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RIASSUNTI DI DIRITTO COSTITUZIONALE, CORSO DINI, A.A.

2021-2022, MANUALE “LINEAMENTI MULTIMEDIALI


DI DIRITTO PUBBLICO” ULTIMA EDIZIONE
DOCENTI: SILVIO TROILO + MATTEO CARRER

DIRITTO COSTITUZIONALE

IL DIRITTO E LO STATO
1. APPROCCIO GIURIDICO ALLA REALTA’
Approccio giuridico → esamina la realtà verificando:
• come le norme giuridiche vengono create;
• la coerenza delle norme rispetto ai principi e valori ad esse sottesi;
• il loro grado di effettività (ovvero, reale applicazione);
• livello di tutela contro le trasgressioni.

Fatta tale indagine, possiamo affermare di conoscere non solo un certo ordinamento giuridico (sistema ordinato
di norme e principi, provvisto di propri organi e procedure idonei a produrle, interpretarle e sanzionarne le
violazioni) ma anche la comunità che l’ha adottato (ubi societas ibi ius ed ubi ius ibi societas).

Costituzionalisti → analizzano le norme costituzionali e la loro applicazione, evidenziando gli effetti che potranno
avere sul funzionamento dello Stato e sulla vita dei cittadini

Altri studiosi (es. politologi) → esaminano i comportamenti dei sogg. che si contendono il potere e ricavano regole
tendenziali di comportamento per capire la realtà futura o attuale di altri Paesi.

Perciò il diritto è anche un modo per leggere e capire la realtà in cui viviamo.

2. DAL SINGOLO ALLA COMUNITA’: LE NORME E GLI ORGANI


Gli esseri umani, per meglio sopravvivere, vivono in gruppi.
Ogni comunità deve organizzarsi per mantenere l’ordinata e pacifica convivenza dei membri e perseguire le
finalità che si propone.
Ciò è essenziale nelle comunità sovrane (= Stato) che non riconoscono alcun’altra autorità al di sopra e al di fuori
di sé stesse.
Esse:
• dettano le norme giuridiche che determinano in anticipo in quale modo ciascun membro si debba
comportare ogni volta che si trova in una data situazione;
• creano le istituzioni politiche che curano gli affari della polis.

2.1 LE NORME GIURIDICHE E LA LORO INTERPRETAZIONE


Norme giuridiche: regole di comportamento generali o astratte. Sono generalmente PRESCRITTIVE ma possono
essere anche PERMISSIVE o FACOLTIZZANTI.
≠ Norme scientifiche che sono DESCRITTIVE.

Le norme giuridiche nel loro complesso e insieme ai principi generali costituiscono l’ordinamento giuridico.

Generalmente sono contenute in disposizioni da cui bisogna ricavare la norma vera e propria mediante
l'interpretazione:
• letterale, si basa sul significato delle frasi e delle parole;
• logica, guarda al risultato voluto dalla comunità (intenzione del legislatore) ponendo quella norma;
• estensiva o restrittiva (esempio del cartello “vietato introdurre cani e veicoli”);
• sistematica, per chiarire il significato della disposizione si fa ricorso ad altre disposizioni connesse alla
prima o relative a casi simili;
• adeguatrice, si deve preferire l’interpretazione coerente con le norme di livello superiore.
Se una fattispecie non è disciplinata da una norma giuridica si procede per ANALOGIA (legis o iuris).
Gli interpreti delle norme sono i destinatari delle stesse (in molti casi i semplici cittadini).
Maggiore autorevolezza assumono:

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• l’interpretazione dottrinale, fatta dagli studiosi del diritto;
• l’interpretazione giudiziale (giurisprudenza), fatta dagli organi giudiziari;
• l’interpretazione autentica (casi rari), fatta dal legislatore.

Fonti del diritto: atto o qualunque fatto considerato idoneo a produrre norme giuridiche.
Vengono distinte in:
• fonti sulla produzione, indicano quali altre fonti sono idonee a produrre norme;
• fonti di produzione, creano le disposizioni da cui sono tratte le norme;
• fonti di cognizione, atti idonei a far conoscere le norme.

2.2 DIRITTO POSITIVO, DIRITTO NATURALE, NORME SOCIALI


Il diritto è un fenomeno sociale (socialità del diritto e non statualità) → conseguenza: pluralità di ordinamenti
giuridici.
Il diritto è positivo, ossia è posto da ciascuna comunità e non è ontologicamente naturale.
Diventa essenziale verificare quale comunità è sovrana e può imporre le sue norme alle altre.

Per la genesi (nascita) del diritto sono necessarie 3 fasi:


1. giudizio di fatto, con il quale si conosce la realtà sociale da sottoporre a regolamentazione;
2. giudizio di valore, si prende posizione nei confronti di questa realtà;
3. statuizione normativa, con la quale si prescrive il comportamento.

Per quanto riguarda il rapporto fra comunità e diritto vi sono diverse opinioni:
• ordinamento giuridico dà forma alla comunità (teoria normativistica)
• comunità produce con i suoi comportamenti le norme giuridiche (teoria istituzionalistica)

2.3 GLI ORGANI


Organi: parti degli apparati organizzativi creati dalla comunità che possono agire in nome e per conto dell’intera
struttura. Sono formati da 3 elementi:
• persone (titolari degli organi e danno loro vita);
• strumenti materiali;
• competenze (“attribuzioni”).

Organo collegiale (più di 1 titolare): tutti devono essere convocati (“numero legale”) e possono deliberare sugli
argomenti posti all’ordine del giorno. Decisione finale → verbale.

3. I SOGGETTI DI DIRITTO
I soggetti di diritto sono i destinatari delle norme e godono di:
• personalità giuridica, ossia sono considerati persone;
• capacità giuridica, possono essere titolari di diritti, doveri ecc. Si acquista con la nascita;
• capacità di agire, serve per compiere atti a cui si collegano effetti previsti dall’ordinamento. Si acquista
con la maggiore età.

La capacità di agire si può perdere:


• per interdizione (totalmente) → tutore
• per inabilitazione (parzialmente) → curatore

Possono essere soggetti di diritto anche le organizzazioni, ossia le persone giuridiche od enti.

3.2 LE SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE


DI VANTAGGIO
- diritto soggettivo: garanzia, fornita dall’ordinamento, di poter godere di un determinato bene
(“assoluto” se fatte valere verso tutti, o “relativo” se fatto valere verso uno o + specifici sogg.)
- interesse legittimo: garanzia di poter pretendere il corretto esercizio dell'azione amministrativa nei
confronti di un determinato bene. Il titolare dell’interesse ha un interesse che coincide con l’interesse
pubblico.
DI SVANTAGGIO

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- obbligo: vincolo a tenere un determinato comportamento, adempiendo ad un diritto soggettivo altrui
(se ha un contenuto economicamente valutabile → obbligazione)
- onere: obbligo collegato ad un beneficio ricevuto
- dovere: prescrizione a tenere un determinato comportamento che si ripercuote positivamente su tutta
la comunità (e non forma oggetto di una specifica pretesa di un altro soggetto come nell’obbligo)
- soggezione: situazione di chi si trova esposto a conseguenze svantaggiose dell’esercizio di un potere
giuridico altrui

4. LO STATO: GLI ELEMENTI COSTITUTIVI


Gli Stati sono diventati, a partire dal 16esimo secolo, le comunità umane più importanti.
Sono costituiti da 3 elementi: territorio, popolo e sovranità.

Territorio: ambito spaziale dove è stabilmente radicato il popolo ed entro il quale vige l'ordinamento giuridico
statale.
Comprende:
• terraferma;
• spazio aereo sovrastante (fino ai limiti esterni dell'atmosfera);
• sottosuolo;
• mare territoriale (convenzione dell’ONU sul diritto del mare);
• navi ed aeroplani battenti bandiera dello Stato in spazi internazionali (le rappresentanze diplomatiche
straniere sono invece sottoposte alla legge del loro Paese.
Il territorio è delimitato da confini naturali o artificiali, fissati dagli Stati confinanti tramite trattati internazionali.

Popolo: insieme delle persone che godono della cittadinanza.


Non va confuso con “popolazione” (persone che risiedono nel territorio dello Stato) né con “nazione” (comunità
con medesime caratteristiche o entità costituita dai cittadini + i valori in cui si identificano).

Nel nostro paese la cittadinanza è attribuita:


• automaticamente al momento della nascita per ius sanguinis (al figlio di padre o madre italiani);
• per ius soli soltanto se entrambi i genitori sono ignoti o non in grado di trasmettere la loro cittadinanza.
• oppure su richiesta dell’interessato, può essere concessa allo straniero a all’apolide, se sposa un cittadino
italiano dopo 2/3 anni dal matrimonio (in base alla residenza), se risiede in Italia da 4 anni ed è cittadino
Ue/5anni se apolide/10 anni se cittadino extra Ue, se nato e cresciuto in Italia fino ai 18 anni, se ha reso
eminenti servizi all’Italia o se ha lavorato alle dipendenze dello Stato per 5anni.

Sovranità, consiste:
• supremazia (non riconosce autorità sopra di sé);
• monopolio (dell’uso legittimo della forza);
• indipendenza rispetto ai poteri esteri;
• esclusività e completezza dell'ordinamento statale;
• cura degli interessi dei cittadini (politicità).

L’esercizio di tali pretese deve essere effettivo (reale) e deve trovare soltanto nelle volontà dello Stato la fonte
della propria legittimazione (“originarietà” della sovranità).

Gli atti giuridici si limitano a confermare l’esistenza dello Stato. (ex. Tramite Plebisciti vengono annessi nel 1859/60
i territori al Regno di Sardegna e il Parlamento si limitò a sancire che “il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e
per i suoi successori il titolo di Re d’Italia), lo stesso vale per il riconoscimento da parte degli altri Stati).

Il concetto di sovranità consente di operare una distinzione fra Stato e altri tipi di comunità umane (ex. Regioni)
ma nell’epoca moderna si parla di “crisi dello Stato” a causa dalla pluralità di centri di poteri esterni ed interni che
gradualmente gli stanno facendo perdere la capacità di disciplinare la vita dei cittadini, non essendo più l'unico e
nemmeno il principale centro di produzione delle regole di comportamento → sfocerà in una
scomparsa/trasformazione dello Stato.

5. LE FUNZIONI DELLO STATO E IL RUOLO DELLA COSTITUZIONE

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Ogni Stato svolge 4 funzioni:
• normativa (produzione delle norme giuridiche),
• esecutiva o amministrativa (provvedimenti amministrativi),
• giurisdizionale (risoluzione delle controversie),
• di indirizzo politico (decisione di quali finalità e obiettivi perseguire e priorità da rispettare).

Costituzione: insieme delle + importanti regole di organizzazione e di funzionamento dello Stato.


Indica:
• qual è la forma di Stato;
• a quali organi spetta esercitare le funzioni (stabilisce dunque anche la “forma di stato”).

6. LA CONCEZIONE MODERNA (E OCCIDENTALE) DELLO STATO


• Prima vi era la concezione teocratica: lo Stato è uno strumento per governare secondo la volontà di Dio.
Vi era l'ordine sociale-feudale per cui ad ognuno era assegnato un preciso posto nella società in base alla
nascita a cui era connesso l'obbligo di adempiere a una specifica funzione sociale.
• I pensatori del 600-700 affermano che lo Stato deriva dalla volontà degli uomini → contrattualismo,
tramite duplice patto (pactum unionis con cui gli individui decidono di creare una comunità “politica",
pactum subiectionis con cui trasferiscono parte dei poteri di cui disporrebbero allo stato di natura ad
un'organizzazione superiore che deve garantire a tutti i diritti naturali imponendo anche doveri).
✓ Locke: lo Stato è creato per salvaguardare diritti naturali preesistenti.
✓ Rousseau: i diritti giuridici nascono dopo la creazione dell’ordinamento e sono garantiti perché
i cittadini sono egualmente partecipi.
✓ Hobbes: ritiene che gli individui debbano trasferire volontariamente tutti i diritti e i poteri allo
Stato.
• Ordine sociale-cetuale-feudale: ad ognuno era assegnato un preciso posto nella società in base alla
nascita → obbligo di adempiere a specifica funzione sociale (status giuridico → dipende dal ceto sociale)
• Ordine sociale-liberal-borghese: società → somma di individui sovrani che accordandosi creano una
comunità organizzata in cui il singolo si autodefinisce e in cui le differenze sociali non vengono percepite
come ingiuste ma riconducibili al fallimento personale. Lo stato in questo contesto è necessario per
difendere la libertà dei singoli dai pericoli che ostacolano il libero gioco delle forze sociali garantendo la
libertà degli individui e l'adempimento delle obbligazioni contratte con altri individui.

7. CONCETTO DI COSTITUZIONE
Mondo antico e medievale: idea di Costituzione di tipo descrittivo, non è ben distinta da quella di Stato.
A partire dal 1500: Costituzione avente carattere prescrittivo.

- Inghilterra: accettazione della prima carta dei diritti (il Bill of Rights) le cui norme fondamentali si impongono
anche ai detentori del potere e rappresenta una garanzia per i cittadini.
- Francia, altri paesi Europa, Stati Uniti: la Costituzione è l'atto con cui il popolo crea lo Stato.

La Costituzione:
• innova l’ordine socio-politico e disciplina in modo razionale l’organizzazione dei pubblici poteri;
• si pone come norma sovra ordinaria (rigidità costituzionale).

Le norme costituzionali diventano:


- positive (poste volontariamente e coscientemente);
- scritte in documenti solenni;
- antecedenti alle istituzioni statali e capaci di modellarle.

Costituzione PATTO: pactum unionis + pactum subiectionis, lega cittadini e comunità già esistenti, fa nascere
nuovo Stato Federale
Costituzione ATTO: prodotto dalla nazione → disciplina ex novo la forma di uno Stato già esistente.
Rifiuto di Costituzione “tradizionalistica” britannica.

Compito della Costituzione: assicurare gli interessi dei cittadini e la separazione dei poteri.
Ogni Stato ha la propria Costituzione, può essere:

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• scritta o non scritta;
• votata o ottriata (deliberata dal popolo oppure concessa);
• lunga o breve;
• flessibile o rigida (a seconda se può essere modificata dalla legge ordinaria).

DEFINIZIONE: la Costituzione è quindi un complesso di norme di rango superiore create dalla comunità statale
nell’esercizio del potere costituente e aventi ad oggetto la forma della “unità politica” della comunità e la
sottoposizione a regole dei detentori del potere. È un importante fattore di integrazione sociale.

Ordinamento costituzionale → è il nucleo dell’ordinamento giuridico.

8. L’IDEA DI STATO E DI COSTITUZIONE DALLO STATO LIBERALE (800) A QUELLO DEMOCRATICO-SOCIALE


(900)
• Nel ‘800 → le rivoluzioni mirano alla produzione di una costituzione scritta, spesso flessibile e ottriata
dai monarchi; lo Stato è una corporazione ovvero una persona giuridica titolare della sovranità, in cui il
Re ed il popolo sono meri organi statali chiamati ad esercitare una parte dei poteri sovrani.
• Nel primo dopoguerra si afferma lo Stato “pluriclasse” → integrare i diversi gruppi sociali. Lo Stato non
è più “libero nei fini” ma l'obiettivo fondamentale è l'uguaglianza (anche sostanziale) dei cittadini, ciò
lascia più spazio alle autonomie collettive (ex. partiti e sindacati).
Idea di solidarietà come principio ispiratore, come rete di relazioni e di coesione sociale nel naturale
sentimento di cooperazione, per cui il dovere dello Stato è quello di promuovere il progresso economico
sociale di tutti i cittadini, in quanto il progresso dell'uno è progresso dell'altro (“Stato Sociale” Von Stein).
• Nel secondo dopoguerra → in relazione al nazifascismo la tutela dei diritti dei cittadini viene
ulteriormente perfezionata nello Stato Democratico.

9. COSTITUZIONALISMO E DEMOCRAZIA
Lo STATO DEMOCRATICO trova nella volontà dei cittadini la fonte della propria legittimità.
Il fine dello Stato: esiste per consentire ai membri della comunità di autorealizzarsi e non viceversa.
Le decisioni relative alla vita della polis devono essere assunte dai cittadini.
Si ritiene necessario che lo Stato sia organizzato in modo che:
✓ le sue funzioni vengono svolte da organi distinti e indipendenti (separazione dei poteri),
✓ gli organi e i loro titolari sottostanno come i cittadini alla costituzione e alle norme (stato di
diritto),
✓ le decisioni di tali organi sono espressione della volontà popolare (democrazia) > è l'unica forma
di Stato in grado di garantire la tutela dei diritti umani e il pieno sviluppo della persona umana
(possibilità di ogni uomo di perseguire la propria felicità), fonda le sue radici nel pensiero
illuministico per cui l’individuo in natura è libero ed uguale a tutti gli altri per cui lo stato può
esplicitare la sua autorità solo per garantire diritti individuali e il benessere collettivo.
Bisogna ricordare che siamo di fronte ad uno Stato sociale di diritto che si impegna ad intervenire nei confronti
dei più deboli per rimuovere gli ostacoli concreti che impediscono di fatto l’uguaglianza.
L’Italia si definisce “Repubblica democratica fondata sul lavoro” → dovere di ogni cittadino di “concorrere al
progresso materiale o spirituale della società”.
Ma il principio democratico non è assolutizzato in quanto nemmeno il popolo sovrano può essere privo di limiti,
difatti la nostra Costituzione proclama che “la sovranità appartiene al popolo” ma esso può esercitarla “nelle
forme e nei limiti previsti dalla Costituzione”.

La democrazia richiede la partecipazione di tutti i cittadini alla vita della comunità, altrimenti → Stato oligarchico
o addirittura tirannico. Doveroso il voto (art.48), difesa della Patria (art.52), contribuzione delle spese
pubbliche(art.53).
La democrazia può essere diretta o indiretta. Secondo alcuni l’unica forma vera e completa di democrazia sarebbe
quella diretta, ma nella realtà concreta il popolo si limita all'accettazione o al rifiuto delle proposte (esempio
referendum) che gli vengono sottoposte e spesso il quesito è effettuato in modo tale da influenzare la volontà o
da rendere ambiguo lo stesso oggetto della decisione da prendere.
Perciò non potrebbe esistere Stato democratico senza qualche forma di rappresentanza politica.
Ma l'attività politica è rappresentativa ad opera di minoranze organizzate in quanto necessita di una conoscenza
approfondita di tutti gli argomenti trattati.

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È una rappresentanza politica per cui titolari degli organi sono scelti dai membri della comunità ma non sono
vincolati a seguire le loro istruzioni (divieto di mandato imperativo) e devono rappresentare gli interessi non
soltanto di coloro che li hanno eletti ma di tutti.

Rappresentanza come situazione: si ha quando i rappresentanti individuano il bene comune. Rappresentanza


come rapporto: si ha quando i rappresentanti si rendano interpreti della volontà popolare.

10. PARTITI POLITICI


Partito politico di massa: consente ai cittadini che lo desiderino di partecipare alla determinazione delle scelte
fondamentali e permette di garantire e organizzare il pluralismo sociale.
È un’organizzazione che si fa carico dei problemi e degli interessi della collettività e che elabora l’indirizzo politico.

Funzioni:
• formazione e mantenimento di identità collettive attraverso un’ideologia;
• espressione delle domande generali di difesa o trasferimento dell’ordine socio-politico;
• selezione dei candidati a ricoprire le maggiori cariche pubbliche;
• inquadramento degli eletti;
• legame tra elettori ed eletti nell’intervallo tra un’elezione ed un’altra.

Partitocrazia: partiti politici hanno trasformato gli organi rappresentativi in mera “cassa di risonanza” delle
decisioni da loro assunte → monopolio della rappresentanza politica.
Per rimediare alla partitocrazia occorre un sistema elettorale che garantisca una facoltà di scelta ai cittadini e
consenta un rapporto più diretto tra elettori ed eletti, vanno valorizzati istituti di democrazia diretta e un’opinione
pubblica vigile.

11. PRIMAZIA DELLA COSTITUZIONE E LA TUTELA DEI DIRITTI UMANI


La comunità deve rispettare le regole che si è data e può modificarle solo seguendo certe procedure.
Alcuni basilari principi non possono essere cambiati neanche attraverso queste procedure → LIMITI ALLA
REVISIONE COSTITUZIONALE
Esistono:
• valori e regole che devono essere rispettate da tutti → controllo di costituzionalità delle leggi;
• alcuni principi fondamentali o supremi non sono derogabili nemmeno dalla volontà generale di questa o
delle future generazioni.

Art. 2 Cost: richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, in funzione
del bene comune.
Si arriva ad affermare “l’esistenza di un diritto sovra positivo, vincolante anche per il legislatore costituzionale” e
la possibilità di “ricorrere a questo diritto come parametro del diritto positivo”.
Si tratta di principi aventi “una valenza superiore rispetto alle altre norme o leggi di rango costituzionale”, ossia
di “elementi identificativi ed irrinunciabili dall’ordinamento costituzionale, sottratti anche alla revisione
costituzionale”.

DIRITTO INTERNAZIONALE UMANITARIO → ONU: dovrebbe rappresentare un’autorità superiore e dovrebbe


essere la sola a poter utilizzare la forza per risolvere le controversie fra Stati.
Nella realtà può intervenire solo se le grandi potenze sono favorevoli e mettono a disposizione i contingenti
militari.

Il passaggio da un livello di riconoscimento e di protezione nazionale ad uno sovranazionale è avvenuto tramite


l’adozione di convenzioni (o trattati) internazionali.
Grazie a tali accordi operano diversi livelli di tutela.
In Italia ci sono il livello dell’Unione europea, quello del Consiglio d’Europa, quello dell’Organizzazione per la
sicurezza e la cooperazione in Europa e il livello dell’ONU.

Sono limiti alla sovranità statale → possono “processare” gli Stati che hanno sottoscritto i trattati per eventuali
violazioni dei diritti umani subite dai loro cittadini.

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Le società organizzate sono costituite anche sui DOVERI. Art. 2 della Cost. afferma che la Repubblica “riconosce e
garantisce i diritti inviolabili dell’uomo” ma “richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica,
economica e sociale”.

12. FORME DI STATO


FORMA DI STATO= modo in cui sono disciplinati i rapporti tra “governanti” e “governati” e le finalità generali
(“politiche”) che si pone l'ordinamento.

La dottrina moderna ha classificato le forme di Stato adottando un punto di vista ex parte populi. Ha distinto lo
Stato:
- PATRIMONIALE: nell’epoca feudale l'esercizio del potere sovrano era attribuito ai feudatari sulla base di appositi
patti di natura privatistica con i quali in cambio di giuramento di fedeltà e della promessa di futura assistenza
fiscale e militare, il monarca limita la sua autorità garantendo dei privilegi e affidando un ambito territoriale e i
relativi abitanti ad un feudatario, il quale li considera parte del proprio patrimonio e che potrà a sua volta
concludere patti con feudatari minori.
- ASSOLUTO: si afferma in Europa definitivamente con il trattato di Westfalia del 1648 per cui il re (per grazia di
Dio) è titolare della sovranità, e accentra nelle sue mani tutte le funzioni statali. Nella seconda metà del 700 sfocia
nello Stato di polizia in cui anche il potere del sovrano è soggetto alla legge e ha come fine il benessere dei sudditi.
- LIBERALE: nasce con le rivoluzioni borghesi dell'Inghilterra del 1688, dell’America nel 1776 e della Francia nel
1789; si afferma il contrattualismo.
Nascono le Costituzioni scritte, integrate o precedute da solenni Dichiarazioni.
Lo scopo dello Stato è quello di consentire ai singoli cittadini di ricercare la propria felicità senza ostacoli ma anche
senza aiuti da parte dei pubblici poteri.
La sovranità appartiene alla Nazione che ne affida l'esercizio ad una minoranza di cittadini attivi, di censo elevato
e con maggior cultura. Si afferma la supremazia della legge ed il principio della separazione dei poteri.
- AUTORITARIO/FASCISTA: si sviluppa tra la prima e la seconda guerra mondiale in alcuni paesi europei.
Ribaltamento dei principi cardine dello Stato liberale.
Lo Stato è considerato un'entità superiore in cui il potere è concentrato nelle mani del partito unico e del suo
leader, in cui i cittadini sono privati della loro libertà politica e civile.
≠ dittatura militare manca un’analoga base ideologica.
- SOCIALISTA: Corea del Nord, Cina, Vietnam, Laos e Cuba. Esso considera lo stato liberale e quello democratico
delle sovrastrutture create dalla borghesia capitalistica per perpetuare lo sfruttamento del proletariato, per cui
rifiuta la libertà di mercato realizzando invece la collettivizzazione dei mezzi di produzione del reddito e
subordinando le libertà dei singoli alle esigenze di uguaglianza effettiva fra i cittadini; vi è unità del potere affidato
al popolo, ovvero al partito comunista.
- CONFESSIONALE: “braccio secolare” della religione ufficiale a cui aderisce (quasi sempre quella islamica) e si
ispira ai suoi valori ed alle sue regole.
- DEMOCRATICO-PLURALISTICO/SOCIALE: rifacendosi allo stato liberale il suo fine è quello di consentire agli
individui di autorealizzarsi con una sovranità popolare tramite un regime di separazione dei poteri e in cui tutti
sottostanno alla Costituzione. Garantisce i diritti dell'uomo come individuo e come membro di comunità
intermedie (es. associazioni, confessioni religiose…) e considera uguali tutti i cittadini davanti alla legge
impegnandosi ad intervenire a favore dei più deboli creando una reale uguaglianza.
Amplia l’apparato amministrativo, reperendo le risorse tramite la tassazione progressiva del reddito prodotto dai
cittadini (art.53 Cost.).

13. FORME DI GOVERNO


FORMA DI GOVERNO = indica il modo in cui sono distribuite le funzioni dello Stato fra i diversi organi costituzionali
ed in cui sono disciplinati i rapporti tra questi ultimi.

La dottrina ha classificato le forme di governo. Rilevante incidenza sul funzionamento concreto delle diverse
forme di governo è esercitata dal sistema politico (bipolare, a pluripartitismo temperato cioè con pochi partiti, o
a pluripartitismo estremo), il quale è a sua volta influenzato dal sistema elettorale (maggioritario, proporzionale,
misto).

Abbiamo il governo:

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- PARLAMENTARE (Europa occidentale) → il Governo è nominato dal Capo dello Stato ma deve godere della
fiducia del Parlamento eletto dal popolo. Esercita la funzione amministrativa (e parte di quella normativa) e
propone l’indirizzo politico.
Il Parlamento svolge la funzione legislativa ed approva l’indirizzo formulato dal Governo, controllandone
l’attuazione.
Il Capo dello Stato ha funzione di garanzia e può sciogliere le camere.
Si ha forma di governo parlamentare maggioritaria quando il sistema politico è bipolare e consente agli elettori di
scegliere tra due alternative chiare votando per i candidati alle Camere presentati dal loro partito preferito,
scegliendo di fatto anche il Primo ministro e l'indirizzo politico; ciò la avvicina alla forma presidenziale in cui vi è
un Governo stabile sostenuto da un unico partito o da una coalizione omogenea, con un ruolo guida del Governo,
una preminenza del Primo ministro ed il riconoscimento del ruolo costituzionale dell’opposizione.
Si ha parlamentarismo non maggioritario qualora il sistema è frammentato ed i cittadini tendono a concedere una
“delega in bianco” alle forze politiche le quali contrattano fra loro la formazione del Governo che sarà instabile ed
eterogeneo, in cui il Primo ministro svolge una funzione più di mediazione che di direzione politica ed in cui non
è chiaro il ruolo dell'opposizione. Vi è una notevole flessibilità.
In molti paesi la forma di governo è stata razionalizzata, ovvero viene disciplinata dalla Costituzione e dalle leggi
in modo da limitare la libertà d'azione delle forze politiche.
Quando la gran parte delle funzioni è concentrata nel Parlamento si parla di regime assembleare.
- PRESIDENZIALE (America) → il Presidente della Repubblica è eletto direttamente dai cittadini ed è nello stesso
tempo Capo dello Stato e detentore del potere esecutivo, in quanto non esiste il Governo. Presidente e
Parlamento sono reciprocamente indipendenti, sono dotati di poteri di controllo e di condizionamento reciproco
e non possono essere revocati o sciolti prima della scadenza, per cui devono necessariamente trovare un accordo.
- DIRETTORIALE (solo Svizzera) → in cui il Potere esecutivo è affidato ad un organo collegiale eletto dal Parlamento
in quanto manca un vero e proprio Capo dello Stato. L'Esecutivo è però indipendente dal Legislativo e non può
essere sfiduciato o revocato dal Parlamento che a sua volta non può essere sciolto anticipatamente.
- SEMIPRESIDENZIALE (alcuni stati europei dopo la prima/seconda guerra) → il Presidente della Repubblica è
eletto direttamente dai cittadini al pari del Parlamento e non può essere revocato prima della scadenza, il
Parlamento che può essere sciolto anticipatamente dal Presidente, il Governo ha funzione amministrativa ed è
guidato dal Primo ministro. Quest ultimo è nominato dal Capo dello Stato per cui risulta condizionato dalle scelte
del Presidente ma anche dalla volontà del Parlamento che può sfiduciarlo; di fatto la funzione di indirizzo politico
è esercitata da tutti e 3 gli organi, si avrà quindi una prevalenza del Presidente se la maggioranza parlamentare
appartiene al suo partito o del Parlamento se in esso la maggioranza è ostile al capo di Stato.
- NEOPARLAMENTARE (breve periodo in Israele, attualmente a livello locale nelle Regioni italiane) → c’è l'elezione
diretta del Capo del Governo. Il Primo ministro è eletto direttamente dai cittadini, insieme al Parlamento. Il
Governo svolge la funzione amministrativa e determina l’indirizzo politico che le Camere sono chiamate ad
accettare.
Il Parlamento può votare la sfiducia al Governo ma in tal caso verrà sciolto anch'esso e verranno istituite nuove
elezioni contestuali sia per l'uno che per l’altro organo; il Presidente della Repubblica ha esclusiva funzione di
garanzia.
Questo regime può funzionare correttamente solo se il partito del Primo ministro ha la maggioranza in
Parlamento.

14. I SISTEMI ELETTORALI


Gli elementi del sistema elettorale:
• accesso alla competizione elettorale, ossia condizioni per la presentazione di liste e di candidature
singole;
• modalità di espressione del voto (voto a liste, a singola persona, bloccato, libero o semilibero);
• modalità di suddivisione del territorio;
• modalità di ripartizione dei voti (FORMULE ELETTORALI);
• legislazione elettorale di contorno (es. spese elettorali, rimborsi pubblici ...).

Ci sono 2 tipi di formule elettorali:


1. FORMULE MAGGIORITARIE; richiedono la maggioranza dei suffragi espressi per l’attribuzione dei seggi. Sono
quasi sempre associate al voto a singole persone e ad una suddivisione del territorio in collegi uninominali di
ridotte dimensioni. Il candidato conquista l’unico seggio in palio nel collegio uninominale se ottiene la

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maggioranza assoluta (formula MAJORITY, occorre spesso un ballottaggio o una ripartizione della votazione) o la
maggioranza relativa (formula PLURALITY) dei voti.
2. FORMULE PROPORZIONALI; attribuiscono i seggi sulla base di una determinata proporzione con i voti.

Attualmente sono 4 le formule proporzionali utilizzate:


1. METODO DEL QUOZIENTE; seggi assegnati a ciascuna lista → risultato della divisione dei voti ricevuti X il
quoziente elettorale
2. MERODO D’HONDT; seggi assegnati a ciascuna lista → risultato della divisione dei voti ricevuti
progressivamente per 1,2,3,4 ecc., fino al n° dei seggi in palio
3. METODO DI SAINTE-LAGUE; seggi assegnati a ciascuna lista → risultato della divisione dei voti ricevuti
progressivamente per 1,3,5,7 ecc., fino al n° dei seggi in palio
4. METODO DEL VOTO SINGOLO TRASFERIBILE; si applica in collegi plurinominali piccoli. Sono eletti i
candidati che ricevono n°>= al quoziente elettorale. Se dei seggi non sono coperti si contano le 2°/3°
preferenze ecc.

Sistema elettorale + utilizzato in Europa: PROPORZIONALE.


Solo Regno Unito, la Francia, la Grecia perseguono LOGICA MAGGIORITARIA.
Solo 10 Costituzioni + quella italiana: no indicazioni in merito alle caratteristiche del sistema elettorale.

15. LE CONSEGUENZE DEI SISTEMI ELETTORALI SULLA FORMA DI GOVERNO E SUI SISTEMI DEI PARTITI
CONSEGUENZE SULLA FORMA DI GOVERNO
Sistemi elettorali proporzionali → > rappresentatività (anche piccoli partiti), ma favoriscono il frazionamento delle
Assemblee elettive e del sistema dei partiti → + difficile la formazione del Governo.
Sistemi elettorali maggioritari → sacrificano le minoranze → maggiore stabilità al Governo.

CONSEGUENZE SUL SISTEMA DEI PARTITI


Sistemi elettorali proporzionali → partiti organizzati e accentrati → irrigidimento burocratico
Sistemi elettorali maggioritari → limitano influenza dell’apparato di partito → migliore selezione e > indipendenza
dei candidati → rischio corruzione.

CONSEGUENZE SUI RAPPORTI POLITICI


Sistemi maggioritari sono + “conservatori” nei rapporti tra i partiti consolidati e i nuovi, ma + “innovativi” nei
rapporti tra i diversi partiti consolidati.

CONSEGUENZE DELLE FORMULE MISTE → indeboliscono la coerenza del sistema → no equilibrio ma agiscono
prevalentemente in senso proporzionale o maggioritario.

