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Il diritto nasce come fenomeno sociale, ovvero fa riferimento all’ insieme di regole di condotta che
disciplinano i rapporti tra i membri di una comunità, indirizzandone il comportamento verso il
perseguimento di determinati fini. Questo complesso di regole costituisce l’ ordinamento giuridico di una
comunità. L’ ordinamento giuridico è retto da un ordine normativo composto da un complesso di norme
giuridiche sistematicamente ordinate.
La norma giuridica è una regola di comportamento che si distingue da altre regole di condotta umana per
una serie di caratteri:
La generalità: in quanto si rivolge alla generalità degli individui.
L’ astrattezza: in quanto disciplina fattispecie astratte, a cui dovranno poi ricondursi tutti i casi
concreti.
La novità: in quanto ogni norma giuridica è anche nuova, nel senso che apporta una innovazione
nel quadro normativo, introducendo una regola prima inesistente o sostituendo, modificando,
integrando una regola già preesistente.
L’ esteriorità: in quanto oggetto è solo l’ azione che il soggetto manifesta all’ esterno.
L’ intersubbiettività: in quanto regola comportamenti umani nei rapporti con altri soggetti dell’
ordinamento.
L’ imperatività: in quanto la norma giuridica si configura come una prescrizione o divieto di un
determinato comportamento.
La coercibilità: in quanto prevede una sanzione per coloro che non rispettano il suo precetto.
(possiamo avere sanzioni negative come multe oppure sanzioni positive come incentivi
economici).
Il carattere dell’ intersubbietività comporta come si è visto l’ instaurazione di rapporti giuridici tra entità
costituenti “soggetti di diritto”. Possono essere le persone umane in carne ed ossa ovvero le “persone
fisiche” e le “persone giuridiche” intese come complessi di uomini e mezzi cui l’ ordinamento riconosce
una personalità giuridica. Le persone giuridiche si possono distinguere in:
Pubbliche: ovvero lo stato ed altri enti pubblici che perseguono interessi pubblici.
Private: che perseguono interessi privati.
Ai soggetti di diritto fanno capo situazioni giuridiche di potere o vantaggio, che costituiscono il diritto
soggettivo, inteso come facoltà d’ agire a tutela di un proprio interesse riconosciuto dall’ ordinamento
giuridico; e situazioni giuridiche di dovere o svantaggio.
Il concetto di ordinamento giuridico è stato variamente interpretato a seconda delle diverse teorie che
considerano:
La norma quale elemento fondante l’ organizzazione sociale (concezione normativistica), il cui
portavoce è kelsen. Secondo tale teoria, l’ ordinamento giuridico è un’ insieme di norme ciascuna
delle quali è legittimata da altre norme superiori.
L’ istituzione quale fonte produttrice del diritto (concezione istituzionale), il cui portavoce è santi
romano. Questa teoria considera l’ ordinamento giuridico come il risultato derivante dall’
organizzazione sociale di un determinato gruppo di individui.
Vi sono tre elementi indispensabili ai fini dell’ esistenza dell’ ordinamento giuridico:
La plurisoggettività: senza la quale mancherebbero i destinatari delle norme giuridiche.
L’ organizzazione: senza la quale mancherebbero quegli apparati, quelle strutture la cui
funzionalità è presupposto dell’ effettività e validità di un ordinamento giuridico.
La normazione: senza la quale non si potrebbe mantenere un ordine stabile.
Nonostante oggi vi siano ancora posizioni a favore dell’ unicità dell’ ordinamento giuridico, è prevalente
la presa di posizione che afferma la pluralità degli ordinamenti giuridici. Vi sono diversi tipi di pluralismo:
Monotipico: che riconosce la giuridicità del solo ordinamento statale ammettendo però l’
esistenza di tanti ordinamenti giuridici quanti sono gli stati.
Politipico: che ammette la giuridicità di ordinamenti giuridici anche diversi da quelli statali.
A sua volta all ‘ interno del diritto pubblico possiamo distinguere tra:
Diritto pubblico interno che si suddivide in vari rami: diritto costituzionale-diritto amministrativo-
diritto penale-diritto tributario-diritto processuale-diritto ecclesiastico.
Diritto pubblico internazionale: che comprende le regole di condotta che gli stati devono
rispettare durante i loro rapporti.
Poi col passare del tempo e con la progressiva assunzione da parte dello stato di finalità di carattere
economico e sociale si sono sviluppati nuovi settori del diritto di carattere “misto”, riconducibili sia al
diritto privato che al diritto pubblico, come ad esempio: il diritto del lavoro e il diritto dell’ economia.
Capitolo ii – lo stato
Lo stato nasce come forma di organizzazione storica del potere politico, tra il xv e xvii secolo, caratterizzato
dall’ uso legittimo della forza, esercitato su una comunità di persone all’ interno di un determinato territorio.
La sovranità: costituisce sia il potere supremo dello stato all’ interno del proprio territorio (sovranità interna)
sia l’ indipendenza dello stato rispetto a qualsiasi altro stato (sovranità esterna).
La sovranità dello stato è suprema ed esclusiva, in quanto non riconosce altri poteri a sé superiori e detiene il
monopolio dell’ uso della forza legittima, al fine di garantire una pacifica convivenza dei cittadini all’ interno
del proprio territorio. È inoltre originaria, in quanto sorge al momento della nascita dello stato e non viene
conferita da autorità superiori.
Il concetto della titolarità della sovranità si è evoluto nel corso del tempo, abbiamo sostanzialmente tre
teorie:
Appartiene allo stato: che in quanto tale possiede una personalità astratta titolare di personalità giuridica.
Appartiene alla nazione: che è un’ entità collettiva caratterizzata da una comunione di interessi, valori (tale
teoria si afferma dopo la rivoluzione francese).
Appartiene al popolo: tale teoria previene dalle tesi di rousseau.
Il concetto di forma di stato identifica il rapporto che si viene a determinare tra lo stato e la società civile.
Le diverse forme di stato che si sono succedute nel tempo sono state profondamente condizionate da
fattori economici, politi, culturali, intrecciati tra loro che incidono sulle strutture e sull’ organizzazione dello
stato. Il concetto di stato nasce tra il xv e il xvii secolo.
A partire dalla seconda metà del xiv secolo si contrappone all’ assetto feudale una nuova forma di
organizzazione sociale: gli stati-nazione che si sviluppano in francia, inghilterra e spagna, sotto la spinta
dei re. Al termine della guerra dei trent’ anni (1648), gli stati europei stipulano la pace di vestfalia che è un
atto con il quale per la prima volta si riconoscono reciprocamente quali enti indipendenti gli uni dagli altri
ed equiordinati, ponendo con ciò le basi del diritto internazionale pubblico.
Stato assoluto: la prima forma di stato che si delinea in questa prima fase storica è lo stato assoluto. Si
caratterizza per:
L’ affermazione di un potere assoluto accentrato nelle mani del re.
La sua autorità è di origine divina e si trasmette per via ereditaria.
Il re è titolare del potere esecutivo e legislativo.
I giudici, nominati dal re, amministrano la giustizia in nome del sovrano.
Nell’ arco di tempo che vede l ‘evolversi dello stato assoluto, possiamo distinguere due fasi: quella dell’
assolutismo empirico e quella dell’ assolutismo illuminato.
L’ assolutismo empirico (xvi-xviii secolo)
È caratterizzato da una permanente sovrapposizione tra finalità pubblicistiche e
privatistiche dello stato;
L’assolutismo illuminato (dalla fine del xviii secolo), nel corso del quale:
Si afferma una concezione politico-pubblicistica dello stato.
Nasce così lo stato di polizia che ha come funzione principale la realizzazione di
interessi pubblici, primo fra tutti il benessere dei sudditi.
Il passaggio dallo stato assoluto allo stato liberale è scaturito da cause economiche e sociali come l’
affermarsi della borghesia come classe sociale e la crescente competizione soprattutto in campo
economico.
Stato liberale:
Si ha una nuova concezione di sovranità, che si sposta dalla figura del sovrano alla nazione,
identificata principalmente con la borghesia, rappresentata dal parlamento
Si registra una separazione tra la sfera pubblica e la sfera privata. Nella sfera pubblica gli
organi dello stato esercitano legittimamente e legalmente la forza d’ imperio per assicurare il
mantenimento dell’ ordine. La sfera privata rappresenta invece una dimensione nella quale l’
individuo è sovrano.
Lo stato liberale è uno “stato non interventista”, ovvero uno stato che esegue azioni per
assicurare il corretto svolgimento delle dinamiche sociali ed economiche, senza determinarne
gli esiti.
Le contraddizioni che caratterizzavano lo stato liberale (soprattutto i favoritismi nei confronti della
borghesia capitalistica) portarono la classe proletaria a rivendicare i propri diritti alla ricerca di un principio
democratico.
Stato democratico-pluralista: nasce così lo stato democratico-pluralista, affermatosi nel corso del xx
secolo.
Il principio democratico riconosce non solo il valore della persona umana, ma anche la sua
dignità; per cui tutte le persone indipendentemente dalla loro condizione sociale o economica
hanno diritto ad una vita dignitosa.
Cambia il rapporto tra autorità e libertà: mentre nello stato liberale l’ idea di libertà dell’ individuo
comportava l’ esclusione dello stato dalla sfera privata, nello stato democratico-pluralista la
libertà si compie nella partecipazione della persona alla vita politica dello stato.
Nascono così i partiti di massa che hanno un ruolo di interlocutori dei pubblici poteri.
Quindi lo stato, spinto dalle nuove forze politiche, si propone di ridistribuire la ricchezza
(attraverso il sistema tributario) in modo da realizzare l’ eguaglianza sociale.
Lo stato democratico quindi si configura come uno stato sociale o del benessere (welfare state),
attento alle categorie sociali economicamente più deboli.
Altra grande differenza tra stato democratico e stato liberale è dato dalla presenza di
costituzioni rigide, a maggiore tutela e garanzia dei diritti fondamentali. Il carattere “rigido” indica
che per attuare un processo di revisione costituzionale c’ è bisogno di un procedimento
aggravato.
È in questo periodo che si raggiunge il suffragio universale, l’ affermazione del principio di
uguaglianza e il referendum.
Stato federale e regionale: negli odierni stati democratici-pluralisti i principi della rappresentanza politica
e della separazione dei poteri hanno conosciuto un’ evoluzione, intesa come graduale distribuzione dei
poteri amministrativi ad organi ed uffici dislocati sul territorio. La dottrina distingueva tra stato unitario e
stato composto.
Stato unitario: indica uno stato nel vi è un unico governo sovrano, operante sia a livello centrale
che periferico.
Stato composto: indica uno stato in cui al governo centrale si contrappongono diversi governi
locali, dotati al loro interno di poteri sovrani autonomi ed esclusivi.
Stato regionale è un tipo di stato nel quale gli enti territoriali hanno un’ autonomia più limitata. Infatti:
La costituzione statale riconosce e garantisce gli enti territoriali, attribuendo loro autonomia
politica e, nei limiti stabiliti dalla stessa costituzione, funzioni legislative.
Non è prevista una camera rappresentativa delle regioni.
Non è contemplata la partecipazione delle regioni alla funzione di revisione costituzionale.
Nel corso del xx secolo si sviluppano alcune forme di stato in completa contrapposizione rispetto ai
principi dello stato liberale: lo stato socialista e lo stato totalitario.
Stato socialista: lo stato socialista nasce dopo la rivoluzione russa nel 1917 e la successiva costituzione
dell’ unione delle repubbliche socialiste sovietiche (urss) del 1922. Si affermò in europa orientale, in cina e
a cuba. I caratteri dello stato socialista sono:
Abolizione della proprietà privata e collettivizzazione forzata dei mezzi di produzione.
Pianificazione economica burocratica e fortemente centralizzata.
Ruolo centrale del partito comunista (partito unico).
Subordinazione del diritto, dell’ ordinamento e delle libertà fondamentali al fine del socialismo.
Stato totalitario: lo stato totalitario si affermò in italia con il regime fascista (1922-1945) ed in germania
con il regime nazista (1933-1945). Le caratteristiche dello stato totalitario sono:
Esistenza di un partito unico che è protagonista assoluto della vita politica e sociale del paese.
Un forte apparato repressivo, volto ad eliminare chiunque vada contro al partito.
Il ruolo di supremazia attribuita al capo del governo, che funge da leader carismatico (duce in
italia con mussolini; führer in germania con hitler) il quale comanda la direzione politica del
paese e le forze armate.
La sovrapposizione delle strutture del partito a quelle dello stato.
L’ uso della propaganda per plagiare le masse verso gli ideali del partito.
Stati teocratici:
In questo tipo di stato, la religione si interpone nel rapporto tra governanti e governati.
La fede religiosa dominante viene proclamata quale fondamento del potere temporale e i
precetti religiosi sono la fonte primaria del diritto vigente.
È una caratteristica tipica degli stati islamici, dove la costituzione è subordinata alla legge
divina.
In questo senso si parla di stati confessionali.
Quando invece, in uno stato confessionale la massima autorità religiosa coincide con il capo del
governo dello stato stesso, parliamo di stato teocratico.
Capitolo iv – forme di governo
Per forma di governo si intende il modello organizzativo che uno stato assume in un dato momento storico per
esercitare il potere sovrano. Riguarda:
Le modalità di gestione del potere statale,
La struttura degli organi, il loro numero e i rapporti di forza tra gli stessi.
La forma di stato e la forma di governo sono strettamente correlate.
Storicamente si sono susseguite le seguenti forme di governo:
Monarchia assoluta
È la forma di governo propria dello stato assoluto. Si afferma nel corso del xvi secolo ed è caratterizzata da:
Un sistema di governo posto nelle mani del re, che agiva senza freni e vincoli.
Essa non riconosceva alcuna autorità sovranazionale ed esaltava la propria sovranità.
Agiva solo nel suo interesse ed eliminava con la forza ogni forma di dissenso.
La volontà del monarca era legge, rappresentava la fonte primaria del diritto.
Principio di separazione dei poteri= in seguito, il costituzionalismo liberale elabora il principio della separazione
dei poteri per limitare il potere politico del monarca e tutelare la libertà degli individui. Rappresenta una novità nella
storia e caratterizza il concetto di stato moderno. Il primo a teorizzare tale principio fu:
Locke che distingueva tre funzioni dello stato: la funzione legislativa assegnata al parlamento; la funzione
esecutiva e federativa (intesa come l’ esercizio dei poteri nel campo dei rapporti internazionali; potere estero)
assegnata al re.
Montesquieu, in francia nel 1748 identifica tre poteri: potere legislativo, potere esecutivo e potere
giurisdizionale. La funzione legislativa si fonda sulla volontà popolare espressa dalle assemblee
rappresentative; la funzione esecutiva scaturisce dalla volontà del monarca e si tratta di preservare l’ ordine
sia all’ interno sia all’ esterno dell’ ordinamento; la funzione giurisdizionale si occupa delle controversie tra
privati.
Sempre in francia si sviluppa con rousseau un altro tipo di pensiero che si contrappone al principio di
separazione dei poteri, che attribuisce un valore assoluto al principio democratico e identifica il sovrano nella
volontà generale della collettività. La forma di governo ideale, secondo questa corrente, assegna nelle mani
dell’ assemblea democratica il potere legislativo ed esecutivo. Ma essendo una soluzione impossibile,
rousseau ammette la distinzione tra i tre poteri dello stato: l’ espressione della volontà generale è assegnata
al popolo riunito in assemblee attraverso le leggi; gli altri organi del governo assumono un ruolo esecutivo
della volontà generale.
La dottrina dei tre poteri si afferma infine nello stato democratico-pluralista, con la funzione legislativa che
produce norme astratte e generali; la funzione esecutiva che assolve la cura degli interessi pubblici e la funzione
giurisdizionale che risolve le controversie mediante l’ interpretazione e l’ applicazione delle norme.
Monarchia costituzionale= è quella forma di governo affermatasi nel passaggio dallo stato assoluto allo stato
liberale.
Si caratterizza per la netta separazione dei poteri tra il re e il parlamento. Da un lato il sovrano manteneva i
suoi poteri; dall’ altro lato il parlamento al quale il sovrano aveva riconosciuto il potere di partecipare alla
produzione delle leggi.
Il parlamento, come si è detto, esprimeva la borghesia capitalistica, la classe sociale protagonista, e fondava
la sua legittimazione sul principio elettivo.
Poi, la classe borghese aumentò le proprie aspettative e le classi sociali subalterne iniziarono a far valere i
propri diritti e ciò comportò una nuova ripartizione delle funzioni secondo una concezione del principio della
separazione dei poteri che riflettesse più fedelmente il nuovo quadro politico.
La monarchia costituzionale, quindi, si evolve in una forma di governo parlamentare, il parlamentarismo. Esso in
una prima fase si presenta come:
Parlamentarismo “dualista”: il potere esecutivo è esercitato dal re e dal suo governo; tuttavia il governo deve
avere una doppia fiducia: quella del sovrano e quella del parlamento.
Si passa poi a una fase “monista”, nel quale il rapporto di fiducia tra parlamento e governo si consolida al
punto da assumere caratteri esclusivi e quindi il sovrano viene sempre più relegato a funzioni di
rappresentanza e garanzia, ai margini della politica.
Con la limitazione del potere del sovrano nasce l’ istituto della controfirma ministeriale: tutti gli atti del
sovrano devono essere sottoscritti dai ministri che hanno cooperato alla loro messa in opera. Attraverso la
controfirma, i ministri si assumono la responsabilità dell’ atto nei confronti del parlamento.
Forma di governo parlamentare= si basa sul rapporto di fiducia tra parlamento e governo.
Il parlamento è eletto direttamente dal corpo elettorale mentre il governo è un’ emanazione del parlamento e
si forma con un procedimento di formazione che termina con una mozione di fiducia (dopo che è stato scelto
dal presidente della repubblica).
Se non si ha la fiducia, si deve ripetere il procedimento; se non si forma proprio, si deve procedere a nuove
elezioni.
Il rapporto di fiducia, quindi, è fondamentale ma non è irrevocabile. Il parlamento, infatti, può decidere in
qualunque momento di sfiduciare il governo attraverso una mozione di sfiducia, il quale deve dimettersi.
Il sistema politico e partitico esercita una forte influenza sulla stabilità del governo parlamentare.
Il sistema bipartitico inglese
È caratterizzato da governi stabili, poiché vi sono solo due partiti: il partito conservatore e il partito laburista.
Quindi abbiamo un partito che ha vinto le elezioni, che avrà un numero di rappresentanti nel parlamento
maggiore rispetto a chi ha perso e avremo, quindi, un governo che sarà formato da più rappresentanti del
partito vincitore. Poi quel governo dovrà presentarsi in parlamento per ottenere la fiducia, che le sarà quasi
sicuramente data perché il governo è espressione della maggioranza dei seggi. Infatti, in questi casi, si dice
che c’è un’ elezione diretta del governo.
Il leader del partito che vince le elezioni diventa primo ministro.
Il governo inglese è composto da: il gabinetto ministeriale, presieduto dal primo ministro e da alcuni ministri;
e dal “government” che è il governo in senso ampio, comprendente tutti i ministri.
Il parlamento inglese è composto dalla corona e dalle due camere: la camera dei comuni e la camera dei
lord.
Un dato che caratterizza il parlamento britannico è il ruolo e la funzione dell’ opposizione parlamentare. In
seguito alle elezioni politiche, il leader del partito sconfitto assume il ruolo istituzionale di “leader dell’
opposizione” formando un proprio gabinetto ombra con il quale costruisce le basi politiche per l’ alternanza.
La forma di governo parlamentare si trova molto nella forma di stato contemporaneo, che è una forma di stato
costituzionale. La costituzione, quindi, serve a dare una certa stabilità al governo attraverso delle regole. Infatti
venne introdotto il meccanismo di “razionalizzazione” che è la
Tendenza delle costituzioni a mettere per iscritto dei meccanismi volti a dare una certa stabilità ad una forma di
governo parlamentare, questo perché è un governo che può essere instabile o avere dei problemi (sistema
multipartitico).
Ci fu un tentativo di creare una comunità di difesa (ced) che instituiva una forma di cooperazione
militare, che fu promosso ma mai ratificato.
Fu così realizzata una forma d’ integrazione economica che nasceva dal bisogno di creare uno spazio
economico comune e così nel 1951 fu firmato, tra sei paesi (francia, germania, italia, belgio, olanda,
lussemburgo), il trattato di parigi istitutivo della comunità europea del carbone e dell’ acciaio (ceca).
