3. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione o comunque falsa applicazione di


norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 384 c.p.c., comma 2.

Lamenta che la Corte territoriale avrebbe violato il principio di diritto di cui alla sentenza
rescindente di questa Corte avendo in particolare omesso di considerare il momento,
anteriore, in cui la notizia medesima era in effetti pervenuta al Responsabile della struttura e
di verificare se la conoscenza di tale notizia fosse emersa da atti formali.

Deduce che se la Corte territoriale avesse osservato il principio di diritto suddetto non
avrebbe non potuto non considerare che la suddetta conoscenza da parte del geom. M.,
Responsabile della struttura, risaliva al marzo del 2009 (quando egli stesso la aveva creata
esponendola con dovizia di particolari all’avv. L.) ed era fornita dei requisiti formali
necessari.

4. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il
giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Censura la sentenza impugnata per aver trascurato di considerare quando il Responsabile


della struttura, geom. M. ed il Presidente dell’ufficio competente per i procedimenti
disciplinari, Dott. Z., avessero acquisito formalmente piena conoscenza della notizia
dell’infrazione, conoscenza evincibile dai doc. 11-14 allegati al ricorso di primo grado e cioè
da atti formali e protocollati.

5. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il

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giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Censura la sentenza impugnata per aver valorizzato la comunicazione effettuata dall’arch.


Ma. indicata come datata 11/10/2009 (mentre la data era 9/10/2009) senza considerare che
il Ma. non aveva alcun titolo per avanzare richieste all’arch. S. e per segnalare alcunchè.

6. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia violazione o comunque falsa applicazione di


norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione al principio dell’onere della prova art.
2967 c.c. in relazione all’art. 115 c.p.c., comma 1, ed alla L. n. 604 del 1966, art. 5.

Censura la sentenza impugnata per aver ritenuto soddisfatto dal Comune l’onere sullo
stesso gravante di provare l’inadempimento della ricorrente.

Rileva che la Corte territoriale avrebbe erroneamente attribuito rilevanza all’esito del giudizio
relativo al demansionamento subito dalla S. (avente ad oggetto fatti non posti dal Comune a
fondamento del provvedimento espulsivo) e alla sentenza penale di questa Corte di
Cassazione (che aveva assolto la S. perche il fatto non sussiste) e per aver ritenuto
irrilevanti le circostanze addotte dall’incolpata con riferimento all’incarico di RUP in relazione
al quale erano stati mossi gli addebiti e che era stato accettato dalla S. con riserve
formalmente espresse, incarico che non era stato correttamente attribuito e che in
conseguenza non poteva essere adempiuto secondo le aspettative del Comune, non
essendovi i presupposti per mandare avanti la pratica.

Sottolinea che l’ATI Lo., Ma., P. non aveva ricevuto alcun incarico di progettazione dal
Comune di Montale e dunque non aveva titolo a chiedere informazioni alla S. (l’incarico
formale era stato infatti disposto con Delib. n. 45 del 2010, successiva alla revoca della S.
quale RUP).

7. Con il sesto motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di


diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 2118-2119 c.p.c., all’art. 2106 c.c. (c.d.
principio di proporzionalità) ed alla L. n. 300 del 1970, art. 7 e all’art. 3 del c.c.n.l. 11/4/2008.

Sostiene che l’intero procedimento disciplinare era basato su un presupposto erroneo e cioè
l’esistenza di un obbligo della S. di collaborare con l’arch. Ma. e con l’ATI.

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Evidenzia che la sua nomina a RUP era illegittima ed inefficace in quanto non disposta,
come avrebbe dovuto, dal dirigente dell’Ente, ma avvenuta con delibera della G.C. e cioè di
un soggetto incompetente e quindi in violazione del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 10.

Rileva che la sua nomina era stata deliberata quando il progetto esecutivo era stato già
approvato e dunque in violazione del principio di unicità del responsabile del procedimento.

Sostiene che tale nomina illegittima non poteva aver prodotto obblighi in capo al soggetto
nominato.

Rileva altresì che per tutto il tempo in cui la S. era stata RUP, l’ATI non aveva alcun incarico
da parte del Comune di Montale quindi la ricorrente non era tenuta in alcun modo a
rapportarsi con l’arch. Ma. nè era configurabile una mancanza di collaborazione rispetto ad
un soggetto che non aveva alcun ruolo all’epoca dei fatti.

