Tavolario.
1
Ordinamento giuridico e realtà sociale.
L'espressione ubi societas ibi ius afferma che dove vi è una società vi è il diritto. Il
diritto si mostra quindi come carattere essenziale per regolare la vita degli individui
all'interno di una data società garantendo pace e ordine. Inoltre il diritto va ad
impedire che, in caso di contrasti, si venga a favorire l'individuo più potente
(moralmente, economicamente o fisicamente).
Il diritto può assumere due significati. Diritto in senso oggettivo, ossia l'insieme dei
precetti giuridici vigenti su cui si fondano i rapporti tra consociati o tra le diverse
comunità, diritto in senso soggettivo ossia il potere attribuito al privato di assumere
un determinato comportamento per realizzare un proprio interesse.
L'effettività
La completezza
Sono due i principali sistemi giuridici ossia il civil law e common law.
2
Evoluzione del diritto privato.
Esauritasi l'attualità dell'ordinamento romano, l'Europa Medievale, specie quella del
XI sec. fu caratterizzata dalla contemporanea esistenza di molteplici fonti. Da una
parte il diritto romano con il corpus iuris Civilis, da una parte il diritto della chiesa
con il corpus iuris canonici, dall'altra parte il diritto particolare dei regni e ancora il
diritto feudale. Tale molteplicità di fonti tuttavia non ostacolò il formarsi di un diritto
comune.
È poi dal XIII secolo che, sviluppatosi ampiamente il commercio, dando valore alla
ricchezza immobiliare, al commercio e alla moneta si afferma uno ius mercatorum
che si discosta dal diritto romano, incentrato sulla difesa e sul diritto di proprietà
privata, e dal diritto della chiesa. La figura del mercante si impone ai proprietari
terrieri e agli artigiani. La progressiva ascesa della classe dei mercanti nella gestione
del potere consente lo sviluppo di una lex mercatoria. I mercanti si dotano di un
autonoma giurisdizione. Si tratta di un diritto creato dai mercanti che regola l'attività
dei mercanti dove trovano spazio sopratutto le consuetudini. La dottrina canonistica
è quella romanistica si incontrano sul tema della bona fides.
Con la pace di Westfalia del 1648 si viene a determinare la nascita degli stati
moderni che non riconoscono alcuna autorità al di sopra di loro generando così la
progressiva formazione di diritti nazionali. L'esperienza mercantilistica, che si
sviluppa ancora di più tra '600 e '700, diviene fondamentale e porrà le basi per lo
sviluppo capitalistico. In questo scenario lo Stato, si accorge di quanto sia
determinate tale sfera mercantilista e progressivamente tende ad assorbire
all'interno di se tutto quanto concerne le leggi di mercato. Così il diritto dei mercanti
diviene diritto di stato. L'introduzione della macchina nei processi produttivi innova
il sistema economico. Artigiani e contadini affluiscono progressivamente negli opifici
cedendo non più prodotti finiti ma una prestazione lavorativa. Nel processo di
laicizzazione della società che prende forma tra il '600 e il '700 il sapere giuridico
viene attraversato da un forte filone di pensiero. Si afferma in questo senso il
giusnaturalismo razionale. Vi è un assoluta fiducia nella ragione quale principio e
fondamento di ogni regola. In un simile scenario si sviluppa la rivoluzione liberale
contro la stratificazione della società in classi di appartenenza che porterà in seguito
alla dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino nella quale, prendendo spunti
dal Bill of Right e dalla costituzione americana, vengono affermati i diritti naturali ed
imprescindibili dell'uomo come libertà, proprietá, uguaglianza ecc.
L'Illuminismo settecentesco forgerà poi le linee portanti dello stato moderno come
stato di diritto edificato sul l'idea di unità e libertà del soggetto, caratterizzato da
principi come: divisione dei poteri, principio di legalità uguaglianza formale dei
cittadini davanti la legge. È il modello di stato che giunge fino a noi come stato
democratico. In tale scenario il diritto pubblico si caratterizza come disciplina per
l'organizzazione dello stato e dei rapporto tra lo stato e il cittadino, mentre il diritto
privato si pone come disciplina dei rapporti tra i privati. Diritto pubblico e diritto
privato esprimono diverse sfere di incidenza a seconda della natura degli interessi.
Le codificazioni.
Diritto privato è espressione della società civile: pertanto c’è il bisogno di codificare
per un diritto unitario.
Code Napoleon 1804: rapporti tra privati espressi con legge generale e astratta
Codice civile del 1865: ruota intorno alla proprietà
Codice civile tedesco: secondo l’uso delle pandette si elaborano principi generali per
governare l’evoluzione della società
Codice civile 1942: muove dall’impianto del BGB e del codice del ’65: unifica norma
civilistica e quella commercialistica.
Costituzioni stati moderni (Statuto alberino) 1848: il principio guida è espresso
dall’eguaglianza dei cittadini di fronte la legge in funzione dell’unità del soggetto di
diritto
Costituzione repubblicana: diritto studiato come scienza sociale (regola conflitti
sociali)
Dalle nuove costituzioni nasce il pluralismo, che può essere ordinamentale (importa
il riconoscimento di altri ordinamenti giuridici, con i quali coordinare l’azione
dell’ordinamento giuridico statale) o sociale (si atteggia come espressione di
formazioni sociali giuridicamente rilevanti e riconosciute (associazioni).
Diritto strumentale uniforme: fissa criteri uniformi di individuazione
dell’ordinamento per collegarlo ad altri ordinamenti.
Diritto privato europeo: invade tutti i settori di diritti privato grazie alla sua forza
unificatrice.
La capacità di diritto privato della p.a. consiste nell’attitudine dell stessa a essere
titolare di diritti e doveri e di compiere atti giuridici; inoltre è riconosciuto alla p.a. il
potere di riesame del provvedimento amministrativo in autotutela della forma
dell’annullamento o revoca.
Nei giorni nostri diritto privato e pubblico si differenziano anche in base alla
tipologia di mezzi per il perseguimento degli interessi: interesse particolare
realizzabile solo tramite diritto privato. Diritto generale: realizzabile con entrambi i
diritti.
3
Soggetto e persona.
Il codice civile non offre la nozione di soggetto giuridico dandola evidentemente per
scontata. Più che altro i destinatari delle regole su cui si fonda l'ordinamento sono le
persone giuridiche e le persone fisiche. Il nostro ordinamento giuridico, come poi
ogni altro, individua i soggetti come titolari degli interessi presi in considerazione e
disciplinati mediante le regole finalizzate alla risoluzione dei relativi conflitti. Con la
formula di soggetto giuridico si allude ad un possibile punto di riferimento di
rapporti giuridici, e quindi tale soggetto risulta titolare di situazioni giuridiche
soggettive. La nozione di soggetto giuridico è una nozione di carattere puramente
formale in quanto esclusivamente collegata alla potenziale titolarità di situazioni
giuridiche soggettive, con il riconoscimento da parte dell'ordinamento di quella
attitudine ad essere titolare di situazioni giuridiche soggettive che viene definita
come capacità giuridica. Tuttavia non sempre a tutti gli uomini viene riconosciuta la
capacità di essere titolari di situazioni giuridiche soggettive, relegando taluni
addirittura al rango di mero oggetto di situazioni giuridiche altrui. L'ordinamento ha
esteso la capacità giuridica anche ad entità diverse dall'uomo. Ed è proprio in questo
senso che la dottrina si è preoccupata di elaborare la nozione di soggetto giuridico
quale categoria unitaria che comprende sia persone giuridiche sia persone fisiche.
Persone fisiche considerate senz'altro soggetti in quanto uomini, persone giuridiche
considerate soggetti di diritto solo in quanto riconosciute tali attraverso meccanismi
specificamente predisposti dall'ordinamento.
Tipologie
Sono considerati soggetti giuridici innanzitutto le persone fisiche. Il codice civile non
ha potuto fare altro che riconoscere ad ogni uomo la qualità di soggetto giuridico. Il
riconoscimento dell'uguale qualitá di soggetto giuridico ad ogni uomo, in quanto
considerato come persona, centro di imputazione di situazioni giuridiche attive e
passive, nell'impianto originario del codice civile non evitava discriminazioni sul
piano della capacità giuridica. In particolare oltre alle discriminazioni rivolte contro
la donna, l'ordinamento proponeva una discriminazione anche riguardo la razza.
L'art. 1 del codice civile del 1938 prevedeva che “limitazioni della capacità giuridica
derivanti dall'appartenenza a determinate razze sono stabilite da leggi speciali”. A
prescindere dall'abrogazione di tale previsione avvenuta nel 1944, qualsiasi
discriminazione in tema di capacità sarebbe destinata a trovare un insormontabile
ostacolo nell'articolo. 3 della costituzione che sancisce il principio di pari dignità
sociale e della eguaglianza davanti alla legge senza distinzione di sesso, razza, lingua,
religione, opinione politica ecc.,
Soggetto e status
Gli ordinamenti essendo fondati sul principio di uguaglianza consentono di guardare
l'uomo nella veste di soggetto giuridico in una prospettiva unitaria, cioè che
prescinde da ogni considerazione relativa al suo stato o condizione sociale inteso nel
senso di appartenenza a classi, ceti o caste. Il superamento del senso di
appartenenza a ceti, classi o caste è rappresentato dal passaggio dalla vecchia alla
nuova concezione di organizzazione della società. In tale passaggio risulta
fondamentale l'applicazione delle medesime regole a tutti i consociati, riconosciuti
come portatori di una identica capacità giuridica con uguali potenzialità quanto a
titolarità di diritti ed obblighi. Con il concetto di status non ci si riferisce più ad una
qualità del soggetto ricollegato ad un ceto o ad una casta di appartenenza, ma
piuttosto ad una situazione giuridica soggettiva che indica la posizione di un
soggetto rispetto a determinati gruppi sociali organizzati.
4
Beni giuridici
Secondo l'art. 810 sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti. Con il
termine bene indichiamo una entità in grado di provocare un utilità al soggetto. Il
bene in ragione dell'utilitas può provocare attitudine a soddisfare interessi
considerati rilevanti così da farne possibile oggetto di diritti. Una cosa per essere
considerata bene deve essere suscettibile di appropriazione e di utilizzo, deve
possedere cioè un valore. Una cosa ha valore quando esiste in qualità limitata ed è
suscettibile di appropriazione. I beni sono formati oltre che da cose materiali anche
da res incorporales (beni di naturala patrimoniale o secondo l'art 814 le energie
naturali). Non sono definite beni le cose incommerciabili. Un discorso particolare va
fatto per le parti separate del corpo umano. Solo per alcune di esse vige una
condizione di libera disponibilità e di circolazione come ad esempio i capelli. Per
altre parti si ha una situazione di massima incommerciabilità e di una limitata
disponibilità senza mai la possibilità di trarne lucro. Non si considerano beni poi le
cose comuni a tutti in quanto essendo liberamente disponibili a tutti in natura e
essendo illimitate il loro godimento non può essere fonte di conflitti e di interessi.
Esempi sono l'aria o l'acqua del mare. Tuttavia l'intervento dell'uomo può
determinare un valore economico dando così luogo all'esistenza di un bene anche
per il diritto. Si pensi allo sfruttamento dell'atmosfera come luogo di propagazione
delle onde radioelettriche da reputare beni mobili ai sensi dell'articolo 814. Sono da
considerare beni le cose che al momento non costituiscono oggetto di diritti ma
sono suscettibili di diventarlo attraverso la relativa appropriazione, si tratta delle
cose di nessuno come i pesci e le case abbandonate intenzionalmente dal
proprietario a differenza di quelle smarrite trattate diversamente dal legislatore.
Relativa alle cose si propongono altre distinzioni. La prima è relativa a quella tra cose
generiche e cose specifiche. Si definiscono cose generiche le cose che vengono prese
in considerazione per la loro appartenenza ad un genere (copia di un libro). Cose
specifiche sono invece le cose considerate per la loro individualità (copia di un libro
firmato dall'autore).
Cose fungibili sono tutte quelle considerate a peso, numero e misura (esempio e il
prodotto industriale interscambiabile). Significativo è il prestito che a seconda della
fungibilità è mutuo o comodato. Cose infungibili, quando non possono essere
sostituite con cose appartenenti allo stesso genere. Ad esempio, un libro appena
edito è certamente fungibile, ma se è una rara copia di un libro non più stampato, o
se è, ad esempio, una copia con dedica dell’autore, non è più sostituibile, quindi
diventa un bene infungibile.
Cose divisibili e indivisibili. La divisibilità sussiste quando la cosa può essere divisa in
parti omogenee. Cose indivisibili, cioè cose che non possono essere divise senza che
perdano la loro utilità (es.: un cavallo da corsa), o per volontà delle parti o per legge.
La distinzione tra cose produttive e non produttive dipende dall'attitudine della cosa
alla produzione di frutti.
Il danaro.
Il danaro è inquadrato nella categoria dei beni. Viene qualificato come cosa mobile,
generica, fungibile, consumabile e divisibile.
Le pertinenze.
Le cose, oltre che nella loro individualità, possono presentarsi unite o in rapporto tra
loro.
Quindi le cose possono ulteriormente dividersi in:
a) cose semplici: cioè le cose dotate di una propria autonoma utilità (un tavolo, un
animale);
b) cose composte: formate da più cose semplici, che perdono nella composizione la
loro autonomia. Le cose che compongono la cosa composta, pur essendo separabili,
sono tra di loro in un rapporto di complementarità economica (un paio di occhiali è
formato da più cose semplici e separabili, lenti, montatura, viti, ma la separazione
delle cose fa venir meno la funzione cui gli occhiali sono destinati).
c) cose connesse: cioè quando più cose, mantenendo una loro individualità
materiale, sono poste però in relazione tra loro, in modo tale che è distinguibile una
cosa principale ed una accessoria, legata alla cosa principale da un vincolo di
dipendenza. Sono ipotesi di connessione di cose l’incorporazione, cioè la
compenetrazione materiale o artificiale di una cosa all’altra, e la pertinenza.
Per l'art. 817 pertinenza è la cosa mobile o immobile destinata in modo durevole a
servizio o ornamento di un’altra cosa, che normalmente è immobile. Il rapporto di
pertinenza può intercorrere tra cose mobili (cornice e quadro), tra cose mobili e
cose immobili (antenna televisiva ed edificio) tra cose immobili (la cantina rispetto
all'appartamento). Essenziale perché sorga il rapporto di pertinenza è la
destinazione, la quale può essere effettuata esclusivamente dal proprietario della
cosa principale. Perché si abbia la costituzione del rapporto occorre che il
proprietario della cosa principale sia tale anche della cosa accessoria.
Affinché sussista un rapporto di pertinenza tra due beni sono necessari due
presupposti
Oggettivo: che consiste nel rapporto di servizio ad ornamento rispetto la cosa
principale
Soggettivo: la volontà da parte del proprietario o titolare di destinare la cosa al
servizio od ornamento della cosa principale.
Le universalità.
Per universalità di beni mobili si intende, secondo l'articolo 816 del Codice civile
italiano, la pluralità di cose che appartengono alla stessa persona e che hanno una
destinazione unitaria (es. un gregge, una pinacoteca, una biblioteca). Tre sono gli
elementi necessari perché si possa parlare di universalità: una pluralità di cose
mobili, una destinazione unitaria intesa come funzione comune e l'appartenenza
delle cose al medesimo soggetto. La destinazione unitaria non fa comunque perdere
l'autonomia alle cose che formano la universalità le quali potranno quindi essere
oggetto, separatamente l'una dall'altra, di singoli atti. Quando l'universalità nasce
per volere del proprietario (ad es. di chi ha raccolto i libri), si parla di universalità di
fatto. Invece quando l'universalità è stabilita dal legislatore si parla di universalità di
diritto, ad es. l'azienda è definita come universalità di beni dalla legge, in quanto una
pluralità di beni è destinata al medesimo scopo (catene di montaggio).
Frutti.
Tra i beni il codice civile disciplina i frutti distinguendoli in frutti naturali e frutti civili.
Sono considerati frutti naturali quelli che provengono dalla cosa direttamente con o
senza l'intervento dell'uomo. I frutti naturali seguono la stessa sorte della cosa
fruttifera fino alla separazione, ne fanno parte fino a tal momento che segna il
momento dell'acquisto da parte dell'avente diritto. È possibile disporre di essi prima
della separazione come cose mobili future, con applicazione per la relativa vendita,
dell'art 1472 relativo alla vendita di cose future. La separazione, ossia il distacco
dalla cosa madre, determina una autonoma identità giuridica dei frutti facendo
sorgere su di essi un diritto di proprietà. Tale proprietà spetta al proprietario della
cosa fruttifera, salvo che spetti ad altri soggetti quale effetto di un diritto di
godimento vantato relativamente alla cosa madre. Vale il principio per cui chi fa
proprio i frutti deve, entro il limite del relativo valore, rimborsare colui che ha fatto
spese per la produzione e il raccolto. Per i frutti civili si intendono quelli che si
ritraggono dalla cosa come corrispettivo di godimento che ne sia attribuito ad altri
(interessi capitali, rendite vitalizie, corrispettivo delle locazioni). Anche i frutti civili
come i frutti naturali spettano al proprietario della cosa fruttifera ovvero a chi abbia
un diritto di godimento sulla cosa medesima.
Patrimonio.
Il patrimonio viene inteso come l'insieme delle situazioni giuridiche di rilevanza
economica di cui il soggetto è titolare. Ne restano esclusi i diritti di natura non
patrimoniale. Esso finché la persona è vivente non viene considerato
dell'ordinamento come possibile oggetto di situazioni giuridiche. L'art. 2740
intitolato alla responsabilità patrimoniale indica che ciascuno risponde
dell'adempimento delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.
Beni pubblici.
Il codice civile non ha mancato di delineare anche la particolare condizione giuridica
dei beni appartenenti allo stato ed agli enti pubblici. Taluni beni fanno parte del
demanio pubblico in quanto non è ammessa l'appartenenza ai privati. I beni pubblici
demaniali naturali sono: spiagge, porti, laghi, fiumi, torrenti, opere di difesa
nazionale. I beni pubblici demaniali artificiali sono: strade, aerodromi, immobili di
interesse storico, archeologico e artistico ecc.
I beni demaniali sono inalienabili e possono formare oggetti di diritti di terzi solo nei
modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano. Per i beni non necessariamente
demaniali è ammessa la cosiddetta sdemanializzazione. Tale procedimento avviene
attraverso procedure particolari. I beni appartenenti allo stato e agli altri enti
territoriali non compresi tra quelli considerati demaniali fanno parte del relativo
patrimonio. Bisogna fare una distinzione per quanto riguarda i beni patrimoniali
indisponibili. Di quello dello stato fanno parte i beni indicati dal l'articolo 826
(miniere, cave, torbiere, case di interesse storico, archeologico, artistico, caserme,
aereo mobili militari, armamenti ecc). Di quello dello stato o dell'ente pubblico
territoriale fanno parte gli edifici pubblici con tutti i relativi arredi. I beni che fanno
parte del patrimonio indisponibile sono comunque vincolati alla loro destinazione e
non possono essere ad essa sottratti se non nei modi stabiliti dalla legge. Per i beni
dello stato e degli enti pubblici territoriali che non fanno parte del patrimonio
indisponibile opera invece la disciplina dettata in generale dal codice civile per i
diversi tipi di beni.
5
Rapporto giuridico e situazioni soggettive.
La funzione della norma giuridica va ricercata nell'esigenza di ordinare le relazioni
umane. Se l'interesse può essere visto come una sorta di tensione tra soggetto e
bene, ne consegue la possibile insorgenza di conflitti ove una pluralità di soggetti si
presentino interessati allo stesso bene. L'ordinamento giuridico allora interviene con
le sue regole per organizzare gli interessi in gioco. L'ordinamento riconosce ai
soggetti portatori di interessi una situazione giuridica soggettiva la quale costituisce
sul piano soggettivo la regola giuridica.
Diritto soggettivo
Nel codice civile la situazione giuridica soggettiva favorevole (attiva) riconosciuta ad
un soggetto in relazione ad un bene è identificata con il termine di diritto. Si parla di
diritto, inteso in senso soggettivo, ogni volta che viene garantito al soggetto, da
parte dell'ordinamento la realizzazione del suo interesse.
Alla conformazione del contenuto del diritto concorrono facoltá, poteri, limiti ed
obblighi.
Come può evincersi dalla radice etimologica del termine (ab-uti), si ha abuso nel
caso di uso anormale del diritto, che conduca il comportamento del singolo (nel caso
concreto) fuori della sfera del diritto soggettivo esercitato, per il fatto di porsi in
contrasto con gli scopi etici e sociali per cui il diritto stesso viene riconosciuto e
protetto dall'ordinamento giuridico positivo. Un siffatto comportamento abusivo
costituisce, quindi, un illecito (a seconda dei casi aquiliano o contrattuale, se trattasi,
rispettivamente, di diritto reale o di credito), sanzionato secondo le norme generali
di diritto in materia.
Nel nostro codice non esiste una norma che sanzioni in via generale l'abuso del
diritto. La cultura giuridica degli anni 30 riteneva che l'abuso del diritto, più che
essere una nozione giuridica, fosse un concetto di natura etico-morale, con la
conseguenza che colui che ne abusava veniva considerato meritevole di biasimo, ma
non di sanzione giuridica.
Diritto potestativo.
L'essenza del diritto potestativo è da ricercare nel potere riconosciuto al soggetto di
incidere su situazioni giuridiche, costituendole, modificandole o estinguendole, con
una propria manifestazione unilaterale di volontà. Abbiamo quindi da una parte una
situazione di potere, mentre dall'altra (lato passivo del rapporto) una posizione di
soggezione del soggetto passivo, che si trova nella condizione di essere costretto a
subire gli effetti giuridici derivanti dall'esercizio del diritto potestativo. Un esempio
del diritto potestativo possiamo trovarlo nell'ipotesi di diritto di prelazione conferito
dalla legge, diritto di riscatto del venditore in caso di vendita con patto di riscatto,
diritto di recesso unilaterale attribuito ad una delle due parti, ecc. In tutti questi casi
l'effetto è la manifestazione unilaterale di volontà restando la controparte
semplicemente assoggettata. Altra ipotesi di diritto potestativo viene individuata nel
potere riconosciuto a ciascuno dei partecipanti di domandare lo scoglimento della
comunione di un bene. Se un bene è di proprietà di più soggetti, cioè in comunione,
ognuno di loro potrà chiedere la divisione del suddetto bene senza che gli altri
possano fare nulla per impedirlo.
Potestá
Il potere conferito nel diritto potestativo può essere usato per realizzare interessi
altrui, in tal caso la situazione giuridica prende il nome di potestá. Un potere del
genere può essere conferito dallo stesso titolare degli interessi in gioco al
rappresentante incaricato di concludere un contratto destinato a produrre effetti
direttamente nel patrimonio del titolare. I casi di maggiore interesse sono però
quelli in cui è la legge conferire un tale potere. Esempi significativi di una simile
situazione dell'utilizzo della potestá sono quelli che fanno riferimento alla tutela e
alla responsabilità genitoriale. L'attribuzione del potere nell'interesse altrui non si
presenta libero, ma vincolato alla realizzazione dell'interesse in vista della cui
realizzazione è attribuito. Ciò comporta l'evidente esigenza di provvedere a forme di
controllo dell'esercizio del potere. Nell'ipotesi di rappresentanza diretta il
rappresentato può chiedere l'annullamento contro tutti gli atti abusivi del l'esercizio
di rappresentanza come il caso di contratto concluso dal rappresentate in conflitto di
interessi con il rappresentato e in caso di contratto concluso dal rappresentate con
se stesso. L'esercizio dei poteri connessi alla potestá viene ad assumere, di
conseguenza, per il soggetto cui essa è attribuita, un carattere di vera e propria
doverosità. Del tutto coerente allora si presta la previsione della possibile rimozione
del soggetto dalla titolarità della potestá, nel caso in cui venga esercitata in maniera
tale da recare pregiudizio nei confronti di altri soggetto. Esemplare si presenta in
tale prospettiva l'articolato controllo sulla responsabilità genitoriale, fino alla
possibile pronuncia della decadenza di essa.
Aspettativa.
Dalla situazione giuridica di diritto soggettivo si distingue la situazione di aspettativa,
quando i requisiti che l'ordinamento pone per il sorgere del diritto soggettivo stesso
non siano ancora completamente realizzati. Si parla in questo caso di una situazione
giuridica di natura provvisoria destinata a cadere con l'acquisizione del diritto.
Affinché si parli di aspettativa nel senso accennato, occorre che l'ordinamento
consideri, già attualmente meritevole di tutela, un interesse del soggetto. Un
esempio che si può fare riguardo l'aspettativa di fatto, viene visto nella situazione in
cui si trova il soggetto in ordine all'eredità di chi si ancora vivente, che hanno diritto
a una quota della relativa eredità, dato che è solo con la morte del soggetto da cui si
conta di ereditare, che comincia a realizzarsi la fattispecie successoria.
Ipotesi riguardante l'aspettativa di diritto si ritiene essere quella di chi acquisti un
diritto sotto condizione sospensiva o l'alieni sotto condizione risolutiva. Nella fase in
cui è incerta l'avverarsi o meno della condizione (fase di pendenza) non solo il
soggetto può disporre della propria situazione, appunto di aspettativa, rispetto al
diritto, ma vede tutelato in maniera incisiva l'interesse al rispetto della sua
aspettativa da parte del controinteressato. Così egli può compiere gli opportuni atti
conservativi, la controparte deve comportarsi secondo buona fede per conservare
integre le ragioni dell'altra parte”.
Interesse legittimo.
L'interesse legittimo è una delle situazioni giuridiche soggettive riconosciute dal
diritto italiano. Si tratta della situazione giuridica soggettiva della quale è titolare un
soggetto nei confronti della pubblica amministrazione che esercita un potere
autoritativo attribuitole dalla legge e consiste nella pretesa che tale potere sia
esercitato in conformità alla legge. Nell'ordinamento italiano non esistono norme
definitorie: l'espressione "interessi legittimi" è comunque presente in tre articoli
della Costituzione: all'art. 24 dove è stabilito il diritto di agire in giudizio per la difesa
dei diritti (intesi come diritti soggettivi) e degli interessi legittimi, all'art. 103, in cui si
stabilisce la giurisdizione del Consiglio di Stato e degli altri organi di giustizia
amministrativa per la tutela degli interessi legittimi, e all'art. 113, dove si prevede
che avverso gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la possibilità
di tutelare questa posizione soggettiva in sede giurisdizionale. L'interesse legittimo
ha come oggetto una utilità o un bene della vita che un soggetto privato mira,
rispettivamente, a conservare o a conseguire tramite l'esercizio legittimo del potere
amministrativo. Nel primo caso si parla di interesse legittimo oppositivo, che sorge,
per esempio, nei casi di espropriazione o di imposizione di un vincolo alla proprietà;
nel secondo caso di interesse legittimo pretensivo, che sorge per esempio in
relazione a un'autorizzazione o a una concessione necessaria per intraprendere
un'attività. Viene contrapposto al diritto soggettivo inteso, in questo contesto, come
situazione soggettiva di vantaggio riconosciuta automaticamente come degna di
tutela nei riguardi sia dei privati sia della pubblica amministrazione.
La distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi ha assunto particolare
rilevanza nel nostro ordinamento sotto diversi profili, innanzitutto per quanto
concerne le competenze relative alla tutela giurisdizionale. In tal modo per la tutela
dei diritti soggettivi opera il giudice ordinario, per la tutela degli interessi legittimi il
giudice amministrativo. Con importanti interventi del legislatore sono state estese le
materie di competenza del giudice amministrativo. In tal modo tale giudice è stato
ritenuto competente a giudicare anche le controversie aventi oggetto diritti
soggettivi, inoltre è stato consentito al giudice amministrativo il potere di
condannare la pubblica amministrazione al risarcimento del danno conseguente ad
un provvedimento legittimo. La giurisprudenza con un fondamentale intervento
della corte di cassazione ha sancito la risarcibilità del danno conseguente la lesione
di un interesse legittimo ai sensi dell'articolo. 2043. Inoltre ha riconosciuto al giudice
ordinario la possibilità di giudicare la controversie relativi agli interessi legittimi
eventualmente condannando la pubblica amministrazione al risarcimento del
danno.
Onere.
Tale termine viene impiegato per indicare sia la posizione del soggetto passivo del
rapporto ed anche per alludere ad una diversa situazione ossia quella in cui il
soggetto sia tenuto ad un certo comportamento, non al fine di realizzare un
interesse altrui ma con il fine di realizzare un interesse proprio. Il sacrificio di un
proprio interesse è imposto per soddisfarne un altro sempre proprio. Tale figura
viene qualificata con il termine di onere. Esempio in proposito è l'onere della prova.
Ai sensi dell'articolo. 2697 “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i
fatti che ne costituiscono il fondamento”. L'attività probatoria, anche se la legge
utilizza il termine “deve” non è oggetto di obbligo, ma per il soggetto in questione è
una necessità in quanto in mancanza di essa non riuscirà a far valere il proprio diritto
in giudizio.
6
Fatti giuridici.
Ogni fatto materiale è preso in considerazione dall'ordinamento per verificare
quanto esso sia giuridicamente rilevante. Più specificamente il singolo
comportamento o accadimento è valutato dall'ordinamento con il fine di verificare
se la situazione coinvolga interessi futili e quindi irrilevanti o interessi rilevanti. Ogni
struttura sociale produce il suo diritto, cosicché con il mutare della realtà sociale ed
economica e con il connesso evolvere dell'ordinamento, alcuni interessi possono
subire una modificazione di giudizio e quindi di rilevanza giuridica. Così appunto
interessi che i passato venivano considerati irrilevanti magari nel presente possono
essere considerati come rilevanti. Un esempio può essere lo sfruttamento
dell'atmosfera con la propagazione di onde radioelettriche ecc.
Atti giuridici:
Sono atti giuridici i fatti umani compiuti consapevolmente da una persona capace cui
l'ordinamento ricollega ad effetti giuridici. È possibile distinguere gli atti giuridici in
base al compimento, contenuto e valutazione.
Vicende giuridiche.
Le vicende giuridiche indicano i mutamenti dei rapporti e delle situazioni giuridiche
soggettive dalla nascita fino all'estinzione determinando la sorte dei corrispondenti
poteri o obblighi in capo ai singoli titolari. Distinguiamo vicende costitutive,
modificative e estintive.
1) Le vicende costitutive segnano la nascita di situazioni giuridiche soggettive e
dunque l'acquisto in capo ad un soggetto di un diritto che non esisteva e di cui
quindi non poteva essere titolare.
2)Le vicende estintive segnano la cessazione di situazioni giuridiche soggettive nel
senso che il diritto prima esistente viene meno. Es. con il pagamento del debito si
realizza l'estinzione del diritto di credito art. 1176.
3)Le vicende modificative determinano il mutamento di una situazione giuridica, più
spesso rispetto al soggetto, eccezionalmente con riguardo all'oggetto. In particolare
la modificazione soggettiva realizza il trasferimento del diritto da un soggetto ad un
diverso soggetto. Ad esempio con la vendita si ha il trasferimento di proprietà o di
altri diritti dal venditore al compratore.
Titoli di acquisito.
La circolazione dei diritti pone come problema giuridico fondamentale quello del
titolo di acquisto. Distinguiamo i titoli di acquisto in due grandi categorie: a titolo
derivato e a titolo originario.
1)Gli acquisti a titolo derivato stabiliscono che un soggetto avente causa acquista il
diritto del precedente titolare dante causa. Gli acquisiti possono intervenire per atto
tra vivi o a causa di morte. L'acquisto a titolo derivativo si distingue in: acquisto
derivativo traslativo e acquisto derivativo costitutivo.
Si ha l'acquisto derivativo traslativo quando il diritto acquistato è lo stesso che era in
capo al dante causa che quindi lo perde.
Si ha acquisto derivativo costitutivo quando il diritto acquistato non esisteva nella
realtà giuridica ma promana dal diritto dell'alienante comportandone una
restrizione.
2) Gli acquisti a titolo originario: realizzano l'acquisto di un diritto nuovo
indipendentemente dal rapporto con l'originario titolare. L'usucapione costituisce il
modo più diffuso di acquisto a titolo originario
Funzione del tempo.
Ogni fenomeno giuridico incide nella realtà temporale e spaziale. Tempo e spazio
esprimono le modalità di svolgimento dei fatti giuridici influenzando la
determinazione delle vicende giuridiche e la stessa vita delle situazioni giuridiche. Il
tempo può essere rilevato nel suo correre e perciò riguardo alla sua durata o può
essere rilevato nel momento e perciò come data. Ad esempio in un contratto di
locazione, il tempo fissa il termine di efficacia del contratto e segna il termine di
scadenza del pagamento del canone. Per l'essenza le rilevanza della dimensione
temporale la legge dedica una specifica normativa al computo dei termini. La legge
colloca la disciplina del computo dei termini nel capo dedicato alla prescrizione (artt.
2962 e 2963).
La prescrizione.
L'art. 2105 del cod. civ. abrogato, considerava la prescrizione come un mezzo con
cui, col decorso del tempo e sotto determinate condizioni, taluno acquista un diritto
o è liberato da una obbligazione. Era un sistema orientato all'osservazione della
titolarità del diritto, per cui la prescrizione, rivolta ad assicurare la stabilità dei
rapporti, si fondava sulla presunzione che il proprietario e il creditore che per lungo
tempo non avevano esercitato i propri diritti avessero inteso di abbandonarli.
Per l'art. 2934 ogni diritto si estingue per prescrizione quando il titolare non lo
esercita per il tempo determinato dalla legge. La prescrizione quindi si atteggia
come generale modo di estinzione dei diritti. Sono imprescrittibili i diritti
indisponibili e gli altri diritti indicati dalla legge. Tra i diritti indisponibili ricordiamo i
diritti della personalità e quelli connessi agli stati e alle potestá familiari. La disciplina
della prescrizione è di ordine pubblico nel senso che non è derogabile da privati. È
nullo ogni patto diretto a modificare la disciplina legale della prescrizione art. 2936.
La prescrizione non è rilevabile d'ufficio dal giudice ma deve essere opposta e cioè
rimessa alla valutazione del soggetto interessato se avvalersi o meno della
prescrizione. Si può rinunziare alla prescrizione solo quando essa è compiuta. La
rinunzia può essere espressa o tacita e cioè risultare da un fatto incompatibile con la
volontà di valersi della prescrizione. È invece vietata la rinunzia preventiva alla
prescrizione o intervenuta durante il decorso del termine di prescrizione con il fine
di evitare abusi di una parte a danno dell'altra. Quanto alla decorrenza del termine
prescrizionale, principio fondamentale è che la prescrizione comincia a decorrere dal
giorno in cui il diritto può essere fatto valere art. 2935, non opera quando il mancato
esercizio è giustificato. Molto spesso è la legge stessa a specificare il giorno dal quale
decorre il termine della prescrizione. Quanto alla durata la regola generale è che i
diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni salvi nei casi in cui la
legge dispone diversamente. Sono molte le ipotesi per le quali è previsto un termine
diverso di prescrizione: talvolta più lungo ad esempio i diritti reali di godimento su
cosa altrui si prescrivono in venti anni o più breve dando luogo a prescrizioni brevi
come il risarcimento del danno che si prescrive in cinque anni.
Sospensione.
Durante il decorso del tempo possono determinarsi due tipi di vicende che incidono
sulla operatività della prescrizione ossia la sospensione e la interruzione.
Le prescrizioni presuntive.
La legge presume che alcuni rapporti obbligatori siano usualmente estinti in un
breve lasso di tempo e senza formalità (rilascio di ricevute) perciò le prescrizioni
presuntive sono tutte brevi. Per regola generale il creditore che chiede
l'adempimento dell'obbligazione è tenuto alla sola allegazione del credito, è onere
del debitore provare l'adempimento o altra causa di estinzione del debito. La
prescrizione presuntiva solleva il debitore dall'onere di tale prova. Non è tenuto cioè
a provare l'adempimento essendo lo stesso presunto dalla legge dopo il decorso di
un determinato periodo di tempo. In ogni caso si tratta di una presunzione semplice
di estinzione che ammette la prova contraria. La prova è però circoscritta al solo
giuramento. Se il debitore giurando il falso, dichiara che l'obbligazione è stata
adempiuta o in altro modo estinta, il diritto si considera estinto, ma se non c'è stata
estinzione incorre nel reato di falso giuramento, per avere come parte in giudizio
civile giurato il falso. Art 371 c.p
La decadenza.
La legge mira a garantire che un diritto sia oggettivamente esercitato entro un dato
termine. Il decorso del tempo pertanto a differenza della prescrizione rileva non
come durata del comportamento di inerzia nell'esercizio del diritto ma nella sola
prospettiva della scadenza del termine entro il quale il titolare del diritto avrebbe
dovuto esercitarlo, scaduto il termine il diritto si perde. La decadenza non può
essere rilevata di ufficio dal giudice con la conseguenza che per la sua operatività
deve essere eccepita dalla parte. Può essere rilevata d'ufficio dal giudice, quando
trattasi di materia sottratta alla disponibilità delle parti, il giudice debba rilevare le
cause d'improponibilità dell'azione. C'è nella legge una disciplina differenziata a
seconda che la decadenza inserisca a diritto disponibili o indisponibili dai privati. Se
la decadenza inerisce ai diritti disponibili l'operativitá della decadenza è rimessa alla
iniziativa del soggetto interessato che ha l'onore di eccepirla. Se la decadenza
inerisce a diritti indisponibili le parti non possono modificare la disciplina legale della
decadenza, ne possono rinunziare alla decadenza medesima. Il giudice può rilevare
la decadenza come causa di improponibilità dell'azione.
7
Autonomia negoziale.
L'espressione autonomia privata indica il potere dei privati di darsi autonomamente
regole. L'esercizio dell'autonomia deve risultare compatibile con i doveri di
solidarietà sociale. L'autonomia privata è espressione delle libertà fondamentali ed è
in grado di procurare il massimo benessere economico collettivo. Sia nella
costituzione sia nell'ordinamento comunitario non c'è un espresso e formale
riconoscimento dell'autonomia negoziale, ma la sua rilevanza giuridica deriva da dati
testuali che necessariamente la implicano. Nella carta costituzionale fondamentali
risultano gli art. 2,41,42,47 che sottendono al riconoscimento dell'autonomia
privata. In particolare l'art.2 riconosce e garantisce l'autonomia privata, collettiva e
individuale come espressione della libertà fondamentale limitandone l'esercizio con
il rispetto dei doveri di solidarietà. Anche il diritto comunitario prevedendo un
mercato caratterizzato dall'eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione di
merci, persone, capitali e servizi, implica il necessario riconoscimento
dell'autonomia privata quale strumento di realizzazione di tali obbiettivi. Neppure il
codice civile contiene una espressa formalizzazione dell'autonomia privata ma la
previsione dell'autonomia contrattuale con il testamento e altri negozi unilaterali ne
implicano il riconoscimento.
I negozi giuridici si specificano rispetto agli atti giuridici in senso stretto in quanto
assumono rilevanza non solo la volontarietà e la consapevolezza dell'atto ma anche
la volontarietà dello scopo perseguito nel senso che gli effetti giuridici determinati
dall'ordinamento si conformano allo scopo pratico perseguito.
Ogni negozio giuridico consiste dunque in una manifestazione di volontà rivolta al
perseguimento di uno scopo concreto giuridicamente rilevante. Sono dunque
elementi essenziali di ogni negozio giuridico:
La manifestazione di volontà
Lo scopo perseguito
La forma vincolata
1) La manifestazione di volontà rappresenta l'espressione volitiva degli
autori dell'atto. È necessario che la volontà negoziale sia manifestata e
cioè esteriorizzata con il fine di rilevare l'interesse che si intende
realizzare. Talvolta la volontà è manifestata attraverso dichiarazione,
espressa o tacita, o tramite l'attuazione dello scopo perseguito.
Fondamentali mezzi di manifestazione di volontà son il linguaggio ed il
contegno.
2) Lo scopo perseguito indica uno scopo prefissato e voluto dagli autori
del negozio rivolto all'attuazione di un assetto di interessi per cui il
negozio si atteggia quale autoregolamento di interessi. Il profilo è
espresso dalla causa del negozio quale funzione concreta realizzata dal
negozio.
3) Per quanto riguarda la forma prescritta talvolta la manifestazione è
assoggettata ad una forma vincolata per validitá dell'atto (c.d. forma ad
sub stantiam).
8
Iniziativa economica.
Non c'è nella legge una esplicita nozione di iniziativa economica. Il concetto di
iniziativa economica è sinergico con quello di impresa. Il codice civile contiene
la definizione di imprenditore e non di impresa per essere l'imprenditore il
soggetto che svolge l'attività economica. Per l'art. 2082 è imprenditore colui
che esercita professionalmente un'attività economica organizzata ai fini della
produzione o dello scambio di beni e servizi. Non è necessario che
l'imprenditore sia proprietario dei mezzi di produzione ma che se ne assicuri
la disponibilità e la loro utilizzazione. Mediante i contratti l'imprenditore si
procura i mezzi di produzione, attinge a finanziamenti, si approvvigiona delle
risorse necessarie, stringe rapporti di lavoro con la mano d'opera e piazza i
prodotti sul mercato. L'imprenditore dirige il processo produttivo, è capo
dell'impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori. Gli
ulteriori caratteri dell'art. 2082 stabiliscono che un attività economica si
definisce imprenditoriale solamente se colui che la esercita si prefigga di
ricavare dalla stessa, sia che produca sia che scambi beni e servizi, un profitto
personale. Inoltre deve essere un'attività esercitata professionalmente e cioè
con abitualità, seppure non continuativamente. Infine l'attività dell'impresa
può essere rivolta alla produzione di nuovi prodotti o allo scambio degli stessi.
Uno specifico statuto è riservato alle imprese di maggiori dimensioni e cioè le
imprese commerciali. Per tali imprese si prevede l'iscrizione dell'imprenditore
nel registro per le imprese la tenuta dei registri contabili e la soggezione a
fallimento. Non sono soggetti a tale statuto i piccoli imprenditori e gli
imprenditori agricoli.
Tali società sono di diritto imprese commerciali e perciò soggette al relativo statuto.
Le società che hanno per oggetto l'esercizio di un'attività diversa sono regolate da
disposizioni sulla società semplice. Le società di cui precedentemente si è detto sono
società lucrative dove il vantaggio viene perseguito direttamente dalla società che
poi viene distribuito ai soci. Diversamente si atteggiano le società mutualistiche. Tali
società forniscono beni, servizi o occasioni di lavoro direttamente ai membri
dell'organizzazione a condizioni più vantaggiose di quelle che i soci otterrebbero sul
mercato. Tra queste assumono una particolare rilevanza le società cooperative e le
mutue assicurazioni.
L'azienda.
L'azienda è il complesso di beni organizzato dall'imprenditore per l'esercizio
dell'impresa. Non è necessario che l'imprenditore sia proprietario dei mezzi di
produzione ma che esso ne abbia disponibilità. L'imprenditore organizza l'attività
economica con la destinazione dei beni alla produzione e allo scambio. Il complesso
di beni organizzato rappresenta l'azienda. Segni distintivi dell'azienda sono la ditta,
l'insegna ed il marchio. La ditta identifica la titolarità e deve contenere almeno il
nome o la sigla dell'imprenditore salvo ipotesi di trasferimento dell'azienda.
L'insegna connota il luogo ove è esercitata l'attività, il marchio contraddistingue il
prodotto.
Concorrenza e mercato.
Il naturale approdo dei risultati dell'attività imprenditoriale è il mercato dove i
prodotti sono collocati e scambiati. Il mercato è il luogo di incontro tra domanda e
offerta e poiché sono vari i soggetti del sistema economico per ognuna di tale
componente si svolge un relativo mercato. Un tempo il mercato era circostritto ad
un unità fisica dove materialmente si incontravano e dialogavano i soggetti del
percorso produttivo, da tempo il mercato esprime uno spazio ideale sempre più
virtuale e organizzato dove impulsi elettronici segnano le impersonali dichiarazioni
dei singoli operatori. Più i confini si dilatano maggiormente è avvertita l'esigenza di
garantire informazione e trasparenza.
Il mercato, quale punto di riferimento per lo sviluppo economico, non può essere
lasciato ad uno spontaneismo senza regole con l'inevitabile vittoria del più forte. Un
mercato senza regole non garantirebbe un libero accesso a tutti e dunque una
corretta gara. La libertà di iniziativa economica privata segna anche la libertà di
accesso al mercato. Tradizionalmente la concorrenza è stata configurata come
conseguenza della libertà di iniziativa economica. La libertà di iniziativa tra i singoli
operatori si traduce nella concorrenza degli stessi quando in un determinato tempo
o area geografica, più operatori offrono o domandano i medesimi prodotti.
Il codice civile prevede varie restrizioni alla concorrenza, ma le limitazioni legali della
concorrenza operano nella prospettiva di tutela dei soli imprenditori al fine di
evitare che vincoli troppo incisivi o molto prolungati possano svuotare la libertà di
iniziativa economica. Analogamente è rimesso agli imprenditori disporre della
libertà di concorrenza attraverso la stipula di divieti convenzionali di concorrenza,
altre volte attraverso cartello impositivi di determinati comportamenti. Anche la
disciplina sulla concorrenza sleale è rivolta a disciplinare esclusivamente la
concorrenza tra imprenditori. Per l'art.2598 compie atti di concorrenza sleale
chiunque compie atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l'attività di un
concorrente, oppure determina il discredito altrui o si appropria di pregi dei prodotti
o dell'impresa di un concorrente e in generale si vale direttamente o indirettamente
di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo
a danneggiare l'altro azienda.
