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Compendio di Diritto Privato di Aniello

Tavolario.
1
Ordinamento giuridico e realtà sociale.
L'espressione ubi societas ibi ius afferma che dove vi è una società vi è il diritto. Il
diritto si mostra quindi come carattere essenziale per regolare la vita degli individui
all'interno di una data società garantendo pace e ordine. Inoltre il diritto va ad
impedire che, in caso di contrasti, si venga a favorire l'individuo più potente
(moralmente, economicamente o fisicamente).

Il diritto è costituito da un'insieme di regole che prendono il nome di norme


giuridiche con il fine di porre una regolamentazione alla vita della società. Tuttavia
considerare il diritto costituito esclusivamente da norme potrebbe risultare
sbagliato. Consideriamo infatti ciò che si desume dalla vita familiare. All'interno di
essa pulsano un complesso di valori, ideali, credi religiosi, consuetudini, dettami ecc.
Questo complesso di valori va ad arricchire la sfera giuridica.

L'esperienza giuridica è intrecciata con altre esperienze sociali. Non dimentichiamoci


della morale, che svolge un ruolo primario in ogni individuo. Gli stessi precetti non
uccidere, non rubare sono peccati per la visione cristiana e reati per la visione
giuridica. La dimensione morale si esaurisce nell'intimità della coscienza mentre la
visione giuridica si esaurisce attraverso l'attività dell'apparato giudiziario.

Il diritto può assumere una duplice atteggiamento: quella di indifferenza, un


determinato comportamento viene considerato indifferente e quindi risulta
irrilevante disciplinarlo e un atteggiamento di rilevanza. Un fenomeno viene
considerato rilevante quando un suo effetto viene sentito e quindi incide sulla
società che pretende dall'organo giuridico l'esigenza di prevedere quel dato
fenomeno e regolarlo. L'esperienza giuridica esprime regole sulle quali si fondano i
rapporti tra i membri di una società o tra società estranee. Risulta quindi essenziale
ricercare un fondamento del diritto e di connesse regole per dargli attuazione.
Per imporsi all'intera comunità il diritto ha bisogno della mediazione formale del
comando. Più il diritto si conforma al consenso popolare tanto più l'ordinamento è
democratico, viceversa più se ne discosta tanto più l'ordinamento risulta dispotico.

Il diritto può assumere due significati. Diritto in senso oggettivo, ossia l'insieme dei
precetti giuridici vigenti su cui si fondano i rapporti tra consociati o tra le diverse
comunità, diritto in senso soggettivo ossia il potere attribuito al privato di assumere
un determinato comportamento per realizzare un proprio interesse.

L'ordinamento giuridico è il complesso di regole vincolanti cui si dota una


comunità. Le singole norme non operano autonomamente ma sono innervate in
un complesso reticolo che le comprende tutte che è appunto l'ordinamento
giuridico. Elementi essenziali per l'ordinamento sono:

 L'effettività
 La completezza

L'effettività garantisce la produzione di regole giuridiche e ne garantisce


l'applicazione in coerenza con le prerogative riconosciute ai consociati. È tratto
comune per ogni ordinamento prevedere meccanismi tesi a favorire l'osservanza
delle regole. Così quando gli interessi dell'ordinamento vengono violati operano gli
apparati di coercizione del'ordinamento per ristabilire l'ordine violato.

Il principio di completezza invece afferma che ogni fattispecie deve trovare


regolamentazione all'interno dell'ordinamento.

Nell'esperienza giuridica dell'età moderna l'ordinamento statale appare


sovraordinato a tutti gli altri ordinamenti. Anche il potere sanzionatorio di
coercizione dell'ordinamento statale è considerato il più ampio di tutti gli
ordinamenti giuridici, giungendo fino alla costrizione fisica per assicurare la pacifica
convivenza dei consociati. All'apice degli ordinamenti giuridici vi sono le costituzioni,
quali tavole di valori e delle strutture nei quali le società civili si riconoscono e perciò
devono essere il più possibile condivise dal corpo sociale.

Il diritto si distingue ancora in diritto positivo e in diritto naturale.


 Il diritto positivo è quel complesso di regole che costituiscono l'ordinamento
giuridico. L'osservanza del diritto positivo vale a garantire la certezza del
diritto e dunque la prevedibilità dell'applicazione delle regole. A sua volta il
diritto positivo si distingue in diritto materiale e diritto strumentale. Il diritto
materiale regola i rapporti tra i soggetti selezionando gli interessi meritevoli di
tutela e quello destinati a soccombere, attribuendo così diritti ed obblighi. Il
diritto strumentale disciplina invece i meccanismi necessari per l'attuazione
degli interessi protetti e dunque la tutela dei diritti.
 Il diritto naturale indica l'insieme di principi che si fanno derivare da fonti non
formali quali la natura umana, la ragione, la sfera divina ecc. Il diritto naturale
può ispirare il diritto positivo o la legge ma non è legge stessa. Nelle società
del '900 l'idea del diritto naturale ha fatto da sfondo alla edificazione dei diritti
umani o fondamentali che pervadono le moderne costituzioni.

Sono due i principali sistemi giuridici ossia il civil law e common law.

 Il sistema di civil law è il modello ordinamentale dominante a livello mondiale.


Si tratta di un diritto di fonte legislativa. I giudici applicano il diritto a sua volta
espresso dalla legge. I precedenti giudiziari non sono vincolanti.
 Il sistema di Common law è un modello ordinamentale di matrice
anglosassone. È un diritto a formazione essenzialmente giudiziaria
sviluppatosi attraverso i precedenti delle decisioni giurisprudenziali. La
giurisprudenza è la principale fonte del diritto. Vale la regola dello stare
decisis per cui il o precedente giudiziario risulta vincolante.

2
Evoluzione del diritto privato.
Esauritasi l'attualità dell'ordinamento romano, l'Europa Medievale, specie quella del
XI sec. fu caratterizzata dalla contemporanea esistenza di molteplici fonti. Da una
parte il diritto romano con il corpus iuris Civilis, da una parte il diritto della chiesa
con il corpus iuris canonici, dall'altra parte il diritto particolare dei regni e ancora il
diritto feudale. Tale molteplicità di fonti tuttavia non ostacolò il formarsi di un diritto
comune.
È poi dal XIII secolo che, sviluppatosi ampiamente il commercio, dando valore alla
ricchezza immobiliare, al commercio e alla moneta si afferma uno ius mercatorum
che si discosta dal diritto romano, incentrato sulla difesa e sul diritto di proprietà
privata, e dal diritto della chiesa. La figura del mercante si impone ai proprietari
terrieri e agli artigiani. La progressiva ascesa della classe dei mercanti nella gestione
del potere consente lo sviluppo di una lex mercatoria. I mercanti si dotano di un
autonoma giurisdizione. Si tratta di un diritto creato dai mercanti che regola l'attività
dei mercanti dove trovano spazio sopratutto le consuetudini. La dottrina canonistica
è quella romanistica si incontrano sul tema della bona fides.

Con la pace di Westfalia del 1648 si viene a determinare la nascita degli stati
moderni che non riconoscono alcuna autorità al di sopra di loro generando così la
progressiva formazione di diritti nazionali. L'esperienza mercantilistica, che si
sviluppa ancora di più tra '600 e '700, diviene fondamentale e porrà le basi per lo
sviluppo capitalistico. In questo scenario lo Stato, si accorge di quanto sia
determinate tale sfera mercantilista e progressivamente tende ad assorbire
all'interno di se tutto quanto concerne le leggi di mercato. Così il diritto dei mercanti
diviene diritto di stato. L'introduzione della macchina nei processi produttivi innova
il sistema economico. Artigiani e contadini affluiscono progressivamente negli opifici
cedendo non più prodotti finiti ma una prestazione lavorativa. Nel processo di
laicizzazione della società che prende forma tra il '600 e il '700 il sapere giuridico
viene attraversato da un forte filone di pensiero. Si afferma in questo senso il
giusnaturalismo razionale. Vi è un assoluta fiducia nella ragione quale principio e
fondamento di ogni regola. In un simile scenario si sviluppa la rivoluzione liberale
contro la stratificazione della società in classi di appartenenza che porterà in seguito
alla dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino nella quale, prendendo spunti
dal Bill of Right e dalla costituzione americana, vengono affermati i diritti naturali ed
imprescindibili dell'uomo come libertà, proprietá, uguaglianza ecc.

L'Illuminismo settecentesco forgerà poi le linee portanti dello stato moderno come
stato di diritto edificato sul l'idea di unità e libertà del soggetto, caratterizzato da
principi come: divisione dei poteri, principio di legalità uguaglianza formale dei
cittadini davanti la legge. È il modello di stato che giunge fino a noi come stato
democratico. In tale scenario il diritto pubblico si caratterizza come disciplina per
l'organizzazione dello stato e dei rapporto tra lo stato e il cittadino, mentre il diritto
privato si pone come disciplina dei rapporti tra i privati. Diritto pubblico e diritto
privato esprimono diverse sfere di incidenza a seconda della natura degli interessi.

Le codificazioni.
Diritto privato è espressione della società civile: pertanto c’è il bisogno di codificare
per un diritto unitario.
Code Napoleon 1804: rapporti tra privati espressi con legge generale e astratta
Codice civile del 1865: ruota intorno alla proprietà
Codice civile tedesco: secondo l’uso delle pandette si elaborano principi generali per
governare l’evoluzione della società
Codice civile 1942: muove dall’impianto del BGB e del codice del ’65: unifica norma
civilistica e quella commercialistica.
Costituzioni stati moderni (Statuto alberino) 1848: il principio guida è espresso
dall’eguaglianza dei cittadini di fronte la legge in funzione dell’unità del soggetto di
diritto
Costituzione repubblicana: diritto studiato come scienza sociale (regola conflitti
sociali)
Dalle nuove costituzioni nasce il pluralismo, che può essere ordinamentale (importa
il riconoscimento di altri ordinamenti giuridici, con i quali coordinare l’azione
dell’ordinamento giuridico statale) o sociale (si atteggia come espressione di
formazioni sociali giuridicamente rilevanti e riconosciute (associazioni).
Diritto strumentale uniforme: fissa criteri uniformi di individuazione
dell’ordinamento per collegarlo ad altri ordinamenti.
Diritto privato europeo: invade tutti i settori di diritti privato grazie alla sua forza
unificatrice.
La capacità di diritto privato della p.a. consiste nell’attitudine dell stessa a essere
titolare di diritti e doveri e di compiere atti giuridici; inoltre è riconosciuto alla p.a. il
potere di riesame del provvedimento amministrativo in autotutela della forma
dell’annullamento o revoca.
Nei giorni nostri diritto privato e pubblico si differenziano anche in base alla
tipologia di mezzi per il perseguimento degli interessi: interesse particolare
realizzabile solo tramite diritto privato. Diritto generale: realizzabile con entrambi i
diritti.

3
Soggetto e persona.
Il codice civile non offre la nozione di soggetto giuridico dandola evidentemente per
scontata. Più che altro i destinatari delle regole su cui si fonda l'ordinamento sono le
persone giuridiche e le persone fisiche. Il nostro ordinamento giuridico, come poi
ogni altro, individua i soggetti come titolari degli interessi presi in considerazione e
disciplinati mediante le regole finalizzate alla risoluzione dei relativi conflitti. Con la
formula di soggetto giuridico si allude ad un possibile punto di riferimento di
rapporti giuridici, e quindi tale soggetto risulta titolare di situazioni giuridiche
soggettive. La nozione di soggetto giuridico è una nozione di carattere puramente
formale in quanto esclusivamente collegata alla potenziale titolarità di situazioni
giuridiche soggettive, con il riconoscimento da parte dell'ordinamento di quella
attitudine ad essere titolare di situazioni giuridiche soggettive che viene definita
come capacità giuridica. Tuttavia non sempre a tutti gli uomini viene riconosciuta la
capacità di essere titolari di situazioni giuridiche soggettive, relegando taluni
addirittura al rango di mero oggetto di situazioni giuridiche altrui. L'ordinamento ha
esteso la capacità giuridica anche ad entità diverse dall'uomo. Ed è proprio in questo
senso che la dottrina si è preoccupata di elaborare la nozione di soggetto giuridico
quale categoria unitaria che comprende sia persone giuridiche sia persone fisiche.
Persone fisiche considerate senz'altro soggetti in quanto uomini, persone giuridiche
considerate soggetti di diritto solo in quanto riconosciute tali attraverso meccanismi
specificamente predisposti dall'ordinamento.

Tipologie

Sono considerati soggetti giuridici innanzitutto le persone fisiche. Il codice civile non
ha potuto fare altro che riconoscere ad ogni uomo la qualità di soggetto giuridico. Il
riconoscimento dell'uguale qualitá di soggetto giuridico ad ogni uomo, in quanto
considerato come persona, centro di imputazione di situazioni giuridiche attive e
passive, nell'impianto originario del codice civile non evitava discriminazioni sul
piano della capacità giuridica. In particolare oltre alle discriminazioni rivolte contro
la donna, l'ordinamento proponeva una discriminazione anche riguardo la razza.
L'art. 1 del codice civile del 1938 prevedeva che “limitazioni della capacità giuridica
derivanti dall'appartenenza a determinate razze sono stabilite da leggi speciali”. A
prescindere dall'abrogazione di tale previsione avvenuta nel 1944, qualsiasi
discriminazione in tema di capacità sarebbe destinata a trovare un insormontabile
ostacolo nell'articolo. 3 della costituzione che sancisce il principio di pari dignità
sociale e della eguaglianza davanti alla legge senza distinzione di sesso, razza, lingua,
religione, opinione politica ecc.,

Una persona giuridica, in diritto, indica un ente (associazioni, fondazioni ecc) al


quale l'ordinamento giuridico attribuisce la capacità giuridica facendone così un
soggetto di diritto. In generale la capacità giuridica riconosciuta alla persona
giuridica (personalità giuridica) è meno estesa di quella riconosciuta all'essere
umano in quanto soggetto di diritto, ossia alla persona fisica, poiché la persona
giuridica non può essere parte di quei rapporti giuridici che, per loro natura,
possono intercorrere solo tra persone fisiche (l'esempio tipico è rappresentato dai
rapporti familiari).

Soggetto e status
Gli ordinamenti essendo fondati sul principio di uguaglianza consentono di guardare
l'uomo nella veste di soggetto giuridico in una prospettiva unitaria, cioè che
prescinde da ogni considerazione relativa al suo stato o condizione sociale inteso nel
senso di appartenenza a classi, ceti o caste. Il superamento del senso di
appartenenza a ceti, classi o caste è rappresentato dal passaggio dalla vecchia alla
nuova concezione di organizzazione della società. In tale passaggio risulta
fondamentale l'applicazione delle medesime regole a tutti i consociati, riconosciuti
come portatori di una identica capacità giuridica con uguali potenzialità quanto a
titolarità di diritti ed obblighi. Con il concetto di status non ci si riferisce più ad una
qualità del soggetto ricollegato ad un ceto o ad una casta di appartenenza, ma
piuttosto ad una situazione giuridica soggettiva che indica la posizione di un
soggetto rispetto a determinati gruppi sociali organizzati.

Particolare importanza assumono, anche sotto un profilo storico, lo stato di cittadino


(status civitatis) e lo stato familiare (status familiae) del soggetto. Il primo fa
riferimento al diritto pubblico mentre il secondo al diritto privato per l'importanza
sociale che l'ordinamento conferisce all'organo famiglia. Bisogna comunque
affermare che è lo stato a fissare rigidamente le condizioni e gli effetti in ordine allo
status del soggetto. Al di là degli status familiari, è possibile utilizzare il medesimo
concetto con riguardo alla posizione del soggetto quale membri di gruppi organizzati
come, associazioni o società (associato o socio).
Dove manchi un gruppo organizzato piuttosto che status si può parlare
principalmente delle qualità del soggetto. Si pensi a qualitá collegate ad attività
svolte abitualmente dal soggetto come ad esempio l'imprenditore, lavoratore
subordinato, consumatore, cliente o utente.

4
Beni giuridici
Secondo l'art. 810 sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti. Con il
termine bene indichiamo una entità in grado di provocare un utilità al soggetto. Il
bene in ragione dell'utilitas può provocare attitudine a soddisfare interessi
considerati rilevanti così da farne possibile oggetto di diritti. Una cosa per essere
considerata bene deve essere suscettibile di appropriazione e di utilizzo, deve
possedere cioè un valore. Una cosa ha valore quando esiste in qualità limitata ed è
suscettibile di appropriazione. I beni sono formati oltre che da cose materiali anche
da res incorporales (beni di naturala patrimoniale o secondo l'art 814 le energie
naturali). Non sono definite beni le cose incommerciabili. Un discorso particolare va
fatto per le parti separate del corpo umano. Solo per alcune di esse vige una
condizione di libera disponibilità e di circolazione come ad esempio i capelli. Per
altre parti si ha una situazione di massima incommerciabilità e di una limitata
disponibilità senza mai la possibilità di trarne lucro. Non si considerano beni poi le
cose comuni a tutti in quanto essendo liberamente disponibili a tutti in natura e
essendo illimitate il loro godimento non può essere fonte di conflitti e di interessi.
Esempi sono l'aria o l'acqua del mare. Tuttavia l'intervento dell'uomo può
determinare un valore economico dando così luogo all'esistenza di un bene anche
per il diritto. Si pensi allo sfruttamento dell'atmosfera come luogo di propagazione
delle onde radioelettriche da reputare beni mobili ai sensi dell'articolo 814. Sono da
considerare beni le cose che al momento non costituiscono oggetto di diritti ma
sono suscettibili di diventarlo attraverso la relativa appropriazione, si tratta delle
cose di nessuno come i pesci e le case abbandonate intenzionalmente dal
proprietario a differenza di quelle smarrite trattate diversamente dal legislatore.

Beni immobili e beni mobili.

Il codice civile vigente ha conservato la tradizionale distinzione tra beni immobili e


beni mobili. L'art. 812 individua i beni immobili, mentre beni mobili sono considerati
tutti gli altri beni. Per l'art. 812 sono beni immobili il suolo, le sorgenti, i corsi
d'acqua, gli alberi, gli edifici e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente
è incorporato al suolo. Sono reputati beni immobili ai sensi dell'articolo 812 i mulini,
i bagni e gli altri edifici galleggianti a condizione che siano saldamente assicurati alla
riva o all'alveo. I beni mobili vengono reputati in via residuale in quanto a tale
categoria appartengono tutti i beni non considerati tra quelli immobili. Le energie
naturali, aventi valore economico, sono considerate beni mobili. La categoria dei
beni mobili inoltre comprende il denaro, le azioni di società, le obbligazioni e i titoli
di credito.
Distinzione tra cose generiche e cose specifiche, cose fungibili e cose infungibili,
cose consumabili e cose inconsumabili, cose divisibili e cose indivisibili, cose
produttive e cose improduttive.

Relativa alle cose si propongono altre distinzioni. La prima è relativa a quella tra cose
generiche e cose specifiche. Si definiscono cose generiche le cose che vengono prese
in considerazione per la loro appartenenza ad un genere (copia di un libro). Cose
specifiche sono invece le cose considerate per la loro individualità (copia di un libro
firmato dall'autore).

Cose fungibili sono tutte quelle considerate a peso, numero e misura (esempio e il
prodotto industriale interscambiabile). Significativo è il prestito che a seconda della
fungibilità è mutuo o comodato. Cose infungibili, quando non possono essere
sostituite con cose appartenenti allo stesso genere. Ad esempio, un libro appena
edito è certamente fungibile, ma se è una rara copia di un libro non più stampato, o
se è, ad esempio, una copia con dedica dell’autore, non è più sostituibile, quindi
diventa un bene infungibile.

Cose consumabili e cose inconsumabili. Sono consumabili le cose cui la loro


utilizzazione normale ne comporta la distruzione quale entità (alimenti).
Inconsumabili quelle che si presentano a una utilizzazione normale ripetuta nel
tempo.

Cose divisibili e indivisibili. La divisibilità sussiste quando la cosa può essere divisa in
parti omogenee. Cose indivisibili, cioè cose che non possono essere divise senza che
perdano la loro utilità (es.: un cavallo da corsa), o per volontà delle parti o per legge.

La distinzione tra cose produttive e non produttive dipende dall'attitudine della cosa
alla produzione di frutti.

Infine si hanno i beni di consumo a tutela del consumatore.

Il danaro.

Il danaro è inquadrato nella categoria dei beni. Viene qualificato come cosa mobile,
generica, fungibile, consumabile e divisibile.
Le pertinenze.
Le cose, oltre che nella loro individualità, possono presentarsi unite o in rapporto tra
loro.
Quindi le cose possono ulteriormente dividersi in:
a) cose semplici: cioè le cose dotate di una propria autonoma utilità (un tavolo, un
animale);
b) cose composte: formate da più cose semplici, che perdono nella composizione la
loro autonomia. Le cose che compongono la cosa composta, pur essendo separabili,
sono tra di loro in un rapporto di complementarità economica (un paio di occhiali è
formato da più cose semplici e separabili, lenti, montatura, viti, ma la separazione
delle cose fa venir meno la funzione cui gli occhiali sono destinati).
c) cose connesse: cioè quando più cose, mantenendo una loro individualità
materiale, sono poste però in relazione tra loro, in modo tale che è distinguibile una
cosa principale ed una accessoria, legata alla cosa principale da un vincolo di
dipendenza. Sono ipotesi di connessione di cose l’incorporazione, cioè la
compenetrazione materiale o artificiale di una cosa all’altra, e la pertinenza.

Per l'art. 817 pertinenza è la cosa mobile o immobile destinata in modo durevole a
servizio o ornamento di un’altra cosa, che normalmente è immobile. Il rapporto di
pertinenza può intercorrere tra cose mobili (cornice e quadro), tra cose mobili e
cose immobili (antenna televisiva ed edificio) tra cose immobili (la cantina rispetto
all'appartamento). Essenziale perché sorga il rapporto di pertinenza è la
destinazione, la quale può essere effettuata esclusivamente dal proprietario della
cosa principale. Perché si abbia la costituzione del rapporto occorre che il
proprietario della cosa principale sia tale anche della cosa accessoria.
Affinché sussista un rapporto di pertinenza tra due beni sono necessari due
presupposti
Oggettivo: che consiste nel rapporto di servizio ad ornamento rispetto la cosa
principale
Soggettivo: la volontà da parte del proprietario o titolare di destinare la cosa al
servizio od ornamento della cosa principale.

Un volta costituito il rapporto, la pertinenza segue la sorte della cosa principale. Se


ad esempio si vende la cosa principale si intende venduta la pertinenza a meno che
le parti non abbiano convenuto diversamente art 818.
È possibile costituire rapporti diversi per pertinenza. Posso dunque concedere l'uso
del garage annesso alla mia casa o venderlo.
Il vincolo di pertinenza cessa quando viene meno l'elemento oggettivo e soggettivo,
ad esempio quando la cosa è stata venduta o è perita.

Le universalità.
Per universalità di beni mobili si intende, secondo l'articolo 816 del Codice civile
italiano, la pluralità di cose che appartengono alla stessa persona e che hanno una
destinazione unitaria (es. un gregge, una pinacoteca, una biblioteca). Tre sono gli
elementi necessari perché si possa parlare di universalità: una pluralità di cose
mobili, una destinazione unitaria intesa come funzione comune e l'appartenenza
delle cose al medesimo soggetto. La destinazione unitaria non fa comunque perdere
l'autonomia alle cose che formano la universalità le quali potranno quindi essere
oggetto, separatamente l'una dall'altra, di singoli atti. Quando l'universalità nasce
per volere del proprietario (ad es. di chi ha raccolto i libri), si parla di universalità di
fatto. Invece quando l'universalità è stabilita dal legislatore si parla di universalità di
diritto, ad es. l'azienda è definita come universalità di beni dalla legge, in quanto una
pluralità di beni è destinata al medesimo scopo (catene di montaggio).

Frutti.
Tra i beni il codice civile disciplina i frutti distinguendoli in frutti naturali e frutti civili.
Sono considerati frutti naturali quelli che provengono dalla cosa direttamente con o
senza l'intervento dell'uomo. I frutti naturali seguono la stessa sorte della cosa
fruttifera fino alla separazione, ne fanno parte fino a tal momento che segna il
momento dell'acquisto da parte dell'avente diritto. È possibile disporre di essi prima
della separazione come cose mobili future, con applicazione per la relativa vendita,
dell'art 1472 relativo alla vendita di cose future. La separazione, ossia il distacco
dalla cosa madre, determina una autonoma identità giuridica dei frutti facendo
sorgere su di essi un diritto di proprietà. Tale proprietà spetta al proprietario della
cosa fruttifera, salvo che spetti ad altri soggetti quale effetto di un diritto di
godimento vantato relativamente alla cosa madre. Vale il principio per cui chi fa
proprio i frutti deve, entro il limite del relativo valore, rimborsare colui che ha fatto
spese per la produzione e il raccolto. Per i frutti civili si intendono quelli che si
ritraggono dalla cosa come corrispettivo di godimento che ne sia attribuito ad altri
(interessi capitali, rendite vitalizie, corrispettivo delle locazioni). Anche i frutti civili
come i frutti naturali spettano al proprietario della cosa fruttifera ovvero a chi abbia
un diritto di godimento sulla cosa medesima.
Patrimonio.
Il patrimonio viene inteso come l'insieme delle situazioni giuridiche di rilevanza
economica di cui il soggetto è titolare. Ne restano esclusi i diritti di natura non
patrimoniale. Esso finché la persona è vivente non viene considerato
dell'ordinamento come possibile oggetto di situazioni giuridiche. L'art. 2740
intitolato alla responsabilità patrimoniale indica che ciascuno risponde
dell'adempimento delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.

Ogni soggetto ha un solo patrimonio ma esistono dei patrimoni di destinazione che


danno vita a patrimoni separati attenuando la responsabilità patrimoniale. Esempi
significativi di tale fenomeno sono offerti dalla destinazione di beni che avviene con
la costituzione del fondo patrimoniale, con conseguente trattamento differenziato
dei creditori, dai fondi speciali per la previdenza e l'assistenza e dalla possibile
costituzione, da parte di una società per azioni, di patrimoni destinati ad uno
specifico affare.

Beni pubblici.
Il codice civile non ha mancato di delineare anche la particolare condizione giuridica
dei beni appartenenti allo stato ed agli enti pubblici. Taluni beni fanno parte del
demanio pubblico in quanto non è ammessa l'appartenenza ai privati. I beni pubblici
demaniali naturali sono: spiagge, porti, laghi, fiumi, torrenti, opere di difesa
nazionale. I beni pubblici demaniali artificiali sono: strade, aerodromi, immobili di
interesse storico, archeologico e artistico ecc.
I beni demaniali sono inalienabili e possono formare oggetti di diritti di terzi solo nei
modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano. Per i beni non necessariamente
demaniali è ammessa la cosiddetta sdemanializzazione. Tale procedimento avviene
attraverso procedure particolari. I beni appartenenti allo stato e agli altri enti
territoriali non compresi tra quelli considerati demaniali fanno parte del relativo
patrimonio. Bisogna fare una distinzione per quanto riguarda i beni patrimoniali
indisponibili. Di quello dello stato fanno parte i beni indicati dal l'articolo 826
(miniere, cave, torbiere, case di interesse storico, archeologico, artistico, caserme,
aereo mobili militari, armamenti ecc). Di quello dello stato o dell'ente pubblico
territoriale fanno parte gli edifici pubblici con tutti i relativi arredi. I beni che fanno
parte del patrimonio indisponibile sono comunque vincolati alla loro destinazione e
non possono essere ad essa sottratti se non nei modi stabiliti dalla legge. Per i beni
dello stato e degli enti pubblici territoriali che non fanno parte del patrimonio
indisponibile opera invece la disciplina dettata in generale dal codice civile per i
diversi tipi di beni.

5
Rapporto giuridico e situazioni soggettive.
La funzione della norma giuridica va ricercata nell'esigenza di ordinare le relazioni
umane. Se l'interesse può essere visto come una sorta di tensione tra soggetto e
bene, ne consegue la possibile insorgenza di conflitti ove una pluralità di soggetti si
presentino interessati allo stesso bene. L'ordinamento giuridico allora interviene con
le sue regole per organizzare gli interessi in gioco. L'ordinamento riconosce ai
soggetti portatori di interessi una situazione giuridica soggettiva la quale costituisce
sul piano soggettivo la regola giuridica.

La situazione giuridica soggettiva di chi risulta essere investito il soggetto a seguito


dell'intervento regolatore dell'ordinamento, risulta favorevole ove sia il suo
interesse ad essere considerato meritevole di tutela e realizzazione, o sfavorevole
ove sia il suo interesse subordinato a quello altrui. Si definisce attiva la situazione
giuridica di vantaggio attribuita al soggetto del rapporto per assicurargli la
realizzazione di uno interesse, passiva la situazione giuridica di svantaggio tenuto a
rendere possibile con il suo comportamento la realizzazione dell'interesse altrui.

Diritto soggettivo
Nel codice civile la situazione giuridica soggettiva favorevole (attiva) riconosciuta ad
un soggetto in relazione ad un bene è identificata con il termine di diritto. Si parla di
diritto, inteso in senso soggettivo, ogni volta che viene garantito al soggetto, da
parte dell'ordinamento la realizzazione del suo interesse.
Alla conformazione del contenuto del diritto concorrono facoltá, poteri, limiti ed
obblighi.

Abuso del diritto.


Con la formula abuso del diritto si tende ad indicare un limite esterno all'esercizio,
potenzialmente pieno ed assoluto, del diritto soggettivo, il cui riconoscimento, come
si insegna, implica l'attribuzione al soggetto di una duplice posizione, di libertà e di
forza.

Come può evincersi dalla radice etimologica del termine (ab-uti), si ha abuso nel
caso di uso anormale del diritto, che conduca il comportamento del singolo (nel caso
concreto) fuori della sfera del diritto soggettivo esercitato, per il fatto di porsi in
contrasto con gli scopi etici e sociali per cui il diritto stesso viene riconosciuto e
protetto dall'ordinamento giuridico positivo. Un siffatto comportamento abusivo
costituisce, quindi, un illecito (a seconda dei casi aquiliano o contrattuale, se trattasi,
rispettivamente, di diritto reale o di credito), sanzionato secondo le norme generali
di diritto in materia.

Nel nostro codice non esiste una norma che sanzioni in via generale l'abuso del
diritto. La cultura giuridica degli anni 30 riteneva che l'abuso del diritto, più che
essere una nozione giuridica, fosse un concetto di natura etico-morale, con la
conseguenza che colui che ne abusava veniva considerato meritevole di biasimo, ma
non di sanzione giuridica.

Tipologia dei diritti soggettivi.


La categoria del diritto soggettivo rappresenta il risultato dello sforzo tendente ad
una ricostruzione in chiave unitaria delle situazioni in cui l'ordinamento garantisce al
soggetto piena e diretta tutela del suo interesse relativamente a un bene.
I diritti soggettivi possono essere di natura molto diversa tra loro. Distinguiamo così
tre categorie fondamentali di diritti soggettivi.

 Una prima fondamentale distinzione è tra diritti patrimoniali e diritti non


patrimoniali. Carattere patrimoniale hanno il diritto di proprietà e i diritti di
credito, non patrimoniale i diritti della personalità e i diritti familiari.
 Una seconda distinzione è tra diritti assoluti e diritti relativi. La distinzione si
basa sul diverso modo in cui la posizione del soggetto, titolare del diritto
attivo, si correla con la posizione di chi (titolare del rapporto passivo) col suo
comportamento deve consentire la realizzazione dell'interesse che
l'ordinamento ha reputato meritevole di tutela, collocandolo in una posizione
sovraordinata. I diritti assoluti si caratterizzano per il fatto che si possono far
valere nei confronti di tutti. Per la loro realizzazione non è necessaria la
collaborazione di altri soggetti. Tipico diritto assoluto è il diritto di proprietá. Il
proprietario per realizzare il proprio diritto infatti non ha bisogno dell'aiuto di
altre persone che devono solo limitarsi a non turbarlo nel suo godimento. Da
un lato abbiamo il diritto, dall'altra parte, cioè dal lato passivo, un generico
dovere di astensione carico di tutti i consociati. Per quanto riguarda il diritto
relativo esso si fa valere solo nei confronti di soggetti determinati. Si
distinguono da quelli assoluti anche perché per la loro realizzazione è
necessaria la collaborazione di altri soggetti. Il creditore avrà nei confronti del
debitore una pretesa, il debitore invece dovrà adempire ad un obbligo.
 Una terza distinzione si ha in campo patrimoniale dove si ha una distinzione
tra diritti reali e diritti di credito. La caratteristica dei diritti reali è quella di
attribuire al titolare un potere immediato sulla cosa, consentendogli di
realizzare immediatamente il suo interesse attraverso l'esercizio delle facoltà
e dei poteri conferiti dall'ordinamento rispetto alla cosa stessa. Tale
realizzazione non necessita di mediazione. I diritti di credito si caratterizzano
per la pretesa che il creditore ha nei confronti di uno o più soggetti
determinati a che questi tengono uno specifico comportamento positivo o
negativo suscettibile di valutazione economica. In questo caso si parla di
mediatezza.

Diritto potestativo.
L'essenza del diritto potestativo è da ricercare nel potere riconosciuto al soggetto di
incidere su situazioni giuridiche, costituendole, modificandole o estinguendole, con
una propria manifestazione unilaterale di volontà. Abbiamo quindi da una parte una
situazione di potere, mentre dall'altra (lato passivo del rapporto) una posizione di
soggezione del soggetto passivo, che si trova nella condizione di essere costretto a
subire gli effetti giuridici derivanti dall'esercizio del diritto potestativo. Un esempio
del diritto potestativo possiamo trovarlo nell'ipotesi di diritto di prelazione conferito
dalla legge, diritto di riscatto del venditore in caso di vendita con patto di riscatto,
diritto di recesso unilaterale attribuito ad una delle due parti, ecc. In tutti questi casi
l'effetto è la manifestazione unilaterale di volontà restando la controparte
semplicemente assoggettata. Altra ipotesi di diritto potestativo viene individuata nel
potere riconosciuto a ciascuno dei partecipanti di domandare lo scoglimento della
comunione di un bene. Se un bene è di proprietà di più soggetti, cioè in comunione,
ognuno di loro potrà chiedere la divisione del suddetto bene senza che gli altri
possano fare nulla per impedirlo.

Potestá
Il potere conferito nel diritto potestativo può essere usato per realizzare interessi
altrui, in tal caso la situazione giuridica prende il nome di potestá. Un potere del
genere può essere conferito dallo stesso titolare degli interessi in gioco al
rappresentante incaricato di concludere un contratto destinato a produrre effetti
direttamente nel patrimonio del titolare. I casi di maggiore interesse sono però
quelli in cui è la legge conferire un tale potere. Esempi significativi di una simile
situazione dell'utilizzo della potestá sono quelli che fanno riferimento alla tutela e
alla responsabilità genitoriale. L'attribuzione del potere nell'interesse altrui non si
presenta libero, ma vincolato alla realizzazione dell'interesse in vista della cui
realizzazione è attribuito. Ciò comporta l'evidente esigenza di provvedere a forme di
controllo dell'esercizio del potere. Nell'ipotesi di rappresentanza diretta il
rappresentato può chiedere l'annullamento contro tutti gli atti abusivi del l'esercizio
di rappresentanza come il caso di contratto concluso dal rappresentate in conflitto di
interessi con il rappresentato e in caso di contratto concluso dal rappresentate con
se stesso. L'esercizio dei poteri connessi alla potestá viene ad assumere, di
conseguenza, per il soggetto cui essa è attribuita, un carattere di vera e propria
doverosità. Del tutto coerente allora si presta la previsione della possibile rimozione
del soggetto dalla titolarità della potestá, nel caso in cui venga esercitata in maniera
tale da recare pregiudizio nei confronti di altri soggetto. Esemplare si presenta in
tale prospettiva l'articolato controllo sulla responsabilità genitoriale, fino alla
possibile pronuncia della decadenza di essa.

Aspettativa.
Dalla situazione giuridica di diritto soggettivo si distingue la situazione di aspettativa,
quando i requisiti che l'ordinamento pone per il sorgere del diritto soggettivo stesso
non siano ancora completamente realizzati. Si parla in questo caso di una situazione
giuridica di natura provvisoria destinata a cadere con l'acquisizione del diritto.
Affinché si parli di aspettativa nel senso accennato, occorre che l'ordinamento
consideri, già attualmente meritevole di tutela, un interesse del soggetto. Un
esempio che si può fare riguardo l'aspettativa di fatto, viene visto nella situazione in
cui si trova il soggetto in ordine all'eredità di chi si ancora vivente, che hanno diritto
a una quota della relativa eredità, dato che è solo con la morte del soggetto da cui si
conta di ereditare, che comincia a realizzarsi la fattispecie successoria.
Ipotesi riguardante l'aspettativa di diritto si ritiene essere quella di chi acquisti un
diritto sotto condizione sospensiva o l'alieni sotto condizione risolutiva. Nella fase in
cui è incerta l'avverarsi o meno della condizione (fase di pendenza) non solo il
soggetto può disporre della propria situazione, appunto di aspettativa, rispetto al
diritto, ma vede tutelato in maniera incisiva l'interesse al rispetto della sua
aspettativa da parte del controinteressato. Così egli può compiere gli opportuni atti
conservativi, la controparte deve comportarsi secondo buona fede per conservare
integre le ragioni dell'altra parte”.
Interesse legittimo.
L'interesse legittimo è una delle situazioni giuridiche soggettive riconosciute dal
diritto italiano. Si tratta della situazione giuridica soggettiva della quale è titolare un
soggetto nei confronti della pubblica amministrazione che esercita un potere
autoritativo attribuitole dalla legge e consiste nella pretesa che tale potere sia
esercitato in conformità alla legge. Nell'ordinamento italiano non esistono norme
definitorie: l'espressione "interessi legittimi" è comunque presente in tre articoli
della Costituzione: all'art. 24 dove è stabilito il diritto di agire in giudizio per la difesa
dei diritti (intesi come diritti soggettivi) e degli interessi legittimi, all'art. 103, in cui si
stabilisce la giurisdizione del Consiglio di Stato e degli altri organi di giustizia
amministrativa per la tutela degli interessi legittimi, e all'art. 113, dove si prevede
che avverso gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la possibilità
di tutelare questa posizione soggettiva in sede giurisdizionale. L'interesse legittimo
ha come oggetto una utilità o un bene della vita che un soggetto privato mira,
rispettivamente, a conservare o a conseguire tramite l'esercizio legittimo del potere
amministrativo. Nel primo caso si parla di interesse legittimo oppositivo, che sorge,
per esempio, nei casi di espropriazione o di imposizione di un vincolo alla proprietà;
nel secondo caso di interesse legittimo pretensivo, che sorge per esempio in
relazione a un'autorizzazione o a una concessione necessaria per intraprendere
un'attività. Viene contrapposto al diritto soggettivo inteso, in questo contesto, come
situazione soggettiva di vantaggio riconosciuta automaticamente come degna di
tutela nei riguardi sia dei privati sia della pubblica amministrazione.
La distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi ha assunto particolare
rilevanza nel nostro ordinamento sotto diversi profili, innanzitutto per quanto
concerne le competenze relative alla tutela giurisdizionale. In tal modo per la tutela
dei diritti soggettivi opera il giudice ordinario, per la tutela degli interessi legittimi il
giudice amministrativo. Con importanti interventi del legislatore sono state estese le
materie di competenza del giudice amministrativo. In tal modo tale giudice è stato
ritenuto competente a giudicare anche le controversie aventi oggetto diritti
soggettivi, inoltre è stato consentito al giudice amministrativo il potere di
condannare la pubblica amministrazione al risarcimento del danno conseguente ad
un provvedimento legittimo. La giurisprudenza con un fondamentale intervento
della corte di cassazione ha sancito la risarcibilità del danno conseguente la lesione
di un interesse legittimo ai sensi dell'articolo. 2043. Inoltre ha riconosciuto al giudice
ordinario la possibilità di giudicare la controversie relativi agli interessi legittimi
eventualmente condannando la pubblica amministrazione al risarcimento del
danno.

Interessi collettivi e diffusi.


Carattere comune delle situazioni giuridiche considerate è quello di tutelare
l'interesse del soggetto, conferendogli una posizione di vantaggio rispetto ad un
bene. Nell'evoluzione dell'ordinamento crescente attenzione è stata rivolta agli
interessi facenti capo al soggetto in quanto appartenente ad una determinata
collettività, in quanti membro di una comunità. La tutela degli interessi collettivi ha
trovato meno difficoltà dato che trova il suo naturale punto di riferimento
nell'attribuzione del potere di agire per la relativa salvaguardia degli enti di struttura
tipicamente associativa.

A differenza dall'interesse collettivo, gli interessi diffusi sono comuni a individui di


una formazione sociale non organizzata e non individuabile autonomamente.
Esempi di interesse diffuso possono essere la tutela dell'ambiente e la tutela del
consumatore.

Onere.
Tale termine viene impiegato per indicare sia la posizione del soggetto passivo del
rapporto ed anche per alludere ad una diversa situazione ossia quella in cui il
soggetto sia tenuto ad un certo comportamento, non al fine di realizzare un
interesse altrui ma con il fine di realizzare un interesse proprio. Il sacrificio di un
proprio interesse è imposto per soddisfarne un altro sempre proprio. Tale figura
viene qualificata con il termine di onere. Esempio in proposito è l'onere della prova.
Ai sensi dell'articolo. 2697 “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i
fatti che ne costituiscono il fondamento”. L'attività probatoria, anche se la legge
utilizza il termine “deve” non è oggetto di obbligo, ma per il soggetto in questione è
una necessità in quanto in mancanza di essa non riuscirà a far valere il proprio diritto
in giudizio.

6
Fatti giuridici.
Ogni fatto materiale è preso in considerazione dall'ordinamento per verificare
quanto esso sia giuridicamente rilevante. Più specificamente il singolo
comportamento o accadimento è valutato dall'ordinamento con il fine di verificare
se la situazione coinvolga interessi futili e quindi irrilevanti o interessi rilevanti. Ogni
struttura sociale produce il suo diritto, cosicché con il mutare della realtà sociale ed
economica e con il connesso evolvere dell'ordinamento, alcuni interessi possono
subire una modificazione di giudizio e quindi di rilevanza giuridica. Così appunto
interessi che i passato venivano considerati irrilevanti magari nel presente possono
essere considerati come rilevanti. Un esempio può essere lo sfruttamento
dell'atmosfera con la propagazione di onde radioelettriche ecc.

Fatti ed effetti giuridici


In un quadro così delineato poniamo una distinzione tra fatti ed effetti giuridici.

 I fatti giuridici sono accadimenti della realtà materiale rilevanti per


l'ordinamento giuridico che producono effetti nel mondo naturale e nel
mondo giuridico. Affinché un fatto venga considerato rilevante è necessario
che venga preso in considerazione dall'ordinamento e sia connesso a tale
fatto la produzione di un effetto giuridico. Quando ciò avviene il fatto riveste
la qualifica di fattispecie. I fatti giuridici sono positivi quando rileva
giuridicamente il comportamento attivo del soggetto che compie l'azione.
Sono considerati negativi quando rileva giuridicamente il comportamento
passivo del soggetto.
 L'effetto giuridico è la nascita, la modificazione o l'estinzione di un rapporto
giuridico in conseguenza dell'accadimento di un fatto giuridico. Distinguiamo
due categorie di effetti giuridici. EFFETTI NECESSARI: provengono
dall'ordinamento e non è consentito ai privati di derogarvi. EFFETTI
NATURALI: pur provenendo dall'ordinamento è consentito derogarvi.

Struttura dei fatti giuridici.


Per quanto riguarda la struttura dei fatti giuridici è possibile distinguere tre tipi di
fattispecie:

 Fattispecie semplice, occorre un unico accadimento per produrre un effetto


giuridico. Esempio, nascita ai fini dell'acquisto della capacità giuridica
 Fattispecie complessa, occorrono più fatti per produrre un effetto giuridico.
Esempio acquisto di un immobile per usucapione da chi non è proprietario.
Per verificarsi l'acquisto per usucapione devono concorrere più fatti: possesso
continuo, pubblico e pacifico, l'atto di acquisto, la buona fede dell'acquirente,
la trascrizione dell'atto e il decorso di dieci anni dalla trascrizione.
 Fattispecie a formazione progressiva. Si ha tale fattispecie quando più fatti
sono previsti dall'ordinamento in sequenza cronologica ma logicamente
coordinati.

Atti giuridici:
Sono atti giuridici i fatti umani compiuti consapevolmente da una persona capace cui
l'ordinamento ricollega ad effetti giuridici. È possibile distinguere gli atti giuridici in
base al compimento, contenuto e valutazione.

 In relazione al compimento gli atti giuridici si presentano sotto due


fondamentali modelli: di dichiarazione e di contegno. 1)Il primo modello è
caratterizzato dalla dichiarazione nel senso che l'atto esprime i propri effetti
attraverso la parola, lo scritto o altri segnali. Gli atti dichiarativi a loro volta si
suddividono in atti recettizi e atti non recettizi. Gli atti recettizi producono
effetti nel momento in cui pervengono a conoscenza del destinatario. Nel
nostro ordinamento opera il principio della recezione temperato da una
presunzione di coscienza fissata dall'art. 1334 per cui la proposta,
l'accettazione, la revoca e qualsiasi altra dichiarazione diretta ad una
determinata persona si reputano conosciute al momento in cui giungono
all'indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza colpa,
nell'impossibilità di averne notizia. Sono atti non recettizi quelli che non sono
destinati a terzi e pertanto producono effetto in virtù della mera redazione. 2)
Il secondo modello è caratterizzato dal contegno nel senso che l'atto pur non
contenendo una compiuta determinazione volitiva presenta indici della stessa
dai quali è possibile ricostruirla.
 In relazione ai contenuti gli atti giuridici si distinguono in due fondamentali
categorie, gli atti giuridici in senso stretto e negozi giuridici. 1) Gli atti giuridici
in senso stretto sono fatti dell'uomo per i quali assume rilevanza la mera
volontarietà della materia dell'atto. La volontarietà è connessa alla struttura e
non alla funzione dell'atto e cioè al risultato perseguito. 2) I negozi giuridici
sono mezzi di esplicazione dell'autonomia privata. Strutturalmente sono
manifestazioni di volontà rivolte ad uno scopo pratico tutelato
dall'ordinamento. Rilevano giuridicamente non solo la volontà e la
consapevolezza del comportamento ma anche l'intento perseguito e cioè il
risultato voluto dal soggetto. C'è volontà e consapevolezza degli effetti. Tipico
esempio è il contratto art. 1321.
 In relazione alla valutazione distinguiamo poi atti leciti e atti illeciti a seconda
della conformità o meno all'ordinamento giuridico. 1) Gli atti leciti sono voluti
dal l'agente e conformi all'ordinamento giuridico. 2) Gli atti illeciti sono atti
che sono in contrasto con l'ordinamento giuridico.
Attivitá.
L'attività esprime la coordinazione di più fatti e atti preordinati svolti verso il
conseguimento di uno scopo unitario.

Vicende giuridiche.
Le vicende giuridiche indicano i mutamenti dei rapporti e delle situazioni giuridiche
soggettive dalla nascita fino all'estinzione determinando la sorte dei corrispondenti
poteri o obblighi in capo ai singoli titolari. Distinguiamo vicende costitutive,
modificative e estintive.
1) Le vicende costitutive segnano la nascita di situazioni giuridiche soggettive e
dunque l'acquisto in capo ad un soggetto di un diritto che non esisteva e di cui
quindi non poteva essere titolare.
2)Le vicende estintive segnano la cessazione di situazioni giuridiche soggettive nel
senso che il diritto prima esistente viene meno. Es. con il pagamento del debito si
realizza l'estinzione del diritto di credito art. 1176.
3)Le vicende modificative determinano il mutamento di una situazione giuridica, più
spesso rispetto al soggetto, eccezionalmente con riguardo all'oggetto. In particolare
la modificazione soggettiva realizza il trasferimento del diritto da un soggetto ad un
diverso soggetto. Ad esempio con la vendita si ha il trasferimento di proprietà o di
altri diritti dal venditore al compratore.

Titoli di acquisito.
La circolazione dei diritti pone come problema giuridico fondamentale quello del
titolo di acquisto. Distinguiamo i titoli di acquisto in due grandi categorie: a titolo
derivato e a titolo originario.
1)Gli acquisti a titolo derivato stabiliscono che un soggetto avente causa acquista il
diritto del precedente titolare dante causa. Gli acquisiti possono intervenire per atto
tra vivi o a causa di morte. L'acquisto a titolo derivativo si distingue in: acquisto
derivativo traslativo e acquisto derivativo costitutivo.
Si ha l'acquisto derivativo traslativo quando il diritto acquistato è lo stesso che era in
capo al dante causa che quindi lo perde.
Si ha acquisto derivativo costitutivo quando il diritto acquistato non esisteva nella
realtà giuridica ma promana dal diritto dell'alienante comportandone una
restrizione.
2) Gli acquisti a titolo originario: realizzano l'acquisto di un diritto nuovo
indipendentemente dal rapporto con l'originario titolare. L'usucapione costituisce il
modo più diffuso di acquisto a titolo originario
Funzione del tempo.
Ogni fenomeno giuridico incide nella realtà temporale e spaziale. Tempo e spazio
esprimono le modalità di svolgimento dei fatti giuridici influenzando la
determinazione delle vicende giuridiche e la stessa vita delle situazioni giuridiche. Il
tempo può essere rilevato nel suo correre e perciò riguardo alla sua durata o può
essere rilevato nel momento e perciò come data. Ad esempio in un contratto di
locazione, il tempo fissa il termine di efficacia del contratto e segna il termine di
scadenza del pagamento del canone. Per l'essenza le rilevanza della dimensione
temporale la legge dedica una specifica normativa al computo dei termini. La legge
colloca la disciplina del computo dei termini nel capo dedicato alla prescrizione (artt.
2962 e 2963).

La prescrizione.

L'art. 2105 del cod. civ. abrogato, considerava la prescrizione come un mezzo con
cui, col decorso del tempo e sotto determinate condizioni, taluno acquista un diritto
o è liberato da una obbligazione. Era un sistema orientato all'osservazione della
titolarità del diritto, per cui la prescrizione, rivolta ad assicurare la stabilità dei
rapporti, si fondava sulla presunzione che il proprietario e il creditore che per lungo
tempo non avevano esercitato i propri diritti avessero inteso di abbandonarli.

Per l'art. 2934 ogni diritto si estingue per prescrizione quando il titolare non lo
esercita per il tempo determinato dalla legge. La prescrizione quindi si atteggia
come generale modo di estinzione dei diritti. Sono imprescrittibili i diritti
indisponibili e gli altri diritti indicati dalla legge. Tra i diritti indisponibili ricordiamo i
diritti della personalità e quelli connessi agli stati e alle potestá familiari. La disciplina
della prescrizione è di ordine pubblico nel senso che non è derogabile da privati. È
nullo ogni patto diretto a modificare la disciplina legale della prescrizione art. 2936.
La prescrizione non è rilevabile d'ufficio dal giudice ma deve essere opposta e cioè
rimessa alla valutazione del soggetto interessato se avvalersi o meno della
prescrizione. Si può rinunziare alla prescrizione solo quando essa è compiuta. La
rinunzia può essere espressa o tacita e cioè risultare da un fatto incompatibile con la
volontà di valersi della prescrizione. È invece vietata la rinunzia preventiva alla
prescrizione o intervenuta durante il decorso del termine di prescrizione con il fine
di evitare abusi di una parte a danno dell'altra. Quanto alla decorrenza del termine
prescrizionale, principio fondamentale è che la prescrizione comincia a decorrere dal
giorno in cui il diritto può essere fatto valere art. 2935, non opera quando il mancato
esercizio è giustificato. Molto spesso è la legge stessa a specificare il giorno dal quale
decorre il termine della prescrizione. Quanto alla durata la regola generale è che i
diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni salvi nei casi in cui la
legge dispone diversamente. Sono molte le ipotesi per le quali è previsto un termine
diverso di prescrizione: talvolta più lungo ad esempio i diritti reali di godimento su
cosa altrui si prescrivono in venti anni o più breve dando luogo a prescrizioni brevi
come il risarcimento del danno che si prescrive in cinque anni.

Sospensione.

Durante il decorso del tempo possono determinarsi due tipi di vicende che incidono
sulla operatività della prescrizione ossia la sospensione e la interruzione.

 Si ha sospensione della prescrizione quando il mancato esercizio del diritto è


dalla legge giustificato in considerazione di specifiche circostanze che
impediscono o anche solo ostacolano l'esercizio del diritto. All'occorrenza la
legge prevede due categorie di fattispecie. La prima categoria di ragioni
giustificative è inerente alla relazione giuridica che lega il titolare del diritto
con il soggetto passivo art. 2941. Ad esempio la prescrizione rimane sospesa
tra il debitore che ha dolosamente occultato l'esistenza del debito e il
creditore finché il dolo non sia stato scoperto. La seconda categoria di
fattispecie giustificativa riguarda la condizione del titolare del diritto art. 2942.
Ad esempio la prescrizione rimane sospesa contro minori ed interdetti per il
tempo in cui non hanno rappresentante legale e per sei mesi successivi alla
nomina del medesimo o alla cessazione dell'incapacità.
 Si ha interruzione della prescrizione quando il diritto è esercitato. In tale
ipotesi vi è cessazione dell'inerzia. L'eccezione è rilevabile d'ufficio dal giudice.
Regola generale è che la prescrizione è interrotta dalla notificazione dell'atto
con il quale si inizia un giudizio o dell'atto di accesso arbitrale. Per effetto della
interruzione inizia un nuovo periodo di prescrizione.

Le prescrizioni presuntive.
La legge presume che alcuni rapporti obbligatori siano usualmente estinti in un
breve lasso di tempo e senza formalità (rilascio di ricevute) perciò le prescrizioni
presuntive sono tutte brevi. Per regola generale il creditore che chiede
l'adempimento dell'obbligazione è tenuto alla sola allegazione del credito, è onere
del debitore provare l'adempimento o altra causa di estinzione del debito. La
prescrizione presuntiva solleva il debitore dall'onere di tale prova. Non è tenuto cioè
a provare l'adempimento essendo lo stesso presunto dalla legge dopo il decorso di
un determinato periodo di tempo. In ogni caso si tratta di una presunzione semplice
di estinzione che ammette la prova contraria. La prova è però circoscritta al solo
giuramento. Se il debitore giurando il falso, dichiara che l'obbligazione è stata
adempiuta o in altro modo estinta, il diritto si considera estinto, ma se non c'è stata
estinzione incorre nel reato di falso giuramento, per avere come parte in giudizio
civile giurato il falso. Art 371 c.p

La decadenza.
La legge mira a garantire che un diritto sia oggettivamente esercitato entro un dato
termine. Il decorso del tempo pertanto a differenza della prescrizione rileva non
come durata del comportamento di inerzia nell'esercizio del diritto ma nella sola
prospettiva della scadenza del termine entro il quale il titolare del diritto avrebbe
dovuto esercitarlo, scaduto il termine il diritto si perde. La decadenza non può
essere rilevata di ufficio dal giudice con la conseguenza che per la sua operatività
deve essere eccepita dalla parte. Può essere rilevata d'ufficio dal giudice, quando
trattasi di materia sottratta alla disponibilità delle parti, il giudice debba rilevare le
cause d'improponibilità dell'azione. C'è nella legge una disciplina differenziata a
seconda che la decadenza inserisca a diritto disponibili o indisponibili dai privati. Se
la decadenza inerisce ai diritti disponibili l'operativitá della decadenza è rimessa alla
iniziativa del soggetto interessato che ha l'onore di eccepirla. Se la decadenza
inerisce a diritti indisponibili le parti non possono modificare la disciplina legale della
decadenza, ne possono rinunziare alla decadenza medesima. Il giudice può rilevare
la decadenza come causa di improponibilità dell'azione.

Influenza dello spazio.


L'adempimento delle obbligazioni deve avvenire nel luogo determinati nel contratto
o se non è stabilito in uno di quelli fissati dall'art. 1182. Lo spazio vale ad indicare il
domicilio o la residenza delle persone fisiche e la sede giuridica degli enti.

7
Autonomia negoziale.
L'espressione autonomia privata indica il potere dei privati di darsi autonomamente
regole. L'esercizio dell'autonomia deve risultare compatibile con i doveri di
solidarietà sociale. L'autonomia privata è espressione delle libertà fondamentali ed è
in grado di procurare il massimo benessere economico collettivo. Sia nella
costituzione sia nell'ordinamento comunitario non c'è un espresso e formale
riconoscimento dell'autonomia negoziale, ma la sua rilevanza giuridica deriva da dati
testuali che necessariamente la implicano. Nella carta costituzionale fondamentali
risultano gli art. 2,41,42,47 che sottendono al riconoscimento dell'autonomia
privata. In particolare l'art.2 riconosce e garantisce l'autonomia privata, collettiva e
individuale come espressione della libertà fondamentale limitandone l'esercizio con
il rispetto dei doveri di solidarietà. Anche il diritto comunitario prevedendo un
mercato caratterizzato dall'eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione di
merci, persone, capitali e servizi, implica il necessario riconoscimento
dell'autonomia privata quale strumento di realizzazione di tali obbiettivi. Neppure il
codice civile contiene una espressa formalizzazione dell'autonomia privata ma la
previsione dell'autonomia contrattuale con il testamento e altri negozi unilaterali ne
implicano il riconoscimento.

Le considerazioni appena fatte fanno emergere alcuni essenziali criteri come:

 L'autonomia negoziale rimane espressione di libertà e perciò non può essere


funzionale ad un interesse generale ma deve risultare ad esso compatibile.
 Riguardo alla forma i negozi devono avere requisiti di validitá previsti dalla
legge per garantire una valida espressione della volontà negoziale.
 Principio di indipendenza della sfera giuridica individuale per cui solo con la
propria volontà si può modificare la propria sfera giuridica, non si può incidere
con la propria volontà in una sfera giuridica altrui contro la volontà del
titolare.

L'espressione autonomia negoziale indica l'autonomia privata espressa mediante


negozi giuridici. L'ordinamento accorda ai privati il potere di autoregolare i propri
interessi. Il negozio giuridico si presenta come un atto giuridico lecito, come
manifestazione di volontà diretta alla realizzazione di effetti giuridici. I negozi
giuridici richiedono quindi la capacità di agire come idoneità a porre in essere atti
giuridici idonei ad incidere sulla sfera giuridica e in essi la consapevolezza e
volontarietà non attiene solo all'atto ma anche agli effetti giuridici. L'efficacia del
negozio giuridico è legata alla valutazione e dunque al trattamento che del singolo
negozio compie l'ordinamento.

I negozi giuridici si specificano rispetto agli atti giuridici in senso stretto in quanto
assumono rilevanza non solo la volontarietà e la consapevolezza dell'atto ma anche
la volontarietà dello scopo perseguito nel senso che gli effetti giuridici determinati
dall'ordinamento si conformano allo scopo pratico perseguito.
Ogni negozio giuridico consiste dunque in una manifestazione di volontà rivolta al
perseguimento di uno scopo concreto giuridicamente rilevante. Sono dunque
elementi essenziali di ogni negozio giuridico:

 La manifestazione di volontà
 Lo scopo perseguito
 La forma vincolata
1) La manifestazione di volontà rappresenta l'espressione volitiva degli
autori dell'atto. È necessario che la volontà negoziale sia manifestata e
cioè esteriorizzata con il fine di rilevare l'interesse che si intende
realizzare. Talvolta la volontà è manifestata attraverso dichiarazione,
espressa o tacita, o tramite l'attuazione dello scopo perseguito.
Fondamentali mezzi di manifestazione di volontà son il linguaggio ed il
contegno.
2) Lo scopo perseguito indica uno scopo prefissato e voluto dagli autori
del negozio rivolto all'attuazione di un assetto di interessi per cui il
negozio si atteggia quale autoregolamento di interessi. Il profilo è
espresso dalla causa del negozio quale funzione concreta realizzata dal
negozio.
3) Per quanto riguarda la forma prescritta talvolta la manifestazione è
assoggettata ad una forma vincolata per validitá dell'atto (c.d. forma ad
sub stantiam).

Soggetti e parte del negozio.


Gli atti dei negozi giuridici provengono da soggetti che sono autori dell'atto, che
devono avere capacità di agire e capacità giuridica. È inoltre necessario che i soggetti
abbiano la competenza ad incidere sugli interessi regolati e dunque rispetto al
rapporto dedotto nel negozio, la cosiddetta legittimazione.
Per quanto riguarda la parte essa esprime il centro di interessi cui si riferisce l'atto
che può riguardare uno o più soggetti.

Fondamentali categorie di negozi giuridici.


Delineiamo alcune fondamentali classi di negozi giuridici.

 Parti: si vuole distinguere tra negozi unilaterali, negozi bilaterali, negozi


plurilaterali a seconda del numero delle parti che concorrono alla
determinazione dell'intento negoziale. Il negozio è unilaterale quando
proviene da una sola parte, esprime la manifestazione di un intento negoziale
di un solo centro di interessi. Sono di regola negozi recettizi ma ne esistono
anche non recettizi. Il negozio è bilaterale quando proviene da due parti,
esprime un regolamento di interessi in grado di apprestare soluzione alla
tensione di due parti tendenzialmente conflittuali. Se ha un contenuto
patrimoniale, in quanto verte su un oggetto di suscettibile di valutazione
economica, integra un contratto (vendita, appalto, trasloco). Un esempio
emblematico di negozio bilaterale si ha in materia di famiglia con riguardo al
matrimonio. Il negozio è plurilaterale quando è finalizzato al soddisfacimento
di interessi di più parti spesso con uno scopo comune.
 Contenuto: negozi a contenuto patrimoniale sono quelli che incidono sul
patrimonio dei soggetti o con attribuzioni patrimoniali o con la costituzione di
vincoli di destinazione. Distinguiamo inoltre due categorie, i negozi a titolo
oneroso dai negozi a titolo gratuito. Tra i negozi a titolo oneroso si pensi ai
contratti di vendita, appalto, trasporto ecc. Tra i negozi a titolo gratuito si
pensi alla donazione. Sono negozi con titolo non patrimoniale quello che
incidono sulla sfera esistenziale dei soggetti, nella dimensione personale del
soggetto o nella dimensione collettiva delle formazioni sociali, senza che una
previsione di carattere economico possa assumere la funzione di corrispettivo.
 Forma: sono negozi solenni per i quali è prescritta una determinata forma per
la validità dell'atto. Sono negozi non solenni, in via residuale, tutti gli altri.
 Efficacia: a riguardo si opera la distinzione tra negozi con effetti reali e negozi
con effetti obbligatori. I negozi con effetti reali, detti anche negozi di
alienazione, realizzano lo scopo pratico perseguito dai privati come suo
risultato immediato ricollegandosi direttamente al negozio l'effetto finale
avuto di mira. I negozi con effetti obbligatori, detti anche negozi obbligatori,
producono la costituzione di obbligazioni a carico delle parti, sicchè la
realizzazione dello scopo pratico perseguito attraverso il negozio avviene solo
successivamente in dipendenza dell'adempimento dell'obbligazione stessa.
Una categoria autonoma è rappresentata poi dai negozi di accertamento. Tali
negozi hanno la funzione di eliminare immediatamente e con efficacia
retroattiva la incertezza circa un determinato rapporto.
 Vita/morte. Distinguiamo tra negozi inter vivos e negozi mortis causa. Alla
prima categoria appartiene la più diffusa esplicazione dell'autonomia
negoziale (es. vendita, appalto, ecc.). Negozio tipico mortis causa è il
testamento quale atto di disposizione per il tempo in cui il testatore avrà
cessato di vivere.

8
Iniziativa economica.
 Non c'è nella legge una esplicita nozione di iniziativa economica. Il concetto di
iniziativa economica è sinergico con quello di impresa. Il codice civile contiene
la definizione di imprenditore e non di impresa per essere l'imprenditore il
soggetto che svolge l'attività economica. Per l'art. 2082 è imprenditore colui
che esercita professionalmente un'attività economica organizzata ai fini della
produzione o dello scambio di beni e servizi. Non è necessario che
l'imprenditore sia proprietario dei mezzi di produzione ma che se ne assicuri
la disponibilità e la loro utilizzazione. Mediante i contratti l'imprenditore si
procura i mezzi di produzione, attinge a finanziamenti, si approvvigiona delle
risorse necessarie, stringe rapporti di lavoro con la mano d'opera e piazza i
prodotti sul mercato. L'imprenditore dirige il processo produttivo, è capo
dell'impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori. Gli
ulteriori caratteri dell'art. 2082 stabiliscono che un attività economica si
definisce imprenditoriale solamente se colui che la esercita si prefigga di
ricavare dalla stessa, sia che produca sia che scambi beni e servizi, un profitto
personale. Inoltre deve essere un'attività esercitata professionalmente e cioè
con abitualità, seppure non continuativamente. Infine l'attività dell'impresa
può essere rivolta alla produzione di nuovi prodotti o allo scambio degli stessi.
Uno specifico statuto è riservato alle imprese di maggiori dimensioni e cioè le
imprese commerciali. Per tali imprese si prevede l'iscrizione dell'imprenditore
nel registro per le imprese la tenuta dei registri contabili e la soggezione a
fallimento. Non sono soggetti a tale statuto i piccoli imprenditori e gli
imprenditori agricoli.

L'impresa può essere esercitata in forma individuale o in forma collettiva, in


quest'ultimo caso si parla di società. Per l'art. 2247 con il contratto di società
due o più persone conferiscono beni o servizi per l'esercizio in comune di
un'attività economica allo scopo di dividersi gli utili. I conferimenti in danaro o
di natura economica suscettibili di valutazione economica vanno a formare il
patriminio della società o cosidetto fondo sociale. L'attività economica deve
essere rivolta ad uno scopo produttivo al fine del conseguimento di utili e cioè
di profitto per i soci. Le società che hanno come oggetto l'esercizio di
un'attività commerciale devono costituirsi secondo:
 Accomandata semplice
 Società a responsabilità limitata
 Società per azioni
 Società in accomandata per azioni

Tali società sono di diritto imprese commerciali e perciò soggette al relativo statuto.
Le società che hanno per oggetto l'esercizio di un'attività diversa sono regolate da
disposizioni sulla società semplice. Le società di cui precedentemente si è detto sono
società lucrative dove il vantaggio viene perseguito direttamente dalla società che
poi viene distribuito ai soci. Diversamente si atteggiano le società mutualistiche. Tali
società forniscono beni, servizi o occasioni di lavoro direttamente ai membri
dell'organizzazione a condizioni più vantaggiose di quelle che i soci otterrebbero sul
mercato. Tra queste assumono una particolare rilevanza le società cooperative e le
mutue assicurazioni.
L'azienda.
L'azienda è il complesso di beni organizzato dall'imprenditore per l'esercizio
dell'impresa. Non è necessario che l'imprenditore sia proprietario dei mezzi di
produzione ma che esso ne abbia disponibilità. L'imprenditore organizza l'attività
economica con la destinazione dei beni alla produzione e allo scambio. Il complesso
di beni organizzato rappresenta l'azienda. Segni distintivi dell'azienda sono la ditta,
l'insegna ed il marchio. La ditta identifica la titolarità e deve contenere almeno il
nome o la sigla dell'imprenditore salvo ipotesi di trasferimento dell'azienda.
L'insegna connota il luogo ove è esercitata l'attività, il marchio contraddistingue il
prodotto.

Concorrenza e mercato.
Il naturale approdo dei risultati dell'attività imprenditoriale è il mercato dove i
prodotti sono collocati e scambiati. Il mercato è il luogo di incontro tra domanda e
offerta e poiché sono vari i soggetti del sistema economico per ognuna di tale
componente si svolge un relativo mercato. Un tempo il mercato era circostritto ad
un unità fisica dove materialmente si incontravano e dialogavano i soggetti del
percorso produttivo, da tempo il mercato esprime uno spazio ideale sempre più
virtuale e organizzato dove impulsi elettronici segnano le impersonali dichiarazioni
dei singoli operatori. Più i confini si dilatano maggiormente è avvertita l'esigenza di
garantire informazione e trasparenza.

Il mercato, quale punto di riferimento per lo sviluppo economico, non può essere
lasciato ad uno spontaneismo senza regole con l'inevitabile vittoria del più forte. Un
mercato senza regole non garantirebbe un libero accesso a tutti e dunque una
corretta gara. La libertà di iniziativa economica privata segna anche la libertà di
accesso al mercato. Tradizionalmente la concorrenza è stata configurata come
conseguenza della libertà di iniziativa economica. La libertà di iniziativa tra i singoli
operatori si traduce nella concorrenza degli stessi quando in un determinato tempo
o area geografica, più operatori offrono o domandano i medesimi prodotti.

Il codice civile prevede varie restrizioni alla concorrenza, ma le limitazioni legali della
concorrenza operano nella prospettiva di tutela dei soli imprenditori al fine di
evitare che vincoli troppo incisivi o molto prolungati possano svuotare la libertà di
iniziativa economica. Analogamente è rimesso agli imprenditori disporre della
libertà di concorrenza attraverso la stipula di divieti convenzionali di concorrenza,
altre volte attraverso cartello impositivi di determinati comportamenti. Anche la
disciplina sulla concorrenza sleale è rivolta a disciplinare esclusivamente la
concorrenza tra imprenditori. Per l'art.2598 compie atti di concorrenza sleale
chiunque compie atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l'attività di un
concorrente, oppure determina il discredito altrui o si appropria di pregi dei prodotti
o dell'impresa di un concorrente e in generale si vale direttamente o indirettamente
di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo
a danneggiare l'altro azienda.

Vediamo che i protagonisti del mercato non sono più i soli imprenditori, a fianco ad
essi rilevano i fruitori dei prodotti ossia i consumatori. Il contesto dunque muta ed è
capovolto viene in rilievo i questo caso il cosiddetto mercato concorrenziale. La
struttura concorrenziale del mercato diventa il presupposto e non più la
conseguenza della libertà di iniziativa economica privata. È il bene oggettivo rispetto
al quale l'iniziativa economica privata deve confrontarsi e i consumatori traggono
alimento per la scelta dei prodotti. È i particolare con la legge 287/1990, cosiddetta
legge antitrust, su modello degli art. 85 e 86 del trattato CE, che muta la
configurazione della concorrenza. L'art. 1 di tale legge annette la struttura
concorrenziale del mercato rilevanza costituzionale quale esplicazione del principio
della libertà economica. È opinione diffusa che la disciplina antitrust tutela la
concorrenza e non i concorrenti. Il bene giuridico tutelato non è più soli la libertà di
iniziativa economica delle imprese, ma la struttura concorrenziale del mercato
presidiato da doveri di lealtà e trasparenza. A garanzia della concorrenza è stata
istituita l'autorità garante della concorrenza e del mercato con poteri di regolazione
e con poteri di emettere diffide e sanzioni. L'autorità valutati gli elementi in suo
possesso e quelli portati a sua conoscenza da pubbliche amministrazioni o da
chiunque ne abbia interesse, procede ad istruttoria per verificare l'esistenza di
infrazioni e divieti.

Stato e concorrenza.

Lo stato ha legislazione esclusiva in materia di concorrenza unilateralmente alle


materie riguardanti la moneta, la tutela del risparmio, mercati finanziari, il sistema
valutario, sistema tributario e contabile, la perequazione delle risorse finanziarie. A
seguito degli art. 85 e 86 del trattato del CE della legge 287/1990 anche le pubbliche
amministrazioni quando operano sul mercato sono soggette alle regole di
concorrenza.
9
Clausole generali.
L'evoluzione dell'ordinamento derivante dalla conseguente evoluzione della realtà
sociale viene assicurata in gran parte dalle cosidette clausole generali. La natura
delle clausole generali è molto controversa e molte sono le definizioni date di
clausole generali anche per distinguerle da figure contigue. In effetti il ricorso a
clausole generali esprime l'esigenza degli ordinamenti di far fronte a due importanti
esigenze: da un lato l'impossibilità di disciplinare tutti i casi della realtà materiale,
dall'altro la risposta al continuo cambiamento dell'ordinamento in base alla
evoluzione della realtà sociale. Le clausole generali indicano una tecnica di
normazione, mirano alla determinazione del contenuto precettivo delle singole
regole mediante strumenti dotati di elasticitá e adattabilità. Si pensi ad esempio alle
previsioni di buona fede, correttezza, diligenza, buon costume ecc, norme
necessariamente elastiche a dal contenuto necessariamente vago.

La clausola generale si concretizza nel tempo secondo i valori storicamente espressi


dall'ordinamento ai quali anche il giudice deve e necessariamente uniformarsi. Si
comprende in questo modo come una determinata clausola generale possa subire
mutamenti in base all'evoluzione dell'ordinamento. Si vedrà ad esempio come il
contenuto della “buona fede”, che tra l'altro rappresenta la clausola generale per
eccellenza, con l'avvento della carta costituzionale, abbia assunto un significato
diverso rispetto a quello ricavabile dal codice civile. In tal modo le clausole generali
da un lato favoriscono la regolazione di fattispecie non previste, dall'altro lato
operano una costante integrazione delle regole consentendo l'aderenza delle stesse
all'evoluzione dell'ordinamento.
Alcune di tali clausole come appunto buona fede, correttezza, diligenza, buon
costume ecc sono già presenti nel nostro codice civile. Altre clausole generali stanno
emergendo invece in virtù della legislazione successiva al codice civilee sotto
l'influsso della carta costituzionale o perché impegnate nelle normative comunitarie.
Emblematica e la clausola generale del divieto di abuso del diritto contenuta nelle
fondamentali convenzioni europee sui diritti dell'uomo e sulle libertà fondamentali.

Come appunto si è detto tra le clausole generali una posizione di rilievo è assunta
dalla buona fede che può considerarsi come clausola assorbente di ogni altra
clausola. La buona fede esprime una categoria generale che attraverso l'intero
ordinamento giuridico e connota in modo sempre più incisivo la recente disciplina
dei rapporti sociali. Manca però nella legge una nozione o definizione precisa di
buona fede, nozione che necessariamente bisogna trarre dall'ordinamento.

Buona fede soggettiva.

La buona fede esprime l'ispirazione alla realizzazione di una convivenza civile


cementata da un vincolo di lealtà tra i vari soggetti. Distinguiamo due tipi di buona
fede: buona fede soggettiva e buona fede oggettiva.

 La buona fede soggettiva esprime uno stato soggettivo di ignoranza della


realtà giuridica. In particolare la legge tutela la situazione soggettiva del
soggetto che senza colpa ignora l'esigenza di un fatto o di un diritto o al
contrario considera esistente un diritto che in realtà non esiste. (Cosiddetto
affidamento incolpevole.) tuttavia anche quando esiste un dovere di
informare non può venire meno il dovere di informarsi. Perciò la legge tutela
non la negligente ignoranza ma solo lo stato psicologico dell'affidamento
senza colpa. Inoltre la tutela della buona fede non può mai condurre alla
disapplicazione di regole giuridiche. Le regole fondamentali sulla buona fede
soggettiva sono dettate con riguardo al possesso di buona fede. La norma
innanzitutto qualifica possessore di buona fede chi possiede un diritto
ignorando di ledere un diritto altrui. Dalla stessa norma si ricavano poi due
principi ossia la buona fede non giova se l'ignoranza dipende da colpa grave,
la buona fede è presunta al tempo dell'acquisto. I principi trovano generale
applicazione salvo norme contrarie. Ipotesi di tutela di buona fede soggettiva
si trovano in tema di obbligazioni e di contratti. Ad esempio l'annullamento
del contratto che non dipende da una incapacità legale, non pregiudica i diritti
acquistati a titolo oneroso da terzi di buona fede che ignoravano o comunque
non potevano conoscere le cause dell'annullabilità. In tema di rappresentanza
di potere il falso rappresentante è responsabile del danno che il terzo
contraente ha sofferto per avere confidato senza sua colpa nell'efficacia del
contratto.
 A differenza della buona fede soggettiva che esprime uno stato soggettivo, la
buona fede oggettiva indica un dovere di comportamento e più precisamente
il dovere di comportarsi con lealtà e correttezza. Si ha un dovere in senso
negativo di non gabellare gli altri con la menzogna e la reticenza sia un dovere
positivo di comportamento collaborativo verso gli altri. Tale principio trova
una specifica previsione in tema di contratti e obbligazioni per il vincolo che si
determina tra le parti del contratto e in via generale tra i soggetti del rapporto
obbligatorio. Già nella formazione dell'accordo e durante le trattative le parti
sono obbligate a comportarsi secondo la buona fede. Inoltre il contratto deve
essere interpretato in buona fede ed eseguito in buona fede. Il dovere di
buona fede però si distingue dal dovere di diligenza nell'adempimento
dell'obbligazione. Quest'ultimo allude al dovere della parte di comportarsi
senza colpa è cioè in generale di non incorrere in imprudenza o imperizia o in
negligenza. I due doveri non sono né antitetici ne incompatibili ma esprimono
solo due prospettive di osservazione del generale dovere di collaborazione cui
deve informarsi il comportamento di ciascuno nelle relazioni giuridiche.

Informazione e trasparenza.
La buona fede nella dimensione del mercato si caratterizza sempre di più come
dovere di informazione e regola di trasparenza. Sono criteri che presidiano l'azione
di tutti gli operatori del mercato (imprenditori e consumatori). L'agire leale e
corretto è un comportamento che tutela non solo i soggetti del rapporto ma si
risolve a vantaggio del generale sviluppo economico-sociale in quanto consente di
selezionare le imprese efficienti attraverso un corretto gioco della concorrenza.

Persona e solidarietà.

Nella prospettiva di tutela della persona umana la buona fede è di recente evoluta
nel principio di solidarietà, quale generale valore di rilevanza costituzionale che
attraversa ormai l'intero diritto privato, inteso come disciplina delle relazioni tra
soggetti. Negli articoli 2 e 3 cost. è raffigurata una solidarietà sociale che non è solo
politica o economica ma aperta allo sviluppo della persona umana. Affiora una
costituzionalizzazione del principio di buona fede, e dunque dei doveri di lealtà e
correttezza in cui si articola, derivando dalla norma costituzionale forza normativa e
ampiezza di contenuto che si specificano di volta in volta in ragione della peculiarità
del rapporto. L'obbligo di solidarietà così si appunta in capo ad ogni situazione
giuridica soggettiva. Così in materia contrattuale il principio di buona fede si colloca
come dovere in capo a ciascun contraente di non essere menzognero e reticente ma
di compiere quanto è necessario alla salvaguardia dell'interesse della controparte
nei limiti di un sacrificio sostenibile. Più in generale la solidarietà si atteggia come
criterio fondamentale di civiltà e convivenza umana è linfa essenziale di coesione
sociale.

10
Tutela dei diritti.
Si è già visto come ogni ordinamento sia caratterizzato dal principio di effettività
dovendo essere in grado di garantire l'applicazione delle norme giuridiche emanate.
Così agli istituti di diritti sostanziale che riconoscono diritti ed impongono obblighi si
connettono istituti di diritto processuale che consentono l'attuazione giudiziaria nel
caso i diritti non siano rispettati ovvero gli obblighi non siano osservati. Al centro del
sistema di tutela si colloca la giurisdizione. Il concetto di giurisdizione è collegato allo
stato moderno. Il monopolio statale della giurisdizione ha comportato che anche i
giudici siano dipendenti dello stato. La giurisdizione statale opera il potere
giudiziario che si esplica mediante l'esercizio della funzione giurisdizionale cui si
connette il diritto di ogni cittadino ad una protezione giudiziaria. Sussistono vari
principi sulla giurisdizione.

 Per prima cosa tutti possono agire i giudizio per la tutela dei propri interessi
legittimi e i propri diritti. La difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado
di procedimento per cui sono assicurati ai non abbienti mezzi per agire e
difendersi davanti ad ogni giurisdizione.
 Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.
L'individuazione del giudice deve essere preventivamente è oggettivamente
determinata dalla legge.
 I giudici sono soggetti soltanto alla legge. La magistratura quindi rappresenta
un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere.
 La giurisdizione si basa sul principio del giusto processo regolato da legge per
cui ogni processo si realizza nel contraddittorio tra le parti in condizione di
parità davanti ad un giudice noto ed imparziale in una ragionevole durata del
processo. La correttezza del processo dovrebbe tendere ad una soluzione
giusta.
 Tutti provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati.

Compiamo una bipartizione della giurisdizione. Si parla di giurisdizione ordinaria e


giurisdizione amministrativa.

Il diritto processuale civile indica la serie di regole sul come procedere


giudiziariamente per conseguire la tutela dell'interesse leso. Il codice di procedura
civile regola la struttura del processo, i poteri degli organi giudiziari, le posizioni
processuali delle parti, la scansione delle fasi processuali e le modalità di
articolazione delle prove.
Il processo è organizzato su più gradi di giurisdizione con il fine di riesaminare la
questione decisa dal giudice di primo grado. Giudici di primo grado sono il tribunale
ordinario e il giudice di pace. L'appello verso le sentenze dei primi giudici si
rivolgono verso la corte di appello e il tribunale nella cui circoscrizione ha sede il
giudice che ha pronunciato la sentenza. Le sentenze pronunciate in grado di appello
sono oppugnabili con il ricorso alla Cassazione. Una sentenza diviene definitiva
quando non è più soggetta ad impugnazione.

I protagonisti del processo sono:

 l'attore che è colui che esercita l'azione e dunque agisce la domanda


giudiziaria segna l'azione che da impulso al processo segnandone l'avvio così
producendo la costituzione del rapporto processuale. Tale azione si fonda sul
petitum ossia l'oggetto della domanda e di una causa petendi ossia il
fondamento in fatto e in diritto della domanda.
 Il convenuto è il soggetto cui la domanda è opposta, la sua chiamata in
giudizio, vocatio legis, mediante la notifica della domanda, determina
l'installazione del contraddittorio. La sua posizione difensiva si svolge con
riferimento alla domanda e all'oggetto del processo fissato dalla domanda
stessa. Perciò il convenuto può chiedere l'accertamento del diritto vantato
dall'attore come può sollevare eccezioni con l'allegazione di fatti oppositivi.
 Il giudice tenuto per legge al dovere decisorio. Se la sentenza non compre
l'intera domanda vi è un vizio di omissione di pronuncia se eccede vi è un vizio
di ultrapetizione. In ogni caso il giudice nel pronunciarsi sulla causa deve
seguire tutte le norme di diritto non limitandosi a quelle contenute nella
domanda o nell'eccezione, arrivando anche a mutare le qualificazioni
giuridiche addotte dalle parti.

Quando sono in gioco diritti indisponibili è previsto l'intervento obbligatorio del


pubblico ministero. Così ad esempio nelle cause matrimoniale e in quelle riguardanti
lo stato di incapacità delle persone.

Processo di cognizione.
Il processo di cognizione ha la generale funzione di portare a conoscenza del giudice
una questione perché possa individuare la regola di diritto sostanziale applicabile al
caso concreto, il giudizio poi si chiude con una sentenza. Il primo passo che il giudice
compie nel processo di cognizione è l'accertamento, ossia la verifica del diritto
vantato o contestato dal soggetto in questione. L'accertamento è compiuto dal
primo giudice investito della questione ed è passibile di verifica da parte di un altro
giudice. Quando la sentenza non è più soggetta a riesame si determina la cosiddetta
cosa giudicata formale ovvero la sentenza si ritiene passata in giudicato. Per l'art.
2909 l'accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato ad ogni
effetto tra le parti, i loro eredi o gli aventi causa, si realizza cioè una definitivitá della
realtà giuridica quale accertata e determinata dalla sentenza. A seconda dello
specifico scopo perseguito dall'attore distinguiamo tre tipi di azione:

 Azione di mero accertamento: è la finalità minima perseguita dal processo di


cognizione. Il processo tende al mero accertamento dell'esistenza o
inesistenza di una situazione giuridica lesa o contestata. L'accoglimento della
domanda include il ricorso con una correlata sentenza di mero accertamento.
Esempi sono: sentenza dichiarativa della nullità del contratto, sentenza
dichiarativa dell'usucapione.
 Azione di condanna: l'azione oltre che perseguire un accertamento mira ad
ordinare al convenuto un determinato comportamento. L'accoglimento della
domanda mira a concludere il processo con una correlata sentenza di
condanna che costituisce il titolo esecutivo per la esecuzione forzata.
Esempio: l'attore chiede che il convenuto sia condannato all'adempimento del
contratto e al risarcimento dei danni.
 Azione costitutiva: con tale azione oltre che a volere un accertamento si mira
a conseguire una modificazione della realtà giuridica. Per l'art. 2908 l'autorità
giudiziaria può costituire, modificare o estinguere rapporto giuridico con
effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa. L'accoglimento di tale domanda
conclude il processo con una correlata sentenza costitutiva che modifica essa
stessa la realtà giuridica. Ad esempio l'attore invocando l'adempimento da
parte del convenuto dell'obbligo di concludere un contratto, chiede una
sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso.

Processo di esecuzione.
Tale processo ha la funzione di realizzare in modo forzoso l'attuazione dei diritti. La
tutela giurisdizionale avviene mediante l'esecuzione forzata la quale si fonda su un
titolo esecutivo che indica il diritto che si intende attuare. Sono titoli esecutivi:1) le
sentenze, i provvedimenti e gli altri atti ai quale la legge attribuisce espressamente
efficacia esecutiva (es. decreto ingiuntivo, ordinanza di sfratto, ordinanza
presidenziale). 2) le cambiali nonché gli altri titoli di credito e gli altri atti ai quali la
legge attribuisce espressamente la stessa efficacia. 3) gli atti ricevuti dal notaio o da
altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli, o le scritture private
autenticate. Il processo esecutivo è caratterizzato dal tendenziale impiego della
forza contro eventuali resistenze frapposte dal soggetto in danno del quale
l'esecuzione forzata è intrapresa. Il processo esecutivo tende all'attuazione
materiale dei diritti accertati nel titolo esecutivo. Deve perciò sussistere
corrispondenza tra i soggetti indicati nel titolo esecutivo quelli nel processo
esecutivo.
Sussistono due modelli di esecuzione forzata, in forma specifica e per
espropriazione.

 L'esecuzione forzata in forma specifica consente al titolare del diritto di


conseguire forzosamente il medesimo risultato indicato nel titolo esecutivo
rimasto ineseguito. In particolare l'esecuzione per consegna o rilascio e
l'esecuzione di fare e di non fare sono realizzate attraverso gli organi di
esecuzione (ufficiali giudiziari) sotto il controllo del giudice dell'esecuzione.
L'esecuzione dell'obbligo di concludere un contratto è attuata mediante una
sentenza costitutiva che produce gli effetti di un contratto non concluso.
 L'esecuzione forzata per espropriazione è la forma più comune di esecuzione
forzata per essere il denaro il metro di valutazione di tutti i beni. Si vedrà
come il debitore risponde per l'adempimento dell'obbligazione con tutti i suoi
beni presenti e futuri. Tale esecuzione consente di convertire in danaro il
patrimonio del debitore o un suo specifico bene, consentendo così il
soddisfacimento dell'interesse del creditore.
 È stato di recente introdotto anche nel nostro ordinamento un rimedio di
esecuzione indiretta a carattere pecuniario degli obblighi di fare infungibile o
di non fare. Per l'art. 614 bis c.p.c con il provvedimento di condanna ad uno di
tali obblighi, il giudice su richiesta di parte fissa la somma di danaro dovuta
dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni
ritardo nell'esecuzione del provvedimento.

Procedimenti speciali. Procedimenti cautelari.


Il IV libro del codice di procedura civile regola singoli procedimenti speciali con
riferimento a determinate materie.

 Di particolare rilevanza sono i procedimenti sommari caratterizzati da una


cognizione sommaria per la necessità di conseguire in breve tempo un
provvedimento giudiziario, salvo realizzare in un tempo successivo la
cognizione piena per l'ipotesi di resistenza della contro parte. Tra i
procedimenti a cognizione sommaria una funzione particolare viene svolta dai
procedimenti cautelari. Essi sono caratterizzati dalla strumentalità rispetto al
merito. La domanda cautelare mira ad assicurare l'effettivitá della tutela
giurisdizionale in merito e si o reclamabili. Perciò presupposti esistenziali del
provvedimento sono il: fumus boni iuris cioè la parvenza del diritto affermato,
il periculum in mora cioè il pericolo che il tempo occorrente per farlo valere
davanti al giudice competente possa rendere impossibile o pregiudicare
l'attuazione del provvedimento a cognizione piena ovvero la soddisfazione del
diritto.
 La legge prevede anche avrei procedimenti a cognizione ordinaria ma con
varie deviazioni rispetto al processo ordinario in ragione della specificità della
materia e del risultato conseguito. (Es. procedimenti in materia di famiglia e di
stato delle persone, procedimenti relativi allo scioglimento della comunione
ecc.)

Le corti europee.
Per l'applicazione del diritto comunitario operano due corti con finalità diverse.

 La corte di giustizia delle comunità europee e il tribunale di primo grado con


sede a Lussemburgo, hanno da sempre assicurato il rispetto diritto
comunitario. Con il trattato di Lisbona è mutata la dicitura del tribunale in
Corte di giustizia dell'Unione europea. La corte si pronuncia in modo
conforme ai trattati sulla base di ricorsi presentati da uno stato membro, da
un'istituzione onda una persona fisica, in via pregiudiziale, su richiesta delle
giurisdizioni nazionali sull'interpretazione del diritto dell'Unione o sulla
validità degli atti adottati dalle istituzioni, negli altri casi previsti dai trattati.
Quando una questione di interpretazione è sollevata dinanzi ad una
giurisdizione di uno degli Stati membri, il giudice nazionale può, qualora lo
ritenga necessario, domandare alla corte di giustizia di pronunciarsi sulla
questione, se però la questione è sollevata in un giudizio avverso la cui
decisione non possa proporsi un ricorso giurisdizionale interno il giudice
nazionale deve rivolgersi alla corte di giustizia. Si è anche visto il principio
circa il dovere del giudice nazionale di tutelare i diritti attribuiti dalla
normativa comunitaria disapplicando le disposizioni contrastanti dalla legge
interna, anteriore o posteriore, e interpretando il diritto nazionale alla luce
della lettera e dello scopo del diritto comunitario.
 La corte europea dei diritti dell'uomo con sede a Strasburgo, assicura la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. La corte può
essere investita non solo da ricorsi interstatali, ma anche ricorsi individuali
proponibili da ogni persona fisica, ogni organizzazione non governativa o
gruppo di privati che assuma di essere vittima di una violazione da parte di
uno degli Stati contraenti dei diritti riconosciuti dalla convenzione o nei suoi
protocolli.

11
Prove.
I fatti della realtà materiale risultano rilevanti giuridicamente quando questi
vengono provati. Quindi le prove rappresentano i mezzi processuali sui quali il
giudice verifica l'esistenza o meno dei fatti affermati dalle parti. Il codice civile
disciplina l'ammissibilità e l'efficacia delle prove mentre il codice di procedura civile
disciplina l'assunzione e cioè l'ingresso delle stesse nel processo. Principio base è
che l'onore della prova grava sul soggetto che intende avvalersi del singolo fatto
giuridico. L'attore ha l'onore di allegare e provare i fatti su cui si fonda la sua
pretesa. Il convenuto può semplicemente limitarsi a negare l'esistenza del diritto
come può allegare fatti contrari. L'art. 2697 stabilisce che chi vuol far valere un
diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Salvi i casi
previsti dalla legge il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove
proposte dalle parti o dal pubblico ministero. Di regola la valutazione delle prove è
rimessa al prudente apprezzamento del giudice, salvo che la legge disponga
altrimenti. Sussistono peraltro i cosiddetti argomenti di prova che operano come
elementi di valutazione di altre prove. Per l'art. 116 c.p.c il giudice può desumere
argomenti di prova dalle risposte che le parti danno nel corso di un interrogatorio
non formale.

Prove legali, prove precostituite.


Una rilevanza particolare viene assunta dalle prove legali dalle quale il giudice non
può discostarsi. Delle prove legali alcune sono precostituite altre costituende. Le
prove precostituite sono quelle formate prima e indipendentemente dal processo.
Sono acquisite al processo mediante la mera produzione in giudizio. Tali prove sono
le prove documentali ossia i documenti allegati dalle parti nel processo,
registrazioni, pellicole, fotografie, videocamere, ecc. Tra le prove documentali
assumono rilevanza l'atto pubblico e la scrittura privata.

 L'atto pubblico è il documento redatto da un notaio o da un altro pubblico


ufficiale come per esempio cancelliere, ufficiale giudiziario, segretario
comunale, ecc., autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l'atto è
formato. L'atto pubblico ha un efficacia precostituita. L'atto pubblico fa piena
prova, fino a querela di falso della provenienza del documento dal pubblico
ufficiale che lo ha formato nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri
fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti sotto la sua presenza o da lui
compiuti. Bisogna chiarire comunque che il pubblico ufficiale non accerta la
veridicità del contenuto delle dichiarazioni rese dalle parti ma ne attesta solo i
termini e di fatto la provenienza delle dichiarazioni delle parti, sicchè
l'efficacia probatoria dell'atto pubblico attiene solo alla provenienza dell'atto
mentre il suo contenuto è rimesso al giudizio del giudice secondo la
valutazione delle prove.
 La scrittura privata proviene dal privato. Con la firma il sottoscrittore ne
assume la paternità. Per l'art.2702 la scrittura privata fa piena prova fino a
querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta.
La scrittura privata fa dunque piena prova solo contro l'autore della stessa,
non in suo favore. Inoltre, in assenza del pubblico ufficiale che conferisca
pubblica fede della sua provenienza, attiene solo alla provenienza del
documento. Il contenuto dell'atto è soggetto alla comune valutazione del
giudice. Se la parte contro la quale la scrittura è fatta valere la disconosce, la
parte che intende valersi della scrittura disconosciuta deve chiederne la
verificazione giudiziale proponendo i mezzi di prova che ritiene utili. Un
delicato problema concerne la data certa della scrittura privata nei confronti
di terzi, quando la scrittura non contiene la data o la sottoscrizione non è stata
autenticata. In tal caso la data della scrittura privata non è certa e opponibile
ai terzi se non dal giorno in cui la scrittura è stata registrata o dal giorno della
morte o della sopravvenuta impossibilità fisica di colui o di coloro che l'hanno
sottoscritta o dal giorno in cui il contenuto della scrittura è riprodotto in atti
pubblici o dal giorno in cui si verifica un altro fatto che stabilisca in modo
certo l'anteriorità della formazione del documento.

Prove costituende.
Sono le prove che si formano nel processo. Esse possono essere dirette e indirette.
Sono prove dirette la prova testimoniale, la confessione e il giuramento, nel senso
che si formano mediante dichiarazioni orali che immediatamente producono la
conoscenza dei fatti. Sono prove indirette le presunzioni, nel senso che si formano
attraverso operazioni logiche che partendo da indizi conducono immediatamente
alla conoscenza dei fatti.

Prove costituende.
Sono le prove che si formano nel processo. Esse possono essere dirette e indirette.
Sono prove dirette la prova testimoniale, la confessione e il giuramento, nel senso
che si formano mediante dichiarazioni orali che immediatamente producono la
conoscenza dei fatti. Sono prove indirette le presunzioni, nel senso che si formano
attraverso operazioni logiche che partendo da indizi conducono immediatamente
alla conoscenza dei fatti.
12
Soggetti
Persona fisica e capacità giuridica.
La capacità giuridica è l'attitudine ad essere titolare di situazioni giuridiche
soggettive. La capacità giuridica è una qualità, di carattere generale e astratto, il cui
riconoscimento rende chi ne è investito possibile centro di imputazione dei diritti e
di obblighi. Come tale, la capacità giuridica va a definire la posizione del soggetto
all'interno dell'ordinamento. Di capacità giuridica sono dotati anche i soggetti di
diritti diversi dalle persone fisiche (persone giuridiche ed enti non riconosciuti, non
solo per quanto concerne le situazioni soggettive di contenuto patrimoniale ma
anche per taluni diritti di natura non patrimoniale (diritti della personalità). È
evidente che gli enti non possono per loro natura essere titolari di situazioni
soggettive che presuppongono l'attributo della fisicità della persona (es. le situazioni
soggettive di natura familiare.) È scontato il collegamento tra la capacità giuridica e
l'esistenza della persona fisica. L'art. 1 del c.c indica che l'acquisto della capacità
giuridica avviene con la nascita. Contrariamente al passato non è richiesto, ai fini
dell'acquisto della capacità giuridica, il requisito della vitalità ovvero l'idoneità alla
sopravvivenza, ma è sufficiente che il neonato sia nato vivo anche solo per un
istante. Parte della dottrina, in relazione alla situazione del concepito, pur
riconoscendo che manchi attualmente una capacità giuridica generale, accenna ad
una capacità giuridica parziale di carattere anticipato o provvisorio. Tuttavia prevale
la tesi secondo cui il concepito risulta privo della capacità giuridica, che si acquista
solo al momento della nascita. Per il periodo anteriore alla nascita vi sarebbe una
situazione di attesa e l'ordinamento si limiterebbe a predisporre una tutela
anticipata dei diritti che questi potrebbe acquistare al momento della nascita. Come
già si è detto ai fini dell'acquisto della capacità giuridica è necessario che il soggetto
nasca vivo. Per la nascita decisivo risulta l'accertamento della respirazione.
L'ordinamento, come già si è detto, prevede una forma di tutela anticipata dei diritti
che questi potrebbe acquistare al momento della nascita, come il diritto ad essere
risarcito per chi abbia subito danni a livello fetale.

Fine della persona.


Si osservato come l'acquisto della capacità giuridica avvenga con la nascita del
soggetto vivo. Non meno importante risulta quindi la cessazione della capacità
giuridica che avviene con la morte. Sopratutto le esigenze legate ai trapianti di
organi hanno indotto il legislatore a precisare il momento in cui il soggetto deve
essere considerato morto a tutti gli effetti. Per la legge 578/1993 la morte si
identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell'encefalo. Il concetto
legale di morte coincide con quello di morte cerebrale. Il venir meno della capacità
giuridica comporta l'impossibilità di riferire al defunto situazioni giuridiche. Con la
morte della persona, situazioni giuridiche si estinguono (in quanto intrasmissibili) e
un numero consistente di rapporti giuridici trova una nuova configurazione
soggettiva. Di qui l'interesse della determinazione precisa della morte. Tale interesse
assume peculiare rilevanza nella situazione prevista dall'art.4 che regola l'ipotesi di
commorienza. Si parla di commorienza quando un effetto giuridico dipende dalla
sopravvivenza di una persona a un'altra e non consti quale di esse sia morte prima,
tutte si considerano morte nello stesso momento. Con una finzione, cioè nonostante
l'evento morte dei diversi soggetti possa essersi verificato in momenti
cronologicamente non coincidenti, l'ordinamento giuridico considera come se i
medesimi soggetti fossero morti nello stesso istante. Un esempio può essere: nel
medesimo incidente muoiano due coniugi e non consti quale dei due sia morto per
primo, i genitori dell'uno o dell'altro avrebbero interesse a dimostrare la
sopravvivenza del proprio figlio rispetto al coniuge, dal momento che il suo asse
ereditario risulterebbe accresciuto dei diritti spettantigli in quanto coniuge
superstite. L'art.4 per evitare ogni incertezza pone appunto la presunzione legale di
non sopravvivenza.

Scomparsa, assenza e morte presunta.


L'irreperibilità del soggetto o addirittura la incertezza circa la sua stessa esistenza
determinano problemi gravi in ordine alla gestione e alla sorte delle situazioni
giuridiche di cui sia titolare.

 Rilevante viene considerata la semplice scomparsa della persona. Una


persona si reputa scomparsa quando essa non è più comparsa nel luogo del
suo ultimo domicilio o dell'ultima sua residenza e non si hanno più notizie. Il
tribunale su istanza degli interessati può nominare un curatore che lo
rappresenti. I provvedimenti legati alla scomparsa della persona sembrano
giustificarsi in base ad una sorta di presunzione, da parte del legislatore, di
temporaneità della situazione di incertezza circa l'esistenza della persona.
 Diversa e ben più grave ipotesi viene considerata l'ipotesi dell'assenza.
Trascorsi due anni dal giorno a cui risale l'ultima notizia, i presunti successori
legittimi e chiunque ragionevolmente creda di avere sui beni dello scomparso
diritti dipendenti dalla morte possono domandare al tribunale che ne sua
dichiarata l'assenza. La dichiarazione di assenza si fonda sulla considerazione
della persistenza nel tempo dell'incertezza circa l'esistenza della persona:
stato di incertezza che si protrae per almeno 2 anni. Sotto il profilo dei
rapporti personali, l'assenza non è configurata quale causa di scoglimento del
matrimonio. Sotto il profilo dei rapporti patrimoniali, una volta dichiarata
l'assenza del soggetto coloro che sarebbero gli eredi testamentari o legittimi
possono domandare l'immissione nel possesso temporaneo dei beni. Per
effetto dell'immissione nel possesso temporaneo dei beni, che deve essere
necessariamente preceduto dalla formazione di un inventario, coloro che
l'abbiano ottenuta assumono l'amministrazione dei beni dell'assente, la
rappresentanza di lui in giudizio e il godimento delle rendite dei beni. I beni
permangono nel patrimonio dell'assente per tutta la sua assenza e non si ha
un fenomeno successorio. Quanto ai rapporti obbligatori dell'assente, coloro
che per effetto della sua morte sarebbero liberati da obbligazioni possono
essere temporaneamente esonerati dall'adempimento (art.50 comma 4). La
situazione di assenza termina o con la prova della morte dell'assente o con la
dichiarazione di morte presunta dell'assente, o con il suo ritorno. Per effetto
del ritorno dell'assente i possessori temporanei devono restituire tutti i beni
restando peraltro irrevocabili gli atti compiuti prima della costituzione in mora
art. 56.
 Anche se non vi sia stata una preventiva dichiarazione di assenza (art.58),
quando siano trascorsi 10 anni dal giorno a cui risale l'ultima notizia, il
tribunale su istanza del PM o di qualsiasi interessato, può dichiarare la morte
presunta dello scomparso nel giorno a cui risale l'ultima notizia. Per effetto
della sentenza che dichiara la morte presunta si apre la successione ereditaria
del soggetto analogamente a ciò che si verifica nell'ipotesi di morte naturale
del medesimo. A differenza dell'ipotesi ordinaria di successione c'è la
possibilità che il morto presunto faccia ritorno o che dello stesso sia provata
l'esistenza. Dal punto di vista patrimoniale, se la dichiarazione di morte
presunta risulta preceduta dalla preventiva immissione nel possesso dei beni
dell'assente, gli immessi nel possesso acquistano la disponibilità definitiva dei
beni e coloro ai quali fu concesso l'esercizio temporaneo dei diritti o la
liberazione temporanea delle obbligazioni conseguono l'esercizio definitivo
dei diritti o la liberazione definitiva dalle obbligazioni. Qual'ora non vi sia stata
già immissione nel possesso temporaneo dei beni, gli aventi diritto o i loro
successori conseguono il pieno esercizio dei diritti loro spettanti una volta che
la dichiarazione di morte sia divenuta eseguibile. In tale ultimo caso
l'immissione del possesso deve essere preceduto dalla redazione di un
inventario dei beni. Ove la persona dichiarata morta presunta ritorni, la stessa
recupera i beni nello stato in cui si trovano e ha diritto a conseguire il prezzo
di quelli alienati, ha il diritto a pretendere l'adempimento delle obbligazioni in
precedenza reputate estinte. Dal punto di vista personale, a seguito della
sentenza che dichiara che il soggetto sia morto presunto, il coniuge di tale
soggetto può contrarre nuovo matrimonio. Tuttavia tale matrimonio è
considerato nullo nell'ipotesi di ritorno del morto presunto o di accertamento
della sua esistenza in vita.

Localizzazione della persona.


Per l'applicazione delle norme giuridiche è necessario stabilire una relazione tra il
soggetto e una sua ubicazione. Particolare importanza assume il luogo della nascita
dato che è presso il comune in cui essa è avvenuta che viene formato l'atto di
nascita. Dall'atto di nascita è possibile evincere le principali vicende esistenziali del
soggetto idonee ad incidere sul suo status.
Sono considerare rilevanti le distinzioni tra dimora, residenza e domicilio.

 Per dimora si intende il luogo in cui il soggetto si trova, anche solo


temporaneamente, a soggiornare.
 La residenza è il luogo in cui la persona ha la propria dimora abituale. Ai fini
della fissazione della residenza si ritiene che debba ricorrere un elemento
oggettivo ossia la stabile permanenza nel luogo e un elemento soggettivo
ossia l'intenzione di fissare la propria dimora in quel luogo. Il luogo di
residenza risulta rilevante sopratutto per i rapporti di natura personale es.
luogo dove deve essere richiesta la pubblicazione in vista del matrimonio. La
residenza determina la competenza territoriale degli organi giurisdizionali,
nonché il luogo dove deve avvenire la notifica degli atti giudiziari.
 Il domicilio è il luogo in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi
affari e dei suoi interessi. Anche per il domicilio vi deve concorrere un
elemento soggettivo ossia l'intenzione di concentrare in un luogo i propri
affari e interessi. Dal domicilio volontario si distingue il domicilio legale
stabilito dalla legge in relazione a certe categorie di soggetti: il minore ha il
luogo di residenza della famiglia o quello del tutore, l'interdetto ha il domicilio
del tutore. L'art.44 pone una ipotesi di trasferimento del domicilio, qualora
una persona che abbia nel medesimo luogo il domicilio e la residenza
trasferisca quest'ultima altrove. Per le persone giuridiche vale quale criterio di
localizzazione quello della sede.

Capacità di agire.
Per capacità di agire si intende l'attitudine a compiere atti idonei ad incidere sulla
propria sfera giuridica. Ai sensi dell'articolo 2 la capacità di agire si acquista con la
maggiore età, vale a dire al compimento del diciottesimo anno. La fissazione di un
criterio presuntivo per la valutazione dell'attitudine del soggetto a regolare i propri
interessi rappresenta una necessità per lo svolgimento di relazioni giuridiche.
L'ordinamento non manca di assicurare un adeguata tutela degli interessi del
soggetto, prevedendo l'incidenza di sue peculiari condizioni personali sulla
valutazione di tale attitudine, quali in particolare le condizioni psichiche e fisiche con
conseguente riduzione o addirittura perdita della capacità di agire. Si tratta delle
ipotesi di incapacità legale di agire in conseguenza di un provvedimento giudiziale e
l'incapacità di intendere o di volere stato in cui il soggetto viene a trovarsi. Carattere
sanzionatorio ha la limitazione della capacità di agire in dipendenza di gravi
condanne penali.

La differenza con la capacità giuridica è evidente. Mentre chi è dotato di capacità


giuridica può essere titolare di situazioni giuridiche soggettive, il soggetto capace di
agire può altresì validamente compiere atti giuridici idonei a produrre modificazioni
nella sfera delle proprie situazioni soggettive. Così mentre con la nascita il soggetto
ha la capacità di essere titolare della proprietà di beni, con il conseguimento della
capacità di agire lo stesso soggetto può con propri atti acquistare, vendere, dare in
garanzia, ecc., i beni di cui risulta proprietario.

Minore.
Fissando alla maggiore età l'acquisto della capacità di agire, il minore si trova in una
situazione in incapacità di agire generale. Numerose sono le disposizioni che
riconoscono al minore la capacità di compiere atti idonei ad incidere sulla sua sfera
giuridica, sia pure al di fuori dell'area dei rapporti di natura più strettamente
patrimoniale. Il tutto è legato alla sua maturazione, è più precisamente alla sua
capacità di discernimento. L'autonomia del minore circa le scelte di carattere
personale e l'esercizio dei diritti fondamentali, che non si ritiene possa essere
esclusa in presenza di una maturità adeguata, trova ormai ampio riconoscimento
anche a livello internazionale. Può essere ascoltata l'opinione del minore capace di
discernimento, può prestare attività lavorativa dai 15 anni, può compiere tutti gli atti
ove è richiesta solo la capacità di intendere e di volere. Il minore deve essere
tutelato e assistito fino al raggiungimento della maggiore età art.30 cost.

Responsabilitá genitoriale.
Alla luce di una simile esigenza di protezione dell'interesse del minore il legislatore
ha dettato un articolata disciplina della responsabilità genitoriale. La responsabilità
genitoriale, il cui esercizio è disciplinato dagli articoli 316 ss., si ricollega alla nozione
di potestá, intesa quale situazione giuridica soggettiva complessa attribuita
dall'ordinamento in vista della tutela degli interessi altrui reputati meritevoli di
tutela. In considerazione della rilevanza dell'interesse protetto la responsabilità
genitoriale viene definita come un potere-dovere. Essa è esercitata in comune
accordo da entrambi i genitori.

Dettagliata risulta la disciplina del profilo patrimoniale della responsabilità


genitoriale art.320. Questa si stanzia nella rappresentanza del minore e
nell'amministrazione dei beni del medesimo. I genitori che esercitano la
responsabilità genitoriale hanno la rappresentanza legale del minore (permettono al
soggetto incapace di operare nel mondo dei traffici giuridici). I genitori compiono in
nome e per conto del minore gli atti idonei ad incidere sulla sfera giuridica
patrimoniale, così permettendo di attuare la modificazione delle sue situazioni
giuridiche soggettive. I genitori in modo congiunto rappresentano i figli in tutti gli
atti civili e ne amministrano i beni. L'attività di amministrazione dei beni comprende
non solo tutti gli atti necessari alla conservazione del patrimonio, ma anche quelli
tesi alla sua valorizzazione. In base alla rilevanza dell'atto distinguiamo gli atti di
ordinaria amministrazione e gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione. Un atto si
reputa eccedente l'ordinaria amministrazione allorché comporti una modifica nella
struttura del patrimonio. L'atto di ordinaria amministrazione non incide sulla
sostanza del patrimonio non comportando nessuna modificazione nella sua
composizione. Gli atti di ordinaria amministrazione possono essere compiuti
disgiuntamente da ciascun genitore, mentre per i secondi la valutazione non viene
rimessa solo ai genitori ma anche al giudice tutelare che valuterà la necessità o
utilità dell'atto. I genitori non possono compiere atti personalissimi come donazione
e testamento per conto del minore. Nel caso di conflitto di interessi tra figli soggetti
alla stessa responsabilità genitoriale, o tra essi e i genitori interviene l'ultimo comma
dell'art.320 che prevede la nomina di un curatore speciale, che rappresenterà il
minore nel compimento dell'atto.

Un curatore speciale può essere nominato anche quando i genitori non possono o
non vogliono compiere atti eccedenti l'ordinaria amministrazione. Art.(321.). Gli atti
compiuti senza osservare le regole previste dal legislatore sono annullabili come ad
esempio l'atto con cui i genitori abbiano venduto un bene del figlio senza la
necessaria autorizzazione del giudice tutelare. L'azione di annullamento dell'atto
può essere esercitata dai genitori esercenti la responsabilità genitoriale, dal figlio,
nonché dai suoi eredi o aventi causa. L'azione di annullamento si prescrive in 5 anni
dal giorno in cui il minore ha raggiunto la maggiore età. Nel caso di decesso del
minore in data anteriore al raggiungimento della maggiore età il termine di
prescrizione decorre dal giorno della morte del minore stesso. I genitori che
esercitano la responsabilità genitoriale sul minore hanno in comune l'usufrutto
legale sui beni del minore. I frutti percepiti dai beni del minore devono essere
destinati al mantenimento della famiglia ed all'istruzione ed educazione dei figli. La
responsabilità genitoriale cessa con il raggiungimento della maggiore età del minore
o con la sua emancipazione. A seguito un controllo dell'autorità giudiziaria può
essere pronunciata la decadenza della responsabilità genitoriale prevedendo poi
l'allontanamento del figlio o del coniuge. I provvedimenti adottati sono sempre
revocabili art. 333. Se i genitori conducono una cattiva amministrazione dei beni del
figlio, il tribunale può stabilire condizioni o addirittura può rimuovere da essa uno o
entrambi i genitori, nominando un curatore, privandoli in tutto o in parte
dell'usufrutto legale. Art. 334. Il processo di controllo dell'attività del genitore può
essere attivato dall'altro genitore, dai parenti, o dal P.M. La vigilanza dell'osservanza
delle regole è affidata al giudice tutelare.

Tutela.
Se entrambi genitori sono morti, o per qualunque altra causa non possono
esercitare la responsabilità genitoriale, si apre la tutela presso il tribunale
circondario dove è la sede principale degli affari e interessi del minore, cioè il suo
domicilio art. 343. L'istituto della tutela è da ritenersi espressione del precetto
costituzionale secondo cui, nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede che
siano assolti i loro compiti art. 30 comma 2. La tutela ha dunque la funzione di
garantire, attraverso l'intervento di un altro soggetto ed il controllo da parte di
organi giudiziali sulla relativa attività del genitore, al minore la cura dei propri
interessi personali e patrimoniali. I poteri riconosciuti a chi è investito di una simile
potestá devono essere esercitati nell'interesse del minore che l'ordinamento
intende proteggere. L'ufficio tutelare è gratuito. Rispetto alla responsabilità
genitoriale che trova un suo fondamento nel vincolo di sangue che lega i genitori al
figlio, la tutela deriva da una pronuncia dell'autorità giudiziaria. È per questo che
nella tutela, in particolare in ordine all'attività di amministrazione del patrimonio del
minore, sono previsti vincoli e controlli di maggiore intensità rispetto a quelli
caratterizzanti l'esercizio della responsabilità genitoriale. Nel quadro dell'esercizio
della tutela un ruolo fondamentale assume la figura del giudice tutelare, il quale
soprintende l'esercizio della tutela e può chiedere assistenza agli organi della
pubblica amministrazione e di tutti gli enti i cui scopi corrispondano alle sue
funzioni. L'attività del giudice si atteggia come controllo e coordinamento, egli
decide su tutte le questioni maggiormente rilevanti al minore e al suo patrimonio.
Presso ogni giudice tutelare è istituito il registro delle tutele (tutti gli atti e i
provvedimenti). Il giudice tutelare appena ricevuta notizia del fatto da cui deriva
l'apertura della tutela, procede alla nomina del tutore e del protutore art.346. Prima
della nomina del tutore deve essere sentito anche il minore che abbia raggiunto
l'età di dodici anni. Il giudice nomina tutore la persona designata dal genitore che ha
esercitato per ultimo la responsabilità genitoriale. La designazione può essere fatta
per testamento, atto pubblico o per scrittura privata autenticata. Qualora manchi la
designazione la scelta del tutore viene effettuata preferibilmente tra gli ascendenti o
tra gli altri prossimi parenti o affini del minore(tutela legittima). In mancanza il
tutore viene scelto tra altre persone (tutela dativa), o deferita a un ente o assistenza
(tutela assistenziale). In quest'ultimo caso l'amministrazione dell'ente delega uno
dei propri membri a esercitare le funzioni di tutela. Il tutore ha la cura della persona
del minore, lo rappresenta in tutti gli atti civili e ne amministra i beni. Il tutore
assume sia una funzione di carattere personale, che una funzione di carattere
patrimoniale. Sotto il profilo personale ha gli stessi doveri che competono ai genitori
(istruzione, educazione e assistenza morale del minore). Deve però attenersi alle
direttive del giudice tutelare. Sotto il profilo patrimoniale lo stesso giudice indica la
spesa annua occorrente per l'amministrazione del patrimonio del minore, fissando i
modi di impiego dei redditi eccedente se autorizza ad investire i capitali secondo
specifici criteri. Il tutore rappresenta il minore in tutti gli atti civili e amministra il
patrimonio del medesimo. Vediamo inoltre come al tutore è impedito l'usufrutto
legale sui beni del minore, proprio in assenza del carattere familiare del rapporto
che rappresenta attributo peculiare del rapporto genitore-figlio. Il tutore compie da
solo gli atti di ordinaria amministrazione, gli atti eccedenti l'ordinaria
amministrazione sono compiuti dal tutore su autorizzazione del giudice tutelare.
Tuttavia per gli atti che debbono reputarsi di maggiore importanza e che comunque
comportano una rilevante modificazione della composizione del patrimonio del
minore, l'atto non può essere compiuto se non previa autorizzazione del tribunale e
il parere del giudice tutelare. L'atto compiuto senza osservare le regole accennate è
da considerare annullabile su istanza del tutore, del minore o dei suoi eredi aventi
causa. L'azione di annullamento si prescrive in 5 anni dal giorno in cui il minore ha
compiuto la maggiore età oppure dal giorno della sua morte. Si è visto come il
giudice tutelare accanto alla nomina del tutore provveda contemporaneamente
anche alla nomina di un protutore. Il protutore rappresenta il minore quando
l'interesse del tutore è in contrasto con quello del minore. Il protutore è poi tenuto
alla nomina del nuovo tutore nel caso l'originario tutore sia venuto a mancare o
abbia abbandonato l'ufficio, in questo tempo il protutore stesso assume la cura della
persona del minore, lo rappresenta e può compiere gli atti conservativi e gli atti
urgenti di amministrazione. In ordine alla responsabilità il tutore deve amministrare
il patrimonio con diligenza del buon padre di famiglia. Il tutore risponde verso il
minore di ogni danno a lui cagionato violando i propri doveri. Nella stessa
responsabilità incorre il protutore per ciò che riguarda i doveri del proprio ufficio. La
tutela termina quando il minore raggiunge la maggiore età o eventualmente
consegua l'emancipazione per effetto del matrimonio. Il giudice tutelare tuttavia
può sempre esonerare il tutore dall'ufficio qualora l'esercizio di esso sia per il tutore
soverchiamente gravoso e vi sia altra persona a sostituirlo, può inoltre rimuovere
dall'ufficio il tutore che si sia reso colpevole di negligenza o abbia abusato dei suoi
poteri o si sia dimostrato inetto all'adempimento di essi oppure quando il tutore sia
diventato insolvente.

Emancipazione.
Il minore che abbia compiuto 16 anni, qualora sussistano gravi motivi, può esser
ammesso con decreto del tribunale per i minorenni al matrimonio, previo
accertamento della sua maturità psico-fisica e della fondatezza delle ragioni
addotte, sentito il p.m. i genitori o il tutore (art. 84). Il minore acquista, così, lo stato
di emancipato: la emancipazione avviene di diritto in conseguenza del matrimonio
(art. 390). Il minore acquista così una capacità di agire limitata. Il minore viene
reputato idoneo a curare i propri interessi di natura personale e l’ordinamento
interviene esclusivamente nella cura dei suoi interessi patrimoniali. La funzione di
provvedere alla cura degli interessi patrimoniali del minore emancipato viene
assolta dal curatore (coniuge se di maggiore età). Se entrambi i coniugi sono di
minore età, il giudice tutelare può nominare un unico curatore, scelto
preferibilmente tra i genitori. Il curatore ha solo funzioni di carattere patrimoniale:
la sua attività è limitata all’amministrazione del patrimonio dell’emancipato. Il
tutore rappresenta il minore, il curatore si limita ad assistere l’emancipato, senza
rappresentarlo. L'atto viene compiuto in prima persona dal minore emancipato la
cui volontà risulta essenziale, tuttavia il suo consenso non risulta sufficiente in
quanto deve essere necessariamente integrato dal consenso del curatore. L’atto
compiuto dal minore emancipato, con il consenso del curatore, è un atto
soggettivamente complesso (atto complesso ineguale). In considerazione della sua
limitata capacità di agire il minore emancipato compie da solo solo atti di ordinaria
amministrazione. Il minore può, con l’assistenza del curatore, riscuotere capitali
sotto la condizione di idoneo reimpiego. Gli atti eccedenti l’ordinaria
amministrazione sono compiuti dal minore col consenso del curatore, previa
autorizzazione del giudice tutelare. Per gli atti maggiormente rilevanti (atti di
disposizione) indicati dall'art.375, l'autorizzazione, se curatore non è il genitore deve
essere data dal tribunale previo parere del giudice tutelare. Nell’ipotesi di conflitto
tra minore e curatore, il giudice tutelare nomina un curatore speciale. Anche la
violazione delle norme che regolano gli atti di amministrazione dei beni
dell’emancipato comporta l’annullabilità del medesimo. (azione di annullamento
cade in prescrizione in 5 anni dal compimento della maggiore età o dal giorno della
morte dell'emancipato). Una capacità di agire quasi piena ha il minore emancipato
autorizzato dal tribunale all’esercizio di impresa commerciale. Resta comunque
preclusa la possibilità di fare testamento e donazioni. La situazione dell'emancipato
termina con il raggiungimento della maggiore età.

Cause modificative della capacità di agire e protezione


dell'incapace.
Si è avuto modo di considerare come alcuni soggetti, i minori, siano senz'altro
considerati privi della capacità di agire in dipendenza della loro età. In tale ipotesi il
legislatore muove da una sorta di presunzione che il minore sia inidoneo a
provvedere ai propri interessi fino al raggiungimento della maggiore età.
L’esigenza di proteggere il soggetto incapace e di predisporre adeguati strumenti di
tutela a suo favore sussiste pure in relazione a persone che, ancorché maggiori di
età, non siano comunque dotate delle condizioni psico-fisiche, idonee a consentire
una corretta cura dei propri interessi e una ponderata esplicazione della propria
autonomia negoziale. La disciplina ha subito una notevole maggiorazione di
elasticità a seguito della L. 6/2004, rendendo maggiormente flessibili da parte
dell'autorità giudiziaria i provvedimenti di interdizione e di inabilitazione e
introducendo l'istituto dell’amministrazione di sostegno. La legge 104/92 esprime
l’idea che deve essere adottata ogni misura atta a valorizzare la capacità residua di
chi si trovi in qualsiasi condizione di menomazione. La prospettiva è quella di non
allontanare il soggetto dalla vita di relazione, ritenendo funzionale il riconoscere la
possibilità di continuare ad operare nei campi personali e patrimoniali fino al cui non
sussistano imprescindibili motivi di sostituirlo.

Interdizione giudiziale.
Il maggiore di età e il minore emancipato, i quali si trovino in condizioni di abituale
infermità di mente che li renda incapaci di provvedere ai propri interessi, sono
interdetti, quando ciò sia “necessario per assicurare la loro adeguata protezione”.
L’art 414 conferma, quali presupposti di interdizione, lo stato di abituale infermità di
mente e l’incapacità di provvedere ai propri interessi. Diversamente che in
precedenza viene resa esplicita la ratio del provvedimento in esame, che risulta ora
esclusivamente quella di garantire un’adeguata protezione all’incapace: proprio il
carattere di reale necessarietà del provvedimento per la protezione dell’incapace
costituirà oggetto della valutazione che compete all’autorità giudiziale.
Tra i soggetti legittimati a chiedere l’interdizione (art. 417) viene espressamente
indicato lo stesso incapace (istituto di protezione). Per la pronunzia di interdizione,
risulta sempre necessario l'esame del soggetto interdicendo da parte di un
consulente tecnico e può anche d'ufficio interrogare i parenti prossimi
dell'interdicendo e assumere le necessarie informazioni. L'ampiezza dei poteri del
giudice in materia denota la presenza di un interesse generale ad assicurare la
protezione del soggetto che si presenta essere incapace, ma solo a seguito di un
rigoroso accertamento delle condizioni che impongono l'adozione delle misure
necessarie. In tale prospettiva è da evidenziare come anche se venga chiesta la
interdizione del soggetto, il giudice possa disporre, pure d'ufficio, la inabilitazione
per infermità mentale. Vale anche la situazione inversa. Quanto agli effetti
dell’interdizione, il momento decisivo è da individuarsi nella sentenza: ai sensi
dell’art. 421, la interdizione produce i suoi effetti dal giorno della pubblicazione della
sentenza. Una prospettiva analoga vale per la cessazione degli effetti
dell’interdizione. La revoca dallo stato di interdizione si produce non quando viene
meno la causa dell'interdizione, ma solo a far data dal passaggio in giudicato della
sentenza che revoca l'interdizione medesima. Per evidenti ragioni di pubblicità, la
sentenza deve essere annotata immediatamente, a cura del cancelliere del
tribunale, nel registro delle tutele e comunicata entro 10 giorni all’ufficiale dello
stato civile per l’annotazione in margine all’atto di nascita (art. 423). Alle stesse
forme di pubblicità è soggetta anche la sentenza che pronuncia la revoca dello stato
di interdizione. Con la sentenza di interdizione si da luogo alla tutela: all’interdetto
vengono assegnati un tutore e un protutore, si applicheranno le stesse norme che
regolano la tutela del minore. Per la scelta del tutore dell'interdetto il giudice
tutelare deve individuare di preferenza la persona più idonea all’incarico. Circa la
durata della tutela nessuno è tenuto a continuare l'incarico oltre dieci anni, ad
eccezione del coniuge, della persona stabilmente convivente, degli ascendenti o dei
discendenti. Le conseguenze di maggiore rilevanza riguardano la drastica limitazione
della capacità di agire, sia sotto il profilo personale che sotto quello patrimoniale.
L’interdizione giudiziale consegue ad una valutazione di globale inettitudine del
soggetto a provvedere ai propri interessi sia quelli di natura personale che quelli di
natura patrimoniale. Sotto il profilo personale al tutore compete la cura della
persona dell’interdetto (educazione, istruzione, assistenza morale). L’interdetto non
può contrarre matrimonio né procedere al riconoscimento dei figli nati fuori dal
matrimonio. È sotto il profilo patrimoniale e precisamente riguardo
l'amministrazione del patrimonio dell'incapace che si registra una importante
modificazione rispetto alla disciplina anteriore. In precedenza l'interdetto veniva del
tutto privato della capacità di agire, pertanto gli atti di ordinaria amministrazione
venivano compiuti dal tutore quale rappresentate legale dell'interdetto. Quanto agli
atti eccedenti l'ordinaria amministrazione dovevano essere compiuti dal tutore
previa autorizzazione del giudice tutelare ad eccezione degli atti più importanti ossia
i cosiddetti atti di disposizione compiuti dal tutore previa autorizzazione del
tribunale su parere del giudice tutelare. Oggi, in base l’art 427, si dispone che taluni
atti di ordinaria amministrazione possano essere compiuti dall’interdetto senza
l’intervento del tutore. Deve però essere integrato dal consenso del tutore.
All’interdetto è preclusa la possibilità di effettuare donazioni e di fare testamento.
Viene riconosciuta quindi una limitata capacità di agire. Circa la sorte degli atti
compiuti in violazione delle norme che regolano l'amministrazione dei beni
dell'interdetto, basta fare rinvio a quanto osservato in relazione alla tutela del
minore con la differenza che il termine quinquennale di prescrizione del
l'annullamento dell'atto decorrerà dalla cessazione dello stato di interdizione e
quindi con il passaggio in giudicato della sentenza che revoca la interdizione oltre
che eventuale dal giorno della morte dell'interdetto.

Inabilitazione.
Il maggiore di età infermo di mente, lo stato del quale non è talmente grave da far
luogo all’interdizione, può essere inabilitato. Possono essere inabilitati coloro che
per prodigalità o per abuso abituale di bevande alcoliche o stupefacenti, espongano
sé o la loro famiglia a gravi pregiudizi economici. Infine, possono essere inabilitati il
sordo e il cieco dalla nascita o dalla prima infanzia, se non hanno ricevuto una
educazione sufficiente. L’inabilitazione è una forma di limitazione della capacità di
agire, meno grave dell’interdizione giudiziale. Le conseguenze rilevano
esclusivamente sotto il profilo patrimoniale, così in particolare l'inabilitato può
contrarre matrimonio, e può riconoscere il figlio nato fuori dal matrimonio.
L'inabilitazione può essere promossa anche su istanza dal soggetto interessato o
dalla persona che convive con lui stabilmente. L'inabilitando deve essere esaminato
dal giudice, gli effetti della inabilitazione si producono dalla pubblicazione della
relativa sentenza e la revoca ha efficacia a partire dal momento del passaggio in
giudicato della sentenza di revoca. La sentenza di inabilitazione come la sentenza di
revoca sono annotate nel registro delle curatele ed annotate in margine all'atto di
nascita. Con la sentenza di inabilitazione si da luogo alla curatela. Viene nominato un
curatore, e non un tutore, con gli stessi poteri del curatore del minore emancipato.
L’inabilitato compie da solo gli atti di ordinaria amministrazione, può, con assistenza
del curatore, riscuotere capitali sotto la condizione di un idoneo reimpiego; gli atti
eccedenti l’ordinaria amministrazione sono compiuti dall’inabilitato, col consenso
del curatore, previa autorizzazione del giudice tutelare; gli atti di disposizione sono
compiuti dall’inabilitato, col consenso del curatore e previa autorizzazione del
tribunale, su parere del giudice tutelare. L’art. 427 prevede che alcuni atti eccedenti
l’ordinaria amministrazione possano essere compiuti dall’inabilitato senza la
presenza del curatore. Quanto alla sorte degli atti compiuti in violazione della norma
che regola l'amministrazione dei beni dell'inabilitato si fa rinvio a quanto osservato
in relazione alla curatela del minore emancipato con l'unica differenza che il termine
quinquennale di prescrizione dell'azione di annullamento dell'atto decorrerà dalla
cessazione dello stato di inabilitazione e quindi dal momento del passaggio in
giudicato della sentenza che revoca l'inabilitazione oltre che dal giorno della morte
dell'inabilitato. Mentre l'interdetto non può fare testamento, l’inabilitato può fare
testamento ed effettuare donazioni.