In seguito, dopo il fallimento della ceca, nel 1957 i trattati di roma istituirono la comunità economica
europea, che aveva come obiettivo principale l’ unione doganale (cee), e la comunità europea dell’
energia atomica (euratom) che aveva come obiettivo il coordinamento della ricerca sull’ energia
atomica e l’ assicurare un uso pacifico della stessa.
Il processo di integrazione europea proseguì per tutto il secolo con, da una parte, un graduale
allargamento dei paesi membri e ,dall’ altra, con l’ assunzione di nuove competenze della comunità.
Infatti fu firmato il trattato dell’ atto unico europeo, che fissava una coesione economica più stretta tra
le regioni europee.
Una tappa importante nel processo di integrazione è rappresentata dalla firma, nel 1992, del trattato
di maastricht che instituiva l’ unione europea (ue), una organizzazione che da un lato inglobava le
comunità europee già esistenti e dall’ altro avviava la cooperazione tra gli stati membri anche in
settori strettamente economici, come: la politica estera, di giustizia e degli affari interni (chiamati i “tre
pilastri” dell’ ue). Il trattato poi ha instituito una cittadinanza europea che si aggiunge a quella
nazionale che garantisce al cittadino europeo la libertà di circolazione e di soggiorno nel territorio
degli stati membri e l’ adozione di una moneta unica europea (euro), entrata in circolazione nel 2002.
Nel 2000 il processo di integrazione ha visto l’ adozione della carta di nizza che riconosce una carta
di diritti fondamentali ai cittadini europei.
Dopo la carta di nizza, si è cercato di approvare una costituzione europea comune valida per tutti gli
stati membri. Ma fallì perché alcuni stati la bocciarono. Tale fallimento determinò l’ abbandono dell’
idea di sostituire ai trattati una costituzione, per procedere ad una semplice riformulazione degli
stessi.
Così, nel 2009, ci fu l’ approvazione del trattato di lisbona con cui cade la distinzione tra comunità
europea e unione europea e si fa riferimento ad un unico ente: l’ unione europea. I trattati continuano
ad essere due, sebbene integrati e modificati: il trattato sull’ unione europea e il trattato sul
funzionamento dell’ unione europea. La nuova unione, quindi, ha abolito i “pilastri”, ha provveduto a
chiarire il riparto di competenze tra unione e stati membri, ed ha rafforzato il principio democratico e la
tutela dei diritti fondamentali, anche attraverso l’ attribuzione alla carta di nizza dello stesso valore
giuridico dei trattati.
L’attuale assetto istituzionale dell’ ue= la forma di governo attuale dell’ ue vede al vertice:
Il consiglio europeo
Composto dai capi di stato e di governo dei paesi membri (a seconda di chi detiene il potere
esecutivo; in italia ad esempio c’è il presidente del consiglio, in francia vi sarà il presidente
francese) e dal presidente della commissione;
Ha la funzione di dettare le linee generali dell’ indirizzo politico dell’ unione, ma non partecipa
all’ attività legislativa.
Elegge il suo presidente a maggioranza qualificata per un mandato di due anni e mezzo,
rinnovabile solo una volta, e si riunisce due volte a semestre a bruxelles.
La funzione legislativa è affidata all’ iniziativa della commissione europea con sede a bruxelles e all’
esercizio da parte di un sistema “bicamerale” composto dal parlamento europeo assieme al consiglio
dei ministri.
Il parlamento europeo
Svolge l’ attività legislativa assieme al consiglio dei ministri.
Rappresenta i cittadini dell’ ue e viene eletto ogni 5 anni con elezioni che avvengono in
contemporanea in tutti i paesi dell’ unione.
La commissione europea
È l’ organo esecutivo dell’ unione, della quale è considerata il “motore”.
Detiene il potere di iniziativa legislativa.
Agisce nell’ interesse generale europeo dal momento che il presidente e i commissari hanno un
alto grado di indipendenza e non accettano ordini da alcun governo.
È composta da un delegato per stato membro, detto commissario.
Il presidente della commissione è eletto dal parlamento europeo a maggioranza dei suoi
componenti, su proposta del consiglio europeo.
Principio di attribuzione
L’unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli stati membri
in settori specifici; l’ articolo 3 del tfue indica come settori di competenza: l’ unione doganale; la
politica monetaria; la politica commerciale comune. A questo principio segue la teoria dei poteri
impliciti ovvero che l’ ue può adottare dei mezzi , anche se non sono contemplati dal trattato, ma
necessari per perseguire dei fini propri del trattato.
Principio di sussidiarietà
Secondo cui l’ unione interviene negli ambiti che non sono di sua esclusiva competenza solo se gli
obiettivi dell’ azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli stati membri e
possono essere realizzati meglio a livello comunitario.
Consiglio d’ europa
È un’ organizzazione internazionale, diversa e indipendente dall’ ue (organizzazione sovranazionale),
nata per rafforzare il processo di integrazione a livello soprattutto sociale perché alla sua base vi è
una convenzione, carta dei diritti e delle libertà fondamentali dell’ uomo, la cedu.
È dotato di diversi organi:
Un assemblea parlamentare;
Un comitato dei ministri;
Una corte dei diritti dell’ uomo che serve per assicurare il rispetto di ciò che è sancito nella cedu
dove ogni cittadino vi si potrebbe rivolgere quando ritiene che sia stato violato uno dei suoi diritti.
Capitolo vi – l’ ordinamento italiano
Promulgato legge fondamentale del regno di sardegna il 4 marzo 1848 e diventato carta
fondamentale del regno d’ italia dal 17 marzo 1861, rimase formalmente in vigore per circa un
secolo, fino all’ avvento della repubblica.
Era una costituzione ottriata, cioè non votata da un corpo legislativo o dal popolo, ma concessa
Di spontanea volontà da un sovrano già detentore di poteri assoluti.
Era una costituzione flessibile non essendo previste procedure aggravate per la sua revisione e
nemmeno forme di controllo della conformità delle leggi allo stesso statuto.
La forma di stato delineata nello statuto albertino era lo stato liberale classico. Infatti era
enunciato il principio dell’ uguaglianza ed erano riconosciuti i classici diritti fondamentali del
costituzionalismo liberale dell’ epoca, in particolare i diritti di libertà civile, tra i quali il modello
era il diritto di proprietà, definito diritto inviolabile (art. 29).
La forma di governo delineata nello statuto albertino era quella costituzionale pura, in un quadro
di divisione dei poteri che richiamava il modello di montesquieu. Il potere esecutivo era
assegnato al re; il potere legislativo ad un parlamento bicamerale, composto da una camera dei
deputati elettiva e da un senato di nomina regia; il potere giudiziario ai giudici. In questo quadro
di divisione dei poteri di stampo liberale, però, il re aveva un ruolo di spicco perché nominava i
ministri, i giudici e i membri del senato ed inoltre poteva sciogliere anticipatamente la camera
dei deputati.
Poi con l’ aumentare dell’ autonomia del governo, grazie anche al delinearsi della figura di un
presidente del consiglio, si passò ad una forma di governo parlamentare di tipo dualista, in
quanto il governo incominciò a necessitare di una duplice fiducia, quella del re e quella del
parlamento.
Un forte cambiamento dell’ assetto istituzionale si ebbe con l’ avvento del fascismo nel quale,
pur nella formale permanenza dello statuto albertino, si passò da uno stato liberal-democratico
ad uno stato totalitario.
Tralasciando gli eventi che caratterizzarono il periodo fascista (1922-1945), i due eventi che
segnarono la storia istituzionale italiana furono: il referendum istituzionale del 2 giugno 1946,
avente come oggetto la scelta tra monarchia e repubblica, e in pari data l’ elezione dell’
assemblea costituente.
Il referendum vide la prevalenza della repubblica mentre nelle elezioni per l’ assemblea
costituente, svoltesi con criterio proporzionale, i tre partiti che riscossero maggior numero di voti
furono: la democrazia cristiana; il partito socialista italiano e il partito comunista italiano.
Principio solidarista
Correlato al principio personalista ed enunciato nello stesso art. 2 cost., che pone in correlazione la
richiesta da parte della stessa repubblica dell’ “adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà
politica, economica e sociale”. I diritti della persona debbono essere pertanto tutelati e garantiti anche
all’ interno di “formazioni sociali” quali la famiglia, la scuola, la fabbrica, al punto che una loro lesione
fa scattare l’ intervento dello stato per un loro reintegro.
Principio di eguaglianza
Enunciato nell’ art.3 cost. Nel primo comma si proclama l’ eguaglianza formale ovvero che “tutti i
cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge…”: un principio che vieta al
legislatore di porre in essere norme discriminatorie in base al sesso, alla razza, alla lingua, alla
religione, alle opinioni politiche e alle condizioni personali e sociali. Il comma 2 proclama l’
“eguaglianza sostanziale”, che specifica l’ impegno della repubblica ad una trasformazione della
società, ad un riequilibrio delle forme di svantaggio attraverso la rimozione degli “ostacoli di ordine
economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’ uguaglianza dei cittadini, impediscono il
pieno sviluppo della persona umana e l’ effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’ organizzazione
politica, economica e sociale del paese”.
Principio lavorista
Enunciato anzitutto nell’ art. 1 cost., dove si stabilisce che “l’ italia è una repubblica democratica,
fondata sul lavoro”, considerando questo fattore della produzione come fondante dell’ organizzazione
economico-sociale della stessa repubblica. Ed anche, poi, nell’ art. 4 al comma 1 e 2 cost. Dove
sancisce che “la repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che
rendano effettivo questo diritto (comma 1); “ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie
possibilità e la propria scelta, un’ attività o una funzione che concorra al progresso materiale o
spirituale della società” (comma 2). Il principio lavorista viene sviluppato in una serie di altre norme
costituzionali che prevedono particolari tutele, ad esempio, per le lavoratrici madri, per i minori, per gli
inabili al lavoro, ecc.
Fonti di produzione
Per “fonti di produzione” si intendono sia gli organi e i procedimenti sia quegli atti o quei fatti cui
l’ ordinamento attribuisce il potere di porre in essere norme giuridiche. Da non confondere con il
concetto di “fonti sulla produzione” che hanno come contenuto specifico la disciplina della
produzione di norme giuridiche e la loro efficacia (modello è la costituzione).
Fonti di cognizione
Sono quei documenti, quegli atti con cui il diritto è portato a conoscenza.
Fonti atto
Sono quegli atti giuridici a contenuto normativo risultanti da un’espressa manifestazione di
volontà di un organo competente a produrre il diritto. (es. Le leggi, i regolamenti, gli statuti degli
enti locali, ecc.).
Fonti fatto
Sono quei comportamenti, quali soprattutto le consuetudini, capaci di produrre diritto senza
tradursi in atti formali.
Fonti tipiche
Sono quelle fonti la cui formazione è regolata da procedure tipiche del genere di fonti cui
appartengono (leggi, regolamenti ecc.).
Fonti atipiche
Sono quelle fonti nel cui procedimento di formazione devono inserirsi degli elementi non
ricorrenti nel genere cui appartengono (leggi rinforzate).
Il criterio cronologico
Tra fonti dello stesso tipo quella più recente prevale su quella antecedente.
L’ effetto è l’ abrogazione della norma antecedente e opera di regola solo per il futuro (ex nunc),
e quindi dal giorno dell’ entrata in vigore della nuova fonte, con la conseguenza che tutti i
rapporti sorti in vigenza della norma antecedente continuano ad essere regolati da quest’
ultima.
Il criterio gerarchico
La fonte gerarchicamente superiore prevale su quella gerarchicamente inferiore (ad esempio, la
costituzione prevarrà sulla legge ordinaria);
L’effetto è l’ annullamento della norma inferiore. A differenza dell’ abrogazione, che ha effetto
solo sul futuro, l’ annullamento ha effetto retroattivo (ex tunc), andando a certificare un vizio
insanabile della fonte.
Interpretazione autentica
Operata dal legislatore che interviene per fissare il significato delle disposizioni normative
contenute in leggi precedenti, vincolando così gli interpreti del diritto a non dare altre
interpretazioni di quella norma e ad applicarla, con quel significato, retroattivamente.
Interpretazione giurisprudenziale
Operata dai giudici. Il risultato in questo caso è una norma giuridica che serve da fondamento
per una decisione che ha valore giuridico.
Interpretazione dottrinale
Operata da studiosi ed esperti del diritto.
Criteri di interpretazione
Interpretazione logico-letterale
Che attribuisce al formulato normativo il valore ricavabile dal contesto letterale tramite un
ragionamento logico.
L’ interpretazione estensiva
Alla quale si ricorre quando una norme esprime meno di quanto il legislatore abbia voluto.
L’ interpretazione analogica
Che si distingue in “analogia legis” e “analogia iuris”.
Il ricorso alla “analogia legis” consente di risolvere un caso concreto non regolato da alcuna
norma mediante l’ applicazione di una norma regolatrice di un caso simile.
Se l’ “analogia legis” non risolve il caso, si ricorre alla “analogia iuris” che consiste nel ricavare
la norma applicabile al caso di specie dal sistema legislativo vigente.
Dall’ etimologia del termine latino, la costituzione si pone innanzitutto quale “atto fondativo” di
una comunità che decide di fissare in un documento i propri valori, che la caratterizzano e la
definiscono. In quest’ ottica essa si configura come “legge fondamentale”, intesa come
“documento politico” il cui nucleo centrale è dato da un “sostrato di idee comuni”, nelle quali una
comunità ha deciso di riconoscersi.
“limite al potere politico” con il compito di tutelare i diritti fondamentali e garantire il principio di
separazione dei poteri;
“documento normativo”, nel quale sono disciplinate materie che si ritiene opportuno non affidare
ad altre fonti normative.
Consuetudini e convenzioni costituzionali
La costituzione quale “legge fondamentale” di un ordinamento giuridico comporta:
Che presentino alcune formulazioni elastiche, che consentano l’ adattamento del documento all’
evoluzione sociale e politica mediante comportamenti, in primo luogo “consuetudini o
convenzioni” costituzionali.
Esse non sono fonti del diritto, bensì regole politiche volte a garantire il buon funzionamento
degli organi costituzionali, anche strutturando i loro rapporti su basi certe e condivise.
È “democratica” nel senso di “fondata sulla sovranità popolare”. Ne deriva che la legittimazione
di ciascun potere o organo costituzionale deriva dal popolo e che almeno un organo
costituzionale deve avere una rappresentatività diretta.
Si pone quale fonte sulle fonti, perché legittima tutti i processi di produzione del diritto, individua
le fonti primarie, ne disciplina il procedimento, stabilisce le riserve di competenza e assegna a
ogni fonte una specifica forza o efficacia formale.
È rigida e può essere modificata solo utilizzando il procedimento previsto dall’ art. 138 cost.
È lunga, poiché contiene sia il catalogo dei diritti inviolabili e dei doveri fondamentali (artt. 13-
54) sia l’ articolazione della forma di governo e della forma di stato.
Un’ altra caratteristica di grande importanza è data dal titolo, inserito nella prima parte, dedicato
ai “rapporti economici”, nel quale vengono disciplinati non solo i diritti dei privati ma anche la
presenza dello stato nell’economia.
La revisione costituzionale
A differenza delle fonti primarie che possono essere modificate senza particolari aggravi, per
adattarsi ai cambiamenti che intervengono nella società, la costituzione italiana presenta la
propensione alla stabilità e premessa e strumento di questa stabilità sono la rigidità e quindi la
previsione di un procedimento di revisione “aggravato”, strutturato in modo da favorire una
scelta non solo “ponderata” (grazie alla duplice approvazione in ciascuna camera) ma
soprattutto “condivisa” dalle forze politiche in parlamento (il procedimento si chiude
positivamente con la maggioranza qualificata dei due terzi), con l’ intervento, in caso contrario,
del corpo elettorale quale decisore finale.
L’ unico limite esplicito si rinviene nell’ art. 139 cost., che stabilisce che “la forma repubblicana
non può essere oggetto di revisione costituzionale”, questo limite non è altro che la
positivizzazione nel testo costituzionale del risultato del referendum del 1946, che ha sottratto la
scelta a favore della repubblica alla stessa assemblea costituente.
Vi sono poi alcuni limiti impliciti. In primo luogo, collegando l’art. 139 cost. Con l’art. 1 cost., è
stata ritenuta sottratta alla revisione costituzionale anche la forma democratica dello stato.
Oltre a ciò sono ritenuti immodificabili i primi articoli della costituzione, in altre parole i “principi
fondamentali” (artt. 1-12), il principio della separazione dei poteri e il nucleo essenziale dei diritti
e doveri elencati nella parte i (artt. 13-54).
Leggi costituzionali
La costituzione, inoltre, individua le materie o gli oggetti che devono essere disciplinati con leggi
costituzionali, operando quindi una “riserva costituzionale”.
Queste leggi si collocano sullo stesso piano della costituzione ma hanno come limite il rispetto
dei principi supremi contenuti in essa. Inoltre, nei loro confronti, la revisione costituzionale
successiva alla loro adozione determina l’applicazione del criterio cronologico, con la
conseguenza che le disposizioni in esse contenute e in contrasto con il nuovo testo
costituzionale devono ritenersi abrogate, anche se non espressamente previsto.
La riserva di legge
La riserva di legge è lo strumento mediante il quale la costituzione individua la fonte abilitata a
disciplinare una determinata materia, opera quindi come regola distributiva della competenza tra le
fonti del diritto.
Per l’ approvazione iniziale e la revisione degli statuti delle regioni ad autonomia speciale (art.
116.1) e per il mutamento delle circoscrizioni regionali (art. 132.1).
L’ ambito primario di applicazione della riserva di legge è la parte i della costituzione, dedicata ai diritti
e doveri dei cittadini, nella quale essa svolge la funzione di limite rispetto ad interventi normativi dell’
esecutivo suscettibili di condizionare l’ esercizio di tali diritti da parte dei cittadini.
Il limite principale deriva dalla presenza della costituzione che, in quanto “fonte sulle fonti” e
“rigida”, esercita la propria influenza sul piano sia formale che sostanziale. La legge del
parlamento, infatti, deve essere approvata seguendo un procedimento disciplinato dalla carta
costituzionale e dai regolamenti parlamentari e deve avere un contenuto non in contrasto con la
costituzione.
I casi di ricorso alla legge formale, individuati dalla costituzione tramite l’istituto della riserva di legge,
sono ad esempio:
L’approvazione con procedimento ordinario della legge di delega al governo della funzione
legislativa (art. 72.4);
La conversione di un decreto legge (entro 60 giorni dalla presentazione del testo nelle camere)
e la legge di sanatoria che permette di regolare con legge i rapporti sorti durante l’applicazione
di un decreto legge che non è stato convertito;
L’autorizzazione alla conferma dei trattati internazionali con lo scopo di impegnare lo stato
italiano a mettere in atto un accordo stipulato a livello internazionale a cui è associato l’ordine di
esecuzione che consente al trattato o all’accordo di produrre effetti giuridici all’interno
dell’ordinamento italiano;
Decreti legislativi
I decreti legislativi sono atti aventi forza di legge emanati dal governo sulla base di una legge delega,
approvata dal parlamento, che contiene tre elementi:
L’ oggetto, che indica che l’ intervento normativo del governo non può riguardare un’ intera
materia, ma solo una sezione di essa;
Il termine, che può assumere il carattere di “data specifica” o di “arco temporale” entro il quale l’
atto deve essere emanato (l’ art. 14 della legge 400/1988 ha previsto che se la durata della
delega supera i due anni, il governo è tenuto a chiedere un parere, non vincolante, alle camere,
la cui redazione è affidata alle commissioni competenti per materia; inoltre esplicita che nel
termine va ricompreso anche il tempo necessario al presidente della repubblica per procedere
ad un controllo prima dell’ emanazione, per questo il governo deve inviare al presidente della
repubblica il testo approvato in consiglio dei ministri almeno venti giorni prima dalla scadenza
del termine);
I principi e i criteri direttivi, mediante i quali il parlamento indica le finalità e i limiti entro il quale il
legislatore delegato deve orientarsi.