Vediamo che i protagonisti del mercato non sono più i soli imprenditori, a fianco ad
essi rilevano i fruitori dei prodotti ossia i consumatori. Il contesto dunque muta ed è
capovolto viene in rilievo i questo caso il cosiddetto mercato concorrenziale. La
struttura concorrenziale del mercato diventa il presupposto e non più la
conseguenza della libertà di iniziativa economica privata. È il bene oggettivo rispetto
al quale l'iniziativa economica privata deve confrontarsi e i consumatori traggono
alimento per la scelta dei prodotti. È i particolare con la legge 287/1990, cosiddetta
legge antitrust, su modello degli art. 85 e 86 del trattato CE, che muta la
configurazione della concorrenza. L'art. 1 di tale legge annette la struttura
concorrenziale del mercato rilevanza costituzionale quale esplicazione del principio
della libertà economica. È opinione diffusa che la disciplina antitrust tutela la
concorrenza e non i concorrenti. Il bene giuridico tutelato non è più soli la libertà di
iniziativa economica delle imprese, ma la struttura concorrenziale del mercato
presidiato da doveri di lealtà e trasparenza. A garanzia della concorrenza è stata
istituita l'autorità garante della concorrenza e del mercato con poteri di regolazione
e con poteri di emettere diffide e sanzioni. L'autorità valutati gli elementi in suo
possesso e quelli portati a sua conoscenza da pubbliche amministrazioni o da
chiunque ne abbia interesse, procede ad istruttoria per verificare l'esistenza di
infrazioni e divieti.
Stato e concorrenza.
Come appunto si è detto tra le clausole generali una posizione di rilievo è assunta
dalla buona fede che può considerarsi come clausola assorbente di ogni altra
clausola. La buona fede esprime una categoria generale che attraverso l'intero
ordinamento giuridico e connota in modo sempre più incisivo la recente disciplina
dei rapporti sociali. Manca però nella legge una nozione o definizione precisa di
buona fede, nozione che necessariamente bisogna trarre dall'ordinamento.
Informazione e trasparenza.
La buona fede nella dimensione del mercato si caratterizza sempre di più come
dovere di informazione e regola di trasparenza. Sono criteri che presidiano l'azione
di tutti gli operatori del mercato (imprenditori e consumatori). L'agire leale e
corretto è un comportamento che tutela non solo i soggetti del rapporto ma si
risolve a vantaggio del generale sviluppo economico-sociale in quanto consente di
selezionare le imprese efficienti attraverso un corretto gioco della concorrenza.
Persona e solidarietà.
Nella prospettiva di tutela della persona umana la buona fede è di recente evoluta
nel principio di solidarietà, quale generale valore di rilevanza costituzionale che
attraversa ormai l'intero diritto privato, inteso come disciplina delle relazioni tra
soggetti. Negli articoli 2 e 3 cost. è raffigurata una solidarietà sociale che non è solo
politica o economica ma aperta allo sviluppo della persona umana. Affiora una
costituzionalizzazione del principio di buona fede, e dunque dei doveri di lealtà e
correttezza in cui si articola, derivando dalla norma costituzionale forza normativa e
ampiezza di contenuto che si specificano di volta in volta in ragione della peculiarità
del rapporto. L'obbligo di solidarietà così si appunta in capo ad ogni situazione
giuridica soggettiva. Così in materia contrattuale il principio di buona fede si colloca
come dovere in capo a ciascun contraente di non essere menzognero e reticente ma
di compiere quanto è necessario alla salvaguardia dell'interesse della controparte
nei limiti di un sacrificio sostenibile. Più in generale la solidarietà si atteggia come
criterio fondamentale di civiltà e convivenza umana è linfa essenziale di coesione
sociale.
10
Tutela dei diritti.
Si è già visto come ogni ordinamento sia caratterizzato dal principio di effettività
dovendo essere in grado di garantire l'applicazione delle norme giuridiche emanate.
Così agli istituti di diritti sostanziale che riconoscono diritti ed impongono obblighi si
connettono istituti di diritto processuale che consentono l'attuazione giudiziaria nel
caso i diritti non siano rispettati ovvero gli obblighi non siano osservati. Al centro del
sistema di tutela si colloca la giurisdizione. Il concetto di giurisdizione è collegato allo
stato moderno. Il monopolio statale della giurisdizione ha comportato che anche i
giudici siano dipendenti dello stato. La giurisdizione statale opera il potere
giudiziario che si esplica mediante l'esercizio della funzione giurisdizionale cui si
connette il diritto di ogni cittadino ad una protezione giudiziaria. Sussistono vari
principi sulla giurisdizione.
Per prima cosa tutti possono agire i giudizio per la tutela dei propri interessi
legittimi e i propri diritti. La difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado
di procedimento per cui sono assicurati ai non abbienti mezzi per agire e
difendersi davanti ad ogni giurisdizione.
Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.
L'individuazione del giudice deve essere preventivamente è oggettivamente
determinata dalla legge.
I giudici sono soggetti soltanto alla legge. La magistratura quindi rappresenta
un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere.
La giurisdizione si basa sul principio del giusto processo regolato da legge per
cui ogni processo si realizza nel contraddittorio tra le parti in condizione di
parità davanti ad un giudice noto ed imparziale in una ragionevole durata del
processo. La correttezza del processo dovrebbe tendere ad una soluzione
giusta.
Tutti provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati.
Processo di cognizione.
Il processo di cognizione ha la generale funzione di portare a conoscenza del giudice
una questione perché possa individuare la regola di diritto sostanziale applicabile al
caso concreto, il giudizio poi si chiude con una sentenza. Il primo passo che il giudice
compie nel processo di cognizione è l'accertamento, ossia la verifica del diritto
vantato o contestato dal soggetto in questione. L'accertamento è compiuto dal
primo giudice investito della questione ed è passibile di verifica da parte di un altro
giudice. Quando la sentenza non è più soggetta a riesame si determina la cosiddetta
cosa giudicata formale ovvero la sentenza si ritiene passata in giudicato. Per l'art.
2909 l'accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato ad ogni
effetto tra le parti, i loro eredi o gli aventi causa, si realizza cioè una definitivitá della
realtà giuridica quale accertata e determinata dalla sentenza. A seconda dello
specifico scopo perseguito dall'attore distinguiamo tre tipi di azione:
Processo di esecuzione.
Tale processo ha la funzione di realizzare in modo forzoso l'attuazione dei diritti. La
tutela giurisdizionale avviene mediante l'esecuzione forzata la quale si fonda su un
titolo esecutivo che indica il diritto che si intende attuare. Sono titoli esecutivi:1) le
sentenze, i provvedimenti e gli altri atti ai quale la legge attribuisce espressamente
efficacia esecutiva (es. decreto ingiuntivo, ordinanza di sfratto, ordinanza
presidenziale). 2) le cambiali nonché gli altri titoli di credito e gli altri atti ai quali la
legge attribuisce espressamente la stessa efficacia. 3) gli atti ricevuti dal notaio o da
altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli, o le scritture private
autenticate. Il processo esecutivo è caratterizzato dal tendenziale impiego della
forza contro eventuali resistenze frapposte dal soggetto in danno del quale
l'esecuzione forzata è intrapresa. Il processo esecutivo tende all'attuazione
materiale dei diritti accertati nel titolo esecutivo. Deve perciò sussistere
corrispondenza tra i soggetti indicati nel titolo esecutivo quelli nel processo
esecutivo.
Sussistono due modelli di esecuzione forzata, in forma specifica e per
espropriazione.
Le corti europee.
Per l'applicazione del diritto comunitario operano due corti con finalità diverse.
11
Prove.
I fatti della realtà materiale risultano rilevanti giuridicamente quando questi
vengono provati. Quindi le prove rappresentano i mezzi processuali sui quali il
giudice verifica l'esistenza o meno dei fatti affermati dalle parti. Il codice civile
disciplina l'ammissibilità e l'efficacia delle prove mentre il codice di procedura civile
disciplina l'assunzione e cioè l'ingresso delle stesse nel processo. Principio base è
che l'onore della prova grava sul soggetto che intende avvalersi del singolo fatto
giuridico. L'attore ha l'onore di allegare e provare i fatti su cui si fonda la sua
pretesa. Il convenuto può semplicemente limitarsi a negare l'esistenza del diritto
come può allegare fatti contrari. L'art. 2697 stabilisce che chi vuol far valere un
diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Salvi i casi
previsti dalla legge il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove
proposte dalle parti o dal pubblico ministero. Di regola la valutazione delle prove è
rimessa al prudente apprezzamento del giudice, salvo che la legge disponga
altrimenti. Sussistono peraltro i cosiddetti argomenti di prova che operano come
elementi di valutazione di altre prove. Per l'art. 116 c.p.c il giudice può desumere
argomenti di prova dalle risposte che le parti danno nel corso di un interrogatorio
non formale.
Prove costituende.
Sono le prove che si formano nel processo. Esse possono essere dirette e indirette.
Sono prove dirette la prova testimoniale, la confessione e il giuramento, nel senso
che si formano mediante dichiarazioni orali che immediatamente producono la
conoscenza dei fatti. Sono prove indirette le presunzioni, nel senso che si formano
attraverso operazioni logiche che partendo da indizi conducono immediatamente
alla conoscenza dei fatti.
Prove costituende.
Sono le prove che si formano nel processo. Esse possono essere dirette e indirette.
Sono prove dirette la prova testimoniale, la confessione e il giuramento, nel senso
che si formano mediante dichiarazioni orali che immediatamente producono la
conoscenza dei fatti. Sono prove indirette le presunzioni, nel senso che si formano
attraverso operazioni logiche che partendo da indizi conducono immediatamente
alla conoscenza dei fatti.
12
Soggetti
Persona fisica e capacità giuridica.
La capacità giuridica è l'attitudine ad essere titolare di situazioni giuridiche
soggettive. La capacità giuridica è una qualità, di carattere generale e astratto, il cui
riconoscimento rende chi ne è investito possibile centro di imputazione dei diritti e
di obblighi. Come tale, la capacità giuridica va a definire la posizione del soggetto
all'interno dell'ordinamento. Di capacità giuridica sono dotati anche i soggetti di
diritti diversi dalle persone fisiche (persone giuridiche ed enti non riconosciuti, non
solo per quanto concerne le situazioni soggettive di contenuto patrimoniale ma
anche per taluni diritti di natura non patrimoniale (diritti della personalità). È
evidente che gli enti non possono per loro natura essere titolari di situazioni
soggettive che presuppongono l'attributo della fisicità della persona (es. le situazioni
soggettive di natura familiare.) È scontato il collegamento tra la capacità giuridica e
l'esistenza della persona fisica. L'art. 1 del c.c indica che l'acquisto della capacità
giuridica avviene con la nascita. Contrariamente al passato non è richiesto, ai fini
dell'acquisto della capacità giuridica, il requisito della vitalità ovvero l'idoneità alla
sopravvivenza, ma è sufficiente che il neonato sia nato vivo anche solo per un
istante. Parte della dottrina, in relazione alla situazione del concepito, pur
riconoscendo che manchi attualmente una capacità giuridica generale, accenna ad
una capacità giuridica parziale di carattere anticipato o provvisorio. Tuttavia prevale
la tesi secondo cui il concepito risulta privo della capacità giuridica, che si acquista
solo al momento della nascita. Per il periodo anteriore alla nascita vi sarebbe una
situazione di attesa e l'ordinamento si limiterebbe a predisporre una tutela
anticipata dei diritti che questi potrebbe acquistare al momento della nascita. Come
già si è detto ai fini dell'acquisto della capacità giuridica è necessario che il soggetto
nasca vivo. Per la nascita decisivo risulta l'accertamento della respirazione.
L'ordinamento, come già si è detto, prevede una forma di tutela anticipata dei diritti
che questi potrebbe acquistare al momento della nascita, come il diritto ad essere
risarcito per chi abbia subito danni a livello fetale.
Capacità di agire.
Per capacità di agire si intende l'attitudine a compiere atti idonei ad incidere sulla
propria sfera giuridica. Ai sensi dell'articolo 2 la capacità di agire si acquista con la
maggiore età, vale a dire al compimento del diciottesimo anno. La fissazione di un
criterio presuntivo per la valutazione dell'attitudine del soggetto a regolare i propri
interessi rappresenta una necessità per lo svolgimento di relazioni giuridiche.
L'ordinamento non manca di assicurare un adeguata tutela degli interessi del
soggetto, prevedendo l'incidenza di sue peculiari condizioni personali sulla
valutazione di tale attitudine, quali in particolare le condizioni psichiche e fisiche con
conseguente riduzione o addirittura perdita della capacità di agire. Si tratta delle
ipotesi di incapacità legale di agire in conseguenza di un provvedimento giudiziale e
l'incapacità di intendere o di volere stato in cui il soggetto viene a trovarsi. Carattere
sanzionatorio ha la limitazione della capacità di agire in dipendenza di gravi
condanne penali.
Minore.
Fissando alla maggiore età l'acquisto della capacità di agire, il minore si trova in una
situazione in incapacità di agire generale. Numerose sono le disposizioni che
riconoscono al minore la capacità di compiere atti idonei ad incidere sulla sua sfera
giuridica, sia pure al di fuori dell'area dei rapporti di natura più strettamente
patrimoniale. Il tutto è legato alla sua maturazione, è più precisamente alla sua
capacità di discernimento. L'autonomia del minore circa le scelte di carattere
personale e l'esercizio dei diritti fondamentali, che non si ritiene possa essere
esclusa in presenza di una maturità adeguata, trova ormai ampio riconoscimento
anche a livello internazionale. Può essere ascoltata l'opinione del minore capace di
discernimento, può prestare attività lavorativa dai 15 anni, può compiere tutti gli atti
ove è richiesta solo la capacità di intendere e di volere. Il minore deve essere
tutelato e assistito fino al raggiungimento della maggiore età art.30 cost.
Responsabilitá genitoriale.
Alla luce di una simile esigenza di protezione dell'interesse del minore il legislatore
ha dettato un articolata disciplina della responsabilità genitoriale. La responsabilità
genitoriale, il cui esercizio è disciplinato dagli articoli 316 ss., si ricollega alla nozione
di potestá, intesa quale situazione giuridica soggettiva complessa attribuita
dall'ordinamento in vista della tutela degli interessi altrui reputati meritevoli di
tutela. In considerazione della rilevanza dell'interesse protetto la responsabilità
genitoriale viene definita come un potere-dovere. Essa è esercitata in comune
accordo da entrambi i genitori.
Un curatore speciale può essere nominato anche quando i genitori non possono o
non vogliono compiere atti eccedenti l'ordinaria amministrazione. Art.(321.). Gli atti
compiuti senza osservare le regole previste dal legislatore sono annullabili come ad
esempio l'atto con cui i genitori abbiano venduto un bene del figlio senza la
necessaria autorizzazione del giudice tutelare. L'azione di annullamento dell'atto
può essere esercitata dai genitori esercenti la responsabilità genitoriale, dal figlio,
nonché dai suoi eredi o aventi causa. L'azione di annullamento si prescrive in 5 anni
dal giorno in cui il minore ha raggiunto la maggiore età. Nel caso di decesso del
minore in data anteriore al raggiungimento della maggiore età il termine di
prescrizione decorre dal giorno della morte del minore stesso. I genitori che
esercitano la responsabilità genitoriale sul minore hanno in comune l'usufrutto
legale sui beni del minore. I frutti percepiti dai beni del minore devono essere
destinati al mantenimento della famiglia ed all'istruzione ed educazione dei figli. La
responsabilità genitoriale cessa con il raggiungimento della maggiore età del minore
o con la sua emancipazione. A seguito un controllo dell'autorità giudiziaria può
essere pronunciata la decadenza della responsabilità genitoriale prevedendo poi
l'allontanamento del figlio o del coniuge. I provvedimenti adottati sono sempre
revocabili art. 333. Se i genitori conducono una cattiva amministrazione dei beni del
figlio, il tribunale può stabilire condizioni o addirittura può rimuovere da essa uno o
entrambi i genitori, nominando un curatore, privandoli in tutto o in parte
dell'usufrutto legale. Art. 334. Il processo di controllo dell'attività del genitore può
essere attivato dall'altro genitore, dai parenti, o dal P.M. La vigilanza dell'osservanza
delle regole è affidata al giudice tutelare.
Tutela.
Se entrambi genitori sono morti, o per qualunque altra causa non possono
esercitare la responsabilità genitoriale, si apre la tutela presso il tribunale
circondario dove è la sede principale degli affari e interessi del minore, cioè il suo
domicilio art. 343. L'istituto della tutela è da ritenersi espressione del precetto
costituzionale secondo cui, nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede che
siano assolti i loro compiti art. 30 comma 2. La tutela ha dunque la funzione di
garantire, attraverso l'intervento di un altro soggetto ed il controllo da parte di
organi giudiziali sulla relativa attività del genitore, al minore la cura dei propri
interessi personali e patrimoniali. I poteri riconosciuti a chi è investito di una simile
potestá devono essere esercitati nell'interesse del minore che l'ordinamento
intende proteggere. L'ufficio tutelare è gratuito. Rispetto alla responsabilità
genitoriale che trova un suo fondamento nel vincolo di sangue che lega i genitori al
figlio, la tutela deriva da una pronuncia dell'autorità giudiziaria. È per questo che
nella tutela, in particolare in ordine all'attività di amministrazione del patrimonio del
minore, sono previsti vincoli e controlli di maggiore intensità rispetto a quelli
caratterizzanti l'esercizio della responsabilità genitoriale. Nel quadro dell'esercizio
della tutela un ruolo fondamentale assume la figura del giudice tutelare, il quale
soprintende l'esercizio della tutela e può chiedere assistenza agli organi della
pubblica amministrazione e di tutti gli enti i cui scopi corrispondano alle sue
funzioni. L'attività del giudice si atteggia come controllo e coordinamento, egli
decide su tutte le questioni maggiormente rilevanti al minore e al suo patrimonio.
Presso ogni giudice tutelare è istituito il registro delle tutele (tutti gli atti e i
provvedimenti). Il giudice tutelare appena ricevuta notizia del fatto da cui deriva
l'apertura della tutela, procede alla nomina del tutore e del protutore art.346. Prima
della nomina del tutore deve essere sentito anche il minore che abbia raggiunto
l'età di dodici anni. Il giudice nomina tutore la persona designata dal genitore che ha
esercitato per ultimo la responsabilità genitoriale. La designazione può essere fatta
per testamento, atto pubblico o per scrittura privata autenticata. Qualora manchi la
designazione la scelta del tutore viene effettuata preferibilmente tra gli ascendenti o
tra gli altri prossimi parenti o affini del minore(tutela legittima). In mancanza il
tutore viene scelto tra altre persone (tutela dativa), o deferita a un ente o assistenza
(tutela assistenziale). In quest'ultimo caso l'amministrazione dell'ente delega uno
dei propri membri a esercitare le funzioni di tutela. Il tutore ha la cura della persona
del minore, lo rappresenta in tutti gli atti civili e ne amministra i beni. Il tutore
assume sia una funzione di carattere personale, che una funzione di carattere
patrimoniale. Sotto il profilo personale ha gli stessi doveri che competono ai genitori
(istruzione, educazione e assistenza morale del minore). Deve però attenersi alle
direttive del giudice tutelare. Sotto il profilo patrimoniale lo stesso giudice indica la
spesa annua occorrente per l'amministrazione del patrimonio del minore, fissando i
modi di impiego dei redditi eccedente se autorizza ad investire i capitali secondo
specifici criteri. Il tutore rappresenta il minore in tutti gli atti civili e amministra il
patrimonio del medesimo. Vediamo inoltre come al tutore è impedito l'usufrutto
legale sui beni del minore, proprio in assenza del carattere familiare del rapporto
che rappresenta attributo peculiare del rapporto genitore-figlio. Il tutore compie da
solo gli atti di ordinaria amministrazione, gli atti eccedenti l'ordinaria
amministrazione sono compiuti dal tutore su autorizzazione del giudice tutelare.
Tuttavia per gli atti che debbono reputarsi di maggiore importanza e che comunque
comportano una rilevante modificazione della composizione del patrimonio del
minore, l'atto non può essere compiuto se non previa autorizzazione del tribunale e
il parere del giudice tutelare. L'atto compiuto senza osservare le regole accennate è
da considerare annullabile su istanza del tutore, del minore o dei suoi eredi aventi
causa. L'azione di annullamento si prescrive in 5 anni dal giorno in cui il minore ha
compiuto la maggiore età oppure dal giorno della sua morte. Si è visto come il
giudice tutelare accanto alla nomina del tutore provveda contemporaneamente
anche alla nomina di un protutore. Il protutore rappresenta il minore quando
l'interesse del tutore è in contrasto con quello del minore. Il protutore è poi tenuto
alla nomina del nuovo tutore nel caso l'originario tutore sia venuto a mancare o
abbia abbandonato l'ufficio, in questo tempo il protutore stesso assume la cura della
persona del minore, lo rappresenta e può compiere gli atti conservativi e gli atti
urgenti di amministrazione. In ordine alla responsabilità il tutore deve amministrare
il patrimonio con diligenza del buon padre di famiglia. Il tutore risponde verso il
minore di ogni danno a lui cagionato violando i propri doveri. Nella stessa
responsabilità incorre il protutore per ciò che riguarda i doveri del proprio ufficio. La
tutela termina quando il minore raggiunge la maggiore età o eventualmente
consegua l'emancipazione per effetto del matrimonio. Il giudice tutelare tuttavia
può sempre esonerare il tutore dall'ufficio qualora l'esercizio di esso sia per il tutore
soverchiamente gravoso e vi sia altra persona a sostituirlo, può inoltre rimuovere
dall'ufficio il tutore che si sia reso colpevole di negligenza o abbia abusato dei suoi
poteri o si sia dimostrato inetto all'adempimento di essi oppure quando il tutore sia
diventato insolvente.
Emancipazione.
Il minore che abbia compiuto 16 anni, qualora sussistano gravi motivi, può esser
ammesso con decreto del tribunale per i minorenni al matrimonio, previo
accertamento della sua maturità psico-fisica e della fondatezza delle ragioni
addotte, sentito il p.m. i genitori o il tutore (art. 84). Il minore acquista, così, lo stato
di emancipato: la emancipazione avviene di diritto in conseguenza del matrimonio
(art. 390). Il minore acquista così una capacità di agire limitata. Il minore viene
reputato idoneo a curare i propri interessi di natura personale e l’ordinamento
interviene esclusivamente nella cura dei suoi interessi patrimoniali. La funzione di
provvedere alla cura degli interessi patrimoniali del minore emancipato viene
assolta dal curatore (coniuge se di maggiore età). Se entrambi i coniugi sono di
minore età, il giudice tutelare può nominare un unico curatore, scelto
preferibilmente tra i genitori. Il curatore ha solo funzioni di carattere patrimoniale:
la sua attività è limitata all’amministrazione del patrimonio dell’emancipato. Il
tutore rappresenta il minore, il curatore si limita ad assistere l’emancipato, senza
rappresentarlo. L'atto viene compiuto in prima persona dal minore emancipato la
cui volontà risulta essenziale, tuttavia il suo consenso non risulta sufficiente in
quanto deve essere necessariamente integrato dal consenso del curatore. L’atto
compiuto dal minore emancipato, con il consenso del curatore, è un atto
soggettivamente complesso (atto complesso ineguale). In considerazione della sua
limitata capacità di agire il minore emancipato compie da solo solo atti di ordinaria
amministrazione. Il minore può, con l’assistenza del curatore, riscuotere capitali
sotto la condizione di idoneo reimpiego. Gli atti eccedenti l’ordinaria
amministrazione sono compiuti dal minore col consenso del curatore, previa
autorizzazione del giudice tutelare. Per gli atti maggiormente rilevanti (atti di
disposizione) indicati dall'art.375, l'autorizzazione, se curatore non è il genitore deve
essere data dal tribunale previo parere del giudice tutelare. Nell’ipotesi di conflitto
tra minore e curatore, il giudice tutelare nomina un curatore speciale. Anche la
violazione delle norme che regolano gli atti di amministrazione dei beni
dell’emancipato comporta l’annullabilità del medesimo. (azione di annullamento
cade in prescrizione in 5 anni dal compimento della maggiore età o dal giorno della
morte dell'emancipato). Una capacità di agire quasi piena ha il minore emancipato
autorizzato dal tribunale all’esercizio di impresa commerciale. Resta comunque
preclusa la possibilità di fare testamento e donazioni. La situazione dell'emancipato
termina con il raggiungimento della maggiore età.
Interdizione giudiziale.
Il maggiore di età e il minore emancipato, i quali si trovino in condizioni di abituale
infermità di mente che li renda incapaci di provvedere ai propri interessi, sono
interdetti, quando ciò sia “necessario per assicurare la loro adeguata protezione”.
L’art 414 conferma, quali presupposti di interdizione, lo stato di abituale infermità di
mente e l’incapacità di provvedere ai propri interessi. Diversamente che in
precedenza viene resa esplicita la ratio del provvedimento in esame, che risulta ora
esclusivamente quella di garantire un’adeguata protezione all’incapace: proprio il
carattere di reale necessarietà del provvedimento per la protezione dell’incapace
costituirà oggetto della valutazione che compete all’autorità giudiziale.
Tra i soggetti legittimati a chiedere l’interdizione (art. 417) viene espressamente
indicato lo stesso incapace (istituto di protezione). Per la pronunzia di interdizione,
risulta sempre necessario l'esame del soggetto interdicendo da parte di un
consulente tecnico e può anche d'ufficio interrogare i parenti prossimi
dell'interdicendo e assumere le necessarie informazioni. L'ampiezza dei poteri del
giudice in materia denota la presenza di un interesse generale ad assicurare la
protezione del soggetto che si presenta essere incapace, ma solo a seguito di un
rigoroso accertamento delle condizioni che impongono l'adozione delle misure
necessarie. In tale prospettiva è da evidenziare come anche se venga chiesta la
interdizione del soggetto, il giudice possa disporre, pure d'ufficio, la inabilitazione
per infermità mentale. Vale anche la situazione inversa. Quanto agli effetti
dell’interdizione, il momento decisivo è da individuarsi nella sentenza: ai sensi
dell’art. 421, la interdizione produce i suoi effetti dal giorno della pubblicazione della
sentenza. Una prospettiva analoga vale per la cessazione degli effetti
dell’interdizione. La revoca dallo stato di interdizione si produce non quando viene
meno la causa dell'interdizione, ma solo a far data dal passaggio in giudicato della
sentenza che revoca l'interdizione medesima. Per evidenti ragioni di pubblicità, la
sentenza deve essere annotata immediatamente, a cura del cancelliere del
tribunale, nel registro delle tutele e comunicata entro 10 giorni all’ufficiale dello
stato civile per l’annotazione in margine all’atto di nascita (art. 423). Alle stesse
forme di pubblicità è soggetta anche la sentenza che pronuncia la revoca dello stato
di interdizione. Con la sentenza di interdizione si da luogo alla tutela: all’interdetto
vengono assegnati un tutore e un protutore, si applicheranno le stesse norme che
regolano la tutela del minore. Per la scelta del tutore dell'interdetto il giudice
tutelare deve individuare di preferenza la persona più idonea all’incarico. Circa la
durata della tutela nessuno è tenuto a continuare l'incarico oltre dieci anni, ad
eccezione del coniuge, della persona stabilmente convivente, degli ascendenti o dei
discendenti. Le conseguenze di maggiore rilevanza riguardano la drastica limitazione
della capacità di agire, sia sotto il profilo personale che sotto quello patrimoniale.
L’interdizione giudiziale consegue ad una valutazione di globale inettitudine del
soggetto a provvedere ai propri interessi sia quelli di natura personale che quelli di
natura patrimoniale. Sotto il profilo personale al tutore compete la cura della
persona dell’interdetto (educazione, istruzione, assistenza morale). L’interdetto non
può contrarre matrimonio né procedere al riconoscimento dei figli nati fuori dal
matrimonio. È sotto il profilo patrimoniale e precisamente riguardo
l'amministrazione del patrimonio dell'incapace che si registra una importante
modificazione rispetto alla disciplina anteriore. In precedenza l'interdetto veniva del
tutto privato della capacità di agire, pertanto gli atti di ordinaria amministrazione
venivano compiuti dal tutore quale rappresentate legale dell'interdetto. Quanto agli
atti eccedenti l'ordinaria amministrazione dovevano essere compiuti dal tutore
previa autorizzazione del giudice tutelare ad eccezione degli atti più importanti ossia
i cosiddetti atti di disposizione compiuti dal tutore previa autorizzazione del
tribunale su parere del giudice tutelare. Oggi, in base l’art 427, si dispone che taluni
atti di ordinaria amministrazione possano essere compiuti dall’interdetto senza
l’intervento del tutore. Deve però essere integrato dal consenso del tutore.
All’interdetto è preclusa la possibilità di effettuare donazioni e di fare testamento.
Viene riconosciuta quindi una limitata capacità di agire. Circa la sorte degli atti
compiuti in violazione delle norme che regolano l'amministrazione dei beni
dell'interdetto, basta fare rinvio a quanto osservato in relazione alla tutela del
minore con la differenza che il termine quinquennale di prescrizione del
l'annullamento dell'atto decorrerà dalla cessazione dello stato di interdizione e
quindi con il passaggio in giudicato della sentenza che revoca la interdizione oltre
che eventuale dal giorno della morte dell'interdetto.
Inabilitazione.
Il maggiore di età infermo di mente, lo stato del quale non è talmente grave da far
luogo all’interdizione, può essere inabilitato. Possono essere inabilitati coloro che
per prodigalità o per abuso abituale di bevande alcoliche o stupefacenti, espongano
sé o la loro famiglia a gravi pregiudizi economici. Infine, possono essere inabilitati il
sordo e il cieco dalla nascita o dalla prima infanzia, se non hanno ricevuto una
educazione sufficiente. L’inabilitazione è una forma di limitazione della capacità di
agire, meno grave dell’interdizione giudiziale. Le conseguenze rilevano
esclusivamente sotto il profilo patrimoniale, così in particolare l'inabilitato può
contrarre matrimonio, e può riconoscere il figlio nato fuori dal matrimonio.
L'inabilitazione può essere promossa anche su istanza dal soggetto interessato o
dalla persona che convive con lui stabilmente. L'inabilitando deve essere esaminato
dal giudice, gli effetti della inabilitazione si producono dalla pubblicazione della
relativa sentenza e la revoca ha efficacia a partire dal momento del passaggio in
giudicato della sentenza di revoca. La sentenza di inabilitazione come la sentenza di
revoca sono annotate nel registro delle curatele ed annotate in margine all'atto di
nascita. Con la sentenza di inabilitazione si da luogo alla curatela. Viene nominato un
curatore, e non un tutore, con gli stessi poteri del curatore del minore emancipato.
L’inabilitato compie da solo gli atti di ordinaria amministrazione, può, con assistenza
del curatore, riscuotere capitali sotto la condizione di un idoneo reimpiego; gli atti
eccedenti l’ordinaria amministrazione sono compiuti dall’inabilitato, col consenso
del curatore, previa autorizzazione del giudice tutelare; gli atti di disposizione sono
compiuti dall’inabilitato, col consenso del curatore e previa autorizzazione del
tribunale, su parere del giudice tutelare. L’art. 427 prevede che alcuni atti eccedenti
l’ordinaria amministrazione possano essere compiuti dall’inabilitato senza la
presenza del curatore. Quanto alla sorte degli atti compiuti in violazione della norma
che regola l'amministrazione dei beni dell'inabilitato si fa rinvio a quanto osservato
in relazione alla curatela del minore emancipato con l'unica differenza che il termine
quinquennale di prescrizione dell'azione di annullamento dell'atto decorrerà dalla
cessazione dello stato di inabilitazione e quindi dal momento del passaggio in
giudicato della sentenza che revoca l'inabilitazione oltre che dal giorno della morte
dell'inabilitato. Mentre l'interdetto non può fare testamento, l’inabilitato può fare
testamento ed effettuare donazioni.
Amministrazione di sostegno.
L'amministrazione di sostegno è un nuovo strumento giuridico di protezione
finalizzato a tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire,
chiunque si trovi in condizioni di particolare difficoltà e ridotta capacità di
autonomia. Si pensi all'anziano che, pur mantenendo buone capacità di relazione e
di comprensione della sua situazione, non è del tutto autosufficiente, all'invalido che
non sia in grado di compiere alcuni atti, al malato psichiatrico che a seguito di
adeguata terapia manifesti un buon grado di autonomia. Queste persone, pur
conservando la capacità di agire e di compiere gli atti diretti a soddisfare le esigenze
della propria vita quotidiana, necessitano di una persona, l'amministratore di
sostegno, che abbia cura di loro e provveda a compiere le azioni necessarie per la
gestione dei loro beni.
Interdizione legale.
Sono sottoposti ad interdizione legale, ai sensi dell’art. 32 c.p., i soggetti condannati
all’ergastolo o alla reclusione per un periodo di tempo non inferiore a cinque anni.
L’interdizione viene definita legale in quanto costituisce un effetto che discende
automaticamente dalla sentenza di condanna, senza risultare dalla sentenza.
L'interdizione legale differisce da quella giudiziale in quanto si tratta non della
protezione di un soggetto incapace di provvedere ai propri interessi, ma una pena
accessoria rispetto alla condanna principale. L’interdetto legale subisce limitazioni
analoghe a quelle dell’interdetto giudiziale, con l’unica differenza che le limitazioni
attengono solo alla sfera patrimoniale e non a quella personale (matrimonio-
donazioni-testamento). Gli atti compiuti da esso al di fuori delle forme abilitative
prescritte sono annullabili su richiesta di chiunque vi abbia interesse . Si parla quindi
di annullabilità assoluta, come ipotesi che si contrappone appunto a quella relativa
la quale può essere solo fatta valere dalla parte nel cui interesse è stabilita dalla
legge. La ragione di una simile deviazione dal principio generale in materia è da
cogliere proprio nel carattere sanzionatorio e non protettivo dell'interdizione legale.
Il carattere assoluto dell'annullabilità costituisce un connotato che rende del tutto
precario per l'incapace lo stato in cui versano gli atti da lui conclusi senza
l'osservanza delle prescrizioni circa la sua rappresentanza. L'incapace in sostanza è
inibito operare nella sfera degli affari di persona, si parla dell'antica morte civile.
Incapacità naturale.
Mentre l’amministrazione di sostegno, l’interdizione giudiziale e l'inabilitazione
conferiscono al soggetto, una condizione legale, dalla quale derivano limitazioni alla
capacità di agire, l’incapacità naturale (o non dichiarata) consiste nella incapacità di
fatto del soggetto di intendere o di volere. È incapace naturale colui che pur
legalmente capace, nel momento del compimento di una attività giuridicamente
rilevante non è in grado di valutare la portata del suo contegno. L’incapacità di
intendere o di volere assume rilievo ai fini della validità dell’atto compiuto. Ai sensi
dell’art. 428, gli atti compiuti da persona che, seppur non interdetta, si provi essere
stata incapace di intendere o di volere al momento del compimento dell’atto
medesimo, possono essere annullati su istanza della persona medesima o dei suoi
eredi o aventi causa, se ne risulta un grave pregiudizio per l’autore. Riguardo al
grave pregiudizio la cassazione ha sottolineato che non deve trattarsi
necessariamente di un pregiudizio di natura economica o patrimoniale ben potendo
consistere esso anche nella lesione di altri interessi del soggetto in particolare
personali. Quanto ai contratti conclusi dal soggetto non capace di intendere e di
volere, possono essere annullati quando risulti la malafede dell’altro contraente,
senza dimostrazione del pregiudizio per l’incapace. Un esempio potrà chiarire
meglio la differenza tra incapacità naturale ed interdizione. Se l'interdetto compie
personalmente un atto al di fuori delle modalità abilitative richieste, l'atto è sempre
annullabile, qualora lo stesso atto sia compiuto da una persona legalmente capace
di agire ma incapace di intendere e di volere al momento del compimento dell'atto,
esso sarà annullabile solo a condizione che sia provato. L'azione di annullamento
dell'incapacità di intendere e di volere si prescrive nel termine di cinque anni dal
giorno del compimento dell'atto e non dal giorno in cui sia cessata l'incapacità
naturale. Il matrimonio, il testamento e la donazione compiuti in stato di incapacità
di intendere o di volere sono di per sé annullabili. Non risponde delle conseguenze
del fatto dannoso chi non aveva la capacità di intendere o di volere al momento in
cui lo ha commesso, a meno che lo stato d’incapacità non derivi da sua colpa (art.
2046).
13
Diritti della personalità
Persona e diritti fondamentali.
I diritti della persona (definiti anche diritti fondamentali o diritti umani) sono quelli il
cui riconoscimento tende ad assicurare il pieno sviluppo della persona umana,
tutelandone gli interessi assistenziali, sono inviolabili e l’ordinamento li riconosce
per promuovere la garanzia. L’attività della persona è inquadrata nelle relazioni
sociali (principio personalista e pluralista). Essi sono espressi nell’art. 2 della
costituzione. A volte sono considerati quali veri e propri diritti soggettivi, i diritti
della personalità vengono annoverati tra quelli assoluti. Pretesa del titolare, nei
confronti della generalità dei consociati, a una astensione da qualsiasi violazione
dell’interesse tutelato.
Essi sono innati (non può non averi), imprescrittibili, intrasmissibili (il diritto muore
con la morte del proprietario), indisponibili, inalienabili, irrinunciabili, non
patrimoniali.
Sono soggetti ad una tutela preventiva (atta ad evitare la lesione) piuttosto che
successiva, secondo il modello risarcitorio, lo strumento usato è l’azione inibitoria:
con essa si tende a impedire lo stesso evento lesivo, prevenendo la condotta idonea
a determinarlo, ovvero a farlo cessare, evitando che il suo protrarsi aggravi la
lesione degli interessi protetti.
Ulteriori strumenti di puntuale tutela degli interessi relativi alla sfera morale del
soggetto che sono rappresentati, da una parte, dalla pubblicazione delle sentenze in
giornali; dall’altra, dal diritto di rettifica.
In conseguenza della lesione di diritti della personalità opera, ovviamente, il rimedio
generale del risarcimento del danno, ai sensi degli artt. 2043 ss.
14
Enti
Persona fisica e persona giuridica.
La persona fisica non è per l'ordinamento l'unica entità dotata di capacità giuridica,
considerata cioè in grado di essere titolare di situazioni giuridiche. Accanto alle
persone fisiche, quali soggetti dotati di capacità giuridica, si collocano gli enti, vale a
dire organizzazioni di beni e di persone, cui l'ordinamento riconosce la qualità di
centri di imputazione di situazioni giuridiche soggettive al pari delle persone fisiche.
La motivazione che induce l'ordinamento a considerare gli enti quali soggetti di
diritto distinti dalle persone fisiche sembra radicarsi nella constatazione che il
singolo può perseguire solo una certa gamma di interessi, ma non può spingersi fino
alla realizzazione di tutti quegli ulteriori interessi che invece necessitano di un
organizzazione di gruppo. In altre parole gli individui avvertono la necessità di
ricorrere alla forma dell'ente quando i propri interessi perseguiti non possano
trovare adeguato soddisfacimento mediante l'esplicazione di una mera attività
individuale.
Elementi costitutivi.
Gli elementi costitutivi della persona giuridica sono distinti in una componente
materiale (persone, patrimonio, scopo) e una componente formale
(riconoscimento). La persona giuridica deve esser dotata di un’adeguata massa di
beni che le permetta di sostenere il peso dell’attività istituzionale dell’ente: questo è
il patrimonio. L’aggregazione di persone e beni avviene in vista della realizzazione di
determinate finalità: questo è lo scopo. A tutti questi elementi viene dato rilevo
mediante il riconoscimento da parte dell'ordinamento giuridico. Il riconoscimento,
negli ultimi tempi, ha subito una progressiva svalutazione da parte
dell’ordinamento. La formale attribuzione della personalità giuridica non risulta più
momento essenziale ai fini della considerazione dell’ente quale soggetto di diritto. Al
concetto di personalità giuridica va sostituendosi quello di soggettività giuridica.
L’ente non riconosciuto, al pari di quello riconosciuto, è un autonomo soggetto di
diritto.
Tipologia di enti.
Riconoscimento.
In passato la distinzione tra enti lucrativi ed enti non lucrativi era indice di un
sistema di attribuzione di personalità giuridica. Al sistema di riconoscimento
cosiddetto normativo in base al quale queste ultime acquistano la personalità
giuridica con l'iscrizione nel registro delle imprese, si contrapponeva il sistema di
riconoscimento cosiddetto concessorio per cui associazioni, fondazioni e comitati
acquistavano la personalità giuridica mediante riconoscimento concesso con
decreto del Presidente della Repubblica. L'attribuzione della personalità giuridica
secondo sistema concessorio era rimessa alla valutazione ampiamente discrezionale
da parte della pubblica amministrazione. Al riconoscimento poi seguiva la
registrazione, ovvero l'iscrizione dell'ente nell'apposito registro. L'ente pertanto
acquistava personalità giuridica per effetto del riconoscimento e dalla registrazione
derivava poi la cosiddetta autonomia patrimoniale perfetta. Con il D.P.R 361/2000 si
è introdotta una disciplina profondamente innovativa sostituendo il precedente
sistema con uno nuovo. Ai sensi del relativo art. 1, le associazioni, le fondazioni e le
altre istituzioni di carattere privato acquistano capacità giuridica mediante il
riconoscimento determinato dall’iscrizione nel registro delle persone giuridiche
istituito presso le prefetture. Al prefetto residua un certo margine di discrezionalità
nella valutazione della possibilità e liceità dello scopo, nonché della adeguatezza del
patrimonio alla realizzazione del medesimo scopo.
Capacità.
Dal punto di vista patrimoniale, l'ente ha una capacità giudica del tutto analoga a
quella delle persone fisiche. Nella sua sfera di titolarità possono rientrare tutte le
situazioni giuridiche soggettive attive e passive che potrebbero far capo ad un
soggetto persona fisica. Alla persona giuridica risulta riferibile pure la titolarità di
situazioni giuridiche soggettive di contenuto non patrimoniale. L'ente a differenza
della persona fisica non ha l'idoneitá ad essere titolare delle situazioni giuridiche
soggettive che presuppongono la fisicità del soggetto. In campo patrimoniale sono
scomparsi gli ostacoli che i passato limitavano fortemente la capacità dell'ente. In
particolare, l'art.17 oggi abrogato, subordinava l'acquisto dei beni mobili,
l'accettazione di donazioni o eredità da parte di associazioni riconosciute e
fondazioni, alla preventiva autorizzazione governativa. Venuta meno questa
rilevante restrizione, associazioni e fondazioni hanno oggi piena capacità di
compiere acquisti immobiliari e di beneficiare di attribuzioni a titolo gratuito senza
che la consistenza patrimoniale debba di volta in volta essere sottoposta ad un
controllo di carattere pubblicistico. In conclusione gli enti del I libro, riconosciuti o
meno possono liberamente acquistare beni immobili e di eseguire attribuzioni a
titolo gratuito senza la necessità dell'autorizzazione governativa.
Attivitá.
L'ente in quanto per sua natura non dotato dell'attributo della fisicità ha la necessità
di servirsi di altri soggetti (persone fisiche) non solo per organizzare la propria vita
interna ma sopratutto anche per determinare la propria volontà e manifestarla
all'esterno. L'esercizio della capacità di agire di cui l'ente risulta fornito è reso
possibile dai suoi organi. Sono gli organi a permettere all'ente di formare la propria
volontà e di proiettarla all'esterno. La volontà dell'ente, derivante dalla confluenza
delle volontà dei singoli, viene riferita immediatamente all'ente medesimo. Allo
stesso modo tutti i comportamenti giuridicamente rilevanti posti in essere dagli
organi dell'ente sono allo stesso direttamente imputati. Con riguardo all'attività
negoziale dell'ente, il compito di proiettare all'esterno la sua volontà, perché si
incontri con quella di altri soggetti nella conclusione di negozi giuridici è demandato
all'organo amministrativo. Sono amministratori gli organi dell'ente che consentono
all'ente medesimo di intrattenere rapporti negoziali. La determinazione della
volontà dell'ente può invece spettare all'assemblea organo peculiare degli enti di
tipo associativo o agli stessi amministratori. Il fenomeno in base al quale l'attività
negoziale posta in essere da un organo dell'ente viene imputata all'ente stesso
prende il nome di rappresentanza organica.
Figure
Associazione riconosciuta.
Si tratta di un organizzazione collettiva per perseguire scopi duraturi di carattere non
economico. Gruppo stabilmente organizzato. Vi è un interesse del gruppo
all’apertura all’adesione di altri soggetti, l’adesione sarà valutata dall’organizzazione
dell’ente per verificare se sussistono i requisiti richiesti dall’ente. Si differenzia
dall'associazione non riconosciuta nella disciplina della responsabilità per le
obbligazioni che fanno capo all'ente. A rispondere delle medesime obbligazioni
soltanto con il proprio patrimonio è esclusivamente l'associazione riconosciuta. Di
conseguenza, con riguardo all'associazione riconosciuta, i creditori dell'associazione
stessa non possono vantare alcuna pretesa nei confronti degli associati ma neppure
verso coloro che hanno agito per conto o in nome dell'associazione.
L'associazione riconosciuta nasce mediante un contratto, il contratto associativo,
che ai sensi dell’art. 14 deve rivestire la forma dell’atto pubblico (in vista di un suo
riconoscimento). E’ un contratto plurilaterale caratterizzato da una struttura aperta
nel senso che ad esso possono prestare adesione, in un momento successivo, altri
contraenti.
Si distingue l’atto costitutivo, che racchiude la volontà dei contraenti di dare vita
all’ente ed individua gli elementi principali e caratterizzanti dell’ente medesimo
(denominazione, scopo, patrimonio, sede) e lo statuto che contiene le norme
destinate a regolare la vita e il funzionamento dell’ente.
Lo scopo rappresenta l’elemento che giustifica l’aggregazione del gruppo di persone
che danno vita all’ente, assicurandone la necessaria coesione. Lo scopo deve essere
non lucrativo caratteristica questa che distingue l'associazione con le società.
L’associazione può comunque svolgere un’attività economica, in vista del
perseguimento dello scopo ideale che la caratterizza. Gli utili e i proventi percepiti
da tale attività devono essere destinati agli scopi dell’ente e non distribuiti tra gli
associati. In caso contrario, l'associazione assumendo carattere imprenditoriale sarà
assoggettata a tutte le norme che disciplinano l'impresa commerciale e in
particolare anche l'esposizione al fallimento. Ai fini del riconoscimento, lo scopo, ai
sensi dell’art. 1 D.P.R. 361/200 deve essere possibile e lecito.
