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Civile Sent. Sez. U Num.

8674 Anno 2019


Presidente: SCHIRO' STEFANO
Relatore: DI VIRGILIO ROSA MARIA
Data pubblicazione: 28/03/2019

Corte di Cassazione - copia non ufficiale


SENTENZA

sul ricorso 11116-2017 proposto da:


COMUNE DI NAPOLI, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FRANCESCO DENZA
50-A, presso lo studio dell'avvocato NICOLA LAURENTI, rappresentato
e difeso dagli avvocati GIACOMO PIZZA, FABIO MARIA FERRARI ed
ANTONIO ANDREOTTOLA;
- ricorrente -

contro
COMUNIONE DELL'EREDITA' DI PASQUALE CARBONELLI, in persona
dell'amministratore pro tempore NOCERA RAFFAELLA, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA FRANCESCO ORESTANO 21, presso lo studio
dell'avvocato FABIO PONTESILLI, che la rappresenta e difende
unitamente agli avvocati ENRICO IOSSA ed ANTONIO NOCERA;

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CONSORZIO CO.GE .RI., in persona del Presidente pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LIMA 7, presso lo studio
dell'avvocato PASQUALE IANNUCCILLI, che lo rappresenta e difende;

- controricorrenti -

nonchè contro
PISCOPO LUCIA, CASTELLANO ANNA, MINISTERO DELL'INTERNO,
PREFETTO DELLA PROVINCIA DI NAPOLI;

- intimati -

avverso la sentenza n. 5551/2016 del CONSIGLIO DI STATO,


depositata il 30/12/2016.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
12/02/2019 dal Consigliere ROSA MARIA DI VIRGILIO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale IMMACOLATA ZENO, che ha concluso per l'inammissibilità
del ricorso, con l'applicazione prevista per l'abuso del processo;
uditi gli avvocati Giacomo Pizza, Antonio Nocera ed Enrico Iossa.
Fatti di causa
A seguito dei tragici eventi occorsi il 23/1/1996 nel quartiere di
Secondigliano di Napoli (violenta esplosione, causata da una fuga di
gas nell'effettuazione dei lavori da parte del concessionario del
C.I.P.E., Consorzio Co.Ge.Ri., per la realizzazione del raccordo in
galleria tra la Rotonda di Arzano e lo svincolo di Miano, che provocò

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l'apertura di una voragine nella quale sprofondarono un palazzo e
trovarono la morte numerose persone), il Prefetto emanava il
14/2/1996 e 1'8/3/1996 le ordinanze, rispettivamente, n.8147/B/PC e
n.16/Gab.Sec., con cui ordinava al Funzionario C.I.P.E., attraverso il
Concessionario Co.Ge.Ri., la demolizione del fabbricato di proprietà
dei sigg.Carbonelli e la prosecuzione dei lavori di messa in sicurezza
della aree di cantiere, ed il C.I.P.E., con le ordinanze dell'11/3/1996,

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n. 2214/Est, e del 25/3/96, n.2227/EST, disponeva l'occupazione
temporanea delle ulteriori particelle 13 e 14 fg.7 nonché 12, 15, 479,
e quindi dell'intero fondo di proprietà Carbonelli, fissando la scadenza
delle occupazioni al 31/12/1997.
A ragione della mancata restituzione delle aree alla scadenza, la
Comunione ereditaria di Carbonelli Pasquale (nel frattempo deceduto)
agiva avanti al Tribunale di Napoli nei confronti del Ministero
dell'Interno, del Prefetto e del Sindaco di Napoli, del Consorzio
Co.Ge.Ri. e, a seguito di integrazione del contraddittorio, del Comune
di Napoli, per ottenere la condanna dei convenuti in solido, o di chi
ritenuto responsabile, alla restituzione delle aree occupate, alla
corresponsione dell'indennità per l'occupazione legittima e al
risarcimento di tutti i danni patiti.
Il Comune eccepiva il difetto di giurisdizione, attenendo la causa ad
atti, provvedimenti e comportamenti in materia urbanistica ed edilizia
rientranti nella giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo; gli
altri convenuti eccepivano la carenza di legittimazione e nel merito
l'infondatezza delle domande.
Con sentenza n.1822 del 15/2/2010, il Tribunale dichiarava il difetto
di giurisdizione sulle domande principali, di condanna dei convenuti
alla restituzione dei fondi occupati, al pagamento dell'indennità di
occupazione ed al risarcimento dei danni nonchè sulla domanda di
manleva del Consorzio Co.Ge.Ri., spettando la giurisdizione al Giudice
amministrativo, e fissava il termine per la riassunzione avanti al Tar