Amministrazione di sostegno.
L'amministrazione di sostegno è un nuovo strumento giuridico di protezione
finalizzato a tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire,
chiunque si trovi in condizioni di particolare difficoltà e ridotta capacità di
autonomia. Si pensi all'anziano che, pur mantenendo buone capacità di relazione e
di comprensione della sua situazione, non è del tutto autosufficiente, all'invalido che
non sia in grado di compiere alcuni atti, al malato psichiatrico che a seguito di
adeguata terapia manifesti un buon grado di autonomia. Queste persone, pur
conservando la capacità di agire e di compiere gli atti diretti a soddisfare le esigenze
della propria vita quotidiana, necessitano di una persona, l'amministratore di
sostegno, che abbia cura di loro e provveda a compiere le azioni necessarie per la
gestione dei loro beni.

Presupposto per l’assegnazione al soggetto di una amministratore di sostegno è


l'impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi,
dovuta ad infermità, ovvero menomazione psichica o fisica (404). Il decreto di
nomina dell’amministratore di sostegno deve contenere una serie di indicazioni che
valgono a delineare i poteri e i limiti delle attribuzioni dell’amministratore di
sostegno stesso. Il decreto di apertura dell'amministrazione di sostegno e quello di
eventuale chiusura così come per qualsiasi altro provvedimento assunto nel relativo
corso devono essere annotati nell'apposito registro delle amministrazioni di
sostegno, tenuto presso l'ufficio del giudice tutelare, e annotati in margine all'atto di
nascita del beneficiario. Il giudice tutelare deve sentire personalmente la persona
cui si riferisce il procedimento recandosi, ove occorra, nel luogo in cui questa si
trova e deve tener conto compatibilmente con gli interessi e le esigenze di
protezione della persona dei bisogni e delle richieste di questa. La scelta
dell’amministratore di sostegno deve avvenire con esclusivo riguardo alla cura ed
agli interessi della persona del beneficiario e, addirittura, può essere designato dallo
stesso beneficiario, in previsione di una sua futura incapacità, mediante atto
pubblico o scrittura privata autenticata. In mancanza di nomina da parte dello stesso
beneficiario, il giudice tutelare sceglierà l'amministratore di sostegno tra i soggetti
più vicini al destinatario del provvedimento come per esempio coniuge, persona
stabilmente convivente, genitore, figlio, parenti entro il quarto grado.
L’amministratore di sostegno deve svolgere i sui compiti tenendo conto dei bisogni e
delle aspirazioni del beneficiario e deve tempestivamente informare il beneficiario
circa gli atti da compiere nonché il giudice tutelare in caso di dissenso col
beneficiario stesso (art. 410). Quanto alla capacità del soggetto sottoposto ad
amministrazione di sostegno può agire per tutti gli atti che non richiedono la
rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministrazione di sostegno.
Mentre l’amministrazione di sostegno comporta una limitazione relativa solo a
singoli atti o categorie di atti, specificamente individuati dal giudice nel
provvedimento di nomina dell’amministratore, l’interdizione e la inabilitazione
determinano una compressione più o meno ampia della capacità di agire in via
generale. Quanto alla sorte degli atti compiuti dal beneficiario o dall'amministratore
di sostegno in violazione di norme di legge o di disposizioni del giudice, essi sono o
annullabili su istanza dell'amministratore di sostegno, dal P.M, dal beneficiario o dai
suoi eredi e aventi causa. L'azione di annullamento si prescrive in cinque anni a far
data dal giorno in cui sia cessata lo stato di sottoposizione ad amministrazione di
sostengo. La cessazione dell'amministrazione di sostegno può derivare, oltre dalla
morte del beneficiario, esclusivamente con il provvedimento di revoca o da un
provvedimento con cui sia disposta l'interdizione giudiziale o l'inabilitazione del
soggetto.

Interdizione legale.
Sono sottoposti ad interdizione legale, ai sensi dell’art. 32 c.p., i soggetti condannati
all’ergastolo o alla reclusione per un periodo di tempo non inferiore a cinque anni.
L’interdizione viene definita legale in quanto costituisce un effetto che discende
automaticamente dalla sentenza di condanna, senza risultare dalla sentenza.
L'interdizione legale differisce da quella giudiziale in quanto si tratta non della
protezione di un soggetto incapace di provvedere ai propri interessi, ma una pena
accessoria rispetto alla condanna principale. L’interdetto legale subisce limitazioni
analoghe a quelle dell’interdetto giudiziale, con l’unica differenza che le limitazioni
attengono solo alla sfera patrimoniale e non a quella personale (matrimonio-
donazioni-testamento). Gli atti compiuti da esso al di fuori delle forme abilitative
prescritte sono annullabili su richiesta di chiunque vi abbia interesse . Si parla quindi
di annullabilità assoluta, come ipotesi che si contrappone appunto a quella relativa
la quale può essere solo fatta valere dalla parte nel cui interesse è stabilita dalla
legge. La ragione di una simile deviazione dal principio generale in materia è da
cogliere proprio nel carattere sanzionatorio e non protettivo dell'interdizione legale.
Il carattere assoluto dell'annullabilità costituisce un connotato che rende del tutto
precario per l'incapace lo stato in cui versano gli atti da lui conclusi senza
l'osservanza delle prescrizioni circa la sua rappresentanza. L'incapace in sostanza è
inibito operare nella sfera degli affari di persona, si parla dell'antica morte civile.

Incapacità naturale.
Mentre l’amministrazione di sostegno, l’interdizione giudiziale e l'inabilitazione
conferiscono al soggetto, una condizione legale, dalla quale derivano limitazioni alla
capacità di agire, l’incapacità naturale (o non dichiarata) consiste nella incapacità di
fatto del soggetto di intendere o di volere. È incapace naturale colui che pur
legalmente capace, nel momento del compimento di una attività giuridicamente
rilevante non è in grado di valutare la portata del suo contegno. L’incapacità di
intendere o di volere assume rilievo ai fini della validità dell’atto compiuto. Ai sensi
dell’art. 428, gli atti compiuti da persona che, seppur non interdetta, si provi essere
stata incapace di intendere o di volere al momento del compimento dell’atto
medesimo, possono essere annullati su istanza della persona medesima o dei suoi
eredi o aventi causa, se ne risulta un grave pregiudizio per l’autore. Riguardo al
grave pregiudizio la cassazione ha sottolineato che non deve trattarsi
necessariamente di un pregiudizio di natura economica o patrimoniale ben potendo
consistere esso anche nella lesione di altri interessi del soggetto in particolare
personali. Quanto ai contratti conclusi dal soggetto non capace di intendere e di
volere, possono essere annullati quando risulti la malafede dell’altro contraente,
senza dimostrazione del pregiudizio per l’incapace. Un esempio potrà chiarire
meglio la differenza tra incapacità naturale ed interdizione. Se l'interdetto compie
personalmente un atto al di fuori delle modalità abilitative richieste, l'atto è sempre
annullabile, qualora lo stesso atto sia compiuto da una persona legalmente capace
di agire ma incapace di intendere e di volere al momento del compimento dell'atto,
esso sarà annullabile solo a condizione che sia provato. L'azione di annullamento
dell'incapacità di intendere e di volere si prescrive nel termine di cinque anni dal
giorno del compimento dell'atto e non dal giorno in cui sia cessata l'incapacità
naturale. Il matrimonio, il testamento e la donazione compiuti in stato di incapacità
di intendere o di volere sono di per sé annullabili. Non risponde delle conseguenze
del fatto dannoso chi non aveva la capacità di intendere o di volere al momento in
cui lo ha commesso, a meno che lo stato d’incapacità non derivi da sua colpa (art.
2046).

13
Diritti della personalità
Persona e diritti fondamentali.
I diritti della persona (definiti anche diritti fondamentali o diritti umani) sono quelli il
cui riconoscimento tende ad assicurare il pieno sviluppo della persona umana,
tutelandone gli interessi assistenziali, sono inviolabili e l’ordinamento li riconosce
per promuovere la garanzia. L’attività della persona è inquadrata nelle relazioni
sociali (principio personalista e pluralista). Essi sono espressi nell’art. 2 della
costituzione. A volte sono considerati quali veri e propri diritti soggettivi, i diritti
della personalità vengono annoverati tra quelli assoluti. Pretesa del titolare, nei
confronti della generalità dei consociati, a una astensione da qualsiasi violazione
dell’interesse tutelato.
Essi sono innati (non può non averi), imprescrittibili, intrasmissibili (il diritto muore
con la morte del proprietario), indisponibili, inalienabili, irrinunciabili, non
patrimoniali.
Sono soggetti ad una tutela preventiva (atta ad evitare la lesione) piuttosto che
successiva, secondo il modello risarcitorio, lo strumento usato è l’azione inibitoria:
con essa si tende a impedire lo stesso evento lesivo, prevenendo la condotta idonea
a determinarlo, ovvero a farlo cessare, evitando che il suo protrarsi aggravi la
lesione degli interessi protetti.
Ulteriori strumenti di puntuale tutela degli interessi relativi alla sfera morale del
soggetto che sono rappresentati, da una parte, dalla pubblicazione delle sentenze in
giornali; dall’altra, dal diritto di rettifica.
In conseguenza della lesione di diritti della personalità opera, ovviamente, il rimedio
generale del risarcimento del danno, ai sensi degli artt. 2043 ss.

La pretesa al rispetto della dignità del soggetto in quanto persona rappresenta il


reale tessuto connettivo della tutela della persona umana nella globalità delle sue
manifestazioni (art. 2 Cost.) La tutela del diritto alla vita è affidata alla legislazione
penale, dalla quale si evince la sua indisponibilità.
Il diritto all’integrità fisica, oltre a trova tutela nella legislazione penale, la trova
anche in quella civile con il risarcimento del danno (art. 2043). L’art. 5 c.c. vieta gli
atti di disposizione del proprio corpo (tranne per donazioni, solo a titolo gratuito).
Divieto di fecondazione eterologa.
Il diritto alla salute trova tutela nei confronti dello stato (salvaguardia ambientale) e
nei rapporti intersoggettivi (risarcimento del danno). Testamento biologico
(ricercare la volontà). Rispetto del cadavere (sentimento collettivo di pietà). In
ambito di donazione degli organi post mortem è intervenuta la l. 91/99 affermano
che deve sussistere una volontarietà del soggetto deceduto a non protendere per
una donazione degli organi post mortem. In caso di mancanza, vale il principio del
silenzio assenso.
Integrità morale crea profili da tutelare: onore e reputazione hanno sul piano penale
la tutela attraverso la repressile dei reati di ingiuria e diffamazione, mentre la tutela
civile è affidata al risarcimento del danno. Il diritto alla riservatezza ha una maggiore
estensione rispetto a quello della eruttazione per assicurare la protezione della vita
personale.
Il rispetto della sfera morale della persona trova il suo bilanciamento nella libertà di
manifestazione del pensiero a cui si riconnettono il diritto di cronaca (limite tutela
onore e reputazione) e il diritto di critica (finalizzato alla valutazione di fatti e
opinioni altrui). Tollerano è il diritto alla satira. L’immagine costituisce, col nome, un
aspetto della personalità espressamente preso in considerazione già dal codice civile
vigente (art. 10): col diritto all’immagine viene vietato l’interesse del soggetto ad
esimere il consenso per la diffusione del ritratto. L’art. 10 vieta l’abuso
dell’immagine altrui, attribuendo all’interessato la possibilità di chiederne l
cessazione, salvo il risarcimento del danno. Il principio generale è quella secondo cui
il ritratto della persona non può essere divulgato senza il suo consenso, a meno che
sia giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico ricoperto, da necessità di
giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali. La riproduzione può
avvenire liberalmente, ove collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse
pubblico o svoltisi in pubblico. E’ assolutamente pacifico che vi debba sempre essere
un collegamento funzionale tra la divulgazione dell’immagine e l’evento.
Il diritto alla protezione dei dati personali riguarda i dati personali che sono una
qualsiasi informazione riguardo una persona fisica; il principio generale è il consenso
dell’interessato. Disciplina particolare è per i dati sensibili (razza, religione, politica).
Sotto il profilo sanzionatorio sono previste sanzioni amministrative di tipo
pecuniario e sanzioni penali.
Il nome è un segno distintivo e identificativo del soggetto, viene disciplinato riguardo
l’interesse della persona alla propria identificazione sociale. Per nome si intende il
prenome e il cognome. Art. 22, Cost. “nessuno, per motivi politici, può essere
privato del nome”. In caso di filiazione fuori dal matrimonio il figlio assume il
cognome del genitore che per primo lo abbia riconosciuto con prevalenza di quello
paterno. Le modificazioni del nome e del cognome sono previsti solo nei casi indicati
dalla legge.
Col diritto alla identità personal si vuole assicurare la tutela della proiezione sociale
della personalità dell’individuo: del suo interesse ad essere rappresentato con la sua
vera identità, senza che ne risulti modificato, offuscato, o alterato il patrimonio
intellettuale, ideologico, etico, professionale.

14
Enti
Persona fisica e persona giuridica.
La persona fisica non è per l'ordinamento l'unica entità dotata di capacità giuridica,
considerata cioè in grado di essere titolare di situazioni giuridiche. Accanto alle
persone fisiche, quali soggetti dotati di capacità giuridica, si collocano gli enti, vale a
dire organizzazioni di beni e di persone, cui l'ordinamento riconosce la qualità di
centri di imputazione di situazioni giuridiche soggettive al pari delle persone fisiche.
La motivazione che induce l'ordinamento a considerare gli enti quali soggetti di
diritto distinti dalle persone fisiche sembra radicarsi nella constatazione che il
singolo può perseguire solo una certa gamma di interessi, ma non può spingersi fino
alla realizzazione di tutti quegli ulteriori interessi che invece necessitano di un
organizzazione di gruppo. In altre parole gli individui avvertono la necessità di
ricorrere alla forma dell'ente quando i propri interessi perseguiti non possano
trovare adeguato soddisfacimento mediante l'esplicazione di una mera attività
individuale.

Elementi costitutivi.
Gli elementi costitutivi della persona giuridica sono distinti in una componente
materiale (persone, patrimonio, scopo) e una componente formale
(riconoscimento). La persona giuridica deve esser dotata di un’adeguata massa di
beni che le permetta di sostenere il peso dell’attività istituzionale dell’ente: questo è
il patrimonio. L’aggregazione di persone e beni avviene in vista della realizzazione di
determinate finalità: questo è lo scopo. A tutti questi elementi viene dato rilevo
mediante il riconoscimento da parte dell'ordinamento giuridico. Il riconoscimento,
negli ultimi tempi, ha subito una progressiva svalutazione da parte
dell’ordinamento. La formale attribuzione della personalità giuridica non risulta più
momento essenziale ai fini della considerazione dell’ente quale soggetto di diritto. Al
concetto di personalità giuridica va sostituendosi quello di soggettività giuridica.
L’ente non riconosciuto, al pari di quello riconosciuto, è un autonomo soggetto di
diritto.

Tipologia di enti.

 Oggi continuano a proporsi alcune classificazioni degli enti in considerazione


dello scopo dell'ente e della sussistenza o meno del riconoscimento. Una
prima distinzione di fondo che si riscontra nel codice risulta quella tra enti
pubblici (persone giuridiche pubbliche), ed enti privati (persone giuridiche
private). Persone giuridiche pubbliche dovrebbero reputarsi quelle che
perseguono istituzionalmente fini di rilevanza generale di carattere pubblico,
diverse sono le persone giuridiche private che per loro natura perseguono
scopi di carattere appunto privato e non di rilevanza generale. Tuttavia tale
distinzione così formulata risulta essere insoddisfacente in quanto non
aderente alla realtà che vede in misura sempre maggiore perseguire interessi
di indubbio rilievo generale anche da parte di enti dal carattere privato. Il
carattere generale e pubblico non può considerarsi come indice sicuro per
distinguere persona giuridica pubblica dalla persona giuridica privata. Gli enti
pubblici a loro volta si distinguono in enti pubblici territoriali (stato, regioni,
città metropolitane, province e comuni, art. 114 cost.) ed enti pubblici non
territoriali. È da sottolineare come in relazione alla seconda categoria di enti
pubblici sia in atto un processo di soppressione o trasformazione in enti
privati.
 Altra distinzione è quella tra enti lucrativi ed enti non lucrativi. Enti non
lucrativi sono le associazioni, le fondazioni, e i comitati. Enti lucrativi sono le
società il cui scopo è quello di dividere gli utili prodotti dall'esercizio in
comune di un attività economica.
 La distinzione tra enti riconosciuti ed enti non riconosciuti come persona
giuridica ha oggi perso importanza. L'unica sostanziale differenza di disciplina
degli enti riconosciuti rispetto quelli non riconosciuti, come si vedrà, attiene al
diverso regime di responsabilità per le obbligazioni assunte in nome e per
conto dell'ente stesso. Gli enti riconosciuti come persone giuridiche sono le
associazioni riconosciute, le fondazioni, i comitati riconosciuti, società di
capitali e società cooperative. Enti privi di riconoscimento sono le società di
persone.

Riconoscimento.
In passato la distinzione tra enti lucrativi ed enti non lucrativi era indice di un
sistema di attribuzione di personalità giuridica. Al sistema di riconoscimento
cosiddetto normativo in base al quale queste ultime acquistano la personalità
giuridica con l'iscrizione nel registro delle imprese, si contrapponeva il sistema di
riconoscimento cosiddetto concessorio per cui associazioni, fondazioni e comitati
acquistavano la personalità giuridica mediante riconoscimento concesso con
decreto del Presidente della Repubblica. L'attribuzione della personalità giuridica
secondo sistema concessorio era rimessa alla valutazione ampiamente discrezionale
da parte della pubblica amministrazione. Al riconoscimento poi seguiva la
registrazione, ovvero l'iscrizione dell'ente nell'apposito registro. L'ente pertanto
acquistava personalità giuridica per effetto del riconoscimento e dalla registrazione
derivava poi la cosiddetta autonomia patrimoniale perfetta. Con il D.P.R 361/2000 si
è introdotta una disciplina profondamente innovativa sostituendo il precedente
sistema con uno nuovo. Ai sensi del relativo art. 1, le associazioni, le fondazioni e le
altre istituzioni di carattere privato acquistano capacità giuridica mediante il
riconoscimento determinato dall’iscrizione nel registro delle persone giuridiche
istituito presso le prefetture. Al prefetto residua un certo margine di discrezionalità
nella valutazione della possibilità e liceità dello scopo, nonché della adeguatezza del
patrimonio alla realizzazione del medesimo scopo.

Capacità.
Dal punto di vista patrimoniale, l'ente ha una capacità giudica del tutto analoga a
quella delle persone fisiche. Nella sua sfera di titolarità possono rientrare tutte le
situazioni giuridiche soggettive attive e passive che potrebbero far capo ad un
soggetto persona fisica. Alla persona giuridica risulta riferibile pure la titolarità di
situazioni giuridiche soggettive di contenuto non patrimoniale. L'ente a differenza
della persona fisica non ha l'idoneitá ad essere titolare delle situazioni giuridiche
soggettive che presuppongono la fisicità del soggetto. In campo patrimoniale sono
scomparsi gli ostacoli che i passato limitavano fortemente la capacità dell'ente. In
particolare, l'art.17 oggi abrogato, subordinava l'acquisto dei beni mobili,
l'accettazione di donazioni o eredità da parte di associazioni riconosciute e
fondazioni, alla preventiva autorizzazione governativa. Venuta meno questa
rilevante restrizione, associazioni e fondazioni hanno oggi piena capacità di
compiere acquisti immobiliari e di beneficiare di attribuzioni a titolo gratuito senza
che la consistenza patrimoniale debba di volta in volta essere sottoposta ad un
controllo di carattere pubblicistico. In conclusione gli enti del I libro, riconosciuti o
meno possono liberamente acquistare beni immobili e di eseguire attribuzioni a
titolo gratuito senza la necessità dell'autorizzazione governativa.

Attivitá.
L'ente in quanto per sua natura non dotato dell'attributo della fisicità ha la necessità
di servirsi di altri soggetti (persone fisiche) non solo per organizzare la propria vita
interna ma sopratutto anche per determinare la propria volontà e manifestarla
all'esterno. L'esercizio della capacità di agire di cui l'ente risulta fornito è reso
possibile dai suoi organi. Sono gli organi a permettere all'ente di formare la propria
volontà e di proiettarla all'esterno. La volontà dell'ente, derivante dalla confluenza
delle volontà dei singoli, viene riferita immediatamente all'ente medesimo. Allo
stesso modo tutti i comportamenti giuridicamente rilevanti posti in essere dagli
organi dell'ente sono allo stesso direttamente imputati. Con riguardo all'attività
negoziale dell'ente, il compito di proiettare all'esterno la sua volontà, perché si
incontri con quella di altri soggetti nella conclusione di negozi giuridici è demandato
all'organo amministrativo. Sono amministratori gli organi dell'ente che consentono
all'ente medesimo di intrattenere rapporti negoziali. La determinazione della
volontà dell'ente può invece spettare all'assemblea organo peculiare degli enti di
tipo associativo o agli stessi amministratori. Il fenomeno in base al quale l'attività
negoziale posta in essere da un organo dell'ente viene imputata all'ente stesso
prende il nome di rappresentanza organica.

Responsabilitá per illecito.


Ai sensi dell’art 2043 vi è una responsabilità diretta dell’ente per gli illeciti commessi
dai suoi organi. Quanto agli illeciti penali afferma la responsabilità dell’ente per i
reati commessi nel suoi interesse o a suo vantaggio dalle persone che rivestono
funzioni di rappresentanza, di amministrazione o direzione dell’ente stesso, nonché
da persone che esercito la gestione e il controllo del medesimo. Sanzioni di tipo
pecuniario o interdittivo.

Figure

Associazione riconosciuta.
Si tratta di un organizzazione collettiva per perseguire scopi duraturi di carattere non
economico. Gruppo stabilmente organizzato. Vi è un interesse del gruppo
all’apertura all’adesione di altri soggetti, l’adesione sarà valutata dall’organizzazione
dell’ente per verificare se sussistono i requisiti richiesti dall’ente. Si differenzia
dall'associazione non riconosciuta nella disciplina della responsabilità per le
obbligazioni che fanno capo all'ente. A rispondere delle medesime obbligazioni
soltanto con il proprio patrimonio è esclusivamente l'associazione riconosciuta. Di
conseguenza, con riguardo all'associazione riconosciuta, i creditori dell'associazione
stessa non possono vantare alcuna pretesa nei confronti degli associati ma neppure
verso coloro che hanno agito per conto o in nome dell'associazione.
L'associazione riconosciuta nasce mediante un contratto, il contratto associativo,
che ai sensi dell’art. 14 deve rivestire la forma dell’atto pubblico (in vista di un suo
riconoscimento). E’ un contratto plurilaterale caratterizzato da una struttura aperta
nel senso che ad esso possono prestare adesione, in un momento successivo, altri
contraenti.
Si distingue l’atto costitutivo, che racchiude la volontà dei contraenti di dare vita
all’ente ed individua gli elementi principali e caratterizzanti dell’ente medesimo
(denominazione, scopo, patrimonio, sede) e lo statuto che contiene le norme
destinate a regolare la vita e il funzionamento dell’ente.
Lo scopo rappresenta l’elemento che giustifica l’aggregazione del gruppo di persone
che danno vita all’ente, assicurandone la necessaria coesione. Lo scopo deve essere
non lucrativo caratteristica questa che distingue l'associazione con le società.
L’associazione può comunque svolgere un’attività economica, in vista del
perseguimento dello scopo ideale che la caratterizza. Gli utili e i proventi percepiti
da tale attività devono essere destinati agli scopi dell’ente e non distribuiti tra gli
associati. In caso contrario, l'associazione assumendo carattere imprenditoriale sarà
assoggettata a tutte le norme che disciplinano l'impresa commerciale e in
particolare anche l'esposizione al fallimento. Ai fini del riconoscimento, lo scopo, ai
sensi dell’art. 1 D.P.R. 361/200 deve essere possibile e lecito.

Elementi costitutivi sono quello patrimoniale e personale. Perché l’associazione


ottenga il riconoscimento, la relativa dotazione patrimoniale deve essere adeguata
alla realizzazione dello scopo. In altre parole, gli associati, all'atto di costituzione
dell'ente, devono contribuire alla formazione del patrimonio, che assicurerà loro i
mezzi per lo svolgimento della propria attività. Ciò non esclude che alla formazione
del patrimonio dell'ente possano contribuire anche soggetti che non rivestano la
qualità di associati, mediante sovvenzioni ed altre forme di finanziamento.
Importante è l’elemento personale in quanto l’associazione nasce e si determina
attraverso la volontà degli associati. Essi si riuniscono in assemblea per deliberare
decisioni. All’assemblea partecipano tutti gli associati, essa adotta le decisioni di
maggior rilievo relative all'associazione fino addirittura al mutamento dello scopo
dell'ente o eventualmente allo scioglimento. Proprio in considerazione
dell'essenzialità dell'organo assembleale, nella struttura associativa si ritiene che in
nessun caso lo statuto possa comprimere le fondamentali competenze
dell'assemblea attribuendole ad altro organo o a soggetti terzi. L'assemblea deve
essere convocata dagli amministratori almeno una volta all'anno per l'approvazione
del bilancio oppure quando ve ne si ravvisi la necessità o quando sia fatta richiesta
motivata da almeno 1/10 degli associati. La determinazione volitiva adottata
dall'assemblea viene definita deliberazione. La deliberazione è l'atto collegiale e ha
natura negoziale. La deliberazione viene addotta dall'assemblea secondo il principio
maggioritario. Le maggioranze richieste per l'approvazione della delibera variano a
seconda dell'importanza della delibera medesima. La regola generale è che le
deliberazioni dell'assemblea sono prese a maggioranza di voti e con la presenza di
almeno la metà degli associati, qualora non si raggiunga il quorum richiesto
l'assemblea viene nuovamente convocata e la deliberazione è valida qualunque sia il
numero degli intervenuti. Per le modifiche dell'atto costitutivo e dello statuto
occorre la presenza di almeno 3/4 degli associati ed il voto favorevole della
maggioranza dei presenti. Deliberazioni dell'assemblea comportanti la modificazione
dell'atto costitutivo e dello statuto devono essere iscritte nel registro delle persone
giuridiche, qualora non iscritte devono reputarsi, secondo i principi generali,
inopponibili ai terzi in buona fede.
Per deliberare lo scioglimento anticipato e la devoluzione del patrimonio
dell'associazione è necessario il voto favorevole di almeno 3/4 degli associati.
All'assemblea poi competono le deliberazioni relative alla responsabilità degli
amministratori per fatti da loro compiuti e all'esclusione dell'associato. Può
accadere che le deliberazioni dell'assemblea siano contrarie alla legge, l'atto
costitutivo o allo statuto. In tal caso queste sono annullabili su istanza degli organi
dell'ente, da qualunque associato o da parte del P.M. L'art. 23 comma 2 dispone che
l'annullamento della deliberazione non pregiudica i diritti acquistati da terzi di
buona fede.

L’altro organo dell’associazione è quello amministrativo che può essere monocratico


o collegiale. Ha il compito di gestire le risorse dell’associazione, di rappresentare
l’ente nei confronti dei terzi, e di porre in essere tutti gli atti necessari allo
svolgimento dello vita dell’ente e alla realizzazione del suo scopo. Quanto all’attività
rappresentativa si è già avuto modo di esaminare il carattere peculiare della cd.
rappresentanza organica. Gli associati i quali abbiano esercitato il diritto di recesso o
siano stati esclusi, non possono ripetere i contributi versati, né vantare diritti sul
patrimonio dell’associazione. La qualità di associato è intrasmissibile (art. 24).
L’associato può sempre recedere dall’associazione. L’esclusione dell’associato può
essere deliberata dall’assemblea solo per gravi motivi. Il fondo dell’associazione non
è aggregabile dai creditori dei personali associati. Il creditore dell’associato non può
rivalersi sul patrimonio dell’ente e il creditore dell’ente non può rivalersi sul
patrimonio dell’associato.

Associazione non riconosciuta.


La distanza tra associazioni riconosciute ed associazioni non riconosciute si è
drasticamente ridotta. L'unica differenza sostanziale che vale a distinguere in termini
di disciplina applicabile l'associazione non riconosciuta dall'associazione riconosciuta
è da individuarsi nel diverso grado di autonomia patrimoniale. Anch’essa nasce per
contratto associativo, hanno una maggiore autonomia nella normazione interna. Per
quanto riguarda la forma, la costituzione dell’associazione non riconosciuta non è
soggetta a nessuna forma particolare. Così ad esempio se uno degli associati
intendesse aderire all'associazione, contestualmente apportando all'ente un bene
immobile, sarà necessaria la forma scritta, richiesta per gli atti aventi ad oggetti il
trasferimento di beni immobili o la costituzione di diritti reali immobiliari. In
considerazione dell’identità strutturale con l’associazione riconosciuta, si ritiene che
all’associazione non riconosciuta siano applicabili le norme dettate in tema di
associazioni riconosciute atte a qualificare il modello associativo in quanto tale.
L’elemento patrimoniale è rappresentato dal fondo comune, costitutivo dai
contributi degli associati e dai beni acquistati con i contributi. Il fondo comune non
appartiene in comunione agli associati, ma all’ente non riconosciuto. Il fondo
comune si presenta come pienamente assimilabile al patrimonio dell'associazione
riconosciuta. Finché l’associazione dura, i singoli associati non posso chiedere la
divisione del fondo comune, né pretendere la quota in caso di recesso (art. 37).
Quanto alle responsabilità per le obbligazioni assunte in nome e per conto
dell’associazione non riconosciuta, si tratta del profilo che sancisce la diversità con
l’associazione riconosciuta. Chi agisce sono gli amministratori. Per le obbligazioni
assunte in rappresentanza dell’associazione non riconosciuta i terzi possono far
valere i loro diritti sul fondo comune; delle medesime obbligazioni rispondono anche
personalmente e solidalmente “le persone che hanno agito in nome e per conto
dell’associazione” (art.38), autonomia patrimoniale imperfetta. Il creditore così è
tutelato. Molto spesso infatti gli amministratori delle associazioni non riconosciute
sono nullatenenti.

Fondazione.
La fondazione si caratterizza per essere un complesso di beni destinato a un
determinato scopo, prefissato dal fondatore. L’attenzione è rivolta ai beni,
caratterizzati da un vincolo di destinazione. Quello tenuto presente dal nostro
legislatore è il modello della cosiddetta fondazione erogatrice appunto con il fine di
erogare le rendite secondo le direttive del fondatore. La fondazione può sussistere
solo se riconosciuta secondo le modalità contemplate nel D.P.R 361/2000. In quanto
necessariamente riconosciuta essa risulterà sempre caratterizzata dall'autonomia
patrimoniale perfetta, nel senso che delle obbligazioni assunte in nome e per conto
dell’ente risponde soltanto questo col suo patrimonio. La fondazione è costituita con
un negozio unilaterale (negozio unilaterale) posto in essere da un soggetto
(fondatore), il quale crea l’ente in vista della realizzazione di uno scopo, all’uopo
destinando una quantità di beni che andranno a costituire il patrimonio della
fondazione medesima. Pare opportuno evidenziare come la fondazione a differenza
dell'associazione venga ad esistere solo per effetto del riconoscimento. Il negozio di
fondazione, quale atto costitutivo dell'ente, se compiuto in vita dal fondatore, deve
rivestire la forma di atto pubblico tuttavia la fondazione può essere disposta anche
con testamento. Le regole disciplinanti la futura attività della fondazione sono
contenute nello statuto, in cui devono essere indicate i criteri e le modalità di
erogazione delle rendite. L'art.15 poi disciplina l'ipotesi di revoca dell'atto costitutivo
della fondazione. Il negozio di fondazione può essere revocato dal fondatore fino a
quando non sia intervenuto il riconoscimento ovvero quando il fondatore non abbia
fatto ancora iniziare l'attività da lui disposta. (art. 15). La facoltà di revoca non si
trasmette agli eredi (15, c.2). Lo scopo deve essere possibile e lecito, il patrimonio
deve essere adeguato allo scopo perseguito. Non può intraprendere nessuna attività
di tipo economico. Nella fondazione non è presente l'assemblea, manca cioè
l'organo nel cui ambito, nell'associazione si forma la volontà dell'ente. Tale rilevante
differenza si giustifica in considerazione del carattere peculiare del negozio di
fondazione mediante il quale il è il fondatore a determinare i caratteri dell'attività
che sarà svolta dall'ente. Nella fondazione anche l'organo amministrativo appare
diverso da quello dell'associazione. In primo luogo gli amministratori della
fondazione sono meri organi serventi. L'art. 25 attribuisce all'autorità amministrativa
il controllo e la vigilanza sull'amministrazione delle fondazioni. Compito che
ricomprende la nomina e la sostituzione degli amministratori, l'annullamento delle
deliberazioni adottare dall'organo amministrativo, lo scioglimento
dell'amministrazione e la nomina di un commissario straordinario qualora gli
amministratori non agiscano in conformità dello statuto e dello scopo della
fondazione o della legge.

Estinzione della persona giuridica. Liquidazione e devoluzione dei beni.


L'atto costitutivo e lo statuto dell'associazione e della fondazione possono contenere
norme atte ad individuare possibili cause di estinzione dell'ente nonché a
disciplinare la devoluzione del relativo patrimonio. In linea generale la persona
giuridica si estingue quando si raggiunge lo scopo o diventa impossibile,
l'associazione si estingue anche quando tutti gli associati siano venuti a mancare, o
quando lo scioglimento anticipato dell'ente sia deliberato dall'assemblea. (art. 27).
Verificatasi l'estinzione della persona giuridica si ha la liquidazione del patrimonio
dell’ente, diretta a definire i rapporto giuridici che vincolano l'ente nei confronti di
terzi (debiti). È il presidente del tribunale a nominare i liquidatori i quali esercitano
la loro funzione sotto sua diretta sorveglianza. Per effetto della estinzione dell'ente
viene meno il potere degli amministratori di compire nuove operazioni. Chiusa la
procedura di liquidazione il presidente del tribunale dispone che ne sia data
comunicazione ai competenti uffici per la cancellazione dell'ente dal registro delle
persone giuridiche. L'art.31 indica che i beni della persona giuridica che residuano
dopo la liquidazione sono devoluti in conformità all'atto costitutivo o dello statuto.
Parimenti si esclude che lo statuto dell'associazione o l'eventuale deliberazione di
scioglimento anticipato possano prevedere la distribuzione di beni residui ai singoli
associati.

Diversa risulta l'ipotesi di trasformazione della fondazione disciplinata dall'art.28.


Quando lo scopo è esaurito o è divenuto impossibile o di scarsa utilità o il
patrimonio è divenuto insufficiente, l'autorità anziché dichiarare estinta la
fondazione, può provvedere appunto alla sua trasformazione. È evidente che si
dovrà tenere conto dello scopo originario dell'ente, l'autorità così non potrà dar vita,
in particolare, ad un ente che persegue uno scopo nettamente distante rispetto ad
esso. La nuova disciplina del diritto societario ha reso possibile la trasformazione di
associazioni riconosciute e fondazioni in società di capitali. L'associazione delibera la
trasformazione in società di capitali con la stessa maggioranza richiesta dalla legge o
dall'atto costitutivo per lo scioglimento anticipato. La trasformazione di fondazione
in società di capitali è disposta da autorità amministrativa su proposta dell'organo
competente. Non risulta espressamente prevista una ipotesi di trasformazione di
associazione in fondazione. L'art. 32 infine prevede che nel caso di trasformazione o
di scioglimento di un ente al quale siano stati donati o lasciati beni con destinazione
particolare, l'autorità amministrativa devolva tali beni, con lo stesso onere, ad altre
persone giuridiche aventi fini analoghi.

Comitato.
L'ultimo tipo di ente è il comitato su cui la dottrina non ha mai manifestato
concordia di opinioni. Talvolta accostato all'associazione, altre volte alla fondazione
ancora altre volte ad entrambe. Sembra che il comitato ricomprenda un ente sui
generis che presenta affinità con le differenti tipologie di enti non lucrativi ma che in
sostanza appare dotato di propria specificità. Esso consiste in un organizzione di
persone (promotori) che perseguono un determinato fine altruistico raccogliendo
fondi, per il raggiungimento di uno scopo comune, presso il pubblico. Tra gli scopi
possibili (art. 39) vi sono il soccorso, la beneficenza, la promozione di opere
pubbliche, monumenti, esposizioni, mostre, festeggiamenti e simili. Vi è una
differenza tra comitato riconosciuto come persona giudica e comitato non
riconosciuto come persona giudica. L'attribuzione della personalità giuridica al
comitato incide sulla responsabilità. Così se il comitato è riconosciuto, delle
obbligazioni assunte in nome e per conto dell'ente, risponderà solo quest'ultimo col
suo patrimonio. Con esclusione quindi della responsabilità personale dei
componenti. Qualora al comitato non siano riconosciuti tutti i suoi componenti
risponderanno personalmente e solidalmente delle obbligazioni. I sottoscrittori
(oblatori) vale a dire coloro che procedono alle sovvenzioni a favore del comitato,
sono obbligati soltanto ad eseguire la prestazione promesse con esclusione di forme
di responsabilità per le obbligazioni verso il comitato. L’art. 42 prevede, quali ipotesi
di estinzione del comitato, l’insufficienza di fondi rispetto lo scopo dell'ente. In tal
l'autorità amministrativa stabilisce la devoluzione dei beni.

Gli enti non profit nella legislazione speciale.


La locuzione non profit in un primo momento veniva impiegata per indicare l'attività
svolta in settori di più specifica ed accentuata rilevanza e utilità sociale.
Successivamente poi si è affermata la tendenza ad intendere gli enti non profit come
una vasta gamma di enti che non perseguono fini di lucro. Il favor per
l'associazionismo si riscontra in primo luogo nella legge 266/1991 la quale promuove
lo sviluppo del volontariato in vista del conseguimento di finalità di carattere sociale,
civile e culturale. Per organizzazione di volontariato si intende ogni organismo
liberamente costitutivo con il fine di svolgere l'attività di volontariato, che si avvalga
in modo determinante delle prestazioni personali, volontarie e gratuite dei propri
aderenti. Il decreto legge 469/1997 contiene poi la disciplina della onlus
(organizzazioni non lucrative di utilità sociale). Sono considerate onlus le
associazioni, le fondazioni, i comitati, le società cooperative e gli altri enti di
carattere privato con o senza personalità giuridica, i cui statuti o atti costitutivi,
redatti sotto la fora di atto pubblico o scrittura privata autenticata , contengano una
serie di previsioni relative in particolare all'attività istituzionale dell'ente ed alla
destinazione degli utili. Non si tratta di un nuovo tipo di ente bensì una qualifica
volta ad individuare quegli enti che possono aspirare ad usufruire di particolari
benefici sociali. La legge 460/1997 vieta a soggetti diversi dalle onlus l'uso di tale
denominazione e in qualsivoglia segno distintivo o comunicazione rivolta al
pubblico. In tale panoramica sul settore non profit è necessario ricordare
l'associazione di promozione sociale. La legge 380/2000 introduce un regime
speciale per tutte le organizzazioni che rientrano nella definizione di associazione di
promozione sociale, ovvero tutte le associazioni riconosciute e non riconosciute, i
movimenti e i gruppi, costituiti al fine di svolgere attività di utilità sociale a favore di
associati o terzi senza finalità di lucro e nel pieno rispetto della libertà e dignità degli
associati. Infine abbiamo l'impresa sociale che indica organizzazioni private che
esercitano un’attività economica organizzata al dine della produzione o dello
scambio di beni o servizi di utilità sociale diretta a realizzare finalità di interesse
generale.

15
Famiglia e ordinamento giuridico
La famiglia nella società.
La famiglia costituisce un fenomeno sociale che l'ordinamento giuridico non crea ma
col quale è chiamato a confrontarsi. La famiglia si inserisce tra le formazioni sociali
ove si svolge la personalità dell'uomo cui allude l'art.2 Cost. Nel contesto di tali
formazioni sociali, essa occupa una posizione sicuramente primaria. L'idea della
famiglia come realtà sociale emerge con chiarezza dall'art. 29 cost. che allude alla
famiglia come società naturale. Lo stato non può intervenire dettando il modello di
organizzazione della vita familiare, non può piegare la famiglia ai fini pubblici, ma
deve prestare il rispetto e lasciare libera organizzazione alle singole famiglie. Se tale
formazione sociale devia dalla sua funzione e non realizza lo sviluppo della persona
interviene lo stato a tutela dei singoli componenti. C’è un limite all’intervento dello
stato, ma anche un limite all’autorganizzazione.

Nozione giuridica di famiglia.


Il modello di famiglia a cui fa riferimento l'ordinamento giuridico è quello di famiglia
nucleare cioè composta dai coniugi e dai loro eventuali figli. È proprio tale modello
che trova garanzia all'interno dell'articolo. 29 cost. Tale gruppo trae origine dal
matrimonio eventualmente arricchito dai figli generati, con l'esclusione di altri
parenti. La famiglia che la Costituzione all’art. 29, assume come modello è quella
“fondata sul matrimonio”, ossia la famiglia legittima. Un'altra modello è quello della
famiglia di fatto con cui si indica un gruppo costituito, senza matrimonio, dalla
coppia e dai figli eventualmente procreati. Nucleo anch'esso assunto nella
prospettiva dell'art. 2 cost. quale formazione sociale e luogo di sviluppo della
personalità dei suoi membri.

La disciplina della famiglia.


La disciplina dei rapporti familiari a partire dal code civil francese ha trovato la sua
collocazione nel codice civile. È comunque da sottolineare che la disciplina del code
civil e quella del codice civile del 1865 rispecchiassero il modello di famiglia
borghese. Il modello familiare che emerge dal codice civile del 1942 è qualcosa
ancora fondato su una struttura gerarchica tendente a far convergere nel marito
poteri autoritari nei confronti della moglie e nei confronti dei figli, nonché una
chiara ripartizione dei ruoli tra i coniugi che riconosce alla moglie una funzione
meramente domestica, emarginata oltre che dal governo della famiglia anche nelle
relazioni economiche del gruppo familiare. Restava poi un atteggiamento di marcato
sfavore per la filiazione fuori dal matrimonio, derivandone quindi l'irriconoscibilità
dei figli adulterini e drastici limiti alla possibilità di accertamento giudiziale della
paternitá. Per quanto concerne il sistema matrimoniale nel codice civile risulta
disciplinato il matrimonio civile rinviandosi al concordato con la santa sede ed alla
relativa legislazione applicativa per la disciplina del cosiddetto matrimonio
concordatario. Una vera rottura con il vecchio sistema di disciplina dei rapporti
familiari è da ricollegare all'avvento della costituzione entrata in vigore l'1.1.1948.
L'adeguamento dei principi familiari ai principi fondamentali della costituzione è
stato un processo lento. Circa i principi costituzionali, l'art.29 nell'affermare che la
Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul
matrimonio, valorizza innanzitutto contro ogni possibile eccessiva invadenza
dell'ordinamento, l'autonomia della famiglia nell'organizzazione della propria vita. Il
secondo comma dello stesso art. 29 stabilisce il profilo di eguaglianza morale e
giuridica dei coniugi. L'art. 30, sotto il dovere dei genitori di educare ed istruire i figli,
stabilisce che tale dovere si estenda anche ai figli nati al di fuori del matrimonio.
Inoltre a tali soggetti venga garantita ogni tutela giuridica e sociale. Completa il
quadro costituzionale di riferimento alla materia familiare, il sostegno da parte dello
stato per quelle famiglie numerose. Come già indicato l'attuazione dei principi
costituzionali ha richiesto tempi non brevi. La tappa fondamentale è rappresentata
senza dubbio dalla riforma del diritto di famiglia con la quale l'intero impianto
codistico della disciplina dei rapporti familiari è stato ridisegnato.

Il diritto di famiglia vigente trova sua fonte principale nel codice civile, sopratutto in
materia di filiazione. In primo luogo è da ricordare la legislazione in tema di
affidamento e di adozione dei minori 149/200. Importanza fondamentale assume
poi la legislazione sul divorzio.

La famiglia di fatto.
La coppia di fatto o meglio la convivenza more uxorio non è espressamente
disciplinata dalla legge; nonostante tale lacuna normativa, non si pone in contrasto
con norme imperative, né con l’ordine pubblico, né con il buon costume.
Con l’espressione “convivenza more uxorio” si indica l’unione stabile e la comunione
di vita spirituale e materiale tra due persone, non fondata sul matrimonio (c.d.
famiglia di fatto).
Nonostante, nell’attuale realtà sociale, il fenomeno stia avendo sempre maggiore
diffusione, il nostro ordinamento giuridico riconosce e tutela solo ed esclusivamente
la famiglia legittima, id est quella fondata sul matrimonio.
Perchè possa dirsi configurata una convivenza more uxorio sono richiesti i seguenti
requisiti:

- comunione di vita spirituale e materiale;


- stabilità temporale del rapporto;
- assenza di vincolo matrimoniale.

Va osservato che il rapporto non fondato sul matrimonio e, quindi, la convivenza


more uxorio come nasce così può cessare; diverso è, invece, per la famiglia fondata
sul matrimonio ove norme ad hoc e leggi speciali regolano sia l’istituto della
separazione, sia quello del divorzio.
Il convivente more uxorio ha diritti successori? E’ bene precisare che, non
sussistendo lo status giuridico di coniuge, il convivente more uxorio potrà ottenere
una quota di eredità solo mediante un lascito effettuato dal defunto mediante
testamento. Lascito, si badi bene, che non dovrà, comunque, ledere la porzione che,
per legge, spetta a determinati soggetti: ad esempio ai figli.
I conviventi c.d. more uxorio non hanno, dunque, diritti successori nei confronti
l’uno dell’altro perchè, per la legge, non essendo legati da vincoli di parentela o di
coniugio sono considerati estranei fra di loro. Tuttavia, ciascuno dei due può, nel
proprio testamento, nominare erede l’altro; naturalmente dovranno essere
rispettati i diritti dei successori c.d. legittimari, se vi sono cioè l’eventuale coniuge
e/o i figli del convivente che redige testamento. In questa ipotesi l’altro convivente
potrà ereditare la quota c.d. disponibile. Sono, invece, assolutamente vietati – sia
tra i conviventi sia, in generale, tra chiunque – i contratti con cui ciascuno si impegna
a nominare come proprio erede l’altro: la legge vieta, infatti, i c.d. patti successori.
Questi ultimi sono considerati nulli. In caso di morte di uno dei conviventi, a causa di
fatto illecito del terzo (es. sinistro stradale), il convivente superstite ha diritto ad
ottenere il risarcimento del danno morale e patrimoniale?
Con sentenza n. 23725 del 16.09.2008, i Giudici di Piazza Cavour hanno statuito che
il diritto al risarcimento del danno da fatto illecito, concretatosi in un evento
mortale, va riconosciuto anche al convivente more uxorio, e ciò sia con riferimento
al danno morale, sia con riferimento al danno patrimoniale. Quest’ultimo richiede,
però, la prova di uno stabile contributo economico apportato in vita dal de cuius al
convivente superstite – danneggiato e di una relazione caratterizzata da stabilità e
da reciproca assistenza morale e materiale.
E, ancora, il convivente more uxorio gode del diritto di abitazione sulla casa adibita a
convivenza, in caso di morte di uno dei due?
Occorre sottolineare che un accordo tra i conviventi, avente ad oggetto
l’attribuzione del diritto di abitazione sulla casa adibita a convivenza, per il periodo
successivo alla morte di uno dei due, sarebbe nullo; ciò perchè un simile accordo
integrerebbe un patto successorio di tipo istitutivo vietato ai sensi dell’art. 458 c.c..
In tema di successione tra conviventi e diritto di abitazione, per completezza, si
ritiene che in caso di morte di uno dei due, il convivente può continuare ad usufruire
del rapporto di locazione: cioè abitare nell’immobile che, fino al momento del
decesso, veniva utilizzato come casa familiare.
Ciò è confermato dalla Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’art. 6, comma 1 della Legge 392/1978 (c.d. legge sull’equo
canone), nella parte in cui non prevede fra i successibili nella titolarità del contratto
di locazione, in caso di morte del conduttore, il convivente more uxorio ( vedasi,
pure, la recente pronuncia: Cassazione Civile, Sez. III, 23 Febbraio 2013, n. 3548).
Alla luce di quanto sopra, il convivente more uxorio, seppur entro certi limiti, gode
di diritti successori.
Caratteri degli atti e diritti familiari.
Gli atti concernenti i rapporti familiari devono ritenersi contrassegnati da caratteri
peculiari. L’intimità e l’essenzialità dei vincoli esistenziali che legano i membri del
gruppo familiare impongono che tali valori siano equilibrati con quelli di
responsabilità e solidarietà. Di qui la marcata specificità che contraddistingue i
rapporti familiari. I diritti familiari hanno gli stessi caratteri dei diritti fondamentali
oltre che essere personalissimi e solenni.

Parentela e affinità.
Il matrimonio e la generazione costituiscono la fonte dei rapporti che legano i
membri della famiglia. Dal matrimonio scaturisce il rapporto di coniugio, derivando
anche quello di affinità, che lega ciascun coniuge ai parenti dell’altro. La parentela è
il “vincolo tra persone che discendono dallo stesso stipite” (art. 74 c.c.). Ai sensi
dello stesso articolo sono parenti in linea retta coloro che discendono l’uno dall’altro
immediatamente (genitori-figlio), o per generazioni successive; sono parenti in linea
collaterale colo che, pur avendo un ascendete comune, non discendono l’uno
dall’altro (fratelli e sorelle, zii e nipoti, cugini). Il rapporto di parentela è
giuridicamente rilevante, il linea di massima, fino al sesto grado (art. 77). La modifica
alla legge 219/2012 si è precisato che il vincolo di parentela sussiste sia nel caso la
filiazione sia avvenuta all'interno del matrimonio, sia nel caso sia avvenuta al di fuori
di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo. Meno rilevante è il rapporto di affinità
(78), quale “vincolo tra un coniuge e i parenti dell’altro”. Il rapporto di affinità cessa
in caso di dichiarazione di nullità del matrimonio.

Alimenti.
L'obbligo di prestare gli alimenti trova il proprio fondamento nella solidarietà
familiare. Esso grava pure sul donatario. L'obbligazione alimentare tra i componenti
della famiglia è disciplinata dall'art. 433 che stabilisce un ordine tra di essi ponendo
al primo posto il coniuge, quindi i soggetti legati da un rapporto di discendenza (figli,
discendenti prossimi, genitori) poi gli affini in linea retta (generi, nuore, suoceri) e
infine fratelli e sorelle. Nella famiglia nucleare si ha l'obbligo alimentare per i
coniugi, contribuzione cui è tenuto anche il figlio finché dura la convivenza. In favore
dei figli e del coniuge nell'ipotesi di separazione è dovuto il mantenimento.
L'obbligazione al mantenimento presenta un contenuto più ampio di quello
alimentare in quanto riferito al parametro ed al tenore di vita familiare. Il
presupposto del diritto a ricevere gli alimenti (art. 438) è costitutivo dallo stato di
bisogno di chi non sia in grado di soddisfare le proprie necessità di vita. Circa le
modalità di somministrazione, esse sono a scelta dell’obbligato. Dopo l’assegnazione
le condizioni economiche del ricevente possono mutare, pertanto vedrà se cessare,
diminuire o aumentare il mantenimento (art. 448). L'obbligazione ha natura
personale e quindi cessa con la morte dell’obbligato (art. 448). E’ un diritto non
patrimoniale, incedibile, irrinunciabile, impignorabile, insequestrabile.

Protezione contro gli abusi familiari.


Nel corpo del codice civile con la legge 154/2001 sono stati inseriti gli artt. 342 bis e
ter in ordine alla protezione contro gli abusi familiari. Misure quali l'eventuale
allontanamento dalla casa familiare, con provvedimento del giudice penale nei
confronti dell'imputato e la previsione di un peculiare procedimento per
l'emanazione di provvedimenti in questione. Le misure introdotte con la legge
154/2001 fanno riferimento alla posizione familiare del minore, diretto a consentire,
attraverso la modifica degli articoli 330 e 333, l'ordine di allontanamento dalla
residenza familiare del genitore o del convivente che maltratti o abusi del minore.
Gli effetti delle sentenze possono essere l'allontanamento del responsabile dalla
casa familiare, oltre alla inibizione di avvicinarsi in luoghi in cui svolge la vita della
vittima.

16
Matrimonio.
Matrimonio e famiglia.
Per l’art. 29, il matrimonio costituisce il fondamento della famiglia. E’ l’atto col quale
gli sposi si assumono l’impegno di realizzare una comunione di vita stabile e
socialmente garantita, caratterizzata dalla esclusività della relazione personale, dalla
reciprocità dell’assistenza e della contribuzione al soddisfacimento delle esigenze
comuni. Il matrimonio, come atto, è un negozio bilaterale, concorrendo alla sua
formazione la volontà dei due nubendi. Gli effetti sono regolati unicamente
dall’ordinamento civile. L’elemento costitutivo del matrimonio è rappresentato dalla
volontà manifestata personalmente ed incondizionatamente dagli sposi e nelle
forme previste dalla legge: l’atto è personalissimo e puro.
Le forme matrimoniali.
L'unico matrimonio riconosciuto come produttivo di effetti per l'ordinamento dello
stato restò quello contratto secondo le condizioni e le formalità previste dal codice
civile. Il cittadino interessato a vedere pure consacratosi religiosamente il propri
vincolo matrimoniale doveva ricorrere ad una doppia celebrazione. (Restando
comunque quella civile rilevante per il conseguimento degli effetti civili). Il sistema
fu profondamente mutato dal concordato fra stato e chiesa cui diede attuazione alla
legge matrimoniale 847/1929. Il nostro ordinamento è risultato caratterizzato così
da una pluralità di forme matrimoniali, in realtà quella da prendere in
considerazione sono solo 2 quella civile e quella concordataria. Quello
concordatario, richiamato dal codice civile nell'articolo. 82 rappresenterebbe il
modello di atto matrimoniale, essendo l'ordinamento statale impegnato a
riconoscere effetti civili al matrimonio disciplinato con rito canonico. Il matrimonio
celebrato secondo riti religiosi diversi da quello cattolico altro non sarebbe che un
matrimonio civile.

Libertà matrimoniale e promessa di matrimonio.


Il diritto alla formazione di una famiglia rappresenta un vero e proprio diritto
fondamentale della persona garantito dall'ordinamento come espressione della sua
libertà. La libertà matrimoniale è garantita contro ogni tentativo di influenzarla (art.
636). In tal modo la promessa di matrimonio non solo non obbliga a contrarre
matrimonio, ma neppure ad adempire prestazioni cui ci si sia eventualmente
impegnati per il caso di ripensamento (art. 79). Essa obbliga esclusivamente a
risarcire il danno cagionato dall'altra parte per le spese fatte e per le obbligazioni
assunte in vista del matrimonio. Devono essere in ogni caso restituiti i doni fatti dai
due fidanzati a causa della promessa di matrimonio. Si ritiene inoltre che vi sia un
obbligo di restituzione delle fotografie e della corrispondenza non tanto in quanto
doni ma in osservanza di una consuetudine.

Requisiti per il matrimonio civile.


Per contrarre matrimonio l'ordinamento richiede che i nubendi abbiano dei
requisiti. In taluni casi, la mancanza dei requisiti può essere superata con un
autorizzazione. Non risulta esplicitamente annoverata tra i requisiti del matrimonio
la diversità di sesso. L’art. 84, in via generale, ammette al matrimonio il
maggiorenne. Può essere ammesso al matrimonio, su istanza dell'interessato, il
sedicenne ma solo a seguito di un autorizzazione del tribunale per i minorenni ove
ricorrano gravi motivi, previo accertamento della sua maturità psicofisica e della
fondatezza delle ragioni addotte. Preclude la possibilità di contrarre matrimonio
all’interdetto per infermità di mente (art. 85). Possono invece contrarre matrimonio
l'interdetto a seguito di una condanna penale e l'inabilitato. Un altro requisito è la
libertà di stato, per cui non può contrarre matrimonio chi sia già vincolato
matrimonialmente essendo il nostro matrimonio fondato sul principio della
monogamia. Uno dei pilastri della nostra civiltà è anche la esogamia, divieto di
contrarre matrimonio in vista di uno stretto rapporto di parentela e affinità (art. 87).
L’art. 88 preclude il matrimonio tra le persone delle quali l’uno sia stata condannata
per omicidio consumato o tentato nei confronti del coniuge dell’altro. Divieto
temporaneo di nuove nozze (300 gg) per la donna.

Formalitá e celebrazione.
Le formalità che precedono la celebrazione del matrimonio rispondono alla funzione
di rendere nota la relativa intenzione dei nubendi, consentendo a chi ne sia a
conoscenza di proporre opposizione.
Le formalità sono la pubblicazione (affissione per 8 gg dell’avviso delle nozze, a cura
dell'ufficiale dello stato civile presso la porta della casa comunale) e l’opposizione.
L'art. 102 indica le persona che possono fare opposizione (in genere genitori e
parenti prossimi e il P.M). Sull'opposizione, da proporre con ricorso al presidente del
tribunale del luogo dove è stata eseguita la pubblicazione, decide il tribunale con
decreto motivato. Dopo 3 giorni dalla pubblicazione senza opposizione, l’ufficiale
dello stato civile può procedere alla celebrazione del matrimonio. Questa avviene, in
linea di massima, nella casa comunale, alla presenza di due testimoni con le relative
dichiarazioni, fatte personalmente, da ciascuno degli sposi, previa lettura degli artt.
143, 144, 147 cui segue la dichiarazione dell’ufficiale dello stato civile che essi sono
uniti in matrimonio (art. 107). Il matrimonio è atto puro, che non ammette
condizioni. L’ufficio dello stato civile redige l’atto di matrimonio, che viene poi
iscritto nell’archivio informatico del comune. L’atto assume rilevanza in quanto
rappresenta l’essenziale strumento prova del matrimonio (art. 130).

Invalidità del matrimonio.


Taluni difetti del procedimento di celebrazione del matrimonio danno luogo a mera
irregolarità, con conseguenti sanzioni pecuniarie a carico dell'ufficiale civile e
eventualmente dagli sposi. (Omissione della pubblicazione, mancata presenza dei
testimoni, incompetenza dell'ufficiale civile ecc.) la violazione delle prescrizioni in
materia di requisiti richiesti per contrarre matrimonio e la difettosità del consenso
determinano l'inettitudine dell'atto matrimoniale a produrre i suoi effetti, con la
possibilità accordata ad una sfera più o meno ampia di soggetti di contestarne la
validità. Si parla talvolta anche di inesistenza del matrimonio, per alludere alla
situazione in cui risultino, nel procedimento, carenze tali da impedire la stessa
identificabilità come atto matrimoniale. L’invalidità del matrimonio si ricollega ai
difetti genetici dell’atto matrimoniale, mentre un difettoso svolgimento del rapporto
matrimoniale consente la richiesta di separazione personale e del divorzio. La
distinzione tra nullità ed annullabilità può essere utilizzata per contrapporre le
ipotesi di invalidità insanabile (delitto, mancanza di libertà), a quelle in cui il vizio
dell’atto matrimoniale sia rimediabile (sanabile). Il matrimonio è impugnabile ove sia
stato contratto in assenza di uno dei suoi requisiti, per l'art. 84 relativo all'età, 86
relativo alla libertà di stato (non può contrarre matrimonio chi è vincolato da un
matrimonio precedente), 87 inerente ai gradi di parentela, 88 che fa riferimento
all'impossibilità di contrarre matrimonio per le persone delle quali l'una è stata
condannata per omicidio consumato o tentato suo coniuge dell'altra. Esso può
essere impugnato pure nell'ipotesi di interdizione per infermità di mente. Il
matrimonio risulta impugnabile per capacità di intendere o di volere. Quale vizi del
consenso, l’art. 122 contempla la violenza (minaccia finalizzata all’estorsione del
consenso), il timore (quando sia di eccezionale gravità e derivi da cause esterne allo
sposo), l’errore (falsa rappresentazione della realtà che induce a prestare il
consenso).
E’ possibile impugnare il matrimonio per simulazione quando “gli sposi abbiano
convenuto di non adempiere agli obblighi e non esercitare i diritti”.

Conseguenze di invalidità.
Per effetto dell’annullamento o della dichiarazione di nullità del matrimonio, i
coniugi riacquistano il loro stato libero con effetto retroattivo, come se il matrimonio
non fosse stato celebrato. Tuttavia, gli effetti del matrimonio valido o putativo (cioè
del matrimonio che taluno dei coniugi o entrambi reputavano valido) si producono
fino al momento della pronuncia giudiziale nei seguenti casi (art. 128 cod. civ.):

Riguardo ai coniugi – Qualora entrambi lo abbiano celebrato in buona fede (cioè


ignorando l’esistenza di una causa di nullità), oppure quando il loro consenso sia
stato estorto con violenza o determinato da timore di eccezionale gravità derivante
da cause esterne agli sposi, il matrimonio si considera valido fino al momento della
pronuncia di annullamento. In tal caso il tribunale può disporre a carico di uno di
essi e per un periodo di tempo non superiore a tre anni l’obbligo di corrispondere
all’altro un assegno periodico per alimenti, se questi non abbia redditi adeguati e
non sia passato a nuove nozze.

Qualora, invece, uno solo dei coniugi abbia celebrato il matrimonio in buona fede,
gli effetti del matrimonio putativo si producono solo in suo favore e riguardo ai suoi
figli. In tal caso questi ha diritto ad ottenere: a) una congrua indennità (che non può
superare il mantenimento per tre anni) dal coniuge cui sia imputabile la nullità del
matrimonio o dal terzo eventualmente responsabile; b) gli alimenti, in assenza di
altri coobbligati.

Qualora entrambi i coniugi avessero celebrato il matrimonio in mala fede, gli effetti
del matrimonio putativo si producono solo rispetto ai figli, salvo che la nullità sia
dovuta da incesto.

Riguardo ai figli – Il matrimonio putativo produce gli stessi effetti del matrimonio
valido nei confronti di costoro, tanto nel caso in cui siano nati durante il matrimonio,
quanto nel caso in cui siano nati prima del matrimonio e riconosciuti prima della
sentenza che ne abbia dichiarato l’invalidità.
Qualora, invece, i coniugi abbiano celebrato il matrimonio in mala fede (cioè
consapevoli della sua nullità), esso ha comunque nei confronti dei figli lo stesso
effetto del matrimonio valido, a meno che l’invalidità dipenda da bigamia o incesto.
In tale ipotesi costoro assumono lo stato di figli naturali riconosciuti, nei casi in cui il
riconoscimento è consentito.

Matrimonio concordatario.
È il matrimonio celebrato secondo i riti della regione cattolica che in base agli
accordi tra la chiesa cattolica ed il governo italiano ha effetti anche di natura civile.
Sappiamo che gli stati moderni sono laici e, quindi, indifferenti alle vicende religiose
delle chiese che operano al loro interno.
Non si può ignorare, tuttavia, che in Italia la regione cattolica ha profonde radici e fa
parte integrante della nostra storia e cultura. Uno degli aspetti dove maggiormente
si riscontra questo legame con la cultura cattolica è sicuramente quello della
famiglia, dove, tradizionalmente, la chiesa cattolica interviene in diversi momenti
della vicenda familiare.
Per questi motivi lo Stato italiano non è rimasto indifferente al sacramento del
matrimonio, riconoscendo effetti civili al rito matrimoniale celebrato innanzi ad un
ministro della chiesa cattolica.
Nel nostro ordinamento esiste il matrimonio civile, di cui ci siamo già occupati, e il
matrimonio concordatario regolato dal concordato del 1929 (l. 27\05\1929 n. 847) e
dall'accordo di revisione del concordato siglato insieme ad un protocollo addizionale
il 18 febbraio 1984.
Osserviamo subito che il concordato del 1929 non è stato abrogato nel suo
complesso, ma sono state abrogate le singole disposizioni incompatibili con i nuovi
accordi. Vediamo, quindi, gli aspetti essenziali del matrimonio concordatario.

Le questioni relative alla costituzione e validità del vincolo sono regolate dal diritto
canonico e rientrano nella giurisdizione dei tribunali ecclesiastici, mentre tutto ciò
che attiene al rapporto e il procedimento giurisdizionale relativo alla esecutorietà
delle sentenze ecclesiastiche di nullità rientra nella competenza dello Stato

La celebrazione del matrimonio canonico deve essere preceduta dalle pubblicazioni


eseguite a cura del parroco con affissione di avviso innanzi alla porta della chiesa
contenente tutte le notizie necessarie per individuare gli sposi. Le pubblicazioni
devono, inoltre, essere eseguite anche alla porta della casa comunale. Trascorsi i
termini di legge, l'ufficiale di stato civile, ove rilevi che non gli sia stata notificata
alcuna opposizione, rilascia un certificato dove si dichiara che non esistono cause
che si oppongono alla celebrazione del matrimonio valido ai di effetti civili.

La celebrazione avviene con rito religioso, con prevista lettura degli artt. circa i diritti
e i doveri dei coniugi. La celebrazione è seguita dalla redazione dell’atto di
matrimonio (sep. beni, riconoscimento figli naturali), in doppio originale, per
consentire la trasmissione di uno di essi all’ufficiale dello stato civile.

L'atto di matrimonio, formato dal celebrante e sottoscritto dagli sposi e dai


testimoni, deve essere trasmesso entro cinque giorni all'ufficiale di stato civile per la
trascrizione nei registri di stato civile. Il matrimonio, intervenuta la trascrizione
ordinaria o tempestiva, produce gli effetti al momento stesso della celebrazione. È
ammessa anche la trascrizione tardiva, ove l'atto di matrimonio non venga
trasmesso entro cinque giorni dalla celebrazione. In questo caso occorre la richiesta
dei due sposi, o anche uno di essi, e che entrambi abbiano conservato
ininterrottamente lo stato libero dal momento della celebrazione a quello della
richiesta. Con la revisione del concordato si considera venuta meno la riserva di
giurisdizione precedentemente sussistente in materia. Anche i tribunali civili
possono dunque sindacare la validità del matrimonio concordatario.

Effetti
Rapporti personali tra i coniugi.
La riforma del ’75 ha dato piena attuazione, nei rapporti tra i coniugi, al principio
costituzionale per cui “il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica
dei coniugi (art. 29).
La disciplina contenuta nel c.c. istituzionalizza un modello di famiglia paritario e
partecipativo fondato sui valori di rispetto reciproco e solidarietà. Gli eventuali
interventi dell’ordinamento sono finalizzati affinché tale formazione sociale sia
realmente luogo di promozione e sviluppo della personalità di ciascuno. Art. 143
“con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i
medesimi doveri”. “Al loro accordo viene demandata la concreta articolazione degli
assetti organizzativi della vita familiare (art. 144).
Gli obblighi reciproci che derivano dal matrimonio sono quelli di fedeltà, assistenza
morale e materiale, collaborazione nell’interesse della famiglia, coabitazione e
contribuzione ai bisogni della famiglia (art. 143). La fedeltà rappresenta
imprescrittibile espressione della esclusività del rapporto personale, che si è visto
essere connaturale all’idea di matrimonio. Il dovere di assistenza morale e materiale
si presenta quale espressione particolarmente significativa di quel legame di
solidarietà che è alla base del matrimonio è che impone un vicendevolo aiuto
sopratutto nei momenti difficili. Non a caso il diritto di assistenza morale e materiale
è sospeso nei confronti del coniuge che si allontani in modo ingiustificato dalla
residenza familiare. Il dovere di collaborazione vale a precisare il precedente dovere
nel senso della promozione di un'attività secondo le proprie capacità. Importante è
anche il dovere di coabitazione e della conseguente localizzazione della vita
familiare attestata dal legislatore è definito nella residenza familiare con i possibili
risvolti penali del suo abbandono. Alle ipotesi che si collegano alla convivenza fa
riferimento la disciplina degli ordini di protezione contro gli abusi familiari che
comportano anche l'imposizione dell'allontanamento dalla casa familiare.

Problema discusso è quello della sanzione per l’inosservanza dei doveri familiari, una
volta ritenuta pacifica la loro incoercibilità. L’avere il comportamento tenuto dal
coniuge in violazione di tali doveri causato la crisi coniugale rende a lui
eventualmente addebitabile la separazione personale rientrando la valutazione
delle ragioni e della decisione anche tra gli elementi da considerare per la
determinazione dell’assegno di divorzio.
In conseguenza del matrimonio, la moglie aggiunge al proprio cognome quello del
marito (143 bis). Secondo quella che viene definita come regola dell’accordo nel
governo della famiglia, i coniugi concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e
fissano la residenza della famiglia, alla luce delle esigenze di entrambi e quelle
collettive (art. 144). A ciascuno dei coniugi spetta il potere di attuale l’indirizzo
concordato (art. 144). Indubbiamente, il governo della famiglia fondato sulla regola
dell'accordo, pone il problema della conseguente mancanza dell'accordo. La
soluzione per la salvaguardia dell'unità familiare, è stata trovata nel prevedere un
intervento del giudice in caso di disaccordo. Per evitare che un simile intervento
determini una lesione dell'autonomia dei coniugi si è previsto che esso abbia
carattere essenzialmente conciliativo in quanto mirato al raggiungimento di una
soluzione concordata. Ove vi siano contrasti sul accordo tra i due coniugi vi sarà un
giudice che adotterà la soluzione più opportuna.
Regime patrimoniale della famiglia.

Prima della riforma del diritto di famiglia, del 1975, spettava al marito somministrare
alla moglie tutto ciò che era necessario ai bisogni della vita, in proporzione alle sue
sostanze. La moglie doveva a sua volta contribuire al mantenimento del marito, solo
se quest'ultimo non possedeva mezzi sufficienti. L'introduzione dell'eguaglianza
giuridica tra i coniugi ha imposto l'obbligo per entrambi di contribuire ai bisogni
della famiglia in proporzione delle rispettive sostanze e capacità di lavoro
professionale o casalingo. I coniugi regolano i propri rapporti patrimoniali scegliendo
un regime patrimoniale. La riforma ha innovato profondamente anche questo
settore. Infatti, prima del 1975, il regime consisteva nella separazione dei beni ed
era ammissibile la comunione solo mediante la stipulazione di convenzioni
matrimoniali: attualmente, invece, la legge disciplina i seguenti regimi patrimoniali:
a) comunione dei beni

b) separazione dei beni

c) fondo patrimoniale

d) comunione convenzionale

Bisogna comunque indicare che il regime di comunione legale è "automatico" nel


senso che viene adottato in mancanza di una diversa dichiarazione di volontà (art.
159 c.c.). Convenzioni matrimoniali.
Le convenzioni matrimoniali sono gli accordi coi quali gli sposi, eccezionalmente con
l’intervento di un terzo, adottano un regime patrimoniale della famiglia diverso da
quello legale di comunione. Sono dei regimi atipici non previsti dalla legge o previsti
dalla legge come la separazione dei beni.
I coniugi, oltre alla scelta del regime di separazione dei beni, possono accordarsi per
la costituzione del fondo patrimoniale o per dar vita ad una comunione
convenzionale o a un’impresa familiare. Le convenzioni matrimoniali possono essere
stipulate in ogni tempo, anche dopo la celebrazione del matrimonio e possono
essere sempre liberamente modificate con il consenso di tutti coloro che le hanno
formate.
Originariamente era prevista l’autorizzazione del giudice al loro mutamento mentre
ora, con una legge del 1981, questa necessità è stata soppressa.
Per la stipulazione delle convenzioni è prevista, pena nullità, la forma dell’atto
pubblico.
Attraverso le convenzioni matrimoniali i coniugi possono apportare delle modifiche
al regime di comunione dei beni:
1) possono restringerlo ad alcune della categorie di beni indicati dalla legge;
2) possono allargarlo ad altre categorie: per esempio facendo cadere in comunione
anche i proventi dell’attività di ciascun coniuge;
3) possono costituire causa di scioglimento della comunione legale.

Circa la capacità di agire, anche il minore ammesso a contrarre matrimonio è


reputato capace di stipulare le relative convenzioni con l'assistenza del tutore o dei
genitori. L'inabilitato deve essere assistito dal curatore. Le convenzioni o la scelta del
regime di separazione dei beni devono essere annotate a margine dell’atto di
matrimonio comprese la data del contratto, le generalità del notaio rogante e dei
contraenti per essere opponibili ai terzi che vogliano acquisire un diritto sui beni
oggetto delle stesse.
Nel caso in cui tali convenzioni abbiano ad oggetto beni immobili o mobili registrati
è richiesta la trascrizione come forma di pubblicità dal momento che è necessaria
l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio anche in questo caso per
l’opponibilità ai terzi.

Comunione legale.
Il regime è stato ritenuto indicato per rispondere all’esigenza di rispecchiare un
modello familiare che valorizzi la comunità di vita tra i coniugi. Con tale regime si è
assicurato ad entrambi i coniugi una partecipazione in piena eguaglianza per
l'accumulo e la gestione delle ricchezze familiari. La comunione legale ha carattere
non universale, in quanto non si estende ai beni di cui i coniugi erano titolari
anteriormente al matrimonio, sia perché lascia a ciascuno dei coniugi la titolarità dei
beni essenziali per garantirgli una sfera di libertà in campo personale e
professionale.

Vediamo ora quali beni rientrano a far parte della comunione legale di beni e quali
ne sono esclusi. Cominciamo con i primi indicati dall'articolo 177 c.c.

Costituiscono oggetto della comunione:


Gli acquisti compiuti dai due coniugi, insieme o separatamente durante il
matrimonio, ad esclusione dei beni personali, le aziende gestite da entrambi i
coniugi e costituite dopo il matrimonio, i frutti dei beni propri di ciascuno dei
coniugi, percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione, i proventi
dell'attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della comunione,
non siano stati consumati. Vediamo che non tutti i beni oggetto della comunione
hanno lo stesso regime giuridico.
I primi due, infatti, vi rientrano sempre e comunque, mentre gli ultimi, due fanno
parte della comunione solo al momento del suo scioglimento.
Si tratta della c.d. comunione di residuo, cioè di beni che normalmente non
rientrano nella comunione legale, ma ne fanno parte solo al momento suo
scioglimento se esistenti.
Facciamo l'ipotesi che uno dei coniugi abbia ricevuto il canone di locazione del mese
di aprile di un suo immobile e che tale somma di denaro non sia stata ancora spesa.
Nel caso di scioglimento della comunione proprio ad aprile, il coniuge proprietario
dovrà dividere con l'altro tale somma di denaro, ma non le successive che percepirà
come canone di locazione per i mesi successivi.

La comunione legale ha ad oggetto quasi tutti i beni acquistati durante il


matrimonio, ma ne sono in ogni caso esclusi i "beni personali" indicati nell'articolo
179 del codice civile.

Beni personali:

a) i beni di cui, prima del matrimonio, il coniuge era proprietario o rispetto ai quali
era titolare di un diritto reale di godimento
b) i beni acquisiti successivamente al matrimonio per effetto di donazione o
successione, quando nell'atto di liberalità o nel testamento non è specificato che
essi sono attribuiti alla comunione
c) i beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge ed i loro accessori (cioè di
beni che non si prestano ad un uso comune, come vestiti, ma anche gioielli, pellicce,
etc.)
d) i beni che servono all'esercizio della professione del coniuge, tranne quelli
destinati alla conduzione di un'azienda facente parte della comunione
e) i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno nonché la pensione attinente alla
perdita parziale o totale della capacità lavorativa
f) i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni personali sopraelencati o
col loro scambio, purché ciò sia espressamente dichiarato all'atto dell'acquisto

Sono, quindi, beni personali quelli acquistati prima del matrimonio, mentre per gli
acquisti avvenuti successivamente l'art. 179 distingue due categorie e cioè:

1. beni che appartengono in ogni caso ad uno dei coniugi;


2. beni che possono essere convenzionalmente esclusi dalla comunione.

Nel secondo gruppo rientrano i beni acquistati con il prezzo ricevuto dalla vendita di
beni personali o con il loro scambio, purché ciò sia espressamente dichiarato
nell'atto di acquisto.
Se, ad esempio, il marito vende un appartamento di sua proprietà esclusiva e con il
ricavato acquista un nuovo immobile durante il matrimonio, tale acquisto non
rientrerà nella comunione solo se il marito dichiari, all'atto dell'acquisto, che
l'immobile è acquistato con il prezzo della vendita del suo appartamento.

L’amministrazione dei beni della comunione spetta di regola, ai coniugi


disgiuntamente; congiuntamente invece per gli atti eccedenti l’ordinaria
amministrazione. Il rifiuto del consenso dell'altro coniuge interessato può essere
superato con un'autorizzazione giudiziaria richiesta dal coniuge interessato, nel caso
di atto necessario nell'interesse della famiglia o dell'azienda comune. In alcune
circostanze, il compimento degli atti di amministrazione richiedenti il consenso di
entrambi i coniugi può essere affidato ad uno solo di essi, in altri casi (minore di età,
interdizione, impedimento durevole, cattiva amministrazione) il giudice può
escludere uno dei coniugi dall'amministrazione. Gli atti compiuti da un coniuge
senza il necessario consenso dell’altro (184) ove concernano beni immobili o mobili
registrati, sono annullabili, su richiesta del coniuge il cui consenso era necessario,
entro un anno; se l’atto ha ad oggetto beni mobili, esso resta valido, ma il coniuge
che lo ha compiuto deve ripristinare la comunione nello stato un cui si trovava
precedentemente.

Ai fini della responsabilità per i debiti, rileva la distinzione tra i creditori personali di
ciascun coniuge e quelli per obblighi gravanti sui beni della comunione (creditori
della comunione). I primi possono rivalersi sui beni personali del coniuge debitore e
solo sussidiariamente, fino al valore corrispondente alla sua quota (metà) sui beni
comuni. I secondi hanno a disposizione il patrimonio comune e solo
sussidiariamente possono agire sui beni personali di ciascun coniuge.

Lo scioglimento della comunione è determinato da eventi che comportano il venir


meno della comunità di vita (morte, dichiarazione di assenza o di morte presunta,
annullamento del matrimonio, divorzio, separazione personale), oltre che dal
mutamento convenzionale del regime patrimoniale e dal fallimento di uno dei
coniugi. Esso è determinato, su richiesta dei coniugi, anche dalla separazione
giudiziale dei beni. Con lo scioglimento si tende a ritenere che subentri un regime di
comunione ordinaria sui beni già oggetto di comunione legale. La divisione dei beni
avviene ripartendo in parti eguali l’attivo e il passivo, dopo gli opportuni rimborsi e
restituzioni (192). Il giudice può costituire, in relazione alla necessità della prole, a
favore di uno dei coniugi l'usufrutto su una parte dei beni spettanti all'altro.

Regimi non convenzionali.


Ai sensi dell’art. 210, le parti, con una convenzione matrimoniale, possono
modificare il regime della comunione legale. Alle parti è consentito ampliare
l’oggetto della comunione, allargandola ai beni che non vi rientrerebbero, ma anche
restringere la relativa portata, eccetto legge. Diffusa è l’opzione degli sposi per la
separazione dei beni che attribuisce una maggiore autonomia individuale ai coniugi,
restando ciascuno titolare esclusivo dei beni acquistati durante il matrimonio e
potendo goderli e amministrarli liberamente. Di notevole rilevanza è il principio per
cui ove manchi la prova della proprietà esclusiva di un bene esso si presume in
comunione per quote uguali. Diffuso è il fondo patrimoniale, ove determinati beni
sono destinati a far fronte ai bisogni della famiglia. L’amministrazione spetta ad
entrambi i coniugi.

Impresa familiare.
L'impresa familiare è caratterizzata dal fatto che in essa collaborano familiari
dell'imprenditore. La finalità perseguita è quella di garantire una tutela adeguata a
costoro senza che sia giuridicamente configurabile un rapporto di diversa natura.
Pur non avendo la veste di imprenditori, i familiari partecipanti hanno da una parte il
diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia, dall'altra
di partecipare agli utili ed agli incrementi dell'azienda, in proporzione alla qualità e
quantità del lavoro prestato. Inoltre le decisioni di maggiore rilevanza per la vita
dell'impresa devono essere adottate a maggioranza dei familiari partecipanti. Oltre
ad avere un diritto, ove venga a cessare o sia alienata l'azienda, alla liquidazione in
danaro del proprio diritto di partecipazione, il familiare ha pure un diritto di
prelazione sull'azienda in caso di divisione ereditaria o di relativo trasferimento.

17
Crisi coniugale.
La disciplina della crisi del rapporto coniugale rappresenta l’aspetto più delicato
della regolamentazione complessiva del fenomeno familiare. Il legislatore è
chiamato ad assicurare il rispetto della piena eguaglianza dei coniugi, garantendo
l’interesse dei figli ad idonee condizioni di sviluppo della personalità. Il principio da
quale non può prescindere qualsiasi intervento legislativo è quello rappresentato
dalla protezione costituzionale del matrimonio e della famiglia, nella relativa
interdipendenza. I podromi della crisi del rapporto coniugale tendono a farsi
avvertire attraverso l'insorgere di una conflittualità in relazione alle decisioni
concernenti la gestione della comunità familiare. Le procedure di separazione
personale e di divorzio sono indirizzate espressamente alla riconciliazione dei
coniugi attraverso l'apertura di spazi di riflessione e di ripensamento contro
iniziative avventate e dettate dal prevalere di fattori emozionali.

Separazione personale dei coniugi.


Il venir meno della comunione di vita coniugale e le sue conseguenze erano
disciplinati esclusivamente attraverso la separazione personale, comportante una
modificazione dei rapporti tra i coniugi destinati a restare comunque tali. Con
l'introduzione del divorzio la separazione personale ha assunto i connotati di
situazione funzionalmente provvisoria dato che essa vale a determinare una pausa
di riflessione nei rapporti tra i coniugi destinata a sfociare nel superamento della
conflittualità, con la riconciliazione, oppure, nel divorzio. La riforma del 1975 ha
abbandonato il previdente modello di separazione basato sulla necessità di
dimostrazione da parte del coniuge di una responsabilità dell'altro. Si è virati
principalmente sul constatazione di una situazione di intollerabilità della convivenza.
L'ordinamento ricollega alla separazione legale il momento di formalizzazione della
crisi coniugale, vediamo però che taluni effetti derivano pure dalla mera separazione
di fatto che ha come conseguenza la decisione di interrompere la convivenza, presa
d'accordo o unilateralmente. L’allontanamento dalla residenza familiare determina
sospensione del diritto all’assistenza morale e materiale nei confronti del coniuge
che rifiuti di tornarci.
La separazione legale può essere:

A) Consensuale, si fonda su un accordo dei coniugi, esteso sia alla decisione di


separarsi, sia alla regolamentazione dei propri futuri rapporti reciproci e di quelli con
i figli. L’accordo è sottoposto al controllo dell’autorità giudiziaria che svolge il
proprio lavoro e vede se le condizioni sono conformi all’ordinamento (158).
Attraverso la separazione il rapporto rimane in piedi, ma si allenta, viene meno
l’obbligo di coabitazione.

B) Giudiziale, un procedimento attraverso il quale uno solo dei coniugi o ciascuno di


essi con proprio ricorso autonomo chiedono al Tribunale competente di pronunciare
una sentenza di separazione che regoli i loro rapporti, e quelli dei figli, essendo
cessata la convivenza tra loro

Per riconciliazione si intende l’accordo con cui i coniugi fanno cessare gli effetti della
separazione; può avvenire anche tramite dichiarazione tacita.

Effetti separazione personale.


La separazione determina, con la cessazione della convivenza, una modificazione del
rapporto coniugale, soprattutto con riguardo ai beni personali. Permane tra i coniugi
un rapporto solidaristico, destinato a cessare col divorzio. La separazione non priva
la moglie del diritto all’uso del cognome del marito salvo divieto giudiziale.
Al coniuge cui non sia addebitabile la separazione spetta, un assegno di
mantenimento, qualora non abbia adeguati redditi propri, dovendosi determinare
l’entità della somministrazione in rapporto alle risorse economiche dell’altro
coniuge. Per la valutazione della disparità economica tra i due coniugi corre tener
presente la situazione patrimoniale complessiva di ciascuno, da ritenere
comprensiva non solo di redditi ma anche di cespiti e di ogni altra utilità a
disposizione. L’obiettivo è quello di consentire al coniuge economicamente più
debole la conservazione di un tenore di vita analogo a quello precedente.
All'assegno di mantenimento viene applicato poi la disposizione dettata per
l'assegno di divorzio relativa all'adeguamento monetario in dipendenza della
svalutazione.
Il coniuge cui sia stata addebitata la separazione non gode del diritto all’assegno di
mantenimento, potendo vedersi attribuire solo un più esiguo assegno alimentare se
versi in condizioni di bisogno. Il coniuge cui non è addebitata la separazione
continua a godere in pieno dei diritti successori che gli derivano dalla qualità di
coniuge, quello al quale la separazione sia stata addebitata ha solo diritto ad un
assegno vitalizio.

Divorzio.
Fino all'emanazione della "Legge sul Divorzio" (legge n. 898/1970, detta anche
"Legge Fortuna-Baslini"), non erano previste cause di scioglimento del matrimonio
diverse dalla morte di uno dei coniugi: prima dell'avvento della Legge sul Divorzio, il
matrimonio era quindi considerato legalmente indissolubile. La Legge sul Divorzio
prevede i casi in cui è consentito il divorzio; il caso di gran lunga prevalente è dato
dalla separazione legale dei coniugi che dura senza interruzioni da almeno 12 mesi
se la separazione è giudiziale o da almeno 6 mesi se la separazione è consensuale
(tali termini sono stati previsti dalla c.d. Legge sul Divorzio breve, in vigore dal 26
maggio 2015, e sostituiscono il precedente termine di 3 anni). Il procedimento di
divorzio può essere contenzioso o a domanda congiunta e, una volta pronunciato,
ha effetti sul piano civile, patrimoniale, successorio e sull'affidamento degli eventuali
figli. Anziché rivolgersi al Tribunale gli ex-coniugi possono ora divorziare mediante
un accordo raggiunto al termine della procedura di negoziazione assistita da un
avvocato, prevista dal DL 132/2014 così come convertito, oppure - a certe condizioni
- mediante un accordo raggiunto davanti al Sindaco quale Ufficiale di Stato Civile.

Nel caso di matrimonio civile (ossia di matrimonio contratto in Comune davanti


all’Ufficiale dello Stato Civile), il divorzio è lo scioglimento definitivo del vincolo
matrimoniale, pronunciato con sentenza da parte del Tribunale competente; lo
scioglimento del vincolo può essere ora l’effetto anche di un accordo raggiunto al
termine di un’apposita procedura di negoziazione assistita da un avvocato,
introdotta dal DL 132/2014, oppure di un accordo innanzi al Sindaco quale Ufficiale
di Stato Civile (ma solo se ricorrono determinate condizioni).
In caso di matrimonio concordatario (ossia quando il matrimonio è stato celebrato
in Chiesa e poi regolarmente trascritto nei registri dello Stato Civile del Comune), si
parla più propriamente di “cessazione degli effetti civili” del matrimonio stesso:
permangono infatti gli effetti sul piano del sacramento religioso (a meno che non si
ottenga una pronuncia di annullamento o di nullità da parte del Tribunale
Ecclesiastico Regionale o della Sacra Rota).
Prima di pronunciare la sentenza di divorzio, il Tribunale deve sempre tentare la
riconciliazione e accertare che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non
possa più essere mantenuta o ricostituita (art. 1 della Legge sul Divorzio): in altre
parole, prima di pronunciare il divorzio il Giudice deve sincerarsi che la frattura nei
rapporti fra marito e moglie non possa essere in alcun modo ricomposta.
Oltre a ciò, il Giudice deve controllare la sussistenza di almeno uno dei presupposti
tassativamente previsti dalla legge. In estrema sintesi, i casi di divorzio sono i
seguenti:

1)i coniugi sono separati legalmente e, al tempo della presentazione della domanda
di divorzio, lo stato di separazione dura ininterrottamente da almeno 12 mesi se la
separazione è giudiziale o da almeno 6 mesi se la separazione è consensuale (tale
termine decorre in ogni caso dal giorno della comparizione delle parti davanti al
Presidente del Tribunale nel procedimento di separazione);

2)uno dei coniugi ha commesso un reato di particolare gravità (ad esempio è stato
condannato con sentenza definitiva all’ergastolo o a una pena superiore a 15 anni di
reclusione) oppure – a prescindere dalla durata della pena - è stato condannato per
incesto, delitti contro la libertà sessuale, prostituzione, omicidio volontario o tentato
di un figlio, tentato omicidio del coniuge, lesioni aggravate, maltrattamenti, ecc.;

3)uno dei coniugi è cittadino straniero e ha ottenuto all’estero l’annullamento o lo


scioglimento del vincolo matrimoniale o ha contratto all’estero un nuovo
matrimonio;

4)il matrimonio non è stato consumato;

5)è stato dichiarato giudizialmente il cambio di sesso di uno dei coniugi.

Procedimento in contenzioso.
Lo scioglimento del vincolo matrimoniale può essere richiesto da uno dei coniugi,
anche se l’altro coniuge non è d’accordo.
Il procedimento cd. in contenzioso (per la mancanza di accordo dei coniugi) si svolge
innanzi al Presidente del Tribunale del luogo in cui il secondo coniuge ha la propria
residenza o il proprio domicilio; nel caso in cui il secondo coniuge sia residente
all’estero o risulti irreperibile, la domanda di divorzio si presenta al Tribunale del
luogo di residenza o di domicilio del coniuge richiedente.
Nel ricorso si deve aver cura di indicare l’esistenza di figli di entrambi i coniugi.
Se il coniuge richiedente è residente all’estero, è competente qualunque Tribunale.
Ciascun coniuge deve essere assistito da proprio difensore.
Come previsto dalla Legge sul Divorzio, alla prima udienza il Presidente del Tribunale
tenta la conciliazione e accerta che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi
non possa essere mantenuta o ricostituita. Il Presidente emana quindi un’ordinanza
con i provvedimenti temporanei e urgenti necessari per regolamentare gli aspetti
patrimoniali e che interessano i figli nella pendenza del procedimento. Il Presidente
nomina un Giudice Istruttore e fissa la data della relativa udienza innanzi a
quest’ultimo. Il procedimento prosegue poi come un processo ordinario, con la
fissazione di altre udienze. Se il procedimento comporta una lunga fase istruttoria,
vale a dire un lungo periodo di acquisizione delle prove (testimoni, perizie, ecc.), il
Tribunale emana una sentenza provvisoria, che intanto consenta ai coniugi di
riottenere lo stato libero.

Procedimento a domanda congiunta.


Lo scioglimento del vincolo matrimoniale può essere richiesto da entrambi i coniugi.
Come nel divorzio in contenzioso, anche in questo caso le parti devono stare in
giudizio assistiti da un difensore, che può essere unico per entrambi.
Il procedimento si svolge innanzi al Tribunale in camera di consiglio, ossia con una
procedura molto più snella del divorzio in contenzioso.
In questo caso tutto si esaurisce in una sola udienza innanzi al Tribunale in camera di
consiglio: l’udienza è fissata dal Presidente del Tribunale dopo aver letto il ricorso.
All’udienza il Tribunale tenta la conciliazione e accerta che la comunione spirituale e
materiale tra i coniugi non può più essere mantenuta o ricostituita. Quindi il
Tribunale verifica la sussistenza dei presupposti richiesti dalla Legge sul Divorzio ed
emette la sentenza di scioglimento del vincolo matrimoniale (o di cessazione degli
effetti civili, in caso di matrimonio concordatario).
L’iter del divorzio a domanda congiunta è quindi più veloce e più semplice dell’iter
del divorzio giudiziale.

Sia che venga emessa al termine di un procedimento in contenzioso, sia che venga
emessa alla fine di un procedimento “a domanda congiunta”, la sentenza di divorzio
viene trasmessa all’Ufficiale di Stato Civile per l’annotazione nel Registro dello Stato
Civile del luogo in cui fu trascritto il matrimonio.
Effetti del divorzio.
La sentenza di divorzio produce i seguenti effetti:

1)in caso di matrimonio civile, si ha lo scioglimento del vincolo matrimoniale; in caso


di matrimonio religioso, si verifica la cessazione degli effetti civili (permane, invece, il
vincolo indissolubile sul piano del sacramento religioso);

2)la moglie perde il cognome del marito che aveva aggiunto al proprio dopo il
matrimonio (ma può mantenerlo se ne fa espressa richiesta e il Giudice riconosce la
sussistenza di un interesse della donna o dei figli meritevole di tutela);

3)fintantoché il coniuge economicamente meno abbiente non passi a nuove nozze, il


Giudice può disporre che l’altro coniuge sia tenuto a corrispondere un assegno
periodico (detto “assegno divorzile”): l’importo è quantificato in base alle condizioni
e ai redditi di entrambi i coniugi, anche in rapporto alla durata del matrimonio (vedi
scheda sulla modificazione delle condizioni di divorzio);

4)viene decisa la destinazione della casa coniugale e degli altri beni di proprietà;

5)i figli minorenni vengono affidati a uno dei coniugi, con obbligo per l’altro di
versare un assegno di mantenimento della prole, o a entrambi congiuntamente (cd.
“affidamento condiviso”), nel rispetto di quanto previsto anche dagli artt. da 337-bis
a 337-octies cod. civ. (così come introdotti dal D.Lgs. 154/2013 in materia di
filiazione);

6)ciascuno dei coniugi perde i diritti successori nei confronti dell’altro;

7)se la sentenza di divorzio aveva a suo tempo riconosciuto a un coniuge il diritto


all’assegno di mantenimento, tale coniuge ha diritto anche alla pensione di
reversibilità dell’ex coniuge defunto (o a una sua quota), a condizione che nel
frattempo il coniuge superstite non si sia risposato.

In ogni caso, se uno dei coniugi matura il diritto al trattamento di fine rapporto (TFR)
prima che sia pronunciata la sentenza di divorzio, l’altro coniuge ha diritto a una
parte di tale importo.
18
Filiazione.
La disciplina della filiazione è forse quella che ha più inciso sulla legislazione in
materia familiare. Si tratta di una progressiva e globale revisione che muovendo
dall'art.30 della costituzione trova il suo fulcro nella riforma del 1975 è un suo
completamento nella legge 219/2012. Principio fondamentale che ne deriva
dall'art.30 comma 1 della costituzione è che è un dovere e diritto dei genitori
provvedere al mantenimento, istruzione ed educazione dei figli, anche quelli nati
fuori dal matrimonio. Di particolare importanza risulta l'esigenza di garantire al
minore il più completo sviluppo della persona umana. Tuttavia l'ordinamento
prevede che nel caso il genitore o i genitori risultino incapaci questi sono sollevati da
tali obblighi verso i figli. La disciplina che viene fuori dalla riforma prende le nette
distanze dal precedente modello caratterizzato dalla discriminazione legata ai figli
nati al di fuori del matrimonio. Tale categoria oggi trova una sua tutela nel comma 3
dell'art. 30 della costituzione secondo cui, per i figli nati al di fuori del matrimonio
l'ordinamento prevede una forma di tutela giuridica e sociale.

I risultati conseguiti dalla riforma del 1975 sono stati oggetto di un unanime
apprezzamento raggiungendo così l'equiparazione sostanziale tra i figli nati nel
matrimonio e i figli nati al di fuori del matrimonio. Tuttavia sul piano quotidiano
permaneva ancora qualche contrasto tra filiazione legittima e filiazione naturale e i
figli nati al di fuori del matrimonio. L'obbiettivo finale perseguito dal legislatore con
la legge 219/2012 fu quello di unificare i due termini, ossia filiazione nel matrimonio
e filiazione fuori il matrimonio, sotto lo status di figlio. Tale unitarietà è stata
completata poi sul piano lessicale provvedendo ad una sostituzione nel codice civile
della terminologia di figli legittimi e figli naturali con quella di figli. Per
l'instaurazione di un rapporto di filiazione, in mancanza di procreazione, risulta
essere di particolare importanza l'istituto dell'adozione atto alla tutela dell'interesse
del nato che si trovi irrimediabilmente senza assistenza.

Atto di nascita.
L'atto di nascita assume una fondamentale importanza in quanto presenta la
funzione di strumento di accertamento del rapporto di filiazione. L'atto di nascita è
formato sulla base della dichiarazione di nascita, correlato dall'attestazione di
avvenuta nascita, resa all'ufficiale dello stato civile dai due genitori, dal procuratore
o da parte di chi ha assistito al parto. Viene sottolineato come la madre possa
esprimere la volontà di non essere nominata in tale atto. Nell'atto di nascita sono
menzionate le generalità, cittadinanza e residenza dei genitori legittimi oppure di chi
intende proporre una dichiarazione di riconoscimento di filiazione naturale.

Accertamento di filiazione.
È considerato padre il marito della madre se il concepimento è avvenuto durante il
matrimonio. Risulta anche importante fissare il tempo di procreazione, e in tal modo
viene prevista la presunzione di concepimento durante il matrimonio. Si presume
concepito durante il matrimonio il nato non oltre il 300esimo giorno
dall'annullamento del matrimonio, dal relativo scioglimento (per morte o divorzio),
per separazione personale. Del nato dopo i 300 giorni, i genitori, i loro eredi possono
provarne comunque concepimento durante il matrimonio. Anche il figlio può
proporre azione per provare il concepimento durante il matrimonio.
La prova di filiazione avviene attraverso l'atto di nascita e in sua mancanza
dimostrando il continuo possesso dello stato di figlio.
Tale dimostrazione avviene provando 3 elementi:

1. Aver portato sempre il cognome del padre


2. Essere sempre stato trattato e ritenuto dal padre come un figlio
3. Essere sempre stato considerato nei rapporti sociali e della famiglia come
figlio.

L'atto di nascita preclude la pretesa all'attribuzione di uno stato diverso. Per


l'accertamento di stato diverso da figlio è necessaria una delle azioni previste dalla
legge.

1. L'azione di disconoscimento di paternità, che può essere esercitata da


entrambi i genitori. I termini per l'esercizio di tale azione sono diversi a
seconda del soggetto legittimato. Nel caso del padre questo può agire entro
un anno dalla nascita, mentre la madre entro 6 mesi dalla nascita. Non è
possibile disconosce il figlio oltre 5 anni dalla nascita.
2. L'azione di reclamo dello stato di figlio. Essa può essere proposta quando vi
siano state supposizioni di parto o quando vi siano stati scambi di neonato.
Con riguardo alla filiazione nel matrimonio, tale azione di reclamo può essere
esercitata da chi sia nato nel matrimonio ma sia stato iscritto nel registro
come figlio di ignoti. L'azione spetta al figlio ed è imprescrittibile.
3. L'azione di contestazione dello stato di figlio. imprescrittibile (art. 248); spetta
a chi, dall’atto di nascita, risulti suo genitore e a chiunque vi abbia interesse.
Sul piano della prova della filiazione, in mancanza dell’atto di nascita e del
possesso di stato, vi è la possibilità di fornirlo in giudizio con ogni mezzo.

Accertamento della filiazione fuori dal matrimonio.


L'attribuzione dello stato di figlio nato al di fuori del matrimonio avviene con un atto
di accertamento volontario (riconoscimento) o con un atto di accertamento
giudiziario (dichiarazione giudiziale della paternità o della maternità). La
dichiarazione giudiziale della filiazione fuori dal matrimonio produce gli stessi effetti
del riconoscimento e quindi l'attribuzione dello stato di figlio nella sua unitarietà
anche con riguardo all'instaurazione di vincoli di parentela. Per quanto riguarda
l'accertamento volontario si tratta di un atto unilaterale, pur se può avvenire
congiuntamente dai genitori, sempre personalissimo e puro. Con la riforma del 1975
era venuto meno il divieto di riconoscimento per i figli nati al di fuori dal matrimoni
da parte chi fosse già coniugato. Era rimasto invece quale ipotesi di irriconoscibilitá
quella legata ai figli incestuosi ovvero quelli generati attraverso il rapporto tra due
soggetti legati dagli stessi vincoli di parentela, in linea retta o in linea collaterale.
Oggi la nuova disposizione prevede il riconoscimento anche di questa categoria di
figli. Per effettuare il riconoscimento il genitore deve aver compiuto 16 anni e
qualora presenti un età inferiore il tribunale può predisporre il riconoscimento
attraverso un'autorizzazione. Il riconoscimento del figlio che abbia compiuto 14 anni
resta inefficace senza il suo assenso (250). Inoltre il riconoscimento del figlio
infraquattordicenne non può avvenire senza che l'altro coniuge lo abbia
riconosciuto. In caso di rifiuto del consenso, il genitore che intende effettuare il
riconoscimento, può rivolgersi al tribunale, il quale valutate le condizioni autorizzerà
il riconoscimento se lo ritiene corrispondente agli interessi del figlio. Il
riconoscimento può avvenire prima della nascita o prima della morte per garantire
gli interessi dei suoi discendenti. Il riconoscimento è un atto formale e può avvenire
nell'atto di nascita, con dichiarazione al momento del matrimonio, con dichiarazione
resa all'ufficiale dello stato civile o ad un notaio o per testamento. Il riconoscimento
è inammissibile, e quindi inefficace, se in contrasto con il già esistente stato di figlio.
L'azione di riconoscimento non può essere proposta oltre i cinque anni
dall'annotazione del riconoscimento.
Nel codice civile del 1865 la dichiarazione giudiziale di paternità era ammessa solo in
caso di ratto o di stupro. Nel 1942 si provvide ad allargare i casi. Nel 1975 è stato
sancito poi il principio per cui la dichiarazione giudiziale della paternità e della
maternità è consentita in tutti i casi in cui è ammesso il riconoscimento potendo la
prova essere fornita con ogni mezzo. La maternità è dimostrata provando l'identità
di chi si pretende essere figlio e di colui che fu partorito dalla donna che si intende
madre. La sola dichiarazione della madre e la sola esistenza di suoi rapporti col
preteso padre all'epoca del concepimento non costituiscono prova della paternità,
in considerazione dell'eventualità di una pluralità di partners. In ciò il giudice gode di
un ampia discrezionalità nella ricerca delle prove sopratutto legata all'evoluzione
scientifica attraverso prove ematologiche e genetiche. Il rifiuto ingiustificato di
sottoporsi ad esse è valutabile come elemento di prova. Tale azione è considerata
imprescrittibile per il figlio e può essere proseguita, dopo la sua morte, dai suoi
discendenti. L'azione può essere proposta, nell'interesse del minore, dal genitore
che esercita la responsabilità genitoriale o dal tutore. Per promuovere o proseguire
l'azione è necessario che il figlio abbia raggiunto i 14 anni e del suo consenso. Nel
caso del minore infraquattordicenne spetta al tribunale valutare il proseguimento
dell'azione se vi è un interesse del figlio.

Procreazione assistita.
La possibilità offerta dal progresso scientifico di intervenire nel processo riproduttivo
ha determinato l'insorgere di determinati problemi in ordine allo stato di figlio così
generato. Con la procreazione assistiamo allo scontro tra principi e regole affermati
in materia di filiazione, in particolare tra derivazione biologica e responsabilità nei
confronti del generato. Con la legge 40/2004 il nostro legislatore ha dettato una
regolamentazione della procreazione medicalmente assistita. E’ opportuno
sottolineare come pur essendo vietato il ricorso a tecniche di tipo eterologo
(comportanti l'utilizzazione di gameti estranei alla coppia che accede al
trattamento), non si sia mancato di disciplinarne le conseguenze. Coloro che si sono
prestati all'applicazione delle tecniche in esame, risulta precluso l'azione di
disconoscimento della paternità. Il donatore di gameti, resta estraneo a qualsiasi
rapporto con il nato. Il nostro ordinamento consente solo fecondazioni omologa
(utilizzo di gameti della coppia che accede al trattamento). Se si tratta di coppia
coniugata è precluso l’esercizio dell’azione di disconoscimento della paternità. Al
figlio si attribuisce “lo stato di figlio nato nel matrimonio o di figlio riconosciuti della
coppia che ha espresso la volontà di ricorrere a tecniche” (art.8). E’ vietata alla
madre la facoltà di non essere nominata, restando anonima.

Tutela del minore privo di assistenza. Affidamento.


L'ordinamento riconosce ai genitori, nelle situazioni di incapacità, di assolvere al loro
ruolo nei confronti dei figli. In tal modo il legislatore disciplina l'istituto dell'adozione
e dell'affidamento. Posto il principio per cui “il minore ha diritto di crescere ed esser
educato nella propria famiglia”, ad assicurare il rispetto dell’autonomia di questa
devono essere finalizzati gli opportuni “interventi di sostegno e aiuto”. Solo nel caso
in cui nonostante gli interventi di supporto la famiglia non è in grado di provvedere
alla crescita e all'educazione del minore, sono chiamati ad operare gli interventi con
una funzione sostitutiva. In un tale prospettiva, il minore, temporaneamente privo di
un ambiente familiare idoneo, può essere affidato ad una famiglia o ad una persona
singola, ovvero inserito in una comunità di tipo familiare. L’affidamento (carattere
temporaneo) è finalizzato ad assicurare un’adeguata tutela dell’interesse del
minore, nel tempo strettamente necessario a consentire, attraverso opportuni
interventi, il recupero della famiglia di origine, gli sforzi dei servizi sociali dovendo
indirizzari nel senso di agevolare i rapporti con la famiglia di provenienza ed il
rientro nella stessa del minore. Non a caso viene favorito l’affidamento previo
consenso dei genitori, solo in mancanza del quale provvede il tribunale per i
minorenni. Nel provvedimento di affidamento comunque devono essere sempre
disciplinati il mantenimento dei rapporti del minore con i genitori e gli altri
componenti della sua famiglia. Lo stesso affidatario, che ha il dovere di educazione,
ed istruzione del minore, deve tener conto delle indicazioni dei genitori, salvo che
costoro non presentino a loro carico provvedimenti relativi alla responsabilità
genitoriale. Non bisogna confondersi con l’affidamento pre-adottivo data la
finalizzazione di quest’ultimo all’inserimento definitivo, a seguito dell’adozione in
un’altra famiglia.

Adozione.
La finalità che l’adozione dei minori risulta chiamata ad assolvere attualmente nel
nostro ordinamento è l’inserimento del fanciullo in una nuova famiglia, con
l’acquisto dello stato di figlio legittimo nella pienezza del relativo rapporto con gli
adottanti.

a)L'adozione dei minori prevista a favore dei minori dichiarati in stato di adottabilità
(art. 7) a seguito di “una situazione di abbandono, perché privi di assistenza morale
e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi. L’adozione resta
consentita ai coniugi sposati da almeno 3 anni, pur essendo sufficiente una
convivenza stabile e duratura che si sia protratta per 3 anni prima del matrimonio. Ai
singoli invece è consentita l'adozione solo in casi particolari. I coniugi devono essere
“affettivamente idonei e capaci di educare, istruire i minori che intendano adottare”
e possono adottare più volte. La differenza di età tra adottante ed adottato viene
fissata in 18 anni. Il minore che abbia compiuto 14 anni deve presentare
personalmente il proprio consenso all’adozione e deve essere personalmente
sentito il minore dodicenne o comunque capace di discernimento. Non è accordata
facoltà di scelta agli aspiranti adottanti. La sentenza che dichiara lo stato di
adottabilità del minore viene pronunciata ad esito di una rigorosa verifica delle
condizioni previste: può esser impugnata dal p.m o dalle altri parti davanti la Corte
d’Appello. Divenuta definitiva è trascritta a cura del cancelliere su apposito registro.
A seguito dell’adozione, l’adottato acquista, a tutti gli effetti, lo stato di figlio nato
nel matrimonio degli adottanti, dei quali assume il cognome, mentre cessa ogni
rapporto con la sua famiglia d’origine. Egli ha diritto ha conoscere i suoi genitori
dopo i 25 anni.

b) Adozioni in casi particolari.


Il minore può essere adottato ove ricorrano particolari circostanze:
1) da parenti fino al sesto grado
2) dal coniuge del genitore
3) se i minori sono portatori di handicap
4) quando è constatata l’impossibilità di affidamento preadottivo.

La disciplina dell'adozione si allarga anche alle persone maggiori di età consentendo


la continuazione della famiglia dell'adottante esclusiva solo alle persone prive di
discendenti. Lo scopo dell’adozione delle persone maggiori di età resta quello di
assicurare la continuazione della famiglia dell’adottante. L’adozione richiede una
differenza di età di 18 anni. Occorrono entrambi i consensi e l’assenso dei genitori
dell’adottando e del coniuge dell’adottante e dell’adottando. La sentenza di
adozione viene pronunciata dal tribunale verificatane la corrispondenza con gli
interessi dell'adottando. Quando agli effetti l’adottato antepone quindi al proprio
cognome quello dell’adottante e acquista gli stessi diritti spettanti ai figli legittimi in
ordine alla successione dell’adottante. Conserva però tutti i diritti e doveri verso la
propria famiglia d’origine. L'adozione non va ad instaurare rapporti di parentela tra
l'adottato e i parenti dell'adottante.

La legge 184/1983 ha regolato anche il fenomeno dell'adozione internazionale la cui


diffusione è legata sopratutto alla difficoltà del ricorso all'adozione di minori italiani.
La normativa originaria è stata ampiamente modificata per accrescere le garanzie
nei confronti dei minori, evitando abusi e assicurando in ogni caso la tutela
dell'interesse del minore straniero. Per la ricerca del minore è stato fissato un iter
procedurale rigoroso. Gli aspiranti all'adozione di un minore straniero, aventi i
requisiti previsti per l'adozione di minori, devono ottenere un decreto attestante
l'idoneità ad adottare. Successivamente devono conferire l'incarico, a curare la
procedura di adozione, ad uno degli enti a ciò autorizzati dalla commissione per le
adozioni internazionali. L'ente svolge tutte le pratiche necessarie all'estero e le varie
attività per consentire l'incontro tra gli aspiranti all'adozione ed il minore,
trasmettendo alla commissione la documentazione richiesta. La commissione,
valutate le conclusioni dell'ente, dichiara che l'adozione risponde all'interesse del
minore e ne autorizza l'ingresso è la residenza in Italia a condizione che il minore si
trovi in una situazione di abbandono. L'adozione pronunciata all'estero produce gli
stessi effetti dell'adozione dei minori una volta che il tribunale abbia accertato che
sussistono i requisiti previsti dalla convenzione è che i provvedimenti siano conformi
ai principi fondamentali del nostro diritto di famiglia e dei minori ordinandone la
trascrizione nel registro dello stato civile. Ne consegue l'acquisto, da parte
dell'adottato, della cittadinanza italiana.

Rapporto di filiazione.
Secondo l'art. 315 “tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”. L’art. 315 bis
riconosce al figlio “il diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito
moralmente da genitori nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali
e delle sue aspirazioni”. Il mantenimento deve essere conforme al tenore di vita
della famiglia. Il diritto di mantenimento perdura oltre il raggiungimento della
maggiore età. L’obbligazione di mantenimento ha carattere solidale ed è ripartita tra
i genitori in proporzione delle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro
professionale o casalingo. Quando i genitori non hanno mezzi sufficienti sono gli
ascendenti a dover fornire ad essi i mezzi necessari all'adempimento dei loro doveri
nei confronti dei figli. Ove vi sia un inadempimento da parte di un genitore, può
essere obbligato che una quota di redditi dell'obbligato venga versata all'altro
coniuge o a chi sopporta le spese. Quanto al cognome, nel caso di filiazione nel
matrimonio, cui rientra l'ipotesi di adozione, il figlio assume quello del padre. Nel
caso di filiazione fuori dal matrimonio il figlio assume il cognome del genitore che
per primo lo riconosce e quello del padre se il riconoscimento è effettuato da
entrambi i genitori. Il figlio può decidere, ove vi sia stato riconoscimento della madre
e quindi l'assunzione del suo cognome, di assumere il cognome del padre che lo
riconosce successivamente, aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello
della madre. Se il figlio è minore, sarà il giudice a decidere circa l'assunzione del
cognome del padre. Il figlio ha il dovere (non sanzionabile) di rispettare i propri
genitori e, finché convive in famiglia, deve contribuire al relativo mantenimento, in
ragione delle sue sostanze e del suo reddito. Tali obblighi non cessano con il
raggiungimento della maggiore età. Alla responsabilità genitoriale, la cui titolarità
compete ad entrambi i genitori, il figlio è soggetto sino alla maggiore età o
all’emancipazione. Essa è esercitata di comune accordo dai genitori. Ciò ha indotto
ad introdurre un meccanismo atto a superare le eventuali situazioni di disaccordo.
Quando il contrasto tra i genitori verte su questioni di particolare importanza si
ricorre al giudice. Il giudice, ascoltato pure il figlio, svolge una funzione persuasiva è
solo se il contrasto per mano attribuisce il potere di decisione al genitore che ritiene
più idoneo a curare l'interesse del figlio. L'esercizio della responsabilità genitoriale si
concentra nelle mani di un solo genitore in caso di lontananza o altro impedimento
dell'altro. La responsabilità genitoriale non cessa con il venir meno della convivenza.
Al riconoscimento della filiazione al di fuori del matrimoni consegue la titolarità, per
il genitore che per primo lo riconosce, della responsabilità genitoriale. Ove il figlio
nato al di fuori del matrimonio venga riconosciuto da entrambi i genitori la
responsabilità spetta ad entrambi. Con riguardo al caso di riconoscimento di un figlio
nato fuori dal matrimonio da parte di persona coniugata, è rimessa al giudice la
decisione circa il suo affidamento o l'adozione di ogni provvedimento a tutela del
suo interesse morale e materiale. Un tale ipotesi può essere autorizzato,
nell'interesse del figlio, il suo inserimento nella famiglia del genitore, una volta
accertato il consenso del coniuge convivente, dei figli ultrasedicenni conviventi.

Crisi familiare e tutela dell'interesse dei figli.


Preso atto dell'inevitabilità del verificarsi di crisi familiari, i figli non devono essere
vittime incolpevoli. Bisogna assicurare loro, al di là della rottura della compagine
familiare, l'effettivo rapporto personale oltre che economico di entrambi i genitori.
Data per scontata la continuità dei doveri dei genitori connessi alla responsabilità
genitoriale nei confronti dei figli, il principio basilare è quello per cui tutti i
provvedimenti relativi alla prole devono essere adottati “con esclusivo riferimento
all’interesse morale e materiale di essa” (art. 337 ter). Prevale il modello di
affidamento congiunto in caso di separazione matrimoniale. Ai fini dell’affidamento
non incide chi abbia inciso maggiormente nella separazione, decisivo deve restare
solo il riscontro alla idoneità a svolgere i compiti connessi alla qualità di affidatario.
L’esercizio della potestà compete ad entrambi i genitori. Il tribunale dispone di ampi
poteri pur dovendo andare contro gli accordi dei genitori in caso di accordi che
vadano contro l’interesse del figlio. In dipendenza di quanto disposto dalle
convenzioni internazionali è sembrata importante la necessità di conferire
attenzione alle opinioni e ai desideri dei figli. Risulta previsto quindi che il giudice sia
tenuto a disporre dell'ascolto del figlio ultradodicenne e anche di età inferiore
capace di discernimento. Sotto il profilo economico i genitori restano tenuti a
provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale alle loro possibilità
corrispondendo un assegno periodico a carico di uno dei genitori. Tutti i
provvedimenti concernenti i figli sono assoggettabili a revisione.

Assegnazione della casa familiare.


L’ordinamento conferisce rilevanza alla destinazione dell’immobile a casa familiare e
le relative vicende tendono ad essere correttamente ricondotte al piano del regime
primario. L’assegnazione presuppone che i coniugi fossero, in precedenza,
legittimati a goderne insieme: ne avessero cioè la disponibilità. Ciò sulla base di un
titolo che può essere rappresentato dal diritto di priorità, diritto reale (usufrutto,
abitazione), diritto di locazione o di comodato. L’interesse è sempre salvaguardare i
figli. Alla luce di ciò l'affidamento dei figli o la convivenza con figli maggiorenni
ancora non economicamente autosufficienti erano considerati presupposto
necessario per l'assegnazione. Tale disciplina sembra restare ferma proprio per
prevedere che il godimento della casa familiare è attribuito tenendo
prioritariamente conto dell’interesse dei figli. L’assegnazione può essere limitata a
solo una parte dell’immobile.
L'assegnazione della casa coniugale (o familiare: il termine è da considerare
sinonimo) è il provvedimento adottato dal giudice in caso di separazione o di
divorzio dei coniugi volto ad assicurare al residuo nucleo familiare (coniuge
affidatario e eventuali figli) la conservazione dello stesso ambiente di vita domestica
goduto in costanza di matrimonio.

19
Proprietá.
Nozione.
Lo studio della proprietà nell'ordinamento vigente trova i sui fondamentali punti di
riferimento nella definizione che ne offrono l'articolo 42 della costituzione e
l'articolo 832 del codice civile. La proprietà è la massima espressione della libertà
dallo Stato. Quando si comprime la proprietà si comprime la libertà.

Contenuto e caratteri.
Il diritto di proprietá costituisce tradizionalmente il prototipo delle situazioni
giuridiche soggettive. Per contenuto del diritto di proprietà, si intendono, l'insieme
delle facoltà e dei poteri riconosciuti al titolare, in vista della realizzazione del suo
interesse.
L'articolo 832 riconosce al proprietario “il diritto di godere e disporre delle cose in
modo pieno ed esclusivo, entro limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti
dall'ordinamento giuridico”
È da precisare, come risulti più corretto parlare, di facoltà di godimento e di potere
di disposizione, rispettivamente con riferimento alla possibilità, appunto attribuita
proprietario, di utilizzare il bene e di determinare la relativa condizione giuridica con
propri atti giuridici.
Il diritto di proprietà è quello che forse più di qualsiasi altro diritto interpreta uno dei
fondamentali bisogni dell'uomo, quello di avere un suo spazio dove può liberamente
esplicarsi. Questo spazio, separato da quello degli altri esseri umani, è composto di
luoghi e cose dove l'uomo può sviluppare liberamente il suo dominio, senza
interferenze da parte di altri individui.
Sin dai tempi più antichi questo bisogno è stato sempre riconosciuto dalle comunità
umane, a volte come vero proprio dominio assoluto su luoghi, beni e anche persone,
altre volte in una forma più attenuata dai vincoli imposti da ordinamenti giuridici
evoluti.
L'art. 42 sulla proprietà privata, dopo averne riconosciuto la legittimità dopo la
proprietà pubblica, dispone che:

La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi


di acquisto e di godimento e i limiti allo scopo di assicurare la funzione sociale e
renderla accessibile a tutti.
La proprietà privata può essere, nei casi previsti dalla legge, e salvo indennizzo,
espropriata per motivi di interesse generale.
La legge stabilisce le norme e i limiti della successione legittima e testamentaria e i
diritti dello Stato sulle eredità.

La proprietà non è quindi una forma di sovranità sui beni, ma è un diritto che deve
armonicamente inserirsi nel più ampio contesto sociale e non contrastare con esso.
Per il proprietario vi saranno, quindi, non solo diritti (o meglio facoltà, espressione
del diritto di proprietà), ma anche doveri, che renderanno il diritto di proprietà non
solo utile per il proprietario, ma anche per la società. In questo si esplica la funzione
sociale della proprietà che non per questo, però, potrà divenire qualcosa di diverso
da quanto è espresso dall'art. 832 c.c.

È vero, infatti, che l'art. 42 della Costituzione riconosce e determina la funzione del
diritto di proprietà, ma è pur sempre l'art. 832 del codice civile che ne definisce il
contenuto.

Facoltà di godimento: facoltà di usare e sfruttare un bene, direttamente o


indirettamente, per trarne i frutti naturali

Facoltá di disporre: è il diritto di compiere atti di disposizione, cioè quell'attività


negoziale che incide sull’ “appartenenza” del bene ad un soggetto (alienazione,
vendita).

Caratteristiche del diritto di proprietà:


pienezza: è un diritto che consente al suo titolare ogni utilizzazione lecita del bene
che si esplica principalmente nel potere di godimento e di disposizione ("ha diritto di
godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo" art. 832)

B. esclusività: il rapporto che si instaura tra il proprietario e il bene è esclusivo, nel


senso che non sono ammesse interferenze nel rapporto con il bene.

C. elasticità: le facoltà del proprietario possono essere limitate dall'esistenza di altri


diritti come l'usufrutto, sullo stesso bene. In questi casi, però, il diritto rimane
comunque integro riacquistando automaticamente tutta la sua pienezza alla
cessazione del diritto che lo comprime
D. Autonomia e indipendenza: a differenza degli altri diritti reali, il diritto di
proprietà può esistere da solo senza dipendere da altri diritti di maggiore ampiezza.

E. Perpetuità: si ritiene che non possano essere imposti limiti temporali alla
proprietà, non è ammessa una proprietà "a tempo", ma un'eccezione a questo
principio può essere costituita dall'art. 953 c.c. in relazione alla scadenza del termine
del diritto di superficie

F. imprescrittibilità: la proprietà non si perde per il non uso, potendo solo essere
usucapita dall'uso che ne facciano altri.

Atti emulativi.
Nella definizione dell'art. 832 abbiamo visto che le facoltà attraverso le quali si
esplica il diritto di proprietà sono fondamentalmente illimitate.
Si è infatti deciso di indicare i limiti del diritto di proprietà, piuttosto che elencarne le
facoltà, con l'ovvia conseguenza che il proprietario può fare del suo diritto e della
cosa che ne è oggetto ciò che vuole, ma questa illimitata signoria del suo volere
trova il confine nei limiti imposti dalla legge. Questi si incontrano sia nel codice civile
che nelle leggi speciali, e spesso comprimono in maniera rilevante il diritto di
proprietà (pensiamo ai divieti di edificare in zone di interesse paesaggistico o
archeologico). In questa sede ci occuperemo dei soli limiti che emergono dal codice
civile, rimandano allo studio del diritto amministrativo lo studio dei provvedimenti e
delle altre leggi che incidono sul diritto di proprietà.

Le limitazioni cui va incontro il proprietario, soprattutto il proprietario di immobili o


fondi, sono fondamentalmente di due categorie:

 limiti imposti per ragioni di pubblico interesse


 limiti imposti per salvaguardare i concorrenti diritti di altri soggetti privati

L'art. 833 pone una norma di carattere generale che vieta al proprietario di
compiere atti di emulazione che sono "atti i quali non abbiano altro scopo che quello
di nuocere o recare molestia ad altri" (divieto di atti emulativi)

Il proprietario, infatti, del suo bene, può farne ciò che vuole, ma non può compiere
degli atti al solo scopo di arrecare danno ad altri.
Si fa spesso l'ipotesi di chi pianta dei pali altissimi sul suo terreno per impedire
l'atterraggio di un aereo sul terreno confinante, ma le ipotesi potrebbero essere
innumerevoli. È importante sottolineare, invece, che per realizzare la previsione
dell'art. 833 non basta che l'atto possa arrecare danno ad altri, ma è anche
necessario che sia stato compiuto "al solo scopo" di arrecare danno o molestia.
Se, quindi, il proprietario pianta dei pali altissimi sul suo terreno anche per istallarci
dei reattori eolici, l'atto non sarà emulativo e quindi lecito.

Contenuto della proprietà e garanzia costituzionale.


Si è posto il problema dei limiti entro cui il contenuto del diritto di proprietà possa
essere compresso, almeno senza il riconoscimento di un ristoro economico e favore
del proprietario, discutendosi, in proposito, della configurabilità o meno di un
contenuto minimo della proprietà, intangibile da parte del legislatore. Se le
limitazioni imposte svuotino di ogni sostanza economicamente apprezzabile il diritto
del proprietario, riducendolo ad una mera apparenza, è previsto un indennizzo che
deve rappresentare un serio ristoro per il proprietario privato del suo diritto. Tale
non può essere considerata una indennità meramente simbolica o irrisoria, ma solo
una indennità congrua, seria e adeguata.

Proprietà fondiaria.
Il codice civile detta una disciplina articolata per la proprietà fondiaria concernente
beni immobili (urbani e agricoli). Innovativa si presenta la normativa destinata a
regolare l'estensione verticale della proprietá. La proprietà del suolo si estende al
sottosuolo, con tutto ciò che esso contiene, potendovi il proprietario svolgere
qualsiasi attività di utilizzazione che non rechi danno ai vicini. Chi ha la proprietà del
suolo ha pur quello dello spazio sovrastante e di tutto ciò che si trova sopra o sotto
la superficie. Il proprietario del suolo non può impedire attività altrui che si svolgano
a tale profondità nel sottosuolo o a tale altezza nello spazio sovrastante che gli non
abbia interesse ad escludere (840,c.2)
Il proprietario non può impedire l’accesso al fondo per la caccia, a meno che il fondo
non sia stato chiuso nei modi stabiliti dalla legge in materia di caccia o vi siano
colture suscettibili di derivarne danno. L'accesso per l'esercizio della pesca invece
presuppone il consenso del proprietario del fondo. L'accesso e il passaggio nel fondo
non possono essere impediti al fine di riparare, costruire un muro o qualsiasi altra
opera del vicino oppure a chi intende recuperare la cosa che vi si trovi
accidentalmente o l'animale che vi sia riparato sfuggendo alla custodia. Il
proprietario peraltro può impedire l'accesso consegnando la cosa o l'animale.
L’accesso, giustificato da tradizionali esigenze di opportuna collaborazione tra vicini,
deve considerarsi lecito e ove cagioni danni è previsto il pagamento di un’indennità
(responsabilità da atto lecito).

Immissioni.
Tra le disposizioni generali in tema di proprietá fondiaria spicca la disciplina delle
immissioni. L'art. 844 dispone che “il proprietario di un fondo non può impedire le
immissioni derivanti dal fondo del vicino, se non superino la normale tollerabilità,
avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi. Per immissioni si intendono tutte le
propagazioni, come quelle consistenti in fumo, calore, esalazioni, rumore,
scuotimento, radiazioni e onde elettromagnetiche. La vicinanza dei fondi è intesa in
senso lato dato che la propagazione delle immissioni, in relazione a quantità
industriali, possono avere una rimarchevole portata. Il proprietario è tenuto a
sopportare le immissioni altrui nei limiti di tollerabilità, la quale deve essere
giustificata dal punto di vista del fondo che la riceve. È però importante considerare
che certe attività, come quelle industriali, hanno anche rilevanza pubblica e non
sempre è opportuno far cessare o limitare una determinata attività per le esigenze
dei privati. Il legislatore per cercare di contemperare gli opposti interessi dispone al
secondo comma dell'art. 844 che:
nell'applicare questa norma l'autorità giudiziaria deve adeguare le esigenze della
produzione con le ragioni della proprietà. Il giudice potrebbe, ad esempio, far
continuare la produzione imponendo, però, il rispetto di particolari accorgimenti per
diminuire le immissioni, oppure riconoscere un indennizzo al proprietario senza far
cessare la produzione.
Questa disciplina si intreccia, comunque, con quella prevista a tutela della salute
pubblica che impone rigorosi limiti alle aziende in merito alle immissioni
nell'ambiente.