Fondazione.
La fondazione si caratterizza per essere un complesso di beni destinato a un
determinato scopo, prefissato dal fondatore. L’attenzione è rivolta ai beni,
caratterizzati da un vincolo di destinazione. Quello tenuto presente dal nostro
legislatore è il modello della cosiddetta fondazione erogatrice appunto con il fine di
erogare le rendite secondo le direttive del fondatore. La fondazione può sussistere
solo se riconosciuta secondo le modalità contemplate nel D.P.R 361/2000. In quanto
necessariamente riconosciuta essa risulterà sempre caratterizzata dall'autonomia
patrimoniale perfetta, nel senso che delle obbligazioni assunte in nome e per conto
dell’ente risponde soltanto questo col suo patrimonio. La fondazione è costituita con
un negozio unilaterale (negozio unilaterale) posto in essere da un soggetto
(fondatore), il quale crea l’ente in vista della realizzazione di uno scopo, all’uopo
destinando una quantità di beni che andranno a costituire il patrimonio della
fondazione medesima. Pare opportuno evidenziare come la fondazione a differenza
dell'associazione venga ad esistere solo per effetto del riconoscimento. Il negozio di
fondazione, quale atto costitutivo dell'ente, se compiuto in vita dal fondatore, deve
rivestire la forma di atto pubblico tuttavia la fondazione può essere disposta anche
con testamento. Le regole disciplinanti la futura attività della fondazione sono
contenute nello statuto, in cui devono essere indicate i criteri e le modalità di
erogazione delle rendite. L'art.15 poi disciplina l'ipotesi di revoca dell'atto costitutivo
della fondazione. Il negozio di fondazione può essere revocato dal fondatore fino a
quando non sia intervenuto il riconoscimento ovvero quando il fondatore non abbia
fatto ancora iniziare l'attività da lui disposta. (art. 15). La facoltà di revoca non si
trasmette agli eredi (15, c.2). Lo scopo deve essere possibile e lecito, il patrimonio
deve essere adeguato allo scopo perseguito. Non può intraprendere nessuna attività
di tipo economico. Nella fondazione non è presente l'assemblea, manca cioè
l'organo nel cui ambito, nell'associazione si forma la volontà dell'ente. Tale rilevante
differenza si giustifica in considerazione del carattere peculiare del negozio di
fondazione mediante il quale il è il fondatore a determinare i caratteri dell'attività
che sarà svolta dall'ente. Nella fondazione anche l'organo amministrativo appare
diverso da quello dell'associazione. In primo luogo gli amministratori della
fondazione sono meri organi serventi. L'art. 25 attribuisce all'autorità amministrativa
il controllo e la vigilanza sull'amministrazione delle fondazioni. Compito che
ricomprende la nomina e la sostituzione degli amministratori, l'annullamento delle
deliberazioni adottare dall'organo amministrativo, lo scioglimento
dell'amministrazione e la nomina di un commissario straordinario qualora gli
amministratori non agiscano in conformità dello statuto e dello scopo della
fondazione o della legge.
Comitato.
L'ultimo tipo di ente è il comitato su cui la dottrina non ha mai manifestato
concordia di opinioni. Talvolta accostato all'associazione, altre volte alla fondazione
ancora altre volte ad entrambe. Sembra che il comitato ricomprenda un ente sui
generis che presenta affinità con le differenti tipologie di enti non lucrativi ma che in
sostanza appare dotato di propria specificità. Esso consiste in un organizzione di
persone (promotori) che perseguono un determinato fine altruistico raccogliendo
fondi, per il raggiungimento di uno scopo comune, presso il pubblico. Tra gli scopi
possibili (art. 39) vi sono il soccorso, la beneficenza, la promozione di opere
pubbliche, monumenti, esposizioni, mostre, festeggiamenti e simili. Vi è una
differenza tra comitato riconosciuto come persona giudica e comitato non
riconosciuto come persona giudica. L'attribuzione della personalità giuridica al
comitato incide sulla responsabilità. Così se il comitato è riconosciuto, delle
obbligazioni assunte in nome e per conto dell'ente, risponderà solo quest'ultimo col
suo patrimonio. Con esclusione quindi della responsabilità personale dei
componenti. Qualora al comitato non siano riconosciuti tutti i suoi componenti
risponderanno personalmente e solidalmente delle obbligazioni. I sottoscrittori
(oblatori) vale a dire coloro che procedono alle sovvenzioni a favore del comitato,
sono obbligati soltanto ad eseguire la prestazione promesse con esclusione di forme
di responsabilità per le obbligazioni verso il comitato. L’art. 42 prevede, quali ipotesi
di estinzione del comitato, l’insufficienza di fondi rispetto lo scopo dell'ente. In tal
l'autorità amministrativa stabilisce la devoluzione dei beni.
15
Famiglia e ordinamento giuridico
La famiglia nella società.
La famiglia costituisce un fenomeno sociale che l'ordinamento giuridico non crea ma
col quale è chiamato a confrontarsi. La famiglia si inserisce tra le formazioni sociali
ove si svolge la personalità dell'uomo cui allude l'art.2 Cost. Nel contesto di tali
formazioni sociali, essa occupa una posizione sicuramente primaria. L'idea della
famiglia come realtà sociale emerge con chiarezza dall'art. 29 cost. che allude alla
famiglia come società naturale. Lo stato non può intervenire dettando il modello di
organizzazione della vita familiare, non può piegare la famiglia ai fini pubblici, ma
deve prestare il rispetto e lasciare libera organizzazione alle singole famiglie. Se tale
formazione sociale devia dalla sua funzione e non realizza lo sviluppo della persona
interviene lo stato a tutela dei singoli componenti. C’è un limite all’intervento dello
stato, ma anche un limite all’autorganizzazione.
Il diritto di famiglia vigente trova sua fonte principale nel codice civile, sopratutto in
materia di filiazione. In primo luogo è da ricordare la legislazione in tema di
affidamento e di adozione dei minori 149/200. Importanza fondamentale assume
poi la legislazione sul divorzio.
La famiglia di fatto.
La coppia di fatto o meglio la convivenza more uxorio non è espressamente
disciplinata dalla legge; nonostante tale lacuna normativa, non si pone in contrasto
con norme imperative, né con l’ordine pubblico, né con il buon costume.
Con l’espressione “convivenza more uxorio” si indica l’unione stabile e la comunione
di vita spirituale e materiale tra due persone, non fondata sul matrimonio (c.d.
famiglia di fatto).
Nonostante, nell’attuale realtà sociale, il fenomeno stia avendo sempre maggiore
diffusione, il nostro ordinamento giuridico riconosce e tutela solo ed esclusivamente
la famiglia legittima, id est quella fondata sul matrimonio.
Perchè possa dirsi configurata una convivenza more uxorio sono richiesti i seguenti
requisiti:
Parentela e affinità.
Il matrimonio e la generazione costituiscono la fonte dei rapporti che legano i
membri della famiglia. Dal matrimonio scaturisce il rapporto di coniugio, derivando
anche quello di affinità, che lega ciascun coniuge ai parenti dell’altro. La parentela è
il “vincolo tra persone che discendono dallo stesso stipite” (art. 74 c.c.). Ai sensi
dello stesso articolo sono parenti in linea retta coloro che discendono l’uno dall’altro
immediatamente (genitori-figlio), o per generazioni successive; sono parenti in linea
collaterale colo che, pur avendo un ascendete comune, non discendono l’uno
dall’altro (fratelli e sorelle, zii e nipoti, cugini). Il rapporto di parentela è
giuridicamente rilevante, il linea di massima, fino al sesto grado (art. 77). La modifica
alla legge 219/2012 si è precisato che il vincolo di parentela sussiste sia nel caso la
filiazione sia avvenuta all'interno del matrimonio, sia nel caso sia avvenuta al di fuori
di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo. Meno rilevante è il rapporto di affinità
(78), quale “vincolo tra un coniuge e i parenti dell’altro”. Il rapporto di affinità cessa
in caso di dichiarazione di nullità del matrimonio.
Alimenti.
L'obbligo di prestare gli alimenti trova il proprio fondamento nella solidarietà
familiare. Esso grava pure sul donatario. L'obbligazione alimentare tra i componenti
della famiglia è disciplinata dall'art. 433 che stabilisce un ordine tra di essi ponendo
al primo posto il coniuge, quindi i soggetti legati da un rapporto di discendenza (figli,
discendenti prossimi, genitori) poi gli affini in linea retta (generi, nuore, suoceri) e
infine fratelli e sorelle. Nella famiglia nucleare si ha l'obbligo alimentare per i
coniugi, contribuzione cui è tenuto anche il figlio finché dura la convivenza. In favore
dei figli e del coniuge nell'ipotesi di separazione è dovuto il mantenimento.
L'obbligazione al mantenimento presenta un contenuto più ampio di quello
alimentare in quanto riferito al parametro ed al tenore di vita familiare. Il
presupposto del diritto a ricevere gli alimenti (art. 438) è costitutivo dallo stato di
bisogno di chi non sia in grado di soddisfare le proprie necessità di vita. Circa le
modalità di somministrazione, esse sono a scelta dell’obbligato. Dopo l’assegnazione
le condizioni economiche del ricevente possono mutare, pertanto vedrà se cessare,
diminuire o aumentare il mantenimento (art. 448). L'obbligazione ha natura
personale e quindi cessa con la morte dell’obbligato (art. 448). E’ un diritto non
patrimoniale, incedibile, irrinunciabile, impignorabile, insequestrabile.
16
Matrimonio.
Matrimonio e famiglia.
Per l’art. 29, il matrimonio costituisce il fondamento della famiglia. E’ l’atto col quale
gli sposi si assumono l’impegno di realizzare una comunione di vita stabile e
socialmente garantita, caratterizzata dalla esclusività della relazione personale, dalla
reciprocità dell’assistenza e della contribuzione al soddisfacimento delle esigenze
comuni. Il matrimonio, come atto, è un negozio bilaterale, concorrendo alla sua
formazione la volontà dei due nubendi. Gli effetti sono regolati unicamente
dall’ordinamento civile. L’elemento costitutivo del matrimonio è rappresentato dalla
volontà manifestata personalmente ed incondizionatamente dagli sposi e nelle
forme previste dalla legge: l’atto è personalissimo e puro.
Le forme matrimoniali.
L'unico matrimonio riconosciuto come produttivo di effetti per l'ordinamento dello
stato restò quello contratto secondo le condizioni e le formalità previste dal codice
civile. Il cittadino interessato a vedere pure consacratosi religiosamente il propri
vincolo matrimoniale doveva ricorrere ad una doppia celebrazione. (Restando
comunque quella civile rilevante per il conseguimento degli effetti civili). Il sistema
fu profondamente mutato dal concordato fra stato e chiesa cui diede attuazione alla
legge matrimoniale 847/1929. Il nostro ordinamento è risultato caratterizzato così
da una pluralità di forme matrimoniali, in realtà quella da prendere in
considerazione sono solo 2 quella civile e quella concordataria. Quello
concordatario, richiamato dal codice civile nell'articolo. 82 rappresenterebbe il
modello di atto matrimoniale, essendo l'ordinamento statale impegnato a
riconoscere effetti civili al matrimonio disciplinato con rito canonico. Il matrimonio
celebrato secondo riti religiosi diversi da quello cattolico altro non sarebbe che un
matrimonio civile.
Formalitá e celebrazione.
Le formalità che precedono la celebrazione del matrimonio rispondono alla funzione
di rendere nota la relativa intenzione dei nubendi, consentendo a chi ne sia a
conoscenza di proporre opposizione.
Le formalità sono la pubblicazione (affissione per 8 gg dell’avviso delle nozze, a cura
dell'ufficiale dello stato civile presso la porta della casa comunale) e l’opposizione.
L'art. 102 indica le persona che possono fare opposizione (in genere genitori e
parenti prossimi e il P.M). Sull'opposizione, da proporre con ricorso al presidente del
tribunale del luogo dove è stata eseguita la pubblicazione, decide il tribunale con
decreto motivato. Dopo 3 giorni dalla pubblicazione senza opposizione, l’ufficiale
dello stato civile può procedere alla celebrazione del matrimonio. Questa avviene, in
linea di massima, nella casa comunale, alla presenza di due testimoni con le relative
dichiarazioni, fatte personalmente, da ciascuno degli sposi, previa lettura degli artt.
143, 144, 147 cui segue la dichiarazione dell’ufficiale dello stato civile che essi sono
uniti in matrimonio (art. 107). Il matrimonio è atto puro, che non ammette
condizioni. L’ufficio dello stato civile redige l’atto di matrimonio, che viene poi
iscritto nell’archivio informatico del comune. L’atto assume rilevanza in quanto
rappresenta l’essenziale strumento prova del matrimonio (art. 130).
Conseguenze di invalidità.
Per effetto dell’annullamento o della dichiarazione di nullità del matrimonio, i
coniugi riacquistano il loro stato libero con effetto retroattivo, come se il matrimonio
non fosse stato celebrato. Tuttavia, gli effetti del matrimonio valido o putativo (cioè
del matrimonio che taluno dei coniugi o entrambi reputavano valido) si producono
fino al momento della pronuncia giudiziale nei seguenti casi (art. 128 cod. civ.):
Qualora, invece, uno solo dei coniugi abbia celebrato il matrimonio in buona fede,
gli effetti del matrimonio putativo si producono solo in suo favore e riguardo ai suoi
figli. In tal caso questi ha diritto ad ottenere: a) una congrua indennità (che non può
superare il mantenimento per tre anni) dal coniuge cui sia imputabile la nullità del
matrimonio o dal terzo eventualmente responsabile; b) gli alimenti, in assenza di
altri coobbligati.
Qualora entrambi i coniugi avessero celebrato il matrimonio in mala fede, gli effetti
del matrimonio putativo si producono solo rispetto ai figli, salvo che la nullità sia
dovuta da incesto.
Riguardo ai figli – Il matrimonio putativo produce gli stessi effetti del matrimonio
valido nei confronti di costoro, tanto nel caso in cui siano nati durante il matrimonio,
quanto nel caso in cui siano nati prima del matrimonio e riconosciuti prima della
sentenza che ne abbia dichiarato l’invalidità.
Qualora, invece, i coniugi abbiano celebrato il matrimonio in mala fede (cioè
consapevoli della sua nullità), esso ha comunque nei confronti dei figli lo stesso
effetto del matrimonio valido, a meno che l’invalidità dipenda da bigamia o incesto.
In tale ipotesi costoro assumono lo stato di figli naturali riconosciuti, nei casi in cui il
riconoscimento è consentito.
Matrimonio concordatario.
È il matrimonio celebrato secondo i riti della regione cattolica che in base agli
accordi tra la chiesa cattolica ed il governo italiano ha effetti anche di natura civile.
Sappiamo che gli stati moderni sono laici e, quindi, indifferenti alle vicende religiose
delle chiese che operano al loro interno.
Non si può ignorare, tuttavia, che in Italia la regione cattolica ha profonde radici e fa
parte integrante della nostra storia e cultura. Uno degli aspetti dove maggiormente
si riscontra questo legame con la cultura cattolica è sicuramente quello della
famiglia, dove, tradizionalmente, la chiesa cattolica interviene in diversi momenti
della vicenda familiare.
Per questi motivi lo Stato italiano non è rimasto indifferente al sacramento del
matrimonio, riconoscendo effetti civili al rito matrimoniale celebrato innanzi ad un
ministro della chiesa cattolica.
Nel nostro ordinamento esiste il matrimonio civile, di cui ci siamo già occupati, e il
matrimonio concordatario regolato dal concordato del 1929 (l. 27\05\1929 n. 847) e
dall'accordo di revisione del concordato siglato insieme ad un protocollo addizionale
il 18 febbraio 1984.
Osserviamo subito che il concordato del 1929 non è stato abrogato nel suo
complesso, ma sono state abrogate le singole disposizioni incompatibili con i nuovi
accordi. Vediamo, quindi, gli aspetti essenziali del matrimonio concordatario.
Le questioni relative alla costituzione e validità del vincolo sono regolate dal diritto
canonico e rientrano nella giurisdizione dei tribunali ecclesiastici, mentre tutto ciò
che attiene al rapporto e il procedimento giurisdizionale relativo alla esecutorietà
delle sentenze ecclesiastiche di nullità rientra nella competenza dello Stato
La celebrazione avviene con rito religioso, con prevista lettura degli artt. circa i diritti
e i doveri dei coniugi. La celebrazione è seguita dalla redazione dell’atto di
matrimonio (sep. beni, riconoscimento figli naturali), in doppio originale, per
consentire la trasmissione di uno di essi all’ufficiale dello stato civile.
Effetti
Rapporti personali tra i coniugi.
La riforma del ’75 ha dato piena attuazione, nei rapporti tra i coniugi, al principio
costituzionale per cui “il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica
dei coniugi (art. 29).
La disciplina contenuta nel c.c. istituzionalizza un modello di famiglia paritario e
partecipativo fondato sui valori di rispetto reciproco e solidarietà. Gli eventuali
interventi dell’ordinamento sono finalizzati affinché tale formazione sociale sia
realmente luogo di promozione e sviluppo della personalità di ciascuno. Art. 143
“con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i
medesimi doveri”. “Al loro accordo viene demandata la concreta articolazione degli
assetti organizzativi della vita familiare (art. 144).
Gli obblighi reciproci che derivano dal matrimonio sono quelli di fedeltà, assistenza
morale e materiale, collaborazione nell’interesse della famiglia, coabitazione e
contribuzione ai bisogni della famiglia (art. 143). La fedeltà rappresenta
imprescrittibile espressione della esclusività del rapporto personale, che si è visto
essere connaturale all’idea di matrimonio. Il dovere di assistenza morale e materiale
si presenta quale espressione particolarmente significativa di quel legame di
solidarietà che è alla base del matrimonio è che impone un vicendevolo aiuto
sopratutto nei momenti difficili. Non a caso il diritto di assistenza morale e materiale
è sospeso nei confronti del coniuge che si allontani in modo ingiustificato dalla
residenza familiare. Il dovere di collaborazione vale a precisare il precedente dovere
nel senso della promozione di un'attività secondo le proprie capacità. Importante è
anche il dovere di coabitazione e della conseguente localizzazione della vita
familiare attestata dal legislatore è definito nella residenza familiare con i possibili
risvolti penali del suo abbandono. Alle ipotesi che si collegano alla convivenza fa
riferimento la disciplina degli ordini di protezione contro gli abusi familiari che
comportano anche l'imposizione dell'allontanamento dalla casa familiare.
Problema discusso è quello della sanzione per l’inosservanza dei doveri familiari, una
volta ritenuta pacifica la loro incoercibilità. L’avere il comportamento tenuto dal
coniuge in violazione di tali doveri causato la crisi coniugale rende a lui
eventualmente addebitabile la separazione personale rientrando la valutazione
delle ragioni e della decisione anche tra gli elementi da considerare per la
determinazione dell’assegno di divorzio.
In conseguenza del matrimonio, la moglie aggiunge al proprio cognome quello del
marito (143 bis). Secondo quella che viene definita come regola dell’accordo nel
governo della famiglia, i coniugi concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e
fissano la residenza della famiglia, alla luce delle esigenze di entrambi e quelle
collettive (art. 144). A ciascuno dei coniugi spetta il potere di attuale l’indirizzo
concordato (art. 144). Indubbiamente, il governo della famiglia fondato sulla regola
dell'accordo, pone il problema della conseguente mancanza dell'accordo. La
soluzione per la salvaguardia dell'unità familiare, è stata trovata nel prevedere un
intervento del giudice in caso di disaccordo. Per evitare che un simile intervento
determini una lesione dell'autonomia dei coniugi si è previsto che esso abbia
carattere essenzialmente conciliativo in quanto mirato al raggiungimento di una
soluzione concordata. Ove vi siano contrasti sul accordo tra i due coniugi vi sarà un
giudice che adotterà la soluzione più opportuna.
Regime patrimoniale della famiglia.
Prima della riforma del diritto di famiglia, del 1975, spettava al marito somministrare
alla moglie tutto ciò che era necessario ai bisogni della vita, in proporzione alle sue
sostanze. La moglie doveva a sua volta contribuire al mantenimento del marito, solo
se quest'ultimo non possedeva mezzi sufficienti. L'introduzione dell'eguaglianza
giuridica tra i coniugi ha imposto l'obbligo per entrambi di contribuire ai bisogni
della famiglia in proporzione delle rispettive sostanze e capacità di lavoro
professionale o casalingo. I coniugi regolano i propri rapporti patrimoniali scegliendo
un regime patrimoniale. La riforma ha innovato profondamente anche questo
settore. Infatti, prima del 1975, il regime consisteva nella separazione dei beni ed
era ammissibile la comunione solo mediante la stipulazione di convenzioni
matrimoniali: attualmente, invece, la legge disciplina i seguenti regimi patrimoniali:
a) comunione dei beni
c) fondo patrimoniale
d) comunione convenzionale
Comunione legale.
Il regime è stato ritenuto indicato per rispondere all’esigenza di rispecchiare un
modello familiare che valorizzi la comunità di vita tra i coniugi. Con tale regime si è
assicurato ad entrambi i coniugi una partecipazione in piena eguaglianza per
l'accumulo e la gestione delle ricchezze familiari. La comunione legale ha carattere
non universale, in quanto non si estende ai beni di cui i coniugi erano titolari
anteriormente al matrimonio, sia perché lascia a ciascuno dei coniugi la titolarità dei
beni essenziali per garantirgli una sfera di libertà in campo personale e
professionale.
Vediamo ora quali beni rientrano a far parte della comunione legale di beni e quali
ne sono esclusi. Cominciamo con i primi indicati dall'articolo 177 c.c.
Beni personali:
a) i beni di cui, prima del matrimonio, il coniuge era proprietario o rispetto ai quali
era titolare di un diritto reale di godimento
b) i beni acquisiti successivamente al matrimonio per effetto di donazione o
successione, quando nell'atto di liberalità o nel testamento non è specificato che
essi sono attribuiti alla comunione
c) i beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge ed i loro accessori (cioè di
beni che non si prestano ad un uso comune, come vestiti, ma anche gioielli, pellicce,
etc.)
d) i beni che servono all'esercizio della professione del coniuge, tranne quelli
destinati alla conduzione di un'azienda facente parte della comunione
e) i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno nonché la pensione attinente alla
perdita parziale o totale della capacità lavorativa
f) i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni personali sopraelencati o
col loro scambio, purché ciò sia espressamente dichiarato all'atto dell'acquisto
Sono, quindi, beni personali quelli acquistati prima del matrimonio, mentre per gli
acquisti avvenuti successivamente l'art. 179 distingue due categorie e cioè:
Nel secondo gruppo rientrano i beni acquistati con il prezzo ricevuto dalla vendita di
beni personali o con il loro scambio, purché ciò sia espressamente dichiarato
nell'atto di acquisto.
Se, ad esempio, il marito vende un appartamento di sua proprietà esclusiva e con il
ricavato acquista un nuovo immobile durante il matrimonio, tale acquisto non
rientrerà nella comunione solo se il marito dichiari, all'atto dell'acquisto, che
l'immobile è acquistato con il prezzo della vendita del suo appartamento.
Ai fini della responsabilità per i debiti, rileva la distinzione tra i creditori personali di
ciascun coniuge e quelli per obblighi gravanti sui beni della comunione (creditori
della comunione). I primi possono rivalersi sui beni personali del coniuge debitore e
solo sussidiariamente, fino al valore corrispondente alla sua quota (metà) sui beni
comuni. I secondi hanno a disposizione il patrimonio comune e solo
sussidiariamente possono agire sui beni personali di ciascun coniuge.
Impresa familiare.
L'impresa familiare è caratterizzata dal fatto che in essa collaborano familiari
dell'imprenditore. La finalità perseguita è quella di garantire una tutela adeguata a
costoro senza che sia giuridicamente configurabile un rapporto di diversa natura.
Pur non avendo la veste di imprenditori, i familiari partecipanti hanno da una parte il
diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia, dall'altra
di partecipare agli utili ed agli incrementi dell'azienda, in proporzione alla qualità e
quantità del lavoro prestato. Inoltre le decisioni di maggiore rilevanza per la vita
dell'impresa devono essere adottate a maggioranza dei familiari partecipanti. Oltre
ad avere un diritto, ove venga a cessare o sia alienata l'azienda, alla liquidazione in
danaro del proprio diritto di partecipazione, il familiare ha pure un diritto di
prelazione sull'azienda in caso di divisione ereditaria o di relativo trasferimento.
17
Crisi coniugale.
La disciplina della crisi del rapporto coniugale rappresenta l’aspetto più delicato
della regolamentazione complessiva del fenomeno familiare. Il legislatore è
chiamato ad assicurare il rispetto della piena eguaglianza dei coniugi, garantendo
l’interesse dei figli ad idonee condizioni di sviluppo della personalità. Il principio da
quale non può prescindere qualsiasi intervento legislativo è quello rappresentato
dalla protezione costituzionale del matrimonio e della famiglia, nella relativa
interdipendenza. I podromi della crisi del rapporto coniugale tendono a farsi
avvertire attraverso l'insorgere di una conflittualità in relazione alle decisioni
concernenti la gestione della comunità familiare. Le procedure di separazione
personale e di divorzio sono indirizzate espressamente alla riconciliazione dei
coniugi attraverso l'apertura di spazi di riflessione e di ripensamento contro
iniziative avventate e dettate dal prevalere di fattori emozionali.
Per riconciliazione si intende l’accordo con cui i coniugi fanno cessare gli effetti della
separazione; può avvenire anche tramite dichiarazione tacita.
Divorzio.
Fino all'emanazione della "Legge sul Divorzio" (legge n. 898/1970, detta anche
"Legge Fortuna-Baslini"), non erano previste cause di scioglimento del matrimonio
diverse dalla morte di uno dei coniugi: prima dell'avvento della Legge sul Divorzio, il
matrimonio era quindi considerato legalmente indissolubile. La Legge sul Divorzio
prevede i casi in cui è consentito il divorzio; il caso di gran lunga prevalente è dato
dalla separazione legale dei coniugi che dura senza interruzioni da almeno 12 mesi
se la separazione è giudiziale o da almeno 6 mesi se la separazione è consensuale
(tali termini sono stati previsti dalla c.d. Legge sul Divorzio breve, in vigore dal 26
maggio 2015, e sostituiscono il precedente termine di 3 anni). Il procedimento di
divorzio può essere contenzioso o a domanda congiunta e, una volta pronunciato,
ha effetti sul piano civile, patrimoniale, successorio e sull'affidamento degli eventuali
figli. Anziché rivolgersi al Tribunale gli ex-coniugi possono ora divorziare mediante
un accordo raggiunto al termine della procedura di negoziazione assistita da un
avvocato, prevista dal DL 132/2014 così come convertito, oppure - a certe condizioni
- mediante un accordo raggiunto davanti al Sindaco quale Ufficiale di Stato Civile.
1)i coniugi sono separati legalmente e, al tempo della presentazione della domanda
di divorzio, lo stato di separazione dura ininterrottamente da almeno 12 mesi se la
separazione è giudiziale o da almeno 6 mesi se la separazione è consensuale (tale
termine decorre in ogni caso dal giorno della comparizione delle parti davanti al
Presidente del Tribunale nel procedimento di separazione);
2)uno dei coniugi ha commesso un reato di particolare gravità (ad esempio è stato
condannato con sentenza definitiva all’ergastolo o a una pena superiore a 15 anni di
reclusione) oppure – a prescindere dalla durata della pena - è stato condannato per
incesto, delitti contro la libertà sessuale, prostituzione, omicidio volontario o tentato
di un figlio, tentato omicidio del coniuge, lesioni aggravate, maltrattamenti, ecc.;
Procedimento in contenzioso.
Lo scioglimento del vincolo matrimoniale può essere richiesto da uno dei coniugi,
anche se l’altro coniuge non è d’accordo.
Il procedimento cd. in contenzioso (per la mancanza di accordo dei coniugi) si svolge
innanzi al Presidente del Tribunale del luogo in cui il secondo coniuge ha la propria
residenza o il proprio domicilio; nel caso in cui il secondo coniuge sia residente
all’estero o risulti irreperibile, la domanda di divorzio si presenta al Tribunale del
luogo di residenza o di domicilio del coniuge richiedente.
Nel ricorso si deve aver cura di indicare l’esistenza di figli di entrambi i coniugi.
Se il coniuge richiedente è residente all’estero, è competente qualunque Tribunale.
Ciascun coniuge deve essere assistito da proprio difensore.
Come previsto dalla Legge sul Divorzio, alla prima udienza il Presidente del Tribunale
tenta la conciliazione e accerta che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi
non possa essere mantenuta o ricostituita. Il Presidente emana quindi un’ordinanza
con i provvedimenti temporanei e urgenti necessari per regolamentare gli aspetti
patrimoniali e che interessano i figli nella pendenza del procedimento. Il Presidente
nomina un Giudice Istruttore e fissa la data della relativa udienza innanzi a
quest’ultimo. Il procedimento prosegue poi come un processo ordinario, con la
fissazione di altre udienze. Se il procedimento comporta una lunga fase istruttoria,
vale a dire un lungo periodo di acquisizione delle prove (testimoni, perizie, ecc.), il
Tribunale emana una sentenza provvisoria, che intanto consenta ai coniugi di
riottenere lo stato libero.
Sia che venga emessa al termine di un procedimento in contenzioso, sia che venga
emessa alla fine di un procedimento “a domanda congiunta”, la sentenza di divorzio
viene trasmessa all’Ufficiale di Stato Civile per l’annotazione nel Registro dello Stato
Civile del luogo in cui fu trascritto il matrimonio.
Effetti del divorzio.
La sentenza di divorzio produce i seguenti effetti:
2)la moglie perde il cognome del marito che aveva aggiunto al proprio dopo il
matrimonio (ma può mantenerlo se ne fa espressa richiesta e il Giudice riconosce la
sussistenza di un interesse della donna o dei figli meritevole di tutela);
4)viene decisa la destinazione della casa coniugale e degli altri beni di proprietà;
5)i figli minorenni vengono affidati a uno dei coniugi, con obbligo per l’altro di
versare un assegno di mantenimento della prole, o a entrambi congiuntamente (cd.
“affidamento condiviso”), nel rispetto di quanto previsto anche dagli artt. da 337-bis
a 337-octies cod. civ. (così come introdotti dal D.Lgs. 154/2013 in materia di
filiazione);
In ogni caso, se uno dei coniugi matura il diritto al trattamento di fine rapporto (TFR)
prima che sia pronunciata la sentenza di divorzio, l’altro coniuge ha diritto a una
parte di tale importo.
18
Filiazione.
La disciplina della filiazione è forse quella che ha più inciso sulla legislazione in
materia familiare. Si tratta di una progressiva e globale revisione che muovendo
dall'art.30 della costituzione trova il suo fulcro nella riforma del 1975 è un suo
completamento nella legge 219/2012. Principio fondamentale che ne deriva
dall'art.30 comma 1 della costituzione è che è un dovere e diritto dei genitori
provvedere al mantenimento, istruzione ed educazione dei figli, anche quelli nati
fuori dal matrimonio. Di particolare importanza risulta l'esigenza di garantire al
minore il più completo sviluppo della persona umana. Tuttavia l'ordinamento
prevede che nel caso il genitore o i genitori risultino incapaci questi sono sollevati da
tali obblighi verso i figli. La disciplina che viene fuori dalla riforma prende le nette
distanze dal precedente modello caratterizzato dalla discriminazione legata ai figli
nati al di fuori del matrimonio. Tale categoria oggi trova una sua tutela nel comma 3
dell'art. 30 della costituzione secondo cui, per i figli nati al di fuori del matrimonio
l'ordinamento prevede una forma di tutela giuridica e sociale.
I risultati conseguiti dalla riforma del 1975 sono stati oggetto di un unanime
apprezzamento raggiungendo così l'equiparazione sostanziale tra i figli nati nel
matrimonio e i figli nati al di fuori del matrimonio. Tuttavia sul piano quotidiano
permaneva ancora qualche contrasto tra filiazione legittima e filiazione naturale e i
figli nati al di fuori del matrimonio. L'obbiettivo finale perseguito dal legislatore con
la legge 219/2012 fu quello di unificare i due termini, ossia filiazione nel matrimonio
e filiazione fuori il matrimonio, sotto lo status di figlio. Tale unitarietà è stata
completata poi sul piano lessicale provvedendo ad una sostituzione nel codice civile
della terminologia di figli legittimi e figli naturali con quella di figli. Per
l'instaurazione di un rapporto di filiazione, in mancanza di procreazione, risulta
essere di particolare importanza l'istituto dell'adozione atto alla tutela dell'interesse
del nato che si trovi irrimediabilmente senza assistenza.
Atto di nascita.
L'atto di nascita assume una fondamentale importanza in quanto presenta la
funzione di strumento di accertamento del rapporto di filiazione. L'atto di nascita è
formato sulla base della dichiarazione di nascita, correlato dall'attestazione di
avvenuta nascita, resa all'ufficiale dello stato civile dai due genitori, dal procuratore
o da parte di chi ha assistito al parto. Viene sottolineato come la madre possa
esprimere la volontà di non essere nominata in tale atto. Nell'atto di nascita sono
menzionate le generalità, cittadinanza e residenza dei genitori legittimi oppure di chi
intende proporre una dichiarazione di riconoscimento di filiazione naturale.
Accertamento di filiazione.
È considerato padre il marito della madre se il concepimento è avvenuto durante il
matrimonio. Risulta anche importante fissare il tempo di procreazione, e in tal modo
viene prevista la presunzione di concepimento durante il matrimonio. Si presume
concepito durante il matrimonio il nato non oltre il 300esimo giorno
dall'annullamento del matrimonio, dal relativo scioglimento (per morte o divorzio),
per separazione personale. Del nato dopo i 300 giorni, i genitori, i loro eredi possono
provarne comunque concepimento durante il matrimonio. Anche il figlio può
proporre azione per provare il concepimento durante il matrimonio.
La prova di filiazione avviene attraverso l'atto di nascita e in sua mancanza
dimostrando il continuo possesso dello stato di figlio.
Tale dimostrazione avviene provando 3 elementi:
Procreazione assistita.
La possibilità offerta dal progresso scientifico di intervenire nel processo riproduttivo
ha determinato l'insorgere di determinati problemi in ordine allo stato di figlio così
generato. Con la procreazione assistiamo allo scontro tra principi e regole affermati
in materia di filiazione, in particolare tra derivazione biologica e responsabilità nei
confronti del generato. Con la legge 40/2004 il nostro legislatore ha dettato una
regolamentazione della procreazione medicalmente assistita. E’ opportuno
sottolineare come pur essendo vietato il ricorso a tecniche di tipo eterologo
(comportanti l'utilizzazione di gameti estranei alla coppia che accede al
trattamento), non si sia mancato di disciplinarne le conseguenze. Coloro che si sono
prestati all'applicazione delle tecniche in esame, risulta precluso l'azione di
disconoscimento della paternità. Il donatore di gameti, resta estraneo a qualsiasi
rapporto con il nato. Il nostro ordinamento consente solo fecondazioni omologa
(utilizzo di gameti della coppia che accede al trattamento). Se si tratta di coppia
coniugata è precluso l’esercizio dell’azione di disconoscimento della paternità. Al
figlio si attribuisce “lo stato di figlio nato nel matrimonio o di figlio riconosciuti della
coppia che ha espresso la volontà di ricorrere a tecniche” (art.8). E’ vietata alla
madre la facoltà di non essere nominata, restando anonima.
Adozione.
La finalità che l’adozione dei minori risulta chiamata ad assolvere attualmente nel
nostro ordinamento è l’inserimento del fanciullo in una nuova famiglia, con
l’acquisto dello stato di figlio legittimo nella pienezza del relativo rapporto con gli
adottanti.
a)L'adozione dei minori prevista a favore dei minori dichiarati in stato di adottabilità
(art. 7) a seguito di “una situazione di abbandono, perché privi di assistenza morale
e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi. L’adozione resta
consentita ai coniugi sposati da almeno 3 anni, pur essendo sufficiente una
convivenza stabile e duratura che si sia protratta per 3 anni prima del matrimonio. Ai
singoli invece è consentita l'adozione solo in casi particolari. I coniugi devono essere
“affettivamente idonei e capaci di educare, istruire i minori che intendano adottare”
e possono adottare più volte. La differenza di età tra adottante ed adottato viene
fissata in 18 anni. Il minore che abbia compiuto 14 anni deve presentare
personalmente il proprio consenso all’adozione e deve essere personalmente
sentito il minore dodicenne o comunque capace di discernimento. Non è accordata
facoltà di scelta agli aspiranti adottanti. La sentenza che dichiara lo stato di
adottabilità del minore viene pronunciata ad esito di una rigorosa verifica delle
condizioni previste: può esser impugnata dal p.m o dalle altri parti davanti la Corte
d’Appello. Divenuta definitiva è trascritta a cura del cancelliere su apposito registro.
A seguito dell’adozione, l’adottato acquista, a tutti gli effetti, lo stato di figlio nato
nel matrimonio degli adottanti, dei quali assume il cognome, mentre cessa ogni
rapporto con la sua famiglia d’origine. Egli ha diritto ha conoscere i suoi genitori
dopo i 25 anni.
Rapporto di filiazione.
Secondo l'art. 315 “tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”. L’art. 315 bis
riconosce al figlio “il diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito
moralmente da genitori nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali
e delle sue aspirazioni”. Il mantenimento deve essere conforme al tenore di vita
della famiglia. Il diritto di mantenimento perdura oltre il raggiungimento della
maggiore età. L’obbligazione di mantenimento ha carattere solidale ed è ripartita tra
i genitori in proporzione delle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro
professionale o casalingo. Quando i genitori non hanno mezzi sufficienti sono gli
ascendenti a dover fornire ad essi i mezzi necessari all'adempimento dei loro doveri
nei confronti dei figli. Ove vi sia un inadempimento da parte di un genitore, può
essere obbligato che una quota di redditi dell'obbligato venga versata all'altro
coniuge o a chi sopporta le spese. Quanto al cognome, nel caso di filiazione nel
matrimonio, cui rientra l'ipotesi di adozione, il figlio assume quello del padre. Nel
caso di filiazione fuori dal matrimonio il figlio assume il cognome del genitore che
per primo lo riconosce e quello del padre se il riconoscimento è effettuato da
entrambi i genitori. Il figlio può decidere, ove vi sia stato riconoscimento della madre
e quindi l'assunzione del suo cognome, di assumere il cognome del padre che lo
riconosce successivamente, aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello
della madre. Se il figlio è minore, sarà il giudice a decidere circa l'assunzione del
cognome del padre. Il figlio ha il dovere (non sanzionabile) di rispettare i propri
genitori e, finché convive in famiglia, deve contribuire al relativo mantenimento, in
ragione delle sue sostanze e del suo reddito. Tali obblighi non cessano con il
raggiungimento della maggiore età. Alla responsabilità genitoriale, la cui titolarità
compete ad entrambi i genitori, il figlio è soggetto sino alla maggiore età o
all’emancipazione. Essa è esercitata di comune accordo dai genitori. Ciò ha indotto
ad introdurre un meccanismo atto a superare le eventuali situazioni di disaccordo.
Quando il contrasto tra i genitori verte su questioni di particolare importanza si
ricorre al giudice. Il giudice, ascoltato pure il figlio, svolge una funzione persuasiva è
solo se il contrasto per mano attribuisce il potere di decisione al genitore che ritiene
più idoneo a curare l'interesse del figlio. L'esercizio della responsabilità genitoriale si
concentra nelle mani di un solo genitore in caso di lontananza o altro impedimento
dell'altro. La responsabilità genitoriale non cessa con il venir meno della convivenza.
Al riconoscimento della filiazione al di fuori del matrimoni consegue la titolarità, per
il genitore che per primo lo riconosce, della responsabilità genitoriale. Ove il figlio
nato al di fuori del matrimonio venga riconosciuto da entrambi i genitori la
responsabilità spetta ad entrambi. Con riguardo al caso di riconoscimento di un figlio
nato fuori dal matrimonio da parte di persona coniugata, è rimessa al giudice la
decisione circa il suo affidamento o l'adozione di ogni provvedimento a tutela del
suo interesse morale e materiale. Un tale ipotesi può essere autorizzato,
nell'interesse del figlio, il suo inserimento nella famiglia del genitore, una volta
accertato il consenso del coniuge convivente, dei figli ultrasedicenni conviventi.
19
Proprietá.
Nozione.
Lo studio della proprietà nell'ordinamento vigente trova i sui fondamentali punti di
riferimento nella definizione che ne offrono l'articolo 42 della costituzione e
l'articolo 832 del codice civile. La proprietà è la massima espressione della libertà
dallo Stato. Quando si comprime la proprietà si comprime la libertà.
Contenuto e caratteri.
Il diritto di proprietá costituisce tradizionalmente il prototipo delle situazioni
giuridiche soggettive. Per contenuto del diritto di proprietà, si intendono, l'insieme
delle facoltà e dei poteri riconosciuti al titolare, in vista della realizzazione del suo
interesse.
L'articolo 832 riconosce al proprietario “il diritto di godere e disporre delle cose in
modo pieno ed esclusivo, entro limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti
dall'ordinamento giuridico”
È da precisare, come risulti più corretto parlare, di facoltà di godimento e di potere
di disposizione, rispettivamente con riferimento alla possibilità, appunto attribuita
proprietario, di utilizzare il bene e di determinare la relativa condizione giuridica con
propri atti giuridici.
Il diritto di proprietà è quello che forse più di qualsiasi altro diritto interpreta uno dei
fondamentali bisogni dell'uomo, quello di avere un suo spazio dove può liberamente
esplicarsi. Questo spazio, separato da quello degli altri esseri umani, è composto di
luoghi e cose dove l'uomo può sviluppare liberamente il suo dominio, senza
interferenze da parte di altri individui.
Sin dai tempi più antichi questo bisogno è stato sempre riconosciuto dalle comunità
umane, a volte come vero proprio dominio assoluto su luoghi, beni e anche persone,
altre volte in una forma più attenuata dai vincoli imposti da ordinamenti giuridici
evoluti.
L'art. 42 sulla proprietà privata, dopo averne riconosciuto la legittimità dopo la
proprietà pubblica, dispone che:
La proprietà non è quindi una forma di sovranità sui beni, ma è un diritto che deve
armonicamente inserirsi nel più ampio contesto sociale e non contrastare con esso.
Per il proprietario vi saranno, quindi, non solo diritti (o meglio facoltà, espressione
del diritto di proprietà), ma anche doveri, che renderanno il diritto di proprietà non
solo utile per il proprietario, ma anche per la società. In questo si esplica la funzione
sociale della proprietà che non per questo, però, potrà divenire qualcosa di diverso
da quanto è espresso dall'art. 832 c.c.
È vero, infatti, che l'art. 42 della Costituzione riconosce e determina la funzione del
diritto di proprietà, ma è pur sempre l'art. 832 del codice civile che ne definisce il
contenuto.
E. Perpetuità: si ritiene che non possano essere imposti limiti temporali alla
proprietà, non è ammessa una proprietà "a tempo", ma un'eccezione a questo
principio può essere costituita dall'art. 953 c.c. in relazione alla scadenza del termine
del diritto di superficie
F. imprescrittibilità: la proprietà non si perde per il non uso, potendo solo essere
usucapita dall'uso che ne facciano altri.
Atti emulativi.
Nella definizione dell'art. 832 abbiamo visto che le facoltà attraverso le quali si
esplica il diritto di proprietà sono fondamentalmente illimitate.
Si è infatti deciso di indicare i limiti del diritto di proprietà, piuttosto che elencarne le
facoltà, con l'ovvia conseguenza che il proprietario può fare del suo diritto e della
cosa che ne è oggetto ciò che vuole, ma questa illimitata signoria del suo volere
trova il confine nei limiti imposti dalla legge. Questi si incontrano sia nel codice civile
che nelle leggi speciali, e spesso comprimono in maniera rilevante il diritto di
proprietà (pensiamo ai divieti di edificare in zone di interesse paesaggistico o
archeologico). In questa sede ci occuperemo dei soli limiti che emergono dal codice
civile, rimandano allo studio del diritto amministrativo lo studio dei provvedimenti e
delle altre leggi che incidono sul diritto di proprietà.
L'art. 833 pone una norma di carattere generale che vieta al proprietario di
compiere atti di emulazione che sono "atti i quali non abbiano altro scopo che quello
di nuocere o recare molestia ad altri" (divieto di atti emulativi)
Il proprietario, infatti, del suo bene, può farne ciò che vuole, ma non può compiere
degli atti al solo scopo di arrecare danno ad altri.
Si fa spesso l'ipotesi di chi pianta dei pali altissimi sul suo terreno per impedire
l'atterraggio di un aereo sul terreno confinante, ma le ipotesi potrebbero essere
innumerevoli. È importante sottolineare, invece, che per realizzare la previsione
dell'art. 833 non basta che l'atto possa arrecare danno ad altri, ma è anche
necessario che sia stato compiuto "al solo scopo" di arrecare danno o molestia.
Se, quindi, il proprietario pianta dei pali altissimi sul suo terreno anche per istallarci
dei reattori eolici, l'atto non sarà emulativo e quindi lecito.
Proprietà fondiaria.
Il codice civile detta una disciplina articolata per la proprietà fondiaria concernente
beni immobili (urbani e agricoli). Innovativa si presenta la normativa destinata a
regolare l'estensione verticale della proprietá. La proprietà del suolo si estende al
sottosuolo, con tutto ciò che esso contiene, potendovi il proprietario svolgere
qualsiasi attività di utilizzazione che non rechi danno ai vicini. Chi ha la proprietà del
suolo ha pur quello dello spazio sovrastante e di tutto ciò che si trova sopra o sotto
la superficie. Il proprietario del suolo non può impedire attività altrui che si svolgano
a tale profondità nel sottosuolo o a tale altezza nello spazio sovrastante che gli non
abbia interesse ad escludere (840,c.2)
Il proprietario non può impedire l’accesso al fondo per la caccia, a meno che il fondo
non sia stato chiuso nei modi stabiliti dalla legge in materia di caccia o vi siano
colture suscettibili di derivarne danno. L'accesso per l'esercizio della pesca invece
presuppone il consenso del proprietario del fondo. L'accesso e il passaggio nel fondo
non possono essere impediti al fine di riparare, costruire un muro o qualsiasi altra
opera del vicino oppure a chi intende recuperare la cosa che vi si trovi
accidentalmente o l'animale che vi sia riparato sfuggendo alla custodia. Il
proprietario peraltro può impedire l'accesso consegnando la cosa o l'animale.