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Campania; riteneva la propria giurisdizione quanto alle domande
relative al periodo di occupazione sine titulo, antecedente alle
ordinanze prefettizie, condannava il Ministero dell'Interno al
pagamento di euro 365.447,57, oltre rivalutazione ed interessi
nonché alle spese di lite; rigettava nel resto le ulteriori domande.
La Corte d'Appello, con sentenza n. 226 del 20/1/2014, respingeva
l'appello della Comunione ereditaria, confermando la giurisdizione del

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Giudice amministrativo sulle domande di restituzione dell'immobile e
di risarcimento del danno da illegittima occupazione.
La Comunione ereditaria provvedeva alla riassunzione avanti al Tar,
con ricorso n. 2799/2010; con separato ricorso n.5040/2010,
lamentava altresì la mancata esecuzione del giudicato formatosi sulla
sentenza 19499/2008, con cui il Tar Campania aveva annullato gli atti
relativi al procedimento di espropriazione delle aree di proprietà
Carbonelli avviato dal Comune per la realizzazione di un Piano di
recupero della zona, chiedendo la restituzione del fondo e la
quantificazione delle somme dovute a titolo di risarcimento dei danni.
Riuniti i due giudizi, il Tar, quanto al procedimento n.2799/2010,
dopo aver affermato la propria giurisdizione, accoglieva la domanda
di restituzione del suolo, ritenendo a ciò tenuto il Comune di Napoli,
considerando dirimenti a riguardo il decreto di restituzione di cose
sequestrate del 19/7/1999 ed il conseguente verbale di dissequestro
del'8/9/1999, relativi al procedimento penale n.4315/R/96, risultando
le aree di proprietà Carbonelli consegnate dall'Autorità giudiziaria al
geom. Punzo ed all'ing.Zaccà, quali rappresentanti del Comune;
accoglieva, all'esito di C.T.U., la domanda di risarcimento del danno
per il mancato godimento del bene nel periodo di occupazione
illegittima, successivo alla scadenza dei citati provvedimenti prefettizi,
ritenendo responsabile il Comune per il periodo successivo al
dissequestro, stante la consegna allo stesso del suolo, ed il Consorzio
Co.Ge.Ri. responsabile per il periodo antecedente, applicando la legge

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14/5/1981, n.219, relativa agli interventi in favore delle popolazioni
colpite dagli eventi sismici del 1980; quantificava il danno in euro
83.008,04, per il periodo 31/12/1997-8/9/1999, ed in euro
709.341,43, per il periodo successivo al dissequestro; respingeva
invece la domanda di risarcimento del danno da abbattimento di
manufatti preesistenti sul fondo, mancando il requisito
dell'antigiuridicità, per trattarsi di attività in diretta esecuzione di