CONSEGUENZE DEL VOTO DI PREFERENZA → nell’ambito di voto a liste consente agli elettori di indicare singoli
candidati preferiti, evitando che i parlamentari vengano “nominati” dai leader dei partiti → rischio di una
“battaglia interna” fra i cittadini.

16. IL SISTEMA ELETTORALE ITALIANO


I principi relativi al sistema elettorale sono:
elezione delle Camere a suffragio universale e diretto → uguaglianza del voto espresso (art.48 Cost.)
segretezza del voto (art.48 Cost.)
sufficiente rappresentatività del risultato
elezione dei parlamentari per un tempo delimitato (5 anni, art.60) e la loro libertà da vincoli giuridici di
mandato (art.67)
ruolo dei partiti (art.49) → deve “agevolare” la partecipazione alla vita politica dei cittadini.

16.1 IL SISTEMA VIGENTE PER LE CAMERE


Dall’unificazione dell'Italia ad oggi sono stati adottati differenti sistemi per l’elezione della Camera dei deputati:
✓ inizialmente uninominali maggioritari a doppio turno;
✓ poi proporzionali a liste concorrenti;
✓ poi di tipo uninominale maggioritario a turno unico (a seguito del referendum 1993 e delle “leggi
Mattarella”);

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✓ poi di tipo proporzionale a liste concorrenti “bloccate” corrette da soglie di sbarramento e da premi
(legge n°270 del 2005 “Porcellum”).

Ora in base alla legge n°165 del 2017 è previsto per le elezioni delle Camere il ROSATELLUM: di tipo misto a
prevalenza proporzionale.
Il territorio: suddiviso in circoscrizioni elettorali ciascuna di queste a sua volta è ripartita in diversi collegi
plurinominali al cui interno sono presenti collegi uninominali.

LEGGI → Il 37,5% dei seggi è attribuito in collegi uninominali a singoli candidati eletti a maggioranza relativa, il
62,5% è assegnato in collegi plurinominali a liste bloccate di pochi candidati in proporzione ai voti ottenuti da
ciascuna lista a livello nazionale/regionale, il 2% è destinato a rappresentanti degli italiani residenti all'estero eletti
con metodo proporzionale e voto di preferenza.

CANDIDATURE → sono presentate dai legali rappresentanti dei partiti e sottoscritte da 1500/2000 elettori del
collegio plurinominale (non è richiesta ai partiti che abbiano un gruppo parlamentare uscente); si può essere
pluricandidati in un max. di 5 collegi plurinominali e in 1 collegio uninominale, è necessaria l'alternanza di genere
nelle liste e candidature (non più del 60% dello stesso sesso).

OBBLIGO DI TRASPARENZA → ogni partito deve depositare il contrassegno e la denominazione, il proprio stato, il
programma politico, l’indicazione del capo della forza politica o della coalizione.

MODALITA’ DI VOTO → il voto è unico per entrambi i collegi, all’interno dei quali si risiede:
scegliendo una lista, il voto si estende al candidato collegato a quella lista;
scegliendo il candidato, il voto si estende all'unica lista che lo supporta o è diviso tra le liste coalizzate.

L'ATTRIBUZIONE DEI SEGGI


Nei collegi uninominali è assegnato al candidato che ottiene il maggior n° dei voti validi.
Nei collegi plurinominali i seggi sono assegnati in proporzione ai voti ricevuti a tutte le liste che raggiungono la
soglia di sbarramento → si calcola la cifra elettorale o regionale e si divide la cifra per il quoziente elettorale.
Seggi che rimangono da assegnare → coalizioni o singole liste che dispongono dei > resti.

L'assegnazione si svolge a livello nazionale per la Camera e a livello regionale per il Senato.
I seggi ottenuti dalle liste nei collegi plurinominali sono attribuiti ai candidati secondo l’ordine di lista.

SEGGIO VACANTE → Viene assegnato al 1° dei candidati non eletti della lista, se il seggio era stato attribuito in un
collegio plurinominale; al vincitore di un’apposita elezione suppletiva, se il seggio era stato attribuito in un collegio
uninominale.

16.2 I SISTEMI VIGENTI PER ALTRI LIVELLI DI GOVERNO


Per l'elezione degli organi regionali (a parte Valle d'Aosta e la provincia autonoma di Bolzano) le altre regioni sono
eletti a suffragio universale con votazione contestuale ma disgiunta: il Presidente della Regione a maggioranza
semplice, i membri del Consiglio regionale con sistema proporzionale e voto di preferenza individuale e premio
di maggioranza (55/60% dei seggi che appoggiano il Presidente risultato eletto) e le soglia di sbarramento.

Per l'elezione degli organi dei Comuni la legge prevede che siano eletti a suffragio universale: il Sindaco, Capo
della Giunta, e i membri del Consiglio comunale:
• nei Comuni con almeno 15.000 abitanti, con votazione contestuale ma disgiunta → Sindaco eletto con
formula Majority, i membri del Consiglio comunale con il sistema proporzionale, voto di preferenza,
premio di maggioranza e soglia di sbarramento al 3%
• nei Comuni con meno di 15.000 abitanti, con votazione contestuale e congiunta → Sindaco eletto con
formula Plurality, i membri del Consiglio comunale con il sistema proporzionale, voto di preferenza,
premio di maggioranza e soglia di sbarramento al 3%

Per l'elezione dei deputati del Parlamento EU → elettori votano liste di candidati, presentate in 5 circoscrizioni, si
possono esprimere 1 o + preferenze, i seggi sono attribuiti in modo proporzionale alle liste che hanno raggiunto
la soglia di sbarramento (4%).

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17. STATI UNITARI, STATI FEDERALI, CONFEDERENZIALI
Le funzioni statali in parte possono essere assegnate anche alle istituzioni locali.

Decentramento = trasferimento di funzioni e poteri dallo Stato verso gli enti territoriali minori dotati di poteri
decisionali (decentramento autarchico), o quel modo di organizzarsi dell’apparato statale che comporta lo
svolgimento dei compiti amministrativi attraverso organi e strutture periferici (decentramento amministrativo,
art. 5).

Se:
*Sovranità appartiene al solo Stato centrale: può esservi Stato unitario che svolge direttamente tutte le sue
funzioni pubbliche, o uno Stato decentrato che affida una parte dei suoi poteri ed enti pubblici autonomi
(promuove le autonomie locali)
*Sovranità attribuita ai soli Paesi membri di un'unione di Stati: può esservi una Confederazione oppure
un’organizzazione internazionale, dotate di poteri non originari ma derivati per la cura di alcuni interessi comuni,
le decisioni dell'autorità centrale si impongono sugli Stati membri ma non penetrano mai nei loro ordinamenti
*Sovranità ripartita fra gli Stati membri e lo Stato centrale → Stato federale che trova in sé stesso la fonte della
propria legittimazione e instaura quindi un rapporto diretto con i cittadini dei Paesi membri imponendo le proprie
decisioni nelle materie affidate alla sua competenza, sia agli Stati federati che agli individui, secondo le regole del
diritto costituzionale (sovranità assoluta ma divisibile).

18. DISTRIBUZIONE DELLE COMPETENZE TRA CENTRO E PERIFERIA


Federalismo dualistico → vi era una netta ripartizione delle limitate funzioni, svolte dai pubblici poteri, tra lo Stato
centrale e gli Stati membri, ognuno dei quali aveva il suo ridotto apparato pubblico, in quanto lo scopo dello Stato
era il benessere dei cittadini e per perseguirlo si lasciava la massima autonomia riservando ai pubblici poteri solo
la determinazione e l'applicazione delle “regole del gioco”.
Federalismo cooperativo → sì ha quando vi è una collaborazione degli Stati membri alla realizzazione dei
programmi definiti dallo Stato centrale e diretti a realizzare i suddetti obiettivi in modo sufficientemente
uniforme.

19. STATO FEDERALE E STATO REGIONALE


Stato federale ≠ dallo Stato regionale → la sovranità non è ripartita ma esistono vaste comunità territoriali (le
Regioni) organizzate in enti pubblici largamente autonomi e dotati di ampie competenze.
Gaspare Ambrosini lo ritiene un tipo intermedio di Stato fra l’unitario e il federale, ma già Costantino Mortati
ritiene che l'unica differenza qualitativa è quella relativa alla partecipazione o meno degli enti territoriali minori
al potere di revisione costituzionale.

La contrapposizione tra le 2 realtà ha perso forza nel pensiero giuridico che tende a considerarle forme del
decentramento autarchico dello Stato contemporaneo.
Ad essa è riconosciuto essenzialmente un significato storico poiché lo Stato federale ha avuto origine dalla
trasformazione di precedenti confederazioni creando un processo ascendente, mentre lo Stato regionale dal
decentramento realizzato all'interno di Stati che prima non erano unitari con un processo discendente.

Si ritiene che la differenza sia meramente quantitativa poiché negli Stati federali “il volume delle funzioni
legislative, amministrative e giurisdizionali e degli ambiti di competenza assegnati dalla Costituzione agli enti
territoriali è più ampio e consistente di quello presente negli Stati qualificati come regionali”.

Secondo alcuni studiosi si possono ancora evidenziare gli elementi giuridici tipici dello Stato federale ovvero:
• la partecipazione degli Stati membri allo svolgimento di tutte le funzioni dello Stato (es. l'indirizzo
politico);
• l'autonomia costituzionale degli Stati membri → potere di darsi proprio ordinamento;
• ripartizione delle competenze fra Stato centrale e Stati membri;
• presenza dei rappresentanti degli Stati membri in una delle due Camere del Parlamento;
• partecipazioni condizionante degli Stati membri alla revisione costituzionale e nomina dei componenti
degli organi di garanzia;
• ripartizione contrattata delle risorse finanziarie fra Stato centrale e Stati membri;
• la possibilità di svolgere un'attività pattizia.

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GLOBALIZZAZIONE DEL DIRITTO E UNIONE EUROPEA
1. I GRANDI SISTEMI GIURIDICI
La classificazione dei diversi tipi di Stato e delle nuove entità sovranazionali è difficile, in quanto gli ordinamenti
giuridici statali sono in una fase di trasformazione → devono ancora essere descritti con le categorie concettuali
elaborate nel passato.

1.1 DAL PARTICOLARISMO ALL’UNIFORMITA’


Dal Medioevo fino alla rivoluzione francese del 1789 vigevano:
• particolarismo giuridico → distinzione e trattamento differenziato delle persone;
• pluralismo istituzionale e normativo → pluralità di centri di potere capaci di produrre norme.
Gli studiosi del diritto, attraverso l’interpretazione creativa, erano in grado di armonizzare il Corpus iuris (raccolta
organica di istituti giuridici del diritto romano fatta redigere dall’Imperatore d’Oriente Giustiniano).

Fino a metà 900 nell’Europa continentale → uniformità istituzionale e giuridica basata su:
• unificazione del soggetto di diritto;
• monopolio normativo delle istituzioni centrali dello Stato;
• criterio gerarchico;
• sulla trasformazione dei giuristi in meri esperti (esegeti) della legge controllati attraverso la Corte di
Cassazione.
I Paesi europei assumono via via una forma di Stato di tipo liberale.

1.2 I SISTEMI DI CIVIL LAW E DI COMMON LAW


2 modelli:
• romano-germanico (civil law);
• anglosassone (common law).

CIVIL LAW → Europa continentale e ex colonie, si basa sul Corpus iuris civilis rivitalizzato dagli interpreti del
Medioevo e dalle idee della rivoluzione francese.
Le norme giuridiche sono prodotte dalle istituzioni pubbliche mediante apposite “fonti del diritto” scritte, i sogg.
o i giudici (in caso di contrasto tra sogg.) devono applicare le regole in via interpretativa, la Corte di Cassazione ha
il compito di verificare se le norme giuridiche sono state correttamente applicate. Il diritto italiano → CIVIL LAW.

COMMON LAW → nasce nel Medioevo in Inghilterra e nelle loro colonie, anche Stati Uniti.
Le norme giuridiche sono prodotte prevalentemente in via consuetudinaria (cioè attraverso comportamenti
spontaneamente osservati ed accompagnati dalla convinzione della loro obbligatorietà), in caso di contrasto tra
due soggetti tali regole saranno precisate dai giudici i quali godono di grande libertà di interpretazione, anche se
vi è il principio della vincolatività del precedente giudiziario (cioè dell'obbligo da parte dei giudici di grado inferiore
di conformarsi alla decisione assunta in un caso analogo dal giudice di livello superiore).
Giudice → persona ben individuata → può avere un’opinione dissenziente rispetto ai colleghi.

Dopo la seconda guerra mondiale vi sono gli Stati democratici e sociali in cui è riconosciuto il diritto dell'uomo
come individuo ma anche come membro di comunità intermedie tra il singolo e lo Stato, tutti i cittadini sono
uguali davanti alla legge e lo Stato si impegna ad intervenire a favore dei più deboli per rimuovere gli ostacoli.

Vi è quindi un pluralismo istituzionale normativo → lo Stato pur sovrano riconosce un ruolo sempre più ampio ad
altri centri di poteri posti al suo interno (es. Regioni, enti locali) → potere di adottare norme e di amministrare la
cosa pubblica nei settori non assegnati alla competenza dello Stato.

Lo Stato limita la sua sovranità anche a favore di centri di poteri esterni (ONU, UE e organizzazioni internazionali).
Ciò comporta un avvicinamento tra gli ordinamenti di Civil law e Common law, in quanto è notevolmente cresciuto
il ruolo interpretativo dei giudici (Civil law) ed è enormemente aumentato il ruolo delle norme scritte.

2. GLOBALIZZAZIONE DEL DIRITTO E LE TRASFORMAZIONI DEI SUOI ISTITUTI


Conseguenza → una parte crescente del diritto vigente non è + prodotta dal singolo Stato → Crisi dello Stato.

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Tutti gli istituti fondamentali sono stati concepiti o teorizzati nell' ambito della forma di Stato liberale (esclusività,
uniformità, autoritarietà) ma ora devono essere utilizzati nell'ambito della diversa forma di Stato democratico-
sociale (interdipendenza, pluralismo, consensualità) che è oltretutto in trasformazione.
Ne deriva l’insufficienza o la parzialità delle categorie concettuali tradizionali che pure si è ancora costretti ad
utilizzare chi hanno tuttora il loro perno nella nozione di Stato sovrano in crisi:
• la sovranità è sempre più intaccata (erosa) da una pluralità di centri di potere;
• il popolo tende a perdere la compattezza del passato e molti Stati accettano la possibilità di avere anche
la cittadinanza di un altro paese, sono riconosciute e garantite comunità minori;
• le norme giuridiche perdono la caratteristica della generalità e dell’astrattezza;
• la Costituzione da flessibile e breve diventa rigida e lunga;
• la pubblica amministrazione da accentrata, uniforme e autoritaria tende a diventare decentrata,
differenziata e consensuale;
• lo Stato nell’economia non definisce solo le “regole del gioco” ma programma e interviene direttamente
ed ora si sta trasformando diventando di regolazione e garanzia;
• la sacralità del contratto è intaccata dalle norme nazionali ed europee e dai giudici;
• gli istituti giuridici consolidati sono utilizzati per tutelare integralmente la persona e non soltanto più la
proprietà.

3. ORDINAMENTO INTERNAZIONALE
Le norme di quest’ultimo si rivolgono non ai singoli individui ma agli stessi Stati e alle organizzazioni da loro create.

Lo Stato però è sovrano e non riconosce autorità superiori per cui l'ordinamento internazionale è paritario, ovvero
manca una distinzione tra autorità governanti e soggetti governati.

Le norme giuridiche sono prodotte mediante consuetudini o mediante accordi (trattati o convenzioni
internazionali) e nel caso di controversie bisogna trovare un’intesa o un punto di equilibrio, in quanto l'unico
rimedio rimane l'uso della forza (guerra).

3.2 LE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI


Per favorire la pace la collaborazione fra gli Stati sono state create varie organizzazioni internazionali.

ONU: volontaria associazione di Stati, è dotata di poteri coercitivi → può imporre sanzioni diplomatiche ed
economiche e può anche utilizzare la forza militare nei confronti di uno Stato che minacci la pace e la sicurezza
mondiale (decisioni + incisive devono essere deliberate dal Consiglio di Sicurezza → 15 Paesi, di cui 5 membri
hanno diritto di veto). Nella pratica agisce come autorità che in ultima analisi dipende da quella degli Stati.

Si sono creati anche la Corte Internazionale di Giustizia e il Tribunale Penale Internazionale con sede all'Aia
(Olanda). La loro attività si fonda su accordi fra gli Stati di sottoporre alla loro giurisdizione le singole controversie.

L’Italia a livello europeo fa parte del Consiglio d'Europa: associazione di Stati diversa dall’UE, a cui partecipano 47
Paesi. È un luogo di dibattito e di elaborazione di accordi che successivamente vengono stipulati e ratificati dagli
Stati membri sotto forma di convenzioni internazionali. Il Consiglio è dotato comunque di Assemblea
Parlamentare, Comitato dei Ministri e un segretario con funzioni esecutive.

Al Consiglio si deve l’elaborazione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
libertà fondamentali (CEDU) firmata a Roma il 4 novembre del 1950, ratificata e resa esecutiva in Italia con la
legge del 4 agosto del 1955 numero 848; e della Carta sociale europea (CSE) firmata a Torino nel 1961.
Esse hanno codificato i diritti e hanno previsto istituzioni per la loro tutela → Comitato europeo dei diritti sociali
(15 esperti + poteri para-giurisdizionali) e la Corte europea dei diritti dell’uomo (1 giudice * ogni Paese firmatario).
Corte → adita da chiunque pretenda di essere vittima di una violazione dei diritti sanciti dalla CEDU, commessa
da uno Stato parte della Convenzione → occorre aver prima esaurito le vie di ricorso a livello nazionale.
Problema strutturale o sistematico → speciale procedura: SENTENZA PILOTA.

4. COMUNITA’ EUROPEA E I LORO ORGANI


L’UE tramite il Trattato di Maastricht del 1992 ha sostituito dal 2009: la Comunità europea del carbone e
dell'acciaio (CECA) 1951 e la Comunità economica europea (CEE) 1957.

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Mentre la Comunità europea dell’energia atomica (CEEA o Euratom) 1957 è rimasta in vita.

I trattati internazionali istitutivi hanno previsto un complesso di istituzioni che include organi sovranazionali ed
intergovernativi che tengono conto delle esigenze degli Stati membri e perseguono obiettivi comunitari.
Organi sovranazionali:
• Commissione EU → funzione esecutiva e iniziativa legislativa;
• Parlamento EU → funzione di controllo politico sulla Commissione, potere di codecisione o di
cooperazione normativa con il Consiglio;
• Corte di Giustizia (affiancata da Tribunale di 1°G) → conosce controversie insorte tra Stati membri e
cittadini o imprese e le Comunità o l’UE in merito di trattati istitutivi;
• Corte dei Conti → organo di controllo giuridico-contabile;
• Comitato economico e sociale → organo consultivo (rappresentanti delle organizzazioni sindacali,
imprenditoriali e sociali);
• Comitato delle Regioni → organo consultivo (rappresentanti degli enti territoriali all’interno degli Stati
membri);
• Banca centrale europea → personalità giuridica + indipendenza da altre istituzioni.

Gli organi intergovernativi:


• Consiglio → 1 delegato * ciascun Governo degli Stati, poteri sia normativi che di indirizzo politico;
• Consiglio EU → Capi di Stato o di Governo dei Paesi membri, ruolo di indirizzo politico.

4.2 IL DIRITTO COMUNITARIO EU


Sin dall’inizio vi era diretta applicabilità di alcune norme dettate dai regolamenti comunitari all'interno degli
ordinamenti degli Stati membri, e successivamente la Corte di giustizia ha configurato il rapporto fra il diritto
comunitario e il diritto degli Stati membri in modo non diverso da quello riscontrabile negli Stati federali.
La Corte di Giustizia ha definito la CEE una Comunità di diritto, con un ordinamento giuridico vero e proprio
integrato con gli ordinamenti degli Stati membri, per cui i paesi membri hanno rinunciato in alcuni settori alla loro
sovranità.

Le norme comunitarie chiare, precise e autosufficienti devono esse trattate come diritto nazionale (parte
integrante del diritto di ciascun Stato membro):
• possono essere invocate dai singoli di fronte ai giudici del proprio Paese;
• devono essere considerate norme di rango superiore, prevalgono su ogni norma nazionale.

Le disposizioni interne non compatibili con quelle comunitarie sono “disapplicate” dalla P.A. o dai giudici, ovvero
non più utilizzate anche se rimangono formalmente in vigore.

La Corte costituzionale italiana ritiene che l’Italia abbia limitato e non rinunciato alla sua sovranità, in base
all'articolo 11 e che l'ordinamento giuridico nazionale si mantenga distinto ed autonomo da quello comunitario
pur se coordinato con esso → principio dualistico.

4.3 L’UE
L'UE persegue finalità generali (non + settoriali): la pace, rispetto della dignità umana, la libertà, la democrazia,
l'uguaglianza, i diritti umani, il benessere, la sicurezza, la giustizia, la coesione economica, sociale e territoriale.

Inizialmente era basata su 3 pilastri:


• economico sociale → curato dalle precedenti comunità europee;
• quello della politica estera e di sicurezza comune;
• quello della sicurezza interna e della giustizia → curati dall’Unione.

In seguito al Trattato di Lisbona del 2007 (entrato in vigore nel 2009) → l'UE e la Comunità europea sono state
fuse in una nuova Unione europea →personalità giuridica con ampie competenze e poteri.

È stato introdotto e poi mantenuto un legame diretto tra UE e i cittadini dei Paesi: la cittadinanza dell’UE.
È attribuita automaticamente a chi abbia una cittadinanza di uno Stato membro (status che si aggiunge a quello
di cittadino nazionale) e comporta 4 diritti:

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• il diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio dell'Unione;
• l'elettorato attivo e passivo per il Parlamento europeo e per gli organi del Comune in cui la persona
risiede (anche se tale ente non è situato nel proprio Stato membro);
• la tutela diplomatica e consolare da parte dell'autorità di qualsiasi Paese membro, qualora ci si trovi in
uno Stato terzo in cui il proprio Paese non sia rappresentato;
• il diritto di petizione e di ricorso al difensore civico europeo (=mediatore).

2000 → l'Unione ha adottato anche una sua Carta dei diritti fondamentali → inizialmente aveva solo natura
“politica” /ricognitiva dei diritti già garantiti → con il Trattato di Lisbona del 2009: efficacia vincolante.

5. TENTATIVO DI ADOTTARE UNA CARTA COSTITUZIONALE EU


La Carta costituzionale europea dovrebbe essere l’ultimo passo di questo processo di trasformazione.
Secondo una parte minoritaria esisterebbe già in quanto discende dall’originarietà dell'ordinamento comunitario.
Sarebbe però una Cost. dipendente giuridicamente dall’esterno, ossia degli Stati membri.

La Convenzione europea tra il 2002 e 2003 → riordina i trattati esistenti. Essa è:


• simile ad un’Assemblea Costituente → convocata solo per quello scopo e composta da rappresentanti
eletti dai Parlamenti Nazionali e quello Eu, delegati dei Governi degli Stati m. e della Commissione EU
• ha redatto un documento solenne → Costituzione per l’EU → approvato da una Conferenza
intergovernativa e dal Consiglio Eu; sottoscritto sotto forma di trattato internazionale (dai Capi di Stato
o di Governo dei 25 Paesi dell’UE); non è entrata in vigore perché non è stata ratificata da Francia e
Olanda

La Cost. aveva l’intenzione di disciplinare: finalità generali della (nuova) UE; i rapporti con i cittadini; istituzioni
attraverso cui doveva operare; ripartizione delle competenze tra UE e Stati m.

DUBBIO: si sarebbe potuto parlare di una Cost. di uno Stato federale Eu?
Il Consiglio Costituzionale Francese + Tribunale Costituzionale Spagnolo avevano affermato che il documento
aveva natura di trattato internazionale.

5.2 ESIGENZE ALLA BASE DELLA COSTITUZIONALIZZAZIONE DELL’UE


C’era bisogno di una Costituzione per un salto di qualità dell'Unione in quanto vi erano esigenze che rendevano
necessario rivedere la parità originaria fra gli Stati membri. Questa esigenza ha condotto alla stipulazione del Patto
di stabilità (1997) e (nel 2012) del Fiscal Compact (2 accordi internazionali).

A seguito del 1° Trattato ogni Stato firmatario è obbligato a contenere il proprio eventuale deficit di bilancio entro
il limite corrispondente del 3% del PIL e cercare di avere un debito pubblico complessivo non superiore al 60% del
PIL.
Con l’entrata in vigore del 2° Trattato, ciascun Paese deve evitare di avere un deficit annuale strutturale superiore
allo 0,5% del PIL (1%, se il debito pubblico è inferiore al 60% del PIL) e deve riportare il debito pubblico complessivo
entro la soglia del 60% del PIL nominale (PIL reale + tasso di inflazione) nel giro di 20 anni.

Gli Stati si sono impegnati ad introdurre entro il 1° gennaio del 2014 la regola che impone l’equilibrio di bilancio.
Italia l’ha fatto modificando l’art.81, con legge cost.1 del 2012. Solo i Paesi che hanno introdotto questa regola →
prestiti da parte del Meccanismo europeo di stabilità (MES o ESM).

6. COSTITUZIONE EU SENZA UNO STATO E SENZA UN POPOLO?


Vi sono 2 linee di pensiero circa la possibilità e desiderabilità di una Costituzione UE:
1. solo uno stato Sovrano può avere una Costituzione, per cui bisognava trasformarsi in un vero e proprio
Stato federale per averla, in quanto la Costituzione è fondata su un popolo che, esercitando il potere
costituente, decide di dare vita allo Stato federale europeo;
2. anche comunità organizzate diverse dagli Stati possono dotarsi di una Costituzione (“senza Stato” in caso
di quella Eu), dunque si avrà una Costituzione dotata di finalità generali, con poteri propri, con
legittimazione dei governanti sulla base del diritto e quella del loro controllo periodico da parte dei
cittadini, in modo da favorire il formarsi di un’identità collettiva.

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All’interno della 1° concezione vi è poi un’altra distinzione tra:
• chi intende il popolo in senso naturalistico e tradizionalistico, cioè come “nazione” nel senso tradizionale
→ identità nazionale è concepita come identità etico-culturale e la cittadinanza è definita dallo ius
sanguinis → il traguardo della costituzione è irrealizzabile;
• chi lo concepisce in senso artificialistico e volontaristico, cioè come “comunità politica” → identità
nazionale è concepita come identità politica e la cittadinanza è definita dallo ius soli → prospettiva
appare raggiungibile ma SOLO dopo che si sarà formata una “società politica” sufficientemente
omogenea.
“Un” popolo non esiste perché è assente una società (Eu) capace di dare luogo ad un’identità collettiva e ad un
senso di appartenenza sufficientemente idoneo a sostenere le decisioni della > e le prestazioni di solidarietà.
Senza ciò → il suo grado di legittimità sarebbe < a quello degli Stati nazionali.

7. PROSEGUIMENTO IN ALTRE FORME DELL’INTEGRAZIONE EU


18 Stati membri (anche Italia) completarono le procedure per la ratifica del Trattato costituzionale, mentre 9 non
lo fecero. Il Consiglio Eu, riunito a Bruxelles nel giugno 2007, ha decido di sacrificare la “forma della Cost. per l’EU,
stabilendo che una conferenza è invitata a elaborare un trattato che modifichi i tratti esistenti allo scopo di
rafforzare l'efficienza e la legittimità democratica dell'Unione allargata, nonché la coerenza della sua azione
esterna.
Il trattato sull’UE, firmato a Lisbona nel 2007, integrerà nei trattati esistenti, che resteranno in vigore, le
innovazioni risultanti dalla conferenza intergovernativa del 2004.
Il Trattato sull’UE ed il Trattato sul funzionamento dell’UE non avranno carattere costituzionale.

4 elementi indicano che non siamo in presenza di atti di natura propriamente costituzionale:
• l'adozione di un trattato internazionale che necessita del consenso unanime dei Paesi m.;
• il potere di revisione costituzionale e della “competenza sulle competenze” è affidato agli Stati;
• necessità di voto unanime del Consiglio;
• la facoltà di secessione degli Stati m.

7.2 I “NUOVI” ATTI FONDAMENTALI DELL’UE E POSSIBILI SVILUPPI FUTURI


Nei 2 trattati istitutivi dell’UE (TE e TFUE) è stata inserita la stragrande maggioranza delle nome della Cost. Eu.:
• fusione in un unico ente (UE) delle precedenti UE e Comunità europea → scomparsa di struttura a
“pilastri”;
• ridefinizione dei valori e degli obiettivi dell’Unione;
• spazio unico di libertà, sicurezza e giustizia;
• attribuzione alla Carta dei diritti fondamentali dello stesso valore giuridico dei Trattati e la previsione
della futura adesione dell’UE alla CEDU;
• razionalizzazione delle competenze e delle istituzioni → presidente semi-permanente del Consiglio EU,
rappresentante degli Affari esteri e la sicurezza, snellimento della composizione della Commissione,
ruolo accresciuto del Parlamento EU, nuovo calcolo della > qualificata necessaria ad adottare decisioni
(55% dei membri del Consiglio che rappresentino almeno il 65% della popolazione dell’Unione);
• razionalizzazione degli atti giuridici → ≠ atti legislativi, atti normativi delegati, atti di esecuzione;
• previsione che la revisione ordinaria dei trattati passerà attraverso la convocazione di Convenzioni EU e
solo poi attraverso conferenze intergovernative (occorrerà sottoscrizione e ratifica di tutti gli Stati m.).
Sono allegati a questi 2 Trattati: 10 protocolli e 43 dichiarazioni.

In futuro: in relazione alle conseguenze della competizione economica globale, alla difficoltà di gestione dei flussi
immigratori, alla Brexit e al Covid-19, si prospettano dei cambiamenti che potrebbero portare ad una >
integrazione attraverso:
• forme di finanziamento comune degli Stati membri sulla base delle risorse reperite tramite titoli emessi
dall’UE;
• maggiori interventi nell'ambito sociale;
• il completamento dell'unione bancaria, ossia la creazione di un sistema di garanzia UE per i depositi
bancari;
• rafforzamento dell’Unione economica e dall’unione politica e militare.

Serviranno nuove regole e nuovi trattati fra i Paesi membri dell’UE.

16
EVOLUZIONE DELLA FORMA DI STATO E DI GOVERNO ITALIANA
1. L’EPOCA LIBERALE
Il Regno d’Italia fu proclamato con la legge 17 marzo 1861 che sanciva che “il Re Vittorio Emanuele II assume per
sé e per i suoi successori il titolo di Re d’Italia”.
Stato “Nuovo” rispetto al Regno di Sardegna? NO. Nel Regno d’Italia tutte le istituzioni dello Stato sardo
piemontese continuano ad operare estendendo il loro ambito territoriale.

Conserva lo Statuto che Carlo Alberto aveva concesso al Regno di Sardegna il 4 marzo 1848 → prevedeva uno
Stato liberale retto da una monarchia costituzionale pura in cui il Sovrano conservava poteri esecutivo e legislativo
(con Parlamento), non c’era un Governo ma Ministri.
La forma di governo funzionò in senso parlamentare, ma lo Statuto afferma che si tratta di una forma di governo
parlamentare perché c’era un Governo monarchico Rappresentativo.

Pur in mancanza di partiti politici organizzati il Regno fu guidato per 15anni dagli esponenti della Destra storica
continuatori delle idee dei liberali moderati e poi dagli esponenti della Sinistra storica eredi dei liberali democratici
(ampliamento dell’elettorato attivo dal 1,9% al 6,9% dei cittadini ma solo nel 1912 vi fu il suffragio universale
maschile).
Nel 1919 le elezioni per la prima volta avvennero x sistema proporzionale con voto di lista e segnarono
l’affermazione dei partiti di massa (Partito socialista, Partito popolare).
Vi fu però una profonda crisi sociale ed economica, instabilità politica, disordini sociali, scioperi (seguito alla
guerra), e si ritenne che non vi fosse altro mezzo per ristabilire l’ordine se non affidandosi alla forza aggressiva e
violenta del movimento fascista organizzato in forme parlamentari.

2. IL REGIME FASCISTA
Con la Marcia su Roma del 28 ottobre 1922 il leader del partito fascista Benito Mussolini fu nominato dal Re
Presidente del Consiglio di un Governo di coalizione (fascisti, liberali, nazionalisti, popolari) ma vi fu rapidamente
una trasformazione della forma di Stato da liberale ad autoritari + Milizia volontaria per la sicurezza nazionale con
funzioni anche di ordine pubblico + fu stravolto il sistema elettorale (prima Legge Acerbo premio di maggioranza
ai 2/3 dei seggi della Camera a favore della lista + votata → poi riduzione delle elezioni all’approvazione
plebiscitaria di una list unica proposta dal Partito Fascista).

Con le leggi fascistissime (24.12.1925): eliminata possibilità delle Camere di sfiduciare il Governo (e con ciò il
regime parlamentare) + scioglimento di tutti i partiti, associazioni e organizzazioni esplicitanti attività contrarie al
regime (partito unico) + divieto di sciopero + sindacato unico + Tribunale speciale per la difesa dello Stato che
operava secondo la logica dei tribunali militari + inserito il Gran Consiglio del Fascismo (massimo organo del
partito, formava la lista unica dei candidati alle elezioni, pareri su disegni di legge, formazione delle candidature
per la carica di Capo del Governo, pareri sulla successione dinastica) + nel 1939 la Camera dei deputati trasformata
in organo nominato dall’alto (Camera dei fasci e delle corporazioni).