Censura ulteriormente la sentenza impugnata per aver ritenuto la proporzionalità della


sanzione espulsiva e rileva che, come pure accertato in sede penale, non si era verificata
alcuna conseguenza pregiudizievole sull’andamento del servizio.

8. Con il settimo motivo la ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il
giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Censura la sentenza impugnata per non aver tenuto in alcun conto quanto evidenziato dalla
S. in sede di giustificazione circa la rappresentata mancanza di disponibilità di strumenti
idonei per operare proficuamente nel senso richiesto nell’interesse dell’amministrazione.

9. Il primo e il secondo motivo, da trattarsi congiuntamente in ragione dell’intrinseca


connessione, sono infondati.

La Corte territoriale ha deciso la questione di diritto riferita all’interpretazione dell’art. 24 del


c.c.n.l. Comparto Regioni ed Autonomie locali correttamente applicando il principio di diritto
affermato da questa Corte in sede di giudizio rescindente e verificando la data di prima
acquisizione della notizia dell’infrazione, da cui far decorrere il termine di venti giorni per
effettuare la contestazione disciplinare.

A tal fine ha evidenziato che solo a seguito della missiva con la quale, per il tramite

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dell’arch. Ma., l’impresa esterna affidataria dei lavori in questione aveva formalmente
segnalato in data 11/10/2009 al Responsabile della struttura il protrarsi dell’inerzia dell’arch.
S., il suddetto Responsabile, geom. M., aveva a sua volta formalmente segnalato in data 19
ottobre 2009 all’Ufficio per i procedimenti disciplinari il non più tollerabile inadempimento
della lavoratrice.

Nè fondatamente oppone la ricorrente una pretesa retrodatazione della prima e della


seconda segnalazione ad atti (doc. 11-14 allegati al ricorso di primo grado) che assume
essere atti formali e protocollati denotanti l’integrazione del requisito richiesto in sede del
principio di diritto.

La Corte territoriale ha espresso il giudizio devolutole correttamente considerando che, alla


stregua di quanto precisato da questa Corte nella decisione resa in sede rescindente, la
conoscenza della notizia dei fatti disciplinarmente rilevanti, per essere correlata ad una serie
di attività, da realizzarsi dall’organo competente nella sua istituzionale consistenza, postula
un’attività di ufficializzazione della notizia dell’infrazione, anche attraverso un autonomo
sistema di formale protocollazione, che è propria dell’Ufficio nel suo complesso, nella sua
veste istituzionale, che prescinde dalle attività effettuate e/o ricevute dai singoli componenti
dell’organo, sia esso individuale o collegiale.

Quindi ciò che rilevava era la notizia ricevuta ufficialmente e formalmente dal M., nella sua
qualità di Responsabile della struttura cui la S. era addetta e dall’Ufficio procedimenti
disciplinari, irrilevante essendo la conoscenza appresa da soggetti individuali/persone
fisiche (e cioè, nello specifico, dal geom. M. e dal Dott. Z.) non nell’ambito degli indicati ruoli
istituzionali (anche collegiali) ancorchè in contesti non privati ma in qualche modo
ricollegabili all’attività d’ufficio.

L’attivazione della procedura disciplinare da parte dei soggetti legittimati a farlo ed il ricorso
ad atti specificamente formati e protocollati per dare vita al procedimento stesso è, alla
stregua del principio di diritto affermato da questa Corte in sede rescindente, requisito
indispensabile per il computo del dies a quo.

Ed allora non sussiste il denunciato omesso esame atteso che il fatto storico che sulla base
di tale principio di diritto la Corte territoriale era tenuta ad accertare, e cioè la formale

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acquisizione di una notizia idonea ad una valida contestazione disciplinare da parte del
Responsabile della struttura e/o dell’Ufficio per i procedimenti disciplinari, è stato ritualmente
preso in considerazione mentre le circostanze poste dalla ricorrente a fondamento del rilievo
(e cioè la conoscenza da parte del geom. M., sentito quale persona informata dall’avv. L.,
della denuncia penale a carico dell’arch. S. fin dal 19/3/2009, prima che la notizia giungesse
al medesimo nella sua qualità di Responsabile della struttura e così la conoscenza da parte
del Dott. Z. dell’iniziativa del Comune di Montale di affidare all’avv. L. l’incarico di assumere
informazioni e svolgere indagini per verificare se il comportamento sino ad allora tenuto
dalla S. rivestisse rilievo penale fin dal 5/3/2009, prima che della questione fosse
ufficialmente investito l’UPD) non attengono al fatto storico rilevante in causa ma alla
valutazione del materiale istruttorio (v. Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).