L’accesso, giustificato da tradizionali esigenze di opportuna collaborazione tra vicini,
deve considerarsi lecito e ove cagioni danni è previsto il pagamento di un’indennità
(responsabilità da atto lecito).
Immissioni.
Tra le disposizioni generali in tema di proprietá fondiaria spicca la disciplina delle
immissioni. L'art. 844 dispone che “il proprietario di un fondo non può impedire le
immissioni derivanti dal fondo del vicino, se non superino la normale tollerabilità,
avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi. Per immissioni si intendono tutte le
propagazioni, come quelle consistenti in fumo, calore, esalazioni, rumore,
scuotimento, radiazioni e onde elettromagnetiche. La vicinanza dei fondi è intesa in
senso lato dato che la propagazione delle immissioni, in relazione a quantità
industriali, possono avere una rimarchevole portata. Il proprietario è tenuto a
sopportare le immissioni altrui nei limiti di tollerabilità, la quale deve essere
giustificata dal punto di vista del fondo che la riceve. È però importante considerare
che certe attività, come quelle industriali, hanno anche rilevanza pubblica e non
sempre è opportuno far cessare o limitare una determinata attività per le esigenze
dei privati. Il legislatore per cercare di contemperare gli opposti interessi dispone al
secondo comma dell'art. 844 che:
nell'applicare questa norma l'autorità giudiziaria deve adeguare le esigenze della
produzione con le ragioni della proprietà. Il giudice potrebbe, ad esempio, far
continuare la produzione imponendo, però, il rispetto di particolari accorgimenti per
diminuire le immissioni, oppure riconoscere un indennizzo al proprietario senza far
cessare la produzione.
Questa disciplina si intreccia, comunque, con quella prevista a tutela della salute
pubblica che impone rigorosi limiti alle aziende in merito alle immissioni
nell'ambiente.
Rapporti di vicinato.
l codice civile nella sezione VI negli artt. 873 e ss. disciplina i cosiddetti rapporti di
vicinato dettando regole atte a consentire l'ordinata esistenza tra le proprietá
fondiarie vicine. Le sezioni indicate dai rapporti di vicinato concernono, le distanze
nelle costruzioni, piantagioni e scavi, fossi e siepi interposti tra i fondi, luci, vedute,
acque, ecc. La disciplina delle distanze riguarda innanzitutto quella osservabile nelle
costruzioni. Principio generale dettato dal codice è quello dell'osservanza di una
distanza di 3 metri tra i fondi, per evitare intercapedini troppo anguste e
antigieniche. Tale determinazione ha carattere residuale e minimo rinviando la
citata disposizione alle indicazioni dei regolamenti edilizi che prevedono una
distanza maggiore. Si tratta di una materia in cui sono preminenti i caratteri generali
legati al corretto sviluppo urbanistico degli abitanti. L’art. 872 prevede che chi abbia
risentito di un danno dall’abuso edilizio di altri, in quanto all'edificazione del fondo
vicino avvenuta in contrasto con al disciplina urbanistica, possa chiedere, trattandosi
di atto illecito, il risarcimento del danno. La riduzione in pristino, ovvero la
demolizione, può essere richiesta solo in violazione delle norme dettate dal codice in
materia di distanze. Il criterio seguito dal codice è quello della prevenzione
temporale ossia chi costruisce per primo condiziona le possibilità edificatorie vicine.
Regimi peculiari sono dettati per muri di cinta, muri divisori e utilizzazione del muro
comune. Altre disposizioni prevedono le distanze da osservare per opere diverse
dalle costruzioni e per le piantagioni. Importante risulta l'art. 890, che impone per
manufatti o depositi di sostanze nocive o pericolose l'osservanza della distanza per
preservare i fondi vicini. Minutamente è disciplinata poi la distanza da osservare per
piantare siepi ed alberi prevedendo la relativa estirpazione in caso di piantagione a
distanza inferiore da quella prescritta. Si tratta ancora poi la disciplina relativa alle
luci e vedute. Luci sono le aperture che consentono il passaggio di luce ed aria, ma
non affacciano sul fondo vicino. Vedute sono le aperture che permettono di
affacciarsi e guardare di fronte, obliquamente o lateralmente. L’apertura di luci non
deve rispettare distanze potendosi esse aprire anche sul muro posto sul confine. Le
luci possono essere chiuse ad iniziativa del vicino ove sussistano le condizioni per
acquistare la comunione del muro o per costruire in aderenza. Le vedute possono
essere aperte solo ad una distanza di un metro e mezzo dal fondo vicino. Il carattere
di veduta risulta rilevante in quanto determina le conseguenze in ordine alla
distanza delle costruzioni. In caso di apertura di vedute abusive, il proprietario del
fondo pregiudicato può esercitare l'azione negatoria. Dell'opera che violi il diritto di
veduta può essere richiesta la rimozione o la modificazione. Circa lo stillicidio, vale il
principio per cui il proprietario deve costruire i tetti in modo che le acque piovane
scolino sul suo terreno e non su quello altrui (art. 908)
Quanto alle acque “ tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte
al sottosuolo, sono pubbliche”.
Proprietá agraria.
Anche la proprietà della terra è considerata, nella Costituzione e nelle leggi
ordinarie, come un problema che coinvolge interessi pubblici fondamentali: lo
“sfruttamento razionale del suolo” e gli “equi rapporti sociali” sono, secondo l’art.
44, comma 1°, Cost., gli obiettivi finali, cui la legge deve tendere anche fissando
limiti e vincoli e imponendo obblighi ai proprietari, limitando l’estensione della
proprietà, promuovendo o imponendo la bonifica delle terre, la trasformazione del
latifondo, ecc.
Il Codice Civile prevede, in tre sezioni (artt. 846-868) alcuni interventi di questo tipo:
fissa la “minima unità colturale”, cioè un’area minima da non dividere nemmeno in
caso di successione ereditaria (artt. 846 e ss.); prevede l’obbligo di esecuzione di
opere per i proprietari di terreni dichiarati soggetti a bonifica (artt. 857 e ss.), o
sottoposti a vincoli per scopi idrogeologici (artt. 866 e ss.); in particolare, sia per
scopi di bonifica che di difesa fluviale, i proprietari possono essere riuniti
obbligatoriamente in consorzi, che sono persone giuridiche pubbliche, il cui scopo è
provvedere all’esecuzione, alla manutenzione e all’esercizio delle opere necessarie
(artt. 857, 868).
Proprietá edilizia.
Come abbiamo più volte ribadito il proprietario può disporre del suo bene nella
maniera che ritiene più opportuna.
In certi casi, tuttavia, la natura del bene limita fortemente alcune sue facoltà, e ciò è
in particolar modo evidente nel caso di proprietà edilizia.
Il codice civile, infatti, agli artt. 869 e ss. pone una serie di limiti al potere del
proprietario di costruire e riedificare, o modificare le costruzioni esistenti.
Queste diverse esigenze sono protette da norme (c.d. norme di edilizia) che
derivano da varie fonti. Schematicamente, si possono elencare:
⎯ Il Codice Civile, che agli artt. 873 e ss. disciplina le distanze tra le costruzioni, e
nelle sezioni seguenti contiene norme che interessano l’edificazione, come quelle
relative alle luci e vedute;
⎯ Le leggi speciali che stabiliscono regole da osservarsi nelle costruzioni (come ad
es.: le norme antisismiche, le norme di tutela ambientale ecc…);
⎯ Il piano regolatore, e precisamente il piano regolatore generale (P.R.G.)
approvato dal Comune e dalla Regione, e il piano regolatore particolareggiato
(P.R.P.) predisposto sulla base dei criteri generali stabiliti nel P.R.G. e dei limiti
inderogabili fissati dalle leggi speciali;
⎯ I regolamenti edilizi comunali, cui fa rinvio lo stesso art. 871.
Il limite fondamentale consiste nel rispetto dei piani regolatori, che molto spesso
possono anche negare o limitare in maniera incisiva la facoltà di costruire o
modificare preesistenti costruzioni.
Il piano prevede quali aree possono essere destinate alla edificazione, quali devono
essere mantenute a verde, quali devono essere destinate a pubblici servizi (scuole,
parchi, uffici, chiese, posteggi, ecc.); stabilisce inoltre quali caratteri dovranno avere
le zone edificabili, con quali criteri e con che vincoli (di altezza, volume, area a
giardino o cortile ecc.) si dovrà costruire. Ricordiamo, inoltre, che in generale il
potere di costruire, il c.d. ius aedificandi, è subordinato al rilascio di una concessione
edilizia che è il provvedimento attraverso il quale l'autorità comunale consente che
si realizzino le trasformazioni edilizie richieste.
Il d.p.r. 380\2001 ( art. 10) ha poi provveduto all'eliminazione della figura della
concessione, sostituendola con quella del "permesso di costruire".
20
Acquisito e tutela della proprietà.
Modi di acquisto.
L'art. 922 c.c, traccia i modi di acquisto della priorità. La proprietà si acquista per
occupazione, per invenzione, per accessione, per specificazione, per unione o
commistione, per usucapione, per effetto di contratti, per successione a causa di
morte e negli altri modi stabiliti dalla legge.
L'art. 922 riportato in tabella elenca i diversi modi di acquisto della proprietà, senza,
però, indicarli in modo tassativo (infatti la proprietà si acquista anche"negli altri
modi stabiliti dalla legge").
Prima di analizzare singolarmente le diverse ipotesi previste dal codice civile,
possiamo distinguere i modi di acquisto della proprietà in due categorie:
Nei modi di acquisto a titolo derivativo si verifica una successione nel diritto che è
trasmesso da un soggetto ad un altro, mentre in quelli a titolo originario si diviene (o
è come se si divenisse) proprietario per la prima volta.
Di conseguenza l'acquisito a titolo originario è più certo rispetto a quello derivativo,
per la semplice ragione che in quest'ultimo caso la situazione giuridica trasmessa
potrebbe non essere quella che appare; potrebbe accadere, infatti, che si acquisisca
il diritto da chi non è proprietario, e poiché non si può trasmettere quello che non si
ha, il nuovo presunto proprietario non avrà in realtà acquisito alcun diritto.
A ciò consegue la difficoltà della prova del diritto di proprietà quando il soggetto non
possa dimostrare di aver compiuto un acquisto a titolo originario. In caso di acquisto
a titolo derivativo, infatti, non è sufficiente la dimostrazione dell'idoneità del titolo
del proprio acquisto, ma occorre a che la dimostrazione del titolo di acquisto del
soggetto dante causa e via via ininterrottamente fino ad un acquisto a titolo
originario. Si parla della cosiddetta probatio diabolica. Vediamo, quindi, uno per uno
i modi di acquisto della proprietà a titolo originario indicati dal codice, mentre di
quelli a titolo derivativo (contratti e successioni) ce ne occuperemo in seguito.
Nell'elenco non è compresa l'usucapione, non perché non sia un modo di acquisto a
titolo originario, ma perché ce ne occuperemo in occasione dello studio del
possesso.
Occupazione:
L'occupazione costituisce forse il modo di appropriazione primigenio.
Secondo l'art. 923 c.c. primo comma “le cose mobili che non sono proprietà di
alcuno si acquistano con l’occupazione”. (res nullius).
Il secondo comma dell'art. 923 ci specifica, poi, quali sono questi beni mobili che
non sono di proprietà di alcuno, dividendole in:
1 cose abbandonate
2 gli animali che formano oggetto di caccia e di pesca
Per i beni immobili abbandonati non è possibile l'occupazione, sia perché l'art. 923
non li nomina, sia perché l'art. 827 c.c. espressamente dispone che “ i beni immobili
che non sono in proprietà di alcuno spettano al patrimonio dello Stato”.
Sono anche oggetto di occupazione le cose abbandonate con l’intenzione di
dismetterne la proprietà.
Ai fini dell’acquisto della proprietà sulla cosa vi è l’intenzione di appropriarsi della
cosa stessa, escludendone tutti gli altri (animus occupandi).
L’occupazione rientra tra i cd. atti reali, a loro volta inquadrata tra gli atti giuridici in
senso stretto.
Invenzione.
Con l'invenzione abbiamo una ipotesi affine, ma diversa dalla occupazione.
In quel caso, infatti, si trattava dei beni mobili "abbandonati", qui, invece, si fa
riferimento a cose mobili “smarrite" (o sottratte al proprietario o da lui dimenticate).
Secondo l'art. 927 chi trova una cosa non ne acquista la proprietà ma ha l'obbligo di
restituirla al proprietario e se non lo conosce di consegnare la cosa immediatamente
al sindaco del luogo in cui l’ha ritrovata, indicandone le circostanze del
ritrovamento. Il ritrovatore ha diritto a chiedere un premio, pari al decimo della
somma ritrovata. Se non si presenta nessuno a reclamare il bene entro un anno
dalla pubblicazione, fatta dal sindaco, il bene diviene di proprietà del ritrovatore iure
inventionis. Dettagliate norme particolari sono dettate dal codice di navigazione
relativamente ai relitti marini e aerei, il cui ritrovamento non ne comporta mai
l'acquisto della proprietà da parte del ritrovatore, ma solo il diritto ad un premio. Un
particolare regime è previsto per il ritrovamento del tesoro. Il tesoro in quanto cosa
mobile di pregio, nascosta o sotterrata, nessuno può provare di essere proprietario
in conseguenza del tempo trascorso. Il tesoro appartiene al proprietario del fondo in
cui si trova. Il ritrovatore, a condizione che il ritrovamento sia avvenuto
casualmente, ha diritto alla metà del tesoro. La stessa regola vale anche in caso di
scoperta del tesoro in una cosa mobile altrui.
Accessione.
L'accessione può essere intesa come l'acquisto della proprietà in conseguenza
dell'unione di altre cose alla propria. Si dispone in base all'art. 934 c.c. che
qualunque piantagione, costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo
appartiene al proprietario di questo, salvo quanto è disposto dagli articoli 935, 936,
937 e 938 e salvo che risulti diversamente dal titolo o dalla legge in generale, e salve
le ipotesi previste dallo stesso articolo 934, il suolo attrae tutto ciò che vi è sopra
incorporato.
In altre parole il proprietario del suolo è proprietario anche dei beni che lì si trovano,
siano essi mobili o immobili, il termine accessione, infatti, deriva dal latino
"accessio" e tradotto significa accrescimento, aggiunta, elemento accessorio. Con
l'accessione, quindi si verifica un accrescimento di una cosa a scapito di un'altra, e in
genere ciò accade a favore del suolo per tutto quello che vi trova. In realtà non tutto
quello che si trova sul suolo diviene del proprietario del fondo, ma solo quello che vi
è incorporato (stabile) , come, appunto, le piantagioni, le costruzioni e le altre opere
che si trovino sopra (ma anche sotto) il suolo. L’acquisto è definitivo.
Le eccezioni al principio dell'accessione sono elencate nello stesso articolo 934 e si
riferiscono ai casi dell'art. 935 (opere fatte dal proprietario del suolo con materiali
non suoi), 936 (opere eseguite dal terzo con materiali propri), 937 (opere eseguite
dal terzo con materiali altrui) e 938 che si riferisce al fenomeno della cosiddetta
accessione invertita. Riportiamo il testo dell'art. 938: “Se nella costruzione di un
edificio si occupa in buona fede una porzione del fondo adiacente, e il proprietario
di questo non fa opposizione entro tre mesi dal giorno in cui ebbe inizio la
costruzione, l'autorità giudiziaria, tenuto conto delle circostanze, può attribuire al
costruttore la proprietà dell'edificio e del suolo occupato. Il costruttore è tenuto a
pagare al proprietario del suolo il doppio del valore della superficie occupata, oltre il
risarcimento dei danni”. Come si vede in questo caso, di natura eccezionale, è il
costruttore dell'edificio che diviene (o almeno può divenire) proprietario del suolo e
dello stesso edificio, mentre secondo i normali principi dell'accessione dovrebbe
essere il proprietario del suolo a divenire proprietario della costruzione fatta sul suo
terreno.
Azioni di nunciazione.
Tali azioni competono al proprietario (pur non in possesso del bene), al titolare di
altro diritto reale di godimento su cosa altrui e al possessore. Tali azioni sono due:
denuncia di nuova opera e denunzia di danno temuto. Sono azioni cautelari,
indirizzate a prevenire il pericolo di danni derivanti da opere intraprese o da cose
esistenti su altri fondi.
Con la denunzia di nuova opera chi abbia ragione di temere che da una nuova opera,
intrapresa sul fondo proprio o altrui, sia per derivare danno a una sua cosa può
denunziare all’autorità giudiziaria la nuova opera, purché non sia terminata e non
sia trascorso un anno dal suo inizio (art. 1171). Non occorre che si verifichi un danno
ma basta un timore ragionevole che esso si verifichi. A seguito di una sommaria
cognizione l'autorità giudiziaria può vietare la continuazione dell'opera. Il legislatore
allude alla prestazione di una cauzione pecuniaria da parte di chi abbia avuto
provvisoriamente ragione.
Con la denunzia di danno temuto chi abbia ragione di temere che da qualsiasi
edificio, albero o altra cosa derivi il pericolo di un danno grave e prossimo ad una
sua cosa può denunziare il fatto all’autorità giudiziaria e ottenere che si provveda
per ovviare al pericolo (art. 1172). Tale azione non presume come la precedente
un'attività di trasformazione della situazione dei luoghi, bensì una situazione dei
luoghi dalla quale si ha ragione di temere danno ove non si intervenga su di essa. Il
giudice dispone di ampi potere di scelta per far cessare la situazione di pericolo (es.
abbattimenti, demolizioni,ecc.). Non è posto alcun termine per l'esperibilità
dell'azione in questione la quale può essere esercitata finché perduri il pericolo che
ne costituisce il presupposto.
21
Diritti reali di godimento su cosa altrui.
La tutela.
I diritti reali fanno parte della categoria dei diritti assoluti (come il diritto al nome),
ma si differenziano dagli altri diritti assoluti perché hanno ad oggetto cose.
Nell'ambito della categoria dei diritti assoluti, distinguiamo i diritti reali che sono
diritti assoluti su una cosa, una res, da cui derivano il nome.
Caratteristiche:
assolutezza: possono essere fatti valere nei confronti di tutti i consociati sui
quali incombe solo un generico dovere di astensione
immediatezza: il titolare realizza il diritto direttamente senza che sia
necessaria la collaborazione di altri soggetti, come accade nei diritti di credito
tipicità: i diritti reali sono solo quelli previsti dalla legge. Costituiscono, quindi,
una categoria di diritti composta da un numero chiuso
I diritti reali di godimento su cosa altrui comprimono il diritto di proprietà con
una intensità diversa secondo il tipo di diritto. La compressione del diritto di
proprietà può essere massima in alcuni casi, come nell'ipotesi dell'usufrutto. I
diritti reali di godimento sono: superficie, enfiteusi, usufrutto, uso e
abitazione e servitú.
Superficie.
Il proprietario di un suolo può concedere ad un altro soggetto il diritto di
costruire un edificio sopra al suo suolo attribuendogli la proprietà separata
dell'edificio. Il proprietario può, inoltre, alienare la costruzione già esistente
mantenendo la proprietà del suolo.
Sappiamo che per il fenomeno giuridico della accessione il proprietario del
suolo è anche proprietario di quello che vi è posto al di sopra.
È possibile, tuttavia, separare la proprietà del suolo da quella della
soprastante costruzione attraverso il diritto di superficie, che è un vero e
proprio diritto reale.
Questo può assumere la forma di una concessione ( di diritto privato) del
proprietario del suolo, che attribuisce ad un altro soggetto il potere di
costruire sul suo suolo, e di mantenere la proprietà della costruzione
effettuata.
Vi saranno, quindi, due proprietà diverse, quella del proprietario, e quella del
titolare del diritto di superficie, che ha avuto il diritto di costruire sul suolo del
proprietario.
Un'altra ipotesi di diritto di superficie è quella prevista dal secondo comma
dell'art. 952, secondo cui il proprietario può alienare la proprietà della
costruzione già esistente, separatamente dalla proprietà del suolo. In questo
caso il proprietario del suolo aliena la proprietà superficiaria.
È chiara la differenza tra i due tipi di diritto di superficie, perché il primo
riguarda una costruzione non ancora eseguita, mentre il secondo riguarda una
costruzione già edificata.
Secondo l'art. 953 c.c. è anche possibile costituire il diritto a tempo
determinato, con la conseguenza che alla scadenza del termine il diritto di
superficie si estingue e il proprietario del suolo diventa proprietario della
costruzione. Potrebbe quindi essere questa una ipotesi di proprietà
temporanea, cioè di proprietà (della costruzione) che si estingue alla scadenza
del termine del diritto di superficie.
Enfiteusi.
L'istituto della enfiteusi, di origine romana, molto diffuso per lo sfruttamento del
latifondo, fu radicalmente escluso dal code civil il quale vi vedeva il residuo di una
organizzazione economico-produttiva da superare. Fu disciplinato invece, seppur
con un certo sfavore dal codice civile del 1865. Il c.c. non definisce l’enfiteusi, pur
regolando minuziosamente i vari aspetti di tale rapporto. Non è finalizzata
esclusivamente all’assetto produttivo di fondi rustici, ma può avere ad oggetto
anche fondi urbani per assicurarne lo sfruttamento edilizio.
Il proprietario (concedente) cede il godimento di un immobile ad un altro soggetto
(enfiteuta), che acquista su di esso facoltà e poteri corrispondenti a quelli spettanti
al proprietario, con l’obbligo di migliorare il fondo e di pagare un canone.
L’art. 959 riconosce all’enfiteuta “gli stessi diritti che avrebbe il proprietario” su
frutti, tesoro e sottosuolo. Non c'è da meravigliarsi che ci sia da sempre materia di
discussione sul fatto che il proprietario possa essere identificato nel concedente o
nell'enfiteuta, ambedue definiti come veri titolari di un dominio sulla cosa.
La durata può essere perpetua o temporanea. La minima è fissata a 20 anni.
L'enfiteuta ha innanzitutto l'obbligo di migliorare il fondo, obbligo considerato
strettamente connesso con la funzione economica dell'istituto. L’enfiteuta può
pagare il canone o con una somma di denaro o in una quantità fissa di prodotti
naturali senza modificazioni. Tale canone è considerato come ipotesi di onere reale.
L’enfiteusi può essere costituita per contratto o testamento. Nel caso di contratto
l'enfiteusi richiede la forma scritta, pena la nullità, ed è soggetta a trascrizione.
L’enfiteuta può disporre del proprio diritto sia per atto tra vivi che per testamento
(965). Nell'atto costitutivo può essere pattuito il divieto di cessione per atto tra vivi
per un tempo non maggiore di venti anni.
Nell’ipotesi di alienazione del proprio diritto da parte dell’enfiteuta, il nuovo
enfiteuta resta obbligato in solido col precedente per il pagamento dei canoni non
soddisfatti (967). Non è ammessa la subenfiteusi (968). Il concedente ha diritto di
richiedere la ricognizione del proprio diritto a chi si trova nel possesso del fondo
enfiteutico un anno prima del compimento del ventennio (969), per evitare
l’usucapione.
Cause di estinzione:
Usufrutto.
È il diritto reale che permette all'usufruttuario di godere della cosa e di trarne ogni
utilità rispettando, però, la destinazione economica del bene.
L'usufrutto è un altro diritto reale che limita in maniera quasi completa le facoltà del
proprietario sul bene.
Da questo punto di vista è simile all'enfiteusi, ma da questa se ne distingue perché
l'usufruttuario deve rispettare la destinazione economica del bene e non ha alcun
obbligo di miglioramento.
Aggiungiamo, poi, che non è previsto alcun diritto di affrancazione in suo favore.
Anche con queste differenze, tuttavia, le facoltà del proprietario sono totalmente
compresse, tanto che per indicare il suo diritto di parla di "nuda proprietà" ovvero il
valore dell'immobile decurtato dell'usufrutto. Il nudo proprietario è chi ha il diritto
di proprietà su un immobile ma non ha il diritto di goderne l'uso.
Il proprietario può però vendere la sua nuda proprietà, o costituirvi pegno o ipoteca.
L'usufrutto si distingue dall'enfiteusi anche per i beni che ne possono costituire
l'oggetto. Mentre l'enfiteusi ha per oggetto solo beni immobili, l'usufrutto può avere
oggetto anche beni mobili, titoli di credito (come le azioni), ma anche aziende,
universalità prodotti dell'ingegno oltre a, ovviamente, ai beni immobili.
In genere tale diritto ha ad oggetto beni inconsumabili, ma può esserci usufrutto
anche su beni consumabili (art. 995 c.c.).
In questo caso l'usufruttuario non potrà certo restituire la stessa cosa ricevuta
(pensiamo che oggetto dell'usufrutto siano delle caramelle) ma un'altra di uguale
quantità o qualità o pagare il valore del bene.
In merito alla durata, l'art. 979 c.c. ci chiarisce che questo non può eccedere la
durata della vita dell'usufruttuario, e che, di conseguenza, non può essere perpetuo.
Se è costituito a favore delle persone giuridiche non può eccedere trenta anni.
ha il generale diritto di godere della cosa, cioè di usarla nel modo che riterrà
più opportuno, ma non può mutarne la destinazione economica né venderla
poiché non ne è il proprietario
ha il diritto di fare suoi i frutti naturali e civili (art. 984 c.c.)
ha il diritto di conseguire il possesso della cosa oggetto del diritto (art. 981
c.c.) ma solo se prima fa l'inventario dei beni e presta idonea garanzia al
proprietario(art. 1002 c.c.)
può cedere il suo diritto ( art. 980 c.c.) ma solo se non è vietato dal titolo
costitutivo
può locare il bene o accendervi ipoteca. La locazione perdura anche dopo la
cessazione dell'usufrutto ma solo se stipulata per atto pubblico o per scrittura
privata con data certa anteriore a detta cessazione (art. 999 c.c.)
Nel godimento della cosa egli deve usare la diligenza del buon padre di famiglia
Deve, inoltre, provvedere a sostenere tutti i pesi che gravano sul reddito, e ciò
perché ha l'effettivo godimento del bene (art. 1008 c.c.) mentre al proprietario
spettano i carichi gravanti sulla proprietà (art. 1009 c.c.) ma l'usufruttuario dovrà
corrispondere l'interesse sulla somma pagata.
Uso e abitazione.
Per quanto riguarda l'uso si tratta di un diritto reale dal contenuto più limitato
dell'usufrutto perché attribuisce al suo titolare il potere di servirsi del bene e, nel
caso sia fruttifero, di raccoglierne i frutti, ma solo per quanto occorre per i bisogni
suoi e della sua famiglia. I poteri dell'usuario sono ben più limitati di quelli
dell'usufruttuario. Anche l'usuario, infatti, può, al pari dell'usufruttuario, servirsi
della cosa, usarla, ma, a differenza di questo, può percepire i frutti solo per quanto
occorre per i bisogni suoi e della sua famiglia. Aggiungiamo, poi, che non può
appropriarsi dei frutti civili, cedere il diritto o dare in locazione il bene. Possono
essere costituiti per contratto, attraverso la forma scritta e la trascrizione per quanto
concerne l'abitazione e l'uso dei beni immobili, e testamento essendo ammessa
anche l'usucapione.
Per l'abitazione i poteri del titolare del diritto sono ancora più limitati.
Chi ha il diritto di abitazione di una casa può abitarla limitatamente ai bisogni suoi e
della sua famiglia. Anche per l'abitazione vige il divieto di cessione e di locazione, ma
in entrambi i casi vi è l'obbligo delle riparazioni ordinarie, alle spese di coltura (per
l'usuario), al pagamento dei tributi come l'usufruttuario.
Servitù prediali.
Le servitù hanno mantenuto, nel codice civile vigente, la loro storica qualificazione
come prediali, in quanto la relativa titolarità si ricollega alla proprietà su un fondo
(praedium).
Art. 1027 “la servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo, detto fondo
servente, per l’utilità di un altro fondo, detto fondo dominante, appartenente a
diverso proprietario”. Notiamo che il codice civile non parla di proprietari, ma di
fondi( fondo servente, gravato dal peso e dominante, destinato a godere dell’utilità),
volendo porre l'accento sul fatto che il diritto riguarda dei fondi, e le utilità che se ne
traggono sono oggettive dei fondi considerati e non dei singoli proprietari. Ad una
compressione delle facoltà del proprietario del fondo servente, corrisponde, quindi,
una utilità del fondo dominante. Si tratta di un vero e proprio diritto reale di
godimento su cosa altrui, in quanto al titolare è riconosciuto sul fondo di proprietà
altrui l’esercizio di facoltà di godimento, per trarne una determinata utilità. L'utilità
può consistere "anche "nella maggiore comodità o amenità del fondo dominante.
Può del pari essere inerente alla destinazione industriale del fondo. L’utilità deve
essere oggettiva e durevole. L’art. 1029 consente che la servitù sia costituita per
assicurare al fondo un vantaggio futuro (potenziale). I fondi devono essere
necessariamente vicini. Quale qualità del fondo, la servitù non può essere trasmessa
separatamente. Art. 1071, se il fondo è diviso, la servitù spetta ad ogni porzione per
l’intero. Cosa deve fare il proprietario del fondo servente? Nulla, potremmo
rispondere (art. 1030 c.c.). Il proprietario del fondo servente deve solo sopportare il
peso sul suo fondo. È vero però che al proprietario del fondo servente spetterà un
corrispettivo per la servitù, e che potrebbe anche impegnarsi (o essere obbligato per
legge) a prestazioni accessorie. In questo caso non può liberarsi delle spese
necessarie per l'uso o per la conservazione della servitù, se non cedendolo al
proprietario del fondo dominante (art. 1070 c.c.).
Ma vi può essere servitù a vantaggio di un soggetto piuttosto che di un fondo?
No, perché la servitù riguarda solo fondi e se per, esempio, mi accordo con una
persona affinché passi sul mio fondo per andare a pescare, questo non darà luogo a
servitù, ma vi saranno solo effetti obbligatori. Si parla, in questi casi, di "servitù
irregolari" proprio perché manca la caratteristica della predialità (praediàlis, dal
latino medievale: che riguarda un fondo).
Servitù apparenti.
Nella disciplina delle servitù risulta possibile operare talune distinzioni di fondo tra
le servitù.
Servitù coattive.
Sono denominate servitù coattive o legali quelle che possono essere imposte al
proprietario di un fondo, a prescindere dal suo consenso. Secondo l’art. 1032,
quando, in forza di legge, il proprietario di un fondo ha diritto di ottenere la
costituzione di una servitù a carico di un altro fondo, ove il proprietario di questo
non vi consenta, la servitù è costituita con una sentenza. La sentenza determina
l’indennità dovuta al proprietario del fondo servente, quale compenso per la perdita
di valore che il fondo stesso subisce. In presenza delle condizioni previste dalla legge
sorge il diritto potestativo di chiedere la costituzione della servitù, che verrà ad
esistenza solo in conseguenza di un contratto tra i proprietari dei fondi, ovvero una
sentenza pronunciata su domanda dell’interessato. Estinzione. Se il diritto alla loro
costituzione si ricollega ad una necessità, quando essa venga meno la legge ne
consente la soppressione su istanza della parte interessata. Essa avviene, in
mancanza di accordo, con sentenza.
Servitù di passaggio coattivo: quando un fondo è circondato da un fondo altrui e non
abbia accesso alla via pubblica. Il passaggio è stabilito nella parte in cui la distanza
sia minore. Sono esenti dal passaggio le case, i cortili, le aie e i giardini ad esse
adiacenti. Anche per transito di veicoli.
Servitù volontarie.
La loro costituzione può avvenire a titolo derivativo, per contratto (forma scritta e
trascrizione) o per testamento, me se il bene appartiene a più comproprietari c'è
bisogno del consenso di tutti (art. 1059 c.c.). L’acquisto può avvenire, limitatamente
alle servitù apparenti, per usucapione e destinazione del padre di famiglia.
L'usucapione è espressamente prevista quale modo di acquisto, a titolo originario,
delle servitú apparenti è opera secondo le regole generali dell'istituto.
Destinazione del padre di famiglia: In questo caso un proprietario costituisce delle
opere sul suo fondo, una strada asfaltata, per esempio, tali da essere utili per una
porzione del fondo rispetto ad un'altra. Ebbene se queste opere sono permanenti e
visibili e se il fondo viene diviso e venduto a due (o più) soggetti diversi, basterà
dimostrare che il proprietario ha lasciato le cose in maniera corrispondete
all'esistenza di una servitù che questa, in assenza di una diversa volontà del vecchio
proprietario, è costituita. La servitù si costituisce, quindi, se si verifica la situazione
prevista dalla legge, senza che vi sia una specifica manifestazione di volontà e senza
che nemmeno vi sia una sentenza. La servitù non può essere unilateralmente
modificata. Estinzione avviene per confusione (art. 1072), prescrizione per non uso
ventennale (1073), impossibilità di uso e mancanza di utilità (1074).
Usi civici.
Ai diritti reali su cosa altrui possono essere accostati gli usi civici. Essi consistono in
diritti spettanti su proprietà altrui agli appartenenti a determinate collettività di
persone. La facoltà di godimento su proprietà private o pubbliche sono riconosciute
al singolo soggetto in quanto membro di una comunità legata ad un territorio. Si
tratta di facoltà di godimento che si ricollegano a una organizzazione della società e
della economia in larga misura non più attuale. Si pensi al diritti degli appartenenti a
una frazione comunale di raccogliere legna corta in boschi o di pascolare greggi in
appezzamenti determinati. Tali diritti rappresentano una persistente limitazione
gravante su taluni fondi, soprattutto in alcune zone del paese. Sono inalienabili e
imprescrittibili, ma si tende ad eliminarli, consentendo la liberazione dei fondi da
essi gravati mediante il pagamento di somme di denaro da destinare a beneficio
delle comunità che ne risultano ancora titolari. Il riordino e la conseguente
liquidazione degli usi civilistici risultano perseguiti attraverso l'istituzione di appositi
organi cui siano stati attribuiti ampi poteri in materia.
Onere reale.
L'onore reale consiste in un vincolo gravante su un bene immobile, in virtù del quale
chi si trova nel relativo godimento è tenuto ad eseguire una prestazione periodica a
favore di un altro soggetto. Caratteristica dell’onere reale è l’immediatezza quale
potere del titolare di soddisfarsi sulla cosa indipendentemente dalle vicende relative
ai diritti che la concernono con il conseguente possibile esercizio di un'azione reale.
Il carattere reale del vincolo viene ricollegato anche al peculiare modi di presentarsi
della responsabilità di chi si trovi a godere del bene che ne è gravato. Costui
risponde pure delle prestazioni maturare precedentemente all'instaurazione del suo
rapporto col bene stesso.
22
Comunione e condominio.
Comunione.
Il c.c. ha dettato una disciplina dettagliata per il condominio negli edifici. Sono
oggetto di proprietà comune tutto ciò che forma il condominio. Ciascuno ha la
proprietà individuale di un piano o porzione di piano ed è allo stesso tempo
contitolare della proprietà delle parti comuni dell'edificio. Sono oggetto di proprietà
comune, il suolo, le fondamenta, i muri maestri, i pilastri e le travi, i porticati, i
cortili, il tetto, le aree destinate al parcheggio, ecc. Proprio per questo carattere
funzionale si tratta di una comunione forzosa. Ciascun condomino, può servirsi di tali
parti comuni, ma non può chiedere la divisione. Il diritto di ciascun condomino su
tali cose è proporzionato al valore del piano o al valore della porzione di piano che
gli appartiene. Egli non può rinunciare al suo diritto sulle parti comuni e sottrarsi al
contributo per le spese della relativa conservazione. E’ prevista la presenza di un
amministratore qualora i condomini siano più di 8. All’amministratore compete la
rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condomini sia
contro i terzi. Se i condomini sono più di 10 c’è l’obbligatorietà della formazione di
un regolamento condominiale che contempli le norme per l'uso della cosa comune e
per la ripartizione delle spese. Al regolamento condominiale è rimandata la
determinazione del valore rispettivo delle proprietà individuali ai fini del concorso
nell'amministrazione e nella sopportazione delle varie spese condominiali. Le norme
del regolamento condominiale non possono menomare i diritti di ciascun
condominio, quali risultanti dagli atti di acquisto e dalle convenzioni. L’organo
collegiale del condominio, cui sono riconosciuti ampi poteri, è rappresentato
dall’assemblea dei condomini. Per la sua costituzione e per le sue deliberazioni il
codice civile detta una disciplina articolata fondata sulla concorrente rilevanza di
due criteri:
23
Possesso.
Nozione.
L'art. 1140 c.c. afferma che“ il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in
un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale”
Da tale enunciato si deduce che l’ordinamento offre la sua tutela al soggetto non
solo in quanto titolare di una situazione soggettiva qualificabile come diritto, ma
anche per i semplice fatto di esercitare un potere sulla cosa, tenendo un
comportamento corrispondente a quello che gli sarebbe consentito dalla titolarità
della proprietà (o altro diritto reale). Una certa tutela è accordata al soggetto in
quanto eserciti il potere di fatto sulla cosa, indipendentemente dalla incostanza che
egli sia o meno titolare di un diritto che legittimerebbe l’esercizio del potere: potrà
esserlo o meno, ciò non rileva ai fini del riconoscimento della tutela possessorio. E’
riconosciuto valore giuridico a quella situazione di fatto che si manifesta in
un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale, in una
parola, tutelando e attribuendo valore giuridico al possesso. Significa che dal solo
possesso scaturiscono conseguenze giuridiche che possono portare anche
all'acquisto del diritto, come accade nella usucapione. Per indicare questa
complessa situazione di fatto e tutto quello che ne consegue, si parla di "ius
possessionis", un diritto, certo, ma un diritto a una tutela provvisoria, destinato a
cedere di fronte alla dimostrazione del vero diritto. Per questo motivo non bisogna
confondere lo ius possessionis con lo "ius possidendi" che è il diritto del proprietario
a possedere, diritto che esiste anche quando il proprietario non possiede, perché è
stato spogliato del possesso, o anche perché non lo ha mai conseguito, mentre non
è concepibile che scaturiscano effetti dal possesso quando questo non vi sia mai
stato.
Il titolare del diritto in quanto abitualmente anche nel possesso della cosa, trova
nella tutela possessoria mezzi più efficienti per una più pronta tutela dei suoi
interessi, senza dover sottostare alle lungaggini della probatio diabolica per
dimostrare il diritto di proprietà.
Ai fini della ora accennata distinzione delle possibili situazioni possessorie rispetto
alla cosa, risulta decisivo l’elemento intenzionale (animus). il quale si ritiene
rappresentare, in via generale, uno dei due elementi costitutivi del possesso (l’altro
è individuato nel corpus, potere di fatto sulla cosa, cioè nella relazione materiale con
essa, che ne consente al soggetto la concreta disponibilità).
Possesso e detenzione.
La distinzione tra possesso e detenzione è fondata sull’elemento intenzionale
(animus). art. 1140 “ si può possedere direttamente o per mezzo di altra persona,
che ha la detenzione della cosa”. L’ordinamento ammette che il possessore resti tale
anche se altri siano nella immediata disponibilità di fatto della cosa (possesso
indiretto) quasi che il soggetto che ha tale disponibilità materiale (detentore) operi
quale strumento del possessore. Alla base della detenzione, vi è un rapporto col
possessore, il quale trasmette ad altri la detenzione come espressione del suo
potere sulla cosa, con conseguente riconoscimento, da parte del detentore, della
preminenza dell’altrui posizione rispetto alla cosa stessa, e, quindi, del carattere
dipendente della propria posizione.
Il possesso risulta caratterizzato dall’intenzione di tenere la cosa per se (animus
possidendi), senza riconoscere la preminenza di altri su di essa.
La detenzione (possesso minore) è caratterizzata dall’intenzione di tenere la cosa
per gli altri, rispettandone la posizione preminente (animus detinendi).
In generale l'art. 1141 c.c. presume che, chi esercita il potere di fatto su una cosa sia
possessore e non detentore, ma lo stesso articolo ammette che la detenzione possa
mutarsi in possesso (interversione del possesso). Una volta che la situazione sia
iniziata come detenzione, il possesso potrà essere acquistato solo ove il relativo
titolo venga mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione
contro il possessore. Sotto il primo profilo è da considerare l'atto col quale l'attuale
possessore conferisca il possesso al detentore. La distinzione tra possesso e
detenzione è basilare poiché diversi sono gli effetti. Così il solo possesso è preso in
considerazione ai fini dell'acquisto della proprietà per usucapione. Inoltre l'esercizio
delle azioni possessorie compete al possessore, mentre al detentore spetta solo
quella di reintegrazione. Tale è la detenzione quando il soggetto, pur riconoscendo
la dipendenza della propria posizione da quella altrui, detiene nell'interesse proprio.
Oggetto e vicende.
Sono suscettibili di possesso tutte le cose aventi una realtà oggettivamente
percepibile. Sono considerate possibili oggetto di possesso, le sorgenti, le energie
naturali, le onde elettromagnetiche. Sono suscettibili di possesso le universalità di
beni mobili ma si dubita fortemente che possano esserlo i beni immateriali. E’
considerato senza effetto il possesso delle cose di cui non può acquistarsi la
proprietà.
L’acquisto del possesso può avvenire originariamente, con l’impossessamento, il
quale si realizza mediante l’apprensione materiale della cosa. L'apprensione della
cosa per determinare gli effetti che ne sono propri, richiede un profilo di
consapevolezza e intenzionalità. E’ un atto giuridico in senso stretto che richiede
capacità giuridica. L’acquisto del possesso è escluso se la disponibilità di fatto della
cosa consegue atti di tolleranza altrui (art. 1144). L’acquisto del possesso, il più delle
volte, avviene in modo derivativo, attraverso la relativa trasmissione con la
consegna (traditio), in cui si ravvisa un atto giuridico in senso stretto. La consegna
costituisce correntemente adempimento della relativa obbligazione nascente da un
contratto. Per avere acquisto del possesso, occorre che la cosa sia posta nella
effettiva disponibilità di fatto del soggetto. Ciò potrà avvenire materialmente, con
una consegna reale, o tramite consegna meramente simbolica (chiavi).
L'art. 1148, indica che il possessore di buona fede fa suoi i frutti prodotti dal bene
fino al giorno della domanda giudiziale di restituzione. Da tale momento fino alla
restituzione della cosa fruttifera risponde nei confronti del soggetto che abbia
esercitato l'azione di rivendicazione nei suoi riguardi non solo dei frutti
effettivamente percepiti ma anche di quelli che avrebbe dovuto percepire usando
l'ordinaria diligenza. Il possessore di mala fede quindi non è ritenuto meritevole di
tutela e deve restituire i frutti percepiti.
Il possessore (buona o mala fede) che è tenuto a restituire i frutti indebitamente
percepiti ha diritto al rimborso delle spese fatte per le riparazioni straordinarie e
ordinarie (1150). Il possessore ha sempre diritto di essere indennizzato per i
miglioramenti purché sussistenti al momento della restituzione. Per le addizioni
infine è previsto che per le opere fatte da un terzo con i suoi materiali, ove
prevedono un miglioramento, il possessore di buona fede ha diritto ad una
indennità pari all'aumento di valore della cosa. La posizione del possessore in buona
fede è vista con maggior favore anche da un diverso punto di vista. Egli infatti può
ritenere la cosa finché non gli sia corrisposta l'indennità dovuta, purché richieste nel
corso del giudizio di rivendicazione e sia stata fornita una prova della sussistenza
delle riparazioni e dei miglioramenti. Con il diritto di ritenzione riconosciuto al
possessore, il proprietario avente diritto alla restituzione è gravato da obblighi di
rimborso nei confronti del possessore. Si tratta di una forma di autotutela
eccezionalmente consentita dall'ordinamento a garanzia del creditore.
Usucapione.
deve essere stato conseguito senza violenza o clandestinità (art. 1163 c.c.); il
possesso idoneo alla usucapione si verifica nel momento in cui la violenza o
clandestinità è cessata
deve protrarsi per i periodi stabili dalla legge
deve essere continuo e ininterrotto
Veniamo, ora, ai periodi di tempo necessari per l'usucapione. Questi sono diversi
secondo il tipo di bene da usucapire;
In presenza di queste condizioni, l'usucapione si compie dopo soli dieci anni dalla
data della trascrizione del titolo.
Le azioni a tutela del possesso sono azioni processuali che hanno come scopo la
difesa del possesso indipendentemente dall'accertamento del diritto che ne
dovrebbe essere alla base. Forniscono una tutela provvisoria destinata a cessare di
fronte alle azioni che accertano il diritto.
Le azioni a tutela del possesso sono due:
24
Obbligazioni
Emersione storica dell'obbligazione.
L’obbligazione consiste in un vincolo giuridico tra due soggetti, in virtù del quale un
soggetto (debitore) è tenuto ad un determinato comportamento, suscettibile di
valutazione economica (prestazione), verso un altro soggetto (creditore), per
soddisfare un interesse anche non patrimoniale di quest’ultimo.
I due soggetti sono titolari di situazioni giuridiche soggettive correlate,
rispettivamente, di debito (passiva) e di credito (attiva). Nel diritto romano,
l'obbligazione indicava la posizione di un soggetto materialmente legato e vincolato
ad un'altro soggetto. Il vincolo giuridico che legava i due soggetti era concepito
come un vincolo materiale (nexum), per sciogliersi dal quale era necessario che lo
stesso obbligato o altro soggetto per lui recidesse tale vincolo con la cosiddetta
solutio, la quale pertanto operava con la eliminazione del vincolo. (Nexi liberatio).