Rapporti di vicinato.
l codice civile nella sezione VI negli artt. 873 e ss. disciplina i cosiddetti rapporti di
vicinato dettando regole atte a consentire l'ordinata esistenza tra le proprietá
fondiarie vicine. Le sezioni indicate dai rapporti di vicinato concernono, le distanze
nelle costruzioni, piantagioni e scavi, fossi e siepi interposti tra i fondi, luci, vedute,
acque, ecc. La disciplina delle distanze riguarda innanzitutto quella osservabile nelle
costruzioni. Principio generale dettato dal codice è quello dell'osservanza di una
distanza di 3 metri tra i fondi, per evitare intercapedini troppo anguste e
antigieniche. Tale determinazione ha carattere residuale e minimo rinviando la
citata disposizione alle indicazioni dei regolamenti edilizi che prevedono una
distanza maggiore. Si tratta di una materia in cui sono preminenti i caratteri generali
legati al corretto sviluppo urbanistico degli abitanti. L’art. 872 prevede che chi abbia
risentito di un danno dall’abuso edilizio di altri, in quanto all'edificazione del fondo
vicino avvenuta in contrasto con al disciplina urbanistica, possa chiedere, trattandosi
di atto illecito, il risarcimento del danno. La riduzione in pristino, ovvero la
demolizione, può essere richiesta solo in violazione delle norme dettate dal codice in
materia di distanze. Il criterio seguito dal codice è quello della prevenzione
temporale ossia chi costruisce per primo condiziona le possibilità edificatorie vicine.

Quando si costruisce si può scegliere se costruite rispettando la metà della distanza


prescritta, costruire ad una distanza inferiore o addirittura sul confine.

 Se la prima costruzione è a un metro e mezzo dal confine, i vicino dovrà


rispettare la distanza legale tra le costruzioni
 Se la costruzione è stata fatta sul confine, però il proprietario ha la scelta di
arretrare a tre metri dal confine, ovvero avanzare la propria costruzione fino
al confine, chiedendo la comunione forzosa del muro, previo pagamento della
metà del relativo valore, ovvero costruendo in aderenza.
 Se il muro è stato costruito ad una distanza inferiore alla metà da quella
legale, ma non sul confine, il vicino può chiedere di avanzare verso la
costruzione altrui, chiedendo la comunione del muro o costruendo in
aderenza.

Regimi peculiari sono dettati per muri di cinta, muri divisori e utilizzazione del muro
comune. Altre disposizioni prevedono le distanze da osservare per opere diverse
dalle costruzioni e per le piantagioni. Importante risulta l'art. 890, che impone per
manufatti o depositi di sostanze nocive o pericolose l'osservanza della distanza per
preservare i fondi vicini. Minutamente è disciplinata poi la distanza da osservare per
piantare siepi ed alberi prevedendo la relativa estirpazione in caso di piantagione a
distanza inferiore da quella prescritta. Si tratta ancora poi la disciplina relativa alle
luci e vedute. Luci sono le aperture che consentono il passaggio di luce ed aria, ma
non affacciano sul fondo vicino. Vedute sono le aperture che permettono di
affacciarsi e guardare di fronte, obliquamente o lateralmente. L’apertura di luci non
deve rispettare distanze potendosi esse aprire anche sul muro posto sul confine. Le
luci possono essere chiuse ad iniziativa del vicino ove sussistano le condizioni per
acquistare la comunione del muro o per costruire in aderenza. Le vedute possono
essere aperte solo ad una distanza di un metro e mezzo dal fondo vicino. Il carattere
di veduta risulta rilevante in quanto determina le conseguenze in ordine alla
distanza delle costruzioni. In caso di apertura di vedute abusive, il proprietario del
fondo pregiudicato può esercitare l'azione negatoria. Dell'opera che violi il diritto di
veduta può essere richiesta la rimozione o la modificazione. Circa lo stillicidio, vale il
principio per cui il proprietario deve costruire i tetti in modo che le acque piovane
scolino sul suo terreno e non su quello altrui (art. 908)
Quanto alle acque “ tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte
al sottosuolo, sono pubbliche”.

Proprietá agraria.
Anche la proprietà della terra è considerata, nella Costituzione e nelle leggi
ordinarie, come un problema che coinvolge interessi pubblici fondamentali: lo
“sfruttamento razionale del suolo” e gli “equi rapporti sociali” sono, secondo l’art.
44, comma 1°, Cost., gli obiettivi finali, cui la legge deve tendere anche fissando
limiti e vincoli e imponendo obblighi ai proprietari, limitando l’estensione della
proprietà, promuovendo o imponendo la bonifica delle terre, la trasformazione del
latifondo, ecc.

Il Codice Civile prevede, in tre sezioni (artt. 846-868) alcuni interventi di questo tipo:
fissa la “minima unità colturale”, cioè un’area minima da non dividere nemmeno in
caso di successione ereditaria (artt. 846 e ss.); prevede l’obbligo di esecuzione di
opere per i proprietari di terreni dichiarati soggetti a bonifica (artt. 857 e ss.), o
sottoposti a vincoli per scopi idrogeologici (artt. 866 e ss.); in particolare, sia per
scopi di bonifica che di difesa fluviale, i proprietari possono essere riuniti
obbligatoriamente in consorzi, che sono persone giuridiche pubbliche, il cui scopo è
provvedere all’esecuzione, alla manutenzione e all’esercizio delle opere necessarie
(artt. 857, 868).

La disciplina della proprietà agricola, però, è influenzata soprattutto dalla disciplina


dei contratti agrari, cioè dei contratti tra il proprietario e l’imprenditore, grande o
piccolo, che lavora la terra.

Proprietá edilizia.
Come abbiamo più volte ribadito il proprietario può disporre del suo bene nella
maniera che ritiene più opportuna.
In certi casi, tuttavia, la natura del bene limita fortemente alcune sue facoltà, e ciò è
in particolar modo evidente nel caso di proprietà edilizia.
Il codice civile, infatti, agli artt. 869 e ss. pone una serie di limiti al potere del
proprietario di costruire e riedificare, o modificare le costruzioni esistenti.

Queste diverse esigenze sono protette da norme (c.d. norme di edilizia) che
derivano da varie fonti. Schematicamente, si possono elencare:

⎯ Il Codice Civile, che agli artt. 873 e ss. disciplina le distanze tra le costruzioni, e
nelle sezioni seguenti contiene norme che interessano l’edificazione, come quelle
relative alle luci e vedute;
⎯ Le leggi speciali che stabiliscono regole da osservarsi nelle costruzioni (come ad
es.: le norme antisismiche, le norme di tutela ambientale ecc…);
⎯ Il piano regolatore, e precisamente il piano regolatore generale (P.R.G.)
approvato dal Comune e dalla Regione, e il piano regolatore particolareggiato
(P.R.P.) predisposto sulla base dei criteri generali stabiliti nel P.R.G. e dei limiti
inderogabili fissati dalle leggi speciali;
⎯ I regolamenti edilizi comunali, cui fa rinvio lo stesso art. 871.

Il limite fondamentale consiste nel rispetto dei piani regolatori, che molto spesso
possono anche negare o limitare in maniera incisiva la facoltà di costruire o
modificare preesistenti costruzioni.
Il piano prevede quali aree possono essere destinate alla edificazione, quali devono
essere mantenute a verde, quali devono essere destinate a pubblici servizi (scuole,
parchi, uffici, chiese, posteggi, ecc.); stabilisce inoltre quali caratteri dovranno avere
le zone edificabili, con quali criteri e con che vincoli (di altezza, volume, area a
giardino o cortile ecc.) si dovrà costruire. Ricordiamo, inoltre, che in generale il
potere di costruire, il c.d. ius aedificandi, è subordinato al rilascio di una concessione
edilizia che è il provvedimento attraverso il quale l'autorità comunale consente che
si realizzino le trasformazioni edilizie richieste.
Il d.p.r. 380\2001 ( art. 10) ha poi provveduto all'eliminazione della figura della
concessione, sostituendola con quella del "permesso di costruire".

20
Acquisito e tutela della proprietà.
Modi di acquisto.
L'art. 922 c.c, traccia i modi di acquisto della priorità. La proprietà si acquista per
occupazione, per invenzione, per accessione, per specificazione, per unione o
commistione, per usucapione, per effetto di contratti, per successione a causa di
morte e negli altri modi stabiliti dalla legge.
L'art. 922 riportato in tabella elenca i diversi modi di acquisto della proprietà, senza,
però, indicarli in modo tassativo (infatti la proprietà si acquista anche"negli altri
modi stabiliti dalla legge").
Prima di analizzare singolarmente le diverse ipotesi previste dal codice civile,
possiamo distinguere i modi di acquisto della proprietà in due categorie:

 modi di acquisto a titolo originario


 modi di acquisto a titolo derivativo

Nei modi di acquisto a titolo derivativo si verifica una successione nel diritto che è
trasmesso da un soggetto ad un altro, mentre in quelli a titolo originario si diviene (o
è come se si divenisse) proprietario per la prima volta.
Di conseguenza l'acquisito a titolo originario è più certo rispetto a quello derivativo,
per la semplice ragione che in quest'ultimo caso la situazione giuridica trasmessa
potrebbe non essere quella che appare; potrebbe accadere, infatti, che si acquisisca
il diritto da chi non è proprietario, e poiché non si può trasmettere quello che non si
ha, il nuovo presunto proprietario non avrà in realtà acquisito alcun diritto.
A ciò consegue la difficoltà della prova del diritto di proprietà quando il soggetto non
possa dimostrare di aver compiuto un acquisto a titolo originario. In caso di acquisto
a titolo derivativo, infatti, non è sufficiente la dimostrazione dell'idoneità del titolo
del proprio acquisto, ma occorre a che la dimostrazione del titolo di acquisto del
soggetto dante causa e via via ininterrottamente fino ad un acquisto a titolo
originario. Si parla della cosiddetta probatio diabolica. Vediamo, quindi, uno per uno
i modi di acquisto della proprietà a titolo originario indicati dal codice, mentre di
quelli a titolo derivativo (contratti e successioni) ce ne occuperemo in seguito.
Nell'elenco non è compresa l'usucapione, non perché non sia un modo di acquisto a
titolo originario, ma perché ce ne occuperemo in occasione dello studio del
possesso.

Occupazione:
L'occupazione costituisce forse il modo di appropriazione primigenio.
Secondo l'art. 923 c.c. primo comma “le cose mobili che non sono proprietà di
alcuno si acquistano con l’occupazione”. (res nullius).
Il secondo comma dell'art. 923 ci specifica, poi, quali sono questi beni mobili che
non sono di proprietà di alcuno, dividendole in:

 1 cose abbandonate
 2 gli animali che formano oggetto di caccia e di pesca

Per i beni immobili abbandonati non è possibile l'occupazione, sia perché l'art. 923
non li nomina, sia perché l'art. 827 c.c. espressamente dispone che “ i beni immobili
che non sono in proprietà di alcuno spettano al patrimonio dello Stato”.
Sono anche oggetto di occupazione le cose abbandonate con l’intenzione di
dismetterne la proprietà.
Ai fini dell’acquisto della proprietà sulla cosa vi è l’intenzione di appropriarsi della
cosa stessa, escludendone tutti gli altri (animus occupandi).
L’occupazione rientra tra i cd. atti reali, a loro volta inquadrata tra gli atti giuridici in
senso stretto.

Invenzione.
Con l'invenzione abbiamo una ipotesi affine, ma diversa dalla occupazione.
In quel caso, infatti, si trattava dei beni mobili "abbandonati", qui, invece, si fa
riferimento a cose mobili “smarrite" (o sottratte al proprietario o da lui dimenticate).
Secondo l'art. 927 chi trova una cosa non ne acquista la proprietà ma ha l'obbligo di
restituirla al proprietario e se non lo conosce di consegnare la cosa immediatamente
al sindaco del luogo in cui l’ha ritrovata, indicandone le circostanze del
ritrovamento. Il ritrovatore ha diritto a chiedere un premio, pari al decimo della
somma ritrovata. Se non si presenta nessuno a reclamare il bene entro un anno
dalla pubblicazione, fatta dal sindaco, il bene diviene di proprietà del ritrovatore iure
inventionis. Dettagliate norme particolari sono dettate dal codice di navigazione
relativamente ai relitti marini e aerei, il cui ritrovamento non ne comporta mai
l'acquisto della proprietà da parte del ritrovatore, ma solo il diritto ad un premio. Un
particolare regime è previsto per il ritrovamento del tesoro. Il tesoro in quanto cosa
mobile di pregio, nascosta o sotterrata, nessuno può provare di essere proprietario
in conseguenza del tempo trascorso. Il tesoro appartiene al proprietario del fondo in
cui si trova. Il ritrovatore, a condizione che il ritrovamento sia avvenuto
casualmente, ha diritto alla metà del tesoro. La stessa regola vale anche in caso di
scoperta del tesoro in una cosa mobile altrui.
Accessione.
L'accessione può essere intesa come l'acquisto della proprietà in conseguenza
dell'unione di altre cose alla propria. Si dispone in base all'art. 934 c.c. che
qualunque piantagione, costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo
appartiene al proprietario di questo, salvo quanto è disposto dagli articoli 935, 936,
937 e 938 e salvo che risulti diversamente dal titolo o dalla legge in generale, e salve
le ipotesi previste dallo stesso articolo 934, il suolo attrae tutto ciò che vi è sopra
incorporato.
In altre parole il proprietario del suolo è proprietario anche dei beni che lì si trovano,
siano essi mobili o immobili, il termine accessione, infatti, deriva dal latino
"accessio" e tradotto significa accrescimento, aggiunta, elemento accessorio. Con
l'accessione, quindi si verifica un accrescimento di una cosa a scapito di un'altra, e in
genere ciò accade a favore del suolo per tutto quello che vi trova. In realtà non tutto
quello che si trova sul suolo diviene del proprietario del fondo, ma solo quello che vi
è incorporato (stabile) , come, appunto, le piantagioni, le costruzioni e le altre opere
che si trovino sopra (ma anche sotto) il suolo. L’acquisto è definitivo.
Le eccezioni al principio dell'accessione sono elencate nello stesso articolo 934 e si
riferiscono ai casi dell'art. 935 (opere fatte dal proprietario del suolo con materiali
non suoi), 936 (opere eseguite dal terzo con materiali propri), 937 (opere eseguite
dal terzo con materiali altrui) e 938 che si riferisce al fenomeno della cosiddetta
accessione invertita. Riportiamo il testo dell'art. 938: “Se nella costruzione di un
edificio si occupa in buona fede una porzione del fondo adiacente, e il proprietario
di questo non fa opposizione entro tre mesi dal giorno in cui ebbe inizio la
costruzione, l'autorità giudiziaria, tenuto conto delle circostanze, può attribuire al
costruttore la proprietà dell'edificio e del suolo occupato. Il costruttore è tenuto a
pagare al proprietario del suolo il doppio del valore della superficie occupata, oltre il
risarcimento dei danni”. Come si vede in questo caso, di natura eccezionale, è il
costruttore dell'edificio che diviene (o almeno può divenire) proprietario del suolo e
dello stesso edificio, mentre secondo i normali principi dell'accessione dovrebbe
essere il proprietario del suolo a divenire proprietario della costruzione fatta sul suo
terreno.

Accessione di mobile a mobile.


Nella prospettiva più ampia dell’accessione, l’art. 939 disciplina, alludendo all’unione
e commistione, il fenomeno dell’accessione di mobile a mobile. Se due cose mobili
appartenenti a proprietari diversi sono state unite o mescolate in modo da formare
un tutto unitario e non sono separabili senza un notevole deterioramento, la
proprietà ne diventa comune in proporzione del valore delle cose spettanti a
ciascuno, ma se una cosa può essere considerata principale rispetto all'altra o è
molto superiore per valore, il proprietario della cosa principale o di maggior valore
acquista la proprietà del tutto, pagando però, all'altro proprietario il valore della
cosa che vi è unita o mescolata. Il codice civile ha poi disciplinato anche il caso di
trasformazione della cosa ad opera dell'uomo, in tal modo si parla di specificazione.
Infatti nel caso in cui ci si adoperi della materia altrui per formare una nuova cosa,
chi ha compiuto l'opera diviene proprietario della cosa dovendo solo pagare al
proprietario della materia il suo valore. Se però, il valore della materia sorpassi
notevolmente quello della mano d'opera la cosa spetta al proprietario della materia,
il quale deve pagare il prezzo della mano d'opera(art. 940 c.c.).

Accessione di immobile a immobile.


Tale materia è stata disciplinata dal codice, secondo una tradizione che affonda le
sue radici nel diritto romano e che attesta la rilevanza che hanno, da sempre, avuto
da noi i fenomeni idrogeologici, con riferimento alle cosiddette accessioni fluviali.
Tali accessioni hanno ancora riflessi sulla proprietà privata, determinandone
l’acquisto.

 L'alluvione: unioni di terra e incrementi, che si formano successivamente e


impercettibilmente nei fondi posti lungo le rive dei fiumi o torrenti.
Appartengono al proprietario del fondo;
 Avulsione: un fiume o torrente stacca una parte considerevole e riconoscibile
di un fondo situato nelle immediate vicinanze e la trasporta verso un fondo
inferiore o verso l'opposta riva. Il proprietario del fondo al quale si è unita la
parte staccata ne acquista la proprietà. Deve però pagare all'altro proprietario
un'indennità nei limiti del maggior valore recato al fondo dall’avulsione;
 Alveo abbandonato: se un fiume o un torrente forma un nuovo letto,
abbandonando l'antico, il terreno abbandonato rimane assoggettato al regime
proprio del demanio pubblico;
 Isola formata nel fiume: le isole e unioni di terra che si formano nel letto dei
fiumi o torrenti appartengono al demanio pubblico.

Azioni a difesa della proprietà.


Il codice disciplina quattro azioni: l’azione di rivendicazione, l’azione negatoria,
l’azione di regolamento dei confini, l’azione per apposizione di termini. Tali azioni
sono definite petitorie, in quanto caratterizzate dalla esperibilità nei confronti di
chiunque vi interferisca con l’esercizio del diritto reale sulla cosa. Sono le azioni a
difesa della proprietà, lunghe e complesse, assicurano un accertamento definitivo
della posizione del proprietario
Vi sono poi altre due azioni riconosciute al proprietario, al titolare di altro diritto
reale di godimento su cosa altrui e al possessore: la denunzia di nuova opera e la
denunzia di danno temuto (azioni di nunciazione).

Azione di rivendicazione (rei vindicatio).


Fondamentale è l'azione di rivendicazione disciplinata dall'art. 948 essa può essere
esercitata dal proprietario nei confronti di chiunque possieda o detenga la cosa, al
fine di ottenerne la restituzione. Come tale essa rappresenta il prototipo dell’azione
reale. Questa azione è quindi possibile solo per chi, affermandosi proprietario
(legittimato attivo), non solo vuole che si accerti questa sua qualità, ma vuole anche
che la cosa sia recuperata da chi la detiene o possiede. Si tratta, quindi, di un
proprietario che ha perso o non è riuscito mai a conseguire il possesso del bene.
L’azione di rivendicazione è imprescrittibile, ma il proprietario potrebbe comunque
non riuscire a raggiungere il suo scopo per effetto dell'usucapione che ha fatto
acquistare il diritto ad altri. L'art.948 precisa anche che se il convenuto, dopo la
domanda, e quindi nel corso del giudizio, abbia cessato di possedere o detenere la
cosa, cercando di sottrarsi all'obbligo di restituzione o cedendola ad altri, l'azione
può essere perseguita nei suoi confronti e costui resta obbligato a recuperare la
cosa o in mancanza a corrispondere al proprietario il valore oltre che a risarcirgli il
danno. Se peraltro il proprietario riesce a conseguire ugualmente la restituzione
della cosa direttamente dal nuovo proprietario è tenuto a restituire al precedente
possessore o detentore, la somma ricevuta in luogo di essa. La prova richiesta
all’attore per la dimostrazione della proprietà si presenta difficile, almeno ove costui
non possa dimostrare di avere acquistato a titolo originario e, per far questo, sarà
necessario provare che il vecchio proprietario aveva ricevuto il diritto da chi era
effettivamente proprietario e così di seguito, in una catena di prove che dovrebbe
giungere al primo ed incontestabile proprietario da cui è sorto a titolo originario il
diritto di proprietà in contestazione nel processo. (Probatio Diabolica).
Per evitare la probativo diabolica se si tratta di bene mobile gli basterà provare il
possesso in buona fede ex art. 1153 c.c.;se si tratta di bene immobile dovrà provare
di aver acquistato a titolo originario anche mediante usucapione (ventennale o
decennale).
Azione negatoria.
È il rimedio concesso al proprietario che intende far accertare l'inesistenza dei diritti
affermati da altri sulla cosa. Se sussistano anche turbative o molestie ne può
chiedere la cessazione oltre che l'eventuale risarcimento. L’azione è imprescrittibile.
A differenza dell'azione di rivendicazione il proprietario non dovrà ricorrere alla
probatio diabolica per dimostrare l'esistenza del suo diritto bastando che dimostri di
averlo ottenuto in base ad un valido titolo d'acquisto.

Azione di regolamento di confini.


Art. 950 regolamento di confini “quando il confine di due fondi è incerto, ciascuno
dei proprietari può chiedere che sia stabilito giudizialmente”. E’ammessa ogni prova.
In mancanza di elementi il giudice ripiega sulle mappe catastali.

Azione di apposizione di termini.


Mentre con l'azione precedente si tende ad eliminare una situazione di incertezza in
ordine ai confini del fondo con l'azione di apposizione di termini ciascuno dei
proprietari, se i termini tra fondi contigui mancano o sono divenuti irriconoscibili, ha
diritto di chiedere che siano apposti o ristabiliti a spese comuni. Tale azione
presuppone la certezza dei confini ma mancanza di segni che li attestino con
chiarezza. (pali). È un'azione duplice in quanto può essere intestata
indifferentemente da una qualunque dei proprietari dei fondi contigui e l'interesse
che tende a soddisfare è comune.

Azioni di nunciazione.
Tali azioni competono al proprietario (pur non in possesso del bene), al titolare di
altro diritto reale di godimento su cosa altrui e al possessore. Tali azioni sono due:
denuncia di nuova opera e denunzia di danno temuto. Sono azioni cautelari,
indirizzate a prevenire il pericolo di danni derivanti da opere intraprese o da cose
esistenti su altri fondi.
Con la denunzia di nuova opera chi abbia ragione di temere che da una nuova opera,
intrapresa sul fondo proprio o altrui, sia per derivare danno a una sua cosa può
denunziare all’autorità giudiziaria la nuova opera, purché non sia terminata e non
sia trascorso un anno dal suo inizio (art. 1171). Non occorre che si verifichi un danno
ma basta un timore ragionevole che esso si verifichi. A seguito di una sommaria
cognizione l'autorità giudiziaria può vietare la continuazione dell'opera. Il legislatore
allude alla prestazione di una cauzione pecuniaria da parte di chi abbia avuto
provvisoriamente ragione.
Con la denunzia di danno temuto chi abbia ragione di temere che da qualsiasi
edificio, albero o altra cosa derivi il pericolo di un danno grave e prossimo ad una
sua cosa può denunziare il fatto all’autorità giudiziaria e ottenere che si provveda
per ovviare al pericolo (art. 1172). Tale azione non presume come la precedente
un'attività di trasformazione della situazione dei luoghi, bensì una situazione dei
luoghi dalla quale si ha ragione di temere danno ove non si intervenga su di essa. Il
giudice dispone di ampi potere di scelta per far cessare la situazione di pericolo (es.
abbattimenti, demolizioni,ecc.). Non è posto alcun termine per l'esperibilità
dell'azione in questione la quale può essere esercitata finché perduri il pericolo che
ne costituisce il presupposto.

21
Diritti reali di godimento su cosa altrui.
La tutela.
I diritti reali fanno parte della categoria dei diritti assoluti (come il diritto al nome),
ma si differenziano dagli altri diritti assoluti perché hanno ad oggetto cose.
Nell'ambito della categoria dei diritti assoluti, distinguiamo i diritti reali che sono
diritti assoluti su una cosa, una res, da cui derivano il nome.

Caratteristiche:

 assolutezza: possono essere fatti valere nei confronti di tutti i consociati sui
quali incombe solo un generico dovere di astensione
 immediatezza: il titolare realizza il diritto direttamente senza che sia
necessaria la collaborazione di altri soggetti, come accade nei diritti di credito
 tipicità: i diritti reali sono solo quelli previsti dalla legge. Costituiscono, quindi,
una categoria di diritti composta da un numero chiuso
 I diritti reali di godimento su cosa altrui comprimono il diritto di proprietà con
una intensità diversa secondo il tipo di diritto. La compressione del diritto di
proprietà può essere massima in alcuni casi, come nell'ipotesi dell'usufrutto. I
diritti reali di godimento sono: superficie, enfiteusi, usufrutto, uso e
abitazione e servitú.
 Superficie.
 Il proprietario di un suolo può concedere ad un altro soggetto il diritto di
costruire un edificio sopra al suo suolo attribuendogli la proprietà separata
dell'edificio. Il proprietario può, inoltre, alienare la costruzione già esistente
mantenendo la proprietà del suolo.
Sappiamo che per il fenomeno giuridico della accessione il proprietario del
suolo è anche proprietario di quello che vi è posto al di sopra.
È possibile, tuttavia, separare la proprietà del suolo da quella della
soprastante costruzione attraverso il diritto di superficie, che è un vero e
proprio diritto reale.
Questo può assumere la forma di una concessione ( di diritto privato) del
proprietario del suolo, che attribuisce ad un altro soggetto il potere di
costruire sul suo suolo, e di mantenere la proprietà della costruzione
effettuata.
Vi saranno, quindi, due proprietà diverse, quella del proprietario, e quella del
titolare del diritto di superficie, che ha avuto il diritto di costruire sul suolo del
proprietario.
Un'altra ipotesi di diritto di superficie è quella prevista dal secondo comma
dell'art. 952, secondo cui il proprietario può alienare la proprietà della
costruzione già esistente, separatamente dalla proprietà del suolo. In questo
caso il proprietario del suolo aliena la proprietà superficiaria.
È chiara la differenza tra i due tipi di diritto di superficie, perché il primo
riguarda una costruzione non ancora eseguita, mentre il secondo riguarda una
costruzione già edificata.
Secondo l'art. 953 c.c. è anche possibile costituire il diritto a tempo
determinato, con la conseguenza che alla scadenza del termine il diritto di
superficie si estingue e il proprietario del suolo diventa proprietario della
costruzione. Potrebbe quindi essere questa una ipotesi di proprietà
temporanea, cioè di proprietà (della costruzione) che si estingue alla scadenza
del termine del diritto di superficie.

Il diritto di superficie si costituisce per contratto avente forma scritta ad


substantiam, per testamento, per usucapione anche se insistono dubbi sulla
effettiva possibilità di poter usucapire il diritto di edificare.

Il diritto di superficie si estingue per:


 a) scadenza del termine
 b) prescrizione; in questo caso bisogna distinguere tra il diritto ad edificare e
quello relativo alla proprietà superficiaria.

1 diritto ad edificare: si estingue per prescrizione ventennale per non uso


2 proprietà superficiaria: è imprescrittibile

Enfiteusi.
L'istituto della enfiteusi, di origine romana, molto diffuso per lo sfruttamento del
latifondo, fu radicalmente escluso dal code civil il quale vi vedeva il residuo di una
organizzazione economico-produttiva da superare. Fu disciplinato invece, seppur
con un certo sfavore dal codice civile del 1865. Il c.c. non definisce l’enfiteusi, pur
regolando minuziosamente i vari aspetti di tale rapporto. Non è finalizzata
esclusivamente all’assetto produttivo di fondi rustici, ma può avere ad oggetto
anche fondi urbani per assicurarne lo sfruttamento edilizio.
Il proprietario (concedente) cede il godimento di un immobile ad un altro soggetto
(enfiteuta), che acquista su di esso facoltà e poteri corrispondenti a quelli spettanti
al proprietario, con l’obbligo di migliorare il fondo e di pagare un canone.
L’art. 959 riconosce all’enfiteuta “gli stessi diritti che avrebbe il proprietario” su
frutti, tesoro e sottosuolo. Non c'è da meravigliarsi che ci sia da sempre materia di
discussione sul fatto che il proprietario possa essere identificato nel concedente o
nell'enfiteuta, ambedue definiti come veri titolari di un dominio sulla cosa.
La durata può essere perpetua o temporanea. La minima è fissata a 20 anni.
L'enfiteuta ha innanzitutto l'obbligo di migliorare il fondo, obbligo considerato
strettamente connesso con la funzione economica dell'istituto. L’enfiteuta può
pagare il canone o con una somma di denaro o in una quantità fissa di prodotti
naturali senza modificazioni. Tale canone è considerato come ipotesi di onere reale.
L’enfiteusi può essere costituita per contratto o testamento. Nel caso di contratto
l'enfiteusi richiede la forma scritta, pena la nullità, ed è soggetta a trascrizione.
L’enfiteuta può disporre del proprio diritto sia per atto tra vivi che per testamento
(965). Nell'atto costitutivo può essere pattuito il divieto di cessione per atto tra vivi
per un tempo non maggiore di venti anni.
Nell’ipotesi di alienazione del proprio diritto da parte dell’enfiteuta, il nuovo
enfiteuta resta obbligato in solido col precedente per il pagamento dei canoni non
soddisfatti (967). Non è ammessa la subenfiteusi (968). Il concedente ha diritto di
richiedere la ricognizione del proprio diritto a chi si trova nel possesso del fondo
enfiteutico un anno prima del compimento del ventennio (969), per evitare
l’usucapione.

Cause di estinzione:

 decorso del termine eventualmente stabilito,


 perimento totale del fondo nonché la prescrizione per uso non protratto per
20 anni.

Alla cessazione dell’enfiteusi, all’enfiteuta sono dovuti rimborsi per i miglioramenti


apportati al fondo e per le addizioni fatte (975).

Nello schema dell’enfiteusi, assumono un ruolo centrale, quali modi di cessazione


del rapporto l’affrancazione e la devoluzione.

 Il diritto di affrancazione (o riscatto) è il potere dell’enfiteuta di conseguire la


proprietà del fondo, mediante la corresponsione al concedente di una somma
di danaro. Se esercitata consensualmente richiede la forma scritta. Ai sensi
dell’art. 972, l’affrancazione prevale attualmente in ogni caso sulla
devoluzione. Esso può essere fatto valere indipendentemente da qualsiasi
considerazione della pregressa durata del rapporto o dall’effettuazione dei
miglioramenti. L’enfiteuta paga una somma pari a 15 volte il canone annuo
(art. 1 comma 4 l. n 607\66) (art. 971 c.c.). L'atto di affrancazione costituisce
un diritto potestativo contro il quale il proprietario non può opporsi.
 Diritto di devoluzione: art. 972, potere di far cessare il rapporto di enfiteusi sul
fondo. Esercitato in via giudiziale, è un diritto potestativo giudiziale. Può
essere chiesta quando l’enfiteuta deteriora il fondo o non lo migliora e se
l’enfiteuta è in mora nel pagamento di due annualità del canone.

Usufrutto.
È il diritto reale che permette all'usufruttuario di godere della cosa e di trarne ogni
utilità rispettando, però, la destinazione economica del bene.

L'usufrutto è un altro diritto reale che limita in maniera quasi completa le facoltà del
proprietario sul bene.
Da questo punto di vista è simile all'enfiteusi, ma da questa se ne distingue perché
l'usufruttuario deve rispettare la destinazione economica del bene e non ha alcun
obbligo di miglioramento.
Aggiungiamo, poi, che non è previsto alcun diritto di affrancazione in suo favore.
Anche con queste differenze, tuttavia, le facoltà del proprietario sono totalmente
compresse, tanto che per indicare il suo diritto di parla di "nuda proprietà" ovvero il
valore dell'immobile decurtato dell'usufrutto. Il nudo proprietario è chi ha il diritto
di proprietà su un immobile ma non ha il diritto di goderne l'uso.
Il proprietario può però vendere la sua nuda proprietà, o costituirvi pegno o ipoteca.
L'usufrutto si distingue dall'enfiteusi anche per i beni che ne possono costituire
l'oggetto. Mentre l'enfiteusi ha per oggetto solo beni immobili, l'usufrutto può avere
oggetto anche beni mobili, titoli di credito (come le azioni), ma anche aziende,
universalità prodotti dell'ingegno oltre a, ovviamente, ai beni immobili.
In genere tale diritto ha ad oggetto beni inconsumabili, ma può esserci usufrutto
anche su beni consumabili (art. 995 c.c.).
In questo caso l'usufruttuario non potrà certo restituire la stessa cosa ricevuta
(pensiamo che oggetto dell'usufrutto siano delle caramelle) ma un'altra di uguale
quantità o qualità o pagare il valore del bene.

Vediamo come si costituisce.

 per legge; ex art. 324 c.c. i genitori esercenti la responsabilità genitoriale


hanno in comune l'usufrutto dei beni del figlio
 per atto tra vivi, ma se ha ad oggetto beni immobili richiede la forma scritta a
pena di nullità ( n. 2 art. 1350 c.c.)
 per testamento, ma non è ammesso l'usufrutto successivo, mentre è possibile
l'usufrutto congiuntivo a favore di più persone. In questo caso l'usufrutto
durerà sino alla morte di chi tra gli usufruttuari sarà sopravvissuto agli altri
 per usucapione al pari di tutti i diritti reali (art. 1158 c.c.)

In merito alla durata, l'art. 979 c.c. ci chiarisce che questo non può eccedere la
durata della vita dell'usufruttuario, e che, di conseguenza, non può essere perpetuo.
Se è costituito a favore delle persone giuridiche non può eccedere trenta anni.

Visto il modo come si costituisce il diritto, analizziamone il contenuto che si


sostanzia nei diritti e negli obblighi dell'usufruttuario e del proprietario. Cominciamo
con l'usufruttuario.

 ha il generale diritto di godere della cosa, cioè di usarla nel modo che riterrà
più opportuno, ma non può mutarne la destinazione economica né venderla
poiché non ne è il proprietario
 ha il diritto di fare suoi i frutti naturali e civili (art. 984 c.c.)
 ha il diritto di conseguire il possesso della cosa oggetto del diritto (art. 981
c.c.) ma solo se prima fa l'inventario dei beni e presta idonea garanzia al
proprietario(art. 1002 c.c.)
 può cedere il suo diritto ( art. 980 c.c.) ma solo se non è vietato dal titolo
costitutivo
 può locare il bene o accendervi ipoteca. La locazione perdura anche dopo la
cessazione dell'usufrutto ma solo se stipulata per atto pubblico o per scrittura
privata con data certa anteriore a detta cessazione (art. 999 c.c.)

Occupiamoci, ora, in maniera particolare degli obblighi dell'usufruttuario.


Abbiamo già visto che deve rispettare la destinazione economica del bene.
Aggiungiamo che deve prendere le cose nello stato in cui si trovano, ma non deve
certo restituirle così come si trovavano.
Questo non significa, tuttavia, che l'usufruttuario può deteriorare i beni sino a
distruggerli o danneggiarli. Dispone, infatti, il secondo comma dell'art. 1001 c.c. che:

Nel godimento della cosa egli deve usare la diligenza del buon padre di famiglia

L'usufruttuario restituirà quindi il bene dopo averlo usato secondo la necessaria


diligenza, e se questa è stata osservata, il proprietario non potrà certo dolersi delle
condizioni in cui è stato restituito il bene. Nell'ambito degli obblighi gravanti
sull'usufruttuario secondo l'art. 1004 c.c. vi rientrano le spese per la manutenzione
ordinaria, la custodia e l'amministrazione del bene.

Deve, inoltre, provvedere a sostenere tutti i pesi che gravano sul reddito, e ciò
perché ha l'effettivo godimento del bene (art. 1008 c.c.) mentre al proprietario
spettano i carichi gravanti sulla proprietà (art. 1009 c.c.) ma l'usufruttuario dovrà
corrispondere l'interesse sulla somma pagata.

Consideriamo, ora, la posizione del proprietario.

diritti e obblighi del proprietario

 ha diritto sul tesoro ritrovato nel fondo (art. 988 c.c.)


 può alienare la nuda proprietà
 deve provvedere alle riparazioni straordinarie (art. 1005 c.c.) e pagare le
imposte e i pesi che gravano sulla proprietà (art. 1009 c.c.)

Concludiamo l'argomento elencando i casi di cessazione dell'usufrutto.


La cessazione dell’usufrutto si verifica per:
 morte dell'usufruttuario o scadenza del termine trentennale se si tratta di
persona giuridica;
 prescrizione ventennale per non uso;
 riunione dell'usufrutto e della proprietà nella stessa persona;
 totale perimento della cosa su cui è costituito;
 grave abuso del diritto da parte dell'usufruttuario;
 scadenza del termine convenuto per la durata l’usufrutto.

Uso e abitazione.
Per quanto riguarda l'uso si tratta di un diritto reale dal contenuto più limitato
dell'usufrutto perché attribuisce al suo titolare il potere di servirsi del bene e, nel
caso sia fruttifero, di raccoglierne i frutti, ma solo per quanto occorre per i bisogni
suoi e della sua famiglia. I poteri dell'usuario sono ben più limitati di quelli
dell'usufruttuario. Anche l'usuario, infatti, può, al pari dell'usufruttuario, servirsi
della cosa, usarla, ma, a differenza di questo, può percepire i frutti solo per quanto
occorre per i bisogni suoi e della sua famiglia. Aggiungiamo, poi, che non può
appropriarsi dei frutti civili, cedere il diritto o dare in locazione il bene. Possono
essere costituiti per contratto, attraverso la forma scritta e la trascrizione per quanto
concerne l'abitazione e l'uso dei beni immobili, e testamento essendo ammessa
anche l'usucapione.

Per l'abitazione i poteri del titolare del diritto sono ancora più limitati.
Chi ha il diritto di abitazione di una casa può abitarla limitatamente ai bisogni suoi e
della sua famiglia. Anche per l'abitazione vige il divieto di cessione e di locazione, ma
in entrambi i casi vi è l'obbligo delle riparazioni ordinarie, alle spese di coltura (per
l'usuario), al pagamento dei tributi come l'usufruttuario.

Servitù prediali.
Le servitù hanno mantenuto, nel codice civile vigente, la loro storica qualificazione
come prediali, in quanto la relativa titolarità si ricollega alla proprietà su un fondo
(praedium).
Art. 1027 “la servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo, detto fondo
servente, per l’utilità di un altro fondo, detto fondo dominante, appartenente a
diverso proprietario”. Notiamo che il codice civile non parla di proprietari, ma di
fondi( fondo servente, gravato dal peso e dominante, destinato a godere dell’utilità),
volendo porre l'accento sul fatto che il diritto riguarda dei fondi, e le utilità che se ne
traggono sono oggettive dei fondi considerati e non dei singoli proprietari. Ad una
compressione delle facoltà del proprietario del fondo servente, corrisponde, quindi,
una utilità del fondo dominante. Si tratta di un vero e proprio diritto reale di
godimento su cosa altrui, in quanto al titolare è riconosciuto sul fondo di proprietà
altrui l’esercizio di facoltà di godimento, per trarne una determinata utilità. L'utilità
può consistere "anche "nella maggiore comodità o amenità del fondo dominante.
Può del pari essere inerente alla destinazione industriale del fondo. L’utilità deve
essere oggettiva e durevole. L’art. 1029 consente che la servitù sia costituita per
assicurare al fondo un vantaggio futuro (potenziale). I fondi devono essere
necessariamente vicini. Quale qualità del fondo, la servitù non può essere trasmessa
separatamente. Art. 1071, se il fondo è diviso, la servitù spetta ad ogni porzione per
l’intero. Cosa deve fare il proprietario del fondo servente? Nulla, potremmo
rispondere (art. 1030 c.c.). Il proprietario del fondo servente deve solo sopportare il
peso sul suo fondo. È vero però che al proprietario del fondo servente spetterà un
corrispettivo per la servitù, e che potrebbe anche impegnarsi (o essere obbligato per
legge) a prestazioni accessorie. In questo caso non può liberarsi delle spese
necessarie per l'uso o per la conservazione della servitù, se non cedendolo al
proprietario del fondo dominante (art. 1070 c.c.).
Ma vi può essere servitù a vantaggio di un soggetto piuttosto che di un fondo?
No, perché la servitù riguarda solo fondi e se per, esempio, mi accordo con una
persona affinché passi sul mio fondo per andare a pescare, questo non darà luogo a
servitù, ma vi saranno solo effetti obbligatori. Si parla, in questi casi, di "servitù
irregolari" proprio perché manca la caratteristica della predialità (praediàlis, dal
latino medievale: che riguarda un fondo).

Servitù apparenti.

Nella disciplina delle servitù risulta possibile operare talune distinzioni di fondo tra
le servitù.

 La prima distinzione è tra servitù apparenti non apparenti fondata sul


l'esistenza o meno di opere visibili e permanenti destinate all'esercizio della
servitù. Per quanto riguarda la servitù apparente l'opera deve consistere in
segni materiali che ne denotano l'esistenza della servitù. Esempio strada,
ponte, balcone ecc. Le servitù non apparenti sono servitú come quelle di
pascolo, di passaggio, di non edificare o di non sopraelevare. Le opere visibili
devono essere tali dal fondo servente, ma non trovarsi necessariamente su di
esso.
 Distinguiamo ancora servitù continue e discontinue. Per le prime non è
necessario il fatto dell'uomo in quanto vi sono delle opere permanenti per il
loro esercizio. Servitù discontinue, quelle per cui è necessaria un attività
umana. Ai fini della prescrizione, infatti, se una servitù è discontinua la
prescrizione inizia a correre dall'ultima attività eseguita dall'uomo, dall'ultima
passeggiata; nell'altra ipotesi sino a quando l'acquedotto è in attività, non vi
sarà mai inizio della prescrizione (art. 1073 c.c.).
 Servitù positive e negative. Nelle prime il proprietario del fondo servente deve
sopportare l'attività del fondo dominante. Il comportamento del proprietario
del fondo servente si sostanzia in un "pati" , in una sopportazione. Servitù
negative, quelle in cui il comportamento del proprietario del fondo servente si
sostanzia in un non fare, come la servitù di non soprelevare.

Servitù coattive.
Sono denominate servitù coattive o legali quelle che possono essere imposte al
proprietario di un fondo, a prescindere dal suo consenso. Secondo l’art. 1032,
quando, in forza di legge, il proprietario di un fondo ha diritto di ottenere la
costituzione di una servitù a carico di un altro fondo, ove il proprietario di questo
non vi consenta, la servitù è costituita con una sentenza. La sentenza determina
l’indennità dovuta al proprietario del fondo servente, quale compenso per la perdita
di valore che il fondo stesso subisce. In presenza delle condizioni previste dalla legge
sorge il diritto potestativo di chiedere la costituzione della servitù, che verrà ad
esistenza solo in conseguenza di un contratto tra i proprietari dei fondi, ovvero una
sentenza pronunciata su domanda dell’interessato. Estinzione. Se il diritto alla loro
costituzione si ricollega ad una necessità, quando essa venga meno la legge ne
consente la soppressione su istanza della parte interessata. Essa avviene, in
mancanza di accordo, con sentenza.
Servitù di passaggio coattivo: quando un fondo è circondato da un fondo altrui e non
abbia accesso alla via pubblica. Il passaggio è stabilito nella parte in cui la distanza
sia minore. Sono esenti dal passaggio le case, i cortili, le aie e i giardini ad esse
adiacenti. Anche per transito di veicoli.

Servitù volontarie.
La loro costituzione può avvenire a titolo derivativo, per contratto (forma scritta e
trascrizione) o per testamento, me se il bene appartiene a più comproprietari c'è
bisogno del consenso di tutti (art. 1059 c.c.). L’acquisto può avvenire, limitatamente
alle servitù apparenti, per usucapione e destinazione del padre di famiglia.
L'usucapione è espressamente prevista quale modo di acquisto, a titolo originario,
delle servitú apparenti è opera secondo le regole generali dell'istituto.
Destinazione del padre di famiglia: In questo caso un proprietario costituisce delle
opere sul suo fondo, una strada asfaltata, per esempio, tali da essere utili per una
porzione del fondo rispetto ad un'altra. Ebbene se queste opere sono permanenti e
visibili e se il fondo viene diviso e venduto a due (o più) soggetti diversi, basterà
dimostrare che il proprietario ha lasciato le cose in maniera corrispondete
all'esistenza di una servitù che questa, in assenza di una diversa volontà del vecchio
proprietario, è costituita. La servitù si costituisce, quindi, se si verifica la situazione
prevista dalla legge, senza che vi sia una specifica manifestazione di volontà e senza
che nemmeno vi sia una sentenza. La servitù non può essere unilateralmente
modificata. Estinzione avviene per confusione (art. 1072), prescrizione per non uso
ventennale (1073), impossibilità di uso e mancanza di utilità (1074).

Usi civici.
Ai diritti reali su cosa altrui possono essere accostati gli usi civici. Essi consistono in
diritti spettanti su proprietà altrui agli appartenenti a determinate collettività di
persone. La facoltà di godimento su proprietà private o pubbliche sono riconosciute
al singolo soggetto in quanto membro di una comunità legata ad un territorio. Si
tratta di facoltà di godimento che si ricollegano a una organizzazione della società e
della economia in larga misura non più attuale. Si pensi al diritti degli appartenenti a
una frazione comunale di raccogliere legna corta in boschi o di pascolare greggi in
appezzamenti determinati. Tali diritti rappresentano una persistente limitazione
gravante su taluni fondi, soprattutto in alcune zone del paese. Sono inalienabili e
imprescrittibili, ma si tende ad eliminarli, consentendo la liberazione dei fondi da
essi gravati mediante il pagamento di somme di denaro da destinare a beneficio
delle comunità che ne risultano ancora titolari. Il riordino e la conseguente
liquidazione degli usi civilistici risultano perseguiti attraverso l'istituzione di appositi
organi cui siano stati attribuiti ampi poteri in materia.

Onere reale.

L'onore reale consiste in un vincolo gravante su un bene immobile, in virtù del quale
chi si trova nel relativo godimento è tenuto ad eseguire una prestazione periodica a
favore di un altro soggetto. Caratteristica dell’onere reale è l’immediatezza quale
potere del titolare di soddisfarsi sulla cosa indipendentemente dalle vicende relative
ai diritti che la concernono con il conseguente possibile esercizio di un'azione reale.
Il carattere reale del vincolo viene ricollegato anche al peculiare modi di presentarsi
della responsabilità di chi si trovi a godere del bene che ne è gravato. Costui
risponde pure delle prestazioni maturare precedentemente all'instaurazione del suo
rapporto col bene stesso.

22
Comunione e condominio.
Comunione.

La comunione è la situazione che si determina quando la proprietà o altro diritto


reale spetta in comune a più persone (art. 1100). Se come accennato si ritiene
inammissibile la coesistenza di più diritti di proprietà sullo stesso bene, è consentita
invece la contitolarità dello stesso diritto sul bene da parte di una pluralità di
soggetti. Il fenomeno che ne risulta si presenta molto diffuso. La difficoltà è quella di
conciliare la concorrenza, in relazione al bene, di una pluralità di interessi individuali
della stessa natura, assicurando nello stesso tempo che l'esercizio delle facoltà di
godimento e dei poteri di disposizione inerenti la proprietà non ne risulti
pregiudicato. L'origine della situazione di comunione può essere diverso.

 Si usa parlare al riguardo di comunione volontaria quando sorge per volontà


delle parti, come nel caso di un acquisto insieme di una cosa
 Comunione incidentale quando sorge indipendentemente dalla volontà delle
parti per effetto di previsione legislativa, come nel caso della comunione
ereditaria.
 Comunione forzosa quando è imposta dalla legge non ne è ammesso lo
scioglimento.

Per regolamentare la partecipazione di ciascuno alla contitolarità del diritto,


l’ordinamento ricorre al concetto di quota. Il diritto di ogni partecipante ha ad
oggetto la cosa nel suo insieme e non una sua parte specifica, ma esso viene limitato
dal concorso del diritto spettante a ciascuno degli altri contitolari. Il concorso dei
partecipanti, ai quali insieme spetta la proprietà, tanto nei vantaggi quanto ai
svantaggi, è determinato in proporzione delle rispettive quote (1101). Tale
situazione viene correttamente definita come diritto a una quota ideale della cosa.
La quota indica la misura della partecipazione di ciascun contitolare al medesimo
diritto sul bene. Ciascun partecipante può disporre del suo diritto e cedere ad altri il
godimento della cosa nonché costituite un ipoteca sulla propria quota. Quanto alla
utilizzazione della cosa comune, ogni partecipante può utilizzarla individualmente
rispettando l’analogo diritto di godimento che compete agli altri partecipanti. Non
può, però, alterare la destinazione economica della cosa. In tali limiti può anche
apportare, a proprie spese, le modificazioni necessarie per migliorare il godimento
della cosa. L'art.1102 fa riferimento all'eventuale estensione del diritto del
partecipante sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti. A tal fine è richiesto
il compimento di atti idonei a mutare il titolo del suo possesso. Occorre, per
trasformare ai fini dell'usucapione, il compossesso in possesso esclusivo, un
comportamento che denoti inequivocamente l'intenzione esclusiva di possedere il
bene.

Ciascun titolare è tenuto a partecipare alle spese necessarie per la conservazione e il


godimento della cosa in comune in proporzione della sua quota. Ci si può liberare da
tale obbligo solo rinunciando al diritto. In tal modo la quota degli altri partecipanti si
accresce, in vantaggio o in svantaggio. L’amministrazione della cosa comune spetta
collettivamente a tutti i partecipanti, secondo il principio maggioritario. Per gli atti di
ordinaria amministrazione è sufficiente che le deliberazioni provengano dalla
maggioranza dei partecipanti. All'autoritá giudiziaria si potrà rivolgere ciascun
partecipante nel caso in cui non vengano presi o eseguiti i provvedimenti necessari
per l'amministrazione della cosa comune. A maggioranza potrà essere adottato un
regolamento per l'ordinaria amministrazione e per migliorare il godimento della
cosa comune nonché nominato un amministratore. Tale regolamento può essere
impugnato davanti al l'autorità giudiziaria dai partecipanti dissenzienti. Solo con una
maggioranza qualificata si possono disporre innovazioni dirette a migliorare la cosa
in comune purché non comportino una spesa troppo gravosa. Contro le
deliberazioni, ciascun componente della minoranza può proporre impugnazione
davanti all'autorità giudiziaria. Il partecipante ha diritto di chiedere in ogni momento
lo scioglimento della comunione e la conseguente divisione. La divisione ha luogo
preferibilmente in natura, ove la cosa sia comodamente divisibile in parti
corrispondenti alle quote dei partecipanti (art. 1114). Nella divisione delle cose
comuni si applicano le norme sulla divisione ereditaria.

Condominio negli edifici.

Il c.c. ha dettato una disciplina dettagliata per il condominio negli edifici. Sono
oggetto di proprietà comune tutto ciò che forma il condominio. Ciascuno ha la
proprietà individuale di un piano o porzione di piano ed è allo stesso tempo
contitolare della proprietà delle parti comuni dell'edificio. Sono oggetto di proprietà
comune, il suolo, le fondamenta, i muri maestri, i pilastri e le travi, i porticati, i
cortili, il tetto, le aree destinate al parcheggio, ecc. Proprio per questo carattere
funzionale si tratta di una comunione forzosa. Ciascun condomino, può servirsi di tali
parti comuni, ma non può chiedere la divisione. Il diritto di ciascun condomino su
tali cose è proporzionato al valore del piano o al valore della porzione di piano che
gli appartiene. Egli non può rinunciare al suo diritto sulle parti comuni e sottrarsi al
contributo per le spese della relativa conservazione. E’ prevista la presenza di un
amministratore qualora i condomini siano più di 8. All’amministratore compete la
rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condomini sia
contro i terzi. Se i condomini sono più di 10 c’è l’obbligatorietà della formazione di
un regolamento condominiale che contempli le norme per l'uso della cosa comune e
per la ripartizione delle spese. Al regolamento condominiale è rimandata la
determinazione del valore rispettivo delle proprietà individuali ai fini del concorso
nell'amministrazione e nella sopportazione delle varie spese condominiali. Le norme
del regolamento condominiale non possono menomare i diritti di ciascun
condominio, quali risultanti dagli atti di acquisto e dalle convenzioni. L’organo
collegiale del condominio, cui sono riconosciuti ampi poteri, è rappresentato
dall’assemblea dei condomini. Per la sua costituzione e per le sue deliberazioni il
codice civile detta una disciplina articolata fondata sulla concorrente rilevanza di
due criteri:

 Il valore complessivo dell'edificio


 Il numero dei partecipanti al condominio

Tutti i condomini devono essere invitati alla riunione ed è richiesto un quorum, le


maggioranze per le deliberazioni sono diverse a seconda della decisione da
discutere. Le deliberazioni in assemblea sono obbligatorie per tutti i condomini ma
ne è prevista l'impugnazione con ricorso all'autorità giudiziaria da parte dei
condomini dissenzienti o assenti entro 30 giorni. Sono impugnabili le deliberazioni
che incidono sui diritti individuali dei condomini. Le spese sono ripartite tra i
condomini in proporzione al valore della proprietà di ciascuno, con un diverso
criterio nel caso di cose destinate a servire condomini in misura differente e per le
spese destinate a servire solo ad un gruppo di condomini. Regole specifiche sono
previste per la ripartizione delle spese relative alle scale, ai soffitti, volte e solai. Il
diritto di sopraelevare l'edificio è riservato al proprietario dell'ultimo piano o a chi
risulti proprietario esclusivo del lastrico solare previo indennizzo agli altri condomini.
Multiproprietá.

L’espressione “multiproprietà” si è affermata nella pratica degli affari immobiliari


senza un preciso significato tecnico-giuridico. Con essa si è inteso semplicemente
individuare la sostanza del fenomeno consistente nell’attribuzione ad un soggetto
del godimento ciclico, per un certo periodo ogni anno, di locali idonea ad una
utilizzazione turistica.
Il modello cui meglio si qualifica la multiproprietà è tradizionalmente quello della
cosiddetta multiproprietà immobiliare o reale, la cui natura giuridica è stata molto
discussa. Le diverse tesi hanno fatto riferimento alla comunione, tra i componenti
dell'unità abitativa, alla costituzione di un diritto reale atipico, alla delineazione di un
nuovo tipo di proprietà. La ricostruzione più diffusa è quella accostata al fenomeno
della comunione specificamente caratterizzata dalla indivisibilità e dalla preventiva
predeterminazione della modalità temporale di godimento di ciascuno dei
comproprietari. Tale ricostruzione deve fare i conti oltre che con i carattere
meramente obbligatorio della determinazione delle modalità temporali di
godimento, con quello di naturale temporaneità della comunione. La tesi della
proprietà-spazio temporale si propone di consentire l'opponibilità della
regolamentazione temporale del diritto, data la peculiarità della situazione rende
scarsamente utile lo stesso riferimento all'idea di proprietà esclusiva del bene
considerato.

Fonte di problemi ricostruttivi è anche la multiproprietà azionaria caratterizzata


dall'essere il godimento ternario del multi proprietario collegato alla titolarità di
azioni di una società, cui compete la proprietà dell'immobile. Alle difficoltà derivanti
dalla compatibilità di tale modello con la disciplina societaria si è cercato di porre
rimedio considerando il duplice rapporto che lega il soggetto in quanti titolare della
posizione di socio alla società, la quale conserva la proprietà dell'immobile è quello
derivante da,la convenzione tra società ed azionista da cui deriva a quest'ultimo il
diritto personale al godimento dell'unità immobiliare per il periodo stabilito.

Si parla anche di multiproprietà alberghiera con riferimento all'ipotesi in cui il


godimento periodico del bene. Sia assicurati ad una struttura di tipo alberghiero. Si
tratta in sostanza di una variante dei due precedenti modelli. Non va confusa con
essa l'acquisto di un diritto personale di godimento relativamente ad un'alloggio e
con diritto alla fruizione dei servizi alberghieri da una società turistico-alberghiera.
Di fornite ad un quadro tanti incerto, il legislatore ha inteso garantire la posizione
dell'acquirente nei confronti del venditore, disciplinando i i contratti con cui si
realizzano le finalità tipiche della figura. Sono state così puntualmente le
informazioni da offrire in sede di pubblicità, il contenuto del formulario informativo
che deve essere consegnato all'aspirante acquirente, la forma del contratto ed il suo
contenuto, il diritto di recesso da esercitare entri 14 giorni dalla conclusione del
contratto con modalità ed effetti rigorosamente predefiniti, l'obbligo del vendite di
prestare idonea garanzia. Sono state previste sanzioni rilevanti a carico dei venditori
che non si adeguino alla disposta regolamentazione.

23
Possesso.
Nozione.
L'art. 1140 c.c. afferma che“ il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in
un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale”
Da tale enunciato si deduce che l’ordinamento offre la sua tutela al soggetto non
solo in quanto titolare di una situazione soggettiva qualificabile come diritto, ma
anche per i semplice fatto di esercitare un potere sulla cosa, tenendo un
comportamento corrispondente a quello che gli sarebbe consentito dalla titolarità
della proprietà (o altro diritto reale). Una certa tutela è accordata al soggetto in
quanto eserciti il potere di fatto sulla cosa, indipendentemente dalla incostanza che
egli sia o meno titolare di un diritto che legittimerebbe l’esercizio del potere: potrà
esserlo o meno, ciò non rileva ai fini del riconoscimento della tutela possessorio. E’
riconosciuto valore giuridico a quella situazione di fatto che si manifesta in
un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale, in una
parola, tutelando e attribuendo valore giuridico al possesso. Significa che dal solo
possesso scaturiscono conseguenze giuridiche che possono portare anche
all'acquisto del diritto, come accade nella usucapione. Per indicare questa
complessa situazione di fatto e tutto quello che ne consegue, si parla di "ius
possessionis", un diritto, certo, ma un diritto a una tutela provvisoria, destinato a
cedere di fronte alla dimostrazione del vero diritto. Per questo motivo non bisogna
confondere lo ius possessionis con lo "ius possidendi" che è il diritto del proprietario
a possedere, diritto che esiste anche quando il proprietario non possiede, perché è
stato spogliato del possesso, o anche perché non lo ha mai conseguito, mentre non
è concepibile che scaturiscano effetti dal possesso quando questo non vi sia mai
stato.
Il titolare del diritto in quanto abitualmente anche nel possesso della cosa, trova
nella tutela possessoria mezzi più efficienti per una più pronta tutela dei suoi
interessi, senza dover sottostare alle lungaggini della probatio diabolica per
dimostrare il diritto di proprietà.
Ai fini della ora accennata distinzione delle possibili situazioni possessorie rispetto
alla cosa, risulta decisivo l’elemento intenzionale (animus). il quale si ritiene
rappresentare, in via generale, uno dei due elementi costitutivi del possesso (l’altro
è individuato nel corpus, potere di fatto sulla cosa, cioè nella relazione materiale con
essa, che ne consente al soggetto la concreta disponibilità).

Possesso e detenzione.
La distinzione tra possesso e detenzione è fondata sull’elemento intenzionale
(animus). art. 1140 “ si può possedere direttamente o per mezzo di altra persona,
che ha la detenzione della cosa”. L’ordinamento ammette che il possessore resti tale
anche se altri siano nella immediata disponibilità di fatto della cosa (possesso
indiretto) quasi che il soggetto che ha tale disponibilità materiale (detentore) operi
quale strumento del possessore. Alla base della detenzione, vi è un rapporto col
possessore, il quale trasmette ad altri la detenzione come espressione del suo
potere sulla cosa, con conseguente riconoscimento, da parte del detentore, della
preminenza dell’altrui posizione rispetto alla cosa stessa, e, quindi, del carattere
dipendente della propria posizione.
Il possesso risulta caratterizzato dall’intenzione di tenere la cosa per se (animus
possidendi), senza riconoscere la preminenza di altri su di essa.
La detenzione (possesso minore) è caratterizzata dall’intenzione di tenere la cosa
per gli altri, rispettandone la posizione preminente (animus detinendi).
In generale l'art. 1141 c.c. presume che, chi esercita il potere di fatto su una cosa sia
possessore e non detentore, ma lo stesso articolo ammette che la detenzione possa
mutarsi in possesso (interversione del possesso). Una volta che la situazione sia
iniziata come detenzione, il possesso potrà essere acquistato solo ove il relativo
titolo venga mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione
contro il possessore. Sotto il primo profilo è da considerare l'atto col quale l'attuale
possessore conferisca il possesso al detentore. La distinzione tra possesso e
detenzione è basilare poiché diversi sono gli effetti. Così il solo possesso è preso in
considerazione ai fini dell'acquisto della proprietà per usucapione. Inoltre l'esercizio
delle azioni possessorie compete al possessore, mentre al detentore spetta solo
quella di reintegrazione. Tale è la detenzione quando il soggetto, pur riconoscendo
la dipendenza della propria posizione da quella altrui, detiene nell'interesse proprio.
Oggetto e vicende.
Sono suscettibili di possesso tutte le cose aventi una realtà oggettivamente
percepibile. Sono considerate possibili oggetto di possesso, le sorgenti, le energie
naturali, le onde elettromagnetiche. Sono suscettibili di possesso le universalità di
beni mobili ma si dubita fortemente che possano esserlo i beni immateriali. E’
considerato senza effetto il possesso delle cose di cui non può acquistarsi la
proprietà.
L’acquisto del possesso può avvenire originariamente, con l’impossessamento, il
quale si realizza mediante l’apprensione materiale della cosa. L'apprensione della
cosa per determinare gli effetti che ne sono propri, richiede un profilo di
consapevolezza e intenzionalità. E’ un atto giuridico in senso stretto che richiede
capacità giuridica. L’acquisto del possesso è escluso se la disponibilità di fatto della
cosa consegue atti di tolleranza altrui (art. 1144). L’acquisto del possesso, il più delle
volte, avviene in modo derivativo, attraverso la relativa trasmissione con la
consegna (traditio), in cui si ravvisa un atto giuridico in senso stretto. La consegna
costituisce correntemente adempimento della relativa obbligazione nascente da un
contratto. Per avere acquisto del possesso, occorre che la cosa sia posta nella
effettiva disponibilità di fatto del soggetto. Ciò potrà avvenire materialmente, con
una consegna reale, o tramite consegna meramente simbolica (chiavi).

La consegna può avere anche carattere consensuale quando il possessore trasferisce


ad un altro soggetto il possesso conservando la detenzione della cosa. La perdita del
possesso può avvenire, oltre che per il perimento della cosa, perché il possessore ne
viene privato da altri (spoglio), per l’abbandono (derelictio) della cosa stessa o per la
sua restituzione. Dato che l'effetto forse più rilevante del possesso è legato alla sua
persistenza nel tempo, risultano fondamentali le regole previste con riferimento alla
relativa dinamica temporale. Innanzitutto il possessore attuale che abbia posseduto
in tempo più remoto si presume avere posseduto anche nel tempo intermedio.
L'attuale possessore per vedersi riconosciuta la continuità del possesso non dovrà
fornire prova di avere posseduto in ogni momento potendo limitare a provare il
possesso in un momento anteriore. È previsto poi che il possesso attuale non faccia
presumere il possesso anteriore. Per essere considerato tale anche in precedenza,
l'attuale possessore dovrà allora provare il possesso anteriore. L’art. 1146 prevede
che il possesso continua nell’erede con effetto della apertura della successione. In
caso di successione mortis causa viene automaticamente a crearsi una continuità tra
il possesso del defunto è quello dell'erede quasi che il secondo ne continui la
persona. Il possesso in tal modo continua nell'erede con i medesimi caratteri che
contraddistinguevano il possesso del defunto. Esso sarà considerato di buona o mala
fede a seconda che tale fosse in capo a quest'ultimo, indipendentemente dallo stato
psicologico del successore. In caso di successione a titolo particolare, il successore,
per creare continuità del suo possesso con quello del dante causa può unire al
proprio possesso il possesso del suo autore per goderne degli effetti. Trattandosi di
unire al suo possesso quello del precedente possessore il soggetto dovrà avere
conseguito effettivamente il possesso stesso ottenendo la consegna della cosa dal
dante causa o dall'erede. Se il nuovo possessore è in buona fede al momento
dell'acquisto del possesso, tale sarà considerato, anche se il possesso del suo dante
causa fosse stato in mala fede. Se il nuovo possessore acquista il possesso in mala
fede, egli non potrà invocarne la eventuale qualificazione di buona fede del
possesso del suo dante causa.

Possesso di buona fede.


In ordine agli effetti che l’ordinamento ricollega alla situazione possessoria, assume
una rilevanza essenziale la relativa qualificazione sotto il profilo della buona fede o
mala fede.
E’ considerato possessore di buona fede chi possiede ignorando di ledere altrui
diritto (art. 1147). Il possessore non può invocare la propria buona fede ove
l’ignoranza della lesione dell’altrui diritto dipenda da colpa grave (1147). La colpa si
ritiene grave quando l’errore non è scusabile. Al soggetto, per essere giustificato, è
richiesto un comportamento improntato a quel minimo di diligenza che lo renda
socialmente accettabile. È da tenere presente che il dubbio, almeno se
ragionevolmente serio, è incompatibile con la buona fede. L'art.1147 pone una
presunzione di buona fede fino a prova contraria da parte di chi ciò contesta. Inoltre
si ritiene che la buona fede sussista al momento dell’acquisto.

Effetti del possesso.

Gli effetti del possesso sono raggruppati in tre nuclei problematici:

 Diritti e obblighi del possessore nella restituzione della cosa


 Possesso di buona fede dei beni mobili
 Usucapione

L'art. 1148, indica che il possessore di buona fede fa suoi i frutti prodotti dal bene
fino al giorno della domanda giudiziale di restituzione. Da tale momento fino alla
restituzione della cosa fruttifera risponde nei confronti del soggetto che abbia
esercitato l'azione di rivendicazione nei suoi riguardi non solo dei frutti
effettivamente percepiti ma anche di quelli che avrebbe dovuto percepire usando
l'ordinaria diligenza. Il possessore di mala fede quindi non è ritenuto meritevole di
tutela e deve restituire i frutti percepiti.
Il possessore (buona o mala fede) che è tenuto a restituire i frutti indebitamente
percepiti ha diritto al rimborso delle spese fatte per le riparazioni straordinarie e
ordinarie (1150). Il possessore ha sempre diritto di essere indennizzato per i
miglioramenti purché sussistenti al momento della restituzione. Per le addizioni
infine è previsto che per le opere fatte da un terzo con i suoi materiali, ove
prevedono un miglioramento, il possessore di buona fede ha diritto ad una
indennità pari all'aumento di valore della cosa. La posizione del possessore in buona
fede è vista con maggior favore anche da un diverso punto di vista. Egli infatti può
ritenere la cosa finché non gli sia corrisposta l'indennità dovuta, purché richieste nel
corso del giudizio di rivendicazione e sia stata fornita una prova della sussistenza
delle riparazioni e dei miglioramenti. Con il diritto di ritenzione riconosciuto al
possessore, il proprietario avente diritto alla restituzione è gravato da obblighi di
rimborso nei confronti del possessore. Si tratta di una forma di autotutela
eccezionalmente consentita dall'ordinamento a garanzia del creditore.

Possesso di buona fede di beni mobili.


Tra gli effetti del possesso, si colloca in primo piano, il principio enunciato dall'art.
1153 secondo cui colui al quale sono alienati beni mobili da parte di chi non è
proprietario, ne acquista la proprietà mediante il possesso, purché sia in buona fede
al momento della consegna e sussista un titolo idoneo al trasferimento della
proprietà. La disciplina in esame regola anche il conflitto tra i successivi aventi causa
dallo stesso dante causa. Se taluno con successivi contratti aliena a più persone lo
stesso bene mobile, è preferito colui che abbia in buona fede conseguito il possesso
anche se il suo acquisto sia posteriore. Il possessore dunque è chiamato a svolgere,
in materia di circolazione di beni mobili, una essenziale funzione di pubblicità
risolvendo a favore di chi possa vantare il possesso della cosa il problema delle
conseguenze della doppia alienazione. Chi acquista il possesso in buona fede può
essere certo di non potersi vedere mai opposto il precedente acquisto di altri. Non
essendo l'alienante, in quanto non proprietario, legittimato a trasferire la proprietà,
l'acquisto del diritto non può essere considerato dipendente dalla precedente
titolarità del diritto stesso da parte di altri. Si tratta allora di acquisto a titolo
originario. Col carattere originario dell'acquisto risulta coerente la regola per cui la
proprietà si acquista libera da diritti altrui sulla cosa. Di conseguenza il proprietario
non potrà rivendicare il bene, e nemmeno gli altri titolari di diritti sul bene potranno
farli valere, a meno che questi diritti non risultavano dal titolo (astrattamente
idoneo) di acquisto del possessore.

Centro di gravità della fattispecie acquisitiva è il conseguimento del possesso della


cosa. Il conseguimento della cosa avviene mediante trasmissione della concreta
disponibilità della cosa stessa dall'alienante all'acquirente. L'acquisto presuppone
che il conseguimento sia avvenuto in buona fede, quindi nell'ignoranza circa la
mancanza della proprietà della cosa. La buona fede si presume ma non può essere
invocata in caso di colpa grave. Il soggetto che abbia acquistato la cosa, conoscendo
l'originaria illegittima provenienza (ad esempio rubata), non porta a credere che il
suo precedente possessore sia effettivamente proprietario. La consapevolezza
dell'originaria illegittimità del bene esclude la buona fede. Deve sussistere un titolo
idoneo al trasferimento della proprietà. Si usa precisare che il titolo deve essere
astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà. Il titolo astrattamente idoneo
ma che non presenti i requisiti richiesti è considerato invalido e l'acquisto del
possesso in buona fede non vale a sanare i vizi dell'atto che lo rendano invalido.
Titolo astrattamente idoneo può essere qualsiasi atto di alienazione, a titolo
oneroso, ma anche a titolo gratuito come donazione, vendita, ecc.
Sempre secondo l'art. 1153 come si può acquistare la proprietà sui beni mobili, allo
stesso modo si possono acquistare sui beni mobili i diritti di usufrutto, di uso e di
pegno.
Ricordiamo, infine, che la regola esposta nell'art. 1153 non si applica alle universalità
di mobili e ai beni mobili registrati (art. 1156 c.c.).

Usucapione.

È un modo di acquisto dei diritti reali su beni mobili e beni immobili


per effetto del possesso continuo e ininterrotto per i periodi di tempo stabili dalla
legge

L'usucapione è quindi un modo di acquisto a titolo originario del diritto di proprietà


e degli altri diritti reali che si verifica per cause opposte alla prescrizione; mentre
nelle prescrizione il diritto si perde a causa del trascorrere del tempo, accompagnata
dall'inerzia del titolare del diritto, nella usucapione il diritto si acquista per il
trascorrere del tempo accompagnata da una attività svolta da un soggetto su un
bene su cui grava un diritto reale altrui; questa attività è il possesso.

In via figurata è come se il possessore "assorbisse" il diritto reale altrui, quando il


suo titolare non faccia nulla per farlo valere nel periodo stabilito dalla legge.

Un esempio chiarirà ulteriormente il concetto. Supponiamo che io sia proprietario di


un fondo agricolo, ma a causa della sua lontananza e della sua posizione disagiata
non me ne occupi per venti anni; nello stesso periodo, però, un contadino occupa il
mio fondo e comincia a coltivarlo a recintarlo etc. comportandosi, quindi, come se
fosse il proprietario; se io non faccio valere il mio diritto per venti anni, e il possesso
del contadino dura ininterrottamente per lo stesso periodo, il contadino diverrà
proprietario del fondo per usucapione, mentre io avrò perso il diritto proprio perché
usucapito dal contadino.
L'esempio non è stato scelto a caso, perché se è vero che la proprietà è uno dei
pochi diritti che non si prescrivono, è anche vero che può essere persa a causa della
usucapione.

L'elemento fondamentale della usucapione è quindi il possesso; vediamone le


caratteristiche:

 deve essere stato conseguito senza violenza o clandestinità (art. 1163 c.c.); il
possesso idoneo alla usucapione si verifica nel momento in cui la violenza o
clandestinità è cessata
 deve protrarsi per i periodi stabili dalla legge
 deve essere continuo e ininterrotto

Occupiamoci in maniera più specifica delle ultime due caratteristiche.


Per possesso continuo si intende la permanente manifestazione della propria
signoria sulla cosa.
Il possesso deve poi essere ininterrotto; in altre parole non devono accadere fatti
che siano idonei a interrompere il possesso, e l'interruzione può essere naturale,
quando non vi sia il possesso per oltre un anno (1167 c.c.), e civile ex art. 1165 c.c.
che richiama, in quanto applicabili, le norme sulla interruzione e sospensione della
prescrizione.

Veniamo, ora, ai periodi di tempo necessari per l'usucapione. Questi sono diversi
secondo il tipo di bene da usucapire;

 usucapione su beni immobili e universalità di mobili: il possesso deve protrarsi


per venti anni (artt. 1158 e 1160 c.c.)
 beni mobili posseduti senza titolo astrattamente idoneo all'acquisto del
diritto: il possesso deve protrarsi per dieci anni, se acquistato in buona fede,
venti anni, se acquistato in mala fede (1161 c.c.) .
 beni mobili posseduti con titolo astrattamente idoneo all'acquisto del diritto e
in buona fede: l'acquisto è immediato ex articolo 1153 c.c.
 beni mobili registrati: se l'acquisto è avvenuto in buona fede e in base a un
titolo astrattamente idoneo, l'usucapione si verifica dopo tre anni dalla
trascrizione del titolo, dieci anni, mancando questi elementi (art. 1162 c.c.)

Un caso particolare riguarda l'usucapione abbreviata prevista dall'art. 1159 c.c. In


questo caso l'usucapione si realizza su beni immobili, ma invece di essere
ventennale, è decennale.
L'abbreviazione dei termini si spiega per le particolari condizioni del possesso; per
aversi usucapione abbreviata è infatti necessario:

 che il possesso sia iniziato in buona fede


 che vi sia un titolo astrattamente idoneo a trasferire la proprietà, o altro
diritto reale di godimento
 che il titolo sia stato trascritto

In presenza di queste condizioni, l'usucapione si compie dopo soli dieci anni dalla
data della trascrizione del titolo.

Azioni a tutela del possesso.

Le azioni a tutela del possesso sono azioni processuali che hanno come scopo la
difesa del possesso indipendentemente dall'accertamento del diritto che ne
dovrebbe essere alla base. Forniscono una tutela provvisoria destinata a cessare di
fronte alle azioni che accertano il diritto.
Le azioni a tutela del possesso sono due:

 Azione di reintegrazione (o spoglio) art. 1168: ha come scopo la


reintegrazione nel possesso di chi ne sia stato spogliato in maniera violenta o
clandestina. L’azione deve essere esercitata entro un anno dallo spoglio
(1168). Se lo spoglio è clandestino il termine decorre dal giorno della scoperta
dello spoglio. Lo spoglio consiste in qualsiasi comportamento che valga ad
impedire durevolmente l’esercizio del potere di fatto sulla cosa. Il carattere
violento dello spoglio è inteso in senso lato dalla giurisprudenza.
Tradizionalmente si reputa necessario che lo spossamento avvenga con una
corrispondente intenzione. La giurisprudenza fa riferimento a questa
intenzione come privare il godimento della cosa al possessore contro la sua
volontà. Essendo considerato lo spoglio un atto illecito si tende a ritenere che
l'attore debba provarne il carattere colposo o doloso. Se lo spoglio non è stato
violento o clandestino il possessore potrà comunque chiedere di essere
reintegrato nel possesso. La reintegrazione è ordinata dal giudice sulla base
della semplice notorietà del fatto, senza dilazione. Caratteristica del giudizio è
quella di svolgersi in due fasi. Fase di urgenza (si conclude con l’ordine di
reintegrazione, di carattere provvisorio e cautelare) e di merito ( si conclude
con sentenza definitiva).
 Con l'azione di manutenzione chi è stato molestato nel possesso di un
immobile o su una universalità di beni mobili, può entro un anno da tali
turbative, chiedere la cessazione delle stesse. Qualora il possesso sia stato
acquistato violentemente o clandestinamente l'azione può essere esercitata
entro un anno dal giorno in cui la violenza o la clandestinità sono cessate. La
molestia si distingue dallo spoglio in quanto, nella prima ipotesi, la cosa
permane nella disponibilità del possessore. Le molestie possono essere di
fatto (attività materiale che incide sullo stato di fatto esistente) o di diritto
(compimento di atti giuridici volti ad impedire o ad ostacolare l'esercizio del
possesso altrui). Se ricorrono le condizioni per la proposizione dell'azione di
manutenzione, anche colui che abbia subito uno spoglio non violento o
clandestino può chiedere di essere rimesso nel possesso. Per far cessare le
molestie il giudice può adottare i provvedimenti che ritiene più opportuni
anche per impedire molestie future. Può così essere ordinata la demolizione
di opere o il ripristino di quelle manomesse per turbare l'altrui possesso.

24
Obbligazioni
Emersione storica dell'obbligazione.
L’obbligazione consiste in un vincolo giuridico tra due soggetti, in virtù del quale un
soggetto (debitore) è tenuto ad un determinato comportamento, suscettibile di
valutazione economica (prestazione), verso un altro soggetto (creditore), per
soddisfare un interesse anche non patrimoniale di quest’ultimo.
I due soggetti sono titolari di situazioni giuridiche soggettive correlate,
rispettivamente, di debito (passiva) e di credito (attiva). Nel diritto romano,
l'obbligazione indicava la posizione di un soggetto materialmente legato e vincolato
ad un'altro soggetto. Il vincolo giuridico che legava i due soggetti era concepito
come un vincolo materiale (nexum), per sciogliersi dal quale era necessario che lo
stesso obbligato o altro soggetto per lui recidesse tale vincolo con la cosiddetta
solutio, la quale pertanto operava con la eliminazione del vincolo. (Nexi liberatio).
Il codice civile non definisce le obbligazioni, che sono, invece, definite nelle
istituzioni di Giustiniano cui ci siamo inspirati.

Fonti.

Per l’art. 1173 le obbligazioni derivano “da contratto, da fatto illecito, o da ogni altro
atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico”. Per “fonti
dell’obbligazione” si intendono i fatti giuridici da cui le obbligazioni derivano e cioè i
fatti giuridici determinativi della nascita delle obbligazioni. I criteri di identificazione
dell’obbligazione si appuntano essenzialmente sulla causa (titolo) e sul contenuto
(prestazione) dell’obbligazione.
Il sistema delle fonti delle obbligazioni è organizzato intorno a tre classi. Le prime
due classi sono il contratto e il fatto illecito. Essi rappresentano le fonti generali e di
più comune ricorrenza.

 Contratti: sono le tipiche fonti delle obbligazioni. Con questo strumento le


parti si impegnano volontariamente ad eseguire delle prestazioni. Es. se si
commissiona un quadro il pittore s'impegnerà ad eseguirlo ed una volta finito
si sarà obbligati a versare il corrispettivo per l'opera svolta.
 Fatto illecito: in questo caso si prescinde da ogni e qualsiasi accordo tra i
soggetti dell'obbligazione, anzi c'è almeno un soggetto (il danneggiato) che
non vuole il fatto da cui scaturisce l’obbligazione. Art. 2043, risarcimento del
danno.

La terza classe è riferita a ogni altro atto o fatto a produrle secondo l'ordinamento. È
una classe residuale rispetto le prime due avendo riguardo tutte le altre fonti non
riconducibili al contratto e al fatto lecito.

Possiamo fare una distinzione tra fonti volontarie e fonti legali a seconda che le
obbligazioni traggano origine dalla volontà degli interessati o siano ricollegati
direttamente alla legge. Le fonti volontarie si riducono all'esplicazione
dell'autonomia negoziale, attraverso negozi unilaterali e mediante contratti. Nelle
fonti legali invece l'obbligazione è riconducibile alla legge.

Struttura del rapporto obbligatorio.


Il codice civile non contiene una espressa nozione di obbligazione, infatti ancora oggi
si è solito fare riferimento alle definizioni che provengono dal diritto romano. Gli art.
1174 e 1175, pur regolando solo alcuni profili dell’obbligazione, consentono di
delinearne la fisionomia come di un vincolo giuridico di due posizioni giuridiche
(creditoria e debitoria) correlate al fine di soddisfare un interesse attraverso la
cooperazione di altro soggetto. L'idea di fondo è che si faccia ricorso al rapporto
obbligatorio quando si ha necessità di realizzare un interesse che non si è in grado di
soddisfare personalmente e direttamente sicchè c'è l'esigenza di avvalersi
dell'attività di un'altro soggetto. La struttura del rapporto di obbligazione è quindi
caratterizzata dalla posizione del creditore e del debitore. Creditore che diritto a
conseguire una utilità tramite il comportamento del debitore e il debitore obbligato
a procurare tale utilità al creditore con il suo comportamento.

Diversamente dai diritti reali che sono caratterizzati da immediatezza e assolutezza,


nel senso che sono realizzabili sulla cosa autonomamente dal titolare e posso essere
fatti valere verso tutti, i diritti di credito sono caratterizzati da mediatezza e
relatività, in quanto il credito è realizzabile solo tramite la cooperazione di altro
soggetto e può essere fatto valere solo nei confronti del debitore. Perciò i diritti di
credito sono diritti relativi qualificati da una pretesa verso il debitore ad una
determinata prestazione e presidiati da una cosiddetta azione personale verso il
debitore stesso. E ciò sia quando il credito è rivolto al conseguimento di una cosa
(pagamento del prezzo o consegna di una cosa) o di un servizio (trasporto), sia
quando è indirizzato all'utilizzazione di una cosa di proprietà altrui (locazione di un
immobile). Nella determinazione delle situazioni soggettive assume un ruolo
fondamentale il titolo dell'obbligazione, cioè la causa ovvero il fondamento della
stessa che va a fissare la fonte ma anche il contenuto del rapporto. Diverso profilo è
quello della tutela esterna del credito essendo i terzi tenuti al rispetto del vincolo
obbligatorio. I terzi che con il proprio comportamento ostacolano o inducono
all'inadempimento o comunque determinano la mancata attuazione del rapporto
obbligatorio rispondo per fatto illecito e sono tenuti a risarcire il danno per aver reso
irrealizzabile la posizione creditoria.

Soggetti.
Per soggetti si intendono i titolari delle situazioni soggettive di credito e di debito.
Titolare della situazione attiva è il creditore, della situazione passiva è il debitore. I
soggetti esprimono due centri di interessi. Più spesso la titolarità della situazione
attiva o passiva, è formata da una sola persona ma sono frequenti le ipotesi di una
titolarità di situazione composta da più persone, le quali assumono la veste di
contitolari della medesima posizione debitoria o creditoria. Quando la qualità di
debitore e creditore si riuniscono nella stessa persona, l’obbligazione si estingue per
confusione. I soggetti devono essere determinati o determinabili. Se i soggetti non
sono precisamente indicati devono almeno risultare nel titolo i criteri di
determinazione degli stessi. Si pensi alla promessa al pubblico in virtù della quale un
soggetto (debitore) promette una prestazione a favore di chi si trovi in una
determinata situazione o compia una determinata azione. Il debitore è vincolato
dalla promessa appena questa è resa pubblica anche se il creditore sarà noto
successivamente. Può avvenire che la persona del creditore o del debitore muti nel
tempo in quanto l'obbligazione è connessa ad altra situazione soggettiva, per cui il
mutamento della titolarità di quest'ultima comporta mutamento anche della
connessa posizione di credito o di debito. È il fenomeno delle cosiddette
obbligazioni reali per le quali l'acquisto del diritto reale comporta l'assunzione di
obbligazioni accessorie. La rinuncia al diritto reale comporta la liberazione dalla
obbligazione. L’obbligazione reale è un rapporto personale ed obbligatorio. Di
conseguenza il debitore risponde con l'intero suo patrimonio per l'inadempimento
delle obbligazioni maturate con la titolarità del diritto reale.

Contenuto e pretesa.
Contenuto della posizione attiva è la pretesa alla prestazione di un bene, cui si
riconnette il corrispondente obbligo del debitore di attuazione. L'art. 1174 richiede
che la prestazione deve essere “suscettibile di valutazione economica” e
corrispondere a un interesse anche non patrimoniale del creditore. È dunque
fondamentale che la pretesa deve essere sorretta da un interesse del creditore,
anche di carattere non economico. L'interesse del creditore e dunque la pretesa
sono soddisfatti attraverso l'attuazione del contenuto dell'obbligo da parte del
debitore. Ma non mancano i casi in cui l'interesse del creditore è soddisfatto in modi
diversi (adempimento del terzo). Si vedrà peraltro in seguito come in molte ipotesi,
a fonte del comportamento del creditore che non si riceve la prestazione possa
sussistere un interesse del debitore ad eseguire la prestazione e non solo essere
liberato dal vincolo obbligatorio.

La prestazione.

Contenuto della posizione passiva è l'obbligo di prestazione di un bene al creditore


(per posizione debitoria). La prestazione è dunque il comportamento dovuto dal
debitore per procurare al creditore una determinata utilità: la sua esatta esecuzione
comporta adempimento dell’obbligazione in quanto realizza l’interesse del
creditore, facendogli conseguire il bene perseguito.

a) Requisiti generali.
L’art. 1174 fissa specificatamente due requisiti della prestazione: la patrimonialità e
la corrispondenza ad un interesse del creditore.

 1) La prestazione deve essere “suscettibile di valutazione economica”


(patrimoniale). La patrimonialità della prestazione presenta sia un carattere
oggettivo, che fa riferimento all'essenza della prestazione in se considerata,
sia un carattere soggettivo che è riferita ai soggetti coinvolti.
 2) La prestazione deve corrispondere a un interesse anche non patrimoniale
del creditore, cioè la prestazione del creditore deve essere sorretta da un
interesse che può avere anche un carattere non economico.
 3) Temporaneità del vincolo obbligatorio, quindi della prestazione (art. 1865)
 4) La prestazione deve essere possibile, lecita, determinata o determinabile,
secondo i requisiti propri dell’oggetto del contratto (art. 1346).

Fissati i requisiti generali di ogni prestazione, è possibile delineare la tipologia delle


prestazioni in ragione di due criteri fondamentali: il contenuto della prestazione
dovuta e l’esecuzione della stessa.

b) Contenuto.
Con riferimento al contenuto della prestazione dovuta, vengono in rilievo
tipicamente tre tipi di prestazioni: dare, fare e consegnare, cui si aggiunge quella di
prestare garanzia.
La prestazione può essere semplice o complessa a seconda che si svolga con un
unico comportamento del debitore oppure con più comportamenti.

 La prestazione dare consiste nel trasferimento di un diritto. Esempio l'attività


del mandatario che ha acquistato un immobile per conto del compratore ed è
obbligato a ritrasferirlo al mandante.
 La prestazione consegnare consiste nel procurare al creditore la disponibilità
materiale della cosa (possesso o detenzione). Esempio, l'obbligazione del
venditore di consegnare al compratore il bene venduto. Strumentale alla
obbligazione di consegnare una derivata cosa è quella di custodirla fino alla
consegna.
 La prestazione di fare consiste nel realizzare un fatto quale risultato
dell’attività materiale o giuridica. La prestazione è fungibile se è indifferente la
identità del debitore (pagamento di una somma di denaro); infungibile se
rileva la identità del debitore (prestazione artistica o professionale). Nel
concetto di “facere” rientra anche il “non facere” (obbligazione negativa)
 Obbligazione di prestare garanzia con la quale il debitore assume la
obbligazione di procurare una sicurezza nella realizzazione del credito.
Tendenzialmente è un’obbligazione accessoria.
c) Esecuzione.

Con riguardo all'esecuzione della prestazione rilevano due fondamentali tipi di


obbligazione. Obbligazione istantanea e obbligazione di durata.

 L'obbligazione istantanea si caratterizza per l’unitarietà del comportamento


(programmato) e dovuto, in funzione della realizzazione di un interesse
unitario del creditore (anche quando la prestazione è frazionata nel tempo, i
singoli atti concorrono all'attuazione di un interesse programmato e da
realizzare come unico ed unitario.)
 L'obbligazione di durata mira a soddisfare un interesse duraturo del creditore.
Si svolge e realizza nel tempo. A sua volta tale tipo di obbligazione può essere
continuata o periodica, a seconda che perduri continuativamente nel tempo
(ad esempio l'obbligazione del locatore di far godere il bene del locato), o sia
eseguita ad intervalli di tempo (ad esempio il canone di locazione da pagare
mensilmente dal locatario).

La distinzione tra l'obbligazione istantanea e di durata rileva per la verifica


nell'adempimento che è correlata all'attuazione dell'interesse del creditore e per la
decorrenza del termine di prescrizione del diritto di credito che nell'obbligazione
istantanea decorre dalla data di scadenza dell'obbligazione, nella obbligazione di
durata dalla data di cessazione della prestazione o di scadenza delle singole
prestazioni dovute. In ogni caso l'attribuzione che un soggetto compie nei confronti
dell'altro può essere immediata o differita a seconda che avvenga immediatamente
o sia differita nel tempo (nel primo caso si pensi alla vendita, nel secondo caso si
pensi all'appalto).

Oggetto.
Il codice civile qualifica come oggetto dell'obbligazione la prestazione.
L'interesse del creditore è verso il debitore per conseguire un determinato bene e
cioè una specifica utilità. Solo il bene quale utilità procurata, realizza l'interesse del
creditore, la pretesa alla prestazione è in funzione del conseguimento di una
determinata utilità. Ne consegue che oggetto dell'obbligazione è il bene quale fonte
di utilità. Operano così i vari tipi di obbligazione in ragione di specifici criteri di
osservazione del bene dovuto.

 Destinazione del bene: distinzione tra beni di consumo e beni non di


consumo, a seconda che il bene dovuto dal debitore sia o meno destinato a
soddisfare consumi personali o familiari del creditore, o viceversa sia
connesso all’esplicazione della sua attività economica.
 Determinatezza del bene: distinzione tra obbligazioni specie: rivolte a
procurare una cosa determinata nella sua individualità (esempio lo specifico
immobile, il particolare quadro), obbligazioni di genere: rivolta a procurare
una cosa determinata solo per la sua appartenenza a un genere (computer,
televisione, ecc), in tal caso il debitore deve prestare cose di qualità non
inferiore alla media.
 Rilevanza del comportamento: differenza tra obbligazioni di mezzi e
obbligazioni di risultato. Per le obbligazioni di mezzi, il debitore si
obbligherebbe a prestare la propria attività per consentire il raggiungimento
del risultato desiderato dal creditore; nelle obbligazioni di risultato il debitore
sarà tenuto a procurare proprio il risultato promesso. La dicotomia, nel
risultato richiamato, risulta priva di fornimento in quanto ogni obbligazione ha
un oggetto in quanto destinata a procurare un risultato utile al creditore. Il
risultato utile non si concretizza necessariamente nel trasferimento di un
diritto o nella venuta ad esistenza di un bene nuovo o nel procurare la
detenzione o possesso, ma risiede in ogni utilità procurata al creditore anche
realizzando un fatto quale oggetto dell'obbligazione.

Dovere di correttezza.
Art. 1175: il debitore e il creditore “devono comportarsi secondo le regole della
correttezza”. Si è discusso se il dovere di correttezza sia riconducibile al generale
dovere di buona fede oggettiva che attraversa l'intera dinamica contrattuale e in
generale tutta l'attività privata. In realtà i più recenti sviluppi dottrinali e
giurisprudenziali sono pervenuti ad una riconduzione dei principi di correttezza e
buona fede al generale dovere di solidarietà quale clausola di presidio dell’intera
attività privata. Si è così chiarito, sia a carico del debitore che a carico del creditore,
il dovere giuridico di preservare l'interesse dell'altro, nei limiti in cui ciò non
comporti un apprezzabile sacrificio dell'interesse proprio secondo un criterio di
reciprocità. Vi é dovere di informazione; e l'osservanza, per il debitore di obblighi
accessori o strumentali alla esecuzione della prestazione dovuta. Il creditore deve
favorire la posizione debitoria e non aggravarla consentendo l'esecuzione della
prestazione. Si sviluppa poi un'ulteriore fondamentale principio ossia quello di
inesigibilità nei rapporti obbligatori, in base al quale è ammesso che
l'inadempimento del debitore risulti giuridicamente giustificato se l'interesse che lo
sottende risulti tutelato dall'ordinamento o addirittura dalla costituzione come
valore preminente o superiore a quello perseguito dal creditore.

Obbligazioni naturali.

Le obbligazioni naturali sono particolari tipi di obbligazioni in quanto sorgono da


specifici doveri morali o sociali. Non se ne può pretendere l'adempimento che deve
essere spontaneo, ma se questo avviene non è più possibile richiedere quanto
prestato.

Dalla nozione ci accorgiamo che queste obbligazioni hanno una singolare natura per
due motivi fondamentali:

 non si è obbligati alla prestazione;


 se questa avviene non è si potrà richiedere quanto prestato.

Sappiamo, infatti, che nelle obbligazioni "si è costretti" ad adempiere, e se la


prestazione non era dovuta si potrà richiedere quanto si è dato secondo il principio
espresso nell'art. 2033 c.c. sull'indebito oggettivo.

Queste particolarità hanno fatto dubitare che le obbligazioni naturali siano


obbligazioni, anzi, secondo alcuni autori si ritiene che non siano nemmeno degli
obblighi giuridici, in quanto giuridicamente non sanzionate. Secondo altri autori,
invece si tratterebbe di obbligo giuridico o anche vera e propria obbligazione, ma di
natura "imperfetta" perché, pur conservando tutte le altre caratteristiche delle
categoria cui appartengono, non ne produce alcuni effetti.

Quale che sia la natura giuridica delle obbligazioni naturali scopriamo che l'art. 2034
ne prevede due ipotesi distinte:

 la prima si riferisce alle ipotesi in cui si è prestata una attività in esecuzione di


particolari doveri morali o sociali
 la seconda al caso in cui, anche al di fuori di prestazione di attività in
esecuzione di doveri morali o sociali, non è ugualmente ammessa la
ripetizione di quanto prestato.

La distinzione, operata da parte della dottrina appare fondata, perché se è pur vero
che le conseguenze nei due casi sono identiche (inammissibilità della ripetizione di
quanto prestato), i presupposti sono in parte diversi.

In comune v'è la spontaneità dell'attività prestata, mentre non necessariamente si è


spinti ad agire per adempiere a doveri morali o sociali, e non sempre è ammessa la
ripetizione di quanto si è dato quando l'attività è stata prestata da un incapace.
In conseguenza di quanto abbiamo affermato per le obbligazioni naturali di cui si
occupa la prima parte dell'art. 2034 (che potremo definire insieme al Trabucchi
obbligazioni naturali in senso stretto) si applicheranno le seguenti regole:

 irripetibilità: non è possibile ottenere la restituzione di quanto


spontaneamente prestato
 spontaneitá: l'adempimento deve essere spontaneo, poiché deve avvenire
senza alcuna coazione da parte del creditore naturale o di terzi
 esistenza di un dovere morale o sociale: il debitore naturale adempie per
l'esistenza di doveri morali o sociali
 capacità di agire: il debitore naturale che adempie deve essere, a differenza di
quanto accade in generale per le obbligazioni, capace di agire

Per le altre (dette anche imperfette), invece necessariamente si applicheranno solo


le seguenti regole:

 irripetibilità: non è possibile ottenere la restituzione di quanto


spontaneamente prestato
 spontaneità: l'adempimento deve essere spontaneo, poiché deve avvenire
senza alcuna coazione da parte del creditore naturale o di terzi

Esempi di questa seconda categoria di obbligazioni naturali sono:

 pagamento del debito di gioco o di scommessa (art. 1933 c.c.)


 pagamento del debito prescritto (art. 2940 c.c.)
 esecuzione di una disposizione fiduciaria ( art. 627 c.c.)

In queste ultime ipotesi, infatti, notiamo che la legge non richiede che il pagamento
del debito di gioco o del debito prescritto sia dovuto in esecuzione di doveri morali o
sociali; chi paga un debito prescritto può anche ignorare che si sia avverata la
prescrizione, ma non per questo può chiedere la ripetizione di quanto prestato; in
merito alla capacità di agire , notiamo che l'art. 2034 la richiede solo per le
obbligazioni naturali in senso stretto, mentre per l'efficacia della prestazione delle
altre non è richiesta. È poi vero che mentre le obbligazioni naturali in senso stretto
possono aversi in una serie indeterminata di casi, le altre sono tutte previste dalla
legge.

In merito alla forma dell'adempimento si ritiene che questo debba rivestire le


caratteristiche del diritto che va ad attribuire. Se, ad esempio, si tratta di diritto
reale, sarà necessaria la forma scritta.
Non è necessario, invece, l'atto pubblico, perché il debitore naturale non pone in
essere una donazione, ma adempie ad un obbligo.
Proprio in merito alla donazione notiamo che questa non può essere confusa con le
obbligazioni naturali in senso stretto perché queste sono adempiute nella
consapevolezza di esservi tenuti per doveri morali o sociali, mentre nella donazione
basta il solo animus donandi che non necessariamente presuppone obblighi seppur
di natura morale.

Alcune specie di obbligazioni.


Generalità.
Sotto il titolo di” obbligazioni in generale”, l'ultimo capo è dedicato alla disciplina di
alcune specie di obbligazioni. La normativa è riferita ad alcuni tipi di rapporti
obbligatori che presentano alcune specificità rispetto alla disciplina generale delle
obbligazioni. Il modello di base del rapporto obbligatorio, cui ha riguardo la
disciplina generale delle obbligazioni, incarna la cosiddetta obbligazione semplice,
caratterizzata dalla presenza di due soli soggetti (creditore e debitore) con unicità di
prestazione.
Una disciplina particolare è dedicata ad ipotesi di obbligazione complessa,
caratterizzata da una molteplicità di soggetti e/o di prestazioni. L’obbligazione
complessa si specifica a sua volta in obbligazione plurisoggettiva se la molteplicità
riguarda i soggetti di uno o di entrambe le posizioni soggettive e in obbligazione
cumulativa quando sono dedotte in obbligazione più prestazioni, che a sua volta può
essere congiuntiva (sono dovute tutte le prestazioni) o alternativa (quando ne è
dovuta una sola).

Obbligazioni plurisoggettive e obbligazioni parziarie.


E’ frequente il fenomeno di obbligazioni caratterizzate dalla presenza di più soggetti,
o dal lato passivo o dal lato attivo o da entrambi i lati. Sono obbligazioni
soggettivamente complesse, c'è pertanto da stabilire l'incidenza della pruralità di
soggetti relativamente all'oggetto dell'obbligazione. Rilevano così le figure della
obbligazione parziaria e l'obbligazione solidale.

L'obbligazione parziaria presuppone che l’obbligazione sia divisibile e ricorre quando


ciascun debitore è tenuto all’adempimento di una sola parte dell’obbligazione,
ovvero quando ciascun creditore può pretendere solo la parte dell’oggetto della
obbligazione di sua spettanza. La parziarietà indica la rilevanza della divisibilità
dell'obbligazione in presenza di più soggetti (debitori o creditori). Alla obbligazione
parziaria non è dedicata un'apposita normativa. La sua rilevanza è dedotta dalla
norma riguardante l'obbligazione divisibile.
Per l'art. 1314: se più sono i debitori o i creditori di una prestazione divisibile e
l’obbligazione non è solidale, ciascuno dei creditori può domandare il
soddisfacimento del credito solo per la sua parte e ciascuno dei debitori è tenuto a
pagare il debito per la sua parte.
Nell'ipotesi di pluralità di debitori, il creditore è tenuto ad esercitare il suo diritto
verso tutti i debitori potendo pretendere da ognuno di essi solo la sua parte.
Nell'ipotesi che qualcuno non adempia, il creditore non può rivalersi sugli altri
debitori per la parte non riscossa. Nell'ipotesi di una pruralità di creditori, il debitore
è tenuto all'adempimento parziario a ciascuno dei creditori.

Le obbligazioni solidali.

La obbligazione solidale è una obbligazione complessa plurisoggettiva più spesso dal


lato passivo che dal lato attivo del rapporto.
La solidarietà passiva: in caso di pluralità di debitori in un'unica obbligazione se vi è
solidarietà ( per accordo o per legge) il creditore potrà chiedere l'intera prestazione
ad uno qualsiasi dei debitori e non essere costretto a chiedere parte della
prestazione ad ognuno dei debitori. Il pagamento eseguito dal debitore in solido
libera gli altri.

Nella solidarietà passiva, quindi, vi è un rafforzamento della posizione del creditore


poiché questi potrà chiedere l'intera prestazione ad uno qualsiasi dei debitori che
sono obbligati ad eseguirla.
Pensiamo al caso in cui tre debitori si sono impegnati in solido a pagare 300 ad un
unico creditore. Questi potrà chiedere, quindi, tutta la somma ad uno qualsiasi dei
debitori (magari a quello più solvibile) senza essere costretto a chiedere 100 ad
ognuno di loro.
Abbiamo parlato della solidarietà passiva, ma l'articolo 1292 c.c. ne prevede un'altro
tipo che guarda alla pluralità di creditori. Vediamone la nozione
La solidarietà attiva: in caso di pluralità di creditori se è prevista solidarietà ognuno
di loro potrà chiedere l'intera prestazione al debitore il cui adempimento a favore di
uno dei creditori lo libererà nei confronti di tutti gli altri creditori rimasti.

Quando si parla di solidarietà, però, si fa di solito riferimento alla solidarietà passiva


perché, a differenza di quella attiva, è presunta dalla legge ( art. 1294 c.c.).
Di conseguenza più debitori obbligati per una medesima prestazione saranno
debitori in solido, se non si è previsto diversamente. All'opposto, se vi sono più
creditori di una medesima prestazione nei confronti di un debitore, non vi sarà
solidarietà attiva se non per espressa previsione contrattuale o legislativa. Come
esempio di solidarietà attiva prevista dalla legge ricordiamo l'art. 1854 c.c che la
prevede insieme, per altro, a quella passiva fra i cointestatari di un conto corrente.

Ma in che tipo di obbligazione può esservi solidarietà?

Bisogna escluderla quando le prestazioni sono diverse per ogni debitore o quando
non c'è pluralità di soggetti;
riassumendo e precisando quanto sino ad ora esposto, per aversi obbligazione
solidale sono necessari i seguenti presupposti.

Presupposti:

 pluralità di soggetti dal lato attivo o passivo


 medesima prestazione da eseguire
 medesima fonte da cui scaturisce la prestazione

Si ritiene che la prestazione possa scaturire anche da più fonti.


In questo caso che l'elemento della solidarietà non solo vi sarebbe quando la fonte è
unitaria ( ad es. un unico contratto), ma anche quando le fonti siano diverse ( ad es.
diversi contratti) ma collegate in modo tale da farle ritenere un complesso unitario.
Non è vero, invece, che vi sia un unico rapporto per tutti i soggetti come, invece,
unica è la prestazione.
Esistono, infatti, tanti rapporti per quanti soggetti vi sono nella obbligazione
rapporti, seppure scaturenti da unica fonte ed aventi ad oggetto una sola
prestazione, tutti identici tra di loro.

Nella solidarietà vi sono quindi tanti rapporti per quanti sono i soggetti coinvolti,
rapporti identici, abbiamo detto, ma comunque distinti. Questo vuol dire che vi
possono essere delle differenze tra debitore e debitore in merito alle eccezioni che i
questi possono opporre al creditore.
Abbiamo, quindi, due tipi fondamentali di eccezioni che possono essere opposte al
creditore.

 eccezioni comuni: possono essere opposte da uno qualsiasi dei debitore nei
confronti del creditore (nella solidarietà passiva) o da uno qualsiasi dei
creditori nei confronti del debitore (nella solidarietà attiva); ne sono esempi ,
la nullità totale dell'atto da cui è nata l'obbligazione e la prescrizione
 eccezioni personali: nella solidarietà passiva possono essere proposte solo da
uno dei debitori al creditore, mentre nella solidarietà attiva il debitore non
può opporre al creditore le eccezioni personali con gli altri creditori; sono
esempi di eccezioni personali la sospensione della prescrizione, lo stato di
incapacità, le eccezioni di annullabilità per vizi del volere

Si occupa delle eccezioni personali l'art. 1297 c.c. , ma chiariamo con un esempio
l'ipotesi più frequente relativa alla solidarietà passiva; poniamo che uno solo dei
debitori in solido era caduto in errore nella stipula del contratto da cui è scaturita
l'obbligazione. Nel caso che proprio a lui venga chiesto l'adempimento, potrà
sempre eccepire l'annullabilità del contratto, cosa che non potranno fare gli altri non
caduti in errore;

Rapporti esterni ed interni tra i debitori e creditori solidali e azione di


regresso.
Sino ad ora ci siamo occupati della solidarietà dal punto di vista dei rapporti esterni;
in altre parole abbiamo considerato i gruppi di debitori e creditori come un tutt'uno
che si ponevano l'uno di fronte all'altro.
Ma è anche vero che solidarietà non vuol dire sacrificio, non vuol dire che una volta
eseguita la prestazione dal debitore in solido gli altri potranno considerarsi liberi da
ogni ulteriore obbligo oppure, nella solidarietà attiva, che l'unico creditore che ha
ricevuto la prestazione possa non render conto di nulla agli altri.
Ed infatti bisogna considerare anche i rapporti intercorrenti tra il gruppo dei debitori
o il gruppo dei creditori, rapporti interni regolati dall'art. 1298 c.c.:

rapporti interni: l'obbligazione in solido si divide in parti che si presumono uguali tra
i debitori o i creditori solidali

Ciò significa che se all'esterno ognuno dei debitori (ad es. 5) dovrà dare 50 o ognuno
dei creditori ( ad es. 5) dovrà ricevere 50, nei loro rapporti interni s'intenderà che
ognuno dovrà dare o ricevere 10, salvo, ovviamente, patto contrario. Tale situazione
risulta più evidente nel caso dell'azione di regresso ex art. 1299 c.c. che, seppure
prevista per la sola solidarietà passiva, può essere estesa anche a quella attiva.

azione di regresso: il debitore che ha pagato l'intero debito può ripetere dagli altri
debitore la parte che spettava a ciascuno di loro

Se quindi, nel caso di cui poc'anzi, il debitore ha pagato 50, potrà chiedere ad
ognuno degli altri quattro 10 che, sommati con la sua parte, saranno equivalenti
all'intero debito pagato che era appunto di 50.

Obbligazioni divisibili e indivisibili.


La peculiarità delle obbligazioni in esame inerisce all’oggetto dell'obbligazione. Il
carattere della divisibilità o indivisibilità della prestazione comporta alcune regole
particolari.

a) Art. 1316 si ha obbligazione indivisibile quando “la prestazione ha ad oggetto una


cosa o un fatto che non è suscettibile di divisione” per sua natura (oggettiva) o per il
modo in cui è stata concepita dalle parti (soggettiva). Si parla, quindi, di indivisibilità
assoluta o relativa.
L'indivisibilità assoluta, si verifica quando la prestazione ha per oggetto una cosa
indivisibile per natura o un fatto che non ammette esecuzione parziale.
L'indivisibilità relativa, invece, si ha quando la prestazione ha per oggetto una cosa o
un fatto naturalmente divisibile, ma che le parti hanno deciso di considerarlo
indivisibile.
Ma come si adempie una obbligazione indivisibile?
Ci risponde l'art. 1317 c.c. secondo cui le obbligazioni indivisibili sono regolate dalle
norme sulle obbligazioni solidali, in quanto applicabili.
In altre parole il creditore potrà chiedere a uno qualsiasi dei debitori la prestazione
(il famoso cavallo vivo).
L'art. 1317 contiene una salvezza poiché si riferisce alle norme sulla solidarietà "in
quanto applicabili" .
Questo perché solidarietà e indivisibilità non sono la stessa cosa;
la prima è mezzo per rafforzare il diritto del creditore nella sua attuazione, mentre la
seconda è un modo di essere della obbligazione. Ed infatti, il successivo articolo
1318 dispone che l'indivisibilità opera anche nei confronti degli eredi del debitore o
del creditore, ed, in effetti, se il debitore in solido ex art. 1295 c.c., poi defunto,
doveva una somma di denaro lasciando due eredi ognuno dovrà pagare la sua parte,
ma se doveva consegnare un cavallo vivo, gli eredi non potranno certo consegnare
mezzo cavallo per uno invocando l'art. 1295.

b) L'obbligazione è divisibile in ipotesi di più debitori e/o creditori e in assenza di


solidarietà. La legge la considera e disciplina come obbligazione parziaria, per cui
ciascuno dei creditori può domandare il soddisfacimento del credito solo per la sua
parte (1314). Anche se l’obbligazione è divisibile, il creditore può sempre rifiutare un
adempimento parziale, salvo che la legge o gli usi non dispongano diversamente
(1181).

Obbligazioni alternative e facoltative.

La rilevanza della dicotomia inerisce alla prestazione dovuta, in funzione del risultato
da procurare al creditore. Quando sono dedotte in obbligazione due o più
prestazioni è importante stabilire se il debitore sia obbligato ad eseguire tutte le
prestazioni o una sola di esse.

 Obbligazioni alternative: in tali obbligazioni due o più prestazioni sono


dedotte in obbligazione in modo disgiuntivo e cioè alternativo. Quando le
prestazioni sono due, il debitore si libera eseguendo una delle due prestazioni
dedotte ma non può costringere il creditore a ricevere parte dell’una e parte
dell’altra (1285). Connotato fondamentale di tale tipo di obbligazione è la
scelta della prestazione dovuta, che determina la cd. concentrazione
dell’obbligazione: a seguito della scelta, l'obbligazione diventa semplice. Di
regola il potere di scelta spetta al debitore se non è attribuito al creditore o a
un terzo. La scelta può essere tacita o espressa e diviene irrevocabile con
l’esecuzione di una delle prestazioni ovvero con la comunicazione della scelta
all’altra parte, o a entrambe le parti se la scelta è fatta da un terzo (art. 1286).
Se il debitore non ne esegue alcuna delle due prestazioni, nel termine
assegnatogli dal giudice, la scelta è rimessa al creditore (1287). Analogamente
se la scelta è rimessa ad un terzo e questi non la fa nel termine assegnatogli
essa è fatta dal giudice. Se la scelta spetta al creditore e questo non la fa nel
termine stabilito o in quello fissatogli dal debitore, la scelta passa a
quest'ultimo. Un regime articolato è quello della impossibilità della
prestazione il quale afferma che se una delle prestazioni non poteva formare
oggetto di obbligazione o è divenuta impossibile per causa non imputabile ad
alcuna delle parti, l’obbligazione si considera semplice dall’inizio; se è
diventata successivamente impossibile per causa non imputabile al debitore,
l’obbligazione si estingue.
 Obbligazione facoltativa: anche detta con facoltà alternativa non ha una
disciplina specifica nel codice. Una sola prestazione è dedotta in obbligazione:
è dunque un’obbligazione semplice, essendo la prestazione unica e
determinata fin dall’origine. E’ accordata al debitore la facoltà di liberarsi
eseguendo una prestazione diversa, di regola, preventivamente pattuita; più
raramente è accordata al creditore la facoltà di scegliere una diversa
prestazione. In ogni caso, se perisce o diviene impossibile l’unica prestazione
dovuta, per causa non imputabile al debitore, l’obbligazione si estingue. Una
fattispecie di obbligazione facoltativa si trova in materia di obbligazioni
pecuniarie, se la somma dovuta dal debitore è determinata da moneta non
avente corso legale nello stato, il debitore ha facoltà di pagare in moneta
legale al corso del cambio nel giorno della cadenza e nel luogo stabilito per il
pagamento.

Obbligazioni pecuniarie.

La peculiarità di tali obbligazione inerisce all’oggetto dell’obbligazione, che è


rappresentato dal denaro, unità di misura dei valori economici e mezzo generale di
scambio e metro di riferimento del risarcimento dovuto e dunque di liquidazione del
danno. Sono perciò le obbligazioni più diffuse e più estesamente regolate sia dal
codice civile che dalle leggi. Può oggi ritenersi che l'oggetto dell'obbligazione
pecuniaria e cioè l'utilità che il debitore deve procurare al creditore trovi il suo
fondamento in una somma di danaro. L'obbligazione avente per oggetto una somma
di danaro deve essere adempiuta al domicilio che il creditore ha al tempo della
scadenza, sicchè la modalità di pagamento è a rischio e pericolo del debitore. Per
riferirsi tali obbligazioni al danaro emergono delicati problemi inerenti all'uso della
moneta quale oggetto di pagamento e valore economico della stessa.

1. a) Uso della moneta: i debiti si estinguono con moneta avente corso legale
nello Stato al tempo del pagamento (art. 1277). È la cosiddetta valuta nella
quale sono espressi i relativi mezzi di pagamento. La moneta unica europea è
l'euro, se la somma dovuta è determinata in una moneta non avente corso
legale nello stato, il debitore ha facoltà di pagare in moneta legale al corso del
cambio nel giorno della cadenza e nel luogo stabilito per il pagamento.
2. b) Valore economico della moneta: è essenziale stabilire il rapporto della
moneta con la realtà economica per verificare l'importo necessario per
estinguere l'obbligazione. In tal modo risulta fondamentale la distinzione tra
debiti di valuta e debiti di valore.
Di regola la moneta è dedotta in obbligazione per il suo valore nominale (debiti di
valuta), secondo cui il pagamento deve avvenire con la moneta espressa e
nell’ammontare indicato, quale che sia il valore economico e dunque il potere di
acquisto nel frattempo assunto dalle stessa. Se la somma dovuta era determinata
in una moneta che non ha più corso legale al momento del pagamento, questo
deve farsi in moneta legale ragguagliata per valore alla prima. È quanto avvenuto
con l'introduzione dell'Euro in luogo della Lira, il principio nominalistico che
abbiamo indicato prima ha il vantaggio di offrire una certezza alla misura del
debito e contiene l’inflazione, ma fa risentire al creditore gli effetti della
svalutazione monetaria, quindi sul creditore grava il rischio di inflazione. Proprio
per ovviare alla rigidità del descritto principio nominalistico, esistono molteplici
meccanismi di riequilibrio della svalutazione monetaria. Sono meccanismi in
grado di garantire al creditore il conseguimento di un valore economico
ragguagliato all'importo fissato al momento della costituzione del rapporto. Tali
meccanismi possono provenire dalla legge o essere concordati tra i privati. Nella
prima direzione possiamo rifarci al divorzio. La sentenza di divorzio prevede che
l'assegno divorzile deve prevedere un criterio di adeguamento automatico
dell'assegno con riferimento agli indici di svalutazione monetaria. Nella seconda
direzione il codice civile consente ai privati di ancorare il pagamento ad una
valuta estera forte. Se la moneta non avente corso legale nello stato è indicata
con clausola “effettivo” o altra equivalente, il debitore è tenuto a pagare con tale
moneta, salvo che a scadenza dell'obbligazione non sia possibile procurarsi la
stessa.

Diversamente si pongono i debiti di valore. L'obbligazione ha ad oggetto una


somma di denaro, considerata non in quanto tale fin dall’inizio, bensì come
espressiva di un valore reale cui è sempre ragguagliata al momento del
pagamento, tramite la liquidazione. Tipica è l'obbligazione del risarcimento del
danno derivante da fatto illecito. Il danaro assume la funzione di metro di
ricostituzione di un valore economico al fine di reintegrare l'interesse leso. La
somma da corrispondere è calcolata alla natura e alla intensità della lesione. Ad
esempio a seguito di un incidente stradale, il responsabile del sinistro è obbligato
a corrispondere una somma sufficiente a reintegrare più voci come riparazione
dell'auto danneggiata, ristoro del proprietario per la sosta tecnica, risarcimenti
per le lesioni fisiche ecc. L'operazione rivolta alla determinazione complessiva
della somma dovuta dall'autore del danno è la cosiddetta liquidazione del danno.

Il regime degli interessi.

L’ordinamento connette all’obbligazione pecuniaria l’obbligazione accessoria di


pagamento degli interessi per il fatto in sé di utilizzare danaro altrui o di essere in
ritardo nel pagamento.
1) funzione degli interessi: è possibile ricondurre le variegate ipotesi di
corresponsione di interessi a due fondamentali funzioni. Remuneratoria e
sanzionatoria.

a) La funzione remuneratoria attiene alla utilizzazione di danaro altrui o


destinato ad altri. Rilevano due categorie di interessi (corrispettivi e
compensativi) in ragione del differente fondamento degli stessi. Si
indica con interessi corrispettivi gli interessi dovuti in via corrispettiva al
godimento del danaro da altri prestatogli; mentre gli interessi
compensativi hanno la funzione equitativa di ristabilire l’equilibrio
economico tra i contraenti, tenendo a compensare l’una parte del
mancato godimento dei frutti della cosa consegnata all’altra parte
prima di ricevere la controprestazione. Tali interessi operano quando i
crediti non sono liquidi ed esegibili e quindi non può operare il criterio
corrispettivo generale, ma intanto il debitore trae vantaggio dalla
complessiva operazione. Un riferimento specifico è in materia di
vendita, quando la cosa venduta è stata consegnata al compratore è
questa produca frutti o altri proventi, decorrono gli interessi sul prezzo,
anche se questo non è ancora esegibile. Altre ipotesi sono di
derivazione giurisprudenziale, le più ricorrenti sono in tema di fatti
illeciti, relativamente al ritardo nel pagamento della somma dovuta a
titolo di risarcimento per equivalente, in tema di ingiustificato
arricchimento, per il ritardo nel pagamento dell'indennizzo, in materia
di espropriazione con riguardo al ritardo nel pagamento della somma
dovuta a titolo di indennità per espropriazione.
b) b)La funzione sanzionatoria attiene al ritardo colpevole
nell’adempimento dell’obbligazione. Vengono in rilievo interessi
moratori, cioè interessi dovuti a titolo di risarcimento del danno per
ritardo ingiustificato del pagamento dovuto, anche senza fornire la
prova di avere sofferto un danno (art. 1224). Se il creditore dimostra di
aver sofferto un danno maggiore di quello risarcito dagli interessi, gli
spetta un ulteriore risarcimento.

Fonte è tasso degli interessi. Gli interessi possono derivare dalla legge (interessi
legali) oppure essere previsti dagli usi o fissati dalle parti (interessi convenzionali).
Per gli interessi convenzionali sono pattuiti tra creditore e debitore all’atto della
costituzione del rapporto obbligatorio o successivamente. Essendo necessaria la
forma scritta ab substantiam, è a tal fine inidonea una ricognizione del debito, che è
atto successivo alla nascita del debito. E’ sufficiente che nel documento risulti una
indicazione per relazionem del tasso di interesse. In ogni caso gli interessi non
possono essere usurari, in tal modo la clausola è nulla e non sono dovuti interessi
(art. 1815).

Interessi anatocistici.

In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal
giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro
scadenza, e sempre che si tratti di interesse dovuto almeno per sei mesi (art. 1283).
E’ il fenomeno dell’anatocismo: il termine indica la maturazione di interessi su
interessi (interessi composti). Gli interessi scaduti, cioè maturati, e non pagati
diventano capitale sicchè sono suscettibili di produrre al loro volta interessi. Il codice
civile ammette l'anatocismo ma lo sottopone a penetranti limiti. L'anatocismo può
operare solo con riguardo agli interessi scaduti e dovuti almeno per sei mesi. Quanto
alla fonte gli interessi anatocistici vanno pattuiti con convenzione posteriore alla
scadenza degli interessi semplici ovvero vanno richiesti con domanda giudiziale.

25
Modificazioni del rapporto obbligatorio.
Generalità.
Durante la vita del rapporto obbligatorio possono determinarsi delle modificazioni
che vanno a configurare nuovi soggetti, sia nel lato attivo sia nel lato passivo del
rapporto obbligatorio. Un esempio di mutamento di soggetti si può osservare nella
successione per causa di morte dove gli eredi subentrano nelle universalità o in una
quota del defunto e i legatari nei singoli rapporti.
Più rare invece si presentano invece le modificazioni dell'oggetto dell'obbligazione.

Modificazioni nel lato attivo.

La modificazione nel lato attivo si verifica con la successione di un terzo nella


posizione creditoria. Per il debitore la configurazione di un nuovo creditore non
risulta essere poi così importante in quanto vincolato in ogni caso all'adempimento
della sua obbligazione. Il terzo che subentra nella posizione di creditore acquista dei
diritti nei confronti del debitore. Si tratta di un acquisto a titolo derivativo in quanto
vi è trasmissione di un diritto da un soggetto dante causa ad un soggetto avente
causa. Le modificazioni nel lato attivo del rapporto sono 3:

 Cessione del credito


 Pagamento con surrogazione
 Delegazione attiva

Cessione del credito.

Il creditore può trasferire il proprio credito, anche senza il consenso del debitore, ad
un terzo. Tale trasferimento si perfeziona con il consenso tra il creditore (cedente) e
il terzo (cessionario) senza accettazione da parte del debitore. Il trasferimento del
credito può essere a titolo oneroso o a titolo gratuito.
L'art. 1376 nel regolare i contratti ad efficacia reale assimila al trasferimento di
proprietà di una cosa, il trasferimento di un'altra diritto che può essere proprio un
diritto di credito. L'art. 1470 nel definire il contratto di vendita, ha per oggetto il
trasferimento di proprietà di una cosa è il conseguente trasferimento di un'altra
diritto che può essere un diritto di credito. Un diritto di credito può essere trasferito
anche in luogo dell'adempimento di una diversa obbligazione (c.d. solutoria) così
integrandosi una ipotesi di d'azione in pagamento espressamente prevista dall'art.
1198. Il credito inoltre può essere anche oggetto di confisca da parte
dell'ordinamento giuridico.

In definitiva la cessione del credito si atteggia come un normale contratto


consensuale ad efficacia reale. Il diritto di credito si acquista e si cede per effetto del
consenso delle parti.
Quanto all'oggetto, sono oggetto di obbligazione non solo il credito inteso in una
qualsiasi forma di danaro, ma anche le prestazioni di dare, fare o consegnare,
nonché anche il credito al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale.
La cessione del credito inoltre può riguardare un bene presente e futuro.
Il cedente, nell'azione di trasferimento del credito al cessionario, deve prestare una
prova dell'esistenza del credito verso il debitore in questione.

Dall'art.1260 derivano poi ipotesi di incedibilità del credito. Il credito risulta


incedibile se:

 Ha carattere strettamente personale (diritto agli alimenti)


 Vi è un divieto legale
 Vi è un divieto convenzionale. Ossia il creditore stipula un patto con il
debitore con il quale si obbliga a non cedere ad altri il suo credito.

L'efficacia.

L'efficacia può essere di tre tipi:


 Efficacia tra le parti. Si è visto che il contratto di cessione ha efficacia tra le
parti anche senza il consenso del debitore. La garanzia che il cedente deve
prestare al cessionario muta in ragione del titolo. Se la cessione è a titolo
oneroso, il cedente deve garantire l'esistenza del credito al tempo della
cessione. Tale garanzia può essere esclusa per patto tra le parti. Se la cessione
è a titolo gratuito il creditore cedente risponderà al cessionario solo per
evizione. Al profilo della garanzia si lega poi anche il rischio di insolvenza del
debitore. Rischio che comunque viene preso in ogni caso dal cessionario. Il
cessionario non può rivalersi sul patrimonio del cedente se il debitore non ha
adempito al credito che gli spettava. Tuttavia vediamo che il creditore può,
attraverso un patto, assumere la garanzia della solvenza del debitore al
credito che si intende trasferire. Per effetto della cessione del credito, il
cessionario entra nella posizione di creditore e quindi il debitore può apporre
al lui le apposite eccezioni.
 Efficacia verso il debitore. Il debitore deve essere informato dell'avvenuta
cessione del credito affinché possa adempire verso il cessionario. Se il
debitore in buona fede non viene informato e consegue la sua obbligazione al
precedente creditore questo si considera comunque libero dalla obbligazione.
Il debitore deve essere correttamente informato mediante accettazione o
notificazione. Anche in assenza di notifica o di accettazione il cessionario può
provare che il debitore ceduto sia stata informato dell'avventura cessione del
credito. Realizzatasi la conoscenza della cessione, legale o effettiva, il debitore
non può invocare la mancata conoscenza del fatto e quindi conseguire la sua
obbligazione verso il cessionario.
 Efficacia verso i terzi. Può accadere che il creditore ceda il proprio credito a
più persone. Tra le varie cessioni prevale quella che è stata notificata per
prima al debitore o che è stata accettata per prima dal debitore con atto
avente data certa.

Il factoring.

Il factoring è una figura negoziale di matrice anglosassone. Con questo termine si


intende indicare un particolare tipo di contratto con il quale un imprenditore
(cedente) si impegna a cedere i propri crediti, presenti e futuri scaturiti dalla propria
attività imprenditoriale, ad un'altro soggetto professionale denominato factor il
quale, dietro corrispettivo consistente in una commissione, assume l'obbligo a sua
volta di fornire una serie di servizi che vanno dalla contabilizzazione, gestione,
riscossione dei crediti al finanziamento dell'imprenditore mediante prestiti o
mediante il pagamento anticipato dei crediti ceduti. Nella maggior parte dei casi,
dietro il contratto di factoring, si nasconde una operazione di finanziamento della
impresa cliente. La cessione può avvenire in due modi diversi.
 Pro soluto: il factor si assume il rischio dell'insolvenza dei crediti ceduti e in
caso di inadempimento non può chiedere al cliente la restituzione degli
anticipi.
 Pro solvendo, quella più frequente: il factor non si assume il rischio di
insolvenza dei crediti che vengono lasciati al cliente.

La legge 52/1991 ha introdotto una nuova normativa speciale per la cessione dei
crediti di impresa. I requisiti affinché si applichino tali regole sono:

 Il cedente deve essere un imprenditore


 I crediti ceduti sorgono da contratti stipulati dal cedente nell'esercizio
dell'impresa
 Il cessionario è una banca o un intermediario finanziario che ha come oggetto
l'acquisto dei crediti di impresa
 I crediti presenti e futuri possono essere ceduti anche in massa ed anche
prima che siano stipulati i contratti dai quali derivano, purché se ceduti in
massa, i relativi contratti siano stati stipulati in ventiquattro mesi.

La cartolarizzazione dei crediti.


Si tratta di un meccanismo di smobilitazione dei crediti al fine di conseguire un flusso
finanziario che assicuri liquidità. È una particolare tecnica finanziaria anglosassone
che ha trovato ampio sviluppo anche da noi per consentire agli enti di procurarsi
danaro liquido.

La cartolarizzazione è realizzata mediante cessione a titolo oneroso di crediti


pecuniari presenti o futuri, in favore di una società specializzata la quale provvede
ad emettere titoli e collocarli presso i risparmiatori. Il ricavato della collocazione
serve a pagare i crediti acquistati dalla società cedente.

Pagamento con surrogazione.

È un fenomeno di successione a titolo particolare nel credito che sorge in seguito al


pagamento; il pagamento deve però essere accompagnato, a seconda delle ipotesi
di surrogazione, dalla volontà del creditore originario del rapporto, dalla volontà
dello stesso debitore, o dalla volontà della legge.
Come abbiamo già visto, nella cessione del credito, il creditore stipula un contratto
con un terzo per cedergli la sua posizione di creditore. É questo il modo ordinario
per cedere il credito a qualcuno, ma ci si potrebbe porre una domanda; se un terzo,
si presenta dal creditore e paga il debito, essendo ben consapevole di pagare un
debito non suo, diventerà per questo nuovo creditore? Se vado da un creditore che
deve avere 1.000 da Tizio, e pago il debito di Tizio, divento per questo il (nuovo)
creditore di Tizio?
La risposta è no.
Ciò accade perché l'adempimento, se esatto, da chiunque provenga estingue
l'obbligazione, e quindi Tizio sarà liberato e nulla potrò pretendere da lui; magari ho
adempiuto perché Tizio è mio amico, e volevo liberarlo dal debito.
L'ipotesi di cui stiamo parlando è quindi quella dell'art. 1180 c.c. secondo cui:

L’obbligazione può essere adempiuta da un terzo, anche contro la volontà del


creditore, se questi non ha interesse a che il debitore esegua personalmente la
prestazione.
Tuttavia il creditore può rifiutare l’adempimento offertogli dal terzo, se il debitore gli
ha manifestato la sua opposizione.
Può darsi, però, che il pagamento non estingua l'obbligazione, ma solo se
accompagnato da circostanze diverse da quelle previste dall'art. 1180, e sono queste
le ipotesi previste dal codice civile agli articoli 1201- 1203, nella sezione appunto
intitolata "del pagamento per surrogazione".