Il Regime fascista realizza la conciliazione fra Stato e Chiesa cattolica → 11.02.1929 firmati i Patti lateranensi fra
Italia (riconoscimento dello Stato della Città del Vaticano) e Santa Sede (rinunciava ad ogni rivendicazione sui
vecchi territori) + politica imperialista e razzista (prima invadendo l’Etiopia poi con le leggi razziali e il censimento
degli appartenenti alla razza ebraica con il divieto di contrarre matrimonio al di fuori della comunità israelitica e
di far parte dei pubblici impieghi).

L’ingresso dell’Italia nella seconda 2° guerra (10 giugno 1940) mise in crisi il Paese, impreparato ad un conflitto
del genere, e conseguentemente il regime fascista. Nel 1943 vi fu lo sbarco delle truppe angloamericane in Sicilia
+ Gran Consiglio del Fascismo spinse a votare un ordine del giorno proposto da Dino Grandi per un intervento del
re → il re revocò Mussolini e nominò Capo del Governo Pietro Badoglio (che abolì o paralizzo le istituzioni del
fascismo), per cui la nomina avvenne al di fuori degli schemi della legalità fascista.

3. PERIODO TRANSITORIO
Armistizio 8.9.1943 provocò l’occupazione militare di gran parte del territorio da parte dei Tedeschi e la fuga del
Re e del Governo a Brindisi poi a Salerno, dando vita al “Regno del Sud”.

Mussolini proclamò la RSI (o Repubblica di Salò).

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Nel frattempo i ricostituiti partiti antifascisti avevano stretto fra loro un patto di unità d’azione costituendo, già il
9 settembre 1943, il comitato di liberazione nazionale (CNL) e ponendosi alla guida politica del movimento di
resistenza, rifiutando ogni collaborazione con il Re del quale chiedevano l’abdicazione.

PATTO DI SALERNO → con esso la “questione istituzionale (monarchia vs repubblica) fu rinviata dopo la
liberazione del Paese.

Re Vittorio non abdicò ma lasciò ogni potere al figlio Umberto nominato “Lungo-tenente del Regno” +
Costituzione provvisoria (Governo rappresentativo, manca il Parlamento) + Consulta nazionale (simile a
un’assemblea parlamentare) → poi 2° Costituzione provvisoria (1946): stabilisce che la scelta tra M e R sarebbe
stata operata dal popolo tramite referendum.
Prima delle votazioni Vittorio Emanuele III abdicò ufficialmente, e il Lungo-tenente assume il titolo di Umberto II
Re d’Italia (polemiche violazione dell’accordo preso a Salerno).

2 giugno 1946: referendum (anche le donne) e elezioni per l’Assemblea Costituente (556 componenti, eletti con
sistema proporzionale e voto di lista) → fu proclamata la Repubblica e l’Assemblea elesse Capo provvisorio dello
Stato Enrico De Nicola (il Re “di maggio” esiliò in Portogallo).

Nell’Assemblea Costituente i partiti ottennero:


• Democrazia cristiana → 207seggi;
• Partito socialista italiano → 115;
• Partito comunista italiano → 104;
• Unione democratica nazionale → 41;
• Fronte dell’Uomo qualunque → 30;
• Partito Repubblicano → 23;
• Altri partiti → 36.

4. SCELTE DELL’ASSEMBLEA + STRUTTURA DELLA COST.


Dal luglio 1946 fu redatto un progetto di costituzione ad opera di una Commissione interna dei 75 (articolata in 3
Sottocommissioni), il testo fu sottoposto alla votazione finale il 22 dicembre 1947 ed approvato con 453 voti
favorevoli.
La nuova Cost. fu promulgata dal Capo dello Stato il 27 dicembre 1947 ed entrò in vigore il 1° gennaio 1948 →
139 articoli + 18 disposizioni transitorie e finali.
È così suddivisa:
- Principi fondamentali (art.1-12)
- Parte I “diritti e doveri dei cittadini” (art.13-54) → 4 Titoli: Rapporti civili, Rapporti etico-sociali, Rapporti
economici, Rapporti politici;
- Parte II “ordinamento della Repubblica” (art.55-139) → 6 Titoli: Parlamento, Presidente, Governo (Pubblica
Amministrazione e Organi ausiliari), Magistratura, le Regioni Provincie e Comuni, le Garanzie costituzionali;
- 18 disposizioni transitorie e finali.

Trattazione degli argomenti → schema di “piramide rovesciata” per evidenziare le priorità → Stato esiste e deve
operare per il cittadino e non viceversa.
PARTE I → criterio della socialità progressiva
PARTE II → divisione dei poteri

Costituzione: votata, scritta, lunga (tratta anche i diritti e i doveri dei cittadini), rigida (“legge superiore”, prevale
su leggi ordinarie).
La sovranità “appartiene al popolo” ma la Carta costituzionale aggiunge che il popolo “la esercita nelle forme e
nei limiti previsti dalla Cost” (art. 1 comma 2).

5. DIVERSI APPORTI IDEOLOGICO-CULTURALI ALLA COST.


La Cost. risente di una chiara ispirazione antifascista → regole e garanzie idonee a contrastare il suo ritorno.

APPORTO CATTOLICO: emerge nell’ispirazione personalista e comunitaria (o pluralista). Persona → centro


dell’organizzazione statuale e titolare di diritti anteriori a quest’ultima (art.2).

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Anche le articolazioni della società civile sono sogg. di diritto che lo Stato deve riconoscere.
APPORTO SOCIALCOMUNISTA: meno evidente nel testo costituzionale ma l’influenza di queste forze ha indotto
l’Assemblea a sottolineare che la Repubblica è “fondata sul lavoro” (art.1) e a proclamare giustizia sociale e
uguaglianza sostanziale → necessità della presenza pubblica nell’assetto economico-sociale x regolare o limitare
il sistema fondato sul libero mercato e l’imprenditorialità privata, comunque garantiti (art.41-47).
APPORTO LIBERAL-DEMOCRATICO: ha contribuito al rilievo assunto dalle libertà individuali e dell’economia di
mercato.

6. PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA COSTITUZIONE


Secondo Costantino Mortati, i principi fondamentali della Costituzione sono:
- personalista: su cui si fondano le libertà e dei diritti dell’individuo
- pluralista: sancisce il rilievo delle articolazioni sociali intermedie fra l’individuo e lo Stato, derivante dal fatto
che i membri della comunità sono visti come esseri umani che sviluppano la loro personalità nell’ambito di
una rete di relazione con gli altri
- lavorista: lavoro inteso come svolgimento di un’attività materiale/una funzione intellettuale/spirituale che
concorrono al progresso della società (art.4) e sancisce l’impegno della Repubblica per la riforma dell’assetto
economico-sociale
- democratico: esprime collocazione centrale del popolo nell’ordinamento statale → fonte del potere dei
governanti risiede nel consenso dei cittadini
+ uguaglianza: divieto di privilegi o di discriminazioni (uguaglianza formale) e con l’intervento dei pubblici
poteri nell’assetto economico-sociale (uguaglianza sostanziale)
+ autonomistico: riconoscimento delle collettività locali nell’organizzazione della Repubblica
+ apertura alla dimensione internazionale: art.10 il nostro ordinamento pur sovrano si adatta e recepisce le
norme internazionali generalmente riconosciute, e art.11 si possono operare limitazioni di sovranità
necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni e ripudia la guerra come
strumento di offesa alla libertà e mezzo di risoluzione delle controversie internazionali
+ laicità: (in senso positivo), lo Stato salvaguardia la libertà di religione in regime di pluralismo confessionale
e culturale.

I principi generali assumono efficacia giuridica. Hanno significato e portata (Onida) di: guida x l’interprete della
Cost.; fonte x individuarvi regole implicite e identificazione di un nucleo inderogabile di valori e criteri (non
possono essere oggetto di revisione costituzionale e costituiscono parametro di legittimità delle leggi
costituzionali).
Fra possibili interpretazioni andrà preferita quella > conforme ai principi fondamentali; è possibile ricavare da tali
principi regole costituzionali implicite.

7. FORMA DI STATO
Forma di Stato: democratico-sociale (costituzionale, democratica, sociale, aperta, pluralistica, laica).
È una Repubblica democratica fondata sul lavoro (art.1) che riconosce e garantisce i diritti dell’uomo (sia come
individuo, sia come membro della comunità intermedie) e richiede l’adempimento dei doveri di solidarietà
politica, economica e sociale (art.2).
Obiettivo: garantire il “pieno sviluppo della persona umana” (art.3). Tutti i cittadini sono considerati uguali davanti
alla legge (uguaglianza formale) → I cittadini trovandosi in situazioni uguali devono essere trattati in modo
analogo e quando le situazioni sono differenti in modo diverso. Lo Stato si impegna ad intervenire a favore dei
deboli per rimuovere gli ostacoli (uguaglianza sostanziale).
Per fare ciò la Repubblica amplia l’apparato amministrativo → intervento attivo nell'ambito economico sociale sia
pur rispettando una serie di limiti invalicabili sia di metodo (principio di legalità) sia di contenuto (mantenimento
del libero mercato e dell'attività economica privata).
La Repubblica italiana: pluralistica (pur essendo una e indivisibile riconosce e promuove le autonomie locali, e pur
essendo laica riconosce e tutela le diverse confessioni religiose, art. 7-8). Pur essendo indipendente e sovrana è
aperta alla dimensione extranazionale (ONU, UE, art.11).

8. FORMA DI GOVERNO
Forma di Governo: parlamentare ma a debole razionalizzazione, sono infatti previsti solo limitati interventi
giuridici per assicurare la stabilità del rapporto di fiducia e la capacità di direzione politica del Governo.
Ordine del giorno Perassi → forma di Governo parlamentare disciplinata con dispositivi costituzionali idonei a
tutelare le esigenze di stabilità ma → debole razionalizzazione nelle previsioni di specifiche procedure per la

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concessione/revoca della fiducia al Governo; di un Presidente della Repubblica super partes dotato di concreti
poteri di garanzia, di intermediazione e di risoluzione della crisi; Corte costituzionale dotata di poteri di intervento
a garanzia della Costituzione contro abusi di Potere dello Stato.
L’organizzazione della Repubblica riprende la forma di governo parlamentare liberal-democratico con novità:
sovranità popolare e attuazione del suffragio universale e l’introduzione di circoscritte possibilità di democrazia
diretta (es. referendum)

9. ARTICOLAZIONE TERRITORIALE DELLA REPUBBLICA


Ordinamento della Repubblica: oltre alla ripartizione orizzontale esiste la ripartizione verticale tra lo Stato centrale
e le Regioni, Province, Comuni e Città metropolitane (principio di sussidiarietà verticale). Ognuno di essi suddivide
poi al suo interno, tra diversi organi, le attribuzioni concessegli e ha quindi la sua forma di governo, allo stesso
tempo ogni ente deve favorire l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati per lo svolgimento di attività
di interesse generale (sussidiarietà orizzontale) → partecipazione di tutti i cittadini “all’organizzazione politica,
economica e sociale del Paese” (art.3)
L’Italia riconosce e promuove le autonomie locali ed informa la sua struttura al decentramento amministrativo
(art.5).
Titolo V Parte II (2001) → Repubblica è costituita dai Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni (che sono
enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni, art. 114) e Stato (art.114). Indicazione ascendente → indica
che i pubblici poteri nascono dalle comunità + vicine ai cittadini e poi si diffondono a quelle superiori.
Inoltre tutti questi sono enti pubblici, territoriali e rappresentativi.

10. ISTITUTI DI DEMOCRAZIA DIRETTA


I cittadini possono far sentire la loro voce, oltre che attraverso l’elezione dei rappresentanti, mediante i partiti
politici: considerati la cinghia di trasmissione tra la società civile e gli organi costituzionali.
Art.49 → tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico
e determinare la politica nazionale.

La nostra Cost. ha introdotto anche alcuni istituti di democrazia diretta (per consentire ai cittadini di
stimolare/bloccare scelte degli organi rappresentativi. Essi sono:
- petizione: richiesta che ciascun cittadino può rivolgere agli organi parlamentari per chiedere provvedimenti
legislativi o esporre comuni necessità ma non obbliga le Camere nemmeno a discutere delle petizioni
ricevute.
- iniziativa legislativa popolare: facoltà di presentare ad una qualsiasi delle Camere una proposta di legge
redatta in articoli, esercitata da almeno 50.000 elettori (art.71) ma è poco utilizzata perché i canali politici e
dei singoli parlamentari sono più efficaci.
- referendum.

11. REFERENDUM
Referendum → istituto di democrazia diretta che consente al corpo di elettorale di deliberare oltre che proporre.
Ma nel voto popolare referendario si creano maggioranze fluttuanti e l’uso frequente tende a delegittimare il
Parlamento e rischia di ingenerare nel popolo la sfiducia nelle istituzioni rappresentative.
Negli ultimi anni con la crisi dei partiti c'è stata una crescita considerevole del ricorso al referendum.
In Italia (dal 1974) ci sono state 10ine di referendum abrogativi e 4 costituzionali.

Esistono diversi tipi di Referendum:


COSTITUZIONALE: può svolgersi a conclusione del procedimento di revisione della Cost. /approvazione di una
legge costituzionale, qualora → nella 2° deliberazione di 1 o entrambe le Camere non sia raggiunta la > dei 2/3
dei componenti, ma almeno la > assoluta e qualora entro 3mesi dalla data di pubblicazione ne facciano richiesta
almeno 1/5 dei membri di una Camera/500.000 elettori/5 Consigli regionali.
Se la richiesta viene presentata, dopo che l’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione ne ha
verificato la regolarità formale e procedurale, il referendum viene indetto dal Presidente della R.
L’approvazione della legge Costituzionale dipende dalla volontà del corpo elettorale: se si pronuncia a favore la >
dei voti validi → approvata, promulgata e pubblicata; se la > o metà dei voti validi è contraria → non approvata.

Referendum: strumento a disposizione delle minoranze contrarie ad una revisione costituzionale approvata dalle
Camere. (rischio: uso plebiscitario per ottenere conferma popolare della revisione + legittimazione politica di tali
partiti e loro leader).

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ABROGATIVO: funzione → abrogare in tutto o in parte una legge o un atto avente forza di legge su richiesta di
500.000 elettori/5 Consigli regionali ad eccezione delle leggi tributarie, di bilancio, di amnistia e di indulto, di
autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali, delle leggi costituzionali, leggi ordinarie strettamente
connesse a quelle espressamente sottratte al referendum, leggi ordinarie atipiche e quelle rinforzate (es. quelle
che recepiscono le norme delle direttive europee/approvano intese con confessioni religiose), leggi ordinarie
aventi un contenuto costituzionalmente vincolato, leggi necessarie per l'attuazione e il funzionamento di organi
o di istituti di rilevanza costituzionale.

Il quesito deve essere chiaro (univoco) ed omogeneo per cui non può contenere più richieste, non riconducibili
ad un’unica ratio. La proposta oggetto di referendum è approvata se si ha la > degli aventi diritto (quorum
costitutivo) e se si pronuncia favorevole la > dei voti validi, escluse le schede bianche e quelle nulle (quorum
deliberativo).

Legge 25.05.1970 → Il procedimento referendario ha varie fasi:


• iniziativa → comitato promotore con non + di 10 persone promuove raccolta delle firme degli elettori in
3 mesi/o deliberazioni a > assoluta dei Consigli regionali in 4 mesi
• deposito delle firme/deliberazioni regionali presso Ufficio centrale x il Referendum della Corte di
Cassazione (entro il 30 settembre di ogni anno)
• verifica della legittimità della richiesta ad opera dell’Ufficio centrale (entro 10.12)
• giudizio di ammissibilità della richiesta effettuato dalla Corte Costituzionale (entro 10.2 successivo)
• indizione da parte del Presidente della R. (in una domenica compresa fra il 15.4 e il 15.6, proposta dal
Governo)
• votazione e scrutinio (verifica del raggiungimento del doppio quorum)
• proclamazione del risultato → avviene con il d.P.R. pubblicato su G.U. da cui decorre l’abrogazione della
legge. Il Capo dello Stato su proposta del Governo può posporre gli effetti dell’ab. di 120g x dare tempo
al Parlamento di colmare il vuoto legislativo.

Ufficio centrale per il Referendum ha anche la funzione di accorpare quesiti analoghi, dichiarare estinto il
procedimento quando la legge oggetto di Ref. viene abrogata, se è abrogata o sostituita da nuova legge NON suff.
diversa dalla precedente l’Ufficio trasferisce il Ref. sulla nuova legge.

REFERENDUM SULLA VARIAZIONE TERRITORIALE: (art.132/133), può riguardare:


- REGIONI→ mediante la fusione di Regioni esistenti o la creazione di nuove Regioni che abbiano
almeno 1milione di abitanti oppure attraverso il distacco di Province o Comuni da una Regione e la loro
aggregazione ad un'altra.
- PROVINCE E COMUNI

Il processo di variazione territoriale è il seguente:


• fusione di Regioni/creazione di nuove possono essere disposte con legge costituzionale adottata dal
Parlamento →richiesta da tanti Consigli comunali che rappresentano almeno 1/3 della popolazione,
devono essere sentiti i Consigli Regionali e la proposta approvata con referendum dalla > della
popolazione;
• trapasso di una Regione ad un’altra di 1 o + Comuni o Province può essere disposto da legge ordinaria
statale → sentiti i Consigli regionali + approvazione referendaria della > delle popolazioni delle Province
e Comuni;
• variazione del territorio dei Comuni/istituzione di nuovi possono avvenire con legge regionale → sentite
popolazioni interessate.

REFERENDUM REGIONALE: (art.123) 2 tipologie:


• sugli statuti regionali ordinari, richiesto entro 3 mesi dalla pubblicazione da 1/5 dei consiglieri/ 1/50 degli
elettori della Regione;
• su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione la cui disciplina è interamente lasciata a ciascuno
statuto regionale (per Regioni ordinarie) / a ciascuna legge statutaria (per Regioni a statuto speciale).

Tutte le Regioni hanno previsto referendum abrogativi e consultivi non previsti a livello statale; solo minoranza di
Regioni ha introdotto referendum propositivi o approvativi.

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12. “CONGELAMENTO DELL’ATTUAZIONE DELLA COST. e SCELTE PRE-OCCIDENTALI E PRE-EUROPEE
Il blocco occidentale (ispirato ai principi liberaldemocratici) e il blocco sovietico (contraddistinto dalla forma di
Stato socialista) si fronteggiarono in 2 distinte alleanze: la NATO e il PATTO DI VARSAVIA nella “guerra fredda”.

Essa in Italia provocò una divaricazione tra i vari partiti e le prime elezioni politiche dopo l’entrata in vigore della
Cost. (1948) sulla base di sistemi elettorali di tipo proporzionale videro il successo dalla Democrazia cristiana che
ottenne la maggioranza assoluta e determinarono la collocazione del nostro Paese nel campo occidentale →
ingresso nella NATO (L. 1.8.1949).
Italia favorevole all’integrazione europea → ingresso nella CECA, nella CEE e nell’EURATOM.

Nelle prime legislature → clima di conflittualità e diffidenza fra partiti che comportò ritardi nell'attuazione dei
meccanismi istituzionali previsti dalla Costituzione.
Fu congelata l’istituzione delle Regioni ordinarie per cui Italia rimase Stato di tipo accentrato. Corte Costituzionale
e CSM → realizzate con anni di ritardo.
La guida del Paese: rimane nelle mani dei partiti di centro (Democrazia cristiana e partiti laici minori) → Centrismo

13. COMPLETAMENTO DELL’ATTUAZIONE DELLA COST.


All'inizio degli anni 60 il Partito socialista, che si era distaccato dall’alleanza con il Partito comunista e schierato a
favore di una modernizzazione economico-sociale, sostiene/partecipa a coalizioni di Governo centro-sinistra.
Tali coalizioni diedero attuazione all’art.34 → riforma della scuola media + istruzione obbligatoria e gratuita fino
ai 14 anni.

Cercarono di realizzare indirizzo e coordinamento pubblico dello sviluppo economico in corso attraverso:
partecipazioni statali nelle imprese, nazionalizzazione dell'energia elettrica, programmazione economica, istituite
le Regioni ordinarie + disciplinato l'istituto del Referendum + istituzione degli organi di 1° grado di giustizia
amministrativa (art.125) + rivisti regolamenti parlamentari + riorganizzati i servizi segreti + riformata la procedura
di definizione del bilancio dello Stato + abbassamento maggiore età da 21 a 18 + introduzione del divorzio (L.
n°898 del 1970) + approvazione dello statuto dei lavoratori (L. n°300 1970) + istituzione del Servizio Sanitario
Nazionale (L. n°833 1978). Sul piano politico → “compromesso storico” → inclusione del Partito Comunista.

14. RICERCA DELLA GOVERNABILITA’


Anni 80 → ritorno della > di governo centro-sinistra (pentapartito: Democrazia cristiana + Partito Socialista + 3
formazioni laiche <) → elevata competizione interna + dibattito (esigenza di assicurare al Paese > governabilità +
esigenza di ripartire le funzioni pubbliche fra centro e periferia) sulle riforme istituzionali ritenute necessari per
sbloccare l'incapacità delle forze politiche.
1983 → istituita Commissione parlamentare bicamerale di studio.

Vennero approvate:
L. n°400 1988 (art.95) → materia di organizzazione e attività del Governo;
L. n°142 1990 → ordinamento dei Comuni e delle Province;
L. n° 241 1990 → procedimento amministrativo.
Modifica dei regolamenti parlamentari → preferenza del voto palese rispetto a quello segreto.

1992: dibattito sulle riforme istituzionali > a causa di profonda crisi politica e morale + difficile situazione
economica + degenerazione di molti partiti + diffusa corruzione (“Tangentopoli”) → modifica del sistema
elettorale in senso prevalentemente maggioritario (a livello nazionale con L. n° 276-277 del 1993 Mattarellum; a
livello locale con L. n°81 1993 → elezione popolare diretta dei Sindaci e dei Presidenti di Provincia + premio di >
a favore delle liste di consiglieri).
Nominato Governo tecnico-politico → Governatore Banca Italia Carlo Azeglio Ciampi.

15. LA c.d. SECONDA REPUBBLICA


27-28 Marzo 1994 prime elezioni parlamentari basate su sistema uninominale maggioritario (Mattarellum) →
Forza Italia + Lega Nord (Italia sett.) e Forza Italia + Alleanza nazionale (Centro e Sud) ottennero > dei seggi alla
Camera → nominato Governo sostenuto dai 3 partiti e guidato da Silvio Berlusconi.

Parve che le nuove leggi elettorali avessero portato ad un sistema diverso: 2° Repubblica.

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1994 → caduta Governo Berlusconi e nominato Governo tecnico guidato da Lamberto Dini a causa della
disomogeneità degli indirizzi e interessi di centro-destra.
Dibattito sulle riforme istituzionali prosegui → 3 temi: trasformazione dell’Italia in uno Stato federale, modifica
della forma del Governo, regole che garantiscono la par condicio tra i contendenti.
Non si trova un accordo → nuove elezioni vince coalizione centro-sinistra (Ulivo) → Romano Prodi Presidente del
Consiglio.

Esigenza: porre riforma + o – radicale dell’organizzazione della Rep. → compito a nuova Commissione
parlamentare bicamerale presieduta da Massimo d’Alema di elaborare proposta organica di revisione della Parte
II della Cost. da sottoporre alla doppia approvazione delle Camere → quindi a referendum popolare → il
procedimento bloccò per contrasti.

Vennero modificati:
• art.121,122,126 → potestà statutaria e forma di Governo delle Regioni;
• art.111 → specificando i principi del “giusto processo”;
• art. 56,57 → riservando seggi parlamentari alla rappresentanza degli italiani residenti all’estero;
• riformulazione del Titolo V Parte II con legge cost. 18 ottobre 2001 → ridisegna quadro dei rapporti tra
Stato e altri enti territoriali e ripartizione della potestà legislativa tra Stato e le Regioni.

Parlamento approvò nel 2005 nuova riforma della Parte II della Cost. → mirava a realizzare una devoluzione di
competenze a favore delle Regioni (“devolution”) e a trasformare la Camera alta in “Senato federale”. Nel
progetto finale assume > rilievo la trasformazione della forma di governo da parlamentare a “premiale” →
preminenza del Capo del Governo. Tale riforma fu bocciata nel 2006
Nel 2005 il centro-destra aveva imposto un nuovo sistema elettorale (Porcellum) che, soppressi i collegi
uninominali, introduceva competizione tra liste bloccate e garantiva un premio di maggioranza alla lista/coalizione
di liste che avesse ottenuto più voti.

16. RICERCA DI NUOVI MECCANISMI ISTITUZIONALI


Nelle elezioni del 2006 → parità tra centrosinistra centrodestra ma a causa del sistema appena visto il
centrodestra ebbe una netta maggioranza alla Camera ma non al Senato, ciò fece emergere il problema della
governabilità in un sistema basato sul bicameralismo perfetto.
Nelle elezioni del 2008 → centrodestra ottenne > in entrambe le Camere.

Nel frattempo negli USA vi fu la crisi economico-finanziaria e si diffuse il timore che lo Stato italiano non fosse
finanziariamente affidabile → incremento insostenibile dello “spread” (differenziale fra gli interessi richiesti x
l’acquisto dei titoli di Stato tedeschi e quelli italiani) → costrinse Silvio Berlusconi alle dimissioni.

Nel 2011 → Capo dello Stato nominò un nuovo Governo composto da tecnici e guidato dal prof. Mario Monti
(illustre economista).

Elezioni 2013 (17° legislatura) → nuovo assetto tripolare del sistema partitico → alle 2 alleanze si aggiunge
Movimento 5 Stelle.
Le Camere si dedicarono all’elezione del nuovo Capo dello Stato, essendo in scadenza il mandato di Napolitano,
ma le principali forze politiche chiesero la disponibilità del Presidente uscente Napolitano ad essere rieletto
(rielezione 1° volta nella storia della Repubblica). Napolitano però favoriva la formazione di un Governo sostenuto
da una > di “larghe intese”.
L’esecutivo era guidato da Enrico Letta → istituì Commissione di esperti x le riforme istituzionali + presentò
disegno di legge costituzionale (prevedeva stesso procedimento di revisione del 1993-1997) → abbandonato, per
il venir meno dell’appoggio del Popolo delle libertà → fu oggetto di scissione → nacque Nuovo centrodestra.

2014 → Letta venne spinto a dimettersi dai vertici politici del Partito democratico e venne affidata la guida a
Matteo Renzi che presentò subito un disegno di legge di revisione costituzionale in base al quale:
• Senato diventa organo di raccordo tra Stato, Regioni e enti locali, ad elezione indiretta;
• rapporto fiduciario con il Governo era intrattenuto solo dalla Camera dei deputati (70g x esprimersi sui
progetti di legge su richiesta dell’esecutivo);

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• concorso del Senato alla funzione legislativa rimaneva paritario solo x poche leggi, generalmente invece
propone modifiche ai progetti approvati dalla Camera (entro 30g);
• venivano ampliate le materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato e abolita competenza
legislativa concorrente;
• soppresso Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro + eliminati riferimenti alle Province in Cost.

Governo Renzi presenta anche un disegno di legge ordinaria di riforma della legge elettorale che introdusse
l’ITALICUM → sistema proporzionale con premio di maggioranza a favore della lista più votata che avesse
ottenuto almeno il 40% dei voti a livello nazionale o, in difetto, avesse conseguito più consensi in un apposito
ballottaggio tra le due liste più votate al primo turno.

Entrambe furono bocciate → Renzi presentò le dimissioni e il Presidente della R. nominò Presidente del Consiglio
Paolo Gentiloni.

2017 → venne approvata una nuova legge elettorale → il ROSATELLUM.

2018 → elezioni per la 18esima legislatura → hanno assegnato la maggioranza relativa dei voti (37%) e dei seggi
(42%) alla coalizione di centrodestra, seguita dal Movimento 5 stelle e, a distanza, dal Partito democratico (con il
23% dei voti e il 19% dei seggi).

Fu impossibile arrivare ad un’alleanza post-elettorale fra i partiti maggioritari, necessaria in quanto nessuna
formazione/coalizione politica aveva ottenuto la > dei seggi parlamentari.
Dopo quasi 2 mesi si realizza un’intesa fra Movimento 5 stelle e Lega, la quale si svincola dall’alleanza di
centrodestra e dalla logica della democrazia immediata.
Il Capo dello Stato ha incaricato di formare il Gabinetto l'avvocato Giuseppe Conte, e Di Maio e Salvini come
Vicepresidenti del Consiglio e di ministri con portafoglio.
Ci fu un nuovo approccio in tema di riforme istituzionali volto ad introdurre modifiche puntuali su iniziativa dei
parlamentari di maggioranza, a cominciare dalla riduzione del numero dei parlamentari.

Tuttavia, i contrasti tra i 2 partiti che sostenevano l’Esecutivo spingevano il leader della Lega a chiedere le
dimissioni del Governo 2019 → a ciò fa seguito nuovo accordo tra Movimento 5 Stelle, Partito democratico e
Liberi e Uguali per sostenere Esecutivo guidato ancora da Conte.

II Governo Conte → dovette affrontare una situazione di emergenza sanitaria. 31.01.2020: stato di emergenza
livello nazionale, Esecutivo ordina oltre 2 mesi il confinamento dei cittadini nelle rispettive abitazioni +
sospensione dello svolgimento di gran parte delle attività.

Queste misure venivano impostate atti derogatori delle leggi vigenti (D.P.C.M. e ordinanze). Sono state imposte
severe restrizioni su larga scala introdotte attraverso un congiunto uso di decreti-legge, ordinanze e D.P.C.M.

Questo blocco di attività → incertezza verso il futuro → gravissima crisi economica → Governo e Parlamento
hanno cercato di reagire con misure di protezione sociale e di stimolo ed incentivazione dell’economia finanziate
incrementando il debito pubblico italiano (salito di quasi 160% del PIL), in attesa di aiuti dell’UE (Recovery Plan) e
fondi minori.

Presidente del Consiglio Conte acquistava > spazio decisionale e notevole visibilità pubblica → tra alcuni partiti di
maggioranza cresce l’insofferenza verso i suoi atteggiamenti decisionistici/troppo cauti → 13.01.2021 Italia Viva
(guidata da Renzi, fuoriuscito nel 2019 dal PD) ha ritirato l’appoggio al Governo.
Benché l’Esecutivo fosse sostenuto dalla maggioranza assoluta dei deputati e da quella relativa dei Senatori, la
difficoltà di far passare le proprie proposte nella Camera alta ha indotto il Premier Conte a presentare le dimissioni

Fallita la ricomposizione della precedente maggioranza il Capo dello Stato, ritenendo inopportuno sciogliere le
Camere e convocare elezioni anticipate in un momento come quello, ha incaricato di formare l’Esecutivo un
tecnico autorevole → prof. Mario Draghi … spingendo quasi tutte le forze politiche a sostenere il Gabinetto
tecnico-politico, sul modello di Carlo Azeglio Ciampi (1993-1994).

24
IL PARLAMENTO
1. IL BICAMERALISMO
Parlamento → è l'organo dove si concentra la rappresentanza politica, è l'unico a cui è affidata la funzione di
indirizzo politico a livello nazionale ad essere eletto direttamente dai cittadini.
Nelle forme presidenziali e semi presidenziali è eletto a suffragio universale anche il Presidente della Repubblica;
in quelle neoparlamentari il Capo del Governo.

Struttura: i parlamenti si distinguono in monocamerali o bicamerali a seconda che si compongano di una o due
Camere.

Il bicameralismo a sua volta può essere: perfetto o imperfetto a seconda che le due Camere esercitano funzioni
analoghe e dispongono di identici poteri, ovvero che una delle due disponga di > compiti/poteri nel rapporto con
il Governo o nel procedimento legislativo.
N.B. → quando vi sono 2 Camere è probabile che siano rappresentative di comunità territoriali/ceti o categorie
differenti (es. negli Stati federali la 1°Camera è formata da rappresentati del popolo federale, mentre la 2° è
composta da rappresentanti degli Stati membri).

In Assemblea costituente si era aperto un dibattito in seno alla II Sottocommissione fra i sostenitori del modello
monocamerale (essenzialmente comunisti) ed i sostenitori del modello bicamerale (2° Camera come luogo di
“raffreddamento” funzionale che permette > confronto sulle deliberazioni da assumere).
Tra i sostenitori del bicameralismo furono proposte diverse alternative per differenziare il ruolo delle Camere →
al termine del confronto, pur stabilendo che l’elezione dei componenti del Senato dovesse avvenire “a base
regionale” (art.57), si attribuì ad entrambe le Camere la natura di assemblee politiche, optando per un
BICAMERALISMO PERFETTO (art.70 Cost. “la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle 2 Camere” e
art.94 Cost. “Governo deve avere la fiducia delle 2 Camere”.

Le 2 Camere si distinguono nella composizione:


- la Camera dei deputati è composta da 400 membri (630 fino al 2020) + 8 dei quali eletti nella
circoscrizione estero (art.56);
- il Senato della Repubblica è composto da 200 membri (315 fino al 2020) + 4 dei quali eletti nella
circoscrizione estero (art.57) + i senatori a vita (non elettivi).
I senatori a vita si dividono in: quelli di diritto (Ex Presidenti della Repubblica) e quelli di nomina
presidenziale (max 5 scelti fra i cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo
artistico, letterario, scientifico, sociale; art.59).

Le 2 Camere differiscono per la disciplina relativa all’elettorato attivo e passivo:


- sotto il 1° profilo, i deputati ed i senatori (prima del 2021 elettori +25) sono scelti da tutti gli elettori +18;
- sotto il 2° profilo, per essere eletti deputati bisogna aver compiuto 25 anni, mentre per essere eletti
senatori occorre averne compiuti 40.