Si tratta di un elemento importante nel sistema dei rapporti tra parlamento e governo, che mira
a ricondurre la delega ad un rapporto fiduciario tra i due organi costituzionali e al tempo stesso
a legare il contenuto del decreto, seppur indirettamente, alla volontà parlamentare. Da un lato,
infatti, il parlamento può con legge ritirare la delega, durante il suo esercizio da parte del
governo; dall’ altro il governo può decidere di non esercitare la delega stessa, facendo scadere
il termine senza attivarsi per ottenere una proroga.
Il decreto legge
Il decreto legge è un atto avente forza di legge adottato dal governo, sotto la sua responsabilità,
con deliberazione del consiglio dei ministri, in casi straordinari di necessità ed urgenza (come
ad esempio calamità naturali) ed emanato dal presidente della repubblica.
Entra in vigore il giorno stesso dalla sua pubblicazione sulla gazzetta ufficiale e
contestualmente il governo presenta in parlamento il disegno di legge di conversione.
A differenza dell’ abrogazione e dell’ annullamento, la decadenza opera ex tunc ovvero travolge
tutti gli effetti prodotti dal decreto, con la conseguenza che esso si configura “come mai
esistito”. Per garantire la conversione del decreto legge anche in periodi di scioglimento delle
camere, la costituzione prevede che esse si riuniscano espressamente per questo compito (art.
77.2 cost.).
Mentre per i decreti leggi il controllo si sposta sul testo risultante dalla conversione
parlamentare, data la loro breve vigenza.
Il referendum
Il referendum è uno strumento di democrazia diretta mediante il quale il popolo esercita direttamente la
propria sovranità. Nella costituzionale italiana il referendum è previsto:
Nel procedimento di revisione costituzionale, dove ha una finalità confermativa del lavoro svolto
dal parlamento (art. 138 cost.);
Con un valore consultivo, nel caso di richieste di modificazioni territoriali (art. 132);
Come strumento di legislazione popolare negativa nella forma del referendum abrogativo (art.
75) che consente al popolo elettorale di abrogare una legge o un atto avente forza di legge
(referendum abrogativo).
Il referendum abrogativo
Solo il referendum abrogativo rappresenta una fonte del diritto, anche se di tipo negativo, in
quanto, in caso di esito positivo, innova l’ ordinamento giuridico eliminando un’ intera legge (o
atto avente forza di legge) o alcune parti di essa.
Il nucleo del referendum abrogativo è il quesito al quale l’ elettore è chiamato a rispondere con
un “sì” o un “no” e che ha ad oggetto tutta (o una parte di) una legge o atto avente forza di
legge.
1. Iniziativa
Possono presentare richiesta di referendum:
5 consigli regionali: viene depositato il quesito accompagnato dalle delibere dei consigli
regionali che hanno preso l’ iniziativa, presso la cancelleria della corte di cassazione.
500.000 elettori: almeno 10 cittadini italiani presentano il quesito sempre alla stessa cancelleria,
ne viene data notizia sulla gazzetta ufficiale e da quel momento decorrono i tre mesi entro i
quali bisogna raggiungere il quorum (indica il numero di partecipanti o elettori necessario
affinché una votazione sia valida) delle 500.00 firme che devono poi essere depositate in
cassazione.
La richiesta di referendum può essere presentata dal 1° gennaio al 30 settembre di ogni anno.
2. Giudizio di ammissibilità
La fase del controllo è svolta in sequenza da due organi:
In primo luogo l’ ufficio centrale per il referendum della corte di cassazione che verifica la
conformità alla legge della richiesta e, se di iniziativa popolare, il raggiungimento del quorum
minimo di firme valide.
Una volta terminato, con esito favorevole, la fase del controllo di legittimità, interviene la corte
costituzionale, chiamata a giudicare sulla ammissibilità del quesito referendario, con riferimento
alla costituzione e all’ art. 75 cost.
Con la sentenza della corte costituzionale, che deve intervenire entro il 10 febbraio, si conclude
la fase del controllo.
3. Indizione
Se il quesito viene dichiarato ammissibile, il presidente della repubblica, su deliberazione del
consiglio dei ministri, indice il referendum che deve tenersi in una domenica compresa tra il 15
aprile e il 15 giugno.
4. Consultazione
Per essere valido il referendum, alla consultazione devono partecipare il 50%+1 (quorum strutturale)
degli aventi diritto al voto. Solo se si raggiunge tale quorum strutturale, si procede al computo dei voti.
Se prevalgono i “no”, il risultato viene pubblicato sulla gazzetta ufficiale e da quel momento
decorrono i 5 anni durante i quali non si può riproporre lo stesso quesito.
Se prevalgono i “si”, si produce l’ effetto abrogativo e il presidente della repubblica, con un
proprio decreto, dichiarerà l’ avvenuta perdita di efficacia della legge che decorre dal giorno
della pubblicazione del decreto stesso sulla gazzetta ufficiale, salvo una deroga di 60 giorni utile
a consentire al parlamento di colmare eventuali lacune.
Sono atti normativi che, pur avendo la capacità di innovare l’ ordinamento giuridico, si
presentano formalmente come atti amministrativi.
Sono deliberati dal consiglio dei ministri, previo parere obbligatorio del consiglio dello stato ed
emanati con proprio decreto dal presidente della repubblica.
I regolamenti ministeriali
Adottati dal singolo ministro o dal presidente del consiglio;
I regolamenti interministeriali
Adottati da più ministri e riguardanti oggetti che richiedono una regolamentazione trasversale;
Entrambi devono essere previsti da una legge e non possono essere in contrasto con i
regolamenti del governo e per questo motivo devono essere comunicati dal ministro adottante
al presidente del consiglio che può decidere di sottoporli alla valutazione del consiglio dei
ministri.
La consuetudine
È la principale fonte-fatto presente nell’ordinamento italiano e viene tradizionalmente descritta
come un comportamento che si ripete costantemente nel tempo (requisito oggettivo) al quale si
associa la convinzione collettiva che quell’azione sia giuridicamente dovuta (requisito
soggettivo).
Gli usi
Svolgono una funzione interpretativa e/o negoziale, essendo volti a chiarire il significato di
clausole contrattuali o di completare il contenuto di un contratto.
La prassi
Indica un comportamento che si ripete con regolarità senza essere considerato giuridicamente
vincolante da coloro che lo pongono in essere.
Fonti del diritto degli enti autonomi territoriali: statuti, leggi e regolamenti delle regioni.
Sono fonti di diritto delle regioni gli statuti, le leggi regionali ed i regolamenti regionali. Ogni regione è
dotata di un proprio statuto ma occorre distinguere tra due diverse tipologie di statuti:
La procedura di adozione e le funzioni degli statuti delle regioni ad autonomia ordinaria sono
dettate dall’ art. 123 cost.
Lo statuto delle regioni ordinarie deve essere approvato e modificato mediante una procedura
aggravata che prevede l’ approvazione a maggioranza assoluta dei membri del consiglio
regionale, con due deliberazioni successive adottate ad intervallo non minore di due mesi. Il
governo può impugnare lo statuto davanti alla corte costituzionale entro trenta giorni dalla sua
pubblicazione (se ne fa richiesta un cinquantesimo degli elettori della regione o un quinto dei
componenti il consiglio regionale). Si tratta dunque di una legge rinforzata che si pone ad un
livello superiore rispetto alle altre fonti regionali (leggi e regolamenti).
Per quanto riguarda le funzioni dello statuto delle regioni ordinarie, esso deve determinare la
forma di governo ed i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento della regione. Lo
statuto deve inoltre regolare l’ esercizio del diritto di iniziativa legislativa e del referendum su
leggi e provvedimenti amministrativi della regione e la pubblicazione delle leggi e dei
regolamenti regionali. Lo statuto deve poi disciplinare il consiglio delle autonomie locali, organo
di consultazione tra la regione e gli enti locali.
Come previsto dall’ art. 116 cost., gli statuti delle cinque regioni a statuto speciale (friuli venezia
giulia, sardegna, sicilia, trentino alto adige, valle d’ aosta) sono adottati con legge
costituzionale.
“legge statuaria”
È un’ altra fonte delle regioni a statuto speciale. Si tratta di una legge regionale rinforzata
poiché richiede una procedura aggravata per la sua adozione. La legge statuaria deve essere
approvata dal consiglio regionale a maggioranza assoluta e può essere sottoposta ad un
referendum confermativo entro tre mesi dalla pubblicazione.
La legge regionale
È una fonte primaria che si pone su un piano paritario rispetto alla legge statale, in base al
principio della separazione di competenza. L’ art 117.1 cost prevede che la legge statale e
La legge regionale abbiano gli stessi limiti: rispetto della costituzione e dei vincoli dell’ ue.
1. L’iniziativa che spetta alla giunta, al consiglio regionale e agli altri soggetti individuati dagli
statuti.
2. L’approvazione, disciplinata dagli statuti con modalità molto simili al procedimento legislativo
statale, con le commissioni consiliari in sede referente e il procedimento in sede redigente. L’
approvazione da parte del consiglio avviene articolo per articolo e con votazione finale.
3. La promulgazione che spetta al presidente della regione, alla quale segue la pubblicazione sul
bollettino ufficiale della regione (b.u.r).
Regolamenti regionali
Ci sono poi i regolamenti regionali, che nel sistema delle fonti sono subordinati alla legge
regionale e alle leggi statali.
L’ art. 117.6 cost. Stabilisce che il potere di emanare regolamenti spetta allo stato nelle materie
di legislazione esclusiva statale, salvo la possibilità di delega alle regioni, mentre in tutte le altre
materie il potere regolamentare spetta alle regioni. Spetta poi allo statuto della regione decidere
se attribuire il potere regolamentare alla giunta o al consiglio.
Il fondamento dell’autonomia degli enti locali risiede nella costituzione, ma l’esercizio della loro
potestà normativa deve svolgersi nel rispetto della legge statale e regionale.
Si prevede che gli enti locali si dotino di uno statuto, che deve essere approvato con
maggioranze qualificate.
Lo statuto deve stabilire le norme fondamentali per l’organizzazione dell’ente ma queste devono
essere in armonia con la costituzione.
Agli enti locali viene affidata anche la potestà regolamentare. Il regolamento è il tipico atto
normativo utilizzato dagli enti locali per intervenire in importanti materie di loro competenza (l’
urbanistica, la viabilità, l’ igiene). I regolamenti degli enti locali sono subordinati al loro statuto
ed anche alle leggi statali e regionali.
Sezione iv – fonti del diritto dell’ ue e fonti del diritto internazionale
Le fonti originarie
Sono i trattati comunitari dell’ unione.
L’ ultimo trattato, in ordine di tempo, è il trattato di lisbona, entrato in vigore nel 2009, che è
composto dal trattato sull’ unione europea (tue) e dal trattato sul funzionamento dell’ unione
europea (tfue).
Le fonti derivate
Sono gli atti normativi che, sulla base di quanto previsto dai trattati, possono essere adottati dal
consiglio e dal parlamento europeo.
Si distinguono in:
I regolamenti
Sono simili alle leggi del nostro ordinamento; hanno portata generale; sono obbligatori in
tutti i loro elementi; sono direttamente applicabili in tutti gli stati membri.
Le direttive
Stabiliscono ed impongono agli stati membri dei risultati da raggiungere entro un termine
prefissato; consentono allo stato membro di scegliere in maniera discrezionale come
conseguire gli obiettivi.
Le decisioni
Sono atti vincolanti che riguardano, però, solamente specifici destinatari da esse
designati come ad esempio un singolo stato membro o un’ impresa operante nell’
unione.
2. Atti normativi non vincolanti che hanno solo valenza di indirizzo politico e non fanno sorgere obblighi o
diritti nei confronti dei destinatari, sono:
Le raccomandazioni
Sono inviti rivolti nei confronti degli stati a conformarsi ad un determinato
comportamento.
I pareri
Contengono il punto di vista dell’ istituzione che li emette su una specifica questione.
La procedura legislativa ordinaria prevede per l’ adozione di un atto normativo europeo, i seguenti
passaggi in base a quanto stabilito dal tratta di lisbona:
3. Impossibilità di adottare l’ atto nel caso di mancato accordo tra parlamento e consiglio in sede di
“conciliazione”.
Rapporti tra diritto nazionale e diritto dell’ unione europea
La caratteristica fondamentale degli atti normativi non vincolanti dell’ unione è, quindi, la loro
diretta applicabilità (self-executing) che consente di produrre effetti immediati negli ordinamenti
nazionali senza che sia necessario un atto di trasposizione statale.
Ciò comporta una cessione di sovranità all’ unione da parte degli stati membri, che si accentua
nel caso in cui vi è un contrasto tra una norma europea e una norma nazionale, quella europea
prevale sulla nazionale (però la non applicazione di quest’ ultima non ha come conseguenza l’
eliminazione della stessa dall’ ordinamento italiano).
In alcuni casi, la corte di giustizia europea (cge) ha sancito il primato delle norme europee anche
sulle norme nazionali di rango costituzionale.
La questione dell’ ingresso delle norme europee nell’ ordinamento italiano e il rapporto tra diritto
nazionale e diritto europeo hanno, comunque, sollevato diversi problemi.
Innanzitutto va evidenziato che l’ italia non ha apportato modifiche costituzionali per dare un’
adeguata copertura costituzionale all’ adesione all’ ue.
In questo senso, la corte costituzionale ha usato l’ art’ 11 cost. Per giustificare l’ adesione dell’
italia all’ ue e in particolare l’ inciso che stabilisce che l’ italia <<consente in condizioni di parità
con gli altri stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri pace e
giustizia fra le nazioni>>.
La cge ha trovato un solo limite all’ ingresso del diritto dell’ ue nell’ ordinamento italiano: il
rispetto dei principi supremi e dei diritti inviolabili della costituzione italiana; limite che fino ad
oggi non è mai stato violato in quanto in quanto l’ ordinamento europeo si basa su principi e
valori simili a quelli costituzionali.
Inizialmente essa ritenne che per risolvere il contrasto tra una norma nazionale e una europea
si doveva usare il criterio cronologico. Quindi una norma più recente avrebbe dovuto abrogare
quella meno recente. Però così si riteneva sullo stesso piano la norma nazionale e quella
europea, e ciò andava in contrasto con il principio di del primato del diritto europeo, così questa
soluzione non fu accettata dalla cge.
Infine la corte costituzionale, sotto le pressioni della cge, ha riconosciuto il principio del primato
europeo su quello nazionale.
Nel complesso rapporto tra diritto nazionale e diritto europeo un importante passo avanti è stato la
riforma del titolo v della costituzione del 2001, il cui rinnovato art. 117.1 prevede l’ obbligo per le leggi
nazionali e regionali di rispettare i vincoli derivanti dal diritto europeo.
Rinvio pregiudiziale
Al fine di risolvere eventuali complicazioni nel’ applicazione del diritto europeo, i trattati dell’
unione (art. 267 tfue) hanno riservato ai giudici nazionali un importante strumento, il “rinvio
pregiudiziale” alla corte di giustizia europa.
Esso può essere impiegato nel corso di un giudizio nel caso in cui il giudice nazionale:
Abbia un dubbio sulla compatibilità di una norma europea con i trattati;
Non sappia se applicare una norma nazionale o una norma europea;
Sulla diretta applicabilità di una norma europea.
Data la complessità del rapporto tra diritto nazionale e diritto dell’unione, si è resa necessaria
l’adozione delle nostre istituzioni alla creazione degli atti normativi dell’unione (fase ascendente),
quanto la fase di trasposizione ed attuazione degli atti adottati dall’unione (fase discendente).
Fase ascendente
Nella quale, il parlamento deve partecipare direttamente alla formazione degli atti normativi
dell’unione verificandone il rispetto del principio di sussidiarietà e sviluppando un dialogo
politico con le istituzioni dell’unione.
Fase discendente
Che prevede due strumenti finalizzati ad assicurare con una maggiore efficacia la periodica
e puntuale esecuzione degli obblighi di trasposizione ed attuazione del diritto dell’unione,
che sono:
Legge europea,
Che reca le disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti in
contrasto con gli obblighi derivanti dall’apparenza dell’italia all’unione europea.
• Adattamento in forma automatica = stabilisce che l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle
norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. Si tratta delle consuetudini internazionali,
cioè di norme non scritte e tuttavia considerate obbligatorie dalla generalità degli stati.
Affinché le fonti del diritto internazionali possano produrre effetti normativi all’interno dell’ordinamento
interno, quest’ultimo deve dunque predisporre degli specifici strumenti. La tecnica utilizzata è quella
del rinvio, strumento che consente ad un ordinamento statale di rendere applicabile al suo interno le
norme derivanti da fonti esterne.
• Rinvio fisso = è lo strumento mediante il quale una fonte statale rinvia alle disposizioni di una fonte
esterna che vengono allegate alla prima. I giudici e la pubblica amministrazione dovranno applicare
tali disposizioni come norme interne. (es. Ordine di esecuzione, solitamente adottato con legge con
cui vengono recepite nell’ordinamento interno le disposizioni contenute in trattati internazionali);
• Rinvio mobile = una fonte statale non richiama un atto di un altro ordinamento, bensì una fonte di
quell’ordinamento. In questo caso l’interprete deve ricercare le disposizioni prodotte dalla fonte
esterna e gli eventuali mutamenti delle stesse, poiché l’ordinamento interno si adegua
automaticamente. La tecnica del rinvio mobile viene anche utilizzata nel diritto internazionale privato.
Capitolo viii – la repubblica e le sue istituzioni
Concetto di organo
Lo stato, in quanto persona giuridica, per manifestare ai vari livelli la propria volontà e quindi
per agire deve avvalersi di strumenti che consentano l’ imputabilità ad esso della propria
azione con gli effetti giuridici che questa comporta. Se, infatti, una persona fisica può operare
nel campo del diritto sia direttamente sia attraverso un rappresentante, lo stato quale “ente
ideale” non può agire direttamente ma deve avvalersi di strumenti che offre il diritto.
Il concetto di organo fu elaborato dalla dottrina tedesca alla fine dell’ 800. Per organo si
intende quel mezzo atto a consentire l’ immediata imputabilità della volontà espressa all’ ente
pubblico di riferimento-ed allo stato in primis-, con conseguente sostituzione del rapporto di
rappresentanza con un rapporto di “immedesimazione organica”. Occorre distinguere l’organo
come figura organizzativa, come ufficio, le cui attribuzioni, la cui sfera di competenze, sono
determinate dalla legge e la persona del funzionario preposto dell’organo.
Concetto di funzione
Correlato al concetto di potere è quello di funzione: si intende per funzioni quei grandi
raggruppamenti delle attività statali effettuabili in base alla somiglianza dei caratteri specifici di
ciascuna di esse e ciascuna realizzante uno dei modi necessari per lo svolgimento del
fenomeno giuridico.
Poteri di indirizzo
In uno stato democratico l’ indirizzo politico nasce dal popolo, titolare della sovranità,
soprattutto quando esercita il suo diritto al voto: con le elezioni politiche e con la ripartizione
dei voti tra le forze politiche, nasce l’indirizzo politico.
Nella forma di governo parlamentare, quale quella italiana, attori dell’ indirizzo politico sono
parlamento e governo legati da un rapporto di fiducia.
Corte costituzionale:
Composta da 15 giudici nominati per un terzo dal presidente della repubblica, per un terzo dal
parlamento in seduta comune e per un terzo dalle supreme magistrature ordinaria e
amministrative.
Può valutare la costituzionalità delle leggi e degli atti con forza di legge.
Risolve i conflitti di attribuzione tra i poteri dello stato.
Giudica il p. D. R. Per reati di alto tradimento o attentato alla costituzione.
Corpo elettorale
Il corpo elettorale è costituito dalla parte politicamente attiva del popolo, quella che esercita il
diritto di voto che, infatti, rappresenta la manifestazione suprema della sovranità popolare.
In sé considerato identifica l’ organizzazione di base dell’ ordinamento politico moderno.
Rappresenta il motore propulsivo che rende democratici i poteri dello stato e che attiva la
macchina costituzionale.
Requisiti per esercitare il diritto di voto
I requisiti per esercitare il diritto di voto sono: il raggiungimento dell’ età adulta (18 anni) e il
possesso della cittadinanza nello stato in cui si intende votare.
Funzioni
Elegge i membri delle istituzioni rappresentative, prima tra tutte il parlamento, che è l’ istituzione
più vicina al popolo.
Sceglie i rappresentanti italiani al parlamento europeo (73 su 751 con f. Proporzionale con voto di
preferenza)
A livello territoriale elegge gli organi rappresentativi locali (consigli regionali, consigli comunali),
oltre che dei vertici degli esecutivi (presidente della regione, sindaco). In questo caso possono
votare i cittadini che risiedono in un determinato ambito geografico.