Cominciamo allora, a vedere la prima di queste ipotesi, quella dell'art. 1201 c.c.

 Surroga per volontà del creditore. Il creditore, ricevendo il pagamento da un


terzo, può surrogarlo nei propri diritti. La surrogazione deve essere fatta in
modo espresso e contemporaneamente al pagamento. Cosa accade in questo
caso? Accade che il terzo si reca dal debitore per adempiere, e il creditore non
si limita a ricevere il pagamento, ma lo surroga nei suoi diritti di creditore,
insomma il terzo diviene nuovo creditore. Osserviamo che per giungere a ciò
sarà sicuramente accaduto che il terzo avrà avanzato tale richiesta al
creditore, e che il creditore potrebbe anche non surrogarlo (può surrogarlo
dispone l'art. 1201); se però decide di surrogare il terzo, il creditore dovrà
seguire certe forme: 1. vi sarà un atto di surrogazione dove il creditore
dichiara espressamente di surrogare il terzo nei propri diritti; 2. la surroga
deve essere contemporanea al pagamento e questo avverrà di solito nel
momento in cui il creditore rilascia al terzo la quietanza (ex art. 1199 c.c.). Se
non sono rispettate queste 2 condizioni con il pagamento il terzo estingue
l’obbligazione senza sostituirsi al creditore.
 Surroga per volontà del debitore. Il debitore, che prende a mutuo una somma
di danaro o altra cosa fungibile al fine di pagare il debito, può surrogare il
mutuante nei diritti del creditore, anche senza il consenso di questo. La
surrogazione ha effetto quando concorrono le seguenti condizioni: 1) che il
mutuo e la quietanza risultino da atto avente data certa; 2) che nell’atto di
mutuo sia indicata espressamente la specifica destinazione della somma
mutuata; 3) che nella quietanza si menzioni la dichiarazione del debitore circa
la provenienza della somma impiegata nel pagamento. Sulla richiesta del
debitore, il creditore non può rifiutarsi di inserire nella quietanza tale
dichiarazione. Qui cosa accade? Accade che è il debitore originario che paga,
ma con soldi non suoi, ma presi a mutuo; insomma il debitore si è fatto
prestare i soldi per pagare il suo debito, ma chiede, secondo le tre condizioni
riportate in tabella, di surrogare il mutuante (cioè colui che gli ha prestato i
soldi), nei diritti del creditore. Se tutte le condizioni sono state rispettate, il
mutuante diverrà nuovo creditore, diversamente si avrà solo l'effetto dell'art.
1180.
 1203. Surrogazione legale. — quando la surrogazione opera di diritto, e cioè
automaticamente nel senso che è la stessa legge che surroga il terzo
adempiente nei diritti del creditore verso il debitore. Le ipotesi sono indicate
dalla legge (1203). Un esempio può essere che la surrogazione legale opera a
vantaggio di chi, essendo creditore, ancorché chirografario, paga un altro
creditore che ha diritto di essergli preferito in ragione dei suoi privilegi, del
suo pegno o delle sue ipoteche.

Negli altri due casi di surrogazione, il semplice pagamento non bastava a produrre la
surrogazione, ma era necessaria la volontà del creditore o del debitore, qui invece il
pagamento non produce l'estinzione dell'obbligazione ex art. 1180 c.c. ma la
surrogazione automatica, ope legis, di chi a pagato nella posizione di creditore; si
tratta di ipotesi eccezionali, proprio perché derogano alla regola dell'art. 1180.
Analizziamo l'esempio fatto;
poniamo che c'è un creditore ipotecario, e un altro creditore (anche chirografario)
dello stesso debitore;
il creditore ipotecario è preferito sia rispetto ai creditori chirografari, sia rispetto agli
altri creditori ipotecari sullo stesso bene, ma di grado successivo al suo;
poniamo allora che un creditore chirografario, sapendo che difficilmente sarà
pagato perché c'è un creditore ipotecario prima di lui, vada da questo e gli dica:
" Salve Sempronio! Io sono Mevio, il creditore di Tizio, come lo sei tu, che però sei
garantito da ipoteca; Tizio ti deve 1.000, ecco i 1.000!"
Ciò fatto, Mevio assumerà la stessa posizione di Sempronio per effetto di legge;
ovviamente abbiamo semplificato l'ipotesi, perché il tutto deve coordinarsi con la
specifica disciplina dell'ipoteca, ma il principio è quello indicato nell'esempio.
Delegazione attiva.
La legge provvede alla sola delegazione attiva che incide sul lato passivo del
rapporto, ma ciò non toglie che possa svilupparsi anche dal lato attivo del rapporto.
In tal caso l'iniziativa della delega è presa dal creditore (delegante) che conferisce
l'incarico al debitore (delegato) di conferire il credito ad un terzo (delegatario). Il
debitore conseguendo il credito verso il delegatario è sciolto dal vincolo obbligatorio
con il creditore. Il creditore non cede il diritto ad un terzo, ma conferisce l'incarico al
debitore di conseguirlo al terzo stesso. Il terzo non si qualifica come cessionario in
quanto non acquista il credito ma ne consegue ugualmente l'oggetto della
obbligazione. La delegazione attiva è molto frequente nei casi in cui il creditore sia a
sua volta debitore di un terzo.

Modificazioni nel lato passivo del


rapporto.
Si è visto come la modificazione nel lato attivo del rapporto sia di regola indifferente
per il debitore che è tenuto in ogni caso ad adempiere alla sua obbligazione. Per
quanto riguarda la modificazione del lato passivo del rapporto si verificano
comunque conseguenze abbastanza rilevanti con cui si ha la sostituzione del
debitore originario con un terzo. Tuttavia tale sostituzione potrebbe portare alla
insolvenza del terzo nei confronti del creditore rispetto al debitore originario. In
conseguenza della morte del debitore il creditore è costretto a subire la
modificazione del soggetto passivo. Trattandosi di successione entrano a far parte
del rapporto con il creditore i rispettivi eredi. Quando invece il debitore intende
sostituire se stesso nella posizione debitoria o quando intende aggiungere un'altra
soggetto accanto alla sua posizione debitoria si parla di assunzione del debito altrui.
Tale assunzione del debito da parte del terzo nei confronti del creditore può portare
alla liberazione del creditore originario (assunzione liberatoria) o affiancare il terzo
nella posizione di debitore insieme al debitore originario nei confronti del creditore
(assunzione comulativa). I modi di assunzione del debito previsti dalla legge in ogni
caso sono:

 Delegazione passiva
 Espromissione
 Accollo

Le prime due si realizzano attraverso un accordo tra terzo e creditore mentre


l'ultima si realizza con un accordo tra terzo e debitore originario con adesione del
creditore. La liberazione del creditore originario non può avvenire in ogni caso senza
espressa volontà del creditore.

Delegazione passiva.

Si è visto come nella delegazione attiva l'iniziativa della delega è presa dal creditore.
Nella delegazione passiva l'iniziativa è presa dal debitore. In particolare il debitore
(delegante) conferisce l'incarico ad un terzo (delegato) di adempire o di promettere
di adempire all'obbligazione nei confronti del creditore (delegatario). Se
l'obbligazione è di adempire allora si tratta di delegazione di pagamento con cui il
terzo, attraverso una sua prestazione economica e nei confronti del creditore, libera
il debitore originario. Se l'incarico è di promettere di adempire il terzo si aggiunge
nella posizione debitoria accanto al debitore originario o in sostituzione dello stesso.

Quanto alla funzione la delegazione passiva realizza scopi diversi. Spesso è rivolta
alla concentrazione delle prestazioni. Esempio se Tizio è debitore verso Caio ma
creditore verso Sempronio, è sufficiente che Sempronio adempia nei confronti di
Caio per estinguere entrambi i rapporti. Talvolta la delegazione è accompagnata da
una concessione di un mutuo del terzo al debitore. Esempio non essendo il debitore
in grado di adempiere, può incaricare un terzo di pagare il creditore anticipando i
fondi necessari. Può avvenire che il terzo esegua l'ordine di pagamenti a titolo
gratuito.

Per quanto riguarda la struttura della delegazione passiva bisogna analizzare le


modalità di coinvolgimento del terzo. Alla base della delegazione vi è un mandato
delegatorio del debitore al terzo con il quale il delegante conferisce l'incarico al
delegato di assumere il debito o il pagamento nei confronti del creditore.
A seconda dell'oggetto del mandato distinguiamo due tipi di delegazione: di
pagamento e di debito.

 La delegazione di pagamento è il modello più semplice con cui il debitore


conferisce l'incarico ad un terzo di assumere il pagamento dell'obbligazione
nei confronti del creditore estinguendo l'obbligazione verso il debitore
originario. Non si ha successione nel debito. Si pensi all'assegno bancario con
cui un cliente ordina alla banca di pagare una determinata somma ad un
beneficiario. Sebbene il debitore abbia delegato il terzo al pagamento
dell'obbligazione in sostituzione sua, il debitore originario può a sua volta
obbligarsi verso il terzo se questo ne fa espressa dichiarazione. Il terzo non è
tenuto ad accettare l'incarico di pagamento al creditore anche se è debitore
del delegante. Non obbligandosi verso il terzo il creditore non ha alcun titolo
per agire nei suoi confronti.
 La delegazione di debito ha invece un meccanismo più complesso.
Innanzitutto vi è un incarico da parte del debitore originario verso il terzo di
promettere di adempire al pagamento verso il creditore. Sono necessari due
negozi. Un negozio di assunzione del debito da parte del terzo nei confronti
del creditore e un negozio di assegnazione del nuovo debitore. L'esito della
delegazione di debito è l'assunzione del debito da parte del terzo verso il
creditore. Il debitore originario non è liberato dalla obbligazione se il creditore
non lo dichiara espressamente. Con la liberazione del debitore originario si
realizza l'assunzione liberatoria che va a sostituire il debitore originario con il
terzo nel medesimo rapporto. Il creditore che ha liberato il debitore originario
non ha più azione contro lui se il terzo diviene insolvente. Tuttavia se il terzo
era insolvente al momento in cui assunse il debito nei confronti del debitore
originario, il debitore originario non è liberato dalla obbligazione. Se il
debitore originario non dichiara al creditore di assegnargli un terzo che
assolva al debito per suo conto, e il terzo non rivela al creditore di agire per
conto del debitore originario si ricorre alla figura dell'espromissione.

Quanto alla estinzione della delegazione, sia in caso di delegazione di pagamento sia
nel caso di delegazione di debito, il debitore originario può revocare la delegazione,
fino a quando il terzo non abbia adempiuto o assunto l'obbligazione nei confronti
del creditore. Il terzo può adempire o assumere il debito verso il creditore anche
dopo la morte del debitore originario o in caso di incapacità del debitore originario.

Espromissione.
L'espromissione è un contratto tra terzo e creditore. Il terzo assume nei confronti
del creditore il debito dell'debitore originario senza ordine del debitore oppure
laddove esista la delega del debitore originario, il creditore non ne venga a
conoscenza. Il terzo che assume il debito nei confronti del creditore in nome del
debitore originario è obbligato in solido col debitore originario se il creditore non
dichiara espressamente di liberarlo. Un esempio di espromissione può essere
l'azione compiuta dal genitore per conseguire il pagamento dell'obbligazione
assunta dal figlio nei confronti del creditore.
Anche l'espromissione fa in modo che il terzo si affianchi al debitore originario nella
posizione obbligatoria dando luogo all'assunzione comulativa, ma a sua volta
l'espromissione puo essere anche liberatoria con la conseguente liberazione del
debitore originario nei confronti del creditore.
Per quanto riguarda le eccezioni, in mancanza di una delegazione da parte del
debitore originario, si esclude che possano essere opposte al creditore.
Accollo.

L'accollo è un contratto tra debitore e terzo con il quale il terzo assume nei confronti
del creditore il debito del debitore originario. In tale rapporto il creditore si trova in
una posizione esterna. L'accollo può derivare da varie giustificazioni, ad esempio il
terzo può decidere di assumere il debito altrui per estinguere il suo debito verso il
debitore, o per compiere in suo favore un'operazione di finanziamento o anche solo
per spirito di liberalità. L'accollo può essere interno ed esterno.

 L'accollo interno non è regolato dal codice civile ma presenta una sua
elaborazione dalla giurisprudenza e dalla dottrina. Si svolge tra il terzo e il
debitore rimanendo estraneo dal rapporto di accollo il creditore. Il terzo
assume nei confronti del debitore l'obbligo di tenerlo indenne dal peso del
debito. Terzo e debitore possono modificare in ogni momento convenzione di
accollo senza l'intervento del creditore. Nel caso di mancata osservanza
dell'obbligo il terzo risponde dell'inadempimento verso il debitore originario e
non verso il creditore.
 L'accollo esterno è l'unico previsto dalla legge e rappresenta la figura più
complessa di questa fattispecie. La convenzione di accollo oltre che
interessare debitore e terzo, interessa anche al creditore che può aderire alla
convenzione stipulata. Come ogni altra assunzione del debito altrui l'accollo
può essere cumulativo o liberatorio. Nel caso di accollo liberatorio si prevede
nella convenzione la liberazione dall'obbligazione del debitore originario da
parte del creditore. In ogni caso il creditore, in assenza della dichiarazione di
liberazione, può liberare il debitore originario per dichiarazione espressa. Il
creditore che ha aderito all'accolo liberatorio non ha azione contro il debitore
originario in caso di insolvenza del terzo. Se però l'accollante era già
insolvente al tempo in cui assunse il debito, il debitore originario non sarà
liberato dall'obbligazione. Quanto alle eccezioni si è visto che il creditore
aderisce al contratto di accollo e perciò si adegua a tutte le eccezioni che vi
inseriscono debitore e terzo. Perciò il terzo può opporre al creditore tutte le
eccezioni previste nella convenzione di accollo ed anche in assenza di una
espressa previsione di eccezioni, il terzo può far valere nei confronti del
debitore le eccezioni relative al rapporto tra debitore originario e creditore.

Modificazioni oggettive.
La modificazione oggettiva ha riguardo ad una modificazione del contenuto o
dell’oggetto della medesima obbligazione. Le modificazioni dell’oggetto
dell’obbligazione non importano estinzione della stessa.
Surrogazione reale.
Un fenomeno di surrogazione reale si ha in conseguenza della impossibilità
sopravvenuta della prestazione dovuta. Il creditore divenuta impossibile, subentra
nei diritti spettanti al debitore in dipendenza del fatto che ha causato l'impossibilità,
e può esigere dal debitore la prestazione di quanto questi abbia conseguito a titolo
di risarcimento danni.

Ristrutturazione del debito.

É una procedura che prevede un accordo con il quale le condizioni originarie di un


prestito (tassi, scadenze, divisa, periodo di garanzia) vengono modificate per
alleggerire l’onere del debitore.

26
Estinzioni del rapporto obbligatorio.
Tipologia dei modi di estinzione.

Come si è visto il rapporto obbligatorio è finalizzato al soddisfacimento dell'interesse


del creditore mediante la cooperazione con il debitore. Il rapporto obbligatorio è
destinato ad estinguersi quando il soddisfacimento dell'interesse si è realizzato,
quando il soddisfacimento dell'interesse sia divenuto irrealizzabile oppure quando è
realizzato un interesse diverso da quello perseguito dal creditore ma che la legge
stessa o il creditore reputi idoneo al fine di determinare l'estinzione
dell'obbligazione.

Per quanto riguarda le cause estintive dell'obbligazione bisogna distinguere cause


generali da cause specifiche. Nelle cause generali rientra la prescrizione e la morte
del titolare di situazioni indisponibili. Per quanto riguarda la prescrizione, ogni diritto
disponibile si estingue per prescrizione se il titolare non lo esercita nei tempi previsti
dalla legge. Per quanto riguarda la seconda ipotesi, con la morte del soggetto si
estinguono le obbligazioni soggettivamente infungibili o ritenute tali dalle parti. Per
quanto riguarda le cause specifiche bisogna proporre una divisione tra modi di
estinzione satisfattivi e modi di estinzione non satisfattivi.

 Sono modi di estinzione satisfattivi quelli che determinano la estinzione


dell'obbligazione con la realizzazione dell'interesse del creditore.
 Sono modi di estinzione non satisfattivi le cause di estinzione dell'obbligazione
senza soddisfacimento dell'interesse del creditore. Rilevano in tal modo: la
novazione, la remissione in debito e l'impossibilità sopravvenuta della
prestazione per causa non imputabile al debitore.

Adempimento.
L'adempimento è atto dovuto dal debitore. Rappresenta il normale modo di
attuazione del rapporto obbligatorio in quanto realizza il diritto del creditore
mediante l'esecuzione della prestazione da parte del debitore facendo conseguire al
creditore il bene oggetto dell'obbligazione. In tal modo l'adempimento rappresenta
una vicenda satisfattiva. Il debitore che ha eseguito la prestazione non può
impugnare l'adempimento per incapacità proprio perché è tenuto comunque a
procurare il bene al debitore. L'adempimento può essere compiuto personalmente
dal debitore o mediante un mandatario o altro soggetto legittimato
all'adempimento. Principio generale è che il debitore risponde dei mandatari circa le
cause di adempimento dell'obbligazione. Esistono poi soggetti legittimati dalla legge
all'adempimento esempio è il rappresentate legale del soggetto incapace oppure
l'organo giudiziario. Le spese dell'adempimento sono a carico del debitore. Il
debitore che ha adempiuto ha diritto alla quietanza ossia un documento formale che
attesta l'avvenuto pagamento del bene oggetto dell'obbligazione.

Esattezza dell'adempimento, diligenza e correttezza.

La legge richiede che la prestazione sia eseguita in modo esatto. Il debitore che non
esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se
non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità
della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.

Requisito generale è il dovere di diligenza nell'adempimento che si sostanzia come


lo sforzo, personale, tecnico o economico, del debitore per soddisfare l'interesse del
creditore. L'art. 1176 fissa poi due parametri di diligenza.

 Una diligenza generale ossia la diligenza del buon padre di famiglia, uomo
comune, accorto ed equilibrato nella cura dei suoi interessi.
 Una diligenza tecnica che opera con riferimento al mondo delle impresa e
delle professioni che implica conoscenza e perizia tecnica nell'espletamento
dell'attività economica professionale.
Altro requisito fondamentale è la correttezza che a differenza della diligenza
nell'adempimento che interessa solo il debitore, interessa sia il creditore che il
debitore che sono obbligati a comportarsi secondo le regole della correttezza.

Requisiti specifici.

Il debitore è obbligato ad eseguire la prestazione con le modalità convenute ovvero


secondo gli usi e in mancanza con le modalità previste dalla legge.

 Per quanto riguarda il luogo dell'adempimento, se il luogo della prestazione


non è presente nella convenzione o negli usi o non è definito nel contratto
valgono le seguenti regole disposte dalla legge. L'obbligazione di consegnare
una determinata cosa va adempiuta nel luogo in cui si trovava la cosa al
momento in cui è sorta l'obbligazione. L'obbligazione di consegnare una data
somma di denaro deve essere adempiuta presso il domicilio del creditore al
tempo della scadenza. Se però il domicilio del creditore è diverso da quello
esistente al momento della nascita della obbligazione il debitore ha obbligo di
eseguire la prestazione presso il suo domicilio. In ogni altro caso
l'obbligazione va adempiuta nel domicilio del debitore al tempo della
scadenza.
 Riguardo al tempo per l'adempimento, l'obbligazione va eseguita nel termine
di scadenza del debito corrispondente alla sua esigibilità. Quando il termine di
esecuzione non è determinato il creditore può esigere la prestazione
immediatamente. Poiché l'adempimento procrastina nel tempo è importante
stabilire se l'esecuzione sia a vantaggio del debitore, del creditore o di
entrambi. Regola fondamentale è che in mancanza di accordo, il termine è
presunto a favore del debitore, nel senso che il debitore può eseguire la
prestazione anche prima della scadenza. Il creditore non può chiedere
l'adempimento anticipatamente. Se il termine è stabilito a favore del
creditore questo può chiedere la prestazione prima della scadenza, ma il
debitore non può adempire anticipatamente contro la volontà del creditore.
Se è stabilito in favore di entrambi il debitore deve eseguire e il creditore può
esigere la prestazione solo nel termine stabilito. In ogni caso il debitore
decade dal termine in suo favore e il creditore può conseguire
immediatamente l'oggetto della obbligazione se il debitore è divenuto
insolvente, ha diminuito le garanzie o non le ha di fatto più prestate.
 Per quanto riguarda il bene dovuto innanzitutto la prestazione deve essere
integrale nel senso che il debitore è tenuto a procurare per intero il bene
dovuto. Il creditore può anche rifiutare l'adempimento parziale salvo che la
legge disponga diversamente. Se però la prestazione è divenuta parzialmente
impossibile, il debitore si libera dalla obbligazione eseguendo la parte che è
rimasta possibile. Se l'adempimento ha ad oggetto cose determinate solo nel
genere, il debitore non può prestare cose inferiore alla media. L'obbligazione
di consegnare include anche poi l'obbligo di custodirla. Così in tema di vendita
il venditore che vende un oggetto al momento della consegna, la cosa deve
trovarsi nello stesso stato in cui si trovava al momento della vendita.
 Imputazione e pagamento. Quando un soggetto ha più debiti nei confronti
della stessa persona è importante stabilire a quale prestazione ha oggetto
l'adempimento dell'obbligazione per eliminare le relative incertezze. Il
debitore può dichiarare in tal modo quando paga, quale debito intende
soddisfare al fine di liberarsi dalle specifiche obbligazioni.
 Destinatario dell'adempimento. L'adempimento deve essere fatto al creditore
o al suo rappresentate ovvero la persona da lui incaricata alla riscossione del
debito. Tale soggetto non è titolare del diritto e quindi non può esercitarlo ma
è solo legittimato a riceverlo. Circa le persone incaricate dal creditore per
riscuotere l'obbligazione bisogna comunque parlare di una conseguente
comunicazione del creditore al debitore per renderlo a conoscenza del
soggetto a cui conseguire l'obbligazione. Per quanto riguarda i soggetti
autorizzati dalla legge rilevano il rappresentate legale dell'incapace, l'ufficiale
giudiziario, il curatore fallimentare ecc. L'adempimento del soggetto non
legittimato non libera dalla obbligazione il debitore di fatto costretto ad
eseguire nuovamente la prestazione dovuta. L'adempimento compiuto nei
confronti del creditore incapace non libera il debitore se questo non prova
che il creditore ne abbia tratto un vantaggio. Diverso risulta l'adempimento al
creditore apparente. L'apparenza è causa di liberazione del debitore per aver
suscitato nello stesso un ragionevole affidamento che il ricevente fosse il vero
creditore ovvero legittimato a riceverlo. Il debitore quindi che esegue il
pagamento a chi appare legittimato a riceverlo è liberato se prova di essere
stato in buona fede.

Adempimento del terzo.


Con riguardo all'adempimento del terzo l'esecuzione della prestazione proviene da
un soggetto diverso dal debitore, non può trattarsi dunque di un rappresentate del
debitore perché l'adempimento sarebbe sempre ricollegabile al debitore. Con
l'adempimento del terzo vi è la realizzazione del credito del creditore senza
attuazione dell'obbligo, in quanto il creditore viene soddisfatto dal terzo e non dal
debitore. In ogni caso il terzo non è obbligato ad adempiere verso il creditore.
L'adempimento del terzo in favore del creditore produce l'estinzione
dell'obbligazione. Talvolta però pur intervenendo il soddisfacimento del creditore il
debito non si estingue. Questo è il caso del pagamento con surrogazione. Di regola
l'interesse del creditore è rivolto al conseguimento del credito dedotto
dall'obbligazione restando indifferente il soggetto che glielo procura. Dall'altra parte
anche il debitore si trova orientato alla liberazione della obbligazione anche se
l'effetto è prodotto da un terzo. La legge tuttavia prevede un potere di rifiuto dal
creditore ammesso in due ipotesi. Quanto il creditore ha interesse che il debitore
consegui all'adempimento dell'obbligazione personalmente oppure quando il
debitore si opponga all'adempimento del terzo, il creditore deve rifiutare che il terzo
adempia.

Dazione in pagamento.
Di particolare importanza risulta la dazione in pagamento secondo cui il debitore
non può liberarsi dalla obbligazione eseguendo una prestazione diversa da quella
dovuta anche se di valore uguale o maggiore senza che il creditore lo consenta. Con
la dazione in pagamento si realizza l'interesse del creditore ma con la sostituzione
del bene originario oggetto della precedente obbligazione. In tal modo la dazione in
pagamento si distingue dalla novazione. Ai fini della realizzazione dell'interesse del
creditore rileva la volontà dello stesso di conseguire un bene diverso da quello
originario. In tal modo l'obbligazione si estingue quando la diversa prestazione è
eseguita. Se la dazione consiste nel trasferimento della proprietà o di altro diritto
reale il debitore è tenuto alla garanzia per evizione e per vizi secondo le norme della
vendita salvo che il creditore preferisca esigere la prestazione originaria e il
risarcimento del danno. Se la dazione consiste nella cessione del diritto di credito
l'obbligazione si estingue con la riscossione del credito ceduto. Il cedente deve
garantire la solvenza del debitore. Quando la dazione in pagamento non ha prodotto
l'effetto sperato è possibile far valere il diritto di credito originario con le garanzie
prestate dal debitore.

Mora del creditore.

Il creditore è in mora quando senza alcun motivo legittimo si rifiuta di ricevere il


pagamento offerto dal debitore nei modi indicati dalla legge oppure non compie
quanto è necessario affinché debitore possa adempiere all'obbligazione.

L'articolo 1206 del codice civile indica le condizioni alle quali può aversi mora del
creditore; si tratta di una situazione atipica in cui creditore, invece di ottenere
quanto gli è dovuto, rifiuta o ostacola l'adempimento del debitore.

Questa situazione, per quanto paradossale possa sembrare, spesso si verifica nella
realtà, in quanto il creditore, per i motivi più vari, cerca di mantenere una posizione
di supremazia nei confronti della persona del debitore, supremazia che appunto gli
deriva dall'esistenza del vincolo obbligatorio.
Il codice civile parla di " mora del creditore " accostandola, almeno dal punto di vista
terminologico, alla ben più frequente mora del debitore.
In realtà si tratta di situazioni completamente differenti, perché il creditore non è
obbligato ma solo onerato a ricevere la prestazione, mentre il debitore è obbligato
ad adempiere; tuttavia il comportamento del creditore può causare difficoltà e
danni al debitore che per questo motivo deve avere il modo di liberarsi
dall'obbligazione anche quando il creditore non voglia.

Vediamo schematicamente le varie fasi che portano alla liberazione del debitore;

 1. il debitore offre di eseguire la sua prestazione nei termini stabiliti, ma il


creditore la rifiuta senza alcun motivo legittimo (offerta non formale art. 1220
c.c.)
 2. di fronte al rifiuto del creditore a ricevere la prestazione, il debitore ricorre
ad un'offerta fatta secondo le modalità dell'articolo 1208 c.c. detta " offerta
solenne ". L'offerta solenne ha caratteristiche diverse secondo il tipo di
prestazione: a) è reale se l'obbligazione ha per oggetto: denaro, titoli di
credito, oppure cose mobili da consegnare al domicilio creditore; b) se si
tratta di cose mobili da consegnare in luogo diverso dal domicilio del creditore
l'offerta consiste dell'intimazione a riceverle (offerta per intimazione); c) se
deve essere consegnato un immobile l'offerta consiste dell'intimazione al
creditore di prenderne possesso (art. 1216 c.c.); d) se la prestazione consiste
in un fare il creditore è costituito in mora mediante intimazione di ricevere la
prestazione o di compiere gli atti necessari affinché questa possa svolgersi
(art. 1217 c.c.)
 3. eseguita correttamente offerta solenne e rifiutata dal creditore,
quest'ultimo è considerato a tutti gli effetti in mora con le conseguenze
stabilite dall'articolo 1207 c.c.
 4. per liberarsi definitivamente dall'obbligazione il debitore, di fronte al
perdurare del rifiuto del creditore a ricevere la prestazione, dovrà depositare
le cose dovute (art. 1210 c.c.) secondo le modalità indicate dall'articolo 1212
c.c. ; solo quando il creditore accetta il deposito, oppure, in caso di rifiuto,
quando passa in giudicato la sentenza con la quale viene ritenuto valido il
deposito, il debitore sarà completamente liberato dall'obbligazione

Il debitore che vuole evitare le conseguenze che derivano dall'inadempimento è


quindi costretto ad offrire la sua prestazione con un'offerta solenne.
Eseguita l'offerta solenne si produrranno gli effetti della mora del creditore, effetti
che sono schematizzati qui sotto:
 il creditore subisce il rischio derivante dall'impossibilità sopravvenuta dalla
prestazione per causa non imputabile al debitore;
 il debitore non deve più corrispondere gli interessi o i frutti della cosa;
 il creditore è tenuto a risarcire il debitore degli eventuali danni derivanti dalla
mora e a rimborsarlo delle spese per la custodia e la conservazione della cosa
dovuta.

Modi di estinzione indirettamente satisfattivi.


Si fa riferimento alle ipotesi in cui è soddisfatto un interesse del creditore, non solo
diversamente da quello originariamente perseguito ma anche attuato senza
adempimento. Figure tipiche di questa fattispecie sono la compensazione e la
confusione.

Compensazione.

La compensazione si verifica quando due persone sono obbligate una verso l'altra
per debiti e crediti reciproci; in questo caso i reciproci debiti e crediti si estinguono
per le quantità corrispondenti.

La compensazione per operare ha bisogno di alcuni presupposti; non basta, infatti,


che vi siano dei semplici reciproci rapporti di debito e credito tra le parti, ma è anche
necessario che tali rapporti rappresentino crediti omogenei, liquidi ed esigibili.
A queste condizioni la compensazione opera automaticamente, senza che le parti
debbano fare altro e, per questo motivo, è detta compensazione legale.

Il nostro codice, però, conosce altri due tipi di compensazione, la compensazione


giudiziale e la volontaria.

Vediamo nella sottostante tabella i tre tipi di compensazione e le condizioni alle


quali possono operare.

1) compensazione legale (art. 1243 c.c.) opera automaticamente fin dal


momento della coesistenza di reciproci rapporti di debito e credito quando
questi siano:

omogenei: devono avere lo stesso oggetto, come due crediti di denaro o di


cose fungibili;

liquidi: quando sono esattamente determinati del loro ammontare;

esigibili: quando non sono sottoposti né a termine ne è condizione;


2) compensazione giudiziale (art. 1243 c.c. comma 2) si verifica quando il debito
opposto in compensazione non è liquido, cioè non è esattamente
determinato, ma è di facile è pronta soluzione. In questo caso il giudice può
dichiarare la compensazione per la parte del debito che riconosce esistente.
3) compensazione volontaria (art. 1252 c.c.) anche quando i debiti i crediti
reciproci non presentino le caratteristiche di omogeneità, liquidità e
esigibilità, possono essere comunque compensati in base all'accordo delle
parti.

L'articolo 1246 del codice civile indica i casi in cui la compensazione non si verifica,
nonostante l'esistenza delle altre condizioni previste dalla legge. In particolare si
vieta la compensazione per i crediti per cui il proprietario sia stato ingiustamente
spogliato, per la restituzione di cose depositate o date in comodato, per crediti
dichiarati impignorabili, per rinunzia alla compensazione e negli altri casi in cui il
divieto è stabilito dalla legge come nell'ipotesi in cui il credito abbia natura
alimentare.

Confusione.
La confusione ha luogo quando la qualità di creditore e debitore si riuniscono nella
stessa persona. Ad esempio un soggetto che è creditore verso un altro soggetto ma
poi successivamente diventa suo erede oppure un imprenditore che è creditore
verso altro imprenditore, acquista la sua azienda. In entrambe le ipotesi lo stesso
soggetto assume la qualifica di debitore e di creditore. La riunione nella stessa
persona del creditore ed del debitore porta all'estinzione dell'obbligazione per
confusione.

Modi di estinzione non satisfattivi.


In tale ipotesi il creditore non sarà soddisfatto ne direttamente in quanto non c'è
adempimento ne indirettamente in quanto il creditore non trae nemmeno il
vantaggio dalla estinzione della posizione del debitore. I modi di estinzione non
satisfattivi sono: la novazione, remissione in debito, impossibilità sopravvenuta della
prestazione per causa non imputabile al debitore.

Novazione.

Con la novazione il rapporto obbligatorio originario viene sostituito con un nuovo


rapporto. La novazione può inerire all'oggetto o al titolo oppure ai soggetti.
La novazione oggettiva è l'unico tipo di novazione regolato dalla legge. Con la
novazione oggettiva si ha la sostituzione dell'obbligazione originaria con una nuova
obbligazione che può avere oggetto o titolo diverso. La novazione si atteggia come
contratto consensuale poiché il consenso del creditore risulta fondamentale ai fini
della costituzione della novazione. La novazione si distingue in tal modo dalla
dazione in pagamento proprio perché nel caso della dazione il creditore, nonostante
muti l'oggetto della obbligazione viene soddisfatto del suo credito, nella novazione
non vi è comunque soddisfacimento per il creditore.

Affinché la novazione possa esistere sono necessari tre presupposti:

 L'obbligazione da novare. Se la obbligazione originaria non esisteva la


novazione è senza effetto poiché non si può sostituire una cosa che non
esiste.
 L'intento novativo o animus novandi. Ossia la volontà di estinguere
l'obbligazione originaria deve risultare in modo non equivoco. La volontà può
essere manifestata anche tacitamente purché rivolta alla novazione.
 Terzo presupposto è il mutamento che può essere o dell'oggetto o del titolo.

Con la novazione, come abbiamo già visto, si produce l'estinzione dell'obbligazione


originaria; di conseguenza si estingueranno anche tutte le garanzie collegate
all'obbligazione novata. Accanto alla novazione trattata dall'articolo 1230, detta
novazione oggettiva, dobbiamo anche considerare un altro importante tipo di
novazione di cui abbiamo avuto occasione di accennare nell'analisi dei contratti di
delegazione, espromissione e accollo.

Ci riferiamo alla novazione soggettiva passiva che si ha quando, restando immutati


gli altri elementi del rapporto, ne mutano i soggetti. Avremo, quindi, novazione
soggettiva attiva se vi sarà mutamento della persona del creditore, mentre avremo
novazione soggettiva passiva quando vi sarà mutamento della persona del debitore
Anche la novazione soggettiva, al pari di quella oggettiva, produce l'estinzione del
vecchio rapporto obbligatorio con la conseguenza che il vecchio debitore sarà
completamente liberato dalla sua obbligazione mentre unico soggetto obbligato
sarà il nuovo debitore.

Remissione del debito.

Con la remissione del debito il creditore rinunzia in tutto in parte al suo credito nei
confronti del debitore. La comunicazione al debitore della remissione fa estinguere
l'obbligazione salvo che il debitore dichiari in un congruo termine di non volerne
profittare.

Come si vede dalla nozione, con la remissione del debito si provoca l'estinzione
dell'obbligazione in base alla dichiarazione unilaterale espressa dal creditore. Per
questo motivo la dottrina prevalente ritiene la remissione del debito negozio
unilaterale recettizio, e non contratto; tuttavia il debitore può far venir meno di
effetti della remissione con efficacia retroattiva, comunicando in un congruo termine
di non volerne profittare.

Tradizionalmente si distinguono due tipi di remissione del debito:

 remissione espressa: si verifica nel caso ordinario in cui il creditore comunica


al debitore la remissione del debito.
 remissione tacita: è il caso previsto dall'articolo 1237 del codice civile secondo
cui la restituzione volontaria del titolo originale del credito fatta dal creditore
al debitore costituisce prova della liberazione.

Quanto alle garanzie, la rinunzia alle stesse non fa presumere la remissione del
debito (1238). Viceversa la remissione accordata dal debitore principale libera i
fideiussori (1239).
Diversamente dalla remissione si atteggia il Pactum de non petendo con il quale il
creditore si obbliga a non chiedere al debitore l’adempimento prima di un dato
tempo.

Impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile al debitore.

L'obbligazione si estingue quando per causa non imputabile al debitore la


prestazione diviene impossibile.

Come si vede dalla nozione, l'estinzione dell'obbligazione si verifica solo quando


l'impossibilità non può essere causalmente ricollegata al debitore; se, invece,
impossibilità della prestazione fosse da attribuire al debitore, non vi sarebbe
estinzione dell'obbligazione e il creditore potrebbe far valere il suo diritto come
risarcimento del danno.

Per ottenere, quindi, estinzione dell'obbligazione con conseguente esonero della


responsabilità, l'impossibilità di esecuzione della prestazione deve avere
caratteristiche ben precise indicate negli articoli 1256 e seguenti.

L'impossibilità deve essere:

 sopravvenuta: deve intervenire dopo la nascita dell'obbligazione


 oggettiva e assoluta: la prestazione deve essere oggettivamente impossibile e
non divenuta impossibile solo per il debitore che, ad esempio, non può
invocare l'impossibilità adducendo di non avere i mezzi economici per
adempiere
 non imputabile al debitore: il debitore non deve aver causato con il suo
comportamento impossibilità della prestazione, ad esempio provocando la
distruzione del bene a consegnare. L'impossibilità quindi, deve derivare da
caso fortuito o da forza maggiore
 definitiva: l'impossibilità deve essere di natura tale da non consentire in alcun
modo l'adempimento.

Altre ipotesi relative all'impossibilità fanno riferimento alla:

 impossibilità temporanea consiste in una situazione oggettiva che impedisce


temporaneamente al debitore di eseguire una prestazione
 impossibilità parziale la prestazione è divenuta solo parzialmente impossibile.
In tale caso, secondo l'articolo 1258 c.c., l'impossibilità parziale della
prestazione non provoca l'estinzione dell'obbligazione se è possibile eseguirla
per la parte rimanente. In questo caso il debitore si libera dell'obbligazione
eseguendola prestazione per la parte che rimasta possibile.

Tradizionalmente si ritiene che il debitore per liberarsi da responsabilità, debba


provare il caso fortuito o la forza maggiore, fatti che possono derivare da
un'impossibilità fisica, ad esempio l'incendio che distrugge il bene da consegnare, o
da impossibilità giuridica, come una legge che vieti il commercio dei beni. La prova
dell'impossibilità è a carico del debitore ex. art. 1218 c.c. che deve provare la
oggettività e assolutezza dell'impossibilità. Ciò vuol dire, in altre parole, che il
debitore deve provare che l'impossibilità non era superabile, non solo da lui, ma da
ogni soggetto che si fosse trovato nella stessa situazione.

Si distinguono quindi:

 impossibilità oggettiva, che fa riferimento alla prestazione in sé tale che


nessun debitore potrebbe eseguirla;
 impossibilità soggettiva, che attiene alla persona del debitore che non è in
grado, fisicamente o economicamente, di eseguirla mentre potrebbe essere
eseguita da altri.

Di conseguenza se il debitore, nonostante l'uso della adeguata diligenza, non avrà


adempiuto l'obbligazione, non sarà responsabile per l'inadempimento, e non
potendo il creditore richiedere l'esecuzione della prestazione, si avrà comunque
estinzione dell'obbligazione.
27
Inadempimento dell'obbligazione
Inadempimento e impossibilità sopravvenuta.
L'art. 1218 afferma che il debitore che non esegue esattamente la prestazione
dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova che l'inadempimento è
dovuto da cause non imputabili a lui stesso.
Tale previsione si collega poi con l'art. 1256 secondo cui l'obbligazione si estingue
quando, per causa non imputabile al debitore, la prestazione è divenuta impossibile.
Per delineare la figura dell'inadempimento è corretto capire se l'inadempimento sia
collegabile ad una diretta responsabilità del debitore o dovuto all'impossibilità della
prestazione per una causa a lui non imputabile. In astratto la prestazione potrebbe
essere eseguita al fine di procurare una utilità al creditore. Tuttavia il problema è a
quale costo è a quale prezzo. Rileva in tal modo lo sforzo che il creditore debba
eseguire per soddisfare l'interesse del creditore. Un esempio può essere fatto
attraverso due soggetti, un venditore e un compratore. Il venditore trasporta le
merci fino al compratore per mezzo di un ponte. Nel caso in cui il ponte crolli, la
prestazione del venditore nei confronti del compratore diviene si possibile, poiché
potrebbe essere utilizzato un elicottero, ma comunque non vantaggiosa perché il
costo di trasporto risulta essere maggiore rispetto al prezzo della marce. Quindi si
potrebbe ritenere il venditore libero dalla prestazione nei confronti del compratore.

Responsabilità per inadempimento.

Esistono due modelli di illecito civile. Illecito contrattuale e illecito extracontrattuale


a seconda che tra l'autore del danno e il soggetto danneggiato sussista o meno un
rapporto giuridico di cui l'atto illecito costituisce lesione.

 L'illecito contrattuale consiste in una lesione del rapporto giuridico corrente


tra l'autore dell'illecito e il soggetto danneggiato. In tale rapporto rileva il fatto
illecito che è costituito dal comportamento lesivo del debitore ai danni del
creditore. L'inattuazione della obbligazione assunta comporta una
responsabilità del debitore a risarcire il danno arrecato al creditore. Tale
responsabilità è definita responsabilità per inadempimento o responsabilità
contrattuale. L'illecito contrattuale presuppone l'esistenza di una precedente
obbligazione. In seguito all'inadempimento sorge a carico del debitore
inadempiente l'obbligazione succedanea di risarcimento del danno.
 L'illecito extracontrattuale si verifica quando manca un precedente vincolo tra
l'autore dell'illecito e il soggetto danneggiato. Qualunque fatto doloso o
colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso
il fatto a risarcire il danno. In conseguenza dell'atto lesivo sorge a carico del
soggetto responsabile l'obbligazione del risarcimento del danno.

In entrambi gli illeciti consegue dunque la responsabilità civile per i danni prodotti
con l'obbligo di risarcimento del danno per il soggetto responsabile. Non mancano
però alcuni casi in cui sussistano entrambe le responsabilità. Per esempio, in un
contratto di trasporto, il viaggiatore che ha subito sinistri può far valere sia la
responsabilità contrattuale del vettore, sia la responsabilità extracontrattuale del
conducente sia la responsabilità solidale del proprietario.

Si è visto come l'inadempimento venga sanzionato se il debitore non provi che


l'impossibilità della prestazione derivi da una causa non imputabile a lui stesso
oppure che l'obbligazione debba considerarsi estinta se l'oggetto della obbligazione
diventa impossibile per una causa non imputabile al debitore. Il debitore rimane
responsabile dell’inadempimento se non riesce a provare la cd. impossibilità
liberatoria. Ma se, quindi, il debitore ha usato la diligenza del buon padre di famiglia
e, nonostante questo, l'obbligazione sia rimasta inadempiuta, è certo che al
creditore non dovrà corrispondergli quanto promesso, ma è altrettanto vero che
quest'ultimo non potrà pretendere dal debitore il risarcimento dei danni causatigli
dall'inadempimento. Se la obbligazione è inerente all'attività professionale del
soggetto nell'esecuzione della prestazione oggetto del vincolo dovrà utilizzare una
diligenza professionale.
In altre parole per esserci responsabilità è necessaria la colpa del debitore che
consiste nel non aver usato la diligenza richiesta.

È possibile delineare più modelli di responsabilità.

 Più spesso la responsabilità è collegata alla colpevolezza nell'inadempimento


della prestazione. Non c'è responsabilità senza colpevolezza. La colpevolezza
si atteggia in due forme, del dolo e della colpa. Si ha dolo quando
l'inadempimento è cosciente e volontario, in tal caso la responsabilità è più
grave, in questo caso il debitore risponde sia dei danni prevedibili che dei
danni imprevedibili. Si ha colpa quando l'inadempimento deriva da
negligenza, imperizia, imprudenza, in questo caso il debitore risponde solo dei
danni prevedibili. In generale il debitore risponde solo dei danni prevedibili a
meno che non vi sia il dolo come causa nell'adempimenro della prestazione.
Ciò infatti distingue la situazione della responsabilità contrattuale da quella
extracontrattuale in cui il soggetto che ha causato il danno risponde anche del
danno imprevedibile.
 Abbiamo ancora la responsabilità aggravata, quando si prescinde dalla
colpevolezza ed il debitore è liberato dalla obbligazione solo per impossibilità
della prestazione dovuta a una caso fortuito (distruzione o perimento) o forza
maggiore cui non è possibile sottrarsi (divieto della pubblica autorità di
commercio di un determinato bene)
 Esistono ancora altre ipotesi di responsabilità oggettiva dove il debitore
risponde della mancata o inesatta esecuzione della prestazione dovuta
indipendentemente dalla diligenza, causa fortuita, o causa di forza maggiore.
Si collega alla figura di responsabilità oggettiva la responsabilità per fatto degli
ausiliari. Il debitore che nell'adempimento dell'obbligazione si avvale di terzi
risponde nei loro confronti anche dei danni colposi o dolosi.
 Ulteriore figura di responsabilità è quella per danno derivante da prodotto
difettoso. Il produttore è responsabile del danno cagionato dal difetto suo
prodotto. Tale responsabilità si estende anche al fornitore che abbia
distribuito il prodotto se abbia omesso di comunicare al danneggiato nei tre
mesi dalla richiesta l'identità e il domicilio del produttore.
 Sono nulle le clausole di esonero o limitazione della responsabilità del
debitore per dolo o colpa grave, le clausole di esonero da responsabilità sono
valide invece per colpa ordinaria, sono invece sempre nulle le clausole di
esonero di responsabilità per fatti del debitore o dei suoi ausiliari che fanno
riferimento alla violazione di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico.

Altro delicato problema è quello dell'onere della prova tra debitore e


creditore. Per l'art. 1218 il debitore è responsabile se non prova che
l'inadempimento o l'inesatto adempimento è stato determinato da
impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. Opera
perciò il principio dell'inversione dell'onere della prova per cui non è il
creditore a dover provare l'inadempimento ma è il debitore a dover provare
l'assenza di responsabilità. Il creditore invece ha solo l'onore di provare la
fonte del suo diritto di credito ed il relativo termine di scadenza. Diverso è il
regime della prova nella responsabilità extracontrattuale dove è il soggetto
danneggiato a dover provare la responsabilità dell'autore del danno.

Riguardo il termine di prescrizione dell'azione di responsabilità è fissato in 10


anni decorrenti dal giorno dell'esigibilità del credito. Il termine di prescrizione
del diritto al risarcimento del danno è fissato in 5 anni dal giorno in cui si è
verificato l'illecito salvo termini ancora più brevi.

Responsabilità da contatto sociale.


Sempre in maniera più diffusa si presenta rilevante la disciplina del contatto sociale
con l'attribuzione della responsabilità contrattuale in capo all'autore che ha causato
il danno anche in assenza di un vincolo di obbligazione verso il soggetto
danneggiato. Il fenomeno è particolarmente emerso nel campo delle professioni con
riguardo al grado di perizia che si richiede al professionista. Tale responsabilità ha
avuto un suo particolare sviluppo sul terreno sanitario dove si tende ad indicare la
responsabilità contrattuale delle strutture sanitarie, private o pubbliche, per una
non diligente esecuzione della prestazione. Ugualmente si fa valere la responsabilità
contrattuale anche verso gli operatori sanitari come medici e infermieri se prestino
verso il paziente una inesatta esecuzione della prestazione. Un altro campo in cui si
sviluppa la responsabilità da contatto sociale è nel settore scolastico laddove infatti il
minore subisca un danno causato da se stesso, risponde di responsabilità
contrattuale sia l'istituto scolastico sia l'insegnante.

L'adempimento coattivo.

Il creditore può soddisfare coattivamente l’interesse perseguito col rapporto


obbligatorio, permettendo di conseguire attraverso gli apparati giudiziari il bene
dedotto in obbligazione non procurato dal debitore: cd. adempimento coattivo che
consente al creditore la realizzazione coattiva del credito. Per realizzare tale risultato
opera lo strumento della esecuzione forzata nelle due specie della esecuzione in
forma specifica e della esecuzione per espropriazione.

 Esecuzione in forma specifica: il creditore consegue il medesimo bene oggetto


dell’obbligazione; il c.c. prevede più procedure in tale direzione, con le quali il
creditore, attraverso il processo, consegue coattivamente il bene dovuto dal
debitore.
 Esecuzione forzata per espropriazione: impiegata per il conseguimento di
somme di danaro, il creditore, attraverso l’aggressione del patrimonio del
debitore, consegue il bene dovuto dal debitore: la normale fungibilità del
danaro consente la realizzazione coattiva del credito attraverso la vendita
forzata e quindi la conversione in danaro dei beni assoggettati ad esecuzione
presenti nel patrimonio del debitore.

In ogni caso il fatto che il debitore si sia reso inadempiente, costringendo il creditore
ad un’azione giudiziaria per il soddisfacimento del suo interesse, consegua o meno il
medesimo bene dedotto in obbligazione, integra un illecito civile da inadempimento
che obbliga il debitore al risarcimento del danno.

Il risarcimento del danno.


Il risarcimento del danno si verifica quando il debitore non esegue, esegue in
maniera inesatta, esegue con ritardo la prestazione oggetto della obbligazione.
L'inadempimento provoca quindi una responsabilità del debitore per i danni subiti al
creditore e per questo si dà luogo al risarcimento del danno. Vediamo ora quando il
creditore può chiedere il risarcimento del danno e in che misura.

1) L'art. 1223 del cod. civ. dispone che il risarcimento del danno è dovuto per la
perdita subita e il mancato guadagno subito dal creditore quando vi siano
conseguenze immediate e dirette. Deve sussistere quindi un rapporto di causa
effetto tra perdita subita e mancato guadagno. Il debitore risponde dei danni
di conseguenza immediata e diretta.

Il rapporto di causa effetto, detto anche nesso di causalità, non può mancare per far
sorgere la responsabilità. Bisogna considerare inoltre come il debitore ha posto in
essere l'inadempimento ossia se derivi da una responsabilità colposa o dolosa. Se la
responsabilità è dolosa il debitore risponde sia dei danni prevedibili che dei danni
imprevedibili. Se l'inadempimento deriva da colpa il debitore risponde solo dei danni
prevedibili. In caso di responsabilità extracontrattuale il debitore risponde anche dei
danni imprevedibili.

Tali apposizioni rischiano di andare in crisi quando andiamo a chiederci cosa


intendiamo per conseguenze immediate e dirette o quando c'è il nesso di causalità.
Sul nesso di causali distinguiamo 2 teorie:

 Teoria della conditio sine qua non, per la quale si considerano tutte le cause
idonee o produrre un certo effetto. Di conseguenza il debitore potrebbe
essere sempre responsabile dei danni subiti al creditore.
 Teoria della causalità adeguata, meno rigorosa dal punto di vista scientifico
ma più idonea dal punto di vista giuridico. Questa teoria prende in
considerazione come causa di un certo fatto solo quella idonea a produrlo.

La seconda teoria è quella più seguita dalla giurisprudenza. Secondo questa ultima
tesi il debitore non è responsabile dei danni subiti dal creditore quando
l'inadempimento provenga da una causa non imputabile al debitore stesso. In tal
modo si avrebbe una interruzione del nesso di causalità e il debitore non sarebbe
responsabile per i danni subiti dal creditore. Accogliendo la teoria della causalità
adeguata, si afferma che non sono attribuibili al debitore i danni causati da fattori
eccezionali che per essere tali sono anche imprevedibili. Ragionando in tal modo si
andrebbe a svuotare la previsione secondo cui il debitore che agisce con dolo è
responsabile anche dei danni imprevedibili. In presenza quindi dell'interruzione del
nesso di causalità si provoca sempre la mancanza di responsabilità del debitore
limitata solo alle conseguenze prevedibili. Del problema se ne accorta la
giurisprudenza che pure accogliendo la teoria della causalità adeguata, riconosce
l'esistenza del nesso di causalità anche quando, secondo la teoria dell'adeguatezza
causale, questo andrebbe escluso, comprendendo fra i danni provocati dal debitore
anche fattori che possono considerarsi eccezionali.

Tornando alla quantificazione del risarcimento del danno, l'art. 1223 dispone che
deve comprendere sia la perdita subita e mancato guadagno.

Ma che s'intende per perdita subita e mancato guadagno?

I due concetti vengono anche indicati come danno emergente e lucro cessante

 danno emergente, cioè la perdita subita il danno emergente si quantifica


secondo la perdita che ha subito il patrimonio del creditore dalla mancata,
inesatta o ritardata prestazione del debitore
 lucro cessante, cioè il mancato guadagno si fa riferimento ad una situazione
futura, e non ad una presente come quella che abbiamo visto nel danno
emergente. In questo caso si guarda alla ricchezza che il creditore non ha
conseguito in seguito al mancato utilizzo della prestazione dovuta dal
debitore. Trattandosi di evento futuro e solo prevedibile, per ottenere il
risarcimento sarà necessaria una ragionevole certezza circa il suo
accadimento

Danno emergente lucro cessante individuano, quindi, due concetti diversi anche dal
punto di vista temporale in quanto il primo si è già prodotto mentre il secondo, cioè
il lucro cessante, deve ancora prodursi o, meglio, indica un guadagno che si sarebbe
prodotto se non vi fosse stato inadempimento del debitore. Possiamo parlare di
lucro cessante quando, ad esempio, il creditore non riesca a ottenere un
macchinario dal debitore. In questo caso il debitore dovrà risarcire anche il mancato
guadagno che il creditore avrebbe realizzato se la macchina fosse stata fornita e
utilizzata per la sua attività.

Può accadere, infine, che il danno sia stato anche cagionato per l'attività colposa del
creditore o dalla sua negligenza.
Questa ipotesi, tutt'altro che infrequente nella realtà, è disciplinata dall'articolo
1227 c.c. secondo cui:
 se il creditore colposamente ha contribuito a provocare il danno, il
risarcimento dovuto dal debitore è diminuito secondo la gravità della colpa
del creditore e delle conseguenze che ne sono derivate;
 se il creditore, usando l'ordinaria diligenza, avrebbe potuto evitare il prodursi
del danno, non avrà diritto al suo risarcimento.

Norme particolari sono previste per i danni provocati dall'inadempimento delle


obbligazioni pecuniarie di cui siamo già occupati in precedenza.
Possiamo ricordare brevemente che l'articolo 1224 c.c. dispone che al creditore
sono dovuti a titolo di risarcimento del danno, gli interessi che si sono maturati sulla
somma dovuta dal giorno della mora, e questo è vero anche quando il creditore non
provi di aver subito alcun danno. Se però il creditore ritiene aver subito un danno
superiore alla misura gli interessi legali che gli debbono essere corrisposti, dovrà
provarne l'ammontare e, una volta raggiunta la prova, gli spetterà l'ulteriore
risarcimento oltre alla misura degli interessi legali a lui dovuti.

Ricordiamo, infine, una sorta di norma di chiusura contenuta nell'art. 1226 del
codice civile; si prevede la possibilità che nonostante l'accertamento del danno, non
si riesca a provarlo nel suo preciso ammontare; in tal caso il giudice lo liquida
secondo equità.

Mora del debitore.

Indica la situazione in cui il debitore senza giustificato motivo ritarda


l'adempimento.

Il debitore è in mora quando ritarda l'adempimento dell'obbligazione. Dobbiamo


però specificare che non ogni semplice ritardo produce le conseguenze della mora,
ma solo quelli " tipici" quelli cioè che si producono in presenza delle condizioni
indicate dal codice civile.

Vediamo quindi a quali condizioni si può parlare correttamente di mora del


debitore:

 quando il creditore gli intima per iscritto di adempiere (mora ex persona)


 quando senza che sia necessaria alcuna intimazione (mora ex re): 1. il debito
deriva da fatto illecito; in questo caso il debitore è in mora dal momento in cui
si è verificato il fatto illecito 2. il debitore abbia dichiarato per iscritto di non
voler adempiere 3. quando è scaduto il termine e la prestazione doveva
essere eseguita presso il domicilio del creditore
Non è configurabile la mora del debitore nelle cd. obbligazioni negative per le quali il
debitore è obbligato a non fare. Per la caduta in mora è necessaria la costituzione in
mora, che avviene mediante intimazione o richiesta di adempimento fatta dal
creditore per iscritto (cd. mora ex persona, 1219). Si presume che la mancanza di
intimazione sia ricollegabile a una tolleranza del creditore.
L’atto di costituzione in mora è atto giuridico in senso stretto e non atto negoziale, in
quanto gli effetti sono interamente previsti dall’ordinamento, oltre è recettizio.

Effetti della mora.

La mora comporta più effetti sfavorevoli al debitore.

 in caso di impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non


imputabile al debitore quest'ultimo dovrà comunque risarcire i danni al
creditore, a meno che non provi che l'oggetto della prestazione sarebbe
comunque perito presso il creditore (art. 1221 c.c.); art. 1224 “ nelle
obbligazioni che hanno per oggetto somme di danaro, sono dovuti dal giorno
della mora gli interessi legali, anche se non erano dovuti precedentemente e
anche se il creditore non prova di aver sofferto un danno (cd. interessi
moratori). Il debito deve essere liquido, cioè determinato o di facile
determinazione. Il creditore, in questo caso, non deve dare prova del danno
sofferto per chiedere il risarcimento del danno, tuttalpiù può chiedere un
danno maggiore.
 il debitore sarà obbligato a risarcire i danni che il creditore ha subito in
seguito al ritardo nell'adempimento (art. 1223 c.c.).

Gli effetti della costituzione in mora si sostanziano principalmente nel risarcimento


dei danni che questo comportamento colposo del debitore avrà provocato. È certo,
però, che in molti casi è difficile distinguere tra ritardo nell'adempimento, che
permette comunque al creditore di ottenere quanto gli è dovuto, e inadempimento
vero e proprio.
Potrebbe darsi, infatti, che il debitore non adempia l'obbligazione per delle difficoltà
temporanee in cui è incorso, ma potrebbe anche darsi che questo ritardo non sia
altro che vero e proprio inadempimento; la differenza è importante perché diverse,
almeno dal punto di vista quantitativo, sono le conseguenze tra il semplice ritardo e
il vero e proprio inadempimento.

Verificatasi la mora il debitore si trova esposto a tutte le conseguenze sfavorevoli


previste dalla legge. Tuttavia queste conseguenze possono essere evitate attraverso
la purgazione della mora. Questa può aversi in diverse circostanze, come quando il
creditore concede una dilazione del pagamento al debitore, oppure quando il
creditore rinunzia al credito o semplicemente alla mora.

Con la purgazione della mora ne terminano gli effetti sfavorevoli con la cessazione
del decorso degli effetti moratori, e del rischio dell'impossibilità sopravvenuta in
capo al debitore.

La liquidazione del danno.


La liquidazione del danno consiste nella determinazione del risarcimento e perciò
nella quantificazione dell’ammontare dell’importo dovuto dal debitore al creditore
per ristorarlo del pregiudizio subito. Tale importo è l’oggetto dell’obbligazione
risarcitoria, la cui misura varia in ragione dell’accompagnarsi o meno ad un
adempimento coattivo. Il creditore ha l’onere di provare l’esistenza e l’ammontare
del danno sofferto in conseguenza dell’inadempimento. Sugli interessi moratori
possono anche maturare ulteriori interessi dando vita all’anatocismo.

Concorso del fato colposo del creditore.

Nella configurazione della responsabilità per inadempimento, nella determinazione


del danno da risarcire rileva il comportamento tenuto del creditore tenuto ad un
dovere di cooperazione con il debitore. Tale raffigurazione fa riferimento al dovere
di correttezza tra i due soggetti. Il fatto colposo del creditore assume rilevanza
giuridica in duplice modo:

 come partecipazione causale nel cagionare l’evento dannoso in questo caso il


risarcimento è diminuito a seconda della gravità della colpa del creditore.
 come inerzia nell’evitare il danno che integra un concorso di colpa del
creditore per non aver evitato i danni che potevano essere evitati con
l'ordinaria diligenza. In tale caso il risarcimento non è dovuto per i danni che il
creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza. Il creditore
anche se non ha contribuito a causare l'evento dannoso avrebbe potuto
evitare un aggravamento del danno. Sono regole che trovano applicazione
anche in tema di illecito extracontrattuale, rispetto al fatto illecito danno
conseguenti, in virtù del richiamo all’art. 2056.

28
Responsabilità patrimoniale del debitore.
Garanzia del credito e responsabilità del debitore.

Parlando dei tratti generali che costituiscono l'obbligazione abbiamo visto che in un
tale rapporto la prestazione del debitore, suscettibile di valutazione economica, al
creditore può corrispondere ad un interesse patrimoniale e non patrimoniale.
Quando il debitore si rende inadempiente, impedendo così al creditore di soddisfare
un proprio interesse, quest'ultimo per conseguire il bene oggetto dell'obbligazione
può ricorre a forme coattive legittimate dall'ordinamento per soddisfare il proprio
interesse. In tal mondo esso può rivalersi sul patrimonio del debitore. L'art. 2740
afferma che il debitore risponde dell'inadempimento delle obbligazioni con tutti i
suoi beni presenti e futuri. Si parla in definitiva di una responsabilità patrimoniale
del debitore. Il patrimonio del debitore difatti costituisce una garanzia per il
creditore di riscuotere il credito. Quando il patrimonio del debitore è esiguo rispetto
al valore del credito e quindi viene impedita l'esecuzione coattiva, questo può
ricorre all'intervento di terzi che garantiscono per il debitore.

La responsabilità patrimoniale del debitore è regolata dal codice civile da due


principi fondamentali con le apposte eccezioni. A tali due principi se ne è aggiunto
poi un terzo. Si parla in tal modo della responsabilità patrimoniale illimitata con le
relative eccezioni previste dalla legge, alla parità di trattamento dei creditore
esclusivi quelli che presentano cause legittime di prelazione e infine si parla del
divieto del patto commissorio.

 Per quanto riguarda la responsabilità patrimoniale illimitata del debitore,


salve le eccezioni previste dalla legge abbiamo già visto che l'art. 2740 afferma
che il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni da lui assunte
con tutti i suoi beni presenti e futuri. L'interesse dei beni presenti e futuri
rappresentano una importante garanzia del creditore. Nel corso del rapporto
il creditore ha diritto all'integrazione di garanzie laddove queste vengano
diminuite o non più prestate dal debitore. Il comma 2 dell'art. 2740 ammette
poi che le limitazioni di responsabilità nei soli casi previsti dalla legge.
Limitazioni di responsabilità sono dunque eccezionali e tassative. Sarà
l'ordinamento stesso a valutare l'opportunità di introdurre figure limitative
della responsabilità in base alla valutazione della natura del credito, qualità
dei beneficiari, natura e destinazione dei beni esclusi dalla esecuzione. Le
limitazioni di responsabilità comportano un vincolo di indisponibilità che
esclude i beni dalla espropriazione. Ne sono esempi i vari patrimoni separati e
destinati. Esempi sono il fondo patrimoniale, l'usufrutto legale, fondi speciali
per l'assistenza e la previdenza, i patrimoni destinati dalle s.p.a ad uno
specifico affare. Un'ampia categoria è poi rivolta ai cosiddetti atti di
disposizione in cui rientra anche il trust. Vediamo che solo il patrimonio
destinato risponde dei debiti assunti in funzione alla realizzazione della
destinazione e su tale patrimonio possono rivalersi i creditori.
 Parità di trattamento dei creditori salvo cause legittime di prelazione. In tal
caso i creditori hanno eguale diritto ad essere soddisfatti sui beni del debitore,
salve cause legittime di prelazione. È la regola della cosiddetta par condito
creditorum per il quale dallo stesso patrimonio devono essere soddisfatti tutti
i creditori in maniera paritaria, per intero se il patrimonio è sufficientemente
capiente, in modo proporzionale se non lo è. Una porzione di vantaggio invece
assumono i creditori soggetti a cause legittime di prelazione. Rientrano in tale
categoria, pegni, ipoteche e privilegi. Le cause legittime di prelazione
rappresentano una garanzia specifica rendendo a tali creditori una posizione
di vantaggio nella riscossione del credito rispetto ai creditori chirografi. Si
distinguono in tal modo due garanzie. Una generica che ha come oggetto la
totalità del patrimonio e garanzie specifiche che ha come oggetto specifici
beni. Tutti i creditori sono dotati di garanzie generiche solo alcuni di garanzie
specifiche.
 Divieto del patto commissorio. È un istituto che solo di recente si è evoluto a
principio generale di responsabilità patrimoniale. È nullo ogni patto con il
quale si conviene che in mancanza del pagamento del credito nel termine
fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore. Il
patto è nullo sia che la costituzione del pegno o dell'ipoteca sia stata fatta
anteriormente o posteriormente. Tale previsione non permette al creditore di
ottenere il possesso del bene se non successivamente ad una sentenza di
espropriazione del bene oggetto di pegno o ipoteca. Viene assicurato che il
bene del debitore venga valutato in maniera corretta cosicché con la
rimanenza della liquidazione del bene possano essere soddisfatti anche i
creditore chirografari. È poi possibile anche che le parti convengano ad
accordarsi ad un diverso oggetto rispetto l'obbligazione originaria ma
comunque di interesse del creditore aprendosi così la dazione in pagamento.
Un'applicazione del divieto del patto commissorio è operata dalla legge in
tema di anticresi. Ma sono varie le ipotesi in cui si spinge ad aggirare tale
previsione con la costituzione di negozi o contratti che la giurisprudenza ha
dichiarato nulli per illiceità della causa concreta. Risulta invece essere valido il
cosiddetto patto marciano in virtù del quale il bene oggetto di pegno o ipoteca
dato in garanzia, può essere acquistato dal creditore che è tenuto al
pagamento della somma del bene valutato da un terzo.
L'azione esecutiva del creditore.

Se il debitore non esegue esattamente la prestazione da adempire il creditore ha


diritto alla realizzazione coattiva del debito. Si produce così il soddisfacimento del
creditore senza l'attuazione del contenuto dell'obbligo. Il creditore consegue il bene
oggetto della obbligazione in maniera coattiva ossia attraverso l'uso della forza da
parte dell'ordinamento nei confronti dell'debitore inadempiente. Il creditore ha
diritto a conseguire coattivamente anche il risarcimento del danno relativo
conseguente alla sanzione per l'inadempimento.

A seguito dell'accertamento di responsabilità per l'inadempimento e la conseguente


liquidazione del danno in virtù di una sentenza di condanna che costituisce il titolo
esecutivo si dà luogo ad una attività giudiziaria con funzione esecutiva. In tal modo
la responsabilità patrimoniale del debitore si risolve con l'aggressione dei beni
sottoposti ad esecuzione da parte del creditore. La procedura esecutiva può essere
di due tipi: in forma specifica o per espropriazione.

 Con l'esecuzione forzata in forma specifica il creditore consegue l'oggetto


originario della obbligazione realizzando coattivamente il suo diritto. I singoli
modi sono poi regolati dal codice di procedura civile a seconda del contenuto
della obbligazione (dare, fare, consegnare)
 Con l'esecuzione forzata per espropriazione si fa riferimento ad ottenere il
bene oggetto della obbligazione in una somma di denaro se tale bene non
risulta essere più possibile da ottenere o se comunque non rappresenti più
interesse nel creditore ad ottenerlo. Vediamo che in tutte le ipotesi il
creditore ha comunque intenzione a conseguire una somma di danaro poiché
quest'ultimo rappresenta il normale parametro di valutazione e realizzazione
degli interessi di natura economica. L'espropriazione forzata quindi mira ad
ottenere un determinata somma di danaro dal patrimonio del debitore o dai
singoli beni.

Espropriazione forzata.
Di regola con una sola sentenza viene accertato l'inadempimento del debitore ed
emessa così la condanna del debitore al pagamento di una somma di danaro al
creditore in sostituzione dell'obbligazione originaria inadempiuta con l'aggiunta dei
relativi danni. La sentenza diviene quindi il titolo esecutivo che consente al creditore
di promuovere l'azione esecutiva di espropriazione forzata dei beni del debitore. Il
procedimento è regolato dall'art. 483 del codice di procedura civile. Tale
procedimento prende forma inizialmente con il pignoramento del bene. Tale
pignoramento interessa frutti del bene, pertinenze ed accessori. Tuttavia non tutti i
beni sono soggetti a pignoramento. Ne sono esclusi quelli destinati al culto, alla
sfera esistenziale del soggetto e gli strumenti professionali. Quando il valore dei beni
pignorati è superiore al valore del credito il giudice può disporre una riduzione del
pignoramento. Se l'esecuzione non perviene ad esaurimento perché il debitore ad
esempio ha pagato il suo debito, gli atti di alienazione dei beni pignorati rimangono
efficaci nei confronti dei terzi. In ogni caso sono salvi gli effetti del possesso di buona
fede da parte del terzo per i beni mobili non registrati mentre per i beni immobili e
mobili registrati è decisiva la trascrizione del pignoramento. L'atto di pignoramento
va trascritto nei registri immobiliari. La trascrizione ha effetto per 20 anni, l'effetto
cessa ipso jure se la trascrizione non viene rinnovata prima della scadenza del
termine. Successiva al pignoramento è la vendita forzata del bene per conseguire
una successiva liquidità che andrà a soddisfare per legge prima i creditori che
vantano una causa legittima di prelazione e successivamente i creditori chirografari
secondo la regola della par conditio.

Fallimento ed altre procedure.


Forme particolari di soddisfacimento dei crediti operano nei confronti delle imprese
commerciali. In tale categoria non rientrano gli enti pubblici e i piccoli imprenditori.
La disciplina del fallimento è molto articolata. L'imprenditore che si trova in uno
stato di insolvenza è dichiarato fallito dal creditore, dai creditori o dal pubblico
ministero. Il suo stato di insolvenza legato all'inadempimento non permette al
debitore di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Il fallimento è dichiarato
dal tribunale ove l'imprenditore ha la sede principale dell'impresa. La sentenza
dichiarativa di fallimento, che tra l'altro nomina il giudice delegato alla procedura e il
curatore, ordina al fallito di depositare i registi contabili e dei bilanci nonché di tutti i
creditori. La sentenza priva il fallito della amministrazione e disponibilità dei suoi
beni con esclusione dei beni strettamente personali. Gli atti compiuti dal fallito e i
pagamenti effettuati dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci nei riguardi
dei creditori. La sentenza produce i suoi effetti dalla data di pubblicazione.

Funzione essenziale è la ricostruzione e la liquidazione. Fondamentale poi risulta


l'azione revocatoria di fallimento, infatti laddove il debitore insolvente abbia posto
in essere, prima di essere dichiarato fallito, atti di disposizione che hanno inciso sul
suo patrimonio depauperandolo, tali atti possono essere privati di effetto attraverso
l'azione revocatoria fallimentare. L'azione revocatoria è dunque lo strumento posto
a vantaggio del curatore fallimentare allo scopo di restituire il patrimonio del fallito
destinato alla soddisfazione dei suoi creditori facendo rientrare quanto era uscito
nel periodo antecedente al fallimento. La distribuzione delle somme ricavate dalla
liquidazione andranno ad estinguere prima i crediti dei soggetti che vantano cause
legittime di prelazione e successivamente i creditori chirografari. Con la chiusura del
fallimento gli effetti del fallimento sul patrimonio del fallito decadono così come
anche gli organi preposti al fallimento. I creditori possono ancora far valere i crediti
rimasti nei confronti del debitore a meno che non ricorra alla esdebitazione con la
quale il creditore viene liberato dai crediti residui.
La procedura può chiudersi anche con concordato fallimentare. Tale proposta può
essere presentata da uno o più creditori o dal terzo. Si ha l'estinzione
dell'obbligazione del debitore fallito ma il credito rimane comunque pienamente
vivo nei confronti dei coobbligatori, fideiussori del fallito e gli obbligati in via di
regresso.

La riforma del 2006 ha avuto come scopo primario quello di salvataggio dell’impresa
in crisi e di riabilitazione del fallito per la ricchezza che è ancora suscettibile di
produrre in favore dei creditori e dell’economia in genere e per i posti di lavoro che
è ancora in grado di assicurare.
b) una particolare forma di procedura collettiva è la liquidazione coatta
amministrativa, per particolari tipi di impresa. In ragione della natura degli interessi
coinvolti la procedura, diversa dal fallimento, opera, non solo in ipotesi di crisi
economica, ma anche per irregolarità di gestione.
c) L’imprenditore che si trova in stato di insolvenza, fino alla data di dichiarazione di
fallimento, ricorrendo determinati presupposti, può proporre ai creditori un
concordato preventivo. Se il tribunale riconosce ammissibile la proposta, delega un
giudice alla procedura e nomina il commissario giudiziale che vigila
sull’amministrazione dei beni da parte del debitore durante la procedura.

Mezzi di conservazione delle garanzie patrimoniali.


Si è visto come la garanzia generica faccia riferimento alla totalità del patrimonio del
debitore. Affinché il creditore consegua, anche coattivamente, l'oggetto della
obbligazione è necessario che il debitore mantenghi integro il patrimonio laddove
non esistono delle garanzie specifiche. Le azioni che non consentono al debitore di
diminuire appositamente il patrimonio sono l'azione surrogatoria, l'azione
revocatoria e il sequestro conservativo.
Azione surrogatoria.

Tale azione si rivolge verso il debitore inerte nella cura del patrimonio. Il debitore
carico di debiti potrebbe non trovare più interessi nel riscuotere i crediti di terzi
poiché è consapevole che eventuali accrescimenti del patrimonio, ma anche la
stessa conservazione, sarebbero solo di vantaggio al creditore. In tal modo il
creditore per evitare che il patrimonio vada a deperirsi e per assicurare le eventuali
garanzie sul patrimonio del debitore, si sostituisce ad esso per conseguire i debiti
verso i terzi. Affinché si realizzi la procedura dell'azione surrogatoria è necessario:

 L'inerzia del debitore nel conseguire i crediti verso i terzi costituendo un


pregiudizio verso il creditore
 Il creditore che si sostituisce al debitore può esercitare nei confronti di terzi
solo azioni e diritti di contenuto patrimoniale e non azioni e diritti che per loro
natura debbano essere esercitati esclusivamente dal debitore.
 Deve sussistere un pregiudizio che susciti nel creditore pericolo per il
deperimento del patrimonio del debitore.

Il risultato dell'azione surrogatoria avvantaggia tutti i creditori e non solo quello che
abbia agito.

Azione revocatoria.

Tale azione si rivolge verso il debitore malizioso che depaupera il patrimonio. È una
pratica molto diffusa che il debitore tenda a sottrarre intenzionalmente beni al suo
patrimonio per evitare l'aggressione dei creditori simulando una alienazione o
compiendo effettivamente una alienazione di singoli beni a terzi pur di ricavarne
qualcosa. L'azione revocatoria quindi a differenza dell'azione surrogatoria interessa
un soggetto attivo che appunto intenzionalmente vuole ridurre il suo patrimonio.
L'azione revocatoria è un atto che impedisce tale pratica. Non è necessario che il
credito sia attuale e liquido ma è sufficiente che esista. Per realizzarsi l'azione
revocatoria deve avere due presupposti ossia un presupposto oggettivo e
soggettivo.

 Presupposto oggettivo deve esistere innanzitutto un atto di disposizione del


debitore che rechi pregiudizio alla garanzia patrimoniale del creditore. Tale
atto può essere un negozio traslativo come per esempio vendita, donazione,
ecc. La costituzione di un diritto reale di godimento a favore di terzi ossia la
costituzione di un diritto di usufrutto, la costituzione di garanzie come pegno
o ipoteca. È considerato pregiudizievole anche qualsiasi atto che miri alla
riduzione del valore economico del patrimonio come per esempio locazione di
un immobile, fideiussione, costituzione di servitù, ecc. Il debitore deve
mantenere l'originario stato di fruttuosità del patrimonio.
 Presupposto soggettivo. Rileva sia lo stato soggettivo del debitore sia lo stato
soggettivo del terzo. Quanto al debitore il tratto minimo è la consapevolezza
del pregiudizio che l'atto dispositivo arreca alle ragioni del creditore
diminuendo la garanzia patrimoniale. Tale atto è sufficiente se successivo alla
nascita del debito. Se invece l'atto dispositivo è precedente al sorgere del
credito è richiesta la dolosa preordinazione dell'atto dispositivo al fine di
pregiudicare il soddisfacimento del creditore. Quanto al terzo risulta
determinante la natura dell'atto dispositivo. Per gli atti a titolo oneroso è
sufficiente che il terzo conoscesse il pregiudizio che l'atto dispositivo arrecava
alle ragioni del creditore, avesse cioè consapevolezza del danno causabile al
creditore. Se però l'atto dispositivo è anteriore al sorgere del credito il terzo
deve essere partecipe della dolosa preordinazione. Per gli atti a titolo gratuito
è irrilevante lo stato soggettivo del terzo. Ma non sempre riesce la nitida
distinzione tra onerosità e gratuità.

L'azione revocatoria si prescrive in 5 anni dalla data dell'atto dispositivo. Il profilo più
delicato è il regime della prova dei presupposti soggettivi. Principio generale è che la
buona fede è presunta al momento dell'acquisto. Quindi al creditore che agisce in
revocatoria incombe l'onere di provare non solo i presupposti oggettivi ma anche lo
stato soggettivo del terzo e del debitore.

Effetti dell'azione revocatoria.


Proprio in quanto l'atto dispositivo revocato è valido consegue che anche dopo la
revoca il bene alienato rimane nel patrimonio del terzo e non del debitore. L'azione
revocatoria determina l'inefficacia dell'atto dispositivo nei confronti del creditore
che agisce in revocatoria al fine di consentirgli di esercitare sull'oggetto che
costituisce l'obbligazione la tutela coattiva. Ottenuta la revoca il creditore può agire
nei confronti del debitore o di ulteriori subaquirenti con azioni esecutive e
conservative dei beni oggetti dell'atto impugnato. Eseguita la espropriazione con la
conversione in danaro dei beni alienati, dopo la soddisfazione del creditore sul
ricavato, tutto quanto residua dalla liquidazione fa parte del patrimonio del terzo
che ha acquistato beni oggetto di revocatoria. Il terzo che ha ragioni di credito nei
confronti del debitore non può concorrere sul ricavato dei beni oggetto di revoca se
non dopo che viene soddisfatto prima il creditore. Il terzo può comunque avanzare
una azione di risarcimento dei danni nei confronti del debitore alienante se non è
riuscito a soddisfarsi sul residuo dell'espropriazione rimasta in suo favore. Il
creditore presenta anche una tutela verso i subacquirenti. Infatti la revoca dell'atto
dispositivo non pregiudica i diritti acquistati da terzi in buona fede salvi gli effetti
della trascrizione della domanda di revocazione. La sentenza della domanda di
revoca è sempre opponibile al terzo che ha acquistato il bene a titolo gratuito e al
terzo che ha acquistato il bene a titolo oneroso solo se risulti essere a conoscenza
del pregiudizio arrecato dall'atto dispositivo verso il creditore. Con riguardo agli atti
dispositivi dei beni immobili, strumento essenziale di risoluzione dei conflitti tra
terzo e creditore è la pubblicità. La sentenza che accoglie la domanda di revoca non
pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso da terzi in buona fede.

Sequestro conservativo.

Tale istituto viene applicato quando sussista un pericolo oggettivo di


depauperamento del patrimonio del debitore. Il dato oggettivo è il pericolo da parte
del creditore di perdere completamente la garanzia patrimoniale. Il creditore così
può far richiesta di sequestro conservativo del patrimonio del debitore. Esso può
rivolgere tale richiesta anche al terzo per evitare una ulteriore alienazione del bene.

Il giudice su istanza del creditore che ha fondato timore di perdere la garanzia del
proprio credito, può autorizzare il sequestro di un immobile, mobile o somme di
denaro del debitore nei limiti in cui la legge permette il pignoramento. Affinché si
realizzi il sequestro conservativo devono concorrere due presupposti.

 Innanzitutto deve esistere una ragionevole fondatezza del diritto vantato dal
creditore per evitare abusi sia sul debitore sia sul patrimonio di quest'ultimo.
 Deve sussistere un timore fondato di perdere la garanzia patrimoniale del
debitore ricavabile dal comportamento di quest'ultimo volto al deperimento
totale del patrimonio.

Come abbiamo visto possono formare oggetto di sequestro beni mobili, immobili,
somme di denaro, partecipazioni sociali ecc. Il sequestro sugli immobili si esegue con
la trascrizione del provvedimento nei registri immobiliari del luogo in cui sono
situati. Analogamente per i beni mobili registrati si prevede la trascrizione del
provvedimento su appositi registi. Con il sequestro si realizza un vincolo di
indisponibilità del bene per il debitore. Il debitore è privato della disponibilità
materia della cosa che è affidata ad un curatore, potrebbe essere lo stesso debitore.
Il provvedimento di sequestro conservativo di beni immobili va trascritto sui registri
immobiliari ed ha effetto per 20 anni. L'effetto cessa ipso jure se la trascrizione non
è rinnovata prima che scada il suddetto termine.

Meccanismi indiretti di presidio della garanzia.


L'esecuzione coattiva del diritto di credito sul patrimonio del debitore è di lunga
durata oltre che essere dispendiosa. Esistono così alcuni metodi tali da garantire la
garanzia patrimoniale con minori spese. Si tratta della cessione dei beni al creditore,
anticresi, e rimedi di autotutela.

Cessione dei beni ai creditori.


La cessione dei beni ai creditori è un contratto con cui il debitore cede parte dei suoi
beni o tutti i beni a un creditore o a più creditori con l'intento di far liquidare tali
beni dagli stessi creditori per far conseguire loro il credito vantato è così estinguere
l'obbligazione. Nonostante si parli di cessione di beni non si ha il trasferimento di
diritti ai cessionari in quanto la proprietà e la titolarità rimangono in capo al
debitore. Il contratto richiede forma scritta pena di nullità ed è soggetto a
trascrizione se interessa beni immobili. Con la cessione dei beni il debitore è legato
ad un vincolo di indisponibilità verso questi ultimi che si traduce anche in un divieto
di alienazione a terzi. I creditori cessionari sono autorizzati a liquidare i beni ceduti
convertendoli in danaro per soddisfare i propri interessi. Essi assumono sui beni
ceduti del debitore l'amministrazione, la tutela giudiziaria, il potere di alienazione e
il riparto del ricavato delle alienazioni. In sostanza i cessionari dispongono è
amministrano i beni nell'interesse del debitore. I creditori sono soddisfatti in
proporzione dei loro crediti salve cause legittime di prelazione. Non avendo il
debitore perduto la titolarità dei propri diritti ciò che residua dalla liquidazione
spetta al debitore. Salvo patto contrario il debitore è libero dall'obbligazione quando
tutti i suoi creditori sono stati soddisfatti.

Il debitore ha diritto di controllare la gestione dei bei ceduti da parte dei creditori e
di ottenere un rendiconto alla fine della liquidazione o alla fine di ogni anno se la
gestione dura più di un anno. Inoltre può recedere sempre il contratto offrendo il
pagamento del capitale e degli interessi e rimborsando ai creditori le spese di
gestione. I creditori a loro volta hanno diritto a chiedere l'annullamento del
contratto se il debitore, dichiarando di cedere tutti i suoi beni, ha occultato una
parte consistente degli stessi.
Anticresi.
L'anticresi è il contratto con cui il debitore o un terzo si obbliga verso un creditore a
consegnare un immobile al creditore a garanzia del credito, affinché il creditore ne
percepisca i frutti imputandoli agli interessi, se dovuti e quindi al capitale. È un
contratto legato essenzialmente ad una economia agricola attraverso cui il creditore
viene soddisfatto del proprio interesse attraverso i frutti procurati dall'immobile.
Perciò oggi è di rara applicazione. Il creditore anticretico ha l'obbligo di conservare,
coltivare e amministrare il fondo da buon padre di famiglia. L'anticresi dura finché il
creditore sia stato completamente soddisfatto del suo credito, in ogni caso non può
perdurare più di 10 anni. Se il bene costituito in anticresi è espropriato da altri
creditori, il creditore anticretico non è preferito agli altri ma concorre con gli essi
secondo la par conditio. Il contratto deve essere stipulato in forma scritta, pena
annullamento ed essere soggetto a trascrizione. Il contratto di anticresi si presta
molto spesso ad aggirare il divieto del patto commissorio laddove si consegna
l'immobile, al termine della scadenza dei pagamenti se il debitore non ha adempiuto
alla obbligazione, al creditore che ne ottiene il possesso. L'ordinamento come
abbiamo già visto vieta il patto commissorio dichiarandone la nullità di qualunque
patto anche posteriore al contratto che comporta l'acquisto dell'immobile da parte
del creditore nei casi in cui il debitore non adempi all'obbligazione. Con l'anticresi si
estingue l'obbligazione con il pagamento prima degli interessi e poi dell'intero
capitale.

Rimedi di autotutela.

Al fine di agevolare la realizzazione del credito, la legge appresta specifici rimedi di


autotutela spettanti al creditore, salva la successiva verifica giudiziaria del corretto
esercizio degli stessi. Sono rimedi che permettono indirettamente la garanzia del
credito, attraverso un’iniziativa del creditore che evita o riduce il danno
conseguente all’inadempimento.
Generali rimedi di autotutela del creditore:

 a) diritto di ritenzione: è accordato al creditore di non consegnare la cosa


dovuta al proprietario o altro avente diritto finché questi non esegua la
prestazione dovuta.
 b) decadenza del debitore dal termine: art. 1186, il creditore può esigere
immediatamente la prestazione se il debitore è divenuto insolvente o ha
diminuito, per fatto proprio, le garanzia che aveva dato o non ha dato le
garanzia che aveva promesso.
 c) Sospensione dell’adempimento per mutamento delle condizioni
patrimoniali del debitore. Art. 1461, ciascun contraente può sospendere
l’esecuzione della prestazione da lui dovuta, se le condizioni patrimoniali
dell’altro sono divenute tali da porre in evidente pericolo il conseguimento
della controprestazione, salvo che sia prestata idonea garanzia.
 d) Opposizione al pagamento del debitore a un terzo per alcune ipotesi. Il
pagamento eseguito dal debitore non ha effetto se rechi pregiudizio al
creditore opponente.

29
Cause legittime di prelazione.
Si è visto che nei casi in cui concorrono più creditori sul medesimo patrimonio del
creditore, tutti i creditori devono essere soddisfatti in maniera paritaria secondo il
principio della par conditio creditorum. Quando il patrimonio risulta insufficiente per
soddisfare tutti i creditori questi devono essere soddisfatti in maniera proporzionale.
È molto diffusa l'ipotesi in cui sul medesimo patrimonio oltre che rivalersi i normali
creditori vi siano alcuni che presentino su determinati beni cause legittime di
prelazione. Si tratta quindi di garanzie specifiche che portano a soddisfare prima i
creditori che presentano tali caratteristiche e poi i creditori con garanzie generiche
detti anche creditori chirografari. Quando i beni su cui vertono cause legittime di
prelazione non risultino essere sufficienti a soddisfare interamente il creditore,
questo può rivalersi sul patrimonio del debitore per soddisfare il credito residuo
insieme ai creditori chirografari in modo proporzionale.

Alcune regole si applicano a tutte le cause legittime di prelazione:

 regola della tipicità delle cause di prelazione. Per l’art. 2741 sono cause
legittime di prelazione i privilegi, il pegno e le ipoteche. Pegno e ipoteca sono
garanzie reali per inerire ad uno specifico bene; diversamente operano i
privilegi.
 surrogazione dell’indennità della cosa: se la cosa soggetta a garanzia perisce o
si deteriora e la stessa risulta assicurata, il creditore può soddisfarsi sulla
corrispondente indennità pagata dall’assicuratore. Art. 2742. La surrogazione
reale realizza una vicenda modificativa oggettiva dell’obbligazione
 decadenza del debitore dal termine: anche se il termine è fissato a favore del
debitore, il creditore può esigere immediatamente la prestazione e il debitore
è divenuto insolvente o ha diminuito, per fatto proprio, le garanzie che aveva
dato o non ha dato le garanzie che aveva promesso.

Privilegi.

Il privilegio è una causa di prelazione accordata dalla legge al creditore in


considerazione della particolare natura del credito. Abbiamo già visto che tutti i
creditori devono essere soddisfatti in eguale misura dal patrimonio del debitore
inadempiente. In certi casi, però, vi sono dei crediti di rilevanza maggiore rispetto ad
altri, rilevanza non economica, ma sociale o giuridica. Quando accade ciò il
legislatore ha deciso che questi creditori debbano essere favoriti rispetto gli altri in
caso di esecuzione sul patrimonio del debitore.
Da questa speciale considerazione nascono, appunto, i privilegi che sono
caratteristiche particolari del credito accordate esclusivamente dalla legge in
relazione alla particolare causa dello stesso. Si tratta di situazioni eccezionali che
trovano fondamento nella legge e che, di solito, sorgono in maniera automatica
senza che vi sia una specifica convenzione fra le parti. In certi casi, però, le parti
possono far nascere convenzionalmente un privilegio; ciò non vuol dire che possano
esistere privilegi di natura convenzionale, ma significa semplicemente che un
privilegio previsto dalla legge può essere subordinato alla convenzione delle parti.
Normalmente il privilegio non prevede particolari forme di pubblicità come invece
accade per l'ipoteca, in certi casi, tuttavia, la legge prevede particolari forme di
pubblicità per render nota l'esistenza del privilegio.

I privilegi si distinguono in privilegi generali e privilegi speciali.

 Il privilegio generale si estende su tutti i beni mobili del debitore e non è


opponibile a terzi, se cioè il debitore aliena i beni mobili il creditore non potrà
agire per riaverli.
 Il privilegio speciale si estende solo su particolari beni mobili o immobili.
Quest'ultimo è riconosciuto a causa di un determinato rapporto che esiste tra
il credito e il bene oggetto del privilegio; pensiamo all'ipotesi prevista
dall'articolo 2756 del codice civile: se sono stati erogati dei crediti per spese o
miglioramento di alcuni beni mobili, questi crediti sono garantiti da privilegio
mobiliare speciale sui beni che sono stati oggetto delle spese o del
miglioramento. Se la legge non dispone diversamente, i privilegi speciali
hanno diritto di seguito; ciò vuol dire che anche in caso di alienazione dei beni
oggetto del privilegio il creditore potrà esercitare il privilegio anche nei
confronti dei terzi acquirenti;
Parlando delle cause legittime di prelazione abbiamo sottolineato il fatto che il
creditore che ne gode è preferito rispetto gli altri creditori in caso di esecuzione sul
patrimonio del debitore; specifichiamo adesso che questa preferenza è accordata
soprattutto sui creditori chirografari che sono quelli non garantiti; rispetto a questi
creditori è quindi facile stabilire chi dovrà essere preferito.
Ma che cosa accade se vi sono più creditori privilegiati oppure se vi sono più
creditori che vantano diverse cause di prelazione sui beni del debitore?

credito con privilegio speciale immobiliare ----> prevale sul credito garantito da
ipoteca

credito con privilegio speciale mobiliare <---- non prevale sul credito garantito da
pegno

I casi riportati in tabella sono quelli previsti dall'articolo 2748 del codice civile e sono
validi in via generale, nel senso che possono essere derogati da speciali disposizioni
di legge che dispongano diversamente.
Se poi concorrono più creditori tutti egualmente privilegiati, l'articolo 2782 del
codice civile stabilisce che questi saranno soddisfatti in proporzione dell'importo del
loro credito.

Pegno e ipoteca, garanzie reali.

In genere, la garanzia del creditore è rappresentata dal patrimonio del debitore, ma


questo è solo una garanzia generica del credito: al creditore non è data la certezza di
potersi soddisfare, in caso di inadempimento, su un dato bene del debitore.
Una garanzia specifica (che dia al creditore la certezza di potersi soddisfare su un
dato bene) è invece rappresentata dalla costituzione del pegno o dell’ipoteca.

Pegno e ipoteca sono garanzie reali parziarie. Tradizionalmente li si definisce come


diritti reali di garanzia su cosa altrui: il bene resta di proprietà di chi, debitore o
terzo, lo ha dato in pegno o in ipoteca, e può essere dal proprietario liberamente
alienato. Ma il creditore acquista sul bene un duplice diritto:

1) il diritto di procedere ad esecuzione forzata sul bene anche nei


confronti del terzo acquirente (“diritto di sequela” del pegno o
dell’ipoteca);
2) il diritto di soddisfarsi sul prezzo ricavato dalla vendita forzata del bene
con preferenza rispetto agli altri creditori del medesimo debitore
(“diritto di prelazione”).
Sul creditore pignoratizio o ipotecario incombe un onere: non può sottoporre ad
esecuzione forzata altri beni del debitore se non sottopone prima ad esecuzione i
beni gravati da pegno o da ipoteca (art. 2911).

Pegno.
Il pegno è un diritto reale di garanzia su beni mobili costituito dal debitore o dal
terzo a garanzia dell'obbligazione.
Oggetto del pegno sono beni mobili, universalità di beni mobili, crediti e altri diritti
aventi ad oggetto beni mobili. Il pegno è indivisibile e garantisce il credito finché
questo non sia stato completamente soddisfatto anche se il debito o la cosa data in
pegno sia divisibile.
Il pegno viene costituito mediante spossamento, colui che costituisce il pegno deve
consegnare la cosa o il documento che costituisce l'esclusiva disponibilità della cosa
o del diritto al creditore. Si tratta di un contratto reale che si perfeziona con la
consegna della cosa o del documento. La cosa o il documento possono essere
consegnati anche al terzo destinato dalle parti a riceverla in custodia in modo che sia
negata a colui che ha costituito il pegno la disponibilità senza cooperazione del
creditore. I terzi che acquistano dal debitore diritti su un bene mobile non registrato
non in suo possesso non possono invocarne la tutela. In modo analogo gli altri
creditori non possono fare affidamento alla espropriazione su un bene che non è nel
possesso.
Nel pegno di crediti la prelazione ha luogo solo quando il pegno risulta da atto
scritto che sia stato notificato al debitore e accettata la notificazione con scrittura
avente data certa. Per pegni di diritti diversi da crediti si ha il trasferimento di singoli
diritti.

Il pegno costituisce un vincolo di destinazione sul bene finalizzato alla garanzia del
credito. Sul bene pignorato quindi si avrà un diritto reale di garanzia che attribuisce
un diritto di prelazione assistito da un diritto di seguito. Il creditore ha diritto di farsi
pagare in prelazione sulla cosa ricevuta in pegno. La prelazione non si può far valere
se la cosa non è rimasta in possesso del creditore o presso il terzo designato. Il
creditore non acquista la proprietà del bene ricevuto in pegno che rimane dunque al
debitore. Egli nei confronti del bene pignorato ha un dovere di gestione e
conservazione del bene in vista della restituzione del bene in seguito
all'adempimento del debitore. Il creditore senza il consenso del costituente non può
usare la cosa data in pegno con un fine diverso dalla conservazione. In tal modo non
può darla ad altri in pegno ne concederne il godimento ad altri. Se il debitore rimane
inadempiente, il creditore può far vendere la cosa data in pegno. Prima della vendita
deve però intimare il debitore al pagamento del debito e gli accessori, in mancanza
si procederà alla vendita. Quando il credito garantito eccede la somma di euro 2,58
la prelazione non può essere esercitata se il pegno non ha forma scritta.

Il creditore è tenuto a restituire il pegno solo dopo che siano stati interamente
pagati il capitale, gli interessi e il rimborso per le spese relative al debito e al pegno.
Se però il debitore ha nei confronti del creditore un debito ulteriore sorto dopo la
costituzione del pegno e ormai scaduto, il creditore ha diritto alla ritenzione a
garanzia del nuovo credito.

Pegni atipici.

Nella esperienza generale sono diffuse pratiche in deroga ai principi generali delle
garanzie reali.

 Il pegno omnibus è una figura utilizzata nella prassi bancaria. Si tratta di una
clausola con cui la banca estende la garanzia su tutti i beni di pertinenza del
cliente a garanzia di un suo credito presente o futuro.
 Con il pegno rotativo le parti provvedono a sostituire i beni originarimante
costituiti in garanzia con altri beni.
 Con il pegno irregolare il debitore consegna al creditore cose fungibili (danaro,
o titoli) che il creditore acquista in proprietà e che il creditore è tenuto a
restituire nello stesso genere e nella stessa quantità successivamente alla
estinzione del rapporto obbligatorio. Il pegno irregolare, comportando il
trasferimento della proprietà al creditore pignoratizio, rappresenta una
eccezione rispetto alla tipica funzione di garanzia del pegno, perciò, per la
giurisprudenza, il trasferimento della proprietà deve essere previsto dalla
legge. Diversamente deve essere qualificato come pegno regolare.

Ipoteca.

L'ipoteca è una garanzia reale costituita dal debitore o dal terzo su beni mobili o
immobili a garanzia dell'obbligazione mediante la iscrizione nei registri di pubblicità.
Ha la funzione di prelazione sul ricavato della vendita del bene espropriato.
Sono oggetto di ipoteca pertinenze, usufrutti, superfici, diritto dell'enfiteuta, rendite
dello stato, beni mobili registrati. Il diritto di servitú è escluso dai beni oggetto di
ipoteca in quanto non suscettibile di atto di disposizione e dunque di espropriazione.
Sono esclusi da ipoteca anche i diritti di uso e di abitazione per specifici bisogni del
titolare e della sua famiglia. In presenza di pericolo di danno a causa di atti compiuti
da terzo o debitore, per perimento o deterioramento, sui beni su cui insiste ipoteca,
il creditore può domandare all'autorità giudiziaria la cessazione degli atti.

L'ipoteca viene costituita mediante l'iscrizione nei registri immobiliari se si tratta di


beni immobili, se si tratta di beni mobili invece con l'iscrizione in appositi registri.
L'ipoteca deve essere iscritta per beni specialmente indicati e per una somma
determinata in danaro. C'è dunque necessità di esatta identificazione dell'immobile
o dei singoli immobili ipotecati e dell'esatta determinazione dell'ammontare del
credito. Omissioni o inesattezze nel titolo che inducano incertezza sulla persona del
creditore o del debitore sull'ammontare del credito comportano l'invalidità della
iscrizione.

L'ipoteca come anche il pegno rappresenta un diritto reale di garanzia finalizzato al


l'attuazione del diritto di prelazione. In particolare l'ipoteca consente al creditore il
diritto di espropriare i beni vincolati da ipoteca e di essere soddisfatto con
preferenza sul prezzo ricavato dalla espropriazione. Il bene ipotecato rimane
comunque nella proprietà e nel possesso del debitore e può dunque alienarlo a terzi
sebbene il vincolo ipotecario non lo rende appetibile sul mercato. All'ipoteca poi si
accompagna il diritto di seguito per cui il creditore può far valere la espropriazione
anche nei confronti del terzo acquirente.

È possibile che su un medesimo bene siano costituite più ipoteche. Per stabilire
quindi quale creditore debba essere preferito rispetto ad un altro bisognerà
verificare il grado della sua ipoteca. Sarà preferito in tal modo il creditore che avrà
per primo iscritto la sua ipoteca rispetto al creditore che abbia iscritto la sua ipoteca
in un momento secondario. Questa preferenza si esprime nel fatto che il primo
creditore avrà diritto ad essere soddisfatto per l'intero suo credito sul bene
ipotecato, ma se vi sarà un residuo della somma ricavata in seguito
all'espropriazione, questa spetterà al secondo creditore e se, dopo la soddisfazione
di quest'ultimo creditore, vi sarà ancora una somma di danaro disponibile questa
spetterà al terzo e così via.

Regole fondamentali sono dettate a favore del terzo acquirente. Al terzo acquirente
del bene ipotecato, che ha trascritto il suo titolo di acquisto, sono accordati tre
fondamentali diritti.

 Innanzitutto ha diritto ad evitare la espropriazione dei beni ipotecati pagando


integralmente i creditori ipotecari; rilasciare i beni ipotecati ai creditori
ipotecari; liberare l'immobile da ipoteca (purgazione dell'ipoteca)
 Ha inoltre diritto di far separare dal prezzo della vendita la parte
corrispondente ai miglioramenti eseguiti dopo la trascrizione dell'acquisto.
 Infine, se ha pagato i creditori iscritti o ha rilasciato l'immobile ipotecato ai
creditori o ha sofferto l'espropriazione, ha ragione di indennità verso il
debitore, anche se si tratta di acquisto a titolo gratuito. In dipendenza di ciò
ha pure diritto di subingresso nelle ipoteche dei creditori soddisfatti sugli altri
beni del debitore. Nei confronti del terzo acquirente l'ipoteca si estingue per
prescrizione con il decorso di venti anni dalla data di trascrizione dell'acquisto
del terzo, salvo cause di sospensione o interruzione.

Titolo dell'ipoteca.

Il titolo costituisce la fonte dell’ipoteca e ne consente la costituzione. Possiamo


distinguere 3 tipi di ipoteca: legale, giudiziaria e volontaria.

 Per quanto riguarda l'ipoteca legale il titolo dell'ipoteca è nella legge che
prevede a favore di alcuni soggetti il diritto alla iscrizione ipotecaria. Hanno
diritto all'iscrizione della ipoteca legale: 1. l'alienante sopra gli immobili
alienati per l'adempimento degli obblighi che derivano dall'atto di alienazione;
2. i coeredi, soci e altri condividenti per il pagamento dei conguagli di beni
immobili assegnati ad altri condividenti; 3. lo Stato sopra i beni dell'imputato
o del civilmente responsabile per il pagamento delle spese processuali.
L'ipoteca dell'alienante e quella condividente sono disciplinate dal codice
civile, l'ipoteca dello stato è regolata dal codice penale e di procedura penale.
Tale ipoteca è costituita con l'iscrizione nei registri di pubblicità.
 L'ipoteca giudiziale deriva dalla sentenza di condanna al pagamento di una
somma di denaro o per l'adempimento di altra obbligazione ovvero al
risarcimento del danno da liquidarsi successivamente. È sufficiente anche una
sentenza di condanna generica al risarcimento. Il provvedimento giudiziale
contiene la condanna al pagamento. In virtù di tale titolo il creditore ha diritto
ad ottenere la costituzione dell'ipoteca sugli immobili appartenenti al debitore
e su quelli successivi alla condanna. Si può iscrivere una ipoteca in base a
sentenze pronunciate da autorità giudiziarie straniere dopo che ne sia stata
dichiarata l'efficacia dall'autorità guidiziari italiana.
 Ipoteca volontaria. trova la sua fonte nella volontà di una o entrambe le parti;
normalmente è costituita per contratto redatto per atto pubblico, ma è
possibile che sorga, sempre nella stessa forma, per atto unilaterale, ma non
per testamento.

La concessione deve farsi per atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione
autenticata o accertata giudizialmente. L'atto di concessione deve contenere le
informazione dell'immobile ipotecato.
Vicende dell'ipoteca.

L'ipoteca si basa su un sistema di pubblicità in grado di procurare ai terzi la


conoscenza legale della garanzia reale. Assumono rilevanza quindi:

 La costituzione dell’ipoteca (ad opera del debitore o di un terzo) avviene


mediante iscrizione nei registri di pubblicità: trattasi di una pubblicità
costitutiva. Relativamente ai beni immobili, l’ipoteca si “costituisce mediante
iscrizione nei registri immobiliari” (2808); relativamente ai beni mobili
registrati, mediante pubblicità nei registri specifici che li riguardano. Si è già
detto che caratteristiche comuni delle garanzie reali sono la specialità, la
determinatezza e la indivisibilità. L’ipoteca deve essere iscritta su beni
specialmente indicati e per una soma determinata in danaro (2809): c’è
dunque necessità di identificazione dell’immobile o dei singoli immobili
ipotecati e di esatta determinazione dell’ammontare del credito, indicato in
una somma di danaro. L’ipoteca è indivisibile nel senso che sussiste per intero
sopra tutti i beni vincolati, sopra ciascuno di essi e sopra ogni loro parte
(2809). Nell’eventualità di più iscrizioni ipotecarie (in favore di più creditori),
come si è visto, la preferenza tra i creditori è data dalla priorità temporale tra
le varie iscrizioni, che si esprimono attraverso un ordine cronologico delle
iscrizioni medesime, che segna il cd. grado dell’ipoteca. L’iscrizione conserva il
suo effetto per venti anni dalla sua data: l’effetto cessa se l’iscrizione non è
rinnovata prima che scada detto termine (2847).
 Surrogazione: c'è surrogazione nei diritti del creditore a vantaggio di chi,
essendo creditore ancorché chirografario, paga un'altro creditore che ha
diritto di essergli preferito in ragione dei suoi privilegi, del suo pegno o delle
sue ipoteche.
 Disposizione di grado: due creditori di grado immediatamente successivo
possono compiere atti dispositivi del grado, scambiandosi il grado. Lo scambio
non nuoce il creditore di grado ulteriore che comunque ha davanti a se
entrambi i creditori.
 Rinnovazione: Si è visto come l’iscrizione conserva il suo effetto per venti anni
dalla sua data (2847). E’ però consentito evitare la cessazione dell’effetto
dell’iscrizione con la rinnovazione dell’iscrizione prima dello scadere dei venti
anni. La rinnovazione consente di prolungare l'effetto dell'iscrizione fino
all'estinzione del diritto di ipoteca. Se il creditore non rinnova la iscrizione al
termine dei 20 anni, l'effetto originario di iscrizione cessa venendo così meno
gli effetti favorevoli della pubblicità. Il creditore potrà prendere una nuova
iscrizione ma perdendo il suo grado precedente e quindi con varie
conseguenze negative per il creditore, poiché nel ventennio un altro creditore
potrebbe aver preso iscrizione e avendo un grado superiore potrà essere
soddisfatto del credito con preferenza.
 Riduzione: quando la somma per la quale è stata presa l’iscrizione o la
consistenza dei beni gravati è eccessiva rispetto all’importo del credito, è
consentito ottenere una riduzione dell’ipoteca onde non ostacolare
ingiustificatamente l'utilizzazione dei beni.
 Estinzione: le cause dell’estinzione dell’ipoteca sono tassative e sono così
indicate dall’art. 2878 1) la cancellazione dell’iscrizione; 2) la mancata
rinnovazione dell’iscrizione nel termine di venti anni dalla trascrizione; 3)
l’estinzione della obbligazione; 4)il perimento del bene ipotecato; 5) la
rinunzia del creditore all’ipoteca; 6) lo spirare del termine di durata
dell’ipoteca o l’accertamento della condizione risolutiva; 7) la pronunzia di
provvedimento che trasferisce all’acquirente il diritto espropriato e ordina la
cancellazione dell’ipoteca. Se il bene ipotecato è alienato l’ipoteca si estingue
per prescrizione ventennale dalla data di trascrizione del titolo di acquisto
fatte salve cause sospensive o di interruzione.
 Cancellazione: la cancellazione può avvenire per volontà del creditore,
manifestata mediante atto pubblico o per scrittura privata con sottoscrizione
autenticata o accertata giudizialmente. Se il creditore iscritto non consente
alla cancellazione quando è cessata l'efficacia del titolo è tenuto al
risarcimento del danno verso il proprietario del bene ipotecato per gli ostacoli
conseguenti alla circolazione del bene.

Contratti di garanzia finanziaria.

Si intendono i contratti di garanzia reale avente ad oggetto attività finanziarie volte a


garantire l’adempimento di obbligazioni finanziarie. E’ richiesta la forma scritta sia ai
fini della prova che per l’opponibilità a terzi. La normativa introdotta mira a facilitare
la realizzazione del credito, con la previsione di validità dei contratti che
attribuiscono al creditore pignoratizio poteri di escussione della garanzia in via di
autotutela.

30
Estenzione della responsabilità
patrimoniale.
Garanzie legali e volontarie.
Si è visto che la garanzia del credito è rappresentata dal patrimonio del debitore.
Sono frequenti le ipotesi in cui si rafforza la garanzia del credito affiancando alla
garanzia del debitore ulteriori garanzie offerta da soggetti diversi accrescendo così il
patrimonio sul quale il creditore può soddisfarsi. Talvolta è la legge a prevedere che
alcuni soggetti rispondano per le obbligazioni assunte da soggetti giuridici diversi, si
parla a riguardo di garanzia personale. Altre volte la garanzia trova fonte nella
volontà privata. In presenza di un patrimonio modesto, rispetto all'entità del credito,
il creditore è solito chiedere che il debitore procuri garanzie da parte di altri soggetti
in grado di soddisfare il il credito.

A) Garanzie personali.
Generalitá.
È possibile che un soggetto assuma la garanzia personale per l'adempimento delle
obbligazioni altrui. Il terzo in tal modo è tenuto a rispondere illimitatamente per
l'adempimento delle obbligazioni altrui con tutti i suoi beni presenti e futuri. Si parla
in tal modo della fideiussione, il mandato di credito, il contratto autonomo di
garanzia e l'avallo.

Fideiussione.

Sorge di regola da un contratto attraverso cui un terzo si obbliga personalmente con


il creditore garantendo l'adempimento dell'obbligazione da parte del debitore. Con
il contratto di fideiussione un terzo aggiunge la sua responsabilità a quella del
debitore garantendo l'adempimento della obbligazione; in tal modo la posizione del
creditore si rafforza perché avrà, in pratica, due debitori al posto di uno. Da questo
punto di vista la fideiussione è molto simile all'accollo, ma se ne differenzia per la
diversa struttura, perché nell'accollo l'accordo intercorre tra debitore e terzo che si
accolla il debito, mentre nella fideiussione si ha accordo tra terzo, che intende
garantire il credito, e creditore.

Anche dal punto di vista funzionale la fideiussione si differenzia dall'accollo; in


questo caso accade che la garanzia è di regola costituita contemporaneamente al
debito proprio per spingere il creditore a far nascere un rapporto obbligatorio con il
debitore, mentre l'accollo di solito si costituisce dopo la nascita dell'obbligazione.

Vediamo ora la struttura della fideiussione:


 garanzia di carattere personale; il fideiussore garantisce l'adempimento
senza che siano costituiti particolari diritti sui suoi beni come il pegno o
l'ipoteca
 obbligazione accessoria; la fideiussione segue le vicende della obbligazione
principale

Abbiamo detto che la fideiussione fa nascere una obbligazione accessoria rispetto


alla principale; questa caratteristica si riflette in modo determinante sulla sua
disciplina che analizziamo nella sottostante tabella:

 la fideiussione è valida solo se è valida l'obbligazione garantita (art. 1939 c.c.)


 la fideiussione non può eccedere quanto è dovuto dal debitore né essere
prestata a condizioni più onerose (art. 1941 c.c.)
 il fideiussore è obbligato in solido con il debitore, salvo che si pattuisca il
beneficium excussionis (art. 1944 c.c.)
 il fideiussore può opporre al creditore tutte le eccezioni che poteva opporre il
debitore principale (art. 1945 c.c.)
 un fideiussore può a sua volta farsi garantire da un altro fideiussore,
(fideiussore del fideiussore) ma il creditore potrà agire contro di lui solo se
sono insolventi il debitore e tutti i fideiussori principali (art. 1948 c.c.)
 la fideiussione può essere assunta anche da più persone; in tal caso tutti i
fideiussori sono obbligati in solido, salvo che si pattuisca il beneficio della
divisione; in tal caso ogni garante dovrà solo la parte che gli spetta (artt. 1946,
1947 c.c.)
 il fideiussore cha ha pagato ha azione di regresso nei confronti del debitore
principale e nei confronti di eventuali altri fideiussori per la parte rimanente
(artt. 1949 - 1954 c.c. )
 La fideiussione si estingue innanzitutto con la estinzione dell'obbligazione
principale; quando il creditore con il suo comportamento impedisce la
surrogazione del fideiussore nei diritti di prelazione che lo stesso creditore
vantava nei confronti del debitore; quando in ipotesi di fideiussione per un
obbligazione futura il creditore, senza autorizzazione del fideiussore, ha fatto
credito al terzo pur conoscendo che le condizioni patrimoniali di questo erano
divenute tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del
credito

Contratto autonomo di garanzia.


Il contratto autonomo di garanzia è il contratto in base al quale una parte si obbliga,
a titolo di garanzia, ad eseguire immediatamente la prestazione del debitore,
indipendentemente dalla validità, efficacia, esistenza del rapporto di base è senza
sollevare eccezioni, salvo la sola exceptio doli e cioè l'eccezione portata nei confronti
di chi abbia agito con dolo al fine di indurre il garante alla conclusione del negozio. Il
garante deve quindi provvedere immediatamente al pagamento nei confronti del
creditore senza la possibilità di portare contestazioni. Tale contratto di garanzia può
affiancare vari tipi di contratto, appalto, vendita, somministrazione, mutuo, apertura
di credito, ecc., con la funzione di procurare sicurezza circa il soddisfacimento del
credito. Tratto fondamentale del contratto di garanzia è l'assenza dell'elemento di
accessorietà rispetto l'obbligazione garantita per cui il garante non può opporre al
beneficiario creditore le eccezioni inerenti alla obbligazione principale. La
giurisprudenza ha ritenuto che l'inserimento nel contratto di fideiussione di una
clausola che preveda il pagamento a prima richiesta e l'impossibilità per il garante di
apporre eccezioni, sia sufficiente per qualificare il rapporto quale contratto
autonomo di garanzia.

Mandato di credito.
È un contratto con il quale un soggetto, su incarico di un altro soggetto si obbliga a
fare credito a un terzo in nome e per conto proprio. Il soggetto che ha dato l'incarico
risponde come fideiussore di un debito futuro. Chi ha accettato l'incarico non può
rinunciarvi, mentre chi lo ha conferito può revocarlo salvo l'obbligo di risarcire il
danno alla controparte. Se però dopo l'accettazione dell'incarico, le condizioni
patrimoniali di chi ha conferito l'incarico o del terzo diventano tali da rendere
notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito chi ha accettato l'incarico
non può essere costretto ad eseguirlo.

Avallo.
L'avallo è apposto sull'assegno bancario o sulla cambiale. Da luogo ad una tipica
obbligazione cartolare caratterizzata dai requisiti dell'autonomia, dell'astrattezza e
della letteralità. Sia il pagamento della cambiale che dell'assegno bancario possono
essere garantiti con avallo per tutta o parte della somma. Chi rilascia l'avallo è
obbligato nella stessa maniera di colui per il quale l'avallo è stato dato.
Contrariamente alla fideiussione, che rappresenta una garanzia accessoria, l'avallo è
una obbligazione autonoma. Ciò significa che l'avallante è tenuto a pagare anche nel
caso in cui la cambiale sia invalida con eccezione del caso in cui presenti vizi di
forma. Colui che rilascia l'avallo e paga la cambiale o l'assegno, acquista i diritti ad
essa inerenti contro il soggetto garantito e contro coloro che sono obbligati verso
quest'ultimo.
Lettera di patronge.
È diffusa la prassi di rilasciare, da parte di una società capogruppo o controllante,
lettere di patronage o dette anche di gradimento, ad una banca, affinché questa
conceda, mantenga o rinnovi un credito a favore di una società controllata. Il dato
comune alle lettere di patronage è l'esistenza di un rapporto tra due società, con la
partecipazione di una società controllante nella società controllata e il correlato
impegno della società controllante verso la banca erogatrice del credito di
comunicare ogni variazione del rapporto corrente tra le due società. L'impegno può
esaurirsi in una mera informatica di controllo oppure nella gestione della società
controllante, assunzione dell'impegno di solvibilità della società controllata o
addirittura il rischio di inadempimento.

B) Garanzie reali.
L’altra forma di estensione della responsabilità patrimoniale è quella della
concessione, da parte di terzi, di garanzie reali (pegno e ipoteca). Si è visto come il
pegno e l’ipoteca possano essere costituiti a garanzia dell’obbligazione, non solo dal
debitore, ma anche dal terzo, il quale così assume la veste di terzo datore di pegno o
terzo datore di ipoteca.

31
Contratto.
Nozione.

L'art.1321 offre la nozione di contratto come l'accordo tra due o più soggetti per
costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale. L'art.
1322 fa riferimento invece all'autonomia contrattuale come il potere delle parti di
determinare liberamente il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge.
Con il riconoscimento dell'autonomia contrattuale vengono garantire:

 La libertà di contrarre, cioè stipulare o meno un contratto


 La libertà di scelta del contraente, cioè individuare la persona o l'ente con cui
costitutore il contratto.
 Libertà di contrattare ossia scegliere liberamente il contenuto del contratto.
Tale autonomia contrattuale trova un solo limite ossia quello imposto dalla legge. È
l'autorità giudiziaria a controllare che i contratti non violino tali limiti pena il loro
annullamento.
Si è a lungo discusso sul fondamento costituzionale dell'autonomia contrattuale
dato che non si ricavavano elementi dalla costituzione. Ma guardando alla disciplina
dei rapporti economici che poi costituisce tra l'altro la costituzione economica risulta
trovare fondamento tale autonomia contrattuale.

Il codice civile distingue la disciplina del contratto in due categorie. La disciplina dei
contratti generali, applicabile dunque ad ogni contratto, è la disciplina dei singoli
contratti applicabile a particolari forme di contratto come locazione, trasporto,
vendita, appalto, ecc.

Il contratto è costituito da elementi essenziali:

 Il contratto anzitutto implica una pluralità di parti nel senso che non interessa
un solo centro di interesse ma più centri di interesse. Il contratto dunque
corre tra almeno due parti nel senso che può coinvolgere almeno due centri di
interesse.
 Fondamentale nella costituzione del contratto è l'accordo tra le parti che ha
luogo con una manifestazione di volontà delle parti di costituire un rapporto
contrattuale. Il termine accordo quindi indica sia l'incontro delle volontà sia la
concordanza degli interessi. La necessità dell'accordo risulta essere anche una
garanzia per l'indipendenza della sfera giuridica individuale nel senso che il
singolo soggetto potrà modificare con la propria volontà, in maniera
indipendente, solo la propria sfera giuridica individuale senza poter
modificare la volontà di sfere giuridiche altrui.
 Ulteriore elemento è la programmazione di uno scopo ossia l'accordo deve
essere finalizzato alla costituzione, regolazione o estinzione di un rapporto
giuridico patrimoniale.
 Infine il contratto deve incidere su rapporti giuridici patrimoniali, rapporti
dunque suscettibili di valutazione economica. Ciò può avvenire in due modi
quando il contratto ha oggetto attribuzioni intrinsecamente di natura
patrimoniale come ad esempio vendita di un bene verso corrispettivo in
danaro, o quando il contratto ha ad oggetto una prestazione. In questo
secondo caso la prestazione oltre che essere suscettibile di valutazione
economica e quindi essere di natura patrimoniale può essere anche di natura
non patrimoniale.

Elementi essenziali del contratto.

Sono elementi essenziali del contratto:


 L'accordo tra le parti che esprime l'elaborazione e la formazione della volontà
negoziale determinando la conclusione del contratto.
 La causa che indica la funzione pratica e concreta del singolo negozio.
 L'oggetto ossia l'elemento che rappresenta il punto di riferimento
nell'accordo.
 La forma vincolata che designa la forma della manifestazione di volontà
negoziale.

Tali elementi sono definiti essenziali e la sola mancanza di uno di essi rende il
contratto nullo. Si prevede inoltre che la legge può prevedere elementi aggiuntivi a
quelli essenziali che integrano così gli elementi costitutivi del contratto.
Pure in presenza dei cosiddetti elementi essenziali sussistono cause di invalidità
meno gravi che danno luogo all'annullamento dell'atto quando tali elementi
essenziali sono viziati.
Oltre ai requisiti essenziali possono concorrere poi anche requisiti specifici prescritti
dalla legge.

Accanto agli elementi essenziali sussistono anche elementi accidentali tipicamente


condizione, termine e onere, possono essere o meno presenti nel contratto, sono
aggiunti dalle parti con la funzione di arricchire il contenuto del contratto.

32
Conclusione.
Le parti e i requisiti soggettivi. La legittimazione.

Come si è visto il contratto interessa due o più soggetti e quindi due o più centri di
interessi. Ogni parte può essere unisoggettiva e quindi essere costituita da un solo
soggetto o plurisoggettiva ed essere costitutiva da più soggetti. Bisogna inoltre
compiere una distinzione tra parte in senso sostanziale e parte in senso formale.

 La parte in senso sostanziale è destinataria degli effetti del contratto


 La parte in senso formale manifesta la propria volontà negoziale.

Spesso parte in senso sostanziale e in senso formale coincidono in quanto colui che
compie l'atto è anche destinatario degli effetti. Talvolta invece tali parti possono
essere divergenti laddove l'autore dell'atto non necessariamente è titolare degli
effetti. Si pensi in tal modo agli effetti della rappresentanza.
La parte in senso formale è sempre determinata nell'atto, in quanto artefice, la
parte in senso sostanziale può essere aggiunta successivamente o anche non essere
indicata affatto.
Ulteriore elemento è che entrambe le parti siano dotate della capacità giuridica
ossia l'attitudine alla titolarità delle situazioni giuridiche e la capacità di agire ossia
l'idoneità al compimento dell'atto.
Esistono inoltre ipotesi di inidoneità del soggetto ad essere destinatario degli effetti
del contratto si parla in tal modo di incapacità giuridica speciale che prevede
l'invalidità del contratto.

Altro elemento essenziale è la legittimazione che indica la posizione di chi può


effettivamente disporre di una situazione giuridica perché ne è titolare o perché è
stato autorizzato. L'assenza di legittimazione non incide sulla validità dell'atto ma
sulla sua efficacia.

Accordo e conclusione del contratto. Il contratto plurilaterale.


Abbiamo visto che l'accordo è un elemento essenziale affinché si concluda il
contratto. Tuttavia esistono alcuni contratti che al fine del conseguimento della
conclusione non basta il mero accordo. Pensiamo in tal modo ai contratti reali che
oltre all'accordo, per la loro conclusione, prevedono anche la consegna della cosa.
Quindi in sostanza l'accordo è si un elemento essenziale ma non sufficiente ai fini
della conclusione.

Problema delicato è quello del contratto in presenza di più persone ossia i contratti
plurilaterali. La normativa più ampia che interessa i contratti plurilaterali è quella dei
contratti a comunione di scopo ove più soggetti con interessi comuni convergono in
un risultato unitario. Esistono però anche contratti plurilaterali che non presentano
comunione di scopo. I soggetti quindi presentano interessi diversi ma concorrenti
verso la formazione della struttura contrattuale.

Contratti consensuali e contratti reali.

Abbiamo già visto prima che l'accordo è un elemento essenziale ma non sufficiente
ai fini della conclusione del contratto. In tal modo distinguiamo contratti consensuali
dai contratti reali.

 Il contratto consensuale ai fini della conclusione prevede il mero consenso tra


le parti. Il contratto si conclude quindi con l'accordo tra le parti. Esempio può
essere la semplice vendita.
 Il contratto reale invece non solo prevede l'accordo ma anche la consegna
della cosa. Di regola i contratti tendono a procurare una situazione soggettiva
temporanea sulla cosa, con la restituzione di quest'ultima da parte del
consegnatario. Si tratta dunque di contratti unilaterali ove il soggetto che
detiene la cosa è obbligato alla restituzione ed eventualmente al pagamento
del corrispettivo per il godimento.

La categoria dei contratti consensuali rappresenta dunque una categoria generale in


cui rientrano tutti i contratti. La categoria dei contratti reali d'una categoria speciale
e perciò affinché un contratto sia reale vi è bisogno di una apposita previsione.

(A) La volontà negoziale.


La volontà negoziale indica un intento di realizzare uno scopo pratico dotato di
rilevanza giuridica. È essenziale, affinché si formi la volontà negoziale, manifestare
all'esterno l'intento perseguito. Si comprende in tal modo come sia più semplice la
verifica di una corretta volontà negoziale nei negozi unilaterali in cui la volontà
negoziale interessa un solo soggetto.
Discorso più complicato si ha invece nei negozi bilaterali come il contratto. In tali
negozi il fine perseguito dalle parti risulta essere diverso, esempio può essere il
venditore che intende vendere una cosa ad un prezzo vantaggioso e il compratore
che intende acquistarla ad un prezzo inferiore. Per realizzarsi in tal modo la volontà
negoziale è necessario quindi che le parti manifestino all'esterno le proprie
aspirazioni al fine di trovare un punto di incontro e giungere quindi ad una concorde
volontà negoziale. L'accordo contrattuale indica l'intento delle parti di costituire,
regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale.

I modi di manifestazione della volontà.

La manifestazione della volontà può avvenire in due modi, mediante il linguaggio e


mediante il contegno.

 Il linguaggio da vita ad una manifestazione espressa di volontà mediante la


parola, lo scritto o altri segni.
 Il contengo da vita ad una manifestazione di volontà tacita in quanto non si
utilizzano meccanismi comunicativi. Dal comportamento si deduce la
compatibile volontà negoziale. Si pensi all'esperienza dell'conducente di un
veicolo che intende avvalersi di un parcheggio privato. Il conducente
introducendosi in modo autonomo nel parcheggio esprime indirettamente
l'intento di avvalersi del servizio di custodia.
Problemi diversi invece ha dato luogo il silenzio. Il silenzio come tale è neutro ed
acquista rilevanza giuridica in base alle diverse circostanze. Può assumere quindi a
volte situazioni di assenso a volte di diniego.

Assenza della volontà negoziale.

Si ha assenza di volontà negoziale, e quindi relativamente al contratto assenza di


accordo, quando non si realizza un libero e consapevole intento comune. L'assenza
di volontà negoziale produce la nullità del negozio. Sono emerse alcune figure di
assenza di volontà negoziale che producono l'annullamento del negozio e sono:

 La violenza fisica, detta anche violenza assoluta per distinguerla da quella


morale, con la quale si forza un soggetto a dichiarare la propria volontà
negoziale. Esempio può essere la conduzione forzata della mano altrui per
una sottoscrizione. La violenza fisica per la coercizione incussa sull'autore
della dichiarazione è atto così grave da comportare la nullità del contratto.
 Altro esempio è la falsificazione del documento
 Altre volte c'è si la volontà di materialità della dichiarazione ma è assente la
volontà della dichiarazione orientata ad un autoregolamento di interessi. È
l'ipotesi della non serietà della dichiarazione per essere stata espressa per
scherzo o a fine didattico.

(B) Vizi del consenso.


Può avvenire che fattori vari alterino il processo di formazione della volontà
negoziale. Tali fattori sono i vizi del consenso. L'ordinamento qualifica come vizi del
consenso: l'errore, il dolo e la violenza. I primi due influenzano la conoscenza
l'ultimo invece condiziona la decisione.

Errore.
L'errore può insorgere nella formazione della volontà negoziale o nella dichiarazione
della volontà negoziale. Nel primo caso si parla di errore vizio nel secondo di errore
ostativo.

Errore vizio.

L'errore vizio è l'errore vero e proprio che si sviluppa attraverso una spontanea falsa
rappresentazione della realtà di un soggetto ai danni di un altro. L'errore di
conoscenza influenza e orienta la libertà di scelta e per questo è qualificato come
vizio di volontà. Il consenso viene dato quindi per errore. L'errore vizio può essere di
fatto o di diritto.

 L'errore di fatto cade su una circostanza di fatto la cui falsa rappresentazione


incide nella determinazione degli assetti altrui. Es. un soggetto crede di aver
comprato un oggetto d'oro ma scopre che esso è solo ricoperto di oro.
 L'errore di diritto cade sulla esistenza o interpretazione di una norma giuridica
che regola fatti o rapporti la cui rappresentazione incide sul regolamento di
interessi. Nessuno però può invocare l'inesistenza di una norma giuridica per
sottrarsi all'osservanza della stessa.