DURATA IN CARICA: inizialmente 5 per la Camera e 6 per il Senato, ma con legge cost. n°2 del ‘63 è stata equiparata
e fissata a 5 per entrambe.
Le 2 Camere tendono a costituire una il doppione dell’altra in quanto i loro membri sono espressione delle
medesime forze politiche.

Critica: accusato di produrre inefficienze e ritardi nei processi decisionali → in compenso l’esame nella 2° Camera
consente non di rado di rimediare ad incongruenze dei testi legislativi approvati dalla 1° Assemblea.
Più di una volta si è cercato di trasformare il Senato in assemblea rappresentativa delle Regioni (es. 2005 e 2016
su impulso dei Governi guidati rispettivamente da Berlusconi e Renzi).

2. LA DURATA DELLE CAMERE


Le Camere restano in carica 5 anni (periodo chiamato “legislatura”).

Può essere + breve in caso di scioglimento anticipato delle Camere (art.88). Può essere + lunga (proroga) in caso
di guerra (art. 60 → stato di guerra ufficialmente dichiarato ai sensi dell’art. 78 (condizione sostanziale), e la
proroga sia disposta con legge (condizione formale).

25
Istituto della proroga (riferito alla durata in carica) ≠ prorogatio (riferito ai poteri).

Prorogatio → estensione dei poteri delle Camere ormai sciolte nel periodo intercorrente tra la fine di una
legislatura e l'inizio della successiva, dato che il Parlamento è organo permanente (art.60 “fino a quando non si
riuniscono le nuove assemblee, i poteri delle precedenti sono prorogati”).
La Cost. non chiarisce se possono esercitare tutti i loro poteri oppure se debbano limitarsi a quelli di ordinaria
amministrazione. Essa dispone che, anche se sciolte, le Camere sono convocate e devono riunirsi entro 5g per la
conversione di un decreto-legge.

3. REQUISITI PER L’ELEZIONE A DEPUTATO E SENATORE


I requisiti per essere eletti parlamentari sono:
- essere cittadini italiani;
- godere di diritti civili e politici (non essere interdetti dai pubblici uffici a seguito di condanna penale);
- età minima (25 anni per la Camera, 40 per il Senato);
- art.65 → non incorrere in cause di ineleggibilità/incompatibilità.

Cause di ineleggibilità: previste x evitare che i candidati alle elezioni possano alterare la libertà di voto degli elettori
o la par condicio con gli altri candidati, oppure possano trovarsi in conflitto di interessi rispetto allo Stato.
Il d.P.R. 30 marzo 1957 prevede che non possono essere eletti: il capo e il vice-capo della polizia, gli alti funzionari
di pubblica sicurezza, prefetti, Presidenti delle Giunte provinciali, Sindaci dei comuni >, ufficiali superiori delle
forze armate, i magistrati (tuttavia in tutti questi casi le cause di ineleggibilità non hanno effetto se l’ufficio
ricoperto è cessato almeno 180g prima della scadenza ordinaria della legislatura/entro 7g dalla data dello
scioglimento anticipato delle Camere), poi titolari presso Stati esteri di cariche analoghe a quelle appena elencate
o di rapporto di impiegato, coloro che sono legati allo Stato da particolari rapporti economici (es. concessionari
di pubblici servizi).

Cause di incandidabilità: permangono per il tempo previsto dalla disciplina impedendo non solo l’elezione ma
anche la candidatura. Non possono candidarsi: presidenti di Regione/di Province, i Sindaci responsabili del
dissesto finanziario per i 10 anni successivi, chi abbia riportato condanne definitive ad una pena > a 2 anni di
reclusione per reato grave/reati specifici per un periodo doppio rispetto alla durata dell’interdizione temporanea
dai pubblici uffici comminata insieme alla condanna (non meno di 6 anni).

Cause di incompatibilità: non impediscono l’elezione ma obbligano l’eletto ad optare tra una e l’altra delle cariche
che abbia cumulato. Le cause di incompatibilità consistono nella titolarità di incarichi pubblici presso organi
istituzionali/di rilevanza costituzionale italiani e stranieri (non si può essere contemporaneamente deputati e
senatori ecc.), organi di garanzia, autorità amministrative indipendenti, organi giurisdizionali, enti locali (in qualità
di P. di Provincia e di Sindaco di Comuni con + di 5.000ab), istituti bancari e società finanziarie, enti finanziati dallo
Stato o che svolgono servizi per esso.

Qualora una causa di ineleggibilità sia sopravvenuta dopo l’elezione a deputato o senatore, essa si trasforma in
causa di incompatibilità.

4. LO STATUS DI PARLAMENTARE
STATUS DI PARLAMENTARE: insieme di prerogative e garanzie che la Cost. accorda specificatamente ai deputati
e ai senatori, non come privilegio ma in ragione dell’appartenenza ad una delle due Camere.
Si acquista al momento della proclamazione dell’eletto da parte dell’ufficio elettorale (per i senatori a vita al
momento della comunicazione della nomina). Cessa a seguito della dichiarazione di decadenza dall’ufficio di
parlamentare, delle dimissioni, della proclamazione dei deputati e senatori subentrati dopo nuove elezioni.

Condizione giuridica del parlamentare → art.67-68-69 → regolano il divieto di mandato imperativo,


insindacabilità, inviolabilità, indennità.

4.1 LIBERTA’ DI MANDATO


Divieto di mandato imperativo: art.67 “ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue
funzioni senza vincolo di mandato” → fine: tutelare l'autonomia del parlamentare nel rappresentare gli interessi
dell’intera collettività.

26
Non può essere chiamato a rispondere sul piano giuridico per le decisioni assunte nell'esercizio delle sue funzioni
(insindacabilità), ed è libero anche di votare secondo gli indirizzi del suo partito/di sottrarsene”. In questo ultimo
caso non potrà essere rimosso dalla carica ma solo destinatario di provvedimenti disciplinari interni al partito.
Fenomeno del “transfughismo”: passaggio nel corso della legislatura di deputati e senatori ad un diverso partito
e gruppo parlamentare (giuridicamente insindacabile).

4.2 LE IMMUNITA’
Immunità: art.68 disciplina le garanzie tese a salvaguardare il libero esercizio delle funzioni parlamentari. Non
costituiscono un privilegio ma sono strumenti che tendono a salvaguardare l’indipendenza del Parlamento, quale
organo rappresentativo della sovranità popolare.
Le immunità parlamentari sono:
- insindacabilità: tutela deputati e senatori da conseguenze giuridiche per le opinioni espresse e i voti
dati nell'esercizio delle funzioni parlamentari. È una garanzia di carattere sostanziale che perdura anche
dopo il termine del mandato ed in qualsiasi sede.
“Nesso funzionale”: rientra nell’insindacabilità ogni comportamento riconducibile sul piano funzionale
all’attività parlamentare. Infatti sono coperti da tale garanzia sia atti tipici (svolti all’interno delle sedi di
Camera e Senato) che atti atipici (svolti all’interno/esterno di esse, svolti in qualità di membri delle
Camere).
Corte Cost. ha ravvisato l’esistenza di una dimensione processuale → rafforzata attraverso la
“Pregiudiziale parlamentare” → L. n°140/2003: l’autorità giudiziale può procedere nei confronti del
parlamentare, ma qualora svolte le prime indagini si scopre chi non sussiste nesso funzionale e quindi il
parlamentare non possa beneficiare dell’insindacabilità, deve trasmettere gli atti alla Camera. Se poi essa
emette una dichiarazione di insindacabilità l’autorità giudiziaria interrompe il procedimento, salvo che
sollevi conflitto di attribuzione tra Poteri dello Stato dinanzi alla Corte Cost.
La Consulta, a partire dal 2000, ammette un proprio controllo sull’uso da parte delle Camere del potere
di valutare l’insindacabilità con riguardo al nesso funzionale.
- inviolabilità: senza autorizzazioni della Camera i parlamentari non possono essere sottoposti a
perquisizione personale o domiciliare, arresto, privati di libertà personale, mantenuti in detenzione …
salvo che sia colto nell’atto di commettere un delitto, per il quale è previsto l’arresto in flagranza. Stessa
autorizzazione è richiesta per sottoporre i parlamentari a intercettazioni di conversazione o
comunicazione a seguito di corrispondenza.
Questa garanzia, limitata alla durata in carica, a favore dell’Assemblea che serve per evitare che un
Potere terzo possa illegittimamente pregiudicarne l'autonomia o la possibilità di funzionamento
colpendo i suoi componenti.
Legge cost. n°3/1993 (adottata dopo il caso Tangentopoli), l’art. 68 è stato modificato e la garanzia è
stata limitata nei casi di provvedimenti giudiziari restrittivi della libertà personale, domiciliare o di
corrispondenza adottati fuori dai casi di flagranza di reato e prima di una condanna penale definitiva.
Ogni Parlamentare può essere indagato e sottoposto a procedimento penale (oltre che civile e
amministrativo) senza che la Camera possa impedirlo.
Dove tale procedimento si concluda con condanna definitiva il parlamentare sarà trattato come gli altri
cittadini.

Riguardo alle intercezioni, oltre a quelle dirette, ci sono quelle indirette→captazioni di conversazioni del
parlamentare effettuate ponendo effettuate ponendo sotto controllo le utenze dei suoi interlocutori abituali.
Ci sono anche quelle casuali: il magistrato, nell’intercettare un soggetto terzo sottoposto ad indagini, si imbatte
nella conversazione occasionale tra questi ed un parlamentare, anche in questo caso deve chiedere
l’autorizzazione.

4.3 INDENNITA’
Indennità: art.69 → diritto dei membri delle Camere di ricevere un’indennità pecuniaria nella misura stabilita dalla
legge, ciò consente a tutti i cittadini indipendentemente dalle capacità economiche, di poter accedere alla carica
elettiva e rende i parlamentari indipendenti da pressioni e condizionamenti esterni determinati dalla loro
eventuale debolezza economica.
Art.1 L. n°1261/1965 → attribuisce agli uffici di Presidenza delle Camere il compito di determinare l’ammontare
dell’indennità mensile senza che superi il 12° del trattamento complessivo massimo annuo lordo dei magistrati
con funzioni di presidente di sezione della Corte di Cassazione ed equiparate.
+ riconosciuta una diaria a titolo di rimborso delle spese di soggiorno a Roma (3.500€);

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+ rimborso delle spese per l'esercizio del mandato (per i collaboratori, per la gestione dell’ufficio del
parlamentare ecc.) oltre a rimborsi forfettari delle spese di trasporto e telefoniche;
+ raggiunti 60/65 anni (a seconda della durata del mandato) ha diritto a percepire una pensione calcolata
a partire dal 2012 con il metodo contributivo.

5. AUTONOMIA E INDIPENDENZA DELLE CAMERE


Le Camere godono di autonomia e indipendenza da ogni altro Potere dello Stato e anche l'una rispetto all'altra e
rispetto al Parlamento in seduta comune.
Ciò implica: autonomia regolamentare, autonomia organizzativa e funzionale, autonomia contabile, autonomia
della verifica dei poteri, autodichia, immunità della sede.

5.1 AUTONOMIA REGOLAMENTARE


Autonomia regolamentare: art.64 → ciascuna Camera adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta e ha
diritto a disciplinare la propria organizzazione interna e aspetti della funzione legislativa.

È diffusa la tesi secondo cui: i regolamenti parlamentari sono fonti di diritto di rango primario, che si rapportano
alle altre fonti in base al criterio di competenza.
La Corte ha escluso che questi atti abbiano la forza di legge e possono essere oggetto di giudizio di legittimità
costituzionale perché non rientrano negli atti con forza di legge (punto di vista formale) e perché la Cost.
repubblicana ha instaurato una democrazia parlamentare (punto di vista sostanziale)

La Consulta ha affermato che il controllo sul rispetto dei regolamenti parlamentari è riservato alle Camere, mentre
alla Corte spetta esclusivamente il sindacato sull’eventuale violazione delle disposizioni costituzionali che
disciplinano aspetti del procedimento legislativo.

Ambito di competenza dei regolamenti parlamentari: comprende l’organizzazione ed il funzionamento delle


Camere rispettando la Cost.
Essi sono stati + volte revisionati. 1° revisione risale al 1971 → centralità del Parlamento.
Fine anni 80 e anni 90 → ritorno della visione della democrazia basata sulla distinzione dei ruoli tra partiti di
maggioranza e di opposizione (riconoscendo a queste alcune prerogative) + aumento dei poteri del Governo in
Parlamento.

5.2 VERIFICA DEI POTERI


La giurisdizione esclusiva di ciascuna Camera dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause
sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità (art.66), prende il nome di verifica dei poteri.
Si articola in 2 differenti procedimenti:
- procedimento di convalida: accerta la regolarità delle operazioni elettorali e la capacità
elettorale passiva dell’eletto.
Si svolge in 2 fasi:
controllo di deliberazione (la Giunta delle elezioni di ciascuna Camera verifica la validità
delle elezioni e se non sussistono né irregolarità né cause di ineleggibilità ne propone la
convalida all’assemblea, che ne prende atto);
giudizio di contestazione (iniziato dalla Giunta aprendo un’istruttoria con un
dibattimento pubblico in cui le parti possono essere sentite, successivamente la Giunta
propone la convalida o l’annullamento delle elezioni e l’intera Camera decide
definitivamente).
L’annullamento dell’elezione ha efficacia ex nunc → rimangono validi atti compiuti nel frattempo
dal parlamentare deceduto.
La Giurisprudenza delle Camere non si estende alle operazioni preelettorali (es. provvedimenti
relativi all’ammissione o meno delle liste e delle candidature.

- giudizio sulle cause di decadenza: volto ad accertare la sopravvenienza di eventuali cause


ostative alla permanenza in carica del parlamentare, verificando quindi la sussistenza di cause di
ineleggibilità sopravvenuta e incompatibilità che non siano state rimosse.
Anche qui: Giunta delle elezioni svolge l’istruttoria, poi propone o meno la decadenza dalla carica
del parlamentare e l’Assemblea delibera in via definitiva a > semplice e voto segreto.

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5.3 ULTERIORI FORME DI AUTONOMIA E INDIPENDENZA
- Immunità della sede: ciascuna Camera decide chi ammettere all’interno delle proprie sedi, con la
possibilità di escludervi anche le forze dell’ordine.
Ogni Camera è dotata di propria piccola forza pubblica, posta alle dipendenze del suo Presidente.
Quest’ultimo può chiamare all’estero le forze di polizia per ovviare a gravi problemi di ordine pubblico
presentatisi all’interno della sede parlamentare.
- autodichia: riserva a favore delle Camere del potere di giudicare le controversie concernenti il loro
personale dipendente. La Corte cost. ha affermato che vi è un fondamento costituzionale dell’autodichia.
- autonomia finanziaria e contabile: ciascuna Camera può gestire autonomamente il proprio bilancio
senza sottostare ai controlli della Corte dei Conti, ma nel rispetto di regole e procedure di verifica interne.

6. ORGANIZZAZIONE INTERNA DELLE CAMERE


I principali organi interni di ciascuna Camera sono:
- PRESIDENTE: art.63 Cost. dispone che “ciascuna Camera elegge il Presidente e l’Ufficio di Presidenza”.
L’elezione del Presidente avviene a maggioranza qualificata e con voto segreto: alla Camera è richiesta la > dei
2/3 dei componenti nei primi 3 scrutini e dal 4° la maggioranza assoluta; al Senato è richiesta la maggioranza
assoluta nei primi 2 scrutini e la maggioranza dei presenti nel 3° e infine prevista un’eventuale 4° votazione di
ballottaggio tra i 2 candidati che hanno ottenuto + voti nel turno precedente (art. 4RS).
Ratio: esigenza di imparzialità del Presidente dell’assemblea. Tuttavia l’evoluzione verso un modello di
parlamentarismo maggioritario ha ridotto la garanzia → dal 1994 al 2018 è stata interrotta la prassi di affidare la
Presidenza ad una delle 2 camere ad un esponente dell’opposizione.
I Presidenti rappresentano le rispettive Camere, ne dirigono l’attività, stabiliscono l’ordine del giorno delle sedute,
mantengono ordine nell’aula, garantiscono il rispetto dei regolamenti parlamentari e assicurano il buon
andamento delle strutture amministrative interne.
Essi sono poi sentiti dal P. della R. sia nel corso delle consultazioni necessarie x la formazione del Governo sia
prima dell’eventuale scioglimento anticipato delle Camere.
Al presidente della Camera è affidata la presidenza del Parlamento in seduta comune, mentre a quello del Senato
spetta esercitare in qualità di supplente le funzioni del P. della R. nel caso questo sia temporaneamente impedito.

- UFFICIO DI PRESIDENZA: opera per aiutare il Presidente di ciascuna Camera nell’esercizio delle sue funzioni ed è
composto da: Presidente, 4vicepresidenti (che sostituiscono il primo a turno), 3 questori (aiutano il primo
nell’ordine interno e nella gestione delle spese redigendo il progetto di bilancio e il rendiconto consultivo) e 8
segretari (redazione del processo verbale e sovraintendono alle operazioni di voto).
Sono eletti all'interno di ogni Camera con voto limitato in modo che tutti siano rappresentati.

- GRUPPI PARLAMENTARI: “proiezione” dei partiti politici in Parlamento e sono strutture interne delle Camere, ad
appartenenza necessaria: ogni parlamentare deve dichiarare a quale gruppo appartiene, in assenza di scelta viene
assegnato al “gruppo misto”.
È richiesto un numero minimo di componenti, pari a 20 deputati e 10 senatori, sebbene le 2 Presidenze possono
autorizzare la costituzione di gruppi inferiori di membri.

-CONFERENZA DEI CAPIGRUPPO: i regolamenti parlamentari disciplinano le funzioni dei Presidenti dei gruppi, che
partecipano alla Conferenza dei Capogruppo, organo interno a ciascuna Camera a cui spetta la programmazione
dei lavori dell’aula.
I Presidenti dei gruppi parlamentari sono i soggetti + importanti fra quelli sentiti dal P. della R. nel corso delle
consultazioni per formare il Governo.

- COMMISSIONI PARLAMENTARI: possono essere: permanenti (durano in carica per l'intera legislatura e svolgono
attività legislativa, conoscitiva, di indirizzo e di controllo), temporanee (durata limitata dipendente dalla funzione
che sono chiamate a svolgere (ex. inchieste), monocamerali (formate da membri di una sola camera) o bicamerali
(ex. commissione parlamentare per le questioni regionali).

- GIUNTE PARLAMENTARI: ha compiti tecnici e istruttori. Questi organi, previsti dai regolamenti delle Camere,
sono formati dai deputati (Giunte per il regolamento, delle elezioni, per le autorizzazioni + Comitato per la
legislazione che esprime pareri sulla qualità dei progetti di legge) o dai senatori (Giunta per il regolamento, Giunta
delle elezioni e delle immunità parlamentari) nominati dai Presidenti delle assemblee.

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Giunta per il regolamento → formula pareri al Presidente + provvede allo studio delle proposte relative
all’adozione o alla modifica dei regolamenti parlamentari.
Giunta delle elezioni (al Senato Giunta delle elezioni delle immunità parlamentari) → compiti istruttori nell’ambito
della verifica dei poteri di cui all’art.66
Giunta per le autorizzazioni (al Senato Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari)→ riferisce
all’assemblea sulle richieste di autorizzazione a procedere, avanzate dall’autorità giudiziaria per l’adozione di
provvedimenti coercitivi della libertà personale, domiciliare o di corrispondenza nei confronti dei parlamentari.

7. FUNZIONAMENTO DELLE CAMERE


Le Camere possono deliberare solo se è presente il numero legale, richiesto come quorum costitutivo o
strutturale. Esso è pari alla > dei componenti (art.64).
L’esistenza del n° legale è presunta ma può essere chiesta la verifica da parte sia di un n° di parlamentari che dal
Presidente dell’Assemblea.

Affinché le deliberazioni siano valide è necessario anche il raggiungimento del quorum deliberativo, cioè >
richiesta per approvarle.
Esistono diverse tipologie di maggioranze:
➔ maggioranza relativa (metà + 1 dei votanti, esclusi gli astenuti)
➔ maggioranza semplice (metà + 1 dei presenti, contando gli astenuti)
➔ maggioranza assoluta (metà + 1 dei componenti)
➔ maggioranza qualificata (maggioranze + ampie di quella assoluta, di solito 3/5 oppure 2/3 dei componenti)

I regolamenti delle 2 Camere prevedono che sia sufficiente la > relativa, non considerando presenti gli astenuti
per il quorum deliberativo, mentre invece concorrono ai fini del quorum costitutivo.
Questo rende + agevole l’assunzione delle deliberazioni a cui può opporsi solo una maggioranza di contrari ma
NON una sommatoria di contrari ed astenuti.

Il voto può essere palese o segreto.


In particolare tipo di voto palese è quello per appello nominale → i parlamentari dichiarano pubblicamente il loro
voto dopo essere stati chiamati 1 ad 1.

1988: scrutinio palese è diventato la regola, mentre il voto segreto può essere richiesto solo per le votazioni
riguardanti le persone, i diritti fondamentali, il diritto di famiglia, modifiche agli stessi regolamenti, leggi elettorali,
istituzione di Commissioni d’inchiesta, organi costituzionali dello Stato e gli organi delle Regioni.

Di regola, le Camere sono convocate dai Presidenti e si riuniscono in seduta pubblica, per favorire la trasparenza
e assicurare il controllo politico da parte dei cittadini.
Art. 62 prevede che le Camere siano convocate di diritto:
• 1° giorno non festivo di febbraio e di ottobre (x evitare paralisi delle attività parlamentari);
• quando l’altra Camera sia stata convocata in via straordinaria;
• quando non sia stata fissata la riunione di insediamento delle nuove assemblee entro 20g dalla loro
elezione.
• in via straordinaria dal loro Presidente, dal P. della R. o da 1/3 dei componenti (fino ad oggi solo 4 su
richiesta di 1/3 o + componenti);
• in seduta segreta (art. 64).

Programmazione dei lavori: disciplina è stata introdotta nel ’71.

L’organo deputato alla programmazione è la Conferenza dei Capigruppo, eventualmente integrata dai
Vicepresidenti delle Camere e Presidenti delle commissioni. Il Governo può intervenire con un proprio
rappresentante.

Gli strumenti della programmazione sono:


- il programma → a cadenza bi o trimestrale alla Camera e bimestrale al Senato, fissa gli argomenti da
discutere, le priorità e il periodo;

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- il calendario → relativo a 3 settimane, indicata il n° e la data delle sedute che saranno dedicate
all’argomento;
- l’ordine del giorno → ha cadenza giornaliera, è predisposto dal Presidente sulla base del calendario e
comunicato al termine della seduta precedente (casi eventuali di invio al domicilio dei parlamentari).

Alla Camera il programma e i calendari sono adottati dalla Conferenza dei Capigruppo a > qualificata. Se non si
raggiunge sarà il Presidente dell’Assemblea a predisporli.
Al Senato è richiesto il consenso all'unanimità dei gruppi parlamentari. Se non si raggiunge sarà il Presidente ad
elaborare schema dei lavori per una settimana, secondo le indicazioni della Conferenza.
Quest’ultima determina anche il tempo a disposizione di ciascun gruppo parlamentare per la discussione di ogni
argomento inserito nel calendario (contingentamento dei tempi di discussione).
Alla Camera una quota del tempo va ripartita in misura uguale ma un’altra quota va suddivisa in proporzione alla
loro consistenza e qualora la discussione sia su una proposta di legge del Governo i gruppi di opposizioni devono
avere più tempo di quelli di maggioranza.

8. FUNZIONE LEGISLATIVA: RINVIO


La principale funzione svolta dal Parlamento: l'approvazione delle leggi ordinarie e costituzionali, dopo aver
esaminato e discusso le proposte di legge presentate dai soggetti che ne hanno la facoltà.

9. FUNZIONI DI CONTROLLO E DI INDIRIZZO POLITICO


Le Camere svolgono funzioni di controllo politico e di indirizzo nei confronti del Governo.
Essendo necessario acquisire info per poter deliberare, le Camere sono titolari anche di funzioni conoscitive e
ispettive, infatti dispongono di strumenti conoscitivi (interrogazione, interpellanza, indagine conoscitiva), di
controllo (inchiesta) e di indirizzo (mozione, risoluzione e ordine del giorno).

9.1 STRUMENTI CONOSCITIVI


Interrogazione e interpellanza sono strumenti a disposizione dei singoli parlamentari finalizzati ad acquisire info
sull’operato del Governo e della P.A

INTERROGAZIONE: domanda, rivolta per iscritto al Governo o al ministro competente: se un fatto sia vero, se
hanno info a riguardo, se intendono comunicare a Senato o Camera documenti o notizie oppure se ci
sono/saranno provvedimenti. Prevale la funzione conoscitiva.
I regolamenti parlamentari prevedono anche interrogazioni orali a risposta immediata (question time) svolte in
specifiche sedute in assemblea (1 alla settimana alla Camera, 1 al mese al Senato).

INTERPELLANZA: domanda, rivolta per iscritto al Governo o al ministro competente, e mira a conoscere i
motivi/intendimenti della condotta dell’Esecutivo circa questioni che riguardano aspetti sulla politica. Prevale la
funzione di controllo.
Una volta ricevuta risposta solo l’interpellante può promuovere una discussione sulle spiegazioni date dal Governo
e presentare una proposta di mozione.

INDAGINI CONOSCITIVE: attività ordinaria delle Commissioni parlamentari permanenti che possono disporle nelle
materie di propria competenza (previa intesa con il Presidente delle Camere) allo scopo di acquisire notizie info e
documenti utili alla loro attività e intera assemblea.
Nelle sedute a tal fine sono chiamati tutti coloro che “sono in grado di fornire elementi utili a fini dell’indagine”
(art.144).

9.2 INCHIESTE
Le Camere possono svolgere funzioni di controllo attraverso le inchieste: x info approfondite su situa complesse
+ per accertare specifiche responsabilità di natura politica dell’Esecutivo (art.82).
Le Commissioni di inchiesta sono spesso bicamerali e create con legge → in tal caso: n° = di deputati e senatori,
scelti fra aderenti a diversi gruppi parlamentari.
Obiettivo inchiesta → scoprire se il Governo ha provocato e contribuito al fenomeno indagato (es. sviluppo mafia)
Obiettivo indagine giudiziaria → scoprire se e da chi è stato commesso un reato (partecipazione ad associazione
a delinquere)

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Le inchieste parlamentari non devono interferire con l’attività giudiziaria, ma i rapporti tra le 2 devono basarsi su
“spirito di doverosa collaborazione”.

Efficacia di questo strumento è limitata: molti dei fenomeni indagati sono complessi, l’istituzione e il
funzionamento della Commissione sono soggetti alla regola della >, i risultati dell’inchiesta sono semplicemente
comunicati alle Camere tramite trasmissione della relazione finale ma spesso su di essi non si apre dibattito.

9.3 STRUMENTI DI INDIRIZZO


Mozione, risoluzione e ordine del giorno sono atti di indirizzo dell’assemblea o di una Commissione, politicamente
vincolanti. In particolare:
MOZIONE → può essere presentata da almeno 10 deputati o 8 senatori, è approvata dall’assemblea.
RISOLUZIONE → può essere proposta anche da 1 singolo parlamentare e può essere approvata sia in Commissione
che in aula.
ORDINE DEL GIORNO → (DIVERSO dall’atto contente l’agenda dei lavori). Può essere proposta anche da 1 singolo
parlamentare, rispetto all’approvazione di una legge/mozione si caratterizza per la sua strumentalità costituendo
un indirizzo che ne specifica alcuni contenuti.

Particolari tipi di mozione sono: mozione di fiducia e di sfiducia.

9.4 LA PROCEDURA DI BILANCIO


Le funzioni di indirizzo politico sono esercitate anche attraverso l’allocazione delle risorse finanziarie, particolare
importanza assume la procedura di bilancio.

Legge di bilancio preventivo → atto con il quale il Parlamento autorizza il Governo ad incassare ed a spendere in
un esercizio finanziario (corrispondente all’anno solare successivo a quello di approvazione) quanto previsto dal
bilancio (il quale è stato redatto dal Governo stesso).

L. 5 agosto 1978 venne previsto che ogni anno fosse approvata, oltre alla legge di bilancio, la legge finanziaria (dal
2009: chiamata legge di stabilità) che aveva il compito di “stabilire nuovi tributi e nuove spese.
Dubbio: di legittimità cost. (aggiramento divieto costituzionale, art.81) e ritenuta una delle cause di espansione
del debito pubblico anni 80.
Per contenere tale debito il nuovo art. 81 della Cost. ha introdotto il principio dell’equilibrio di bilancio “Lo Stato
assicura l’equilibrio tra entrate e spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e favorevoli del ciclo
economico” + “ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e
al verificarsi di eventi eccezionali (previa autorizzazione delle Camere con > assoluta)”.
È stato poi abrogato il comma che vietava alla legge di bilancio di stabilire nuovi tributi e nuove spese, mentre le
caratteristiche di questa legge e la disciplina dell’equilibrio tra entrate e spese sono state affidate ad una legge
ordinaria rinforzata.

Secondo la disciplina oggi vigente → il Governo deve presentare al Parlamento:


• entro 10 aprile di ogni anno il Documento di economia finanziaria (DEF, che ha sostituito il DPFE) con cui
si definiscono gli obiettivi programmatici di finanza pubblica. È formato da 3 sezioni: programma di
stabilità con cui si indicano gli obiettivi di politica economica e le previsioni di finanza pubblica (da
sottoporre all’esame del Consiglio dell’UE e della Commissione EU); analisi degli andamenti dei valori di
finanza pubblica; Programma nazionale di riforma che specifica le priorità nell’azione di riforma (anche
esso al vaglio degli organi UE).
• entro 20 settembre di ogni anno → nota di aggiornamento del DEF
• entro 15 ottobre di ogni anno → disegno di legge di approvazione del bilancio preventivo dello Stato,
deve essere esaminato dalle Camere nella sessione di bilancio
• entro 30 giugno di ogni anno → disegno di legge di approvazione del rendiconto consultivo dello Stato
(riferito all’anno precedente e approvato con legge)
• entro 30 giugno → anche il disegno di legge di assestamento (adegua gli stanziamenti di bilancio in
relazione alla consistenza dei residui attivi e passivi + costituisce un’occasione x modificare le poste del
bilancio)
• entro il mese di gennaio di ogni anno → eventuali disegni di legge collegati alla manovra finanziaria
pubblica, funzionali a raggiungere gli obiettivi del DEF

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9.5 ATTIVITA’ DI CONTROLLO E INDIRIZZO IN POLITICA ESTERA
Politica estera → attività parlamentare di controllo avviene:
utilizzando strumenti conoscitivi, di controllo e indirizzo;
approvando apposite leggi che autorizzano il Presidente della Repubblica a ratificare i trattati
internazionali, precedentemente negoziati e firmati dal Governo

Siccome sono accordi che vincolano la Repubblica la Cost. dispone che su di essi si esprima 2 volte:
✓ con la sottoscrizione (dell’Esecutivo);
✓ con la ratifica (Capo dello Stato previa autorizzazione in casi rilevanti delle Camere).
I trattati che non rientrano nell’art.80 Cost. vengono ratificati in forma semplificata.
Tutti gli accordi internazionali devono essere pubblicati sulla G.U. e inseriti nella Raccolta ufficiale degli atti
normativi della Repubblica.

Ratifica → comporta l’entrata in vigore e obbligo dello Stato italiano a conformarsi alle norme del trattato inter.
Per far sì che siano applicabili occorre richiamarle attraverso un ordine di esecuzione o una legge di esecuzione.
Il disegno di legge presentato dal G al P contiene sia l’autorizzazione alla ratifica che l’ordine di esecuzione. In
questo caso le Camere non hanno potere di modifica, possono solo approvare o respingere la proposta di
autorizzazione.

9.6 ATTIVITA’ DI CONTROLLO E INDIRIZZO IN MATERIA DI DIFESA E SICUREZZA


In materia di difesa nazionale e di utilizzo delle forze armate, le Camere (art.78) deliberano lo stato di guerra, poi
dichiarato dal P. della R., e conferiscono al Governo i poteri necessari alla conduzione del conflitto.
La Cost. si occupa della guerra vietando quella di aggressione e consentendo quella di difesa.

Per le operazioni militari diverse dalla guerra manca normativa costituzionale ma esiste una disciplina generale
(L. n°145/2016).
L’invio di persone e mezzi fuori dal territorio nazionale: deve avvenire nel rispetto del diritto internazionale, delle
finalità sancite dalla Cost. e in ottemperanza agli obblighi derivanti da alleanze/accordi; deve essere previamente
comunicato al P. della R. ed eventualmente sottoposto al Consiglio Supremo di Difesa, deve essere deliberato dal
Consiglio dei Ministri e deve essere tempestivamente comunicato alle Camere che autorizza o meno (x ciascun
anno) tale invio.
Entro 31.12 di ogni anno deve svolgersi in ciascuna Camera una apposita sessione parlamentare sull’andamento
delle missioni autorizzate.

In materia di sicurezza della Rep. E di servizi segreti, il Parlamento verifica che l’attività del Sistema di info per la
sicurezza si svolga nel rispetto della Cost. e delle leggi. È stato istituito il Comitato parlamentare per la sicurezza
della Rep. (5 deputati + 5 senatori nominati dal Presidente dei 2 rami del Parlamento). Esso dispone di poteri
conoscitivi e di controllo (audizione di sogg. titolari di info e competenze in materie + ottenere copia di atti e
documenti e documentazione ed elementi informativi in possesso del Sistema x la sicurezza/qualsiasi p.a.