È legittimato ad esercitare la propria sovranità in modo diretto attraverso l’ istituto del referendum.
L’ elettorato
Indica la capacità elettorale, che è un particolare tipo di capacità d’ agire che rileva dal punto di
vista politico-costituzionale. In particolare possiamo distinguere tra:
Elettorato attivo:
Indica l’ idoneità a votare.
Per l’ elezione del senato, la costituzione richiede il raggiungimento dei 25 anni d’ età.
Può essere limitato solo in particolari ipotesi menzionate dalla costituzione (art. 48.4 cost.) E
disciplinate dalla legge ordinaria. In particolare si fa riferimento ai casi di sentenza penale
irrevocabile ed alle cause di incapacità civile di indegnità morale.
Elettorato passivo
Indica l’ idoneità a candidarsi e ad essere eletti, e quindi di svolgere la carica pubblica (mandato
politico).
Per l’ esercizio dell’ elettorato passivo sono previste soglie di età diverse in base alla carica da
ricoprire:
Per la camera dei deputati sono richiesti i 25 anni d’ età; per il senato 40; per il
presidente della repubblica 50 anni.
Anche l’ elettorato passivo può essere limitato. Per le elezioni in parlamento la costituzione
menziona:
Le cause di ineleggibilità
Sono ineleggibili coloro che, a causa della professione svolta, potrebbero esercitare un’ influenza
indebita sul corpo elettorale di riferimento.
Le cause di incompatibilità
Sono incompatibili coloro che già ricoprono altre cariche istituzionali. In tali casi, il soggetto può
candidarsi e partecipare alla competizione elettorale ma, se viene eletto, deve scegliere per un
solo incarico istituzionale.,
Le cause di non candidabilità
Sono incandidabili coloro che sono stati ritenuti penalmente responsabili per alcuni delitti gravi
che rendono nulla l’ eventuale elezione. L’ istituto della non candidabilità è stato esteso ai
parlamentari ed attualmente è disciplinato dalla “legge severino” (decreto legislativo).
L’ incandidabilità originaria comporta la cancellazione dalla lista dei candidati, mentre quella
sopravvenuta comporta la decadenza dalla carica.
Il sistema elettorale
È il metodo di trasformazione della volontà popolare in voti e dei voti in seggi.
Comprende tutti gli aspetti legati al procedimento elettorale (dalla propaganda al finanziamento
dei partiti, dalla divisione del territorio in circoscrizioni o collegi allo svolgimento di eventuali
elezioni primarie).
La formula elettorale
Riguarda le operazioni di calcolo utili a tradurre i voti espressi in seggi.
La formula maggioritaria
Attribuisce il seggio al candidato che ottiene più voti nel collegio elettorale.
In questo modello il territorio è diviso in collegi uninominali, nel cui ambito gli elettori esprimono
una sola preferenza e viene eletto un solo candidato.
Ha due varianti:
La variante “majority”
Dove il candidato deve ottenere la maggioranza assoluta dei voti nel collegio per conquistare il
seggio;
Prevede un doppio turno elettorale.
La variante “plurality”
Dove al candidato può bastare ottenere la maggioranza relativa dei voti espressi, per aggiudicarsi
la carica;
Prevede un unico turno.
Vantaggi e svantaggi
La formula maggioritaria presenta molti vantaggi sul piano della stabilità politica perché favorisce
la formazione di una maggioranza compatta formata da un unico partito o da una sola coalizione.
Determina la responsabilizzazione dei partiti d’ opposizione, che non si trasformano in partiti anti-
sistema, ma partecipano attivamente alla vita istituzionale anche per aumentare le chanches di
vittoria nelle successive elezioni (meccanismo del pendolo).
Come svantaggio la formula maggioritaria può essere poco rappresentativa e c’ è il rischio che i
partiti politici minoritari rimasti esclusi possano allontanarsi dal circuito democratico.
La formula proporzionale
Attribuisce i seggi in proporzione alla percentuale di voti riportati dai candidati o dalle forze
politiche.
Consente di tutelare meglio le minoranze politiche (a differenza dell’altra formula) alle quali
garantisce un’adeguata rappresentazione in parlamento.
Vantaggi e svantaggi
Come vantaggio la formula proporzionale promuove il pluripartitismo e scoraggia la formazione di
coalizioni pre-elettorali.
Come svantaggio questa formula presenta il carattere dell’instabilità governativa.
La struttura (monocamerale o bicamerale) del parlamento di uno stato democratico riflette la scelta,
operata nelle singole costituzioni, circa il tipo di rappresentanza e il ruolo che l’ organo è chiamato a
svolgere. Si rileva, in generale, che:
La struttura monocamerale mira a dare un’ unica rappresentazione della volontà popolare,
rafforzandola.
La scelta bicamerale evidenzia invece la volontà di fondare il mandato parlamentare su diversi
elementi della società che si ritiene necessario porre alla base del rapporto rappresentativo.
Il parlamento italiano
Composizione del parlamento italiano e bicameralismo perfetto
Il parlamento italiano è composto dalla camera dei deputati e dal senato della repubblica, i cui
membri in determinate occasioni si riuniscono in forma congiunta (parlamento in seduta comune).
Nel periodo statuario, infatti, le due camere erano espressione del popolo che eleggeva a
suffragio ristretto la camera bassa, e il re che nominava i componenti della camera alta.
Invece nel sistema costituzionale repubblicano, le due camere sono entrambe rappresentative
del popolo che le elegge a suffragio universale.
Il parlamento italiano è caratterizzato dal “bicameralismo perfetto” in virtù del quale le due camere
si trovano a svolgere, in condizioni di perfetta parità giuridica, le identiche funzioni legislative e di
indirizzo e controllo sul governo. La scelta di questo bicameralismo fu introdotta per fare in modo
che ogni camera fosse il controllore e il freno dell’ altra.
Il senato
È composto da 315 senatori elettivi a cui vanno aggiunti gli ex presidenti della repubblica (che
diventano senatori a vita) e 5 cittadini, nominati dal presidente della repubblica per aver “illustrato
la patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario” (art. 59.2 cost).
Inoltre è diversa (come già abbiamo visto) l’ età per l’ esercizio dell’ elettorato attivo e
passivo per la camera e senato. Comuni sono invece le cause di ineleggibilità,
incandidabilità e incompatibilità, previste in costituzione (art.66).
La legislatura
La legislatura è la durata ordinaria della camera dei deputati e del senato della repubblica, fissata
dalla costituzione in 5 anni (art. 60 cost.).
È di esclusiva competenza del p. D. R. Nel caso in cui vi sia una crisi insanabile tra governo e
parlamento.
L’ atto di scioglimento deve trovare l’ adesione formale del presidente del consiglio che è
chiamato a controfirmare.
A conferma della natura duale dell’atto, la costituzione vieta al presidente della repubblica di
sciogliere le camere negli ultimi 6 mesi del suo mandato, per evitare un possibile accordo tra i due
soggetti coinvolti, volto a determinare uno scioglimento anticipato gradito al governo in cambio
dell’ impegno a favorire una successiva rielezione del p. D. R. (art. 88.2).
Ingorgo istituzionale
L’ eccezione a questa regola è l’ ipotesi dell’ “ingorgo istituzionale” (scadenza nello stesso
semestre della legislatura e del mandato del p. D. R.) In questo caso il presidente riacquista il
potere di scioglimento delle camere prima della scadenza del proprio mandato.
Intercorre dalla data dell’ ultima riunione delle camere precedenti a quella di insediamento delle
nuove.
Le camere in “prorogatio”:
Non possono procedere all’ elezione del nuovo capo dello stato (art. 85.3);
Possono riunirsi per la conversione in legge di un decreto legge del governo (art. 77.2);
Possono svolgere l’ ordinaria amministrazione (attività con scarso potere politico)
Ogni camera elegge il proprio presidente che ha il compito di: sia rappresentarla all’esterno sia di
organizzare i lavori, nel rispetto del regolamento.
L’elemento comune è il ricorso allo scrutinio segreto ma diversi sono i quorum richiesti e il
sistema utilizzato:
Nei primi due scrutini sono previste maggioranze molto alte per conferire alla
persona eletta un grande consenso;
Dal terzo scrutinio il quorum scende alla maggioranza assoluta dei presenti, dando
così ai gruppi la possibilità non solo di votare a favore o contro la candidatura
emersa, ma anche di astenersi, consentendo anche l’ elezione di un candidato non
gradito.
Al senato
La procedura prevede un numero di scrutini definito.
Nei primi due risulta eletto chi ottiene la maggioranza assoluta dei voti degli aventi
diritto;
I suoi membri sono eletti dall’ assemblea e sono: 4 vicepresidenti; un numero di segretari
variabile; 3 questori.
Sul piano amministrativo: adotta le norme relative all’ amministrazione, alla contabilità
interna e alla carriera dei dipendenti.
Sul piano dell’ attività politica: autorizza la costituzione di gruppi in deroga ai requisiti
numerici previsti dal regolamento; irroga le sanzioni disciplinari più gravi, proposte dal
presidente, nei confronti di singoli parlamentari;
Gruppi parlamentari
Sono definiti la proiezione parlamentare dei partiti politici, dei quali assumono di regola anche il
nome.
Ciascun deputato o senatore deve dichiarare a quale gruppo intende aderire, nei primi due giorni
successivi all’ insediamento delle nuove assemblee.
Coloro che non possono o non vogliono aderire ad un gruppo vengono assegnati al “gruppo
misto” (al gruppo misto del senato aderiscono di regola anche i senatori a vita)
Ciascun gruppo elegge al proprio interno un presidente, chiamato a far parte della conferenza dei
capigruppo:
Che è l’ organo di direzione politica di ciascuna camera e al quale spetta il compito di
definire il programma, il calendario e i tempi di lavoro della stessa.
Le commissioni parlamentari
Sono articolazioni interne delle camere e si distinguono in:
Commissioni temporanee
Costituite per il raggiungimento di una finalità definita ed hanno una durata
determinata.
Una particolare categoria di commissione temporanee è rappresentata da quelle
c.d. “di inchiesta”.
Commissioni permanenti
Rappresentano un’ articolazione stabile di ciascuna camera e svolgono sia un
ruolo fondamentale nel procedimento legislativo sia nell’ esercizio delle funzioni
di informazione e controllo.
Il loro numero (attualmente sono 14 in entrambi i rami del parlamento) e le
materie di competenza sono definite dai regolamenti parlamentari.
Giunte parlamentari
Hanno un numero variabile di membri e poteri diversi.
Una delle loro funzioni più importanti è ad esempio:
L’ interpretazione dei regolamenti interni (giunta per il regolamento).
I regolamenti parlamentari
La costituzione prevede che ogni camera debba approvare il proprio regolamento generale al
quale viene riconosciuta rilevanza esterna e ruolo di “fonte primaria”, anche se priva di forza di
legge.
Contengono:
La disciplina degli aspetti del procedimento legislativo non definiti direttamente dalla
costituzione.
Le regole di funzionamento degli organi interni delle camere.
I diritti e i doveri dei deputati e senatori.
L’ organizzazione delle strutture di servizio
Il rapporto con i dipendenti e con i terzi.
Il voto segreto è riservato (con scheda, pallina bianca o nera, voto elettronico) alle deliberazioni
che riguardano persone e, su richiesta, l’approvazione di leggi riguardanti diritti di libertà, leggi
elettorali, modifiche dei regolamenti parlamentari;
È vietato lo scrutinio segreto per votazioni riguardanti leggi di bilancio.
Lo status giuridico dei membri del parlamento (divieto mandato imperativo-mandato politico)
Nella costituzione la disciplina dello status del parlamentare (artt. 67-69) si apre con la
riaffermazione del principio del “divieto di mandato imperativo”
Che stabilisce che l’azione del rappresentante deve
perseguire l’interesse generale e non di singoli
cittadini.
Secondo un diffuso orientamento l’accettazione della candidatura nelle liste di un partito politico e
la conseguente elezione farebbero sorgere in capo al parlamentare un “mandato partitico” con l’
impegno a rispettare la “disciplina di partito”, pena l’ espulsione dal gruppo di appartenenza che
comunque non produce conseguenze sul suo status di membro del parlamento, essendo
chiamato ad aderire al gruppo misto o ad un altro gruppo parlamentare di un altro partito.
I regolamenti parlamentari prevedono che il parlamentare che vuole dimettersi deve, in primis,
illustrare in aula le proprie ragioni cui seguirà una votazione con voto segreto.
L’insindacabilità
Per la quale s’intende la non perseguibilità sul piano civile e penale del parlamentare, anche
dopo la scadenza del mandato, per i voti dati e le opinioni espresse.
L’immunità da limitazioni della libertà personale, domiciliare o della libertà di corrispondenza non
autorizzate dalla camera di appartenenza.
È circoscritta al solo periodo della carica.
Sulla richiesta di autorizzazione alla limitazione della libertà da parte dell’autorità giudiziaria si
esprime, in primo luogo, la giunta della camera interessata che svolge l’ istruttoria nei confronti
dell’ interessato e conclude i lavori proponendo all’ assemblea l’ accoglimento o il rifiuto della
richiesta che si esprime di regola con voto palese.
L’indennità
Il cui importo annuo e i cui elementi sono stabiliti dalla legge.
Dal 2012 furono soppressi i vitalizi, prima previsti per i parlamentari al termine del mandato, che
furono poi sostituiti da una pensione, calcolata con il metodo contributivo.
1. Iniziativa
Cioè la presentazione ad una delle due camere di una proposta di legge, redatta in articoli.
Il governo
Che la esercita mediante presentazione di “disegni di legge”, deliberati dal
consiglio dei ministri, previa autorizzazione del presidente della repubblica.
I singoli parlamentari
Che possono presentare, individualmente o insieme con altri colleghi, “progetti di
legge” alla propria camera di appartenenza.
Il corpo elettorale
Che può presentare alle camere una “proposta di legge” sottoscritta da almeno
50.000 elettori e accompagnata da una relazione che ne illustri le finalità generali e
il contenuto delle singole disposizioni. Ha due garanzie:
Le camere sono obbligate a prendere in considerazione il progetto presentato.
Nel caso in cui non è approvata, la proposta di legge decade al termine della
legislatura successiva.
I consigli regionali
Che deliberano la proposta di legge di iniziativa regionale che viene inviata ad una
camera dal presidente della regione.
Il cnel
Che presenta progetti di legge che non godono di nessuna garanzia. Possono
avere come oggetto qualsiasi materia ma la sua scarsa funzionalità rende
ininfluente la sua attività legislativa.
2. Discussione e approvazione
Si svolge interamente all’ interno delle camere, coinvolgendo sia le commissioni sia l’ aula.
Nel procedimento ordinario (anche definito “per commissione referente”)
Il presidente della camera alla quale il progetto di legge è stato presentato, lo assegna ad una
commissione permanente, competente per materia, dove viene discusso e vengono votati gli
eventuali emendamenti (modificazioni, mutamenti) al testo originario;
Alla fine il testo viene approvato insieme ad una relazione finale ed inviato all’ aula, dove iniziano
le “tre letture”.
La prima lettura
È introdotta dai relatori e consiste nella discussione generale.
La seconda lettura
Che consiste nella discussione dei singoli articoli, degli emendamenti a
ciascuno di essi, e alla loro votazione finale.
La terza lettura
Consiste nell’ approvazione finale del testo.
Completato l’iter in una camera, il testo viene inviato all’ altra, dove il procedimento ricomincia di
nuovo in maniera uguale.
In rispetto al bicameralismo perfetto e alla parità delle due camere, la seconda che interviene nel
procedimento legislativo ha la libertà di modificare il testo approvato dalla prima. Ne deriva che si
apre una fase di trasmissione del disegno di legge da una camera all’ altra (c.d. navette) che si
conclude solo quando entrambe lo approvano nella stessa formulazione.
In questo caso, la commissione competente per materia non si limita ad “istruire” il testo ma
effettua anche le tre letture, senza che il disegno di legge debba essere quindi discusso e votato
dall’ assemblea.
La riserva “di assemblea” in base alla quale in certe materie deve essere utilizzato
sempre il procedimento ordinario.
Inoltre ciascuna camera conserva la propria autonomia circa il procedimento da adottare con la
conseguenza che la scelta di una non influenza la scelta dell’altra.
A questi due procedimenti, i regolamenti parlamentari affiancano una procedura mista, definita
“per commissione redigente”, nella quale:
La seconda lettura viene svolta in entrambe le camere, nella commissione che ha già
svolto la fase referente;
3. Promulgazione
La terza fase è quella della promulgazione del disegno di legge “perfetto”, da parte del presidente
della repubblica che deve avvenire entro 30 giorni dall’ approvazione parlamentare o in un tempo
più breve in caso di urgenza.
La promulgazione si configura come un atto di controllo che verifica l’ eventuale presenza nel
testo di violazioni della costituzione.
Se il controllo è positivo, il presidente della repubblica promulga la legge.
Nel caso è negativo, il p.d.r. rinvia la legge alle camere con messaggio motivato,
controfirmato dal governo, nel quale illustra i motivi della mancata promulgazione.
A questo punto le camere hanno due possibilità:
Oppure lasciare inalterato il testo rispetto alla prima deliberazione, non condividendo le
considerazione del capo dello stato.
4. Pubblicazione
Della legge sulla gazzetta ufficiale a cura del ministro della giustizia.
La legge entra poi in vigore dopo il periodo della “vacatio legis” dalla sua pubblicazione, che è di
solito di 15 giorni.
Prima deliberazione
La prima fase del procedimento di revisione costituzionale si svolge secondo le regole e le
modalità di voto della procedura legislativa ordinaria (istruttoria in commissione e tre letture in
aula; scrutinio palese e maggioranza semplice).
Seconda deliberazione
In questa seconda deliberazione il disegno di legge di revisione costituzionale viene discusso e
approvato nelle linee generali, senza che possano essere apportate modifiche ai singoli articoli.
Inoltre è previsto il raggiungimento di un quorum deliberativo più alto rispetto alla prima fase, cioè
i due terzi degli aventi diritto in entrambe le camere.
Se si raggiunge questo quorum, la legge di revisione costituzionale viene promulgata
dal presidente della repubblica e pubblicata sulla gazzetta ufficiale.
Da quel momento, nei tre mesi successivi, possono presentare richiesta di referendum:
500.000 elettori;
5 consigli regionali;
Un quinto dei membri di ciascuna camera.
La mozione
Cioè un testo, sottoposto ad un voto, con il quale una camera mira ad indirizzare la politica del
governo.
Può essere presentata da un capogruppo o da dieci deputati o otto senatori e viene discussa in
aula e può essere, quindi, emendata prima di essere votata.
Mozione di “sfiducia”
Con la quale invece ogni camera può revocare l’ adesione data al programma
stesso, determinando così una crisi di governo parlamentare.
L’“interrogazione”
Cioè una domanda semplice che un parlamentare rivolge per iscritto al governo per sapere se un
determinato fatto sia vero o meno o quantomeno se ne abbia notizia.
Orale:
Deve essere calendarizza nei lavori dell’ aula entro 15 giorni dalla
presentazione;
Scritta:
Deve essere inviata dal governo all’ interrogante e al presidente dell’ assemblea
entro 20 giorni.
L’“interpellanza”
Cioè in una domanda scritta, presentata da un parlamentare, volta ad avere chiarimenti dal
governo su una determinata situazione che l’ interpellante conosce, o ritiene di conoscere, e sulla
quale vuole essere informati sulle intenzioni dell’ esecutivo.
Il governo può anche decidere di non rispondere, motivando la scelta, o rimandare la risposta.
Abbiamo poi:
Le interpellanze urgenti e le interrogazioni a risposta immediata
Che consistono in una sola domanda su un argomento di carattere generale
caratterizzato da “urgenza o particolare attualità politica”.
Le audizioni
Si svolgono in un’ unica seduta e hanno come limite il vaglio del governo sui soggetti da
ascoltare.
Le indagini conoscitive
Le inchieste parlamentari
Operano secondo le regole proprie dell’indagine e della ricerca di prove, dettate dal codice
penale, ma anche utilizzando strumenti parlamentari come le audizioni.
Se le due camere vogliono collaborare, possono instituire con legge, una commissione
bicamerale.
I risultati sono volti a individuare responsabilità politiche delle quali informare i cittadini.