Sia per l'errore di fatto che per l'errore di diritto è rilevante come causa di
annullamento del contratto quando l'errore è essenziale ed è riconoscibile dall'altro
contraente.
L'errore è essenziale quando:

 Cade sulla natura o sull'oggetto del contratto. Quando cade sulla natura ha
riguardo la causa. Esempio un soggetto che pensa di aver fatto un contratto di
comodato invece ha costituito un contratto di locazione. Cade sull'oggetto
quando ha riguardo ad una rappresentazione della prestazione dovuta.
Esempio quando si costituisce un contratto per avere una prestazione
particolare ma ci viene offerta una prestazione standardizzata.
 Cade sull'identità dell'oggetto della prestazione o sulla qualità dell'oggetto
della prestazione. Per la prima si pensi all'acquisto di un fondo che risulta
essere diverso da quello immaginato, per quanto riguarda la seconda si fa
riferimento all'acquisto di un oggetto di metallo ma che si rileva di plastica.
 Cade sull'identità o sulla qualità delle persone dell'altro contraente.
 L'annullamento non ha luogo invece per l'errore di calcolo. In tale caso si dà
luogo solo ad una rettifica tranne nei casi in cui l'errore di calcolo ha influito
sulla quantità programmata dell'oggetto della prestazione da determinare
così il consenso. In tal modo si prevede l'annullamento.

Per rilevare come causa di annullabilità l'errore oltre che ad essere essenziale
deve essere anche riconoscibile dall'altro contraente. L'errore si considera
riconoscibile quando in relazione al contenuto e alla qualità una persona di
normale diligenza avrebbe potuto rilevarlo. Solo se l'errore risulta essere
riconoscibile il contratto può essere annullato in caso contrario il contratto
rimane valido. È consentito inoltre al destinatario del negozio, evitare
l'annullamento del contratto anche quando l'errore è riconoscibile con il
mantenimento del contratto rettificato.
Errore ostativo.
L'errore ostativo incide sulla manifestazione di volontà negoziale in quanto, la stessa
volontà negoziale contiene un riferimento errato. Esempio 1000 anziché 100 o Tizio
anziché Caio.

Dolo.
Come l'errore anche il dolo influenza la conoscenza della realtà giuridica o materiale
condizionando la libertà di scelta. Rappresenta dunque un vizio della volontà
negoziale infatti il consenso è carpito con dolo. Il dolo è un mezzo attraverso il quale
un soggetto, attraverso l'inganno, cioè con un impiego di raggiri, artifici e menzogne,
convince un'altro soggetto a concludere il contratto e quindi ad ottenere il suo
consenso. Utilizzando un esempio precedente possiamo qualificare come situazione
di dolo un soggetto che intende vendere un oggetto spacciato per oro ad un
ulteriore soggetto, che convinto di ciò lo acquista.

Il dolo può essere commissivo e quindi caratterizzato da azioni fraudolente come ad


esempio, menzogne, artifici, raggiri ecc. Oppure può essere omissivo cioè compiuto
nel silenzio o nella reticenza. In ogni caso il dolo deve esternare alla parte colpita dal
dolo una rappresentazione errata della realtà. L'assenza di dialogo tra le parti
favorisce il dolo, solo la correttezza dell'informazione assicura la effettività del
consenso.
Con riferimento alle comunicazioni di massa pensiamo alle tante pubblicità che ci
presentano servizi esclusivi e confortevoli, alberghi sul mare ecc., ma che in realtà
non corrispondono alla effettiva realtà. Con riguardo agli investimenti si pensi alle
falsificazioni di bilancio con cui vengono accresciute le azioni collocate sul mercato.

A differenza dell'errore non sono previste specifiche fattispecie per il dolo. Il dolo
quindi risulta essere causa di annullamento del contratto in quanto i raggiri utilizzati
dal contraente, se conosciuti non avrebbero dato luogo al consenso e quindi alla
conclusione del contratto. Si parla quindi in questo caso di dolo determinante. Ossia
il dolo in questo caso risulta essere fondamentale per ottenere il consenso. È inoltre
necessario che i raggiri e gli inganni provengano dalla parte interessata che trae
profitto a concludere il contratto. Quando artifici e raggiri derivano da un terzo, il
contratto è annullabile se il contraente era a conoscenza degli stessi raggiri. Al vizio
di volontà negoziale si aggiunge ancora la responsabilità dell'autore del dolo per la
condotta illecita lesiva della libertà negoziale. E quindi oltre che l'annullamento del
contratto si prevede anche ai danni del soggetto che ha compiuto il dolo il
risarcimento dei danni. Il dolo può avere anche una rilevanza penale, integrando
così il reato di truffa, laddove l'autore del dolo produce a se un vantaggio recando
un danno altrui.

Diverso dal dolo determinante poi vi è il dolo incidente. Il dolo non è determinante
nella conclusione del contratto che sarebbe comunque avvenuta. In questo caso il
contratto non sarà annullato ma la parte che ha agito in mala fede sarà obbligata al
risarcimento del danno. Sia il dolo determinate che quello incidente possono essere
omissivi o commissivi. Si presenta ancora una ulteriore distinzione tra dolo malus,
sempre causa di annullamento del contratto e dolus bonus che corrisponde ad una
comune esaltazione della propria merce, e se in buona fede e nel rispetto del dovere
di correttezza non rappresenta causa di invalidità del contratto.

Violenza morale.
La violenza morale o anche violenza psichica, incide sulla libertà di decisione del
contraente impendendo il determinarsi della volontà negoziale. La violenza morale
consiste nella minaccia di un male ingiusto e notevole tale da indurre il soggetto
violentato alla conclusione del contratto. Il soggetto in questione potrà assumere
due comportamenti ossia subire il male minacciato ma non concludere il contratto,
evitare il danno minacciato e quindi concludere il contratto. La violenza morale può
manifestarsi in via diretta o anche in maniera esplicita attraverso azioni
intimidatorie, oltre che provenire dalla controparte può anche provenire da un
terzo. Causa determinante della violenza è dunque la minaccia del soggetto, che in
presenza di questo continuo pericolo è costretto a concludere il contratto.

Abbiamo detto che la violenza consiste in una minaccia ingiusta e notevole.


L'ingiustizia può riguardare sia il mezzo adoperato sia il vantaggio perseguito.
L'ingiustizia del mezzo è ricavabile dal tipo di comportamento minacciato. Esempio è
la gambizzazione, sempre causa di annullamento del contratto per violenza alla
integrità fisica. Per verificare l'ingiustizia del vantaggio bisogna accettare il fine
perseguito. Inoltre il male minacciato deve essere notevole ossia il male minacciato
al soggetto può essere rivolto ai suoi beni o alla sua persona. Con riguardo ai beni il
male minacciato può inerire al patrimonio, esempio può essere l'incendio di un
capannone. Nella seconda direzione inerisce alla vita fisica, esempio minaccia di
gambizzazione o alla onorabilità della persona, esempio campagna denigratoria per
screditare un soggetto. La violenza è causa di annullamento del contratto anche
quando inerisce ai beni e alla persona del coniuge, familiare, ascendente o
discendente di lui.

Come si è visto la violenza è sempre causa di annullamento del contratto anche se


esercitata da un terzo, a differenza del dolo nel quale il contratto è annullabile
soltanto i raggiri utilizzati dal terzo erano a conoscenza del contraente. La violenza
oltre che a determinare un vizio del consenso determina anche una condotta illecita
per cui oltre all'annullamento del contratto, si somma per l'autore della violenza,
anche la responsabilità civile e di conseguenza il risarcimento del danno inflitto alla
parte violentata. La violenza può inoltre avere una rilevanza penale essendo
possibile integrare il reato di estorsione, che punisce chiunque, mediante violenza o
minaccia, costringe un soggetto a commettere o omettere qualcosa, procurando a
se un vantaggio ma un danno altrui.

Non è causa di annullamento del contratto invece il timore reverenziale. Timore


reverenziale che rappresenta uno stato d'animo che, pur incidendo sulla formazione
della volontà negoziale, si genera e sviluppa all'interno del soggetto. Nella violenza
morale la pressione psicologica proviene dall'esterno nel timore reverenziale
dall'interno del soggetto per rispetto o servilismo verso l'altra parte.

(C) Modi di conclusione del contratto.


Proposta e accettazione.

Tecnica generale di conclusione del contrato è la formazione dell'accordo che si


verifica con la proposta è la successiva accettazione. Si tratta di dichiarazioni
unilaterali in cui le volontà di entrambi i soggetti del rapporto convergono in una
concorde volontà negoziale. Proposta è accettazione sono atti unilaterali recettizi in
quanto l'effetto si produce solo quando perviene alla conoscenza del destinatario.

 La proposta è una dichiarazione recettizia contenente tutti gli elementi del


contratto con cui una parte manifesta al destinatario la sua volontà di voler
stipulare il contratto. La proposta deve essere completa ed impegnativa.
Completa nel senso che la proposta di acquisto di un bene deve essere
accompagnata dalla indicazione del prezzo disposto a pagare. La proposta
deve essere impegnativa in quanto il proponente deve manifestare la volontà
alla conclusione del contratto. Se la proposta è incompleta in quanto manca
uno degli elementi essenziali si tratterà di un invito ad offrire, in tal caso il
destinatario, se intende concludere il contratto deve formulare una sua
proposta. La proposta è revocabile fino a quando il contratto non è concluso.
Tuttavia se l'accettante ha intrapreso in buona fede l'esecuzione del contratto
prima di avere avuto notizia della revoca, il proponente è tenuto ad
indennizzarlo delle spese e delle perdite subite per la mancata esecuzione del
contratto. Una specifica funzione assume la proposta irrevocabile, laddove il
proponente si obbliga a mantenere ferma la proposta per un certo tempo, in
questo caso la revoca è senza effetto. Anche la morte o la sopravvenuta
incapacità del proponente non toglie efficacia alla proposta irrevocabile.
 L'accettazione è una dichiarazione rivolta al proponente con cui il destinatario
esprime la sua volontà di voler stipulare il contratto in maniera
completamente conforme alla proposta, e deve essere tempestiva.
L'accettazione, quindi, per essere valida deve essere conforme alla proposta;
se, invece, contiene degli elementi nuovi, varrà come nuova proposta e dovrà
essere a sua volta accettata. L'accettazione, inoltre, oltre a dover essere
conforme, dovrà essere tempestiva e cioè dovrà pervenire al proponente nel
termine da lui stabilito o, in mancanza, entro il termine ordinariamente
necessario secondo la natura dell'affare o secondo gli usi (art. 1326 c.c.).

Si discute sulla natura giuridica di proposta e accettazione, senza però giungere ad


un risultato definitivo; si va, infatti dalla tesi che le vede come atti giuridici in senso
stretto, a quella che, invece, le qualifica come negozi giuridici unilaterali a causa
degli effetti che già producono prima dalla conclusione del contratto.
È certo, però, che si tratta di atti recettizi, poiché non producono effetti senza che
siano portati a conoscenza del destinatario, ma proprio su questo punto sorge un
problema:
escluso il caso che i contraenti siano entrambi presenti, quando si può reputare che
l'atto sia conosciuto dall'altra parte?
Ci risponde l'art. 1335 c.c. secondo cui la proposta, l'accettazione, la loro revoca e
ogni altra dichiarazione rivolta a una determinata persona:

1) Si reputano conosciute nel momento in cui giungono all'indirizzo del


destinatario, se questi non prova di essere stato senza sua colpa
nell'impossibilità di averne notizia. Esempio era ricoverato in ospedale.
È dunque sufficiente che la dichiarazione pervenga alla residenza,
domicilio commerciale o fiscale, sede dell'azienda.

Stabilito ciò, vediamo in che momento si perfeziona il contratto stipulato tra


persone lontane negli schemi che seguono. Cominciamo da quella ordinaria prevista
dall'art. 1326 comma 1.
Può invece accadere che il proponente non intenda aspettare l'accettazione avendo
interesse a che il contratto sia subito eseguito.
In questo caso secondo l'art. 1327 c.c quando per richiesta del proponente o per la
natura del contratto la prestazione debba eseguirsi senza una preventiva risposta,
bisognerà comportarsi in questo modo.

La proposta e l'accettazione possono anche essere revocate.

Il proponente può revocare la proposta, ma deve farlo prima della conclusione del
contratto, così come afferma l'art. 1328, ma quando si conclude il contratto?
Lo abbiamo visto, quando l'accettazione giunge a conoscenza del proponente, così
come afferma l'art. 1326 primo comma, e nel caso in cui si debba stipulare tra
persone distanti, la proposta si reputa conosciuta quando giunge all'indirizzo del
proponente ex art. 1335 c.c.
Se le cose stanno così, il proponente potrà revocare la sua proposta prima che abbia
avuto conoscenza dell'accettazione, e, quindi, se si tratta di persone distanti, prima
che gli sia giunta l'accettazione.
Una revoca successiva sarà inefficace, perché riguarderà un contratto già concluso.
Una specifica funzione assume la proposta irrevocabile che sussiste laddove il
proponente si obbliga a mantenere ferma la proposta per un certo tempo, la revoca
in questo caso è senza effetto. Anche la morte o la sopravvenuta incapacità del
proponente non toglie efficacia alla proposta irrevocabile.

Passiamo ora alla revoca dell'accettazione.

La morte o l’incapacità successiva di una delle parti prima della formazione


dell’accordo impedisce la conclusione del contratto. Tale tradizione regola la
cosiddetta perdita di efficacia della proposta e dell’accettazione. Tale definizione
incontra però due deroghe. Si è visto come innanzitutto la morte è la sopravvenuta
incapacità del proponente non tolgono efficacia alla proposta irrevocabile. Inoltre
sia la proposta che l'accettazione , se fatta da un imprenditore nell'esercizio della
sua impresa non perdono efficacia se l'imprenditore muore o diviene incapace
prima della conclusione del contratto, salvo che si tratti di piccolo imprenditore.
Offerta al pubblico.
È una proposta indirizzata ad una generalità di persone. Vale come proposta quando
contiene gli estremi essenziali del contratto. Per non essere integrata ad un soggetto
determinato l'offerta al pubblico non comporta un atto recettizio, ossia non deve
essere portato alla conoscenza di terzi per avere efficacia essendo sufficiente la sua
conoscibilità. Al meccanismo dell'offerta al pubblico sono ricondotti i bandi di
concorsi per l'assunzione di lavoratori, bandi di gara indetti tra privati da pubbliche
amministrazioni per la stipulazione di contratti. Sono ulteriori esempi della offerta al
pubblico i molti dispositivi meccanici automatici che espongono insieme la merce, il
prezzo d'acquisto cosicché basta solo inserire il danaro per ottenere la merce
esposta. La sufficiente conoscibilità della proposta si riflette sulla natura della
revoca. Non essendo note le persone che abbiamo potuto apprendere la
conoscenza, la revoca non può realizzarsi individualmente. Al pari dell'offerta anche
la revoca non è recettizia. La revoca offerta al pubblico è efficace anche verso chi
non ne ha avuto notizia.

Il contratto aperto.
Si è anticipato dei contratti con comunione di scopo con i quali si tende a realizzare
un interesse comune a tutte le parti del contratto. Tali contratti possono aprirsi
all'esterno mediante una clausola di apertura. Fenomeno tipico delle organizzazioni
collettive, associazioni, cooperative, al fine di incrementare la compagine sociale
oppure per accrescere i fondi. Il carattere aperto connota i contratti plurilaterali.
Con la clausola di apertura i contraenti originari offrono la possibilità ad altri soggetti
di aderire al contratto originario. L'apertura può riguardare soggetti generici ma
anche specifici con determinate caratteristiche. Chi aderisce al contratto offre la sua
adesione. Se le modalità di adesione non sono determinate queste devono essere
determinate dal consiglio di amministrazione. Le adesioni sono soggette a verica da
parte del consiglio di amministrazione.

Condizioni generali di contratto.


Sono una serie di clausole contrattuali che un soggetto predispone per regolare
uniformemente i suoi rapporti contrattuali.
La previsione delle condizioni generali di contratto nasce dalla necessità di
organizzare i rapporti di chi, per la sua attività, è solito stipulare numerosi contratti
dello stesso genere con una serie indefinita di soggetti.
Per evitare di appesantire l'attività contrattuale, discutendo con l'altra parte le
singole clausole contrattuali, il legislatore ha consentito che potessero essere create
clausole valide "una volta per tutte".
È anche vero, però, che se ogni volta il predisponente, di solito un imprenditore,
dovesse anche farle singolarmente approvare dall'altro contraente, si
vanificherebbe l'altro scopo cui le condizioni generali sono volte: velocizzare
l'attività dell'impresa. Per questo motivo l'articolo 1341 c.c. nel prevedere le
condizioni generali di contratto, puntualizza che per essere efficaci devono essere
conoscibili.

In altre parole si obbliga il predisponente a svolgere un'attività volta a rendere


conoscibili alla generalità dette clausole, che, una volta effettuata, le rende
opponibili agli altri contraenti, sia nel caso in cui le abbiano conosciute sia nel caso
in cui non le conoscessero, ma "avrebbero dovuto conoscerle usando l'ordinaria
diligenza".
Come, poi, debba comportarsi il predisponente per rendere conoscibili le condizioni
generali, è fatto da verificare caso per caso in relazione alla quantità e qualità della
attività svolta; in ogni caso, il richiamo alla ordinaria diligenza e alla conoscibilità fa
intendere che la conoscenza debba essere resa agevole e che, comunque, il
predisponente deve rendere manifesta agli altri contraenti l'esistenza delle
condizioni.
L'onere della conoscibilità non può ritenersi assolto quando le condizioni non sono
chiare.
Se le condizioni generali non sono conoscibili, nemmeno usando l'ordinaria
diligenza, saranno inefficaci, anche se qualche autore le ritiene nulle.

Le condizioni generali di contratto sono di solito espressione del fenomeno dei


contratti per adesione, dove un soggetto predispone l'intero regolamento
contrattuale, mentre l'altro non può far altro che accettare o rinunciare.
Per questo motivo il legislatore ha previsto una serie di cautele a favore della parte
più debole, cautele che si realizzano nella inefficacia di talune clausole
particolarmente gravose, dette clausole vessatorie particolarmente onerose per il
contraente aderente. Esse non hanno effetto se non approvate specificamente per
iscritto.

Contratti conclusi fuori dai locali e a distanza.


Sussiste una decisiva tutela dei consumatori nella conclusione dei contratti con
professionisti riguardanti la fornitura di beni o la prestazione di servizi quando i
contratti sono negoziati fuori dei locali commerciali, durante la vista del
professionista al domicilio del consumatore o sul posto di lavoro del consumatore,
nei locali in cui si trova il consumatore anche contemporaneamente, ecc. Analoga
tutela si verifica per i contratti distanza. In tali contratti il consumatore è colto di
sorpresa senza magari essere consapevole della operazione economica eseguita.
Entrambe le normative fanno in modo da garantire al consumatore la maturazione
della scelta e dunque un consapevole esercizio della autonomia negoziale. È perciò
attribuito al consumatore il diritto di recesso dal contratto senza penalità e senza
specificarne il motivo entro il termine di 10 giorni lavorativi. Il diritto di recesso è
esercitabile dal consumatore in maniera assoluta ed insindacabile differenziandosi
dal diverso modello di recesso di autotutela consentito solo in presenza di
determinate circostanze. Il diritto del consumatore è presidiato inoltre da un obbligo
di informazione per iscritto, a carico dell'operatore commerciale, del diritto di
recesso. In assenza di tale informazione il termine per l'esercizio di recesso è di
60/90 giorni.

Conclusione del contratto senza formale accettazione.

Sono sempre più numerose le ipotesi nelle quali si realizza un regolamento di


interessi tra due parti senza il ricorso alle tecniche delle formale proposta e/o della
formale accettazione, ma solo attraverso il contegno delle parti che assume un
valore sociale tipico giuridicamente rilevante. Si analizzano le due ipotesi tipiche,
1327 e 1333, per le quali è attribuito a specifici comportamenti un significato legale
tipico.

 a) Esecuzione prima dell’accettazione: qualora, su richiesta del proponente o


per la natura dell’affare o secondo gli usi, la prestazione debba eseguissi senza
una preventiva risposta, il contratto è concluso nel tempo e nel luogo in cui ha
avuto inizio l’esecuzione. Di regola l’esecuzione segue la conclusione del
contratto; in questo caso però si consente da un lato, che l’esecuzione del
contratto possa intervenire prima dell’accettazione, e dall’altro che l’inizio
dell’esecuzione determini la conclusione del contratto. Perciò la sua
operatività è circoscritta in tre ipotesi tassativamente previste (richiesta del
proponente, natura dell’affare, presenza di usi. Es. nelle vendite a distanza
mediante tecniche di comunicazione di massa è usuale che l’impresa
venditrice provveda alla esecuzione del contratto appena ricevuto l’ordine di
acquisto. L’accettante deve dare prontamente avviso alla controparte della
iniziata esecuzione e, in mancanza, è tenuto al risarcimento danni (1327).
 b) Mancato rifiuto: la proposta diretta a concludere un contratto da cui
derivano obbligazioni solo per il proponente è irrevocabile appena giunge a
conoscenza del destinatario (cd. oblato). Il destinatario può rifiutare la
proposta nel termine richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi: in mancanza
di tale rifiuto il contratto è concluso (1333). Il mancato rifiuto equivale ad
accettazione tacita. Il diritto accorato all’oblato di “rifiutare la proposta”
garantisce allo stesso il diritto di non subire un effetto (ancorché favorevole)
non voluto, cd. principio di tendenziale indipendenza delle sfere giuridiche,
per cui nessuno può incidere la sfera giuridica altrui contro la volontà del
titolare. Rinunzia: presuppone la titolarità del diritto: negozio unilaterale
rivolto a dismettere la titolarità del diritto della propria sfera giuridica con la
produzione di un effetto abdicativo.
 Rifiuti: negozio unilaterale di diniego di un effetto favorevole: non intendendo
il destinatario profittare dello stesso ne impedisce l’acquisizione nella propria
sfera giuridica.

Limiti legali alla libertà di contrarre.

Si è visto come l’autonomia contrattuale si esplichi in una autoregolazione dei propri


interessi che assume la duplice veste di libertà di contrarre, cioè di stipulare o meno
un contratto e di scegliere il contraente voluto, e di libertà di contrattare, cioè di
determinazione del contenuto del contratto. Qui si ha riguardo ai vincoli alla libertà
di contrarre. Con riguardo a specifici beni e servizi, la legge impone spesso limiti
legali all'autonomia privata vincolando in tal modo la libertà di stipulare un
contratto o di scelta del contraente. I limiti legali talvolta ineriscono al potere di
acquistare, più spesso riguardano al potere di alienare. In quest'ultima direzione le
tecniche più utilizzate sono la prelazione legale, l'opzione legale, l'obbligo legale a
contrarre, divieto legale di alienazione.

 a) la prelazione legale è la figura più diffusa di vincolo legale. E’ impiegata in


ragione della posizione ricoperta da alcuni soggetti rispetto a un bene al fine
di favorirne l’accesso, oppure in ragione della natura del bene al fine di
conservarne la destinazione. E’ riconosciuto ex lege il diritto di essere
preferito nella eventualità di alienazione di un diritto: in particolare al
soggetto beneficiario della prelazione vengono riconosciuti due distinti diritti:
il diritto di prelazione verso il titolare del diritto, che ha l’obbligo di preferire il
prelazionario a parità di condizioni; il diritto di riscatto verso il soggetto che
acquista in violazione del vincolo di preferenza.
 b) Opzione legale: ha una minore diffusione, ma una maggiore incisività della
prelazione legale. In ragione di un particolare assetto giuridico, è accordato ex
legge ad un soggetto (cd. opzionario) il diritto di conseguire un bene, con
correlato obbligo del titolare di formulare offerta di acquisto, che l’opzionario
è libero di accettare o meno. La figura ha uno specifico campo di applicazione
in tema di società per azioni, dove è riconosciuto ai soci il diritto di
sottoscrizione di nuove emissioni. Le azioni di nuova emissione e le
obbligazioni convertibili in azioni devono essere offerte in opzione ai soci in
proporzione al numero delle azioni possedute. Inoltre coloro che esercitano il
diritto di opzione, se fanno richiesta , hanno anche il diritto di prelazione
nell'acquisto delle azioni e delle obbligazioni convertibili che siano rimaste
non optate.
 c) L’obbligo legale a contrarre: opera in particolare in settori del mercato
dove, per ragioni sociali, persiste un fenomeno di monopolio legale. Per l’art.
2597 chi esercita un’impresa in regime di monopolio legale ha l’obbligo di
contrattare con chiunque richieda le prestazioni che formano oggetti
dell’impresa, osservando la partita di trattamento. Es. Pubblici servizi di linea.
 d) Divieto legale di alienazione: si lega ad esigenze di carattere diverso, a volte
inerisce a situazioni esistenziali: è perciò compenetrato alla natura del diritto
e l’accompagna per tutta l’esistenza; talaltra è connesso a relazioni familiari: è
connaturato alla relazione stessa. La violazione del divieto, in quanto in
contrasto con l’ordinamento, comporta la nullità dell’atto compiuto.

(D) Formazione progressiva.


È diffusa la prassi che la stipulazione del contratto sia preceduta da ulteriori
trattative che vadano ad affinare l'accordo tra le parti circa il risultato perseguito.

Vincoli negoziali alla libertà di contrarre.

La conclusione del contratto avviene mediante un elaborato procedimento di


formazione dell'accordo mediante il quale le parti, con diversi atti esprimono le loro
valutazioni circa la convenienza dell'affare. La stipulazione si svolge con un
autolimitazione dell'autonomia negoziale che si snoda attraverso una serie di atti
impositivi e di altrettanti vincoli che incidono sull'autonomia privata, finalizzati alla
conclusione del contratto. Tali vincoli possono rivolgersi ad una delle parti o ad
entrambe. Tali vincoli sono: la prelazione convenzionale, proposta irrevocabile,
patto di opzione, divieto negoziale di alienazione.

 La prelazione convenzionale è la figura meno incisiva dell'autolomitazione


della autonomia privata poiché riguarda la sola libertà di contrarre. L'iniziativa
della stipulazione del contratto rimane nelle mani del promittente, mentre il
contraente ha solo un vincolo di scelta. Con il patto di prelazione il
promittente si obbliga a preferire il beneficiario nella ipotesi di alienazione di
un bene. È ammessa l'assunzione di un obbligo di prelazione anche da parte
della pubblica amministrazione. Nella stipulazione del patto va determinato
l'oggetto del contratto per il quale si concede la preferenza e si deve fissare la
durata dell'obbligo di preferenza che non può superare i 5 anni. Se si decide di
alienare, l'alienante deve comunicare al prelazionario le condizioni
propostegli da terzi o comunque a quali condizioni intende alienare, il
prelazionario deve dichiarare, sotto pena di decadenza e nel termine stabilito
se intende avvalersi del diritto di preferenza. La comunicazione non può
limitarsi ad una mera enunciazione dell'intenzione ad essere interessato a
quell'affare ma deve indicare gli elementi del contratto traducendosi così in
una vera e propria proposta contrattuale. Tale patto non è suscettibile di
esecuzione in forma specifica nell'ipotesi di mancata alienazione, inoltre il
mancato esercizio del diritto di prelazione non comporta la nullità degli atti
compiuti e dei negozi posti in essere ma al diritto del risarcimento del danno.
 Proposta irrevocabile. Si è visto che la proposta è sempre revocabile finché il
contratto non sia concluso. Il proponente può però mantenere ferma la
proposta per un certo tempo obbligandosi a non revocare la proposta. In tal
modo la revoca è senza effetto. La proposta ferma o irrevocabile è anche una
proposta a termine non consentendo l'ordinamento un impegno perpetuo.
Nel termine indicato il destinatario della propsta irrevocabile ha diritto di
concludere il contratto con l'accettazione senza che il proponente possa
revocare la proposta. L'eventuale revoca della proposta resta senza effetto
non impendendo il perfezionamento del contratto in dipendenza
dell'accettazione dell'altra parte. Il termine di irrevocabilità non deve
necessariamente coincidere con il termine di efficacia della proposta. La
proposta rimane irrevocabile fino alla scadenza di tale termine,
successivamente la propsta diviene revocabile tranne che per il tempo
trascorso non sia scaduto anche il termine di efficacia della proposta. La
morte o la sopravveuta incapacità non toglie efficacia alla proposta salvo che
la natura dell'affare o altre circostanze non escludano tale efficacia.
 Il patto di opzione è il patto con il quale le parti convergono che una di esse
rimane vincolata alla propria dichiarazione e l'altra abbia facoltà di accettarla
o meno. Se ad esempio un soggetto è interessato ad un'acquisto, ma non è
ancora sicuro dello stesso o non ha il denaro necessario può concordare con il
venditore che lo stesso rimane obbligato alla vendita per un periodo
determinato con il compratore. Tale meccanismo viene utilizzato in più
settori, come per esempio l'acquisto di un immobile, l'acquisto di un
pacchetto di azioni di una società o nell'acquisto di giocatori di calcio. La
concessione dell'opzione è a titolo oneroso. Un soggetto si obbliga a
mantenere ferma la proposta verso un corrispettivo che rappresenta il prezzo
dell'opzione. Essendo il patto opzionale un atto bilaterale comporta che
qualsiasi modifica del patto deve provenire dalla volontà comune delle parti. Il
concedente l'opzione rimane obbligato a mantenere ferma la proposta per il
tempo determinato mentre il beneficiario dell'opzione deve dichiarare
l'accettazione degli elementi dell'opzione. Proprio per la soggezione che
caratterizza la posizione del concedente rispetto a quella dell'opzionario nella
conclusione del contratto si è soliti qualificare la situazione dell'opzionario
come diritto potestativo. Con l'accettazione il contratto è concluso e il potere
opzionario attuato. Se per l'accettazione non è fissato il termine questo viene
fissato dal giudice secondo la regola generale dell'articolo. 1183. Vi è una
profonda differenza con la prelazione infatti il beneficiario dell'opzione ha
diritto, con l'accettazione, di determinare la conclusione del contratto, il
beneficiario della prelazione ha solo il diritto di essere preferito nella
stipulazione di un contatto
 Prenotazione. Manca una disciplina organica della prenotazione. Di recente
tale figura ha trovato particolare sviluppo nei settori di viaggi organizzati, nelle
prestazioni alberghiere e nei trasporti. Per tale disciplina ci si rifà al D.Lgs
206/2005. Per l'art. 86 del D.Lgs, il contratto di vendita di pacchetti turistici,
da redigersi un forma scritta e in termini chiari e precisi, deve contenere la
indicazione dell'importo, comunque non superiore al 25% del prezzo, da
versarsi all'atto di prenotazione ovvero il termine del pagamento del saldo. Il
suddetto importo è versato a titolo di caparra ed in caso di adempimento del
contratto deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta. Se la
parte che ha rilasciato la caparra è divenuta inadempiente, l'altra può
recedere il contratto e ritenere la caparra. Se l'inadempimento proviene dalla
parte che ha ricevuto a caparra, l'altra può recedere il contratto ed esigere il
doppio della caparra. Art. 1185.
 Divieto negoziale di alienazione. Anche tale figura impone un vincolo
negoziale all'autonomia privata, anzi rappresenta il vincolo più incisivo alla
libertà di contrarre per escludere addirittura l'alienazione in quanto stipulato
non in vista della conclusione di un contratto ma con un fine assolutamente
opposto ossia evitarne la conclusione.

Contratto preliminare.

Con tale contratto è assunto l'obbligo di stipulare un successivo contratto, contratto


definitivo, cui si connettono gli effetti perseguiti dalle parti. L'obbligo può essere
assunto da entrambe le parti come più spesso può accadere, oppure da una sola
parte.
Con il contratto preliminare le parti, verificata la convenienza del contratto,
intendono fermarlo stabilendo i termini essenziali dello stesso rinviando ad un
momento successivo la stipula del contratto definitivo. Il fenomeno è
particolarmente sviluppato nel mercato immobiliare, infatti le parti fissano il
termine del contratto di vendita rinviando ad un momento successivo la stipula del
contratto definitivo per più motivi, ad esempio per verificare la regolarità urbanistica
del fabbricato o la presenza di eventuali vizi di costruzione oppure per consentire
alla banca la concessione di un finanziamento o di un mutuo. Per gli edifici da
costruire o in corso di costruzione sono frequenti le vendite in pianta o su carta con
le quali le società collocano le unità immobiliari prima della realizzazione del
fabbricato al fine di finanziare in parte la costruzione stessa attraverso
l'anticipazione del prezzo, si fa così ricorso al contratto preliminare di vendita,
rinviando la stipulazione del contratto definitivo all'ultimazione del fabbricato.

Nell'ipotesi di preliminare di vendita di un immobile in comunione è necessario il


consenso di tutti i comunisti e che lo stesso consenso permanga fino alla
costituzione del contratto definitivo. In definitiva questa è, quindi, la funzione
fondamentale del contratto preliminare:

Ottenere uno strumento contrattuale (il contratto preliminare) che obblighi le parti
a stipulare un nuovo contratto (il contratto definitivo) che realizzerà l'effetto finale
voluto (il trasferimento delle proprietà, la costituzione di un diritto, l'esecuzione di
una prestazione, etc.)

Il contratto preliminare è nullo se non è fatto nella stessa forma che la legge
prescrive per il contratto definitivo. Se manca la stipula del contratto definitivo è
esclusivamente dal contratto preliminare che risulta l'intento delle parti di realizzare
lo specifico assetto di interessi. Di particolare importanza risulta poi la trascrizione
del contratto preliminare che prevede la trascrizione dei contratti preliminari aventi
ad oggetto beni immobili purché risultino da atto pubblico o da scrittura privata o
accertata giudizialmente. Solo i contratti preliminari stipulati con una di tali forme
sono soggetti a trascrizione. Nell'ipotesi di mancata esecuzione del contratto
preliminare, cioè di mancata stipula del contratto definitivo, quando c'è
espropriazione del patrimonio del venditore per debiti, la preventiva trascrizione del
contratto preliminare comporta che i crediti del promissario acquirente hanno
privilegio speciale sul bene immobile oggetto del contratto preliminare, sempre che
non siano cessati gli effetti della trascrizione.

Quando la parte obbligata a concludere il contratto definitivo si rende


inadempiente, non volendo stipulare il contratto definitivo, la parte non
inadempiente può ricorrere a due tipi di tutela:

1) può chiedere l’adempimento coattivo con l’esecuzione in forma specifica


dell’obbligo a contrarre. Per l’art. 2932, se colui che è obbligato a concludere un
contratto non adempie l’obbligazione, l’altra parte “qualora si possibile” e “non sia
escluso dal titolo”, può ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto
non concluso: la sentenza tiene luogo del consenso non prestato dal soggetto
inadempiente. La sentenza, producendo gli effetti del contratto non concluso, ha
natura costituiva (2908). Sia la sentenza che la domanda giudiziale di esecuzione in
forma specifica dell’obbligo a contrarre sono soggette a trascrizione.

2) Alternativamente, si può chiedere la risoluzione del contratto preliminare per


inadempimento dell’obbligo a contrarre. Ciò avviene ad es. quando il promittente
venditore alieni il bene oggetto di preliminare a un terzo o non compia gli atti
necessari all'alienazione. È possibile quindi richiedere la risoluzione del contratto
preliminare per inadempimento oppure avvalersi dei rimedi di autotutela, ovvero se
la parte che ha dato la caparra si mostri inadempiente, l’altra parte può recedere dal
contratto trattenendo la caparra: se inadempiente è la parte che l’ha ricevuta, l’altra
può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra.

3) Se la cosa presenta dei vizi, il promissario acquirente può chiedere l’eliminazione


dei vizi oppure, in alternativa, la riduzione del prezzo

4) In ogni caso la parte non inadempiente ha diritto al risarcimento dei danni, in via
aggiuntiva se è conseguita la esecuzione in forma specifica, in via sostitutiva se è
ottenuta la risoluzione del contratto.

Gli effetti del contratto preliminare di regola si producono alla stipula del contratto
definitivo, tuttavia è diffusa nella prassi anticipare al momento del preliminare
alcuni effetti del contratto definitivo. (Preliminare anticipato). E’ così frequente che
una parte del prezzo della vendita sia pagata già all’atto della stipulazione del
preliminare e/o che la consegna del bene sia anticipato rispetto alla stipula del
definitivo. Proprio in questo secondo caso, ovvero con il conseguimento anticipato
della disponibilità materiale del bene, si sono appuntati i maggiori dubbi circa la
tutela del promissario acquirente. Tale disponibilità pur qualificandosi come
detenzione tuttavia va a qualificarsi come detenzione qualificata in quanto
finalizzata all’acquisizione della proprietà del bene. Si riconosce dunque al
promissario acquirente oltre l'azione possessoria di reintegrazione una ulteriore
tutela funzionale al conseguimento della proprietà, così in ipotesi di difformità della
cosa consegnata rispetto a quella promessa, la giurisprudenza accorda al
promissario acquirente la tutela contrattuale per inesatta esecuzione della
prestazione dovuta.

Diverso dal contratto preliminare è il contratto preliminare improprio o


compromesso. Quest'ultimo è un contratto definitivo, immediatamente efficace ma
che contiene l'impegno di riprodurre il consenso in una forma determinata . Si pensi
al caso in cui le parti di un contratto di compravendita di un bene immobile redatto
nella forma della scrittura privata, già valido ed efficace, si obbligano a redigere
nuovamente l'atto in forma pubblica.
(E) Responsabilità precontrattuale.
L'ordinamento prescrive che le trattative si svolgano secondo buona fede. La
violazione di tale dovere comporta responsabilità precontrattuale. La dottrina è
divisa se trattasi di responsabilità contrattuale o extracontrattuale mentre la
giurisprudenza è maggiormente incline a qualificarla come responsabilità
extracontrattuale per intervenire prima della conclusione del contratto. L'interesse
protetto è quello della libertà negoziale cioè l'interesse a non essere coinvolti in
trattative inutili e a non stipulare contratti invalidi o inefficaci. Le cause che
tradizionalmente danno luogo alla responsabilità precontrattuale sono la
ingiustificata rottura delle trattative e la mancata comunicazione delle cause di
invalidità.

 Per quanto riguarda l'ingiustificata rottura delle trattative, le parti nella


formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede. La
ingiustificata rottura delle trattative si ha quando le trattative si spingono fino
ad un punto di sviluppo da generare nella controparte il ragionevole
affidamento della conclusione del contratto. Va ribadito però che fino alla
conclusione del contratto, sia la proposta che l'accettazione sono revocabili.
L'arbitraria interruzione delle trattative dopo aver generato nella controparte
l'affidamento nella conclusione del contratto, è causa di responsabilità. Come
causa di responsabilità risulterà dunque l'assenza di giusta causa. Il
danneggiato dovrà provare l'affidamento suscitato nella trattativa, il
danneggiante dovrà provare la giusta causa di interruzione delle trattative.
 Per la mancata comunicazione delle cause di invalidità, la parte che
conoscendo o dovendo conoscere la esistenza di una causa di invalidità non
ne dà notizia all'altra parte, cosicché è tenuta a risarcire il danno che ha
causato all'altra per aver confidato senza sua colpa nella validità del contratto.
Se entrambe le parti conoscevano o erano tenute a conoscere le cause di
invalidità, c'è invalidità dell'atto ma non c'è responsabilità per nessuna delle
due parti. Non c'è responsabilità nemmeno se la parte cui non è stata
comunicata la causa di invalidità era comunque in grado di venirne a
conoscenza con la diligenza. Inoltre, per l'applicazione del dovere di
informazione nei rapporti giuridici contrattuali, la parte risulta ancora
responsabile per la mancata comunicazione di una causa di efficacia del
contratto e a maggior ragione per il mancato compimento degli atti necessari
alla validità o efficacia del contratto.

Anche se il contratto è validamente concluso il comportamento scorretto di una


parte influenza negativamente le scelte dell'altra parte e dunque si atteggia come
illecito civile con il conseguente obbligo di risarcimento dei danni.
Danni risarcibili.

La determinazione dei danni risarcibili è legata alla natura della responsabilità


precontrattuale. Si tende a limitare la responsabilità precontrattuale all'interesse a
non iniziare trattative inutili che hanno comportato la sopportazione di spese,
perdita di altre occasioni, ecc. La liquidazione del danno comprende il danno per la
perdita subita e il mancato guadagno. L'art. 1337 tutela non l'interesse a
perfezionare la trattativa ma quanto quella a non iniziarla inutilmente con perdita di
occasioni favorevoli. Il risarcimento che ha diritto il soggetto danneggiato riguarda il
rimborso delle spese sostenute in previsione della conclusione del contratto
(viaggi,corrispondenza, progetti, ecc.) e le perdite sofferte per non aver concluso
altri contratti. Sul soggetto danneggiato grava l'onore di provare l'illiceità del
comportamento della controparte e i danni subiti.

33
Contenuto.
Determinazione del contenuto contrattuale.
Il contenuto è il voluto delle parti. Esprime l’assetto di interessi realizzato dalle parti,
fissando il risultato programmato dalle stesse: è dunque il punto di riferimento
dell’accordo. Il contenuto del contratto si connette specificamente a due elementi
essenziali del contratto: oggetto e causa. La mancanza o anomalia di uno di tali
elementi determina la nullità del contratto.

(A) Oggetto.
Nozione.
L’art. 1325, n.3, indica l’oggetto tra i requisiti del contratto: l’oggetto è dunque
elemento essenziale (costitutivo) del contratto, la cui mancanza comporta la nullità
del contratto (1418). Non abbiamo però una definizione. L’art. 1470 definisce la
vendita come il contratto che ha ad oggetto il trasferimento della proprietà di una
cosa o il trasferimento di altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo; l’art. 1571
definisce la permuta come il contratto che per oggetto ha il reciproco trasferimento
della proprietà di cose o di altri diritti.
L’oggetto del contratto deve essere a norma dell’art. 1346, sotto pena di nullità:

a) Possibile: indica la suscettibilità di esecuzione delle attribuzioni dedotte nel


contratto e perciò la idoneità dell’atto a realizzare lo scopo programmato. La
possibilità deve essere sia materiale che giuridica: quindi l’attribuzione deve essere,
non solo fisicamente eseguibile, ma anche giuridicamente realizzabile nel senso che
non deve essere vietata dall’ordinamento. Per l’art. 1347, il contratto sottoposto a
condizione sospensiva o a termine è valido se la prestazione inizialmente impossibile
diventa possibile prima dell’avveramento della condizione o della scadenza del
termine; per l’art. 1348 la prestazione di cose future può essere dedotta in
contratto, salvo i particolari divieti della legge

b) Lecito: l’oggetto è illecito quando è contrario a norme imperative, all’ordine


pubblico e al buon costume.

c) Determinato e determinabile: indica il carattere necessariamente definito delle


attribuzione dovute, non potendo sussistere un accordo impegnativo se non è
specificato l’oggetto dello stesso.

Beni futuri.

I contratti di sovente riguardano beni esistenti; non mancano però casi in cui i
contratti facciano riferimento a beni non ancora esistenti: per l’art. 1348 la
prestazione di cose future può essere dedotta in contratto, salvi i particolari divieti
della legge. I contratti aventi ad oggetto beni futuri sono dunque validi, ancorché
inefficaci fino a quando la cosa non diviene ad esistenza. Una generale applicazione
di tali tipi di contratti risulta essere in materia di vendita, relativamente alla vendita
di cose future. L'acquisto della proprietà si verifica quando la cosa viene ad
esistenza. Qualora le parti non abbiano concluso un contratto aleatorio, la vendita è
nulla se la cosa non viene ad esistenza. È dunque importante distinguere i contratti
aleatori dai contratti commutativi.

Il contratto è aleatorio quando c’è assunzione del rischio della venuta ad esistenza
della cosa: la prestazione corrispettiva all’alienazione della cosa futura è comunque
dovuta quantunque la cosa futura non venga ad esistenza.
Esempio, il compratore del futuro raccolto di un fondo agricolo è tenuto al
pagamento del prezzo pattuito quantunque il raccolto non verrà ad esistenza o sarà
distrutto.
Il contratto è commutativo quando non c’è assunzione del rischio della venuta ad
esistenza della cosa: la prestazione corrispettiva all’alienazione della cosa non sará
dovuta se la cosa non verrà ad esistenza. In assenza di previsione il contratto si
presume commutativo. Riprendendo l'esempio precedente, il prezzo non sarà
dovuto se il raccolto non verrà ad esistenza o sarà distrutto.

(B) Causa
Evoluzione del concetto di causa.
Per comprendere il concetto di causa del negozio è necessario partire da alcuni
esempi tratti dalla vita di tutti i giorni. Le azioni, anche più semplici, che
normalmente compiamo in una giornata sono quasi sempre indirizzate a un fine; se
ho sete prendo un bicchiere d'acqua per bere, se devo spostarmi posso usare un
automobile o un mezzo pubblico pagando un biglietto.
Scopo, causa, del prendere il bicchiere d'acqua è bere, scopo, causa del trasporto su
un autobus è di giungere nel luogo di destinazione. Tutte le azioni umane sono,
quindi, rivolte a uno scopo, hanno una causa, e questo vale anche per i negozi
giuridici. La causa del negozio giuridico è quindi lo scopo che attraverso tale mezzo si
vuole perseguire.

Questa è una prima definizione della causa, ma in dottrina vi sono diverse teorie
sulla causa, e le più importanti sono: la causa come lo scopo, rilevante dal punto di
vista sociale e\o economico, che s'intende conseguire attraverso il negozio giuridico
oppure la causa rappresenta gli scopi concreti che le parti attraverso il contratto
intendono soddisfare.
Anche la causa è richiesta come requisito del contratto(1325, 2); ma manca una
nozione normativa di causa. L’art. 1418 prevede la nullità le contratto per mancanza
della causa o per la sua illiceità: dunque la causa è un elemento essenziale del
contratto.

Il tipo contrattuale.

Il c.c. parla sia di “tipo” che di “causa” del contratto. Per l’art. 1322 le parti posso
concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare
purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento
giuridico; e per l’art. 1323, “tutti i contatti, ancorché non appartengano ai tipi aventi
una disciplina particolare, sono opposti alle norme generali.
Il tipo indica lo schema diffuso di una operazione economica, talvolta nella struttura,
talaltra nel contenuto, talaltra ancora per entrambi i profili.
Tipo sociale: si ha mero tipo sociale quando uno schema di operazione, ancorché
operante nella realtà sociale e meritevole di tutela, non è ancora disciplinato
dall’ordinamento;
Tipo legale: indica uno schema di operazione economica diffuso nella realtà sociale e
proprio perciò assunto dall’ordinamento giuridico come struttura generale astratta
dell’operazione e come tale regolata: esprima la causa astratta del negozio.
Talvolta la tipicità inerisce ad una categoria di atti in ragione di specifiche e comuni
esigenze suscitate, al fine di apprestare una disciplina uniforme tutela. es. forniture
di beni di consumo. È possibile cogliere la distinzione tra contratti tipici e atipici.

 Contratti tipici: hanno una struttura fissata per legge, con conseguente
previsione legale della relativa disciplina.
 Contratti atipici: utilizzano uno schema non riconducibile ad alcun tipo legale
o perché è del tutto nuovo o in quanto il tipo legale è variamente modificato.

Quando è utilizzato un tipo legale, l’impiego dello stesso implica di per sé conformità
all’ordinamento dello schema impiegato: va solo verificata, la liceità e la
meritevolezza dell’assetto di interessi attuato.
Quando non è utilizzato un tipo legale, bisogna preliminarmente verificare la
compatibilità con l’ordinamento dello schema di operazione impiegato e poi
compiere la consueta verifica di liceità e meritevolezza dell’assetto di interessi
attuato.

Assenza di causa e astrazione di causa.


Per l’art. 1323 tutti i contratti sebbene non appartengono ai tipi che hanno una
disciplina particolare sono sottoposti alle norme generali sul contratto: perciò
devono avere una causa. L’adozione di un tipo legale facilita la rilevazione della
causa per essere lo schema utilizzato previsto dall’ordinamento; mentre l’impiego di
un contratto atipico implica la preliminare verifica di conformità all’ordinamento
dell’operazione realizzata.
In ogni caso una causa concreta deve esistere in tutti i contratti. Per consentire la
verifica di legalità del contenuto del contratto la causa deve, non solo esistere, ma
anche risultare dal contratto: solo attraverso l’individuazione della causa è possibile
verificare la conformità all’ordinamento dello specifico assetto di interessi. Sono
nulli i contratti dai quali non risulta la causa in quanto non è possibile verificare
l’operazione economica realizzata.
Di conseguenza il nostro ordinamento vuole che dai contratti e dai negozi risulti
sempre lo scopo, la causa.
Il sistema italiano conosce solo rari casi di negozi astratti, ovvero negozi in cui non
risulta la causa, ci riferiamo ad esempio alla cambiale. Questo titolo di credito è
emesso senza che si faccia riferimento ad alcun rapporto sottostante che ha spinto
l'emittente a rilasciare la cambiale. Tale rapporto può essere irrilevante nei confronti
dei successivi prenditori della cambiale ai quali non si potrà opporre il vizio della
causa al fine di non eseguire quanto stabilito dal titolo. La causa invece sarà
rilevante nei rapporti tra l'emittente della cambiale e primo prenditore. Anche la
cambiale quindi non è totalmente astratta, ma l'astrazione sicuramente caratterizza
il titolo. Tale esempio fatto fa riferimento alla astrazione sostanziale da non
confondere con l'astrazione processuale. Ad esempio nella promessa di pagamento
o di accertamento del debito, in questo caso non c'è astrazione della causa, ma
quando il creditore citerà in tribunale il debitore inadempiente non sarà lui a dover
provare il suo diritto e la causa, ma sarà se mai il debitore a provare che la promessa
o l'accertamento è stata fatta senza una valida causa. Appare evidente che qui non
si ignora la causa, visto che potrà essere invocata in tribunale, ma vi sarà una
semplice inversione dell'onore della prova.

Liceitá e meritevolezza della causa.


Una causa può esistere e risultare dal contratto ma essere illecita o non meritevole
di tutela. Tutti i contratti sono soggetti al controllo di legalità sebbene con intensità
diversa a seconda che sia impiegato o meno un tipo legale.
Quando un contratto è nullo per illiceità, non assume rilevanza giuridica l’eventuale
adempimento dello stesso. La illiceità della causa comporta la nullità del contratto
(art. 1418).

a) Quanto al controllo di liceità, per l’art. 1343 la causa è illecita quando è contraria
a norme imperative (cd, norme inderogabili, es. è nullo il contratto che esclude o
limita preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o colpa grave, 1229),
all’ordine pubblico (si allude ai principi e valori fondamentali dell’ordinamento,
desumibili dalla Carta costituzionale, art.2, e dal diritto europeo convenzionale,
principio di buona fede e divieto dei patti successori) o al buon costume (sfera di
pudore sessuale allargato alla cd. morale sociale).
Mentre la illiceità per violazione di norme e imperative e dell’ordine pubblico
comporta la nullità del contratto, con conseguente ripetizione di quanto si è
prestato, la illiceità per contrarietà al buon costume, pur comportando la nullità del
contratto, preclude la ripetizione di quanto prestato: per l’art. 2035 chi ha eseguito
una prestazione per uno scopo che, anche da parte sua, costituisca offesa al buon
costume non può ripetere quanto ha pagato. Regola tradizione che nessuno può
invocare la propria immoralità per conseguire un vantaggio. Ricordiamo che il
contratto è illecito anche se sono illeciti l’oggetto, il motivo, la condizione.

b) Quanto al controllo di meritevolezza, manca una nozione specifica


nell’ordinamento: un unico richiamo è nell’art. 1322 dove è la previsione di
possibilità di contratti atipici purché “diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela
secondo l’ordinamento giuridico”.
I due controlli finiscono inevitabilmente per intrecciarsi e sovrapporsi, nel senso che
l’uno coinvolge l’altro: se un contratto è illecito, non è neppure meritevole di tutela.
L’area della meritevolezza, scissa dalla illiceità, è dunque meramente residuale e
può delinearsi in due sole prospettive. Verifica della coerenza tecnica dello
strumento contrattuale utilizzato con le strutture del sistema giuridico; altro terreno
di emersione di un autonomo controllo di meritevolezza è quello della regolazione
di interessi futuri o bizzarri. Nella verifica di meritevolezza c’è anche la necessità di
non impegnare l’apparato giudiziario nella soluzione di contese inutili, attesa la
notoria mole inevasa di processi pendenti.

Il contratto in frode alla legge.


Per l’art. 1344 si reputa illecita la causa quando il contratto costituisce “il mezzo per
eludere l’applicazione di una norma imperativa”. C’è un abuso del mezzo utilizzato:
si realizza cioè una elusione della norma giuridica, infrangendo e deformando lo
strumento legale impiegato. Il tipico esempio è la vendita con patto di riscatto
stipulata per una causa di garanzia al fine di aggirare il divieto del patto
commissorio. Più spesso la frode alla legge avviene attraverso una sequenza di atti.
Accertata la frode alla legge consegue illiceità e dunque la nullità del contratto. Un
campo di applicazione incisiva della categoria dei contratti in frode alla legge è
quello tributario dove affianco alla evasione fiscale opera la elusione fiscale quale
mezzo di aggiramento della norma tributaria.

Motivi.

I motivi costituiscono lo scopo individuale che ha spinto un soggetto a porre in


essere negozio giuridico.

Un esempio chiarirà facilmente la differenza.


Se intendo acquistare un appartamento posso farlo per una serie di motivi; ad
esempio lo acquisto perché penso di essere trasferito in quella città oppure perché
ritengo il luogo maggiormente collegato con il centro.
È evidente che se ogni volta si dovesse dare rilevanza ai motivi potrebbe accadere
che nel caso in cui mi sia già impegnato per l'acquisto dell'immobile senza poi
ottenere più il trasferimento che speravo, potrei legittimamente impugnare il
contratto di compravendita sostenendo proprio il mio errore sui motivi.

Proprio per evitare simili conseguenze si è stabilita l'irrilevanza dei motivi individuali.

Quanto detto però, non è sempre vero. Può darsi, infatti, che le parti intendano dare
rilevanza ai motivi trasformandoli in una clausola condizionale, ma in alcuni casi è la
legge a darvi rilevanza.

Questo è il caso dell'articolo 1345 c.c. che stabilisce:

1) il contratto è illecito quando le parti si sono determinate a concluderlo


per un motivo illecito comune ad entrambe.

Come si vede la norma costituisce un'eccezione alla regola della irrilevanza dei
motivi che, se illeciti, possono provocare la nullità del contratto.
Per arrivare a tanto, però, è necessario che il motivo illecito sia comune ad
entrambe e sia stato l'unica ragione che ha determinato le parti a contrarre.
Se, ad esempio, acquisto un appartamento per impiantarvi una casa di
prostituzione, il contratto di compravendita sarà valido se il venditore non sapeva
dell'uso che intendevo fare dell'immobile;
ma se il venditore era a conoscenza delle mie intenzioni e mi ha preferito ad altri
acquirenti magari proprio perché intendeva approfittare dell'attività illecita, ecco
che il contratto di compravendita sarà nullo per illiceità dei motivi.

Vediamo ora altri casi in cui la legge attribuisce rilevanza al motivo:

 donazione: il motivo illecito rende nulla la donazione se è il solo che ha spinto


il donante (articolo 788 c.c.); l'errore sul motivo è rilevante quando sia l'unico
che ha determinato la liberalità (articolo 787 c.c.)
 testamento: il motivo illecito rende nulla la disposizione testamentaria
quando è stato il solo che ha spinto il testatore a disporre ( articolo 626 c. c.);
l'errore sul motivo è rilevante quando sia l'unico che ha determinato la
liberalità (articolo 624 c.c.)
La presupposizione.
Accanto agli elementi costitutivi del contratto rilevano spesso i cd. presupposti del
contratto, che possono essere di fatto e di diritto. La presupposizione designa un
presupposto di fatto o di diritto assunto dalle parti a fondamento del contratto,
perciò rilevante per la efficacia dello stesso, pur senza essere oggetto di espressa
pattuizione. Si è soliti anche di parlare di condizione inespressa. La presupposizione
perciò non è oggetto di una statuizione contrattuale, ma emerge dalle circostanze,
che i contraenti hanno tenuto presente nel contratto come presupposto dello
stesso. “es. locazione di un balcone per assistere a un evento”.
Secondo l’impostazione volontaristica essa esprime il motivo di ciascun contraente e
dunque è come tale irrilevante; secondo una diversa visione, rileva quando è
comune alle parti o quando, ancorché assunta da una sola parte, sia nota alla
controparte. Nella impostazione funzionalista la presupposizione è ricondotta alla
causa concreta del contratto.
Nei termini indicati la presupposizione assume rilevanza sia quando la situazione
presupposta esistente non esiste al momento della conclusione del contratto, sia
quando quella contemplata come futura non si realizza: nella prima ipotesi, il
contratto è inefficace sin dalla nascita in quanto nulla; nella seconda, lo diventa
successivamente attraverso la risoluzione.

Combinazione di fasci di prestazioni. Contratto complesso (specie misto)


e collegamento negoziale.
a) Si ha contratto complesso quando singoli fasci di prestazioni sono dalle parti
combinati in un contratto unico e unitario strutturalmente e funzionalmente. Sono
coinvolte prestazioni eterogenee, che possono attingere anche a più schemi astratti,
ma che sono in fatto programmate e organizzate in un negozio finalizzato al
perseguimento di un risultato unitario. Non bisogna confondere tra negozio e
documento che lo contiene: in uno stesso documento possono essere stipulati più
negozi, mentre attraverso più documenti può ricostruirsi un negozio unitario.
Il fenomeno è bene evidente in presenza di cd. obbligazioni aggiuntive alla
obbligazione principale assunta, con carattere strumentale o accessorio. Le
obbligazioni strumentali mirano a consentire o agevolare l’attuazione del contenuto
tipico del contratto, al di fuori del quale non conserverebbero un’autonomia
giuridica: si pensi, relativamente al contratto di trasporto, alle operazioni di imbarco
e sbarco dei passeggeri. Le obbligazioni accessorie sono suscettibili di formare
oggetto di autonomi contratti, ma sono nelle specie connesse al concreto contenuto
del contratto utilizzato: nell’esempio fatto del trasporto, si pensi all’assicurazione
della merce o alla prestazione di vitto e alloggio per i passeggeri.
In effetti, nella realtà economica, le cd. obbligazioni aggiuntive sono quasi sempre
principali in quanto o sono strumentali al conseguimento dello scopo programmato
o concorrono alla determinazione dell’assetto di interessi perseguito dalle parti,
indipendentemente dal fatto che le stesse siano adempiute dal debitore
direttamente o avvalendosi di ausiliari.
Quando tali fasci di prestazioni rispecchiano pi tipi leali si dà propriamente luogo al
cd. contratto misto, che è la figura più diffusa di contratto complesso. Gli elementi
tipici di più schemi tipici concorrono alla elaborazione di un unitario intento
negoziale in funzione del conseguimento di uno scopo unitario, con le varianti e i
collegamenti dettati dalle necessità del caso concreto. Il contratto misto si configura
dunque come un contratto atipico, per non essere riconducibile ad un compito
schema legale, ma per risultare dalla combinazione di più frammenti di schemi tipici
finalizzati ad un unico rapporto e ad un unitario assetto di interessi; es. negotium
mixtum cum donatione o contratto di residence (locazione di un appartamento con
erogazione di servizi) o parcheggio (custodia + locazione).

b) Si ha collegamento negoziale quando singoli fasci di prestazioni integrano più


contratti strutturalmente autonomi, ma connessi e funzionalmente orientati al
conseguimento di uno scopo pratico unitario. Le parti perseguono il risultato
programmato mediante una pluralità coordinata di più contratti che conservano la
propria causa autonoma, ma teologicamente convergenti verso un risultato
economico unitario e complesso attraverso una interdipendenza funzionale dei
diversi atti. Ognuno dei differenti contratti mantiene la sua individualità, e come tale
va verificato e deve essere eseguito: ma i cari contratti sono connessi a un vincolo
che li indirizza al perseguimento di un risultato complesso e unitario che sopravanza
le funzioni tipiche dei singoli contratti, sicché le vicende che investono un contratto
sono destinate a ripercuotersi sugli altri. Rispetto alla struttura del singolo contratti
si ha un fenomeno di negozio con causa esterna, in quanto è la causa della
complessiva operazione economica che giustifica la struttura dei singoli negozi.
La connessione tra i negozi può integrare un vincolo unilaterale tra i contratti nel
senso di subordinazione di un contratto all’altro, come può dispiegarsi in un vincolo
plurilaterale nel senso di concorrente implicazione tra i singoli contratti. Uno dei
terreni significativi di emersione di contratti collegati è quello dei viaggi organizzati.
L'accordo simulatorio.

Nozione: Simulare vuol dire fingere, nella simulazione la parti di un contratto


fingono di stipularlo ma, in realtà, o non ne stipulano nessuno (simulazione assoluta)
oppure ne pongono in essere un tipo diverso rispetto a quello che appare
(simulazione relativa).

Come si vede dalla nozione, le parti d'accordo e consapevolmente fingono di


stipulare un contratto perché vogliono che all'esterno (e quindi nei confronti dei
terzi) appaia una certa situazione giuridica da poter invocare quando occorra,
mentre all'interno è rilevante ciò che hanno stabilito tra loro circa il contratto
simulato.
Elemento fondamentale della simulazione è, quindi, "l'accordo simulatorio" cioè
quello che le parti hanno stabilito in merito al negozio simulato, cioè sul fatto che il
contratto è simulato e non ha effetto tra le parti. L'accordo simulatorio è essenziale
per l'idea stessa di simulazione, deve essere precedente o contemporaneo all'atto
simulato e non va diffuso con la controdichiarazione che serve solo a provare per
iscritto l'esistenza dell'accordo, atto che potrebbe anche mancare.

La simulazione è prevista dall'articolo 1414 c.c. che ne distingue due tipi:

 Simulazione assoluta: le parti vogliono solo fingere di porre in essere un


contratto ma in realtà non ne stipulano nessuno. Esempio, il caso in cui si
finge di vendere una casa ma questa rimane di proprietà del finto venditore. Il
contratto simulato non ha effetto tra le parti.
 Simulazione relativa: le parti fingono di stipulare un contratto mentre, in
realtà ne pongono in essere un altro: si simula di vendere una casa, ma questa
viene donata al finto acquirente. In questo caso vale il negozio dissimulato,
cioè la donazione, mentre non ha effetto la finta vendita.

In caso di simulazione relativa l'atto dissimulato per essere valido deve avere i
requisiti di sostanza e di forma voluti dalla legge; nell'esempio fatto, la dissimulata
donazione dovrebbe essere fatta per atto pubblico, ma parte rilevante della dottrina
ritiene che il requisito della forma sia soddisfatto quando l'atto simulato ( e quindi
nell'esempio la vendita) abbia i requisiti di forma necessari per la validità dell'atto
dissimulato (cioè vendita per atto pubblico simulando una donazione). Il negozio
simulato è inefficace, e per questo motivo si parla spesso di nullità di tale negozio,
ma tale posizione lascia perplessi, sia perché lo stesso art. 1414 fa riferimento
esplicito alla inefficacia, più che alla nullità, sia perché l'intera disciplina del negozio
simulato ( pensiamo alle limitazioni alla prova testimoniale) non adatta
perfettamente con l'ipotesi di nullità.
Di solito la simulazione ha ad oggetto un negozio giuridico, ma in altri casi può
riguardare una delle parti del negozio, si distingue in proposito tra:

 Simulazione relativa oggettiva: quando la finzione inerisce al contenuto


dell'atto. Ad esempio si stipula una vendita simulata che cela una sottostante
donazione per evitare l'azione di riduzione degli eredi legittimari.
 Simulazione relativa soggettiva: quando la finzione inerisce alle parti. Ad
esempio un imprenditore acquista un immobile intestandolo fittiziamente ad
un altro soggetto per evitare la esecuzione forzata dei propri creditori

Nella simulazione soggettiva una delle parti è un semplice "prestanome";


quest'ultimo, in realtà, è parte negoziale solo in apparenza mentre vera ed unica
parte negoziale è quella che non appare, titolare dell'interesse negoziale, che usa il
prestanome come uno schermo.
È chiara la differenza tra questa ipotesi e quella relativa alla rappresentanza
indiretta; qui, infatti, il prestanome non acquista nemmeno per un attimo la veste di
parte negoziale e non esiste alcun contratto di mandato, mentre nella
rappresentanza indiretta, di regola, c'è un contratto di mandato ed il mandatario
acquista per sé con l'obbligo di ritrasferire gli effetti del negozio al mandante.
Non bisogna confondere, inoltre, la simulazione con il negozio indiretto ed il negozio
fiduciario. In entrambi i casi, infatti, i negozi producono gli effetti voluti, cosa che
non accade nella simulazione. Di regola con la simulazione, per il fatto di fingere, si
tende a realizzare un inganno nei confronti di terzi. L'esperienza giudiziaria ci mostra
generalmente 4 bersagli a danno dei quali l'inganno è più spesso perpetrato: verso i
creditori quando il debitore mira a vanificare l'esecuzione dei creditori sul proprio
patrimonio; verso gli eredi legittimari quando il testatore vuole preferire uno degli
eredi; verso il fisco quando si dichiara un prezzo inferiore al reale aggirando
l'imposizione tributaria; verso il coniuge quando uno dei coniugi vuole evitare che il
bene acquistato cada in comunione con l'altro coniuge. C'è da dire ancora che
entrambi i negozi (simulazione assoluta e relativa) sono effettivamente voluti dalle
parti e questo elemento costituisce la radicale differenza fra l'istituto qui in esame e
l'errore vizio dal quale può derivare una pronuncia di annullamento del contratto.
Nella simulazione infatti la mancata produzione degli effetti del contratto o la
produzione di un effetto diverso rispetto al contratto simulato è espressamente
voluta dalle parti ed è uno dei motivi principali che le ha spinte ad agire.
Effetti della simulazione.

Bisogna valutare distintamente gli effetti della simulazione tra le parti e rispetto ai
terzi.

Effetti tra le parti: regola generale è che “il contratto simulato non produce effetto
tra le parti” (1414). Indirizzo consolidato dalla giurisprudenza è che il contratto
simulato è nullo. Dunque, nella simulazione assoluta, non si realizza alcun effetto.
Il secondo comma dello stesso articolo regola la simulazione relativa “ se le parti
hanno voluto concluder un contratto diverso da quello apparente, ha effetto tra
esse il contratto dissimulato, purché ne sussistano i requisiti di sostanza e di forma”.
Dunque, ferma la nullità del contratto simulato, produce effetto tra le parti il
contratto sottostante (dissimulato) quale contratto realmente voluto. E’ però
necessario che il contratto sottostante sia lecito e che abbia la forma prescritta ad
substantiam. (Ad esempio una donazione dissimulata deve essere stipulata per atto
pubblico con la presenza di due testimoni.)

Effetto rispetto ai terzi: il regime degli effetti verso i terzi involge il problema della
opponibilità della simulazione ai terzi. Lo stesso è pertanto governato dal generale
principio della tutela della buona fede dei terzi e cioè dell’affidamento. Regola base
è dunque che le parti del contratto simulato non possono opporre la simulazione ai
terzi che, in buona fede, hanno acquistato diritti dal titolare apparente, salvi gli
effetti della trascrizione della domanda di simulazione. In sostanza, con la creazione
di un negozio fittizio, le parti corrono il rischio di suscitare l’affidamento dei terzi:
essendo le parti stesse non incolpevoli, anzi addirittura artefici della finzione,
soccombono rispetto ai terzi che hanno fatto affidamento sulla titolarità apparente,
bensì originata dalla simulazione ma comunque immessa nella realtà giuridica.
Viceversa i terzi possono far valere la simulazione nei confronti delle parti quando la
stessa arrechi pregiudizio ai loro diritti (1415) così da fare emergere la realtà
sottostante contro l’apparenza.

Effetto verso i creditori: un discorso a parte deve essere fatto in merito della
simulazione nei confronti dei creditori delle parti. Avremo infatti due categorie.

 I creditori del simulato alienante che avranno interesse a far valere la


simulazione poiché vogliono far tornare nel patrimonio del loro debitore
quello che apparentemente era uscito.
 I creditori del simulato acquirente che avranno un interesse opposto ai primi
in quanto vorranno far considerare efficace l'atto di acquisto del loro debitore
in modo da essere più garantiti.
 Potrebbe accadere quindi che entrambe le categorie di creditori intendano
soddisfarsi sul bene oggetto del contratto simulato. Chi prevarrà? Risulta
essere intuitivo che prevarranno i creditori del simulato alienante se il credito
è sorto prima del contratto simulato, in quanto sussiste la finzione, ovvero il
bene non è mai uscito dal patrimonio del loro debitore. Ma quando il loro
credito è sorto dopo la finta alienazione prevarranno i creditori del simulato
acquirente.

Azione di simulazione e prova della simulazione.

l’azione di simulazione mira ad ottenere una pronuncia di accertamento. Nel caso di


simulazione assoluta l'azione è ritenuta imprescrittibile mentre nel caso di
simulazione relativa la domanda è soggetta ad un termine di prescrizione che varia a
seconda del tipo di contratto simulato.

b)il regime probatorio risulta essere notevolmente diversificato a seconda che


l'azione di simulazione sia proposta dalle parti, dai creditori o dai terzi.

I terzi, insieme a creditori, godono di una tutela maggiore dal punto di vista
probatorio in virtù della difficoltà di reperire le prove di un accordo simulatorio al
quale non hanno partecipato. Per tale ragione sono ammessi a provare la
simulazione con qualsiasi mezzo e in particolare per “testimoni senza limiti e
presunzioni”. I terzi sono tenuti a provare il pregiudizio che subirono dal contratto
apparente e perciò l’interesse alla inefficacia del contratto simulato. Non devono
invece provare l'elemento psicologico degli autori del contratto simulato di
danneggiarli in quanto tale tipo di prova è invece a fondamento della eventuale
ulteriore domanda di risarcimento dei danni per fatto illecito.

Quanto alle parti queste possono beneficiare del medesimo regime probatorio
previsto per i terzi unicamente nel caso in cui intendano provare l'illiceità del
contratto dissimulato. Vediamo cosa accade negli altri casi. In caso di simulazione
assoluta la prova dell'inesistenza del negozio simulato potrà essere esperita per
mezzo di testi solo nelle ipotesi di impossibilità materiale o morale di procurarsi la
prova scritta e il caso di perdita incolpevole del documento.
In caso di simulazione relativa la prova dell'esistenza del negozio dissimulato potrà
essere esperita per mezzo di testi nella sola ipotesi di perdita incolpevole del
documento. Interrogatorio formale, giuramento o confessione sono ammissibili per
provare la simulazione tra le parti quando non riguardano negozi solenni per i quali
la forma scritta sia prevista ad substantiam.
Negozi indiretti e fiduciari.

Negozio indiretto: Si verifica questa ipotesi quando, attraverso la combinazione di


diversi atti, si giunge ad un risultato diverso rispetto a quello tipico dei singoli atti
utilizzati, risultato che è il vero scopo che vogliono raggiungere le parti con il negozio
indiretto.

Si pensi, ad esempio, al caso di chi volendo alienare un bene, ma evitare di usare lo


strumento del contratto di compravendita, conferisce un mandato irrevocabile ad
amministrare il bene.

Il negozio indiretto può essere usato per perseguire scopi illeciti; in questa ipotesi
abbiamo una combinazione di atti che presi singolarmente sono leciti, ma combinati
tra di loro producono un risultato vietato. Pensiamo, ad esempio, al caso della
vendita di beni pignorati; questi non possono essere aggiudicati al debitore, ma
questo potrebbe eludere il divieto stipulando un contratto di mandato grazie al
quale il mandatario si obbliga a concorrere per l'aggiudicazione del bene pignorato.
In questi casi si parla di negozio in frode alla legge, negozio nullo a norma
dell'articolo 1344 c.c.

Negozio fiduciario: È un'ipotesi di negozio indiretto; in questo caso si attua il


trasferimento di un bene, ma con l'accordo che il bene sarà usato secondo le
istruzioni impartite dall'alienante. In questo caso l'alienante assume la veste di
fiduciante mentre l'intestatario del bene assume la veste di fiduciario; pensiamo al
caso in cui si trasferisca un pacchetto azionario, con l'accordo che l'acquirente dovrà
votare all'assemblea dei soci nel modo indicato dall'alienante.

Il negozio è valido se non intende perseguire scopi illeciti.

Tradizionalmente si distinguono due tipi di negozio fiduciario:

 a. fiducia cum amico: si trasferisce il bene ad un altro soggetto con l'accordo,


però, di far godere il bene ad altri
 b. fiducia cum creditore: si trasferisce il bene al proprio creditore con
l'accordo che estinta l'obbligazione, il creditore dovrà ritrasferire il bene al suo
ex debitore

Quest'ultimo tipo di negozio può però essere considerato nullo se l'intenzione delle
parti è stata quella di violare il divieto del patto commissorio ex art. 2744 c.c.
Il trust.
L'istituto della fiducia non è regolato nel nostro ordinamento, ma diversamente
accade per l'ordinamento anglosassone dove esiste la figura del trust ( fiducia, in
italiano). Per trust si intende il rapporto giuridico in virtù del quale un soggetto
costituente (settlor), con atto tra vivi o mortis causa, pone i propri beni sotto il
controllo di un diverso soggetto, persona fisica o società, di sua fiducia (trustee)
nell'interesse di un terzo (beneficiary). Il trust si presenta ad essere utilizzato in più
direzioni, ad esempio in materia familiare, consente la gestione di beni di un minore
fino alla maggiore età o di un disabile fino ad una certa data. Ancora i beni conferirti
in trust, benché intestati nel nome del trustee costituiscono una massa distinta e
non fanno parte del patrimonio del trustee, il quale è investito del potere e onerato
dell'obbligo di amministrare, gestire o disporre beni secondo i termini del trust e le
istruzione del costituente, nel rispetto delle norme di legge.

Visto in tal modo l'istituto del trust non sembra differenziarsi da quello della fiducia
cum amico del diritto romano, ma vi è una importante differenza, che consiste nel
fatto che il bene oggetto del trust non entra a far parte del patrimonio del fiduciario,
cioè del trustee, rimanendone distinto. La peculiarità di tale struttura è che i beni
conferiti in trust formando una massa distinta dal patrimonio del trustee non
sarebbero assoggettabili a pignoramento o sequestro da parte dei creditori del
trustee, in deroga alla regola generale dell'articolo 2740. Se tra i beni conferirti in
trust vi sono beni immobili, l'atto costitutivo del trust sarà soggetto a trascrizione
negli appositi registri immobiliari ai fini dell'opponibilità ai terzi.

Il trust è previsto in una Convenzione internazionale stipulata all'Aja il primo luglio


1985, che è stata resa esecutiva in Italia con l. n. 364\1989. Non c'è concordia, però,
sull'ammissibilità del trust nel nostro ordinamento, poiché la sua struttura sembra
incompatibile con il regime della trascrizioni immobiliari, anche se la giurisprudenza,
sembra ammetterlo, anche in relazione al c.d. trust interno, stipulato, cioè tra
cittadini italiani e per beni che si trovano in Italia.

Qualche autore ha creduto di vedere un'applicazione concreta del trust in Italia con
il nuovo articolo 2645 ter del codice civile introdotto con con l. 23 febbraio 2006, n.
51.
Ma se si legge con attenzione tale articolo, si scopre che si separano alcuni beni del
conferente dal suo patrimonio per permettere di raggiungere determinati scopi,
come la beneficenza; tale atto di separazione patrimoniale può ora essere trascritto
e divenire opponibile ai terzi, anche creditori del conferente.
Rispetto al trust, però, manca la figura del trasferimento fiduciario, manca il
fiduciario, il trustee, esistendo solo il vincolo di destinazione.

Dicotomie fondamentali.

Relativamente alla causa è possibile identificare tre fondamentali dicotomie in grado


di raggruppare significative classi di contratti:
a) Contratti a titolo oneroso e a titolo gratuito:
L’onerosità si caratterizza per la correlazione tra sacrificio e vantaggio: il sacrificio di
una parte nel procurare alla controparte un vantaggio è connesso al sacrificio
dell’altra parte per procurare un vantaggio corrispettivo. Un soggetto è cioè disposto
ad un depauperamento in vista della realizzazione di un interesse. Sono contratti a
titolo oneroso, la vendita, locazione, l'appalto, ma anche quelli per i quali un
soggetto è disposto a un sacrifico economico per l’appagamento di un interesse non
patrimoniale, esempio l'acquisto di un biglietto per assistere ad un evento sportivo.

Tra i contratti a titolo oneroso assume un significato rilievo la distinzione tra


contratti commutatitivi e contratti aleatori.
Nei contratti commutativi l’entità delle reciproche attribuzioni (e dunque la
correlazione tra vantaggio e sacrificio) è certa fin dalla stipula del contratto. Es.
vendita che ha appunto per oggetto il trasferimento di un diritto verso il
corrispettivo prezzo.
Nei contratti aleatori, benché presente la previsione di sacrifici e vantaggi reciproci,
la relativa entità non è predeterminatile: all’atto della conclusione del contratto è
ignoto quale delle due parti subirà il maggior sacrificio e chi il maggior vantaggio. Es.
contratto di assicurazione. La causa concreta dl contratto è quindi caratterizzata da
un’alea e dunque da un rischio a carico delle parti circa il risultato economico che
ciascuna, alla fine conseguirà.
La gratuità nella sua essenza elementare, indica l’attribuzione di un vantaggio senza
un corrispettivo. Ma ciò non implica necessariamente uno spirito di liberalità.
Questo sussiste solo quando l’atto gratuito è compiuto con il precipito intento di
arricchire il destinatario senza conseguire alcun tipo di vantaggio. Esempio tipico è la
donazione che va stipulata con forma solenne.

b) Contratti a prestazioni corrispettive e di una sola parte.


I contratti con prestazioni corrispettive realizzano un nesso di reciprocità tra le
singole attribuzioni: esprimono perciò una specifica prospettiva di valutazione dei
contratti a titolo oneroso. Il criterio della corrispettività intende attribuire rilevanza
al dato ella reciprocità delle attribuzioni patrimoniali, per cui l’attribuzione di
ciascuna parte è in funzione dell’attribuzione dell’atra (ad es. nella vendita, il
trasferimento della proprietà è in funzione del pagamento del prezzo e viceversa).
Tra le attribuzioni si instaura un nesso di interdipendenza, denominato sinallagma
che accompagna l’intera vita del rapporto, così nella nascita (sinallagma genetico)
che durante lo svolgimento dello stesso (sinallagma funzionale): si parla perciò di
contratti sinallagmatici.
Nei contratti con prestazioni d una sola parte c’è sacrificio economico a carico di una
sola parte. Esempio è la fideiussione (1936).

c) Contratti di scambio e comunione di scopo.


Nei contratti di scambio gli interessi sono divergenti e in conflitto, mirando ciascuna
delle parti a perseguire un interesse autonomo e diverso. La direzione delle
attribuzioni è incrociata: ognuno dei contraenti mira al conseguimento di una
specifica utilità tramite il comportamento della controparte. Ad es. nella vendita il
venditore mira a conseguire un prezzo, mentre il compratore tende a procurarsi la
proprietà o altro diritto sul bene.
Nei contratti con comunione di scopo, tutte le parti, anche se con motivazioni
personali eventualmente diverse, tendono a realizzare un interesse comune a tutte.
La direzione delle prestazioni è convergente nel senso che ciascuna attribuzione
mira a realizzare uno scopo comune a tutte le parti e perciò soddisfa l’interesse di
tutti i contraenti. Ad es., per l’art. 2247, con il contratto di società due o più persone
conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo
scopo di dividerne gli utili.

(C) Elementi accidentali.


L'ampliamento del contenuto contrattuale.
Si è visto come solo i cd. elementi essenziali (costitutivi) sono requisiti di validità del
contratto, nel senso che la mancanza o anomalia di uno di essi determina la nullità
del contratto (1325 e 1418); viceversa i cd. elementi accidentali possono essere o
meno presenti, senza influire sulla validità del contratto ed ampliandone il
contenuto.
Gli elementi accidentali sono: condizione, termine ed onere.
Non tutti i negozi giuridici, però, sopportano gli elementi accidentali; abbiamo,
infatti, una categoria di atti detti "Actus Legitimi" che non tollerano l'apposizione di
tali elementi come nel caso del matrimonio che non può essere sottoposto a
condizione o a termine. È da osservare rispetto a tali atti, che in alcuni casi
l'apposizione dell'elemento accidentale non comporta la nullità dell'intero negozio
giuridico, come nell'esempio già fatto del matrimonio (è viziato ma non vizia)
mentre in altri casi apposizione di un elemento accidentale comporta la nullità
dell'intero negozio giuridico come nel caso previsto dall'articolo 475 c.c. relativo
all'accettazione ereditaria.

La condizione.

La condizione è un avvenimento futuro ed incerto dal cui verificarsi le parti fanno


dipendere l'inizio o la cessazione degli effetti di un negozio giuridico (articolo 1353
c.c.).

 La condizione produce i suoi effetti sulla efficacia e non sulla validità del
negozio
 L'efficacia del negozio è subordinata al verificarsi di un evento che si identifica
con la condizione stessa.
 L'evento per essere definito come condizione deve essere futuro ed incerto.

Se l’avvenimento è futuro ma certo, rileva come termine, non come condizione. Può
essere anche indicato il termine entro cui l’avvenimento deve verificarsi.

Abbiamo visto che la condizione determina l'efficacia del negozio; In realtà il codice
civile fa riferimento a due tipi di condizione. Condizione sospensiva e risolutiva.

 1) Si ha condizione sospensiva quando le parti subordinano la produzione


degli effetti al verificarsi di un evento futuro o incerto. Es”un impiegato
acquista un determinato appartamento sotto condizione che venga trasferito
in quella città”
 2) Si ha condizione risolutiva quando il contratto è immediatamente efficace
ma soggetto alla privazione di effetti se interverrà un avvenimento futuro e
incerto. Es. “un impiegato acquista senz’altro un appartamento in una
determinata città, ma se entro un determinato periodo non è trasferito presso
tale città o è trasferito altrove il contratto cessa di produrre effetti.

Bisogna fare ancora ulteriori distinzioni in merito alla condizione anche se meno
importanti delle prime due.

 1) Si ha condizione casuale quando l’avveramento dell’evento dipende dal


caso o da terzi.
 2) Si ha condizione potestativa quando l’avveramento dipende dalla volontà di
una delle parti.
 3) Si ha condizione mista quando l’avvenimento dipende sia dalla volontà di
una delle parti sia del caso.
Di tutte le ipotesi di condizione riportate, sicuramente la più interessante è quella
che riguarda la condizione potestativa.
Abbiamo detto, infatti, che questa si ha quando l'avvenimento oggetto della
condizione dipende dalla volontà di una delle parti, come nel caso in cui stabiliamo
che ti assuma al mio servizio nel caso in cui acquisti un nuovo appartamento. Questa
condizione è perfettamente valida, ma l'articolo 1355 del codice civile chiaramente
dispone la nullità di una alienazione o dell'assunzione di un obbligo che dipenda da
una condizione sospensiva subordinata alla semplice volontà di chi deve vendere o
di chi deve assumersi l'obbligo.

È questa la condizione meramente potestativa che, se apposta, rende nullo l'intero


negozio; la ragione della nullità è semplice: l'ordinamento non può conferire validità
a negozi giuridici che dipendano dalla semplice volontà di un soggetto, come, ad
esempio, ti darò 100 se vorrò o (che è lo stesso) se mi leverò il cappello

Si è detto come la condizione sia una delle clausole più utilizzate dai soggetti di un
negozio giuridico. Tuttavia non si deve credere che l'utilizzo della clausola
condizionale sia illimitato per le parti, poiché attraverso l'utilizzo della clausola si
potrebbe facilmente eludere divieti imposti dall'ordinamento oppure dare validità a
negozi giuridici che per il modo in cui vengo usati non avrebbero alcun
riconoscimento da parte dell'ordinamento giuridico. Vediamo quindi in quali casi
non viene riconosciuta validità alla condizione. In tal modo distinguiamo condizioni
illecite o impossibili.

 1) La condizione illecita è quella contraria a norme imperative, all’ordine


pubblico o al buon costume, secondo la nozione di illiceità della causa. La
condizione illecita, sospensiva o risolutiva, rende nullo il contratto (1354).
Questo tipo di condizioni rendono nullo il contratto cui sono apposte, come
ad esempio nel caso in cui io mi impegni a vendere un appartamento a
condizione che l'acquirente mi permetta la spaccio di droga in una stanza
dello stesso. Nel caso di negozi mortis causa la condizione non rende nullo il
negozio ma si considera non apposta. Esempio la nomina di tizio come erede
di sempronio se uccide Caio. In questo caso però la condizione può rendere
nullo il negozio quando sia stata l'unico motivo che ha determinato il
testatore a disporre.
 2) La condizione impossibile è quella che non ha nessuna possibilità di
realizzazione. Esempio tipico " ti darò 100 se toccherai il cielo con un dito ".
Anche in questo caso bisogna distinguere tra negozi inter vivos e mortis causa;
nei primi la condizione renderà nullo l'intero negozio, mentre nei negozi
mortis causa si avrà per non apposta a meno che non sia stato l'unico motivo
che ha spinto il testatore a disporre.
Sempre in merito alle condizioni impossibili bisogna distinguere il caso della
condizione sospensiva da quello della condizione risolutiva;
la prima, se impossibile, comporta la nullità dell'intero contratto mentre la seconda
non influisce sulla sua validità.
Un esempio chiarirà come mai esiste questa differenza: " ti darò 100 se toccherai il
cielo con un dito ". In questo caso è evidente per quale motivo la condizione
rende nullo l'intero negozio.
Condizione risolutiva impossibile: " continuerai ad abitare nella mia casa sino a
quando toccherai il cielo con un dito ".
Qui il contratto è perfettamente valido in quanto intendo consentire, in realtà, l'uso
perpetuo della mia abitazione.

La condizione illecita o impossibile può essere apposta anche ad un patto


contrattuale e non a tutto l'intero negozio;
in questo caso vi sarà la nullità del singolo patto a meno che risulti che le parti non
avrebbero concluso quel contratto senza il patto reso nullo dalla
condizione (art. 1419 c.c.).

Pendenza.

La condizione, come del resto anche il termine, risulta legata allo scorrere del
tempo.
Abbiamo quindi due periodi relativi alla vita della condizione:

 la fase di pendenza della condizione in cui esiste una situazione di incertezza


circa il suo avveramento
 la fase di avveramento o di mancanza della condizione, in questi casi è la
situazione di incertezza cessa

Pendenza della condizione


Durante la fase di pendenza esiste una situazione di incertezza.
Nel caso di condizione sospensiva, infatti, il diritto non è ancora nato ma potrebbe
nascere; nel caso di condizione risolutiva il diritto esiste ma potrebbe essere
posto nel nulla in seguito all'avveramento della condizione.

Esiste, quindi, una situazione a favore di colui che sarebbe avvantaggiato


dall'avveramento della condizione, situazione che non può essere equivalente ad un
diritto ma a qualcosa di meno, una aspettativa, una aspettativa all'acquisto del
diritto.
Proprio per tutelare questa aspettativa il codice civile all'articolo 1356 permette al
titolare in attesa di avveramento della condizione di poter compiere atti
conservativi; potrebbe ad esempio chiedere che si provveda alla custodia dei beni.
Del resto durante la pendenza alla condizione la parte che ancora è titolare del
diritto deve comportarsi secondo buona fede, proprio per evitare di danneggiare le
ragioni di colui che si trova in una situazione di aspettativa.

In ogni caso è pur sempre vero che sino a quando non si verificherà la condizione, il
titolare del diritto condizionato potrà anche disporne vendendo, per esempio, il
bene oggetto del diritto stesso (art. 1357 c.c.).
Se però la condizione si verifica, l'atto di disposizione sarà inefficace anche nel caso
in cui si sia stabilito che la condizione non abbia efficacia retroattiva a norma
dell'articolo 1360 del codice civile.

L'incertezza della pendenza può sciogliersi in un duplice modo ovvero con


l'avveramento della condizione o con il mancato avveramento della condizione.

Avveramento della condizione.


La condizione si considera avverata quando si verifica l'evento dedotto, è giunta la
nave dall'Asia.
Come si vede si tratta di un evento realmente verificatosi che produce anche degli
effetti giuridici.
In un caso però, si considera avverata la condizione anche quando non sia verificato
l'evento dedotto, quando, cioè, la condizione non si sia verificata per fatto
imputabile a chi aveva un interesse contrario al suo avveramento (art. 1359 c.c.),
come nel caso di chi, invece di aspettare tranquillamente che giunga la nave
dall'Asia, si adoperi per farla affondare. In tale ipotesi il già ricordato articolo 1359
del codice considera la condizione come avverata, considera quindi come se la nave
fosse effettivamente giunta nel porto.

Termine.
a) Il termine di efficacia è un elemento accidentale del contratto e rappresenta un
avvenimento futuro è certo dal quale o fino a quale si producono gli effetti di un
negozio giuridico. Il termine fissa nel tempo gli effetti del contratto: perciò si suol
dire che il termine corre. Nel termine di efficacia il diritto nasce o cessa di esistere
nel giorno indicato dal termine. Il termine iniziale indica l’inizio degli effetti del
contratto, con la nascita del rapporto; il termine finale indica la fine degli effetti del
contratto, con la estinzione del rapporto: il tempo corrente tra il termine iniziale e
quello finale esprime la durata (efficacia) del contratto.

b) il termine di adempimento dell’obbligazione o di scadenza si riferisce sempre ad


un evento futuro e certo ma serve a differire nel tempo l'adempimento di una
obbligazione.
Es. stipulandosi un contratto di locazione nel mese di novembre 2010, si stabilisce
che la locazione ha durata di quattro anni, con decorrenza l’1.1.2011 e scadenza
31.12.2014. Il canone di locazione sarà pagato entro il 5 di ogni mese.

Per la disciplina del termine di efficacia del contratto si applicano le norme sul
termine di adempimento dell'obbligazione art. 1183 e quelle relative al calcolo del
termine di prescrizione.

Onere.

L'onere o modus, afferisce ai soli negozi a titolo gratuito (donazione e testamento),


introducendo un obbligo a carico del beneficiario dell'atto. Di solito quando si pone
in essere un atto di liberalità, per esempio una donazione, non si pretende nulla dal
beneficiario dell'atto; Tuttavia, in certi casi, l'autore dell'atto può volere qualcosa dal
beneficiario, potrebbe stabilire, ad esempio, che il beneficiario della donazione di
una casa dovrà erigere nel giardino una statua del donante. Non bisogna però
confondere in modo con la condizione;
il donante, infatti, non dice: "ti darò la mia casa a condizione che mi erigerai la
statua"
ma dice: " ti ho donato la casa, e se la accetti dovrai costruire una statua nel
giardino".
Di conseguenza il modo obbliga semplicemente il beneficiario, ma non sospende
l'efficacia dell'atto di liberalità.

Potrebbe darsi che l'autore dell'atto di liberalità imponga un onere eccessivamente


gravoso per il beneficiario; in questo caso il beneficiario non è tenuto all'esecuzione
dell'obbligo oltre il valore di ciò che ha ricevuto.

Nel caso in cui il modo fosse impossibile o illecito, si ha per non apposto, salvo che
non risulti essere l'unico motivo che ha determinato la liberalità.

Se, infine, il beneficiario non adempie l'onere, chiunque ha interesse può agire per il
suo adempimento. In ogni caso, però, inadempimento dell'onere non comporta la
risoluzione del negozio, a meno che questa non sia stata prevista come conseguenza
dell'inadempimento.

34
Forma.
Un manifestazione della volontà negoziale non può mai mancare, quale essenziale
mezzo di comunicazione sociale, talvolta però la legge richiede che la volontà sia
manifestata con particolari formalità. La forma indica appunto i modi di
manifestazione della volontà negoziale. L’ordinamento spesso limita l’autonomia
privata, imponendo una forma vincolata della volontà negoziale in ragione della
natura degli interessi coinvolti e delle circostanze in cui la volontà stessa è esperita e
dunque il contratto è concluso. Se non è prescritta una forma vincolata è lasciata ai
privati la scelta della forma con la quale manifestare la propria volontà negoziale e
dunque autoregolare i propri interessi.

La forma per la validità.


L’art. 1325, n.4, prevede la forma come elemento essenziale o costitutivo del
contratto quando è prescritta dalla legge a pena di nullità (cd. forma ad
substantiam). Spesso è richiesto un requisito formale di carattere generico lasciando
ai privati la individuazione della specifica forma. Ad esempio gli atti di alienazione di
immobili devono farsi per iscritto, rimettendo all'autonomia delle parti la scelta tra
atto pubblico o scrittura privata. Talvolta invece è prescritta una forma specifica da
adottare, ad esempio la donazione deve essere fatta per atto pubblico sotto pena
nullità.

La forma ad substantiam può essere prescritta dall’ordinamento (cd. forma legale) e


essere adottata dai privati (cd, forma convenzionale).

a) Forma legale: Il requisito di forma più diffusamente prescritto è la forma scritta,


nei due tipi dell’atto pubblico e della scrittura privata, entrambi collocati dal codice
civile sotto il capo dedicato alle prove documentali. La forma scritta è
tradizionalmente prescritta per gli atti relativi ai beni immobili. Per l’art. 1350
devono farsi per iscritto gli atti che trasferiscono la proprietà o che costituiscono,
modificano o trasferiscono diritti reali o con i quali si rinunzia ai detti diritti; i
contratti di locazione di beni immobili per una durata superiore a nove anni. Il
contratto preliminare è nullo se non è fatto nella stessa forma prescritta per il
contratto definitivo (1350).

b) Forma convenzionale: Per l’art. 1352, se le parti hanno convenuto per iscritto di
adottare una determinata forma per la futura conclusione di un contratto, si
presume che la forma sia stata voluta per la validità di questo. Il fenomeno è
particolarmente diffuso con riguardo ai contratti preordinati alla stipula di un
contratto successivo. In tale ipotesi c’è un’autolimitazione dell’autonomia privata;
ma proprio perché il vincolo non deriva dalla legge, è sempre in potere delle parti,
d’accordo, cancellare il vincolo di forma adottato. La giurisprudenza indica che in
seguito al mancato rispetto di una delle due parti della forma convenzionale vi è la
nullità del contratto.

La forma della prova.


Talvolta è imposto un vincolo di forma, non già per la validità del contratto, ma solo
ai fini probatori (cd. forma ad probationem). La forma ad probationem è richiesta
solo per provare l'esistenza del negozio, come nel caso di trasferimento di azienda.
È necessario sottolineare che il negozio mancante della forma ad probationem è
perfettamente valido ed efficace, ma, in caso di processo, l'unico modo per provare
l'esistenza di quel particolare negozio sarà la forma che la legge richiedeva, salva la
possibilità di ricorrere al giuramento e alla confessione. Quando un contratto deve
essere provato per iscritto, non è ammessa la prova per testimoni, salvo che il
contraente abbia senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova
(2725).

La forma per l’opponibilità.


Sono di sovente prescritte formalità ai soli fini della opponibilità dell’atto ai terzi: il
contratto è dunque valido e produce effetti tra le parti, ma non può farsi valere per i
terzi. I mezzi comunemente impiegati della legge per consentire l’opponibilità
dell’atto ai terzi sono la data certa dell’atto e la pubblicità dello stesso. Emerge un
problema della data certa dell’atto quando questo non è formato per atto pubblico
o con scrittura privata con sottoscrizione autentica. Venendo alla pubblicità,
l’esecuzione della stessa implica una forma specifica dell’atto da rendere pubblico.
La forma nelle tecniche di comunicazione a distanza.
Per tecnica di comunicazione a distanza si intende qualunque mezzo che, senza la
presenza fisica e simultanea del fornitore e del consumatore, possa impiegarsi per la
conclusione del contratto tra le parti. Prima della conclusione di qualsiasi contratto a
distanza, il consumatore deve ricevere dal fornitore, in modo chiaro e
comprensibile, le informazioni necessarie, come le modalità di esecuzione di
restituzione del bene, l’operazione economica, il diritto di recesso, il costo di utilizzo
della tecnica di comunicazione, la durata della validità dell'offerta. In caso di
comunicazione telefonica, l'identità del fornitore, lo scopo commerciale della
telefonata ecc. Il consumatore deve ricevere per iscritto conferma o a sua scelta
ulteriori informazioni prima della esecuzione del contratto. Il consumatore non è
tenuto a nessuna prestazione aggiuntiva in caso di fornitura non richiesta, in ogni
caso l'assenza di risposta non implica il consenso del consumatore. L'impiego da
parte di un professionista del telefono, della posta elettronica, sistemi automatici di
chiamata o di fax richiede il consenso preventivo del consumatore fatta comunque
salva la disciplina in materia di protezione dei dati personali. Per i contratti e le
proposte contrattuali a distanza oppure negoziati fuori dai locali commerciali, il
consumatore ha il diritto di recesso senza alcuna penalità e senza specificarne il
motivo entro il termine di 10 giorni lavorativi il diritto di recesso si esercita con
l'invio entro i termini previsti di una comunicazione scritta alla sede del
professionista mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento,
telegramma, telex, posta elettronica e fax a condizione che sia confermata mediante
lettera raccomandata con avviso di ricevimento entro le 48 ore successive.
La raccomandata si intende spedita nel tempo utile se consegnata all'ufficio postale
accettante entro i termini previsti dal codice o dal contratto. L'avviso di ricevimento
non è comunque condizione essenziale per provare l'esercizio del diritto di recesso.

Il documento informatico. Firma elettronica e digitale.

Le tecniche di comunicazione a distanza comportano l’ulteriore e connesso


problema del rispetto dei requisiti di forma per la validità dei contratti stipulati. Il
problema riguarda i contratti telematici, cioè conclusi per mezzo del computer.

Il documento informatico è la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati


giuridicamente rilevanti. Si realizza così la smaterializzazione del documento.
Quando è apposto una mera firma elettronica, il documento è liberamente
valutabile in giudizio. Quando è sottoscritto con firma elettronica qualificata e
principalmente la firma digitale, ha l’efficacia della scrittura privata. L'utilizzo del
dispositivo di firma si presume riconducibile al titolare salvo prova contraria. Viene
riconosciuta ai sensi dell'articolo. 2703, la forma digitale, o altro tipo di firma
elettronica qualificata autenticata dal notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò
autorizzato. Il documenti informatico, sottoscritto con firma elettronica qualificata o
con firma digitale soddisfa il requisito legale della forma scritta se formato nel
rispetto delle regole tecniche stabilite dall'arte. 71.

35
Regolamento contrattuale.
Atto di autonomia e valutazione ordinamentale.
A seguito della conclusione del contratto l’atto vive nella realtà giuridica per le
statuizioni che in esso sono riposte in vista del risultato perseguito. E ciò, non solo
tra le parti, ma anche rispetto ai terzi; il contratto ormai opera come precetto
dell’autonomia privata e dunque come autoregolamento. Ogni fatto rileva
giuridicamente in ragione della valutazione che dello stesso fa l’ordinamento. Rileva
quindi non solo il testo del contratto, ma anche il contesto di conclusione del
contratto per le circostanze in cui si è formato.
Vanno compiute all’uopo tre operazioni fondamentali: bisogna anzitutto definire il
contenuto del contratto, ricostruendo il comune intento delle parti: ciò implica
un’attività di interpretazione del contratto; poi occorre verificare la configurazione
che del contratto compie l’ordinamento giuridico: ciò comporta la qualificazione
giuridica dell’atto di autonomia privata. Infine va determinato il trattamento
dell’atto da parte dell’ordinamento giuridico: ciò porta spesso ad imporre effetti
diversi e/o ulteriori rispetto a quelli divisati dalle parti, mediante la integrazione del
contratto. Se l’atto va in contrasto con l’ordinamento e non è salvabile, si da luogo
alla invalidità o rescissione e quindi alla privazione di effetti.

(A) Interpretazione.
Le norme sul l'interpretazione.
Le norme sulla interpretazione dei contratti hanno scopo di ricercare il contenuto
giuridicamente rilevante dell'atto
Nella applicazione delle regole contenute in un contratto spesso possono sorgere
dubbi circa la loro interpretazione; può accadere, ad esempio, che le parti si trovino
in disaccordo su quanto stabilito in merito al luogo di pagamento, perché l'atto parla
del solo domicilio del creditore, senza specificare se sia possibile utilizzare anche la
residenza. Tale questione non è senza rilievo, perché è possibile che le parti si siano
riferite in modo generico al domicilio, volendo comprendere anche la residenza.
Può quindi sorgere un problema di interpretazione, e se rimane il disaccordo circa il
contenuto dell'atto, sarà necessario ricorrere alle norme del codice per dirimere la
questione.

Il codice civile, infatti, dedica numerosi articoli (dal 1362 al 1371) alla interpretazione
dei contratti, norme che si suole dividere in due categorie, quelle relative alla
interpretazione soggettiva e le altre relative alla interpretazione oggettiva, da
utilizzarsi quando non si è riusciti, tramite il criterio soggettivo, a risolvere i dubbi
interpretativi.
Tra i due gruppi di norme si inserisce quella contenuta nell'art. 1366 c.c. secondo cui
il contratto deve essere (sempre) interpretato secondo buona fede, buona fede
intesa in senso oggettivo, come regola di condotta da seguire.

Prima di analizzare le norme sulla interpretazione, è necessario puntualizzare che il


contratto deve sempre essere interpretato in maniera "oggettiva", nel senso che
non si andrà a ricercare quella che è stata la reale volontà di ogni parte, (spesso
recondita e inafferrabile) ma quella che appare all'esterno come volontà comune
delle parti, e ciò per esigenze di tutela dell'affidamento e di certezza dei rapporti
giuridici.
Ricordiamo, inoltre, le norme sulla interpretazione si applicano, in quanto
compatibili, anche agli altri negozi giuridici unilaterali.

Cominciamo, quindi, ad elencare le regole interpretative previste dal codice civile.


Interpretazione soggettiva (è volta a ricercare la comune intenzione delle parti).
il contratto deve essere interpretato cercando di ricercare la comune intenzione
delle parti che appare dall'atto,
senza limitarsi al significato letterale delle parole (art. 1362 c.c. comma 1)

Per ricercare la comune intenzione delle parti è anche necessario

 1. valutare il comportamento complessivo delle parti anche posteriore alla


conclusione del contratto (art. 1362 comma 2, interpretazione globale)
 2. procedere alla interpretazione della singole clausole per mezzo delle altre
clausole contrattuali, attribuendo ad ognuna il significato che risulta dal
complesso dell'atto (art. 1363 c.c. interpretazione sistematica)
 3. presumere che le espressioni generali usate nel contratto siano in realtà
rivolte agli oggetti del contratto (art. 1364 c.c. )
 4. se nel contratto si sono indicati dei casi al fine di spiegare un patto, si
presume che siano inclusi nel patto anche altri casi non espressi ai quali può
estendersi lo stesso patto (art. 1365 c.c. interpretazione presuntiva)

Nel caso in cui nonostante l'applicazione delle regole viste, rimangano dei dubbi
circa la comune intenzione delle parti, sarà necessario applicare le norme sulla
interpretazione oggettiva;
lo scopo di questo secondo gruppo di norme è diverso dal quello relativo alla
interpretazione soggettiva;
qui, infatti, più che ricercare la comune intenzione delle parti, tentativo già fallito, si
prova a dare un significato all'atto per evitare che questo sia inapplicabile, e ciò per
motivi di conservazione e di equità.

Interpretazione oggettiva
( è volta a dare un significato al contratto nel caso in cui non si sia riusciti ad
individuare la comune intenzione delle parti).

 nel dubbio il contratto o le sue singole clausole, devono interpretarsi in modo


che abbiano qualche effetto piuttosto nel modo in cui non ne avrebbero
nessuno (art. 1367 c.c. interpretazione utile)
 le clausole ambigue devono interpretarsi secondo le pratiche generali in uso
nel luogo di conclusione del contratto (art. 1368 c.c.)
 le espressioni con più sensi devono interpretarsi, nel dubbio, nel senso più
conveniente alla natura e all'oggetto del contratto (art. 1369 c.c.)
 le clausole inserite in moduli o formulari o in condizioni generali di contratto,
nel dubbio devono essere interpretate a favore del contraente che non l'ha
inserite (art. 1370 c.c.)

Le norme sulla interpretazione oggettiva si chiudono con l'art. 1371 c.c. che detta le
regole finali nel caso in cui nemmeno con l'applicazione delle norme riportate in
tabella si sia riusciti nella interpretazione. Qui si distinguono i contratti a titolo
gratuito da quelli a titolo oneroso.

 Per i contratti a titolo gratuito il contratto, nel dubbio, deve essere


interpretato nel senso meno oneroso per l'obbligato
 Per i contratti a titolo oneroso il contratto, nel dubbio, deve essere
interpretato nel modo che realizzi l'equo contemperamento degli interessi
delle parti.
B) Qualificazione.
Interpretato e quindi definito il contenuto contrattuale, c’è da determinare gli effetti
che l’ordinamento vi attribuisce. In tale direzione si rivela l’essenzialità della
qualificazione dell’atto di autonomia. Con la qualificazione giuridica si compie la
riconduzione del concreto contenuto contrattuale alla realtà normativa, con
l’attribuzione del nomen iuris, in funzione degli effetti da ricollegarvi. L’esito di tale
operazione può essere la riconduzione della fattispecie concreta ad uno tipi legali
previsti dalla legge: in tal caso il contratto è qualificato come tipico, assumendo il
nomen iuris del singolo schema contrattuale cui è ridotto (es. un contratto di
trasferimento della proprietà verso il pagamento del prezzo, risulta essere
riconducibile alla vendita.)

(C) Integrazione.
A seguito della qualificazione, quando il contratto nel suo insieme supera la verifica
ordinamentale, conseguono gli effetti giuridici. Tali effetti sono conformati secondo
lo scopo pratico perseguito dai privati con il contratto, per essere in generale
riconosciuto il diritto dei privati di autoregolare i propri interessi. Regola
fondamentale, art. 1374 “il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel
medesimo espresso ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la
legge, o, in mancanza, secondo gli usi e l’equità”. Lo stesso articolo introduce un
principio generale di gerarchia tra le fonti di integrazione del contratto, ponendo al
primo posto la legge e in assenza di questa gli usi e l’equità. Oggi alla sommità della
scala gerarchica c’è la Costituzione e l’ordinamento dell’UE.

La legge e gli altri atti normativi.


L'art. 1374 pone al primo posto la legge tra le fonti di integrazione è però diffuso
attribuire al termine il significato di norma giuridica così da considerare fonte di
integrazione del contratto qualsiasi atto normativo (legislativo o regolarmentare)
secondo l'ordine gerarchico delle fonti.

Venendo ai modelli di integrazione, c’è da riprendere la distinzione tra norme


dispositive (derogabili) e norme imperative (inderogabili). Proprio in relazione a tale
distinzione si è soliti distinguere tra una integrazione suppletiva e una integrazione
cogente a seconda che la norma da applicare è di ausilio all’autonomia privata ( e
dunque derogabile) o sia antagonista alla stessa (imponendosi imperativamente).

 Integrazione suppletiva: l’autonomia privata non si è esplicata in modo


compiuto. L’integrazione suppletiva è di ausilio all’autonomia privata: mira a
riempire le lacune dell’autonomia privata, consentendo al contratto di
operare nella realtà economica. La lacuna non deve riguardar profili essenziali
del contratto: la integrazione opera quando il contenuto adottato dalle parti,
benché ricostruito nello scopo perseguito e valutato meritevole di tutela,
risulti incompleto. Ne sono chiari esempi le ipotesi in cui, per negligenza o per
altra ragione, non sia indicato il luogo dell’adempimento dell’obbligazione o il
tempo dell’adempimento: in via di supplenza vi provvedono, 1182 e 1183.
 Integrazione cogente: l’autonomia privata si è esplicata in modo esaustivo ed
è in grado di compiutamente operare. L’integrazione cogente è di contrasto
all’automa privata: mira a imporsi coattivamente all’autonomia privata
sovrapponendosi al contenuto contrattuale. Ciò avviene con riguardo
all’applicazione dei valori fondamentali dell’ordinamento (es. protezione
persona umana); ma si verifica anche con riferimento alla salvaguardia di
esigenze essenziali del sistema socio- economico (es. garanzia di trasparenza
del mercato). Problema delicato se la determinazione normativa cogente
sopravvenga dopo la conclusione del contratto.

L’integrazione assume tre modelli diversi


a) Soppressivo: con l’intervento soppressivo la legge si limita a dichiarare la nullità
della singola clausola contrattuale, con la sua conseguente caducazione ( ad es. la
previsione di clausole limitative della responsabilità del debitore per dolo o colpa
grave ai sensi dell’art. 1229). Fenomeno della cd. nullità parziale, che, di regola,
opera nei limiti fissati dal 1419.
b) Additivo: con tale intervento la legge aggiunge imperativamente specifiche
determinazioni al regolamento contrattuale: ad es. le imprese che esercitano
pubblici servizi di linea per il trasporto di persone o di cose devono eseguire i
trasporti secondo la prescrizione dell’art. 1679
c) Sostitutivo: con questo intervento si realizza l’integrazione più penetrante. La
legge prescrive la sostituzione di una determinazione pattizia con altra
autoritariamente imposta. L’eteronomia ribalta l’autonomia: la volontà della legge si
sostituisce alla volontà delle parti. Anche ora il contratto continua a vivere, ma nei
modi conformi all’ordinamento. Art. 1419 “la nullità di singole clausole non importa
la nullità del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme
imperative”
La sostituzione di diritto è automatica per cui avviene anche se la norma imperativa
violata non preveda la espressa sostituzione e senza possibilità di valutazione di una
volontà anche solo ipotetica delle parti.

Gli usi, equità e buona fede.


Gli usi, equità e buona fede: in mancanza della legge, operano come fonti di
integrazione del contratto gli usi e l’equità. In riferimento agli usi, abbiamo due
disposizione che citano questa funzione integrativa: art. 1374 riferendosi agli usi
normativi e l’art. 1340 riferendosi agli usi negoziali, cioè le pratiche
comportamentali diffuse nella prassi commerciale, nella consapevolezza di non
osservare una regola giuridica. Sempre l’art. 1374 ammette l’equità come
subordinata alla legge e agli usi quale fonte di integrazione del contratto. Perciò
l'equità non può mai operare contra legem. Art. 113 c.p.c., fissando i poteri del
giudice stabilisce che “il giudice deve seguire le norme del diritto”, salvo che la legge
gli attribuisca il potere di decidere secondo equità”. Talvolta è la legge stessa a
prevedere espressamente l'intervento del giudice in via di equità: con riguardo alla
valutazione del danno, quando non può essere provato nel suo preciso ammontare;
con riguardo alla riduzione della penale per inadempimento contrattuale quando la
stessa risulta eccessiva;ecc. Il contratto deve essere inteso nel senso meno gravoso
per l'obbligato se a titolo gratuito, e nel senso che realizzi l'equo contemperamento
degli interessi se a titolo oneroso.
Di nuovo l’art. 1374 non annovera formalmente la buona fede tra le fonti di
integrazione del contratto, ma esso rappresenta una clausola generale
dell’ordinamento, che permea l’intero dispiegarsi dell’autonomia privata ed il cui
contenuto concreto è determinato volta a volta in relazione al contesto di interessi
in cui deve operare.

36
Efficacia.
Efficacia e inefficacia.
Si è visto come, in generale, gli effetti giuridici esprimano la risposta
dell’ordinamento all’agire dei soggetti, secondo l’ordine di valori storicamente
operante.
L’efficacia indica una modificazione della realtà giuridica: in particolare gli effetti
derivanti dal contratto sono in funzione di realizzazione dell’intento delle parti alla
stregua e con l’integrazione dei valori espressi dall’ordinamento. E’ possibile
delineare una duplice dimensione degli effetti del contratto: effetto generale,
connaturato alla formazione dell’accordo, inerisce ad ogni contratto e consiste nel
vincolo contrattuale assunto; gli effetti particolari, peculiari ai singoli contratti,
esprimono i concreti assetti di interessi realizzati.
In contrapposizione alla efficacia, la inefficacia designa la mancata o anomala
produzione di effetti giuridici (inefficacia in senso ampio). Talvolta l’inefficacia è
conseguenza di un vizio strutturale o funzionale del contratto (inesistenza, invalidità
ecc). L’inefficacia legale è l’inefficacia imposta dall’ordinamento per contrarietà del
contratto all’ordinamento stesso. Talaltra la inefficacia è voluta dalle parti
(inefficacia volontaria). La inefficacia del contratto è legata all’autonomia privata e
rappresenta il risultato contrattuale perseguito dalle parti (inefficacia in senso
stretto).

(A) Effetto generale e modi di


scioglimento
Il vincolo contrattuale i i modi di scioglimento.

Per l’art. 1372 “il contratto ha forza di legge tra le parti”. Il legislatore con questa
espressione ha voluto sottolineare l'importanza del vincolo contrattuale ma poi
successivamente aggiunge che il contratto con forza di legge può sciogliersi per:

 Mutuo consenso
 Cause ammesse dalla legge

Cominciamo con il mutuo consenso (o mutuo dissenso come viene comunemente


definito) che può essere definito come: la comune volontà delle parti di risolvere il
vincolo contrattuale

Il mutuo dissenso non è altro, quindi, che un contratto che fa cessare gli effetti del
primo (vedi art. 1321 c.c. che si riferisce anche all'estinzione del vincolo). Si ritiene
che per aversi mutuo dissenso sia necessario che il contratto non abbia ancora
prodotto effetti, come nel caso di vendita di cosa generica dove non sia stata ancora
effettuata l'individuazione, perché nel caso in cui gli effetti si siano già prodotti
(come per la vendita di cosa specifica dove l'efficacia reale è immediata) si tratterà,
semmai, di una rivendita del bene.
La forma dovrà essere la stessa del contratto originario, e dovrà essere sottoposta
alle medesime forme di pubblicità.

Veniamo, ora, alle altre cause di scioglimento del vincolo previste dall'art. 1372.

Il vincolo contrattuale si scioglie anche per:

 risoluzione (artt. 1453 e ss.)


 recesso convenzionale (art. 1373 c.c.)
 recesso previsto dalla legge

Nei negozi unilaterali la liberazione dal vincolo è realizzata attraverso la cd. revoca,
che è atto unilaterale di caducazione degli effetti della dichiarazione unilaterale.

Recesso.

Il recesso è un negozio unilaterale con il quale una parte dichiara di sciogliersi


unilateralmente dal contratto prima della scadenza. E’ espressivo di un diritto
potestativo, a fronte del cui esercizio, la controparte deve soggiacere.
Vediamo ora i casi di recesso previsti dall'art. 1373 e da altre disposizioni di legge.

1)recesso unilaterale: viene stabilito concordemente dalle parti che una o entrambe
di loro possano sciogliersi dal vincolo contrattuale tramite una dichiarazione da
comunicare all'altra parte. Tale facoltà non può essere esercitata se il contratto ha
avuto un principio di esecuzione. Il codice civile, in relazione ad alcuni tipi di
contratto consente un diritto di recesso esercitabile anche dopo la esecuzione del
contratto, esempi sono: diritto del committente di recedere dal contratto di appalto
o dal contratto d'opera tendendo indenne la controparte dalle spese sostenute, del
lavoro eseguito e del mancato guadagno.

2) Nei contratti di durata il recesso può essere esercitato anche dopo l’inizio
dell’esecuzione, ma non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di
esecuzione (1373, c.2).

3) Le parti possono pattuire un corrispettivo per l’esercito del recesso, che si


configura come prezzo del recesso. Se il corrispettivo è versato all’atto della
stipulazione del contratto, si ha caparra penitenziale: il recedente perde la caparra
data o deve restituire il doppio di quella che ha ricevuto (1386). Se il corrispettivo
andrà versato al momento del recesso, si ha multa penitenziale: il recesso ha effetto
quando la prestazione del corrispettivo è eseguita (1373, c.3)

E’ possibile analizzare il diritto di recesso in relazione alla fonte e alla funzione


a) Quanto alla fonte; il diritto di recesso può avere fonte convenzionale o legale.
Se è di fonte convenzionale sono le stesse parti ad attribuire a entrambe o a uno di
esse il potere di sciogliersi unilateralmente dal contratto: il recesso è dunque a base
volontaria.
Se è di fonte legale è la legge che attribuisce il potere di sciogliessi unilateralmente
dal contratto. Ad es. quando sopravvengono eventi considerati dalla legge in grado
di compromettere l’interesse della parte alla realizzazione del regolamento
contrattuale programmato.
b) Quanto alla funzione: esistono due fondamentali modelli di recesso, di
pentimento e per giusta causa, a seconda che il relativo esercizio sia rimesso alla
sola volontà del recedente o debba rispondere a legittimi motivi:

1) Il recesso di ripensamento è il diritto di pentirsi, e cioè di sciogliersi


volontariamente dal vincolo contrattuale senza bisogno di giustificazione: l’esercizio
del recesso inerisce alla conclusione del contratto ed è rimesso alla libertà del
soggetto beneficiario (recesso ad nutum). Di recente la giurisprudenza tende a
sottoporre anche l’esercito del recesso di ripensamento all’osservanza del dovere di
buona fede. Es. diritto di recesso del consumatore quando sia stato “colto di
sorpresa” nella stipulazione del contratto, volendo così garantire una consapevole
formazione della volontà negoziale. Perciò al beneficiario è accordato un diritto di
ripensamento senza necessità di specificare il motivo del recesso.

2) Con il recesso per giusta causa ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto
[1373] prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato
[2097], o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si
verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del
rapporto (1) [2103, 2244]. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di
lavoro che recede per giusta causa compete l'indennità indicata nel secondo comma
dell'articolo precedente.
Non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto il fallimento
dell'imprenditore [2221] o la liquidazione coatta amministrativa dell'azienda [2111].
Il recesso per giusta causa implica l'avveramento di un fatto di gravità tale da porre
in crisi il rapporto fiduciario tra le datore di lavoro e prestatore

(B) Effetti particolari.


La tendenziale relatività della efficacia del contratto.
Per l’art. 1372 il contratto ha “forza di legge tra le parti”; “non produce effetti
rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge”. Il contratto quindi di regola ha
efficacia solo tra le parti e i loro eredi. Si parla quindi di principio della relatività degli
effetti del contratto. Il contratto non può giovare o danneggiare il terzo estraneo.
Per questo si parla di principio di intangibilità della sfera giuridica altrui, secondo il
quale la sfera giuridica di un soggetto non può essere modificata dal negozio altrui.
Deroga al principio di relatività degli effetti del contratto è il contratto in favore di
terzi. Nel diritto romano questo tipo di contratto era considerato nullo. Nel contratto
a favore di terzi, art. 1411, è valida la stipulazione di un contratto a favore di un
terzo qualora lo stipulante vi abbia un interesse. Salvo patto contrario il terzo
acquista il diritto contro il promittente per effetto della stipulazione. Questa può
essere modificata o revocata dallo stipulante finché il terzo non abbia dichiarato di
volerne profittare. In caso di revoca della stipulazione o di rifiuto del terzo di volerne
profittare, la prestazione rimane a beneficio dello stipulante salvo che diversamente
risulti dalla volontà delle parti o dalla natura del contratto.

Tipologia di effetti.
La tipologia degli effetti particolari derivanti dal contratto è connaturata alla varietà
degli interessi realizzati. Secondo l’art. 1321 è possibile designare gli effetti prodotti
dal contratto come determinativi di vicende costitutive, modificative o estintive di
rapporti giuridici a contenuto patrimoniale. La norma ha riguardo anche alla
regolazione di rapporti giuridici. È consentito realizzare anche un effetto di mero
accertamento di situazioni giuridiche esistenti.
Le delineate vicende, prodotte dal contratto, integrano i cd. effetti particolari del
contratto espressivi del regolamento contrattuale quale voluto dalle parti e
integrato dall'ordinamento: sono connaturati al risultato programmato dalle parti
come effetti contrattuali. Ad esempio effetti particolari del contratto di vendita sono
il trasferimento del diritto e la costituzione di obbligazione per il pagamento del
prezzo. Gli effetti possono essere anche interni, nel senso di prodursi tra le sole parti
del contratto, si vedrà poi come sussistono ipotesi in cui è consentito all'autonomia
privata di produrre effetti contrattuali anche verso i terzi. Differenti sono i cd. effetti
riflessi, che si realizzano nei confronti dei terzi: tali effetti esprimono le ripercussioni
in capo ai terzi della efficacia diretta del contratto. Non sono effetti contrattuali, ma
mere conseguenze degli stessi.

Effetti obbligatori e effetti reali.

Una rilevante distinzione degli effetti particolari è quella tra effetti obbligatori e
effetti reali. Prima di fissare le relative configurazioni giuridiche è bene cogliere il
fondamento materiale della dicotomia. Un esempio chiarisce il senso della
distinzione. Ad esempio avendo un soggetto una esigenza abitativa, può realizzare la
stessa in un duplice modo, prendendo un immobile in locazione cosicché il locatore
è obbligato a far godere l'immobile al locatario per un dato tempo e il locatario è
obbligato a corrispondere un canone al locatore. Oppure l'immobile può essere
acquistato trasferendo la proprietà al compratore il quale è tenuto a corrispondere il
prezzo della vendita.
Nella prima ipotesi l'esigenza abitativa è realizzata immediatamente tramite la
cooperazione del locatore che si obbliga a far godere la cosa per un certo tempo,
costituendo così un effetto obbligatorio. Nell'ipotesi di vendita viene realizzato il
trasferimento della proprietà realizzandosi quindi un effetto reale. Distinguiamo
quindi contratti con effetti obbligatori dai contratti con effetti reali.

 a) Gli effetti obbligatori producono la vicenda costitutiva di rapporti


obbligatori: mirano perciò a procurare una utilità ad una parte come risultato
del comportamento dell'altra parte. Es. contratto di locazione, trasporto,
appalto, ecc. I contratti con efficacia obbligatoria producono soltanto effetti
obbligatori
 b) Gli effetti reali (e dunque i contratti con efficacia reale) producono il
trasferimento della proprietà o di altro diritto ovvero la costituzione di un
diritto reale per effetto del solo consenso. Lo scopo programmato con il
contratto è attuato in virtù del consenso legittimamente manifestato, con il
mutamento nella titolarità del diritto trasferito o la costituzione del diritto
reale (principio del cd. consenso traslativo). Si comprende come la nozione di
contratti a effetti reali, avendo riguarda all’efficacia del contratto, si distingue
dalla nozione di contratti reali, che è riferita alla conclusione del contratto.
Alcuni di questi contratti sono rivolti al trasferimento di una situazione
giuridica, producendo la successione nella titolarità del diritto, che si perde
dall’originario titolare e si acquista dal nuovo (contratti derivativi-traslativi),
come la vendita. Altri di tali contratti sono diretti alla costituzione di diritti
reali (cd. derivativo-costitutivi) producendo l’attribuzione di una situazione
reale di godimento su un bene che rimane di proprietà altrui. Per entrambi i
modelli la vicenda giuridica si realizza per l’effetto del consenso delle parti
legittimamente manifestato. C’è da rilevare che spesso agli effetti reali si
accompagnano e intrecciano anche effetti obbligatori: ad es. la vendita
produce l’effetto tipico del trasferimento del diritto dal venditore al
compratore, ma comporta anche l’assunzione dell’obbligazione di pagare il
prezzo.

Il consenso traslativo e il regime del rischio. La consegna.


Il principio consensualistico enunciato dall'art. 1376 comporta che i contratti aventi
ad oggetto il trasferimento della proprietà o di altri diritti reali, producono i loro
effetti per semplice consenso delle parti manifestato legittimamente e dunque
indipendentemente dal trasferimento del possesso e dal pagamento dell'eventuale
corrispettivo. La prima codificazione del consenso traslativo risale al codice
napoleonico, perché in tutti i sistemi giuridici derivati dal diritto romano occorreva la
consegna per il trasferimento della proprietà. I romani quindi distinguevano il titulus
adquirendi che era l'accordo delle parti, e il modus adquirendi che è la consegna
della cosa stessa. Erano due situazioni giuridiche differenti, la prima costituiva fonte
di obbligazione di consegnare la cosa oggetto del contratto, la seconda perfezionava
il contratto attuando il trasferimento della proprietà della cosa.

La forma contrattuale più diffusa nella pratica commerciale internazionale è la


compravendita. Le problematiche maggiori derivano dalle differenze tra i sistemi
giuridici dei vari paesi, in quanto in alcuni ordinamenti per il trasferimento della
proprietà è richiesto, il consenso delle parti, la causa e la consegna del bene oggetto
del contratto; mentre per altri paesi è richiesto solo il requisito della causa e del
consenso (principio consensualistico). Ancora altri paesi ritengono necessari i
requisiti della consegna e del consenso.

Negli ordinamenti in cui la consegna si mostra come elemento fondamentale della


compravendita, la proprietà del bene viene trasferita con l'effettiva datio della cosa
al compratore. In termini pratici: in seguito al pagamento del corrispettivo da parte
dell'acquirente, il venditore è obbligato di fare acquistare materialmente il bene al
compratore. Si rende dunque necessario un altro negozio traslativo il cui
perfezionamento avviene appunto tramite la consegna. Ove l'alienante non dovesse
prestare il suo consenso alla consegna, sarà riconosciuto all'acquirente di ricorre al
giudice per ottenere una sentenza circa il consenso non prestato.

Per quanto riguarda il principio del consenso, per il quale la proprietà si trasferisce
con la conclusione del contratto, comporta che l'acquirente può entrare nella
materiale disponibilità del bene ancor prima del pagamento del prezzo. Tale
principio riflette i suoi effetti anche sull'eventuale rischio di perimento della cosa
alienata. A tal proposito vige un principio generale per cui il venditore si assume il
rischio di perimento del bene finché egli sia proprietario della cosa. L'applicazione
del principio consensualistico determinerà che il rischio del perimento dovrà essere
assunto dal compratore a partire dalla conclusione del contratto. Qualora il bene
dovesse deteriorarsi, o addirittura andare perduto, dopo il perfezionamento del
contratto e prima della consegna, per cause non imputabili al venditore, l'acquirente
dovrà comunque pagarne il prezzo.

Contratti bilaterali e contratti unilaterali.


Codice del 1865, art. 1099 “il contratto è bilaterale quando i contraenti si obbligano
reciprocamente gli un verso gli altri, mentre è unilaterale quando una parte si
obbliga verso l’altra senza che quest’ultima incontri alcuna obbligazione. La
dicotomia è tuttora impiegata determinando non pochi equivoci. Con riguardo alla
conclusione del contratto, ogni contratto è bilaterale, per rappresentare l’accordo
un requisito essenziale del contratto. Dai contratti bilaterali derivano obbligazioni a
carico di entrambe le parti, esempio vendita, locazione, dai contratti unilaterali
derivano obbligazioni a carico di una sola parte, esempio fideiussione. Fattispecie da
distinguere da i contratti unilaterali è il contratto sinallagmatico. Si tratta di un
contratto a prestazioni corrispettive in cui le parti si impegnano, l'una nei confronti
dell'altra. L'inadempimento di una delle parti comporta la possibilità per l'altra parte
di chiedere la risoluzione del contratto. Un classico caso di contratto sinallagmatico è
il contratto di compravendita nel quale una parte si obbliga a corrispondere una
quantità di denaro solo quando l'altra parte gli trasferisce la proprietà di un bene o
di un diritto.

Effetti verso i terzi.

Art. 1372 c.c. comma 2, il contratto produce effetto rispetto ai terzi nei casi previsti
dalla legge.
Dobbiamo chiederci verso quali soggetti sono rivolti effetti del contratto; come
prima risposta possiamo pensare sicuramente alle parti che hanno stipulato l'atto,
ma è anche vero che gli effetti del contratto si riversano anche su coloro che
subentrano nella posizione delle parti e cioè:

 gli eredi;
 gli aventi causa.

Gli eredi, come sappiamo, sono i continuatori della personalità del defunto e
subentrano in tutta la sua posizione patrimoniale;

Gli aventi causa sono coloro che derivano il loro diritto dal diritto di una delle parti, i
successori a titolo particolare. Il diritto dell'avente causa derivando da quello della
parte, ne segue le vicende.
Al di fuori di questi soggetti abbiamo coloro che non sono toccati dalle vicende
contrattuali: i terzi.