Il codice civile non definisce le obbligazioni, che sono, invece, definite nelle
istituzioni di Giustiniano cui ci siamo inspirati.
Fonti.
Per l’art. 1173 le obbligazioni derivano “da contratto, da fatto illecito, o da ogni altro
atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico”. Per “fonti
dell’obbligazione” si intendono i fatti giuridici da cui le obbligazioni derivano e cioè i
fatti giuridici determinativi della nascita delle obbligazioni. I criteri di identificazione
dell’obbligazione si appuntano essenzialmente sulla causa (titolo) e sul contenuto
(prestazione) dell’obbligazione.
Il sistema delle fonti delle obbligazioni è organizzato intorno a tre classi. Le prime
due classi sono il contratto e il fatto illecito. Essi rappresentano le fonti generali e di
più comune ricorrenza.
La terza classe è riferita a ogni altro atto o fatto a produrle secondo l'ordinamento. È
una classe residuale rispetto le prime due avendo riguardo tutte le altre fonti non
riconducibili al contratto e al fatto lecito.
Possiamo fare una distinzione tra fonti volontarie e fonti legali a seconda che le
obbligazioni traggano origine dalla volontà degli interessati o siano ricollegati
direttamente alla legge. Le fonti volontarie si riducono all'esplicazione
dell'autonomia negoziale, attraverso negozi unilaterali e mediante contratti. Nelle
fonti legali invece l'obbligazione è riconducibile alla legge.
Soggetti.
Per soggetti si intendono i titolari delle situazioni soggettive di credito e di debito.
Titolare della situazione attiva è il creditore, della situazione passiva è il debitore. I
soggetti esprimono due centri di interessi. Più spesso la titolarità della situazione
attiva o passiva, è formata da una sola persona ma sono frequenti le ipotesi di una
titolarità di situazione composta da più persone, le quali assumono la veste di
contitolari della medesima posizione debitoria o creditoria. Quando la qualità di
debitore e creditore si riuniscono nella stessa persona, l’obbligazione si estingue per
confusione. I soggetti devono essere determinati o determinabili. Se i soggetti non
sono precisamente indicati devono almeno risultare nel titolo i criteri di
determinazione degli stessi. Si pensi alla promessa al pubblico in virtù della quale un
soggetto (debitore) promette una prestazione a favore di chi si trovi in una
determinata situazione o compia una determinata azione. Il debitore è vincolato
dalla promessa appena questa è resa pubblica anche se il creditore sarà noto
successivamente. Può avvenire che la persona del creditore o del debitore muti nel
tempo in quanto l'obbligazione è connessa ad altra situazione soggettiva, per cui il
mutamento della titolarità di quest'ultima comporta mutamento anche della
connessa posizione di credito o di debito. È il fenomeno delle cosiddette
obbligazioni reali per le quali l'acquisto del diritto reale comporta l'assunzione di
obbligazioni accessorie. La rinuncia al diritto reale comporta la liberazione dalla
obbligazione. L’obbligazione reale è un rapporto personale ed obbligatorio. Di
conseguenza il debitore risponde con l'intero suo patrimonio per l'inadempimento
delle obbligazioni maturate con la titolarità del diritto reale.
Contenuto e pretesa.
Contenuto della posizione attiva è la pretesa alla prestazione di un bene, cui si
riconnette il corrispondente obbligo del debitore di attuazione. L'art. 1174 richiede
che la prestazione deve essere “suscettibile di valutazione economica” e
corrispondere a un interesse anche non patrimoniale del creditore. È dunque
fondamentale che la pretesa deve essere sorretta da un interesse del creditore,
anche di carattere non economico. L'interesse del creditore e dunque la pretesa
sono soddisfatti attraverso l'attuazione del contenuto dell'obbligo da parte del
debitore. Ma non mancano i casi in cui l'interesse del creditore è soddisfatto in modi
diversi (adempimento del terzo). Si vedrà peraltro in seguito come in molte ipotesi,
a fonte del comportamento del creditore che non si riceve la prestazione possa
sussistere un interesse del debitore ad eseguire la prestazione e non solo essere
liberato dal vincolo obbligatorio.
La prestazione.
a) Requisiti generali.
L’art. 1174 fissa specificatamente due requisiti della prestazione: la patrimonialità e
la corrispondenza ad un interesse del creditore.
b) Contenuto.
Con riferimento al contenuto della prestazione dovuta, vengono in rilievo
tipicamente tre tipi di prestazioni: dare, fare e consegnare, cui si aggiunge quella di
prestare garanzia.
La prestazione può essere semplice o complessa a seconda che si svolga con un
unico comportamento del debitore oppure con più comportamenti.
Oggetto.
Il codice civile qualifica come oggetto dell'obbligazione la prestazione.
L'interesse del creditore è verso il debitore per conseguire un determinato bene e
cioè una specifica utilità. Solo il bene quale utilità procurata, realizza l'interesse del
creditore, la pretesa alla prestazione è in funzione del conseguimento di una
determinata utilità. Ne consegue che oggetto dell'obbligazione è il bene quale fonte
di utilità. Operano così i vari tipi di obbligazione in ragione di specifici criteri di
osservazione del bene dovuto.
Dovere di correttezza.
Art. 1175: il debitore e il creditore “devono comportarsi secondo le regole della
correttezza”. Si è discusso se il dovere di correttezza sia riconducibile al generale
dovere di buona fede oggettiva che attraversa l'intera dinamica contrattuale e in
generale tutta l'attività privata. In realtà i più recenti sviluppi dottrinali e
giurisprudenziali sono pervenuti ad una riconduzione dei principi di correttezza e
buona fede al generale dovere di solidarietà quale clausola di presidio dell’intera
attività privata. Si è così chiarito, sia a carico del debitore che a carico del creditore,
il dovere giuridico di preservare l'interesse dell'altro, nei limiti in cui ciò non
comporti un apprezzabile sacrificio dell'interesse proprio secondo un criterio di
reciprocità. Vi é dovere di informazione; e l'osservanza, per il debitore di obblighi
accessori o strumentali alla esecuzione della prestazione dovuta. Il creditore deve
favorire la posizione debitoria e non aggravarla consentendo l'esecuzione della
prestazione. Si sviluppa poi un'ulteriore fondamentale principio ossia quello di
inesigibilità nei rapporti obbligatori, in base al quale è ammesso che
l'inadempimento del debitore risulti giuridicamente giustificato se l'interesse che lo
sottende risulti tutelato dall'ordinamento o addirittura dalla costituzione come
valore preminente o superiore a quello perseguito dal creditore.
Obbligazioni naturali.
Dalla nozione ci accorgiamo che queste obbligazioni hanno una singolare natura per
due motivi fondamentali:
Quale che sia la natura giuridica delle obbligazioni naturali scopriamo che l'art. 2034
ne prevede due ipotesi distinte:
La distinzione, operata da parte della dottrina appare fondata, perché se è pur vero
che le conseguenze nei due casi sono identiche (inammissibilità della ripetizione di
quanto prestato), i presupposti sono in parte diversi.
In queste ultime ipotesi, infatti, notiamo che la legge non richiede che il pagamento
del debito di gioco o del debito prescritto sia dovuto in esecuzione di doveri morali o
sociali; chi paga un debito prescritto può anche ignorare che si sia avverata la
prescrizione, ma non per questo può chiedere la ripetizione di quanto prestato; in
merito alla capacità di agire , notiamo che l'art. 2034 la richiede solo per le
obbligazioni naturali in senso stretto, mentre per l'efficacia della prestazione delle
altre non è richiesta. È poi vero che mentre le obbligazioni naturali in senso stretto
possono aversi in una serie indeterminata di casi, le altre sono tutte previste dalla
legge.
Le obbligazioni solidali.
Bisogna escluderla quando le prestazioni sono diverse per ogni debitore o quando
non c'è pluralità di soggetti;
riassumendo e precisando quanto sino ad ora esposto, per aversi obbligazione
solidale sono necessari i seguenti presupposti.
Presupposti:
Nella solidarietà vi sono quindi tanti rapporti per quanti sono i soggetti coinvolti,
rapporti identici, abbiamo detto, ma comunque distinti. Questo vuol dire che vi
possono essere delle differenze tra debitore e debitore in merito alle eccezioni che i
questi possono opporre al creditore.
Abbiamo, quindi, due tipi fondamentali di eccezioni che possono essere opposte al
creditore.
eccezioni comuni: possono essere opposte da uno qualsiasi dei debitore nei
confronti del creditore (nella solidarietà passiva) o da uno qualsiasi dei
creditori nei confronti del debitore (nella solidarietà attiva); ne sono esempi ,
la nullità totale dell'atto da cui è nata l'obbligazione e la prescrizione
eccezioni personali: nella solidarietà passiva possono essere proposte solo da
uno dei debitori al creditore, mentre nella solidarietà attiva il debitore non
può opporre al creditore le eccezioni personali con gli altri creditori; sono
esempi di eccezioni personali la sospensione della prescrizione, lo stato di
incapacità, le eccezioni di annullabilità per vizi del volere
Si occupa delle eccezioni personali l'art. 1297 c.c. , ma chiariamo con un esempio
l'ipotesi più frequente relativa alla solidarietà passiva; poniamo che uno solo dei
debitori in solido era caduto in errore nella stipula del contratto da cui è scaturita
l'obbligazione. Nel caso che proprio a lui venga chiesto l'adempimento, potrà
sempre eccepire l'annullabilità del contratto, cosa che non potranno fare gli altri non
caduti in errore;
rapporti interni: l'obbligazione in solido si divide in parti che si presumono uguali tra
i debitori o i creditori solidali
Ciò significa che se all'esterno ognuno dei debitori (ad es. 5) dovrà dare 50 o ognuno
dei creditori ( ad es. 5) dovrà ricevere 50, nei loro rapporti interni s'intenderà che
ognuno dovrà dare o ricevere 10, salvo, ovviamente, patto contrario. Tale situazione
risulta più evidente nel caso dell'azione di regresso ex art. 1299 c.c. che, seppure
prevista per la sola solidarietà passiva, può essere estesa anche a quella attiva.
azione di regresso: il debitore che ha pagato l'intero debito può ripetere dagli altri
debitore la parte che spettava a ciascuno di loro
Se quindi, nel caso di cui poc'anzi, il debitore ha pagato 50, potrà chiedere ad
ognuno degli altri quattro 10 che, sommati con la sua parte, saranno equivalenti
all'intero debito pagato che era appunto di 50.
La rilevanza della dicotomia inerisce alla prestazione dovuta, in funzione del risultato
da procurare al creditore. Quando sono dedotte in obbligazione due o più
prestazioni è importante stabilire se il debitore sia obbligato ad eseguire tutte le
prestazioni o una sola di esse.
Obbligazioni pecuniarie.
1. a) Uso della moneta: i debiti si estinguono con moneta avente corso legale
nello Stato al tempo del pagamento (art. 1277). È la cosiddetta valuta nella
quale sono espressi i relativi mezzi di pagamento. La moneta unica europea è
l'euro, se la somma dovuta è determinata in una moneta non avente corso
legale nello stato, il debitore ha facoltà di pagare in moneta legale al corso del
cambio nel giorno della cadenza e nel luogo stabilito per il pagamento.
2. b) Valore economico della moneta: è essenziale stabilire il rapporto della
moneta con la realtà economica per verificare l'importo necessario per
estinguere l'obbligazione. In tal modo risulta fondamentale la distinzione tra
debiti di valuta e debiti di valore.
Di regola la moneta è dedotta in obbligazione per il suo valore nominale (debiti di
valuta), secondo cui il pagamento deve avvenire con la moneta espressa e
nell’ammontare indicato, quale che sia il valore economico e dunque il potere di
acquisto nel frattempo assunto dalle stessa. Se la somma dovuta era determinata
in una moneta che non ha più corso legale al momento del pagamento, questo
deve farsi in moneta legale ragguagliata per valore alla prima. È quanto avvenuto
con l'introduzione dell'Euro in luogo della Lira, il principio nominalistico che
abbiamo indicato prima ha il vantaggio di offrire una certezza alla misura del
debito e contiene l’inflazione, ma fa risentire al creditore gli effetti della
svalutazione monetaria, quindi sul creditore grava il rischio di inflazione. Proprio
per ovviare alla rigidità del descritto principio nominalistico, esistono molteplici
meccanismi di riequilibrio della svalutazione monetaria. Sono meccanismi in
grado di garantire al creditore il conseguimento di un valore economico
ragguagliato all'importo fissato al momento della costituzione del rapporto. Tali
meccanismi possono provenire dalla legge o essere concordati tra i privati. Nella
prima direzione possiamo rifarci al divorzio. La sentenza di divorzio prevede che
l'assegno divorzile deve prevedere un criterio di adeguamento automatico
dell'assegno con riferimento agli indici di svalutazione monetaria. Nella seconda
direzione il codice civile consente ai privati di ancorare il pagamento ad una
valuta estera forte. Se la moneta non avente corso legale nello stato è indicata
con clausola “effettivo” o altra equivalente, il debitore è tenuto a pagare con tale
moneta, salvo che a scadenza dell'obbligazione non sia possibile procurarsi la
stessa.
Fonte è tasso degli interessi. Gli interessi possono derivare dalla legge (interessi
legali) oppure essere previsti dagli usi o fissati dalle parti (interessi convenzionali).
Per gli interessi convenzionali sono pattuiti tra creditore e debitore all’atto della
costituzione del rapporto obbligatorio o successivamente. Essendo necessaria la
forma scritta ab substantiam, è a tal fine inidonea una ricognizione del debito, che è
atto successivo alla nascita del debito. E’ sufficiente che nel documento risulti una
indicazione per relazionem del tasso di interesse. In ogni caso gli interessi non
possono essere usurari, in tal modo la clausola è nulla e non sono dovuti interessi
(art. 1815).
Interessi anatocistici.
In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal
giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro
scadenza, e sempre che si tratti di interesse dovuto almeno per sei mesi (art. 1283).
E’ il fenomeno dell’anatocismo: il termine indica la maturazione di interessi su
interessi (interessi composti). Gli interessi scaduti, cioè maturati, e non pagati
diventano capitale sicchè sono suscettibili di produrre al loro volta interessi. Il codice
civile ammette l'anatocismo ma lo sottopone a penetranti limiti. L'anatocismo può
operare solo con riguardo agli interessi scaduti e dovuti almeno per sei mesi. Quanto
alla fonte gli interessi anatocistici vanno pattuiti con convenzione posteriore alla
scadenza degli interessi semplici ovvero vanno richiesti con domanda giudiziale.
25
Modificazioni del rapporto obbligatorio.
Generalità.
Durante la vita del rapporto obbligatorio possono determinarsi delle modificazioni
che vanno a configurare nuovi soggetti, sia nel lato attivo sia nel lato passivo del
rapporto obbligatorio. Un esempio di mutamento di soggetti si può osservare nella
successione per causa di morte dove gli eredi subentrano nelle universalità o in una
quota del defunto e i legatari nei singoli rapporti.
Più rare invece si presentano invece le modificazioni dell'oggetto dell'obbligazione.
Il creditore può trasferire il proprio credito, anche senza il consenso del debitore, ad
un terzo. Tale trasferimento si perfeziona con il consenso tra il creditore (cedente) e
il terzo (cessionario) senza accettazione da parte del debitore. Il trasferimento del
credito può essere a titolo oneroso o a titolo gratuito.
L'art. 1376 nel regolare i contratti ad efficacia reale assimila al trasferimento di
proprietà di una cosa, il trasferimento di un'altra diritto che può essere proprio un
diritto di credito. L'art. 1470 nel definire il contratto di vendita, ha per oggetto il
trasferimento di proprietà di una cosa è il conseguente trasferimento di un'altra
diritto che può essere un diritto di credito. Un diritto di credito può essere trasferito
anche in luogo dell'adempimento di una diversa obbligazione (c.d. solutoria) così
integrandosi una ipotesi di d'azione in pagamento espressamente prevista dall'art.
1198. Il credito inoltre può essere anche oggetto di confisca da parte
dell'ordinamento giuridico.
L'efficacia.
Il factoring.
La legge 52/1991 ha introdotto una nuova normativa speciale per la cessione dei
crediti di impresa. I requisiti affinché si applichino tali regole sono:
Cominciamo allora, a vedere la prima di queste ipotesi, quella dell'art. 1201 c.c.
Negli altri due casi di surrogazione, il semplice pagamento non bastava a produrre la
surrogazione, ma era necessaria la volontà del creditore o del debitore, qui invece il
pagamento non produce l'estinzione dell'obbligazione ex art. 1180 c.c. ma la
surrogazione automatica, ope legis, di chi a pagato nella posizione di creditore; si
tratta di ipotesi eccezionali, proprio perché derogano alla regola dell'art. 1180.
Analizziamo l'esempio fatto;
poniamo che c'è un creditore ipotecario, e un altro creditore (anche chirografario)
dello stesso debitore;
il creditore ipotecario è preferito sia rispetto ai creditori chirografari, sia rispetto agli
altri creditori ipotecari sullo stesso bene, ma di grado successivo al suo;
poniamo allora che un creditore chirografario, sapendo che difficilmente sarà
pagato perché c'è un creditore ipotecario prima di lui, vada da questo e gli dica:
" Salve Sempronio! Io sono Mevio, il creditore di Tizio, come lo sei tu, che però sei
garantito da ipoteca; Tizio ti deve 1.000, ecco i 1.000!"
Ciò fatto, Mevio assumerà la stessa posizione di Sempronio per effetto di legge;
ovviamente abbiamo semplificato l'ipotesi, perché il tutto deve coordinarsi con la
specifica disciplina dell'ipoteca, ma il principio è quello indicato nell'esempio.
Delegazione attiva.
La legge provvede alla sola delegazione attiva che incide sul lato passivo del
rapporto, ma ciò non toglie che possa svilupparsi anche dal lato attivo del rapporto.
In tal caso l'iniziativa della delega è presa dal creditore (delegante) che conferisce
l'incarico al debitore (delegato) di conferire il credito ad un terzo (delegatario). Il
debitore conseguendo il credito verso il delegatario è sciolto dal vincolo obbligatorio
con il creditore. Il creditore non cede il diritto ad un terzo, ma conferisce l'incarico al
debitore di conseguirlo al terzo stesso. Il terzo non si qualifica come cessionario in
quanto non acquista il credito ma ne consegue ugualmente l'oggetto della
obbligazione. La delegazione attiva è molto frequente nei casi in cui il creditore sia a
sua volta debitore di un terzo.
Delegazione passiva
Espromissione
Accollo
Delegazione passiva.
Si è visto come nella delegazione attiva l'iniziativa della delega è presa dal creditore.
Nella delegazione passiva l'iniziativa è presa dal debitore. In particolare il debitore
(delegante) conferisce l'incarico ad un terzo (delegato) di adempire o di promettere
di adempire all'obbligazione nei confronti del creditore (delegatario). Se
l'obbligazione è di adempire allora si tratta di delegazione di pagamento con cui il
terzo, attraverso una sua prestazione economica e nei confronti del creditore, libera
il debitore originario. Se l'incarico è di promettere di adempire il terzo si aggiunge
nella posizione debitoria accanto al debitore originario o in sostituzione dello stesso.
Quanto alla funzione la delegazione passiva realizza scopi diversi. Spesso è rivolta
alla concentrazione delle prestazioni. Esempio se Tizio è debitore verso Caio ma
creditore verso Sempronio, è sufficiente che Sempronio adempia nei confronti di
Caio per estinguere entrambi i rapporti. Talvolta la delegazione è accompagnata da
una concessione di un mutuo del terzo al debitore. Esempio non essendo il debitore
in grado di adempiere, può incaricare un terzo di pagare il creditore anticipando i
fondi necessari. Può avvenire che il terzo esegua l'ordine di pagamenti a titolo
gratuito.
Quanto alla estinzione della delegazione, sia in caso di delegazione di pagamento sia
nel caso di delegazione di debito, il debitore originario può revocare la delegazione,
fino a quando il terzo non abbia adempiuto o assunto l'obbligazione nei confronti
del creditore. Il terzo può adempire o assumere il debito verso il creditore anche
dopo la morte del debitore originario o in caso di incapacità del debitore originario.
Espromissione.
L'espromissione è un contratto tra terzo e creditore. Il terzo assume nei confronti
del creditore il debito dell'debitore originario senza ordine del debitore oppure
laddove esista la delega del debitore originario, il creditore non ne venga a
conoscenza. Il terzo che assume il debito nei confronti del creditore in nome del
debitore originario è obbligato in solido col debitore originario se il creditore non
dichiara espressamente di liberarlo. Un esempio di espromissione può essere
l'azione compiuta dal genitore per conseguire il pagamento dell'obbligazione
assunta dal figlio nei confronti del creditore.
Anche l'espromissione fa in modo che il terzo si affianchi al debitore originario nella
posizione obbligatoria dando luogo all'assunzione comulativa, ma a sua volta
l'espromissione puo essere anche liberatoria con la conseguente liberazione del
debitore originario nei confronti del creditore.
Per quanto riguarda le eccezioni, in mancanza di una delegazione da parte del
debitore originario, si esclude che possano essere opposte al creditore.
Accollo.
L'accollo è un contratto tra debitore e terzo con il quale il terzo assume nei confronti
del creditore il debito del debitore originario. In tale rapporto il creditore si trova in
una posizione esterna. L'accollo può derivare da varie giustificazioni, ad esempio il
terzo può decidere di assumere il debito altrui per estinguere il suo debito verso il
debitore, o per compiere in suo favore un'operazione di finanziamento o anche solo
per spirito di liberalità. L'accollo può essere interno ed esterno.
L'accollo interno non è regolato dal codice civile ma presenta una sua
elaborazione dalla giurisprudenza e dalla dottrina. Si svolge tra il terzo e il
debitore rimanendo estraneo dal rapporto di accollo il creditore. Il terzo
assume nei confronti del debitore l'obbligo di tenerlo indenne dal peso del
debito. Terzo e debitore possono modificare in ogni momento convenzione di
accollo senza l'intervento del creditore. Nel caso di mancata osservanza
dell'obbligo il terzo risponde dell'inadempimento verso il debitore originario e
non verso il creditore.
L'accollo esterno è l'unico previsto dalla legge e rappresenta la figura più
complessa di questa fattispecie. La convenzione di accollo oltre che
interessare debitore e terzo, interessa anche al creditore che può aderire alla
convenzione stipulata. Come ogni altra assunzione del debito altrui l'accollo
può essere cumulativo o liberatorio. Nel caso di accollo liberatorio si prevede
nella convenzione la liberazione dall'obbligazione del debitore originario da
parte del creditore. In ogni caso il creditore, in assenza della dichiarazione di
liberazione, può liberare il debitore originario per dichiarazione espressa. Il
creditore che ha aderito all'accolo liberatorio non ha azione contro il debitore
originario in caso di insolvenza del terzo. Se però l'accollante era già
insolvente al tempo in cui assunse il debito, il debitore originario non sarà
liberato dall'obbligazione. Quanto alle eccezioni si è visto che il creditore
aderisce al contratto di accollo e perciò si adegua a tutte le eccezioni che vi
inseriscono debitore e terzo. Perciò il terzo può opporre al creditore tutte le
eccezioni previste nella convenzione di accollo ed anche in assenza di una
espressa previsione di eccezioni, il terzo può far valere nei confronti del
debitore le eccezioni relative al rapporto tra debitore originario e creditore.
Modificazioni oggettive.
La modificazione oggettiva ha riguardo ad una modificazione del contenuto o
dell’oggetto della medesima obbligazione. Le modificazioni dell’oggetto
dell’obbligazione non importano estinzione della stessa.
Surrogazione reale.
Un fenomeno di surrogazione reale si ha in conseguenza della impossibilità
sopravvenuta della prestazione dovuta. Il creditore divenuta impossibile, subentra
nei diritti spettanti al debitore in dipendenza del fatto che ha causato l'impossibilità,
e può esigere dal debitore la prestazione di quanto questi abbia conseguito a titolo
di risarcimento danni.
26
Estinzioni del rapporto obbligatorio.
Tipologia dei modi di estinzione.
Adempimento.
L'adempimento è atto dovuto dal debitore. Rappresenta il normale modo di
attuazione del rapporto obbligatorio in quanto realizza il diritto del creditore
mediante l'esecuzione della prestazione da parte del debitore facendo conseguire al
creditore il bene oggetto dell'obbligazione. In tal modo l'adempimento rappresenta
una vicenda satisfattiva. Il debitore che ha eseguito la prestazione non può
impugnare l'adempimento per incapacità proprio perché è tenuto comunque a
procurare il bene al debitore. L'adempimento può essere compiuto personalmente
dal debitore o mediante un mandatario o altro soggetto legittimato
all'adempimento. Principio generale è che il debitore risponde dei mandatari circa le
cause di adempimento dell'obbligazione. Esistono poi soggetti legittimati dalla legge
all'adempimento esempio è il rappresentate legale del soggetto incapace oppure
l'organo giudiziario. Le spese dell'adempimento sono a carico del debitore. Il
debitore che ha adempiuto ha diritto alla quietanza ossia un documento formale che
attesta l'avvenuto pagamento del bene oggetto dell'obbligazione.
La legge richiede che la prestazione sia eseguita in modo esatto. Il debitore che non
esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se
non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità
della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
Una diligenza generale ossia la diligenza del buon padre di famiglia, uomo
comune, accorto ed equilibrato nella cura dei suoi interessi.
Una diligenza tecnica che opera con riferimento al mondo delle impresa e
delle professioni che implica conoscenza e perizia tecnica nell'espletamento
dell'attività economica professionale.
Altro requisito fondamentale è la correttezza che a differenza della diligenza
nell'adempimento che interessa solo il debitore, interessa sia il creditore che il
debitore che sono obbligati a comportarsi secondo le regole della correttezza.
Requisiti specifici.
Dazione in pagamento.
Di particolare importanza risulta la dazione in pagamento secondo cui il debitore
non può liberarsi dalla obbligazione eseguendo una prestazione diversa da quella
dovuta anche se di valore uguale o maggiore senza che il creditore lo consenta. Con
la dazione in pagamento si realizza l'interesse del creditore ma con la sostituzione
del bene originario oggetto della precedente obbligazione. In tal modo la dazione in
pagamento si distingue dalla novazione. Ai fini della realizzazione dell'interesse del
creditore rileva la volontà dello stesso di conseguire un bene diverso da quello
originario. In tal modo l'obbligazione si estingue quando la diversa prestazione è
eseguita. Se la dazione consiste nel trasferimento della proprietà o di altro diritto
reale il debitore è tenuto alla garanzia per evizione e per vizi secondo le norme della
vendita salvo che il creditore preferisca esigere la prestazione originaria e il
risarcimento del danno. Se la dazione consiste nella cessione del diritto di credito
l'obbligazione si estingue con la riscossione del credito ceduto. Il cedente deve
garantire la solvenza del debitore. Quando la dazione in pagamento non ha prodotto
l'effetto sperato è possibile far valere il diritto di credito originario con le garanzie
prestate dal debitore.
L'articolo 1206 del codice civile indica le condizioni alle quali può aversi mora del
creditore; si tratta di una situazione atipica in cui creditore, invece di ottenere
quanto gli è dovuto, rifiuta o ostacola l'adempimento del debitore.
Questa situazione, per quanto paradossale possa sembrare, spesso si verifica nella
realtà, in quanto il creditore, per i motivi più vari, cerca di mantenere una posizione
di supremazia nei confronti della persona del debitore, supremazia che appunto gli
deriva dall'esistenza del vincolo obbligatorio.
Il codice civile parla di " mora del creditore " accostandola, almeno dal punto di vista
terminologico, alla ben più frequente mora del debitore.
In realtà si tratta di situazioni completamente differenti, perché il creditore non è
obbligato ma solo onerato a ricevere la prestazione, mentre il debitore è obbligato
ad adempiere; tuttavia il comportamento del creditore può causare difficoltà e
danni al debitore che per questo motivo deve avere il modo di liberarsi
dall'obbligazione anche quando il creditore non voglia.
Vediamo schematicamente le varie fasi che portano alla liberazione del debitore;
Compensazione.
La compensazione si verifica quando due persone sono obbligate una verso l'altra
per debiti e crediti reciproci; in questo caso i reciproci debiti e crediti si estinguono
per le quantità corrispondenti.
L'articolo 1246 del codice civile indica i casi in cui la compensazione non si verifica,
nonostante l'esistenza delle altre condizioni previste dalla legge. In particolare si
vieta la compensazione per i crediti per cui il proprietario sia stato ingiustamente
spogliato, per la restituzione di cose depositate o date in comodato, per crediti
dichiarati impignorabili, per rinunzia alla compensazione e negli altri casi in cui il
divieto è stabilito dalla legge come nell'ipotesi in cui il credito abbia natura
alimentare.
Confusione.
La confusione ha luogo quando la qualità di creditore e debitore si riuniscono nella
stessa persona. Ad esempio un soggetto che è creditore verso un altro soggetto ma
poi successivamente diventa suo erede oppure un imprenditore che è creditore
verso altro imprenditore, acquista la sua azienda. In entrambe le ipotesi lo stesso
soggetto assume la qualifica di debitore e di creditore. La riunione nella stessa
persona del creditore ed del debitore porta all'estinzione dell'obbligazione per
confusione.
Novazione.
Con la remissione del debito il creditore rinunzia in tutto in parte al suo credito nei
confronti del debitore. La comunicazione al debitore della remissione fa estinguere
l'obbligazione salvo che il debitore dichiari in un congruo termine di non volerne
profittare.
Come si vede dalla nozione, con la remissione del debito si provoca l'estinzione
dell'obbligazione in base alla dichiarazione unilaterale espressa dal creditore. Per
questo motivo la dottrina prevalente ritiene la remissione del debito negozio
unilaterale recettizio, e non contratto; tuttavia il debitore può far venir meno di
effetti della remissione con efficacia retroattiva, comunicando in un congruo termine
di non volerne profittare.
Quanto alle garanzie, la rinunzia alle stesse non fa presumere la remissione del
debito (1238). Viceversa la remissione accordata dal debitore principale libera i
fideiussori (1239).
Diversamente dalla remissione si atteggia il Pactum de non petendo con il quale il
creditore si obbliga a non chiedere al debitore l’adempimento prima di un dato
tempo.
Si distinguono quindi:
In entrambi gli illeciti consegue dunque la responsabilità civile per i danni prodotti
con l'obbligo di risarcimento del danno per il soggetto responsabile. Non mancano
però alcuni casi in cui sussistano entrambe le responsabilità. Per esempio, in un
contratto di trasporto, il viaggiatore che ha subito sinistri può far valere sia la
responsabilità contrattuale del vettore, sia la responsabilità extracontrattuale del
conducente sia la responsabilità solidale del proprietario.
L'adempimento coattivo.
In ogni caso il fatto che il debitore si sia reso inadempiente, costringendo il creditore
ad un’azione giudiziaria per il soddisfacimento del suo interesse, consegua o meno il
medesimo bene dedotto in obbligazione, integra un illecito civile da inadempimento
che obbliga il debitore al risarcimento del danno.
1) L'art. 1223 del cod. civ. dispone che il risarcimento del danno è dovuto per la
perdita subita e il mancato guadagno subito dal creditore quando vi siano
conseguenze immediate e dirette. Deve sussistere quindi un rapporto di causa
effetto tra perdita subita e mancato guadagno. Il debitore risponde dei danni
di conseguenza immediata e diretta.
Il rapporto di causa effetto, detto anche nesso di causalità, non può mancare per far
sorgere la responsabilità. Bisogna considerare inoltre come il debitore ha posto in
essere l'inadempimento ossia se derivi da una responsabilità colposa o dolosa. Se la
responsabilità è dolosa il debitore risponde sia dei danni prevedibili che dei danni
imprevedibili. Se l'inadempimento deriva da colpa il debitore risponde solo dei danni
prevedibili. In caso di responsabilità extracontrattuale il debitore risponde anche dei
danni imprevedibili.
Teoria della conditio sine qua non, per la quale si considerano tutte le cause
idonee o produrre un certo effetto. Di conseguenza il debitore potrebbe
essere sempre responsabile dei danni subiti al creditore.
Teoria della causalità adeguata, meno rigorosa dal punto di vista scientifico
ma più idonea dal punto di vista giuridico. Questa teoria prende in
considerazione come causa di un certo fatto solo quella idonea a produrlo.
La seconda teoria è quella più seguita dalla giurisprudenza. Secondo questa ultima
tesi il debitore non è responsabile dei danni subiti dal creditore quando
l'inadempimento provenga da una causa non imputabile al debitore stesso. In tal
modo si avrebbe una interruzione del nesso di causalità e il debitore non sarebbe
responsabile per i danni subiti dal creditore. Accogliendo la teoria della causalità
adeguata, si afferma che non sono attribuibili al debitore i danni causati da fattori
eccezionali che per essere tali sono anche imprevedibili. Ragionando in tal modo si
andrebbe a svuotare la previsione secondo cui il debitore che agisce con dolo è
responsabile anche dei danni imprevedibili. In presenza quindi dell'interruzione del
nesso di causalità si provoca sempre la mancanza di responsabilità del debitore
limitata solo alle conseguenze prevedibili. Del problema se ne accorta la
giurisprudenza che pure accogliendo la teoria della causalità adeguata, riconosce
l'esistenza del nesso di causalità anche quando, secondo la teoria dell'adeguatezza
causale, questo andrebbe escluso, comprendendo fra i danni provocati dal debitore
anche fattori che possono considerarsi eccezionali.
Tornando alla quantificazione del risarcimento del danno, l'art. 1223 dispone che
deve comprendere sia la perdita subita e mancato guadagno.
I due concetti vengono anche indicati come danno emergente e lucro cessante
Danno emergente lucro cessante individuano, quindi, due concetti diversi anche dal
punto di vista temporale in quanto il primo si è già prodotto mentre il secondo, cioè
il lucro cessante, deve ancora prodursi o, meglio, indica un guadagno che si sarebbe
prodotto se non vi fosse stato inadempimento del debitore. Possiamo parlare di
lucro cessante quando, ad esempio, il creditore non riesca a ottenere un
macchinario dal debitore. In questo caso il debitore dovrà risarcire anche il mancato
guadagno che il creditore avrebbe realizzato se la macchina fosse stata fornita e
utilizzata per la sua attività.
Può accadere, infine, che il danno sia stato anche cagionato per l'attività colposa del
creditore o dalla sua negligenza.
Questa ipotesi, tutt'altro che infrequente nella realtà, è disciplinata dall'articolo
1227 c.c. secondo cui:
se il creditore colposamente ha contribuito a provocare il danno, il
risarcimento dovuto dal debitore è diminuito secondo la gravità della colpa
del creditore e delle conseguenze che ne sono derivate;
se il creditore, usando l'ordinaria diligenza, avrebbe potuto evitare il prodursi
del danno, non avrà diritto al suo risarcimento.
Ricordiamo, infine, una sorta di norma di chiusura contenuta nell'art. 1226 del
codice civile; si prevede la possibilità che nonostante l'accertamento del danno, non
si riesca a provarlo nel suo preciso ammontare; in tal caso il giudice lo liquida
secondo equità.
Con la purgazione della mora ne terminano gli effetti sfavorevoli con la cessazione
del decorso degli effetti moratori, e del rischio dell'impossibilità sopravvenuta in
capo al debitore.
28
Responsabilità patrimoniale del debitore.
Garanzia del credito e responsabilità del debitore.
Parlando dei tratti generali che costituiscono l'obbligazione abbiamo visto che in un
tale rapporto la prestazione del debitore, suscettibile di valutazione economica, al
creditore può corrispondere ad un interesse patrimoniale e non patrimoniale.
Quando il debitore si rende inadempiente, impedendo così al creditore di soddisfare
un proprio interesse, quest'ultimo per conseguire il bene oggetto dell'obbligazione
può ricorre a forme coattive legittimate dall'ordinamento per soddisfare il proprio
interesse. In tal mondo esso può rivalersi sul patrimonio del debitore. L'art. 2740
afferma che il debitore risponde dell'inadempimento delle obbligazioni con tutti i
suoi beni presenti e futuri. Si parla in definitiva di una responsabilità patrimoniale
del debitore. Il patrimonio del debitore difatti costituisce una garanzia per il
creditore di riscuotere il credito. Quando il patrimonio del debitore è esiguo rispetto
al valore del credito e quindi viene impedita l'esecuzione coattiva, questo può
ricorre all'intervento di terzi che garantiscono per il debitore.
Espropriazione forzata.
Di regola con una sola sentenza viene accertato l'inadempimento del debitore ed
emessa così la condanna del debitore al pagamento di una somma di danaro al
creditore in sostituzione dell'obbligazione originaria inadempiuta con l'aggiunta dei
relativi danni. La sentenza diviene quindi il titolo esecutivo che consente al creditore
di promuovere l'azione esecutiva di espropriazione forzata dei beni del debitore. Il
procedimento è regolato dall'art. 483 del codice di procedura civile. Tale
procedimento prende forma inizialmente con il pignoramento del bene. Tale
pignoramento interessa frutti del bene, pertinenze ed accessori. Tuttavia non tutti i
beni sono soggetti a pignoramento. Ne sono esclusi quelli destinati al culto, alla
sfera esistenziale del soggetto e gli strumenti professionali. Quando il valore dei beni
pignorati è superiore al valore del credito il giudice può disporre una riduzione del
pignoramento. Se l'esecuzione non perviene ad esaurimento perché il debitore ad
esempio ha pagato il suo debito, gli atti di alienazione dei beni pignorati rimangono
efficaci nei confronti dei terzi. In ogni caso sono salvi gli effetti del possesso di buona
fede da parte del terzo per i beni mobili non registrati mentre per i beni immobili e
mobili registrati è decisiva la trascrizione del pignoramento. L'atto di pignoramento
va trascritto nei registri immobiliari. La trascrizione ha effetto per 20 anni, l'effetto
cessa ipso jure se la trascrizione non viene rinnovata prima della scadenza del
termine. Successiva al pignoramento è la vendita forzata del bene per conseguire
una successiva liquidità che andrà a soddisfare per legge prima i creditori che
vantano una causa legittima di prelazione e successivamente i creditori chirografari
secondo la regola della par conditio.
La riforma del 2006 ha avuto come scopo primario quello di salvataggio dell’impresa
in crisi e di riabilitazione del fallito per la ricchezza che è ancora suscettibile di
produrre in favore dei creditori e dell’economia in genere e per i posti di lavoro che
è ancora in grado di assicurare.
b) una particolare forma di procedura collettiva è la liquidazione coatta
amministrativa, per particolari tipi di impresa. In ragione della natura degli interessi
coinvolti la procedura, diversa dal fallimento, opera, non solo in ipotesi di crisi
economica, ma anche per irregolarità di gestione.
c) L’imprenditore che si trova in stato di insolvenza, fino alla data di dichiarazione di
fallimento, ricorrendo determinati presupposti, può proporre ai creditori un
concordato preventivo. Se il tribunale riconosce ammissibile la proposta, delega un
giudice alla procedura e nomina il commissario giudiziale che vigila
sull’amministrazione dei beni da parte del debitore durante la procedura.
Tale azione si rivolge verso il debitore inerte nella cura del patrimonio. Il debitore
carico di debiti potrebbe non trovare più interessi nel riscuotere i crediti di terzi
poiché è consapevole che eventuali accrescimenti del patrimonio, ma anche la
stessa conservazione, sarebbero solo di vantaggio al creditore. In tal modo il
creditore per evitare che il patrimonio vada a deperirsi e per assicurare le eventuali
garanzie sul patrimonio del debitore, si sostituisce ad esso per conseguire i debiti
verso i terzi. Affinché si realizzi la procedura dell'azione surrogatoria è necessario:
Il risultato dell'azione surrogatoria avvantaggia tutti i creditori e non solo quello che
abbia agito.
Azione revocatoria.
Tale azione si rivolge verso il debitore malizioso che depaupera il patrimonio. È una
pratica molto diffusa che il debitore tenda a sottrarre intenzionalmente beni al suo
patrimonio per evitare l'aggressione dei creditori simulando una alienazione o
compiendo effettivamente una alienazione di singoli beni a terzi pur di ricavarne
qualcosa. L'azione revocatoria quindi a differenza dell'azione surrogatoria interessa
un soggetto attivo che appunto intenzionalmente vuole ridurre il suo patrimonio.
L'azione revocatoria è un atto che impedisce tale pratica. Non è necessario che il
credito sia attuale e liquido ma è sufficiente che esista. Per realizzarsi l'azione
revocatoria deve avere due presupposti ossia un presupposto oggettivo e
soggettivo.
L'azione revocatoria si prescrive in 5 anni dalla data dell'atto dispositivo. Il profilo più
delicato è il regime della prova dei presupposti soggettivi. Principio generale è che la
buona fede è presunta al momento dell'acquisto. Quindi al creditore che agisce in
revocatoria incombe l'onere di provare non solo i presupposti oggettivi ma anche lo
stato soggettivo del terzo e del debitore.
Sequestro conservativo.
Il giudice su istanza del creditore che ha fondato timore di perdere la garanzia del
proprio credito, può autorizzare il sequestro di un immobile, mobile o somme di
denaro del debitore nei limiti in cui la legge permette il pignoramento. Affinché si
realizzi il sequestro conservativo devono concorrere due presupposti.
Innanzitutto deve esistere una ragionevole fondatezza del diritto vantato dal
creditore per evitare abusi sia sul debitore sia sul patrimonio di quest'ultimo.
Deve sussistere un timore fondato di perdere la garanzia patrimoniale del
debitore ricavabile dal comportamento di quest'ultimo volto al deperimento
totale del patrimonio.
Come abbiamo visto possono formare oggetto di sequestro beni mobili, immobili,
somme di denaro, partecipazioni sociali ecc. Il sequestro sugli immobili si esegue con
la trascrizione del provvedimento nei registri immobiliari del luogo in cui sono
situati. Analogamente per i beni mobili registrati si prevede la trascrizione del
provvedimento su appositi registi. Con il sequestro si realizza un vincolo di
indisponibilità del bene per il debitore. Il debitore è privato della disponibilità
materia della cosa che è affidata ad un curatore, potrebbe essere lo stesso debitore.
Il provvedimento di sequestro conservativo di beni immobili va trascritto sui registri
immobiliari ed ha effetto per 20 anni. L'effetto cessa ipso jure se la trascrizione non
è rinnovata prima che scada il suddetto termine.
Il debitore ha diritto di controllare la gestione dei bei ceduti da parte dei creditori e
di ottenere un rendiconto alla fine della liquidazione o alla fine di ogni anno se la
gestione dura più di un anno. Inoltre può recedere sempre il contratto offrendo il
pagamento del capitale e degli interessi e rimborsando ai creditori le spese di
gestione. I creditori a loro volta hanno diritto a chiedere l'annullamento del
contratto se il debitore, dichiarando di cedere tutti i suoi beni, ha occultato una
parte consistente degli stessi.
Anticresi.
L'anticresi è il contratto con cui il debitore o un terzo si obbliga verso un creditore a
consegnare un immobile al creditore a garanzia del credito, affinché il creditore ne
percepisca i frutti imputandoli agli interessi, se dovuti e quindi al capitale. È un
contratto legato essenzialmente ad una economia agricola attraverso cui il creditore
viene soddisfatto del proprio interesse attraverso i frutti procurati dall'immobile.
Perciò oggi è di rara applicazione. Il creditore anticretico ha l'obbligo di conservare,
coltivare e amministrare il fondo da buon padre di famiglia. L'anticresi dura finché il
creditore sia stato completamente soddisfatto del suo credito, in ogni caso non può
perdurare più di 10 anni. Se il bene costituito in anticresi è espropriato da altri
creditori, il creditore anticretico non è preferito agli altri ma concorre con gli essi
secondo la par conditio. Il contratto deve essere stipulato in forma scritta, pena
annullamento ed essere soggetto a trascrizione. Il contratto di anticresi si presta
molto spesso ad aggirare il divieto del patto commissorio laddove si consegna
l'immobile, al termine della scadenza dei pagamenti se il debitore non ha adempiuto
alla obbligazione, al creditore che ne ottiene il possesso. L'ordinamento come
abbiamo già visto vieta il patto commissorio dichiarandone la nullità di qualunque
patto anche posteriore al contratto che comporta l'acquisto dell'immobile da parte
del creditore nei casi in cui il debitore non adempi all'obbligazione. Con l'anticresi si
estingue l'obbligazione con il pagamento prima degli interessi e poi dell'intero
capitale.
Rimedi di autotutela.
29
Cause legittime di prelazione.
Si è visto che nei casi in cui concorrono più creditori sul medesimo patrimonio del
creditore, tutti i creditori devono essere soddisfatti in maniera paritaria secondo il
principio della par conditio creditorum. Quando il patrimonio risulta insufficiente per
soddisfare tutti i creditori questi devono essere soddisfatti in maniera proporzionale.
È molto diffusa l'ipotesi in cui sul medesimo patrimonio oltre che rivalersi i normali
creditori vi siano alcuni che presentino su determinati beni cause legittime di
prelazione. Si tratta quindi di garanzie specifiche che portano a soddisfare prima i
creditori che presentano tali caratteristiche e poi i creditori con garanzie generiche
detti anche creditori chirografari. Quando i beni su cui vertono cause legittime di
prelazione non risultino essere sufficienti a soddisfare interamente il creditore,
questo può rivalersi sul patrimonio del debitore per soddisfare il credito residuo
insieme ai creditori chirografari in modo proporzionale.
regola della tipicità delle cause di prelazione. Per l’art. 2741 sono cause
legittime di prelazione i privilegi, il pegno e le ipoteche. Pegno e ipoteca sono
garanzie reali per inerire ad uno specifico bene; diversamente operano i
privilegi.
surrogazione dell’indennità della cosa: se la cosa soggetta a garanzia perisce o
si deteriora e la stessa risulta assicurata, il creditore può soddisfarsi sulla
corrispondente indennità pagata dall’assicuratore. Art. 2742. La surrogazione
reale realizza una vicenda modificativa oggettiva dell’obbligazione
decadenza del debitore dal termine: anche se il termine è fissato a favore del
debitore, il creditore può esigere immediatamente la prestazione e il debitore
è divenuto insolvente o ha diminuito, per fatto proprio, le garanzie che aveva
dato o non ha dato le garanzie che aveva promesso.