La costituzione prevede che in alcuni casi obbligatori il parlamento si riunisca in seduta comune.
Le riunioni si svolgono nella sede della camera dei deputati, della quale si applica anche il
regolamento.
Funzioni
Elezione del presidente della repubblica e presenza al suo giuramento (artt. 85 e 90 cost.).
Elezione di 5 giudici della corte costituzionale.
Votazione dell’elenco dei cittadini da sorteggiare quali membri aggregati alla stessa nei giudizi
sulla messa in stato d’ accusa del p.d.r (avviene ogni 9 anni)(art. 135 cost.).
Messa in stato d’ accusa del p.d.r per alto tradimento e attentato alla costituzione.
La messa in stato d’ accusa del p.d.r.( art.90 cost.), si divide in due fasi:
1. La prima è di istruttoria
Viene svolta da un apposito comitato, composto dai membri delle giunte per le immunità
parlamentari di camera e senato.
2. In quest’ultimo caso
Si apre una seconda fase, davanti all’assemblea, che deve deliberare sul punto dopo aver
ascoltato la relazione del comitato sui fatti attribuiti al presidente, dell’ istruttoria fatta e delle
motivazioni della proposta.
In caso di votazione favorevole, il presidente della camera trasmette gli atti alla corte
costituzionale, insieme ai nomi dei parlamentari chiamati a sostenere l’accusa.
I processi di “multilevel governance” hanno evidenziato come i parlamenti dei singoli stati hanno
visto ridimensionato il proprio ruolo dalla cessione di sovranità in favore dell’ue.
Per questo, l’unione europea cerca di coinvolgere i parlamenti nazionali nella fase della
formazione del diritto europeo. Al riguardo, il trattato di lisbona riserva ai parlamenti nazionali l’ art
12 del tue che attribuisce loro una serie di poteri propri.
Differenze tra il re nel sistema dello statuto albertino e il p.d.r. nel sistema costituzionale
Di solito distinguiamo il capo dello stato di una monarchia da quello di una repubblica in base ad
alcune caratteristiche.
Il re
è un organo non elettivo,
La sua istituzione è ereditaria,
Rimane in carica fino alla morte
Non risponde giuridicamente degli atti compiuti.
La figura e il ruolo del presidente della repubblica nei lavori della costituente.
Una volta concluso il periodo liberale e fascista, i membri dell’ assemblea costituente discussero
su quale dovesse essere il ruolo del capo dello stato, non più monarchico ma repubblicano
(referendum 2 giugno 1946).
Si trattava non solo di valutare quali competenze del re potevano mantenersi in capo al
presidente della repubblica, ma anche di decidere la configurazione dell’organo, secondo la
forma di governo che si sarebbe adottata.
Così si scartò la forma di governo presidenziale poiché l’ elezione diretta del capo dello stato
avrebbe comportato una sovraesposizione politica rispetto al parlamento e si optò per una forma
di governo parlamentare.
Varie letture in dottrina del ruolo costituzionale del presidente della repubblica.
La dottrina costituzionalistica cercò subito, approvata la costituzione, di approfondire il ruolo del
presidente della repubblica.
La tendenza è di evidenziare il ruolo di potere garante del p.d.r. che può subire variazioni in base
al ruolo degli altri poteri.
Così se il governo è fortemente supportato dalla maggioranza parlamentare, il ruolo
del p.d.r. rimane in secondo piano, configurandosi come un ruolo più neutro e
imparziale.
In terzo luogo il capo dello stato ha il compito di farsi garante politico dell’ ordinamento
democratico, specialmente per quanto riguarda la tenuta della costituzione.
Il quorum necessario per essere eletto è la maggioranza dei due terzi nei primi tre scrutini, dal
quarto quella assoluta.
Inoltre, è importante la segretezza dello scrutinio per evitare un’ eccessiva politicizzazione dell’
elezione.
Una volta eletto, il presidente della repubblica, per entrare ufficialmente in carica, deve
pronunciare il giuramento di fedeltà alla repubblica e di osservanza della costituzione davanti al
solo parlamento in seduta comune.
Secondo l’ art. 86 cost., spetta al presidente del senato l’ esercizio delle funzioni del presidente
della repubblica nel caso in cui non possa svolgerle.
Si tratta dell’ istituto della supplenza, che compete al presidente del senato per due ragioni:
Secondo perché il presidente della camera dei deputati già presiede il parlamento in
seduta comune, che elegge il p.d.r.
In caso di:
Impedimento temporaneo (viaggi o malattie brevi)
Questo problema oggi non è molto rilevante perché grazie ai moderni mezzi di
comunicazione il presidente del senato supplente potrebbe interagire con il p.d.r.
Il quirinale è la sede dove il presidente della repubblica svolge le sue funzioni ufficiali, come:
L’ accoglimento dei rappresentanti diplomatici;
Il ricevimento dei capi di stato e di governo stranieri.
Cosa che può avvenire solo dopo aver sentito i presidenti delle due camere, che
esprimono un parere obbligatorio ma non vincolante, e può essere disposto anche per
un solo ramo del parlamento (vedere sez. “parlamento” per approfondimento).
Ha la facoltà di nominare senatori a vita 5 cittadini che hanno illustrato la patria per altissimi meriti
in campo sociale, scientifico, artistico e letterario.
Il presidente stesso alla fine del suo mandato diventa senatore di diritto e a vita, salvo
rinuncia.
Prima di promulgare una legge, il p.d.r. può con messaggio motivato chiedere alle
camere una nuova deliberazione.
Il rinvio può essere effettuato entro trenta giorni dall’ approvazione parlamentare della
legge.
I motivi del rinvio possono essere una violazione della costituzione (viene sottolineato il
ruolo di garante della costituzione del p.d.r.); o perché la legge è incoerente rispetto ad
altre previsioni di legge, oppure, perché intrinsecamente irrazionale.
Per quanto riguarda il rinvio delle leggi di conversione dei decreti legge, il p.d.r. sarebbe
tenuto a rinviare il prima possibile al parlamento per evitare la sua decadenza.
Possono riguardare qualunque problema che il p.d.r. ritenga debba essere valutato con
particolare attenzione dal parlamento.
Emana gli atti aventi forza di legge e i regolamenti del governo (può anche rinviare un
atto del governo che potrebbe presentare violazioni della costituzione).
In questi casi il ruolo più importante nella fissazione della data è il governo, ed in
particolare il ministro degli interni.
Per quando riguarda i referendum, una volta che il quesito ha superato il controllo
dell’ufficio centrale presso la corte di cassazione e anche della corte costituzionale per il
referendum abrogativo, spetta al presidente indirli con proprio decreto. Si tratta in realtà
di un potere ridotto, in quanto è necessaria una deliberazione del consiglio dei ministri,
cui spetterà decidere la data del referendum.
Le “esternazioni” presidenziali
Sono quelle dichiarazioni o espressioni di opinioni formalmente rivolte all’ opinione pubblica.
Secondo la costituzione, nessun atto del presidente della repubblica è valido se non è
controfirmato dai ministri proponenti, che se ne assumono la responsabilità (art. 89.1).
Il presidente della repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’ esercizio delle sue
funzioni, tranne che per alto tradimento e per attentato alla costituzione (art. 90).
Alcuni atti del p.d.r., anche se non controfirmati, sono ritenuti validi come:
Le dimissioni;
Gli atti di promovimento dei conflitti di attribuzione tra poteri dello stato davanti alla
corte costituzionale;
Gli atti adottati come presidente di organi collegiali.
Di tipo diffuso
Che ha punti di contatto con la morale e con il diritto.
Di tipo istituzionale
Ha rapporti con il mondo del diritto.
Il governo (introduzione)
Comprende tre diversi istituti:
Il consiglio dei ministri;
La pubblica amministrazione;
Gli organi ausiliari.
È l’organo che impersona ed esercita il potere esecutivo, con cui si intende una funzione di
determinazione dell’ indirizzo politico generale (art. 95 cost.).
Composizione
Il governo è composto:
Dal presidente del consiglio e
Dai ministri, che costituiscono insieme il consiglio dei ministri.
Formazione del governo e rapporto di fiducia. Mozione di sfiducia e crisi di governo. Crisi
“parlamentari” e crisi” extraparlamentari”
Il presidente della repubblica nomina il presidente del consiglio e i ministri da lui proposti che,
prima di assumere le loro funzioni, devono prestare giuramento nelle mani del presidente della
repubblica.
Il presidente della repubblica prima di affidare l’ incarico procede con una serie di consultazioni
con esponenti politici ed istituzionali affinché sia scelto colui che avrà la maggiore possibilità di
formare un governo stabile.
Il governo poi, una volta nominato ed effettuato il giuramento, deve richiedere espressamente
entro 10 giorni la fiducia (della maggioranza) dei due rami del parlamento.
Fiducia che il parlamento inizialmente concede (o negare), ma che in seguito potrebbe revocare,
sempre con una mozione parlamentare di fiducia, cioè un atto di giudizio sottoposto alla votazione
(che deve avvenire con scrutinio palese) delle due camere, deliberato a maggioranza semplice e
motivata.
Il voto pubblico serve ad informare l’ opinione pubblica e gli elettori e ad esplicitare, di
fronte allo stesso governo, quali sono i gruppi e i singoli parlamentari che lo
sosterranno e che lo contrasteranno.
La costituzione prevede anche la “mozione di sfiducia”, che approvata da parte di una camera, comporta
le automatiche dimissioni del governo.
Anche questa mozione deve essere motivata e votata per appello nominale e in più si richiede
che essa sia presentata da almeno un decimo dei membri di un’ assemblea, e che non possa
essere votata e discussa prima di tre giorni dalla sua presentazione.
Questione di fiducia
I regolamenti parlamentari e la legge 400/1988 prevedono l’ istituto della “questione di fiducia”
infatti è possibile che la verifica dello stato del vincolo fra parlamento e governo sia promossa
dallo stesso governo che dichiara di collegare la propria permanenza in carica all’ approvazione
parlamentare di un suo atto considerato come necessaria all’ attuazione dell’ indirizzo politico e la
sua mancata approvazione comporterà l’ obbligo di dimissioni del governo.
Crisi parlamentare
Parliamo di “crisi parlamentare” tutte le volte che il governo non riceve inizialmente o perde in
seguito la fiducia anche da un solo ramo del parlamento (a seguito di mozione di sfiducia o
questione di fiducia), e quindi deve dimettersi.
Crisi extra-parlamentare
Parliamo invece di crisi extra-parlamentare se è il governo a dimettersi spontaneamente.
In quest’ipotesi, il presidente della repubblica –prima di accettarle- “rinvierà” di solito il
governo in parlamento, per motivare le dimissioni (c.d. parlamentarizzazione della crisi).
In ogni caso il governo non decade immediatamente al momento delle dimissioni ma resta
in carica per “l’ ordinaria amministrazione”.
Ciò significa che a differenza del premier britannico e del cancelliere federale tedesco, il
presidente del consiglio italiano non è il capo del governo.
Infatti, egli non è in una posizione gerarchicamente superiore rispetto agli altri componenti
del consiglio.
Però, nonostante questa parità di grado egli guida comunque il governo secondo le
proprie scelte.
Chiede inizialmente alle camere la fiducia sul programma e pone poi l’ eventuale questione di
fiducia.
Comunica al parlamento la composizione del governo e ogni modifica nella sua composizione.
Previa deliberazione del consiglio dei ministri, sottopone al presidente della repubblica i disegni di
legge di iniziativa governativa da presentare alle camere e gli atti aventi forza o valore di legge e i
regolamenti governativi.
Controfirma gli atti di promulgazione delle leggi e quelli di emanazione degli atti con valore o forza
di legge, così come tutti quelli su cui si sia avuta una deliberazione del consiglio dei ministri e gli
altri atti indicati dalla legge.
Può richiedere che un disegno di legge sia discusso e votato direttamente in assemblea.
Interviene nel giudizio sulle questioni di legittimità costituzionale e come parte nei conflitti di
attribuzione tra lo stato e la regione.
Sospende gli atti dei singoli ministri, rinviandoli alla valutazione del consiglio dei ministri, e
sottopone a esso la decisione sulle divergenze tra amministrazioni diverse, contemporaneamente
competenti nella definizione di atti o provvedimenti amministrativi.
Adotta direttive per assicurare imparzialità, efficienza e buona amministrazione nei pubblici uffici e
promuove l’ azione ministeriale affinché aziende ed enti pubblici operino in coerenza con l’
indirizzo governativo.
Promuove e coordina l’ azione del governo con riferimento alle politiche dell’ ue e ai rapporti con
le regioni e con le due province autonome di trento e bolzano.
Promuove gli adempimenti governativi conseguenti alle pronunce della corte europea dei diritti
dell’ uomo, fornendo alle camere tutte le informazioni e le comunicazioni necessarie.
Gli spetta l’esercizio delle competenze di “alto direttore” e di responsabile generale “della politica
dell’informazione per la sicurezza, nell’interesse e per la difesa della repubblica e delle istituzioni
democratiche poste dalla costituzione a suo fondamento”, e di tutore del segreto di stato.
Come presidente-ministro:
“regge” la presidenza del consiglio, struttura amministrativa istituzionale di supporto alle sue
attività.
Delibera su ogni questione relativa all’ indirizzo politico fissato dal rapporto fiduciario con
le camere;
Sulle dichiarazioni relative all’ indirizzo politico e agli impegni futuri sulle quali viene richiesta
inizialmente la fiducia.
Sui disegni di legge di iniziativa governativa presentati alle camere per l’ approvazione, e sugli atti
aventi valore o forza di legge e sui regolamenti, da emanarsi in forma di d.p.r., presentati al
presidente della repubblica.
Sulle proposte di sollevare conflitto di attribuzione con altri poteri dello stato e con le regioni e
province autonome e sul promovimento della questione di legittimità costituzionale di una legge
regionale di fronte alla corte costituzionale.
Sulle linee di indirizzo della politica estera e comunitaria e sui progetti di tutti gli accordi
internazionali di “natura politica o militare”.
Sugli atti riguardanti i rapporti con la chiesa cattolica e con le altre confessioni religiose.
Sulla richiesta motivata, rivolta alla corte dei conti, di registrare un atto da quella giudicato non
legittimo.
Su tutti gli altri provvedimenti per i quali la legge lo richieda, o per i quali il presidente consideri
opportuno che il consiglio deliberi.
Un consiglio di gabinetto,
Che è un comitato di ministri composto stabilmente dai ministri scelti dal presidente del
consiglio con proprio decreto per aiutarlo nelle sue funzioni.
Comitati interministeriali,
Sono organi collegiali a composizione più ristretta di quella del gabinetto-consiglio, che
svolgono funzioni di direzione e di governo nella cura dei singoli settori interdicasteriali,
con poteri deliberanti e provvedimentali
Sono previsti da una specifica legge e operano sotto la presidenza del presidente del
consiglio. (es. Cipe – comitato interministeriale per la programmazione economica).
Sottosegretari di stato
Sono nominati con d.p.r., su proposta del presidente del consiglio, insieme con il ministro
con cui il sottosegretario è chiamato a cooperare, sentito il consiglio dei ministri.
I sottosegretari, quindi, aiutano il loro ministro ed esercitano soltanto i compiti loro delegati
con decreto ministeriale.
Possono intervenire alle sedute delle camere e delle commissioni parlamentari.
Del loro operato è responsabile il ministro.
Responsabilità governative
Responsabilità politica
Secondo la costituzione, “i ministri sono responsabili collegialmente degli atti del consiglio dei
ministri, e individualmente degli atti dei loro dicasteri (ministeri).
Il presidente del consiglio è, in particolare, responsabile della politica generale del governo, che
egli ha il compito di dirigere.
Responsabilità giuridica
Egli risponde civilmente dei danni arrecati a terzi e di quelli arrecati alla pubblica amministrazione
nell’esercizio delle funzioni.
La responsabilità del ministro come “capo dicastero” poi gli deriva anche dal fatto che egli
controfirma gli atti da emanarsi dal presidente della repubblica, così assumendone ogni
responsabilità.
Quanto alla responsabilità penale, ministri e presidente del consiglio sono responsabili, anche
dopo la scadenza della carica, per i cosiddetti reati ministeriali,
Commessi cioè nell’esercizio delle
funzioni di governo.
La costituzione prevede oggi che essi siano giudicati dalla giurisdizione ordinaria “secondo le
norme stabilite da legge costituzionale.
Presupposto per il giudizio penale è:
Una volta ottenuta, sul reato contestato giudicherà il tribunale, secondo le norme
ordinarie.
Il referendum popolare del giugno 2011 ha poi abrogato la legge che prevedeva, per il presidente
del consiglio e per i ministri, un “legittimo impedimento” a comparire nelle udienze penali come
imputati se impegnati in una serie di attività di governo.
La costituzione prevede che il governo possa adottare atti normativi anche aventi la capacità di
modificare una legge parlamentare (“atti con forza o valore di legge”), e che sono sottoponibili al
giudizio di legittimità della corte costituzionale.
Questo è consentito nel momento in cui il governo sia stato delegato a ciò dalle camere con legge
(delegazione legislativa per i decreti legislativi) o per soddisfare esigenze imprevedibili e
improrogabili (decretazione d’ urgenza per i decreti legge).
Il principio comune a entrambi questi atti, aventi valore di fonte primaria, è che –nonostante siano
approvati dal governo- il titolare del potere legislativo rimane comunque il parlamento.
Tale funzione, infatti, è esercitata dal governo sempre previa autorizzazione
(delegazione) ovvero con successiva ratifica (conversione) con legge formale
delle camere.
Inoltre il consiglio dei ministri non potrà mai approvare decreti nelle materie
coperte da riserva d’ assemblea cioè nei casi in cui è richiesto che sia utilizzata la
procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte delle camere.
Ancora, non è consentito al governo, neanche in casi estremi, di disporre su materie oggetto di
legge superiore a quella ordinaria (leggi costituzionali e di revisione), o da approvarsi con una
speciale maggioranza (amnistia e indulto) o deferite alla competenza di organi costituzionali
(regolamenti di ciascuna camera) o di enti territoriali (leggi regionali e delle province di trento e
bolzano), oppure istituire commissioni d’ inchiesta.
Decreti legislativi (vedere quello fatto bene nella sez. Fonti del diritto)
Per quanto riguarda i decreti legislativi, secondo gli artt. 76 e 77 cost., “l’ esercizio della funzione
legislativa non può essere delegato al governo se non con determinazione di principi e criteri
direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti. Il governo non può, senza legge di
delegazione delle camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria”.
La legge delega fissa alcuni limiti alla funzione normativa del governo, affinché il parlamento
possa esercitare la propria istituzionale funzione di controllo-indirizzo sull’ esecutivo: oggetto;
termini; principi direttivi.
Questi limiti sono generali ed obbligatori, e il mancato rispetto di essi può portare alla’ illegittimità
costituzionale del decreto del governo, per violazione della c.d. norma interposta.
Decreti legge (vedere sez. Fonti del diritto [questo è fatto bene])
Per quanto riguarda i decreti legge, la costituzione (artt. 77.2 e 77.3) ammette che il governo
possa intervenire direttamente, in sostituzione del parlamento, con un atto normativo di immediata
applicazione, in casi straordinari di necessità e d’ urgenza (calamità naturali).
Entrano in vigore immediatamente, all’ atto della loro emanazione (in forma di d.p.r., previa la
deliberazione del consiglio dei ministri), ma devono essere presentati immediatamente (il giorno
stesso) alle camere per essere convertiti in legge (legge di conversione) da entrambe le
assemblee entro 60 giorni dalla pubblicazione, altrimenti decadono retroattivamente (come se non
fossero mai esistiti).
Comunque, considerando che i decreti non convertiti in legge dal parlamento entro il termine
prescritto hanno regolato una determinata fattispecie in un certo periodo, la costituzione afferma
che le camere mantengono la facoltà di “regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei
decreti non convertiti”. Si parla in tal caso di “legge di sanatoria”.
In riguardo ai decreti legge è dovuta intervenire spesso la corte costituzionale, per bloccare
il fenomeno della reiterazione per lunghissimo tempo di essi (mediante la successiva
riproposizione alle camere, con una nuova data ma nel testo uguale), quello dei c.d. decreti
“omnibus” e quello delle leggi di conversione dei decreti che introducono la disciplina di
materie spurie (fasulle) del tutto estranee a quelle del decreto iniziale (c.d. leggi convoglio).