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provvedimenti amministrativi non impugnati né dichiarati illegittimi;
rigettava altresì la domanda di risarcimento del danno per
l'abbandono di rifiuti e residui delle lavorazioni e demolizioni sul suolo
dei Carbonelli, quale attività direttamente consequenziale all'esatta
esecuzione dei lavori di abbattimento; accoglieva la domanda di
pagamento dell'indennità per l'occupazione legittima e condannava il
Consorzio Co.Ge.Ri.; dichiarava infine improcedibile il ricorso
n.5040/2010, per sopravvenuta carenza di interesse.
Detta pronuncia veniva impugnata in via principale dal Comune, in
via incidentale dal Consorzio, nonché dalla Comunione ereditaria e
dalla sig.Lucia Piscopo.
Il Consiglio di Stato, con sentenza depositata il 30/12/2016, ha
respinto l'appello del Comune, ha accolto in parte l'appello incidentale
del Consorzio, respingendolo nel resto, ha accolto in parte anche
l'appello incidentale degli originari ricorrenti, respingendolo nel resto,
e, per l'effetto, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha
respinto la domanda di risarcimento dei danni relativamente al
periodo anteriore all'8/9/1999, ha condannato il Ministero
dell'Interno, anziché il Consorzio, alla corresponsione ai ricorrenti
dell'indennità di occupazione legittima, terminata il 31/1/1997, ha
confermato la condanna del Comune al risarcimento del danno da
occupazione illegittima, per il periodo successivo all'8/9/1999, e del
Consorzio nei sensi di cui in motivazione; ha compensato le spese del
grado.

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Nello specifico, e per quanto ancora d'interesse, il Consiglio di Stato
ha ritenuto inammissibile l'eccezione di difetto di giurisdizione,
proposta dal Comune, risultando detta questione decisa con efficacia
di giudicato dal Tribunale e dalla Corte d' appello di Napoli, in ogni
caso infondata, per risultare il possesso dei suoli pervenuto al
Comune a seguito di un'originaria occupazione legittima da parte
dell'Amministrazione, di modo che l'occupazione in questione «rientra

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fra i comportamenti materiali della pubblica amministrazione che
costituiscono " mediatamente" espressione di potestà autoritativa, in
relazione ai quali si radica la giurisdizione amministrativa ex art.7,
comma 1, cod. proc. amm.».
Quanto alla individuazione del soggetto responsabile dell'illegittima
occupazione del suolo, e quindi tenuto alla restituzione ed al
risarcimento dei danni, ha rilevato che il sequestro penale dell'area di
proprietà Carbonelli era stato disposto durante il periodo di
occupazione d'urgenza( si veda nota del GIP del Tribunale di Napoli
del 22/11/1996, che concedeva l'autorizzazione esclusivamente per
l'area di cantiere B e non anche all'area reperti, indicata dal direttore
dei lavori come area A); che, a seguito della scadenza dell'efficacia
delle ordinanze di occupazione d'urgenza, l'area in questione era
certamente passata nella disponibilità dell'Autorità giudiziaria penale,
ininterrottamente proseguita sino alla restituzione disposta dal P.M. a
conclusione delle indagini ed eseguita col verbale dell'8/9/1999; che
per il periodo del sequestro i proprietari non avrebbero potuto avere
la disponibilità del suolo, con ciò escludendosi ogni ipotesi di
configurazione di illecito aquiliano per il periodo sino alla restituzione
dell'8/9/1999.
Il Consiglio di Stato ha riaffermato la spettanza agli appellati
dell'indennità per l'occupazione legittima per tutto il periodo di
efficacia delle ordinanze prefettizie e quindi sino al 31/1/1997; ha
ritenuto tenuto all'indennizzo il Ministero dell'Interno e non il

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Consorzio, trattandosi di attività totalmente estranee all'ambito di
applicazione della legge 219/1981.
Quanto al periodo successivo all'8/9/1999, ha respinto l'appello del
Comune, rilevando che il ruolo del Consorzio si era esaurito dopo gli
interventi immediati, dopodichè lo stesso aveva abbandonato l'area,
prima all'Amministrazione statale e poi all'Autorità giudiziaria penale,
come confermato dal verbale di dissequestro dell'8/9/1999, laddove