Si ricorda, del resto, che a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 2, l’enunciazione del principio
di diritto vincola il giudice di rinvio che ad esso deve uniformarsi, con conseguente
preclusione della possibilità di rimettere in discussione questioni, di fatto o di diritto, che
siano il presupposto di quella decisione, e di tenere conto di eventuali mutamenti
giurisprudenziali della stessa Corte, anche a Sezioni Unite, non essendo consentito in sede
di rinvio sindacare l’esattezza del principio affermato dal giudice di legittimità (cfr. fra le
tante Cass. 8 ottobre 1999, n. 11290; Cass. 8 ottobre 1999, n. 16518; Cass. 21 agosto
2004, n. 16518; Cass. 27 ottobre 2010, n. 17353; Cass. 4 febbraio 2015, n. 1995).

La questione, poi, del mancato rispetto dell’art. 26 del c.c.n.l. posta dalla ricorrente (invero
con argomentazione ad abundantiam v. pag. 28 del ricorso per cassazione) sotto il profilo
della inottemperanza all’obbligo di avviare il procedimento disciplinare, obbligo che si
assume contestuale alla denuncia penale (salvo successiva sospensione), è del tutto nuova
non risultando esaminata nella sentenza impugnata nè essendo stata allegata l’avvenuta
deduzione di tale questione dinanzi al giudice di merito ed indicato in quale atto del giudizio
precedente tanto si sia verificato.

10. Il terzo e quarto motivo di ricorso, da trattarsi congiuntamente in quanto intrinsecamente


connessi, sono infondati.

Non vi è stato l’omesso esame denunciato in quanto la Corte territoriale ha valutato tanto il
fatto costituito dalla validità dell’incarico di RUP all’arch. S., ritenendo irrilevante ogni relativa

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questione posto che la lavoratrice aveva accettato lo stesso con nota del 3/9/2008
vincolandosi così all’espletamento, quanto quello costituito dalla validità dell’incarico
all’arch. Ma. (rispetto alle cui richieste e sollecitazioni si sarebbe configurato
l’inadempimento della S.) rilevando che l’incarico a suo tempo affidato all’ATI (arch. Lo. e
Ma.) con Delib. Giunta n. 147 del 2007, 4^ premessa, comprendeva l’intera progettazione, e
quindi sia la fase preliminare che quella definitiva ed esecutiva, per cui l’approvazione del
progetto definitivo non aveva esaurito l’incarico stesso permanendo così per la S. la
responsabilità di coordinare risorse interne ed esterne per la realizzazione del progetto
esecutivo.

Per il resto il motivo contrappone all’esame della Corte territoriale una propria e diversa
lettura degli atti causa ma ciò è inammissibile in sede di legittimità.

11. Il quinto motivo è infondato.

Il rilievo si colloca al di fuori del novero di quelli spendibili ex art. 360 c.p.c., comma 1
perchè, nonostante il richiamo normativo in esso contenuto, sostanzialmente sollecita una
rivisitazione nel merito della vicenda (non consentita in sede di legittimità) affinchè si
fornisca un diverso apprezzamento delle prove (Cass., Sez. un., 10 giugno 2016, n. 11892).

Non vi è stata, nella specie, alcuna violazione dell’onere della prova atteso che la Corte
territoriale ha ritenuto tale onere adempiuto dal Comune sulla base delle risultanze di causa
e degli esiti del procedimento penale.

Qualora poi, per i risultati raggiunti, il giudice di merito abbia ritenuto superflua l’assunzione
di ulteriori prove, il relativo giudizio che, se congruamente motivato (ciò potendosi anche
desumere, come nella specie, per implicito dal complesso della motivazione), si sottrae al
sindacato di legittimità (tra le altre, Cass. 22 aprile 2009, n. 9551; Cass. 10 giugno 2009, n.
13375; Cass. 9 giugno 2016, n. 11810).

Nè è ravvisabile la dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c. nella mera circostanza che il


giudice di merito abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di
convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, ma soltanto nel caso in cui il giudice abbia
giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte di sua iniziativa al di fuori
dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (v.