10. IL PARLAMENTO IN SEDUTA COMUNE


Art.55 il Parlamento si riunisce IN SEDUTA COMUNE nei soli casi previsti dalla Costituzione:
- elezione del P. della Repubblica e ricezione del giuramento del nuovo capo Dello Stato
- messa in stato d'accusa del P. della Repubblica
- compilazione della lista di 45 cittadini tra i quali sorteggiare i giudici chiamati a integrare la Corte costituzionale
negli eventuali giudizi d'accusa nei confronti del P. della Repubblica
- elezioni di 5 giudici costituzionali
- elezione di 1/3 dei componenti del CSM
Secondo alcuni costituisce un terzo organo, secondo altri si tratterebbe di una semplice riunione di deputati e
senatori. esso e presieduto dal presidente della Camera dei deputati e agisce applicando salvo eccezionali casi il
regolamento di tale camera.

Ratio: esercizio separato delle funzioni sopra indicate potrebbe determinare conflitti tra le 2 assemblee + sono
richieste > qualificate e può risultare + agevole quindi ottenere il consenso necessario in un unico collegio.

Sulla natura del Parlamento in seduta comune, la dottrina si è divisa:


✓ secondo alcuni costituisce un organo terzo rispetto alla Camera e Senato;

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✓ secondo altri è una semplice riunione di deputati e senatori che non perdono la propria qualità di
appartenenza.
Si tratta in ogni caso di: collegio imperfetto (non decide il proprio ordine del giorno e può riunirsi solo per lo
svolgimento di quelle funzioni elencate).

Esso è presieduto dal Presidente della Camera dei Deputati ed agisce applicando il regolamento di tale Camera.

IL GOVERNO
1. IL QUADRO COSTITUZIONALE
L'Esecutivo è, insieme al Legislativo, l'istituzione + importante (+ del Capo dello Stato).
Il 1°, che deve godere della fiducia del 2°, propone l'indirizzo politico e lo attua esercitando una parte della
funzione normativa e la funzione amministrativa (sulla base del principio di separazione tra sfera politica e sfera
amministrativa → la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica spetta alla p.a.).
Il Parlamento approva l'indirizzo formulato dal Governo, specificandolo attraverso la funzione legislativa e
controllandone poi l'attuazione.
Il Governo - che è un organo complesso (perché composto di organi diversi) ed ineguale (perché gli organi che lo
compongono si differenziano quanto a struttura, rapporti reciproci e funzioni) - è configurato come un sogg.
politicamente unitario, capace di proporre e dare attuazione all'indirizzo politico che vuole perseguire,
rispondendo di ciò di fronte al Parlamento: occorre fare in modo che i suoi componenti agiscano conformemente
ad un unico indirizzo.

La Cost. si limita negli art. da 92 a 95 a porre pochi principi e regole in tema di Governo, rinviando per tutto il
resto alla legge ordinaria (ma, di fatto, anche alla prassi, alle convenzioni ed agli atti di autoorganizzazione dello
stesso Governo).
L'art. 92 individua 3 organi necessari: «Il Governo della Rep. è composto del Presidente del Consiglio e dei ministri,
che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri».
La L. può prevedere anche altri organi, costituzionalmente non necessari, nel rispetto delle competenze che la
Cost. assegna ai primi.
Gli art. 92, 93 e 94 disciplinano la formazione de Governo, mentre i rapporti interni a quest'ultimo sono disegnati
dall'art. 95:
a) il Presidente del Consiglio dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile; mantiene l’unità di
indirizzo politico e amministrativo, promovendo e coordinando l'attività dei ministri;
b) i ministri sono responsabili, collegialmente, degli atti del Consiglio dei ministri e, individualmente, degli
atti dei loro dicasteri.

2. I PRINCIPI DI ORGANIZZAZIONE DELL’ESECUTIVO


Il Presidente del Consiglio «dirige» la politica generale del Governo e «mantiene l'unità» dell'indirizzo politico.
Il Consiglio dei ministri “determina" tale politica generale (anche se non è agevole stabilire precisi confini tra la
determinazione della politica generale e la sua direzione).

L'art. 95 delimita il ruolo del premier rispetto al Consiglio dei ministri. Ha consacrato 3 diversi principi di
organizzazione del Governo:
a) principio della responsabilità politica di ciascun ministro, che comporta il riconoscimento della sua
autonomia nella direzione del ramo dell'amministrazione statale (il ministero) a cui è preposto;
b) principio della responsabilità politica collegiale, incentrata nel Consiglio dei ministri;
c) principio della direzione politica monocratica ad opera del Presidente del Consiglio.

Orientamento minoritario ritiene che il Presidente del Consiglio sia titolare di poteri di autonoma determinazione
delle linee generali dell'attività dell'Esecutivo.
All'opposto si colloca la tesi che ritiene che il Presidente del Consiglio debba svolgere solo attività di
coordinamento e mediazione attraverso i poteri di presidenza dell'organo collegiale Consiglio dei ministri.
La visuale prevalente, pur ritenendo prioritario il principio collegiale nella determinazione dell'indirizzo politico,
configura rapporti fra premier e ministri secondo un modello intermedio, nel quale il Presidente del Consiglio è
una sorta di super partes.

Secondo la Corte costituzionale «non è configurabile una preminenza del Presidente del Consiglio dei ministri
rispetto ai ministri, perché egli non è il solo titolare della funzione di indirizzo del Governo, ma si limita a

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mantenerne l’unità, promuovendo e coordinando l'attività dei ministri e ricopre una posizione definita di primus
inter pares. Anche la disciplina cost. dei reati ministeriali conferma che il Presidente del Consiglio dei ministri e i
ministri sono sullo stesso piano»
Lo stesso Presidente del Consiglio, tramite il sito ufficiale di Palazzo Chigi, si ritiene un primus super pares.

Gli equilibri politici si sono sempre fondati su un multipartitismo poco coeso, che ha limitato o condizionato anche
i poteri riconosciuti al premier ed al Consiglio dei ministri, ossia:
a) potere del Presidente del Consiglio di proporre al Capo dello Stato i nominativi dei ministri da nominare;
b) competenza del Consiglio dei ministri a deliberare sulle questioni che riguardano la politica generale del
Governo, poste all'ordine del giorno dal premier;
c) potere del Presidente di esercitare i compiti di direzione della politica generale indirizzando direttive
politiche e amministrative ai ministri, che comunque consistono nell'individuazione di fini politici o di principi
d'azione e lasciano spazio all'autonomia ministeriale.

In tale quadro e in mancanza, fino al 1988, della L. prevista dall’art.95 si è assistito al “calo della funzione
direzionale del P. del Consiglio in mera funzione mediatrice” e alla trasformazione del Consiglio dei ministri da
sede di determinazione della politica governativa in sede di registrazione o di composizione delle scelte operate
altrove: dai ministri e dai loro apparati burocratici, dai comitati interministeriali, dai partiti politici.
Per cui l'attuazione dell'art. 95 e la disciplina del funzionamento del Governo sono avvenuti sulla base di
convenzioni e prassi costituzionali.
Emblema della debolezza del P. del Consiglio → fino al 1961 la Presidenza del Consiglio dei ministri non ha avuto
una propria sede, condividendo quella del Ministero dell'Interno e appoggiandosi sugli uffici di tale dicastero, e
fino al 1988 ed oltre ha utilizzato dipendenti di altri ministeri e risorse del bilancio del Ministero del Tesoro.

3. LA LEGGE N.400 DEL 1988 E LA DISCIPLINA DEGLI ORGANI NECESSARI DEL GOVERNO
La L.400 23/1988 → finalizzata a disciplinare l'attività del Governo e a dettare l'ordinamento della Presidenza del
Consiglio dei ministri. Essa ha soltanto razionalizzato gli strumenti che dovrebbero garantire l'unità d’indirizzo
politico e amministrativo del Governo.

Tutte le decisioni relative alla politica generale del Governo sono state assegnate al Consiglio dei ministri →
espressa riconduzione all'organo collegiale del potere di determinazione della politica generale del Governo e di
ogni questione relativa all'indirizzo politico fissato dal rapporto fiduciario con le Camere.

La L. si è sforzata di specificare tutte le principali tematiche su cui deve deliberare il Consiglio dei ministri: oltre
ad ogni questione relativa all'indirizzo politico del Governo, l'indirizzo generale dell'azione amministrativa; i
conflitti di attribuzione fra i ministri; l'iniziativa del P. del Consiglio di porre la questione di fiducia dinanzi alle
Camere; le dichiarazioni relative all'indirizzo politico ed agli impegni programmatici; i disegni di legge e le proposte
di ritiro di disegni di legge; i decreti-legge, i decreti legislativi ed i regolamenti governativi; gli atti adottati dal
Governo in sostituzione delle Regioni, in caso di persistente inattività oltre i termini obbligatori per legge, riguardo
a competenze delegate; le proposte di sollevare conflitti di attribuzioni, o di resistervi, nei confronti degli altri
Poteri dello Stato, delle Regioni e delle Province autonome; le linee di indirizzo in tema di politica internazionale
ed europea e i progetti dei trattati e degli accordi internazionali di natura politica o militare; gli atti relativi ai
rapporti con la Chiesa cattolica previsti dal sistema concordatario di cui all'art. 7 Cost. e le intese con le confessioni
diverse da quella cattolica di cui all'art. 8 Cost.; lo scioglimento anticipato dei Consigli regionali, effettuato poi dal
Presidente della Repubblica; le nomine alla presidenza di enti, istituti o aziende di carattere nazionale, di
competenza dell'amministrazione statale.

A favore del Presidente del Consiglio, in conformità dell'art. 95, è confermato il compito di promuovere
l'attuazione della politica generale del Governo e di coordinare l'attività dei singoli ministri.
A tal fine, al premier -supportato da una struttura amministrativa propria, organizzata nel Segretariato generale
della Presidenza del Consiglio (cui è preposto un Segretario generale, destinato a risultare, insieme al
Sottosegretario alla Presidenza, il più diretto collaboratore del Capo del Governo) - sono riconosciuti poteri di:
-impulso, potendo convocare il Consiglio dei ministri, fissarne l'ordine del giorno e promuovere l'attività
ministeriale in ordine alla politica generale del Governo;
-indirizzo, potendo emanare direttive politiche ed amministrative nei confronti dei singoli ministri;
-freno, potendo sospendere l'adozione di atti da parte degli stessi;

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-coordinamento, potendo istituire comitati di ministri con funzioni istruttorie e concordare con i singoli ministri
le pubbliche dichiarazioni che essi intendano rendere quando impegnano la politica generale del Governo.

Quindi: nella fase attuativa delle decisioni egli gode di una posizione di primus super pares. Rinforzano tale
posizione anche i poteri di iniziativa e di indirizzo riconosciutigli in settori rilevanti, quali le politiche europee e i
rapporti con le Regioni, nonché la sicurezza della Repubblica (ossia i servizi segreti) e il segreto di Stato.

Il regolamento interno del Consiglio dei ministri ha poi tradotto sul piano procedurale tale indirizzo legislativo,
prevedendo che:
il ministro che intende proporre un provvedimento da inserire all'ordine del giorno del Consiglio ne deve
fare richiesta al premier con la relativa documentazione;
almeno 5 giorni prima della riunione del Consiglio dei ministri, il P. del Consiglio dirama a tutti i ministri
gli schemi dei provvedimenti su cui il Gabinetto dovrà deliberare;
gli schemi dei provvedimenti ed i relativi documenti devono essere esaminati nel corso di una riunione
preparatoria presso la Presidenza del Consiglio (c.d. "Preconsiglio"), da tenere almeno 2 giorni prima
della seduta del Gabinetto, al fine di pervenire alla loro redazione definitiva;
nessuna questione può essere inserita all'ordine del giorno del Consiglio dei ministri se non è stata
esaminata nel corso della riunione preparatoria.

Attraverso questa disciplina si conseguono 2 risultati:


1) si assicura la circolazione all'interno del Governo delle info sulle questioni su cui dovrà deliberare il
Consiglio dei ministri, che, grazie a ciò, potrà risolvere i problemi di coordinamento tra le diverse
iniziative ministeriali;
2) si concentra nel P. del Consiglio e negli uffici della Presidenza il coordinamento preventivo delle istanze
dei ministri, visto che, solo dopo la riunione preparatoria e la redazione di una proposta di deliberazione
compatibile con l'indirizzo del Governo, la posta suddetta viene iscritta all'ordine del giorno della seduta
del Consiglio dei ministri.

Al P. del Consiglio sono attribuiti poteri strumentali al coordinamento delle attività dei ministri, lui può:
✓ sospendere l'adozione di atti da parte dei ministri, sottoponendo le relative questioni al Consiglio dei
ministri;
✓ adotta le direttive politiche ed amm. in attuazione delle deliberazioni del Consiglio dei ministri, ovvero
quelle relative alla direzione della politica generale del Governo;
✓ adotta le direttive per assicurare l'imparzialità, il buon andamento e l'efficienza della p.a.;
✓ concorda con i ministri le dichiarazioni pubb. che essi intendano rendere e che impegnano la politica
generale del Governo;
✓ può istituire particolari comitati di ministri con il compito di esaminare in via preliminare questioni di
comune competenza o esprimere pareri su questioni da sottoporre al Consiglio dei ministri.

Il premier non ha strumenti giuridici adeguati per obbligare un ministro ad adottare un determinato
provvedimento o per sostituirsi alla sua inerzia. Solo in un caso si è riusciti a rimuovere un ministro dissenziente
senza far cadere il Governo grazie all’intervento del Parlamento tramite approvazione di una mozione di sfiducia
individuale.
4. GLI ORGANI NON NECESSARI DEL GOVERNO NELLA LEGGE N.400
Gli organi non necessari fanno parte dell'Esecutivo in senso più ampio, svolgendo compiti ausiliari, sussidiari od
ulteriori rispetto a quelli espressamente riservati agli organi necessari. Non intrattengono alcun rapporto
fiduciario con le Camere.
Il n. max di membri del Governo fissato per L è: 65 componenti (compresi P. del Consiglio. Ministri, sottosegretari
e viceministri). Inoltre, la composizione del Governo deve essere coerente con principio di pari opportunità di
genere (art.51 Cost).

Circa gli organi non necessari si sono posti dubbi di costituzionalità, ritenendosi da alcuni che l'art. 95 richieda che
ogni ministro sia preposto ad un dicastero (e quindi non siano ammessi Vicepresidenti del Consiglio, ministri senza
portafoglio o comitati interministeriali dotati di compiti decisionali e non soltanto istruttori).
Tuttavia, la responsabilità di tali organi può ricondursi agevolmente agli incarichi loro affidati e la loro presenza
nel Gabinetto può contribuire ad una valorizzazione del Consiglio dei ministri come organo di governo (salvo che
nel caso di comitati interministeriali deliberativi).

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4.1. I VICEPRESIDENTI DEL CONSIGLIO
Su proposta del premier, il Consiglio dei ministri può attribuire ad 1 o + ministri le funzioni di Vicepresidente del
Consiglio: a tale soggetto spetta la supplenza del P., nel caso in cui sia assente o temporaneamente impedito
(altrimenti svolta dal ministro + anziano d'età, salva diversa disposizione del premier) (art. 8 L n.400).

In concreto, si ricorre alla nomina del o dei Vicepresidenti per dare risalto alla presenza di un partito diverso da
quello che esprime il P. del Consiglio oppure per dare visibilità a leader politici (es. Conte, Salvini e Di Maio).

4.2. I MINISTRI SENZA PORTAFOGLIO


Accanto a (attualmente) 15 ministri posti a capo di un dicastero, vengono sempre nominati ministri senza
portafoglio, non preposti ad un ministero, che svolgono le funzioni loro delegate dal P. del Consiglio, sentito il
Consiglio dei ministri. La L. non pone limiti quanto alle funzioni assegnabili.
La nomina di tali ministri risponde spesso ad esigenze di rappresentanza nel Gabinetto di partiti ed esponenti
politici cui non è possibile assegnare, nel n. richiesto, la titolarità di dicasteri.
Alcune figure di ministro senza portafoglio sono previste da norme legislative, che ne individuano le funzioni,
lasciando al Presidente del Consiglio la decisione di delegarle o meno (es. Ministro per la Funzione pubb.).

4.3. I SOTTOSEGRETARI
I sottosegretari di Stato aiutavano i ministri o il P. del Consiglio ed esercitano i compiti delegati da questi ultimi
con decreti, pubblicati sulla G.U. (art. 10 legge n. 400 del 1988).
La figura del sottosegretario è stata introdotta dalla L.5195 del 1888, non è stata richiamata espressamente dalla
Cost. ma risultava legittimata da una consuetudine costituzionale.

Essi svolgono, in collaborazione e su delega dei ministri, importanti compiti non solo amministrativi (es. intervento
nelle sedute delle Camere “quali rappresentanti del Governo”) e possono ricevere funzioni decisionali che
concretano un indirizzo politico. Non risultano titolari diretti di attribuzioni costituzionali: non sono considerati
responsabili se non per le attività loro direttamente imputabili (es. dichiarazioni politiche da loro rese).
Non spetta loro l'esercizio di un tipico potere-dovere ministeriale come la controfirma degli atti del P. della R.

Essi vanno considerati collaboratori dei ministri o del P. del Consiglio, non legati a loro da un rapporto fiduciario:
possono anche non essere parlamentari, non fanno parte del Consiglio dei ministri e non partecipano alla
formazione della politica generale del Governo, ma svolgono funzioni istituzionali – di ausilio di un ministro - che
possono essere integrate da compiti politici e/o amministrativi, delegati da quest’ultimo.
Possono anche partecipare a comitati di ministri, ma soltanto per sostituire o affiancare i rispettivi ministri,
mentre, quando intervengono alle sedute delle Camere o delle Commissioni parlamentari come rappresentanti
dell'Esecutivo, devono comunque attenersi alle direttive del ministro che assistono.

La funzione di collaborazione con un ministro giustifica il particolare procedimento seguito per la loro nomina:
occorre, un decreto del P. della R., su proposta del P. del Consiglio, di concerto con il ministro che il sottosegretario
è chiamato a coadiuvare, sentito il Consiglio dei ministri.
Il sottosegretario assume le sue funzioni dopo il giuramento prestato davanti al P. del Consiglio.

Riveste una posizione particolare il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, che svolge le funzioni (proprie)
di segretario del Consiglio dei ministri, curando la verbalizzazione e la conservazione del registro delle
deliberazioni e dirigendo l’Ufficio di segreteria del Consiglio dei ministri. Oltre a ciò sovraintende, per quanto di
sua competenza, al Segretariato generale della Presidenza (diretto da un Segretario generale, ossia da un alto
funzionario) e, su delega del Presidente del Consiglio, può dirigere 1 o + dipartimenti e uffici della Presidenza.
La peculiarità del suo ruolo spiega perché riceve la sua investitura prima degli altri sottosegretari e con un diverso
decreto del Capo dello Stato e perché il Consiglio dei ministri, nella prima riunione, si limita ad esprimere il proprio
consenso alla proposta del Presidente del Consiglio di nomina di un determinato Sottosegretario alla Presidenza.

4.4. I VICEMINISTRI
Viceministri → sottosegretari (non + di 10) a cui vengono conferite deleghe relative ad aree o progetti di
competenza di 1 o + strutture dipartimentali o di + direzioni generali, cioè strutture amm. di max. dimensione
all'interno dei ministeri.

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Tale figura è stata introdotta a seguito della riforma dell'organizzazione dei ministeri (d.lgs. n. 300 del 1999), come
soluzione ripiego dopo il fallimento del tentativo di revisione dell'art. 95 della Costituzione finalizzato ad includervi
la previsione di ministri non preposti ad un dicastero ma a «specifiche strutture ministeriali».

Ai fini della nomina a viceministro sembrerebbe necessaria l'attribuzione di una delega ampia ed organica –
«conferita dal ministro competente», ma «approvata dal Consiglio dei ministri, su proposta del P. del Consiglio
dei ministri» e allegata al decreto del P. della Repubblica di nomina - che però non è riservata a favore dei soli
viceministri, nulla vietando che una delega di pari latitudine sia assegnata anche ad un "semplice" sottosegretario
(che non acquisisca il titolo di viceministro) e con l'ordinaria procedura, che prevede l'intervento del solo ministro
delegante, senza il coinvolgimento del premier e del Gabinetto.
I viceministri «possono essere invitati dal P. del Consiglio, d'intesa con il ministro competente, a partecipare alle
sedute del Consiglio dei ministri, senza diritto di voto, per riferire su argomenti e questioni attinenti alla materia
loro delegata» ma il premier può invitare a singole sedute del Gabinetto, a titolo consultivo, anche altri sogg.
diversi dai ministri.

Sembra che la peculiarità dei viceministri si limiti essenzialmente al titolo loro attribuito (conclusione forse
riduttiva, ma evita il rischio che tali organi possano concorrere attivamente alla definizione della politica generale
del Governo alterando gli equilibri stabiliti dalla Cost.).
Tale conclusione sembra confermata dalla prassi: guardando alle deleghe e al ruolo rivestito finora dai essi, la loro
figura non pare aver inciso in modo significativo sulla struttura e sul funzionamento del Governo.

4.5. I COMMISSARI STRAORDINARI DEL GOVERNO


I commissari straordinari del Governo: istituiti «al fine di realizzare specifici obiettivi, determinati in relazione a
programmi o ad indirizzi deliberati dal Parlamento o dal Consiglio dei ministri, o per particolari e temporanee
esigenze di coordinamento operativo tra amm. statali».
Essi sono nominati, x periodo di tempo definito, con decreto del P. della R., su proposta del P. del Consiglio, previa
delibera del Consiglio dei ministri.

≠ dai commissari del Governo presenti nell'ordinamento statutario (che nello Statuto albertino, potevano, al pari
dei ministri, assistere alle sedute delle Camere), + simili agli Alti commissari creati nel 2° dopoguerra.

La L. n. 400, configurandoli come organi straordinari e temporanei ha anche risolto il problema della loro
irresponsabilità politica, stabilendo che «sull'attività del commissario straordinario riferisce al Parlamento il
Presidente del Consiglio dei ministri o un ministro da lui delegato»

4.6. I COMITATI INTERMINISTERIALI


I comitati interministeriali sono aumentati nel corso del tempo x esigenze politiche e x necessità di coordinamento
delle attività ministeriali
La L. 400 dedica poche regole ad essi, distinguendo:
➢ i comitati di ministri → possono essere istituiti dal premier con il compito di esaminare in via preliminare
questioni di comune competenza, di esprimere parere su direttive dell'attività del Governo e su problemi
di rilevante importanza da sottoporre al Consiglio dei ministri;
➢ i comitati interministeriali, creati per L. e spesso dotati di poteri deliberativi.

Sono questi ultimi a suscitare problemi: possano essere considerati una forma di "concerto istituzionalizzato" fra
ministri per un’esigenza di coordinamento finalizzata all'unità dell'indirizzo politico e amm. ma il sistema dei
comitati comporta una «relativa diminuzione del ruolo del Gabinetto».
Occorre però che tale diminuzione non sottragga al Consiglio dei ministri la competenza a determinare l'indirizzo
politico governativo.

La L. 400 ha forse trovato un punto di equilibrio disponendo che i comitati di ministri e quelli interministeriali
istituiti per L. debbono tempestivamente comunicare al P. del Consiglio dei ministri l'ordine del giorno delle
riunioni. Quest ultimo può deferire singole questioni al Consiglio dei ministri, perché stabilisca le direttive alle
quali i comitati debbono attenersi.

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I comitati non sembrano autorizzati ad agire in autonomia, salva la facoltà di intervento nelle questioni rientranti
nella loro competenza da parte del Consiglio dei ministri, su richiesta del P. del Consiglio, al fine di mantenere
l'unità di indirizzo governativo.

Tuttavia, a fronte della riduzione del ruolo del Gabinetto, è incerto il beneficiario del nuovo sistema: la presidenza
e la direzione dei comitati possono favorire il P. del Consiglio ove vengano direttamente esercitate, oppure
esaltare il ruolo dei ministri di settore, a cui vengono molto spesso delegate (premier mancanza tempo).

Riguardo all'impatto dei comitati sulla posizione del P. del Consiglio, vi sono in dottrina 2 differenti visuali:
-la presenza dei comitati può comportare un sostanziale depotenziamento del premier, perché sono predisposti
per l'adozione di decisioni settoriali sostitutive di deliberazioni del Consiglio dei ministri, e potendo tali organismi
diventare spesso impermeabili rispetto ai poteri di indirizzo e coordinamento del Presidente del Consiglio.
-individua nel sistema dei comitati fattori capaci di rafforzare la posizione del premier (es. possibilità di trasferire
in sede di comitato tematiche altrimenti da sottoporre al Consiglio dei ministri).

A fronte della loro eccessiva moltiplicazione sono state realizzate negli anni '90 una riduzione e una
razionalizzazione del sistema dei comitati. Ma tale sistema eterogeneo è sopravvissuto e sembra aver spogliato il
Consiglio dei ministri di alcune funzioni.

La prassi indica che i comitati non possono essere considerati come semplici collegi amministrativi e che le loro
attribuzioni non sono sempre omogenee a quelle dei ministri partecipanti, rendendo arduo intravedere in essi
una mera “istituzionalizzazione del concerto" tra ministri.

Nel contempo, essi non si limitano all'attuazione nel loro settore dell'indirizzo politico amministrativo determinato
dal Gabinetto.
D'altra parte, l'entità e la complessità delle questioni che deve affrontare l'Esecutivo continuano a favorire la
presenza di sedi specializzate diverse dal Gabinetto.

4.7. IL CONSIGLIO DI GABINETTO


Dopo essere stato inizialmente introdotto in via di prassi sotto il Governo Craxi nel 1983, la L. 400 ha formalmente
previsto la possibilità di istituire il Consiglio di Gabinetto → compito di «coadiuva[re]» «il P. del Consiglio dei
ministri nello svolgimento delle funzioni previste dall'art.95», ossia nella direzione della politica generale del
Governo e nel mantenimento dell'unità di indirizzo politico e amministrativo.

È composto dai ministri designati dallo stesso premier, sentito il Consiglio dei ministri. «Il P. del Consiglio dei
ministri può invitare a singole sedute del Consiglio di Gabinetto altri ministri in ragione della loro competenza».
È considerato un comitato di ministri, ma la sua competenza non è circoscritta ad uno specifico settore, ma è
estesa all'intera attività governativa, sia pure a fini consultivi e preparatori.
Non è un'articolazione interna del Consiglio dei ministri, ma un organo esterno ad esso quindi non può subentrare
ad esso il Gabinetto nella sua interezza.

Dopo il 1992 il Consiglio di Gabinetto non è stato più istituito → per soddisfare le pretese di coinvolgimento dei
ministri + importanti nella direzione della politica generale dell'Esecutivo, si è fatto ricorso a modalità informali,
come i “vertici" fra il Presidente del Consiglio e i ministri a "capo" delle "delegazioni" di esponenti di ciascun partito
di > nel Governo.

5. LA FORMAZIONE DEL GOVERNO


Si deve formare un nuovo Governo dopo il rinnovo del Parlamento (poiché il Gabinetto deve avere la fiducia delle
Camere che sono in carica), oppure dopo una crisi di governo, ossia dopo le dimissioni del precedente Esecutivo.

Gli artt. 92(2°C), 93 e 94 disciplinano la formazione del Governo, stabilendo che:


a) il P. della R. nomina il P. del Consiglio e, su proposta di questo, i ministri;
b) il P. del Consiglio e i ministri, prima di assumere le funzioni, devono prestare giuramento di fedeltà alla Rep. e
di osservanza della Cost. e delle leggi nelle mani del P. della Repubblica;
c) entro 10g dalla sua formazione il Governo deve presentarsi alle Camere (prima ad una e poi all'altra) per
ottenere la loro fiducia;

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d) ciascuna Camera accorda (o, in seguito, revoca) la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello
nominale.

Il procedimento previsto dalla Cost. valorizza il ruolo del Capo dello Stato (la cui attività è discrezionale, cioè libera
nella scelta dei tempi e dei modi ma vincolata nel fine da raggiungere) evitando di lasciare un potere condizionante
ai partiti politici.
Se il corpo elettorale non può eleggere direttamente il P. del Consiglio, non è escluso che possa indicarlo
indirettamente al momento delle elezioni delle Camere, ove il regime dei partiti sia bipolare e, insieme al sistema
elettorale, assecondi tale possibilità. In Italia ciò non è avvenuto ed anzi i partiti hanno preteso di avere un ruolo
ben + incisivo di quello loro assegnato.

Il procedimento di formazione del Governo effettivamente seguito comprende le seguenti fasi:


a) le consultazioni del Capo dello Stato;
b) il conferimento dell'incarico;
c) l'attività dell'incaricato;
d) la nomina del nuovo Presidente del Consiglio e dei ministri;
e) il giuramento;
f) la fiducia.

Le consultazioni.
Il P. della Repubblica, per consuetudine cost. (=obbligato da una norma non scritta), consulta sogg. di particolare
rilievo (P. delle Camere, ex Capi dello Stato e soprattutto i P. dei gruppi parlamentari ed i leader dei partiti politici,
che possono indicare come si comporteranno i parlamentari che aderiscono a tali gruppi e partiti) per riuscire ad
individuare la persona meglio in grado di formare un Gabinetto, che possa ottenere la fiducia e la collaborazione
della > parlamentare.

Il conferimento dell'incarico.
Il P. della R., per prassi costituzionale (=ritenendo opportuno, anche se non obbligatorio, farlo), affida verbalmente
l’incarico alla persona che ritiene in grado di formare il nuovo Governo (che non diventa ancora P. del Consiglio),
rimanendo in carica per gli affari correnti il precedente premier con il suo Governo.
Quando, a seguito delle elezioni politiche, un partito o una coalizione di partiti conquista in entrambe le Camere
una sicura > e riconosce un esponente politico quale proprio leader, al P. della R. non resta che incaricare e
nominare quel sogg. e i ministri da lui proposti (es. I legislatura: Democrazia Cristiana e i piccoli partiti centristi).
Quando presentano le candidature per le due Camere, i partiti devono depositare il programma elettorale e
indicare il nome della personalità designata come capo della forza politica o della coalizione che consentono, in
caso di esito incerto delle elezioni ovvero in seguito ad una successiva crisi di governo, la nomina di un'altra
personalità ove sostenuta da una > parlamentare.
Il Capo dello Stato può incaricare e nominare P. del Consiglio anche un sogg. che non fa parte delle Camere (es.
Conte) o addirittura un "tecnico”, che non appartiene al mondo politico (es. Draghi).
Occorre però che i partiti e i gruppi parlamentari siano disposti sostenete tale sogg. e il suo Governo.
Se invece, dopo le proprie consultazioni, il Capo dello Stato non nesce ad individuare alcuna personalità può
conferire un mandato esplorativo ad un sogg. terzo (di solito P. di una delle Camere) o un pre-incarico ad un sogg.
ritenuto in grado di ricevere in seguito un incarico pieno.

L'attività dell'incaricato.
L'incaricato, per prassi costituzionale, "accetta con riserva" (=si riserva di accettare) e svolge a sua volta delle
consultazioni con i partiti politici e i gruppi parlamentari per ottenere il loro impegno a sostenere il Governo che
si sta per formare: per assicurarselo, tende a definire insieme a loro il programma del futuro Esecutivo (anche se,
ai sensi dell'art. 95, ciò spetterebbe al futuro Consiglio dei ministri) e i nominativi dei ministri (anche se, ai sensi
dell'art. 92, spetterebbe solo a lui sceglierli). Dopo tali consultazioni, l'incaricato può sciogliere la riserva,
accettando l'incarico e presentando al P. della R. la lista dei ministri; oppure può rinunciare ad accettare l'incarico.

La nomina del nuovo Presidente del Consiglio e dei ministri.


Sciolta positivamente la riserva da parte dell'incaricato, il P. della R. (dopo aver accettato le dimissioni del Governo
precedente) nomina il P. del Consiglio e, su proposta di quest’ultimo, i ministri (con tre distinti decreti, tutti
controfirmati dal P. del Consiglio entrante).

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La > parte della dottrina ritiene che in casi eccezionali, per tutelare imprescindibili interessi garantiti dalla Cost., il
Capo dello Stato possa rifiutare di nominare ministro un sogg. indicato dal P. del Consiglio, senza però poter
nominare autonomamente un’altra persona, occorre la proposta del premier (che, ove non voglia rinunciare a
quel nome, rinuncerà ad essere nominato P. del Consiglio). Un caso del genere si è verificato in occasione della
formazione del I Governo Conte nel 2018, quando il Presidente Mattarella ho ritenuto di non poter nominare
Ministro dell'Economia e delle Finanze prof. Paolo Savona. Dopo una iniziale rinuncia di Giuseppe Conte ad essere
nominato premier (perché i due partiti che lo sostenevano non volevano accettare nominativi diversi), egli ha
proposto un altro nome per quell'incarico, mentre il prof. Savona è stato comunque nominato Ministro senza
portafoglio per il Coordinamento delle politiche europee.