Nello stesso modo la stessa corte costituzionale è dovuta intervenire per vigilare sulla
effettiva esistenza dei costituzionali presupposti di necessità ed urgenza.
Sono atti normativi con forza inferiore alla legge (sono cioè fonti secondarie) e possono essere
approvati soltanto perché una legge lo preveda, in generale o in casi singoli.
La costituzione non li regola direttamente ma si limita a richiamarli e sono disciplinati nel dettaglio
dall’ art. 17 della legge n.400/1988.
Nella categoria generale dei regolamenti vi sono i regolamenti del governo (adottati con il
procedimento amministrativo: emanazione con d.p.r., previa deliberazione del consiglio dei
ministri, sentito il parere obbligatorio del consiglio di stato e sottoposizione al visto di legittimità
della corte dei conti) e i regolamenti ministeriali e interministeriali.
Sezione vi – la magistratura
La magistratura, alla quale la costituzione dedica il titolo iv della parte seconda, costituisce un
ordine cui è affidato, secondo i principi del giusto processo regolato dalla legge, l’esercizio della
funzione giurisdizionale, quale attività pubblica statale di individuazione, interpretazione e
applicazione della legge a una fattispecie concreta, allo scopo di risolvere una controversia
insorta fra due soggetti.
Per assicurare la piena ed effettiva eguaglianza dei cittadini davanti alla legge (art. 3 cost.), la
costituzione ha stabilito che la magistratura deve essere autonoma e indipendente da ogni altro
potere.
Nel senso che l’ ordine giudiziario non deve subire, né nel suo complesso, né
rispetto alla propria attività, condizionamenti provenienti da organi appartenenti
ad altri poteri dello stato.
I magistrati si distinguono fra loro solo per le differenti funzioni esercitate e non per ruoli
gerarchici o per posizioni di reciproca sovraordinazione/subordinazione e sono soggetti soltanto
alla legge (principio di soggezione).
Infatti, il principio di soggezione del giudice alla legge realizza anche il collegamento fra l’attività
giurisdizionale e
Il popolo italiano, cui appartiene la sovranità, e nel cui nome è amministrata la giustizia;
Inoltre esclude che il magistrato possa sostituire il proprio volere autonomo alla volontà generale
e astratta del legislatore anche quando non ne condivide i contenuti e che egli possa rifiutarsi di
applicare la legge al caso sottopostogli (divieto di “non liquet”).
La magistratura ordinaria
La magistratura ordinaria si articola nei due rami:
“giudicante”
Composta dai “giudici” e titolare della funzione di decidere su una determinata
causa;
“requirente”
Composta dai “magistrati del pubblico ministero” (p.m.) che svolgono le funzioni
di:
Promozione della repressione dei reati,
Esecuzione dei provvedimenti giudiziari e
Applicazione delle misure di sicurezza
Tutela dei diritti degli incapaci.
I giudici
Sono organi giudiziari in materia civile e penale. Essi sono:
Il giudice di pace
Che è organo monocratico, competente in primo grado per le cause minori;
Il tribunale
Che è organo monocratico o collegiale nei casi previsti dalla legge, competente in primo
grado per tutte le altre cause e in appello per le sentenze del giudice di pace rese
secondo diritto;
La corte d’appello
Che è organo collegiale competente in secondo grado, eventualmente articolato in
sezioni e istituito in ciascun distretto;
All’interno della magistratura ordinaria si possono istituire sezioni specializzate per determinate
materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura;
giudici speciali:.
Sono organi giudiziari separati e distinti da quelli ordinari, stabiliti e regolati
dall’ ordinamento giudiziario;
Giudici straordinari
Sono organi giudiziari istituti ad hoc sul caso da giudicare dopo che questo è
insorto.
Il p.m., pur assumendo la qualifica di “parte processuale sia nel rito penale, in cui è indefettibile
ed essenziale, sia nel rito civile, in cui interviene solo in alcuni procedimenti”, appartiene
all’ordine giudiziario e condivide i meccanismi di reclutamento e di progressione di carriera, e lo
stesso organo di auto-governo (il csm).
Il magistrato quindi non può essere dispensato o sospeso dal servizio, né destinato ad
altra sede o funzione.
Accertare la capacità del magistrato stesso in base a criteri ed elementi oggettivi prestabiliti dalla
legge e da atti del c.s.m.
Responsabilità disciplinare
Responsabilità civile
Sono soggetti a responsabilità civile che sorge qualvolta questi siano chiamati a rispondere, a
titolo personale, del danno provocato a una parte processuale da comportamenti commessi con
dolo o colpa grave (la manifesta violazione della legge; l’alterazione del fatto o delle prove; ecc.)
Nell’esercizio delle proprie funzioni, oppure da diniego di giustizia, con l’ esclusione dell’ attività di
interpretazione di norme di diritto e di valutazione del fatto e delle prove.
Il danneggiato agisce direttamente non nei confronti del magistrato, ma dello stato.
Le disposizioni più importanti, al riguardo, sono poste negli art. 5 e 114 cost.
L’art. 5 cost., pur affermando il principio di indivisibilità e dell’ unità della repubblica,
individua anche i valori costituzionali dell’ autonomia locale e del decentramento
amministrativo.
L’ originario testo dell’ art. 114 emanava che la repubblica si riparte in regioni,
province e comuni, individuando questi enti come articolazioni della repubblica.
Quanto alle funzioni amministrative, la cost. Del 1948 prevedeva il principio del parallelismo,
secondo cui nelle materie di competenza legislativa delle regioni venivano a esse attribuite le
funzioni amministrative.
Era anche prevista la possibilità per lo stato di delegare alle regioni le funzioni amministrative alle
province e ai comuni nel caso vi fosse un interesse esclusivamente locale.
Poi il testo originario prevedeva anche che la regione esercitasse le sue funzione amministrative
delegandole alle province, ai comuni o ad altri enti locali.
Alle regioni veniva anche riconosciuta un’autonomia finanziaria.
Però a fronte del riconoscimento di queste forme di autonomia delle regioni ordinarie vi erano
anche dei limiti disciplinati dal testo costituzionale originario:
Gli statuti, le leggi e gli atti amministrativi delle regioni ordinarie erano
sottoposti a controlli statali di legittimità e di merito;
Il consiglio regionale poteva essere sciolto in certi casi dal presidente
della repubblica;
Quanto invece ai comuni e alle province, la cost. Originaria li definiva
come enti autonomi nell’ambito dei principi fissati dalla legge statale che
ne determinava anche le funzioni.
L’attuazione delle regioni: dalle regioni a statuto speciale alle regioni a statuto ordinario
La costituzione prevede una diversa disciplina per due categorie di regioni:
1. Le regioni ad autonomia ordinaria
2. 5 regioni alle quali sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia che sono:
La sicilia; la sardegna; la valle d’aosta; il friuli venezia giulia e il trentino alto
adige.
Più tardi, nel 1970, a seguito delle prime elezioni dei consigli regionali, furono istituite le regioni
ordinarie:
Che iniziarono a esercitare le proprie funzioni solo dopo il trasferimento di funzioni
amministrative da parte dello stato grazie a dei decreti legislativi.
Le riforme costituzionali del 1999 e del 2001 e il nuovo titolo v della costituzione. Le autonomie
territoriali come elementi costitutivi della repubblica
Mentre venivano attuate le leggi bassanini, si procedette anche a modificare il titolo v, parte
seconda, della costituzione e ad innovare la disciplina degli statuti speciali.
Le leggi costituzionali del 1999 hanno:
Modificato la forma di governo delle regioni ordinarie;
Introdotto l’elezione diretta del presidente della regione e
rafforzato l’autonomia statutaria regionale;
Innescato un processo di valorizzazione delle regioni e
degli enti locali.
previsto una rimodulazione dei pubblici poteri.
Si delinea un assetto costituzionale che, a differenza del vecchio testo costituzionale, considera
tutti gli enti che costituiscono la repubblica in una posizione di tendenziale pariordinazione;
Ovvero che viene a questi enti riconosciuta pari dignità costituzionale, pur essendo
diversi sotto il profilo dei poteri e delle funzioni ad essi attribuiti.
Quindi la costituzione definisce gli enti locali, al pari delle regioni, come
“enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondi i principi fissati in
costituzione”.
La nuova forma di governo regionale e il principio del simul stabunt simul cadent
La legge cost. 1 del 1999 modificando gli artt. 121,122,123 e 126 cost.,:
Ha ampliato l’ autonomia statuaria delle regioni ordinarie
Ha previsto una forma di governo basata sull’ elezione diretta del presidente della
regione.
Pur prevedendo che lo statuto di ciascuna regione ordinaria determini la forma di
governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento, contiene alcuni
vincoli inderogabili.
1. Innanzitutto sono confermati il consiglio regionale, la giunta e il suo presidente quali organi della
regione:
Il consiglio regionale
È eletto a suffragio universale diretto a livello regionale ed è titolare del potere
legislativo, può fare proposte di legge alle camere ed esercita le altre funzioni
conferitegli dalla costituzione e dalle leggi.
La giunta regionale
È l’organo esecutivo della regione ed è diretta politicamente dal suo presidente.
La legge del 2004 detta una serie di principi in base ai quali il legislatore regionale è vincolato:
Ad adottare un sistema elettorale che agevoli la formazione di stabili maggioranze e
assicuri la rappresentanza delle minoranze
Il divieto di mandato imperativo
A rispettare le disposizioni che prevedono i casi di ineleggibilità e incompatibilità del
presidente
A promuovere la parità di accesso tra uomini e donne alle cariche elettive
A individuare in cinque anni la durata degli organi elettivi.
É difficile individuare, nell’ambito della potestà legislativa concorrente, i contenuti dei principi
fondamentali della materia perché sono spesso vaghi e generici, suscettibili delle più varie
interpretazioni.
Al tempo stesso la legge statale può dettare anche norme di dettaglio che hanno carattere
transitorio e cedevole, cioè sono applicate fino a quando le regioni non dettano una propria
disciplina in materia.
Il principio di sussidiarietà è applicabile anche sul piano legislativo (criterio di distribuzione delle
funzioni amministrative e che consente l’assunzione di funzioni regionali da parte dello stato,
qualora le regioni non siano in grado di esercitarle in maniera adeguata o per esigenze unitarie).
Si parla dunque di principio di “chiamata sussidiarietà”, quando lo stato, in applicazione
del principio di sussidiarietà, attrae funzioni amministrative delle regioni.
Ciò deve comunque avvenire nel rispetto dei principi di ragionevolezza,
proporzionalità, rispetto all’obiettivo perseguito e di leale collaborazione.
L’articolo costituzionale consente a una legge ordinaria rinforzata di concedere a singole regioni
ordinarie forme e condizioni particolari di autonomia, sia nelle materie di competenza concorrente
stato-regioni che in alcune di competenza esclusiva dello stato.
La legge costituzionale ha però previsto che le disposizioni relative alle regioni
ordinarie di applichino anche alle regioni a statuto speciale.
Le province
Le province definite anche loro “enti territoriali di area vasta” sono state configurate come enti di
secondo livello, perché gli organi di governo non sono più eletti direttamente dai cittadini ma
indirettamente:
Il presidente della provincia
(eletto dai sindaci e dai consiglieri dei comuni della
provincia) è l’organo rappresentativo dell’ente;
Il consiglio provinciale
(composto dal presidente della provincia e da un numero di
consiglieri variabile in base alla popolazione, eletti da e tra i
sindaci e i consiglieri dei comuni della provincia) è l’organo
di indirizzo e controllo;
L’assemblea dei sindaci
(composta da tutti i sindaci dei comuni della provincia)
competente per l’adozione delle statuto e dotata di poteri
propositivi, consultivi e di controllo.
La legge delrio ha attribuito alle province alcune funzioni fondamentali (es. Pianificazione
territoriale e dei servizi di trasporto).
Unioni di comuni
Per quanto riguarda le unioni di comuni, la legge in esame ha introdotto alcune modifiche alla
loro potestà statuaria e regolamentare semplificando la loro disciplina.
Superamento del sistema dei controlli preventivi e costituzionalizzazione del potere sostitutivo
Al fine di valorizzare concretamente le autonomie territoriali, la riforma del 2001 ha abolito le
disposizioni che prevedevano i controlli sugli atti amministrativi delle regioni e degli enti locali e
ha previsto l’eliminazione del controllo preventivo del governo sulle leggi regionali.
La riforma del titolo v del 2001 ha introdotto in costituzione la disciplina del potere sostitutivo del
governo nei confronti degli organi delle regioni e degli enti locali nei casi espressamente previsti:
Mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria;
Pericolo grave per la sicurezza pubblica; ecc.
Una legge statale deve comunque individuare le procedure di
esercizio del potere stesso, che deve essere esercitato nel
rispetto dei principi di sussidiarietà e leale collaborazione.
Viene infine mantenuto il potere di scioglimento del consiglio regionale e di rimozione
del presidente se compiono atti contrari alla costituzione o gravi violazioni di leggi o se
lo impongono ragioni di sicurezza nazionale, con decreto del p.d.r., previa
deliberazione del consiglio dei ministri, sentita la commissione parlamentare per le
questioni regionali.
Sul piano del diritto interno invece la riforma del titolo v ha riconosciuto anche a livello
costituzionale il ruolo delle regioni sia nella fase ascendente di formazione del diritto comunitario,
sia nella fase discendente di attuazione ed esecuzione degli atti dell’unione.
Dal punto di vista del soggetto che può esercitare il sindacato di costituzionalità delle leggi, si
distingue fra un controllo di tipo:
Accentrato = nel caso in cui sia istituito un organo ad hoc, unico ad essere dotato di funzioni di
garanzia costituzionale
Diffuso = qualora il controllo di conformità a costituzione delle leggi sia affidato a ogni giudice,
in sede di interpretazione e applicazione della legge.
Dal punto di vista del momento temporale in cui il controllo di costituzionalità delle leggi è attivabile, il
sindacato è:
Preventivo = se il ricorso all’organo di giustizia costituzionale precede l’entrata in vigore della
legge
Successivo = se il ricorso è sollevato quando la legge sta già spiegando i suoi effetti.
Dal punto di vista dell’origine del procedimento di controllo di costituzionalità delle leggi il controllo è:
Concreto = se scaturisce da uno specifico caso di applicazione della legge
Astratto = se il ricorso è promuovibile anche in assenza di un caso specifico in cui la legge
deve essere applicata
Dal punto di vista della modalità di accesso al sindacato di costituzionalità delle leggi, l’accesso è di
tipo:
Diretto = se i soggetti a ciò legittimati possono adire l’organo di controllo costituzionale
mediante un apposito ricorso di costituzionalità
Incidentale o indiretto = se al fine di sottoporre una norma al controllo di costituzionalità, è
necessario che la legge debba essere prima invocata per la soluzione di una controversia
davanti al giudice, il quale provvede poi a sollevare una questione di costituzionalità
Dal punto di vista degli effetti del giudizio di costituzionalità delle leggi, il controllo è:
Ad efficacia generale = se la pronunzia dell’organo di controllo costituzionale incide
sull’ordinamento giuridico
Ad efficacia circoscritta = se invece riguarda solo le parti che hanno richiesto il controllo
Per quanto riguarda lo specifico modello di giustizia costituzionale italiano, solitamente definito
giurisdizionale misto per la combinazione originale di elementi diversi, esso oltre che direttamente in
costituzione, è stato fissato anche mediante leggi costituzionali ordinarie. Fino all’entrata in funzione
della corte costituzionale, il controllo di costituzionalità delle leggi avveniva, in regime transitorio, da
parte della corte suprema di cassazione.
O professori universitari
Ordinari in materie giuridiche;
O avvocati
Con almeno 20 anni di esercizio professionale;
O magistrati
Anche collocati a riposo, delle giurisdizioni superiori, ordinaria o
amministrative.
L’immunità
Da limitazioni della libertà personale non autorizzate dalla corte stessa;
Godono
Di una retribuzione mensile
Non possono
Candidarsi alle elezioni e iscriversi a un partito politico.
Dura
In carica 3 anni ed è rieleggibile
Ha funzioni di:
Rappresentanza istituzionale della corte
Di organizzazione e impulso dell’attività della stessa.
Sia la disposizione,
Cioè l’enunciato legislativo;
Sia la “norma”,
Cioè il significato attribuito all’enunciato all’esito del procedimento di
interpretazione.
Il controllo di costituzionalità può avvenire per due vie: una principale e una incidentale:
È proposto con un “ricorso” da parte dello stato contro una legge regionale o da parte della
regione o di una provincia autonoma contro una legge dello stato o di un’altra regione.
Il ricorso
Deve essere motivato e proposto mediante deliberazione, del consiglio dei ministri per
lo stato o della giunta regionale per la regione, entro 60 giorni dalla pubblicazione
dell’atto impugnato.
Richiede che la questione di legittimità costituzionale sia sollevata nel corso di un giudizio già
instaurato da un giudice “a quo” cioè giudice “dal quale” sorge la questione.
Può trattarsi di un qualunque organo giudicante (tranne p.m.) della
giurisdizione ordinaria o delle giurisdizioni speciali.
Il giudice a quo
Solleva la questione d’ufficio o a istanza di una delle parti con un atto, un’”ordinanza” motivata
contenente:
L’oggetto;
Il parametro del giudizio;
L’illustrazione dei profili:
La proposizione della questione di legittimità costituzionale da parte del giudice a quo ha l’effetto
di:
Sospendere il processo a quo fino alla definizione del giudizio di costituzionalità.
L’ordinanza
È notificata alle parti in causa, al presidente del consiglio o al presidente della regione ed
è pubblicata sulla gazzetta ufficiale.
Tipologie di ordinanze
Le ordinanze possono essere di:
“inammissibilità”
Quando la corte ritiene che vi sia una causa di natura processuale che
non faccia arrivare alla pronunzia di costituzionalità;
“manifesta infondatezza”
Quando la corte ritiene che la questione sollevata sia priva di solidità;
Tipologie di sentenze
Le sentenze si distinguono in due tipologie:
“di accoglimento”
Quando la corte ritiene che la q.l.c. sia fondata e dichiara l’illegittimità
costituzionale della disposizione di legge impugnata;
“di rigetto”
Quando la corte ritiene che la q.l.c. non sia fondata.
Poi abbiamo un altro insieme di sentenze, tutte di accoglimento, dette “manipolative”, nelle quali la corte
non interviene sulle “norme” (come nelle interpretative), ma sulle “disposizioni”:
Sentenze “monitorie”
Nelle quali la corte pur facendo salva la disciplina vigente (quindi sono tipi
di sentenze di rigetto) ne rileva potenziali elementi che potrebbero in
seguito dar luogo ad una successiva pronunzia di incostituzionalità e quindi
“ammonisce” il legislatore ad intervenire preventivamente, indicandogli le
linee di intervento.
La corte in rispetto del principio di corrispondenza fra “chiesto e pronunciato” può giudicare solo le
disposizioni oggetto della questione sottoposta al suo esame, salvo che dall’incostituzionalità delle
disposizioni oggetto della q.l.c. derivi l’incostituzionalità anche di altre norme di legge che saranno
dichiarate contestualmente dalla corte incostituzionali (c.d. “illegittimità costituzionale consequenziale”).
In primo luogo, il conflitto fra due organi statali facenti parte dello stesso
potere è inammissibile (es. Fra due pubbliche amministrazioni);
Il conflitto
2. Se la corte accerta che il conflitto è stato proposto in maniera giusta, si passa alla seconda fase
in cui la corte stessa esamina il merito della questione per stabilire con sentenza a quale dei due
poteri in conflitto spettavano le attribuzioni in contestazione e ad annullare l’atto eventualmente
adottato al di fuori della sfera di attribuzioni.
Un’altra funzione della corte costituzionale è quella di giudicare sull’accusa di alto tradimento o di
attentato alla costituzione da parte del presidente della repubblica, promossa dal parlamento in
seduta comune a maggioranza assoluta, previa relazione del comitato formato dai componenti
delle giunte delle due camere competenti per le autorizzazioni a procedere.
Nel giudizio sull’accusa per reati presidenziali sono aggiunti, oltre ai quindici giudici:
La corte svolge una prima fase di indagini preliminari e una seconda di tipo dibattimentale, e si
pronuncia, infine, in camera di consiglio, alla presenza dei giudici che hanno partecipato a tutte le
udienze (non è ammessa astensione), dichiarando la colpevolezza del p.d.r. per i reati attribuitigli
e stabilendo la relativa pena, oppure prosciogliendolo.