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si disponeva la riconsegna al Consorzio dell'area di cantiere, ossia
l'area ove erano in corso i lavori e non anche l'area adiacente, di cui
è causa; che il Sindaco non aveva agito nel caso come Commissario
governativo, non era stato infatti nominato Commissario per la
gestione dell'emergenza, ex art.5 legge 225/1992, risultando invece
che il compito di procedere alla messa in sicurezza ed alla
risistemazione della zona gli era stato attribuito direttamente dalla
legge, art.2 del d.l. 3/6/1996, n. 310, convertito nella legge
29/7/1996, n. 401 e le successive ordinanze del Presidente del
Consiglio dei Ministri n.2446 del 6/6/1996 e n.2448 del 24/6/1996,
con cui erano stati attribuiti poteri straordinari al Sindaco, erano state
adottate ex art. 5 legge 225/1992, ma solo per la parte in cui si
autorizzava la deroga alle disposizioni vigenti per ragioni di
protezione civile; che in tal modo si spiegava perché col verbale di
dissequestro l'area fosse stata riconsegnata al Comune; che dal
verbale di riconsegna, facente fede sino a querela di falso, risultava
che i due soggetti si erano qualificati come funzionari comunali e ciò
non poteva non implicare che la riconsegna fosse avvenuta per conto
del Comune e non certo a titolo personale, né poteva ritenersi il
carattere precario di detta riconsegna; né militava in senso contrario
il fatto che successivamente il Comune avesse avviato la procedura
ablatoria, i cui atti erano stati annullati in sede giurisdizionale per l'
autonoma iniziativa degli appellati.

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Ricorre avverso detta sentenza il Comune di Napoli, ex art.362 cod.
proc. civ.
Si difendono con controricorso la Comunione ereditaria ed il
Consorzio.
Il Comune ed il Consorzio hanno depositato memorie illustrative.
Gli altri intimati non hanno svolto difese.
Ragioni della decisione

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1.11 Comune di Napoli sostiene il difetto di giurisdizione, e fa valere
a riguardo la violazione e falsa applicazione degli artt.2909 e 1140
cod. civ., 11, comma 2, cod.proc.amm. e 59, comma 2, legge
69/2009, nonché degli artt.7/11 del capo III cod. proc.amm.
Sostiene che il giudicato al quale si riferisce il Consiglio di Stato,
formatosi in seguito alla pronuncia del Tribunale di Napoli, confermata
in appello, attiene alla giurisdizione del Giudice amministrativo sulla
richiesta di condanna per l'illegittima occupazione derivante dalle
ordinanze prefettizie n.16/Gab.Sec. dell'8/3/1996 e n. 2227/EST del
25/3/199, e di essere stato condannato per un'occupazione che lo
stesso Giudice amministrativo ha dichiarato non riconducibile a dette
ordinanze; deduce che anche a seguire la tesi del Consiglio di Stato, il
Giudice amministrativo deve ritenersi privo di giurisdizione, non
potendosi pronunciare per il periodo successivo all'8/9/99, dato che la
consegna delle aree è avvenuta in base al decreto dell'Autorità
giudiziaria penale, e questo sia a ritenere che le ordinanze prefettizie
avessero cessato la loro efficacia il 31/12/1997 per effetto della
cesura costituita dal sequestro penale, sia a ritenere che
l'occupazione del Ministero, solo momentaneamente sospesa a
ragione del sequestro penale, avesse riacquistato efficacia dopo il
dissequestro.
Il Comune sostiene che sia a ritenere l'occupazione usurpativa, non
supportata dall' esercizio di potere amministrativo, che legittima,
conseguente all'ordine della Procura di rimuovere i reperti, la

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giurisdizione spetta al Giudice ordinario, dato che non v'è alcun
collegamento con l'occupazione illegittima ex ordinanze prefettizie;
assume che il proprio coinvolgimento è ascrivibile solo alla consegna
delle aree, che ,sia intesa come possesso o come detenzione, ha dato
causa ad occupazione o usurpativa o al massimo legittima, in ogni
caso non ha mai generato un'occupazione spettante alla giurisdizione
del Giudice amministrativo.