Il giuramento
Dopo la nomina, ciascun membro del Governo presta giuramento di fedeltà alla Rep. e di osservanza della Cost.
e delle leggi davanti al Capo dello Stato. Dopo il giuramento il Governo entra nell'esercizio della “ordinaria
amministrazione". La Cost. non prevede limiti ai poteri del Gabinetto in questa fase, ma, considerata l'importanza
del rapporto di fiducia, si ritiene opportuno che l'Esecutivo non adotti decisioni conseguenti a scelte di indirizzo
politico non ancora approvate dalla Camere. Nella prassi, però, i Governi adottano non di rado atti di questo tipo,
giustificando la cosa con la circostanza che risultano indifferibili e urgenti.
In questa fase il Consiglio dei ministri si riunisce comunque per deliberare il programma di governo (nella prassi,
accettando senza discutere quello proposto dal premier e da lui concordato con i partiti di maggioranza durante
le sue consultazioni) e per decidere i nomi dei sottosegretari e dei viceministri (facendo propri quelli indicati dai
partiti di maggioranza), da proporre per la nomina al Capo dello Stato. de espressamente

La fiducia.
Entro 10 giorni dal giuramento, il Governo deve presentarsi ad una delle 2 Camere (a propria scelta) e, subito
dopo, all'altra per illustrare il programma, contenente l'indirizzo politico, ed ottenere la fiducia. Quest'ultima viene
concessa mediante l'approvazione: a scrutinio palese (con appello nominale dei parlamentari) e a > semplice
(rectius relativa, ossia con i voti favorevoli che devono essere 1 in + di quelli contrari, mentre gli astenuti non sono
computati):
di una mozione motivata, proposta dai membri delle Camere che sostengono l'Esecutivo (almeno 10 deputati o 8
senatori, anche se nella prassi sono i capigruppo parlamentari di > che propongono la mozione a nome di tutti i
deputati o senatori del loro gruppo).
La mozione deve essere motivata facendo riferimento all'indirizzo politico indicato dal nuovo Governo, ma nella
prassi ci si limita ad una motivazione per relationem, attraverso una formula indiretta e generica: "Udite le
dichiarazioni del P. del Consiglio, la Camera (o il Senato) approva".
Se la fiducia non viene concessa, il Governo deve immediatamente dimettersi e il P. della Repubblica, dopo aver
svolto nuove consultazioni, deve:
-conferire un nuovo incarico ad un altro sogg., se ritiene che ci sia qualcuno su cui può convergere una >, anche
relativa, di parlamentari;
-oppure sciogliere le Camere e convocare elezioni anticipate, se verifica che con gli schieramenti politici esistenti
nessun Governo potrà ottenere la fiducia.

6. LA CRISI DI GOVERNO
La Cost. italiana ha disegnato una forma di governo parlamentare debolmente razionalizzata, prevedendo solo
alcuni meccanismi volti a favorire la stabilità dell'Esecutivo, rivelatisi poco efficaci.
Oltre al procedimento di formazione del Gabinetto, si è previsto che il voto contrario di una o entrambe le Camere
su una proposta del Governo non importa l'obbligo di dimissioni di quest’ultimo (art. 94): soltanto la revoca
formale della fiducia da parte di anche una sola Camera può determinare tale obbligo, fermo restando che il
Gabinetto può dimettersi di propria volontà in qualunque momento.

Le crisi di governo possono essere:


-crisi parlamentari, conseguenti all'approvazione di una mozione di sfiducia da parte di una Camera (o al rigetto
di una questione di fiducia posta dal Governo a quella Camera);
-crisi extraparlamentari, conseguenti a contrasti interni tra i partiti che sostengono l'Esecutivo, che inducono il P.
del Consiglio a dimettersi spontaneamente (non riuscendo + a portare avanti l'indirizzo politico governativo).

La Cost. regolamenta le crisi parlamentari, prevedendo, nell'art. 94, che sia presentata davanti ad una delle
Camere una mozione di sfiducia, sottoscritta da almeno 1/10 dei suoi componenti.

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Essa non può essere messa in discussione prima di 3 giorni dalla sua presentazione, allo scopo di consentire alla
magg. parlamentare di compattarsi in seno all'assemblea ed evitare che il voto di sfiducia sia agevolato dalla
temporanea assenza dall'aula dei propri deputati o senatori.

La mozione di sfiducia:
✓ deve essere motivata, così da chiarire le ragioni per cui si vuole far cadere il Governo;
✓ deve essere votata a scrutinio palese e per appello nominale, in modo da consentire un controllo politico
degli elettori e dei partiti sui singoli parlamentari e una conseguente assunzione di responsabilità politica
da parte di questi ultimi, impedendo ai "franchi tiratori" (coloro che votano contro il proprio partito o le
direttive che quest'ultimo dà) di esprimersi contro il Governo, nascondendosi dietro lo scrutinio segreto.
Tale mozione è peraltro approvata a > semplice.

Mentre la fiducia interessa sempre il Governo nella sua collegialità, la sfiducia può anche riguardare l'operato di
un singolo ministro (sfiducia individuale) che determina l'obbligo di dimissioni di quel solo membro del Gabinetto.
Il venir meno di 1 o + ministri comporta di regola un rimpasto, ossia la nomina di nuovi ministri, salva la possibilità
che il premier ritenga preferibile dimettersi (provocando la crisi dell'intero Gabinetto) o sia spinto a farlo dal
partito del ministro venuto meno.

L'obbligo di dimissioni del Governo può prodursi in seguito al rigetto di una questione di fiducia posta dallo stesso
Esecutivo: con questo strumento il Gabinetto condiziona la propria permanenza in carica all'approvazione da
parte di una Camera di un determinato atto, in modo tale che un voto della Camera non conforme agli auspici
governativi equivalga a un formale voto di sfiducia.

La mozione di sfiducia è un atto di impulso parlamentare e serve per far valere la responsabilità politica del
Governo.
La questione di fiducia è posta dallo stesso Gabinetto, attraverso il P. del Consiglio, e coinvolge la responsabilità
delle Camere nei confronti dell'Esecutivo.
I Governi italiani ricorrono con molta frequenza alla questione di fiducia: per ricompattare i parlamentari di
maggioranza, ma + spesso come strumento per il perseguimento in tempi rapidi del programma e come mezzo
anti-ostruzionistico.

La questione di fiducia viene votata:


a scrutinio palese e per appello nominale, non prima di 24h (per impedire alle opposizioni di sfruttare la
temporanea assenza dall'aula di deputati o senatori della maggioranza);
sul testo formulato dal Governo, che può anche rappresentare un "maxi-emendamento" al testo
precedente, riunendo insieme e riformulando tutti gli art. di un progetto di legge.

Se il voto della Camera è favorevole, il testo dell'art. o dell'atto è approvato e tutti gli emendamenti presentati si
intendono respinti, con grande risparmio di tempo e di rischi per la politica dell'Esecutivo, ma svuotando il ruolo
delle Camere, cui spetterebbe il potere di discutere e di decidere il testo delle leggi, anche modificando le
proposte del Gabinetto.

Qui le crisi di governo sono state numerose, ma nessuna è avvenuta a seguito dell'approvazione di una mozione
di sfiducia: solo 2 Governi si sono dimessi in seguito al voto contrario su una questione di fiducia. Negli altri casi
si sono avute crisi extraparlamentari per lo più dovute ad una rottura dell’accordo di coalizione che legava le
diverse forze politiche della > parlamentare.

Per arginare questo fenomeno, i P. della Repubblica hanno cercato di “parlamentarizzare" le crisi, con l’invito al
P. del Consiglio a ritirare le dimissioni, rimanendo in carica fino all'approvazione di un formale voto di sfiducia,
ovvero presentarsi alle Camere, al fine di rendere palesi le ragioni politiche della crisi e di verificare la persistenza
del rapporto fiduciario.
Tuttavia, i Governi non hanno l'obbligo di aderire all'invito del Capo dello Stato e, in molti casi, si sono limitati a
illustrare in Parlamento i motivi che li inducevano a dimettersi senza far seguire a ciò un voto su una questione di
fiducia da essi posta, ma ripresentando subito le proprie dimissioni al Capo dello Stato.

Il Governo dimissionario non cessa automaticamente di operare al momento della presentazione delle dimissioni;
esso rimane in carica per il disbrigo degli affari correnti, fino all'adozione del decreto del P. della R. di accettazione

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delle dimissioni. Il Governo uscente non può + compiere atti che costituiscano attuazione dell'indirizzo politico di
cui era portatore, potendo adottare atti indifferibili e urgenti; i confini dei poteri esercitabili dal Governo
dimissionario sono piuttosto incerti.

7. LA RESPONSABILITA’ MINISTERIALE
I membri del Governo sono investiti di una responsabilità politica, conseguente al rapporto di fiducia con il
Parlamento, e giuridica, in quanto tutti gli organi pubb. sono sogg. al principio di legalità.

La responsabilità politica può essere fatta valere da ciascuna delle Camere nei confronti dell'intero Governo o di
un singolo ministro:
a) attraverso gli strumenti incidenti sul rapporto fiduciario (mozione di sfiducia o rigetto della questione di fiducia);
b) attraverso il voto contrario di una delle Camere su una proposta governativa, per quanto ciò non importi
obbligo di dimissioni;
c) attraverso la critica formulata all'’interno delle Camere circa i comportamenti o le scelte governative e
ministeriali.

La responsabilità giuridica dei membri del Governo: costituisce una specificazione della responsabilità che la Cost.
attribuisce a tutti i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubb. per gli atti compiuti in violazione di diritti
(art. 28 Cost.); ed è ribadita nell'art.95, dove si precisa che il P. del Consiglio e i ministri sono responsabili
collegialmente per gli atti del Consiglio ed individualmente per gli atti dei loro dicasteri.
Il P. del Consiglio e i ministri possono essere chiamati a rispondere in sede civile, amministrativa-contabile e penale
come qualunque altro pubb. funzionario.

Solo la responsabilità penale per i c.d. reati ministeriali è circondata da una particolare cautela ai sensi dell'art. 96
che stabilisce che: «Il P. del Consiglio dei ministri e i ministri, anche se cessati dalla carica, sono sottoposti, per i
reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del Senato della
Rep. o della Camera dei deputati, secondo le norme stabilite con L. costituzionale».
Tale autorizzazione può essere negata dalla Camera competente (che è quella a cui appartiene il ministro o, se
questi non è anche membro del Parlamento, è il Senato) soltanto a > assoluta e sempre che «l'inquisito abbia
agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un
interesse pubblico nell'esercizio della funzione di Governo».
Ove il P. del Consiglio e i ministri commettano un reato al di fuori delle loro funzioni sono sottoposti, come ogni
cittadino, alle L. penali comuni e alla giurisdizione ordinaria senza necessità di autorizzazione.

8. GLI ORGANI AUSILIARI


Vi sono organi ai quali sono attribuite funzioni di ausilio, di carattere consultivo o di controllo o di iniziativa, nei
confronti di altri organi.
3 di essi sono direttamente previsti dalla Cost.:
✓ il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro;
✓ il Consiglio di Stato;
✓ la Corte dei conti.
Essi sono disciplinati nell'ambito del Titolo III della Parte II dedicato al Governo, sebbene svolgano funzioni
ausiliarie anche nei confronti del Parlamento.
Molti altri organi ausiliari sono previsti da L. ordinarie.
Il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (art. 99 e L. 936/1986) è composto da esperti e da rappresentanti
delle categorie produttive.
Secondo la L. i componenti del CNEL sono 64, oltre al Presidente: di essi 10 sono esperti «esponenti della cultura
economica, sociale e giuridica», 6 rappresentano le associazioni di promozione sociale e del volontariato, i restanti
48 sono rappresentanti delle categorie produttive di beni e servizi nel settore pubb. e privato.
Sono nominati dal P. della R., su deliberazione del Consiglio dei ministri, e durano in carica 5 anni.
Attraverso il CNEL, i Costituenti intendevano integrare il circuito della rappresentanza politica con una
rappresentanza di interessi economici e sociali ma la rapida evoluzione dei rapporti economico-sociali rende
difficile ciò. I gruppi socio-economici tendono ad instaurare rapporti diretti con i titolari degli organi cost. → scarso
successo del CNEL e scarsissima incidenza sul processo decisionale politico.

Il Consiglio di Stato (art. 100, 1°C): organo di consulenza giuridico-amministrativa del Governo ed anche organo
giurisdizionale di appello della giustizia amministrativa. Esso si articola in 6 sezioni (2 con funzioni consultive e 4

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con funzioni giurisdizionali). Esistono altresì l'Adunanza generale, composta da tutti i membri del Consiglio e
dotata di compiti consultivi, e l'Adunanza plenaria, formata dal P. del Consiglio di Stato e da 12 magistrati dello
stesso scelti dall'Ufficio di Presidenza, con funzioni giurisdizionali.
Per quanto riguarda la funzione consultiva, il Consiglio di Stato formula pareri obbligatori o facoltativi.
I pareri obbligatori riguardano: a)i regolamenti governativi e ministeriali nonché i testi unici; b) i ricorsi straordinari
al P. della R.; c) gli schemi generali di contratti-tipo, accordi e convenzioni predisposti da 1 o + ministeri.

La Corte dei conti (art. 100, 2°C):


a) esercita il controllo preventivo di legittimità su alcuni atti delle amministrazioni statali nonché il controllo sulla
gestione delle amministrazioni statali, regionali e degli enti locali;
b) esercita il controllo successivo sulla gestione del bilancio dello Stato, che termina nel giudizio di parificazione
del rendiconto consuntivo dello Stato e delle gestioni annesse, con cui la Corte controlla la rispondenza o meno
delle previsioni finanziarie, contenute nel bilancio preventivo dello Stato, con i risultati della gestione finanziaria
esposti nel rendiconto consuntivo. Sugli esiti del controllo, la Corte dei conti riferisce al Parlamento con
un'apposita relazione;
c) partecipa al controllo sulla gestione finanziaria degli enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. Questo
controllo si realizza in vari modi, che vanno dalla presenza di consiglieri della Corte dei conti nei consigli di
amministrazione o nei collegi dei revisori di tali enti, all'obbligo degli enti di far conoscere alla Corte dei conti gli
atti relativi alla gestione finanziaria e di adeguarsi alle direttive che al riguardo sono emanate. La Corte cost. ha
chiarito che il suddetto controllo permane anche nei confronti degli enti pubb. trasformati in società per azioni,
fino a quando lo Stato conserva la partecipazione prevalente nel capitale sociale.

La funzione di controllo è esercitata da apposite sezioni centrali della Corte dei conti.
Le funzioni giurisdizionali – in materia di i) giudizi di responsabilità dei pubb. funzionari per il danno recato alle
amm. pubbliche statali, regionali e locali, i) di giudizi di conto sui rendiconti presentati da coloro che hanno una
funzione di maneggio di denaro, beni o valori di amm. pubbliche, iii) di giudizi sulle pensioni dei dipendenti pubblici
– sono svolte dalle sezioni regionali (una per ogni Regione, con sede nel capoluogo, tranne che nel Trentino-Alto
Adige dove sono state istituite due sezioni, una a Trento e l'altra a Bolzano) e dalle sezioni centrali in funzione di
giudice di appello.

9. LE AUTORITA’ AMMINISTRATIVE INDIPENDENTI


Le autorità amministrative indipendenti sono così chiamate perché caratterizzate da una spiccata autonomia
rispetto al Potere esecutivo. Si tratta di organi, quasi sempre collegiali – i cui titolari sono nominati dalle Camere
o dai loro Presidenti (talora dal P. della R. su proposta del Governo) – che presentano alcune peculiarità rispetto
al tradizionale modo di concepire il ruolo della pubb. amm.

In vari casi sono dotati di ampi poteri di regolazione, vigilanza e controllo in ambiti rilevanti della vita economica,
quali:
✓ il mercato e la concorrenza (l’Autorità garante della concorrenza e del mercato);
✓ le telecomunicazioni (l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni);
✓ i trasporti (l’Autorità di regolazione dei trasporti);
✓ l'energia, i rifiuti e il settore idrico (l'Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente);
✓ il settore assicurativo (l'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni);
✓ il settore bancario e finanziario (la Commissione nazionale per le società e la borsa e la Banca d'Italia).
Altre autorità sono invece preposte alla tutela in via amm. di specifiche libertà o di interessi di natura cost., tra i
quali:
✓ il diritto alla riservatezza (il Garante per la protezione dei dati personali);
✓ il diritto di sciopero (la Commissione di garanzia sullo sciopero nei servizi pubb. essenziali);
✓ la prevenzione della corruzione (l’Autorità nazionale anticorruzione).

Dal punto di vista cost., le attribuzioni di tali autorità pongono alcuni problemi.
Esse godono di una particolare autonomia trovandosi a svolgere il ruolo di regolatori dei diversi settori cui la loro
attività è preordinata → esse sono dotate di ampi poteri di normazione (definitivi "para normativi”) e di poteri
sanzionatori.
Il problema è che l'esercizio di questi poteri normativi rischia di mettere in discussione il principio di legalità.
Per questa ragione, in giurisprudenza è stata elaborata un'accezione speciale del principio di legalità.

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Queste autorità esercitano legittimamente i propri poteri normativi se ed in quanto sia garantito un «principio di
legalità procedimentale», da intendersi nel senso del necessario rafforzamento delle «forme di partecipazione»
dei sogg. interessati al procedimento di formazione dell'atto para-normativo.
Se ciò può ridurre l'entità del problema, resta il fatto che si consente ad un'autorità priva di legittimazione
democratica di regolare, in assenza di un fondamento legislativo sostanziale, settori delicati, limitando anche le
libertà di alcuni sogg.
I destinatari dei provvedimenti delle autorità indipendenti conservano la possibilità di ricorrere al giudice
amministrativo qualora ritengano che esse abbiano violato i loro diritti o interessi legittimi.

PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA


1. RUOLO DEL CAPO DELLO STATO
Il Capo dello Stato, nelle forme di governo parlamentari, ha assunto nel tempo e nei diversi Paesi caratteristiche
differenti: da organo partecipe dell'indirizzo politico a organo di garanzia costituzionale, fino a mero simbolo
dell'unità nazionale.

Nei regimi parlamentari monisti, dove le funzioni di governo appartengono al raccordo fra Gabinetto e
Parlamento, il Re o il P. te della R. esercitano un ruolo di garanzia costituzionale. In tale ruolo di garanzia rientra
anche lo svolgimento di attività volte ad assicurare un corretto funzionamento della forma di governo
parlamentare, per sua natura soggetta ad instabilità.
Ciò ha spinto una parte della dottrina a teorizzare per il Capo dello Stato «la possibilità di elevarsi in periodi di crisi
a reggitore dello Stato» → nelle ipotesi in cui i rimedi contro le crisi canonizzati in testi cost. non possano trovare
attuazione spetta al Capo dello Stato sostituirsi al Parlamento.

2. ELEZIONE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA


L'Assemblea Costituente ha delineato negli artt. 83 e ss. una figura di P. della R. ricalcata su quella del Re nella
fase parlamentare dell'ordinamento statutario, lasciando aperti margini di ambiguità sul ruolo.
Per quanto riguarda la sua elezione è stata esclusa la scelta a suffragio universale del Capo dello Stato perché
avrebbe dotato l'organo di un'elevata legittimazione a determinare l'indirizzo politico del Paese, e annunciatore
di probabili contrasti con Governo e Parlamento.

Il Presidente è eletto, per 7 anni, dal Parlamento in seduta comune integrato da delegati regionali (3 per ogni
Regione, salvo che per la Valle d'Aosta che ne esprime uno solo, in ragione della ridotta popolazione), scelti dai
rispettivi Consigli regionali in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze.
L'elezione ha luogo a scrutinio segreto, senza presentazione di candidature e senza preventivo dibattito, e richiede
la > qualificata: la > dei 2/3 dell'assemblea nei primi 3 scrutini; la > assoluta a partire dal 4° scrutinio.

Le particolari modalità di elezione sono volte a conferire al titolare della carica uno status di neutralità politica ed
un'attitudine a rappresentare l'intero Paese. Infatti:
a) la presenza dei delegati regionali serve a manifestare che il Presidente rappresenta la Nazione anche nelle sue
articolazioni territoriali;
b) lo scrutinio segreto serve a garantire libertà di voto agli elettori presidenziali rispetto alle direttive di partito o
alle pressioni popolari;
c) la > qualificata serve a imporre una convergenza trasversale sulla personalità da eleggere;
d) la durata del mandato fissata in 7 anni serve a scollegare l'elezione del P. della R. dalla durata quinquennale
delle Camere e, quindi, dalla > politica che sostiene il Governo;
e) a ciò si aggiungono, dopo l'elezione, l'incompatibilità dell'ufficio di P. della R. con qualsiasi altra carica,
all'evidente scopo di evitare possibili conflitti di interesse, e la previsione di un adeguato assegno personale e di
una dotazione strumentale per l'assolvimento delle funzioni al fine di rendere l'organo e il suo titolare
indipendenti.

Di questi meccanismi il + importante è costituito dalla previsione della > assoluta.


La Cost. rinuncia, dopo 3 scrutini, alla > dei 2/3 dei componenti l'assemblea, per consentire l'elezione nonostante
un eventuale insanabile disaccordo tra i membri del collegio e tra le forze politiche.
Nella prassi la > assoluta ha reso finora impossibile ai leader politici “pilotare" l'elezione di personalità considerate
troppo di parte.

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In teoria, può essere eletto P. della R. ogni cittadino che abbia compiuto 50 anni di età e goda dei diritti civili e
politici. Di fatto la scelta è finora ricaduta su personalità del mondo politico o istituzionale che avessero già
dimostrato l'attitudine a rivestire quest’incarico (Enrico De Nicola; Luigi Einaudi; Giovanni Gronchi; Antonio Segni;
Giuseppe Saragat; Giovanni Leone; Sandro Pertini; Francesco Cossiga; Oscar Luigi Scalfaro; Carlo Azeglio Ciampi;
Giorgio Napolitano; Sergio Mattarella).

30g prima della scadenza naturale del settennato presidenziale, il P. della Camera dei deputati convoca in seduta
comune i membri delle 2 Camere e i delegati regionali per procedere ad eleggere il nuovo Capo dello Stato.
Se le Camere sono sciolte, o manca meno di 3 mesi alla loro cessazione, l'elezione del P. della R. è procrastinata
ed ha luogo entro 15g dalla riunione delle nuove Camere, allo scopo di evitare l'inopportuna concomitanza delle
elezioni politiche con quella presidenziale e di far scegliere il nuovo Capo dello Stato a un Parlamento rinnovato
e non esaurito nella sua legittimazione politica. In tal caso sono prorogati i poteri del Presidente in carica
(prorogatio).
Negli altri casi, se al momento della scadenza del mandato presidenziale non è ancora stato eletto il nuovo Capo
dello Stato subentra temporaneamente il P. del Senato in qualità di supplente del P. della Repubblica.

Prima di assumere le sue funzioni, il P. della Repubblica presta giuramento di fedeltà alla Rep. e di osservanza
della Cost. dinanzi al Parlamento in seduta comune (non più integrato dai delegati regionali) e in quella occasione
pronuncia un discorso di insediamento.
Oltre che per naturale scadenza del settennato, il P. della R. cessa dalla carica per: dimissioni volontarie, morte,
impedimento permanente, destituzione pronunciata dalla Corte cost. a seguito di condanna penale, decadenza
conseguente al venir meno dei requisiti di eleggibilità.
In questi casi, il P. della Camera dei deputati indice l'elezione del nuovo P. della R. entro 15g (salvo il maggior
termine previsto se le Camere sono sciolte o manca meno di 3 mesi alla loro cessazione).
La Cost. non vieta l'immediata rielezione della stessa persona, anche se è sconsigliato.
Tale eventualità si è finora verificata 1 sola volta nei confronti di Giorgio Napolitano, che si e poi dimesso dopo
meno di 2 anni dalla sua rielezione.

A conclusione del mandato presidenziale, l'ex P. della R. acquisisce lo status di «senatore di diritto e a vita», salvo
rinunzia (art. 59 Cost.).

3. L’IMPEDIMENTO E LA SUPPLENZA
Le funzioni del P. della R., in ogni caso in cui egli non possa adempierle, sono esercitate dal P. del Senato (art. 86).
La supplenza è volta a garantire la continuità dell'organo.

L'accertamento della natura dell'impedimento è rilevante e problematico perché, in un caso, si dà luogo alla sola
supplenza in attesa della cessazione dell'impedimento, mentre, nell'altro, insieme alla supplenza si dovrà avviare
il procedimento per l'elezione del nuovo P. della R. I dubbi riguardano:
-la nozione di impedimento permanente (malattia di cui non sia possibile prognosticare i tempi di guarigione);
-il soggetto chiamato ad accertarlo. Sono coinvolti diversi organi cost.: dal P. del Senato (chiamato a svolgere il
ruolo di supplente) al P. della Camera (competente a indire l'elezione del nuovo P. della R.); al Governo
(interessato in ragione dei necessari rapporti che intrattiene con il Capo dello Stato); alle Camere nel loro
complesso (competenti, in seduta comune (e con i delegati regionali), a scegliere il nuovo Capo dello Stato).

La supplenza del P. del Senato opera di diritto per il solo fatto dell'impedimento.
Lo stesso può dirsi del Governo, che può vedere soddisfatte le proprie esigenze con l'attivazione automatica della
supplenza.
Invece, è il P. della Camera a ricoprire un ruolo fondamentale, perché «indice la elezione» (art. 86 Cost.), pare che
egli debba procedere alla convocazione del collegio perché le elezioni sono un atto dovuto, e che debba indirle o
meno.
Evidenti ragioni di opportunità suggeriscono al P. della Camera di acquisire il previo consenso informale del Capo
dello Stato supplente e del Governo. D’altro canto, un eventuale cattivo uso del potere del P. della Camera di
indizione delle elezioni presidenziali verrebbe censurato, contestando la sussistenza dei necessari presupposti.

4. LE FUNZIONI PRESIDENZIALI E LA CONTROFIRMA MINISTERIALE


La Cost. ha disegnato un modello "aperto" di Capo dello Stato. Da un lato egli è investito di funzioni che fanno
pensare a un organo dotato di rilevanti poteri decisionali, dall'altro lato, la previsione della sua irresponsabilità

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giuridica e della necessità della controfirma ministeriale per ogni suo atto indurrebbe a ritenerlo privo di poteri
deliberativi sostanziali.

a) Nei confronti del Potere legislativo, il P. della R.: può nominare fino a 5 senatori a vita (art. 59); indice le elezioni
delle nuove Camere e ne fissa la prima riunione (art. 87); può convocare le Camere in via straordinaria (art. 62);
può inviare messaggi alle Camere (art. 87); può sciogliere anticipatamente le Camere od anche una sola di (art.
88); promulga le leggi (art. 87); può rinviare le leggi alle Camere, con messaggio motivato, per una nuova
deliberazione (art. 74); indice i referendum (art. 87).

b) Nei confronti del Potere esecutivo: nomina il P. del Consiglio e, su proposta di questo, i ministri (art. 92);
autorizza il Governo a presentare i disegni di legge alle Camere (art. 87); emana i decreti aventi forza di legge ed
i regolamenti (art. 87); nomina, nei casi indicati dalla L. i funzionari dello Stato (art. 87); accredita i rappresentanti
diplomatici italiani e riceve l'accredito di quelli esteri (art. 87); ratifica i trattati internazionali, previa (quando
occorra) l'autorizzazione delle Camere (art. 87); ha il comando delle forze armate, presiede il Consiglio supremo
di difesa e dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere (art. 87); conferisce le onorificenze della Rep. (art.
87).

c) Nei confronti del Potere giudiziario: presiede il CSM (art. 104); può concedere la grazia e commutare le pene
(art. 87).

d) Nei confronti della Corte costituzionale: nomina 5 giudici della stessa (art. 135).

e) Nei confronti delle Regioni: può sciogliere i Consigli regionali e rimuovere i P. della Giunte (art. 126).

La Cost. (all'art. 90) lo qualifica come sogg. giuridicamente irresponsabile per gli atti compiuti nell'esercizio delle
sue funzioni – tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione - dando l'impressione di voler
configurare per il Capo dello Stato un ruolo formale, dato che in uno Stato di diritto chi esercita il potere è
chiamato a rispondere dei propri atti.
Inoltre sottopone la validità degli atti del Capo dello Stato alla necessaria controfirma ministeriale (art. 89).

L'art. 89 non si accontenta di condizionare la validità degli atti presidenziali alla controfirma ministeriale, ma
richiede che la controfirma provenga «dai ministri proponenti», il che sembrerebbe alludere all’inesistenza di atti
presidenziali che non siano proposti da ministri.
In questo senso, il principio secondo cui gli atti presidenziali muovono necessariamente da una proposta
ministeriale, può e deve essere derogato quando sussistano adeguate ragioni.

5. GLI ATTI DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA


Gli atti del P. della R. sono qualificabili come "atti complessi", perché derivano dalla fusione di 2 volontà distinte
(quella del P. della R. e quella di un ministro), le quali raramente sono poste sullo stesso piano (atti complessi
eguali), ma prevalgono spesso l'una sull'altra (atti complessi diseguali).
Di regola, è la volontà del Governo (atti sostanzialmente governativi), ma in vari casi è quella del P. della R. (atti
sostanzialmente presidenziali).
Per tali atti, il coautore si limiterà a esercitare un controllo di legittimità dell'atto, con l'emanazione (se è il
Presidente) o con la controfirma (se è il ministro).
Per quanto riguarda gli atti complessi eguali ciascuno dei due autori deve volere e, insieme, controllare la
legittimità dell'atto.
Resta ferma la responsabilità giuridica dell'atto in capo solo al ministro controfirmante.

5.1. GLI ATTI SOSTANZIALMENTE PRESIDENZIALI


I provvedimenti espressione di una funzione di garanzia e quelli estranei a valutazioni di natura politico-
amministrativa appartengono alla categoria degli atti presidenziali: la nomina di (al max.) 5 senatori a vita e di 5
giudici cost., la promulgazione e il rinvio delle leggi, i messaggi alle Camere, la concessione della grazia, l'indizione
delle elezioni delle Camere e la fissazione della 1° riunione e delle riunioni straordinarie delle stesse.

a) La nomina di 5 senatori a vita è espressamente prevista dalla Cost. sulla base di una valutazione estranea
all'indirizzo politico: «Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita 5 cittadini che hanno illustrato
la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario» (art. 59 Cost.).

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Qui la controfirma ministeriale sembrerebbe priva di una reale funzione dato che ciascuna Camera giudica dei
titoli di ammissione dei propri componenti (art. 66 Cost.), salvo che si ritenga possibile operare, da parte del
controfirmante, un controllo di legittimità per vizi di natura diversa da quelli riservati alla competenza del Senato.

b) La nomina di 5 giudici costituzionali va ritenuta presidenziale, perché altrimenti si romperebbe l'equilibrio


voluto dall'art. 135 Cost., secondo cui «la Corte cost. è composta di 15 giudici nominati per 1/3 dal P. della R., per
1/3 dal Parlamento in seduta comune e per 1/3 dalle supreme magistrature ordinaria e amministrative».
Se i giudici di nomina presidenziale fossero scelti dal Governo, la componente della Corte cost. scelta dagli organi
politici raggiungerebbe la quota dei 2/3. Anche in questo caso è lecito dubitare dell'utilità della controfirma
ministeriale, in quanto «è competenza della Corte costituzionale accertare l'esistenza dei requisiti soggettivi di
ammissione dei propri componenti».

c) La promulgazione delle leggi adempie alla funzione di certificare ed esternare la volontà legislativa del
Parlamento e di realizzare un preventivo controllo di legittimità cost. dell'atto normativo. C’è la possibilità per il
Capo dello Stato di operare un rinvio alle Camere della delibera legislativa + messaggio motivato che illustra i
dubbi di legittimità cost. di grave inopportunità (art. 74 Cost.). Ma, se successivamente al rinvio presidenziale le
Camere riapprovano il progetto di legge nell'identico testo, il P. della R. è tenuto a promulgarlo. Nel solo caso
limite di grave e manifesta contrarietà alla Carta cost., il Capo dello Stato potrebbe sollevare un conflitto di
attribuzione fra Poteri dello Stato davanti alla Corte cost. (art. 134 Cost.), denunciando il cattivo uso del potere
legislativo da parte delle Camere e rifiutando la seconda promulgazione.

d) La Costituzione, oltre al messaggio motivato che accompagna il rinvio delle leggi, prevede un generico potere
di inviare messaggi alle Camere (art. 87), con il quale il P. della R. può sollecitare il Parlamento a prendere in esame
questioni di interesse generale. La controfirma ministeriale non esprime partecipazione del Governo.

e) Nella prassi si è affiancato anche il messaggio-discorso alle Camere che il neoeletto P. della R. pronuncia in
occasione del giuramento davanti alle Camere riunite. Questo messaggio si distingue dai 2 precedenti per la
circostanza di non essere né scritto né inviato alle Camere, ma di essere pronunciato direttamente ed è, quindi,
sottratto al regime della controfirma ministeriale.

f) Maggiori problemi hanno posto le esternazioni presidenziali, ossia i mezzi alternativi di manifestazione del
pensiero (art.21) rispetto ai messaggi tipizzati dalla Cost.: interviste, comunicati stampa, discorsi pubblici,
messaggi orali alla Nazione, lettere ufficiali al P. del Consiglio o ad altri organi (privi di controfirma).
C'è chi ritiene che il P. della R. incontri, in ragione del proprio ufficio, limiti nell'esercizio di questo diritto, perché
le sue esternazioni possono avere riflessi politici mentre egli non è organo di indirizzo politico. C'è chi considera
necessario che il Capo dello Stato informi preventivamente il Governo delle esternazioni che intende fare e ne
ottenga l'assenso o il nulla osta.
Nella prassi, il P. della R. tende ad informare preventivamente il premier solo nei casi più rilevanti, senza
comunque richiederne alcun assenso. D'altra parte, sul piano teorico la Cost. sottopone alla controfirma
ministeriale solo i messaggi tipici che, essendo direttamente rivolti alle Camere, sono suscettibili di far nascere un
dibattito con possibili risvolti sui contenuti o sulla tenuta del rapporto fiduciario con il Governo.
Inoltre, proprio la posizione di rappresentante super partes della Nazione, rivestita dal Capo dello Stato nella
nostra forma di governo, sembra giustificare un suo intervento per sollecitare un dibattito pubblico circa questioni
di interesse nazionale.

g) Appartengono alla categoria degli atti sostanzialmente presidenziali anche la concessione della grazia e la
commutazione delle pene (provvedimenti che cancellano o modificano una sanzione penale nei confronti di una
singola persona), perché l'atto di clemenza risponde a finalità di carattere umanitario e perché il principio di
separazione dei poteri esclude che organi appartenenti all'Esecutivo possano assumere provvedimenti incidenti
sull'efficacia del giudicato penale (come ha precisato la Corte costituzionale nella s. 200 del 2006).

h) Con riguardo alla indizione delle elezioni delle Camere e alla fissazione della prima riunione delle stesse, la L.,
disponendo che «i comizi elettorali sono convocati con decreto del P. della R., su deliberazione del Consiglio dei
ministri» lascia intendere che l'atto sia sostanzialmente governativo.
L’esigenza di garantire in modo imparziale il principio di continuità delle Camere (Art. 61 → «le elezioni delle
nuove Camere hanno luogo entro 70g dalla fine delle precedenti. La prima riunione ha luogo non oltre il 21° dalle
elezioni») potrebbe portare a ritenere che si tratti, invece, di un potere sostanzialmente presidenziale.