La sentenza, come tutte quelle della corte, non può essere impugnata ed è irrevocabile, tranne:
il caso in cui in seguito emergano nuove prove che dimostrino che il reato presidenziale
non sussiste o che non è stato commesso e quindi la corte può sottoporre a revisione la
precedente sentenza.
Il procedimento
Può svolgersi anche in assenza di parti costituite e la corte decide, con sentenza
e in camera di consiglio, sull’ammissibilità della richiesta referendaria una volta
ricevuta l’ordinanza dell’ufficio centrale per il referendum istituito presso la corte
di cassazione.
Continuo magistratura
Ordinamento giudiziario e riserva di legge
La costituzione prevede una “riserva di legge” in materia di ordinamento giudiziario, estesa anche
alle giurisdizioni speciali, al p.m. e alla partecipazione degli estranei all’amministrazione della
giustizia, ai quali deve essere assicurata l’ indipendenza.
La giustizia amministrativa
Esercitata in primo grado dai t.a.r. e in secondo grado dal consiglio di stato.
La giustizia contabile
Amministrata dalla corte dei conti che ha giurisdizione nelle materie di contabilità
pubblica e nelle altre specificate dalla legge.
La giustizia militare
Amministrata dai tribunali militari che in tempo di guerra hanno la giurisdizione
stabilita dalla legge. In tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati
militari commessi da appartenenti alle forze armate.
Il giudizio civile
In particolare il giudizio civile, che tutela i diritti soggettivi nei rapporti tra i privati, è promosso a
iniziativa di parte da colui il quale vanti una pretesa (attore) verso un altro soggetto (convenuto),
mediante un atto (citazione), contenente gli elementi, in fatto e in diritto, della domanda di tutela
giudiziale.
Il rito è ispirato al principio dispositivo, nel senso che alle parti spetta portare le prove a
fondamento delle loro ragioni e al principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato che
impone al giudice di decidere sulle richieste avanzate dalle parti.
Il giudizio amministrativo
Invece, è instaurato attraverso un’istanza (ricorso), proposta entro un dato termine, da colui il
quale si ritiene leso in un proprio interesse legittimo (ricorrente) contro la pubblica
amministrazione (resistente), per ottenere l’ annullamento di un atto amministrativo viziato da
violazione di legge, incompetenza o eccesso di potere, oppure contro il silenzio dell’
amministrazione al fine di ottenere il provvedimento o il comportamento richiesti.
Il processo penale
Il processo penale deve assicurare che:
La persona accusata di un reato
sia informata, in modo riservato e tempestivo, della natura e dei motivi
dell’accusa elevata a suo carico;
Disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa;
Abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone
che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e
l'interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell'accusa e
l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore;
Schema accusatorio
Inoltre, il processo penale deve rifarsi allo schema “accusatorio” nel quale la prova della
colpevolezza, portata dall’accusa, si forma nel contraddittorio della difesa, salvo che
l’interessato consenta diversamente per impossibilità oggettiva accertata e per effetto di
provata condotta illecita.
La colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi,
per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato
o del suo difensore.
Obbligatorietà dell’azione penale
La costituzione sancisce l’obbligatorietà dell’ azione penale da parte del p.m. che rafforza:
Sia il principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge penale
Sia il principio di legalità in materia penale
Perché assicura che i reati siano perseguiti da un
organo pubblico e non da un’ iniziativa di parte.
A un obiettivo sistemico,
Assicurando l’effettività al principio di legalità nell’esercizio della funzione
giurisdizionale;
Il giudice, infatti, essendo obbligato a fornire un’argomentazione logico-giuridica,
deve sempre essere in grado di dimostrare che la decisione non scaturisce dalla
propria arbitraria volontà, ma da quella della legge.
Nel caso in cui la suprema corte rilevi un vizio, ha il potere di “cassare” (annullare) la decisione
impugnata e di enunciare il principio di diritto che occorre osservare.
In questa sua funzione di giudice di legittimità, la cassazione, non solo ha natura di organo
giudiziario di rilevanza costituzionale, ma anche il ruolo di organo supremo della giustizia e di
chiusura dello stesso sistema giudiziario.
I membri elettivi del consiglio durano in carica quattro anni e non sono immediatamente
rieleggibili.
Non possono, finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali, né far parte
del parlamento o di un consiglio regionale.
Per la durata dell’incarico, è riconosciuta ai membri del csm la garanzia dell’insindacabilità delle
opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni.
Esempio di aai è:
L’autorità garante della concorrenza e del mercato (antitrust).
Gli organi ausiliari
La sezione iii (art. 99-100 cost.) Del titolo “il governo” è intitolata agli “organi ausiliari”. Essi sono:
Il consiglio di stato
È un “organo di consulenza giuridico-amministrativa e di tutela della giustizia
nell’amministrazione”.
Il presidente è nominato con d.p.r. su delibera del governo tra i magistrati del consiglio di stato
che abbiano esercitato funzioni direttive per almeno cinque anni.
Si articola in sette sezioni, di cui:
Quattro con competenze consultive:
Che sono esercitate anche dall’ adunanza generale, formata da tutti i
consiglieri.
La funzione consultiva si esercita attraverso l’emanazione di pareri,
che il consiglio di stato è tenuto a fornire all’amministrazione, tutte le
volte che gli siano chiesti.
Il parere deve essere dato entro 45 giorni dalla richiesta.
Tre esercitanti funzioni giurisdizionali.
Poi come titolare di funzione giurisdizionale, il consiglio di stato è
giudice di appello, quindi di ultima istanza riguardo alle sentenze dei
tribunali amministrativi regionali (tar).
Il consiglio di stato e la corte dei conti godono di autonomia e indipendenza e per questo sono
stati istituiti rispettivamente il consiglio di presidenza della giustizia amministrativa ed il consiglio
di presidenza della corte dei conti,
Organi collegiali competenti ad adottare i provvedimenti relativi allo status dei magistrati
amministrativi e contabili.
La pubblica amministrazione
La pubblica (p.a.) è quella struttura, composta di pubblici impiegati forniti di specifiche
competenze professionali, che ha il compito di:
Aiutare in posizione subordinata, gli organi politici centrali e locali
nell’azione di governo per la cura di interessi pubblici;
Fornire beni ed erogare servizi in favore delle comunità direttamente
amministrate.
Principi fondamentali
La costituzione non disciplina direttamente la p.a. ma ne stabilisce alcuni principi fondamentali:
Principio di legalità
Questo principio presuppone il principio di legalità che significa che non solo
l’amministrazione deve restare nell’ambito della legge, ma soprattutto che essa
deve agire secondo la legge.
Principio dell’imparzialità
Che impone alla p.a. la ponderazione e la composizione di tutti gli interessi in gioco;
Il divieto di discriminazione senza ragionevole giustificazione;
L’“aparticità” degli apparati amministrativi.
I principi di unità e indivisibilità dello stato costituiscono un punto fermo mitigato dal decentramento
amministrativo;
In base al principio autonomista, gli enti locali hanno il potere di regolamentare in modo autonomo
determinate materie.
Art. 12 - la bandiera della repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di
eguali dimensioni.
Rapporti civili
Qualsiasi tipo di prestazione a favore dello stato deve essere imposta per legge
Rapporti etico-sociali
• imprese che riguardano l’erogazione di servizi di utilità generale possono essere trasferite allo stato
Art. 44 - la proprietà terriera privata è soggetta a vincoli per legge
La cooperazione, di cui si riconosce la funzione sociale, e l’artigianato sono favoriti e tutelati dalla legge
La categoria dei diritti politici risulta dal complesso delle norme costituzionali che garantiscono il
diritto dei cittadini a partecipare, singolarmente o in forma associata, direttamente o indirettamente,
alla vita politica del paese ed alla formazione delle decisioni pubbliche, e specificano i requisiti per
il relativo esercizio.
È possibile affermare che i diritti politici sono da considerare alla stregua dei diritti umani, ovvero
come diritti fondamentali.
Essi sono parte essenziale, costitutiva, della democrazia liberale perchè le modalità attraverso cui
essi si esercitano e le loro garanzie istituzionali risultano essere determinanti nell’ambito di una
forma di stato liberaldemocratica.
Il diritto di voto è certamente lo strumento più rilevante per permettere ai cittadini di partecipare
all’organizzazione politica del paese sia in via diretta sia in via indiretta.
Dopo aver affermato il principio del suffrago universale, si prevedono quattro requisiti fondamentali
per rendere quanto possibile, libera l’espressione del voto: il voto è personale, eguale, libero e
segreto.
Personale = significa che l’esercizio del voto spetta soltanto a chi ne abbia maturato il
diritto secondo le disposizioni di legge.
Il diritto di voto, dunque, non può essere ceduto a terzi o costituire oggetto di
mandato.
Le varie leggi elettorali predispongono eccezioni apparenti alla personalità del voto
a favore di elettori fisicamente menomati i quali non potrebbero materialmente
esercitare il loro diritto senza l’assistenza di persone di loro fiducia (voto assistito).
Chi appone materialmente il voto sulla scheda elettorale funge da mero nuncius
dell’elettore impedito, il quale deve essere comunque presente nel seggio elettorale.
Eguale = significa che ad ogni voto di ogni elettore si riconosce pari peso, al di là del sesso
e delle condizioni personali, sociali ed economiche.
Il voto medesimo è irripetibile ed unico relativamente alla consultazione alla quale
l’elettore partecipa, non essendo ammesso né il voto plurimo né quello multiplo.
Libertà e segretezza = nell’esercizio di voto costituiscono una endiadi:
Le votazioni non potrebbero essere libere se non fossero segrete, e proprio perché
segrete, le votazioni sono libere.
La segretezza del voto costituisce una condizione fondamentale per l’esercizio di un
voto libero.
Per assicurarla l’ordinamento giuridico prevede una serie di misure idonee a
rendere l’elettore solo con la propria coscienza nel momento in cui si esprime, al
riparo da controlli di chiunque che comprometterebbero la genuinità del voto.
Il voto è anche un dovere civico morale, non solo un diritto, giacché inderogabile è il dovere dei
cittadini di partecipare attivamente all’organizzazione politica del paese ed in particolare alle
votazioni elettive.
Nei confronti dell’astensionista non si prevedono più neppure le blande sanzioni, probabilmente
perché è possibile configurare un contrasto tra la doverosità del voto e i principi di libertà, essendo
il non voto una potenziale manifestazione politica di dissenso.
Si riserva al legislatore ordinario di stabilire requisiti e modalità per rendere effettivo il diritto di voto
dei cittadini residenti all’estero.
A tale scopo di è previsto di istituire una circoscrizione estero per l’elezione delle camere.
Il voto dei cittadini residenti all’estero può essere esercitato per corrispondenza, a meno
che non scelgano di votare nella circoscrizione del territorio italiano relativa alla sezione
elettorale in cui sono iscritti.
Tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo
democratico alla determinazione della politica nazionale.
I partiti politici non vanno considerati come poteri dello stato ma come organizzazioni proprie della
società civile, alle quali sono attribuite dalle leggi ordinarie dello stato talune funzioni pubbliche.
Vi sono disposizioni che incidono sul tipo di partito che può essere legittimamente e
costituzionalmente riconosciuto:
Esso non deve perseguire fini vietati al singolo della legge penale, non può essere segreto,
non può perseguire, anche direttamente, i propri scopi politici mediante una organizzazione
di carattere militare.
Si limita l’iscrizione ai partiti politici ad alcune categorie di funzionari pubblici: magistrati,
militari di carriera in servizio attivo, funzionari e agenti di polizia, rappresentanti diplomatici
e consolari all’estero.
Democratico deve essere il metodo attraverso cui i partiti politici concorrono alla determinazione
della politica del paese.
La pluralità dei partiti in un ordinamento è aspetto fondamentale della democrazia poiché riflette la
varietà delle opinioni politiche dei cittadini e la dialettica ad essa sottesa. Non è possibile concepire
una democrazia con partito unico.
La competizione democratica tra più partiti indica il processo di articolazione della decisone
politica.
Spetta ai partiti politici redigere i programmi politici destinati ad ispirare l’azione del
governo, da un lato, formare e selezionare i candidati alla competizione elettorale, dall’altro,
ad instaurare un dialogo costante e costruttivo con i cittadini per consentire loro di
esprimere le loro opinioni nonché le rispettive istanze.
Ancora ad oggi, nonostante gli svariati dibattiti, non è stata adottata alcuna legge di disciplina
interna dei partiti politici. Sicché i partiti politici italiani sono ancora qualificati come associazioni
non riconosciute, per la cui regolamentazione si rinvia a scarne norme contenute nel codice civile.
Art. 50 - diritto di petizione
Tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle camere per chiedere provvedimenti legislativi o
esporre comuni necessità.
Per quanto riguarda le modalità del suo esercizio, la petizione può espletarsi sia individualmente
sia in adesione con altri. Il riferimento costituzionale alle comuni necessità deve essere interpretato
nel senso che la richiesta non può avere ad oggetto interessi puramente personali.
In realtà, nel nostro ordinamento, si può adottare la terminologia “costituzione economica” solo in senso
descrittivo, per indicare il complesso di norme che si riferiscono a principi, libertà, istituti che inquadrano o
limitano l’intervento pubblico nei rapporti economici ma non certo ad un modello di ordine economico.
La nostra costituzione è il frutto del lavoro di forze politiche unite, dalla vittoria contro un nemico comune, a
seguito della lotta di resistenza fondata su valori comuni, ma che erano tuttavia rappresentative di una
società divisa in classi ed eterogenea. Fu necessario trovare una sorta di equilibrio tra le diverse ideologie
che condusse, poi, all’inclusione nella cosiddetta costituzione economica di principi differenti.
L’obiettivo era quello di una sorta di occupazione di zone strategiche, che sarebbero rimaste inattaccabili, al
fine di impedire ogni scelta verso un sistema economico stabilito.
Se da una parte si preferiva abbandonare un modello economico fascista ed interventista, dall’altra parte
non si voleva neppure optare per un modello economico definito.
Il diritto di proprietà, che non era più un diritto sacro e inviolabile, non costituiva più un punto di particolare
interesse. Si prestava, piuttosto, attenzione all’impresa privata, di cui si rifiutava il dominio esclusivo, ma di
cui si voleva salvaguardare la libertà.
La prospettiva di aiuti dall’estero (piano marshall) avrebbe portato, inoltre, a ragionare su una cornice basata
sull’economia privata con forme di controllo dello stato.
Se si fosse voluto rintracciare nella costituzione italiana un modello economico, due modelli sarebbero stati
le varianti sviluppabili:
1. L’uno di economia di mercato controllata dallo stato e volta a perseguire delle finalità sociali;
2. L’altro di economia guidata dallo stato che fosse tesa anche alla realizzazione di finalità sociali e di
giustizia sociale.
Bisogna anche tener presente che il trattato di pace, firmato a parigi nel 1946, impegnava gli stati firmatari
ad adottare una tutela del lavoro differente. Il contratto sociale tra forze politiche, economiche e sociali definì
nella costituzione un modello di economia mista, comprendente sia un’economia pubblica, nata sotto il
fascismo, sia un’economia privata.
Gli articoli 35-40 della costituzione contengono norme relative alla tutela dei lavoratori.
Il principio lavorista attribuisce alla repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale che impediscono l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e
sociale del paese.
La tutela è prevalentemente rivolta ai lavoratori dipendenti e fissa dei punti nodali che vengono sottratti alla
disponibilità delle parti contrattuali, a partire dalla retribuzione proporzionata alla quantità ed alla qualità del
lavoro e sufficiente ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa, fino alla
durata massima della giornata lavorativa, al diritto al riposo settimanale ed alle ferie annuali retribuite.
Una particolare attenzione è dedicata alla donna lavoratrice, alla sua parità dei diritti e di retribuzione, ma
anche alla funzione familiare della donna, soprattutto della lavoratrice madre, nonché al lavoro minorile per il
quale si prevedono al legislatore una normativa sul limite minimo di età.
Queste tutele, che oggi sembrano scontate da un punto di vista legale, costituivano in realtà nel
1948 un grande salto di qualità.
Ci sarebbero voluti diversi interventi della corte costituzionale per dichiarare l’incostituzionalità di
leggi preesistenti. Ad esempio si sarebbe dovuto attendere il 1969 perché la corte costituzionale
dichiarasse incostituzionale la legge che prevedeva la cosiddetta “clausola di nubilato”, ovvero il
licenziamento della lavoratrice in caso di matrimonio.
Non vanno ignorati i mutamenti previsti dalla legislazione giuslavoristica di quest’ultimo decennio, come:
La legge biagi, che ha comportato una maggiore flessibilità dell’ingresso e dell’uscita nel mondo del
lavoro,
La legge fornero, che ha introdotto significativi cambiamenti nel sistema pensionistico
Il jobs act che aveva lo scopo di assicurare, in caso di disoccupazione involontaria, tutele uniformi e
legate alla storia contributiva dei lavoratori, di razionalizzare la normativa in materia di integrazione
salariale e di favorire il coinvolgimento attivo di quanti siano espulsi dal mercato del lavoro ovvero
siano beneficiari di ammortizzatori sociali, semplificando le procedure amministrative e riducendo gli
oneri non salariali del lavoro.
Le tutele costituzionali dei diritti non si limitano, per altro, solamente ai lavoratori ma si estendono anche agli
inabili al lavoro per i quali lo stato si deve assumere il mantenimento e l’assistenza sociale.
Anche ai lavoratori colpiti da infortunio, malattia, invalidità o disoccupazione involontaria vengono riconosciuti
diritti a mezzi adeguati alle loro esigenze di vita, esprimendosi così il principio della previdenza sociale.
La norma prevede un obbligo per i sindacati di registrazione presso gli uffici locali o centrali, rinviando ad
una legge le modalità di registrazione.
La stessa norma costituzionale impone l’obbligo di adozione di statuti che sanciscano un ordinamento
interno a base democratica.
I sindacati sono associazioni di diritto privato.
I contrati collettivi a tutti i livelli restano vincolati al rispetto della costituzione, delle convenzioni internazionali
e del diritto dell’unione europea.
Altra garanzia per il lavoratore è costituita dal diritto di sciopero che si esercita nell’ambito delle leggi che lo
regolano. Garantisce la sospensione del lavoro per la tutela degli interessi dei lavoratori, consentendo al
lavoratore la libertà di non effettuare le prestazioni di lavoro senza che vi siano conseguenze sul piano civile,
penale o amministrativo, tranne la sospensione della retribuzione.
Le libertà economiche non sono configurate in costituzione come diritti assoluti, ma come libertà protette, nei
cui confronti il legislatore può intervenire con norme di carattere generale.
La libertà di iniziativa economica nella sua principale manifestazione, la libertà di impresa, non è annoverata
tra i diritti fondamentali, tra quei diritti per i quali l’intervento dello stato appare un’eccezione disciplinata ed in
linea di principio limitata e misurabile.
Il regime del diritto di proprietà e le sue garanzie, la libertà di impresa, seppure limitata nel suo esercizio
dall’utilità sociale, dalla sicurezza, dal rispetto della libertà e della dignità umana, nonché la normativa a
tutela del risparmio e dell’investimento sembra decisivi per la continuità, la sopravvivenza o la stabilità di un
sistema economico generale determinato:
Sono fattori chiave per l’individuazione di un modello economico sotteso ad un ordine giuridico
costituito.
Nel secolo scorso una serie di limitazioni, che trovavano sicuro fondamento nella costituzione e che
venivano gestite dal diritto amministrativo, hanno compresso grandemente lo sviluppo della libertà
economica.
L’accesso al mercato è stato limitato da un insieme di regole che lo hanno subordinato al rilascio di
provvedimenti amministrativi quali autorizzazioni, abilitazioni, nulla osta o che lo hanno negato in determinati
settori riservati all’impresa pubblica.
Equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira
alla piena occupazione e al progresso sociale.
L’ordine economico delineato dall’unione europea non sembra così distante da quello sotteso alla nostra
costituzione economica originaria.
Nei trattati europei è la scelta del metodo competitivo a prevalere: libero mercato e competizione tra
imprese, concorrenza come principio confermativo dell’economia sono prescrizioni dell’ordine economico
europeo che guadagnano la funzione di principi generali del nostro ordinamento.