Privilegi.
credito con privilegio speciale immobiliare ----> prevale sul credito garantito da
ipoteca
credito con privilegio speciale mobiliare <---- non prevale sul credito garantito da
pegno
I casi riportati in tabella sono quelli previsti dall'articolo 2748 del codice civile e sono
validi in via generale, nel senso che possono essere derogati da speciali disposizioni
di legge che dispongano diversamente.
Se poi concorrono più creditori tutti egualmente privilegiati, l'articolo 2782 del
codice civile stabilisce che questi saranno soddisfatti in proporzione dell'importo del
loro credito.
Pegno.
Il pegno è un diritto reale di garanzia su beni mobili costituito dal debitore o dal
terzo a garanzia dell'obbligazione.
Oggetto del pegno sono beni mobili, universalità di beni mobili, crediti e altri diritti
aventi ad oggetto beni mobili. Il pegno è indivisibile e garantisce il credito finché
questo non sia stato completamente soddisfatto anche se il debito o la cosa data in
pegno sia divisibile.
Il pegno viene costituito mediante spossamento, colui che costituisce il pegno deve
consegnare la cosa o il documento che costituisce l'esclusiva disponibilità della cosa
o del diritto al creditore. Si tratta di un contratto reale che si perfeziona con la
consegna della cosa o del documento. La cosa o il documento possono essere
consegnati anche al terzo destinato dalle parti a riceverla in custodia in modo che sia
negata a colui che ha costituito il pegno la disponibilità senza cooperazione del
creditore. I terzi che acquistano dal debitore diritti su un bene mobile non registrato
non in suo possesso non possono invocarne la tutela. In modo analogo gli altri
creditori non possono fare affidamento alla espropriazione su un bene che non è nel
possesso.
Nel pegno di crediti la prelazione ha luogo solo quando il pegno risulta da atto
scritto che sia stato notificato al debitore e accettata la notificazione con scrittura
avente data certa. Per pegni di diritti diversi da crediti si ha il trasferimento di singoli
diritti.
Il pegno costituisce un vincolo di destinazione sul bene finalizzato alla garanzia del
credito. Sul bene pignorato quindi si avrà un diritto reale di garanzia che attribuisce
un diritto di prelazione assistito da un diritto di seguito. Il creditore ha diritto di farsi
pagare in prelazione sulla cosa ricevuta in pegno. La prelazione non si può far valere
se la cosa non è rimasta in possesso del creditore o presso il terzo designato. Il
creditore non acquista la proprietà del bene ricevuto in pegno che rimane dunque al
debitore. Egli nei confronti del bene pignorato ha un dovere di gestione e
conservazione del bene in vista della restituzione del bene in seguito
all'adempimento del debitore. Il creditore senza il consenso del costituente non può
usare la cosa data in pegno con un fine diverso dalla conservazione. In tal modo non
può darla ad altri in pegno ne concederne il godimento ad altri. Se il debitore rimane
inadempiente, il creditore può far vendere la cosa data in pegno. Prima della vendita
deve però intimare il debitore al pagamento del debito e gli accessori, in mancanza
si procederà alla vendita. Quando il credito garantito eccede la somma di euro 2,58
la prelazione non può essere esercitata se il pegno non ha forma scritta.
Il creditore è tenuto a restituire il pegno solo dopo che siano stati interamente
pagati il capitale, gli interessi e il rimborso per le spese relative al debito e al pegno.
Se però il debitore ha nei confronti del creditore un debito ulteriore sorto dopo la
costituzione del pegno e ormai scaduto, il creditore ha diritto alla ritenzione a
garanzia del nuovo credito.
Pegni atipici.
Nella esperienza generale sono diffuse pratiche in deroga ai principi generali delle
garanzie reali.
Il pegno omnibus è una figura utilizzata nella prassi bancaria. Si tratta di una
clausola con cui la banca estende la garanzia su tutti i beni di pertinenza del
cliente a garanzia di un suo credito presente o futuro.
Con il pegno rotativo le parti provvedono a sostituire i beni originarimante
costituiti in garanzia con altri beni.
Con il pegno irregolare il debitore consegna al creditore cose fungibili (danaro,
o titoli) che il creditore acquista in proprietà e che il creditore è tenuto a
restituire nello stesso genere e nella stessa quantità successivamente alla
estinzione del rapporto obbligatorio. Il pegno irregolare, comportando il
trasferimento della proprietà al creditore pignoratizio, rappresenta una
eccezione rispetto alla tipica funzione di garanzia del pegno, perciò, per la
giurisprudenza, il trasferimento della proprietà deve essere previsto dalla
legge. Diversamente deve essere qualificato come pegno regolare.
Ipoteca.
L'ipoteca è una garanzia reale costituita dal debitore o dal terzo su beni mobili o
immobili a garanzia dell'obbligazione mediante la iscrizione nei registri di pubblicità.
Ha la funzione di prelazione sul ricavato della vendita del bene espropriato.
Sono oggetto di ipoteca pertinenze, usufrutti, superfici, diritto dell'enfiteuta, rendite
dello stato, beni mobili registrati. Il diritto di servitú è escluso dai beni oggetto di
ipoteca in quanto non suscettibile di atto di disposizione e dunque di espropriazione.
Sono esclusi da ipoteca anche i diritti di uso e di abitazione per specifici bisogni del
titolare e della sua famiglia. In presenza di pericolo di danno a causa di atti compiuti
da terzo o debitore, per perimento o deterioramento, sui beni su cui insiste ipoteca,
il creditore può domandare all'autorità giudiziaria la cessazione degli atti.
È possibile che su un medesimo bene siano costituite più ipoteche. Per stabilire
quindi quale creditore debba essere preferito rispetto ad un altro bisognerà
verificare il grado della sua ipoteca. Sarà preferito in tal modo il creditore che avrà
per primo iscritto la sua ipoteca rispetto al creditore che abbia iscritto la sua ipoteca
in un momento secondario. Questa preferenza si esprime nel fatto che il primo
creditore avrà diritto ad essere soddisfatto per l'intero suo credito sul bene
ipotecato, ma se vi sarà un residuo della somma ricavata in seguito
all'espropriazione, questa spetterà al secondo creditore e se, dopo la soddisfazione
di quest'ultimo creditore, vi sarà ancora una somma di danaro disponibile questa
spetterà al terzo e così via.
Regole fondamentali sono dettate a favore del terzo acquirente. Al terzo acquirente
del bene ipotecato, che ha trascritto il suo titolo di acquisto, sono accordati tre
fondamentali diritti.
Titolo dell'ipoteca.
Per quanto riguarda l'ipoteca legale il titolo dell'ipoteca è nella legge che
prevede a favore di alcuni soggetti il diritto alla iscrizione ipotecaria. Hanno
diritto all'iscrizione della ipoteca legale: 1. l'alienante sopra gli immobili
alienati per l'adempimento degli obblighi che derivano dall'atto di alienazione;
2. i coeredi, soci e altri condividenti per il pagamento dei conguagli di beni
immobili assegnati ad altri condividenti; 3. lo Stato sopra i beni dell'imputato
o del civilmente responsabile per il pagamento delle spese processuali.
L'ipoteca dell'alienante e quella condividente sono disciplinate dal codice
civile, l'ipoteca dello stato è regolata dal codice penale e di procedura penale.
Tale ipoteca è costituita con l'iscrizione nei registri di pubblicità.
L'ipoteca giudiziale deriva dalla sentenza di condanna al pagamento di una
somma di denaro o per l'adempimento di altra obbligazione ovvero al
risarcimento del danno da liquidarsi successivamente. È sufficiente anche una
sentenza di condanna generica al risarcimento. Il provvedimento giudiziale
contiene la condanna al pagamento. In virtù di tale titolo il creditore ha diritto
ad ottenere la costituzione dell'ipoteca sugli immobili appartenenti al debitore
e su quelli successivi alla condanna. Si può iscrivere una ipoteca in base a
sentenze pronunciate da autorità giudiziarie straniere dopo che ne sia stata
dichiarata l'efficacia dall'autorità guidiziari italiana.
Ipoteca volontaria. trova la sua fonte nella volontà di una o entrambe le parti;
normalmente è costituita per contratto redatto per atto pubblico, ma è
possibile che sorga, sempre nella stessa forma, per atto unilaterale, ma non
per testamento.
La concessione deve farsi per atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione
autenticata o accertata giudizialmente. L'atto di concessione deve contenere le
informazione dell'immobile ipotecato.
Vicende dell'ipoteca.
30
Estenzione della responsabilità
patrimoniale.
Garanzie legali e volontarie.
Si è visto che la garanzia del credito è rappresentata dal patrimonio del debitore.
Sono frequenti le ipotesi in cui si rafforza la garanzia del credito affiancando alla
garanzia del debitore ulteriori garanzie offerta da soggetti diversi accrescendo così il
patrimonio sul quale il creditore può soddisfarsi. Talvolta è la legge a prevedere che
alcuni soggetti rispondano per le obbligazioni assunte da soggetti giuridici diversi, si
parla a riguardo di garanzia personale. Altre volte la garanzia trova fonte nella
volontà privata. In presenza di un patrimonio modesto, rispetto all'entità del credito,
il creditore è solito chiedere che il debitore procuri garanzie da parte di altri soggetti
in grado di soddisfare il il credito.
A) Garanzie personali.
Generalitá.
È possibile che un soggetto assuma la garanzia personale per l'adempimento delle
obbligazioni altrui. Il terzo in tal modo è tenuto a rispondere illimitatamente per
l'adempimento delle obbligazioni altrui con tutti i suoi beni presenti e futuri. Si parla
in tal modo della fideiussione, il mandato di credito, il contratto autonomo di
garanzia e l'avallo.
Fideiussione.
Mandato di credito.
È un contratto con il quale un soggetto, su incarico di un altro soggetto si obbliga a
fare credito a un terzo in nome e per conto proprio. Il soggetto che ha dato l'incarico
risponde come fideiussore di un debito futuro. Chi ha accettato l'incarico non può
rinunciarvi, mentre chi lo ha conferito può revocarlo salvo l'obbligo di risarcire il
danno alla controparte. Se però dopo l'accettazione dell'incarico, le condizioni
patrimoniali di chi ha conferito l'incarico o del terzo diventano tali da rendere
notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito chi ha accettato l'incarico
non può essere costretto ad eseguirlo.
Avallo.
L'avallo è apposto sull'assegno bancario o sulla cambiale. Da luogo ad una tipica
obbligazione cartolare caratterizzata dai requisiti dell'autonomia, dell'astrattezza e
della letteralità. Sia il pagamento della cambiale che dell'assegno bancario possono
essere garantiti con avallo per tutta o parte della somma. Chi rilascia l'avallo è
obbligato nella stessa maniera di colui per il quale l'avallo è stato dato.
Contrariamente alla fideiussione, che rappresenta una garanzia accessoria, l'avallo è
una obbligazione autonoma. Ciò significa che l'avallante è tenuto a pagare anche nel
caso in cui la cambiale sia invalida con eccezione del caso in cui presenti vizi di
forma. Colui che rilascia l'avallo e paga la cambiale o l'assegno, acquista i diritti ad
essa inerenti contro il soggetto garantito e contro coloro che sono obbligati verso
quest'ultimo.
Lettera di patronge.
È diffusa la prassi di rilasciare, da parte di una società capogruppo o controllante,
lettere di patronage o dette anche di gradimento, ad una banca, affinché questa
conceda, mantenga o rinnovi un credito a favore di una società controllata. Il dato
comune alle lettere di patronage è l'esistenza di un rapporto tra due società, con la
partecipazione di una società controllante nella società controllata e il correlato
impegno della società controllante verso la banca erogatrice del credito di
comunicare ogni variazione del rapporto corrente tra le due società. L'impegno può
esaurirsi in una mera informatica di controllo oppure nella gestione della società
controllante, assunzione dell'impegno di solvibilità della società controllata o
addirittura il rischio di inadempimento.
B) Garanzie reali.
L’altra forma di estensione della responsabilità patrimoniale è quella della
concessione, da parte di terzi, di garanzie reali (pegno e ipoteca). Si è visto come il
pegno e l’ipoteca possano essere costituiti a garanzia dell’obbligazione, non solo dal
debitore, ma anche dal terzo, il quale così assume la veste di terzo datore di pegno o
terzo datore di ipoteca.
31
Contratto.
Nozione.
L'art.1321 offre la nozione di contratto come l'accordo tra due o più soggetti per
costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale. L'art.
1322 fa riferimento invece all'autonomia contrattuale come il potere delle parti di
determinare liberamente il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge.
Con il riconoscimento dell'autonomia contrattuale vengono garantire:
Il codice civile distingue la disciplina del contratto in due categorie. La disciplina dei
contratti generali, applicabile dunque ad ogni contratto, è la disciplina dei singoli
contratti applicabile a particolari forme di contratto come locazione, trasporto,
vendita, appalto, ecc.
Il contratto anzitutto implica una pluralità di parti nel senso che non interessa
un solo centro di interesse ma più centri di interesse. Il contratto dunque
corre tra almeno due parti nel senso che può coinvolgere almeno due centri di
interesse.
Fondamentale nella costituzione del contratto è l'accordo tra le parti che ha
luogo con una manifestazione di volontà delle parti di costituire un rapporto
contrattuale. Il termine accordo quindi indica sia l'incontro delle volontà sia la
concordanza degli interessi. La necessità dell'accordo risulta essere anche una
garanzia per l'indipendenza della sfera giuridica individuale nel senso che il
singolo soggetto potrà modificare con la propria volontà, in maniera
indipendente, solo la propria sfera giuridica individuale senza poter
modificare la volontà di sfere giuridiche altrui.
Ulteriore elemento è la programmazione di uno scopo ossia l'accordo deve
essere finalizzato alla costituzione, regolazione o estinzione di un rapporto
giuridico patrimoniale.
Infine il contratto deve incidere su rapporti giuridici patrimoniali, rapporti
dunque suscettibili di valutazione economica. Ciò può avvenire in due modi
quando il contratto ha oggetto attribuzioni intrinsecamente di natura
patrimoniale come ad esempio vendita di un bene verso corrispettivo in
danaro, o quando il contratto ha ad oggetto una prestazione. In questo
secondo caso la prestazione oltre che essere suscettibile di valutazione
economica e quindi essere di natura patrimoniale può essere anche di natura
non patrimoniale.
Tali elementi sono definiti essenziali e la sola mancanza di uno di essi rende il
contratto nullo. Si prevede inoltre che la legge può prevedere elementi aggiuntivi a
quelli essenziali che integrano così gli elementi costitutivi del contratto.
Pure in presenza dei cosiddetti elementi essenziali sussistono cause di invalidità
meno gravi che danno luogo all'annullamento dell'atto quando tali elementi
essenziali sono viziati.
Oltre ai requisiti essenziali possono concorrere poi anche requisiti specifici prescritti
dalla legge.
32
Conclusione.
Le parti e i requisiti soggettivi. La legittimazione.
Come si è visto il contratto interessa due o più soggetti e quindi due o più centri di
interessi. Ogni parte può essere unisoggettiva e quindi essere costituita da un solo
soggetto o plurisoggettiva ed essere costitutiva da più soggetti. Bisogna inoltre
compiere una distinzione tra parte in senso sostanziale e parte in senso formale.
Spesso parte in senso sostanziale e in senso formale coincidono in quanto colui che
compie l'atto è anche destinatario degli effetti. Talvolta invece tali parti possono
essere divergenti laddove l'autore dell'atto non necessariamente è titolare degli
effetti. Si pensi in tal modo agli effetti della rappresentanza.
La parte in senso formale è sempre determinata nell'atto, in quanto artefice, la
parte in senso sostanziale può essere aggiunta successivamente o anche non essere
indicata affatto.
Ulteriore elemento è che entrambe le parti siano dotate della capacità giuridica
ossia l'attitudine alla titolarità delle situazioni giuridiche e la capacità di agire ossia
l'idoneità al compimento dell'atto.
Esistono inoltre ipotesi di inidoneità del soggetto ad essere destinatario degli effetti
del contratto si parla in tal modo di incapacità giuridica speciale che prevede
l'invalidità del contratto.
Problema delicato è quello del contratto in presenza di più persone ossia i contratti
plurilaterali. La normativa più ampia che interessa i contratti plurilaterali è quella dei
contratti a comunione di scopo ove più soggetti con interessi comuni convergono in
un risultato unitario. Esistono però anche contratti plurilaterali che non presentano
comunione di scopo. I soggetti quindi presentano interessi diversi ma concorrenti
verso la formazione della struttura contrattuale.
Abbiamo già visto prima che l'accordo è un elemento essenziale ma non sufficiente
ai fini della conclusione del contratto. In tal modo distinguiamo contratti consensuali
dai contratti reali.
Errore.
L'errore può insorgere nella formazione della volontà negoziale o nella dichiarazione
della volontà negoziale. Nel primo caso si parla di errore vizio nel secondo di errore
ostativo.
Errore vizio.
L'errore vizio è l'errore vero e proprio che si sviluppa attraverso una spontanea falsa
rappresentazione della realtà di un soggetto ai danni di un altro. L'errore di
conoscenza influenza e orienta la libertà di scelta e per questo è qualificato come
vizio di volontà. Il consenso viene dato quindi per errore. L'errore vizio può essere di
fatto o di diritto.
Sia per l'errore di fatto che per l'errore di diritto è rilevante come causa di
annullamento del contratto quando l'errore è essenziale ed è riconoscibile dall'altro
contraente.
L'errore è essenziale quando:
Cade sulla natura o sull'oggetto del contratto. Quando cade sulla natura ha
riguardo la causa. Esempio un soggetto che pensa di aver fatto un contratto di
comodato invece ha costituito un contratto di locazione. Cade sull'oggetto
quando ha riguardo ad una rappresentazione della prestazione dovuta.
Esempio quando si costituisce un contratto per avere una prestazione
particolare ma ci viene offerta una prestazione standardizzata.
Cade sull'identità dell'oggetto della prestazione o sulla qualità dell'oggetto
della prestazione. Per la prima si pensi all'acquisto di un fondo che risulta
essere diverso da quello immaginato, per quanto riguarda la seconda si fa
riferimento all'acquisto di un oggetto di metallo ma che si rileva di plastica.
Cade sull'identità o sulla qualità delle persone dell'altro contraente.
L'annullamento non ha luogo invece per l'errore di calcolo. In tale caso si dà
luogo solo ad una rettifica tranne nei casi in cui l'errore di calcolo ha influito
sulla quantità programmata dell'oggetto della prestazione da determinare
così il consenso. In tal modo si prevede l'annullamento.
Per rilevare come causa di annullabilità l'errore oltre che ad essere essenziale
deve essere anche riconoscibile dall'altro contraente. L'errore si considera
riconoscibile quando in relazione al contenuto e alla qualità una persona di
normale diligenza avrebbe potuto rilevarlo. Solo se l'errore risulta essere
riconoscibile il contratto può essere annullato in caso contrario il contratto
rimane valido. È consentito inoltre al destinatario del negozio, evitare
l'annullamento del contratto anche quando l'errore è riconoscibile con il
mantenimento del contratto rettificato.
Errore ostativo.
L'errore ostativo incide sulla manifestazione di volontà negoziale in quanto, la stessa
volontà negoziale contiene un riferimento errato. Esempio 1000 anziché 100 o Tizio
anziché Caio.
Dolo.
Come l'errore anche il dolo influenza la conoscenza della realtà giuridica o materiale
condizionando la libertà di scelta. Rappresenta dunque un vizio della volontà
negoziale infatti il consenso è carpito con dolo. Il dolo è un mezzo attraverso il quale
un soggetto, attraverso l'inganno, cioè con un impiego di raggiri, artifici e menzogne,
convince un'altro soggetto a concludere il contratto e quindi ad ottenere il suo
consenso. Utilizzando un esempio precedente possiamo qualificare come situazione
di dolo un soggetto che intende vendere un oggetto spacciato per oro ad un
ulteriore soggetto, che convinto di ciò lo acquista.
A differenza dell'errore non sono previste specifiche fattispecie per il dolo. Il dolo
quindi risulta essere causa di annullamento del contratto in quanto i raggiri utilizzati
dal contraente, se conosciuti non avrebbero dato luogo al consenso e quindi alla
conclusione del contratto. Si parla quindi in questo caso di dolo determinante. Ossia
il dolo in questo caso risulta essere fondamentale per ottenere il consenso. È inoltre
necessario che i raggiri e gli inganni provengano dalla parte interessata che trae
profitto a concludere il contratto. Quando artifici e raggiri derivano da un terzo, il
contratto è annullabile se il contraente era a conoscenza degli stessi raggiri. Al vizio
di volontà negoziale si aggiunge ancora la responsabilità dell'autore del dolo per la
condotta illecita lesiva della libertà negoziale. E quindi oltre che l'annullamento del
contratto si prevede anche ai danni del soggetto che ha compiuto il dolo il
risarcimento dei danni. Il dolo può avere anche una rilevanza penale, integrando
così il reato di truffa, laddove l'autore del dolo produce a se un vantaggio recando
un danno altrui.
Diverso dal dolo determinante poi vi è il dolo incidente. Il dolo non è determinante
nella conclusione del contratto che sarebbe comunque avvenuta. In questo caso il
contratto non sarà annullato ma la parte che ha agito in mala fede sarà obbligata al
risarcimento del danno. Sia il dolo determinate che quello incidente possono essere
omissivi o commissivi. Si presenta ancora una ulteriore distinzione tra dolo malus,
sempre causa di annullamento del contratto e dolus bonus che corrisponde ad una
comune esaltazione della propria merce, e se in buona fede e nel rispetto del dovere
di correttezza non rappresenta causa di invalidità del contratto.
Violenza morale.
La violenza morale o anche violenza psichica, incide sulla libertà di decisione del
contraente impendendo il determinarsi della volontà negoziale. La violenza morale
consiste nella minaccia di un male ingiusto e notevole tale da indurre il soggetto
violentato alla conclusione del contratto. Il soggetto in questione potrà assumere
due comportamenti ossia subire il male minacciato ma non concludere il contratto,
evitare il danno minacciato e quindi concludere il contratto. La violenza morale può
manifestarsi in via diretta o anche in maniera esplicita attraverso azioni
intimidatorie, oltre che provenire dalla controparte può anche provenire da un
terzo. Causa determinante della violenza è dunque la minaccia del soggetto, che in
presenza di questo continuo pericolo è costretto a concludere il contratto.
Il proponente può revocare la proposta, ma deve farlo prima della conclusione del
contratto, così come afferma l'art. 1328, ma quando si conclude il contratto?
Lo abbiamo visto, quando l'accettazione giunge a conoscenza del proponente, così
come afferma l'art. 1326 primo comma, e nel caso in cui si debba stipulare tra
persone distanti, la proposta si reputa conosciuta quando giunge all'indirizzo del
proponente ex art. 1335 c.c.
Se le cose stanno così, il proponente potrà revocare la sua proposta prima che abbia
avuto conoscenza dell'accettazione, e, quindi, se si tratta di persone distanti, prima
che gli sia giunta l'accettazione.
Una revoca successiva sarà inefficace, perché riguarderà un contratto già concluso.
Una specifica funzione assume la proposta irrevocabile che sussiste laddove il
proponente si obbliga a mantenere ferma la proposta per un certo tempo, la revoca
in questo caso è senza effetto. Anche la morte o la sopravvenuta incapacità del
proponente non toglie efficacia alla proposta irrevocabile.
Il contratto aperto.
Si è anticipato dei contratti con comunione di scopo con i quali si tende a realizzare
un interesse comune a tutte le parti del contratto. Tali contratti possono aprirsi
all'esterno mediante una clausola di apertura. Fenomeno tipico delle organizzazioni
collettive, associazioni, cooperative, al fine di incrementare la compagine sociale
oppure per accrescere i fondi. Il carattere aperto connota i contratti plurilaterali.
Con la clausola di apertura i contraenti originari offrono la possibilità ad altri soggetti
di aderire al contratto originario. L'apertura può riguardare soggetti generici ma
anche specifici con determinate caratteristiche. Chi aderisce al contratto offre la sua
adesione. Se le modalità di adesione non sono determinate queste devono essere
determinate dal consiglio di amministrazione. Le adesioni sono soggette a verica da
parte del consiglio di amministrazione.
Contratto preliminare.
Ottenere uno strumento contrattuale (il contratto preliminare) che obblighi le parti
a stipulare un nuovo contratto (il contratto definitivo) che realizzerà l'effetto finale
voluto (il trasferimento delle proprietà, la costituzione di un diritto, l'esecuzione di
una prestazione, etc.)
Il contratto preliminare è nullo se non è fatto nella stessa forma che la legge
prescrive per il contratto definitivo. Se manca la stipula del contratto definitivo è
esclusivamente dal contratto preliminare che risulta l'intento delle parti di realizzare
lo specifico assetto di interessi. Di particolare importanza risulta poi la trascrizione
del contratto preliminare che prevede la trascrizione dei contratti preliminari aventi
ad oggetto beni immobili purché risultino da atto pubblico o da scrittura privata o
accertata giudizialmente. Solo i contratti preliminari stipulati con una di tali forme
sono soggetti a trascrizione. Nell'ipotesi di mancata esecuzione del contratto
preliminare, cioè di mancata stipula del contratto definitivo, quando c'è
espropriazione del patrimonio del venditore per debiti, la preventiva trascrizione del
contratto preliminare comporta che i crediti del promissario acquirente hanno
privilegio speciale sul bene immobile oggetto del contratto preliminare, sempre che
non siano cessati gli effetti della trascrizione.
4) In ogni caso la parte non inadempiente ha diritto al risarcimento dei danni, in via
aggiuntiva se è conseguita la esecuzione in forma specifica, in via sostitutiva se è
ottenuta la risoluzione del contratto.
Gli effetti del contratto preliminare di regola si producono alla stipula del contratto
definitivo, tuttavia è diffusa nella prassi anticipare al momento del preliminare
alcuni effetti del contratto definitivo. (Preliminare anticipato). E’ così frequente che
una parte del prezzo della vendita sia pagata già all’atto della stipulazione del
preliminare e/o che la consegna del bene sia anticipato rispetto alla stipula del
definitivo. Proprio in questo secondo caso, ovvero con il conseguimento anticipato
della disponibilità materiale del bene, si sono appuntati i maggiori dubbi circa la
tutela del promissario acquirente. Tale disponibilità pur qualificandosi come
detenzione tuttavia va a qualificarsi come detenzione qualificata in quanto
finalizzata all’acquisizione della proprietà del bene. Si riconosce dunque al
promissario acquirente oltre l'azione possessoria di reintegrazione una ulteriore
tutela funzionale al conseguimento della proprietà, così in ipotesi di difformità della
cosa consegnata rispetto a quella promessa, la giurisprudenza accorda al
promissario acquirente la tutela contrattuale per inesatta esecuzione della
prestazione dovuta.
33
Contenuto.
Determinazione del contenuto contrattuale.
Il contenuto è il voluto delle parti. Esprime l’assetto di interessi realizzato dalle parti,
fissando il risultato programmato dalle stesse: è dunque il punto di riferimento
dell’accordo. Il contenuto del contratto si connette specificamente a due elementi
essenziali del contratto: oggetto e causa. La mancanza o anomalia di uno di tali
elementi determina la nullità del contratto.
(A) Oggetto.
Nozione.
L’art. 1325, n.3, indica l’oggetto tra i requisiti del contratto: l’oggetto è dunque
elemento essenziale (costitutivo) del contratto, la cui mancanza comporta la nullità
del contratto (1418). Non abbiamo però una definizione. L’art. 1470 definisce la
vendita come il contratto che ha ad oggetto il trasferimento della proprietà di una
cosa o il trasferimento di altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo; l’art. 1571
definisce la permuta come il contratto che per oggetto ha il reciproco trasferimento
della proprietà di cose o di altri diritti.
L’oggetto del contratto deve essere a norma dell’art. 1346, sotto pena di nullità:
Beni futuri.
I contratti di sovente riguardano beni esistenti; non mancano però casi in cui i
contratti facciano riferimento a beni non ancora esistenti: per l’art. 1348 la
prestazione di cose future può essere dedotta in contratto, salvi i particolari divieti
della legge. I contratti aventi ad oggetto beni futuri sono dunque validi, ancorché
inefficaci fino a quando la cosa non diviene ad esistenza. Una generale applicazione
di tali tipi di contratti risulta essere in materia di vendita, relativamente alla vendita
di cose future. L'acquisto della proprietà si verifica quando la cosa viene ad
esistenza. Qualora le parti non abbiano concluso un contratto aleatorio, la vendita è
nulla se la cosa non viene ad esistenza. È dunque importante distinguere i contratti
aleatori dai contratti commutativi.
Il contratto è aleatorio quando c’è assunzione del rischio della venuta ad esistenza
della cosa: la prestazione corrispettiva all’alienazione della cosa futura è comunque
dovuta quantunque la cosa futura non venga ad esistenza.
Esempio, il compratore del futuro raccolto di un fondo agricolo è tenuto al
pagamento del prezzo pattuito quantunque il raccolto non verrà ad esistenza o sarà
distrutto.
Il contratto è commutativo quando non c’è assunzione del rischio della venuta ad
esistenza della cosa: la prestazione corrispettiva all’alienazione della cosa non sará
dovuta se la cosa non verrà ad esistenza. In assenza di previsione il contratto si
presume commutativo. Riprendendo l'esempio precedente, il prezzo non sarà
dovuto se il raccolto non verrà ad esistenza o sarà distrutto.
(B) Causa
Evoluzione del concetto di causa.
Per comprendere il concetto di causa del negozio è necessario partire da alcuni
esempi tratti dalla vita di tutti i giorni. Le azioni, anche più semplici, che
normalmente compiamo in una giornata sono quasi sempre indirizzate a un fine; se
ho sete prendo un bicchiere d'acqua per bere, se devo spostarmi posso usare un
automobile o un mezzo pubblico pagando un biglietto.
Scopo, causa, del prendere il bicchiere d'acqua è bere, scopo, causa del trasporto su
un autobus è di giungere nel luogo di destinazione. Tutte le azioni umane sono,
quindi, rivolte a uno scopo, hanno una causa, e questo vale anche per i negozi
giuridici. La causa del negozio giuridico è quindi lo scopo che attraverso tale mezzo si
vuole perseguire.
Questa è una prima definizione della causa, ma in dottrina vi sono diverse teorie
sulla causa, e le più importanti sono: la causa come lo scopo, rilevante dal punto di
vista sociale e\o economico, che s'intende conseguire attraverso il negozio giuridico
oppure la causa rappresenta gli scopi concreti che le parti attraverso il contratto
intendono soddisfare.
Anche la causa è richiesta come requisito del contratto(1325, 2); ma manca una
nozione normativa di causa. L’art. 1418 prevede la nullità le contratto per mancanza
della causa o per la sua illiceità: dunque la causa è un elemento essenziale del
contratto.
Il tipo contrattuale.
Il c.c. parla sia di “tipo” che di “causa” del contratto. Per l’art. 1322 le parti posso
concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare
purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento
giuridico; e per l’art. 1323, “tutti i contatti, ancorché non appartengano ai tipi aventi
una disciplina particolare, sono opposti alle norme generali.
Il tipo indica lo schema diffuso di una operazione economica, talvolta nella struttura,
talaltra nel contenuto, talaltra ancora per entrambi i profili.
Tipo sociale: si ha mero tipo sociale quando uno schema di operazione, ancorché
operante nella realtà sociale e meritevole di tutela, non è ancora disciplinato
dall’ordinamento;
Tipo legale: indica uno schema di operazione economica diffuso nella realtà sociale e
proprio perciò assunto dall’ordinamento giuridico come struttura generale astratta
dell’operazione e come tale regolata: esprima la causa astratta del negozio.
Talvolta la tipicità inerisce ad una categoria di atti in ragione di specifiche e comuni
esigenze suscitate, al fine di apprestare una disciplina uniforme tutela. es. forniture
di beni di consumo. È possibile cogliere la distinzione tra contratti tipici e atipici.
Contratti tipici: hanno una struttura fissata per legge, con conseguente
previsione legale della relativa disciplina.
Contratti atipici: utilizzano uno schema non riconducibile ad alcun tipo legale
o perché è del tutto nuovo o in quanto il tipo legale è variamente modificato.
Quando è utilizzato un tipo legale, l’impiego dello stesso implica di per sé conformità
all’ordinamento dello schema impiegato: va solo verificata, la liceità e la
meritevolezza dell’assetto di interessi attuato.
Quando non è utilizzato un tipo legale, bisogna preliminarmente verificare la
compatibilità con l’ordinamento dello schema di operazione impiegato e poi
compiere la consueta verifica di liceità e meritevolezza dell’assetto di interessi
attuato.
a) Quanto al controllo di liceità, per l’art. 1343 la causa è illecita quando è contraria
a norme imperative (cd, norme inderogabili, es. è nullo il contratto che esclude o
limita preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o colpa grave, 1229),
all’ordine pubblico (si allude ai principi e valori fondamentali dell’ordinamento,
desumibili dalla Carta costituzionale, art.2, e dal diritto europeo convenzionale,
principio di buona fede e divieto dei patti successori) o al buon costume (sfera di
pudore sessuale allargato alla cd. morale sociale).
Mentre la illiceità per violazione di norme e imperative e dell’ordine pubblico
comporta la nullità del contratto, con conseguente ripetizione di quanto si è
prestato, la illiceità per contrarietà al buon costume, pur comportando la nullità del
contratto, preclude la ripetizione di quanto prestato: per l’art. 2035 chi ha eseguito
una prestazione per uno scopo che, anche da parte sua, costituisca offesa al buon
costume non può ripetere quanto ha pagato. Regola tradizione che nessuno può
invocare la propria immoralità per conseguire un vantaggio. Ricordiamo che il
contratto è illecito anche se sono illeciti l’oggetto, il motivo, la condizione.
Motivi.
Proprio per evitare simili conseguenze si è stabilita l'irrilevanza dei motivi individuali.
Quanto detto però, non è sempre vero. Può darsi, infatti, che le parti intendano dare
rilevanza ai motivi trasformandoli in una clausola condizionale, ma in alcuni casi è la
legge a darvi rilevanza.
Come si vede la norma costituisce un'eccezione alla regola della irrilevanza dei
motivi che, se illeciti, possono provocare la nullità del contratto.
Per arrivare a tanto, però, è necessario che il motivo illecito sia comune ad
entrambe e sia stato l'unica ragione che ha determinato le parti a contrarre.
Se, ad esempio, acquisto un appartamento per impiantarvi una casa di
prostituzione, il contratto di compravendita sarà valido se il venditore non sapeva
dell'uso che intendevo fare dell'immobile;
ma se il venditore era a conoscenza delle mie intenzioni e mi ha preferito ad altri
acquirenti magari proprio perché intendeva approfittare dell'attività illecita, ecco
che il contratto di compravendita sarà nullo per illiceità dei motivi.
In caso di simulazione relativa l'atto dissimulato per essere valido deve avere i
requisiti di sostanza e di forma voluti dalla legge; nell'esempio fatto, la dissimulata
donazione dovrebbe essere fatta per atto pubblico, ma parte rilevante della dottrina
ritiene che il requisito della forma sia soddisfatto quando l'atto simulato ( e quindi
nell'esempio la vendita) abbia i requisiti di forma necessari per la validità dell'atto
dissimulato (cioè vendita per atto pubblico simulando una donazione). Il negozio
simulato è inefficace, e per questo motivo si parla spesso di nullità di tale negozio,
ma tale posizione lascia perplessi, sia perché lo stesso art. 1414 fa riferimento
esplicito alla inefficacia, più che alla nullità, sia perché l'intera disciplina del negozio
simulato ( pensiamo alle limitazioni alla prova testimoniale) non adatta
perfettamente con l'ipotesi di nullità.
Di solito la simulazione ha ad oggetto un negozio giuridico, ma in altri casi può
riguardare una delle parti del negozio, si distingue in proposito tra:
Bisogna valutare distintamente gli effetti della simulazione tra le parti e rispetto ai
terzi.
Effetti tra le parti: regola generale è che “il contratto simulato non produce effetto
tra le parti” (1414). Indirizzo consolidato dalla giurisprudenza è che il contratto
simulato è nullo. Dunque, nella simulazione assoluta, non si realizza alcun effetto.
Il secondo comma dello stesso articolo regola la simulazione relativa “ se le parti
hanno voluto concluder un contratto diverso da quello apparente, ha effetto tra
esse il contratto dissimulato, purché ne sussistano i requisiti di sostanza e di forma”.
Dunque, ferma la nullità del contratto simulato, produce effetto tra le parti il
contratto sottostante (dissimulato) quale contratto realmente voluto. E’ però
necessario che il contratto sottostante sia lecito e che abbia la forma prescritta ad
substantiam. (Ad esempio una donazione dissimulata deve essere stipulata per atto
pubblico con la presenza di due testimoni.)
Effetto rispetto ai terzi: il regime degli effetti verso i terzi involge il problema della
opponibilità della simulazione ai terzi. Lo stesso è pertanto governato dal generale
principio della tutela della buona fede dei terzi e cioè dell’affidamento. Regola base
è dunque che le parti del contratto simulato non possono opporre la simulazione ai
terzi che, in buona fede, hanno acquistato diritti dal titolare apparente, salvi gli
effetti della trascrizione della domanda di simulazione. In sostanza, con la creazione
di un negozio fittizio, le parti corrono il rischio di suscitare l’affidamento dei terzi:
essendo le parti stesse non incolpevoli, anzi addirittura artefici della finzione,
soccombono rispetto ai terzi che hanno fatto affidamento sulla titolarità apparente,
bensì originata dalla simulazione ma comunque immessa nella realtà giuridica.
Viceversa i terzi possono far valere la simulazione nei confronti delle parti quando la
stessa arrechi pregiudizio ai loro diritti (1415) così da fare emergere la realtà
sottostante contro l’apparenza.
Effetto verso i creditori: un discorso a parte deve essere fatto in merito della
simulazione nei confronti dei creditori delle parti. Avremo infatti due categorie.
I terzi, insieme a creditori, godono di una tutela maggiore dal punto di vista
probatorio in virtù della difficoltà di reperire le prove di un accordo simulatorio al
quale non hanno partecipato. Per tale ragione sono ammessi a provare la
simulazione con qualsiasi mezzo e in particolare per “testimoni senza limiti e
presunzioni”. I terzi sono tenuti a provare il pregiudizio che subirono dal contratto
apparente e perciò l’interesse alla inefficacia del contratto simulato. Non devono
invece provare l'elemento psicologico degli autori del contratto simulato di
danneggiarli in quanto tale tipo di prova è invece a fondamento della eventuale
ulteriore domanda di risarcimento dei danni per fatto illecito.
Quanto alle parti queste possono beneficiare del medesimo regime probatorio
previsto per i terzi unicamente nel caso in cui intendano provare l'illiceità del
contratto dissimulato. Vediamo cosa accade negli altri casi. In caso di simulazione
assoluta la prova dell'inesistenza del negozio simulato potrà essere esperita per
mezzo di testi solo nelle ipotesi di impossibilità materiale o morale di procurarsi la
prova scritta e il caso di perdita incolpevole del documento.
In caso di simulazione relativa la prova dell'esistenza del negozio dissimulato potrà
essere esperita per mezzo di testi nella sola ipotesi di perdita incolpevole del
documento. Interrogatorio formale, giuramento o confessione sono ammissibili per
provare la simulazione tra le parti quando non riguardano negozi solenni per i quali
la forma scritta sia prevista ad substantiam.
Negozi indiretti e fiduciari.
Il negozio indiretto può essere usato per perseguire scopi illeciti; in questa ipotesi
abbiamo una combinazione di atti che presi singolarmente sono leciti, ma combinati
tra di loro producono un risultato vietato. Pensiamo, ad esempio, al caso della
vendita di beni pignorati; questi non possono essere aggiudicati al debitore, ma
questo potrebbe eludere il divieto stipulando un contratto di mandato grazie al
quale il mandatario si obbliga a concorrere per l'aggiudicazione del bene pignorato.
In questi casi si parla di negozio in frode alla legge, negozio nullo a norma
dell'articolo 1344 c.c.
Quest'ultimo tipo di negozio può però essere considerato nullo se l'intenzione delle
parti è stata quella di violare il divieto del patto commissorio ex art. 2744 c.c.
Il trust.
L'istituto della fiducia non è regolato nel nostro ordinamento, ma diversamente
accade per l'ordinamento anglosassone dove esiste la figura del trust ( fiducia, in
italiano). Per trust si intende il rapporto giuridico in virtù del quale un soggetto
costituente (settlor), con atto tra vivi o mortis causa, pone i propri beni sotto il
controllo di un diverso soggetto, persona fisica o società, di sua fiducia (trustee)
nell'interesse di un terzo (beneficiary). Il trust si presenta ad essere utilizzato in più
direzioni, ad esempio in materia familiare, consente la gestione di beni di un minore
fino alla maggiore età o di un disabile fino ad una certa data. Ancora i beni conferirti
in trust, benché intestati nel nome del trustee costituiscono una massa distinta e
non fanno parte del patrimonio del trustee, il quale è investito del potere e onerato
dell'obbligo di amministrare, gestire o disporre beni secondo i termini del trust e le
istruzione del costituente, nel rispetto delle norme di legge.
Visto in tal modo l'istituto del trust non sembra differenziarsi da quello della fiducia
cum amico del diritto romano, ma vi è una importante differenza, che consiste nel
fatto che il bene oggetto del trust non entra a far parte del patrimonio del fiduciario,
cioè del trustee, rimanendone distinto. La peculiarità di tale struttura è che i beni
conferiti in trust formando una massa distinta dal patrimonio del trustee non
sarebbero assoggettabili a pignoramento o sequestro da parte dei creditori del
trustee, in deroga alla regola generale dell'articolo 2740. Se tra i beni conferirti in
trust vi sono beni immobili, l'atto costitutivo del trust sarà soggetto a trascrizione
negli appositi registri immobiliari ai fini dell'opponibilità ai terzi.
Qualche autore ha creduto di vedere un'applicazione concreta del trust in Italia con
il nuovo articolo 2645 ter del codice civile introdotto con con l. 23 febbraio 2006, n.
51.
Ma se si legge con attenzione tale articolo, si scopre che si separano alcuni beni del
conferente dal suo patrimonio per permettere di raggiungere determinati scopi,
come la beneficenza; tale atto di separazione patrimoniale può ora essere trascritto
e divenire opponibile ai terzi, anche creditori del conferente.
Rispetto al trust, però, manca la figura del trasferimento fiduciario, manca il
fiduciario, il trustee, esistendo solo il vincolo di destinazione.
Dicotomie fondamentali.
La condizione.
La condizione produce i suoi effetti sulla efficacia e non sulla validità del
negozio
L'efficacia del negozio è subordinata al verificarsi di un evento che si identifica
con la condizione stessa.
L'evento per essere definito come condizione deve essere futuro ed incerto.
Se l’avvenimento è futuro ma certo, rileva come termine, non come condizione. Può
essere anche indicato il termine entro cui l’avvenimento deve verificarsi.
Abbiamo visto che la condizione determina l'efficacia del negozio; In realtà il codice
civile fa riferimento a due tipi di condizione. Condizione sospensiva e risolutiva.
Bisogna fare ancora ulteriori distinzioni in merito alla condizione anche se meno
importanti delle prime due.
Si è detto come la condizione sia una delle clausole più utilizzate dai soggetti di un
negozio giuridico. Tuttavia non si deve credere che l'utilizzo della clausola
condizionale sia illimitato per le parti, poiché attraverso l'utilizzo della clausola si
potrebbe facilmente eludere divieti imposti dall'ordinamento oppure dare validità a
negozi giuridici che per il modo in cui vengo usati non avrebbero alcun
riconoscimento da parte dell'ordinamento giuridico. Vediamo quindi in quali casi
non viene riconosciuta validità alla condizione. In tal modo distinguiamo condizioni
illecite o impossibili.
Pendenza.
La condizione, come del resto anche il termine, risulta legata allo scorrere del
tempo.
Abbiamo quindi due periodi relativi alla vita della condizione:
In ogni caso è pur sempre vero che sino a quando non si verificherà la condizione, il
titolare del diritto condizionato potrà anche disporne vendendo, per esempio, il
bene oggetto del diritto stesso (art. 1357 c.c.).
Se però la condizione si verifica, l'atto di disposizione sarà inefficace anche nel caso
in cui si sia stabilito che la condizione non abbia efficacia retroattiva a norma
dell'articolo 1360 del codice civile.
Termine.
a) Il termine di efficacia è un elemento accidentale del contratto e rappresenta un
avvenimento futuro è certo dal quale o fino a quale si producono gli effetti di un
negozio giuridico. Il termine fissa nel tempo gli effetti del contratto: perciò si suol
dire che il termine corre. Nel termine di efficacia il diritto nasce o cessa di esistere
nel giorno indicato dal termine. Il termine iniziale indica l’inizio degli effetti del
contratto, con la nascita del rapporto; il termine finale indica la fine degli effetti del
contratto, con la estinzione del rapporto: il tempo corrente tra il termine iniziale e
quello finale esprime la durata (efficacia) del contratto.
Per la disciplina del termine di efficacia del contratto si applicano le norme sul
termine di adempimento dell'obbligazione art. 1183 e quelle relative al calcolo del
termine di prescrizione.
Onere.
Nel caso in cui il modo fosse impossibile o illecito, si ha per non apposto, salvo che
non risulti essere l'unico motivo che ha determinato la liberalità.
Se, infine, il beneficiario non adempie l'onere, chiunque ha interesse può agire per il
suo adempimento. In ogni caso, però, inadempimento dell'onere non comporta la
risoluzione del negozio, a meno che questa non sia stata prevista come conseguenza
dell'inadempimento.
34
Forma.