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ex aliis Cass., Sez. U., 5 agosto 2016, n. 16598; Cass. 10 giugno 2016, n. 11892),


situazione questa non sussistente nella specie.

Il giudice civile, poi, può legittimamente utilizzare come fonte del proprio convincimento le
prove raccolte in un giudizio penale definito con sentenza passata in cosa giudicata e
fondare la decisione su elementi e circostanze già acquisiti con le garanzie di legge in quella
sede, procedendo a tal fine a diretto esame del contenuto del materiale probatorio, ovvero
ricavando tali elementi e circostanze dalla sentenza, o se necessario, dagli atti del relativo
processo, in modo da accertare esattamente i fatti materiali sottoponendoli al proprio vaglio
critico (v. Cass. 17 giugno 2013, n. 15112; Cass. 12 gennaio 2016, n. 287).

Nella specie la Corte territoriale ha vagliato e valutato in modo autonomo la complessiva


condotta dell’arch. S. così come emersa da tutte le risultanze di causa e ritenuto la stessa
integrante un grave inadempimento rispetto agli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro con
la Pubblica Amministrazione.

Rispetto a tale apprezzamento le critiche della ricorrente sostanzialmente invocano una


generale rivisitazione delle risultanze istruttorie, il che non è consentito a questa Corte
Suprema.

Anche la dedotta irrilevanza dell’esito del giudizio relativo al demansionamento subito dalla
S. (avente ad oggetto fatti non posti dal Comune a fondamento del provvedimento
espulsivo) si infrange contro il giudizio valutativo dei giudici d’appello che hanno inserito tale
circostanza nel più ampio contesto dei rapporti interpersonali tra le parti e di un
atteggiamento poco collaborativo della S. (difficile, ostruzionistico ed insofferente).

12. E’ infondato il sesto motivo.

Non vi è stato alcun omesso esame avendo la Corte territoriale espressamente dato conto
del giudizio di proporzionalità (v. pag. 8 della sentenza) evidenziando che non fosse
ravvisabile alcuna sproporzione tra la gravità della condotta e la sanzione adottata
integrando la prima un reiterato e consapevole inadempimento degli obblighi derivanti dal
rapporto di lavoro con la Pubblica Amministrazione.

Anche in questo caso le censure della ricorrente si risolvono nella prospettazione di una

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diversa valutazione dei fatti posti a base dell’indicato giudizio, operazione, questa, riservata
al giudice di merito. A ben guardare, infatti, tali censure, nel contestare la persuasività del
convincimento fondato dal giudice d’appello sull’esame delle risultanze probatorie e nel
contrapporvi la propria tesi difensiva, finisce per attingere il piano della sufficienza
motivazionale, ciò che non è più ammesso nel regime di sindacato minimale ex art. 360
c.p.c., n. 5 novellato.

13. E’ infondato il settimo motivo.

Come nel motivo precedente, l’omesso esame denunciato riguarda in realtà una questione
di merito non proponibile dinanzi a questa Corte di legittimità.

Peraltro la Corte territoriale, nel ritenere proporzionato il provvedimento espulsivo per la


condotta inadempiente come già sopra delineata, ha tenuto conto (v. pag. 6 della sentenza)
della posizione difensiva assunta dall’arch. S. considerando anche le risposte dalla
medesima fornite alle varie sollecitazioni del Sindaco e del geom. M. e ritenendo che nelle
lettere del 13/11/2008, 9/12/2008 e 18/2/2009 la dipendente fosse rimasta concentrata sulle
proprie problematiche personali (ufficio in dotazione, modalità di consegna della
corrispondenza) piuttosto che fornire adeguata risposta.

Fermo restando che, come già sopra evidenziato, l’omesso esame di elementi istruttori – ai
sensi del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – non integra, di per sè, il vizio di omesso
esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque
preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le
risultanze probatorie (v. Cass., Sez. U., n. 8053/2014 cit.), le critiche sottopongono alla
Corte, nella sostanza, profili relativi al merito della valutazione delle prove, che, come detto,
sono insindacabili in sede di legittimità.

14. Conclusivamente il ricorso va rigettato.

15. La regolamentazione delle spese segue la soccombenza.

16. Va dato atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1
quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

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P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del Comune


controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00
per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge e
rimborso forfetario in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso
art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 13 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2019

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