Le principali linee guida dei trattati comunitari si sostanziavano nel sostituire ad un’organizzazione privata dei
mercati un’organizzazione pubblica, che controllasse la libertà economica, garantendone la libera
concorrenza, ed arginasse le distorsioni del libero mercato.
Nella progressiva incidenza dell’ordine economico europeo è innegabile che la libertà economica ha spesso
assunto nuovi contenuti, delineati dalla normativa europea. Ha assunto una libertà in grado di subire
limitazioni, giustificate dalla funzione sociale dei beni e delle attività oggetto di tutela, ritenute legittime dalla
corte di giustizia di lussemburgo.
Ogni proprietà ha un valore economico e la sua espropriazione comporta un danno economico che deve
essere risarcito con un equo indennizzo.
Esistono diverse forme di proprietà: immobiliare, terriera, edilizia, commerciale e la legge deve prevedere i
limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello stato sull’eredità.
La corte costituzionale è più volte intervenuta per determinare i confini dell’equo indennizzo per
l’espropriazione fino ad arrivare al punto da stabilire che non debba essere simbolico, irrisorio o apparente
ma debba rappresentare un serio ristoro del danno economico prodotto dall’espropriazione.
Al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone
obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissa limiti alla sua estensione e impone la bonifica delle terre,
la trasformazione del latifondo e la ricostruzione delle unità produttive, aiuta la piccola e media proprietà.
L. 1/2012 - regime costituzionale dei rapporti economici e normativa europea. Il principio del
pareggio di bilancio in costituzione
È stato agevole per l’europa sviluppare un mercato comune, promuovere un modello di economia di
mercato.
Il trattato di lisbona prevede che l’unione si adoperi per lo sviluppo sostenibile dell’europa basato su
un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso
sociale, la sua competenza ad intervenire con iniziative di coordinamento delle politiche sociali si rivela poco
significativa perché è priva della capacità fiscale redistributiva.
La crisi economica del 2008 ha avuto un significativo impatto sull’esercizio dei diritti sociali nei paesi
membri.
Al termine di un percorso europeo che ha assoggettato i bilanci nazionali ad un controllo preventivo della
commissione europea, sono stati ratificati anche dal nostro paese due trattati internazionali che hanno ridotto
la sovranità nazionale anche in campo economico finanziario dei paesi che hanno adottato l’euro.
Di questi il cosiddetto fiscal compact ha previsto che la posizione di bilancio dei paesi che vi aderiscono
deve essere in equilibrio o in surplus.
Il suddetto trattato ha previsto la codificazione negli ordinamenti costituzionali nazionali del principio del
pareggio di bilancio, questo nell’ottica evidente di perseguire l’obiettivo di responsabilizzare maggiormente
gli stati ed assegnare anche alle corti costituzionali nazionali un possibile importante ruolo di sorveglianza.
Il riconoscimento dell’asilo quale diritto del cittadino straniero di cercare e di godere in altri paesi asilo per
sottrarsi alle persecuzioni.
Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizi delle libertà costituzionali garantite dalla
costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge.
Il mancato intervento legislativo in materia ha fatto sentire i suoi effetti negativi soprattutto negli ultimi
decenni, durante i quali al sensibile aumento dei flussi migratori verso i confini italiani e dell’unione europea
si è accompagnata una altrettanto significativa crescita di flussi composti da cittadini stranieri in fuga dalle
persecuzioni nei loro paesi d’origine.
La normativa italiana in vigore sul diritto di asilo è sostanzialmente di derivazione europea. Di conseguenza,
essa è ancorata alla normativa dell’unione che ha come punto di riferimento per la sua politica comune
dell’asilo la definizione di rifugiato contenuta nella convenzione di ginevra, sullo status dei rifugiati.
Per la convenzione, il rifugiato è il cittadino straniero che abbandona il proprio paese temendo di essere
perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o
opinione politica.
Tra il 2005 e il 2008, anche l’ordinamento italiano di è dotato di una normativa riguardante l’attribuzione della
qualifica di rifugiato o persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale.
Negli ultimi anni, l’instabilità di diverse aree del medio oriente e del continente africano ha avuto come
conseguenza una forte aumento delle domande di asilo presentate all’interno dell’unione europea da cittadini
stranieri in fuga dai proprio paesi d’origine.
Ciò ha generato una particolare pressione sui sistemi di asilo di alcuni stati membri del sud dell’europa -
italia, grecia, malta - che si affacciano sul mar mediterraneo.
A tale riguardo, appare opportuno che lo sviluppo di una politica comune europea in materia di asilo e
immigrazione consenta di dare piena applicazione ai principi di solidarietà tra stati membri nella gestione del
fenomeno migratorio e di condivisione a livello europeo degli oneri derivanti dalle domande di asilo.
L’estradizione è la consegna di una persona ad un altro stato affinché venga sottoposta a giudizio o sconti
la pena in quel paese per comportamenti che in italia configurano un reato.
Tale divieto va anche letto in connessione con l’esigenza di garantire un’effettiva tutela del diritto di asilo nei
confronti dell’esule politico.
La corte costituzionale ha esteso il divieto di estradizione nel caso in cui il reato sia punito con la pena di
morte nel paese che richiede l’estradizione del cittadino straniero: in queste circostanze deve
necessariamente prevalere il diritto alla vita.
La costituzione definisce straniero colui che non è cittadino italiano e disciplina il suo status, in
base al quale la condizione giuridica dello straniero è stabilita dalla legge in conformità delle norme
e dei trattati internazionali.
Si tratta di una norma piuttosto scarna in cui manca ogni riferimento ai diritti del non-cittadino. La
limitatezza delle norme esplicitamente riferite agli stranieri nella costituzione italiana viene però
compensata dalla presenza di principi costituzionali che sono genericamente destinati alla persona
e che sono rivolti a tutti, cittadini e non.
I trattati internazionali sui diritti dell’uomo garantiscono ad ogni persona la tutela dei diritti
inviolabili, tutela che, di conseguenza, va estesa anche nei confronti dello straniero.
Con il crescente sviluppo del fenomeno migratorio anche all’interno del nostro paese si rendeva
necessario un intervento organico in materia.
La prima legge organica sull’immigrazione e sulla condizione dello straniero risale alla legge
“turco-napolitano”, successivamente confluita nel testo unico sull’immigrazione.
Allo straniero comunque presente sul territorio, e dunque a tutti gli stranieri, anche se
irregolarmente presenti sul territorio in quanto privi di permesso di soggiorno, vengono riconosciuti
i diritti fondamentali della persona previsti dal diritti interno.
Allo straniero regolarmente soggiornante sono garantiti i diritti civili riconosciuti al cittadino italiano.
Per tutti i lavoratori stranieri regolarmente soggioganti e per le loro famiglie è prevista parità di
trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani.
Il t.u. disciplina in maniera dettagliata l’ingresso e la permanenza dello straniero nel territorio
italiano.
L’espulsione dal territorio dello straniero è prevista per motivi di ordine pubblico o di sicurezza
dello stato come conseguenza dell’ingresso e del soggiorno irregolare nel territorio dello stato.
Il provvedimento di espulsione deve essere motivato e, essendo misura che incide sulla libertà
personale dello straniero, va comunicato al giudice di pace territorialmente competente entro 48
ore.
Qualora non sia possibile eseguire immediatamente l’espulsione, lo straniero irregolare può essere
trattenuto in un centro di identificazione ed espulsione (cie) per un periodo massimo di 90 giorni. Il
trattenimento deve avvenire con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza ed il pieno
rispetto della dignità dello straniero trattenuto.
L’articolo costituzionale è dedicato alla manifestazione del pensiero con il mezzo della stampa,
come ad ogni manifestazione del pensiero, indipendentemente dal mezzo utilizzato.
La volontà dei costituenti era quella di dedicare la massima attenzione e le maggiori garanzie al
mezzo di diffusione del pensiero, la stampa che nel preciso momento storico in cui la costituzione
repubblicana nacque appariva il mezzo più in grado di incidere sull’opinione pubblica e di
influenzare il processo democratico.
Si deve considerare la libertà in questione come un diritto dell’uomo, pertanto esso è riconosciuto
a tutti gli uomini così come ai soggetti collettivi in tanto portatori di interessi superindividuali
meritevoli di tutela costituzionale.
Nonostante l’enunciato costituzionale si riferisca solo alla libertà attiva di manifestare il proprio
pensiero, il suo ambito è stato, progressivamente allargato alla libertà di informazione, al profilo
passivo concernente il diritto a ricevere il pensiero e le informazioni altrui e al profilo riflessivo
consistente nel diritto di informarsi e di ricercare le informazioni.
L’unico limite esplicitamente individuato alla libertà di manifestazione del pensiero è quello del
buon costume da intendersi come coincidente con il comune senso del pudore sessuale.
A tutela di tale limite, la norma costituzionale prevede espressamente che la legge stabilisca
provvedimenti atti a prevenire e a reprimere le violazioni.
Al fine di offrire una classificazione, la dottrina ha provveduto a distinguere tra le restrizioni alla
libertà di espressione quelle fondate sull’esigenza di tutelare altri diritti fondamentali e quelle
fondate sull’esigenza di proteggere interessi costituzionalmente rilevanti.
1. Nella prima categoria sono comunemente ricondotti i limiti discendenti dal diritto all’onore e alla
reputazione, dal diritto all’identità personale, dal diritto alla riservatezza.
2. Nella seconda categoria quelli derivanti da interessi costituzionali rilevanti quali l’amministrazione
ed il buon andamento della giustizia, la sicurezza dello stato, il rispetto delle istituzioni e delle
religioni, l’ordine pubblico.
Si prevede un regime istituzionale ad hoc per la stampa, poiché la stampa non può essere
soggetta ad autorizzazioni o censure.
Nel divieto di autorizzazione rientrano tutti i provvedimenti preventivi che sono idonei ad impedire
l’attività di stampa in sè.
Per censura si intende quell’istituto del diritto pubblico che abilita uno o più organo dello stato a
esercitare un controllo preventivo e a poter vietare la diffusione di uno specifico contenuto.
Si può procedere al sequestro della stampa solo per atto motivato dal giudice.
Il sequestro eccezionale è limitato alla sola stampa periodica. Esso può essere eseguito dagli
ufficiali di polizia giudiziaria solo qualora vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo
intervento dell’autorità giudiziaria.
Di particolare rilevanza sono i due principi che la corte costituzionale ha tratto per orientare lo
sviluppo del settore radiotelevisivo in un contesto legislativo che si è sviluppato in modo piuttosto
frammentario e incoerente:
1. Il primo principio è quello del pluralismo interno che in merito al servizio pubblico radiotelevisivo
richiede che esso fornisca un’informazione aperta e plurale sia in senso politico sia in senso
sociale.
2. Il secondo principio, legato alla fase della liberalizzazione del mercato radiotelevisivo e all’ingresso
di operatori privati nel settore è quello del cosiddetto pluralismo esterno. Sulla base di questo
principio la corte ha più volte richiesto al legislatore di orientare la disciplina del settore in modo da
garantire una pluralità di fonti d’informazione radiotelevisiva attraverso la definizione di un’efficace
normativa antitrust
Molti dubbi sorgono sulla capacità della norma costituzionale di garantire anche con riferimenti alla
libertà di espressione in rete un adeguato livello di tutela. Questo sia perché internet amplifica le
criticità di una disciplina costituzionale pesata in una diversa era tecnologica ad adattarsi al nuovo
contesto.
Art. 7 – 8 – 19 – 20
Lo stato e la chiesa cattolica sono ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.
La norma riconosce espressamente che i rapporti tra i due soggetti sono regolati dai patti
lateranensi, offrendo così una copertura costituzionale agli accordi internazionali già intercorrenti
tra lo stato e la chiesa cattolica, prevedendo che le modificazioni dei patti, accettate dalle due parti,
non richiedono procedimento di revisione costituzionale.
Il principio di eguaglianza di tutte le confessioni religiose davanti alla legge con formula analoga al
principio di eguaglianza definito per i singoli individui regola i rapporti tra lo stato italiano e le
confessioni religiose diverse da quella cattolica.
La norma in questione riconosce il diritto di organizzarsi secondo i propri statuti con il limite che
essi non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.
Lo stato italiano può concludere con i rappresentati delle altre confessioni religiose delle intese,
soggette però alla ratifica legislativa.
Riconoscimento della libertà di professare il proprio credo religioso sia in forma individuale che
collettivamente.
Nei profili rientranti nella libertà religiosa vi è che il diritto di propagandare la propria religione da
intendersi come il diritto a compiere quelle attività necessarie al proselitismo e il diritto di praticare,
tanto in privato quanto in pubblico, il proprio culto.
L’unico limite previsto in costituzione è quello del buon costume, da intendersi nella sua accezione
penalistica come incidente con il comune senso del pudore sessuale.
Il carattere ecclesiastico di un’associazione o il fine di culto della medesima non possono essere
oggetto di limitazioni legislative ad hoc, di gravami fiscali aggiuntivi o restrizione della capacità
giuridica e ciò ha un chiaro carattere difensivo.
Essa fonda infatti il divieto di sciogliere le congregazioni o di prevedere espropri del patrimonio
delle associazioni religiose. Essa è un argine nei confronti di spinte laiciste che tradizionalmente e
storicamente percorrono la società italiana.
I cittadini possono associarsi liberamente, nel senso che la scelta è il frutto della loro libera volontà
e senza autorizzazione.
L’assenza di ogni legame tra gli individui o l’inesistenza di uno scopo comune escludono quindi
l’esistenza del fenomeno associativo e determinano l’inapplicabilità della garanzia costituzionale.
1. Il limite generale scaturisce dal divieto di associarsi per fini che sono stati vietati ai singoli dalla
legge penale.
Vi è una doppia funzione, da un lato quella di proibire direttamente quelle associazioni che
perseguono un’attività che le norme penali configurano come un reato; dall’altro lato quella
garantistica di vietare al legislatore di definire limiti specifici per il fenomeno associativo in sé o per
un particolare tipo di associazione.
2. Il limite del divieto di costituire associazioni segrete e associazioni che perseguono scopi politici
attraverso organizzazioni di carattere militare.
Il limite delle associazioni segrete trova la sua ragion d’essere nel presupposto democratico che
ispira la costituzione repubblicana. Posto che, il nuovo ordinamento costituzionale garantisce ai
cittadini la massima libertà di sviluppare la propria personalità ed esprimere i propri convincimenti
politici e sociali, non c’è alcuna ragione per cui essi debbano farlo segretamente
3. Il limite che vieta la costituzione di associazioni che abbiano contemporaneamente scopi politici e
organizzazione militare risponde a due esigenze:
Una di carattere storico è legata alla volontà di vietare la ricostruzione in qualsiasi forma di
formazioni di tipo paramilitare come la milizia fascista;
Una seconda che vede un’organizzazione di tipo gerarchico militare come incompatibile con il
perseguimento di scopi politici in una società democratica
La natura del diritto rimane individuale, ma il suo concreto esercizio, richiede il concorso di più
persone.
Per riunione si intende la compresenza volontaria di più persone, aventi uno scopo comune, nel
medesimo luogo.
L’elemento della volontarietà e dello scopo comune serve a distinguere la riunione dalle adunanze
accidentali e dagli assembramenti involontari che non rientrano nell’ambito tutelato dalla norma
costituzionale.
Vi rientrano le riunioni in movimento, denominate processioni se fatte a dopo di culto oppure cortei
se compiute con altre finalità di natura sociale o politica.
Le riunioni private che si tengono cioè in un luogo chiuso e con limitazioni dell’accesso a persone
determinare.
Le riunioni in luogo aperto al pubblico in luoghi, come per esempio sale, cinema, teatri, stadi ecc.
Le riunioni in luogo pubblico, vale a dire una strada, una piazza, un giardino in cui l’accesso o il
transito è libero devono avere come requisito comune che esse si svolgano pacificamente e senza
armi.
Le due condizioni hanno il medesimo obiettivo ovverosia garantire l’ordine pubblico, cioè
l’incolumità delle persone e delle cose.
La norma costituzionale prevede, solo per le riunioni in luogo pubblico, un obbligo di preavviso
all’autorità di pubblica sicurezza che può vietarle sole per comprovati motivi di sicurezza o di
incolumità pubblica (non è richiesto per i comizi elettorali).
Per quanto riguarda gli stranieri, il loro soggiorno e la loro circolazione sul territorio italiano sono
evidentemente subordinati alle norme vigenti in materia di immigrazione.
Per i cittadini di un paese membro dell’unione europea valgono invece le norme in materia di
cittadinanza europea e di libera circolazione contenute nei trattati e nella normativa secondaria
europea.
Il diritto di soggiornare in qualsiasi parte del paese, da intendersi come il diritto di risiedere, di
domiciliare i propri affari o di sostare per il tempo desiderato ovunque sul territorio nazionale
Per quanto riguarda la libertà di espatrio e il diritto di rientrare in italia, si individua il solo limite
dell’aver adempiuto gli obblighi di legge.
È solo la legge a poter indicare quali soggetti, dovendo adempiere determinati obblighi di legge,
non possono lasciare il paese.
Così ad esempio è per i minori senza il consenso di entrambi i genitori, del soggetto colpito da un
ordine di cattura o gravato di obblighi di collaborazione con la giustizia.
La libertà espatrio deve essere letta congiuntamente con la libertà di emigrazione intesa come
diritto di recarsi all’estero per prestarvi un’attività lavorativa.
Anche per tale specifica libertà, è previsto in costituzione il medesimo limite degli obblighi di legge.
Questa estensione riletta oggi, alla luce dello sviluppo di internet, pone inevitabilmente il problema
se anche le connessioni realizzate attraverso la rete debbano essere considerate sottoposte alle
garanzie.
La connessione internet è strettamente delicata per i dati di traffico, per il tracciamento dei siti
visitati, dei download e degli upload effettuati.
La norma costituzionale subordina ogni intervento restrittivo, sia della libertà che della segretezza
della corrispondenza o di ogni altra forma di comunicazione, all’intervento motivato del giudice, con
le garanzie stabilite dalla legge.
Il titoloi della parte i della costituzione italiana concernente i “rapporti civili” si apre con il
riconoscimento della libertà personale.
Tutti gli uomini sono i soggetti titolari della libertà in questione, senza alcuna distinzione
concernente la cittadinanza o ogni altra qualità personale o sociale.
Ogni libertà costituzionalmente riconosciuta può essere limitata al fine di proteggere il diritto altrui,
altri diritti o interessi costituzionali parimenti rilevanti.
Ogni restrizione alla libertà personale deve essere disposta con atto motivato dell’autorità
giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.
La fonte primaria può disporre i casi in cui è possibile imporre specifiche restrizioni alla libertà
personale e le modalità con cui ciò debba avvenire. Solo l’autorità giudiziaria può concretamente
imporre la restrizione.
L’autorità di pubblica sicurezza - ogni soggetto cui la legge attribuisce poteri di polizia - può
adottare provvedimenti restrittivi della libertà personale senza la previa autorizzazione del
giudice.
I provvedimenti restrittivi della libertà personale (arresto in flagranza e fermo di polizia) adottati
dalle autorità di pubblica sicurezza, devono essere comunicati entro le successive 48 ore al
giudice, il quale ha ulteriori 48 ore per decidere sulla loro convalida.
Ogni violenza fisica e morale praticata sulle persone sottoposte a restrizioni di libertà deve essere
punita.
• Essa significa l’esplicitazione nella costituzione del divieto di torti sia fisici che morale prevedendo
rispettivamente che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e
che, in ogni caso, non è ammessa la pena di morte.
• Le pene definite dal legislatore ed irrogate dal giudice devono tendere alla rieducazione del
condannato.
• Una restrizione della libertà personale non è sempre e solo conseguenza di una condanna penale
definitiva, ma può essere anche disposta o convalidata dal giudice in via cautelare cioè prima che
sia intervenuta una condanna definitiva.
• La norma costituzionale vieta quindi una restrizione cautelare senza limiti temporali.
• L’adozione di tali misure restrittive stride in modo evidente con il principio generale sancito per cui
l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
• Considerazione diversa rispetto alle misure cautelari meritano le misure di prevenzione e le misure
di sicurezza.
• Le misure di prevenzione sono restrizioni della libertà personale che possono essere adottate nei
confronti di persone che si ritiene possano commettere dei reati. Esse hanno dunque, una
funzione tipicamente di prevenzione.
• Esse possono aggiungersi alla pena principale, oppure sostituirla nei casi di accertata infermità
mentale.