1) terzo è colui che non è né parte, né erede o avete causa delle parti

Queste persone non sono quindi toccate dagli effetti del contratto, anche se si è
soliti distinguere, in merito agli effetti contrattuali, tra efficacia diretta e efficacia
riflessa; la prima, che è tipica contrattuale, tocca solo le parti, mentre l'efficacia
riflessa si propaga come conseguenza indiretta della prima, sui terzi.

Abbiamo quindi stabilito che il contratto ha efficacia solo tra le parti e che queste
non possono disporre della sfera giuridica di altri soggetti, i terzi, appunto.

1) Questa ovvia affermazione sembra, però essere contraddetta dallo stesso


secondo comma dell'art. 1372 c.c. che permette in certi "casi previsti dalle
legge" l'effetto diretto del contratto anche sui terzi.

Dobbiamo chiederci, allora, quando è possibile che i terzi siano coinvolti in contratti
altrui e perché;
Rispondendo alla seconda parte della domanda, osserviamo che quando il contratto
ha effetti favorevoli per il terzo, si permette che possa avere efficacia su di lui, a
meno che il terzo non intenda rifiutare il beneficio. Caso tipico è l'ipotesi prevista
dall'art. 1411 del codice civile, il contratto a favore del terzo, con tutte le sue
derivazioni, come ad esempio l'accollo.

Al di fuori del beneficio del terzo, rientrano i casi in cui una parte s'impegna a
coinvolgere nel rapporto contrattuale un terzo; in tal caso abbiamo le ipotesi del
contratto per persona da nominare (art. 1401 c.c.) e della promessa del fatto di un
terzo. Osserviamo, però, che questi due ultimi contratti non rientrano nella
previsione del secondo comma dell'art. 1372, perché qui non c'è alcun effetto
diretto sui terzi, né favorevole né sfavorevole; ce ne occupiamo, quindi, solo per
comodità espositiva.

Il contratto a favore di terzi.

Nozione (art. 1411 c.c.) è il contratto in cui due (o più parti) si accordano affinché
una di loro esegua una prestazione ad un terzo.
Nel contratto a favore del terzo abbiamo, quindi, tre soggetti fondamentali:
 lo stipulante, che è colui che designa il terzo come destinatario della
prestazione; deve avere un interesse, anche morale o affettivo, alla stipula del
contratto;
 il promittente, è l'altra parte contrattuale che deve eseguire la prestazione al
terzo;
 il terzo, beneficiario della prestazione, non è parte del contratto né lo diviene
in seguito.

Come abbiamo già detto, questo contratto è una applicazione del principio
contenuto nel secondo comma dell'art. 1372 c.c.
La disciplina contenuta negli art. 1411 e seguenti, cerca di contemperare l'esigenza
dello stipulante ad attribuire il beneficio al terzo è quella del terzo a rifiutarla, se
vuole.

Vediamo, quindi, cosa accade.

Posizione del terzo:

 Deve dichiarare di voler profittare della stipulazione fatta a suo favore, ma


questa non è accettazione del contratto di cui non è parte
 acquista il diritto alla prestazione da parte del promittente per effetto della
stipulazione; in altre parole il suo diritto non nasce dalla sua dichiarazione di
voler profittare
 il terzo può anche rifiutare il beneficio, dichiarando di non voler profittare
della stipulazione in suo favore

Passiamo, ora, alla posizione dello stipulante.


Posizione dello stipulante

 per la validità del contratto deve avere interesse alla stipulazione


 può revocare o modificare la stipulazione sino a quando il terzo abbia
dichiarato di volerne profittare
 può divenire beneficiario della prestazione in caso di rifiuto del terzo o di
revoca, ma il contratto può escludere questa eventualità

Veniamo, infine, al promittente.


Posizione del promittente

 deve eseguire la prestazione a favore del terzo o dello stipulante in caso di


rifiuto del terzo o di revoca della stipulazione
 può opporre al terzo solo le eccezioni fondate sul contratto che avrebbe
potuto opporre allo stipulante, ma non quelle basate su altri rapporti con lo
stipulante.

Il contratto a favore del terzo è una sorta di contratto base per una serie indefinita di
contratti, pensiamo ad esempio all'accollo e al contratto di assicurazione per conto
altrui o di chi spetta ex art. 1891 c.c. che si ritiene rientrino nella figura del contratto
a favore del terzo.

(C) Efficacia riflessa.


I c.d. effetti riflessi o indiretti.
In conseguenza della stipulazione di un contratto e della relativa efficacia possono
determinarsi delle conseguenze indirette nei confronti dei terzi (c.d. effetti riflessi)
che non fanno parte dell’intento negoziale e dunque dallo scopo pratico perseguito
dalle parti. Sono le conseguenze che si determinano di rimbalzo ovvero in modo
derivativo ogni volta che si verifica un fatto giuridico. Gli effetti (favorevoli o
dannosi) per il terzo non sono il risultato perseguito dagli autori del contratto, ma
rappresentano le ripercussioni del mutamento giuridico operato dal contratto.
Sono ipotizzabili due categorie di effetti riflessi: effetti riflessi di fatto ed effetti
riflessi di diritto.

Esempio dell'effetto riflesso di fatto può essere: Tizio vende a Caio un


appartamento. Sempronio, unico figlio di Tizio non potrà più acquistarlo alla morte
del padre jure successionis. L'effetto riflesso di fatto è una semplice conseguenza del
mutamento dell'assetto giuridico introdotto nella realtà è determinato dal
perfezionamento di qualsiasi atto modificativo del mondo giuridico.

Più articolata risulta invece essere l'efficacia riflessa di diritto. È riconducibile alla
efficacia riflessa di diritto la rilevanza esterna che attiene ai diritti, ai doveri, alle
obbligazioni dei terzi. Ad esempio: se Tizio vende un bene a Caio questo entra a far
parte del patrimonio di costui è dunque oggetto della garanzia patrimoniale
generica. I creditori di Caio, terzi rispetto al contratto, potranno far valere i propri
diritti di credito anche sul nuovo acquisto; Qualora Sempronio alieni un
appezzamento di terreno agricolo a Mevio, quest'ultimo vanterà una situazione
giuridica attiva sul fondo nei confronti di tutti i terzi, cosicché chiunque cagionasse
un danno alla proprietà sarà tenuto a risarcire Mevio; Sussistendo un diritto reale di
servitú a favore del fondo alienato, il titolare del fondo servente sarà tenuto a
rispettare l'esercizio da parte del nuovo titolare.

Risulta essere quindi palese il vasto ambito di rilevanza degli effetti riflessi del
contratto. Effetti che non si esauriscono esclusivamente con la titolarità di diritti reali
e nell'ambito contrattuale, ma anche alle modalità di estinzione dell'obbligazione.
Un esempio potrebbe essere fatto proprio in merito alla remissione del debito. Essa
quando effettuata produce un effetto liberatorio anche nei confronti degli altri
condebitori, a meno che il creditore, al momento della remissione, non abbia
riservato tale diritto di liberazione nei loro confronti.

Cessione del contratto e del subcontratto.

Cessione del contratto.

Nozione (art. 1406 c.c.)


Con questo negozio una parte di un diverso contratto a prestazioni corrispettive non
ancora eseguite sostituisce un terzo a sé nei rapporti derivanti dal contratto e
sempre che l'altro contraente vi consenta. Per comprendere meglio la cessione del
contratto è necessario puntualizzare le ipotesi in cui può verificarsi la cessione

In primo luogo individuiamo gli attori della vicenda contrattuale.

 cedente, è colui che cede il contratto


 cessionario, è la nuova parte contrattuale che sostituisce il cedente
 ceduto è il contraente originario che non muta la sua posizione

Stabiliti chi sono gli attori, passiamo ad esporre la trama.

Il cedente parte di un contratto, poniamo di assicurazione, è l'assicuratore. Ad un


certo punto vuole sostituire a sé nel contratto un altro assicuratore, il cessionario.
Per far ciò si accorda con il nuovo assicuratore e con l'assicurato, il contraente
ceduto, per dar vita alla cessione.
Non sarebbe possibile, infatti, stipulare efficacemente una cessione del contratto
senza il consenso del contraente ceduto.
Nell'esempio fatto abbiamo supposto che la cessione del contratto sia contratto
plurilaterale, contratto, cioè, che vede la necessaria partecipazione dei tre soggetti
coinvolti;
Va segnalata, però, la tesi di quegli autori che ritengono che la cessione del
contratto possa realizzarsi anche tra i soli cedente e cessionario, mentre il
contraente ceduto può approvare la stipulazione già effettuata.
Una ulteriore tesi importante è quella che vede la cessione del contratto come
combinazione della cessione dei crediti e dell'accollo di debiti.
In tal caso il consenso del contraente ceduto non sarebbe essenziale al contratto,
perché, in mancanza, vi sarebbe una cessione dei crediti contrattuali accompagnato
dall'accollo interno dei debiti.

Vediamo come il codice regola i vari aspetti del contratto.

contratti di cui possibile la cessione


solo quelli a prestazioni corrispettive quando le prestazioni non siano state ancora
eseguite

rapporti tra cedente e ceduto


il cedente è liberato dalle sue obbligazioni verso il ceduto e non è responsabile
dell'inadempimento del cessionario, a meno che il ceduto dichiari espressamente di
non volerlo liberare. In questo caso il cedente risponderà dell'inadempimento del
cessionario (art. 1408 c.c.)

rapporti tra ceduto e cessionario


il contraente ceduto può opporre al cessionario ceduto solo le eccezioni derivanti
dal contratto originario, ma non quelle derivanti da altri rapporti con il cedente, a
meno che non se ne sia riservato il diritto al momento della sostituzione (art. 1409
c.c.)

rapporti tra cedente e cessionario


il cedente deve garantire al cessionario la validità del contratto originario, ma non
l'adempimento del contraente ceduto; nel caso in cui, però, si assuma anche questa
garanzia, risponderà dell'adempimento come un fideiussore (art. 1410 c.c.)

Assume ancora un ruolo fondamentale il prezzo della cessione del contratto. Il


prezzo può essere pagato dal cessionario al cedente se l'affare risulta diventato
maggiormente conveniente per il cedente, oppure dal cedente al cessionario se
l'affare si rileva non più vantaggioso per il cedente, anche un terzo potrebbe essere
disposto a pagare un prezzo della cessione pur di procurarsi la posizione
contrattuale del cedente e perciò il bene dedotto nel contratto ceduto.
Non è richiesta una forma espressa come requisito di validità del contratto, ma se la
cessione contrattuale implica la circolazione di un diritto è richiesta la forma
solenne. Esempio trasferimento della proprietà o altra situazione reale su beni
immobili.

Subcontratto.
Diversamente si atteggia il subcontratto o contratto derivativo, di cui manca una
generale disciplina. Il subcontratto consente ad una parte contraente di riutilizzare
la propria posizione contrattuale per attivare in forza di questa una nuova
operazione economica con altro soggetto in virtù di un contratto che dipende dal
contratto originario. Il subcontratto talvolta deve essere autorizzato dall'altro
contraente, esempio subappalto, altre volte non richiede autorizzazione, salvo patto
contrario esempio sublocazione.
A differenza della cessione del contratto, nel subcontratto il rapporto tra i contraenti
che hanno concluso il contratto rimane in vita e continua ad operare. Su questo si
innesta un nuovo rapporto tra uno dei contraenti originari e il terzo anche a
condizioni diverse rispetto al contratto originario. Ma tale nuovo rapporto è
derivativo dal rapporto base, che rimane in piedi, dunque è subordinato allo stesso.
Perciò il subcontratto è destinato a subire le sorti del contratto base. Non può avere
una durata maggiore del contratto base e viene meno se invalido, o comunque
diviene inefficace il contratto base.

Promessa di comportamento del terzo e disposizione di beni altrui.

Esistono ipotesi in cui il contratto riguarda il terzo, non in via immediata come
effetto diretto, esempio il contratto a favore di un terzo, e neppure di rimbalzo,
(esempio la vendita dell'immobile locato fa subentrare l'acquirente nel contratto di
locazione del terzo locatario), ma solo in modo potenziale in ragione di atti che
indirettamente lo riguardano o perché è promesso un suo comportamento o perché
si è disposto del suo patrimonio: in entrambe le ipotesi è richiesto l’assenso del
terzo.

 Promessa dell'obbligazione o del fatto del terzo. Per l'art. 1381 chi ha
promesso l'obbligazione o il fatto di un terzo è tenuto ad indennizzare l'altro
contraente se il terzo non si obbliga o non compie il fatto promesso. Con tale
contratto è promesso un obbligo di comportamento del terzo, la cui
assunzione evidentemente non può avvenire senza il consenso del terzo che
vi sarebbe tenuto. (Si pensi alla vendita dell'immobile locato con la promessa
di liberazione dell'immobile da parte del locatario entro una determinata
data). Il contratto ha solo effetto tra le parti vincolando il promittente al
promissario. La giurisprudenza ha ricostruito l'impegno del promittente come
obbligazione di facere consistente nell'adoperarsi affinché il terzo tenga il
comportamento promesso per soddisfare il promissario. Il mancato
comportamento del terzo comporta l'obbligo del promittente di indennizzare
il promissario. Se però il promittente è inadempiente alla promessa, poiché
nulla fa perché si realizzi il fatto del terzo o addirittura concorra perché non si
verifichi consegue il comune obbligo di risarcimento del danno da
inadempimento. Bisogna comunque verificare se il comportamento del terzo
fosse dedotto in condizione del contratto. La promessa può essere assunta
per negozio unilaterale o per contratto. Il fatto può consistere nell'assunzione
di una obbligazione o nel compimento di un atto giuridico. Se consiste in una
obbligazione, intervenuta l'assunzione della stessa da parte del terzo, il
promittente non è garante dell'esecuzione della prestazione dovuta dal terzo.
Affinché la promessa di obbligazione del terzo sia valida è necessario che la
prestazione abbia i requisiti di determinatezza, possibilità e liceità. Diverso è il
caso in cui il terzo sia già obbligato verso il promissario, in tal modo
l'obbligazione del promittente si atteggia come garanzia fideiussoria o come
assunzione del debito altrui.
 Negozi sul patrimonio altrui. Principio logico dovrebbe essere che nessuno
può disporre di beni di proprietà altrui. Per il cod. Civ. del 1865, orientato alla
difesa della proprietà, la vendita di cosa altrui era nulla. Ma esigenze legate al
funzionamento del mercato hanno spinto il cod. Civ. del 1942 a considerare la
vendita di cosa altrui un contratto valido. Per l'art. 1478 dalla vendita di cosa
altrui deriva l'obbligazione del venditore di procurare l'acquisto della cosa al
compratore, il quale diventa automaticamente proprietario nel momento in
cui il venditore acquista la proprietà dal terzo. Il trasferimento di diritto al
compratore si produce senza necessità di un nuovo atto dispositivo in suo
favore. È invece dibattito se la donazione di cosa altrui sia nulla o solo
inefficace.

L'opponibilità.

Uno specifico angolo di osservazione degli effetti del contratto nei rapporto con i
terzi, è quello del conflitto tra diritti incompatibili. Si pensi all'ipotesi che un soggetto
alieni un suo bene prima ad un acquirente e successivamente ad un diverso
acquirente. Il secondo acquisto è incompatibile con il primo. In entrambi i casi gli
aquirenti vantano un titolo di acquisto a proprio favore. C'è dunque incompatibilità
di diritti derivante da incompatibilità di titoli acquisitivi. Un generale criterio logico
dovrebbe condurre a preferire il soggetto che prima ha acquistato il diritto e che
dunque ha per primo concluso il contratto. Il titolare di un diritto, alienato lo stesso,
non potrebbe di nuovo alienare il medesimo diritto a un diverso soggetto, per non
esserne più titolare. Ma sono molte le deroghe legali a tale principio in ragione di
più esigenze legate al funzionamento del mercato e allo sviluppo economico. In
ragione di ciò può avvenire che un contratto, pur validamente concluso ed efficace
tra le parti, sia considerato inefficace nei confronti di determinati terzi. Il fenomeno
è indicato con il termine inopponibilità del contratto ai terzi. Il conflitto è risolto
rendendo uno dei contratti inefficace nei riguardi di un determinato avente causa o
verso determinati terzi che vantino una situazione giuridica incompatibile con gli
effetti del contratto.

Analizziamo ora vari casi.


A) Tra più aventi causa di diritti reali su immobili, o mobili registrati, da un
medesimo autore, il conflitto è risolto mediante la pubblicità e in modo particolare
attraverso le regole della trascrizione nei registri immobiliari, per cui gli atti
dispositivi di immobili e mobili registrati non hanno effetto riguardo ai terzi che
hanno acquistato diritti su tali beni in base ad un atto trascritto o iscritto
anteriormente alla trascrizione degli atti medesimi.

B) Tra più aventi causa di diritti reali su beni mobili non registrati, quello tra essi che
ne ha acquistato in buona fede il possesso è preferito agli altri anche se il suo titolo
è di data posteriore.

C) Tra più aventi causa di diritti personali di godimento relativi alla stessa cosa, il
godimento spetta al contraente che per primo lo ha eseguito. Se nessuno dei
contraenti ha eseguito il godimento è preferito quello che ha il titolo di data certa
anteriore.

D) tra più aventi causa del diritto di credito, prevale la cessione notificata per prima
al debitore o quella che è stata accettata per prima dal debitore con atto di data
certa.

L'autore di più atti dispositivi, cioè chi aliena uno stesso diritto prima ad un soggetto
e poi ad un terzo, risponde verso il primo avente causa per inadempimento del
contratto ed è dunque tenuto al risarcimento del danno. Anche il secondo avente
causa è tenuto al risarcimento del danno se in mala fede.

37
Esecuzione.
L’attuazione del risultato programmato e il principio di buona fede.
Talvolta, con la conclusione del contratto, è anche attuato lo scopo (essenziale)
perseguito dalle parti: ad es., nella vendita di cosa determinata, il risultato traslativo
è conseguito per effetto del solo contratto, in virtù del principio del “consenso
traslativo” (per cui la proprietà o altro diritto si trasmettono e di acquistano per
effetto del consenso legittimamente manifestato: art. 1376). In questa ipotesi,
l’effetto traslativo non esaurisce l’assetto di interessi, sussistendo altre
determinazioni che devono essere eseguite attraverso il comportamento delle parti.
(es. il contratto non si limita a disporre il trasferimento del diritto, che si realizza con
il consenso, ma prevede anche l'obbligazione di consegnare la cosa venduta e la
obbligazione del compratore di pagare il prezzo. Esiste un vasto campo di rapporti
economici in cui il complessivo risultato programmato è realizzabile solo attraverso
il comportamento delle parti. Es. con un contratto di appalto, una parte, ossia
l'appaltatore assume l'obbligazione di compiere un opera o un servizio a fronte
dell'obbligazione dell'altra parte di un corrispettivo in danaro. Con il contratto di
trasporto, il vettore assume l'obbligo di trasferire persone o cose da un luogo
all'altro verso l'obbligazione del corrispettivo dell'altra parte. (passeggero o
mittente).
In generale tutta l’area dei contratti con efficacia obbligatoria richiede l’esecuzione
del contratto per il soddisfacimento delle parti, realizzandosi l’utilità programmata
tramite l’adempimento delle obbligazioni. Emerge così la rilevanza giuridica della
esecuzione del contratto, che ha la funzione di attuazione del risultato
programmato, quando questo non è realizzato per effetto del contratto. La regola
specifica e fondamentale sull’esecuzione del contratto è nell’art. 1375 secondo il
quale “il contratto deve essere eseguito secondo buona fede (oggettiva)”. L’esatta
esecuzione del contratto comporta l’esatta attuazione di tutti gli obblighi inerenti
alla singola fattispecie contrattuale.
In tal senso svolge un ruolo fondamentale la buona fede oggettiva. Le parti nella
esecuzione del contratto devono avere un comportamento ispirato ai canoni di
lealtà e correttezza come esplicazione del dovere di solidarietà sociale, dovendo
salvaguardare la posizione contrattuale altrui. La violazione della buona fede
oggettiva comporta inadempimento del contratto e determina dunque la
responsabilità contrattuale del trasgressore.
Modalità dell’esecuzione.
Per cogliere la dinamica della esecuzione del contratto bisogna avere riguardo alle
modalità di esecuzione delle singole attribuzioni delle parti, espressamente
programmate o dovute per legge:

a) Con riguardo al comportamento attuativo della esecuzione, si distingue tra


contratti ad esecuzione istantanea (o unica) e contratti a esecuzione di durata, a
seconda che il comportamento dovuto, satisfattivo della controparte, si esaurisca in
un solo atto o si svolga attraverso un contegno che si protrae nel tempo. Si ha
esecuzione istantanea unica quando l'esecuzione si esaurisce in un solo momento. Si
ha esecuzione di durata quando una parte è obbligata a compiere un determinato
comportamento che dura nel tempo con soddisfacimento duraturo dell'interesse
della contro parte. (Esempi sono contratti di locazione, e somministrazione). A sua
volta l'esecuzione di durata può atteggiarsi in un duplice modo quale esecuzione
continuata se prosegue ininterrottamente nel tempo (esempio è l'obbligazione del
locatore di mantenere la cosa locata nello stato da servire all'uso convenuto),
oppure come esecuzione periodica se si svolge in periodo ciclici (esempio.
Erogazione di servizi da ripetersi in determinati periodi dell'anno). Con riguardo ai
contratti di durata, svolgendo prestazioni nel tempo, con correlato soddisfacimento
del destinatario, operano alcune significative regole che mirano a non far risentire
gli effetti dello scioglimento del contratto rispetto alle prestazioni già eseguite o in
corso di esecuzione. La inefficacia del contratto a seguito di recesso, di risoluzione,
di avveramento della condizione non travolge le prestazioni già eseguite.

b) Con riguardo al tempo di attuazione della esecuzione, è possibile distinguere tra


contratti ad esecuzione immediata ( l’esecuzione è contestuale alla conclusione del
contratto, anzi sinergica) e contratti ad esecuzione differita (l’esecuzione è
successiva alla conclusione del contratto, implicando un comportamento posteriore
che attua il risultato programmato). L’esecuzione differita indica il termine di
esigibilità della prestazione.
Ad esempio in un contratto di vendita di una cosa determinata, si stabilisce che la
consegna e il pagamento del prezzo avverranno a 90 giorni dalla conclusione del
contratto.
Clausola penale e caparra.

Operano come misure rafforzative della esecuzione del contratto la clausola penale
e la caparra confirmatoria.

 Clausola penale: è principio generale che il creditore il quale chiedere il


risarcimento del danno per inadempimento o per inesatto adempimento della
controparte debba fornire la prova del danno subito. Tale prova però è
laboriosa, non agevole, e affidata alle lente procedure della magistratura. Per
dissuadere dall’inadempimento e quindi rafforzare l’esecuzione del contratto
è consentito alle parti introdurre la cd. clausola penale. Con essa si conviene
che, in caso d’inadempimento o di ritardo dell’adempimento, il soggetto
inadempiente è tenuto a una “determinata prestazione” non
necessariamente fissata in una somma di danaro come emerge dalla generale
previsione normativa. Tale “minaccia” stimolerà la parte cui è riferita la
clausola penale ad esattamente eseguire il contratto. La clausola penale ha
dunque la funzione di liquidazione anticipata del danno, esonerando il
soggetto danneggiato dalla prova del danno subito (1382). Inoltre la clausola
penale ha l’effetto di limitare il risarcimento dovuto alla prestazione
promessa; ma è possibile convenire la risarcibilità del danno ulteriore (1382).
E’ però sancito il divieto di cumulo: il creditore non può domandare insieme la
prestazione principale la penale, se questa non è stata stipulata per il
semplice ritardo (1383). La penale può essere ridotta dal giudice quando
risulti eccessiva la misura originaria della stessa e quando la stessa di riveli
esorbitante a seguito dell’adempimento parziale del contratto. Il diritto di
riduzione della penale conferito al giudice può essere esercitato d’ufficio.
Ulteriore problema è quello di utilizzare la clausola penale come negozio in
frode alla legge al fine di aggirare l'art. 1129 pattuendo una prestazione
irrisoria rispetto al danno conseguente. In tal modo la clausola penale viene
considerata nulla per illiceità della causa.
 Caparra confirmatoria: dopo la conclusione del contratto può emergere nei
contraenti l’interesse a non adempiere il contratto perché si intende alienare
o acquistare ad un prezzo più conveniente o con modalità di esecuzione più
convenienti o perché la controparte si è resa inadempiente. La caparra tende
a rafforzare la serietà dell’impegno con il versamento anticipato che una parte
fa all’altra di una somma di danaro o di una quantità di altre cose fungibili al
momento della conclusione del contratto in quanto, in caso di
inadempimento di una delle parti, funge da mezzo di risarcimento per la
mancata esecuzione del contratto. In caso di adempimento, la caparra non
svolge alcuna funzione. Se la parte che ha dato la caparra è inadempiente,
l’altra può recedere dal contratto, ritenendo la caparra a titolo di risarcimento
danni; se inadempiente è la parte che l’ha ricevuta, l’altra può recedere dal
contratto ed esigere il doppio della caparra versata, sempre a titolo di
risarcimento danni (1385). In entrambe le ipotesi è sufficiente alla parte che
invoca l'inadempimento della controparte allegare l'altrui inadempimento,
l'altra parte deve fornire la prova di aver esattamente eseguito il contratto. La
legge accorda al soggetto non inadempiente due distinte tutele: quella
specifica del recesso, con la ritenzione della caparra; quella generale della
risoluzione o esecuzione del contratto, con il risarcimento del danno. Il
recesso in esame è un recesso in autotutela, rimedio rapido senza ricorso
all’apparato giudiziario. Diversa è la caparra penitenziale la quale ha funzione
di corrispettivo del recesso di pentimento senza alcun riguardo al verificarsi di
un inadempimento del contratto, la parte che lo recede perde la caparra o
deve restituire il doppio di quella che ha ricevuto. Diverso ancora è il cd.
deposito cauzionale, che ha la funzione di garantire un eventuale obbligo del
cauzionante verso la controparte in relazione all’esecuzione.

Sopravvenienze e adeguamento del contratto. La rinegoziazione.

Quando l’esecuzione del contratto avvenga dopo la sua conclusione possono


sopravvenire circostanze nuove rispetto a quelle esistenti e tenute presenti dalle
parti al momento della formazione del contratto. Durante lo svolgimento del
rapporto contrattuale possono sopraggiungere fatti non imputabili ad alcuna delle
parti in grado di alterare l'originario equilibrio contrattuale e dunque lo stesso
programmato assetto di interessi a danno di una parte. Il problema riguarda sia i
contratti di durata sia quelli ad esecuzione differita. In tali ipotesi il fattore tempo
acquista rilevanza nella esecuzione del contratto. Possono avvenire così circostanze
che implicano mutamenti nell'assetto originariamente programmato dalle parti che
reclamano una revisione del regolamento. Il rischio delle sopravvenienze è maggiore
quanto più lungo è il lasso di tempo che corre tra la conclusione e la esecuzione del
contratto. Sul piano giuridico si sono tradizionalmente fronteggiate due opposte
esigenze: da un lato, l’impegnatività degli accordo conclusi, espressa dal principio
“pacta sunt servanda”, che implica il rispetto del contratto; dall’altra, la valutazione
del contesto in cui il contratto è concluso, espressa dalla clausola rebus sic stantibus,
che si considera come presupposta da ogni contratto sì da consentire un nuovo
apprezzamento dell’assetto di interessi con il sopravvenire di fatti nuovi rispetto al
contesto originario del contratto. La rigidità delle regole sancite nelle norme del
codice civile è apparsa nel tempo sempre più evidente.
Nell’esperienza del commercio internazionale è diffuso l’inserimento nei testi
contrattuali di clausole di “rinegoziazione” per essere frequenti sopravvenienze che
alterano l’originario equilibrio economico. Si prospettano all’uopo tre possibilità a
seconda che sia la stessa legge a regolare il fenomeno, oppure che siano le parti a
prevederlo, o ancora che non ricorra alcuna delle due ipotesi

a) L’ipotesi più agevole è quella della sopravvenienza regolata dalla legge, rispetto
alle quale la legge stessa appresta i relativi rimedi; con riguardo ai contratti a
prestazioni corrispettive il codice disciplina due principali figure di sopravvenienze
non imputabili alle parti ovvero la sopravvenuta impossibilità della prestazione e la
sopravvenuta eccessiva onerosità della prestazione di una delle parti. Per ciascuna
delle due figure è apprestato un rimedio distruttivo del contratto, comportante la
inefficacia del rapporto contrattuale, in alcune ipotesi evitabile con un rimedio
manutentivo di mantenimento del rapporto contrattuale con la ricostruzione
dell’equilibrio originario. In modo più specifico la parte liberata per la sopravvenuta
impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione e deve
restituire quella che già abbia ricevuto. Quando la prestazione di una parte è
divenuta solo parzialmente impossibile, l'altra parte ha diritto a una corrispondente
riduzione della prestazione dovuta e può anche recedere dal contratto quando non
abbia un interesse apprezzabile all'adempimento parziale. Relativamente ai contratti
di durata o a esecuzione differita il sopravvenire di avvenimenti straordinari e
imprevedibili che rendono la prestazione di una delle parti eccessivamente onerosa
consente alla parte tenuta a tale prestazione di domandare la risoluzione del
contratto, la controparte può evitarla offrendo di modificare equamente le
condizioni del contratto.

b) Può anche avvenire che singole sopravvenienze siano tenute presenti dalle parti
al momento del contratto e convenzionalmente regolate nel contratto con
diversificati atteggiamenti, si da realizzare una gestione concordata delle
sopravvenienze. Innanzitutto le parti possono rimettere a terzi o al sopravvenire di
singole circostanze la determinazione di alcuni profili del contratto ancora ignoti al
momento della stipula. Le parti possono introdurre criteri di adeguamento
automatico dell'ammontare di una prestazione col variare di alcuni indici o
parametri. Con particolare riguardo alle obbligazioni pecuniarie è consentito alle
parti introdurre clausole che derogano al principio legale, prevedendo che il
pagamento debba essere eseguito con moneta avente valore intrinseco. Talvolta le
parti consentono a ciascuna di esse di variare il contenuto o l'oggetto della
prestazione con il sopraggiungere di determinati fenomeni.

c) Più complessa è la gestione delle sopravvenienze in assenza di previsione: quando


cioè, per un verso, non operano criteri convenzionali preventivi di gestione e
regolazione delle sopravvenienze; per altro verso, non operano rimedi legali ovvero
sussistano solo rimedi demolitori del contratto e la parte interessata non intende
avvalersi degli stessi in quanto non ha interesse allo scioglimento del contratto ma
alla sua conservazione ed esecuzione.
Si rinvia sempre al principio di buona fede oggettiva. Si tende a privilegiare i rimedi
manutentori del contratto su quelli demolitori. In sostanza, in presenza di
sopravvenienze che rendano l’assetto di interessi non più ragguagliabile a quello
precedente, è consentito a ciascuna parte invocare la revisione del contratto e
specificatamente chiedere la rinegoziazione per l’adeguamento dello stesso
all’originario programma contrattuale. Deve trattarsi di avvenimenti sopravvenuti,
imprevisti e imprevedibili. In ipotesi di diniego di rinegoziare il contratto pure in
presenza di sopravvenienze impreviste si può ammette. In generale non può
ammettersi che il giudice possa riscrivere il contratto in sostituzione delle parti
poiché in tal modo si violerebbe il principio dell'autonomia dei privati. Si può però
ammettere, in applicazione del principio di buona fede, un intervento giudiziario
sostitutivo della rinegoziazione quando l’adeguamento del contratto è reso possibile
attraverso l’ancoraggio a parametri oggettivi. Il giudice verificato l'insorgere delle
sopravvenienze può solo valutare se il comportamento della parte ostativo alla
rinegoziazione sia o meno conforme alla buona fede, sanzionando con il
risarcimento del danno la condotta della parte contraria alla buona fede. A fronte di
un diniego di rinegoziazione in contrasto con il principio di buona fede, può
consentirsi alla controparte il recesso dal contratto in via di autotutela.

38
Sostituzione nell'attività giuridica.
Rapporto gestorio e potere rappresentativo.
Non è sempre possibile curare direttamente tutti i propri interessi, talvolta è
sufficiente avvalersi di mere collaborazioni tecniche, talaltra si rende indispensabile
farsi sostituire da altri soggetti. Esiste così il fenomeno della sostituzione nell'attività
giuridica, il soggetto che agisce giuridicamente (sostituto o gestore) realizza un
interesse non proprio ma di altro soggetto (cd. sostituto o gerito). Non per tutti gli
atti è consentita la sostituzione (es. personalissimi). Tratto comune della sostituzione
nell’attività giuridica altrui è la gestione dell’interesse altrui, che ne incarna il profilo
sostanziale (cd. rapporto gestorio). Tale attività può essere svolta quale funzione, in
ottemperanza di un obbligo di legge (es. potestà genitoriale) o in attuazione di un
incarico o per iniziativa del gestore stesso. Al dato di carattere sostanziale di cura
dell'interesse altrui, se ne accompagna un altro, di carattere formale, costituito da
un potere del gestore di incidere senz’altro la sfera giuridica del soggetto
interessato, riversando nella sfera altrui gli effetti degli atti compiuti: è questo il
fenomeno della rappresentanza in senso tecnico, con il quale ad un soggetto è
conferito il potere rappresentativo di altro soggetto. Quanto alla fonte del potere di
rappresentanza lo stesso può essere conferito dalla legge (rappresentanza legale)
ovvero dall’interessato (rappresentanza volontaria, procura), (1387).

(A) Rappresentanza
Rappresentanza diretta e indiretta.
All’interno della rappresentanza volontaria si è soliti distinguere tra rappresentanza
diretta e indiretta.

a) Rappresentanza diretta: è caratterizzata dalla spendita del nome altrui (cd.


contemplatio domini). Si realizza una gestione qualificata dell’interesse altrui per
agire il gestore, non solo nell’interesse di un soggetto diverso, ma anche in suo
nome. In tal guisa, alla qualifica di gestore dell’interesse altrui si aggiunge quella di
rappresentante del soggetto interessato; correlativamente, alla qualifica di soggetto
gerito si connette quella di rappresentato.
Il negozio è concluso dal rappresentante in nome e nell’interesse del rappresentato
e perciò produce direttamente effetto nei confronti del rappresentato (1388), sicché
questi assume immediatamente la titolarità dei rapporti derivanti dal contratto
stesso. Il rappresentante è solo parte formale del negozio rappresentativo; la parte
sostanziale è il soggetto interessato. Ad esempio l'acquisto di un bene in nome e per
conto altrui comporta che gli effetti del contratto di vendita si producano
direttamente tra venditore e soggetto rappresentato (compratore), per cui in capo
allo stesso rappresentato si realizza il trasferimento della proprietà acquistata e
nasce l'obbligazione del pagamento del prezzo. Con riguardo a tale negozio è il
rappresentante che elabora la volontà negoziale e la dichiara, su istruzioni del
soggetto rappresentato nel cui interesse è esercitato il potere rappresentativo. Ad
esempio è conferito al rappresentante il potere di acquistare un appartamento con
alcune caratteristiche in una specifica città ad un prezzo non superiore ad una
determinata somma; oppure di vendere un appartamento ad un prezzo non
inferiore ad una determinata somma. Sta al rappresentate ricercare e individuare il
soggetto in grado di compiere il contratto secondo le generali indicazioni ricevute
dal rappresentato.
b) La rappresentanza indiretta: non è una rappresentanza in senso stretto. Essa
realizza una interposizione reale o gestoria di persona, per cui un soggetto agisce
nell’interesse altrui ma non in nome proprio. Il contratto così concluso dal gestore
produce effetti nella sfera giuridica del gestore stesso: in virtù del rapporto gestorio
che lega il gestore al soggetto interessato, il gestore è obbligato a riversare poi gli
effetti del contratto dalla sua sfera giuridica in quella del soggetto interessato
(gerito). Il contratto regolatore del rapporto gestorio più diffuso è il mandato che si
distingue in mandato con rappresentanza, si applica la disciplina sulla
rappresentanza (1704) e mandato senza rappresentanza, i terzi non hanno rapporto
col mandante (1705). Solo quando i beni acquistati dal mandatario sono immobili o
mobili registrati, il mandatario ne acquista la proprietà ed è dunque obbligato a
ritrasferirla al mandante. In caso di inadempimento si osservano le norme relative
all'esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto. Il mandante può
ottenere una sentenza costitutiva che produca gli effetti del contratto non concluso.
Inoltre la trascrizione della domanda di esecuzione in forma specifica vale a rendere
il diritto del mandante prevalente rispetto a trascrizioni o iscrizioni eseguite contro il
mandatario dopo la trascrizione della domanda.
Quando la gestione dell’interesse altrui non involge beni soggetti a pubblicità, al
mandante sono accordati rimedi di tutela diretta del suo interesse, al fine di fare
propri i rapporti derivanti dal contratto. E così il mandante può rivendicare le cose
mobili acquistate per suo conto dal mandatario che ha agito in nome proprio, salvi i
diritti acquistati dai terzi per effetto del possesso di buona fede (1706). Il mandante,
sostituendosi al mandatario può esercitare i diritti di credito derivanti
dall'esecuzione del mandato, salvo che ciò possa pregiudicare i diritti attribuiti al
mandatario. In definitiva sussistono varie aree di tutela diretta del mandante anche
in presenza di mandato senza rappresentanza.

c) Diversa è la interposizione fittizia di persona, è una simulazione soggettiva in


quanto si realizza un accordo simulatorio tra tre soggetti, fingendosi che parte del
contratto sia un determinato soggetto (cd. prestanome) mentre gli effetti sono in
realtà imputati a un soggetto diverso (soggetto effettivo).

d) su un piano diverso si pone la figura del nuncius (portavoce): lo stesso si limita


materialmente a trasmettere una dichiarazione di volontà altrui, senza contribuire
all’elaborazione della volontà negoziale.
La procura.
La procura è la fonte del potere di rappresentanza. E’ in particolare il negozio
unilaterale con il quale è conferito il potere di rappresentanza (1387), autorizzandosi
un soggetto (procuratore) ad agire in sostituzione dell’interessato e dunque a
rappresentarlo, compiendo atti giuridici in suo nome. La procura non è un contratto
in quanto per la sua validità non necessita di accettazione da parte del
rappresentato, ma è un negozio unilaterale che attribuisce un potere ad un altro
soggetto, il rappresentante, un potere che quest'ultimo potrà usare verso i terzi.
Il rappresentante potrà, quindi, usare i poteri che gli sono stati conferiti oppure
disinteressarsene; certo è che nel momento in cui deciderà di agire in conformità del
potere conferitogli non potrà più disinteressarsene senza andare incontro a delle
responsabilità.
Viene, allora, da chiedersi quali saranno gli obblighi del rappresentante, visto che
riceve solo un potere;
qui il discorso si fa più fumoso, perché risulta evidente che il solo conferimento della
procura non garantisce il rappresentato circa la riuscita dell'incarico che ha
conferito; ed allora sarà buona norma far accompagnare la procura ad un altro
negozio giuridico, un contratto, tra lui ed il rappresentante in modo che entrambi
sappiano da subito cosa devono e non devono fare e quali obblighi dovranno
osservare, questo contratto è, di solito, il mandato.
La procura, quindi, di solito non esiste da sola, ma si accompagna ad un contratto
con il quale si disciplinano i rapporti tra rappresentante e rappresentato. Il
procuratore non è obbligato a portare a conoscenza dei terzi la fonte del suo potere
rappresentativo: significativamente la legge specifica che il terzo che contratta col
rappresentante “può” esigere che questi giustifichi i suoi poteri (se la
rappresentanza è stipulata da atto scritto può portare una copia firmata dello stesso
rappresentante). Ciò rende evidente che un fenomeno di rappresentanza diretta si
realizza anche se il terzo non prenda conoscenza della procura essendo sufficiente la
spendita del nome del rappresentato. L'esternazione del potere rappresentativo può
avvenire anche senza l'espressa dichiarazione di spendita del nome del
rappresentato, purché vi sia un comportamento del rappresentare idoneo a portare
a conoscenza dell'altro contraente la circostanza che egli agisce per un soggetto
diverso. Il rappresentante deve però informare il terzo che sta agendo in nome
altrui, altrimenti presentandosi come normale parte contrattuale assume in proprio
il contratto ed è destinatario degli effetti dallo stesso prodotto. Il rappresentante che
assume di aver agito in nome e per conto di altri ha dovere di fornire la prova della
contemplatio domini, ossia l'onere di fornire la prova di
avere, al momento della stipulazione del contratto, espressamente dichiarato di
agire in virtù di un potere rappresentativo a lui conferito, ovvero di aver portato
detta circostanza a conoscenza dell'altro contraente mediante comportamenti
adeguati.

Quanto ai soggetti, la procura può provenire da un solo soggetto verso un solo


rappresentante (procura semplice) o può involgere una pluralità di soggetti
rappresentati e/o rappresentanti: può essere rilasciata da più soggetti o conferita a
più soggetti (c.d. procura collettiva). In quest’ultimo caso la procura può essere
disgiuntiva o congiuntiva a seconda che i vari procuratori siano obbligati ad agire
insieme o siano autorizzati ad agire anche separatamente. In assenza di una
specifica disciplina della procura collettiva la procura si presume disgiuntiva. Il
rappresentante non può a sua volta farsi rappresentare da altro soggetto per il
contratto da concludere, senza esserci autorizzato o senza che ciò sia necessario
(1717). Quanto alla forma, la procura, come del resto ogni dichiarazione di volontà,
può essere espressa o tacita. Peraltro, essendo la procura un negozio orientato alla
stipula di un contratto successivo, la forma della stessa è vincolata al contratto da
concludere. La procura non ha effetto se non è conferita con le forme prescritte per
il contratto che il rappresentante deve concludere.
Quanto all’oggetto, la procura può essere speciale o generale. E’ speciale se ha
riguardo ad un singolo atto o ad un singolo affare. E’ generale se ha riguardo a tutti
gli affari del rappresentato o, almeno, a tutti gli atti relativi ad una sfera di rapporti
del rappresentato. In assenza di una disciplina specifica in tema di rappresentanza ci
si può rifare all'applicazione delle regole in tema di mandato.
La permanenza della efficacia della procura è legata alla permanenza della volontà
del rappresentato. Il rappresentato può modificare il contenuto della procura come
può disporre la revoca della procura con conseguente estinzione della stessa. Le
modificazioni e la revoca della procura devono essere portate a conoscenza dei terzi
con mezzi idonei, in mancanza esse non sono opponibili ai terzi se non si prova che
questi le conoscevano al momento della conclusione del contratto.

Il negozio concluso dal rappresentante.


Come ogni negozio, anche quello concluso dal rappresentante deve avere i requisiti
previsti dalla legge per la validità dei contratti, sia con riguardo alla formazione del
negozio e quindi alla conclusione del contratto, sia con riferimento al contenuto del
negozio stesso (1325 ss). Per la verifica di validità del contratto bisogna verificare
come la legge imputa ai due soggetti i requisiti soggettivi di validità del negozio
concluso e la rilevanza che attribuisce agli apporti dei due soggetti.

a) Relativamente alla capacità, è sufficiente che il rappresentate abbia la capacità di


intendere e di volere, avuto riguardo alla natura e al contenuto del contratto
concluso. Non si richiede, nel rappresentante, la capacità legale di agire, ma solo la
capacità naturale. Il rappresentato deve invece avere necessariamente la capacità
legale di agire per valutare l'affare da concludere e l'operato del rappresentante. Per
la validità del contratto è necessario inoltre che il negozio concluso non sia vietato al
rappresentato. Il rappresentante deve cioè avere la capacità giuridica relativa ai
singoli rapporti.

b) Con riguardo ai vizi della volontà, si è anticipato che la legge riferisce al


rappresentante la elaborazione della volontà negoziale: per l’art. 1390 il contratto è
annullabile se è viziata la volontà del rappresentante. Quando il vizio riguarda
elementi predeterminati dal rappresentato, il contratto è annullabile se era viziata la
volontà di questo (1390).

c) Circa gli stati soggettivi rilevanti, si ripropone la medesima imputazione dei vizi
della volontà. Per l’art. 1392, quando rileva lo stato di buona o di mala fede, di
scienza o d’ignoranza di determinate circostanze, si deve avere riguardo alla persona
del rappresentante.
In nessun caso il rappresentato che è in mala fede può giovarsi dello stato
d’ignoranza o di buona fede del rappresentato (1391).

L'abuso di potere (conflitto di interessi).

Verifichiamo le anomalie sui vari profili - sostanziale e formale- della


rappresentanza.
Può avvenire che il rappresentante non persegua (come dovuto) gli interessi del
rappresentato ma quelli propri o di terzi, versando in conflitto di interessi con il
rappresentato. Il rappresentante, cioè, abusa del potere rappresentativo
conferitogli, realizzando un risultano non utile o addirittura dannoso al
rappresentato. E’ sufficiente la potenzialità del conflitto di interessi anche se non è
ancora attuale il sacrificio dell’interesse del rappresentato: cio che rileva è che il
rappresentate persegua interessi incompatibili con quelli del rappresentato. Per
l’art. 1394 il contratto concluso dal rappresentante in conflitto di interessi col
rappresentato è annullabile su domanda del rappresentato, se il conflitto era
conosciuto o riconoscibile dal terzo contraente. La legge sacrifica l’interesse del
rappresentato alla inefficacia del contratto rispetto all’opposto interesse del terzo
contraente in buona fede alle efficacia del contratto. Il contratto quindi è annullabile
se e solo se il conflitto è conosciuto o conoscibile dal terzo: applicazione del
principio generale di tutela dell’affidamento. La legge tipizza un’ipotesi di conflitto di
interessi nel c.d. contratto con se stesso, quando cioè il rappresentate riunisce nella
sua persona le posizione di entrambe le parti del contratto che deve concludere,
così sintetizzando la duplicità dei centri di interessi. Es. il rappresentante del
venditore si rende acquirente del bene da vendere. Il fatto in se di riunire entrambe
le posizioni contrattuali fa presumere l'esistenza di un conflitto di interessi. È perciò
di regola annullabile il contratto che il rappresentante conclude con se stesso, o
come rappresentante di un'altra parte. La medesima norma però contiene deroghe
alla generale previsione dell'annullabilità riconoscendo la eccezionale validità del
contratto con se stesso quando ricorra una delle due seguenti ipotesi:

 Il rappresentato abbia autorizzato specificamente il rappresentate di tale


contratto.
 Il contenuto del contratto sia predeterminato da rappresentato in modo da
escludere la possibilità del conflitto di interessi. Esempio è il commesso che in
un negozio che vende a prezzi fissi, acquista un bene secondo le condizioni di
vendita fissate dal venditore.

Difetto di potere (rappresentanza senza potere).


Con riguardo al versante (formale) della spendita del nome altrui (contemplatio
domini), affiora la situazione del difetto di potere rappresentativo. Può avvenire cioè
che un soggetto spenda il nome altrui, mancando del tutto di potere rappresentativo
(assenza di potere) o esorbitando dal potere conferitogli (eccesso di poteri). In
entrambe le ipotesi si ha rappresentanza senza potere in quanto chi si presenta al
terzo come rappresentante è in difetto di potere e dunque è un falso rappresentate
(falsus procurator). Emergono tre dimensioni di osservazione: la sorte del contratto
concluso dal falso rappresentante; la posizione del terzo che ha agito con il falso
rappresentante; la posizione del rappresentato per illegittima spendita del suo
nome.

a) Quanto alla sorte del contratto, per regola generale, il contratto concluso dal
rappresentante in nome e nell’interesse del rappresentato produce effetti nei
confronti del rappresentato nei limiti delle facoltà conferitegli (1388).; pertanto chi
agisce privo di poteri rappresentativi pone in essere un contratto non efficace per il
rappresentato (1398); il contratto stipulato dal falso rappresentante è sempre
inefficace, non potendosi riferire né al rappresentato né al rappresentante.

b) La posizione del terzo rimane evidentemente danneggiata dalla inefficacia del


contratto. Perciò, per l’art.1398, chi ha contrattato come rappresentante senza
averne i poteri o eccedendo i limiti delle facoltà conferitegli è responsabili del danno
che il terzo contraente ha sofferto per avere confidato senza sua colpa nella validità
del contratto. Il risarcimento dovuto dal falso rappresentante al terzo comprende
solo l’interesse negativo, ossia il rimborso delle spese sostenute e il ristoro per le
eventuali occasione perdute e per l’attività svolta per la trattative. (non comprende
dunque il cd. interesse positivo, cioè il risultato ricavabile dall’adempimento)

c) Per quanto riguarda la posizione del rappresentato, questo non può essere
obbligato ad osservare il contratto concluso dal falso rappresentante, ma potrebbe
comunque essere interessato a questo nel caso in cui il contratto sia conveniente. In
tal modo è consentito al rappresentato di far proprio il contratto concluso dal falso
rappresentate attraverso la ratifica. La ratifica è un negozio unilaterale con il quale il
rappresentato fa propri gli effetti del contratto stipulati dal falso rappresentate. Con
la ratifica è come se il falso rappresentate avesse avuto sia da subito la procura. La
ratifica può essere espressa o tacita ed è prevista una forma solenne se il negozio da
ratificare abbia ad oggetto la vendita di un immobile o di mobili registrati.

La rappresentanza apparente.

È la situazione in cui un soggetto si comporta come rappresentante di un’altra


persona, senza però averne il potere, ma il modo con cui esercita quest’attività e la
colpa del falsamente rappresentato, ingenerano nei terzi ignari della realtà, il
ragionevole affidamento circa l’esistenza della rappresentanza, vincolando così il
rappresentato apparente all’attività compiuta in suo nome dal rappresentante
apparente.

Abbiamo visto i casi della falsa rappresentanza e abbiamo anche visto che il
falsamente rappresentato non è vincolato agli atti compiuti dal falso
rappresentante, che quindi non possono essergli opposti, salvo che non decida di
ratificarli. La situazione che nasce dalla rappresentanza apparente è quindi la stessa,
e le conseguenze, si potrebbe pensare, non potrebbero essere diverse dal caso del
falso rappresentante.
Tuttavia la giurisprudenza ha preso in considerazione un caso particolare di falsa
rappresentanza, non regolato dal codice civile, dove è vero che non c’è stata
procura, ma è anche vero che non solo un soggetto ha agito come falso
rappresentate, ma è anche accaduto che l’interessato, il falsamente rappresentato,
si è comportato in modo tale da far ragionevolmente credere ai terzi che chi agiva
per lui fosse per davvero il suo rappresentante.
Il rappresentato apparente, quindi, agisce colposamente, perché di fronte all’uso del
suo nome da parte del rappresentante apparente, non interviene per render chiaro
che non ha conferito alcun potere di rappresentanza, tanto da ingenerare nei terzi la
ragionevole convinzione che il potere rappresentativo esista per davvero.
Il più delle volte questo comportamento colposo si traduce nella tolleranza del
rappresentato apparente nei confronti dell’attività del rappresentante apparente.

La rappresentanza apparente si caratterizza, quindi, per due elementi:

 a) che l’apparenza sia riconducibile alla condotta del falsamente


rappresentato;
 b) che i terzi abbiano in buona fede ritenuto che tale apparenza
corrispondesse a una situazione reale.

Sui terzi che confidano sull’effettiva esistenza del potere rappresentativo, è


necessario, però, fare una precisazione. Qui non basta la sola buona fede
(soggettiva) del terzo.
Posto che il terzo non era conoscenza della situazione reale, non sarà tutelato
quando poteva accorgersi, usando l’ordinaria diligenza, dell’inesistenza della
rappresentanza.
A tutela del terzo il contratto è considerato efficace anche in assenza di prova; il
comportamento colposo del soggetto (falsamente) rappresentato è sanzionato con
l’efficacia dell’atto compiuto dal falso rappresentante.

(B) Altre figure.


Il contratto per persona da nominare.
È un contratto in cui una parte può riservarsi la facoltà di nominare, entro 3 giorni
dalla stipula o in diverso termine accordato, la persona che acquisterà i diritti e gli
obblighi nascenti dal contratto. La dichiarazione di nomina non ha effetto se non
accompagnata dall'accettazione della persona nominata o se non esiste una procura
anteriore al contratto. Se la dichiarazione di nomina è valida la persona nominata
diviene parte sin dal momento della stipula del contratto. Se la nomina non è fatta
validamente nei termini indicati, il contratto non è nullo e nemmeno inefficace, ma
produce i suoi effetti tra i contraenti originari. La persona nominata assume la
qualifica di parte contraente. Gli effetti si producono tra controparte e persona
nominata la quale acquista diritti e assume obblighi derivanti dal contratto con
effetto dal momento della stipula del contratto. Il contratto per persona da
nominare realizza una sostituzione nella posizione giuridica del contraente che si
riserva la nomina del terzo. Si discosta però dalla rappresentanza diretta in quanto
non è speso il nome altrui, che è anzi tenuto segreto. Si discosta anche dalla
rappresentanza indiretta in quanto il contraente che designa il terzo non è obbligato
a concludere un nuovo contratto per ritrasferire gli effetti, producendosi gli effetti
senz’altro in capo alla persona nominata. Si distingue anche dal contratto a favore
del terzo; nel primo, la nomina del terzo è solo eventuale, con la conseguenza che in
caso di mancata nomina il contratto produce effetti tra i contraenti originari; nel
secondo la figura del terzo deve essere necessariamente prevista nel contratto, e il
terzo deve essere determinato o determinabile.

Il contratto per conto di chi spetta.

L’ipotesi corre quando c’è l’esigenza di regolare uno specifico interesse, ma non è
ancora determinato il titolare dell’interesse stesso. Ad esempio in tema di vendita di
cose mobili in caso di divergenza sulla qualità o condizione della cosa, il venditore o
il compratore possono chiederne la verifica giudiziale. Il giudice quindi su istanza
della parte interessata può ordinarne il deposito, il sequestro o la vendita per conto
di chi spetta determinandone le condizioni. Analogamente in tema di trasporto se
sorge controversia tra più destinatari circa il diritto alla riconsegna o circa
l'esecuzione di questa, o se il destinatario ritarda a ricevere le cose trasportate, il
vettore può depositarle in un locale di pubblico deposito. Il contratto per conto di
chi spetta è caratterizzato dalla incertezza circa il destinatario degli effetti del
contratto: c’è l’esigenza di stipulare il contratto nell’attesa di definire, sulla base di
circostanze oggettive, la ricerca del destinatario degli effetti e cioè del risultato
programmato con il contratto.
Anche il contratto per conto di chi spetta realizza una sostituzione, anche se non può
parlarsi di rappresentanza per due motivi: non c'è spendita di nome altrui, essendo
anzi incerto il destinatario degli effetti del contratto; non c'è gestione di un interesse
determinato perché la individuazione del destinatario è legata ad un evento
oggettivamente incerto e successivo.
39
Anomalie genetiche. Difetti nella
formazione.
L'atto e il rapporto contrattuale.
Si è visto in precedenza come il contratto rilevi giuridicamente nella duplice
prospettiva, di atto (fattispecie contrattuale, quale perfezionatasi) e di rapporto
(vincolo contrattuale realizzato dello scopo programmato). Si è soliti parlare di
difetti strutturali e di difetti funzionali, per inerire i primi alla conclusione e quindi
alla struttura dell’atto e i secondi alla esecuzione e quindi alla funzione del rapporto.
Le anomalie che si presentano nella fase di conclusione del contratto sono
genetiche, per riguardare la formazione del contratto, come titolo e fondamento di
vicende giuridiche. Le anomalie che insorgono successivamente alla stipulazione del
contratto sono sopravvenute, per riguardare l’attuazione del contratto, in funzione
dello svolgimento dell’assetto di interessi programmato. Analizziamo le anomalie
genetiche.

Irregolarità e inefficacia del contratto.


Nei capitoli precedenti abbiano analizzato le varie anomalie dell’atto, rispetto ai
singoli elementi costitutivi richiesti dall’ordinamento (1325 ss). Esaminiamo ora le
conseguenze giuridiche previste dalla legge per quella che può essere indicata in
generale come contrarietà dell’atto all’ordinamento (cioè la sua illegalità). Tal
disciplina generale non esaurisce l’area delle anomalie del contratto.
E’ da ribadire che l’atto di autonomia privata è soggetto alla valutazione
dell’ordinamento, che vi connette gli effetti giuridici: in presenza di una valutazione
positiva, conseguono effetti tendenzialmente conformi allo scopo perseguito dai
privati, con le eventuali integrazioni dianzi accennate; a fronte di una valutazione
negativa, le reazioni dell’ordinamento sono orientate in due fondamentali direzioni:
contro i soggetti e/o contro l’atto o anche in entrambe le direzioni.

a) La reazione contro i soggetti comporta la comminatoria di multe e pene contro gli


autori dell’atto. Se la reazione si esaurisce in tale direzione senza incidere sulla sorte
dell’atto c’è mera irregolarità del negozio, che produce normalmente i suoi effetti,
Es. evasione di imposte di bollo
b) La reazione contro l’atto incide sulla efficacia dell’atto, privando l’atto senz’altro
degli effetti o connettendovi effetti precari in quanto destinati alla caducazione. Tale
tipo di reazione comporta la inefficacia del negozio (privazione di effetti).

Sono varie le ipotesi di contrarietà dell’atto all’ordinamento dalle quali deriva la


inefficacia del contratto. Tali anomalie possono ricondursi a due generali categorie
giuridiche, a seconda che l’anomalia inerisca alla conclusione o all’esecuzione del
contratto: nella prima direzione operano la invalidità, nelle due specie della nullità e
annullabilità e la rescissione; nella seconda direzione operano la risoluzione e
l’autotutela.
Su un diverso piano si colloca la manovra volontaria degli effetti del contratto che da
luogo alla inefficacia in senso stretto. Comune conseguenza a tutte le ipotesi di
inefficacia del contratto è la ripetibilità delle attribuzione eseguite (indebito
oggettivo, 2033), in quanto, con la inefficacia dell’atto, le attribuzioni sono prive di
causa giustificativa e vanno dunque restituite.

Inesistenza.
Con l'invalidità l'atto non risulta essere idoneo a perseguire scopi meritevoli di
riconoscimento e di tutela. Il codice disciplina due ipotesi di invalidità negoziale: la
nullità e l'annullabilità. Accanto alla categoria dell'invalidità si colloca la fattispecie
relativa all'inesistenza priva di un riferimento normativo e ignota al codice civile.
L'inesistenza si configura quando le anomalie del negozio assumono una dimensione
tale, sotto il profilo strutturale e funzionale, da far ritenere la fattispecie neppure
esistente per l'ordinamento giuridico. La categoria dell'inesistenza tende a
confondersi con quella della nullità. La dottrina e la giurisprudenza tendono a
distinguere le due categorie. In tal senso una fattispecie è giuridicamente rilevante
quando viene così qualificata dall'ordinamento indipendentemente dalla produzione
di effetti giuridici. La qualificazione di un operazione economica come inesistente
preclude a monte la possibilità di considerarla corrispondente ad un determinato
regolamento di interessi meritevoli di tutela proprio perché inesistenti. Il contratto
nullo, benché viziato, presenta almeno una impalcatura esterna di un negozio
giuridico ed in ogni caso suscita interesse nell'ordinamento, che nel qualificarlo
negativamente presuppone la sua rilevanza giuridica.
L'invalidità
Opera con riferimento a contratti esistenti e cioè socialmente identificati come atti
di autonomia privata, ma difformi all’ordinamento giuridico. L’atto, benché in grado
di operare nella realtà sociale, è valutato negativamente dall’ordinamento per
contrarietà ai “valori” fondanti o anche solo a specifiche regole organizzative. Le
cause di invalidità attengono, da un lato, a vizi di forma dell’atto e cioè con
riferimento all’attività rappresentativa e al documento; dall’altro, a vizi di sostanza
dell’atto e cioè con riguardo al contenuto dell’atto e al contesto in cui è maturato
oltre he alla persona degli autori. La invalidità si articola in due specie: la nullità e
l’annullabilità.
La nullità determina l’inefficacia originaria e automatica del negozio; l’annullabilità
comporta la precarietà degli effetti dell’atto, che possono essere caducati
dall’autorità giudiziaria. La comminatoria dell’una o dell’altra specie di invalidità è in
ragione di due fondamentali criteri: il tipo di illegalità, e perciò la natura degli
interessi coinvolti e lesi; l’impatto sociale dell’atto, e dunque l’affidamento che lo
stesso è in grado di suscitare e in realtà determina.

(A) Nullità.
Configurazione di nullità.

Nozione: la nullità è la conseguenza voluta dall'ordinamento in seguito ad un vizio


particolarmente grave che colpisce un negozio giuridico; tale vizio può consistere
nella mancanza di un elemento essenziale, nella illiceità del negozio, della causa o
dei motivi o infine per mancanza dei requisiti relativi all'oggetto. La nullità può
essere anche prevista in altri casi previsti dalla legge. Conseguenza della nullità sarà
inefficacia del negozio giuridico.

Come si vede, la nullità è la patologia più grave che può colpire un negozio giuridico
in quanto ne provoca l'assoluta mancanza di efficacia.
Scendendo su un piano " medico " potremmo dire che il negozio giuridico è nato
morto, mentre commetteremmo un errore se pensassimo che il negozio sia nato
vivo e poi successivamente morto.
Con ciò si vuol dire che un negozio nullo è come se non fosse mai nato e, quindi,
tutto quello che è stato dato in base a questo negozio potrà essere ripetuto.
L'articolo fondamentale che ci illustra il concetto di nullità è il 1418 del codice civile.
Dalla sua lettura possiamo agevolmente dividere i casi di nullità in quattro grandi
categorie:
 Atto nullo perché contrario a norme imperative: In questo caso la contrarietà
di un atto ad una qualsiasi norma imperativa ne comporterà
automaticamente la nullità. Stabilendo in generale la nullità degli atti contrari
a norme imperative, il legislatore ha inteso comminare questa sanzione anche
quando la nullità dell'atto non sia espressamente prevista da una norma. È
chiaro che per poter applicare adeguatamente il precetto contenuto
dell'articolo 1418 c.c. sarà necessario verificare se la norma violata dall'atto
sia o meno imperativa
 Atto nullo poiché manca di uno degli elementi essenziali del negozio giuridico:
Sono i casi previsti dall'articolo 1325 c.c. relativi agli elementi essenziali del
negozio giuridico. Sappiamo che la mancanza di uno di questi elementi
comporterà la nullità del negozio mentre, con riferimento ai contratti, si avrà
comunque nullità quando, oltre alla mancanza degli elementi previsti
dall'articolo 1325 c.c., il contratto avrà l'oggetto mancante, impossibile,
illecito, indeterminato o indeterminabile
 Atto nullo perché illecito: In questo caso il negozio è nullo perché la causa è
contraria a norme imperative all'ordine pubblico o al buon costume o perché
illeciti sono i motivi quando le parti di un contratto si sono determinate a
concluderlo per un motivo illecito comune ad entrambe
 Atto nullo perché contrario ad una specifica norma di legge: A differenza del
primo caso, qui per aversi nullità sarà necessario che la legge la preveda
specificamente come sanzione per il compimento del negozio. La nullità potrà
scaturire sia dalla violazione di una norma del del codice civile sia dalla
violazione di norme contenute in leggi speciali.

La nullità può colpire l'intero negozio o una sua parte oppure, ancora, singole
clausole. Si parla in tutti questi casi di:

 Nullità totale: quando investe l'intero negozio.


 Nullità parziale: quando investe parti o clausole del negozio. In questo caso il
negozio è nullo solo se i contraenti non l'avrebbero concluso senza quella
parte o clausola colpita da nullità (art. 1419 c.c.) E’ la parte che invoca la
nullità totale a dovere fornire la prova della estensione della nullità parziale
all’intero contratto.

Non si verifica la nullità quando le singole clausole nulle sono sostituite di diritto da
norme imperative.

Per stabilire quando la nullità di singole clausole (o parti del) negozio comporti la
nullità dell'intero negozio sarà quindi necessario andare a ricercare l'intenzione delle
parti, l'intenzione comune nel caso di contratti. Tale intenzione sarà desunta dal loro
comportamento e non certo da sottili indagini psicologiche; in altre parole bisognerà
verificare se dal contegno delle parti sarà oggettivamente possibile risalire alla loro
intenzione secondo i principi della buona fede e dell'affidamento.

Precisiamo, ancora, che nel caso in cui vi sia nullità parziale, comunque residuerà un
negozio giuridico perfetto del tipo voluto dalle parti, e non un altro tipo di negozio
come invece accade nell'ipotesi apparentemente simile relativa alla conversione del
negozio nullo.

Azione di nullità

Nozione: è l'azione con cui si intende far dichiarare dal giudice la nullità di un
negozio giuridico. All'azione di nullità sono dedicate due norme del codice civile:
l'art. 1421 in tema di legittimità dell'azione di nullità e il 1422 che dispone
l'imprescrittibilità dell'azione.
Innanzitutto l'azione di nullità ha natura di accertamento e la sentenza che la
definisce ha natura dichiarativa.
Analizziamo ciò che si desume dagli articoli.

 Legittimazione all'azione di nullità: la nullità può essere fatta valere da


chiunque vi abbia interesse, e cioè sia dalle parti e sia dai terzi. Vi sono inoltre
ipotesi in cui la legittimazione ad agire per far dichiarare la nullità del
contratto è stabilita esclusivamente in favore di determinati soggetti (di solito
si tratta di una parte del contratto). In tal modo si verifica la cosiddetta nullità
relativa.
 Rilevabilità d'ufficio della nullità: la nullità del negozio giuridico può esser fatta
valere in giudizio non solo dalle parti ma anche dal giudice anche se non vi sia
stata specifica richiesta proveniente da una delle parti.
 L'art. 1422 stabilisce che l'azione di nullità sia imprescrittibile, salvi gli effetti
della usucapione e della prescrizione delle azioni di ripetizione.

Le nullità di protezione.

La nullità è impiegata sempre più di frequente a tutela di qualificate posizioni


giuridiche soggettive socialmente deboli o comunque deboli nei rapporti di mercato
sì da subire l’abuso di posizioni dominanti, in grado di imporre i propri schemi
contrattuali. Tale tutela si svolge in una duplice direzione.

 Innanzi tutto incidendo sulla fattispecie e sanzionando con la nullità le


clausole considerate vessatorie o comunque espressive di abuso di posizione
dominante, con l'eliminazione di singole clausole contrattuali e la sostituzione
di altre.
 Mediante gli obblighi di informazione precontrattuale a carico di soggetti forti
del mercato.(banche, assicurazioni, ecc.).

Si è arrivati ad utilizzare la nullità per sanzionare così l'inosservanza di molti obblighi


imposti durante la formazione del contratto.
Molto spesso così le due tecniche sanzionatorie si sovrappongono operando insieme
e contemporaneamente. Entrambe tendono ad attribuire alla nullità la funzione di
protezione di interessi qualificati. Perciò tali nullità si qualificano come relativa per
poter essere rilevate dal solo soggetto appartenente alla categoria nel cui interesse
sono previste, oltre che dal giudice. Ad esempio in tema di contratti dei
consumatori, la nullità delle clausole vessatorie opera solo a vantaggio dei
consumatori e può essere rilevata d'ufficio dal giudice. Tali nullità sono di regola
insanabili e parziali.

Conversione del contratto nullo.

Nozione: è l'ipotesi in cui le parti stipulino un contratto ignorando la causa di nullità.


Se questo negozio nullo contiene in sé i requisiti di sostanza e di forma di un diverso
negozio valido, si convertirà automaticamente nel negozio valido quando le parti lo
avrebbero comunque voluto se avessero conosciuto la causa di nullità del negozio
invalido.

Vediamo subito di chiarire l'ipotesi della conversione regolata dall'articolo 1424 c.c.
delineata della nozione.

Abbiamo, in primo luogo, un negozio nullo

1. Questo negozio contiene gli elementi di diverso negozio valido (ad esempio un
contratto che regola il diritto di servitù nullo per difetto di forma può contenere gli
elementi di diritto personale di passaggio)

2. Le parti nello stipulare il negozio non erano a conoscenza della causa del nullità
(ad esempio, la mancanza della forma scritta)

3. Dallo sviluppo delle trattative e da tutti gli altri elementi oggettivi si giunge a
desumere che le parti avrebbero stipulato il diverso contratto valido se avessero
conosciuto la causa di nullità del negozio nullo; si fa riferimento, cioè, ad una
ipotetica volontà delle parti

In presenza di tutte queste condizioni il contratto nullo si converte automaticamente


nel minore contratto valido

Non bisogna confondere la conversione del negozio nullo con la conversione


formale; quest'ultima opera in maniera automatica quando un negozio giuridico può
essere compiuto validamente in più forme.
Se è nulla la forma prescelta il negozio può assumere la diversa forma valida; se, ad
esempio, un atto pubblico non è stato posto in essere secondo le formalità
prescritte dalla legge, potrà valere come scrittura privata sempre ché, beninteso, sia
stato redatto in forma scritta ( articolo 2701 c.c.).

Non si deve confondere, ancora, la conversione del negozio nullo con la


rinnovazione; quest'ultima si ha con la formazione di un nuovo negozio per quanto
possibile identico al precedente ma senza il vizio che ha causato la nullità; ad
esempio negozio stipulato verbalmente relativo a beni immobili viene rinnovato in
forma scritta.

Sia la conversione del contratto nullo sia la conversione formale fanno riferimento al
principio generale di conservazione del contratto, in base al quale il nostro
ordinamento per un esigenza economica tende a salvare, laddove è possibile, l'atto
di autonomia privata.

C) Contratto plurilaterale: Per l’art. 1420, nei contratti con più di due parti, in cui le
prestazioni di ciascuna sono dirette al conseguimento di uno scopo comune, la
nullità che colpisce il vincolo di una sola delle parti non importa nullità del contratto,
salvo che la partecipazione di essa debba, secondo le circostanze, considerarsi
essenziale. È questa una regola fondamentale dei contratti con comunione di scopo;
(società, consorzi, ecc.). Bisogna verificare se la liberazione di una singola parte
consenta al contratto di attuare egualmente lo scopo comune programmato.

D) Impossibilità di sanatoria: il negozio nullo non può essere sanato attraverso un


negozio di convalida tranne che la legge non disponga diversamente.

Conseguenze della nullità


Abbiamo visto che un negozio nullo non produce alcun effetto; nella gran parte dei
casi, però, la nullità del negozio non è subito evidente ed accade spesso che siano
compiute attività giuridiche e materiali in base al negozio affetto da nullità.
Se sono state eseguite delle prestazioni in base ad un negozio nullo se ne potrà
pretendere la ripetizione e, d'altro canto, non si potrà chiedere l'esecuzione di un
contratto nullo.

È vero infatti che non solo è imprescrittibile l'azione volta a far dichiarare la nullità di
negozio giuridico, ma è altrettanto imprescrittibile la relativa eccezione. In altre
parole in qualsiasi momento di fronte ad una richiesta di esecuzione di negozio
nullo, ci si potrà opporre eccependo la nullità del negozio.

Più volte si è affermato che il negozio nullo è come se non fosse mai esistito.

Esistono dei casi, però, dove l'applicazione di questa regola potrebbe portare a
conseguenze assai gravi o ingiuste.

Pensiamo al caso del lavoratore che in buona fede abbia prestato la sua attività
lavorativa in base ad un contratto nullo.

Applicando le regole che abbiamo sopra ricordato, al lavoratore non spetterebbe


alcun compenso per l'attività svolta;
per evitare queste conseguenze la legge dispone (art. 2126 c.c.), che la nullità del
contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto
esecuzione, salvo che la nullità derivi da illiceità dell'oggetto o della causa; se il
lavoro è stato prestato in violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro
questi ha in ogni caso diritto alla retribuzione; in altre parole la dichiarazione di
nullità non ha in questi casi efficacia retroattiva.

Altra deroga alla disciplina generale la troviamo in tema di società per azioni dove la
dichiarazione di nullità dell'atto costitutivo non ha efficacia retroattiva e ciò per
salvaguardare i creditori della S.p.a.

(B) Annullabilità.
Configurazione dell'annullabilitá.

Nozione: l'annullabilità è una forma meno grave di invalidità rispetto alla nullità
grazie alla quale si permette al soggetto che è stato danneggiato da un negozio
giuridico viziato, per la violazione di norme poste per la sua tutela, di impugnarlo e
di farne cessare l'efficacia.
Come si vede dalla definizione l'annullabilità si distingue profondamente dalla
nullità.

Sappiamo infatti che il negozio nullo è come se non fosse mai nato. Conseguenza di
ciò sarà la totale mancanza di effetti del negozio affetto da nullità.

La situazione giuridica è invece completamente diversa nel caso dell'annullabilità;

Il negozio annullabile non è " nato morto " ma è " nato malato " nel senso che è
comunque fornito di vitalità e potrà sia guarire dalla malattia che lo affligge sia
morire in seguito ad essa.

Questa metafora rende bene l'idea delle conseguenze che scaturiscono dalla
annullabilità.

Il negozio annullabile è quindi produttivo di effetti, come il malato è comunque vivo,


ma questi effetti possono essere posti nel nulla dall'impugnazione da parte del
legittimato davanti al giudice che annullerà il negozio, oppure i suoi effetti potranno
consolidarsi quando il legittimato all'impugnazione decida di non avvalersi di questo
suo potere e lasciare in vita il negozio.

È vero, quindi, che mentre la nullità tende a proteggere interessi generali,


l'annullabilità tende a salvaguardare principalmente interessi particolari dei soggetti
colpiti dal vizio del negozio. A loro, infatti, è data la scelta tra lasciare in vita il
negozio o provocarne la fine, cosa che non è certamente possibile nel caso della
nullità.

L'annullabilità, a differenza della nullità, non è prevista in via generale dal codice ma
è stabilita di volta in volta in norme specifiche.
Ricordiamo i vizi della volontà, errore violenza e dolo; sappiamo che un contratto
concluso per effetto di dolo potrà essere annullato dal raggirato; altri casi li
ritroviamo nelle ipotesi di negozi conclusi da chi era incapace di intendere o di
volere(art. 1443 c.c.)

Dalle caratteristiche peculiari dell'annullabilità discendono una serie di conseguenze


illustrate nella sottostante tabella:

 Il negozio annullabile conserva i suoi effetti sino alla sentenza di annullamento


 La sentenza di annullamento non è di accertamento ma costitutiva poiché
elimina una situazione giuridica esistente
 Proprio perché la sentenza di annullamento è costitutiva, avrà efficacia
retroattiva nel senso che tenderà ad eliminare gli effetti del negozio fin dal
momento in cui si sono prodotti
 L'annullamento del negozio annullabile può essere chiesto al giudice solo dalla
parte nel cui interesse è stabilito dalla legge(annullabilità relativa) e solo in
rari casi può essere chiesto da chiunque vi abbia interesse (annullabilità
assoluta)
 Il negozio annullabile può essere sanato per prescrizione o per convalida.

Abbiamo visto, quindi, le caratteristiche essenziali dell'annullabilità; soffermiamoci


ora sull'azione di annullamento regolata dagli articoli 1441 e seguenti del codice
civile. L'articolo 1441 si occupa specificamente della legittimazione a chiedere
l'annullamento.
Come ovvia conseguenza di quello che abbiamo detto, questa spetterà solo a colui
che è stato danneggiato dal negozio viziato cioè a colui nel cui interesse è stata
posta l'annullabilità.
Nel caso di dolo, infatti, solo al raggirato spetterà l'azione di annullamento e non
certo a chi ha usato gli artifizi e raggiri e tantomeno ad un terzo. Per questo motivo
normalmente si parla di annullabilità relativa.
Solo in rari casi la legittimazione all'azione annullamento può spettare a chiunque vi
abbia interesse come nel caso del matrimonio ex articolo 119 del codice civile. Si
parla in questi casi di annullabilità assoluta, forse anche per evidenziate la tutela
dell'interesse generale che in questi casi riveste l'annullabilità.

1) Limite all'esercizio dell'azione di annullamento è la prescrizione. È possibile,


infatti, agire per far annullare il negozio nel termine di cinque anni.

I cinque anni normalmente decorrono dal giorno in cui è venuta meno la causa che
ha viziato il negozio annullabile.
Per questo motivo l'articolo 1442 c.c. dispone al secondo comma che
" quando l'annullabilità dipende da vizio del consenso o incapacità legale il termine
decorre dal giorno in cui è cessata la violenza, è stato scoperto l'errore o il dolo, è
cessato lo stato di interdizione o di inabilitazione, ovvero il minore ha raggiunto la
maggiore età.
Negli altri casi il termine decorre dal giorno della conclusione del contratto".

Si vede, quindi, che l'articolo 1442 non intende in nessun modo tutelare chi ha
approfittato del vizio del negozio; il termine per la prescrizione decorre, infatti, da
quando è cessata l'efficacia della causa di annullabilità.

L'azione annullamento si prescrive, quindi, in cinque anni ma l'eccezione


annullamento è imprescrittibile.
Cerchiamo di chiarire questa apparente contraddizione con un esempio.
Se ho concluso un contratto in base ad un errore essenziale e riconoscibile avrò
cinque anni di tempo dalla scoperta del mio errore per poter far annullare il
contratto. Ma se il contratto non è stato ancora eseguito e dopo cinque anni l'altra
parte non caduta in errore pretende l'esecuzione contratto, io potrò sempre
oppormi eccependone l'annullabilità (quae temporalia ad agendum, peptetua ad
excipiendum).

Le cause di annullabilità.
Le cause di annullabilità sono tassativamente previste dalla legge, a differenza della
nullità.

a) Incapacità di agire: si è visto come la capacita di agire sia l’attitudine a compiere


atti giuridici, che di regola di acquista con la maggiore età.
Per l’art. 1425 il contratto è annullabile se una delle parti era legalmente incapace di
contrattare. Il riferimento alla incapacità legale rende manifesto che sono annullabili
gli atti compiuti da minori (322) e da interdetti nei limiti fissati dall’art. 427; sono
annullabili gli atti di straordinaria amministrazione compiuti dal minore emancipato
e dall’inabilitato senza l’assistenza del curatore (396-427).
Non c’è alcun riguardo all’eventuale affidamento della controparte sulla validità del
contratto in quanto l’incapacità legale è legalmente conoscibile mediante l’ispezione
dei registri di stato civile. La controparte aveva quindi la possibilità di conoscerla: la
mancata conoscenza è imputabile a sua negligenza, perciò non merita tutela. Una
ipotesi in cui il contratto non è annullabile è quando il minore con raggiri abbia
occultato la sua minore età. Diversamente opera l'incapacità naturale cioè
l'incapacità di intendere e di volere al momento del compimento dell'atto. Tale
incapacità non risultando dai registri dello stato civile, devono ricorre i presupposti
dell'art. 428 per l'annullamento dell'atto. In particolare l'annullamento dell'atto può
essere pronunciato solo quando risulta la mala fede nell'altro contraente, nel senso
di una sua consapevolezza della incapacità.

b) Vizi del consenso: per l’art. 1427 il contraente cui il consenso fu dato per errore,
estorto con violenza o carpito con dolo, può chiedere l’annullamento del contratto.

c) Altre ipotesi: sono cause particolari di annullabilità, per riferirsi a specifiche


fattispecie espressamente sanzionate dalla legge con l’annullabilità. Si pensi ad es. al
contratto stipulato dal rappresentante in conflitto d’interessi con il rappresentato: il
contratto può essere annullato su domanda del rappresentato, se il conflitto era
riconosciuto o riconoscibile dal terzo (1394, 1395)

Convalida
Nozione: è un negozio giuridico con il quale la parte legittimata a chiedere
l'annullamento del contratto vi rinuncia pur essendo consapevole del vizio che è
causa di annullabilità.

Abbiamo già osservato che l'annullabilità è posta principalmente per la tutela di


interessi particolari di un soggetto. A lui infatti spetta agire per l'annullamento del
contratto oppure rimanere inerte sanando così vizio.

La sanatoria può avvenire, però, anche attraverso un mezzo specifico, la convalida


(art. 1444 c.c.).

Attraverso la convalida, infatti, il contraente cui spetta l'azione annullamento può


porre in essere un nuovo negozio attraverso il quale dichiari di voler convalidare il
negozio annullabile.
In questo caso si parla di convalida espressa poiché c'è stata una specifica attività
volta a manifestare la volontà di convalidare; per la validità del negozio di convalida
sarà anche necessario che sia indicato il vizio che inficia il negozio annullabile; la
ragione di ciò è intuitiva. Come farebbe, ad esempio, il raggirato a convalidare il
negozio se non si sia ancora reso conto di essere stato raggirato?

La convalida, oltre che espressa può essere anche tacita.


Questa si verifica quando il contraente cui spetta l'azione annullamento ha
volontariamente dato esecuzione al negozio pur conoscendo il motivo di
annullabilità.
La sola esecuzione, anche parziale, del contratto accompagnata dalla
consapevolezza dell'esistenza del vizio potrà esser considerata come convalida
tacita; altri comportamenti, come ad esempio la promessa di eseguire la
prestazione, non costituiranno convalida tacita.

In ogni caso essendo la convalida un negozio giuridico dovrà essere posta in essere
solo da chi è in condizione di concludere validamente il negozio di cui si tratta. Il
minore, quindi, non potrebbe convalidare un negozio annullabile propria a causa
della sua minore età.

(C) Rescissione.
Nozione: attraverso l'azione di rescissione si permette a un soggetto che ha concluso
un contratto in condizioni di pericolo o di bisogno di sciogliersi dallo stesso quando
queste condizioni hanno provocato delle notevoli sproporzioni tra prestazioni
contrattuali.

L'azione di rescissione ha lo scopo di portare ad equità un contratto che sia stato


concluso sotto la pressione di circostanze eccezionali che possono consistere in uno
stato di pericolo o di bisogno;

Pensiamo al caso in cui una madre vede rischiare di annegare suo figlio e non è in
grado di prestargli soccorso; in tale situazione potrebbe promettere una grossa
somma di denaro a chi lo porterà in salvo. Pensiamo ancora all'ipotesi di chi
trovandosi in stato di bisogno venda un bene prezioso al di sotto della metà del suo
valore.

Entrambi i contratti sono stati conclusi sotto la spinta di situazioni particolari, ben
note a tutti i contraenti, situazioni che hanno cagionato una particolare iniquità nelle
condizioni negoziali.

Proprio per permettere un riequilibrio delle condizioni negoziali, il legislatore ha


concesso l'azione di rescissione, lasciando la scelta alla parte svantaggiata se
mantenere in vita il contratto oppure rescinderlo, facendone cessare l'efficacia.

La figura della rescissione è tradizionalmente inquadrata tra le cause di invalidità del


contratto, anche se una autorevole dottrina la intende, piuttosto, come rimedio
contro l'iniquità di un contratto di per sé perfetto.

Prevista in via generale dal codice civile (artt. 1447 e 1448) se ne distinguono due
ipotesi.

Analizziamo la prima nella sottostante tabella:


1) Rescissione del contratto in stato di pericolo. (nel caso, ad esempio , del
genitore che promette una grossa ricompensa a chi salverà il figlio che
sta per annegare) condizioni per l'azione.
 stato di pericolo attuale: il pericolo deve riguardare esclusivamente un danno
grave alla persona che può essere sia lo stesso contraente sia altra persona. Il
pericolo deve essere in atto al momento della stipulazione del contratto.
 iniquità delle condizioni contrattuali: lo stato di pericolo deve aver
determinato il contraente a stipulare il contratto a condizioni inique.
 conoscenza dello stato di pericolo: la parte avvantaggiata deve essere a
conoscenza del fatto che il contratto è stato concluso sotto la spinta dello
stato di pericolo

In caso di rescissione il giudice potrà assegnare un equo compenso all'altra parte per
l'opera prestata.

Passiamo, ora, all'altro tipo di rescissione.

1) Rescissione contratto per lesione (è l'ipotesi di chi spinto da uno stato


di bisogno venda un bene al di sotto della metà del suo valore).
Condizioni per l'azione.
 lesione ultra dimidium: la sproporzione tra due prestazioni dev'essere tale
entità che l'una valga più del doppio dell'altra ( ad esempio vendo un bene
che vale 100 a 49 ).
 stato di bisogno: può essere inteso come vera e propria indigenza, ma si
riscontra anche quando vi siano delle difficoltà economiche, seppure di natura
transitoria, che però rivestano una notevole importanza per il contraente
 approfittamento dello stato di bisogno: l'altra parte deve essere conoscenza
dello stato di bisogno e se ne è servito per trarne vantaggio

Vediamo ora le regole generali relative all'azione di rescissione:

 inammissibilità di convalida: il contratto rescindibile non può essere


convalidato per evitare che attraverso la convalida si ponga nel nulla la tutela
accordata attraverso l'azione di rescissione.
 riduzione ad equità: la parte avvantaggiata dal contratto può evitare la
rescissione offrendosi di riportare il negozio ad equità; in tal modo non potrà
più avere corso l'azione di rescissione

Sulla riduzione ad equità è necessario effettuare una precisazione; si potrebbe


pensare che per riportare il contratto ad equità (e quindi evitare la rescissione) basti
offrire il 50% più uno del reale valore della prestazione ricevuta da chi è in stato di
bisogno.
Tale è l'opinione di diversi autori, ma la legge non dice di riportare il contratto alle
condizioni che avrebbero evitato la rescissione, ma di portarlo "ad equità" , cioè in
una situazione che venga incontro alle opposte esigenze delle parti, valutate in
relazione alla situazione specifica;
accade allora che per evitare la rescissione il contraente che ha approfittato della
situazione di bisogno dell'altro, dovrà aumentare la sua prestazione di ben più del
50% più uno del valore dell'altra, perché se si limitasse a ciò, difficilmente il giudice,
chiamato a valutarla, potrebbe considerare equa una prestazione che vale poco più
della metà dell'altra.

 prescrizione: l'azione di rescissione si prescrive nel termine di un anno dalla


conclusione del contratto (art. 1449 c.c.); passato l'anno non sarà più possibile
opporre rescissione, e, a differenza di quanto accade per i negozi annullabili,
nemmeno in via di eccezione.
 diritti dei terzi: a differenza di quanto accade per l'azione di annullamento, la
rescissione non pregiudica i diritti dei terzi, anche se questi erano in mala fede
(art. 1452 c.c.) ; sono fatti salvi, però, gli effetti della trascrizione la domanda
di rescissione; in altre parole se la domanda di rescissione è stata trascritta
prima del contratto impugnato, la pronuncia sulla rescissione avrà effetto
anche nei confronti dei terzi.

Passiamo ora a un delicato argomento, sempre relativo alla rescissione, e cioè il


rapporto tra rescissione e usura.
Questa è prevista dall'art. 644 c.p. che ha assorbito l'ipotesi dell'abrogato articolo
644 bis c.p. relativo all'usura impropria.
In ogni caso il nuovo articolo 644 prevede il caso di chi si fa dare o promettere "in
corrispettivo di una prestazione di danaro o di altra utilità, interessi o vantaggi
usurari" e al terzo comma si fa riferimento a chi pur non ricevendo, o non avendo
ricevuto la promessa, di interessi usurari, (stabiliti in base all'art. 2 l. 108\1996 con
decreto del ministero del tesoro), si approfitti di chi si trova in stato di difficoltà
economica o finanziaria; in quest'ultimo caso la somiglianza con la rescissione è
evidente.
Sarà quindi il giudice a stabilire se il caso concreto di rescissione rientri nell'usura
(soprattutto quella del comma 3 dell'art. 644 c.p.), ma se ciò sarà accertato tale
contratto non sarà semplicemente rescindibile, ma nullo per contrarietà a norme
imperative. In tal modo la vittima della rescissione-usura riceverà un tutela ben più
efficace da quella che può ottenere dalla sola rescissione.

40
Anomalie sopravvenute.
Poiché la realizzazione dello scopo perseguito dalle parti passa attraverso
l'adempimento delle obbligazioni, può avvenire che il rapporto contrattuale non sia
attuato o sia inesattamente attuato a causa del mancato adempimento delle
obbligazioni assunte con il contratto o per il sopravvenire di fatti comportanti una
impossibilità o difficoltà nell'adempimento o inesatto adempimento delle
obbligazioni. Una particolare disciplina è prevista per i contratti a prestazioni
corrispettive. Essi sono caratterizzati dalla presenza di due prestazioni, vincolate da
un nesso di reciprocità, per cui la prestazione di una parte viene posta in essere in
conseguenza della prestazione della controparte (Es. nella vendita, la consegna di un
bene si ha con il pagamento del prezzo). Pertanto se il rapporto di corrispettività
viene meno, l'ordinamento prevede due strumenti per i soggetti:

 L'autotutela, con il quale un soggetto può difendere autonomamente il


proprio diritto;
 L'eterotutela, con la quale un soggetto può difendere un proprio diritto
ricorrendo all'apparato giudiziario;

Per quanto riguarda la funzione, facciamo una distinzione tra tecniche manutentive
con le quali si mira a conservare il contratto con le opportune modificazioni, e
tecniche demolitive con le quali si mira alla risoluzione del contratto.

(A) Autotutela.
Si è già accennato all’autotutela privata, quale rimedio accordato dall’ordinamento
ai privati per la soluzione di una controversia senza il ricorso all’autorità giudiziaria e
dunque al processo. Anche nella materia contrattuale esiste una vasta area cui è
consentito alle parti autotutela per propri interessi senza il ricorso all’apparato
giudiziario. Con riguardo al contratto in primis è ammessa un'autotutela
consensuale. Le parti hanno la possibilità di modificare il contratto, giungendo allo
scioglimento per mutuo consenso nel caso in cui il contratto non soddisfi più gli
interessi originari delle parti. Si può parlare in questo caso di autotutela in senso
ampio, che si caratterizza per l’unico aspetto di provenire dagli stessi privati, senza
l’intervento di un terzo (giudici o arbitri) che dirimi autoritariamente la controversia
con una decisione.

L’autotutela assume invece, significato e funzioni pregnanti quando consente alla


singola parte di autotutelare i propri interessi, non solo senza il ricorso a un
apparato terzo, ma anche in assenza del consenso della controparte ed anzi contro
la sua volontà. E’ questa l’autotutela in senso stretto, che si configura come
autotutela unilaterale, esercitata da una parte nei confronti dell’altra, anche contro
la sua volontà. Il diritto di autotutela si configura come diritto potestativo, per il
potere accordato al singolo contraente di determinare unilateralmente il
mutamento di una situazione giuridica, cui corrisponde una posizione di soggezione
del titolare della posizione passiva. E’ di questo che parleremo. Poiché non è
consentito farsi giustizia da se con ingiusta lesione degli interessi altrui, la tutela
unilaterale è uno strumento disciplinato dall’ordinamento: è l’ordinamento stesso
che attribuisce ai privati il diritto di autotutela, quale potere unilaterale di tutela
immediata e diretta dei propri interessi. Come per l'esercizio di ogni diritto anche
per l'esplicazione dell'autotutela si annida il pericolo di abuso della stessa. Quando
nasce contestazione tra le parti circa il corretto utilizzo di tale strumento unilaterale,
spetterà all’autorità giudiziaria accertare se i poteri di autotutela accordati sono stati
esercitati in conformità con l’ordinamento (c.d. sentenza di accertamento).
Venendo alla tipologia dell’autotutela, distinguiamo tra preservazione della
corrispettività e definizione della controversia.

Preservazione della corrispettività.

E’ la tecnica di autotutela di più antica derivazione. E’ lo strumento dell’attesa:


tende solo a preservare il rapporto di corrispettività (sinallagma funzionale). Il
contratto rimane in vita, ma la parte non inadempiente è temporaneamente
esentata dall’obbligo di eseguire la prestazione dovuta: è perciò una tutela
provvisoria, destinata ad evolvere o nella esecuzione del contratto o nello
scioglimento dello stesso. Inoltre perpetuandosi lo stato di attesa potrebbe
realizzarsi di fatto la liberazione delle parti dal vincolo contrattuale per la
prescrizione dei corrispettivi diritti di credito.

Figure più significative:

 a) Eccezione di inadempimento: è il rimedio più diffuso di antica tradizione: è


un rimedio manutentivo del contratto, al fine di consentire la simultaneità
degli adempimenti corrispettivi. Per l’art. 1460, nei contratti con prestazioni
corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua
obbligazione, se l’altro non adempie, adempie non esattamente o non offre di
adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per
l’adempimento siano stati stabili dalle parti o risultino dalla natura del
contratto; tuttavia non può rifiutarsi l’esecuzione se il rifiuto è contrario alla
buona fede. Devono ricorrere due presupposti per sollevare l’eccezione di
inadempimento:1) la esigibilità della prestazione richiesta. La mancata
scadenza del termine di adempimento legittima il debitore a paralizzare la
pretesa altrui con un eccezione di inesigibilità della prestazione. 2) Devono
inoltre trattarsi di prestazioni interdipendenti e non subordinate nel senso che
l’una prestazione si subordinata all’adempimento dell’altra, perché in tal caso
si ridetermina un meccanismo di sfalsamento dei termini di adempimento. Il
rifiuto dell’adempimento trova fondamento nell’inadempimento altrui: è
perciò fondamentale che l’invocato inadempimento sia imputabile al debitore
(1218) e non sia di scarsa importanza avuto riguardo all’interesse proprio
(1455). Quando entrambe le parti inadempienti deducono l’eccezioni di
inadempimento, bisognerà valutare quale inadempimento abbia rivestito
efficienza causale nella lesione del sinallagma contrattuale. E’ sufficiente
allegare l’inadempimento altrui. Possono ancora operare figure nominate di
eccezione di inadempimento con riguardo ai singoli contratti. Così
relativamente alla vendita, contro il pericolo di evizione, è accordato al
compratore un rimedio di autotutela al fine di preservare il rapporto di
corrispettività. Il compratore può sospendere il pagamento del prezzo quando
ha ragione di temere che la cosa o una parte di essa possa essere rivendicata
da terzi salvo che il venditore presti idonea garanzia. Analogamente il
compratore può sospendere il pagamento del prezzo se sulla cosa acquistata
gravi un pignoramento o un sequestro non dichiarato dal venditore e ignorati
dal compratore. Può inoltre far fissare dal giudice un termine per la
liberazione della cosa, alla scadenza della quale, se la cosa non è libera il
contratto è risoluto con obbligo del venditore di risarcire il danno.
 b) Mutamento nelle condizioni patrimoniali: tale rimedio risponde ad una
logica diversa: c’è il pericolo che una prestazione non possa essere eseguita
per incapacità patrimoniale. Per l’art. 1461 ciascun contraente può
sospendere l’esecuzione della prestazione da lui dovuta, se le condizioni
patrimoniali dell’altro contraente sono diventate tali da porre in evidente
pericolo il conseguimento della controprestazione, salvo che sia stata prestata
idonea garanzia. Non devono ricorrere i presupposti dell’inadempimento:
determinante è che sia compromessa la garanzia patrimoniale (2740)
 c) Diritto di ritenzione: si è visto come l’ordinamento, in molte ipotesi accordi
al creditore il diritto a non consegnare la cosa dovuta al proprietario o altro
avente diritto finché non è soddisfatto del suo credito. Con tale rimedio una
parte che detiene una cosa induce la controparte ad adempiere la sua
prestazione al fine di conseguire la disponibilità della cosa trattenuta. Es. nel
contratto di trasporto, il vettore può rifiutarsi di consegnare la cosa al
destinatario se questi non paga i crediti derivanti dal trasporto.
 d) Altri rimedi previsti in sede di attuazione del rapporto obbligatorio, come la
decadenza del debitore dal termine e l’opposizione di pagamento, pure si
rivelano suscettibili di applicazione nei contratti a prestazioni corrispettive,
per riflettersi le vicende di una obbligazione sulla obbligazione corrispettiva.

Definizione della controversia. L'esecuzione in danno.


La seconda dimensione dell’autotutela è quella della definizione della controversia,
offrendo soluzione al contatto insorto tra le parti attraverso gli strumenti
dell’esecuzione in danno o dello scioglimento del contratto.

Con l’esecuzione in danno si consente al soggetto interessato, di conseguire


coattivamente il risultato perseguito con un’iniziativa universale dello stesso. E’ un
meccanismo che trova specifica applicazione nel c.c. con riguardo alla vendita di
cose mobili. I mezzi di tutela accordati dall’ordinamento tendono all’attuazione del
contenuto del contratto, senza il ricorso all’autorità giudiziaria.
Se il compratore non adempie l’obbligazione di pagare il prezzo, l’art. 1515 accorda
al venditore il potere di conseguire la “esecuzione coattiva per inadempimento del
debitore” attraverso la vendita in danno della cosa per conto e a spese del
compratore. La vendita è fatta all'incanto a mezzo di una persona autorizzata o a
mezzo di un ufficiale giudiziario. Il venditore deve dare tempestiva notizia al
compratore del giorno, del luogo e dell'ora in cui la vendita sarà eseguita. Se la cosa
ha un prezzo corrente, ovvero stabilito da listini o da mercuriali, la vendita può
essere fatta senza incanto a mezzo di una persona autorizzata o di un commissario
nominato dal tribunale. Il venditore ha diritto alla differenza tra il prezzo convenuto
e il ricavato netto della vendita, oltre il risarcimento del danno.

Scioglimento del contratto.

Lo scioglimento del contratto si realizza mediante il recesso o mediante risoluzione


di diritto del contratto.

a) Recesso: del recesso già si è detto quale strumento accordo ai contraenti di


realizzare lo scioglimento del contratto. La rescissione può chiedersi per anomalie
verificatesi al momento della conclusione del contratto perché concluso in stato di
pericolo o per lesione. Il recesso può presentarsi nelle due forme di recesso in
autotutela e di pentimento.
In questa sede rileva in particolare il recesso in autotutela, quale strumento di tutela
unilaterale accordato ai contraenti in relazione all’attuazione del contratto, vuoi per
anomalie insorte circa l’attuazione (es. inadempimento controparte), vuoi per
consentire di sciogliersi dal contratto nei contratti di durata a tempo indeterminato.
In sede di contratto si pensi alla caparra confirmatoria, se la parte che ha dato la
caparra è inadempiente, l'altra può recedere dal contratto ritenendo la caparra, se
inadempiente è invece la controparte che l'ha ricevuta, l'altra può recedere dal
contratto ed esigere il doppio della caparra. Si pensi alla sopravvenuta impossibilità
parziale della prestazione di una parte: la controparte ha diritto ad una
corrispondente riduzione della prestazione dovuta e può anche recedere dal
contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale
(1464). Con riguardo ai singoli contratti, si pensi alla vendita a corpo di immobile, nel
caso in cui il compratore dovrebbe pagare un supplemento di prezzo ha diritto di
recesso dal contratto e il venditore è tenuto a restituire il prezzo è a rimborsare le
spese del contratto. Si pensi al contratto di appalto quando si rendono necessarie
variazioni del progetto in mancanza di accordo, se l'importo delle variazioni supera il
sesto del prezzo complessivo convenuto, l'appaltatore può recedere dal contratto e
può ottenere un'equa indennitá, se le variazioni sono di notevole entità anche il
committente può recedere dal contratto ad è tenuto a corrispondere un equo
indennizzo. Relativamente ai contratti di durata si pensi alla somministrazione. Se la
durata della somministrazione non è stabilita, ciascuna delle parti può recedere dal
contratto dandone preavviso alla controparte. Si pensi alla locazione, il conduttore,
qualora ricorrano gravi motivi può recedere in qualsiasi momento dal contratto
dandone preavviso al locatore.

b) Risoluzione : altro strumento di definizione dell’operazione per scioglimento del


contratto è la risoluzione di diritto del contratto. Essa si verifica per motivi che
sopravvengono al momento della conclusione del contratto. Tali ipotesi possono
essere:

 La risoluzione di diritto. Ovvero nei casi previsti dalla legge.


 La risoluzione per inadempimento di una delle due parti.
 La risoluzione per impossibilità sopravvenuta.
 La risoluzione per eccessiva onerosità.

La figura più rilevante e di maggiore diffusione è la diffida ad adempiere: la parte


non inadempiente può intimare alla parte inadempiente di adempiere in congruo
termine con l’avvertimento che, in mancanza, il contratto si intenderà senz’altro
risoluto di diritto (1454)
Altra figura rilevante è in tema di vendita di cose mobili ove opera l’eccezionale
rimedio della risoluzione di diritto dei contratti ai sensi degli artt. 1517 e 1518.
(vedi). È prevista la risoluzione di diritto del contratto a favore del contraente che
prima della scadenza del termine stabilito, abbia offerto all'altro nelle forme di uso
la consegna della cosa o il pagamento del prezzo se l'altro non adempie la propria
obbligazione. Inoltre è consentito al solo venditore di conseguire la risoluzione del
contratto se alla scadenza dell'obbligazione di consegna il compratore non si
presenta per ricevere la cosa offerta oppure non l'accetta.
Rappresenta una figura di autotutela in senso lato la cosiddetta risoluzione
convenzionale del contratto. Per l’art. 1372 il contratto non può essere sciolto che
per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge; è dunque sempre consentito
alle parti sciogliersi dal vincolo contrattuale con mutuo consenso o c.d. mutuo
dissenso, quale esplicazione dell’autonomia contrattuale. Quando il contratto da
risolvere è soggetto ad una forma ad substantiam, il contratto risolutivo deve avere
la medesima forma. Riferendosi la risoluzione ad un contratto sinallagmatico, le
prestazioni corrispettive, di regola, si estinguono.

(B) Eterotutela.
Generalità.
Si è già anticipato come, per i contratti a prestazioni corrispettive, caratterizzati cioè
dalla esistenza di un nesso di reciprocità tra le prestazioni (sinallagma genetico) è
necessario che tale nesso persista anche durante o lo svolgimento del rapporto
contrattuale (cd. sinallagma funzionale). Verificandosi anomalie nella correlazione
tra le prestazioni durante l’esecuzione del contratto, la legge appresta specifici
rimedi di tutela a presidio del nesso di corrispettività.
Si è già detto sopra della c.d. risoluzione consensuale con la quale i contraenti con
mutuo consenso sciolgono il contratto concluso. (1372). In questa sede però si
dibatte gli strumenti protettivi che non vengono assunti con l’accordo delle parti, ma
che anzi l’una parte fa valere contro l’altra; con “eterotutela” ci si vuole riferire alle
varie ipotesi, e sono le più diffuse, nelle quali il contraente non ha a disposizione
poteri di tutela immediata e diretta, sì da conseguire autonomamente il
soddisfacimento per la mancata esecuzione del contratto (autotutela). Il contraente,
per mancata attuazione del rapporto contrattuale, ricorre a un apparato terzo
(autorità giudiziale statale o giustizia arbitrale) che verifica le ragioni addotte dalle
parti ed emette una decisione di tutela dei diritti vantati.
Il c.c. fissa tre figure di anomalo svolgimento del rapporto contrattuale
nell’attuazione del contratto: l’inadempimento, l’impossibilità sopravvenuta della
prestazione e l’eccessiva onerosità. Tutte sono racchiuse sotto l’unico capo XIV del
Libro Quarto “Della risoluzione del contratto”.
L'inadempimento.
Per delineare l’inadempimento del contratto si deve, dunque, analizzare il
complessivo contenuto dello stesso. Pertanto l'inadempimento può essere definito
come inattuazione del regolamento contrattuale, non procurando uno dei
contraenti il risultato programmato nel contratto e/o imposto dalla legge.
L’espressione “inadempimento” è comprensiva sia dell’inadempimento che
dell’inesatto adempimento. Trattandosi di inadempimento di una obbligazione, è
necessario che l’obbligazione non adempiuta sia esigibile, cioè sia scaduto il termine
di adempimento dell’obbligazione; l’inesatta esecuzione delle prestazioni deve esser
imputabile alla parte inadempiente (1218). Infine l’adempimento del contratto deve
essere importante e cioè grave, nel senso che non deve avere scarsa importanza
avuto riguardo all’interesse dell’altra parte (1455). Qualora ricorrano inesatte
esecuzioni delle prestazioni da entrambe le parti, bisogna verificare, nel concorso tra
le stesse, quale delle due si riveli prevalente e causalmente determinante della
mancata attuazione del contratto, sì da integrare inadempimento contrattuale. Il
contraente che invoca la tutela giudiziaria per l’inadempimento dell’altro contraente
non ha necessità di fornire in giudizio la prova dell’inadempimento, essendo
sufficiente l’allegamento dell’inadempimento (o inesatto).

Gli strumenti di tutela. L'adempimento coattivo.


L’adempimento coattivo: per l’art. 1453 nei contratti con prestazioni corrispettive,
quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può a su scelta
chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il
risarcimento del danno. Se la parte non inadempiente conserva l’interesse a
conseguire l’adempimento benché tardivo, può chiedere l’adempimento
(adempimento coattivo) e quindi coltivare la realizzazione coattiva del contratto.
Abbiamo già parlato dei rimedi in autotutela. In questa sede si discorre del
conseguimento coattivo dell’adempimento attraverso l’apparato coercitivo
giudiziario. In ogni caso la parte che si avvale dello strumento dell’adempimento
coattivo deve mantenersi pronta ad eseguire la prestazione quando conseguirà la
prestazione della controparte. Come si è visto in tema di obbligazioni, il contraente
può ricorrere alla esecuzione forzata in forma specifica nelle ipotesi previste dagli
art.. 2930 ss., al fine di costruire l’utilità non procurata dall’altro contraente.
In definitiva, l’adempimento coattivo si configura quale lo strumento accordato alla
parte non inadempiente di conseguire l’attuazione dell’assetto di interessi divisato
con il contratto: non solo dunque la realizzazione coattiva dei diritti di credito, ma in
generale l’attuazione coattiva del regolamento contrattuale. La domanda di
adempimento tende a far conseguire, per via giudiziaria, quel risultato che il
contraente non ha ottenuto attraverso l’adempimento spontaneo dell’altro
contraente.

La risoluzione del contratto. La risoluzione giudiziale.


Se la parte non inadempiente perde interesse all’adempimento, anche solo perché
non ha più fiducia in un esatto adempimento della controparte, può chiedere la
risoluzione del contratto e dunque perseguire lo scioglimento del contratto. In ogni
caso la risoluzione è rimedio che tutela interessi la cui cura è rimessa all’iniziativa dei
privati e perciò non può essere rilevata d’ufficio dal giudice.
La normativa più nutrita in materia di risoluzione del contratto è dedicata alla
risoluzione per inadempimento, per essere l’inadempimento la causa più diffusa di
inattuazione del contratto. Presupposto essenziale della risoluzione è l’importanza
dell’inadempimento: per l’art. 1455 il contratto non si può risolvere se
l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza avuto riguardo all’interesse
dell’altra. Se le parti denunciano inadempimenti reciproci bisogna verificare quale
dei due abbia maggiore rilevanza ed efficienza causale nell’alterazione del
sinallagma. Veniamo alle generali conseguenze della risoluzione del contratto.

a) La risoluzione determina lo scioglimento del vincolo e dunque del rapporto


contrattuale: è un rimedio “distruttivo” del contratto

b) Ha effetto retroattivo tra le parti, salvo il caso di contratti ad esecuzione


continuata o periodica riguardo ai quali l’effetto della risoluzione non si estende alle
prestazioni già eseguite (1458). Ciò comporta che con la risoluzione le prestazioni già
eseguite vanno restituite, venendo meno la causa delle relative attribuzioni (2033).
In particolare per i contratti ad esecuzione istantanea le prestazioni eseguite
diventano prive di giustificazione e vanno dunque restituite, nei contratti traslativi si
produce l'automatico ritrasferimento del diritto alienato in capo al suo originario
titolare. Come già abbiamo detto nei contratti di durata (ad esempio di esecuzione
continua o periodica) l'effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già
eseguite, si ha quindi una inefficacia parziale del contratto che la giurisprudenza ha
applicato anche con riguardo alla alienazione di cose.

c) Anche se è stata espressamente pattuita, la risoluzione non pregiudica i diritti


acquistati dai terzi, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di risoluzione
(art. 1458). C'è dunque una tutela preferenziale dei terzi rispetto all'interesse delle
parti: a differenza dell'annullamento i terzi sono tutelati sempre indipendentemente
dal titolo di acquisto (Oneroso o gratuito) e dallo stato soggettivo (mala fede o
buona fede)

d) La risoluzione può essere giudiziale o di diritto, a seconda che intervenga per


provvedimento del giudice o operi automaticamente.

Risoluzione giudiziale.
Può essere domandata anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere
l’adempimento, ma non può più chiedersi l’adempimento quando è stata
domandata la risoluzione (1453). L’impossibilità di mutare la domanda di risoluzione
in domanda di adempimento si giustifica per la ragione che la domanda di
risoluzione del contratto denota in chi la propone di non avere più interesse alla
esecuzione del contratto: ciò comporta che la parte inadempiente consideri ormai
inutile apprestare l’adempimento. Correlativamente l’inadempiente, dalla data della
domanda di risoluzione, non può più adempiere la propria obbligazione (1453) in
quanto la parte che ha chiesto la risoluzione potrebbe avere già reperito sul mercato
la prestazione non eseguita dalla controparte. La domanda di risoluzione è soggetta
a prescrizione ordinaria decennale con decorrenza dalla data di inadempimento.
Il giudice che pronunzia la risoluzione deve verificare i presupposti
dell’inadempimento. La sentenza di risoluzione ha efficacia costituiva in quanto
determina l’estinzione del rapporto contrattuale, con lo scioglimento del vincolo che
teneva unite le parti.

Risoluzione di diritto.
In determinate ipotesi la risoluzione opera di diritto (ipso iure) e cioè
automaticamente, al ricorrere di determinati presupposti. Tratto comune è il
riconoscimento ai privati del potere di realizzare la risoluzione del contratto senza
l’intervento del giudice. Il ricorso all’autorità giudiziaria ha solo funzione di
accertamento dei presupposti della risoluzione: l’azione di risoluzione del contratto
tende dunque ad una sentenza dichiarativa dell’avvenuta risoluzione per
inadempimento.
Le ipotesi generali di risoluzione di diritto sono la diffida ad adempiere, la clausola
risolutiva espressa e il termine essenziale.
a) Diffida ad adempiere: in realtà tale figura integra un rimedio di autotutela in
senso stretto, in quanto è attribuito a uno dei contraenti il potere di realizzare
unilateralmente la risoluzione del contratto. Rimanendo una parte inadempiente del
contratto, è accordata alla controparte il diritto potestativo di realizzare la
risoluzione del contratto senza l’intervento del giudice. In particolare è un atto
unilaterale negoziale che la parte non inadempiente indirizza alla controparte con lo
scopo di determinare la risoluzione “ipso iure” del contratto. Deve essere formulato
per iscritto e contenere la intimazione ad adempiere in un congruo termine che non
può essere inferiore a 15 giorni salvo diversa pattuizione o salvo che il contratto
preveda diversamente e l’avvertimento che decorso il termine, il contratto si
intenderà risoluto. Decorso il termine senza che il contratto sia adempiuto, questo è
risoluto di diritto (1454). La diffida ad adempiere ha una duplice funzione: da un lato
pone le basi per la successiva risoluzione del contratto allo scadere del termine
assegnato, dall'altro vale a costituire in mora il debitore. Una mera intimazione di
adempire in un congruo termine non accompagnata da un'espressa dichiarazione
che il decorso del tempo comporterà la risoluzione del contratto non vale come
diffida ad adempire ma solo come costituzione in mora, con gli effetti propri di
questa. Anche la diffida ad adempiere è esercitabile in presenza di un
inadempimento della controparte di non scarsa importanza (1455).

b) Clausola risolutiva espressa: è un meccanismo di risoluzione che deve essere


espressamente previsto dalle parti: è in facoltà delle stesse convenire che il
contratto si risolva nel caso in cui una determinata obbligazione non sia adempiuta
secondo le modalità stabilite (1456). Risponde all’esigenza di rafforzare
l’adempimento di specifiche obbligazioni ovvero l’osservanza di particolari modalità
di adempimento, verso cui una parte nutre uno specifico interesse. In quanto sono
le parti stesse a valutare il ricorso dell’inadempimento, è presunta l’importanza
dell’inadempimento ai sensi dell’art. 1455.
E’ necessario che la mancata esecuzione della prestazione dovuta sia imputabile al
debitore e che perciò ricorra tecnicamente un “inadempimento”. Se non è
imputabile al debitore si è in presenza di condizione risolutiva negativa (1353).
L’inadempimento di per se non determina l’automatica risoluzione del contratto. E’
la parte beneficiaria a valutare la convenienza o meno della risoluzione e dunque
decidersi se avvalersi o meno di tale clausola: la parte beneficiaria potrebbe anche
essere interessata a ricevere un adempimento tardivo e dunque a non avvalersi
della clausola. Perciò la operatività della clausola risolutiva è rimessa alla iniziativa
della parte nel cui favore la clausola stessa è destinata ad operare. La risoluzione si
verifica di diritto quando la parte interessata dichiara all’altra che intende valersi
della clausola risolutiva (1456)

c) Termine essenziale: Ricorre tale figura quando il termine di adempimento


dell’obbligazione di una delle parti deve considerarsi essenziale nell’interesse
dell’altra (1457) sicché un adempimento tardivo non procura le utilità perseguite.
Ciò può essere esplicitamente pattuito tra le parti o dedursi implicitamente nel
contenuto e dalle circostanze del contratto. Diversamente dalla clausola risolutiva
espressa, la risoluzione opera di diritto e perciò automaticamente con la scadenza
del termine (1457). Se però la parte beneficiaria, nonostante la scadenza del
termine essenziale, vuole egualmente esigere la prestazione, salvo patto o uso
contrario, deve darne notizia all’altra parte entro tre giorni (1457).
Unico presupposto è che l’inadempimento sia imputabile alla parte inadempiente: la
legge poi presume l’importanza dell’inadempimento ai fini della risoluzione del
contratto (1455).

Il risarcimento del danno.


L’art. 1453, nell’accordare alla parte non inadempiente i due strumenti di tutela
dell’adempimento e della risoluzione, fa “salvo in ogni caso il risarcimento del
danno”.
E’ dunque un rimedio ulteriore accordato, aggiuntivo dei due specifici riconosciuti.
L’entità è diversa a seconda che il risarcimento accompagni l’adempimento coattivo,
limitandosi a reintegrare gli eventuali danni aggiuntivi, o sostituisca l’adempimento
procurando l’intero risultato perseguito con il contratto oltre i danni aggiuntivi. Con
riguardo alla risoluzione del contratto, quando il risarcimento del danno, operando
in sostituzione della prestazione originaria, deve coprire il c.d. interesse positivo,
cioè comprensivo sia della “perdita subita” dal contraente che del “mancato
guadagno” in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta. Il ricorso a tale
rimedio deve avvenire nel rispetto del principio di buona fede. Si tende a ritenere
che la domanda di risarcimento del danno possa essere autonomamente proposta
ed accolta.

Impossibilità sopravvenuta.
Si è già visto come la impossibilità originaria di una prestazione, comportando un
oggetto impossibile del contratto, è causa di nullità dello stesso (1346)
Se l’impossibilità sopravvenuta della prestazione si verifica per causa imputabile al
debitore, la situazione è assimilata all’inadempimento, sicché la controparte ha
diritto a chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento, oltre il
risarcimento dei danni (1453).
Se la impossibilità sopravvenuta si verifica per causa non imputabile al debitore, la
stessa determina la estinzione dell’obbligazione (1256). La impossibilità deve essere
oggettiva e definitiva e può anche riferirsi alla impossibilità di utilizzazione della
prestazione della controparte, secondo la causa concreta del contratto; può essere
invocata da entrambe le parti.
L’impossibilità può essere di vario modo (parziale, temporanea, ecc).
Nei contratti con prestazioni corrispettive, il modello di impossibilità sopravvenuta
dell’una prestazione si riverbera sulla vita dell’altra, influenzando il nesso di
causalità che tiene unite entrambe le prestazioni.

a) In presenza di sopravvenuta impossibilità totale della prestazione, si determina la


estinzione dell’obbligazione (1256); e il soggetto che non ha eseguito la prestazione
dovuta non è tenuto neppure all’obbligo di risarcimento del danno. La estinzione di
una prestazione comporta anche l’estinzione dell’altra corrispettiva, perciò la parte
liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere
la controprestazione e deve restituire quella che abbia già ricevuto (1463). Trattasi
di una risoluzione di diritto del contratto, perciò senza l’intervento dell’autorità
giudiziaria (eccetto funzione di accertamento).
In presenza di un contratto plurilaterale con comunione di scopo, l’impossibilità
della prestazione di una parte non importa scioglimento del contratto rispetto alle
altre, salvo che la prestazione mancante debba, secondo le circostanze, considerarsi
essenziale.

b) Ricorrendo una sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione, di regola il


debitore si libera dall’obbligazione eseguendo la prestazione per la parte che è
rimasta possibile (1258): disposizione applicabile anche in caso di deterioramento o
parziale perimento di cosa determinata (1258,2). L’altra parte ha sia diritto a una
riduzione della prestazione o ha anche diritto di recesso dal contratto quando non
abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale

c) Nell’ipotesi di impossibilità temporanea della prestazione dovuta, l’obbligazione si


estingue se l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo
dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non può più essere ritenuto
obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a
conseguirla (1256), in tale caso si deve riconoscere alla controparte un potere di
recesso dal contratto.

d) Grave problema è quello della impossibilità parziale della prestazione per causa
imputabile al creditore, per non essere la figura regolata dalla legge. Assodato che
l'impossibilità della prestazione comporta dunque la risoluzione del contratto per la
inattuabilità del rapporto contrattuale programmato, c'è da stabilire le conseguenze
della imputabilità della impossibilità del creditore. Si può configurare una risoluzione
del contratto per inadempimento contrattuale imputabile al creditore, con obbligo
di risarcimento del danno a suo carico, per essere venuto meno al dovere di buona
fede nell’esecuzione del contratto (1453 ss.)

Sopportazione del rischio.


Trattandosi di contratti a prestazioni corrispettive, c’è l’esigenza di individuare il
soggetto che, in definitiva, risente delle conseguenze della impossibilità della
prestazione: c’è cioè da stabilire su quale patrimonio concretamente gravi la perdita
economica della impossibilità sopravvenuta della prestazione.

a) Principio generale per i contratti obbligatori è che il rischio cade sul debitore la cui
prestazione è divenuta impossibile. Per l’art. 1463, nei contratti con prestazioni
corrispettive, la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione
dovuta non può richiedere la controprestazione e deve restituire quella che abbia
già ricevuto, secondo le norme relative alla ripetizione dell’indebito. In tal guisa la
perdita economica per la impossibilità della prestazione si colloca nel patrimonio
della parte debitrice della prestazione divenuta impossibile, in quanto perde il bene
dovuto senza avere diritto alla controprestazione (deve anzi restituire la prestazione
eventualmente ricevuta). La controparte, è vero che non riceve la prestazione
divenuta impossibile, ma nulla perde per tale evento in quanto è liberata
dall’obbligo della controprestazione. In sostanza la peculiarità della sopportazione
del rischio nei contratti obbligatori sta nel fatto che l’impossibilità dell’una
prestazione, determinando la estinzione dell’obbligazione, comporta la liberazione
della controparte dall’obbligo di eseguire la controprestazione. Si pensi al classico
esempio dell'incendio dell'immobile dato in locazione: il locatore a seguito
dell'incendio è liberato si dalla obbligazione di far godere l'immobile, ma perde il
bene e non ha diritto ai canoni locativi. Viceversa il locatario è vero che non
consegue il godimento dell'immobile, ma non paga i canoni e quindi non perde
nulla. Anche qui però troviamo i principi relativi alla mora. Se il debitore è in mora,
non è liberato dall’obbligazione ed è tenuto al risarcimento per equivalente della
prestazione non eseguita: il debitore può liberarsi solo provando che l’oggetto della
prestazione sarebbe egualmente perito presso il creditore, salvo che si tratti di cosa
illecitamente sottratta (1221). Se ad essere in mora è il creditore, è a suo carico la
impossibilità della prestazione sopravvenuta per causa non imputabile al debitore
(1207).

b) Il discorso è più complesso con riferimento ai contatti con effetti reali, per
operare il principio del c.d. consenso traslativo, per cui gli effetti reali si producono
in virtù del consenso legittimamente manifestato. La sopportazione del rischio è
organizzata sulla dinamica del trasferimento del diritto: gli eventi fortuiti che
colpiscono il bene dopo il trasferimento del diritto gravano sull’acquirente in quanto
già proprietario. Nei contratti in cui si ha il trasferimento di una cosa determinata
oppure costituiscono o trasferiscono diritti reali, il perimento della cosa per una
causa non imputabile all'alienante non libera l'acquirente dall'obbligo di eseguire la
controprestazione ancorché la cosa non gli sia stata consegnata. Si considera cioè
che, con il trasferimento del diritto è realizzato il risultato traslativo che è il risultato
fondamentale del contratto e dunque l'acquirente è tenuto alla prestazione
corrispettiva.

Eccessiva onerosità.

Si è visto come nei contratti ad esecuzione differita e nei contratti di durata la


esecuzione è procrastinata o si svolge nel tempo. Può quindi accadere che, nel
correre del tempo, l’equilibrio economico programmato nel contratto si incrini o
addirittura venga meno, mutando l’originario rapporto di corrispettività: il
sinallagma funzionale è distorto e compromesso.
La legge attribuisce al soggetto obbligato ad eseguire una prestazione divenuta
eccessivamente onerosa, il diritto a chiedere la risoluzione del contratto; ma
circonda il rimedio di specifici limiti, al fine di evitare che lo stesso possa costituire
un docile strumento di scioglimento del contratto quando è venuto meno l’interesse
originario. Per l’art. 1467 devono ricorrere più presupposti:

a) deve trattarsi di contratti a esecuzione differita ovvero di durata (continuata o


periodica) e cioè di contratti la cui esecuzione è differita o si protrae nel tempo: il
divario di valore deve intervenire quando una prestazione è ancora dovuta. La
sproporzione deve dunque intervenire dopo la conclusione del contratto, ma prima
della esecuzione non è ammessa la ripetizione di una eventuale prestazione onerosa
già eseguita.

b) la prestazione di una delle parti deve essere divenuta eccessivamente onerosa


rispetto all’altra. Ossia la prestazione deve essere eccessiva e cioè notevole.

c) la eccessiva onerosità deve connettersi al verificarsi di avvenimenti straordinari e


imprevedibili.

Ricorrendo tali presupposti la parte che deve la prestazione divenuta


eccessivamente onerosa può domandare la risoluzione del contratto (1467). Ciò
significa che la risoluzione è giudiziale e la relativa sentenza ha efficacia costitutiva.
La prescrizione (decennale) dell’azione decorre da quando si è determinata la
sperequazione tra le prestazioni.
La risoluzione ha effetto retroattivo tra le parti, con salvezza delle prestazioni già
eseguite ne contratti di durata. La risoluzione però non pregiudica i diritti acquistati
dai terzi, salvi gli effetti della trascrizione e della domanda di risoluzione. In
applicazione del principio di conservazione dei contratti, la parte contro la quale è
domandata la risoluzione può evitarla mediante l’offerta di equa modifica della
condizione del contratto: il contratto è rettificato con riconduzione ad equità dello
stesso (1467).
Il rimedio non è applicabile ai contratti aleatori, rientrando nella stessa causa del
contratto la incertezza dell’esito.

41
Contratti di prestazione d'opera o di
servizi.
(A) Appalto.

I contratti esaminati in questo capitolo sono caratterizzati dallo scambio del risultato
di un facere autonomamente organizzato verso il corrispettivo di un prezzo. I
contratti di appalto si distinguono dai contratti di lavoro perché in questi ultimi il
facere, cioè l'esecuzione della prestazione, avviene sotto la direzione e alle
dipendenze del datore di lavoro. Il contratto di appalto risulta essere senz'altro il
contratto più diffuso. L'appalto è il contratto attraverso il quale un soggetto detto
appaltatore assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio
rischio, il compimento di un opera o di un servizio commissionatogli dal
committente verso un corrispettivo in danaro. Si tratta dunque di un contratto
consensuale a prestazioni corrispettive. Andiamo ora ad analizzare i vari elementi
del contratto di appalto.

 Innanzitutto si tratta di un contratto di impresa in quanto l'appaltatore


assume l'obbligo di compimento di un opera o un servizio con “organizzazione
dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio”, caratteristiche tipiche
dell'attività di impresa. Anche le materie necessarie per il compimento
dell'opera sono fornite dall'appaltatore a meno che non risulti diversamente
dalle convenzioni e dagli usi. Ancora l'appaltatore è responsabile per l'opera o
il servizio prestato. L'eventuale responsabilità viene valutata attraverso il
criterio della diligenza qualificata. L'appaltatore, fornito del progetto d'opera
e delle relative indicazione da parte del committente, deve segnalare allo
stesso eventuali carenze ed errori al fine di conseguire perfettamente la
prestazione a regola d'arte. L'appaltatore deve essere professionalmente in
grado di valutare l'adeguatezza tecnica del progetto ed eventuali richieste di
modifica da parte del committente. Egli è tenuto a rispondere dei vizi
derivanti da tali modifiche qualora non li abbia segnalati. La responsabilità
dell'appaltatore cessa laddove, informato il committente di errori e carenze,
costui abbia chiesto egualmente di dare esecuzione al progetto. Al fine di
tutelare il lavoratori ausiliari dell'appaltatore, è consentito loro azione diretta
verso il committente per conseguire quanto a loro dovuto. Inoltre la morte
dell'appaltatore non è considerata come causa sufficiente di scioglimento del
contratto a meno che non era richiesta, espressamente nel contratto, la
presenza fisica della persona. In ogni caso il committente può sempre
recedere il contratto quando gli eredi dell'appaltatore defunto non danno
affidamento per la buona esecuzione della prestazione.
 L'appaltatore assume l'obbligazione di fare il cui oggetto sta nel compimento
dell'opera o del servizio, quale fonte di utilità del committente. Tale utilità
procurata può concretizzarsi in una cosa, esempio appalto di costruzione di un
edificio. Oppure procurare immediatamente una utilità con l'esecuzione della
prestazione, esempio appalto di un servizio di pulizia. Il committente prima di
ricevere la consegna può verificare lo stato dell'opera. La consegna frazionata
deve essere espressamente pattuita. Anche nel caso di più adempimenti le
esecuzioni frazionate si atteggiano come una unica obbligazione. Viene fissato
inoltre anche il relativo corrispettivo può può essere indicato globalmente o a
misura. Se non è determinato, ne stabilito il modo di determinazione è
calcolato con riferimento alle tariffe esistenti o agli usi. In assenza di queste
due è stabilito dal giudice.
 Il committente ha diritto alla verifica dell'opera nel corso della esecuzione
quando è accertato che tale esecuzione non proceda secondo le condizioni
indicate dal committente o rilevate dal contratto. Il committente può fissare
un termine entro il quale l'appaltatore deve conformarsi a tali condizioni,
trascorso il quale il contratto è risoluto salvo il diritto al risarcimento del
danno. Prima di ricevere la consegna il committente ha diritto alla verifica
dell'opera. La verifica deve essere fatta appena il committente viene
informato dell'avvenuto termine dell'opera. Se nonostante l'invito
dell'appaltatore il committente tralascia la procedura di verifica senza giusti
motivi, l'opera si intende accettata. All'accettazione segue poi l'obbligo da
parte del committente di adempire al pagamento della stessa. Inoltre è
sempre consentito al committente di recedere il contratto anche se iniziata la
esecuzione dell'opera o della prestazione del servizio purché tenga indenne
l'appaltatore dalle spese sostenute, dai lavori eseguiti e dal mancato
guadagno.
 L'appaltatore ancora è tenuto alla garanzia per difetti. La garanzia non è
dovuta se il committente, nonostante sia stato informato dall'appaltatore di
eventuali carenze e difetti, abbia accettato le difformità e vizi. Il committente
deve, a pena di decadenza, denunziare all'appaltatore tali vizi e difformità
entro 60 giorni dalla scoperta. La denunzia non è necessaria se l'appaltatore
ha riconosciuto le difformità o i vizi. L'azione si prescrive in due anni dal giorno
della consegna dell'opera. Il committente può far sempre valere la garanzia
purché le difformità o i vizi siano stati denunziati entro 60 giorni dalla
scoperta e prima che siano trascorsi 2 anni dalla consegna. Consistendo la
prestazione dell'appaltatore di un facere, il committente può chiedere
l'eliminazione delle difformità o dei vizi a spese dello stesso appaltatore,
oppure con una diminuzione del prezzo, salvo il risarcimento del danno nel
caso di colpa dell'appaltatore. Se le difformità o i vizi sono tali da rendere
l'opera del tutto inadatta alla sua destinazione si può chiedere la risoluzione
del contratto. Tale definizione trova una più rigorosa garanzia in tema di
costruzione di immobili. Se nel corso di 10 anni dal compimento l'opera
presenta gravi difetti, l'appaltatore è responsabile nei confronti del
committente e dei suoi aventi causa purché sia fatta denunzia entro un anno
dalla scoperta. Il diritto del committente si prescrive in 1 anno dalla denunzia.
 Negli appalti di rilevante importanza è frequente l'utilizzo del subappalto che
però deve sempre essere autorizzato dal committente.
 Nel caso di sopravvenuta impossibilità dell'esecuzione dell'opera in
conseguenza di una causa non imputabile a nessuna delle due parti il
contratto si scioglie e il committente è tenuto al pagamento della parte di
opera realizzata nei limiti in cui per lui è utile e in proporzione del prezzo
pattuito per l'intera opera.