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Assume che l'area venne consegnata non perché la stessa venisse
utilizzata a fini pubblicistici, ma solo perché il Comune potesse
eseguire l'ordine della Procura nell'interesse dei Carbonelli, e di avere
detenuto l'area a titolo di precario, ossia nell'interesse altrui per
l'adempimento della propria obbligazione, nascente dall'ordine della
Procura.
2.11 ricorso è inammissibile.
Nella sentenza impugnata, il Consiglio di Stato ha ritenuto
inammissibile l'eccezione di difetto di giurisdizione, riproposta dal
Comune di Napoli, per la preclusione conseguente alla formazione del
giudicato sulla spettanza della giurisdizione al Giudice amministrativo,
a seguito della sentenza del Tribunale di Napoli del 15/2/2010,
confermata sul punto dalla Corte d'appello con la pronuncia del
20/1/2014, pacificamente non oggetto di ricorso per cassazione, e
quindi passata in giudicato.
Il Consiglio di Stato ha poi ritenuto la questione di giurisdizione
anche infondata, svolgendo dei rilievi chiaramente ad abundantiam,
dopo avere concluso per l'inammissibilità della questione, che, come
tale, avrebbe precluso qualsiasi valutazione nel merito ( sul principio,
si richiama la sentenza Sez.U. 30/10/2013, n.24469, seguita, tra le
altre, dalle pronunce rese a sezione semplice, 20/8/2015, n. 17004 e
19/12/2017, n. 30393).
Ora, a fronte del rilievo della formazione del giudicato sulla
questione di giurisdizione, il Comune svolge censure per la gran parte

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di merito, appuntando le proprie critiche a statuizioni della sentenza
impugnata relative alla individuazione del soggetto passivo delle
domande avanzate dalla Comunione e dalla Piscopo, come
plasticamente emerge dalle censure intese a contestare che la
consegna delle aree possa avere determinato un'occupazione
sottoponibile al Giudice amministrativo, «essendo la stessa o
usurpativa...o al massimo legittima»(così pag. 21 del ricorso).

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Il Comune, nella prima parte del motivo, tenta di sostenere che dalla
sentenza impugnata si trarrebbe una causa petendi «assolutamente
nuova rispetto all'occupazione illegittima derivante dalla
continuazione del possesso oltre il termine di efficacia delle Ordinanze
Prefettizie»: è di chiara evidenza la non sostenibilità della
individuazione della causa petendi alla stregua della ricostruzione
operata in sentenza ed è distorta l'interpretazione del giudicato,
sottesa alla formulazione del motivo.
In ogni caso, anche a tacere dai profili di incongruenza nella
formulazione del motivo, deve ritenersi la questione di giurisdizione
preclusa dal giudicato formatosi a seguito della pronuncia del
15/2/2010 del Tribunale, confermata dalla sentenza della Corte
d'appello del 20/1/2014, e dalla riassunzione operata avanti al
Giudice amministrativo.
Come risulta dalla pronuncia della Corte d'appello (ed è altresì
esposto nello stesso ricorso odierno e nella sentenza impugnata), il
Tribunale di Napoli, riguardo al coacervo di domande proposte dalla
Comunione ereditaria, aveva ritenuto sussistente la propria
giurisdizione limitatamente alle domande avanzate in relazione al
periodo di occupazione sine titulo, antecedente all'adozione delle
ordinanze prefettizie del marzo 1996, ritenendosi carente di
giurisdizione, spettando la cognizione al Giudice amministrativo, sulle
domande attinenti al periodo successivo all'adozione delle dette
ordinanze, di condanna dei convenuti alla restituzione dei fondi

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occupati, al pagamento della indennità di occupazione ed al
risarcimento dei danni, fissando il termine di tre mesi per la
riassunzione avanti al Tar Campania, ex art.50 cod.proc.civ.; la
Comunione ereditaria appellava chiedendo, col primo motivo di
gravame, che venisse riconosciuta la giurisdizione del Giudice
ordinario su tutte le domande proposte; la Corte d'appello, richiamata
la normativa applicabile al giudizio introdotto con atto di citazione