Un manifestazione della volontà negoziale non può mai mancare, quale essenziale
mezzo di comunicazione sociale, talvolta però la legge richiede che la volontà sia
manifestata con particolari formalità. La forma indica appunto i modi di
manifestazione della volontà negoziale. L’ordinamento spesso limita l’autonomia
privata, imponendo una forma vincolata della volontà negoziale in ragione della
natura degli interessi coinvolti e delle circostanze in cui la volontà stessa è esperita e
dunque il contratto è concluso. Se non è prescritta una forma vincolata è lasciata ai
privati la scelta della forma con la quale manifestare la propria volontà negoziale e
dunque autoregolare i propri interessi.
b) Forma convenzionale: Per l’art. 1352, se le parti hanno convenuto per iscritto di
adottare una determinata forma per la futura conclusione di un contratto, si
presume che la forma sia stata voluta per la validità di questo. Il fenomeno è
particolarmente diffuso con riguardo ai contratti preordinati alla stipula di un
contratto successivo. In tale ipotesi c’è un’autolimitazione dell’autonomia privata;
ma proprio perché il vincolo non deriva dalla legge, è sempre in potere delle parti,
d’accordo, cancellare il vincolo di forma adottato. La giurisprudenza indica che in
seguito al mancato rispetto di una delle due parti della forma convenzionale vi è la
nullità del contratto.
35
Regolamento contrattuale.
Atto di autonomia e valutazione ordinamentale.
A seguito della conclusione del contratto l’atto vive nella realtà giuridica per le
statuizioni che in esso sono riposte in vista del risultato perseguito. E ciò, non solo
tra le parti, ma anche rispetto ai terzi; il contratto ormai opera come precetto
dell’autonomia privata e dunque come autoregolamento. Ogni fatto rileva
giuridicamente in ragione della valutazione che dello stesso fa l’ordinamento. Rileva
quindi non solo il testo del contratto, ma anche il contesto di conclusione del
contratto per le circostanze in cui si è formato.
Vanno compiute all’uopo tre operazioni fondamentali: bisogna anzitutto definire il
contenuto del contratto, ricostruendo il comune intento delle parti: ciò implica
un’attività di interpretazione del contratto; poi occorre verificare la configurazione
che del contratto compie l’ordinamento giuridico: ciò comporta la qualificazione
giuridica dell’atto di autonomia privata. Infine va determinato il trattamento
dell’atto da parte dell’ordinamento giuridico: ciò porta spesso ad imporre effetti
diversi e/o ulteriori rispetto a quelli divisati dalle parti, mediante la integrazione del
contratto. Se l’atto va in contrasto con l’ordinamento e non è salvabile, si da luogo
alla invalidità o rescissione e quindi alla privazione di effetti.
(A) Interpretazione.
Le norme sul l'interpretazione.
Le norme sulla interpretazione dei contratti hanno scopo di ricercare il contenuto
giuridicamente rilevante dell'atto
Nella applicazione delle regole contenute in un contratto spesso possono sorgere
dubbi circa la loro interpretazione; può accadere, ad esempio, che le parti si trovino
in disaccordo su quanto stabilito in merito al luogo di pagamento, perché l'atto parla
del solo domicilio del creditore, senza specificare se sia possibile utilizzare anche la
residenza. Tale questione non è senza rilievo, perché è possibile che le parti si siano
riferite in modo generico al domicilio, volendo comprendere anche la residenza.
Può quindi sorgere un problema di interpretazione, e se rimane il disaccordo circa il
contenuto dell'atto, sarà necessario ricorrere alle norme del codice per dirimere la
questione.
Il codice civile, infatti, dedica numerosi articoli (dal 1362 al 1371) alla interpretazione
dei contratti, norme che si suole dividere in due categorie, quelle relative alla
interpretazione soggettiva e le altre relative alla interpretazione oggettiva, da
utilizzarsi quando non si è riusciti, tramite il criterio soggettivo, a risolvere i dubbi
interpretativi.
Tra i due gruppi di norme si inserisce quella contenuta nell'art. 1366 c.c. secondo cui
il contratto deve essere (sempre) interpretato secondo buona fede, buona fede
intesa in senso oggettivo, come regola di condotta da seguire.
Nel caso in cui nonostante l'applicazione delle regole viste, rimangano dei dubbi
circa la comune intenzione delle parti, sarà necessario applicare le norme sulla
interpretazione oggettiva;
lo scopo di questo secondo gruppo di norme è diverso dal quello relativo alla
interpretazione soggettiva;
qui, infatti, più che ricercare la comune intenzione delle parti, tentativo già fallito, si
prova a dare un significato all'atto per evitare che questo sia inapplicabile, e ciò per
motivi di conservazione e di equità.
Interpretazione oggettiva
( è volta a dare un significato al contratto nel caso in cui non si sia riusciti ad
individuare la comune intenzione delle parti).
Le norme sulla interpretazione oggettiva si chiudono con l'art. 1371 c.c. che detta le
regole finali nel caso in cui nemmeno con l'applicazione delle norme riportate in
tabella si sia riusciti nella interpretazione. Qui si distinguono i contratti a titolo
gratuito da quelli a titolo oneroso.
(C) Integrazione.
A seguito della qualificazione, quando il contratto nel suo insieme supera la verifica
ordinamentale, conseguono gli effetti giuridici. Tali effetti sono conformati secondo
lo scopo pratico perseguito dai privati con il contratto, per essere in generale
riconosciuto il diritto dei privati di autoregolare i propri interessi. Regola
fondamentale, art. 1374 “il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel
medesimo espresso ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la
legge, o, in mancanza, secondo gli usi e l’equità”. Lo stesso articolo introduce un
principio generale di gerarchia tra le fonti di integrazione del contratto, ponendo al
primo posto la legge e in assenza di questa gli usi e l’equità. Oggi alla sommità della
scala gerarchica c’è la Costituzione e l’ordinamento dell’UE.
36
Efficacia.
Efficacia e inefficacia.
Si è visto come, in generale, gli effetti giuridici esprimano la risposta
dell’ordinamento all’agire dei soggetti, secondo l’ordine di valori storicamente
operante.
L’efficacia indica una modificazione della realtà giuridica: in particolare gli effetti
derivanti dal contratto sono in funzione di realizzazione dell’intento delle parti alla
stregua e con l’integrazione dei valori espressi dall’ordinamento. E’ possibile
delineare una duplice dimensione degli effetti del contratto: effetto generale,
connaturato alla formazione dell’accordo, inerisce ad ogni contratto e consiste nel
vincolo contrattuale assunto; gli effetti particolari, peculiari ai singoli contratti,
esprimono i concreti assetti di interessi realizzati.
In contrapposizione alla efficacia, la inefficacia designa la mancata o anomala
produzione di effetti giuridici (inefficacia in senso ampio). Talvolta l’inefficacia è
conseguenza di un vizio strutturale o funzionale del contratto (inesistenza, invalidità
ecc). L’inefficacia legale è l’inefficacia imposta dall’ordinamento per contrarietà del
contratto all’ordinamento stesso. Talaltra la inefficacia è voluta dalle parti
(inefficacia volontaria). La inefficacia del contratto è legata all’autonomia privata e
rappresenta il risultato contrattuale perseguito dalle parti (inefficacia in senso
stretto).
Per l’art. 1372 “il contratto ha forza di legge tra le parti”. Il legislatore con questa
espressione ha voluto sottolineare l'importanza del vincolo contrattuale ma poi
successivamente aggiunge che il contratto con forza di legge può sciogliersi per:
Mutuo consenso
Cause ammesse dalla legge
Il mutuo dissenso non è altro, quindi, che un contratto che fa cessare gli effetti del
primo (vedi art. 1321 c.c. che si riferisce anche all'estinzione del vincolo). Si ritiene
che per aversi mutuo dissenso sia necessario che il contratto non abbia ancora
prodotto effetti, come nel caso di vendita di cosa generica dove non sia stata ancora
effettuata l'individuazione, perché nel caso in cui gli effetti si siano già prodotti
(come per la vendita di cosa specifica dove l'efficacia reale è immediata) si tratterà,
semmai, di una rivendita del bene.
La forma dovrà essere la stessa del contratto originario, e dovrà essere sottoposta
alle medesime forme di pubblicità.
Veniamo, ora, alle altre cause di scioglimento del vincolo previste dall'art. 1372.
Nei negozi unilaterali la liberazione dal vincolo è realizzata attraverso la cd. revoca,
che è atto unilaterale di caducazione degli effetti della dichiarazione unilaterale.
Recesso.
1)recesso unilaterale: viene stabilito concordemente dalle parti che una o entrambe
di loro possano sciogliersi dal vincolo contrattuale tramite una dichiarazione da
comunicare all'altra parte. Tale facoltà non può essere esercitata se il contratto ha
avuto un principio di esecuzione. Il codice civile, in relazione ad alcuni tipi di
contratto consente un diritto di recesso esercitabile anche dopo la esecuzione del
contratto, esempi sono: diritto del committente di recedere dal contratto di appalto
o dal contratto d'opera tendendo indenne la controparte dalle spese sostenute, del
lavoro eseguito e del mancato guadagno.
2) Nei contratti di durata il recesso può essere esercitato anche dopo l’inizio
dell’esecuzione, ma non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di
esecuzione (1373, c.2).
2) Con il recesso per giusta causa ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto
[1373] prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato
[2097], o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si
verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del
rapporto (1) [2103, 2244]. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di
lavoro che recede per giusta causa compete l'indennità indicata nel secondo comma
dell'articolo precedente.
Non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto il fallimento
dell'imprenditore [2221] o la liquidazione coatta amministrativa dell'azienda [2111].
Il recesso per giusta causa implica l'avveramento di un fatto di gravità tale da porre
in crisi il rapporto fiduciario tra le datore di lavoro e prestatore
Tipologia di effetti.
La tipologia degli effetti particolari derivanti dal contratto è connaturata alla varietà
degli interessi realizzati. Secondo l’art. 1321 è possibile designare gli effetti prodotti
dal contratto come determinativi di vicende costitutive, modificative o estintive di
rapporti giuridici a contenuto patrimoniale. La norma ha riguardo anche alla
regolazione di rapporti giuridici. È consentito realizzare anche un effetto di mero
accertamento di situazioni giuridiche esistenti.
Le delineate vicende, prodotte dal contratto, integrano i cd. effetti particolari del
contratto espressivi del regolamento contrattuale quale voluto dalle parti e
integrato dall'ordinamento: sono connaturati al risultato programmato dalle parti
come effetti contrattuali. Ad esempio effetti particolari del contratto di vendita sono
il trasferimento del diritto e la costituzione di obbligazione per il pagamento del
prezzo. Gli effetti possono essere anche interni, nel senso di prodursi tra le sole parti
del contratto, si vedrà poi come sussistono ipotesi in cui è consentito all'autonomia
privata di produrre effetti contrattuali anche verso i terzi. Differenti sono i cd. effetti
riflessi, che si realizzano nei confronti dei terzi: tali effetti esprimono le ripercussioni
in capo ai terzi della efficacia diretta del contratto. Non sono effetti contrattuali, ma
mere conseguenze degli stessi.
Una rilevante distinzione degli effetti particolari è quella tra effetti obbligatori e
effetti reali. Prima di fissare le relative configurazioni giuridiche è bene cogliere il
fondamento materiale della dicotomia. Un esempio chiarisce il senso della
distinzione. Ad esempio avendo un soggetto una esigenza abitativa, può realizzare la
stessa in un duplice modo, prendendo un immobile in locazione cosicché il locatore
è obbligato a far godere l'immobile al locatario per un dato tempo e il locatario è
obbligato a corrispondere un canone al locatore. Oppure l'immobile può essere
acquistato trasferendo la proprietà al compratore il quale è tenuto a corrispondere il
prezzo della vendita.
Nella prima ipotesi l'esigenza abitativa è realizzata immediatamente tramite la
cooperazione del locatore che si obbliga a far godere la cosa per un certo tempo,
costituendo così un effetto obbligatorio. Nell'ipotesi di vendita viene realizzato il
trasferimento della proprietà realizzandosi quindi un effetto reale. Distinguiamo
quindi contratti con effetti obbligatori dai contratti con effetti reali.
Per quanto riguarda il principio del consenso, per il quale la proprietà si trasferisce
con la conclusione del contratto, comporta che l'acquirente può entrare nella
materiale disponibilità del bene ancor prima del pagamento del prezzo. Tale
principio riflette i suoi effetti anche sull'eventuale rischio di perimento della cosa
alienata. A tal proposito vige un principio generale per cui il venditore si assume il
rischio di perimento del bene finché egli sia proprietario della cosa. L'applicazione
del principio consensualistico determinerà che il rischio del perimento dovrà essere
assunto dal compratore a partire dalla conclusione del contratto. Qualora il bene
dovesse deteriorarsi, o addirittura andare perduto, dopo il perfezionamento del
contratto e prima della consegna, per cause non imputabili al venditore, l'acquirente
dovrà comunque pagarne il prezzo.
Art. 1372 c.c. comma 2, il contratto produce effetto rispetto ai terzi nei casi previsti
dalla legge.
Dobbiamo chiederci verso quali soggetti sono rivolti effetti del contratto; come
prima risposta possiamo pensare sicuramente alle parti che hanno stipulato l'atto,
ma è anche vero che gli effetti del contratto si riversano anche su coloro che
subentrano nella posizione delle parti e cioè:
gli eredi;
gli aventi causa.
Gli eredi, come sappiamo, sono i continuatori della personalità del defunto e
subentrano in tutta la sua posizione patrimoniale;
Gli aventi causa sono coloro che derivano il loro diritto dal diritto di una delle parti, i
successori a titolo particolare. Il diritto dell'avente causa derivando da quello della
parte, ne segue le vicende.
Al di fuori di questi soggetti abbiamo coloro che non sono toccati dalle vicende
contrattuali: i terzi.
1) terzo è colui che non è né parte, né erede o avete causa delle parti
Queste persone non sono quindi toccate dagli effetti del contratto, anche se si è
soliti distinguere, in merito agli effetti contrattuali, tra efficacia diretta e efficacia
riflessa; la prima, che è tipica contrattuale, tocca solo le parti, mentre l'efficacia
riflessa si propaga come conseguenza indiretta della prima, sui terzi.
Abbiamo quindi stabilito che il contratto ha efficacia solo tra le parti e che queste
non possono disporre della sfera giuridica di altri soggetti, i terzi, appunto.
Dobbiamo chiederci, allora, quando è possibile che i terzi siano coinvolti in contratti
altrui e perché;
Rispondendo alla seconda parte della domanda, osserviamo che quando il contratto
ha effetti favorevoli per il terzo, si permette che possa avere efficacia su di lui, a
meno che il terzo non intenda rifiutare il beneficio. Caso tipico è l'ipotesi prevista
dall'art. 1411 del codice civile, il contratto a favore del terzo, con tutte le sue
derivazioni, come ad esempio l'accollo.
Al di fuori del beneficio del terzo, rientrano i casi in cui una parte s'impegna a
coinvolgere nel rapporto contrattuale un terzo; in tal caso abbiamo le ipotesi del
contratto per persona da nominare (art. 1401 c.c.) e della promessa del fatto di un
terzo. Osserviamo, però, che questi due ultimi contratti non rientrano nella
previsione del secondo comma dell'art. 1372, perché qui non c'è alcun effetto
diretto sui terzi, né favorevole né sfavorevole; ce ne occupiamo, quindi, solo per
comodità espositiva.
Nozione (art. 1411 c.c.) è il contratto in cui due (o più parti) si accordano affinché
una di loro esegua una prestazione ad un terzo.
Nel contratto a favore del terzo abbiamo, quindi, tre soggetti fondamentali:
lo stipulante, che è colui che designa il terzo come destinatario della
prestazione; deve avere un interesse, anche morale o affettivo, alla stipula del
contratto;
il promittente, è l'altra parte contrattuale che deve eseguire la prestazione al
terzo;
il terzo, beneficiario della prestazione, non è parte del contratto né lo diviene
in seguito.
Come abbiamo già detto, questo contratto è una applicazione del principio
contenuto nel secondo comma dell'art. 1372 c.c.
La disciplina contenuta negli art. 1411 e seguenti, cerca di contemperare l'esigenza
dello stipulante ad attribuire il beneficio al terzo è quella del terzo a rifiutarla, se
vuole.
Il contratto a favore del terzo è una sorta di contratto base per una serie indefinita di
contratti, pensiamo ad esempio all'accollo e al contratto di assicurazione per conto
altrui o di chi spetta ex art. 1891 c.c. che si ritiene rientrino nella figura del contratto
a favore del terzo.
Più articolata risulta invece essere l'efficacia riflessa di diritto. È riconducibile alla
efficacia riflessa di diritto la rilevanza esterna che attiene ai diritti, ai doveri, alle
obbligazioni dei terzi. Ad esempio: se Tizio vende un bene a Caio questo entra a far
parte del patrimonio di costui è dunque oggetto della garanzia patrimoniale
generica. I creditori di Caio, terzi rispetto al contratto, potranno far valere i propri
diritti di credito anche sul nuovo acquisto; Qualora Sempronio alieni un
appezzamento di terreno agricolo a Mevio, quest'ultimo vanterà una situazione
giuridica attiva sul fondo nei confronti di tutti i terzi, cosicché chiunque cagionasse
un danno alla proprietà sarà tenuto a risarcire Mevio; Sussistendo un diritto reale di
servitú a favore del fondo alienato, il titolare del fondo servente sarà tenuto a
rispettare l'esercizio da parte del nuovo titolare.
Risulta essere quindi palese il vasto ambito di rilevanza degli effetti riflessi del
contratto. Effetti che non si esauriscono esclusivamente con la titolarità di diritti reali
e nell'ambito contrattuale, ma anche alle modalità di estinzione dell'obbligazione.
Un esempio potrebbe essere fatto proprio in merito alla remissione del debito. Essa
quando effettuata produce un effetto liberatorio anche nei confronti degli altri
condebitori, a meno che il creditore, al momento della remissione, non abbia
riservato tale diritto di liberazione nei loro confronti.
Subcontratto.
Diversamente si atteggia il subcontratto o contratto derivativo, di cui manca una
generale disciplina. Il subcontratto consente ad una parte contraente di riutilizzare
la propria posizione contrattuale per attivare in forza di questa una nuova
operazione economica con altro soggetto in virtù di un contratto che dipende dal
contratto originario. Il subcontratto talvolta deve essere autorizzato dall'altro
contraente, esempio subappalto, altre volte non richiede autorizzazione, salvo patto
contrario esempio sublocazione.
A differenza della cessione del contratto, nel subcontratto il rapporto tra i contraenti
che hanno concluso il contratto rimane in vita e continua ad operare. Su questo si
innesta un nuovo rapporto tra uno dei contraenti originari e il terzo anche a
condizioni diverse rispetto al contratto originario. Ma tale nuovo rapporto è
derivativo dal rapporto base, che rimane in piedi, dunque è subordinato allo stesso.
Perciò il subcontratto è destinato a subire le sorti del contratto base. Non può avere
una durata maggiore del contratto base e viene meno se invalido, o comunque
diviene inefficace il contratto base.
Esistono ipotesi in cui il contratto riguarda il terzo, non in via immediata come
effetto diretto, esempio il contratto a favore di un terzo, e neppure di rimbalzo,
(esempio la vendita dell'immobile locato fa subentrare l'acquirente nel contratto di
locazione del terzo locatario), ma solo in modo potenziale in ragione di atti che
indirettamente lo riguardano o perché è promesso un suo comportamento o perché
si è disposto del suo patrimonio: in entrambe le ipotesi è richiesto l’assenso del
terzo.
Promessa dell'obbligazione o del fatto del terzo. Per l'art. 1381 chi ha
promesso l'obbligazione o il fatto di un terzo è tenuto ad indennizzare l'altro
contraente se il terzo non si obbliga o non compie il fatto promesso. Con tale
contratto è promesso un obbligo di comportamento del terzo, la cui
assunzione evidentemente non può avvenire senza il consenso del terzo che
vi sarebbe tenuto. (Si pensi alla vendita dell'immobile locato con la promessa
di liberazione dell'immobile da parte del locatario entro una determinata
data). Il contratto ha solo effetto tra le parti vincolando il promittente al
promissario. La giurisprudenza ha ricostruito l'impegno del promittente come
obbligazione di facere consistente nell'adoperarsi affinché il terzo tenga il
comportamento promesso per soddisfare il promissario. Il mancato
comportamento del terzo comporta l'obbligo del promittente di indennizzare
il promissario. Se però il promittente è inadempiente alla promessa, poiché
nulla fa perché si realizzi il fatto del terzo o addirittura concorra perché non si
verifichi consegue il comune obbligo di risarcimento del danno da
inadempimento. Bisogna comunque verificare se il comportamento del terzo
fosse dedotto in condizione del contratto. La promessa può essere assunta
per negozio unilaterale o per contratto. Il fatto può consistere nell'assunzione
di una obbligazione o nel compimento di un atto giuridico. Se consiste in una
obbligazione, intervenuta l'assunzione della stessa da parte del terzo, il
promittente non è garante dell'esecuzione della prestazione dovuta dal terzo.
Affinché la promessa di obbligazione del terzo sia valida è necessario che la
prestazione abbia i requisiti di determinatezza, possibilità e liceità. Diverso è il
caso in cui il terzo sia già obbligato verso il promissario, in tal modo
l'obbligazione del promittente si atteggia come garanzia fideiussoria o come
assunzione del debito altrui.
Negozi sul patrimonio altrui. Principio logico dovrebbe essere che nessuno
può disporre di beni di proprietà altrui. Per il cod. Civ. del 1865, orientato alla
difesa della proprietà, la vendita di cosa altrui era nulla. Ma esigenze legate al
funzionamento del mercato hanno spinto il cod. Civ. del 1942 a considerare la
vendita di cosa altrui un contratto valido. Per l'art. 1478 dalla vendita di cosa
altrui deriva l'obbligazione del venditore di procurare l'acquisto della cosa al
compratore, il quale diventa automaticamente proprietario nel momento in
cui il venditore acquista la proprietà dal terzo. Il trasferimento di diritto al
compratore si produce senza necessità di un nuovo atto dispositivo in suo
favore. È invece dibattito se la donazione di cosa altrui sia nulla o solo
inefficace.
L'opponibilità.
Uno specifico angolo di osservazione degli effetti del contratto nei rapporto con i
terzi, è quello del conflitto tra diritti incompatibili. Si pensi all'ipotesi che un soggetto
alieni un suo bene prima ad un acquirente e successivamente ad un diverso
acquirente. Il secondo acquisto è incompatibile con il primo. In entrambi i casi gli
aquirenti vantano un titolo di acquisto a proprio favore. C'è dunque incompatibilità
di diritti derivante da incompatibilità di titoli acquisitivi. Un generale criterio logico
dovrebbe condurre a preferire il soggetto che prima ha acquistato il diritto e che
dunque ha per primo concluso il contratto. Il titolare di un diritto, alienato lo stesso,
non potrebbe di nuovo alienare il medesimo diritto a un diverso soggetto, per non
esserne più titolare. Ma sono molte le deroghe legali a tale principio in ragione di
più esigenze legate al funzionamento del mercato e allo sviluppo economico. In
ragione di ciò può avvenire che un contratto, pur validamente concluso ed efficace
tra le parti, sia considerato inefficace nei confronti di determinati terzi. Il fenomeno
è indicato con il termine inopponibilità del contratto ai terzi. Il conflitto è risolto
rendendo uno dei contratti inefficace nei riguardi di un determinato avente causa o
verso determinati terzi che vantino una situazione giuridica incompatibile con gli
effetti del contratto.
B) Tra più aventi causa di diritti reali su beni mobili non registrati, quello tra essi che
ne ha acquistato in buona fede il possesso è preferito agli altri anche se il suo titolo
è di data posteriore.
C) Tra più aventi causa di diritti personali di godimento relativi alla stessa cosa, il
godimento spetta al contraente che per primo lo ha eseguito. Se nessuno dei
contraenti ha eseguito il godimento è preferito quello che ha il titolo di data certa
anteriore.
D) tra più aventi causa del diritto di credito, prevale la cessione notificata per prima
al debitore o quella che è stata accettata per prima dal debitore con atto di data
certa.
L'autore di più atti dispositivi, cioè chi aliena uno stesso diritto prima ad un soggetto
e poi ad un terzo, risponde verso il primo avente causa per inadempimento del
contratto ed è dunque tenuto al risarcimento del danno. Anche il secondo avente
causa è tenuto al risarcimento del danno se in mala fede.
37
Esecuzione.
L’attuazione del risultato programmato e il principio di buona fede.
Talvolta, con la conclusione del contratto, è anche attuato lo scopo (essenziale)
perseguito dalle parti: ad es., nella vendita di cosa determinata, il risultato traslativo
è conseguito per effetto del solo contratto, in virtù del principio del “consenso
traslativo” (per cui la proprietà o altro diritto si trasmettono e di acquistano per
effetto del consenso legittimamente manifestato: art. 1376). In questa ipotesi,
l’effetto traslativo non esaurisce l’assetto di interessi, sussistendo altre
determinazioni che devono essere eseguite attraverso il comportamento delle parti.
(es. il contratto non si limita a disporre il trasferimento del diritto, che si realizza con
il consenso, ma prevede anche l'obbligazione di consegnare la cosa venduta e la
obbligazione del compratore di pagare il prezzo. Esiste un vasto campo di rapporti
economici in cui il complessivo risultato programmato è realizzabile solo attraverso
il comportamento delle parti. Es. con un contratto di appalto, una parte, ossia
l'appaltatore assume l'obbligazione di compiere un opera o un servizio a fronte
dell'obbligazione dell'altra parte di un corrispettivo in danaro. Con il contratto di
trasporto, il vettore assume l'obbligo di trasferire persone o cose da un luogo
all'altro verso l'obbligazione del corrispettivo dell'altra parte. (passeggero o
mittente).
In generale tutta l’area dei contratti con efficacia obbligatoria richiede l’esecuzione
del contratto per il soddisfacimento delle parti, realizzandosi l’utilità programmata
tramite l’adempimento delle obbligazioni. Emerge così la rilevanza giuridica della
esecuzione del contratto, che ha la funzione di attuazione del risultato
programmato, quando questo non è realizzato per effetto del contratto. La regola
specifica e fondamentale sull’esecuzione del contratto è nell’art. 1375 secondo il
quale “il contratto deve essere eseguito secondo buona fede (oggettiva)”. L’esatta
esecuzione del contratto comporta l’esatta attuazione di tutti gli obblighi inerenti
alla singola fattispecie contrattuale.
In tal senso svolge un ruolo fondamentale la buona fede oggettiva. Le parti nella
esecuzione del contratto devono avere un comportamento ispirato ai canoni di
lealtà e correttezza come esplicazione del dovere di solidarietà sociale, dovendo
salvaguardare la posizione contrattuale altrui. La violazione della buona fede
oggettiva comporta inadempimento del contratto e determina dunque la
responsabilità contrattuale del trasgressore.
Modalità dell’esecuzione.
Per cogliere la dinamica della esecuzione del contratto bisogna avere riguardo alle
modalità di esecuzione delle singole attribuzioni delle parti, espressamente
programmate o dovute per legge:
Operano come misure rafforzative della esecuzione del contratto la clausola penale
e la caparra confirmatoria.
a) L’ipotesi più agevole è quella della sopravvenienza regolata dalla legge, rispetto
alle quale la legge stessa appresta i relativi rimedi; con riguardo ai contratti a
prestazioni corrispettive il codice disciplina due principali figure di sopravvenienze
non imputabili alle parti ovvero la sopravvenuta impossibilità della prestazione e la
sopravvenuta eccessiva onerosità della prestazione di una delle parti. Per ciascuna
delle due figure è apprestato un rimedio distruttivo del contratto, comportante la
inefficacia del rapporto contrattuale, in alcune ipotesi evitabile con un rimedio
manutentivo di mantenimento del rapporto contrattuale con la ricostruzione
dell’equilibrio originario. In modo più specifico la parte liberata per la sopravvenuta
impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione e deve
restituire quella che già abbia ricevuto. Quando la prestazione di una parte è
divenuta solo parzialmente impossibile, l'altra parte ha diritto a una corrispondente
riduzione della prestazione dovuta e può anche recedere dal contratto quando non
abbia un interesse apprezzabile all'adempimento parziale. Relativamente ai contratti
di durata o a esecuzione differita il sopravvenire di avvenimenti straordinari e
imprevedibili che rendono la prestazione di una delle parti eccessivamente onerosa
consente alla parte tenuta a tale prestazione di domandare la risoluzione del
contratto, la controparte può evitarla offrendo di modificare equamente le
condizioni del contratto.
b) Può anche avvenire che singole sopravvenienze siano tenute presenti dalle parti
al momento del contratto e convenzionalmente regolate nel contratto con
diversificati atteggiamenti, si da realizzare una gestione concordata delle
sopravvenienze. Innanzitutto le parti possono rimettere a terzi o al sopravvenire di
singole circostanze la determinazione di alcuni profili del contratto ancora ignoti al
momento della stipula. Le parti possono introdurre criteri di adeguamento
automatico dell'ammontare di una prestazione col variare di alcuni indici o
parametri. Con particolare riguardo alle obbligazioni pecuniarie è consentito alle
parti introdurre clausole che derogano al principio legale, prevedendo che il
pagamento debba essere eseguito con moneta avente valore intrinseco. Talvolta le
parti consentono a ciascuna di esse di variare il contenuto o l'oggetto della
prestazione con il sopraggiungere di determinati fenomeni.
38
Sostituzione nell'attività giuridica.
Rapporto gestorio e potere rappresentativo.
Non è sempre possibile curare direttamente tutti i propri interessi, talvolta è
sufficiente avvalersi di mere collaborazioni tecniche, talaltra si rende indispensabile
farsi sostituire da altri soggetti. Esiste così il fenomeno della sostituzione nell'attività
giuridica, il soggetto che agisce giuridicamente (sostituto o gestore) realizza un
interesse non proprio ma di altro soggetto (cd. sostituto o gerito). Non per tutti gli
atti è consentita la sostituzione (es. personalissimi). Tratto comune della sostituzione
nell’attività giuridica altrui è la gestione dell’interesse altrui, che ne incarna il profilo
sostanziale (cd. rapporto gestorio). Tale attività può essere svolta quale funzione, in
ottemperanza di un obbligo di legge (es. potestà genitoriale) o in attuazione di un
incarico o per iniziativa del gestore stesso. Al dato di carattere sostanziale di cura
dell'interesse altrui, se ne accompagna un altro, di carattere formale, costituito da
un potere del gestore di incidere senz’altro la sfera giuridica del soggetto
interessato, riversando nella sfera altrui gli effetti degli atti compiuti: è questo il
fenomeno della rappresentanza in senso tecnico, con il quale ad un soggetto è
conferito il potere rappresentativo di altro soggetto. Quanto alla fonte del potere di
rappresentanza lo stesso può essere conferito dalla legge (rappresentanza legale)
ovvero dall’interessato (rappresentanza volontaria, procura), (1387).
(A) Rappresentanza
Rappresentanza diretta e indiretta.
All’interno della rappresentanza volontaria si è soliti distinguere tra rappresentanza
diretta e indiretta.
c) Circa gli stati soggettivi rilevanti, si ripropone la medesima imputazione dei vizi
della volontà. Per l’art. 1392, quando rileva lo stato di buona o di mala fede, di
scienza o d’ignoranza di determinate circostanze, si deve avere riguardo alla persona
del rappresentante.
In nessun caso il rappresentato che è in mala fede può giovarsi dello stato
d’ignoranza o di buona fede del rappresentato (1391).
a) Quanto alla sorte del contratto, per regola generale, il contratto concluso dal
rappresentante in nome e nell’interesse del rappresentato produce effetti nei
confronti del rappresentato nei limiti delle facoltà conferitegli (1388).; pertanto chi
agisce privo di poteri rappresentativi pone in essere un contratto non efficace per il
rappresentato (1398); il contratto stipulato dal falso rappresentante è sempre
inefficace, non potendosi riferire né al rappresentato né al rappresentante.
c) Per quanto riguarda la posizione del rappresentato, questo non può essere
obbligato ad osservare il contratto concluso dal falso rappresentante, ma potrebbe
comunque essere interessato a questo nel caso in cui il contratto sia conveniente. In
tal modo è consentito al rappresentato di far proprio il contratto concluso dal falso
rappresentate attraverso la ratifica. La ratifica è un negozio unilaterale con il quale il
rappresentato fa propri gli effetti del contratto stipulati dal falso rappresentate. Con
la ratifica è come se il falso rappresentate avesse avuto sia da subito la procura. La
ratifica può essere espressa o tacita ed è prevista una forma solenne se il negozio da
ratificare abbia ad oggetto la vendita di un immobile o di mobili registrati.
La rappresentanza apparente.
Abbiamo visto i casi della falsa rappresentanza e abbiamo anche visto che il
falsamente rappresentato non è vincolato agli atti compiuti dal falso
rappresentante, che quindi non possono essergli opposti, salvo che non decida di
ratificarli. La situazione che nasce dalla rappresentanza apparente è quindi la stessa,
e le conseguenze, si potrebbe pensare, non potrebbero essere diverse dal caso del
falso rappresentante.
Tuttavia la giurisprudenza ha preso in considerazione un caso particolare di falsa
rappresentanza, non regolato dal codice civile, dove è vero che non c’è stata
procura, ma è anche vero che non solo un soggetto ha agito come falso
rappresentate, ma è anche accaduto che l’interessato, il falsamente rappresentato,
si è comportato in modo tale da far ragionevolmente credere ai terzi che chi agiva
per lui fosse per davvero il suo rappresentante.
Il rappresentato apparente, quindi, agisce colposamente, perché di fronte all’uso del
suo nome da parte del rappresentante apparente, non interviene per render chiaro
che non ha conferito alcun potere di rappresentanza, tanto da ingenerare nei terzi la
ragionevole convinzione che il potere rappresentativo esista per davvero.
Il più delle volte questo comportamento colposo si traduce nella tolleranza del
rappresentato apparente nei confronti dell’attività del rappresentante apparente.
L’ipotesi corre quando c’è l’esigenza di regolare uno specifico interesse, ma non è
ancora determinato il titolare dell’interesse stesso. Ad esempio in tema di vendita di
cose mobili in caso di divergenza sulla qualità o condizione della cosa, il venditore o
il compratore possono chiederne la verifica giudiziale. Il giudice quindi su istanza
della parte interessata può ordinarne il deposito, il sequestro o la vendita per conto
di chi spetta determinandone le condizioni. Analogamente in tema di trasporto se
sorge controversia tra più destinatari circa il diritto alla riconsegna o circa
l'esecuzione di questa, o se il destinatario ritarda a ricevere le cose trasportate, il
vettore può depositarle in un locale di pubblico deposito. Il contratto per conto di
chi spetta è caratterizzato dalla incertezza circa il destinatario degli effetti del
contratto: c’è l’esigenza di stipulare il contratto nell’attesa di definire, sulla base di
circostanze oggettive, la ricerca del destinatario degli effetti e cioè del risultato
programmato con il contratto.
Anche il contratto per conto di chi spetta realizza una sostituzione, anche se non può
parlarsi di rappresentanza per due motivi: non c'è spendita di nome altrui, essendo
anzi incerto il destinatario degli effetti del contratto; non c'è gestione di un interesse
determinato perché la individuazione del destinatario è legata ad un evento
oggettivamente incerto e successivo.
39
Anomalie genetiche. Difetti nella
formazione.
L'atto e il rapporto contrattuale.
Si è visto in precedenza come il contratto rilevi giuridicamente nella duplice
prospettiva, di atto (fattispecie contrattuale, quale perfezionatasi) e di rapporto
(vincolo contrattuale realizzato dello scopo programmato). Si è soliti parlare di
difetti strutturali e di difetti funzionali, per inerire i primi alla conclusione e quindi
alla struttura dell’atto e i secondi alla esecuzione e quindi alla funzione del rapporto.
Le anomalie che si presentano nella fase di conclusione del contratto sono
genetiche, per riguardare la formazione del contratto, come titolo e fondamento di
vicende giuridiche. Le anomalie che insorgono successivamente alla stipulazione del
contratto sono sopravvenute, per riguardare l’attuazione del contratto, in funzione
dello svolgimento dell’assetto di interessi programmato. Analizziamo le anomalie
genetiche.
Inesistenza.
Con l'invalidità l'atto non risulta essere idoneo a perseguire scopi meritevoli di
riconoscimento e di tutela. Il codice disciplina due ipotesi di invalidità negoziale: la
nullità e l'annullabilità. Accanto alla categoria dell'invalidità si colloca la fattispecie
relativa all'inesistenza priva di un riferimento normativo e ignota al codice civile.
L'inesistenza si configura quando le anomalie del negozio assumono una dimensione
tale, sotto il profilo strutturale e funzionale, da far ritenere la fattispecie neppure
esistente per l'ordinamento giuridico. La categoria dell'inesistenza tende a
confondersi con quella della nullità. La dottrina e la giurisprudenza tendono a
distinguere le due categorie. In tal senso una fattispecie è giuridicamente rilevante
quando viene così qualificata dall'ordinamento indipendentemente dalla produzione
di effetti giuridici. La qualificazione di un operazione economica come inesistente
preclude a monte la possibilità di considerarla corrispondente ad un determinato
regolamento di interessi meritevoli di tutela proprio perché inesistenti. Il contratto
nullo, benché viziato, presenta almeno una impalcatura esterna di un negozio
giuridico ed in ogni caso suscita interesse nell'ordinamento, che nel qualificarlo
negativamente presuppone la sua rilevanza giuridica.
L'invalidità
Opera con riferimento a contratti esistenti e cioè socialmente identificati come atti
di autonomia privata, ma difformi all’ordinamento giuridico. L’atto, benché in grado
di operare nella realtà sociale, è valutato negativamente dall’ordinamento per
contrarietà ai “valori” fondanti o anche solo a specifiche regole organizzative. Le
cause di invalidità attengono, da un lato, a vizi di forma dell’atto e cioè con
riferimento all’attività rappresentativa e al documento; dall’altro, a vizi di sostanza
dell’atto e cioè con riguardo al contenuto dell’atto e al contesto in cui è maturato
oltre he alla persona degli autori. La invalidità si articola in due specie: la nullità e
l’annullabilità.
La nullità determina l’inefficacia originaria e automatica del negozio; l’annullabilità
comporta la precarietà degli effetti dell’atto, che possono essere caducati
dall’autorità giudiziaria. La comminatoria dell’una o dell’altra specie di invalidità è in
ragione di due fondamentali criteri: il tipo di illegalità, e perciò la natura degli
interessi coinvolti e lesi; l’impatto sociale dell’atto, e dunque l’affidamento che lo
stesso è in grado di suscitare e in realtà determina.
(A) Nullità.
Configurazione di nullità.
Come si vede, la nullità è la patologia più grave che può colpire un negozio giuridico
in quanto ne provoca l'assoluta mancanza di efficacia.
Scendendo su un piano " medico " potremmo dire che il negozio giuridico è nato
morto, mentre commetteremmo un errore se pensassimo che il negozio sia nato
vivo e poi successivamente morto.
Con ciò si vuol dire che un negozio nullo è come se non fosse mai nato e, quindi,
tutto quello che è stato dato in base a questo negozio potrà essere ripetuto.
L'articolo fondamentale che ci illustra il concetto di nullità è il 1418 del codice civile.
Dalla sua lettura possiamo agevolmente dividere i casi di nullità in quattro grandi
categorie:
Atto nullo perché contrario a norme imperative: In questo caso la contrarietà
di un atto ad una qualsiasi norma imperativa ne comporterà
automaticamente la nullità. Stabilendo in generale la nullità degli atti contrari
a norme imperative, il legislatore ha inteso comminare questa sanzione anche
quando la nullità dell'atto non sia espressamente prevista da una norma. È
chiaro che per poter applicare adeguatamente il precetto contenuto
dell'articolo 1418 c.c. sarà necessario verificare se la norma violata dall'atto
sia o meno imperativa
Atto nullo poiché manca di uno degli elementi essenziali del negozio giuridico:
Sono i casi previsti dall'articolo 1325 c.c. relativi agli elementi essenziali del
negozio giuridico. Sappiamo che la mancanza di uno di questi elementi
comporterà la nullità del negozio mentre, con riferimento ai contratti, si avrà
comunque nullità quando, oltre alla mancanza degli elementi previsti
dall'articolo 1325 c.c., il contratto avrà l'oggetto mancante, impossibile,
illecito, indeterminato o indeterminabile
Atto nullo perché illecito: In questo caso il negozio è nullo perché la causa è
contraria a norme imperative all'ordine pubblico o al buon costume o perché
illeciti sono i motivi quando le parti di un contratto si sono determinate a
concluderlo per un motivo illecito comune ad entrambe
Atto nullo perché contrario ad una specifica norma di legge: A differenza del
primo caso, qui per aversi nullità sarà necessario che la legge la preveda
specificamente come sanzione per il compimento del negozio. La nullità potrà
scaturire sia dalla violazione di una norma del del codice civile sia dalla
violazione di norme contenute in leggi speciali.
La nullità può colpire l'intero negozio o una sua parte oppure, ancora, singole
clausole. Si parla in tutti questi casi di:
Non si verifica la nullità quando le singole clausole nulle sono sostituite di diritto da
norme imperative.
Per stabilire quando la nullità di singole clausole (o parti del) negozio comporti la
nullità dell'intero negozio sarà quindi necessario andare a ricercare l'intenzione delle
parti, l'intenzione comune nel caso di contratti. Tale intenzione sarà desunta dal loro
comportamento e non certo da sottili indagini psicologiche; in altre parole bisognerà
verificare se dal contegno delle parti sarà oggettivamente possibile risalire alla loro
intenzione secondo i principi della buona fede e dell'affidamento.
Precisiamo, ancora, che nel caso in cui vi sia nullità parziale, comunque residuerà un
negozio giuridico perfetto del tipo voluto dalle parti, e non un altro tipo di negozio
come invece accade nell'ipotesi apparentemente simile relativa alla conversione del
negozio nullo.
Azione di nullità
Nozione: è l'azione con cui si intende far dichiarare dal giudice la nullità di un
negozio giuridico. All'azione di nullità sono dedicate due norme del codice civile:
l'art. 1421 in tema di legittimità dell'azione di nullità e il 1422 che dispone
l'imprescrittibilità dell'azione.
Innanzitutto l'azione di nullità ha natura di accertamento e la sentenza che la
definisce ha natura dichiarativa.
Analizziamo ciò che si desume dagli articoli.
Le nullità di protezione.
Vediamo subito di chiarire l'ipotesi della conversione regolata dall'articolo 1424 c.c.
delineata della nozione.
1. Questo negozio contiene gli elementi di diverso negozio valido (ad esempio un
contratto che regola il diritto di servitù nullo per difetto di forma può contenere gli
elementi di diritto personale di passaggio)
2. Le parti nello stipulare il negozio non erano a conoscenza della causa del nullità
(ad esempio, la mancanza della forma scritta)
3. Dallo sviluppo delle trattative e da tutti gli altri elementi oggettivi si giunge a
desumere che le parti avrebbero stipulato il diverso contratto valido se avessero
conosciuto la causa di nullità del negozio nullo; si fa riferimento, cioè, ad una
ipotetica volontà delle parti
Sia la conversione del contratto nullo sia la conversione formale fanno riferimento al
principio generale di conservazione del contratto, in base al quale il nostro
ordinamento per un esigenza economica tende a salvare, laddove è possibile, l'atto
di autonomia privata.
C) Contratto plurilaterale: Per l’art. 1420, nei contratti con più di due parti, in cui le
prestazioni di ciascuna sono dirette al conseguimento di uno scopo comune, la
nullità che colpisce il vincolo di una sola delle parti non importa nullità del contratto,
salvo che la partecipazione di essa debba, secondo le circostanze, considerarsi
essenziale. È questa una regola fondamentale dei contratti con comunione di scopo;
(società, consorzi, ecc.). Bisogna verificare se la liberazione di una singola parte
consenta al contratto di attuare egualmente lo scopo comune programmato.
È vero infatti che non solo è imprescrittibile l'azione volta a far dichiarare la nullità di
negozio giuridico, ma è altrettanto imprescrittibile la relativa eccezione. In altre
parole in qualsiasi momento di fronte ad una richiesta di esecuzione di negozio
nullo, ci si potrà opporre eccependo la nullità del negozio.
Più volte si è affermato che il negozio nullo è come se non fosse mai esistito.
Esistono dei casi, però, dove l'applicazione di questa regola potrebbe portare a
conseguenze assai gravi o ingiuste.
Pensiamo al caso del lavoratore che in buona fede abbia prestato la sua attività
lavorativa in base ad un contratto nullo.
Altra deroga alla disciplina generale la troviamo in tema di società per azioni dove la
dichiarazione di nullità dell'atto costitutivo non ha efficacia retroattiva e ciò per
salvaguardare i creditori della S.p.a.
(B) Annullabilità.
Configurazione dell'annullabilitá.
Nozione: l'annullabilità è una forma meno grave di invalidità rispetto alla nullità
grazie alla quale si permette al soggetto che è stato danneggiato da un negozio
giuridico viziato, per la violazione di norme poste per la sua tutela, di impugnarlo e
di farne cessare l'efficacia.
Come si vede dalla definizione l'annullabilità si distingue profondamente dalla
nullità.
Sappiamo infatti che il negozio nullo è come se non fosse mai nato. Conseguenza di
ciò sarà la totale mancanza di effetti del negozio affetto da nullità.
Il negozio annullabile non è " nato morto " ma è " nato malato " nel senso che è
comunque fornito di vitalità e potrà sia guarire dalla malattia che lo affligge sia
morire in seguito ad essa.
Questa metafora rende bene l'idea delle conseguenze che scaturiscono dalla
annullabilità.
L'annullabilità, a differenza della nullità, non è prevista in via generale dal codice ma
è stabilita di volta in volta in norme specifiche.
Ricordiamo i vizi della volontà, errore violenza e dolo; sappiamo che un contratto
concluso per effetto di dolo potrà essere annullato dal raggirato; altri casi li
ritroviamo nelle ipotesi di negozi conclusi da chi era incapace di intendere o di
volere(art. 1443 c.c.)