Variazioni contrattuali. Revisione dei prezzi.

Durante il contratto di appalto possono verificarsi delle sopravvenienze tali da


incidere sulla previsione del progetto. Se non vengono giustificate tali
sopravvenienze contrattuali l'appaltatore non può apportare variazioni al progetto
ne invocare la revisione dei prezzi concordati.
Per quanto riguarda le variazioni, le variazioni del progetto in corso d'opera sono
consentite in 3 ipotesi tassativamente previste.

 Quando le variazioni sono concordate: è necessario una autorizzazione scritta


da parte del committente. Se il prezzo dell'opera è stato globalmente
determinato l'appaltatore non ha diritto a un compenso per variazioni o per
aggiunte salvo diversa pattuizione.
 Quando le variazioni sono necessarie al progetto per l'esecuzione ad opera
d'arte: se le parti non si accordano spetta al giudice determinare le variazioni
del progetto e del prezzo. Se l'importo delle variazioni supera il sesto del
prezzo l'appaltatore può decidere di recedere il contratto ottenendo anche
un'equa indennità. Se le variazioni sono di notevole entità il committente può
recedere dal contratto ed è tenuto a corrispondere un equo indennizzo
all'appaltatore.
 Infine per le variazioni ordinate dal committente queste non possono
superare il sesto del prezzo convenuto. In ogni caso le variazioni non devono
importare notevoli modificazioni della natura dell'opera.

Per quanto riguarda la revisione dei prezzi ci si rifà alla disciplina sulla risoluzione per
eccessiva onerosità dove la tutela per la sopravvenienze è ammessa in presenza di
avvenimenti straordinari e imprevedibili. Sono ammesse due ipotesi di
sopravvenienze: per eccessiva onerosità o difficoltà di esecuzione. In particolare
qualora per effetto di circostanze imprevedibili si siano verificati aumenti o
diminuzioni nel costo di materiali o della mano d'opera, tali da determinare un
aumento o una diminuzione superiore al decimo del prezzo complessivo convenuto,
l'appaltatore o il committente possono chiedere una revisione del prezzo. Talvolta
sono le stesse parti a inserire nel contratto clausole di revisione prezzi. Se nel corso
di un opera si manifestano delle difficoltà derivanti da cause geologiche o idriche,
non previste dalle parti, che rendano notevolmente più onerosa la prestazione
dell'appaltatore, questi ha diritto ad un equo compenso.
Appalti pubblici.

Gli appalti pubblici sono contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra una
stazione appaltante o un ente aggiudicatore e uno o più operatori economici, aventi
per oggetto l'esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi.

L'affidamento e l'esecuzione di opere e lavori pubblici devono garantire la qualità


delle prestazioni e svolgersi secondo i principi dell'economicità, tempestività,
efficacia e correttezza. Inoltre l'affidamento deve rispettare i principi di non
discriminazione, pubblicità, concorrenza, parità di trattamento e trasparenza. La
procedura di affidamento è scandita da diverse fasi.

1. Nella prima fase, prima dell'avvio delle procedure di affidamento dei contratti
pubblici, le amministrazioni decretano o determinano di contrarre,
individuando gli elementi essenziali del contratto e i criteri di selezione per gli
operatori economici.
2. La selezione avviene mediante uno dei sistemi previsti dal codice, dove viene
selezionata la migliore offerta.
3. Al termine di tale procedura viene dichiarata l'aggiudicazione provvisoria a
favore del migliore offerente. Successivamente ad ulteriori verifiche si
provvede all'aggiudicazione definitiva che chiude il procedimento di gara
dopo la verifica del possesso dei requisiti prescritti.

La stipulazione del contratto di appalto ha luogo entro 60 giorni salvo diverso


termine previsto dal bando. Se la stipulazione non avviene nel termine fissato,
l'aggiudicatario può mediante atto notificato alla stazione appaltante, recedere dal
contratto. All'aggiudicatario non spetta alcun indennizzo salvo il rimborso delle
spese contrattuali. Se in via d'urgenza sono stati dati inizio a lavori, l'aggiudicatario
ha diritto al rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione dei lavori ordinati.

Contratto di costruzione di nave e aeromobile.


Spesso la costruzione di navi e aeromobili, avviene su ordinazione di un soggetto
committente che in virtù di un contratto ne acquisterà la proprietà. A tali contratti si
applicano dunque le norme che regolano i contratti di appalto. È dettata una
disciplina particolare per la forma e la pubblicità del contratto, dovendo il contratto
di costruzione e le successive modifiche essere soggetto a trascrizione negli appositi
registri. In mancanza di pubblicità la nave e l'aereomobile si considerano fino a
prova contraria costruite per conto dello stesso costruttore.
(B) Altri contratti.
Contratto d'opera.
Si ha contratto d'opera quando un soggetto, prestatore d'opera, si obbliga ad
eseguire un servizio o un'opera verso un corrispettivo economico, con lavoro
proprio e senza vincolo di subordinazione verso il committente.
Al pari del contratto di appalto si parla di un contratto consensuale a prestazione
corrispettiva e con efficacia obbligatoria poiché consiste in una prestazione d'opera
di fare il cui oggetto sta nel fatto e dunque nel risultato della realizzazione dell'opera
o del servizio quale fonte di utilità del creditore. Se il corrispettivo non è convenuto
e non risulta essere determinabile, questo viene stabilito dal giudice in relazione del
risultato ottenuto e al lavoro normalmente necessario per ottenerlo. Si differenzia
però dalla appalto per la configurazione del soggetto attivo che nel caso dell'appalto
è un imprenditore e nel caso del contratto d'opera è il prestatore d'opera. Esempi di
prestatori d'opera sono: idraulici, elettricisti, falegnami, ecc.

Il prestatore d'opera deve procedere all'esecuzione dell'opera secondo le


disposizioni del committente o del contratto. Il committente può verificare il lavoro
svolto e se questo non rispecchi le condizioni del contratto può fissare un congruo
termine entro il quale il prestatore d'opera può conformarsi a tali condizioni.
Trascorso tale termine, se il prestatore d'opera non ha adempiuto a tale obbligo, il
committente ha diritto di recesso dal contratto salvo diritti di risarcimento dei danni.
Se l'esecuzione dell'opera diventa impossibile per cause non imputabile ad alcuna
delle parti, il prestatore d'opera ha diritto ad un compenso per il lavoro eseguito in
relazione all'utilità. Il committente può recedere dal contratto anche se la
prestazione dell'opera è iniziata tenendo indenne il prestatore d'opera dalle spese
sostenute, dal lavoro eseguito e dal mancato guadagno.

Anche nel caso dei contratti d'opera è inserita la garanzia per difetti dell'opera. Il
committente deve, a pena di decadenza, denunziare le difformità e i vizi al
prestatore d'opera entro otto giorni dalla scoperta. L'azione si prescrive entro un
anno dalla consegna. L'accettazione espressa o tacita dell'opera libera il prestatore
d'opera dalle responsabilità per difformità o vizi se questo ha informato il
committente dell'esistenza di tali vizi ma quest'ultimo ha acconsentito comunque
all'esecuzione dei lavori.
Il contratto d'opera riceve specifiche discipline con riferimento ai singoli campi di
svolgimento dell'opera.
Un tradizionale campo è rappresentato dalla prestazione d'opera intellettuale. Si
tratta del contratto che involge attività intellettuali come: avvocati, medici e
ingegneri. Con riguardo alla responsabilità del prestatore d'opera, se la prestazione
implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera
non risponde dei danni tranne nei casi di dolo o colpa grave. Il prestatore d'opera
deve eseguire personalmente l'incarico assunto. Può avvalersi, sotto la propria
direzione e responsabilità di sostituiti e ausiliari se la collaborazione di altri è
consentita dal contratto o dagli usi. Se il compenso non può essere determinato
dalle tariffe o gli usi questi viene determinati dal giudice. Il cliente può sempre
recedere dal contratto rimborsando il prestatore d'opera per le spese sostenute e
pagando il compenso per l'opera svolta. Viceversa il prestatore d'opera può
recedere dal contratto solo per giusta causa; egli ha il diritto di rimborso per le spese
fatte e per l'opera svolta.

Somministrazione.

La somministrazione è il contratto con il quale una parte (somministrante) si obbliga,


verso corrispettivo di un prezzo, a eseguire, a favore dell'altra(somministrato),
prestazioni periodiche o continuative di cose dirette a procurare una utilità che può
concretarsi in cose o realizzazione di servizi. È dunque un contratto consensuale ad
efficacia obbligatoria. Tradizionalmente la somministrazione ha avuto ad oggetto
cose, si pensi alle forniture di gas, elettricità, gasolio, ecc. Ma più di recente stanno
emergendo e accrescendosi la somministrazione di servizi legati allo sviluppo delle
nuove tecnologie come le pay-TV, servizi call-center, abbonamenti a servizi
telefonici, abbonamenti a servizi internet ecc. Il somministrato stipula il contratto
per conseguire una prestazione duratura di cose o servizi, viceversa nell'appalto il
committente stipula il contratto per conseguire una prestazione istantanea di
un'opera o di un servizio.

L'entità della somministrazione viene pattuita in corrispondenza del normale


fabbisogno del somministrato avendo riguardo al tempo della conclusione del
contratto. Se sono fissati i limiti massimo e minimo, il fabbisogno va contenuto in tali
limiti. Viene fissato il termine stabilito per le singole prestazioni. Se il somministrato
ha la facoltà di fissare il temine di scadenza delle singole prestazioni deve
comunicare la data al somministrante con congruo preavviso. Per quanto riguarda la
determinazione del prezzo, in mancanza di espressa pattuizione, è compiuta
secondo le regole in tema di vendita. Il pagamento va eseguito, per la
somministrazione periodica, all'atto delle singole prestazioni e in proporzione di
ciascuna di esse, per la somministrazione continuativa secondo le scadenze d'uso.

Con riguardo all'inadempimento esso deve essere tale da menomare la fiducia nel
l'esattezza dei successivi adempimenti. Se la durata della somministrazione non è
stabilita, ciascuna parte può recedere dal contratto dando preavviso nel termine
pattuito o in quello stabilito dagli usi o in mancanza in un termine congruo avuto
riguardo della natura della somministrazione. Sono poi regolati patti autolimitativi
del potere di disposizione delle parti, parliamo del patto di preferenza e del patto di
esclusività.

 Per il patto di preferenza il somministrato può convenire con il


somministrante di preferirlo nel caso in cui intenda stipulare un nuovo
contratto per lo stesso oggetto. Il patto non può avere durata superiore a 5
anni (art. 1566 c.c.)
 Per il patto di esclusività è pattuita la clausola di esclusiva a favore del
somministrante, l'altra parte non può ricevere da terzi prestazioni della stessa
natura, né, salvo patto contrario, può provvedere con mezzi propri alla
produzione delle cose che formano oggetto del contratto (art. 1567 c.c.)

Una fisionomia particolare ha il contratto di catering. Un contratto atipico con cui


una parte si obbliga ad erogare un servizio di ristorazione in ragione di una
determinata attività o evento indicati dal cliente. Il contratto è assimilabile alla
somministrazione se si è in presenza di un erogazione duratura in funzione
dell'attività economica del beneficiario (ristorazione continua o periodica a bordo di
aerei, navi, ecc.). È invece assimilabile all'appalto se vi è erogazione unitaria in
ragione di un determinato evento (banchetti nuziali e altri ricevimenti).

Subfornitura.
È prassi avvalersi di varie imprese per la lavorazione o la produzione di singole
componenti. La legge 192/1998 introduce varie disposizioni inerenti alla natura del
contratto di subfornitura. La subornitura non si atteggia come specifico contratto ma
integra più specifici singoli contratti come ad esempio appalto, vendita,
somministrazione, ecc.
Con il contratto di subfornitura un imprenditore si impegna a effettuare per conto di
un impresa committente lavorazioni su prodotti semilavorati o su materie prime
fornite dall'impresa committente, o si impegna a fornire all'impresa committente
prodotti o servizi destinati all'utilizzo dell'impresa committente oppure la
produzione di un bene complesso seguendo prototipi o schemi forniti dall'impresa
del committente. Esiste dunque un doppio valore della subfornitura ossia di
lavorazione o di produzione. Anche la subfornitura si atteggia come un contratto
consensuale, a prestazioni corrispettive ed efficacia obbligatoria.

Il contratto deve essere stipulato per iscritto, pena nullità. In caso di nullità il
subfornitore ha comunque diritto al pagamento per le prestazioni effettuate e al
risarcimento delle spese sostenute in buona fede per l'esecuzione del contratto. Il
prezzo di beni o servizi oggetti del contratto devono essere determinabili in modo
chiaro e preciso in modo da non generare incertezza circa la prestazione
nell'esecuzione del contratto. Il prezzo deve essere corrisposto entro 60 giorni
dall'avvenuta consegna o avviso dell'avventura esecuzione della prestazione. In caso
mancato rispetto dei termini di scadenza il committente deve al su fornitore un
interesse moratorio. È sancito ancora un divieto di interposizione per cui il su
fornitore non può a sua volta affidare la merce a lui fornita e la lavorazione o la
produzione a terzi senza espressa autorizzazione del committente e in caso positivo
per una quota non superiore al 50% della fornitura. La responsabilità del
subfornitore è limitata alla qualità e al funzionamento della parte o
dell'assemblaggio da lui prodotto o dal servizio da lui fornito. È nullo ogni patto che
permette ad una delle due parti di modificare unilateralmente una o più clausole del
contratto di subfornitura. È inoltre nullo il patto che, in caso di fornitura periodica o
continuativa, accordi ad una delle due parti il recesso del contratto senza un
congruo avviso. Risulta poi ancora di fondamentale importanza la disposizione
ricavabile dall'arte. 9 della legge 192/1998 che stabilisce il divieto dell'abuso di
dipendenza economica. È vietato quindi l'abuso da parte di una o più imprese dello
stato di dipendenza economica nei riguardi di un impresa cliente o fornitrice. Si
considera dipendenza economica la situazione i cui un impresa sia in grado di
determinare nei rapporti commerciali di un'altra impresa uno squilibrio di diritto e di
obblighi.

Deposito e parcheggio.
Il deposito è il contratto attraverso il quale un depositario riceve dal depositante una
cosa mobile con l'obbligo di custodirla e di restituirla. Si tratta di un contratto reale
poiché la conclusione si ottiene mediante l'accordo tra le parti e la consegna della
cosa. Si tratta di un contratto con effetti obbligatori derivando dal contatto una
duplice obbligazione a carico del depositario, ossia la custodia della cosa data in
detenzione e la restituzione nelle stesse condizioni in cui è stata ricevuta. Il
depositante può in qualsiasi momento richiedere la consegna della cosa è in via
sostitutiva il risarcimento del danno. È anche configurabile un deposito verso terzi.

Il deposito si distingue in regolare e irregolare. Nel deposito regolare il depositario


non può utilizzare la cosa a lui consegnata ne depositarla presso altri senza espressa
autorizzazione del depositante. Il depositario deve restituire la cosa quando il
depositante la richiede e analogamente il depositario deve ritirare la cosa quando il
depositante lo richiede. Il depositario deve consegnare la cosa al depositante o al
soggetto da lui delegato e non è obbligato a verificare l'effettiva proprietà della cosa
del depositante. La prestazione tipica del contratto di deposito è quella di
preservare la cosa contro insidie esterne (es. furti), ma può essere pattuita anche
una mera obbligazione di conservazione della cosa nella sua integrità (es.
deperimento.). Il depositario nel custodire la cosa deve usare la diligenza del buon
padre di famiglia mentre se si tratta di attività professionale deve usare la diligenza
professionale. Sullo schema del deposito si articolano alcuni sotto tipi di deposito
quale il deposito in albergo, deposito in magazzini generali e sequestro conservativo.

Per quanto riguarda il deposito in albergo, gli albergatori sono responsabili del
deterioramento, distruzione o sottrazione delle cose portate in albergo tranne che
tali eventi siano attribuiti al cliente, alle persone che a lui fanno visita o che lo
accompagnano, o a causa di forza maggiore o alla natura delle cose. Per quanto
riguarda la misura del risarcimento è determinante l'affidamento delle cose
all'albergatore. In ipotesi di consegna delle cose all'albergatore o di rifiuto di
ricevere le cose cui aveva l'obbligo di accettare, esso risponde con una
responsabilità illimitata. Nell'ipotesi di mancata consegna la responsabilità
dell'albergatore è limitata al valore di quanto sia deteriorato, distrutto o sottratto
sono all'equivalente di cento volte il prezzo di locazione dell'alloggio per giornata.
Per quanto riguarda il sequestro conservativo si tratta di un contratto mediante il
quale viene affidato ad un terzo la custodia di una cosa o una pluralità di cose da
parte di due o più soggetti tra i quali sia nata una controversia. Il terzo sarà
obbligato alla consegna dell'oggetto o degli oggetti al soggetto che avrà vinto la
controversia.

Si ha invece deposito irregolare quando il deposito ha ad oggetto quantità di danaro


o di cose fungibili ed è accordata depositario l'utilizzo dei tali cose, acquistandone
così la proprietà. Esso è tenuto tuttavia a restituire le cose che ha utilizzato della
stessa specie e stella qualità. Un esempio tipico di deposito irregolare è
rintracciabile dell'attività della banca con riguardo al deposito di danaro. Il cliente
preleverà dalla banca non le stese banconote depositate ma una somma di importo
corrispondere della stessa specie monetaria con l'aggiunta di interessi.

Ha dato luogo ad incertezze il contratto di parcheggio con il quale un soggetto,


pubblico o privato, consente la collocazione di un veicolo altrui in un'area di propria
spettanza verso un corrispettivo. Si tratta di un contratto atipico per non essere
specificamente disciplinato. Nell'ipotesi di mancanza di personale la presa in
consegna dell'autoveicolo, nelle zone delimitate da strisce e cartelli, si completa con
una mera locazione del veicolo nell'apposita area senza responsabilità per la
custodia e restituzione del bene. Nell'ipotesi di parcheggio privato si ha sia la
consegna del veicolo sia la restituzione dello stesso. Ci si riconduce in tale caso alla
disciplina per il deposito.

Trasporto.
Il contratto di trasporto è il contratto mediante il quale un vettore si obbliga, verso
un corrispettivo del prezzo, al trasporto di persone e loro bagagli o di merci da un
luogo all'altro. È un contratto con effetti obbligatori per cui il vettore è obbligato a
un facere che si risolve nel trasporto di persone o merci da un luogo all'altro. A tale
obbligazione si aggiungono poi altre obbligazioni accessorie ossia l'obbligo di
scarico/carico di merci o persone, protezione del passeggero o delle merci,
assicurazione di passeggeri o di merci, vitto e alloggio per il passeggero durante il
trasporto. Per la complessità delle obbligazioni assunte la responsabilità per il
vettore è composita. Innanzitutto il vettore risponde per gli eventuali ritardi. Egli è
libero da tale responsabilità se i ritardi dipendono da cause non imputabili al
vettore. Risponde per gli eventuali sinistri a persone o merci non adempiendo a
quelle obbligazioni accessorie che si risolvono nella protezione delle merci o delle
persone. Possiamo distinguere più tipi di trasporto: su strada (ferrovie, gomma,
fune), via mare o via d'area.

Sottotipi del trasporto.

La normativa del contratto di trasporto si organizza intorno a due fondamentali


sottotipi a seconda che il trasporto riguardi persone (passeggeri e bagagli) o cose
(merci). Rispetto a ciascun sottotipo sono dettate specifiche norme per il trasporto
stradale, ferroviario, aereo, marittimo.

Il trasporto di persone è un contratto consensuale. Il vettore risponde non solo


dell'obbligazione di trasferimento delle persone con i relativi bagagli da un luogo
all'altro, ma anche all'obbligazione di preservare l'incolumità sia delle persone che
l'integrità dei bagagli durante il viaggio se non prova di aver adottato tutte le misure
idonee a evitare il danno. La responsabilità del vettore si attiva nel momento in cui
viene provata una mancanza di colpa nell'passeggero. Tuttavia il vettore risulta
essere privo di responsabilità quando, provato di aver adottato tutte le misure
necessarie ad evitare il danno, la causa di un eventuale sinistro è causata dal
passeggero. Si richiede in tal modo un minimo di diligenza, prudenza e senso di
responsabilità da parte del passeggero per la salvaguardia della sua incolumità. Per il
trasporto marittimo il vettore è responsabile per i sinistri che colpiscono il
passeggero se non prova che tali sinistri siano derivabili da causa a lui non
imputabile. Per i bagagli e gli oggetti non consegnati al vettore questo non è
responsabile della perdita o avaria, se non quando il passeggero provi che le stesse
sono state determinate da causa imputabile al vettore. Per il trasporto aereo il
vettore risponde per i sinistri che colpiscono il passeggero a meno che egli non provi
che egli è i suoi dipendenti hanno preso tutte le misure necessarie tali da evitare il
sinistro. Il vettore risponde per i bagagli non consegnatigli e in genere degli oggetti
che il viaggiatore conserva presso di se quando il passeggero provi che la perdita o le
avarie sono state determinate da causa imputabile al vettore.

In presenza di sinistri che colpiscono il passeggero questo può far valere sia la
responsabilità verso il vettore sia la responsabilità extracontrattuale verso il
conducente del veicolo se questo non prova di aver fatto tutto ciò che era
necessario per evitare il danno. È ammessa anche una responsabilità in solido del
proprietario del vettore se non prova che la circolazione del veicolo è avvenuta
contro la sua volontà. La medesima disciplina si applica per i trasporti gratuiti. Di
diversa fattispecie invece risultano i trasporti di cortesia, si pensi all'auto stop o
trasporto amichevole. In tal caso si rileva una responsabilità extracontrattuale. Il
passeggero avrebbe perciò l'onore della prova anche della colpa del vettore. Il
vettore anche in questo caso deve provare di aver fatto tutto ciò per evitare il
danno.

Il trasporto di cose è anch'esso un contratto consensuale. Tale contratto si


caratterizza per la presa i consegna della cosa da parte del vettore e la successiva
riconsegna nel luogo di destinazione. Il comune modello è che il mittente stipula con
il vettore il trasporto di cose in favore di un destinatario. Talvolta può essere lo
stesso mittente altre volte è un soggetto terzo. Il mittente deve indicare al vettore gli
estremi necessari per eseguire il trasporto fornendo dunque i documenti necessari e
rimanendo responsabile per eventuali omissioni, inesattezze nelle indicazioni,
irregolarità dei documenti. Su richiesta del vettore il mittente è tenuto a rilasciare
una lettera di vettura che contiene gli estremi del contratto di trasporto. Su richiesta
del mittente il vettore deve rilasciare un duplicato della lettera di vettura con le
stesse indicazioni. Il vettore avendo ricevuto gli oggetti ne ottiene la detenzione
perciò esso è responsabile non solo per l'esecuzione del trasferimento e quindi di
eventuali ritardi o mancate consegne, ma anche per avarie e perdite delle cose
consegnategli per il trasporto. Sul mittente grava l'onere di verifica del buono stato
di conservazione della merce al momento della consegna al vettore. La semplice
denuncia del vettore di aver subito una rapina non è sufficiente ad escludere la
responsabilità del vettore per la perdita della merce trasportata. È necessario che la
rapina sia stata imprevedibile e assolutamente inevitabile. Regole diverse operano
per gli altri specifici titoli di trasporti. Per il trasporto marittimo di cose il vettore è
responsabile della perdita e delle avarie delle cose consegnategli per il trasporto e
dei danni per il ritardo se non provi che tali cause non sono state determinate per
sua colpa e dei suoi dipendenti.

Il trasferimento di merce non sempre è eseguito da un solo vettore e con un


medesimo mezzo di trasporto. Più spesso sono coinvolti più vettori.

 Si ha subtrasporto quando tra primo vettore e successivi vettori è stipulato un


subcontratto con efficacia diretta tra i singoli contraenti. Il vettore risponde
verso il mittente per l'intera operazione di trasferimento operando i
subvettori come suoi ausiliari.
 Si ha trasporto con rispedizione quando il vettore si obbliga di far proseguire
le cose trasportate oltre le proprie linee per mezzo di successivi vettori senza
farsi rilasciare dal mittente la lettera di vettura.
 Di diversa natura risulta essere la figura dello spedizioniere-vettore.
Quest'ultimo assume l'obbligo di eseguire in proprio il trasporto, e quindi
assume nei confronti del mittente tutte le obbligazioni del vettore. Anche se si
avvale di terzi nell'esecuzione del trasporto, in caso di inadempimento del
terzo, il mittente avrà azione solo contro lo spedizioniere-vettore, mentre
verso il terzo avrà azione aquiliana.

Contratto di viaggio e vendita di pacchetto turistici.

La diffusione del turismo di massa hanno fatto emergere la necessità per intermediari e
organizzatori la costituzione di contratti di viaggio e vendita di pacchetti turistici. Andiamo ad
analizzare le due fattispecie.

 Per quanto riguarda il contratto di viaggio la normativa a cui facciamo


riferimento è rappresentata dalla convenzione internazionale relativa ai
contratti di viaggio. Per la convenzione il contratto di viaggio si articola in 2
sottotipi ossia: il contratto di organizzazione di viaggio con il quale una
persona si impegna a suo nome a procurare ad un'altra, per mezzo di un
prezzo globale, un insieme di prestazioni comprendenti il trasporto, il
soggiorno separato dal trasporto o qualunque altro servizio che si riferisca a
questo. Un altro sottotipo è il contratto di intermediari di viaggi con il quale
una persona si impegna a procurare ad un'altra, per mezzo di un prezzo, sia
un contratto di organizzazione di viaggio sia uno o più servizi separati.
L'organizzatore di viaggi e l'intermediario sono tenuti a proteggere i diritti e gli
interessi dei viaggiatori secondo i principi generali del diritto e degli usi in
questo campo. Rispondono degli atti e delle omissioni dei propri impiegato e
agenti. L'organizzatore di viaggi è tenuto a rilasciare un documento di viaggio
contenente le varie indicazioni relative all'organizzazione del viaggio. Il
documento di viaggio fa fede alle condizioni del contratto. La violazione da
parte degli organizzatori di viaggi degli obblighi di informazione non intacca la
validità del contratto. Quanto all'esecuzione la responsabilità involge solo
l'organizzatore di viaggi e non l'intermediario. L'organizzatore risponde di
qualunque pregiudizio causato al viaggiatore per inadempimento totale o
parziale dei suoi obblighi che risultano dal contratto salvo che egli non privi di
essersi comportato diligentemente.
 I pacchetti turistici hanno ad oggetto viaggi, vacanze e circuiti tutto compreso.
Essi sono venduti o offerti in vendita ad un determinato prezzo e di durata
superiore alle 24h. L'organizzatore di viaggio può vendere direttamente
pacchetti turistici o procurarli ad un venditore. Il contratto di vendita di
pacchetti turistici deve essere stipulato in forma scritta in termini chiari e
precisi. Al consumatore è accordato il diritto di recesso in autotutela dal
contratto contro la modifica o la cancellazione del servizio. Il tal caso il
consumatore ha diritto di usufruire di un Alfio pacchetto turistico
qualitativamente equivalente o superiore senza supplemento del prezzo, o di
un pacchetto turistico qualitativamente inferiore previa restituzione della
differenza del prezzo. Il consumatore può essere rimborsato entro sette giorni
lavorativi dal momento del recesso o della cancellazione della somma di
danaro già corrisposta. Ha inoltre diritto al risarcimento del danno anche
quando la cancellazione del pacchetto turistico dipenda dal mancato
raggiungimento del numero minimo di partecipanti richiesto ed il
consumatore sia stato informato in forma scritta almeno 20 giorni prima della
data prevista per la partenza, oppure per cause di forza maggiore. In caso di
mancato o inesatto adempimento delle obbligazioni assunte con la vendita
del pacchetto turistico, l'organizzatore e il venditore sono tenuti al
risarcimento del danno secondo le rispettiva e responsabilità se non provano
che il mancato o un'estate inadempimento è stato determinato da una causa
a loro non imputabile. L'organizzatore e il venditore sono esonerati da take
responsabilità solo quando la mancata o inesatta esecuzione del contratto è
imputabile a consumatore o dipesa da fatti imprevedibili o inevitabili o da casi
fortuiti o da forza maggiore.

42
Contratti di cooperazione giuridica.
(A) Mandato.

Lo schema generale.
Il mandato rappresenta senz'altro una delle figure contrattuali di più larga
utilizzazione. Tale pratica si è sviluppata proprio in relazione alla impossibilità di
compiere personalmente atti giuridici in aree territoriali molto distanti tra loro. È
necessario quindi che il soggetto interessato al compimento dell'atto si avvalga del
l'ausilio di un'altro soggetto per concludere tale atto. Il mandato quindi si
caratterizza proprio nel fatto che un soggetto agisca per conto di un'altro per la
gestione di un interesse altrui. Una particolare figura è senz'altro rappresentata dal
mandato in rem propriam per il quale il mandatario realizza nel compimento del
negozio gestorio anche un proprio interesse.

Il mandato quindi si configura come un contratto mediante il quale un soggetto


definito mandatario si obbliga a concludere uno o più atti giuridici per conto di un
mandante. Anche tale tipo di contratto si caratterizza per un facere legato al
compimento della prestazione del mandatario che si realizza nel compimento di atti
giuridici più delle volte negozi gestori, cioè negozi nell'interesse del mandante.
Anche in questo caso si tratta di un negozio consensuale con efficacia obbligatoria in
virtù del quale il mandatario assume l'obbligazione del compimento di uno o più atti
giuridici per conto del mandante. Viene dunque realizzato un interesse del
mandante a meno che non si tratti di mandato in rem propriam dove anche il
mandatario ha un interesse proprio nella conclusione del negozio gestorio. Il
mandato ancora può essere conferito ad uno o più mandanti o a uno o più
mandatari. Ai mandatari può essere ancora autorizzato di agire disgiuntamente o
congiuntamente. Se nel mandato non è chiarito che i mandatari devono agire
congiuntamente, ciascuno di essi può compiere uno o più atti giuridici per conto del
mandante disgiuntamente. Il mandato comprende non solo gli atti per i quali è stato
conferito ma anche quelli che siano necessari al loro compimento. Il mandato
ancora può essere conferito per affari specifici o per una pluralità di affari o ancora
per tutti gli affari del mandante. In ogni caso si tratta di un contratto oneroso. Se il
corrispettivo non è determinato questo è determinato in base alle tariffe
professionali o dagli usi, in mancanza di questi è determinato dal giudice.

Mandato e rappresentanza.

Bisogna ancora fare una distinzione tra mandato con rappresentanza e mandato
senza rappresentanza.

 Nel mandato con rappresentanza viene conferito al mandatario, mediante


procura, il potere di rappresentanza del soggetto interessato. In tal modo il
mandatario non agisce solo per conto ma anche in nome del mandante
mediante la spendita del nome rappresentato ossia la cosiddetta
contemplatio domini. Bisogna dunque fare una distinzione tra mero mandato
e procura. Il mandato è un negozio gestorio in cui il mandatario agisce solo
per conto del mandante, mentre nella procura si tratta di un atto unilaterale
di conferimento del potere rappresentativo con cui, oltre ad agire per conto
del rappresentato si ha la spendita del suo nome, ossia sia agisce anche in suo
nome. Di regola con un unico atto viene sia conferito il mandato che la
procura.
 Nel mandato senza rappresentanza il mandatario agisce si nell'interesse altrui
ma senza la spendita del nome del rappresentato. Esso in pratica non si
presenta come rappresentare del mandante. È indifferente che emerga fuori il
carattere gestorio del negozio concluso dal mandatario. Ancora il mandatario
che agisce in nome proprio acquista diritti e assume obblighi derivanti dagli
atti compiuti con i terzi. I terzi non hanno nessun rapporto col mandante. Per
l'assenza di spendita del nome affinché il contratto di mandato si esaurisca è
necessario un'ulteriore negozio con il quale i diritti acquisiti dal mandatario
possano essere trasferiti nel patrimonio del mandante. Un trattamento
particolare è da rilevare per il trasferimento di beni mobili e immobili
registrati. Il mandante può rivendicare le cose mobili acquistate per suo conto
dal mandatario fatto salvo i diritti acquistati da terzi in buona fede. Se le cose
acquistate dal mandatario sono beni immobili o mobili iscritti in pubblici
registri, il mandatario ha l'obbligo di trasferire gli stessi al mandante. In caso
di inadempimento il mandante può ottenere una sentenza costitutiva che
tiene luogo del contratto non concluso. Per i diritti di credito acquistati dal
mandatario, il mandante può ad esso sostituirsi per esercitare i diritti di
credito derivanti dall'esecuzione del contratto purché non pregiudichi i diritti
attribuiti al mandatario. Nel caso di conflitto tra mandatario e creditori del
mandatario si dispone che questi non possano agire esecutivamente sui beni
entrati a far parte del patrimonio del mandatario in esecuzione del mandato,
sempre che trattandosi di beni mobili o di crediti, il mandato risulti da data
certa anteriore al pignoramento, e che nel caso di beni immobili e mobili
registrati il mandato sia anteriore al pignoramento e alla trascrizione dell'atto
di ritrasferimento.

Le obbligazioni delle parti.

Dal mandato derivano obbligazioni per entrambe le parti.

 Per quanto riguarda le obbligazioni del mandatario queste si risolvono nel


compimento degli atti oggetto del contratto di mandato. A questi si inserisce
un ulteriore obbligazione ossia il trasferimento dei diritti, acquistati dal
mandatario, nel patrimonio del mandante. Nell'esecuzione del mandato il
mandatario deve eseguire il suo compito con la diligenza del buon padre di
famiglia. Se il mandato e gratuito, la responsabilità per colpa grave è valutata
con minore rigore. In ogni caso il mandatario è tenuto a rendere noto al
mandante le circostanze sopravvenute che hanno portato alla revoca o alla
modificazione del contratto. Salvo patto contrario il mandatario che agisce in
proprio nome non risponde verso il mandante delle obbligazioni assunte dalle
persone con le quali ha contrattato. Inoltre nell'espletamento del proprio
incarico il mandatario non può eccedere i limiti fissati dal contratto. Il
mandatario ancora non può farsi sostituire da altri nel proprio mandato. Il
mandatario che sostituisce se stesso con terzi nell'esecuzione del mandato
senza autorizzazione da parte del mandante risponde dell'operato della
persona sostituita. Esaurito l'incarico il mandatario deve comunicare
tempestivamente l'esecuzione del mandato, rendere conto del suo operato e
corrispondere al mandante gli interessi legali sulle somme riscosse per conto
dello stesso mandato.
 Per quanto riguarda le obbligazioni del mandante questo è tenuto a
corrispondere al mandatario i mezzi necessari per l'esecuzione del mandato e
per l'adempimento delle obbligazioni contratte in suo nome. Inoltre il
mandante deve rimborsare al mandatario le spese fatte, i rimborsi, le
anticipazioni e tutto ciò che sia stato utilizzato dal mandante al fine di
terminare il negozio oggetto del contratto di mandato. Inoltre, se il contratto
mandato risulta essere a titolo oneroso, il mandante ha l'obbligo di
corrispondere il compenso espressamente pattuito e se non pattuito
determinato in base le tariffe professionali o gli usi, in mancanza viene
disposto dal giudice. Inoltre il mandatario, a tutela dei suoi diritti può
soddisfarsi sui crediti pecuniari sorti dagli affari che ha concluso con
precedenza sul mandante e sui creditori del mandante.

L'estinzione del mandato.

Bisogna innanzitutto disporre che gli atti conclusi dal mandatario prima di conoscere
l'estinzione del mandato sono validi nei confronti del mandante o dei suoi eredi. Le
cause di estinzione del mandato sono tassative.

 Innanzitutto il mandato si estingue per scadenza del termine o compimento


dell'affare.
 Il mandato ancora può estinguersi per revoca dello stesso mandante. Revoca
che può essere evocata in qualsiasi momento a meno che il contratto di
mandato prevedeva l'irrevocabilità. In tal modo il mandante risponde dei
danni nei confronti del mandatario, salvo che non risulti giusta causa nel
recesso. Ancora quando il mandato è qualificabile come mandato in rem
propriam, ossia anche il mandatario ha un proprio interesse nel concludere il
contratto, questo non può essere revocato salvo che sia diversamente
stabilito o ricorra una giusta causa di revoca. Qual'ora la revocabilità sia stata
espressamente prevista nel caso di mandato in rem propriam il mandante che
intende revocare ha l'obbligo di risarcimento del danno nei confronti del
mandatario. Inoltre se si tratta di mandato in rem propriam il contratto non si
può estinguere neppure per la morte sopravvenuta o l'incapacità del
mandante. Se il mandato conferito è a termine determinato o conferito per
un solo specifico affare questo può essere revocato a patto risarcimento dei
danni nei confronti del mandatario quando la revoca interviene prima della
scadenza del termine o prima del compimento dell'affare. Se il mandato è a
tempo indeterminato il mandante che ha intenzione di avvalersi della revoca
deve risarcire il danno al mandatario qualora non sia stato fornito un congruo
preavviso e una giusta causa.
 Altro motivo di estinzione del mandato è la rinunzia da parte del mandatario.
Egli può chiedere in ogni momento la rinunzia, ma questa deve essere fatta in
un congruo termine il modo che il mandante possa prendere congrui
provvedimenti. Il mandatario che rinunzia senza giusta causa al mandato deve
risarcire i danni al mandante. Se il mandato è a tempo indeterminato, il
mandatario che rinunzia senza giusta causa è tenuto al risarcimento del
danno qualora non abbia dato un congruo preavviso.
 L'estinzione del mandato si ha ancora in caso di morte o di incapacità legale
(interdizione o inabilitazione) del mandante e del mandatario. Quando il
mandato si estingue per morte o incapacità sopravvenuta del mandante, il
mandatario che ha iniziato l'esecuzione deve continuarla. Quando il mandato
si estingue per morte o sopravvenuta incapacità del mandatario, i suoi eredi o
quello che lo assiste , se hanno conoscenza del mandato devono avvertire
prontamente il mandante e prendere nell'interesse di questo i provvedimenti
necessari. Problema dibattuto risulta senz'altro se sia valido o meno il
cosiddetto mandato post mortem, cioè il mandato conferito in vita dal
mandante per l'espletamento di un incarico da compiere dopo la sua morte.
Di tale mandato s'intende ad ammettere la valida limitatamente ad incarichi
che non abbiano il risultato di incidere sulla successione mortis causa.

Commissione.
Figure collegate al mandato sono la commissione e la spedizione. Entrambi i
contratti sono displiplinati dal codice sotto il medesimo titolo del mandato. Agli
stessi dunque si applicano le disposizioni del mandato con alcune ulteriori
disposizioni specifiche se si tratta di commissione o spedizione.

Il contratto di commissione è un mandato che ha come oggetto l'acquisto o la


vendita di beni per conto del committente e in nome del commissario. Si tratta
dunque di una speciale di mandato senza rappresentanza per agire il
commissionario senza la spendita del nome del committente. Il commissionario
assume le obbligazioni proprie del mandatario e il committente quelle del
mandante. Per l'attività svolta il commissionario ha diritto ad una provvigione la cui
misura, se non stabilità dalle parti, è determinata second gli usi, o in mancanza
determinata dal giudice. Il commissionario ancora può compiere operazioni di fido. Il
commissionario quindi, sempre su autorizzazione del committente può concedere
dilazioni in pagamento. Se nonostante divieto di dilazione il commissionario ha
comunque avviato la proposta di fido, il committente può esigere dal
commissionario il pagamento immediato, salvo il diritto del commissionario di fare
propri i vantaggi che derivano dalla concessione del fido. Avviene di sovente che il
commissionario sia tenuto al cosiddetto star del cedere. È una figura che comporta
un maggior rischio di impresa a carico del commissionario per l'esecuzione
dell'affare di cui regola corrisponde una maggiore autonomia nella promozione e
nella stipula delle compravendite. In tale caso il commissionario ha diritto, oltre alla
sua normale provvigione, anche ad un compenso maggiore. Nella commissione di
compera o di vendita di titoli, in assenza di diversa disposizione del committente, il
commissionario può fornire al prezzo del suddetto le cose che deve comprare, o che
può acquistare per se le cose che deve vendere, salvo in ogni caso il diritto alla
provvigione. Il committente può revocare l'ordine di concludere l'affare fino a che il
commissionario non l'abbia concluso ma in questo caso spetta al commissionario
una parte della provvigione in ragione delle spese sostenute e per l'opera prestata.

Spedizione.
Il contratto di spedizione è caratterizzato per un'apertura ai soli affari di trasporto. Il
contratto di spedizione è un contratto mediante il quale lo spedizioniere assume
l'obbligo di concludere, in nome proprio e per conto del mandante, un contratto di
trasporto, e di compiere le relative operazioni accessorie come ad esempio carico,
scarico, imballaggio ecc. È dunque un mandato senza rappresentanza per l'assenza
della spendita del nome del mandante. A carico dello spedizioniere grava l'obbligo di
attenersi alle specifiche istruzioni del committente e in mancanza di operare
secondo il migliore interesse del medesimo. Lo spedizioniere come il
commissionario ha diritto ad una retribuzione per l'esecuzione del trasporto oltre al
rimborso delle spese. La misura della retribuzione è valutata secondo le tariffe
professionali o gli usi, in mancanza stabilità dal giudice. Finché lo spedizioniere non
abbia concluso il contratto di trasporto cin il vettore, il mittente l'ho revocare il
contratto di spedizione rimborsando lo spedizioniere per le spese sostenute e
corrispondendogli un equo compenso. Tuttavia il contratto di spedizioniere è poco
frequente nella pratica a differenza del vettore che è obbligato ad eseguire il
trasporto lo spedizioniere è solo obbligato a concludere il contratto di trasporto.
Perciò è prevista la figura dello spedizioniere vettore. Quando lo spedizioniere con
mezzi propri o altrui assume l'esecuzione del trasporto in tutto o in parte, ha
obblighi e dirti del vettore.

(B) Altri contratti.


Agenzia.

Col contratto di agenzia una parte (agente) assume stabilmente l'incarico di


promuovere, per conto dell'altra (preponente), verso retribuzione, la conclusione di
contratti in una zona determinata. Lo scopo dell'agente è la sola promozione
dell'attività del preponente. L'attività dell'agente deve essere stabile e non
occasionale. Si evidenzia però una palese asimmetria contrattuale con evidente
pericolo di abuso di posizione dominante da parte dell'impresa. Perciò con riguardo
al contratto di agenzia sono così emerse prime normative di equilibrio legale di
posizioni contrattuali deboli sul mercato. In tal modo è stato introdotto e regolato
un albo degli agenti e rappresentanti di commercio. Fissiamo una distinzione tra
agente di commercio e rappresentante di commercio. L'agente di commercio è
un'attività che coinvolge stabilmente un soggetto incaricato di promuovere la
conclusione di contratti ad una o più aziende in una o più zone. Il rappresentante di
commercio è il soggetto incaricato da una o più imprese di concludere contratti in
una o più zone determinate. A tale albo devono iscriversi tutti coloro che intendono
svolgere tali ruoli. Affinché si venga nominati sono necessari specifici requisiti. È
vietato a chi non scritto a tali registri di svolgere l'attività di agente o di
rappresentate di commercio pena sanzione amministrativa.

Il contratto di agenzia è un contratto consensuale ad efficacia obbligatoria. Il


contratto deve essere provato per iscritto e ogni parte deve ottenerne copia. Tale
diritto è irrinunciabile. Ciascuna delle parti deve agire nei confronti dell'altra con
lealtà e buona fede. Inoltre è attribuito ad entrambe le parti un diritto di esclusività.
Per cui il ore ponente non può avvalersi contemporaneamente di più aventi nella
stessa zona e per lo stesso ramo di attività. L'agente non può assumere l'incarico di
trattare nella stessa zona e per lo stesso ramo gli affari di più imprese in concorrenza
tra loro.

Andiamo ad analizzare ora la posizione dell'agente e del preponente ricordando che


questa normativa si applica anche agli agenti di assicurazione se non derogata da
norme speciali che li riguardano.

Per quanto riguarda la posizione dell'agente:

 nell'esecuzione dell'incarico l'agente deve tutelare gli interessi del preponente


e agire con lealtà e buona fede e attenersi alle sue istruzioni (art. 1746 c.c.)
 non può però essere ritenuto responsabile dell'inadempimento del terzo, ma
eccezionalmente può prestare garanzia per l'inadempimento del terzo (art.
1746 c.c. comma 3)
 ha diritto di esclusiva nella zone assegnatagli (art. 1743 c.c.)
 ha diritto alla provvigione per tutti gli affari che ha fatto concludere al
preponente per effetto del suo intervento (art. 1748 c.c.)
 la provvigione spetta dal momento e nella misura in cui il preponente ha
eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione in base al contratto
concluso con il terzo
 se il preponente e il terzo si accordano per non dare, in tutto o in parte,
esecuzione al contratto, l'agente ha diritto ad una provvigione ridotta
determinata dagli usi o dal giudice secondo equità
 non ha diritto al rimborso delle spese di agenzia
 deve essere iscritto presso un apposito ruolo presso la camera di commercio

Passiamo a considerare la posizione del preponente:


 nei rapporti con l'agente, deve agire con lealtà e buona fede e fornire
all'agente tutte le informazioni necessarie per l'esecuzione del contratto (art.
1749 c.c.)
 non può valersi contemporaneamente di più agenti nella stessa zona e per lo
stesso ramo di attività (art. 1743 c.c.)
 deve corrispondere una indennità all'agente alla cessazione del
rapporto(art.1751 c.c.)
 dopo lo scioglimento del rapporto può stipulare un patto che limiti la
concorrenza da parte dell'agente (art. 1751 bis c.c.)
 Ricordiamo, infine, che se il contratto di agenzia è a tempo indeterminato, ciascuna delle
parti può recedere dal contratto stesso dandone preavviso all'altra entro un termine
stabilito (art. 1750 c.c.).

Mediazione.

È mediatore colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un
affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di
dipendenza o di rappresentanza.

Il mediatore è, quindi, un soggetto indipendente dalle parti la cui attività consiste


proprio nel metterle in contatto al fine di farle concludere un affare; in fondo il
mediatore non fa altro che far incontrare la domanda e l'offerta di un determinato
bene o servizio.
Essenziale, per aversi la figura del mediatore, è che egli rimanga imparziale fino alla
conclusione del contratto.
Come si vede il codice non definisce la mediazione come un contratto, ma si riferisce
alla figura del mediatore e ciò ne rende incerta l'esatta collocazione giuridica.
Si può ritenere che quando il mediatore agisce di sua iniziativa, non è configurabile il
rapporto contrattuale, mentre se ha ricevuto l'incarico preventivamente, potrebbe
configurarsi come contratto.
La questione è però ancora aperta, anche perché il mediatore non è tenuto ad
eseguire l'incarico ricevuto, e, d'altro canto, il diritto alla provvigione gli spetta solo
se il contratto è stato concluso con il suo intervento.
Ancora si ritiene in dottrina ( Ferri) che la mediazione non sarebbe un contratto, ma
un effetto del contratto concluso grazie all'intervento del mediatore.
La giurisprudenza in genere ritiene la mediazione un contratto atipico (es. cass. civ.
07/04/2005, n.7252);
in proposito la giurisprudenza sembra distinguere tra "contratto di mediazione"
quando le parti abbiano preventivamente affidato l'incarico al mediatore, e
"mediazione di contratto" quando tale atto non vi sia (1).
Da ciò dovrebbe discendere che l'atipicità vi sarebbe solo nel caso di "mediazione di
contratto" .
In base alla legge 3 febbraio 1989, n. 39, il mediatore deve essere iscritto in appositi
ruoli (registri) presso la camera di commercio. Vediamo le conseguenze della
mancata iscrizione.

 sanzione amministrativa del pagamento di una somma compresa tra euro


516, 46 e euro 2.065,83
 per coloro che siano incorsi per tre volte nella sanzione, anche se vi sia stato
pagamento con effetto liberatorio, si applicano le pene previste dall'art. 348
c.p. e dell'art. 2231 c.c.
 restituzione alle parti contraenti delle provvigioni percepite

Vediamo, ora, la posizione del mediatore:

 ha il diritto di ottenere la provvigione da ciascuna delle parti (art. 1755 c.c.)


 in mancanza di patto, è determinata dalle giunte camerali (art.6.l.3\02\1989
n.39)
 se vi sono più mediatori ognuno ha diritto ad una quota della provvigione (art.
1758 c.c.)
 ha uno specifico obbligo di comunicazione alle parti sull'affare
 se non adempie gli obblighi imposti dall'articolo 1760 c.c. è punito con l'
ammenda da euro 5.16 a euro 516,46
 ha diritto ad essere rimborsato delle spese da chi gli ha conferito l'incarico
(art. 1756 c.c.)

Il mediatore può anche assumere, infine, una posizione particolare nell'affare in


quanto può:
1. Rappresentare una delle parti nella esecuzione dell'affare;
2. Non rivelare il nome dell'altro contraente. In tal caso,secondo l'art. 1762 c.c.,
risponde dell'esecuzione del contratto;
3. Prestare fideiussione per una delle parti.
Da quanto visto da questi tre punti, potrebbe sembrare che il mediatore rompa
questo suo vincolo di imparzialità, e quindi far cessare la sua stessa figura di
mediatore che è basata sulla imparzialità. Ma a guardar bene l'intervento " di parte"
del mediatore, come la prestazione di una fideiussione, avviene quando la sua opera
si è sostanzialmente conclusa, perché si limita alla fase dell'atto della conclusione, o
dell'esecuzione del contratto.

Tornado sull'ipotesi prevista dall'art. 1762 viene da chiedersi se il mediatore assuma


la veste di parte contrattuale, nel caso in cui non nomini il contraente.
A guardar bene, però, il primo comma dell'art. 1762, ci si accorge che il mediatore
non assume la veste di parte del contratto, ma ne risponde dell'esecuzione, cioè ne
diviene responsabile per questa;
se quindi, ad esempio, il contratto aveva ad oggetto una prestazione di un facere
infungibile da parte del contraente non nominato, il mediatore dovrà risarcire il
danno subito al primo contraente nel caso in cui non si manifesti l'altro contraente
non nominato.

Affiliazione commerciale (franchising).

Una tecnica particolarmente utilizzata dalle grandi imprese consiste nel penetrare
nei singoli mercati territoriali avvalendosi di operatori economici locali che si
presente o con l'immagine dell'impresa madre e operano secondo le sue direttive. Si
tratta del franchising. Tale tecnica assicura che le imprese agiscano in modo
giuridicamente e economicamente indipendente ma inserire nella rete distributiva
del produttore.

L'affiliazione commerciale (franchising) è il contratto fra due soggetti giuridici


economicamente e giuridicamente indipendenti in base al quale una parte concede
una disponibilità all'altra verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà
industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, modelli di
utilità, disegni, brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo
l'affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio
allora scopo di commercializzare beni o servizi.

È un contratto consensuale con effetti obbligatori. Deve avere forma scritta a pena
di nullità. Al fine di garantire trasparenza dell'operazione è prevista una forma
dell'informazione di specifici dati. Il contratto deve indicare: l'ammontare degli
investi,enti e le spese di ingresso, le modalità di calcolo e di Java,entro delle
royalties, l'ambito di un eventuale esclusiva territoriale, i servizi offerti dall'affiliante,
le condizioni di rinnovo, risoluzione o eventuale cessione del contratto stesso. Se
una delle due parti fornisce false informazioni l'altra parte può chiedere
l'annullamento del contratto e il risarcimento del danno se dovuto. Con la stipula del
contratto l'affiliato è tenuto a corrispondere una cifra fissa, rapportata al valore
economico e alla capacità di sviluppo all'affiliante. L'affiliante ha inoltre il diritto a
chiedere all'affiliato una percentuale commisurata al giro di affari del medesimo o in
quarta fissa.
43
Contratti di godimento.
Locazione.
La locazione è quel contratto attraverso il quale una parte si obbliga, verso un
corrispettivo, al godimento di una cosa mobile o immobile, per un determinato
tempo. Il locatore da tale contratto ricava un determinato corrispettivo rimane
comunque proprietario della cosa data in locazione e quindi con la possibilità di
compiere tutti gli atti necessari che esso può utilizzare per l'esercizio del diritto di
possesso. Il concedente invece riceve il godimento della cosa versando un
corrispettivo al locatario.

Nel codice civile del 1865 la locazione faceva riferimento anche al lavoro qualificato
come un diritto di godimento altrui. Nel codice civile del 1942 invece il legislatore ha
preferito disciplinare la locazione solo riferita alle cose mobili e immobili e
disciplinando in maniera autonoma il contratto di appalto, di trasporto e di lavoro
(autonomo e subordinato). Oggetto della locazione può essere qualsiasi bene mobile
o immobile. Se si tratta di beni mobili la locazione è definita anche nolo o noleggio.
L'affitto si distingue dal quadro generale della locazione per inerire al godimento di
una cosa produttiva mobile o immobile. La locazione ancora si configura come un
contratto consensuale, con effetti obbligatori a prestazione corrispettiva e di durata.
Esso è configurato come contratto oneroso ma può essere qualificato come
contratto gratuito nello schema di comodato. Il corrispettivo del compenso può
comprendere le prestazioni di fare, non fare e dare. La durata massima della
locazione è fissata, salvo norme diverse di legge, a 30 anni. Se stipulata in un
periodo più lungo o in perpetuo questa si riduce a tale termine. Nel caso in cui le
parti non abbiamo convenuto alla determinazione della durata della locazione
questa viene valutata a seconda della natura del bene dato in locazione. In generale
la disciplina legata alla regolazione della durata del tempo della locazione inerisce
alla legislazione speciale.

La legislazione speciale fa anche riferimento alla cessazione del rapporto di


locazione. Se il rapporto di locazione risulta essere determinato, la cessazione del
rapporto si avrà con lo spirare del suddetto termine senza necessità di disdetta.
Disdetta invece sempre richiesta in caso di locazione ad uso abitativo o ad uso non
abitativo. Se poi scaduto il termine il conduttore si trova ancora nella detenzione
della cosa locata, la locazione si presume tacitamente rinnovata con le stesse
condizioni che regolavano il contratto precedente. Ancora la locazione che eccede i
nove anni è atto eccedente l'ordinaria amministrazione. In caso di locazione ultra
novennale vi è bisogno della forma scritta e della trascrizione del contratto per
l'opponibilità a terzi. Nel caso in cui il contratto manchi di trascrizione la sua efficacia
viene conservata come locazione infranovennale.

La locazione è opponibile al terzo acquirente se ha data certa anteriore


all'alienazione della cosa. Tale regola però non si applica a tutti i casi. La locazione
infatti è inopponibile in caso di bene mobile non registrato ove l'acquirente ne abbia
conseguito il possesso in buona fede. La locazione di beni immobili non trascritti
sono opponibili al terzo nei soli limiti di un novennio dall'inizio della locazione.
L'onere di assicurare l'opponibilità della locazione, rendendo data certa del
contratto, spetta al locatore. Ad esso spetta anche il risarcimento nei confronti del
conduttore in caso di perdita del godimento della cosa a causa dei diritti spettanti
all'acquirente. L'acquirente del bene subentra nella posizione del conduttore è su
questo gravano gli stessi obblighi relativi al contratto di locazione. È prevista ancora
la sublocazione del contratto, sempre che il locatore, lo abbia espressamente
acconsentito. In tal modo si va a creare un diverso tipo di contratto, sempre sulla
base del contratto originario, tra conduttore e terzo. Il locatore a sua garanzia ha
azione diretta contro il subconduttore per conseguire il prezzo della sublocazione
nonché per costringerlo ad adempiere alle altre obbligazioni derivanti dal contratto
di sublocazione.

Obbligazioni del conduttore e del locatore.


Quanto alle obbligazioni del locatore questi deve consegnare la cosa locata in buono
stato di manutenzione e garantire il pacifico godimento del bene locato al
conduttore. Se la cosa locata al momento della consegna risulti essere viziata il
conduttore può domandare la risoluzione del contratto o una riduzione del
corrispettivo salvo che si tratti di vizi a lui conosciuti o conoscibili. Il locatore da parte
sua ha diritto al risarcimento del danno derivante dal vizio della cosa se non prova di
non esserne stato a conoscenza al momento della consegna. L'esclusione della
responsabilità non ha effetto se il locatore ha taciuto in mala fede oppure se i vizi
sono tali da rendere impossibile il godimento della cosa. Ove i vizi della cosa
possano procurare gravi danni alla salute del conducente e dei suoi familiari, il
conduttore può ottenere la risoluzione del contratto. Il locatore deve provvedere al
mantenimento della cosa locata eseguendo le riparazioni straordinarie, mentre
quelle di piccola manutenzione sono a carico del conduttore.

Le obbligazioni del conduttore sono quelle di prendere in consegna la cosa e


osservare la diligenza del buon padre di famiglia, non alterare la destinazione
economica della cosa locata e dare il corrispettivo al locatore. Il conduttore al
termine della locazione, deve restituire la cosa locata nello stesso stato in cui l'ha
ricevuta salvo il perimento è il normale deterioramento dovuti a vetustà. Ancora,
salvo diverse disposizioni, il conduttore non ha diritto ad essere indennizato per i
miglioramenti effettuati alla cosa data in locazione, salvo che non vi sia consenso del
locatore che in questo caso deve al conduttore una congrua indennità. Le addizioni
possono essere rimosse alla fine della locazione qualora ciò possa avvenire senza
danneggiare la cosa data in locazione, salvo che il proprietario non decida di
ritenerle, in questo caso il conduttore ha diritto ad un indennità.

Locazione di immobili urbani.


Il legislatore è intervenuto in modo specifico modificando con la legge 431/1998 la
disciplina della legge 392/1978 nota come legge dell'equo canone. La normativa
dell'equo canone prevedeva una disciplina fortemente limitativa dell'autonomia
delle parti. Infatti per gli immobili adibiti ad uso abitativo, il canone veniva
determinato in base a criteri legalmente prefissati e la durata minima del rapporto
di locazione era fissata in 4 anni, rinnovabili alla scadenza di altri 4 salvo disdetta.
Per gli immobili destinati ad uso diverso la legge 392/1978 si limitava a stabilire solo
la durata minima della locazione, indicata in 6 anni ed aumentata a 9 in casi di
immobile adibito all'esercizio dell'attività alberghiera, lasciando alle parti la più
ampia libertà di determinare concordemente il corrispettivo.

Locazioni ad uso abitativo.

Un primo passo nella liberalizzazione delle locazioni ad uso abitativo avvenne con il
D.L 332/1992, che relativamente agli immobili nuovi, ossia ultimati successivamente
all'entrata in vigore della nuova normativa, che escludeva l'operatività dei criteri di
predeterminazione legale del canone. Un effettiva liberalizzazione è stata conseguita
soltanto con la legge 431/1998 che ha previsto per i contraenti la possibilità di
seguire due canali alternativi. Innanzitutto i contratti di locazione affinché siano
considerati validi devono presentare una forma scritta.
 Con il primo, denominato contratto libero, viene lasciato alle parti la
definizione del canone restando prescritta la durata minima della locazione in
4 anni con primo rinnovo automatico e salvo disdetta da parte del
proprietario nei casi espressamente previsti dalla legge. Alla scadenza il
contratto si rinnova tacitamente solo se nessuna delle parti attivi la procedura
di rinnovo a diverse condizioni o per la rinunzia del rinnovo.
 L'altro canale, denominato contratto convenzionato, prospetta alle parti la
stipulazione di locazioni le cui condizioni, anche l'ammontare del canone, si
devono conformare agli accordi fra i rappresentanti della proprietà edilizia e
gli inquilini, sulla base di un criterio generale individuato dalla convenzione
nazionale promossa dal ministro dei lavori pubblici. In tal caso la durata non
luogo essere inferiore a 3 anni con proroga di diritto per altri 2 e salvo disterà
per i i motivi espressamente previsti dalla legge. Alla scadenza della proroga le
parti possono attivare la procedura per il rinnovo a diverse condizioni, o per la
rinuncia al rinnovo. In mancanza di ciò il contratto si intende rinnovato.

È nullo ogni patto volto a determinare un canone superiore a quello risultante dal
contratto scritto e registrato. Con diritto del conduttore di richiedere la restituzione
delle somme pagate in esubero. Nulla risulta anche ogni pattuazione che deroghi i
limiti di durata stabiliti. La disciplina resta sempre quella della legge 392/1978 anche
per quanto riguarda la sublocazione e la cessione. Vediamo che si compie la
successione del contratto di locazione in caso di morte del conduttore a favore del
coniuge o degli eredi o parenti stabilmente conviventi.

Locazione di immobili ad uso non abitativo.


Tali tipi di locazioni sono state rimaste disciplinate dalla legge 392/1978 sia pure con
rimaneggiamenti successivi.
Il canone è liberamente determinabile, ma per tutta la durata della locazione può
essere aggiornato in una misura non superiore al 75% delle variazioni dell'indice
ISTAT dei prezzi di consumo. La durata in genere non può essere inferiore a sei anni,
nove per le attività alberghiere. È prevista la rinnovazione tacita del contratto salvo
tempestiva disdetta. Ove il locatore non dia all'immobile la destinazione per cui
abbia ottenuto la restituzione, il conduttore può richiedere il ripristino del contratto
o il risarcimento del danno in misura non superiore a 4 mensilità del canone oltre
alle indennità. Ove il rapporto cessi per causa diversa dalla morosità del conduttore,
il locatore gli deve corrispondere una indennità per la perdita dell'avviamento in
misura pari a 18 indennità del canone (21 per le locazioni alberghiere), salvo che si
trattino di immobili utilizzati per attività che non comportino contatti diretti con il
pubblico. In caso di continuazione nell'immobile della medesima attività, il
conduttore ha diritto al raddoppio di tale indennità.

In caso di morte del conduttore, succedono coloro che hanno il diritto alla
continuazione dell'attività esercitata nell'immobile, in caso di separazione personale
o divorzio, succede il coniuge che continui l'attività in precedenza svolta insieme
all'altro coniuge. La sublocazione e la cessione sono ammesse senza il consenso del
locatore purché venga insieme ceduta o locata l'azienda, previa comunicazione al
locatore che l'ho opporsi per gravi motivi. Nel caso di trasferimento dell'immobile a
titolo oneroso il conduttore ha diritto di prelazione in vista del relativo acquisto. Ove
il conduttore non sia in grado di esercitare la prelazione ha un corrispondente diritto
di riscatto dall'acquirente e da ogni successivo avente causa. Un diritto di prelazione
è stabilito anche in caso di nuova locazione, ove cioè il locatore intenda locare, dopo
la scadenza del contratti già rinnovato, l'immobile a terzi.

Affitto.
Si definisce affitto la locazione avente per oggetto il godimento di una cosa
produttiva, mobile o immobile. In tale caso l'affittuario deve curare la gestione della
cosa avuta in affitto in conformità della destinazione economica e ad esso spettano i
frutti e le altre utilità della cosa. Il locatore può in qualsiasi momento, mediante
visita sul territorio, verificare lo stato di cura dell'oggetto affittato presso l'affittuario.
L'affituario può prendere iniziative atte ad incrementare il reddito della cosa presa in
affitto senza creare pregiudizio al locatore. Obblighi dell'affittuario sono la gestione
della cosa data in affitto, la cura della cosa con la diligenza del buon padre di famiglia
e la non alterazione economica della cosa data in affitto. In caso di inosservanze il
locatario può chiedere la risoluzione del contratto. Sul locatore grava l'obbligo di
consegnare la cosa con tutti i suoi accessori e pertinenze. Il locatore è tenuto ad
eseguire le spese di riparazione straordinarie. Le riparazioni ordinarie ricadono
sull'affittuario. Una riduzione del fitto può essere chiesta dall'affittuario ove la
esecuzione delle riparazioni determini per lui una rilevante perdita di reddito.

Leasing.

Il leasing è il contratto mediante il quale un soggetto (concedente) acquista un bene,


mobile o immobile da un terzo (fornitore) per poi concedere ad altri (utilizzatore) il
godimento. L'utilizzatore come corrispettivo del godimento del bene è tenuto al
pagamento di un canone e ha la facoltà di acquistare la proprietà del bene al
termine dell'operazione pagando la differenza tra quanto versato e il prezzo del
bene.

Il leasing anche se priva di una specifica disciplina legislativa, si configura come una
figura contrattuale di larga utilizzazione. La fattispecie di leasing maggiormente
utilizzata è senz'altro il leasing finanziario. In tal caso una società acquista un bene
strumentale per poi concederlo in godimento ad un imprenditore (utilizzatore) verso
un corrispettivo periodico e per un periodo determinato alla scadenza del quale
l'imprenditore potrà restituire il bene o versare la differenza tra il valore del bene e
quanto già versato. Come si vede si tratta di un contratto che intercorre tra una
società di leasing ed un imprenditore che, in tal modo, può disporre di beni
strumentali senza anticipare i capitali necessari per il loro acquisto. Considerando
inoltre, che il contratto è, di regola, stipulato per un periodo di tempo che coincide
con quello della durata utile del bene e che la differenza da pagare è di solito molto
piccola, all'imprenditore potrebbe risultare conveniente, alla scadenza del contratto,
sostituire il bene con un altro nuovo. Il leasing pur presentando delle similitudini con
la locazione e la vendita appare sopratutto per la funzione di finanziamento
dell'utilizzatore connotato da una propria e autonoma causa. In particolare con
riferimento alla locazione diversa risulta essere la funzione del canone che nella
locazione risulta essere come mero corrispettivo del prezzo di godimento mentre
nel leasing ha la funzione di restituzione progressiva del finanziamento ricevuto dal
conducente. Inoltre nel leasing la manutenzione straordinaria e ordinaria è a carico
dell'utilizzatore a differenza della locazione.

Differente ancora risulta essere poi il leasing operativo in cui è lo stesso produttore
del bene a concederlo in godimento all'utilizzatore dietro corresponsione di un
canone periodico. Dunque nello stesso soggetto confluiscono sia la persona del
concedente sia la persona del fornitore. Proprio in considerazione del carattere
bilaterale del rapporto che, con il leasing finanziario si crea tra fornitore-
concedente-utilizzatore, la figura, priva di quella peculiare funzione di finanziamento
che qualifica il leasing finanziario, viene ricondotta alla locazione o all'affitto.

Ancora diversa risulta essere la fattispecie sale and lease back o anche detto leasing
di ritorno. In tal modo il proprietario di un bene, normalmente imprenditore o
professionista, lo vende ad una società finanziatrice, la quale assumendo la veste di
concedente, lo concede all'originario proprietario che ne assume l'utilizzazione in
leasing. Tale operazione ha come obbiettivo nel far ricavare al proprietario originario
liquidità di cui lui necessita per la propria attività senza perdere il godimento del
bene ceduto assicurando il pagamento di un canone. Lo stesso proprietario poi
potrà riacquistarne la proprietà del bene pagando una somma di riscatto.
L'acquirente-concedente oltre che a risultare nuovo proprietario trarrà il suo utile
dalla percezione dei canoni di leasing. La figura del sale and lease back ha suscitato
un acceso dibattito in relazione alla compatibilità del divieto del patto commissorio.
Il divieto del patto commissorio rende nullo ogni pattuizione volta a trasferire al
creditore la proprietà del bene concesso in garanzia nell'ipotesi di inadempimento
da parte del debitore. Nel sale and lease back in effetti l'alienazione del bene in
favore dell'acquirente-concedente, potrebbe configurarsi come forma di garanzia.
Tuttavia il sale and lease back si configura come una complessa operazione
negoziale in grado di procurare immediata liquidità agli operatori economici
mediante l'alienazione del bene, conservando l'uso e la facoltà di riacquistare la
proprietà al termine del rapporto. Viene stabilito che il contratto di sale and lease
back è riconducibile al divieto del patto commissorio e perciò annullabile se:

 Vi è una presenza di debito e credito tra il concedente e l'impresa venditrice.


 Vi sono difficoltà economiche dell'impresa venditrice che legittimano il
sospetto di un approfittamento della sua condizione di debolezza
 Vi è una sproporzione di valore del bene trasferito e il corrispettivo versato
dall'acquirente

Comodato.
Il comodato è un contratto con cui una parte, comodante, consegna all'altra,
comodatario, una cosa mobile o immobile affinché se ne serva per un tempo o per
un uso determinato, con l'obbligo di restituire la cosa stessa ricevuta. Si tratta di un
contratto reale che al fine di concludersi oltre l'accordo vi è bisogno anche della
consegna della cosa. Il comodato si perfeziona come contratto unilaterale in quanto
caratterizzato dalla obbligazione di restituire la cosa a carico del comodatario.
Inoltre il contratto di comodato è essenzialmente gratuito. Il diritto spettante al
comodatario si qualifica come diritto personale di godimento sulla cosa. La forma
del comodato è libera, si esclude inoltre anche la forma scritta per il comodato ultra
novennale di beni immobili. Circa l'oggetto il comodato interessa sia cose mobili che
cose immobili purché inconsumabili e infungibili dovendo il comodatario restituire la
stessa cosa ricevuta. Il comodatario è tenuto a conservare e custodire la cosa
ricevuta con la diligenza del buon padre di famiglia e può servirsene solo per l'uso
determinato dal contratto. Non può concedere agli altri il godimento della cosa
(subcomodato) salvo che il comodante non lo autorizzi. In caso di mancato
inadempimento di tali obblighi il comodante può richiedere l'immediata restituzione
della cosa oltre al risarcimento del danno.
Il comodatario è responsabile del perimento della cosa se la cosa perisce a causa di
un caso fortuito che poteva da lui essere facilmente evitato sostituendo la cosa
comodata con una propria, ovvero, se, potendo salvare una delle due cose, ha
preferito la propria. Ancora risulta essere responsabile se impiega la cosa per un uso
diverso o per un tempo più lungo a lui consentito, se non provi che la cosa sarebbe
perita anche se non l'avesse impiegata per uso diverso o l'avesse restituita
immediatamente. Sono a carico del comodatario le spese per servirsi della cosa, ma
devono essergli rimborsate le spese straordinarie, se erano necessarie ed urgenti,
dal comodante. Il comodante ancora deve risarcire al comodatario eventuali danni
derivanti da vizi della cosa, se conoscendoli non lo abbia avvertito. Il comodatario è
obbligato alla restituzione della cosa alla scadenza del termine convenuto. Il
comodante può richiedere, se si trovi in condizioni di urgenza o imprevisti, la
richiesta immediata di restituzione della cosa, anche prima della scadenza del
contratto, al comodatario. Se il termine di restituzione della cosa al comodante non
è stato definito, il termine viene convenuto in base all'uso a cui la cosa doveva
essere destinata.

Mutuo.
Il mutuo è il contratto mediante il quale una parte, mutuante, consegna all'altra,
mutuatario, una determinata quantità di danaro o di altre cose fungibili, e l'altra si
obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità. L'avere ad oggetto il
danaro o una quantità di altre cose fungibili vale a distinguere il mutuo, quale
contratto di prestito, dal comodato che come si è visto ha ad oggetto cose
inconsumabili e infungibili. Ecco perché il mutuatario è obbligato non a restituire
non le stesse cose ricevute, di cui ne acquista la proprietà, ma altrettante cose della
stessa specie e qualità. Il codice qualifica il mutuo come un contratto reale cui il
perfezionamento giunge non solo con l'accordo ma anche con la consegna della
cosa. Il mutuatario acquista la proprietà della cosa potendo dunque disporne
assumendosi anche i rischi, si tratta dunque di un contratto traslativo. Efficacia
obbligatoria ha la promessa di mutuo. Chi promette di dare un mutuo può rifiutare
l'adempimento della sua obbligazione se le condizioni patrimoniali dell'altro
contraente sono divenute tali da rendere notevolmente difficile la restituzione e non
gli sono offerte idonee garanzie.

Circa l'obbligo di restituzione fondamentale risulta l'esistenza di un termine. Il


termine si presume stipulato a favore di entrambe le parti se il mutuo è oneroso,
mentre è a favore del mutuatario in caso di mutuo gratuito. In mancanza di
pattuizione sarà il giudice a fissare il termine. Se è stata convenuta la restituzione
rateale delle cose mutuate e il mutuatario non adempie l'obbligo di pagamento
anche di una sola rata, il mutuante può richiedere l'immediata restituzione
dell'intero (1819). Quanto alle somme di danaro il mutuatario adempie alla sua
obbligazione restituendo una somma dello stesso ammontare di quella ricevuta. Se
sono invece state mutuate cose diverse dal danaro, ove la restituzione diventi
impossibile per causa non imputabile al debitore, questi è tenuto al pagamento del
valore avendo riguardo al tempo e al luogo della restituzione.

Onerosità del mutuo.


Il mutuo si presenta oneroso dato che, salvo diversa volontà delle parti, il
mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante. A differenza del mutuo
oneroso, quello gratuito si presenta come un contratto unilaterale mediante il quale
il mutuatario è solo obbligato alla restituzione della cosa prestatagli. Il mutuo
oneroso quindi si atteggia come contratto a prestazioni corrispettive, oltre che
gravare sul mutuatario la obbligazione di restituzione e il pagamento degli stessi
interessi, dal punto di vista economico la prestazione degli interessi costituisce il
corrispettivo sacrificio sopportato dal mutuante col concedere al mutuatario il
godimento delle cose mutuate per il tempo stabilito, per cui se il mutuatario non
adempie all'obbligo del pagamenti degli interessi, il mutante può richiedere la
risoluzione del contratto. La determinazione dell'ammontare degli interessi è
soggetta al limite del relativo carattere usurario. Se sono convenuti interessi usurari
la clausola è nulla e non sono dovuti interessi. Quindi in presenza di interessi usurari
il mutuatario risulta solo tenuto alla restituzione del capitale mutuato senza
corrispondere gli interessi per tutta la durata del mutuo.

Mutuo di scopo.

Nei rapporti creditizi è diffuso il cosiddetto mutuo di scopo. Esso si caratterizza per
l'erogazione della somma oggetto del mutuo finalizzata ad un determinato impiego,
rispondente all'interesse non solo del mutuatario ma anche dello stesso mutuante. Il
mutuo di scopi si differenzia in maniera rilevante dal mutuo. In particolare si ritiene
che esso sia un contratto consensuale e non reale. Dato che il perseguimento dello
scopo prestabilito, in considerazione degli interessi perseguiti dalle parti, acquista
rilevanza ai fini della individuazione della causa del contratto, il mutuo di scopo
sembra presentarsi, più che come sottotipo del mutuo, quale figura atipica. Risulta
dunque rilevante li scopo per cui viene rilasciato il finanziamento.
È ipotizzabile la nullità del contratto quando esso risulti essere stipulato con
l'accordo di non utilizzare il finanziamento per lo scopo cui era stato attribuito. In
caso di mutuo di scopo oneroso, ove il mutuatario non utilizzi il finanziamento
ricevuto per lo scopo prestabilito è da ritenere che il mutuante possa chiedere la
risoluzione del contratto per inadempimento, con le conseguenze restitutorie che ne
derivano.

44
Contratti aleatori.
Rendita.
Sotto la comune denominazione di rendita il legislatore disciplina due contratti,
rendita perpetua e rendita vitalizia, che pur presentando evidenti affinità
differiscono per il profilo della struttura e della funzione. È da sottolineare
comunque che solo il contratto di rendita vitalizia è riconducibile nell'ambito di
contratti aleatori.

Con il contratto di rendita perpetua, una parte conferisce all'altra il diritto di esigere
in perpetuo la prestazione periodica di una somma di danaro o di una certa quantità
di altre cose fungibili, dietro corrispettivo dell'alienazione di un immobile, in tal caso
si parla di rendita fondiaria, o della cessione di un capitale, si parla di rendita
semplice. Per la rendita perpetua è richiesta la forma scritta sotto pena di nullità.
Bisogna fa sottolineare che il debitore della rendita può provocare lo scoglimento
del rapporto mediante recesso unilaterale esercitando il diritto di riscatto. Il
contratto di rendita perpetua non è aleatorio in quanto non collegato alla durata
della vita della persona. Il contratto di rendita perpetua è un contratto consensuale
cui sono applicabili le norme in tema di vendita o donazione a seconda che l'atto sia
a titolo oneroso o gratuito. Il titolare della rendita acquista semplicemente un diritto
di credito.

Il contratto di rendita perpetua risulta differente da quello di rendita vitalizia. Anche


se le prestazioni del contratto, alienazione del bene (immobile) o cessione del
capitale, prestazione periodica di una somma di danaro o cose fungibili e il requisito
della forma scritta a pena di nullità, valgono indubbiamente ad accostare la rendita
vitalizia a quella perpetua, i due tipi contrattuali paiono significativamente diversi.
Infatti la rendita vitalizia, quando è costituita a titolo oneroso è un contratto
aleatorio in quanto caratterizzato da incertezza del vantaggio o dello svantaggio
economico derivante dalle prestazioni. La durata della prestazione periodica è
collegata alla durata della vita del beneficiario della rendita o di altra persona
individuata dai contraenti. Pertanto in assenza del “rischio/incertezza” il contratto
oneroso di rendita vitalizia è nullo. Nel contratto di rendita vitalizia non vi è
riconosciuto al debitore, salvo patto contrario, di scogliere unilateralmente il vincolo
contrattuale offrendo il rimborso del capitale. Al debitore, vitalizzante, viene
imposto testualmente di pagare la rendita per tutto il tempo per cui è stata
costituita per quanto gravosa sia divenuta la prestazione. Il creditore (vitaliziato)
non può chiedere la risoluzione per inadempimento in caso di pagamento di
mancate rate della rendita. Egli può solo far sequestrare e vendere i beni del suo
debitore affinché il ricavato sia impiegato per il pagamento della rendita. Il creditore
può chiedere la risoluzione della rendita vitalizia costituita a titolo oneroso qualora il
promittente non gli fornisca o diminuisca le garanzie pattuite.
La rendita vitalizia oltre che essere a titolo oneroso può essere anche a titolo
gratuito cioè essere costituita mediante testamento o donazione. In caso di rendita
costituita a titolo gratuito bisogna osservare le norme in tema di testamento o
donazione. Il credito di rendita vitalizia si ritiene pignorabile, sequestrabile e
cedibile. Quando però la rendita vitalizia è costituita a titolo gratuito si ritiene che
essa non sia soggetta a pignoramento o a sequestro entro i limiti del bisogno
alimentare del creditore.

Vitalizio alimentare e contratto di mantenimento.


Risulta dominante la contrapposizione del contratto oneroso di rendita vitalizia al
contratto atipico di vitalizio alimentare definito appunto contratto di
mantentimento. Al fronte del trasferimento di un bene immobile da parte di un
soggetto, vitaliziato, l'acquirente, vitalizzante, si obbliga ad eseguire nei confronti
del vitializiato una prestazione complessa. Prestazione non limitata alla
corresponsione di una somma di danaro o di cose fungibili, ma consistente in
un'assistenza materiale, (fornitura di vitto e alloggio, servizi domestici, cure
mediche, ecc.) e morale (compagnia, cura personale) in relazione ai fabbisogni del
beneficiario. Il tratto che accomuna il vitalizio alimentare con la rendita vitalizia è da
individuare sia nell'alea, anche se nel vitalizio alimentare i fattori che determina
l'aleatorità della prestazione sono duplici: incertezza della durata della vita del
beneficiario è imprevedibile variabilità dei fabbisogni di quest'ultimo. Il profilo che
distingue le due figure si ritrova nel carattere infungibile che assume la prestazione
del vitalizzante il quale non è tenuto esclusivamente ad un mero obbligo di dare
come nella rendita, ma da un'obbligazione di dare e fare. La distingue tra rendita
vitalizia è vitalizio alimentare risulta anche dal profilo di mancato inadempimento.
Mentre infatti per la rendita vitalizia non è ammessa la risoluzione del contratto per
mancato pagamento delle rate scadute, al vitalizio alimentare sono applicabili le
norme in tema di risoluzione del contratto per inadempimento.

Giuoco e scommessa.
Al vincitore non è riconosciuta azione per il pagamento di un debito di gioco o di
scommessa anche se si tratta di gioco e scommessa non proibiti. Tuttavia il perdente
non puo ripetere quanto abbia pagato dopo l'esito di un gioco o di una scommessa
in cui non vi sia stata alcuna frode, a condizione che il pagamento sia stato eseguito
spontaneamente e da parte di un soggetto capace. Tali regole valgono solo per i
giochi o le scommesse non proibiti mentre è da escluderne l'applicazione alle
fattispecie di gioco e scommesse proibite e addirittura sanzionate. Peraltro sussiste
anche una sfera di giochi o scommesse in relazioni ai quali in quanto ritenuti
meritevoli di tutte a il legislatore concede azione in giudizio riconoscendo in capo al
vincitore un vero e proprio diritto di credito. Quanti alle lotterie legalmente
autorizzate, i relativi premi possono essere integralmente pretesi dal vincitore
mediante azione in giudizio.

Assicurazione.
L'assicurazione è il contratto mediante il quale, l'assicuratore, verso il pagamento di
un premio, si obbliga a rivalere l'assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad
esso prodotto da un sinistro, ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi
un un evento attinente alla vita umana. Da tale definizione emergono tre
fondamentali distinzioni fra due tipi di assicurazioni: contro i danni, assicurazione
sulla vita è riassicurazione.

Questo tipo di contratto assume notevole importanza nella disciplina del codice
civile e delle leggi speciali a causa della rilevanza che ha assunto nella vita sociale e,
anche in questa sede, sarà oggetto di particolare attenzione e approfondimento.
In questa sede si fa riferimento alla fondamentale disciplina codistica, ma per una
conoscenza approfondita dell'argomento, è necessario conoscere la
regolamentazione del settore regolata dal codice delle assicurazioni (Decreto
Legislativo 7 settembre 2005, n.209); questa disciplina, nonostante sia definita
"codice" non sostituisce la disciplina del codice civile in materia, ma essendo essa
norma speciale si integra in essa e la sostituisce, ove contrastante;
è da notare che il codice delle assicurazione ha espressamente abrogato, tra le altre,
la legge 24 dicembre 1969, n. 990 (art. 354), che per anni ha costituito il principale
punto di riferimento per il risarcimento danni cagionati dalla circolazione di veicoli e
natanti.

Cominciamo a definirne le caratteristiche fondamentali.

È un contratto aleatorio fa parte di quella categoria di contratti dove la prestazione o


la controprestazione non solo possono non essere esattamente determinate ma il
loro stesso avverarsi dipende da un fattore d'incertezza; elemento fondamentale di
questi atti è l'alea, il rischio.
Nel contratto di assicurazione deve sempre esistere il "rischio" vale a dire
quell'elemento d'incertezza futuro che costituisce la ragione stessa del contratto. Il
rischio determina l'entità del premio, più sarà elevato, maggiore sarà il premio; si
parla, in tal caso, di rischio assicurato.

Proprio per la rilevanza dell'attività assicurativa, questa può essere esercitata solo
da imprese assicuratrici di notevoli dimensioni e sotto il controllo di un ente
pubblico l'I.S.V.A.P.

Il D.Lgs. 209/2005 regola inoltre la materia degli intermediari di assicurazione la cui


attività consiste nel presentare prodotti assicurativi e riassicurativi o nel prestare
assistenza e consulenza finalizzate a tale attività. Accanto alla figura degli agenti di
assicurazione, i quali agiscono in nome e per conto di una o più imprese, e poi
prevista quella dei mediatori di assicurazione (broker) che agiscono su incarico del
cliente e senza poteri di rappresentanza delle imprese.

Contratto di assicurazione.
L'assicurazione è un contratto consensuale, avviene attraverso lo scambio di
proposta e accettazione. Se la proposta proviene dall'assicurato per iscritto si
considera ferma, non può, cioè, essere revocata per 15 o 30 gg. per consentire
all'assicuratore di valutare il rischio (art. 1887 c.c.) L'assicurato nella proposta
all'assicuratore deve evitare dichiarazioni inesatte o reticenti. A seconda che
l'inesattezza e la reticenza dipendano o meno da dolo o colpa grave del contraente,
nel caso in cui quest'ultimo abbia agito con dolo o colpa grave, le sue dichiarazioni
inesatte e reticenti sono causa di annullamento del contratto, ove siano di gravità
tali, che se l'asicuratore le avrebbe conosciute al momento della conclusone del
contratto questo non avrebbe concluso il contratto o lo avrebbe concluso a
condizioni diverse. L'assicuratore non è obbligato per sinistri cagionati con dolo o
colpa grave del contraente, dell'assicurato o del beneficiario salvo patto contrario
solo per colpa grave. L'assicuratore è obbligato per sinistri conseguenti ad atti del
contraente, dell'assicurato o beneficiario, compiuti per dovere di solidarietà umana
come gli atti compiuti di salvataggio. Il contratto deve essere provato per iscritto
(art.1888 c.c.).
All'assicurato spetta il documento sul quale è stato scritto il contratto (polizza) e può
chiederne all'assicuratore duplicati e copie.

È un contratto oneroso a prestazioni corrispettive. Il premio costituisce il


corrispettivo che l'assicurato deve corrispondere, in un unica soluzione o
periodicamente, all'assicuratore in caso avveramento di un eventuale sinistro.
Proprio per questo il mancato pagamento del premio comporta la sospensione
dell'assicurazione fino a 24h del giorno in cui il contraente paga quanto dovuto. Se
poi il contraente non paga i premi successivi alle scadenze convenute,
l'assicurazione resta sospesa dalle 24h del quindicesimo giorno successivo alla
scadenza. Nell'assicurazione contro i danni in entrambe le ipotesi accennate si
verifica la risoluzione di diritto del contratto ove l'assicuratore non agisca entro sei
mesi dal giorno della scadenza del premio insoluto per la relativa riscossione.

È un contratto aleatorio in quanto avendo il contratto di assicurazione la funzione di


trasferire le conseguenze negative derivanti da un sinistro dal soggetto assicurato
all'assicuratore, organizzato professionalmente a farvi fronte per la massa dei premi
riscossi, proprio l'incertezza del possibile verificarsi dell'evento rappresenta appunto
un alea. La sopportazione del rischio è l'elemento quindi che identifica
l'assicurazione. Così se il rischio non è mai esistito o ha cessato di esistere prima
della conclusione del contratto questo è nullo. Il rischio poi deve continuare a
sussistere per tutta la durata del rapporto. Il contratto si scioglie se il rischio cessa di
esistere dopo la conclusione del contratto. L'assicuratore ha diritto al pagamento dei
premi finché la cessazione del rischio non gli sia comunicata o venga sua
conoscenza. In caso di diminuzione del rischio, ove il contraente lo comunichi
all'assicuratore, ed essa sia tale che se conosciuta al momento della conclusione del
contratto avrebbe portato alla stipulazione di un premio inferiore, l'assicuratore
successivamente può esigere un premio inferiore ma ha facoltà di recedere dal
contratto entro due mesi dalla comunicazione. Pure l'aggravamento del rischio, che
il contraente deve cominciare all'assicuratore, consente a quest'ultimo di recedere
dal contratto.

L'assicurazione ancora è un contratto di durata. L'efficacia dell'assicurazione decorre


dalle 24h del giorno della conclusione e persiste fino alle 24 h dell'ultimo giorno di
durata stabilità.
Il contratto può essere tacitamente prorogato una o più volte ma tale proroga non
può avere durata superiore ai due anni.

Particolare è l'ipotesi prevista dal'art. 1891 c.c. che prevede una polizza stipulata per
conto altrui o per conto di chi spetta.
Qui accade che lo stipulante è persona diversa dall'assicurato, ma mentre
l'assicurato beneficerà della prestazione assicurativa, lo stipulante dovrà adempiere
agli obblighi derivanti dal contratto di assicurazione. Il beneficiario del contratto
potrà essere tanto un soggetto già individuato, quanto un soggetto non ancora
individuato ma individuabile in relazione alla prestazione che l'assicurazione deve
eseguire.
Ad esempio si potrebbe stipulare il contratto di assicurazione a favore del
conduttore di un immobile di proprietà del contraente che stipula l'atto con
l'assicurazione, per i danni che gli possano derivare dall'immobile stesso.
Il beneficiario assicurato andrà quindi individuato volta per volta a secondo di chi sia
l'attuale conduttore dell'immobile.

Un regime particolare risulta quello in materia di prescrizione. Il diritto al pagamento


delle rate si prescrive in un anno dalle singole scadenze. In due anni si prescrivono
gli altri diritti derivanti dal contratto di assicurazione, ad esclusione del contratto di
assicurazione sulla vita in cui i diritti si prescrivono in 10 anni.

Assicurazione contro i danni.

Nell'assicurazione contro i danni l'assicuratore, verso pagamento di un premio, si


obbliga a rivalere l'assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da
un sinistro. La sfera di operatività di tale tipo di assicurazione risulta essere quindi
vastissima anche per essere ricompresi pure l'assicurazione per la responsabilità
civile. Fondamentale risulta il principio indennitario. L'assicuratore è tenuto ad
indennizzare, nei modi e nei limiti imposti dal contratto, il danno sofferto
dall'assicurato in conseguenza del sinistro, non oltre il limite dell'effettivo
ammontare del danno stesso. Proprio in conseguenza del principio indennitario,
l'assicurazione per una somma che eccede il valore reale della cosa assicurata
(soprassicurazione) è nulla se vi è stato dolo da parte dell'assicurato. Se non vi è
stato dolo da parte dell'assicurato il contratto ha effetto solo fino alla concorrenza
del valore della cosa assicurata (1909). In via generale nella determinazione del
danno da indennizzare non si può attribuire alle cose perite o danneggiate un valore
superiore a quello che avevano al momento del sinistro. Nel caso in cui
l'assicurazione copri solo una parte del valore della cosa assicurata al tempo del
sinistro, l'assicuratore risponde dei danni in proporzione di tale parte a meno che
non sia diversamente convenuto.

L'assicurazione può essere stipulata con più assicuratori. Si distingue così


l'assicurazione comulativa e la coassicurazione.

 Per la prima è il caso in cui si assicuri con contratti diversi lo stesso


rischio con più assicuratori l'assicurato non può ottenere dagli
assicuratori una somma complessiva superiore al danno subito
 Per la coassicurazione è il caso in cui più assicuratori si assumano
pro quota il rischio assicurato. Ciascun assicuratore è tenuto al
pagamento dell'indennità assicurata soltanto in proporzione della
rispettiva quota
L'assicuratore salvo patto contrario non risponde dei danni prodotti da vizio
intrinseco della cosa assicurata non denunziatogli dall'assicurato. Salvo patto
contrario se il vizio ha gravato il danno, l'assicuratore risponde nei limiti un cui il
danno stesso sarebbe stato a suo carico qualora il vizio non fosse esistito. Salvo
sempre patto contrario l'assicuratore non risponde dei danni determinati dai
movimenti tellurici, guerra, insurrezione o tumulti popolari.

Sull'assicurato gravano alcuni obblighi. Innanzitutto deve dare avviso del sinistro
all'assicuratore entro 3 giorni dalla relativa verificazione o conoscenza. L'assicurato
poi deve fare tutto ciò che sia possibile per evitare il danno o diminuirlo. L'assicurato
che non adempie dolosamente a tali obblighi perde il diritto alla indennità; se la
mancata osservanza è colposa, l'assicuratore ha il diritto di ridurre l'indennità in
ragione del pregiudizio sofferto.
L'assicuratore che ha pagato è surrogato nei diritti dell'assicurato verso i terzi
responsabili. Salvo il caso di dolo la surrogazione non ha luogo se il danno è causato
da persone strettamente legate all'assicurato, compreso il coniuge.

Non è causa di scioglimento del contratto di assicurazione l'alienazione delle cose.


L'assicurato in mancanza di comunicazione dell'avventura alienazione continua ad
essere obbligato al pagamento per i premi. I diritti e gli obblighi passano
dall'assicurato al contraente, se questi avuto notizia del contratto di assicurazione,
non dichiara all'assicuratore, entro 10 giorni, che non intende subentrare nel
contratto. L'assicurazione entro 10 giorni dalla notizia dell'avvenuta alienazione può
recedere dal contratto, con preavviso di 15 giorni.

Assicurazione della responsabilità civile.

L'assicuratore è obbligato a tenere indenne l'assicurato di quanto questi, in


conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell'assicurazione, deve pagare a
un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto esclusi i danni
derivanti da fatti dolosi.

Come si vede dalla definizione,l'assicuratore non indennizza l'assicurato per un


danno che ha subito,ma indennizza un terzo per un danno cagionatogli
dall'assicurato.
Il codice detta una normativa generale per questo tipo di assicurazione che prevede:

 la facoltà per l'assicuratore di pagare direttamente al terzo su richiesta


dell'assicurato;
 la possibilità per l'assicurato di chiamare in giudizio l'assicuratore in caso di
azione promossa contro di lui dal danneggiato;
 che le spese del giudizio siano a carico dell'assicuratore.

Questa disciplina è,però, stata integrata da leggi speciali che tutelano più
efficacemente la posizione del danneggiato. Tra queste la più importante era la
legge 24\12\1969 n. 990 in tema di responsabilità civile per i danni cagionati da
veicoli e natanti, ora sostituita dalla disciplina introdotta dal codice delle
assicurazioni.
Assicurazione obbligatoria della responsabilità civile (in particolare
derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti)
L'accresciuta attenzione per le potenziali vittime di attività che possano mettere a
rischio terzi da danni, anche gravissimi, giustifica sempre di più il legislatore a forme
di assicurazioni obbligatorie di responsabilità civile. L'assicurazione obbligatoria della
responsabilità civile derivante dalla circolazione di veicoli a motore e dei natanti è
stata introdotta con la legge 990/1969. Tale materia ha subito poi altri nuovi
provvedimenti in cui sono rientrati anche direttive comunitarie ed è quindi risultata
disciplinata ora dal D.Lgs 209/2005.

I veicoli a motore senza guida di rotaie, compresi filo veicoli e rimorchi non possono
essere posti in circolazione se non risultino essere coperti dall'assicurazione per
responsabilità civile verso terzi. L'assicurazione comprende anche i danni causati alla
persona causati anche ai trasportati qualunque sia il titolo in base al quale è
effettuato il trasporto. L'assicurazione non ha effetto nel caso di circolazione contro
la volontà del proprietario restando salvo in tale ipotesi l'intervento del fondo di
garanzie per le vittime della strada.

Non è considerato terzo, e quindi non ha diritto ai benefici assicurativi, il conducente


del veicolo responsabile del sinistro. Rientrano, ma solo per i danni alla persona, tra i
beneficiari dell'assicurazione anche i soggetti cui si estende la responsabilità come il
coniuge non legalmente separato, il convivente more uxorio, ascendenti e
discendenti del conducente cui si estende la responsabilità, affiliati e parenti fino al
3 grado. Quanto al risarcimento del danno regole specifiche sono previste per il
danno patrimoniale e per il danno biologico, sia per lesioni lieve entità sia per lesioni
di grave entità. Ciò che caratterizza il regime dell'assicurazione obbligatoria è
l'azione diretta riconosciuta al danneggiato nei confronti dell'impresa di
assicurazione entro i limiti per i quali è stata stipulata l'assicurazione. Nel giudizio
promosso contro l'assicuratore deve essere chiamato anche il responsabile del
danno, da identificare nel proprietario del veicolo o del natante. Una particolare
disciplina è disposta per le procedure liquidative, denuncia del sinistro, modalità di
richiesta da parte del danneggiato e pagamento dell'indennizzo. Qualora gli aventi
diritto al risarcimento, a causa del sinistro, vengano a trovarsi in uno stato di
bisogno, già nel corso del giudizio in primo grado possono chiedere che sia loro
liquidata una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva del danno.
In una serie di ipotesi l'indennizzo è posto a carico del fondo di garanzia per le
vittime della strada. Rientrano in tale fondo i casi in cui vi è: un sinistro cagionato da
veicolo o natante non identificato, veicolo o natante non coperto da assicurazione,
veicolo o natante assicurato presso una impresa in stato di liquidazione coatta,
veicolo posto in circolazione contro la volontà del proprietario, usufruttuario o
acquirente. Il fondo risulta essere alimentato da contributi a carico delle imprese
assicuratrici in percentuale dei premi incassati. I danni sono liquidati e risarciti da
imprese designate dall'I.S.V.A.P e successivamente posti a carico del fondo.

Assicurazione sulla vita.

L'assicuratore, verso pagamento di un premio si obbliga a pagare all'assicurato un


capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana.
Il pagamento del capitale o della rendita è condizionato al verificarsi di un
determinato evento che può essere:

 morte dell'assicurato o di un terzo (assicurazioni per caso di morte)


 sopravvivenza dell'assicurato o del terzo ad una età determinata nel contratto
(assicurazioni per il caso di vita)
 l'assicuratore pagherà la rendita o il capitale alla morte o in un termine
prestabilito se l'assicurato sarà ancora in vita (assicurazioni miste).

A differenza dell'assicurazione per danni, non vige in questo caso il principio


indennitario poiché non si è ritenuto di dover quantificare a priori il valore della vita
umana. Di conseguenza l'assicurazione potrà essere stipulata per qualsiasi cifra.

Distinguiamo, oltre il caso di assicurazione stipulata a proprio favore:

 assicurazione sulla vita di un terzo → la somma verrà pagata alla morte o


raggiungimento dell'età del terzo
 assicurazione a favore del terzo → la somma pagata al terzo beneficiario in
seguito alla morte o al raggiungimento dell'età dell'assicurato. La
designazione del beneficiario può essere fatta nel contratto di assicurazione, o
con successiva dichiarazione scritta comunicata all'assicuratore, o per
testamento. Il beneficio può essere revocato, ma non dopo che il beneficiario
ha dichiarato di volerne profittare (art. 1921 c.c.) la designazione del
beneficiario, anche se irrevocabile, non ha effetto qualora il beneficiario
attenti alla vita dell'assicurato.

Nel caso in cui l'assicurato non paghi il premio per il primo anno, l'assicuratore non
può agire subito per la risoluzione del contratto , ma deve aspettare sei mesi dal
giorno di scadenza del premio (art .1924 c.c.).

I cambiamenti di professione o di attività non provocano la risoluzione


dell'assicurazione qualora non aggravino il rischio in maniera determinante. Se il
cambiamento di professione viene comunicato all'assicuratore, questo deve
dichiarare entro 15 giorni se intende optare per la risoluzione del contratto, per
l'aumento del premio o la riduzione dello stesso. L'assicurato deve decidere se
accettare la modificazione della proposta o non accettarla in tale caso il contratto si
risolve di diritto.

Riassicurazione.

Con il contratto di assicurazione, l'assicuratore si addossa un rischio e quindi


l'eventuale obbligo di corresponsione di somme che considera troppo ingenti.
L'assicuratore quindi può assicurare questo simile rischio stipulando un contratto di
riassicurazione. L'attività della riassicurazione consiste appunto nel l'accettazione di
rischi ceduti da un impresa di assicurazione o da un impresa di riassicurazione (nel
caso in cui il riassicuratore si riassicuri a sua volta). Il contratto di riassicurazione non
crea rapporti tra l'assicurato e il riassicuratore. L'assicurato non avendo azione
diretta verso il riassicuratore potrà eventualmente avvalersi della sola azione
surrogatoria. I diritti derivanti dal contratto di riassicurazione si prescrivono in 2 anni
decorrenti dal giorno in cui si è verificato il fatto su cui il diritto si fonda.

45
Contratti risolutivi di una controversia.
Transazione.

Con il contratto di transazione, le parti, facendosi reciproche concessioni pongono


fine ad una lite già incominciata o prevedono una lite che può sorgere tra loro. La
transazione producendo l'effetto di precludere alle parti la possibilità di agire
giudizialmente in relazione ai rapporti che ne siano stai oggetto risulta la principale
figura di contratto risolutivo di una controversia. La transazione si presenta come
contratto a titolo oneroso e con prestazioni corrispettive. Gli elementi essenziali
della transazione sono individuati nella lite (giudiziale e stragiudiziale) e nelle
reciproche concessioni. Quanto alla lite non è necessario che essa sia già
manifestata tra i contraenti ma è sufficiente la sua potenzialità. La transazione deve
inoltre essere funzionale alla risoluzione di una situazione di incertezza in relazione
alle pretese delle parti. È annullabile quindi la transazione fatta su lite già decisa con
sentenza passata in giudicato della quale le parti o una di esse non aveva notizia. La
lite però non deve risultare temeraria, infatti se una delle due parti è consapevole
dell'infondatezza della propria pretesa, l'altra può chiedere l'annullamento della
transazione.

Opera ancora una fondamentale distinzione tra transazione generale e transazione


speciale. La transazione generale concerne tutti i loro affari. Mentre nella
transazione speciale l'accordo transattivo verte solo su un determinato affare. La
transazione generale è annullabile qualora in epoca successiva alla conclusione una
delle parti venga a conoscenza di documenti che le erano ignoti al termine della
transazione stessa, esclusivamente se tali documenti siano stati occultati dall'altra
parte. La transazione speciale è annullabile quando con documenti posteriormente
scoperti si provi che una delle parti non aveva alcun diritto. La transazione è
annullabile anche sulla base di documenti in seguito riconosciuti falsi.

Sotto il profilo della concessione si è solito individuare tre tipi di transazioni.

 Transazione semplice, nella quale i contraenti si limitano ad intervenire sulle


pretese derivanti dal rapporto controverso.
 Transazione novativa, mediate la quale i contraenti danno origine ad un nuovo
rapporto differente da quello precedente e che si sostituisce ad esso.
 Transazione mista, con la quale le parti non si limitano ad incidere sul rapporto
controverso ma creano, modificano o estinguono anche rapporti diversi
rispetto quello che ha firmato oggetto della pretesa e della contestazione.

La transazione deve avere ad oggetto esclusivamente diritti disponibili delle parti. Se


le medesime risultano prive di disporre dei diritti oggetto della lite, in quanto per
natura o per disposizione di legge sono sottratti alla loro disponibilità, la transazione
è nulla. Nulla è anche la transazione che verte su un contratto illecito. È chiesto il
requisito della forma scritta. Per diritti reali immobiliari oltre la forma scritta è
richiesta la trascrizione nei registri pubblici per la opponibilità ai terzi. Proprio in
vista della sua finalità di definitivo superamento di una situazione controversa tra le
parti, la transazione e non è suscettibile di impugnazione per causa di lesione. Ne
può essere annullata per errore di diritto.
Compromesso e clausola compromissoria.
Le parti possono accordarsi per rimettere la soluzione di una controversia insorta, o
che potrebbe insorgere, tra di loro ad uno o più soggetti terzi. (Arbitri)

In diritto il compromesso è quel negozio con cui le parti si impegnano a far decidere
una lite tra loro insorta a degli arbitri privati. Esso si distingue dalla c.d. transazione,
in quanto questa è un contratto a prestazioni corrispettive a titolo oneroso col quale
le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già incominciata
o prevengono una lite che può sorgere tra loro (art. 1965 c.c.). Con il compromesso,
quindi, non si evita la lite, ma si deroga solo alla giurisdizione ordinaria; mentre con
la transazione si pone fine ad una lite in corso o potenziale. Esso deve avere forma
scritta pena nullità e determinare l'oggetto della controversia. Compromesso e
clausola compromissoria devono contenere la nomina degli arbitri che possono
essere uno o più purché siano dispari, oppure stabilire il numero di essi è il modo
per nominarli. Il compromesso è stipulato dopo l'insorgere della lite. Con la clausola
compromissoria invece ci si accorda in vista dell'eventualità che sorga una lite. Le
parti nel contratto possono stabilire che le controversie da esso nascenti siano
decise da arbitri. Anche la clausola compromissoria deve avere forma scritta pena la
nullità.

Gli arbitri si impegnano a prestare la propria attività con le responsabilità che ne


possono derivare, attraverso l'accettazione, la quale deve essere data per iscritto o
risultare dalla sottoscrizione del compromesso. L'arbitro incorre in responsabilità
per colpa grave o dolo se ometta o impedisca la pronuncia del lodo nei termini
previsti. Egli non può rinunciare all'incarico senza giusti motivi. Le regole da
osservassi nel procedimento possono essere stabilite dalle parti o in mancanza gli
arbitri regolano il procedimento nel modo che ritengono più opportuno essendo
comunque tenuti a concedere alle parti ragionevoli possibilità di difesa.

Il lodo è comunicato dagli arbitri alle parti e ha dalla data della sua ultima
sottoscrizione gli effetti della sentenza pronunciata da autorità giudiziaria. Il lodo
deve essere dichiarato esecutivo con decreto del tribunale e può essere impugnato
anche indipendentemente dall'avvenuto deposito.

La disciplina accennata ora inerisce all'arbitrato rituale ma le parti possono anche


accordarsi di demandare a terzi il compito di risolvere la controversia (arbitrato
irrituale). L'arbitrato irrituale si sottrae alle procedure previste nel codice di
procedura civile esclusivamente necessario il principio del contraddittorio. Un
particolare arbitrato irrituale è tradizionalmente considerato l'arbitrato per bianco
assegno. In tal modo le parti consegnano a terzi designato come arbitri fogli in
bianco. Essi saranno riempiti dagli arbitri col contenuto della decisione la quale
assume la veste di manifestazione di volontà delle parti.

Sequestro convenzionale.

Il sequestro convenzionale è il contratto mediante il quale una o più persone,


sequestranti, affidano ad un terzo, sequestratario, una cosa o una pluralità di cose,
mobili o immobili, rispetto alla quale sia nata tra esse una controversia, perché la
custodisca e la restituisca a quella cui spetterà quando la controversia sarà definita.
Tale contratto quindi ha una funzione cautelare. Ha una funzione analoga al
sequestro giudiziale, il quale si presenta molto più diffuso in quanto disposto dal
giudice indipendentemente da un accordo tra le parti. Si tratta di un contratto reale
e oneroso dato che il sequestratario oltre ad avere un rimborso per le spese ha
diritto ad un compenso se non diversamente pattuito. Gli obblighi, i diritti e i poteri
del sequestratario sono determinati dal contratto. In mancanza di determinazione si
applica la regolamentazione di cui gli art. 1800.

46
Fatti illeciti e responsabilità civile.
Struttura del fatto illecito.
Nozione e funzione.

È giusto iniziare a discutere di tale problematica partendo dalla nozione degli art.
2043 del c.c. ovvero, qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un
danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno, e dell'art.
1218, ovvero il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto
al risarcimento del danno se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato
determinato da impossibilità della prestazione derivante da una causa a lui non
imputabile.

Prima di analizzare, però, l'atto illecito è necessario riportare alcune distinzioni utili a
farci comprendere l'esatta collocazione di tali atti.

In primo luogo riportiamo la distinzione tra gli atti umani vietati e leciti.

 Atti vietati sono posti in essere in violazione di un obbligo di legge arrecando


un danno ad un altro soggetto giuridico. La violazione dell'obbligo fa nascere
nel soggetto danneggiato il diritto al risarcimento del danno.
 Atti leciti sono posti in essere in maniera conforme al diritto.

Ci dobbiamo chiedere ora, che cos'è l'illecito civile, cioè come identificare la
generale figura dell'illecito civile? Possiamo quindi affermare che:

1) è illecito civile qualunque fatto che provochi come conseguenza voluta


dalla legge il risarcimento del danno.

Il risarcimento del danno, però, può nascere da fatti o atti diversi, può nascere dalla
violazione dell'art. 2043 c.c. o dell'art. 1218 c.c.
Nel primo caso avremo illecito civile di natura extracontrattuale, mentre nel
secondo vi sarà illecito di natura contrattuale, ma pur sempre di illeciti civili si parla.
Sarà quindi illecito civile extracontrattuale la responsabilità precontrattuale ex art.
1337 c.c. , mentre sarà illecito civile di natura contrattuale l'inadempimento di una
obbligazione.

Nell'ambito degli atti vietati distinguiamo ancora due categorie che fanno sorgere i
due diversi tipi di responsabilità.

 atti che danno vita a responsabilità contrattuale: sono quegli atti che violano
obblighi che intercorrono tra soggetti determinati, come gli inadempimenti
contrattuali
 atti che danno vita a responsabilità extracontrattuale: sono gli altri atti illeciti
(civili); la responsabilità nasce dalla violazione del generico obbligo di non
ledere l'altrui sfera giuridica.

Nel nostro ordinamento non sono previsti, però, solo gli illeciti civili; ricordiamo,
infatti, che alcuni illeciti civili sono anche rilevanti per altri rami del diritto essendo
anche illeciti penali e amministrativi.

Occupiamoci della distinzione tra l'illecito penale e quello civile di natura


extracontrattuale.
 illecito penale nasce da un comportamento che contrastando con i i fini dello
Stato esige come sanzione una pena criminale. Il comportamento vietato è
detto reato ed è espressamente previsto dalla legge.
 illecito civile nasce dalla violazione del generico obbligo di non ledere l'altrui
sfera giuridica. Conseguenza della violazione sarà l'obbligazione di
risarcimento del danno.

Su questa distinzione sono opportune alcune osservazioni;


In primo luogo i fatti che danno luogo ad illecito civile e penale possono anche
coincidere; pensiamo, ad esempio, al caso in cui un sinistro provochi delle lesioni;
qui avremo insieme un illecito penale, e cioè un reato (art. 590 c.p. lesioni colpose),
e un illecito civile (art. 2043 c.c.);
Accade, però, che i due illeciti operino su piani diversi, perché con la previsione
dell'illecito civile si vuole ristorare la vittima del danno attraverso il risarcimento,
mentre con la previsione di un fatto come reato, lo Stato vuole tutelarsi contro
comportamenti da lui ritenuti contrastanti con i suoi fini. Il risarcimento è quindi
secondario rispetto al fine primario (autotutela dello Stato) che si vuole ottenere
attraverso la minaccia di una pena criminale.

Ancora dobbiamo considerare che mentre un fatto è reato solo se viene


espressamente previsto come tale dalla legge (art. 1 c.p. art. 25 Cost.), l'illecito
civile, invece, può essere previsto anche in modo generico ("qualunque fatto", recita
l'art. 2043); di conseguenza ci saranno dei fatti che possono essere rilevanti solo
come illecito civile (es. responsabilità precontrattuale), ma non come reato, mentre,
all'opposto, vi sono dei reati che possono non essere illeciti civili (es. spionaggio).

Fatto e nesso di causalità.

Riportando la definizione dell'articolo 2043, ovvero: qualunque fatto doloso o


colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il
fatto a risarcire il danno; possiamo individuare la struttura stessa dell'atto illecito
che possiamo individuare in:

 fatto
 colpevolezza
 nesso di casualità
 danno antigiuridico
Cominciamo con il fatto.
Secondo l'art. 2043 "qualunque fatto" che provochi un danno ingiusto è fonte di
responsabilità.
Il "fatto" che c'interessa è un comportamento umano; questo può concretarsi in una
azione o in una omissione, la seconda rilevante solo quando esiste uno specifico
obbligo giuridico a compiere una azione poi "omessa", non compiuta.

Passiamo al secondo elemento dell'atto illecito, la colpevolezza.


Ai fini della responsabilità non interessa qualsiasi fatto umano, ma solo quello
determinato da dolo o colpa, un atto. Di conseguenza per esserci responsabilità è
necessario che il fatto sia doloso o colposo e per essere tale deve essere provocato
da un comportamento doloso dell'agente (voluto) o provocato da colpa (per
negligenza, imprudenza o imperizia).

Il fatto doloso o colposo è un atto umano proprio perché rileva l'elemento


psicologico, il dolo o la colpa. Questo elemento psicologico è tradizionalmente
denominato "colpevolezza".
Accade, però, che per aversi responsabilità non basta che vi sia la colpevolezza, ma è
anche necessario che il soggetto sia capace di intendere e di volere.
Mancando la capacità di intendere e di volere può anche esservi dolo o colpa (anche
un minore di 10 anni può volere o meno un fatto), ma non ci sarà responsabilità
dell'agente; questo non vuol dire che non sarà mai nessun soggetto che risponda dei
danni (v. art. 2047 c.c.)

Consideriamo ora il nesso di causalità:


Tra atto e danno deve esserci un legame di causa ed effetto, un nesso di causalità
giuridicamente rilevante.
È noto, infatti, che un atto può causare una serie indefinita di eventi.
Nel caso di un sinistro stradale, il comportamento colposo dell'automobilista può
provocare il danneggiamento di un altro veicolo, ma anche, in seguito a questo, un
ingorgo stradale, e , magari, a causa di questo ingorgo, una autoambulanza che
trasportava un malato grave giunge troppo tardi all'ospedale.
Dal punto di vista del rapporto causa-effetto la morte dell'ammalato è stata
provocata dal sinistro stradale e l'automobilista è responsabile anche di questo
decesso.
Tuttavia, non si può estendere la responsabilità a tutti gli eventi possibili.
Ci viene in soccorso l'art. 2056 c.c. che nella valutazione dei danni richiama l'art.
1223 c.c. secondo cui sono risarcibili i danni che siano conseguenze "immediate e
dirette" dell'atto.
Si escludono, quindi, quegli eventi sopravvenuti che possono considerarsi
eccezionali. (Così ad esempio chi ha investito un pedone non risponderà per la sua
morte avvenuta in conseguenza del crollo dell'ala dell'ospedale in cui era stato
ricoverato a seguito dell'investimento).

Danno ingiusto.
Il danno, secondo, l'art. 2043 deve essere "ingiusto" .
Per ingiustizia del danno s'intende la sua "antigiuridicità" cioè la sua capacità di
provocare la lesione di un diritto.
Proprio su questo punto, però, si è incentrato il dibattito dottrinario;
da una iniziale posizione che riteneva ingiusto solo il danno che provocava una
lesione di diritti soggettivi assoluti, si è passati, grazie ad una lenta evoluzione
dottrinale, ad ammettere l'ingiustizia del danno anche nel caso di diritti relativi,
come i diritti di credito, sino ad arrivare alla posizione che giunge a ritenere
antigiuridico qualsiasi danno provocato ad un interesse giuridicamente tutelato, dai
diritti soggettivi agli interessi legittimi, alla libertà negoziale, all'ambiente, alla tutela
extracontrattuale del credito per i danni provocati da terzi.

Ampliamento della sfera del danno ingiusto.

La sfera del danno ingiusto si presenta attualmente ampliata in diverse direzioni.

a) una prima apertura è avvenuta superando la rigidità della contrapposizione tra


diritti assoluti e diritti relativi. Vi è un interesse del creditore a non vedere turbata da
terzi la possibilità del soddisfacimento della sua pretesa nei confronti del debitore.
Ove il terzo renda impossibile l’adempimento, potrà essere chiamato a rispondere in
base all’art. 2043.
E’ stato considerato obbligato a risarcire il danno risentito dal creditore pure chi
dolosamente inficia il debitore a non adempiere (induzione all’inadempimento).

b) E’ ritenuta risarcibile la lesione di aspettative di carattere patrimoniale in campo


familiare. Pure in assenza di diritto all'ottenimento di una sovvenzione economica, si
è ritenuta tutelabile, come legittima aspettativa, quella alla partecipazione ai
risparmi che il congiunto avrebbe accumulato. Il risarcimento del danno
patrimoniale è stato particolarmente riconosciuto anche al convincente more
uxorio, benché costui non abbia un diritto all'assistenza economica da parte del
compagno.

c) E’ stato ritenuto risarcibile il danno derivante dalla perdita di chance, quale


concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato risultato
economicamente vantaggioso. Essa non è considerata mera aspettativa di fatto, ma
un’entità patrimoniale rilevante di per se stessa, per cui la perdita configura un
danno concreto e attuale.

d) Abbiamo ancora il diritto all'integrità del patrimonio con cui si è ritenuto che un
pittore, risponde del danno subito da uno dei successivi acquirenti di un quadro per
aver autenticato egli sul retro dello stesso quadro, uno suo quadro risultato falso.

Cause di esclusione dell'antigiuridicità.


Il c.c. disciplina, immediatamente dopo la norma fondamentale dell’art. 2043, la
legittima difesa e lo stato di necessità. Si tratta delle c.d. cause di esclusione
dell’antigiuridicità, in quanto, in presenza di esse, viene meno la possibilità di
considerare ingiustificato il danno: non ne viene, quindi, fatto carico al soggetto che
pure, con suo comportamento, abbia determinato la lesione dell’interesse altrui.
Incidono quindi sul requisito formale del reato e impediscono il sorgere del reato
stesso togliendo a questo il carattere antigiuridico e sono: consenso dell’avere
diritto (50 c.p.), esercizi di un diritto o adempimento di un dovere (51 c.p.), legittima
difesa (52 c.p.), uso legittimo delle armi (53 c.p.), stato di necessità (54 c.p.), accesso
colposo (55 c.p.)

a) in relazione alla legittima difesa, l’art. 2044 dispone che non è responsabile chi
cagioni il danno per legittima difesa di sé o di altri. L’offesa deve essere ingiusta; il
pericolo al diritto proprio o altrui deve essere attuale; la difesa deve essere
proporzionata all’offesa. Il diritto posto in pericolo dall'altrui ingiustificata
aggressione può essere anche di natura patrimoniale.

b) non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità
di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona e il pericolo
non risulti causato volontariamente, né altrimenti evitabile. Ove ricorrano simili
condizioni, al danneggiato è dovuta un’indennità, la cui misura è rimessa all’equo
apprezzamento del giudice (2045). Il pericolo deve essere: attuale, involontario,
inevitabile. Il danno dal quale ci si cerca di sottrarre deve presentarsi come grave e
concernere esclusivamente la persona dell’agente o quella di altri. Non si potrà,
insomma, invocare lo stato di necessità per salvaguardare interessi patrimoniali, ma
solo interessi personali, peraltro pure diversi dall’incolumità fisica. L’art. 2045
prevede la corresponsione al danneggiato di una indennità da parte di chi abbia
agito in stato di necessità. Ove si consideri esclusa l’antigiuridicità del fatto è da di
ritenere che qui l’ordinamento ricolleghi il sorgere di un’obbligazione indennitaria
ad un fatto dannoso lecito.

c) L’art. 50 c.p. relativo al consenso dell’avente diritto, dispone la non punibilità di


chi abbia leso o posto in pericolo un diritto col consenso della persona che ne è
titolare, purché si tratti di un diritto disponibile.

d) Non è prevista nel c.c. neppure la causa di giustificazione di cui all’art. 51 c.p., per
cui la punibilità è esclusa ove si sia agito nell’esercizio di un diritto o
nell’adempimento di un dovere (imposto da una norma o dalla pubblica autorità).
L’esercizio del diritto acquista sicuramente rilievo anche ai fini dell’esclusione del
sorgere dell’obbligazione risarcitoria, ove pure ciò comporti ad altri un danno
apprezzabile. Si pensi, ad es., all’edificazione di una costruzione che, pur avvenendo
del tutto legittimamente è attua a causare un pregiudizio ai proprietari di altri
immobili (vista), tale pregiudizio non può, però, essere considerato danno ingiusto.

Imputabilità e colpevolezza.
Ulteriore fattispecie da analizzare è quella relativa alla responsabilità oggettiva. Essa
si configura come una situazione in cui il soggetto può essere responsabile di un
illecito, anche se questo non deriva direttamente da un suo comportamento e non è
riconducibile a dolo o colpa del soggetto stesso.
Tale situazione costituisce una deroga al principio generale della responsabilità
secondo cui è necessaria l'esistenza di un preciso nesso di causalità tra il fatto illecito
ed il comportamento dell'individuo, affinché a questi possano essergliene attribuite
le conseguenze giuridiche. Un'importante e distintiva caratteristica della
responsabilità oggettiva si ha in tema di onere della prova: la responsabilità
extracontrattuale (normale) viene meno se l'autore del fatto illecito fornisce la prova
dell'assenza di sua colpa. La responsabilità extracontrattuale oggettiva viene meno
solo se si prova che il danno è dovuto ad un evento fortuito imprevedibile ed
inevitabile.

a) Per l’art. 2046, non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva la
capacità di intendere o di volere al momento in cui cui lo ha commesso, salvo che lo
stato di incapacità derivi da sua colpa (capacità naturale). Sono così considerati
responsabili il minore e lo stesso interdetto giudiziale, pur legalmente incapaci, ove
ritenuti in grado di comprendere la portata dannosa del proprio comportamento;
l’accertamento della incapacità di intendere o di volere dovrà essere effettuata in
concreto dal giudice, il quale si avvarrà di criteri di giudizio tratti dalla comune
esperienza o dalla scienza.
Nel caso che il danno sia stato cagionato da chi sia incapace di intendere o di volere,
l’art. 2047 addossa l’obbligo del risarcimento al soggetto tenuto alla sorveglianza
dell’incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto. La responsabilità
si presenta come basata su una presunzione di difetto di sorveglianza. Presunzione
superabile solo attraverso la dimostrazione di non aver potuto impedire il fatto. È
una prova non facile dato che si reputa correntemente necessario dimostrare di
avere adeguato la sorveglianza alle concrete condizioni dell'incapace.

Anche se il danno risulta cagionato da un incapace, l’art. 2047, c.c, dispone che, ove
il danneggiato non abbia potuto ottenere il risarcimento da chi è tenuto alla
sorveglianza, perché insolvente o perché è riuscito a fornire la prova liberatoria, il
giudice, in considerazione delle condizioni economiche delle parti, può condannare
l’autore del danno ad una equa indennità. Il legislatore ricorre al concetto di
indennità e non risarcimento, come piena reintegrazione dell’interesse leso.
Ove il minore, o l’interdetto in un momento di lucido di intervallo, sia capace di
intendere e di volere, l’art. 2048 prevede una responsabilità dei genitori o del tutore
o degli insegnanti, concorrente con quella di chi abbia cagionato il danno.

b) Per avere risarcimento l’art. 2043 prevede che tale comportamento sia
qualificabile come doloso o colposo.
Dolo: intenzionalità del comportamento, l’evento dannoso è “preveduto e voluto
come conseguenza della propria azione od omissione” (43 c.p.).
Colpa: l’evento dannoso non è voluto e si verifica “ a causa di negligenza o
imprudenza e imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o
discipline (43 c.p.)
Ciascuno, nei propri comportamenti, è tenuto a prestare un’attenzione e uno sforzo
sempre adeguato alla salvaguardia dell’interesse altrui. Ove non lo faccia,
l’ordinamento lo considera responsabile del danno prodotto. La colpevolezza, la cui
ricorrenza deve essere provata, è esclusa quando si presenta l’ipotesi del caso
fortuito o della forza maggiore (intervento di una causa esterna).
Criteri di propagazione della responsabilità.
All'idea di responsabilità indiretta non si è mancato di ricondurre pure l'ipotesi della
responsabilità per il danno cagionato all'incapace.

a) la prima ipotesi è quella in cui a cagionare il danno sia stato il fatto illecito - di cui,
quindi, devono ricorrere tutti i requisiti, pure soggettivi - di un minore non
emancipato (2048). In tal caso risponderanno anche i genitori o il tutore. Gli
insegnati rispondono, poi, del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi nel
tempo in cui sono sotto la loro vigilanza (2048). Ai fini del sorgere della
responsabilità, occorre che sussista il requisito della convivenza con i genitori (o
meglio ancora dell’esercizio della responsabilità genitoriale). Ai genitori è quindi
addossata una corrente responsabilità sulla base di un rischio da considerare
tipicamente connesso, sul piano sociale, alla loro posizione. Per gli insegnanti di
scuole statali “l’amministrazione si surroga al personale medesimo nelle
responsabilità civili derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi”, risultando, in
pratica, la responsabilità addossata all’amministrazione scolastica, quale rischio
inerente alla sua organizzazione. E’ consentito liberarsi della propria responsabilità
esclusivamente provando di non avere potuto impedire il fatto (2048). Non solo si
richiede di aver preventivamente adottato le misure idonee ad evitare il fatto, ma la
responsabilità si ritiene poter essere affermata sulla base del mero difetto di
educazione, dovendo a tal fine i genitori, dimostrare positivamente di aver impartito
al minore una educazione atta a dimostrare una corretta vita di relazione,
correggendo i difetti che il minore via via riveli. Per evitare ancora la responsabilità
per fatto degli allievi occorre non solo che si tratti di un evento imprevedibile ma che
sia anche dimostrata l'assenza di carenze organizzative.
La responsabilità dei genitori concorre con quella del figlio responsabile, secondo la
regola della responsabilità solidale prevista dall’art. 2055. Essa è ritenuta poter
concorrere anche con la responsabilità dell’insegnate, dato che, pure in caso di
giustificato affidamento del minore all’insegnante resta comunque sussistente il
relativo fondamento.

b) Carattere oggettivo ha la responsabilità che l’art. 2049 pone a carico dei padroni e
committenti, per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi,
nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti. Non vi è colpa nella scelta del
dipendente. Se il danno provocato è da un dipendente, nell’esercizio delle
incombenze a cui è adibito, è considerato responsabile, assieme al dipendente
stesso, anche il padrone o committente, 2049 cc. La responsabilità di quest’ultimo è
giustificata dall’esigenza di tutelare il danneggiato, consentendogli di ottener
risarcimento dal soggetto che fruisce dei risultati dell’attività lavorativa. E’
necessario che tra preponente e preposto vi sia un vincolo di subordinazione.
Occorre, infine, che vi sia una connessione tra le incombenze e il danno (nesso di
occasionalità necessaria). Il preponente risponderà del danno se l’esercizio delle
incombenze espone il terzo all’ingerenza dannosa del fatto preposto. Così accade,
ad es. nel caso in cui l’impiegato della banca si appropri delle somme versate dal
cliente per una sua operazione. Pure qui, la responsabilità del preponente e del
preposto sono concorrenti, secondo la regola della responsabilità solidale, 2055 c.c.

Regimi peculiari di responsabilità.