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notificato a settembre 2000, e quindi l'art.34 d.lgs. 31/3/1998, n.80,
come sostituito dall'art.7 della legge 21/7/2000, n.205, e dato atto
delle pronunce della Corte cost. del 28/7/2004, n. 281 e
dell'11/5/2006, n. 191, e dei principi affermati a riguardo dal S.C., ha
respinto il motivo, e ribadito la giurisdizione del Giudice
amministrativo sulle domande relative alla restituzione dei beni ed al
risarcimento del danno per l'illegittima occupazione proposte dai
Carbonelli, che avevano provveduto a riassumere nel termine il
giudizio avanti al Giudice amministrativo.
La pronuncia della Corte d'appello del 20/1/2014 non è stata
oggetto di ricorso per cassazione, ed il Tar ha definito il giudizio
riassunto dalla Comunione ereditaria con la sentenza del 22/10/2015,
da ciò conseguendo che la questione di giurisdizione non poteva
essere più rimessa in discussione nel giudizio riassunto, atteso che sia
l'art.11 del cod.proc.amm. che l'art.59 della legge 18/6/2009, n. 69
attribuiscono alla pronuncia declinatoria della giurisdizione l'idoneità
al passaggio in giudicato(formale).
Ed infatti, come affermato nella pronuncia Sez.U. 18/6/2010,
n.14828, nell'attuale quadro normativo processuale, anche a seguito
dell'entrata in vigore dell'art. 59 della legge n. 69 del 2009
(contenente la disciplina sulla decisione delle questioni di
giurisdizione), si è venuta a realizzare la sostanziale riduzione ad
unità del processo dalla fase della domanda a quella della decisione,
con la connessa esclusione di ogni rilevanza impeditiva dell'eventuale

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errore iniziale della parte nella individuazione del giudice provvisto di
giurisdizione; ne consegue che la preclusione del regolamento
preventivo di giurisdizione dopo che il giudice di merito abbia emesso
una pronuncia declinatoria della propria giurisdizione non può più
essere limitata all'ipotesi di proposizione dell'indicato rimedio
nell'ambito del giudizio instaurato dinanzi a detto giudice,
applicandosi tale preclusione anche nel caso in cui il regolamento

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venga formulato a seguito della riassunzione del giudizio dinanzi al
giudice indicato dal primo come quello fornito di potestas ludicandi,
per effetto del giudicato implicito sulla giurisdizione, che si determina
in mancanza dell'impugnazione della decisione di difetto di
giurisdizione del primo giudice ed in conseguenza della realizzata
riassunzione avanti al giudice individuato nella stessa pronuncia.
E la recente pronuncia Sez.U. 3/11/2017 n. 26155 ha ribadito che,«
nel sistema delineato dall'art. 59 della legge n. 69 del 2009 e dall'art.
11 cod. proc. amm., quante volte la parte, dopo che il primo giudice
ha dichiarato il difetto di giurisdizione, propone la stessa domanda al
giudice indicato, e lo fa tempestivamente, essa resta vincolata dalla
decisione resa dal primo giudice, senza poterla rimettere in
discussione, e ciò come effetto necessario del fatto che la domanda è
stata riproposta a processo pendente (Cass., Sez. U., 8 febbraio
2010, n. 2716; Cass., Sez. U., 18 giugno 2010, n. 14828; Cass., Sez.
U., 22 novembre 2010, n. 23596; Cass., Sez. U., 7 luglio 2011, n.
14960; Cass., Sez. U, 16 settembre 2013, n. 21109; Cass., Sez. U.,
26 luglio 2016, n. 15429).
Questo indirizzo riposa sul rilievo che le disposizioni sulla translatío
sono ordinate al duplice risultato di salvaguardare gli effetti della
domanda originaria, ma anche di sottrarre alle parti, nel processo
proseguito, il potere processuale di richiedere il regolamento di
giurisdizione, in linea di continuità con l'orientamento che esclude da
tempo la possibilità di un uso impugnatorio del regolamento (Cass.,

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Sez. U., 22 marzo 1996, n. 2466; Cass., Sez. U., 31 ottobre 2008, n.
26296; Cass., Sez. U., 27 ottobre 2011, n. 22382; Cass., Sez. U., 21
luglio 2015, n. 15200; Cass., Sez. U., 26 aprile 2017, n. 10230;
Cass., Sez. U., 12 maggio 2017, n. 11803).»
Ora, tornando all'esame della specifica fattispecie che qui interessa,
va osservato che il disposto di cui all'art.59, comma 2, legge
69/2009 (« Se, entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio

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in giudicato della pronuncia di cui al comma 1, la domanda è
riproposta al giudice ivi indicato, nel successivo processo le parti
restano vincolate a tale indicazione...») postula che la riassunzione
possa avvenire ancor prima del passaggio in giudicato della sentenza
declinatoria, purchè non oltre tre mesi dal giudicato, lasciando in tal
caso il solo margine per il giudice ad quem di sollevare conflitto di
giurisdizione, che, per regola generale, è azionabile anche oltre il
limite temporale del giudicato, ex art.362, comma 2, cod.proc.civ.;
nella concreta situazione processuale, in cui la riassunzione del
giudizio è avvenuta in parallelo alla proposizione dell'appello avverso
la sentenza declinatoria di giurisdizione, si è realizzata nel corso del
giudizio riassunto la preclusione per le parti di sollevare la questione
di giurisdizione, stante la formazione del giudicato interno sul punto,
con l'intervenuta pronuncia della Corte d'appello, confermativa della
sentenza declinatoria della giurisdizione.
Che si tratti di giudicato interno, in forza del principio della translatio
iudicii, stante proprio la continuazione avanti al Giudice ad quem del
giudizio inzialmente proposto avanti al Giudice dichiaratosi privo di
giurisdizione, è altresi affermato da precedenti pronunce di queste
Sezioni unite: si richiamano a riguardo le sentenze del 21/12/2018,
n. 3210 ( che ha affermato che qualora il giudice del merito pronunzi
sulla propria giurisdizione affermandola e, contemporaneamente,
declini la propria competenza, la parte che accetti la pronunzia di
incompetenza, ma non anche la decisione sulla giurisdizione, deve, se

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vuole mettere in discussione l'affermata giurisdizione, appellare tale
pronuncia dinanzi al giudice superiore o proporre autonomo
regolamento di giurisdizione (se ammissibile), rimanendo altrimenti la
questione di giurisdizione preclusa dal giudicato, qualificabile come
interno a seguito della "translatio iudicii" conseguente alla
riassunzione della causa davanti al giudice competente) e del
28/11/2017, n. 28361 ( che ha ritenuto che, qualora il T.A.R., adito a

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seguito di dichiarazione di carenza di giurisdizione del collegio
arbitrale, dichiari a sua volta il proprio difetto di giurisdizione in
favore del giudice ordinario, e una delle parti ricorra nuovamente al
collegio arbitrale, l'instaurazione del giudizio arbitrale, senza che la
decisione sia stata impugnata dalle parti davanti al Consiglio di Stato,
determina la formazione del giudicato interno sulla giurisdizione,
dovendosi ritenere correttamente applicato il principio della
"translatio iudicii" ai rapporti tra giudice ordinario e giudici speciali
anche prima dell'entrata in vigore della I. n. 69 del 2009).
E trattandosi di giudicato esterno, è chiaramente distinto il caso che
qui interessa dall'orientamento ribadito, tra le ultime, nella pronuncia
Sez.U. 2/3/2018, n. 4497, che ritiene che solo la pronuncia che
coniughi la statuizione sulla giurisdizione, sia pure implicita, con la
pronuncia di merito è suscettibile di acquistare autorità di giudicato
esterno.
3.Conclusivamente, va respinto il ricorso; le spese del giudizio,
liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; condanna il ricorrente alle spese,
liquidate a favore di ciascuno dei controricorrenti, in euro 7.800,00,
oltre euro 200,00 per esborsi; oltre spese forfettarie ed accessori di
legge.

Ric. 2017 n. 11116 sez. SU - ud. 12-02-2019 -14-


Ai sensi dell'art.13, comma 1 quater del d.p.r. 115 del 30/5/2002,
inserito dall'art. 1, comma 17 della legge n. 228 del 2012, dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1- bis, dello stesso
articolo 13.

Corte di Cassazione - copia non ufficiale


Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 febltraio 2019
il Prtsident
fl

Il Consi liere estensore

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