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i) si ritiene sostanzialmente presidenziale l'atto di convocazione straordinaria delle Camere (finora mai adottato
dal Capo dello Stato) anche perché, in questo Governo può già ottenere la convocazione straordinaria delle
assemblee parlamentari attraverso la maggioranza che lo appoggia (sufficiente la richiesta di 1/3 dei membri di
una di esse).

5.2. GLI ATTI SOSTANZIALMENTE GOVERNATIVI


Appartengono alla categoria degli atti formalmente presidenziali ma sostanzialmente governativi gli atti
espressione di un indirizzo politico-amministrativo, al quale il P. della R. non può partecipare, in quanto estraneo
all'esercizio di questa funzione, se non facendo valere motivi di legittimità cost.
I provvedimenti che rientranti in questa categoria: l'emanazione degli atti normativi deliberati dal Governo, tanto
primari (decreti-legge e decreti legislativi) quanto secondari (regolamenti governativi), l'autorizzazione alla
presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa governativa, la nomina degli alti funzionari dello Stato.
Tra i casi di controllo cost. operato dal P. della R. in sede di emanazione di un atto normativo del Governo abbiamo
il rifiuto opposto nel 2009 dal P. Napolitano all’emanazione di un decreto-legge, deliberato dal Governo
Berlusconi, volto a impedire l'interruzione dell'alimentazione artificiale nei confronti di una persona in stato
vegetativo permanente.

5.3. GLI ATTI COMPLESSI EGUALI


La categoria degli atti complessi eguali è la meno ampia e la + problematica nell'individuazione dei provvedimenti
che vi sono inclusi. In questa categoria sembrano rientrare: a) la nomina del P. del Consiglio (e, solo per taluni
aspetti, quella dei ministri); b) lo scioglimento anticipato delle Camere; c) lo scioglimento di un Consiglio regionale
e la rimozione del P. della Giunta.
Con riguardo alla soluzione della crisi di governo il P. della R. dispone di 2 strumenti tra loro alternativi: procedere
alla nomina di un nuovo Governo (ex art. 92 Cost.) oppure allo scioglimento anticipato delle Camere, previa
consultazione (almeno) dei Presidenti delle stesse (ex art. 88 Cost.).

Se sussiste o si forma in entrambe le Camere una maggioranza politica capace di indicare un nominativo per la
carica di P. del Consiglio, al Capo dello Stato non resta che operare la nomina di quel soggetto (e dei ministri da
lui proposti), che dovranno poi ottenete la fiducia del Parlamento.
La nomina del P. del Consiglio è un atto complesso eguale, per la necessaria accettazione della nomina (e, prima,
verbalmente dell'incarico) da parte dell'interessato.

È più problematico definire l'influenza che il Capo dello Stato può esercitare riguardo alla nomina dei ministri.
L'art. 92 Cost, chiarisce che il P. della R. nomina i ministri «su proposta» del P. del Consiglio: non è da escludere
che il Capo dello Stato possa manifestare in via informale i suoi dubbi riguardo specifiche nomine, ma le possibilità
di successo del Quirinale saranno inversamente proporzionali al peso politico vantato dal neo-Presidente del
Consiglio.

Quando la crisi di governo provoca la rottura di una maggioranza di coalizione, tende ad espandersi lo spazio
decisionale a disposizione del P. della R. nella ricerca di una nuova maggioranza capace di sostenere un nuovo
Governo: una ricerca necessaria, poiché la Cost. non prevede alcun automatismo che conduca allo scioglimento
anticipato delle Camere, né impone necessariamente nuove elezioni in caso di crisi di governo.
Dovendo il nuovo Gabinetto ottenere la fiducia delle Camere, la discrezionalità del P. della R. riguarderà i tempi e
i modi per arrivare alla formazione di una maggioranza, ma non può che arrestarsi di fronte alla persistente
incapacità dei partiti politici e dei parlamentari di allearsi fra loro. In quest'ultima ipotesi il Capo dello Stato non
potrà che procedere allo scioglimento anticipato delle Camere: uno scioglimento funzionale o un sostanziale
"autoscioglimento", perché determinato dalla incapacità delle Camere di formare una nuova maggioranza.
In tale situazione risulta sostanzialmente ininfluente la volontà del Governo dimissionario.

A sostenere la natura sostanzialmente presidenziale dello scioglimento anticipato vi è anche la previsione del c.d.
"semestre bianco", secondo cui il P. della R. non può sciogliere anticipatamente le Camere negli ultimi 6 mesi del
suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi 6 mesi della legislatura.
Il divieto sembrerebbe volto a evitare che il P. della R. sciolga le Camere al solo fine di caldeggiare la formazione
di un nuovo Parlamento favorevole a una sua possibile rielezione.
Se l'atto fosse sostanzialmente governativo oppure complesso eguale, nemmeno si porrebbe il problema che
"semestre bianco" intende risolvere.

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Invece, è improbabile che, in assenza di una crisi di governo, il P. della R. possa procedere allo scioglimento
anticipato delle Camere senza la proposta o almeno l'assenso del Governo. In tale eventualità, risulta più corretto
configurare lo scioglimento anticipato delle Camere in termini di atto complesso eguale, esercitato in presenza di
un Gabinetto ancora politicamente legittimato: il caso + probabile può riguardare una crisi di funzionamento delle
Camere, che le renda incapaci tanto di sostenere adeguatamente il Governo in carica quanto di sfiduciarlo, oppure
una crisi di rappresentatività delle Camere comprovata da un esito referendario abrogativo di una legge
importante oppure dall'esito di segno politico diverso di rilevanti elezioni amministrative.

Quanto allo scioglimento di un Consiglio regionale e alla rimozione del P. della Giunta, l'art. 126 Cost. prevede che
sia disposto con decreto motivato del P. della R., quando tali organi abbiano compiuto «atti contrari alla Cost. o
gravi violazioni di L.» ovvero «per ragioni di sicurezza nazionale», sentita Commissione parlamentare bicamerale
per le questioni regionali, «previa deliberazione del Consiglio dei ministri».

5.4. GLI ATTI ESENTI DA CONTROFIRMA


Tutti questi atti sono adottati dal Capo dello Stato nell'esercizio delle sue funzioni e sono sempre soggetti a
controfirma ministeriale ai fini della loro validità giuridica.
Esenti da controfirma sono ritenuti, invece, tutti gli atti personali che il P. della R. compie come persona fisica e
non come titolare dell'organo.
Alcuni di questi hanno rilevanza anche in relazione all'esercizio delle sue funzioni: le dimissioni e le dichiarazioni
di impedimento. Riguardo ad esse la controfirma ministeriale potrebbe svolgere una funzione certificativa e di
garanzia dell'effettiva provenienza dell'atto da una libera determinazione del Capo dello Stato e potrebbe altresì
consentire di verificare la sussistenza dei presupposti oggettivi.
La controfirma è stata esclusa perché potrebbe condizionare la decisione di rinunciare all'incarico,
sottoponendola ad un'eventuale interferenza da parte del controfirmante.

Vi sono, infine, altri atti esenti da controfirma, che il Capo dello Stato adotta nell'esercizio delle sue funzioni ma
che si ritiene siano esentati in virtù del concorrere di particolari e preminenti ragioni.
È il caso dei regolamenti presidenziali che, avendo a oggetto l'organizzazione e il personale degli uffici della
Presidenza della Rep., si ritiene debbano essere esenti da controfirma ministeriale per preservare la piena
autonomia dell'organo costituzionale P. della R.

Vi sono, poi, gli atti che il Capo dello Stato adotta come P. di organi collegiali, il CSM e il Consiglio supremo di
difesa (CSD), cariche che ricopre di diritto. La presidenza di questi organi è considerata come ufficio distinto e non
confuso con quello di P. della R.
Inoltre, almeno con riguardo alla presidenza del CSM, vi è anche l'argomento che si garantisce meglio
l'indipendenza della magistratura dal Potere esecutivo sottraendo alla controfirma ministeriale gli atti di
costituzione e funzionamento del Consiglio superiore.
Diversamente, con riguardo ai provvedimenti assunti dal CSM nei confronti dei magistrati, sono «adottati, in
conformità delle deliberazioni del Consiglio superiore, con decreto del Presidente della Repubblica controfirmato
dal ministro; ovvero, nei casi stabiliti dalla legge, con decreto del Ministro della giustizia».

6. L’IRRESPONSABILITA’ E LA MESSA IN STATO D’ACCUSA


L'art. 90 della Cost. circoscrive l'irresponsabilità del Capo dello Stato alla sussistenza di un nesso funzionale tra la
condotta posta in essere e l'esercizio dei suoi poteri. Sussistendo tale nesso, opera l'irresponsabilità sul piano
civile, amministrativo e penale, con le sole 2 eccezioni dell'alto tradimento e dell'attentato alla Cost.

Al di fuori dell'esercizio delle sue funzioni, il P. della R. è del tutto responsabile come qualunque altro cittadino.
Il nesso funzionale rappresenta un punto di equilibrio tra l'esigenza di garantire il libero svolgimento delle funzioni
presidenziali e il rispetto del fondamentale principio che presiede allo Stato di diritto, secondo cui ogni fatto deve
avere un giudice chiamato a sindacarne la legittimità (principio di giustiziabilità).

La Corte cost. ha condiviso un precedente orientamento della Corte di Cassazione, secondo cui «l'immunità del
P. della R. riguarda solo gli atti che costituiscono esercizio delle funzioni presidenziali e le dichiarazioni strumentali
o accessorie rispetto a tale esercizio», mentre l'accertamento della sussistenza o meno del nesso funzionale
spetta all'autorità giudiziaria ordinaria investita della controversia sulla responsabilità del P. della R.

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Per gli atti commessi al di fuori dell'esercizio delle sue funzioni, la sottoponibilità a giudizio del P. della R. pone il
problema della eventuale sospensione del processo fino alla conclusione del mandato presidenziale.
L'opportunità di una sospensione è da molti sostenuta con riguardo al processo penale, per il timore che un’azione
penale possa pregiudicare la credibilità e l'imparzialità dell'esercizio delle funzioni presidenziali.
La sospensione era stata prevista da 2 leggi ordinarie (2003 e 2008) che però sono state entrambe dichiarate
incostituzionali, tra l'altro perché una tale limitazione al principio di giustiziabilità può essere affermata solo con
legge cost.

Quanto alle 2 deroghe poste al principio di irresponsabilità presidenziale per gli atti compiuti nell'esercizio delle
funzioni, costituiscono veri e propri reati, perché: «Per i reati di attentato alla Cost. e di alto tradimento commessi
dal P. della R. la Corte cost., nel pronunciare sentenza di condanna, determina le sanzioni penali nei limiti del max.
di pena previsto dalle leggi vigenti al momento del fatto, nonché le sanzioni cost., amministrative e civili adeguate
al fatto».
Su queste 2 figure di reati presidenziali vi sono molte incertezze, dovute anche alla assenza di pronunce della
Corte cost. L'aspetto + problematico consiste nell’esatta definizione delle 2 fattispecie penali, in quanto alcune
figure di reato contenute nel cod. penale comune e nel cod. penale militare, non si ritengono, dai più, riferibili
anche al P. della R.
È dominante la tesi che i 2 reati presidenziali previsti dall'art. 90 Cost. sarebbero reati propri, cioè figure autonome
di reato imputabili esclusivamente al Capo dello Stato. Ma, dato che queste figure autonome di reato non sono
state meglio definite dal legislatore, l'indeterminatezza delle relative fattispecie contrasterebbe apertamente con
il principio di stretta legalità delle pene, affermato dall'art. 25, secondo cui la fattispecie penale deve essere
determinata con precisione dalla legge e applicata in modo tassativo dal giudice.

Il particolare procedimento di messa in stato d'accusa e la scelta della Corte cost. come organo competente a
giudicare i reati presidenziali sarebbero garanzie sufficienti a compensare il deficit di determinatezza delle 2
fattispecie penali.

MAGISTRATURA
1. LE CARATTERISTICHE DELL’ATTIVITA’ GIURISDIZIONALE
Fine della Rep. italiana: consentire il «pieno sviluppo della persona umana».
Per conseguire questo fine i Poteri dello Stato devono essere separati e a quello giudiziario deve essere garantita
piena indipendenza dall'Esecutivo e dal Legislativo. L'idea dell'attribuzione della funzione giurisdizionale a un
complesso di organi separati e indipendenti da quelli titolari delle altre funzioni fondamentali della Stato è stata
teorizzata da Charles de Montesquieu già nel 700.
In Gran Bretagna si consolidava l'indipendenza dei giudici dal potere del Sovrano (e poi del Governo), nell'Europa
continentale si affermava il principio che quella del giudice è una professione, che si esercita nel quadro di una
carriera pubblica ed è affidata a magistrati, cioè a funzionari che esercitano in modo continuativo la funzione
giurisdizionale dello Stato.

Nel periodo della rivoluzione francese, vennero introdotti il Tribunale di Cassazione – con il compito di giudicare
la corretta applicazione ai fatti delle norme giuridiche, per garantire il rispetto della volontà del legislatore - e
l’istituto del réferé legislatif, in base al quale vi era l'obbligo per i giudici di rivolgersi al corpo legislativo «ogni
qualvolta ritenessero necessario interpretare una legge» oscura (istituto poi abolito). Ai nostri tempi il giudice non
è più considerato una mera "bocca della legge", ma nelle sue decisioni si ravvisa il risultato di un'operazione
intellettuale + complessa e sofisticata, nella quale si inseriscono scelte e valutazioni autonome.

È diffusa l'idea che anche la giurisdizione sia una funzione almeno parzialmente produttiva di diritto e non
integralmente vincolata. Esigenza: + stretto collegamento con il popolo e una > indipendenza dagli altri Poteri.

2. L’INDIPENDENZA DELLA MAGISTRATURA E IL GIUDICE NATURALE


Il sistema giudiziario italiano antecedente alla Cost. del 1948 derivava dal modello napoleonico. La carriera dei
giudici dipendeva dal Governo, che attraverso il Ministro della Giustizia curava la loro assunzione, gestiva i loro
sviluppi professionali, esercitava la potestà disciplinare nei loro confronti, vigilando sull'applicazione giudiziale
della legge.
La Cost. del 1948 invece dedica l'intero Titolo IV della Parte II (artt. 101-113) all'organizzazione del Potere
giudiziario e all'enunciazione di alcuni principi sullo svolgimento della funzione giurisdizionale. In apertura il Titolo
IV afferma che «la giustizia è amministrata in nome del popolo».

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Il collegamento tra giudici e popolo e tra funzione giurisdizionale e funzione legislativa è mutato portando a
riconoscere > discrezionalità nell'interpretazione della legge prodotta dai rappresentanti del popolo in un
ordinamento giuridico complesso e pluralistico tanto nella tipologia delle fonti normative quanto nelle tecniche
di produzione normativa.
Subito dopo aver stabilito che «la giustizia è amministrata in nome del popolo», la Cost. italiana proclama
l'indipendenza del singolo giudice e dell'ordine giudiziario nel suo complesso. Un'indipendenza che discende dal
principio di separazione dei poteri.

Il principio della soggezione dei giudici alla legge oltre a garantire l'indipendenza del Potere giudiziario,
rappresenta il titolo su cui si fonda la legittimazione di quest'ultimo. Infatti, sebbene il giudice non sia eletto, né
sia un soggetto politicamente responsabile, la soggezione alla legge lo rende subordinato alla volontà popolare.
La magistratura gode di indipendenza interna e di indipendenza esterna, nei rapporti con gli altri Poteri dello
Stato.

a) Sul versante dei rapporti interni, l'indipendenza si traduce nella stabilità a cui non si può derogare se non in
seguito a decisione del CSM (art. 107 Cost.). In pratica: un magistrato può essere trasferito contro la sua volontà
soltanto quando abbia commesso un illecito disciplinare oppure quando versi in una situazione di incompatibilità
personale, funzionale o ambientale. La regola è oggi estesa ai magistrati preposti agli uffici del pubb. Ministerio
anche se non necessariamente in modo uniforme rispetto ai giudici. Diversamente dagli uffici giudicanti, in quelli
requirenti il capo dell'ufficio può assegnare o revocare le indagini e gli altri affari ai suoi sostituti con motivazione,
come può fornire loro direttive da osservare nello svolgimento delle funzioni.
2° profilo dell'indipendenza interna riguarda il divieto di distinzione dei magistrati, che possono essere
differenziati soltanto in base alle funzioni esercitate, ma non sottoposti a forme di gerarchia all'interno della
magistratura. Secondo la giurisprudenza cost., assenza di gerarchie significa inesistenza di giudici superiori che
possano vincolare i giudici inferiori in merito alla decisione da assumere od al modo di giudicare, o che comunque
interferiscano nello svolgimento delle funzioni.
Cosa diversa dalle gerarchie interne sono i gradi di giudizio (i due gradi di merito e il grado di legittimità).
Nell'ambito di ciascun grado ogni organo giudiziario decide in modo totalmente indipendente (e la sentenza che
emette ha la stessa efficacia di tutte le altre), ma la decisione assunta, se impugnata, può essere riformata o
annullata in una successiva fase di giudizio.
Completano l'indipendenza dei magistrati le previsioni cost. relative all'accesso alla magistratura (che deve
avvenire, salvo eccezioni, per concorso pubblico: art. 106), alla disponibilità della polizia giudiziaria (art. 109), alla
previsione di eventuali limitazioni al diritto di iscriversi a partiti politici (art. 98).

b) Sul versante esterno, l'indipendenza rispetto ad ogni altro Potere configura la magistratura non solo come un
ordine (=organizzazione complessa) ma anche come un Potere dello Stato, un Potere "diffuso" (=non accentrato
in un vertice) che manifesta tale indipendenza nei confronti del Governo, ma anche nei riguardi del Parlamento e
di ogni altro Potere.
La magistratura è un ordine da un punto di vista burocratico-organizzativo, e non un Potere dello Stato in senso
stretto. Dal punto di vista delle funzioni che esercita può considerarsi un Potere, dato che ci si è ormai discostati
dalla configurazione tradizionale secondo cui gli organi investiti della funzione giurisdizionale darebbero vita ad
un’istituzione autonoma e indipendente. Al contrario, il Potere giudiziario, essendo diffuso, è rappresentato da
qualsiasi organo giurisdizionale (ed anche da ogni ufficio del pubb. ministero), e non dalla magistratura nel suo
complesso. La Corte cost. ha dichiarato che «i singoli organi giurisdizionali, esplicando le loro funzioni in situazione
di piena indipendenza, costituzionalmente garantita», sono legittimati a sollevare conflitti di attribuzione,
configurandosi come organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del Potere dello Stato a cui
appartengono: le loro sentenze, se non impugnate, appaiono come la manifestazione definitiva del Potere
giurisdizionale e si sottraggono ad ogni sindacato anche da parte di altri organi giudiziari.
Ai sensi dell'art. 25 Cost., «nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge».
La Corte cost. ha esteso la garanzia della "naturalità" ricomprendendovi il momento di istituzione del giudice ma
anche quello dell'individuazione della sua competenza, sancendo che le cause devono essere affidate ai diversi
organi giudiziari (ed ai magistrati a loro addetti) con meccanismi automatici tali da escludere una definizione a
carattere facoltativo. I concetti di "precostituzione" e di "naturalità" sono interpretati con flessibilità, ove debba
essere garantita la continuità e la speditezza della funzione giurisdizionale. Di norma la competenza viene
individuata dalla legge in ragione del territorio, della materia e del valore della controversia dedotta in giudizio o
dell'entità della pena inderogabile agli imputati.

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3. UNICITA’ E PLURALITA’ DELLA GIURISDIZIONE
La Cost. proclama il principio di unicità giurisdizione (cardine dell'ordinamento giudiziario) e comporta che la
funzione giurisdizionale sia «esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento
giudiziario» (art. 102), ai quali è garantita l’indipendenza.
Corollari di questo principio sono il divieto di istituire giudici straordinari (costituiti dopo la commissione del fatto
che devono giudicare) e il divieto di istituire giudici speciali (competenti solo x determinati tipi di controversie ed
organizzati separatamente da quelli ordinari).
È invece ammessa l'istituzione di sezioni specializzate all'interno degli organi giudiziari ordinari, «anche con la
partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura» (che possono essere anche in n. superiore a quello
dei magistrati): es. i tribunali per i minorenni, i tribunali regionali delle acque pubb., le sezioni specializzate agrarie,
tribunali delle imprese.
L'Assemblea Costituente ha ritenuto che un esercizio corretto e uniforme della funzione giurisdizionale
richiedesse la sua attribuzione ad organi sottoposti alla stessa regolamentazione. Ciò rappresenta la via + semplice
per assicurare l'uniformità dell'applicazione della legge e la parità di trattamento.
Poiché tale attività risente delle scelte rimesse al giudice, l'affidamento della funzione giurisdizionale ad un corpo
di funzionari soggetto ad una disciplina uniforme può assicurare una maggiore coerenza ed unità della
giurisprudenza.

Ma stessa Assemblea Costituente ha previsto la conservazione di alcuni particolari giudici speciali, quali il Consiglio
di Sato, la Corte dei conti e i tribunali militari (art. 103 Cost.), cui si affiancano «altri organi di giustizia
amministrativa» che sono da identificare con quelli previsti dall'art. 125 Cost., secondo cui «nella Regione sono
istituiti organi di giustizia amministrativa di 1°, secondo l'ordinamento stabilito da legge della Rep.» (si tratta dei
tribunali amministrativi regionali).
Ad essi si aggiungono poi le Commissioni tributarie, conservate ai sensi della VI disposizione transitoria e finale
Cost. che consente di mantenere in funzione alcune giurisdizioni speciali già esistenti prima dell'entrata in vigore
della Cost.
La conservazione dei suddetti giudici speciali risponde alla finalità di consentire una specifica e specializzata
riflessione dei problemi di taluni apparati dello Stato (es. la p.a. e le forze armate).
A tal fine è previsto che sia fatto posto nei collegi giudicanti a sogg. provenienti dall'attività amm. ordinaria o dal
servizio militare attivo.
Anche tali organi giudiziari devono essere precostituiti per L. ed indipendenti da ogni altro Potere (in base all'art.
108).
La presenza di alcuni importanti giudici speciali accentua la "diffusione" del potere giurisdizionale.

Le giurisdizioni civile, penale e amministrativa non differiscono soltanto in quanto demandate a giudici distinti
(ordinari per le prime due, speciali per la terza), ma anche perché danno vita a 3 differenti modelli di
procedimento giurisdizionale, pur nella condivisione dei principi costituzionali in materia.
a) il procedimento civile è improntato al principio della libera disponibilità delle parti, che nel processo ricercano
la tutela delle loro posizioni giuridiche e una composizione dei loro conflitti di interessi. Sono, pertanto, ridotti i
poteri di intervento d'ufficio dei giudici civili.
b) i giudici preposti alla giurisdizione penale, volta all'esercizio della potestà punitiva dello Stato in conformità alle
leggi penali, trovano la disciplina nel nuovo codice di procedura penale del 1988. Si è ritenuto + conforme ai
principi cost. un sistema processuale accusatorio con una netta distinzione fra giudice e pubb. accusa, la pubblicità
dei procedimenti, tendenziale parità delle parti (accusa e difesa) e l’uguale disponibilità delle prove.
c) La giurisdizione amministrativa risente del fatto che l’ogg. del suo giudizio può essere soltanto la legittimità di
un atto amministrativo o l'eventuale violazione, da parte di tale atto, di un interesse legittimo (pretesa, garantita
dall'ordinamento, alla legittimità dell'azione della p.a.): pertanto all'insostituibilità del ricorso del ricorrente si
affianca l'interesse pubb. a cui l'intera vicenda processuale deve ispirarsi e che può condurre all'annullamento
dell'atto, Se, poi, l'atto amministrativo ha leso un diritto soggettivo il ricorso va presentato al giudice ordinario
civile che non può annullarlo, ma solo disapplicarlo, cioè non tenerne conto ai fini della decisione.

4. GLI ORGANI GIUDIZIARI ORDINARI


Il sistema di garanzie previsto dalla Costituzione e disciplinato dalle norme sull'ordinamento giudiziario riguarda
la magistratura e gli organi giudiziari ordinari che sono suddivisi in organi giudicanti e organi requirenti.
I primi esercitano le funzioni di giudice, mentre i secondi operano come pubb. ministeri.

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Pubblico ministero → complesso di organi e uffici pubb. ai quali è attribuito il compito di proporre azioni
nell'interesse dello Stato-comunità.
In base alla L. italiana del 1865 – prevedeva che i magistrati del p.m. costituissero un ruolo a sé – ed al testo unico
del 1923 si configurò la loro dipendenza dal Ministro della Giustizia, mentre ora la Cost. ne garantisce
l'indipendenza.
La titolarità delle funzioni attribuite al p.m. spetta al dirigente dell'ufficio (il Procuratore della Rep.), che le esercita
attraverso i propri sostituti. Essi dipendono gerarchicamente dal dirigente, alla cui autorità sono soggetti.
Le sue funzioni consistono nel vigilare riguardo «all'osservanza delle leggi, alla pronta e regolare amministrazione
della giustizia, alla tutela dei diritti dello Stato, delle persone giuridiche e degli incapaci», nell'esercizio dell'azione
penale, sulla quale è esclusa qualunque discrezionalità in ordine alla opportunità di promuoverla (art. 112). Ciò
implica, secondo la Corte cost. «l’obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale, ma non anche l'esclusiva
spettanza della stessa», che potrebbe essere conferita dalla legge «anche a sogg. diversi dal p.m.». In ogni caso,
ciò non esclude che gli uffici dell'accusa prendano notizia dei reati dalle fonti più diverse, comprese le denunce di
privati, ma comporta che il p.m. abbia la libertà di decidere se tale notizia risulti priva di fondamento o si riferisca
a comportamenti che in realtà non costituiscono reato.

Dopo la riforma approvata con il d.lgs. 51 del 1998, gli organi giudiziari ordinari con funzioni giudicanti sono: i) il
Giudice di pace, ii) il Tribunale, iii) la Corte d'assise, iv) la Corte d'appello, iv) la Corte d'assise d'appello e v) la Corte
di Cassazione.
Gli organi requirenti sono: 1) il Procuratore della Rep. presso il Tribunale, ii) il Procuratore generale della Rep.
presso la Corte d'appello, iii) il Procuratore generale della Rep. presso la Corte di Cassazione.
La loro distribuzione sul territorio è disciplinata dalla L. sull'Ordinamento giudiziario, attraverso allegati.

La suprema Corte di Cassazione, unica per tutto il Paese, si configura come l'organo regolatore di tutto il settore
giurisdizionale, assicurando l'uniforme interpretazione della L. da parte dei diversi giudici.
Alla Corte spetta: i) giudicare, in sede di ultimo grado, se le sentenze emanate dagli altri organi giurisdizionali
abbiano fatto corretta applicazione delle norme giuridiche ai casi decisi; ii) risolvere i conflitti di competenza tra
giudici ordinari; iii) definire le questioni di giurisdizione tra giudici ordinari e giudici speciali; iv) dirimere i conflitti
di attribuzione fra i giudici e la p.a.

5. LA CARRIERA DEI MAGISTRATI ORDINARI


L'accesso alla magistratura avviene per concorso: quindi anche il reclutamento dei magistrati, in quanto
dipendenti pubblici viene realizzato attraverso un procedimento di valutazione pubblico, obiettivo e imparziale.

La Cost. prevede anche 2 ulteriori modalità di reclutamento che sono tassative e non estensibili.
La prima è la nomina di magistrati onorari (il Giudice pace, il Giudice onorario di Tribunale, il Viceprocuratore
onorario) – i quali esercitano le funzioni giudiziarie per impegno temporaneo (generalmente part-time).
Ai sensi dell’art. 106 essi possono ricoprire soltanto uffici monocratici (a cui sono assegnate le controversie meno
rilevanti). Analogo, anche se formalmente differente, è lo status degli esperti chiamati a far parte delle sezioni
specializzate degli organi giudiziari ordinari.
Seconda eccezione: art.106 secondo cui «su designazione del CSM possono essere chiamati all'ufficio di consiglieri
di cassazione, per meriti illustri, professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati che abbiano 15
anni d'esercizio e siano iscritti negli albi speciali per le giurisdizioni superiori». In questo caso i professori e gli
avvocati scelti dal CSM diventano magistrati professionali a tempo pieno, cessando di svolgere le precedenti
attività, e sono assegnati alla Corte di Cassazione.

Giudice popolare → incarico temporaneo attribuito, per estrazione a sorte, a comuni cittadini, aventi un titolo di
studio (almeno) di scuola secondaria di 1° o di 2° grado, che entrano a far parte, rispettivamente, delle Corti di
assise e delle Corti di assise d'appello per un singolo processo. Si tratta dell'unica forma prevista in Italia di
partecipazione popolare diretta all'esercizio della funzione giurisdizionale.

La formazione e l'aggiornamento dei magistrati ordinari è curata, dal 2012, dalla Scuola superiore della
magistratura, dotata di personalità giuridica ed autonomia organizzativa, diretta da un P. e da un Comitato
direttivo di 12 membri (7 nominati dal CSM e 5 dal Ministro della Giustizia).
I magistrati si distinguono soltanto per le funzioni, ciò non comporta anche la mancanza di progressioni di carriera,
che sono invece previste dall'art. 105 Cost., dove si parla di «promozioni» (affidate al CSM).

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Per lungo tempo le progressioni di carriera dei magistrati sono state disciplinate ed effettuate sulla base di
meccanismi automatici, legati all'anzianità di servizio o a valutazioni di «non demerito», allo scopo di impedire
che le decisioni al riguardo potessero condizionare l'indipendenza interna dei magistrati stessi. Questa disciplina
ha impedito una selezione in base al merito effettivamente acquisito, alle reali capacità, alle attitudini e alla
produttività.

La Riforma dell'ordinamento giudiziario del 2005-2007 ha interessato anche le progressioni di carriera,


introducendo una valutazione quadriennale di professionalità (per titoli) di ogni magistrato e concorsi (per titoli)
per l'assegnazione degli incarichi direttivi, gestiti dal CSM, con l'ausilio nel primo caso del parere dei Consigli
giudiziari presenti presso le Corti d'appello.

6. IL PUBBLICO MINISTERO E LA POLIZIA GIUDIZIARIA


Una parte dei magistrati ordinari esercita le funzioni di p.m., nelle Procure della Rep. presso i Tribunali, nelle
Procure generali della Rep. presso le Corti d'appello e nella Procura generale della Rep. presso la Corte di
Cassazione.
Ai sensi dell'art. 112 Cost., il p.m. ha «l’obbligo di esercitare l'azione penale», ma la L. gli attribuisce alcune
competenze anche nell'ambito dei procedimenti civili e amministrativi. L'obbligatorietà dell'azione penale
significa assenza di discrezionalità nel suo promovimento ed è funzionale a garantire l'uguaglianza dei cittadini
dinanzi alla L. penale, nonché l'indipendenza del p.m. nell'esercizio delle sue funzioni.
L'art. 109 Cost. prevede che l'autorità giudiziaria disponga direttamente della polizia giudiziaria. Quest’ultima non
costituisce un corpo a sé, in quanto gli apparati di polizia (in particolare, la Polizia di Stato, l'Arma dei Carabinieri,
la Guardia di Finanza) svolgono sia funzioni di pubb. sicurezza (mantenendo l'ordine pubblico) che funzioni di
polizia giudiziaria (indagando e reprimendo i reati).
Questa soluzione però crea alcuni inconvenienti, perché tali apparati dipendono, rispettivamente, dai Ministri
dell'Interno, della Difesa e dell'Economia e Finanze. Per questo motivo, il c.p.p. (art. 56) ha ribadito l'istituzione di
apposite sezioni di polizia giudiziaria presso ogni Procura della Repubblica.

7. IL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA


Ha molta importanza l'aspetto istituzionale dell'indipendenza, in quanto implica un'organizzazione della
giurisdizione idonea a porre ogni magistrato nelle condizioni di esercitare liberamente le proprie funzioni. A tutela
dell'indipendenza della magistratura la Cost. prevede un sistema di "autogoverno" dell'ordine giudiziario. Infatti,
la Cost. ha sottratto al Ministro della Giustizia qualsiasi potere inerente alla carriera dei magistrati ordinari
attribuendolo ad un organo composto in prevalenza di magistrati, che prende il nome di CSM.