Il c.c. oltre a recepire tre ipotesi di risalente tradizione (responsabilità per danno
cagionato da cosa in custodia, per danno cagionato da animali e per rovina di
edificio) ne introduce due miranti ad adeguare il sistema di responsabilità civile a
nuove esigenze di tutela più strettamente legale alla più recente evoluzione dei
rapporti economico-sociali (responsabilità per l’esercizio di attività pericolose e per
la circolazione di veicoli).

a) Responsabilità per danno cagionato da cosa in custodia: l’art. 2051 stabilisce che
ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose o animali che ha in custodia,
salvo che non provi il caso fortuito. Nella portata della disposizione rientra qualsiasi
cosa, mobile o immobile, indipendentemente dalla sua interseca pericolosità. Il
danno deve derivare dalla cosa: se essa costituisce strumento di un’attività
pericolosa, il principio operante è quello del 2050. La casistica è sconfinata, si pensi
alla caduta dei rami, alle strade insidiose, ai pavimenti sconnessi, alle impalcature
che permettono l'intrusione dei ladri, all'incendio sviluppato su un terreno che
produca danni ai fondi vicini, ecc. Condizione del sorgere della responsabilità è che il
soggetto ne abbia la custodia. Questa viene intesa come effettivo potere materiale
sulla cosa. Potrà trattarsi quindi non solo del proprietario, ma anche del possessore
o detentore, pure nel caso di potere di fatti esercitato abusivamente. La prova
liberatoria consiste nella dimostrazione del solo caso fortuito, che viene, in effetti,
inteso in senso ampio, ma estremamente rigoroso.

b) Affine è la responsabilità, che grava sul proprietario di un animale o su chi se ne


serve per il tempo in cui lo ha in uso, per i danni cagionati dall’animale, anche se
smarrito o fuggito salvo che venga provato il caso fortuito (2052) vi è prova
liberatoria, deve trattarsi di un fattore che presenti rigorosi caratteri di
imprevedibilità, inevitabilità e assoluta eccezionalità.
c) L’art. 2053 disciplina la responsabilità per rovina di edificio o di altra costruzione,
addossandola al proprietario, salvo che costui provi che la rovina stessa non è
dovuta a difetti di manutenzione o vizio di costruzione. La norma si ritinte
applicabile anche a chi sia titolare di un diritto di godimento, che comporta l’obbligo
di manutenzione (usufrutto). Il proprietario resta esclusivo responsabile nel caso che
l’immobile sia locato. Per rovina si intende anche la disgregazione di piccole parti
dell’edificio, come sostegni per vasi da fiori, tegole, cornicioni, ecc. La responsabilità
per i danni derivanti da difetto di manutenzione è ricollegabile ad un
comportamento colposo, la responsabilità per i danni derivanti da vizi di costruzione
è ricollegabile al carattere oggettivo.

d) Significativa novità introdotte dal c.c. è quella per cui grava su chi svolge
un’attività pericolosa. art. 2050, chi causa ad altri danni nello svolgimento
dell’attività pericolosa per sua natura, o per la natura dei mezzi impiegati, è tenuto
al risarcimento, indipendentemente dalla sua colpa, salvo che non provi di aver
adottato, nello svolgere l’attività, tutte le misure consentite dalla tecnica idonee a
evitare ogni pregiudizio a terzi, salvo quelli inevitabili, cd. prova liberatoria. Gli
esempi sono innumerevoli, caccia, organizzazione di gare motociclistiche su circuito
aperto al pubblico, attività edilizia, esecuzione di lavori su strada pubblica,
produzione e distribuzione di bombole di gas, ecc.

e) In ordine la circolazione dei veicoli, il conducente di un veicolo senza guida di


rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persona o a cose dalla relativa
circolazione, se non provi di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno (2054).
Nel caso di scontro tra veicoli, si presume, fino a prova contraria, che ciascuno dei
conducenti abbia concorso ugualmente a provocare il danno subito dai singoli
veicoli (2054). E’ responsabile in solido con il conducente, se non prova che la
circolazione del veicolo sia avvenuto contro la sua volontà, il proprietario del veicolo
o, in sua vece, l’usufruttuario o l’acquirente con patto di riservato dominio. Le
persone in precedenza indicate sono responsabili dei danni derivanti da vizi di
costruzione o difetto di manutenzione (2054). Per veicolo si intende qualsiasi mezzo
circolante, a trazione meccanica o animale, o determinata all’azione diretta
dell’uomo, purché senza guida di rotaie. La circolazione cui si riferisce la norma è
quella aperta al transito pubblico, non quindi la manovra di un veicolo in un area
privata.
Quanto ai soggetti danneggiati, ad esito di una lunga discussione sul punto, si è
convenuto da parte della giurisprudenza che il particolare regime di responsabilità
previste dal 2054 operi anche nei confronti delle persone a qualunque titolo
trasportate nel veicolo. Il principio della uguale responsabilità dei conducenti in caso
di scontro di veicoli ha carattere solo sussidiario in quanto destinato ad operare solo
esclusivamente quando non sia possibile accertare in concreto in quale misura il
conducente abbia concorso a cagionare l'evento. La presunzione prevista in caso di
scontro opera anche nel caso in cui uno solo dei veicoli abbia riportato danni.
Articolato è il regime della responsabilità che emerge dalla norma in esame.
Carattere oggettivo si ritiene avere la responsabilità per i vizi di costruzione o per
difetto di manutenzione. Nel primo caso con la responsabilità del conducente e del
proprietario concorre la responsabilità del costruttore. L'unica prova per esentarsi
dalla responsabilità può essere la negazione della sussistenza del nesso di causalità
tra vizi di costruzione o difetto di manutenzione e danno. Circa la responsabilità del
conducente si tratterebbe di una responsabilità pur sempre fondata sulla colpa,
anche se lievissima. Per quanto riguardo la prova liberatoria, il conducente deve
provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. Quanto alla responsabilità
del proprietario in solido con il conducente è diffusa l'idea che si tratti di una
responsabilità oggettiva. La prova liberatoria è fondata sulla opposizione alla
circolazione e quindi sull'adozione di mezzi idonei a impedire l'entrata in
circolazione del veicolo. Il proprietario viene così considerato responsabile ove affidi
le chiavi ad un parcheggiante, e addirittura anche in caso di furto se non siano prese
le idonee misure di prevenzione (come la chiusura a chiave e l'applicazione di
congegni di antifurto).
La gravità dei pericoli che la diffusione della circolazione stradale comporta ha
introdotto il legislatore, per garantire un sicuro e pronto ristoro al danneggiato, ad
introdurre un regime di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile
automobilistica, con l’istituzione anche di un “Fondo di garanzia per le vittime della
strada”.

f) D. Lgs. 206/2005 (cod cons.) Il principio di fondo è quello secondo cui il produttore
è responsabile del danno cagionato da difetti del suo prodotto. Ove il produttore
non sia individuato, è assoggettato alla stessa responsabilità il fornitore. Il prodotto
è considerato difettoso quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente
attendere, tenuto conto di tutte le circostanze. Il danneggiato deve provare il danno,
il difetto e la connessione causale tra difetto e danno (120) mentre il produttore può
escludere la propria responsabilità nei casi tassativamente previsti: se egli non aveva
messo in circolazione il prodotto o se il difetto non esisteva nel momento in cui è
stato messo in circolazione, se egli non ha fabbricato il prodotto per la vendita o per
ogni altra distribuzione a titolo oneroso, ecc. Il danno risarcibile è quello cagionato
dalla morte, da lesioni personali, nonché quello relativo alla istruzione o al
deterioramento di cose diverse dal prodotto difettoso, normalmente destinato
all’uso o consumo privato e così principalmente utilizzate (123). Il diritto al
risarcimento del danno si prescrive in 3 anni dalla conoscenza del danno del difetto,
e dell'identità del responsabile. Vi è responsabilità in solido in caso di pluralità di
responsabili. Il risarcimento del danno non è dovuto in caso di consapevole
esposizione ai rischi derivanti dal difetto del prodotto.

g) Responsabilità gravante sugli esercenti di impianti nucleari. L’art. 15 L. 1860/1962


prevede che l’esercente di un impianto nucleare risponda di ogni danno causato da
un incidente avvenuto nell’impianto o ad esso connesso, con la sola eccezione dei
danni derivanti da conflitti armati legati ad eventi bellici e insurrezionali o derivanti
da cataclismi naturali di carattere eccezionale. La responsabilità, trova una
limitazione nel suo importo massimo, essendo previsto, poi, in considerazione
dell’eventuale carattere catastrofico dei danni verificatisi, l’intervento dello Stato e
di un fondo internazionale a ciò destinato.

48
Altre fonti di obbligazione.
Atti e fatti diversi da contratto è fatto
illecito.
Fonte negoziale ex lege.
Si è anticipato che, per l’art. 1173, le obbligazioni derivano da “contratto, da fatto
illecito o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento
giuridico”. Si è fissata una clausola generale di ammissione di fonti di obbligazioni
diverse da contratto o fatto illecito con l’unico limite della conformità
all’ordinamento giuridico. Dei fatti illeciti e dei contratti c'è ne siamo già occupati ma
ora è necessario concentrare la nostra attenzione sui quegli altri "atti o fatti idoneo a
produrle" .

Il riferimento va principalmente (e quindi non esclusivamente) alle ipotesi


disciplinate nel titolo IV del codice civile (artt. 1987-2042) di cui ci occuperemo in
questo capitolo, e che possono essere divise tra obbligazioni nascenti da atto
unilaterale, che trovano, in ogni caso, la loro giustificazione nella volontà di un
soggetto, obbligazioni nascenti dalla legge come la gestione di affari altrui, la
ripetizione dell'indebito e l'ingiustificato arricchimento.
Promesse unilaterali.
Sono negozi giuridici unilaterali con i quali un soggetto assume delle obbligazioni a
suo esclusivo carico.
Il negozio si perfeziona indipendentemente dalla accettazione del promissario.
Secondo l'art. 1987, la promessa unilaterale non produce effetti al di fuori dei casi
ammessi dalla legge.
Ma cosa sono le promesse unilaterali?
Non sono dei contratti, perché provengono da una parte sola, non sono degli atti
illeciti ma sono negozi giuridici perfettamente validi solo nei casi previsti dalla legge,
come prevede l'art. 1987. Gli art. 1988 regolano due schemi di promesse unilaterali
ovvero la promessa al pubblico e la promessa di pagamento e la ricognizione del
debito.

Promessa al pubblico
1) Promessa al pubblico: È un negozio giuridico unilaterale con il quale un soggetto
promette di eseguire una prestazione a favore di chi si trovi in una determinata
situazione o compia una determinata azione.
Il contenuto della promessa al pubblico può essere il più vario; tipico è il caso di chi
promette una somma di denaro a chi riporterà il cane smarrito.

La promessa la pubblico si distingue dall'offerta al pubblico perché quest'ultima è


una proposta contrattuale, e dall'ipotesi dell'art. 1333 c.c. (contratto con
obbligazioni a carico del solo proponente) perché, secondo la tesi più accreditata, la
promessa al pubblico non è un contratto.
Caratteristica della promessa al pubblico è proprio il fatto di essere rivolta "al
pubblico" cioè a un destinatario indeterminato.
Questa caratteristica ha fatto nascere la discussione se possa essere considerata
come promessa al pubblico una dichiarazione rivolta ad un gruppo determinato,
come i soci di un circolo. La risposta può essere positiva solo nel caso in cui si
consideri "il pubblico" come un insieme di persone individuate collettivamente e
non nella loro soggettività.
Poiché la promessa non può essere efficace per un tempo indefinito, il secondo
comma dell'art. 1989 ne prevede la durata massima di un anno, se il termine non è
stato apposto o non risulta dalla sua natura o scopo.

Prima della scadenza del termine, la promessa può essere revocata solo per giusta
causa, ma solo se la revoca sia anch'essa resa pubblica nella stessa forma della
promessa o in una equivalente. Ovviamente la revoca non avrà effetto se si è già
verificata la situazione promessa o si è compiuta l'azione oggetto della promessa.
Se l'azione richiesta è stata compiuta da più persone separatamente o in comune, la
prestazione promessa, se è unica, spetta a colui che per primo ne ha dato notizia al
promittente (art. 1991 c.c.).

Promessa di pagamento e ricognizione del debito.

 Promessa di pagamento: la promessa di pagamento è un atto unilaterale


recettizio con il quale un soggetto promette di effettuare un pagamento ad un
altro soggetto.
 La ricognizione di debito è un atto unilaterale recettizio con il quale un
soggetto riconosce di essere debitore di un altro soggetto.

Per l’art. 1988 la promessa di pagamento o la ricognizione di un debito dispensa


colui a favore del quale è fatta di provare il rapporto fondamentale.
La causa della promessa di pagamento o della ricognizione di debito è solo quella di
rafforzare un vincolo obbligatorio già esistente, dispensando il creditore dalla prova
del diritto di credito. Entrambe le figure si atteggiano come negozi unilaterali
recettizi, di regola non titolati, senza cioè riferimento al titolo causale della
obbligazione che si promette di adempiere o di riconoscere (cd. rapporto
fondamentale): l’effetto che la legge connette ai due atti è di dispensare il
destinatario della promessa dall’onere di provare il rapporto fondamentale.
In sostanza l’effetto tipico che consegue a tali due negozi è l’inversione dell’onere
della prova: non è il creditore a dovere provare i fatti posti a fondamento del suo
diritto, ma è il debitore promittente a dovere prova l’esistenza del diritto di credito.
Entrambe le figure, valendo come riconoscimento del diritto del creditore
comportano la interruzione della prescrizione.

Obbligazioni ex lege.
Per le obbligazioni che derivano dalla legge la tipicità è in re ipsa e cioè nel fatto in
sé di derivare dalla legge. Nel nostro c.c. si pensi all’obbligazioni di prestare gli
alimenti (433) e alle specifiche obbligazioni di mantenimento che caratterizzano i
rapporti familiari (147-148) o all’obbligo del partecipante alla comunione di
contribuire nelle spese necessarie per la conservazione e il godimento della cosa
comune (1104), Altre sono contenute in normative diverse dal c.c., ovvero
ricostruire dalla giurisprudenza: si pensi alla obbligazioni di equa riparazione per
mancato rispetto del termine ragionevole del processo (L. 89/2001).

Gestione di affari.

Si ha gestione di affari altrui quando un soggetto senza esservi obbligato


assume consapevolmente la gestione di uno o più affari di un altro soggetto che non
è in grado di provvedervi.

L'ipotesi dell'art. 2031 riguarda una situazione che può verificarsi nella realtà con un
frequenza maggiore di quanto non si pensi.
Può succedere, infatti, che una persona non possa occuparsi dei suoi affari
rischiando di subire un danno.
Ma può anche accadere che un'altra persona, essendo a conoscenza di questa
situazione, decida di intervenire per impedire il danno. Se la gestione avverrà alle
condizioni previste dalla legge, il dominus dovrà non solo adempiere alle
obbligazioni assunte dal gestore, ma dovrà anche indennizzarlo (e non compensarlo)
delle spese che questi ha sostenuto.
Come si vede la gestione di affari altrui è fonte di obbligazioni che non derivano né
da contratto né da atto illecito, ma direttamente dalla legge.

Analizziamo la posizione del dominus:

 l'interessato non deve essere in grado di provvedere ai propri affari


 se l'interessato ha vietato che altri si occupassero della gestione dei propri
affari non sarà tenuto ad adempiere alle obbligazioni che sono nate dalla
gestione (art. 2031 comma 2)
 deve adempiere agli obblighi che scaturiscono dalla gestione e indennizzare il
gestore delle spese non solo quando la gestione gli sia stata utile ma anche
quando non gli abbia portato vantaggi ma sia stata "utilmente iniziata" dal
gestore.

Come si vede il dominus deve effettivamente trovarsi in una particolare situazione


che gli impedisca di occuparsi dei propri affari. Questa può verificarsi quando il
dominus sia scomparso e non siano stati ancora presi i provvedimenti previsti dalla
legge, o quando sia incapace senza che vi sia chi lo rappresenti. In merito al divieto,
questo è efficace solo se non sia contrario alla legge, all'ordine pubblico o la buon
costume, ma si ritiene che sia anche inefficace quando riguardi una situazione
imprevista.

Analizziamo la posizione del gestore:


 deve essere a conoscenza di gestire un affare altrui. Se credeva di agire per un
affare proprio potrà comunque beneficiare degli effetti della gestione se vi
sarà la ratifica del dominus (art. 2032 c.c.)
 una volta iniziata la gestione è tenuto a portarla a termine sino a quando il
dominus non sia in grado di provvedervi da sé stesso.
 In caso di morte del dominus prima della fine della gestione questa dovrà
comunque essere eseguita sino a quando l'erede non possa provvedere
direttamente
 deve avere la capacità di contrattare in merito all'affare di cui si occupa (art.
2029 c.c.)
 è tenuto al risarcimento del danno se ha agito con colpa
 è soggetto alle stesse obbligazioni che deriverebbero dal mandato (art. 2030
c.c.)

Il gestore è quindi equiparato a un mandatario e a lui si applicherà la disciplina


prevista dagli articoli 1705- 1707 c.c. È anche possibile, però, che il gestore dichiari
di agire per il dominus ponendo in essere una gestione rappresentativa
che si distingue da quella dove non c'è tale dichiarazione detta gestione non
rappresentativa. La differenza non è senza importanza, perché nel caso di gestione
rappresentativa si applicheranno anche le norme relative alla rappresentanza ex art.
1704 c.c. con la conseguenza che gli effetti del negozio concluso dal gestore
ricadranno immediatamente nelle sfera giuridica del dominus.

Pagamento dell'indebito.

È l'azione diretta alla restituzione di quanto adempiuto da un soggetto ad un altro


quando questo adempimento non era dovuto.

È necessario distinguere due situazioni in cui si sia eseguita questa prestazione non
dovuta, vediamole:

 indebito oggettivo (art. 2033 c.c.) è il caso di chi esegua un pagamento di un


debito che non esiste né per lui né per altri
 indebito soggettivo (art. 2036 c.c.) è il caso un soggetto paghi un debito altrui
ritenendosi debitore in base a un errore scusabile.

Come si vede nell'indebito oggettivo vi è una vera e propria inesistenza del debito,
mentre nell'indebito soggettivo si pone più l'accento sull'errore in cui è caduto chi
ha eseguito il pagamento.
In merito all'indebito oggettivo si ritiene, però, che possa rientrare nell'ipotesi
dell'art. 2033 anche il caso di chi paghi il proprio debito a chi non ha diritto al
pagamento. Qui il debitore paga un suo debito esistente a un'altra persona, mentre
nel tipico indebito soggettivo il solvens paga un debito altrui ritenendosi essere lui il
debitore in base a un errore scusabile. In definitiva anche nell'indebito soggettivo il
debito era inesistente, ma solo per il solvens, mentre esisteva per un altro debitore.
Osserviamo che chi ha ricevuto il pagamento sarà tenuto a restituire quanto ha
avuto, ma in modo diverso nei due tipi di indebito.

1) Per l'indebito oggettivo chi ha pagato ha diritto alla restituzione di quanto


corrisposto, ma se chi ha ricevuto il pagamento era in mala fede dovrà anche
corrispondere i frutti e gli interessi dal giorno del pagamento, mentre se era in
buona fede gli interessi e i frutti saranno dovuti solo dal giorno della domanda
giudiziale.

2) Per l'indebito soggettivo la ripetizione è dovuta solo se l'errore in cui è caduto il


solvens sia scusabile. Se l'errore è scusabile anche qui vi sarà obbligo di restituzione
con i frutti e gli interessi nelle stesse modalità dell'indebito oggettivo, ma solo se il
creditore non si sia privato in buona fede del titolo e delle garanzie del credito.

Cosa accadrebbe allora quando una ripetizione non è ammessa?

Bisogna considerare che vi è una terza persona che ha tratto vantaggio da questa
situazione, e cioè il vero debitore che non ha eseguito alcun pagamento e si
troverebbe con il debito estinto. Non essendo giuridicamente accettabile tale
situazione, opportunamente l'art. 2036 c.c. comma 3 dispone che quando la
ripetizione non è ammessa, colui che ha pagato subentra nei diritti del creditore. Se
il solvens ha adempiuto non versando una somma di denaro, ma un altro bene,
potrà comunque ripetere quanto ha dato, ma secondo l'art. 2040 c.c. anche lui sarà
obbligato nei confronti del presunto creditore a rimborsargli le spese e i
miglioramenti eventualmente effettuati secondo le regole del possesso (artt. 1149-
1152 c.c.). In entrambe le ipotesi di indebito il diritto di credito alla ripetizione è
soggetto alla prescrizione ordinaria (decennale).
Arricchimento senza causa.

Si ha ingiustificato arricchimento quando una persona vede aumentare il valore del


suo patrimonio a danno del patrimonio di un altro soggetto senza che vi sia una
giusta causa. Nella nozione abbiamo individuato il concetto di ingiustificato
arricchimento come conseguenza di un fatto che provoca l'impoverimento di una
persona e il relativo arricchimento di un'altra. Questa situazione, si potrà osservare
se ho subito un danno e ricevo il relativo risarcimento è chiaro che il mio patrimonio
aumenterà a danno del patrimonio del debitore, ma in questa e in altre ipotesi simili
c'è un motivo che ha provocato lo spostamento patrimoniale, una causa, una giusta
causa, nel senso che è prevista dall'ordinamento giuridico come ragione dello
spostamento patrimoniale, derivi esso da fatto lecito o illecito. Il problema sorge
quando vi sia questo arricchimento senza che vi sia una valida giustificazione
giuridica che lo sorregga.

I casi possono essere i più svariati, pensiamo, ad esempio all'ipotesi in cui per errore
si esegua la semina su un terreno agricolo altrui credendolo proprio, ma le ipotesi
possono essere le più svariate, perché il legislatore ha voluto con questa norma
proprio considerare tutti i casi in cui vi sia stato un arricchimento senza causa.

Mancando la giustificazione dello spostamento patrimoniale sorge (come nel


pagamento dell'indebito) il diritto ad agire per la restituzione, ma a quali condizioni?

 arricchimento di un soggetto e la diminuzione patrimoniale a carico di un altro


soggetto
 un unico fatto costitutivo deve aver provocato lo spostamento patrimoniale
 mancanza di una causa giustificatrice nell'arricchimento dell'uno e nella
perdita patrimoniale subita dall'altro
 inesistenza di altra azione per ottenere l'indennizzo del pregiudizio subito (art.
2042)

L'azione di arricchimento ha quindi carattere sussidiario proprio perché si può


esperire solo quando non sia possibile nessuna altra azione.
Ciò stabilito, chiediamoci a che cosa avrà diritto chi riesce a portare a termine con
successo l'azione .
Secondo l'art. 2041 c.c. a lui spetterà un'indennità per la perdita subita. Questa è
calcolata tenendo conto dei valori di mercato dell'arricchimento e
dell'impoverimento e procedendo alla liquidazione della minore somma tra queste
due entità.
Se, invece, l'arricchimento ha per oggetto una cosa determinata sorgerà, invece,
l'obbligo della restituzione, sempre che sia ancora esistente al tempo della
domanda.
Chiudiamo l'argomento osservando che questa azione è esperibile sempre in seguito
ad attività lecita, è ciò lo capiamo anche dal fatto che si prevede una indennità e non
un risarcimento; osserviamo, ancora, che nonostante si parli di "danno" nella sua
liquidazione indennitaria non deve essere calcolato il lucro cessante.

49
Successioni per causa di morte.
Concetto di successione.

Per successione si è soliti intendere quel fenomeno giuridico consistente


nell’avvicendamento di un soggetto ad un altro in una situazione giuridica soggettiva
o passiva. Nella successione per causa di morte (mortis causa), in particolare, il
fenomeno successorio trova giustificazione nella morte di un soggetto e consiste nel
trasferimento dei diritti del defunto (de cuius) ad altri soggetti, individuati dal de
cuius stesso o, in mancanza, dal legislatore.
Ma che cosa viene trasferito agli eredi? È possibile per il de cuius lasciare sue
sostanze a persone diverse dai suoi familiari? Ed ancora, è possibile trasferire solo
alcuni diritti e non tutto il patrimonio?
Rispondendo all'ultima domanda è prevista una successione a titolo universale e a
titolo particolare.

 successione a titolo universale: si verifica quando l'erede acquista tutti diritti


ed obblighi del defunto o subentra in una quota degli stessi.
 successione a titolo particolare: quando il successore (legatario) succede in
singoli specifici rapporti giuridici. Vi sarà quindi un legatario istituito in un
testamento.

Per quanto riguarda i soggetti, nell'ambito della successione a titolo universale


distinguiamo:

 La successione legittima. Si applica quando manca un testamento o quando


questo abbia disposto solo parzialmente del patrimonio del de cuius.
 La successione testamentaria in questo caso il de cuius ha già stabilito a chi
saranno trasferiti i suoi rapporti giuridici redigendo un apposito atto, il
testamento.

Abbiamo poi la successione dei legittimari.


Si verifica in maniera del tutto particolare in presenza di un testamento.
Con il testamento il de cuius non può escludere dalla successione alcuni dei suoi
parenti più vicini, ma, d'altro canto, nemmeno gli si può togliere il diritto di disporre
del suo patrimonio dopo la sua morte. Per questo motivo al testatore è lasciato
comunque il diritto di disporre del suo patrimonio, ma tale diritto non può spingersi
fino a ledere completamente le posizioni dei suoi parenti più stretti; vi sono allora
alcuni soggetti, i legittimari, ai quali spetta in ogni caso una quota dell' eredità, o una
parte dei beni ereditari, anche se il de cuius con un testamento abbia diversamente
stabilito.

Veniamo ora altro problema relativa all'oggetto della successione: che cosa viene
trasferito agli eredi?

È intuitivo che certi diritti non possono essere trasferiti agli eredi; non sono, infatti,
trasferiti i diritti " personalissimi " che sono strettamente legati all'individualità della
persona.

Si estinguono, quindi, con la morte il diritti personali, mentre si trasmettono, invece,


i diritti di natura patrimoniale proprio perché possono essere attribuiti anche ad
altre persone. Anche in quest'ultimo caso, tuttavia, vi sono alcuni diritti patrimoniali
che si estinguono con la morte, o perché, per loro natura, non possono essere
trasmessi ad altre persone o perché il rapporto è intuitu personae. Non si
trasmettono, quindi, i diritti e gli obblighi scaturenti da un contratto di mandato,
contratto intuitu personae; non si trasmettono i diritti di uso, abitazione e usufrutto.

Patti successori: (art. 458 c.c.)

Sono le convenzioni stipulate tra due o più soggetti con cui si dispone della propria
successione, o i patti con cui un futuro erede o legatario dispone dei diritti che gli
possono spettare su una successione non ancora aperta, o i patti rinunzia alla
successione. Come si vede dalla nozione per patti successori possiamo indicare
genericamente tutte quelle convenzioni in base alle quali si dispone di diritti
derivanti da future successioni; avendo chiarito questo concetto, ci chiediamo se sia
possibile disporre in qualche modo dei diritti relativi ad una futura successione, se,
in altre parole, sono ammissibili i patti successori.

Potremmo pensare, infatti, che se prima della morte il futuro chiamato all'eredità
non ha alcun diritto sul patrimonio del defunto, nulla gli vieterebbe di stipulare un
accordo con lui quando era ancora in vita.
A guardare bene, però, una tale situazione creerebbe non pochi problemi, sia
perché si tratterebbe di accordi che diverrebbero efficaci dopo la morte di uno dei
contraenti, sia perché il de cuius perderebbe quella libertà di testare che la legge
riconosce ad ognuno sino al momento della morte.

per questi motivi l'articolo 458 del codice civile stabilisce la nullità dei patti
successori

I patti successori possono essere di tre categorie:

 Patti istitutivi quando per contratto ci si impegna a disporre del proprio


patrimonio dopo la morte a favore di una determinata persona (esempio: mi
accordo con Tizio a lasciargli la mia eredità)
 Patti dispositivi quando si dispone di diritti che possono pervenire al soggetto
da una futura successione (esempio: mi accordo con Tizio a vendergli l'eredità
che mi perverrà quando sarà morta mia nonna)
 Patti rinunciativi quando si rinuncia a successioni non ancora aperte (esempio:
mi accordo con Tizio a rinunciare alla eredità di mia nonna prima ancora che
essa sia morta).

Deroga al divieto dei patti successori si mostra il patto di famiglia con cui
l'imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l'azienda, oppure il titolare di
partecipazioni societarie, trasferisce del tutto o in parte, le proprie quote ad uno o
più discendenti. A pena di nullità il contratto deve essere concluso per atto pubblico.
Le parti contrattuali devono essere: l'imprenditore o il titolare di quote sociali, uno o
più discendenti dell'imprenditore e il coniuge dell'imprenditore e tutti coloro che
sarebbero legittimari al momento in cui è stato stipulato il patto.

Si tratta quindi di un contratto plurilaterale, volto a provocare un consenso


completo con tutti i futuri eredi dell'imprenditore ( o del titolare di quote sociali).
Dobbiamo, però, considerare, che non sarebbe giusto un patto di famiglia, che desse
tutto ad alcuni figli dell'imprenditore, e praticamente niente agli altri potenziali eredi
e legittimari, ed è per questo motivo, che l'imprenditore nello stipulare un tal patto,
deve salvaguardare anche le posizioni di questi ultimi;
il coniuge e i futuri legittimari, infatti, se non vi hanno rinunziato, devono ricevere
dagli assegnatari (cioè i figli che hanno ricevuto l'azienda), una somma di denaro (o
dei beni in natura) che corrisponda alle quote che a loro spetterebbero ex art. 536 e
ss. c.c., cioè le quote che gli spetterebbero in quanto legittimari.
Questi beni sono loro assegnati come quota di legittima, cioè come quella quota che
a loro spetterebbe come legittimari, e ciò per tacitare da subito possibili future
contestazioni, tanto che una volta stipulato il contratto, le assegnazioni ricevute non
possono essere oggetto di collazione o riduzione.

Andiamo ora a verificare dal punto di vista della validità, cosa accade se non si
seguono le prescrizioni cui ci siamo riferiti

Sappiamo della nullità dell'atto se non è stipulato per atto pubblico, ma potrebbe
accadere che all'atto stesso non partecipino tutti coloro che ne hanno diritto ex art.
768 quater; vediamo le conseguenze. In caso di mancata partecipazione alla stipula
del contratto del coniuge e\o dei legittimari, se gli assegnatari non liquidano loro le
somme che gli spettano il patto è annullabile entro un anno dall'apertura della
successione. In caso di vizi del consenso è possibile chiedere l'annullamento del
patto entro un anno dalla sua stipula. Ricordiamo, infine, che il patto può essere
sciolto o modificato dagli stessi che l'hanno stipulato, o mediante un nuovo
contratto, o con un recesso, solo, però, se previsto nel patto e certificato da un
notaio (art. 768 septies c.c.). Le eventuali controversie che scaturiscono dal patto,
non possono essere decise dal tribunale, ma da organismi di conciliazione (art. 768
octies c.c.). Questo perché le cause ereditarie durano così tanto tempo che spesso
gli stessi eredi che le avevano instaurare muoiono prima della sentenza. Affidando il
procedimento agli organi di conciliazione si tenta a rendere più rapida la tutela.

A) Apertura della successione


Vocazione e delazione.
Secondo l'articolo 456 del codice civile " la successione si apre al momento della
morte, nel luogo dell'ultimo domicilio del defunto ".
Come si vede un evento giuridico scaturisce, o meglio è contemporaneo, ad un
evento naturale: la morte. L’esatta determinazione del luogo di apertura della
successione vale ad identificare anche l’autorità giudiziaria competente ad emanare
i più rilevanti provvedimenti relativi alla vicenda successoria. “Apertura” si riferisce
alla possibilità che nuovi soggetti si sostituiscano al defunto subentrando nei suoi
rapporti giuridici. Aperta la successione, la principale esigenza è quella concernente
la identificazione di quali siano i successibili del de cuius. La successione si apre in
base ad un titolo che può consistere nel testamento oppure nella legge. Abbiamo,
quindi, il concetto giuridico di " vocazione " che indica proprio il titolo in base al
quale deve avvenire la successione, il testamento o la legge.
Si suole distinguere la c.d. vocazione, che consiste nella individuazione in astratta, in
base ai criteri del 457, di colui che dovrà succedere, dalla c.d. delazione che
costituisce la messa a disposizione del patrimonio del defunto ai chiamati all'eredita.

Capacità.
L'art. 462 dichiara capaci di succedere tutti coloro che sono nati o concepiti al tempo
dell’apertura della successione. L’art. 462, c.3. specifica che possono ricevere per
testamento anche i figli di una determinata persona vivente al tempo della morte
del testatore, benché ancora non concepiti. La capacità di succedere consiste
nell’idoneità del soggetto ad acquistare le situazioni soggettive che in precedenza
rientravano nella sfera giuridica del de cuius. In quanto tale, essa deve su istanza dei
soggetti interessati ricondursi al più ampio concetto di capacità giuridica e non a
quello di capacità di agire.
L’accettazione dell’eredità è un negozio giuridico e presuppone la capacità di agire
dell’autore. Pertanto, se una eredità viene lasciata ad un soggetto legalmente
incapace di agire, questi sarà capace di succedere, ma incapace di accettare
l’eredità, se non a mezzo del suo legale rappresentante e nelle forme richieste.

Indegnità.
È la situazione di chi avendo compiuto gravi atti contro il de cuius quando questi era
in vita è escluso dalla successione. L'indegnità non è una forma di incapacità in
quando l'indegno può acquistare l'eredità, ma il suo acquisto può essere dichiarato
inefficace a seguito di un provvedimento disposto dall'autorità giudiziaria su istanza
dei soggetti interessati. Cause di indegnità possono essere: omicidio o tentato
omicidio commesso contro il potenziale de cuius, calunnie, attentato alla volontà di
testare, soppressione-alterazione-falsificazione del testamento.
L’art. 464 impone all'indegno l’obbligo di restituire i frutti che siano pervenuti dopo
l’apertura della successione.
L’art. 466 legittima il de cuius a riabilitare l’indegno espressamente con atto
pubblico o con testamento. La riabilitazione espressa è un vero e proprio negozio
giuridico, che ha la funzione di rimuovere le conseguenze giuridiche derivanti dalla
indegnità. E’ un atto personale, irrevocabile e formale. L’art. 466, c.2, prevede che è
ammesso a succedere se è stato contemplato nel testamento quando il testatore
conosceva la causa dell’indegnità, ma nei limiti della disposizione testamentaria. Si
parla in questo vaso di riabilitazione parziale e tacita.
Posizione del chiamato all’eredità.
Nel periodo che intercorre tra il momento dell’apertura della successione e quello
dell’accettazione dell’eredità, il soggetto in favore del quale l’eredità è devoluta
assume la qualifica di chiamato all’eredità. Lo stato di chiamato all'eredità è
transitorio ed è destinato ad esaurirsi o con l’accettazione o la rinunzia da parte del
medesimo, oppure con la prescrizione del diritto di accettare l’eredità. Per il
semplice fatto di essere chiamato all'eredita il soggetto può esercitare le azioni
possessorie a tutela dei beni ereditati. Più in generale il chiamato all'eredita può
compiere atti conservativi, di vigilanza, e di amministrazione temporanea e può farsi
autorizzare dall'autorita giudiziaria a vendere i beni che non si possono conservare o
cui la conservazione comporta un grave dispendio.

B) Acquisto dell’eredità.
Accettazione dell’eredità.

L’art. 459 opera una precisa scelta in ordine alla modalità di acquisto della eredità:
l’eredità si acquista con l’accettazione. Con l’apertura della successione, quindi, il
successibile non è ancora erede, ma è soltanto chiamato all’eredità e, in quanto tale,
ha il diritto di accettarla. L’effetto dell’accettazione viene però fatto retroagire al
momento dell’apertura della successione, proprio per evitare quella soluzione di
continuità nella titolarità del patrimonio del de cuius, che rischierebbe di
pregiudicare gravemente l’esigenza di certezza dei rapporti giuridici. L’accettazione
può essere:

 Espressa: negozio giuridico unilaterale non recettizio e assolutamente


irrevocabile (semel heres semper heres.). Si ha quando, in un atto pubblico o
in una scrittura privata, il chiamato all'eredità ha dichiarato di accettarla,
oppure ha assunto il titolo di erede. Per la sua validità è quindi necessaria la
forma scritta; di conseguenza sarà nulla una accettazione verbale.
 Tacita: quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone
necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare
se non nella qualità di erede.

Il diritto di accettare l’eredità si prescrive in 10 anni dal giorno all'apertura della


successione. Se vi sono altri chiamati il termine di prescrizione corre anche per loro
a meno che non vi sia stato acquisto dell'eredità poi venuto meno da parte dei primi
chiamati.
Può essere impugnata quando è effetto di violenza o di dolo e l’azione si prescrive in
5 anni da quando è cessata la violenza o è stato scoperto il dolo (482). Essa non può
essere impugnata per errore.
Sotto il profilo pubblicitario, l’art. 2648 prevede la trascrizione degli atti di
accettazione di eredità comportanti acquisto di diritti reali immobiliari o liberazione
dei medesimi. Se l'accettazione è espressa la trascrizione opera in base alla
dichiarazione del chiamato, purché contenuta in un atto pubblico o una scrittura
privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente. Se l'accettazione è
tacita la trascrizione può essere richiesta sulla base dell'atto che ha comportato
l'accettazione qualora esso risulti da sentenza, da atto pubblico, o da scrittura
privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente.

Accettazione dell'eredità con beneficio di inventario.

È una dichiarazione resa con atto pubblico attraverso cui l'erede dichiara di
accettare con beneficio di inventario evitando, in tal modo, la confusione del suo
patrimonio con quello del defunto.

Con l'accettazione pura e semplice l'erede confonde il suo patrimonio con quello del
defunto che divengono, in tal modo, un unico patrimonio; questa conseguenza può
non sempre essere conveniente per l'erede, perché se nel patrimonio del de cuius i
debiti superano i crediti, l'erede sarà tenuto comunque ad onorarli. Per questo
motivo potrebbe convenire accettare l'eredità, non puramente e semplicemente,
ma con beneficio di inventario in modo da non dover rispondere con il proprio
patrimonio per i debiti che erano del defunto.

A volte l'accettazione beneficiata non è facoltativa, ma obbligatoria; in particolare


devono accettare con beneficio d'inventario:

 i minori o gli interdetti (art. 471 c.c.);


 i minori emancipati o gli inabilitati (art. 472 c.c.)
 le persone giuridiche, le associazioni, fondazioni e gli enti non riconosciuti,
escluse, però, le società commerciali (art. 473 c.c.).

Con l'accettazione beneficiata l'erede:

 conserva verso l'eredità tutti i diritti e tutti gli obblighi che aveva verso il
defunto, tranne quelli che si sono estinti per effetto della morte; in tal modo
l'erede potrà soddisfare i crediti che aveva nei confronti del defunto
 non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei
beni a lui pervenuti;in tal modo l'erede eviterà una damnosa ereditas,
estinguendo tutti i pesi che gravano sull'eredità solo con l'attivo dell'asse
ereditario senza intaccare il suo patrimonio
 i creditori dell'eredità e i legatari potranno soddisfarsi sul patrimonio
ereditario a preferenza (e quindi prima) dei creditori dell'erede

Vediamo, ora, la forma richiesta dalla legge per l'accettazione con beneficio
d'inventario (art. 484 c.c.).

È necessario l'atto pubblico a pena di nullità; la dichiarazione deve essere ricevuta


da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la
successione, e inserita nel registro delle successioni conservato nello stesso
tribunale. La dichiarazione deve essere trascritta, a cura del cancelliere, presso
l'ufficio dei registri immobiliari del luogo in cui si è aperta la successione. La
dichiarazione di accettazione deve essere preceduta o seguita dall'inventario.
L'inventario deve essere fatto entro tre mesi dal giorno dell'apertura della
successione o della notizia della devoluta eredità. Se l'inventario non viene fatto
entro i tre mesi, si considera che abbia accettato puramente e semplicemente.

Con l'accettazione con beneficio d'inventario i poteri sul patrimonio del defunto del
chiamato all'eredità non saranno certamente quelli pieni che gli sarebbero derivati
dalla accettazione pura e semplice; Con l'accettazione beneficiata, infatti, l'erede
diviene l'amministratore del patrimonio del de cuius, patrimonio che amministra nel
suo interesse e in quello dei creditori e dei legatari; proprio perché l'erede
amministra pur sempre delle cose sue, l'art. 491 c.c. prevede la sua responsabilità
per l'amministrazione solo per colpa grave. L’erede decade dal beneficio
d’inventario se aliena o sottopone a pegno o ipoteca beni ereditari o omette parte
degli stessi nell'inventario e in caso di inosservanza delle procedure previste dalla
legge.

Rinunzia all'eredità.
Il chiamato è libero di rinunziare all’eredità, ovvero di manifestare la volontà di non
voler accettare l’eredità stessa. La rinunzia è un negozio unilaterale non recettizio e
può essere compiuto fino a che il diritto di accettare l’eredità non sia prescritto. E’
un negozio puro, che non tollera, sotto pena di nullità, l’apposizione di termini o di
condizioni, né può essere parziale (520). La rinunzia ha effetto retroattivo, nel senso
che il rinunziante si considera come se non fosse mai stato chiamato (521). La
rinunzia deve essere espressa, non è ammessa rinunzia tacita all’eredità. A
differenza dell’accettazione, la rinunzia può essere revocata (525): tale revoca della
rinunzia si realizza mediante l’accettazione dell’eredità, la quale può intervenire fino
a che il diritto di accettare non sia prescritto e se l’eredità non sia già stata
acquistata da altro dei chiamati.
La rinunzia è impugnabile dai creditore, ove gli stessi ricevano danno dalla rinunzia.
La rinunzia può essere impugnata pure dal rinunziante se è effetto di dolo o
violenza: l’azione si prescrive in 5 anni dal giorno in cui è stato scoperto il dolo o è
cessata la violenza (526).

Rappresentazione e trasmissione del diritto di accettazione.


La rappresentazione è quell'istituto che fa subentrare i discendenti nel luogo e nel
grado del loro ascendente, in tutti i casi in cui questi non può o non vuole accettare
l'eredità o il legato.

L’art. 467 ci dice, in primo luogo, cos’è la rappresentazione. È un istituto abbastanza


semplice, perché si riferisce al caso in cui soggetto, chiamato all’eredità, si trovi nella
condizione di non potere o non volere accettare l’eredità (o il legato). Non vuole
perché rinuncia, non può perché, magari, è indegno o anche è morto prima di aver
accettato l’eredità.
Cosa accade, o meglio, cosa dovrebbe accadere in questi casi?
In teoria dovrebbero applicarsi una serie di regole specifiche, come gli articoli 522 e
523, o anche l’art. 479, ma invece si applica la regola prevista dall’art. 467: al posto
del chiamato che non può o non vuole accettare l’eredità, subentrano i suoi
discendenti, ma non vi subentrano semplicemente, ma nel luogo e nel grado del loro
ascendente, insomma si sostituiscono in tutto e per tutto al loro ascendente, ne
prendono il posto.
Bene, ma allora, ci si potrebbe chiedere, ogni volta che qualcuno non può o non
vuole accettare l’eredità ci sarà sempre e comunque rappresentazione?
No. Bisogna vedere che rapporto di parentela c’era tra la persona che non ha voluto
o potuto accettare l’eredità, e il de cuius.

Per l’art. 468 la rappresentazione opera rispetto al de cuius in due modi, in linea
retta e in linea collaterale.
In altre parole bisognerà vedere se la persona che non ha voluto o potuto accettare
l’eredità era un discendente, anche figlio adottivo, del de cuius (e quindi c’era un
rapporto di parentela in linea retta) o era fratello o sorella del de cuius (quindi
parentela in linea collaterale). Solo in questi casi i discendenti di questi parenti
succederanno per rappresentazione, mentre se il rapporto di parentela con il de
cuius era di altro tipo, per es. un ascendente del de cuius che non ha potuto o voluto
accettare l’eredità, non si avrà rappresentazione e si applicheranno le normali regole
previste per la successione. Abbiamo visto che la rappresentazione opera in maniera
automatica e ciò è tanto vero soprattutto della successione legittima. Ma cosa
accade nella successione testamentaria?

Secondo l'articolo 467 comma 2 la rappresentazione si applica negli stessi modi della
successione legittima anche nella successione testamentaria.
Il testatore, tuttavia, può aver previsto il caso in cui l'istituito non voglia o non possa
accettare l'eredità o il legato designando la persona da sostituire.
Può accadere, ad esempio, che nel testamento il testatore scriva: " istituisco mio
erede Tizio, ma nel caso in cui rinunzi all'eredità, istituisco mio erede Sempronio ".
In queste ipotesi non si avrà rappresentazione e i figli di Tizio non subentreranno
nella posizione del loro genitore.

Separazione dei beni del defunto da quelli dell'erede.


 Nell’analizzare gli effetti dell’accettazione con beneficio d’inventario si è
sottolineato come la stessa produca il risultato di evitare la confusione del
patrimonio dell’erede con quello del defunto: tale circostanza costituisce un
indubbio vantaggio non solo per l’erede, che vede la propria responsabilità
limitata intra vires, ma anche per i creditori del de cuius ed i legatari, cui
viene attribuita preferenza sul patrimonio ereditario. Si è evidenziata la
precarietà di tale effetto, che potrebbe venire meno ogniqualvolta l’erede
incorra in una delle cause di decadenza del beneficio d’inventario: ecco
perché i creditori del de cuius ed i legatari, per evitare tale rischio, devono
chiedere la separazione dei beni del defunto da quelli dell’erede.
Tale istituto assicura il soddisfacimento, con i beni del defunto, dei creditori
di lui e dei legatari che l’hanno esercitata, a preferenza dei creditori
dell’erede (512). Anche la separazione, al pari dell’accettazione beneficiata,
evita che si produca confusione. Il diritto alla separazione, che dee essere
esercitato entro tre mesi dall’apertura della successione (516), spetta pure a
creditori e legatari che abbiano altre garanzie sui beni del defunto e non
impedisce ai creditori e legatari che l’hanno esercitata di soddisfarsi anche
sui beni propri dell’erede (512).

Eredità giacente.
Nel diritto romano l’eredità veniva definita giacente nel periodo che intercorreva tra
l’apertura della successione e l’accettazione da parte del chiamato.
La disciplina della eredità giacente si ricollega all’esigenza di assicurare un adeguato
grado di tutela ai beni componenti l’asse ereditario, nella ipotesi in cui non vi sia
altro soggetto reputato idoneo alla loro conservazione. Ai sensi dell’art. 528, quando
il chiamato non ha accettato l’eredità e non è nel possesso dei beni ereditari, il
tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, su istanza delle persona
interessata o anche d’ufficio, nomina un curatore dell’eredità. La giacenza
dell’eredità cessa in conseguenza dell’avvenuta accettazione da parte di uno dei
chiamati. Il curatore è tenuto a procedere all’inventario dell’eredità, a esercitarne e
promuoverne le ragioni, a rispondere alle istanze proposte contro la medesima e,
più in generale, ad amministrarla (529). Diversa dall’eredità giacente è la c.d. eredità
vacante, situazione che si verifica quando non sussistano più chiamati che possano
accettare l’eredita. In tal caso, l’eredità viene acquistata dallo Stato.

La petizione di eredità e l’erede apparente.


L’azione di petizione di eredità (hereditatis petitio) consente all’erede di chiedere il
riconoscimento della sua qualità ereditaria contro chiunque possiede tutti o parte
dei beni ereditari, a titolo di erede (possessor pro herede) o senza titolo alcuno
(possessor pro possessore) allo scopo di ottenere la restituzione dei beni medesimi
(533). Caratteristiche di tale azione sono l’assolutezza e l’imprescrittibilità. Ciò che
distingue l'azione di petizione di eredità, dall'azione di rivendicazione è il carattere
della universalità. L'azione di petizione infatti non è rivolta alla restituzione di un
bene specifico, bensì al riconoscimento della complessiva qualità di erede con lo
scopo di conseguire la restituzione dei beni rientranti nell'asse ereditario.
L'azione può svolgersi nei confronti di qualsiasi avente causa che abbia ricevuto i
beni ereditari dall'erede apparente (l’erede apparente è colui che, pur non essendo
erede, si comporta come erede) o da chi non vantava alcun titolo, ma l'erede può
non raggiungere il suo scopo quando ricorrano queste due condizioni:

1. l'acquisto del terzo dall'erede apparente è avvenuto a titolo oneroso;


2. l'acquisto è avvenuto in buona fede, buone fede che però non è presunta,
dovendo essere provata dal terzo. Diversamente il terzo non sarà in buona fede e
non vedrà fatto salvo il suo acquisto ( art. 534 comma 2).

L'azione è imprescrittibile salvo gli effetti della usucapione.


Sono però fatte salve le regole sulla trascrizione dei beni immobili e beni mobili
registrati ( art. 534 comma 3).

Se confrontiamo l'art. 533 e l'art. 534 notiamo che in entrambi i casi si può agire
contro un erede apparente ma le figure di eredi apparenti non sono uguali. Il caso
dell'art. 533 fa riferimento all'erede apparente ovvero al soggetto che pur non
essendo erede possiede i beni ereditari affermandosi erede. Nel caso dell'art. 534 si
agisce contro il terzo che ha acquistato l'eredità dall'erede apparente. Si può vedere
come le due norme sono diverse. Nel caso disposto dall'art. 533 il bene è ancora nel
possesso dell'erede apparente. Nel secondo caso, ovvero quello disposto dall'arte.
534 il vero erede non agisce contro l'erede apparente ma contro i suoi aventi causa.

Analizziamo, infine, le differenze tra questa azione e quella prevista dall'art. 533.
L'azione è rivolta contro terzi e non direttamente contro l'erede apparente;
non è possibile, con questa azione, agire semplicemente contro chiunque possegga i
beni ereditari, come nel caso dell'art. 533, ma solo contro chi sia stato avente causa
dall'erede apparente o dal possessore senza titolo alcuno;
in tema di buona fede notiamo che quando l'erede apparente aliena il bene al terzo,
la sua situazione di buona fede è irrilevante, contando, semmai, la buona fede del
terzo. Nel caso dell'art. 533, invece, la buona fede dell'erede apparente deve essere
accertata poiché sarà rilevante in merito alle restituzioni ( art. 535 c.c.) .

50
Criteri di vocazione.
A) Successione legittima.
Presupposti e fondamento.
È la successione che avviene per volontà di legge quando non vi sia testamento. Se il
de cuius è morto senza lasciare testamento, la successione è interamente regolata
da norme di legge ( art. 457 c.c.), norme che tendono a privilegiare le persone che
hanno avuto un rapporto di parentela più stretto con il defunto, rispetto a coloro
che hanno un grado di parentela più lontano. Se, poi, esisteva un rapporto di
coniugio anche il coniuge del defunto concorrerà con i parenti nella successione
ereditaria. Abbiamo detto che presupposto della successione legittima è la
mancanza di testamento. Specifichiamo che questo tipo di successione ha luogo
anche quando un testamento è nullo o è stato annullato, quando è privo di
disposizioni patrimoniali o quando il testamento prevede solo legati oppure, infine,
quando il testamento dispone solo per alcuni beni.
Insomma la mancanza di una valida o completa volontà del testatore in merito alla
individuazione degli eredi che subentreranno nel suo patrimonio, apre la strada alla
successione legittima.
Ciò detto, cominciamo a vedere, chi sono le categorie di successibili, chi sono, cioè,
coloro che hanno titolo alla vocazione legittima.
Hanno diritto a succedere, per vocazione legittima, il coniuge, i discendenti, gli
ascendenti, i collaterali e gli altri parenti (fino al sesto grado), infine lo Stato.
Quest'ultimo, però, succede solo quando non sia possibile la successione degli altri
chiamati.

Successione dei parenti.


Secondo l’ordine stabilito dal legislatore, categorie privilegiate nella successione
legittima sono quelle del coniuge e dei figli, i quali ultimi, tra i parenti del de cuius,
sono gli unici a non concorrere con nessun altro parente.
Al padre e alla madre succedono i figli in parti uguali (566).
I figli concorrono solo con il coniuge superstite, se il figlio è uno metà spetta a questi
e metà al coniuge; se i figli sono più di uno 1/3 al coniuge e i 2/3 ai figli (581).
Con riguardo ai figli nati fuori dal matrimonio, unico presupposto per l’applicazione
del regime successorio che li riguarda è che la filiazione sia stata riconosciuta o
dichiarata giudizialmente (573). In mancanza di discendenti, l’eredità si devolve ai
genitori o ascendenti del de cuius, i quali concorrono con il coniuge, nonché con i
fratelli e le sorelle (568).
I fratelli concorrono, oltre che con il coniuge, anche con i genitori o con gli
ascendenti del de cuius (570, 571, 582). Se sono gli unici eredi, i fratelli e le sorelle
succedono in parti uguali: i fratelli e le sorelle unilaterali (fratellastri), però,
conseguono solo metà della quota che conseguono i germani (fratelli veri e propri)
(570). Quanto alla successione degli altri parenti, in mancanza di discendenti,
coniuge, genitore, ascendenti e fratelli o sorelle, l’eredità si devolve al parente o ai
parenti prossimi, senza distinzione di linea: il più vicino come grado di parentela
escludendo i successivi, fino al sesto grado (572). Dopo succede lo Stato.
Successione del coniuge.
Il coniuge ha sempre diritto di succedere, insieme ai discendenti del de cuius. In
mancanza di altri successibili (discendenti, ascendenti, fratelli o sorelle) al coniuge si
devolve la intera eredità (583). Quanto al concorso del coniuge con gli ascendenti ed
i fratelli e sorelle del de cuius, l’art. 582 gli riserva 2/3 dell’eredità nel concorso con
gli ascendenti, con fratelli e sorelle o con entrambe le categorie di successibili.
In caso di separazione o divorzio si rimanda al diritto di famiglia.
Nell’ipotesi di dichiarazione di nullità del matrimonio dopo la morte del de cuius, al
coniuge superstite di buona fede spettano gli ordinari diritti successori: egli è escluso
però se il de cuius era legato da valido matrimonio al momento della morte (584).
Al coniuge superstite spettano il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza
familiare e il diritto di uso sui mobili che la corredano.

Successione dello Stato.


In mancanza di altri successibili, per l’art. 586, l’eredità è devoluta allo Stato.
Presupposto è che l’eredità sia vacante, ossia che non esistano successori
testamentari o successori legittimi o che nessuno di essi possa accettare l'eredità ad
esempio per prescrizione del diritto di accettare. Tale ipotesi si differenzia dalla
eredità giacente in cui l'eredità è priva di un attuale titolare ma è ancora possibile
l'accettazione da parte di uno dei chiamati. Lo stato non può rinunziare all’eredità.
Lo Stato non risponde dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni
acquistati.

B) Successione testamentaria.
Il testamento.
Il testamento, quale prototipo dell’atto mortis causa, ha da sempre assunto un ruolo
di assoluta centralità nel quadro delle vicende successorie. Il suo carattere di
negozio mortis causa sta ad indicare che il testamento è destinato a definire
l’assetto dei rapporti patrimoniali del de cuius per il tempo in cui questi avrà cessato
di vivere. Il testamento è l’unico strumento negoziale riconosciuto ai privati per
disporre del proprio patrimonio per il periodo successivo alla cessazione della
esistenza. Il nostro ordinamento non tollera alcun tipo di disposizione mortis causa
di natura contrattuale. Il testamento si presenta quale atto di carattere personale
volto ad incidere su situazioni di contenuto patrimoniale. In tema di interpretazione
non vi è una disciplina analitica, l’applicazione dell’articolo 1362 imporrà
all’interprete, nel determinare il contenuto del testamento, di non limitarsi al senso
letterale delle parole adoperate dal testatore, cercando di ricostruirne l’effettiva
volontà. È evidente però che a differenza della materia contrattuale il criterio di
fondo non consisterà nella individuazione della comune intenzione delle parti, bensì
la ricerca della concreta volontà del testatore.

Il testamento è definito dall’art. 587 come “atto revocabile con il quale taluno
dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o di
parte di esse”.
Si distingue il testamento, quale atto di ultima volontà, dalle disposizioni
testamentarie, che rappresentano ciascuna una manifestazione volitiva del
testatore. È vero, infatti, che di solito con il testamento si dispone del proprio
patrimonio dopo la morte, ma è anche vero che nello stesso atto possono esserci
anche altre disposizioni di carattere non patrimoniale, di indole puramente morale
( come, ad es. l'obbligo imposto all'erede di far celebrare una messa in memoria del
defunto) oppure che integrano diversi negozi, sempre di carattere non patrimoniale.
Quanto più sarà articolata la volontà del defunto, più saranno le disposizioni
(patrimoniali e non) contenute nel testamento.
É quindi necessario distinguere il testamento come atto dalle disposizioni in esso
contenute, non perché ci troviamo di fronte ad un atto complesso, perché unica è la
dichiarazione di volontà, ma perché le singole disposizioni sono autonome, e
l'invalidità di alcune di esse non sempre travolge l'intero atto.
Questa particolarità del testamento dev'essere sempre tenuta presente, perché
spesso ci imbatteremo in articoli del codice che si riferiscono a singole disposizioni e
ad altre che si riferiscono all'intero atto.

E’ negozio personale in quanto tale non risulta suscettibile di essere compiuto


mediante rappresentante, ma anche unipersonale (bisogna rispettare solo la volontà
del testatore). E’ nullo il testamento congiuntivo mediante il quale due o più
persone fanno testamento a vantaggio di un terzo. È nulla anche la disposizione
testamentaria fatta sotto condizione di essere a sua volta avvantaggiato dall'erede o
dal legatario. (589). Il testamento è revocabile, può essere revocato in qualsiasi
momento dal testatore. Un simile potere di revoca giustifica il principio di tutela
della libertà testamentaria (587).
Il testamento è negozio formale, è quindi necessario che sia redatto nelle forme
previste dal c.c.
Particolare rilievo assume l'art. 587, c.2. secondo cui le disposizioni di carattere non
patrimoniale che la legge consente siano contenute in un testamento, hanno
efficacia, se contenute in un atto che ha la forma del testamento, anche se
manchino disposizioni di carattere patrimoniale. Un ipotesi di disposizione dal
carattere non patrimoniale è il riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio.

Istituzione di erede e legato.


La institutio ex re certa: Si è già accennato alla distinzione tra successione a titolo
universale e successione a titolo particolare. Prevede l’art. 588, che le disposizioni
testamentarie, qualunque sia l’espressione utilizzata dal testatore, sono a titolo
universale e attribuiscono la qualifica di erede, se comprendo l’universalità o una
quota dei beni del testatore; le altre disposizioni sono a titolo particolare e
attribuiscono la qualità di legatario. La differenziazione dei concetti di eredità e
legato è fondamentale.
Innanzitutto mentre l'eredità si acquista con l'accettazione, il legato si acquista senza
bisogno di accettazione, salvo la facoltà di rinunziare. Inoltre mentre il possesso
continua nell'erede fino al momento dell'apertura alla successione, il legatario deve
domandare all'onerato il possesso della cosa legata. Ancora mentre l'erede risponde
dei debiti ereditati, il legato non risponde dei debiti ereditari ed è tenuto
all'adempimento del legato e di ogni altro onere a lui imposto solo nei limiti di
valore di quanto ricevuto.
Si ha instituito ex re certa, ovvero istitutizione di erede per una data cosa, quando il
testatore attribuisce all'erede non una quota dell'intero patrimonio ereditario, ma
una o più cose determinate. In questo caso non si ha legato ma una vera istituzione
di erede se il testatore ha inteso i beni assegnati come rappresentativi di una quota
o dell'intera eredità. (Es. lascio tutti i miei beni mobili al mio primo figlio e tutti i miei
beni immobili al mio secondo figlio).

Legati (tipologia e disciplina)

È una disposizione testamentaria a titolo particolare in base alla quale ad un


soggetto succede in uno o più rapporti determinati.

Il legato è istituto tipico della successione testamentaria e non trova riscontro nella
successione legittima; pur essendo nominato nel testamento, però, il legatario non
diviene erede del defunto e non risponde dei debiti che derivano dal legato ed è
tenuto all'adempimento del legato e di ogni altro onere nei limiti di valore di quanto
ricevuto ( art. 671 c.c.); in altre parole il legatario è un soggetto che è stato
beneficiato dal testatore, una persona che dovrebbe ricevere vantaggio dalla
attribuzione ricevuta, cosa che non sempre accade per l'erede.
Proprio perché il legato di solito si risolve in un vantaggio, non è previsto che debba
essere accettato, come invece accade per l'eredità, ma è fatta salva, però, la facoltà
di rinunciare (art. 649 c.c.).
Il legato è quindi un atto di liberalità che il testatore ha voluto fate nei confronti del
legatario, anche se questa caratteristica può a volte non verificarsi, come nel caso in
cui il testatore imponga un onere al legatario pari al valore del legato.

Il testatore ha quindi deciso di favorire una o più persone ( fisiche o giuridiche) con il
legato, ma chi dovrà eseguire la prestazione oggetto del legato?

Ci risponde l'art. 662 c.c. che la pone a carico degli eredi, se il testatore non ha
disposto nulla in proposito; ma il testatore può aver indicato chiaramente tutti gli
eredi o uno o più legatari (sublegato) come obbligati, o anche un solo erede ( art.
663 c.c.). In quest'ultimo caso l'erede indicato sarà il solo a dover adempiere,
mentre negli altri casi l'obbligo grava in proporzione della rispettiva quota di eredità
o di legato, se il testatore non ha stabilito diversamente. I soggetti incaricati di
adempiere sono anche chiamati "onerati", mentre il legatario è detto "onorato".
L'acquisto del legato avviene ipso iure senza che sia necessaria accettazione.
L'accettazione non è quindi necessaria, ma è pur sempre possibile rinunciare, solo
che per la rinuncia non è previsto alcun termine; per questo motivo l'art. 650 c.c.
permette di agire innanzi alla autorità giudiziaria affinché questa fissi un termine al
legatario per la rinuncia. La particolarità di questa specie di actio interrogatoria sta
nel fatto che se il legatario lascia trascorrere il termine senza che abbia espresso
alcuna dichiarazione, la conseguenza non sarà la rinunzia implicita, ma, al contrario,
la perdita della facoltà di rinunziare.
Il legatario, inoltre, non potrà più rinunziare quando abbia esercitato il diritto
oggetto del legato.
La rinunzia, a differenza della rinunzia dell'eredità, è un negozio abdicativo
unilaterale, proprio perché si perde un diritto di cui si è già titolare.

Ma cosa può avere ad oggetto il legato?

Si ne distinguono in merito all'oggetto due fondamentali tipi:

 legato di specie: quando ha ad oggetto la proprietà o altro diritto reale su un


bene o su una quota di bene determinato appartenente al testatore; il diritto
si trasmette al legatario al momento della morte del testatore e il possesso
del bene può essere domandato all'onerato anche se ne sia stato dispensato
dal testatore;
 legato di quantità: è valido il legato di una cosa individuata solo nel genere; in
tal caso l'onerato dovrà fornire al legatario cose di qualità non inferiore alla
media; a lui, inoltre, spetta di eseguire la specificazione, se il testatore non
abbia incaricato lo stesso legatario o un terzo (art. 664 c.c.).

In merito al legato di quantità sono necessarie alcune importanti osservazioni.


Può accadere, infatti, che il testatore abbia incaricato l'onerato di soddisfare il
legato di una cosa generica, senza specificare se questa si trovi o meno nel suo
patrimonio. È valido il legato di cosa determinata solo nel genere ( art. 653 c.c)
anche se la cosa non si trovi nel patrimonio del testatore. Quando il testatore ha
lasciato la cosa generica o specifica da prendersi dal proprio patrimonio, il legato
non ha effetto se la cosa non si trova nel patrimonio del testatore al tempo della
sua morte ( art. 654 c.c.);
Ma cosa accade se il testatore ha indicato come oggetto del legato una cosa che
appartiene a un terzo o addirittura all'onerato?
Secondo l'art. 651 il legato è nullo, ma se risulta dal testamento o da altra
dichiarazione scritta che il testatore sapeva che la cosa era di altri, il legato è
valido; in tal caso l'onerato sarà obbligato ad acquistare la proprietà della cosa
dal terzo e dovrà trasferirla al legatario. Se però la cosa legata pur appartenendo
ad altri al tempo stesso testamento, si trova nella proprietà del testatore al
momento della sua morte il legato è valido.

Oltre alla fondamentale distinzione che abbiamo appena fatto, il codice civile
elenca ancora numerosi tipi di legato. Esaminiamoli sinteticamente.

Il prelegato, previsto dall'art. 661 c.c., è invece il legato di cui beneficiario sia uno
degli eredi o più coeredi. Questi cumula pertanto le due qualità di coerede
onerato e di legatario, in ragione di due distinte attribuzioni patrimoniali:
istituzione di erede ed attribuzione di legato.
Il beneficiato non confonde mai, tuttavia, i due distinti titoli di acquisto; può
dunque acquistare il legato e rinunciare all'eredità.
Il prelegato è considerato legato per l'intero ammontare della successione: esso
grava pertanto su tutta l'eredità e quindi anche sulla quota spettante allo stesso
legatario in qualità di erede.

Infine si ha il legato di credito: può avere ad oggetto un credito (e in tal caso il


legatario diviene il nuovo creditore) o la liberazione da un debito ( e di
conseguenza il legatario è liberato dal debito che aveva nei confronti del
testatore).

Capacità di ricevere per testamento e capacità di disporre per


testamento.
Circa la capacità di ricevere per testamento, nella parte dedicata alla capacità a
succedere si è già evidenziato come il legislatore preveda forme di incapacità
relativa di ricevere per testamento (596, 597, 598). In tal ipotesi le disposizioni a
favore dell’incapace sono considerate nulle.
Quanto alla capacità di disporre per testamento, tre sono i casi di incapacità di
disporre per testamento (591): la minore età, l’interdizione per infermità di mente e
l’incapacità di intendere e di volere nel momento della reazione del testamento. In
tali ipotesi il testamento è annullabile, su domanda di chiunque ne abbia interesse.
L'azione si prescrive in 5 anni dal giorno in cui è stata data esecuzione alla
disposizione testamentaria.

Forma del testamento.

Il testamento è negozio formale (solenne). Nessuno può imporre al testatore una


determinata forma.
La distinzione di fondo è tra testamenti ordinati e testamenti speciali.

 Tra i testamenti ordinari si distingue (601) il testamento olografo, dai


testamenti per atto di notaio. Il testamento olografo è il testamento scritto
per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore (602). Le stesse
caratteristiche del testamento olografo costituiscono requisiti di validità del
medesimo: autografia, sottoscrizione e data. Autografia vuol dire che il
testamento deve essere scritto interamente di suo pugno dal testatore. Non
sarebbe valido un testamento olografo redatto a macchina. Quando alla data
anch'essa deve essere apposta di pugno dal testatore e deve contenere
l'indicazione del giorno, mese ed anno. Diverse sono le conseguenze in caso di
mancanza di uno dei 3 requisiti: se manca l'autografia o la sottoscrizione il
testamento è nullo, se manca la data o se la data non è autografa il
testamento è annullabile su istanza di chiunque ne abbia interesse. Tale
azione si prescrive in 5 anni. Il testamento olografo ha il duplice vantaggio
della segretezza e della economicità; esso però presenta una forma precaria,
dato che potrebbe mancare chiarezza da parte del testatore e sia difficile
ricostruire la sua volontà e potrebbe essere esposto a rischio di sottrazione o
alterazione. Per ovviare a questo problema il testatore può sempre depositare
presso un notaio il testamento e può ritirarlo in ogni momento (608). I
testamenti per atto di notaio presentano costi, ma forniscono garanzia per il
testatore. Il testamento pubblico (603) è ricevuto dal notaio in presenza di
due testimoni. In presenza dei testimoni, il testatore dichiara le sue ultime
volontà, che, a cura del notaio, sono ridotte in iscritto, il notaio dà lettura al
testatore del testamento e da menzione nello stesso testamento di tali
formalità. Il notaio da chiarezza alle disposizioni testamentarie; esso deve
indicare la data e il luogo del ricevimento, l’ora della sottoscrizione: deve
essere sottoscritto, oltre che dal testatore, anche dai testimoni e dal notaio. Il
testamento segreto (604) è scarsamente impiegato. La scheda testamentaria
viene letta dal testatore o da un terzo; se è scritta dal testatore deve essere
sottoscritta dal medesimo alla fine delle disposizioni; se è scritta da altro
soggetto, o se scritta con mezzi meccanici, deve portare la sottoscrizione del
testatore anche in ciascun mezzo foglio, unito o separato. La scheda deve
essere sigillata e consegnata al notaio in presenza di due testimoni. L’atto
viene sottoscritto dal testatore, dai testimoni e dal notaio (605). Anche il
testamento segreto può essere ritirato in ogni momento da parte del
testatore (608). I testamenti per atto di notaio sono nulli qualora manchi la
reazione per iscritto da parte del notaio, delle dichiarazioni del testatore o la
sottoscrizione dell’uno o dell’altro (606). Per ogni altro difetto di forma il
testamento è annullabile.
 Testamenti speciali concernono i presupposti e l’efficacia. In relazione ai
presupposti, è il legislatore che in corrispondenza di particolari situazioni
tassativamente prededeterminate (epidemie, calamita, operazioni belliche)
autorizza talune deroghe sotto il profilo formale nella redazione del
testamento. L’efficacia è limitata nel tempo. Così infatti il testamento, redatto
in costanza di epidemie o viaggio in nave perde efficacia tre mesi dopo la
cessazione della causa che ha impedito al testatore di avvalersi delle forme
ordinarie (610). Il testamento dei militari perde la sue efficacia dopo il ritorno
del testatore in un luogo dove è possibile far testamento nelle forme
ordinarie.

Pubblicazione.
Il testamento olografo deve essere presentato ad un notaio per la pubblicazione da
chiunque ne sia in possesso, appena giunta la notizia della morte del testatore. Il
notaio procede alla pubblicazione del testamento in presenza di due testimoni,
redigendo un apposito verbale nel quale descrive lo stato del testamento e ne
riproduce il contenuto. Se il testamento è stato depositato dal testatore presso il
notaio, la pubblicazione è eseguita dal notaio depositario. Una volta avvenuta la
pubblicazione il testamento ha esecuzione. La pubblicazione è operazione
assolutamente necessaria per portare a conoscenza dei terzi interessati alla
successione del testatore le ultime volontà del medesimo.
Analoga esigenza di pubblicazione del testamento non sussiste nell'ipotesi di
testamento pubblico che è di per se eseguibile: qualunque interessato ne potrà
prendere conoscenza una volta che dal notaio il testamento sia passato dal fascicolo
e repertorio speciale degli atti di ultima volontà a quello generale degli atti notarili.
Il testamento segreto deve essere aperto e pubblicato dal notaio appena gli
perviene la notizia della morte del testatore (621).

Invalidità. Fiducia testamentaria.


Nell'analizzare l'invaliditá è necessario richiamare la distinzione tra testamento e
disposizione testamentaria. In taluni casi il vizio può essere tale da comportare
l’invalidità dell’intera scheda testamentaria, come avviene in caso di difetto di
forma, in tal modo il testamento è nullo. Altre volte non è il testamento nel suo
complesso a suscitare il giudizio negativo da parte dell’ordinamento giuridico, bensì
soltanto singole disposizioni testamentarie.
La disposizione testamentaria è annullabile se è effetto di errore, violenza o dolo. Si
tratta di annullabilità assoluta in quanto può essere fatta valere da chiunque ne
abbia interesse. L'azione si prescrive in 5 anni dal giorno in cui si è avuta notizia della
violenza, dell'errore o del dolo di cui sia stato vittima il testatore. È causa di nullità
della disposizione testamentaria l’illiceità del motivo quando risulta dal testamento
ed è il solo che ha indotto il testatore a disporre (626); è nulla la disposizione fatta a
favore di persona indicata in modo da non essere determinata (628); è nulla la
disposizione che abbia oggetto non determinato o non determinabile.
La nullità della disposizione testamentaria, da qualunque causa dipenda, non può
essere fatta valere, da chi conoscendo la causa della nullità dopo la morte del
testatore, ha confermato la disposizione e ne abbia dato esecuzione, art. 590.

Fiducia testamentaria: Nella disciplina del testamento il concetto di fiducia assume


una rilevanza propria per effetto del modo di disporre dell'art.627 c.c., in cui viene
previsto il caso in cui il testatore dispone a favore di un soggetto indicato nel
testamento, ma con l'incarico fiduciario di trasmettere i beni ereditati ad altri,
secondo le indicazioni espressamente indicategli. I beni diventano effettivamente di
proprietà dell'erede nominato. La persona dichiarata nel testamento non è
obbligata, e neppure può essere costretta giudizialmente, a rispettare le prescrizione
del testatore. Tuttavia qualora tale soggetto abbia spontaneamente eseguito la
disposizione fiduciaria, trasferendo i beni alla persona voluta dal testatore, non può
chiedere la ripetizione di quanto prestato, salvo che sia un incapace.

Disposizioni condizionali e a termine.


In materia successoria, la disciplina della condizione e del termine subisce
significative deviazioni rispetto a quella contrattuale, dovute alla peculiarità
dell’interesse perseguito dal testatore mediante la formulazione della disposizione
testamentaria. Il termine, iniziale o finale, può esser apposto solo alle disposizioni a
titolo particolare, e non a quelle a titolo universale: in omaggio al principio per cui
semel heres semper heres, il termine apposto all’istituzione di erede si considera
non apposto.
Sia le disposizioni a titolo universale che quelle a titolo particolare possono esser
sottoposte a condizione, tanto sospensiva che risolutiva. Il relativo avveramento,
secondo quanto già illustrato, ha effetto retroattivo. Le condizioni impossibile o
illecite si considerano non apposte, a meno che non sia l’unico motivo. Il legislatore
detta una regola particolare per l’ipotesi di disposizione sottoposta a condizione
risolutiva: l’autorità giudiziaria può imporre all’erede o al legatario di prestare
idonea garanzia a favore di coloro ai quali l’eredità o il legato dovrebbe devolversi
nel caso che la condizione si avverasse (639). E’ questa la c.d. cautio muciana.

Onere.
L'onore o modus, consiste in un peso posto dal testatore o dal donante a carico del
beneficiario dell'attribuzione gratuita. In cui si ravvisa la differenza con la condizione
in quanto l'onere obbliga ma non sospende l'efficacia della disposizione. Il modus,
da non confondere con l'onere, è qualificato come elemento accidentale del negozio
giuridico. L'onore può essere apposto tanto nei confronti dell'erede quanto al
legatario. Qualora l'onore sia illecito o impossibile si considera come non apposto.
Rende però nulla la disposizione se ha costituito il motivo determinante. Per
l'adempimento dell'onere può agire chiunque ne abbia interesse.

Sostituzione ordinarie e sostituzione fedecommissaria.

Con la sostituzione il testatore prevede che, nell’ipotesi in cui il primo chiamato


(istituito) non venga alla successione, la delazione operi nei confronti di altro
soggetto predeterminato (c.d. sostituto).
Nel c.c. sono riportate due differenti ipotesi di sostituzione:

a) sostituzione ordinaria (volgare) allorché il testatore sostituisce all’erede istituito


altra persona per il caso in cui il primo non possa o non voglia accettare l’eredità
(688). Una volta che l'istituito abbia rinunziato ad esempio all'eredità, questa si
devolverà al sostituto, il quale potrà accettarla al pari di un vero e proprio chiamato
all'eredità. È altresì possibile una sostituzione plurima nella quale sono sostituite più
persone con una sola. (Istituisco erede tizio, e per il caso in cui questo non voglia o
non possa accettare, gli sostituisco Caio o Sempronio; oppure istituisco eredi Tizio e
Taio e qualora non possano o non vogliano accettare sostituisco loro con
Sempronio).

b) sostituzione fedecommissaria: è un istituto con funzione assistenziale. Abbiamo


tre protagonisti:

1. un genitore, un ascendente o coniuge;


2. un interdetto, figlio, discendente o coniuge delle persone di cui sopra;
3. persone o enti che si prendono cura dell'interdetto.

Il genitore vorrebbe istituire erede suo figlio interdetto, ma si preoccupa anche che
questi sia ben trattato dall'ente o dalle persone ( da non confondersi con il tutore)
che hanno cura di lui.
Per raggiungere efficacemente questo scopo, istituisce erede suo figlio che, con la
rappresentanza legale del tutore, diverrà erede. Stabilisce, però, che alla morte del
figlio eredi del suo patrimonio diverranno gli enti o le persone che hanno avuto cura
di lui; in tal modo questi ultimi agiranno nei confronti dell'interdetto nella maniera
migliore possibile, ben sapendo che la violazione degli obblighi di assistenza farà
venir meno la sostituzione.
L'articolo 692 sottopone a rigidi vincoli la sostituzione fedecommissaria al di fuori
dei quali questa è nulla.

 l'istituito può essere solo un interdetto (o un minore che si trovi in condizioni


di abituale infermità mentale tale da far presumere al raggiungimento la
maggiore età la sua interdizione) figlio discendente o coniuge del testatore.
 i sostituiti possono essere solo le persone, la persona, o gli enti che sotto la
vigilanza del tutore hanno avuto cura dell'interdetto istituito
 la sostituzione è inefficace quando sia stata revocata o negata l'interdizione; è
inefficace rispetto le persone o agli enti che hanno violato gli obblighi di
assistenza

Particolarmente interessante è la posizione dell'istituito che dovrà restituire i beni


alla sua morte.

Secondo l'articolo 693 del codice civile l'istituito ha il godimento e l'amministrazione


dei beni che formano oggetto della sostituzione e può compiere tutte le innovazioni
dirette ad una loro migliore utilizzazione. A lui si applicano, in quanto applicabili, le
norme relative all'usufruttuario.
Si è parlato, in conseguenza di ciò, di proprietà temporanea o risolubile, ma altra
dottrina preferisce individuare questo caso come ipotesi di usufrutto o, infine come
proprietà gravata da un vincolo reale di indisponibilità.
Il sostituito (cioè l'ente o la persona che si occupano dell'interdetto), invece, non ha
un diritto ma una semplice aspettativa di diritto che si realizzerà al momento della
morte dell'istituito.
Alla morte dell'istituito l'eredità si devolve al sostituito, ma potrebbe accadere che
questi muoia prima dell'interdetto. In tal caso l'istituito acquista la piena
disponibilità dei beni ereditari che passeranno, alla sua morte, ai suoi successori
legittimi.

La sostituzione di cui ci stiamo occupando è l'unica ammessa dal codice civile, ed è


anche chiamata "fedecommesso assistenziale" ; ribadiamo che ogni altro tipo di
sostituzione che non abbia le finalità assistenziali che abbiamo visto è nulla.

Diritto di accrescimento.
Qualora venga meno uno dei chiamati, l’istituto dell’accrescimento consente, a
determinate condizioni, l’espansione automatica della quota a lui spettante agli altri
successori.
I presupposti sono indicati dall’art. 674: i coeredi devono essere chiamati nello
stesso testamento, nella universalità dei beni e senza determinazione di parti o in
parti uguali; uno dei chiamati non può o non vuole accettare l’eredità;
sull’accrescimento prevalgono, nell’ordine, l’eventuale volontà contraria del
testatore ed il diritto di rappresentazione.
L’accrescimento opera automaticamente, cioè di diritto in costanza di una chiamata
congiuntiva e solidale. La quota spettante al chiamato venuto meno si accresce
automaticamente senza ulteriore accettazione dei coeredi.(676). Si è evitato invece
che nel diritto il rappresentazione il rappresentate succeda al de cuius solo a seguito
di un atto di accettazione dell'eredità a lui devoluta.
Nel legato (675) è sufficiente che la chiamata concerna lo stesso oggetto, mentre si
tende ad escludere il requisito dell’unicità del testamento.
Qualora non sussistano i presupposti per l’accrescimento la porzione di eredità
dell’erede mancante si devolve secondo i criteri della successione legittima, mentre
la pozione del legatario mancante va a profitto dell’onerato (677).

Revocazione delle disposizioni testamentarie.

Revocabilità: il testamento è in ogni momento revocabile dal suo autore, il quale


non può “in alcun modo” rinunziare alla suddetta facoltà di revocare o mutare le
disposizioni testamentarie, non avendo effetto qualsiasi clausola o condizione in
senso contrario (679). Sono viste varie ipotesi di revoche.

 Revocazione espressa: 680, si può fare con nuovo testamento o con un atto
ricevuto da notaio in presenza di due testimoni, nel quale il testatore
personalmente dichiara di revocare in tutto o in parte le disposizioni. E’
ammessa la revocazione della revocazione, c.d. reviviscenza.
 Revocazione tacita: ogni testamento posteriore vale ad annullare in questi le
disposizioni che siano con esso incompatibili
 Revocazione presunta: con riferimento al caso di distruzione, lacerazione o
cancellazione, in tutto o in parte, del testamento olografo.
 Revocazione per sopravvenienza di figli: le disposizioni a titolo universale o
particolare, fatte dal testatore in un momento in cui non aveva o ignorava di
aver figli o discendenti, sono revocate di diritto per l’esistenza o la
sopravvenienza di un figlio o discendente, benchè postumo, o adottivo,
ovvero per il riconoscimento di un figlio nato fuori dal matrimonio (687).

Esecutore testamentario.

Il testatore può nominare uno o più esecutori testamentari (700), i quali, apertasi la
successione e accettato l’incarico, devono curare che siano esattamente eseguite le
disposizioni di ultima volontà del defunto (703). L'esecutore non è un
rappresentante del de cuius. L’ufficio è gratuito, a meno che il testatore abbia
stabilito una retribuzione sull’eredità. Per essere nominato deve avere la capacità di
obbligarsi e può essere un erede o un legatario. La nomina di un esecutore
testamentario rappresenta una garanzia di corretta esecuzione della propria
volontà. L'esecutore deve attenersi a quanto previsto nel testamento. L'esecutore,
salva diversa volontà del testatore, deve amministrare la massa ereditaria
prendendo possesso dei beni che ne fanno parte. Il possesso non può durare più di
un anno dall'accettazione. Tale termine può essere prorogato solo una volta dal
l'autorità giudiziaria. Nell'amministrazione l'esecutore deve usare la diligenza del
buon padre di famiglia. L'alienazione dei beni ereditati deve essere sempre
espressamente autorizzata dall'autorità giudiziaria, sentiti gli eredi. Al termine della
gestione l'esecutore è tenuto a rendere conto della sua attività, e in caso di colpa è
tenuto al risarcimento del danno verso gli eredi e i legatari.

51
Diritti legittimari.
Nozione di legittimario.
Con la disciplina della successione dei legittimari viene apprestata tutela a talune
categorie di soggetti, i cui diritti l’ordinamento intende garantire in sede successoria,
in considerazione dello stretto vincolo familiare che li lega al de cuius. Nel
bilanciamento tra l’interesse del soggetto alla piena disponibilità dei propri beni e
l’interesse dei componenti del nucleo familiare, il legislatore accorda una spiccata
preferenza al secondo, riservando a determinati successibili del defunto (legittimari)
una certa quantità di beni da calcolarsi sul patrimonio complessivo del medesimo.
La quota che spetta ai legittimari viene comunemente denominata legittima o
riserva o indisponibile: il de cuius, cioè non può disporre di tale quota né per
testamento né a titolo di liberalità (in vita). Si parla di successione necessaria e i
legittimari sono anche chiamati eredi necessari. La quota di riserva si contrappone
alla cosiddetta quota disponibile, cioè la quota del patrimonio di cui ciascun
soggetto può liberamente disporre per testamento. La quota che spetta al
legittimario non può essergli sottratta e in ciò consiste il principio di intangibilità
della legittima. Tale principio va inteso in senso quantitativo e non qualitativo: al
legittimario deve pervenire un certo quantitativo di beni per un determinato
ammontare e al testatore è consentito comporre la sua quota come meglio crede.
Tale principio trova piena applicazione nell’art. 549, che vieta al testatore di imporre
pesi e condizioni sulla quota spettante ai legittimari.
Sono legittimari: il coniuge, i figli, e, in assenza dei figli, gli ascendenti (536). E’ da
evidenziare che i fratelli non fanno parte dei legittimari.
Erede legittimo è colui cui spetta succedere in assenza, totale o parziale, di
vocazione testamentaria; erede legittimario è colui nella successione a favore del
quale deve essere comunque ricompreso un quantitativo di beni almeno pari a
quello che l’ordinamento gli riserva con riferimento al patrimonio complessivo del
de cuius.
La tutela del legittimario contrasta con l’interesse del soggetto a disporre
liberamente del proprio patrimonio. Risultano frequenti le proposte di limitare la
portata.

Categorie dei legittimari.


Categoria privilegiata è quella dei figli, i quali concorrono solo col coniuge superstite
ed escludono dalla successione nella legittima gli ascendenti. Se il genitore lascia un
solo figlio, a questi spetterà metà del patrimonio; se i figli sono più, loro riservata la
quota di 2/3, da dividere in parti uguali tra tutti i figli (537).
Qualora l'unico figlio concorra con il coniuge superstite, a ciascuno spetta un terzo
del patrimonio. Ove con il coniuge concorra più di un figlio, al coniuge spetta 1/4 del
patrimonio ed ai figli la metà da dividersi i parti uguali. Se mancano i figli il coniuge
concorre con gli ascendenti del de cuius e gli spetta comunque metà del patrimonio,
mentre agli ascendenti solo 1/4 compete. In ogni caso, al coniuge superstite spetta il
diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la
corredano, se di proprietà del defunto o comuni.
Al coniuge separato, spettano gli stessi diritti successori del coniuge non separato, se
la separazione personale non gli sia stata addebitata (548). Ove la separazione gli sia
stata addebitata, ha solo diritto ad un assegno vitalizio, se al momento dell’apertura
della successione godeva degli alimenti a carico del coniuge defunto. Col divorzio,
vengono meno i diritti successori.

Posizione del legittimario.


Apertasi la successione occorre verificare se al legittimario risulti garantito l’acquisto
di una quantità di beni almeno corrispondente alla quota che l’ordinamento gli
riserva. Fondamentale è la c.d. riunione fittizia, operazione aritmetica che permette
di determinare l’ammontare della porzione di patrimonio di cui il defunto poteva
disporre, considerati qualità e numero dei legittimari. A tal fine al relictum (beni
appartenenti al defunto al momento dell’apertura della successione), detratti i
debiti, si aggiunge il donatum, ovvero l’insieme dei beni donati dal de cuius quando
questi era ancora in vita. Una volta ottenuto l’ammontare del patrimonio del de
cuius si prende in considerazione la quota effettivamente disponibile e l’eventuale
lesione della legittima. La lesione della legittima può consistere o in una totale
esclusione del legittimario dalla successione, o in un minor calcolo della quota
pervenuta al legittimario. A seconda che il legittimario sia pretermesso (è il soggetto
che è stato completamente escluso dalla successione con un testamento,
successione che è andata a totale vantaggio di altri soggetti) o leso. Il legittimario
leso non è da considerare chiamato all’eredità, ma acquista tale qualità solo per
effetto dell’esito vittorioso dell’azione di riduzione. Il legittimario leso, chiamato
all’eredità, può accettare l’eredità a lui devoluta e acquista la qualità di erede
limitatamente a quanto acquistato: l’azione di riduzione, in questo caso, assolve alla
funzione di reintegrare il legittimario leso fino alla concorrenza del valore della
legittima.

L'azione di riduzione.
È l'azione concessa al legittimario che ha visto ledere, in tutto o in parte, la sua
quota di legittima a causa delle disposizioni testamentarie o delle donazioni
effettuate dal defunto. Con questa azione si tende ad ottenere la riduzione delle
disposizioni testamentarie o delle donazioni allo scopo di reintegrare la quota di
legittima.
Abbiamo visto come si calcola la quota riservata ai legittimari; se da questo calcolo
risulta lesa, si può agire con l'azione di riduzione;
riduzione di cosa?
Delle disposizioni testamentarie (legati compresi), delle donazioni effettuate che,
appunto, si riducono in modo da integrare la quota spettante al legittimario.
L'art. 557 c.c. ci indica chi sono i soggetti che possono proporre l'azione, ovvero i
legittimati attivi: i legittimari lesi in tutto o in parte nella loro quota di legittima, i loro
eredi o aventi causa.

Come si vede il diritto alla legittima ( e alla relativa azione) può essere trasmesso per
atto tra vivi o mortis causa ( si parla, infatti, di "eredi o aventi causa").

Il diritto è "irrinunciabile" finché il donante è in vita, ma la rinuncia può avvenire


dopo la morte del donante.
Potrebbe accadere che il de cuius abbia posto in essere delle vendite simulate, per
evitare l'azione di riduzione; in questo caso al legittimario converrà prima
dimostrare la simulazione e poi agire in riduzione.
Vediamo, ora, chi sono i legittimati passivi: eredi, legatari o donatario, coloro, cioè,
che sono stati beneficiari della disposizione lesiva.

Ma come si riducono le disposizioni lesive?


La riduzione delle disposizioni testamentarie avviene proporzionalmente, senza
distinguere tra eredi e legatari.
Tuttavia se il testatore abbia dichiarato che una disposizione deve avere effetto a
preferenza delle altre, questa disposizione non si riduce, se non quando il valore
delle altre non sia sufficiente a integrare la quota riservata ai legittimari. Qualora la
riduzione delle disposizioni testamentarie non sia sufficiente a soddisfare le ragioni
del legittimario leso, si riducono le donazioni, cominciando dall'ultima e risalendo via
via alle anteriori.
L'azione di riduzione è soggetta alla prescrizione ordinaria decennale.

Azione di restituzione.
I beneficiari possono restituire spontaneamente i beni al legittimario, ma nel caso in
cui ciò non avvenga, si potrà ancora agire con una nuova azione, l'azione di
restituzione ( artt. 561 c.c. e ss.).
Scopo dell'azione di restituzione è quello di far conseguire il pieno possesso dei beni
al legittimario, ed è esperibile sia contro i beneficiari sia contro gli aventi causa da
questi.
Nel caso di restituzione della cosa donata, se la stessa è perita per causa imputabile
al donatario o ai suoi avanti causa, o in caso di insolvenza del donatario, sorgerà un
diritto di credito nei confronti del donatario, ma se questo risulterà insolvente
saranno gli eredi e gli altri donatari anteriori a sopportare le conseguenze di questa
insolvenza.
Se i donatari contro i quali è stata pronunziata la riduzione hanno alienato a terzi gli
immobili donati e non sono trascorsi venti anni dalla trascrizione della donazione, il
legittimario, premessa l'escussione dei beni del donatario, può chiedere ai successivi
acquirenti, nel modo e nell'ordine in cui si potrebbe chiederla ai donatari medesimi,
la restituzione degli immobili.

L'azione per ottenere la restituzione deve proporsi secondo l'ordine di data delle
alienazioni, cominciando dall'ultima. Contro i terzi acquirenti può anche essere
richiesta la restituzione dei beni mobili, oggetto della donazione, salvi gli effetti del
possesso di buona fede.
Il terzo acquirente può liberarsi dall'obbligo di restituire in natura le cose donate
pagando l'equivalente in danaro.

Cautela sociniana. Legato in sostituzione di legittima.

La cautela sociniana è un istituto peculiare della successione testamentaria


disciplinato dall'art. 550 cc. Quando il testatore lascia ai legittimari la nuda proprietà
e dispone a favore di altri di un usufrutto o di una rendita, il cui provento eccede
quello della disponibile, o quando lascia ai legittimari una rendita e dispone della
nuda proprietà in favore di altri, i legittimari possono scegliere: o accettano la
disposizione del testatore e rinunziano al loro diritto sulla quota legittima; oppure
esercitano il diritto che loro spetta sulla legittima e abbandonano il resto agli altri
chiamati.

Altra fattispecie è il legato in sostituzione della legittima. Se al legittimario è lasciato


un legato in sostituzione della legittima, egli può rinunciare al legato e chiedere la
legittima. Se preferisce invece conseguire il legato, perde il diritto di chiedere un
supplemento nel caso che il valore del legato sia inferiore a quello della legittima e
non acquista la qualità di erede. Tale disposizione non si applica laddove il testatore
ha espressamente attribuito al legittimario la facoltà di chiedere il supplemento.

52
Comunione e divisione ereditaria.
Comunione ereditaria.
Si ha comunione dell'eredità quando più persone, per effetto di una vocazione
congiuntiva, acquistano l'eredità. Abbiamo, quindi, la figura del coerede che è
titolare "pro quota" dell'asse ereditario insieme agli altri eredi, si tratta quindi, di
titolarità di una quota ideale dei beni ereditari, e non di una parte determinata di
questi. Non partecipa alla comunione ereditaria il legatario.
I coeredi contribuiscono tra loro al pagamento dei debiti e pesi ereditari in
proporzione delle rispettive quote ereditarie, salvo diversa disposizione del
testatore. Il legatario è esente dal pagamento dei debiti ereditari, tuttavia se ha
estinto il debito di cui era gravato il fondo legato, subentra nelle ragioni del
creditore contro gli eredi (756). Nel caso in cui un coerede adempia all’obbligazione
in una misura eccedente alla sua quota, egli avrà il diritto di rivalsa nei confronti
degli altri coeredi. Per quanto concerne i crediti del de cuius, questi potranno essere
riscossi da un solo coerede.

La quota ereditaria è un bene alienabile. L’art. 732 stabilisce che il coerede che
intende alienare la propria quota deve notificare la proposta agli altri coeredi, i quali
hanno diritto di prelazione (ratio nella concentrazione dell’eredità in pochi soggetti).
Deve trattarsi di atto a titolo oneroso. Il diritto di prelazione deve essere esercitato
entro 2 mesi dalla notificazione, trascorsi i quali l'erede sarà libero di alienare la sua
quota anche ad estranei all'eredità. In caso in cui il coerede abbia alienato la quota
senza notificare l’intenzione di alienare agli altri coeredi, essi hanno diritto di
riscattate la quota dell’acquirente e da ogni altro successivo avente causa, finché
dura lo stato di comunione ereditaria. E’ questo il c.d. retratto successorio, negozio
unilaterale recettizio, con efficacia reale, che produce l’effetto di sostituire il coerede
che l’abbia posto in essere nel diritto acquistato dall’estraneo, con effetto dalla data
di conclusione del contratto di alienazione a quest’ultimo. Nel caso in cui più coeredi
intendano acquistare la quota oggetto di prelazione, essa sarà assegnata, in parti
uguali, ai coeredi che intendono acquistare.

I coeredi godono in comunione i beni ereditari, ma questa può sempre essere sciolta
per iniziativa anche di uno solo di loro che non intenda più farne parte con la
divisione dell'eredità.

Divisione fatta dal testatore e norme date dal testatore per la divisione.
La situazione di comunione ereditaria si determina automaticamente, per effetto
dell’acquisto pro quota dell’eredità da parte dei chiamati. Una simile forma
peculiare di contitolarità dei beni ereditari non si realizza nell’ipotesi in cui sia stato
il testatore stesso ad attribuire direttamente i beni ai coeredi. Il testatore, ai sensi
dell’art. 734, può dividere i suoi beni tra gli eredi: in tal caso, per effetto
dell’accettazione, costoro acquisteranno i beni senza passare per lo stato di
comunione ereditaria. L’istituto, denominato divisione fatta dal testatore, sostituisce
la divisio inter liberos.
La divisione fatta dal testatore può anche non comprendere tutti i beni lasciati al
tempo della morte se non risulta una diversa volontà del testatore.

Viene considerata nulla la divisione dalla quale sia escluso qualcuno dei legittimari o
degli eredi istituti (735): è questa la divisione soggettivamente parziale. La dottrina
tende però a salvare dalla nullità, la divisione fatta dal testatore, qualora nell'asse
ereditario il testatore abbia lasciato un quantitativo tale di beni da soddisfare gli
esclusi.

Collazione.

È il rimedio previsto dalla legge per aumentare la massa ereditaria grazie al quale i
figli, i loro discendenti, e il coniuge che hanno accettato l’eredità devono restituire
alla massa ereditaria tutti i beni che sono stati loro donati in vita dal defunto, in
maniera tale da dividerli con gli altri coeredi.

Prima ancora di approfondire la dinamica dell'istituto è importante sottolineare una


differenza con una situazione simile che abbiamo già visto parlando della lesione
della quota di legittima, ci riferiamo, cioè alla riunione fittizia della massa ereditaria.
La differenza è sostanziale, anche se di non immediata percezione;
accade, infatti, che nella riunione fittizia è necessario far rientrare nella massa
ereditaria i beni che sono stati donati dal coniuge per determinare la quota
disponibile ( art. 556 c.c.).
I beni donati rientrano nella massa ereditaria ma solo per l'ammontare del valore
necessario per reintegrare la quota del legittimario che sia stata lesa dalle donazioni.

Nella collazione, invece, non ci sono legittimari da tutelare, ma una eredità da


dividere, ed è necessario che questa eredità sia completamente divisa
comprendendo per intero anche i beni che vi sono usciti a causa di donazioni.
Mentre è possibile evitare la collazione, non è possibile evitare la riunione fittizia
perché questa è funzionale alla salvaguardia del diritto del legittimario.

Andiamo ora a vedere i tratti essenziali.

1. Innanzitutto i soggetti tenuti alla collazione sono: il coniuge superstite e i figli.


2. I beneficiari della collazione sono i coeredi.
3. La colazione ha oggetto: tutte le donazioni ricevute dal defunto a favore del
coniuge superstite e i figli.
4. Sono esclude dalla collazione le donazioni di modico valore a favore del
coniuge, le spese di mantenimento, per malattia ecc. Le spese sostenute dal
defunto per il corredo nuziale o per l'istruzione artistica o professionale
quando non eccedono notevolmente la misura ordinaria, le donazioni fatte
dal l'erede ai suoi discendenti o al coniuge.

La collazione è possibile non solo nella successione testamentaria, ma si può avere


anche nella successione legittima, essendo solo necessario che i discendenti o il
coniuge siano chiamati per quota.

La collazione può avvenire in due modalità ovvero in natura o per imputazione.

 Si ha collazione in natura quando si restituisce alla massa lo stesso bene che si


è ricevuto per donazione.
 Si ha collazione per imputazione quando l'erede invece di fornire il bene in
natura, si limita ad imputarne il valore alla propria quota con la conseguenza
pertanto, che nella formazione della porzione a lui spettante, si terrà conto di
quanto già abbia ricevuto da de cuius a titolo di donazione.

Per i beni immobili si possono scegliere entrambe le modalità, mentre per i beni
mobili, la collazione può essere fatta solo per imputazione.

Divisione ereditaria: divisione giudiziale e divisione contrattuale.

Ciascuno dei coeredi ha il diritto di chiedere in ogni momento la divisione ereditaria


con cui viene a cessare lo stato di comunione ereditaria.
La prima operazione, necessaria per procedere alla divisione della massa ereditaria,
è la formazione delle porzioni da assegnare ai coeredi. Si è già rilevato come alla
massa dei beni relitti all'apertura della successione debbano essere aggiunti i beni
donati ai discendenti e al coniuge ai quali appunto è imposta la collazione. Ciascun
erede deve imputare alla sua quota le somme di cui era debitore verso il defunto e
quelle di cui era debitore verso i coeredi in dipendenza dei rapporti di comunione.
Per effetto del imputazione dei debiti, la porzione spettante all'erede risulterà
diminuita. Una volta fatti i prelevamenti si provvede alla stima di ciò che residua
nella massa ereditaria. Eseguita la stima si procede alla formazione di tante porzioni
quanti siano gli eredi in proporzione delle quote.

L’assegnazione delle porzioni uguali è fatta tramite estrazione a sorte; per le


porzioni diseguali si procede mediante attribuzione (729). Può verificarsi che tra le
quote ereditarie sussistano delle ineguaglianze. In tale ipotesi chi riceva una
porzione maggiore è obbligato a versare un equivalente in danaro (conguaglio).

La divisione può avvenire in sede giudiziaria o per accordo dei coeredi.

 Quanto alla divisione giudiziale, il ricorso all’autorità giudiziaria per lo


scioglimento della comunione ereditaria dipende dalle circostanze che tra i
coeredi non vi sia accordo sui termini della divisione.
 La divisione contrattuale è il contratto finalizzato allo scioglimento della
comunione ereditaria, mediante l’assegnazione a ciascuno dei condividenti di
una porzione di beni di valore pari alla quota spettante per legge o per
testamento. Ad essa devono partecipare tutti i coeredi. Se nella divisione sono
ricompresi beni immobili o diritti reali immobiliari, sarà necessaria la forma ad
substantiam.

Annullabilità e rescindibilitá della divisione ereditaria.

La divisione attuata per accordo è annullabile quando è l’effetto di violenza o di


dolo: l’azione di annullamento si prescrive in cinque anni dal giorno in cui è cessata
la violenza o è stato scoperto il dolo (761). L’errore non è previsto come causa di
annullamento della divisione. L’omissione di uno o più beni dell’eredità non da
luogo a nullità della divisione, ma soltanto a un supplemento della divisione stessa
(762).
Il legislatore disciplina poi l'ipotesi della rescindibilitá per lesione della divisione:
questa può essere rescissa quando taluno dei coeredi provi di essere stato leso oltre
il quarto (763). La sussistenza dell’eventuale lesione viene verificata in base alla
stima dei beni secondo il loro stato e valore al tempo della divisione.

53
Contratto di donazione.
La donazione è quel contratto con il quale, per spirito di liberalità, una parte
arricchisce l'altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso
la stessa una obbligazione. La collocazione della donazione nella disciplina dei
contratti assume una particolare rilevanza in quanto dovrebbe comportare
l'applicazione della disciplina generale del contratto laddove il legislatore non
disponga norme specifiche dirette a regolare il contratto di donazione. Bisogna però
affermare che se è pur vero che la donazione è concepita come contratto, sotto
determinati profili la sua disciplina differisce da quella del contratto. Abbiamo
riportato per intero il disposto dell'art. 769 poiché definisce in maniera completa ed
efficace l'istituto. Con la donazione s'intende "arricchire" un soggetto, cioè fargli
ottenere un incremento del suo patrimonio e non un semplice vantaggio; se, ad
esempio, concedo in comodato un mio bene ad un'altra persona, non per questo ho
stipulato un contratto di donazione poiché, a parte tutte le altre possibili differenze,
se è pur vero che c'è stato un vantaggio per il comodatario è anche vero che non c'è
stato alcun incremento del suo patrimonio, non c'è stato un suo arricchimento.

Il riferimento al comodato, però, ci mette in grado di comprendere una ulteriore


distinzione.
Con il comodato, infatti, un soggetto può usare un bene senza versare alcun
corrispettivo al proprietario; di conseguenza ben possiamo definire il comodato
come atto a titolo gratuito proprio per la mancanza del corrispettivo. La mancanza di
corrispettivo si ritrova anche nella donazione e questo già ci può far considerare
questo contratto come facente parte degli atti a titolo gratuito, ma di questi atti ne
costituisce una specifica categoria perché l'art. 769 non richiede che l'atto sia
semplicemente a titolo gratuito, ma qualcosa di più, è necessario, infatti, che vi sia
"lo spirito di liberalità", che vi sia, cioè, l'intenzione di arricchire una persona con il
conseguente proprio impoverimento.
Come è facile intuire lo spirito di liberalità non si riscontra, quindi, in tutti i negozi a
titolo gratuito, ma solo nella donazione e negli altri atti di liberalità.

In conclusione la donazione è un contratto che rientra nella categoria degli atti di


liberalità che, a loro volta, rientrano, senza esaurirla, nella categoria dei negozi a
titolo gratuito.

La donazione è un contratto che come tutti i contratti e negozi in generale, ha una


propria causa.
Elemento essenziale della causa della donazione è proprio l'animus donandi, cioè
l'arricchimento dell'altra parte senza corrispettivo, e non va confuso con i motivi che
spingono a tale attribuzione.

Si può donare, infatti, per beneficenza, per amore filiale o coniugale, per
riconoscenza, ma l'animus donandi non varia, perché si identifica sempre
nell'arricchimento dell'altra parte; questo non vuol dire, però, che i motivi della
donazione siano sempre irrilevanti.
Nella donazione rimuneratoria di cui all'art. 770, sono presi espressamente in
considerazione i motivi della donazione per un duplice ordine di ragioni;
da un lato, infatti, si intende sottolineare che anche se si dona per riconoscenza o
per ricompensare qualcuno (senza, però esservi tenuti) per un qualche servizio reso,
siamo pur sempre nell'ambito della donazione;
dall'altro per fornire a tale tipo di donazioni una disciplina in parte diversa da quella
ordinaria;
l'art. 805, ad esempio, dispone l'irrevocabilità delle donazioni rimuneratorie e da
questa (e altre norme es. art. 437 e 797 in tema di evizione) del codice civile si
comprende come l’irrevocabilità sia giustificata dalla particolare rilevanza del motivo
che ha determinato il donante a compiere la donazione.
Donazione e atto a titolo gratuito. Il cosiddetto negotium mixtum cum
donatione.
Possiamo distinguere dunque negozi a titolo oneroso dai negozi a titolo gratuito. La
donazione è senz'altro un atto a titolo gratuito ma tutti gli atti a titolo gratuito
formano una donazione. Ciò che distingue la donazione dagli altri atti a titolo
gratuito è l'elemento soggettivo dello spirito di liberalità ovvero l'animus donandi
del soggetto che arricchisce l'altro. Peculiare appare l'ipotesi di negotium mixtum
cum donatione ovvero quel negozio ove siano presenti elementi dell'atto a titolo
oneroso ed elementi dell'atto donativo. Una fattispecie che si verifica con frequenza
è quella della vendita del bene dietro corrispettivo inferiore al valore del bene
alienato, ad esempio Tizio vende a Caio un appartamento del valore di 100 a 50.

Disciplina del contratto di donazione.


La donazione è un contratto formale. Deve essere fatta per atto pubblico, sotto pena
di nullità alla presenza irrinunciabile dei testimoni. Questa regola non si applica per
le donazioni di modico valore, dove per la validità dell'atto è sufficiente la consegna
del bene. Il donante, è colui che compie l'atto di liberalità. Per poter compiere l'atto
deve essere capace di agire e di disporre del diritto; si ritiene che donante possa
essere anche una persona giuridica, donatario è colui che riceve l'attribuzione
patrimoniale; anche le persone giuridiche e le persone non riconosciute hanno la
capacità a ricevere senza che sia più necessaria l'autorizzazione amministrativa. È
prevista l'annullabilitá della donazione fatta dal donante in stato di incapacità
naturale al momento della donazione. Tale azione si prescrive in 5 anni dalla data
dell'atto. La donazione fatta dall'inabilitato, anche anteriore alla sentenza che ne
dichiara l'inabilitazione, può essere annullata se fatta dopo che è stato promosso il
giudizio d'inabilitazione.

Deve sussistere la volontà di arricchire l'atra parte contrattuale con il conseguente


proprio impoverimento; elemento essenziale della causa della donazione è l'animus
donandi, un intento diverso darebbe vita ad un altro tipo di negozio giuridico.

La donazione è atto personale e come tale non può essere costituita per mezzo di
rappresentante, viene esclusa dunque anche la possibilità per il genitore o per il
tutore di formare una donazione per conto del figlio. Viene sanzionato con la nullità
il mandato con cui si attribuisce ad altri la facoltà di designare la persona del
donatario e di determinare l'oggetto della donazione. La donazione è un contratto
unilaterale con prestazioni a carico di una sola delle parti.

La donazione comprende tutti i beni presenti nel patrimonio del donante; se ha ad


oggetto beni futuri è nulla (art. 771 c.c.); se, però, nella donazione sono compresi
beni presenti e futuri la nullità non colpirà tutto l'atto, ma solo la parte relativa ai
beni futuri. La donazione può essere fatta congiuntamente a favore di più donatari.
In tal caso essa si intende fatta per parti uguali salvo che dall'atto risulti una diversa
volontà. Nell'ipotesi di donazione congiuntiva è consentito l'inserimento di una
clausola con cui il donante dispone che se uno dei donatari non possa o non voglia
accettare la donazione la sua parte accresce quella degli altri.

La donazione può essere gravata da un onere. Il donatario è tenuto all'adempimento


dell'onore entro i limiti del valore della cosa donata. Per l'adempimento dell'onere
può agire oltre al donatario chiunque vi abbia interesse.

La donazione è nulla quando non si è rispettata la forma prevista dalla legge, quando
è effettuata a favore del tutore o protutore del donante, quando ha per oggetto
cose future, per motivo illecito, e negli atri casi ordinariamente previsti per la nullità
dei negozi giuridici, ma secondo l'art. 799 c.c. la nullità della donazione da
qualunque causa dipenda, non può essere fatta valere dagli eredi o aventi causa dal
donante che, conoscendo la causa della nullità, hanno, dopo la morte di lui,
confermato la donazione o vi hanno dato volontaria esecuzione. Nonostante il
tenore della norma però, non sono confermabili le donazioni nulle perché contrarie
a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume.

Responsabilità del donante. Invalidità. Revocazione.


Il donante tenuto nei confronti del donatario alla garanzia per evizione. La garanzia
per i vizi della cosa donata è limitata all'ipotesi in cui il donante sia stato in dolo. Il
donante in caso di ritardo o inadempimento della donazione è responsabile solo per
dolo o colpa grave.

Per quanto riguarda l'invalidità della donazione ci si rifà alle norme che regolano
l'invaliditá del contratto. Si è già accennato alla nullità della donazione per illiceità
del motivo disposta solo quando il motivo illecito risulta dall'atto ed è il solo che ha
determinato il donante a compiere la liberalità. L'onere illecito o impossibile si
considera come non apposto, tuttavia rende nulla la donazione se ha costituito il
solo motivo determinate. Si prevede che la nullità della donazione, da qualunque
motivo dipenda, non può essere fatta valere dagli eredi o aventi causa dal donante,
che conoscendo la causa di nullità, abbiano, dopo la morte del donante, confermato
la donazione.

Quanto alla revocazione, la donazione può essere revocata per ingratitudine o per
sopravvenienza dei figli (800).
La revocazione per ingratitudine può essere domandata solo nel caso in cui il
donatario abbia commesso fatti che sono reputati causa d'indegnitá a succedere,
quando il donatario si è reso colpevole di ingiurie gravi verso il donante oppure
quando ha dolosamente arrecato un grave pregiudizio al patrimonio del donante. La
domanda di revoca deve essere proposta dal donante o dai suoi eredi contro il
donatario o i suoi eredi, entro l'anno dal giorno in cui il donante è venuto a
conoscenza del fatto che consente revocazione. La revocazione per sopravvenienza
dei figli può essere chiesta dal donante che non aveva o ignorava di avere figli o
discendenti al tempo della donazione. La revocazione può essere domandata anche
se il figlio era già concepito al tempo della donazione. La domanda deve essere
proposta entro 5 anni dal giorno della nascita dell'ultimo figlio nato nel matrimonio
o fuori al matrimonio. A differenza della revocazione delle disposizioni
testamentarie per sopravvenienza di figli, che sono revocate di diritto, la
revocazione delle donazioni, sia per ingratitudine che per sopravvenienza di figli,
consegue sempre ad un’azione promossa dal donante o dai suoi eredi. Quanto agli
effetti della revocazione, il donatario è tenuto a restituire i beni e i frutti dal giorno
della domanda. Se il donatario ha alienato i beni deve restituire il valore e i frutti
relativi. I terzi che hanno acquistati i diritti anteriormente alla domanda non sono
pregiudicati dalla pronuncia salvo gli effetti della trascrizione.

Ipotesi particolari di donazioni.

 Donazione rimuneratoria (770) si intende la liberalità fatta dal donante per


riconoscenza verso il donatario o in considerazione di meriti di quest’ultimo o
per speciale rimunerazione. In particolare viene intesa la liberalità compiuta
dal donante per compensare il donatario di un servizio da questi eseguito nei
propri confronti. Essa è irrevocabile per causa di ingratitudine o per
sopravvenienza di figli. Il donante è tenuto alla garanzia per evizione solo nei
limiti dell'entità delle prestazioni ricevute.
 Non sono espressamente considerate donazioni le liberalità d’uso, quelle che
si è soliti fare in occasione di servizi resi o comunque in conformità agli usi
(mance e regali).
 La donazione obnunziale ( art. 785 c.c.) è quella fatta dagli sposi tra loro, o da
altre persone ad entrambi gli sposi o ad uno di loro, o ai figli nascituri da
questi, in vista di un determinato futuro matrimonio. La disciplina di questo
tipo di donazione è diversa da quella generale, soprattutto perché non siamo
in presenza di un contratto, ma di un atto unilaterale poiché non è necessaria
alcuna accettazione da parte del donatario. Anche in questo caso, però, la
legge ha preso in considerazione i motivi della donazione per costruire la
particolare disciplina dell'art. 785.

Altri atti di liberalità


Atti di liberalità diversi dalle donazioni: donazioni indirette.
La norma dettata dall'art. 809 concerne l'ampia e indefinita categoria degli atti di
liberalità diversi dal contratto di donazione, si tratta delle donazioni indirette, ovvero
liberalità che pur non assumendo la veste del contratto di donazione sono ad esso
assimilabili sotto il profilo sostanziale, in particolare con riguardo il profilo della
causa. La donazione indiretta consiste in un atto diverso dal contratto di donazione,
ma che allo stesso momento assolve alla stessa funzione, ovvero arricchire il
donatario per spirito di liberalità. Si pensi al caso del padre che, pagando il debito
del figlio, rinuncia ad agire in regresso contro il figlio stesso, per farsi rimborsare le
somme pagate, si parla non più di una donazione ma di una donazione indiretta. Si
parla di donazione indiretta proprio perché si giunge al medesimo effetto di una
donazione non direttamente attraverso un contratto stipulato con il ministero
notarile, ma indirettamente e cioè attraverso un percorso che conduce ad un
medesimo risultato. Conseguenza a tale agire è che alla donazione indiretta non si
applicano le stesse formalità della donazione vera e propria, ossia atto pubblico in
presenza di due testimoni. Con la conseguente validità della donazione indiretta
fatta anche senza atto notarile.

In particolare, anche alla donazione “indiretta” si applicano le norme in tema di


lesione della quota di legittima: in altri termini, se Tizio ha due figli (Caio e
Sempronio) e paga, favorendo Sempronio, un debito che questi ha verso una banca
a causa di una sfortunata attività imprenditoriale, con ciò Tizio ha effettuato una
donazione indiretta verso il figlio Sempronio e l’altro figlio Caio può lamentarsene,
se l’importo del debito è tale da ledere la quota di legittima che spetta a Caio sul
patrimonio di Tizio. Le donazioni indirette possono essere atti di natura contrattuale
o atti a struttura unilaterale.

Donazioni indirette di natura contrattuale.


Una prima è diffusa fattispecie è il contratto in favore di terzi, attraverso il quale il
terzo, estraneo al rapporto contrattuale. acquista diritti derivanti dalla stipulazione
in suo favore, sempre che lo stipulante abbia un interesse. È frequente l'ipotesi nella
quale un soggetto, acquisti un bene da un'altro soggetto, deviando l'effetto
derivante da tale contratto nella sfera giuridica del terzo. Tale operazione operata
dallo stipulante a vantaggio di un terzo, se attuata con spirito di liberalità per
arricchire il terzo medesimo è qualificata come donazione indiretta.

Una fattispecie che presenta forti analogie con quella appena esaminata è da
individuarsi nella intestazione di beni in nome altrui. Accade che un soggetto
fornisce il danaro per l'acquisto di un immobile, poi intestato al soggetto che si è
inteso beneficiare (bene immobile acquattato con il danaro del genitore e poi
successivamente intestato al figlio). Ancora si ricollega alla disciplina della donazione
indiretta il negotium mixtum cum donatione per il quale viene concesso l'acquisto di
un bene mobile/immobile ad un prezzo molto inferiore al suo valore reale. Es. Tizio
vende a Caio un immobile dal valore di 100 a 50.

Atti a struttura unilaterale.

Nel contesto degli atti unilaterali, si inquadrano nella fattispecie delle donazioni
indirette gli atti di rinunzia con il quale il titolare di un diritto si spoglia del diritto
medesimo con una dichiarazione appunto unilaterale di volontà.
Con la remissione del debito il creditore mediante un atto unilaterale rinunzia al
proprio diritto di credito determinando l'estinzione del rapporto obbligatorio.
Tuttavia la remissione del debito non è una donazione indiretta. Per qualificarsi
come tale deve avere come fine del creditore quello di arricchire il debitore per
spirito di liberalità, mediante appunto, la remissione del suo debito. Un'altra figura
di atto unilaterale suscettibile di essere qualificato come donazione indiretta risulta
essere l'adempimento del terzo per l'estinzione di un debito altrui. In tale fattispecie
il comportamento del terzo è rivolto ad arricchire il debitore per spirito di liberalità.
In tale ipotesi l'atto del terzo è considerato come una donazione indiretta.
54
Pubblicità in generale
E lo strumento che l'ordinamento prevede per rendere certi nei confronti dei terzi
gli accadimenti giuridici; indica diffusione e divulgazione di dati e notizie relative a
persone, beni e fatti, che toccano sia vicende della vita privata che l’attività dei
soggetti.
Funzione generale della pubblicità, per essere comune a tutte le formalità
pubblicitarie, è quella di garantire alla generalità dei consociati la conoscibilità di
determinati atti giuridici e quindi degli effetti che ne derivano. Correlativamente
effetto giuridico fondamentale della pubblicità è di procurare la c.d. conoscenza
legale nel senso che i fatti resi pubblici sono considerati conosciuti, anche in assenza
di conoscenza effettiva in quanto i registri non sono stati ispezionati: trattasi in
particolare di conoscibilità legale in quanto è consenti per legge attingere la
conoscenza e questa si ha per realizzata anche se in fatto non è stata acquisita.
Se, ad esempio, acquisto un bene, poniamo una casa, è necessario che i terzi
sappiano ( o siano in grado di sapere) che sono diventato proprietario di quella casa,
perché possano fare riferimento a me, e non più al vecchio proprietario, per tutto
quanto riguarda le vicende dell'appartamento; diversamente potrebbe accadere che
il conduttore dell'immobile continui a pagare al vecchio proprietario, che
quest'ultimo sia chiamato a pagarne le tasse, o che, addirittura, venda la casa che
non è più sua.
Proprio per evitare tali problemi sono previsti gli istituti di pubblicità che hanno lo
scopo definito nella nozione.
Non bisogna credere, tuttavia, che la pubblicità si attui in modo tale che i terzi
debbano effettivamente venire a conoscenza dei nuovi fatti giuridici, senza alcuno
sforzo da parte loro, magari come avviene con la pubblicità commerciale;
Al contrario l'ordinamento prevede a carico delle parti di un rapporto giuridico
l'obbligo a eseguire determinati oneri, svolti i quali si produce l'effetto della
pubblicità.
Vedremo successivamente quali sono tali oneri, mentre ora ci interessa individuare
gli effetti della pubblicità, che sono di quattro tipi:
a)pubblicità notizia: i fatti oggetto di pubblicità servono solo ad assicurare la loro
conoscibilità legale, ma non per questo sono opponibili ai terzi.
Se quindi si vorrà opporre a un terzo un fatto reso pubblico bisognerà comunque
dimostrare che questi ne era a conoscenza.
Ad es. nella società semplice ( sempre che non svolga attività agricola) l'iscrizione nel
registro delle imprese non rende opponibili ai terzi i fatti registrati, ma bisognerà
dimostrare che questi ne fossero comunque a conoscenza
b) pubblicità dichiarativa: ha la funzione di rendere opponibili ai terzi i fatti resi
pubblici; l'inosservanza dell'onere di pubblicità comporta la inopponibilità dei fatti
non registrati, a meno che non si provi che i terzi ne erano comunque a conoscenza;
in ogni caso l'atto rimane valido anche senza l'osservanza della forma di pubblicità
prevista dalla legge
c) pubblicità costitutiva: senza l'osservanza della forma di pubblicità voluta dalla
legge l'atto non produce effetti, come nel caso della mancata iscrizione dell'ipoteca
(art. 2808 comma 2), oppure della mancata iscrizione nel registro delle imprese
delle società di capitali (la società per azioni, società a responsabilità limitata,
società in accomandita per azioni)
d) pubblicità sanante: quando la pubblicità svolge una funzione sostitutiva di un
elemento mancante o viziato.
Ciò chiarito vediamo come si attua la pubblicità nei casi più comuni.

 per i beni immobili si applicano le regole della trascrizione, di cui parleremo in


seguito;
 per i beni mobili non registrati la pubblicità si attua con il possesso;
 per i diritti di credito la pubblicità si attua con la notificazione della cessione al
debitore;
 per le imprese e le società la pubblicità si attua con l'iscrizione nel registro
delle imprese.
 per i fatti attinenti lo stato e capacità delle persone la pubblicità si attua attua
attraverso i registri dello stato civile.

Le forme di pubblicità in questione possono avere i diversi effetti descritti in tabella,


ma uno degli effetti più importanti è quello di dirimere i conflitti tra più aventi causa
dallo stesso autore, cioè quando il titolare del diritto lo ceda a più persone; in tal
caso chi prevale tra queste?
a) conflitti tra più acquirenti di un bene immobile: prevale chi per primo ha trascritto
l'acquisto presso la conservatoria dei registri immobiliari
b) conflitti tra più acquirenti di un bene mobile non registrato: prevale chi per primo
ne ha conseguito il possesso in buona fede
c) conflitti tra più acquirenti di un diritto di credito: prevale chi per primo ha
notificato l'avvenuta cessione al debitore o ha ricevuto la sua accettazione
d) conflitti tra più titolari di un diritto di godimento: prevale chi per primo ne ha
conseguito il godimento.
Come si vede la regola secondo cui prevale, nel caso di conflitto, chi per primo ha
stipulato l'atto, non sempre trova applicazione; ma visto che in tutti questi casi l'atto
rimane valido, anche senza la pubblicità, chi perderà il bene potrà ottenere il
risarcimento del danno dalla parte che glielo ha trasferito.

La pubblicità immobiliare e dei mobili registrati.

Convivono nel nostro ordinamento due sistemi pubblicitari immobiliari: uno


generale, che è quello regolato dal c.c. e vigente in quasi tutto il territorio nazionale
e operante attraverso gli apparati dei registri immobiliari a base personale; un altro
“speciale” vigente nei soli territori annessi dopo la prima guerra mondiale e
operante attraverso gli apparati dei libri fondiari o tavolari a base personale.
La pubblicità dei beni immobili è affidata ora all’Agenzia delle entrate e si articola in
due servizi, con finalità diverse ma correlate: la conservatoria dei registri
immobiliari, deputata a ricevere e conservare i documenti trasmessi e alla tenuta dei
registri di pubblicità, con finalità di certezza della intestazione e della circolazione
giuridica dei beni; i registri catastali, con finalità fiscali.
Trascrizione: Nozione: è lo strumento di pubblicità predisposto dall'ordinamento per
rendere certi i fatti che riguadagno i beni immobili (artt. 2643 c.c.) e i beni mobili
registrati ( artt. 2683 e ss. c.c.) Si attua attraverso degli appositi registri dove sono
riportate le notizie essenziali del bene che interessa; per le automobili, ad esempio,
è stato costituito il P.R.A. mentre per gli immobili presso i registri tenuti dalle
conservatorie immobiliari ( ora, però, la competenza è passata all'Agenzia del
territorio ex l. 29\10\1991 e successive modifiche).
Occupiamoci proprio della trascrizione dei beni immobili, ma prima di vederne ( in
sintesi) la disciplina, fissiamo alcuni punti fermi dell'istituto:

1. la trascrizione dell'atto di acquisto di un bene immobile non ne condiziona la


validità ( come avviene nel sistema tavolare austriaco) ma solo l'opponibilità
ai terzi nel senso già chiarito in precedenza;
2. b di conseguenza si conferma che nel nostro ordinamento vige il principio
consensualistico (secondo cui la proprietà o altro diritto si trasferiscono e si
acquistano per effetto del consenso legittimamente manifestato, 1376), anche
se la gravità delle conseguenze relative alla mancata o ritardata trascrizione
può far dubitare della semplice efficacia dichiarativa della stessa;
3. c le trascrizioni per avere effetto devono essere " continue", cioè trovarsi di
seguito e collegate con i precedenti atti di acquisto (art. 2650 c.c.).

Ciò stabilito vediamo la disciplina della trascrizione.


Cominciamo con gli atti che devono essere trascritti,
L'art. 2643 c.c. stabilisce quali sono gli atti che devono essere trascritti;
ricordiamo, tra i tanti, i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili, o
diritti reali di godimento sulla proprietà, o, ancora la comunione costituita per tali
diritti.
Ricordiamo, ancora, i contratti di locazione di beni immobili che hanno durata
superiore a nove anni.

Secondo l'art. 2645 c.c. devono poi essere trascritti tutti gli atti che producono gli
effetti dei contratti previsti dall'art. 2643 c.c. come, ad esempio, la sentenza che
costituisce una servitù coattiva ex art. 1032 c.c.
Gli effetti della trascrizione relativamente a tali atti sono disciplinati dall'art. 2644
c.c. secondo cui: Gli atti enunciati nell'articolo precedente (2643) non hanno effetto
riguardo ai terzi che a qualunque titolo hanno acquistato diritti sugli immobili in
base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione degli atti medesimi.
Seguita la trascrizione, non può avere effetto contro colui che ha trascritto alcuna
trascrizione o iscrizione di diritti acquistati verso il suo autore, quantunque l'acquisto
risalga a data anteriore. In altre parole si sancisce l'opponibilità dell'atto nei
confronti di altri che l'hanno trascritto successivamente.
Non sono solo gli atti dell'art. 2643 a dover essere trascritti, ma il codice civile ne
elenca numerosi altri.
Ricordiamo la trascrizione di contratti preliminari ex art. 2645 bis, dove è previsto
che la trascrizione del contratto definitivo o di altro atto che costituisca comunque
esecuzione dei contratti preliminari oppure della sentenza che accoglie la domanda
diretta ad ottenere l'esecuzione in forma specifica dei contratti preliminari predetti,
prevale su analoghi atti effettuati successivamente da altri.
Ancora devono essere trascritte le divisioni ( art. 2646 c.c.); la trascrizione
dell'eredità e del legato se ha ad oggetto beni immobili ( art. 2648 c.c.); le sentenze
e (art. 2651 c.c.) e le domande giudiziali ( art. 2652 c.c.) sempre relative a detti beni
anche quando si dichiari la invalidità o inefficacia degli atti relativi a beni
immobili( art. 2655 c.c. in tal caso v'è annotazione), e da ultimo, la trascrizione di atti
di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone
con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche ( art.
2645 ter c.c.), trascrizione che secondo alcuni avrebbe introdotto in Italia l'istituto
del trust.
Come già accennato è essenziale, per l'opponibilità ai terzi, che vi sia la continuità
della trascrizioni.
Secondo l'art. 2650 c.c. se un atto di acquisto è soggetto a trascrizione, le successive
trascrizioni o iscrizioni a carico dell'acquirente non producono effetto, se non è stato
trascritto l'atto anteriore di acquisto.
Sulla procedura per la trascrizione è necessario, secondo l'art. 2657 c.c. possedere
una sentenza o una scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata
giudizialmente, oppure un atto pubblico.
Possedendo uno di questi titoli ci si può recare dal conservatore che si trova presso
l'ufficio dei registri immobiliari dove si trova l'immobile, e presentate una copia
autenticata degli stessi e una nota di trascrizione, con il contenuto richiesto dall'art.
2659 c.c., e il pubblico ufficiale provvederà alla trascrizione procedendo ad una
numerazione progressiva degli atti relativi al bene in questione.
Il conservatore è personalmente responsabile per i ritardi e gli errori della
trascrizione, come anche il notaio o altro pubblico ufficiale che ha ricevuto o
autenticato l'atto, che devono curare che la trascrizione sia eseguita nel più breve
tempo possibile (art. 2671 c.c.).
La trascrizione, infine, può essere cancellata quando è consentita dalle parti
interessate oppure è ordinata giudizialmente con sentenza passata in giudicato.

Informazioni dei registri del catasto: Il Catasto rappresenta:


– l’inventario dei beni immobili esistenti sul territorio nazionale;
– è la base per le imposizioni fiscali;
– conserva le informazioni relative a: – individuazione univoca del bene; – sua
estensione e consistenza;
– destinazione d’uso del bene;
– grado di produttività e relativi redditi; – possessori e titolari di altri diritti reali.
Le finalità del Catasto
– l’accertamento della proprietà immobiliare con la gestione delle sue mutazioni
– la perequazione fiscale da attuare attraverso la determinazione per ciascuna
particella di specifiche rendite che ne rappresentino le principali caratteristiche

• Inoltre,nel tempo il Catasto ha fornito una importante base cartografica per scopi
civili
– Individuazione degli immobili nelle compravendite, nelle operazioni ipotecarie e
nell’elaborazione degli strumenti urbanistici
Il Catasto nella legge fondamentale • L’articolo 1 della Legge Fondamentale del
1886 definisce il Catasto Italiano quale: – catasto geometrico particellare
• il Catasto basa l’identificazione dei beni immobili su mappe fondate sul rilievo
topografico volto alla determinazione di ciascuna particella: una porzione continua
di terreno situata in un solo Comune, appartenente ad un unico possessore,
assoggettata ad un’unica specie di coltura (qualità), con uniforme grado di
produttività (classe).
– fondato sulla misura e sulla stima, – non probatorio:
• il catasto non certifica i diritti reali sugli immobili (es. la proprietà).

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