I cinque anni normalmente decorrono dal giorno in cui è venuta meno la causa che
ha viziato il negozio annullabile.
Per questo motivo l'articolo 1442 c.c. dispone al secondo comma che
" quando l'annullabilità dipende da vizio del consenso o incapacità legale il termine
decorre dal giorno in cui è cessata la violenza, è stato scoperto l'errore o il dolo, è
cessato lo stato di interdizione o di inabilitazione, ovvero il minore ha raggiunto la
maggiore età.
Negli altri casi il termine decorre dal giorno della conclusione del contratto".
Si vede, quindi, che l'articolo 1442 non intende in nessun modo tutelare chi ha
approfittato del vizio del negozio; il termine per la prescrizione decorre, infatti, da
quando è cessata l'efficacia della causa di annullabilità.
Le cause di annullabilità.
Le cause di annullabilità sono tassativamente previste dalla legge, a differenza della
nullità.
b) Vizi del consenso: per l’art. 1427 il contraente cui il consenso fu dato per errore,
estorto con violenza o carpito con dolo, può chiedere l’annullamento del contratto.
Convalida
Nozione: è un negozio giuridico con il quale la parte legittimata a chiedere
l'annullamento del contratto vi rinuncia pur essendo consapevole del vizio che è
causa di annullabilità.
In ogni caso essendo la convalida un negozio giuridico dovrà essere posta in essere
solo da chi è in condizione di concludere validamente il negozio di cui si tratta. Il
minore, quindi, non potrebbe convalidare un negozio annullabile propria a causa
della sua minore età.
(C) Rescissione.
Nozione: attraverso l'azione di rescissione si permette a un soggetto che ha concluso
un contratto in condizioni di pericolo o di bisogno di sciogliersi dallo stesso quando
queste condizioni hanno provocato delle notevoli sproporzioni tra prestazioni
contrattuali.
Pensiamo al caso in cui una madre vede rischiare di annegare suo figlio e non è in
grado di prestargli soccorso; in tale situazione potrebbe promettere una grossa
somma di denaro a chi lo porterà in salvo. Pensiamo ancora all'ipotesi di chi
trovandosi in stato di bisogno venda un bene prezioso al di sotto della metà del suo
valore.
Entrambi i contratti sono stati conclusi sotto la spinta di situazioni particolari, ben
note a tutti i contraenti, situazioni che hanno cagionato una particolare iniquità nelle
condizioni negoziali.
Prevista in via generale dal codice civile (artt. 1447 e 1448) se ne distinguono due
ipotesi.
In caso di rescissione il giudice potrà assegnare un equo compenso all'altra parte per
l'opera prestata.
40
Anomalie sopravvenute.
Poiché la realizzazione dello scopo perseguito dalle parti passa attraverso
l'adempimento delle obbligazioni, può avvenire che il rapporto contrattuale non sia
attuato o sia inesattamente attuato a causa del mancato adempimento delle
obbligazioni assunte con il contratto o per il sopravvenire di fatti comportanti una
impossibilità o difficoltà nell'adempimento o inesatto adempimento delle
obbligazioni. Una particolare disciplina è prevista per i contratti a prestazioni
corrispettive. Essi sono caratterizzati dalla presenza di due prestazioni, vincolate da
un nesso di reciprocità, per cui la prestazione di una parte viene posta in essere in
conseguenza della prestazione della controparte (Es. nella vendita, la consegna di un
bene si ha con il pagamento del prezzo). Pertanto se il rapporto di corrispettività
viene meno, l'ordinamento prevede due strumenti per i soggetti:
Per quanto riguarda la funzione, facciamo una distinzione tra tecniche manutentive
con le quali si mira a conservare il contratto con le opportune modificazioni, e
tecniche demolitive con le quali si mira alla risoluzione del contratto.
(A) Autotutela.
Si è già accennato all’autotutela privata, quale rimedio accordato dall’ordinamento
ai privati per la soluzione di una controversia senza il ricorso all’autorità giudiziaria e
dunque al processo. Anche nella materia contrattuale esiste una vasta area cui è
consentito alle parti autotutela per propri interessi senza il ricorso all’apparato
giudiziario. Con riguardo al contratto in primis è ammessa un'autotutela
consensuale. Le parti hanno la possibilità di modificare il contratto, giungendo allo
scioglimento per mutuo consenso nel caso in cui il contratto non soddisfi più gli
interessi originari delle parti. Si può parlare in questo caso di autotutela in senso
ampio, che si caratterizza per l’unico aspetto di provenire dagli stessi privati, senza
l’intervento di un terzo (giudici o arbitri) che dirimi autoritariamente la controversia
con una decisione.
(B) Eterotutela.
Generalità.
Si è già anticipato come, per i contratti a prestazioni corrispettive, caratterizzati cioè
dalla esistenza di un nesso di reciprocità tra le prestazioni (sinallagma genetico) è
necessario che tale nesso persista anche durante o lo svolgimento del rapporto
contrattuale (cd. sinallagma funzionale). Verificandosi anomalie nella correlazione
tra le prestazioni durante l’esecuzione del contratto, la legge appresta specifici
rimedi di tutela a presidio del nesso di corrispettività.
Si è già detto sopra della c.d. risoluzione consensuale con la quale i contraenti con
mutuo consenso sciolgono il contratto concluso. (1372). In questa sede però si
dibatte gli strumenti protettivi che non vengono assunti con l’accordo delle parti, ma
che anzi l’una parte fa valere contro l’altra; con “eterotutela” ci si vuole riferire alle
varie ipotesi, e sono le più diffuse, nelle quali il contraente non ha a disposizione
poteri di tutela immediata e diretta, sì da conseguire autonomamente il
soddisfacimento per la mancata esecuzione del contratto (autotutela). Il contraente,
per mancata attuazione del rapporto contrattuale, ricorre a un apparato terzo
(autorità giudiziale statale o giustizia arbitrale) che verifica le ragioni addotte dalle
parti ed emette una decisione di tutela dei diritti vantati.
Il c.c. fissa tre figure di anomalo svolgimento del rapporto contrattuale
nell’attuazione del contratto: l’inadempimento, l’impossibilità sopravvenuta della
prestazione e l’eccessiva onerosità. Tutte sono racchiuse sotto l’unico capo XIV del
Libro Quarto “Della risoluzione del contratto”.
L'inadempimento.
Per delineare l’inadempimento del contratto si deve, dunque, analizzare il
complessivo contenuto dello stesso. Pertanto l'inadempimento può essere definito
come inattuazione del regolamento contrattuale, non procurando uno dei
contraenti il risultato programmato nel contratto e/o imposto dalla legge.
L’espressione “inadempimento” è comprensiva sia dell’inadempimento che
dell’inesatto adempimento. Trattandosi di inadempimento di una obbligazione, è
necessario che l’obbligazione non adempiuta sia esigibile, cioè sia scaduto il termine
di adempimento dell’obbligazione; l’inesatta esecuzione delle prestazioni deve esser
imputabile alla parte inadempiente (1218). Infine l’adempimento del contratto deve
essere importante e cioè grave, nel senso che non deve avere scarsa importanza
avuto riguardo all’interesse dell’altra parte (1455). Qualora ricorrano inesatte
esecuzioni delle prestazioni da entrambe le parti, bisogna verificare, nel concorso tra
le stesse, quale delle due si riveli prevalente e causalmente determinante della
mancata attuazione del contratto, sì da integrare inadempimento contrattuale. Il
contraente che invoca la tutela giudiziaria per l’inadempimento dell’altro contraente
non ha necessità di fornire in giudizio la prova dell’inadempimento, essendo
sufficiente l’allegamento dell’inadempimento (o inesatto).
Risoluzione giudiziale.
Può essere domandata anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere
l’adempimento, ma non può più chiedersi l’adempimento quando è stata
domandata la risoluzione (1453). L’impossibilità di mutare la domanda di risoluzione
in domanda di adempimento si giustifica per la ragione che la domanda di
risoluzione del contratto denota in chi la propone di non avere più interesse alla
esecuzione del contratto: ciò comporta che la parte inadempiente consideri ormai
inutile apprestare l’adempimento. Correlativamente l’inadempiente, dalla data della
domanda di risoluzione, non può più adempiere la propria obbligazione (1453) in
quanto la parte che ha chiesto la risoluzione potrebbe avere già reperito sul mercato
la prestazione non eseguita dalla controparte. La domanda di risoluzione è soggetta
a prescrizione ordinaria decennale con decorrenza dalla data di inadempimento.
Il giudice che pronunzia la risoluzione deve verificare i presupposti
dell’inadempimento. La sentenza di risoluzione ha efficacia costituiva in quanto
determina l’estinzione del rapporto contrattuale, con lo scioglimento del vincolo che
teneva unite le parti.
Risoluzione di diritto.
In determinate ipotesi la risoluzione opera di diritto (ipso iure) e cioè
automaticamente, al ricorrere di determinati presupposti. Tratto comune è il
riconoscimento ai privati del potere di realizzare la risoluzione del contratto senza
l’intervento del giudice. Il ricorso all’autorità giudiziaria ha solo funzione di
accertamento dei presupposti della risoluzione: l’azione di risoluzione del contratto
tende dunque ad una sentenza dichiarativa dell’avvenuta risoluzione per
inadempimento.
Le ipotesi generali di risoluzione di diritto sono la diffida ad adempiere, la clausola
risolutiva espressa e il termine essenziale.
a) Diffida ad adempiere: in realtà tale figura integra un rimedio di autotutela in
senso stretto, in quanto è attribuito a uno dei contraenti il potere di realizzare
unilateralmente la risoluzione del contratto. Rimanendo una parte inadempiente del
contratto, è accordata alla controparte il diritto potestativo di realizzare la
risoluzione del contratto senza l’intervento del giudice. In particolare è un atto
unilaterale negoziale che la parte non inadempiente indirizza alla controparte con lo
scopo di determinare la risoluzione “ipso iure” del contratto. Deve essere formulato
per iscritto e contenere la intimazione ad adempiere in un congruo termine che non
può essere inferiore a 15 giorni salvo diversa pattuizione o salvo che il contratto
preveda diversamente e l’avvertimento che decorso il termine, il contratto si
intenderà risoluto. Decorso il termine senza che il contratto sia adempiuto, questo è
risoluto di diritto (1454). La diffida ad adempiere ha una duplice funzione: da un lato
pone le basi per la successiva risoluzione del contratto allo scadere del termine
assegnato, dall'altro vale a costituire in mora il debitore. Una mera intimazione di
adempire in un congruo termine non accompagnata da un'espressa dichiarazione
che il decorso del tempo comporterà la risoluzione del contratto non vale come
diffida ad adempire ma solo come costituzione in mora, con gli effetti propri di
questa. Anche la diffida ad adempiere è esercitabile in presenza di un
inadempimento della controparte di non scarsa importanza (1455).
Impossibilità sopravvenuta.
Si è già visto come la impossibilità originaria di una prestazione, comportando un
oggetto impossibile del contratto, è causa di nullità dello stesso (1346)
Se l’impossibilità sopravvenuta della prestazione si verifica per causa imputabile al
debitore, la situazione è assimilata all’inadempimento, sicché la controparte ha
diritto a chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento, oltre il
risarcimento dei danni (1453).
Se la impossibilità sopravvenuta si verifica per causa non imputabile al debitore, la
stessa determina la estinzione dell’obbligazione (1256). La impossibilità deve essere
oggettiva e definitiva e può anche riferirsi alla impossibilità di utilizzazione della
prestazione della controparte, secondo la causa concreta del contratto; può essere
invocata da entrambe le parti.
L’impossibilità può essere di vario modo (parziale, temporanea, ecc).
Nei contratti con prestazioni corrispettive, il modello di impossibilità sopravvenuta
dell’una prestazione si riverbera sulla vita dell’altra, influenzando il nesso di
causalità che tiene unite entrambe le prestazioni.
d) Grave problema è quello della impossibilità parziale della prestazione per causa
imputabile al creditore, per non essere la figura regolata dalla legge. Assodato che
l'impossibilità della prestazione comporta dunque la risoluzione del contratto per la
inattuabilità del rapporto contrattuale programmato, c'è da stabilire le conseguenze
della imputabilità della impossibilità del creditore. Si può configurare una risoluzione
del contratto per inadempimento contrattuale imputabile al creditore, con obbligo
di risarcimento del danno a suo carico, per essere venuto meno al dovere di buona
fede nell’esecuzione del contratto (1453 ss.)
a) Principio generale per i contratti obbligatori è che il rischio cade sul debitore la cui
prestazione è divenuta impossibile. Per l’art. 1463, nei contratti con prestazioni
corrispettive, la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione
dovuta non può richiedere la controprestazione e deve restituire quella che abbia
già ricevuto, secondo le norme relative alla ripetizione dell’indebito. In tal guisa la
perdita economica per la impossibilità della prestazione si colloca nel patrimonio
della parte debitrice della prestazione divenuta impossibile, in quanto perde il bene
dovuto senza avere diritto alla controprestazione (deve anzi restituire la prestazione
eventualmente ricevuta). La controparte, è vero che non riceve la prestazione
divenuta impossibile, ma nulla perde per tale evento in quanto è liberata
dall’obbligo della controprestazione. In sostanza la peculiarità della sopportazione
del rischio nei contratti obbligatori sta nel fatto che l’impossibilità dell’una
prestazione, determinando la estinzione dell’obbligazione, comporta la liberazione
della controparte dall’obbligo di eseguire la controprestazione. Si pensi al classico
esempio dell'incendio dell'immobile dato in locazione: il locatore a seguito
dell'incendio è liberato si dalla obbligazione di far godere l'immobile, ma perde il
bene e non ha diritto ai canoni locativi. Viceversa il locatario è vero che non
consegue il godimento dell'immobile, ma non paga i canoni e quindi non perde
nulla. Anche qui però troviamo i principi relativi alla mora. Se il debitore è in mora,
non è liberato dall’obbligazione ed è tenuto al risarcimento per equivalente della
prestazione non eseguita: il debitore può liberarsi solo provando che l’oggetto della
prestazione sarebbe egualmente perito presso il creditore, salvo che si tratti di cosa
illecitamente sottratta (1221). Se ad essere in mora è il creditore, è a suo carico la
impossibilità della prestazione sopravvenuta per causa non imputabile al debitore
(1207).
b) Il discorso è più complesso con riferimento ai contatti con effetti reali, per
operare il principio del c.d. consenso traslativo, per cui gli effetti reali si producono
in virtù del consenso legittimamente manifestato. La sopportazione del rischio è
organizzata sulla dinamica del trasferimento del diritto: gli eventi fortuiti che
colpiscono il bene dopo il trasferimento del diritto gravano sull’acquirente in quanto
già proprietario. Nei contratti in cui si ha il trasferimento di una cosa determinata
oppure costituiscono o trasferiscono diritti reali, il perimento della cosa per una
causa non imputabile all'alienante non libera l'acquirente dall'obbligo di eseguire la
controprestazione ancorché la cosa non gli sia stata consegnata. Si considera cioè
che, con il trasferimento del diritto è realizzato il risultato traslativo che è il risultato
fondamentale del contratto e dunque l'acquirente è tenuto alla prestazione
corrispettiva.
Eccessiva onerosità.
41
Contratti di prestazione d'opera o di
servizi.
(A) Appalto.
I contratti esaminati in questo capitolo sono caratterizzati dallo scambio del risultato
di un facere autonomamente organizzato verso il corrispettivo di un prezzo. I
contratti di appalto si distinguono dai contratti di lavoro perché in questi ultimi il
facere, cioè l'esecuzione della prestazione, avviene sotto la direzione e alle
dipendenze del datore di lavoro. Il contratto di appalto risulta essere senz'altro il
contratto più diffuso. L'appalto è il contratto attraverso il quale un soggetto detto
appaltatore assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio
rischio, il compimento di un opera o di un servizio commissionatogli dal
committente verso un corrispettivo in danaro. Si tratta dunque di un contratto
consensuale a prestazioni corrispettive. Andiamo ora ad analizzare i vari elementi
del contratto di appalto.
Per quanto riguarda la revisione dei prezzi ci si rifà alla disciplina sulla risoluzione per
eccessiva onerosità dove la tutela per la sopravvenienze è ammessa in presenza di
avvenimenti straordinari e imprevedibili. Sono ammesse due ipotesi di
sopravvenienze: per eccessiva onerosità o difficoltà di esecuzione. In particolare
qualora per effetto di circostanze imprevedibili si siano verificati aumenti o
diminuzioni nel costo di materiali o della mano d'opera, tali da determinare un
aumento o una diminuzione superiore al decimo del prezzo complessivo convenuto,
l'appaltatore o il committente possono chiedere una revisione del prezzo. Talvolta
sono le stesse parti a inserire nel contratto clausole di revisione prezzi. Se nel corso
di un opera si manifestano delle difficoltà derivanti da cause geologiche o idriche,
non previste dalle parti, che rendano notevolmente più onerosa la prestazione
dell'appaltatore, questi ha diritto ad un equo compenso.
Appalti pubblici.
Gli appalti pubblici sono contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra una
stazione appaltante o un ente aggiudicatore e uno o più operatori economici, aventi
per oggetto l'esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi.
1. Nella prima fase, prima dell'avvio delle procedure di affidamento dei contratti
pubblici, le amministrazioni decretano o determinano di contrarre,
individuando gli elementi essenziali del contratto e i criteri di selezione per gli
operatori economici.
2. La selezione avviene mediante uno dei sistemi previsti dal codice, dove viene
selezionata la migliore offerta.
3. Al termine di tale procedura viene dichiarata l'aggiudicazione provvisoria a
favore del migliore offerente. Successivamente ad ulteriori verifiche si
provvede all'aggiudicazione definitiva che chiude il procedimento di gara
dopo la verifica del possesso dei requisiti prescritti.
Anche nel caso dei contratti d'opera è inserita la garanzia per difetti dell'opera. Il
committente deve, a pena di decadenza, denunziare le difformità e i vizi al
prestatore d'opera entro otto giorni dalla scoperta. L'azione si prescrive entro un
anno dalla consegna. L'accettazione espressa o tacita dell'opera libera il prestatore
d'opera dalle responsabilità per difformità o vizi se questo ha informato il
committente dell'esistenza di tali vizi ma quest'ultimo ha acconsentito comunque
all'esecuzione dei lavori.
Il contratto d'opera riceve specifiche discipline con riferimento ai singoli campi di
svolgimento dell'opera.
Un tradizionale campo è rappresentato dalla prestazione d'opera intellettuale. Si
tratta del contratto che involge attività intellettuali come: avvocati, medici e
ingegneri. Con riguardo alla responsabilità del prestatore d'opera, se la prestazione
implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera
non risponde dei danni tranne nei casi di dolo o colpa grave. Il prestatore d'opera
deve eseguire personalmente l'incarico assunto. Può avvalersi, sotto la propria
direzione e responsabilità di sostituiti e ausiliari se la collaborazione di altri è
consentita dal contratto o dagli usi. Se il compenso non può essere determinato
dalle tariffe o gli usi questi viene determinati dal giudice. Il cliente può sempre
recedere dal contratto rimborsando il prestatore d'opera per le spese sostenute e
pagando il compenso per l'opera svolta. Viceversa il prestatore d'opera può
recedere dal contratto solo per giusta causa; egli ha il diritto di rimborso per le spese
fatte e per l'opera svolta.
Somministrazione.
Con riguardo all'inadempimento esso deve essere tale da menomare la fiducia nel
l'esattezza dei successivi adempimenti. Se la durata della somministrazione non è
stabilita, ciascuna parte può recedere dal contratto dando preavviso nel termine
pattuito o in quello stabilito dagli usi o in mancanza in un termine congruo avuto
riguardo della natura della somministrazione. Sono poi regolati patti autolimitativi
del potere di disposizione delle parti, parliamo del patto di preferenza e del patto di
esclusività.
Subfornitura.
È prassi avvalersi di varie imprese per la lavorazione o la produzione di singole
componenti. La legge 192/1998 introduce varie disposizioni inerenti alla natura del
contratto di subfornitura. La subornitura non si atteggia come specifico contratto ma
integra più specifici singoli contratti come ad esempio appalto, vendita,
somministrazione, ecc.
Con il contratto di subfornitura un imprenditore si impegna a effettuare per conto di
un impresa committente lavorazioni su prodotti semilavorati o su materie prime
fornite dall'impresa committente, o si impegna a fornire all'impresa committente
prodotti o servizi destinati all'utilizzo dell'impresa committente oppure la
produzione di un bene complesso seguendo prototipi o schemi forniti dall'impresa
del committente. Esiste dunque un doppio valore della subfornitura ossia di
lavorazione o di produzione. Anche la subfornitura si atteggia come un contratto
consensuale, a prestazioni corrispettive ed efficacia obbligatoria.
Il contratto deve essere stipulato per iscritto, pena nullità. In caso di nullità il
subfornitore ha comunque diritto al pagamento per le prestazioni effettuate e al
risarcimento delle spese sostenute in buona fede per l'esecuzione del contratto. Il
prezzo di beni o servizi oggetti del contratto devono essere determinabili in modo
chiaro e preciso in modo da non generare incertezza circa la prestazione
nell'esecuzione del contratto. Il prezzo deve essere corrisposto entro 60 giorni
dall'avvenuta consegna o avviso dell'avventura esecuzione della prestazione. In caso
mancato rispetto dei termini di scadenza il committente deve al su fornitore un
interesse moratorio. È sancito ancora un divieto di interposizione per cui il su
fornitore non può a sua volta affidare la merce a lui fornita e la lavorazione o la
produzione a terzi senza espressa autorizzazione del committente e in caso positivo
per una quota non superiore al 50% della fornitura. La responsabilità del
subfornitore è limitata alla qualità e al funzionamento della parte o
dell'assemblaggio da lui prodotto o dal servizio da lui fornito. È nullo ogni patto che
permette ad una delle due parti di modificare unilateralmente una o più clausole del
contratto di subfornitura. È inoltre nullo il patto che, in caso di fornitura periodica o
continuativa, accordi ad una delle due parti il recesso del contratto senza un
congruo avviso. Risulta poi ancora di fondamentale importanza la disposizione
ricavabile dall'arte. 9 della legge 192/1998 che stabilisce il divieto dell'abuso di
dipendenza economica. È vietato quindi l'abuso da parte di una o più imprese dello
stato di dipendenza economica nei riguardi di un impresa cliente o fornitrice. Si
considera dipendenza economica la situazione i cui un impresa sia in grado di
determinare nei rapporti commerciali di un'altra impresa uno squilibrio di diritto e di
obblighi.
Deposito e parcheggio.
Il deposito è il contratto attraverso il quale un depositario riceve dal depositante una
cosa mobile con l'obbligo di custodirla e di restituirla. Si tratta di un contratto reale
poiché la conclusione si ottiene mediante l'accordo tra le parti e la consegna della
cosa. Si tratta di un contratto con effetti obbligatori derivando dal contatto una
duplice obbligazione a carico del depositario, ossia la custodia della cosa data in
detenzione e la restituzione nelle stesse condizioni in cui è stata ricevuta. Il
depositante può in qualsiasi momento richiedere la consegna della cosa è in via
sostitutiva il risarcimento del danno. È anche configurabile un deposito verso terzi.
Per quanto riguarda il deposito in albergo, gli albergatori sono responsabili del
deterioramento, distruzione o sottrazione delle cose portate in albergo tranne che
tali eventi siano attribuiti al cliente, alle persone che a lui fanno visita o che lo
accompagnano, o a causa di forza maggiore o alla natura delle cose. Per quanto
riguarda la misura del risarcimento è determinante l'affidamento delle cose
all'albergatore. In ipotesi di consegna delle cose all'albergatore o di rifiuto di
ricevere le cose cui aveva l'obbligo di accettare, esso risponde con una
responsabilità illimitata. Nell'ipotesi di mancata consegna la responsabilità
dell'albergatore è limitata al valore di quanto sia deteriorato, distrutto o sottratto
sono all'equivalente di cento volte il prezzo di locazione dell'alloggio per giornata.
Per quanto riguarda il sequestro conservativo si tratta di un contratto mediante il
quale viene affidato ad un terzo la custodia di una cosa o una pluralità di cose da
parte di due o più soggetti tra i quali sia nata una controversia. Il terzo sarà
obbligato alla consegna dell'oggetto o degli oggetti al soggetto che avrà vinto la
controversia.
Trasporto.
Il contratto di trasporto è il contratto mediante il quale un vettore si obbliga, verso
un corrispettivo del prezzo, al trasporto di persone e loro bagagli o di merci da un
luogo all'altro. È un contratto con effetti obbligatori per cui il vettore è obbligato a
un facere che si risolve nel trasporto di persone o merci da un luogo all'altro. A tale
obbligazione si aggiungono poi altre obbligazioni accessorie ossia l'obbligo di
scarico/carico di merci o persone, protezione del passeggero o delle merci,
assicurazione di passeggeri o di merci, vitto e alloggio per il passeggero durante il
trasporto. Per la complessità delle obbligazioni assunte la responsabilità per il
vettore è composita. Innanzitutto il vettore risponde per gli eventuali ritardi. Egli è
libero da tale responsabilità se i ritardi dipendono da cause non imputabili al
vettore. Risponde per gli eventuali sinistri a persone o merci non adempiendo a
quelle obbligazioni accessorie che si risolvono nella protezione delle merci o delle
persone. Possiamo distinguere più tipi di trasporto: su strada (ferrovie, gomma,
fune), via mare o via d'area.
In presenza di sinistri che colpiscono il passeggero questo può far valere sia la
responsabilità verso il vettore sia la responsabilità extracontrattuale verso il
conducente del veicolo se questo non prova di aver fatto tutto ciò che era
necessario per evitare il danno. È ammessa anche una responsabilità in solido del
proprietario del vettore se non prova che la circolazione del veicolo è avvenuta
contro la sua volontà. La medesima disciplina si applica per i trasporti gratuiti. Di
diversa fattispecie invece risultano i trasporti di cortesia, si pensi all'auto stop o
trasporto amichevole. In tal caso si rileva una responsabilità extracontrattuale. Il
passeggero avrebbe perciò l'onore della prova anche della colpa del vettore. Il
vettore anche in questo caso deve provare di aver fatto tutto ciò per evitare il
danno.
La diffusione del turismo di massa hanno fatto emergere la necessità per intermediari e
organizzatori la costituzione di contratti di viaggio e vendita di pacchetti turistici. Andiamo ad
analizzare le due fattispecie.
42
Contratti di cooperazione giuridica.
(A) Mandato.
Lo schema generale.
Il mandato rappresenta senz'altro una delle figure contrattuali di più larga
utilizzazione. Tale pratica si è sviluppata proprio in relazione alla impossibilità di
compiere personalmente atti giuridici in aree territoriali molto distanti tra loro. È
necessario quindi che il soggetto interessato al compimento dell'atto si avvalga del
l'ausilio di un'altro soggetto per concludere tale atto. Il mandato quindi si
caratterizza proprio nel fatto che un soggetto agisca per conto di un'altro per la
gestione di un interesse altrui. Una particolare figura è senz'altro rappresentata dal
mandato in rem propriam per il quale il mandatario realizza nel compimento del
negozio gestorio anche un proprio interesse.
Mandato e rappresentanza.
Bisogna ancora fare una distinzione tra mandato con rappresentanza e mandato
senza rappresentanza.
Bisogna innanzitutto disporre che gli atti conclusi dal mandatario prima di conoscere
l'estinzione del mandato sono validi nei confronti del mandante o dei suoi eredi. Le
cause di estinzione del mandato sono tassative.
Commissione.
Figure collegate al mandato sono la commissione e la spedizione. Entrambi i
contratti sono displiplinati dal codice sotto il medesimo titolo del mandato. Agli
stessi dunque si applicano le disposizioni del mandato con alcune ulteriori
disposizioni specifiche se si tratta di commissione o spedizione.
Spedizione.
Il contratto di spedizione è caratterizzato per un'apertura ai soli affari di trasporto. Il
contratto di spedizione è un contratto mediante il quale lo spedizioniere assume
l'obbligo di concludere, in nome proprio e per conto del mandante, un contratto di
trasporto, e di compiere le relative operazioni accessorie come ad esempio carico,
scarico, imballaggio ecc. È dunque un mandato senza rappresentanza per l'assenza
della spendita del nome del mandante. A carico dello spedizioniere grava l'obbligo di
attenersi alle specifiche istruzioni del committente e in mancanza di operare
secondo il migliore interesse del medesimo. Lo spedizioniere come il
commissionario ha diritto ad una retribuzione per l'esecuzione del trasporto oltre al
rimborso delle spese. La misura della retribuzione è valutata secondo le tariffe
professionali o gli usi, in mancanza stabilità dal giudice. Finché lo spedizioniere non
abbia concluso il contratto di trasporto cin il vettore, il mittente l'ho revocare il
contratto di spedizione rimborsando lo spedizioniere per le spese sostenute e
corrispondendogli un equo compenso. Tuttavia il contratto di spedizioniere è poco
frequente nella pratica a differenza del vettore che è obbligato ad eseguire il
trasporto lo spedizioniere è solo obbligato a concludere il contratto di trasporto.
Perciò è prevista la figura dello spedizioniere vettore. Quando lo spedizioniere con
mezzi propri o altrui assume l'esecuzione del trasporto in tutto o in parte, ha
obblighi e dirti del vettore.
Mediazione.
È mediatore colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un
affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di
dipendenza o di rappresentanza.
Una tecnica particolarmente utilizzata dalle grandi imprese consiste nel penetrare
nei singoli mercati territoriali avvalendosi di operatori economici locali che si
presente o con l'immagine dell'impresa madre e operano secondo le sue direttive. Si
tratta del franchising. Tale tecnica assicura che le imprese agiscano in modo
giuridicamente e economicamente indipendente ma inserire nella rete distributiva
del produttore.
È un contratto consensuale con effetti obbligatori. Deve avere forma scritta a pena
di nullità. Al fine di garantire trasparenza dell'operazione è prevista una forma
dell'informazione di specifici dati. Il contratto deve indicare: l'ammontare degli
investi,enti e le spese di ingresso, le modalità di calcolo e di Java,entro delle
royalties, l'ambito di un eventuale esclusiva territoriale, i servizi offerti dall'affiliante,
le condizioni di rinnovo, risoluzione o eventuale cessione del contratto stesso. Se
una delle due parti fornisce false informazioni l'altra parte può chiedere
l'annullamento del contratto e il risarcimento del danno se dovuto. Con la stipula del
contratto l'affiliato è tenuto a corrispondere una cifra fissa, rapportata al valore
economico e alla capacità di sviluppo all'affiliante. L'affiliante ha inoltre il diritto a
chiedere all'affiliato una percentuale commisurata al giro di affari del medesimo o in
quarta fissa.
43
Contratti di godimento.
Locazione.
La locazione è quel contratto attraverso il quale una parte si obbliga, verso un
corrispettivo, al godimento di una cosa mobile o immobile, per un determinato
tempo. Il locatore da tale contratto ricava un determinato corrispettivo rimane
comunque proprietario della cosa data in locazione e quindi con la possibilità di
compiere tutti gli atti necessari che esso può utilizzare per l'esercizio del diritto di
possesso. Il concedente invece riceve il godimento della cosa versando un
corrispettivo al locatario.
Nel codice civile del 1865 la locazione faceva riferimento anche al lavoro qualificato
come un diritto di godimento altrui. Nel codice civile del 1942 invece il legislatore ha
preferito disciplinare la locazione solo riferita alle cose mobili e immobili e
disciplinando in maniera autonoma il contratto di appalto, di trasporto e di lavoro
(autonomo e subordinato). Oggetto della locazione può essere qualsiasi bene mobile
o immobile. Se si tratta di beni mobili la locazione è definita anche nolo o noleggio.
L'affitto si distingue dal quadro generale della locazione per inerire al godimento di
una cosa produttiva mobile o immobile. La locazione ancora si configura come un
contratto consensuale, con effetti obbligatori a prestazione corrispettiva e di durata.
Esso è configurato come contratto oneroso ma può essere qualificato come
contratto gratuito nello schema di comodato. Il corrispettivo del compenso può
comprendere le prestazioni di fare, non fare e dare. La durata massima della
locazione è fissata, salvo norme diverse di legge, a 30 anni. Se stipulata in un
periodo più lungo o in perpetuo questa si riduce a tale termine. Nel caso in cui le
parti non abbiamo convenuto alla determinazione della durata della locazione
questa viene valutata a seconda della natura del bene dato in locazione. In generale
la disciplina legata alla regolazione della durata del tempo della locazione inerisce
alla legislazione speciale.
Un primo passo nella liberalizzazione delle locazioni ad uso abitativo avvenne con il
D.L 332/1992, che relativamente agli immobili nuovi, ossia ultimati successivamente
all'entrata in vigore della nuova normativa, che escludeva l'operatività dei criteri di
predeterminazione legale del canone. Un effettiva liberalizzazione è stata conseguita
soltanto con la legge 431/1998 che ha previsto per i contraenti la possibilità di
seguire due canali alternativi. Innanzitutto i contratti di locazione affinché siano
considerati validi devono presentare una forma scritta.
Con il primo, denominato contratto libero, viene lasciato alle parti la
definizione del canone restando prescritta la durata minima della locazione in
4 anni con primo rinnovo automatico e salvo disdetta da parte del
proprietario nei casi espressamente previsti dalla legge. Alla scadenza il
contratto si rinnova tacitamente solo se nessuna delle parti attivi la procedura
di rinnovo a diverse condizioni o per la rinunzia del rinnovo.
L'altro canale, denominato contratto convenzionato, prospetta alle parti la
stipulazione di locazioni le cui condizioni, anche l'ammontare del canone, si
devono conformare agli accordi fra i rappresentanti della proprietà edilizia e
gli inquilini, sulla base di un criterio generale individuato dalla convenzione
nazionale promossa dal ministro dei lavori pubblici. In tal caso la durata non
luogo essere inferiore a 3 anni con proroga di diritto per altri 2 e salvo disterà
per i i motivi espressamente previsti dalla legge. Alla scadenza della proroga le
parti possono attivare la procedura per il rinnovo a diverse condizioni, o per la
rinuncia al rinnovo. In mancanza di ciò il contratto si intende rinnovato.
È nullo ogni patto volto a determinare un canone superiore a quello risultante dal
contratto scritto e registrato. Con diritto del conduttore di richiedere la restituzione
delle somme pagate in esubero. Nulla risulta anche ogni pattuazione che deroghi i
limiti di durata stabiliti. La disciplina resta sempre quella della legge 392/1978 anche
per quanto riguarda la sublocazione e la cessione. Vediamo che si compie la
successione del contratto di locazione in caso di morte del conduttore a favore del
coniuge o degli eredi o parenti stabilmente conviventi.
In caso di morte del conduttore, succedono coloro che hanno il diritto alla
continuazione dell'attività esercitata nell'immobile, in caso di separazione personale
o divorzio, succede il coniuge che continui l'attività in precedenza svolta insieme
all'altro coniuge. La sublocazione e la cessione sono ammesse senza il consenso del
locatore purché venga insieme ceduta o locata l'azienda, previa comunicazione al
locatore che l'ho opporsi per gravi motivi. Nel caso di trasferimento dell'immobile a
titolo oneroso il conduttore ha diritto di prelazione in vista del relativo acquisto. Ove
il conduttore non sia in grado di esercitare la prelazione ha un corrispondente diritto
di riscatto dall'acquirente e da ogni successivo avente causa. Un diritto di prelazione
è stabilito anche in caso di nuova locazione, ove cioè il locatore intenda locare, dopo
la scadenza del contratti già rinnovato, l'immobile a terzi.
Affitto.
Si definisce affitto la locazione avente per oggetto il godimento di una cosa
produttiva, mobile o immobile. In tale caso l'affittuario deve curare la gestione della
cosa avuta in affitto in conformità della destinazione economica e ad esso spettano i
frutti e le altre utilità della cosa. Il locatore può in qualsiasi momento, mediante
visita sul territorio, verificare lo stato di cura dell'oggetto affittato presso l'affittuario.
L'affituario può prendere iniziative atte ad incrementare il reddito della cosa presa in
affitto senza creare pregiudizio al locatore. Obblighi dell'affittuario sono la gestione
della cosa data in affitto, la cura della cosa con la diligenza del buon padre di famiglia
e la non alterazione economica della cosa data in affitto. In caso di inosservanze il
locatario può chiedere la risoluzione del contratto. Sul locatore grava l'obbligo di
consegnare la cosa con tutti i suoi accessori e pertinenze. Il locatore è tenuto ad
eseguire le spese di riparazione straordinarie. Le riparazioni ordinarie ricadono
sull'affittuario. Una riduzione del fitto può essere chiesta dall'affittuario ove la
esecuzione delle riparazioni determini per lui una rilevante perdita di reddito.
Leasing.
Il leasing anche se priva di una specifica disciplina legislativa, si configura come una
figura contrattuale di larga utilizzazione. La fattispecie di leasing maggiormente
utilizzata è senz'altro il leasing finanziario. In tal caso una società acquista un bene
strumentale per poi concederlo in godimento ad un imprenditore (utilizzatore) verso
un corrispettivo periodico e per un periodo determinato alla scadenza del quale
l'imprenditore potrà restituire il bene o versare la differenza tra il valore del bene e
quanto già versato. Come si vede si tratta di un contratto che intercorre tra una
società di leasing ed un imprenditore che, in tal modo, può disporre di beni
strumentali senza anticipare i capitali necessari per il loro acquisto. Considerando
inoltre, che il contratto è, di regola, stipulato per un periodo di tempo che coincide
con quello della durata utile del bene e che la differenza da pagare è di solito molto
piccola, all'imprenditore potrebbe risultare conveniente, alla scadenza del contratto,
sostituire il bene con un altro nuovo. Il leasing pur presentando delle similitudini con
la locazione e la vendita appare sopratutto per la funzione di finanziamento
dell'utilizzatore connotato da una propria e autonoma causa. In particolare con
riferimento alla locazione diversa risulta essere la funzione del canone che nella
locazione risulta essere come mero corrispettivo del prezzo di godimento mentre
nel leasing ha la funzione di restituzione progressiva del finanziamento ricevuto dal
conducente. Inoltre nel leasing la manutenzione straordinaria e ordinaria è a carico
dell'utilizzatore a differenza della locazione.
Differente ancora risulta essere poi il leasing operativo in cui è lo stesso produttore
del bene a concederlo in godimento all'utilizzatore dietro corresponsione di un
canone periodico. Dunque nello stesso soggetto confluiscono sia la persona del
concedente sia la persona del fornitore. Proprio in considerazione del carattere
bilaterale del rapporto che, con il leasing finanziario si crea tra fornitore-
concedente-utilizzatore, la figura, priva di quella peculiare funzione di finanziamento
che qualifica il leasing finanziario, viene ricondotta alla locazione o all'affitto.
Ancora diversa risulta essere la fattispecie sale and lease back o anche detto leasing
di ritorno. In tal modo il proprietario di un bene, normalmente imprenditore o
professionista, lo vende ad una società finanziatrice, la quale assumendo la veste di
concedente, lo concede all'originario proprietario che ne assume l'utilizzazione in
leasing. Tale operazione ha come obbiettivo nel far ricavare al proprietario originario
liquidità di cui lui necessita per la propria attività senza perdere il godimento del
bene ceduto assicurando il pagamento di un canone. Lo stesso proprietario poi
potrà riacquistarne la proprietà del bene pagando una somma di riscatto.
L'acquirente-concedente oltre che a risultare nuovo proprietario trarrà il suo utile
dalla percezione dei canoni di leasing. La figura del sale and lease back ha suscitato
un acceso dibattito in relazione alla compatibilità del divieto del patto commissorio.
Il divieto del patto commissorio rende nullo ogni pattuizione volta a trasferire al
creditore la proprietà del bene concesso in garanzia nell'ipotesi di inadempimento
da parte del debitore. Nel sale and lease back in effetti l'alienazione del bene in
favore dell'acquirente-concedente, potrebbe configurarsi come forma di garanzia.
Tuttavia il sale and lease back si configura come una complessa operazione
negoziale in grado di procurare immediata liquidità agli operatori economici
mediante l'alienazione del bene, conservando l'uso e la facoltà di riacquistare la
proprietà al termine del rapporto. Viene stabilito che il contratto di sale and lease
back è riconducibile al divieto del patto commissorio e perciò annullabile se:
Comodato.
Il comodato è un contratto con cui una parte, comodante, consegna all'altra,
comodatario, una cosa mobile o immobile affinché se ne serva per un tempo o per
un uso determinato, con l'obbligo di restituire la cosa stessa ricevuta. Si tratta di un
contratto reale che al fine di concludersi oltre l'accordo vi è bisogno anche della
consegna della cosa. Il comodato si perfeziona come contratto unilaterale in quanto
caratterizzato dalla obbligazione di restituire la cosa a carico del comodatario.
Inoltre il contratto di comodato è essenzialmente gratuito. Il diritto spettante al
comodatario si qualifica come diritto personale di godimento sulla cosa. La forma
del comodato è libera, si esclude inoltre anche la forma scritta per il comodato ultra
novennale di beni immobili. Circa l'oggetto il comodato interessa sia cose mobili che
cose immobili purché inconsumabili e infungibili dovendo il comodatario restituire la
stessa cosa ricevuta. Il comodatario è tenuto a conservare e custodire la cosa
ricevuta con la diligenza del buon padre di famiglia e può servirsene solo per l'uso
determinato dal contratto. Non può concedere agli altri il godimento della cosa
(subcomodato) salvo che il comodante non lo autorizzi. In caso di mancato
inadempimento di tali obblighi il comodante può richiedere l'immediata restituzione
della cosa oltre al risarcimento del danno.
Il comodatario è responsabile del perimento della cosa se la cosa perisce a causa di
un caso fortuito che poteva da lui essere facilmente evitato sostituendo la cosa
comodata con una propria, ovvero, se, potendo salvare una delle due cose, ha
preferito la propria. Ancora risulta essere responsabile se impiega la cosa per un uso
diverso o per un tempo più lungo a lui consentito, se non provi che la cosa sarebbe
perita anche se non l'avesse impiegata per uso diverso o l'avesse restituita
immediatamente. Sono a carico del comodatario le spese per servirsi della cosa, ma
devono essergli rimborsate le spese straordinarie, se erano necessarie ed urgenti,
dal comodante. Il comodante ancora deve risarcire al comodatario eventuali danni
derivanti da vizi della cosa, se conoscendoli non lo abbia avvertito. Il comodatario è
obbligato alla restituzione della cosa alla scadenza del termine convenuto. Il
comodante può richiedere, se si trovi in condizioni di urgenza o imprevisti, la
richiesta immediata di restituzione della cosa, anche prima della scadenza del
contratto, al comodatario. Se il termine di restituzione della cosa al comodante non
è stato definito, il termine viene convenuto in base all'uso a cui la cosa doveva
essere destinata.
Mutuo.
Il mutuo è il contratto mediante il quale una parte, mutuante, consegna all'altra,
mutuatario, una determinata quantità di danaro o di altre cose fungibili, e l'altra si
obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità. L'avere ad oggetto il
danaro o una quantità di altre cose fungibili vale a distinguere il mutuo, quale
contratto di prestito, dal comodato che come si è visto ha ad oggetto cose
inconsumabili e infungibili. Ecco perché il mutuatario è obbligato non a restituire
non le stesse cose ricevute, di cui ne acquista la proprietà, ma altrettante cose della
stessa specie e qualità. Il codice qualifica il mutuo come un contratto reale cui il
perfezionamento giunge non solo con l'accordo ma anche con la consegna della
cosa. Il mutuatario acquista la proprietà della cosa potendo dunque disporne
assumendosi anche i rischi, si tratta dunque di un contratto traslativo. Efficacia
obbligatoria ha la promessa di mutuo. Chi promette di dare un mutuo può rifiutare
l'adempimento della sua obbligazione se le condizioni patrimoniali dell'altro
contraente sono divenute tali da rendere notevolmente difficile la restituzione e non
gli sono offerte idonee garanzie.
Mutuo di scopo.
Nei rapporti creditizi è diffuso il cosiddetto mutuo di scopo. Esso si caratterizza per
l'erogazione della somma oggetto del mutuo finalizzata ad un determinato impiego,
rispondente all'interesse non solo del mutuatario ma anche dello stesso mutuante. Il
mutuo di scopi si differenzia in maniera rilevante dal mutuo. In particolare si ritiene
che esso sia un contratto consensuale e non reale. Dato che il perseguimento dello
scopo prestabilito, in considerazione degli interessi perseguiti dalle parti, acquista
rilevanza ai fini della individuazione della causa del contratto, il mutuo di scopo
sembra presentarsi, più che come sottotipo del mutuo, quale figura atipica. Risulta
dunque rilevante li scopo per cui viene rilasciato il finanziamento.
È ipotizzabile la nullità del contratto quando esso risulti essere stipulato con
l'accordo di non utilizzare il finanziamento per lo scopo cui era stato attribuito. In
caso di mutuo di scopo oneroso, ove il mutuatario non utilizzi il finanziamento
ricevuto per lo scopo prestabilito è da ritenere che il mutuante possa chiedere la
risoluzione del contratto per inadempimento, con le conseguenze restitutorie che ne
derivano.
44
Contratti aleatori.
Rendita.
Sotto la comune denominazione di rendita il legislatore disciplina due contratti,
rendita perpetua e rendita vitalizia, che pur presentando evidenti affinità
differiscono per il profilo della struttura e della funzione. È da sottolineare
comunque che solo il contratto di rendita vitalizia è riconducibile nell'ambito di
contratti aleatori.
Con il contratto di rendita perpetua, una parte conferisce all'altra il diritto di esigere
in perpetuo la prestazione periodica di una somma di danaro o di una certa quantità
di altre cose fungibili, dietro corrispettivo dell'alienazione di un immobile, in tal caso
si parla di rendita fondiaria, o della cessione di un capitale, si parla di rendita
semplice. Per la rendita perpetua è richiesta la forma scritta sotto pena di nullità.
Bisogna fa sottolineare che il debitore della rendita può provocare lo scoglimento
del rapporto mediante recesso unilaterale esercitando il diritto di riscatto. Il
contrat