7.1. IL RUOLO E LE FUNZIONI DEL CSM


Il CSM non è strumento di autogoverno della magistratura, perché non svolge funzioni di indirizzo politico o amm.
nell'ambito dell'organizzazione giudiziaria e perché una parte dei suoi contitolari proviene dall'esterno della
magistratura stessa (a cominciare dal suo P., che è il Capo dello Stato).
È invece un organo di garanzia costituzionale, dal momento che rende effettivo il principio di indipendenza del
Potere giudiziario.
In riferimento alle competenze non è un organo giurisdizionale (salvo che in sede disciplinare, dove opera una
sua sezione ad hoc), ma esercita funzioni prevalentemente di natura amm., decidendo sulle questioni riguardanti
la carriera dei magistrati ordinari. + precisamente, il CSM (art. 105 Cost.) ed alla L. attuativa 195 del 1958 esercita
funzioni riconducibili a 4 tipologie: amministrative, quasi giurisdizionali, para-normative, consultive e propositive.

a) Funzioni amministrative riguardano lo status e la carriera dei magistrati ordinari: la nomina in ruolo, di regola
concorso pubblico; l'iniziale assegnazione delle funzioni giudicanti o requirenti e della sede di lavoro;
l'assegnazione di incarichi direttivi; il trasferimento su richiesta dell'interessato, Esse sono assunte con
provvedimenti che devono rispettare i criteri ed i vincoli previsti dalla L. e che sono impugnabili davanti al giudice
amministrativo.
I provvedimenti che riguardano lo status dei magistrati, dopo essere stati adottati dal CSM, sono emanati con
decreto del P. della R. su proposta del Ministro della Giustizia o con decreto del Ministro stesso, in ogni caso in
conformità alla delibera del Consiglio superiore: infatti «si determina un dovere giuridico dell'Esecutivo di renderli
concretamente operanti mediante l'emanazione di appositi decreti che ne adottino integralmente il contenuto».

b) Il Consiglio esercita una funzione sostanzialmente giurisdizionale quando provvede ad accertare la commissione
di illeciti disciplinari da parte di un magistrato ordinario ed a infliggergli le relative sanzioni (artt. 105 e 107). A

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differenza della p.a., che nel procedimento disciplinare esercita un potere di supremazia speciale, il Consiglio non
ha poteri gerarchici sui magistrati, ma provvede, attraverso il procedimento disciplinare, a tutelare l'interesse
generale dello Stato. La posizione di estraneità giuridica rispetto al magistrato incolpato, riconosciuta al CSM, ne
conferma la funzione sostanzialmente giurisdizionale, può dirsi che in tali casi il Consiglio opera come un giudice
speciale. Anche i provvedimenti in materia disciplinare devono rispettare i criteri e vincoli di legge e sono
impugnabili, ma in unico grado davanti alle sezioni unite (civili) della Corte di Cassazione.

c) Esso svolge attività a contenuto para-normativo quando definisce e disciplina i propri compiti attraverso il
regolamento interno e le modalità dell'attività degli organi giudiziari, emanando circolari e atti a contenuto
generale. Questi atti vengono inquadrati dalla dottrina nel sistema delle fonti secondarie, ma suscitano dubbi di
cost., in quanto la materia dell'ordinamento giudiziario è coperta da riserva di legge (art. 108 Cost.)

d) Funzioni ausiliarie del CSM nei confronti del Ministro della Giustizia, es. esprimere pareri ovvero di avanzare
proposte su questioni in materia di ordinamento giudiziario inerenti alla competenza del Ministro stesso.

7.2. LA COMPOSIZIONE DEL CSM


La Cost. disciplina, all'art. 104, la composizione del CSM per evitare che per suo tramite si producano interferenze
esterne nell'ordine giudiziario e per impedire il rischio che la sua magistratura possa divenire una corporazione
separata e chiusa.
Del CSM fanno parte 3 membri di diritto: a) il P. della R., che lo presiede, chiamato a svolgere questa funzione in
quanto garante imparziale della Cost. e anche dell'indipendenza della magistratura, b) il Primo P. e c) il
Procuratore generale presso la Corte di Cassazione (la quale è l'organo al vertice funzionale del Potere giudiziario).

Gli altri componenti sono elettivi (attualmente 24): per 2/3 sono magistrati ordinari (membri togati), scelti dai lori
colleghi; per 1/3 sono «professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati dopo 15 anni di esercizio»
(membri laici, cioè non magistrati), eletti dal Parlamento in seduta comune.
I membri togati sono eletti dagli stessi magistrati ordinari con un sistema elettorale che garantisce nel Consiglio
la presenza delle diverse «categorie», ossia magistrati di legittimità, giudici di merito e pubb. ministeri. L'elezione
avviene mediante un sistema maggioritario in 3 collegi unici nazionali (nei quali vengono eletti i candidati + votati):
nel primo vengono scelti 2 magistrati che esercitano funzioni di legittimità presso la Corte di Cassazione e la
Procura generale della stessa Corte; nel secondo sono eletti 4 magistrati requirenti che svolgono le funzioni di
p.m. presso le Procure sparse sul territorio e presso la Direzione nazionale antimafia; nel terzo vengono eletti 10
magistrati che esercitano le funzioni di giudici presso gli uffici giudiziari di merito.
I membri laici - previsti per evitare che la magistratura si costituisca in corpo separato e autonomo dagli altri Poteri
rappresentativi – sono eletti dal Parlamento in seduta comune, a scrutinio segreto ed a maggioranza dei 3/5
dell'assemblea nei primi 2 scrutini, e dei 3/5 dei votanti a partire dal 3° scrutinio.
I componenti elettivi del Consiglio durano in carica 4 anni e non sono immediatamente rieleggibili. Essi «non
possono, finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali, né far parte del Parlamento o di un Consiglio
regionale» (art. 104).

Se la Cost. non riconosce alcuna forma di immunità ai componenti del CSM, la L. istitutiva dell'organo prevede
che i membri del Consiglio godano della garanzia della non punibilità per le opinioni espresse nell'esercizio delle
loro funzioni e concernenti l'oggetto della discussione. L'immunità in parola ha fondamento costituzionale dato
che la garanzia di un esercizio sereno delle funzioni consiliari si pone come strumento essenziale dell'indipendenza
stessa della magistratura.
Tuttavia, se è chiaro l'ambito soggettivo di applicazione dell'immunità, l'individuazione dell'ambito oggettivo –
ossia di quali opinioni siano insindacabili – risulta meno agevole, ponendo gli stessi problemi del “nesso
funzionale"(art.68). La Corte cost. ha sancito che l'immunità copre «tutte le manifestazioni di pensiero, ma non
anche altre orme di condotta penalmente rilevanti dei membri del Consiglio».

7.3. LA “FORMA DI GOVERNO” DEL CSM


Il CSM è un organo collegiale e ha bisogno di essere convocato e guidato dal suo P. che è aiutato da organi interni
dotati di specifiche funzioni. Ciò consente di utilizzare in modo simbolico la locuzione "forma di governo" anche
per descrivere l'articolazione interna del CSM.
Poiché il P. del CSM è il Capo dello Stato, che deve assolvere a numerose altre funzioni, la stessa Cost., all'art. 104,
stabilisce che «il Consiglio elegge un Vice-presidente fra i componenti designati dal Parlamento». Si tratta
dell'unica figura sostitutiva prevista dalla Carta cost.

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Al Presidente ed al Vicepresidente si aggiunge un 3° organo, il Comitato di presidenza, che è composto dal
Vicepresidente (che lo presiede), dal Primo P. della Corte di Cassazione e dal Procuratore generale presso di essa,
con il compito di promuovere la complessiva attività e l'attuazione delle deliberazioni del Consiglio e di provvedere
alla gestione dei fondi stanziati nel suo bilancio. Si tratta di un ruolo rilevante, tanto che parte della dottrina ha
osservato come le sue attribuzioni dovrebbero essere intese come meramente strumentali alla funzionalità del
Consiglio, ciò che nella prassi non è.

È il ruolo del P. della R. all'interno del Consiglio superiore che ha dato luogo al dibattito. Da un lato, è stato
sostenuto che «il P. del CSM siede in esso come membro dell'organo collegiale, sia come primus inter pares».
Dall'altro, si è affermato che l'organo P. della R. è «innestato» «sul – prima che nel - CSM», per cui si potrebbe
dire che non sia «il P. del Consiglio Superiore [ad essere] il Capo dello Stato» quanto che sia «il P. della R. [ad
essere] anche P. del CSM».

Il Capo dello Stato esercita il ruolo di P. del collegio, rispettoso della posizione di quest'ultimo, ma, ove necessario,
deve garantire gli equilibri cost. anche verso il collegio stesso, esprimendo in tal caso «la sua personale, distinta,
separata volontà di organo dello Stato diverso dal CSM».
I P. della R. partecipano di rado alle riunioni del CSM, perché impegnati in altri compiti ed anche perché intendono
mantenersi estranei rispetto a deliberazioni specifiche ed a scelte puntuali. In tal caso subentra il Vicepresidente.

La L. n. 195 del 1958 si limita ad affermare che «il Vicepresidente del Consiglio superiore sostituisce il P. in caso
di assenza o impedimento», «esercita le attribuzioni indicate dalla presente L. quelle che gli sono delegate dal P.»
(art. 19).
Il Vicepresidente del CSM esercita in via ordinaria le funzioni e i poteri del P., non è nominato da lui, ma è
liberamente scelto dal Consiglio. Nello stesso tempo non è nemmeno rappresentante del Consiglio nei confronti
del P. e degli altri organi dello Stato, perché non è destinatario di un mandato del collegio cui debba attenersi, né
la Cost. richiama a proposito del CSM il principio della rappresentanza politica.

L’assenso presidenziale all'ordine del giorno deve essere inquadrato come uno degli atti di collaborazione
necessaria tra Presidente e Vicepresidente.
L'art. 70 del regolamento interno stabilisce che «l’ordine del giorno di ciascuna seduta è predisposto dal
Vicepresidente e, previo assenso del P., è comunicato a tutti i componenti e al Ministro almeno 5g prima della
seduta medesima, unitamente alla convocazione del Consiglio».
L'art. 71 aggiunge che «ciascuno dei componenti del Consiglio può chiedere al Vicepresidente che un determinato
argomento sia posto all'ordine del giorno. Se il Vicepresidente, sentito il Comitato di presidenza, non ritiene di
accogliere la richiesta, informa nella successiva riunione il Consiglio, che delibera in proposito e, se accoglie la
richiesta, fissa la data della discussione».

Il regolamento interno assegna al Vicepresidente, «nel rispetto delle competenze decisionali del Consiglio»,
anche: la responsabilità del funzionamento del CSM nel complesso delle sue attività; la responsabilità
dell'organizzazione della struttura amministrativa di supporto; la presidenza del Comitato di presidenza del CSM.
Il Vicepresidente va assumendo sempre + un ruolo sul piano politico e mediatico, dove tende ad agire da
"portavoce" istituzionale tanto del Capo dello Stato come P. del CSM, quanto del CSM come organo collegiale.

8. IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA


Il Ministro della Giustizia è l'organo di vertice dell'omonimo ministero. È conosciuto anche come Guardasigilli per
essere il custode del sigillo dello Stato: egli appone il «visto» sulle leggi e sugli atti a contenuto normativo prima
della loro pubblicazione. La Cost., all'art. 110, gli assegna le funzioni e i compiti che riguardano «l'organizzazione
ed il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia»: gli uffici e il personale di cancelleria e di segreteria a supporto
degli organi giudiziari, le carceri e l'esecuzione delle pene, la vigilanza sugli ordini professionali e sugli archivi
notarili, la cooperazione internazionale in materia civile e penale.

La L. prevede che: a) possa chiedere informazioni sul funzionamento degli organi giudiziari, fornendo a sua volta
le comunicazioni opportune; b) possa formulare richieste non vincolanti in ordine ai provvedimenti inerenti allo
status dei magistrati; c) e possa avanzare proposte in ordine al conferimento degli incarichi direttivi, il quale deve
avvenire di concerto fra il CSM e lo stesso Ministro.

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La Corte cost. ha affermato che, da un punto di vista procedurale (di metodo), i 2 organi devono tenere una
condotta informata al principio di «leale collaborazione», mentre, con riguardo al merito, ha escluso che il
concerto implichi un accordo, attribuendo la titolarità della decisione al CSM.
In assenza di accordo, spetterà al CSM adottare la definitiva determinazione.

«Ha facoltà di promuovere l'azione disciplinare» nei confronti dei magistrati, attivando il procedimento di fronte
all'apposita sezione del Consiglio superiore (art. 107).
Il Ministro della Giustizia è l'unico ministro ad essere nominato direttamente dalla Costituzione: ciò ha portato a
ritenere che egli sia legittimato in via autonoma a sollevare conflitti di attribuzione contro altri Poteri dello Stato.

9. LE RESPONSABILITA’ DEI MAGISTRATI


L'indipendenza della magistratura non esclude forme di responsabilità dei singoli magistrati.
Tutti i magistrati possono incorrere in:
-responsabilità penale, se commettono reati, di cui rispondono a titolo personale come tutti i cittadini;
-responsabilità amministrativa e contabile;
-responsabilità civile che prevede il risarcimento dei danni cagionati ingiustamente nell'esercizio delle funzioni
giudiziarie. I sogg. che si ritengano lesi da provvedimenti giudiziari adottati con dolo o colpa grave oppure lesi da
diniego di giustizia possono agire davanti al tribunale civile, contro lo Stato per il risarcimento dei danni subiti,
dopo aver intrapreso gli ordinari mezzi di impugnazione.
Sulla domanda il tribunale effettua prima una verifica di ammissibilità, il cui esito condiziona la continuazione del
processo. Se la domanda è ritenuta ammissibile e viene accolta, lo Stato deve risarcire il danno e deve agire per
rivalsa nei confronti del magistrato autore dell'illecito civile, instaurando un nuovo apposito giudizio civile a tal
fine. Pertanto il 1° responsabile dei danni cagionati dall'esercizio della funzione giurisdizionale è lo Stato, mentre
la responsabilità del magistrato è indiretta;
-responsabilità disciplinare, per violazione delle regole interne di diligenza, correttezza e laboriosità, il cui
accertamento e la cui sanzione sono affidati ai Consigli superiori di ciascuna magistratura.

9.1. IN PARTICOLARE: LA RESPONSABILITA’ DISCIPLINARE DEI MAGISTRATI ORDINARI


In origine, in merito alla responsabilità disciplinare dei magistrati ordinari, la L. prevedeva una clausola generale,
ai sensi della quale «il magistrato che manchi ai suoi doveri, o tenga in ufficio o fuori una condotta tale, che lo
renda immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve godere, o che comprometta il prestigio
dell'ordine giudiziario, è soggetto a sanzioni disciplinari».
Questo condusse il CSM, in via di autodisciplina, a dettare man mano regole su vari aspetti dell'attività dei
magistrati ordinari.

Il d.lgs. n. 109 del 2006 ha posto (parziale) rimedio al problema dell’indeterminatezza degli illeciti disciplinari,
circoscrivendo la discrezionalità del CSM. Dopo aver sancito il principio che «il magistrato esercita le funzioni
attribuitegli con imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo ed equilibrio e rispetta la dignità della
persona nell'esercizio delle funzioni», ha introdotto una tipizzazione degli illeciti disciplinari dei magistrati,
operando una distinzione tra i comportamenti sanzionabili posti in essere nell'esercizio delle funzioni (art. 2) e
quelli tenuti fuori dell'esercizio delle stesse (art. 3).

Tra gli illeciti compiuti nell'esercizio delle funzioni, si ricordano: la consapevole inosservanza dell'obbligo di
tensione nei casi previsti dalla legge; i comportamenti abitualmente o gravemente scorretti nei confronti delle
parti, dei loro difensori, dei testimoni o di chiunque abbia rapporti con il magistrato nell'ambito dell'ufficio
giudiziario, ovvero nei confronti di altri magistrati o di collaboratori; la grave violazione di L. determinata da
ignoranza o negligenza inescusabile; il perseguimento di fini estranei ai propri doveri e alla funzione giudiziaria; la
divulgazione di atti del procedimento coperti dal segreto o di cui sia previsto il divieto di pubblicazione, nonché la
violazione del dovere di riservatezza sugli affari in corso di trattazione, o sugli affari definiti, quando è idonea a
ledere diritti altrui.

Con riferimento agli illeciti disciplinari posti in essere al di fuori delle funzioni possono richiamarsi: l'uso della qualità
di magistrato al fine di conseguire vantaggi ingiusti per sé o per altri; il frequentare o intrattenere rapporti con
persone sottoposte a procedimento penale o di prevenzione trattato dal magistrato ovvero con persone
dichiarate delinquenti abituali, professionali o per tendenza; la pubb. manifestazione di consenso o dissenso in
ordine a un procedimento in corso quando, per la posizione del magistrato o per le modalità con cui il giudizio è
espresso, sia idonea a condizionare la libertà di decisione nel procedimento medesimo; l'uso strumentale della

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qualità che, per posizione del magistrato o per le modalità di realizzazione, è idoneo a turbare l'esercizio di
funzioni costituzionalmente previste; ogni altro comportamento tale da compromettere l'indipendenza, la
terzietà e l'imparzialità del magistrato, anche sotto il profilo dell'apparenza.

9.2. IL PROCEDIMENTO DISCIPLINARE


La competenza in materia disciplinare, pur se attribuita genericamente dalla Cost. al Consiglio superiore (artt. 105
e 107 Cost.), è assegnata dalla L. ad un'apposita Sezione disciplinare, composta da 6 membri effettivi e 10
supplenti, eletti dal Consiglio al suo interno.

I componenti sono il Vicepresidente del CSM, che presiede la Sezione, 1 componente del CSM tra quelli eletti dal
Parlamento (che eventualmente presiede la Sezione in sostituzione del Vicepresidente), 1 magistrato di
Cassazione con esercizio effettivo della funzione di legittimità, 2 magistrati che esercitano funzioni giudicanti di
merito e 1 magistrato che esercita funzioni requirenti.

Il procedimento disciplinare inizia con l'esperimento della relativa azione, la cui titolarità è attribuita,
disgiuntamente, al Ministro della Giustizia e al Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, nella sua
qualità di Procuratore generale presso la Sezione disciplinare del CSM.
Mentre il Ministro ha facoltà di esercitare l'azione disciplinare, il Procuratore generale ha il dovere di promuoverla
ove venga a conoscenza di un possibile illecito.
Il procedimento disciplinare è regolato da norme analoghe a quelle che disciplinano il processo penale. Il
Procuratore generale o un suo sostituto assume il ruolo di pubblico accusatore, mentre il magistrato incolpato ha
diritto di difendersi, sia personalmente, sia con l'ausilio di un avvocato o di un altro magistrato da lui incaricato.
La decisione finale assume la forma di sentenza ed è impugnabile mediante ricorso in unico grado alle Sezioni
unite civili della Corte di Cassazione per violazione di legge.
Tale sentenza può assolvere il magistrato incolpato oppure riconoscerne la responsabilità, irrogandogli specifiche
sanzioni previste dalla legge, che vanno i) dall’ammonimento fino ii) alla sospensione temporanea dalle funzioni
e dallo stipendio o iii) all'espulsione dalla magistratura.

GIUDICI SPECIALI: Giurisdizioni speciali: la giurisdizione amministrativa, la giurisdizione contabile e la giurisdizione


militare (art. 103 Cost.), la giurisdizione tributaria e la giurisdizione superiore delle acque pubbliche.

10. I GIUDICI AMMINISTRATIVI


La Cost. sancisce all'art. 113 che «contro gli atti della p.a. è sempre ammessa la tutela giurisdizionale».
Nella storia è prevalsa l'idea che le controversie tra privati e pubb. amministrazioni debbano essere sottoposte a
giudici speciali, meglio adatti a valutare quel peculiare tipo di controversie.
Oggi l'art. 113 Cost. specifica che la tutela giurisdizionale contro gli atti dell'amm. è ammessa «dinanzi agli organi
di giurisdizione ordinaria o amministrativa», mentre il precedente art. 100 definisce il Consiglio di Stato quale
“organo di tutela della giustizia nell’amministrazione”; e il successivo art. 125 prevede «organi di giustizia
amministrativa di 1°» (TAR, istituiti nel 1971 in tutti i capoluoghi di Regione e in alcune altre sedi decentrate: in
tot. sono 29).

In Italia vige un sistema di giustizia amm. che si può definire ripartito, perché alcune delle controversie tra
amministrazioni e privati rimangono affidate alla giurisdizione ordinaria civile, pur se altre sono assegnate ai
giudici amm. La ripartizione delle controversie si basa sulla situazione giuridica soggettiva di cui si chiede la tutela
in giudizio: diritto soggettivo o interesse legittimo.
La distinzione tra i diritti soggettivi e gli interessi legittimi ha trovato riconoscimento anche nella Cost. (artt. 24 e
113).
I diritti soggettivi vanno fatti valere davanti al giudice ordinario, gli interessi legittimi davanti al giudice
amministrativo.
Si ha giurisdizione del giudice ordinario quando l'amministrazione abbia agito in carenza assoluta di un potere o
con atti assolutamente non idonei ad esercitare un potere pur esistente o non abbia garantito aspetti essenziali
dei diritti fondamentali, mentre si ha giurisdizione del giudice amministrativo quando l'amministrazione abbia
agito esercitando male un potere attribuitole.

Il giudice amministrativo – che deve essere adito entro il termine di decadenza di 60 giorni – può annullare l'atto
riconosciuto illegittimo, ma di norma non può ordinare all'amm. di fare qualcosa e solo dal 2000 può condannarla
a risarcire il danno.

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Il giudice ordinario – che può essere adito entro i termini di prescrizione del diritto (ordinariamente 10 anni) –
non può interferire con l'esercizio della funzione amministrativa, alla luce del principio di separazione dei poteri.
Egli può disapplicare l'atto riconosciuto illegittimo (ossia decidere il caso sottopostogli come se l'atto non ci fosse),
ma non può annullarlo, e può condannare l'amm. al risarcimento dei danni ma non a comportamenti specifici.
Tale regola può subire eccezioni nei casi previsti dalla legge (es. in materia di sanzioni amministrative pecuniarie,
la L. consente al giudice ordinario di eliminare o sostituire le sanzioni decise dalle p.a.).

Il criterio generale previsto per la ripartizione delle controversie nei confronti delle p.a. (ossia la distinzione tra
diritti e interessi legittimi) può conoscere eccezioni ai sensi dell'art. 103 Cost. Vi sono alcuni casi nei quali ogni
potere è attribuito al giudice ordinario. Vi sono altri casi in cui anche le controversie in materia di diritti sogg. sono
assegnate al giudice amministrativo, parlandosi allora di giurisdizione esclusiva di tale giudice (es. in materia di
concessioni amministrative).

La distinzione tra organi giudiziari ordinari e amministrativi implica che i magistrati addetti ai 2 tipi di organi
appartengano a 2 ruoli professionali separati, anche se sono soggetti alle stesse responsabilità. Così, sono
differenti le modalità di reclutamento e di nomina dei magistrati amministrativi.
I magistrati dei TAR sono reclutati a seguito di apposito concorso, al quale possono partecipare solo taluni soggetti
dotati delle necessarie competenze giuridiche.
I magistrati addetti al Consiglio di Stato, invece, sono nominati, per metà in seguito a promozione dei consiglieri
di TAR che abbiano maturato una sufficiente anzianità di servizio, per 1/4 mediante concorso per titoli ed esami
al quale possono partecipare solo taluni soggetti indicati dalla L., e, per il rimanente quarto, per scelta diretta
operata dal Governo fra persone in possesso dei necessari requisiti di competenza e di esperienza.

La Cost. non estende direttamente alla magistratura amm. le garanzie da essa previste per quella ordinaria, ma
sancisce che spetta al legislatore assicurare «l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, del pubblico
ministero presso di esse, e degli estranei che partecipano all'amministrazione della giustizia» (art. 108).

La L. 1982, n. 186 ha istituito il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, dotato di funzioni analoghe
a quelle esercitate dal CSM, con particolare riferimento alle assunzioni, alle assegnazioni di sede, ai trasferimenti,
alle promozioni, ai provvedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati amministrativi. È formato da 15 membri,
eletti ogni 4 anni: il Presidente del Consiglio di Stato, membro di diritto, che lo presiede, 4 magistrati in servizio
presso il Consiglio di Stato, 6 magistrati in servizio presso i TAR e 4 professori ordinari di università in materie
giuridiche o avvocati con 20 anni di esercizio professionale, eletti 2 dal Senato della Rep. e 2 dalla Camera dei
deputati, a maggioranza assoluta dei componenti + 4 magistrati con funzioni di supplenti.

11. LA CORTE DEI CONTI


Altro giudice speciale previsto dalla Cost. (art. 103) è la Corte dei conti, competente «nelle materie di contabilità
pubb. e nelle altre specificate dalla L.». Le funzioni giurisdizionali esercitate dalla Corte dei conti sono disciplinate
dal decreto del 1934, n. 1214.
La Corte dei conti giudica: sulla responsabilità dei pubblici funzionari per danni arrecati all'erario; sui conti
presentati da parte degli agenti contabili dello Stato (coloro che abbiano «maneggio di denaro o di valori dello
Stato»; sui ricorsi in materia di trattamento pensionistico dei dipendenti pubblici.

I giudizi di responsabilità hanno un carattere inquisitorio e vengono promossi dai procuratori regionali e dal
Procuratore generale della Corte dei conti. Invece i giudizi in materia di pensioni vengono promossi dalle parti
interessate.
Nei giudizi che si svolgono dinanzi ad essa, essa può agire con > libertà rispetto al giudice amministrativo,
potendosi avvalere della prova testimoniale, e di mezzi istruttori ulteriori ogni qual volta lo reputi necessario.
Esercita le funzioni giurisdizionali assegnatele attraverso proprie sezioni collegiali, distinte da quelle con compiti
di controllo: le Sezioni ordinarie (che sono 3) e quelle speciali, nonché le Sezioni riunite.

Con l'istituzione in tutto il territorio nazionale delle Sezioni regionali è stato introdotto il principio del doppio grado
di giudizio: contro le sentenze emesse dalle Sezioni giurisdizionali regionali può essere proposto ricorso alle
Sezioni giurisdizionali centrali. Invece, le Sezioni riunite hanno il compito di risolvere i conflitti di competenza e le
questioni che sono loro deferite dalle Sezioni giurisdizionali regionali o centrali o dal Procuratore generale.

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La Corte dei conti è dotata di un proprio ufficio del pubblico ministero, le cui funzioni, presso le Sezioni
giurisdizionali centrali e riunite, sono esercitate dal Procuratore generale o da un viceprocuratore generale;
mentre, a livello decentrato, sono assegnate a «un procuratore generale» regionale.

L'ordinamento della carriera dei magistrati contabili e taluni aspetti dell'organizzazione interna della Corte hanno
suscitato dubbi rispetto all'indipendenza dell'organo. Infatti, similmente al Consiglio di Stato, anche per la Corte
dei conti è stata prevista, accanto alla assunzione della > dei magistrati per concorso, la scelta diretta da parte del
Governo di un ampio numero di magistrati contabili.
Nell'intento di limitare la discrezionalità dell'Esecutivo è stata introdotta la regola per cui il Consiglio dei ministri
deve sentire il parere del Consiglio di presidenza della Corte dei conti prima di procedere alle nomine di soggetti
estranei alla Corte stessa.

Anche la Corte dei conti è dotata di un proprio organo di garanzia, il Consiglio di presidenza della Corte dei conti,
istituito con la L. del 1988, n. 117 e dotato di funzioni analoghe a quelle esercitate dal CSM, con particolare
riferimento alle assunzioni, alle assegnazioni di sede, ai trasferimenti, alle promozioni, ai provvedimenti
disciplinari nei confronti dei magistrati contabili.
Esso, a seguito delle modifiche del 2009, è eletto ogni 4 anni ed è composto da: 3 membri di diritto (il Presidente
della Corte dei conti, che la presiede, il Presidente aggiunto, il Procuratore generale presso la Corte medesima),
4 magistrati appartenenti alla giurisdizione contabile, eletti dai loro colleghi, e 4 professori ordinari di università
in materie giuridiche o avvocati con 20 anni di esercizio professionale, eletti 2 dal Senato della Rep. e 2 dalla
Camera dei deputati, a maggioranza assoluta dei componenti.
La presenza di un n° di membri eletti dai magistrati = a quello dei membri eletti dalle 2 Camere ha suscitato dubbi
di legittimità costituzionale (violazione del principio di indipendenza della magistratura contabile). Ma la Corte
cost. l'ha dichiarata inammissibile, in quanto le scelte relative alla composizione degli organi di garanzia di una
giurisdizione speciale possono provenire «solo dal legislatore»

12. I TRIBUNALI MILITARI


Il terzo giudice speciale previsto dalla Cost. (all'art. 103) è costituito dai Tribunali militari, che in tempo di pace
giudicano sui reati militari (previsti dal cod. p. militare di pace) commessi dagli appartenenti alle Forze armate.
Essi (attualmente 3) giudicano in 1°, mentre in 2° grado opera un'unica Corte militare d’appello.
Entrambi gli organi sono composti da magistrati militari e da ufficiali del corpo a cui appartiene l'imputato (estratti
a sorte).
È sempre ammesso il ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione, che decide in composizione ordinaria.
Presso gli organi giudiziari militari, ed anche presso la Corte di Cassazione, sono costituiti specifici uffici del p.m.
a cui sono addetti magistrati militari.
Anche la magistratura militare è dotata di un proprio organo di garanzia, che ne assicura l'indipendenza: il
Consiglio della magistratura militare, introdotto nel 1988, ora disciplinato dal d.lgs.66/2010 (Codice
dell'ordinamento militare).
Il Consiglio della magistratura militare è eletto ogni 4 anni ed è composto da: 2 membri di diritto (il Primo P. della
Corte di Cassazione, che lo presiede, nonché il Procuratore generale militare presso la Cassazione), 2 membri
eletti dai magistrati militari, 1 membro laico (professore ordinario di università in materie giuridiche o avvocato
con almeno 15 anni di esercizio professionale), scelto d'intesa tra i Presidenti delle 2 Camere, che assume le
funzioni di Vicepresidente.
Il Ministro della Difesa ha, rispetto ai magistrati militari ed al Consiglio della magistratura militare, le medesime
attribuzioni che spettano al Ministro della Giustizia rispetto al CSM e ai magistrati ordinari.

13. GLI ALTRI GIUDICI SPECIALI


In base a quanto stabilito dalla VI disposizione transitoria della Cost, entro 5 anni dall'entrata in vigore della Cost.
stessa si doveva procedere alla revisione delle giurisdizioni speciali previgenti– salvo quelle elencate nell'art. 103
Cost. ed espressamente conservate (Consiglio di Stato, Corte dei conti e tribunali militari) – per abolirle
(assegnando ad altri giudici le relative controversie) oppure per adeguarle ai nuovi principi cost.
Scaduto il termine senza che detta revisione fosse stata attuata, è prevalsa l'interpretazione secondo cui il termine
quinquennale previsto dalla VI disp. trans. non era perentorio ma ordinatorio, e pertanto la mancata revisione
delle giurisdizioni speciali non comportava la loro impossibilità di continuare a funzionare.

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La Corte cost. ha dapprima definito gli organi giudicanti di gran parte delle controversie in materia, le Commissioni
tributarie, di natura «amministrativa e non giurisdizionale», evitando in tal modo di pronunciarsi sulla violazione
del principio di indipendenza a loro riguardo.
Successivamente alla loro revisione, nel 1972, la Consulta ha invece affermato la natura giurisdizionale delle
stesse, in quanto «la nuova legislazione imponendo all'interprete di considerare giurisdizionale il procedimento
che si svolge davanti alle nuove commissioni – esclude che, nell'interpretare la legislazione precedente, si possa
attribuire alle vecchie commissioni natura semplicemente amministrativa».
Attualmente, vi sono in 1° Commissioni tributarie provinciali, con sede presso il capoluogo di ciascuna Provincia,
e in 2° Commissioni tributarie regionali, con sede presso il capoluogo di ciascuna Regione.
Avverso le decisioni delle Commissioni provinciali si può proporre ricorso in appello alle Commissioni regionali e,
avverso le decisioni delle Commissioni regionali, dinanzi alla Corte di Cassazione per motivi di legittimità.
Infine, può essere proposto ricorso per revocazione contro quelle sentenze delle Commissioni tributarie che
comportino accertamenti di fatto dimostratisi erronei, che non sono ulteriormente impugnabili oppure che non
sono state impugnate.

Anche la giustizia tributaria è dotata di un proprio organo di garanzia, che ne assicura l'indipendenza: il Consiglio
di presidenza della giustizia tributaria, che adotta tutti i provvedimenti relativi ai componenti delle Commissioni
tributarie.
Il Consiglio è eletto ogni 4 anni ed è formato da 15 componenti: 11 membri togati eletti dai giudici tributari e 4
membri laici (professori ordinari di università in materie giuridiche o soggetti abilitati alla difesa dinanzi alle
Commissioni tributarie che risultino iscritti ai rispettivi albi professionali da almeno 12 anni), eletti 2 dal Senato
della Rep. e 2 dalla Camera dei deputati, a maggioranza assoluta dei componenti.
Il Consiglio elegge il proprio presidente (scelto tra uno dei componenti di nomina parlamentare) e 2 vicepresidenti.

Vi è il Tribunale superiore delle acque pubbliche, la cui disciplina è tuttora contenuta nel decreto del 1933, n.
1775 (Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici).
Esistono anche Tribunali regionali delle acque pubbliche (8), che giudicano in 1° sui diritti soggettivi rivendicati in
materia. Essi sono sezioni specializzate delle Corti d'appello, formate da 5 magistrati ordinari e 3 esperti, che
assumono le loro decisioni in composizione di 3 membri (2 magistrati ordinari e 1 tecnico).

Giudice speciale è, invece, il Tribunale superiore delle acque pubbliche, che opera come giudice di appello sui
diritti soggettivi vantati in materia e, nei casi previsti dalla legge, quale giudice di unico grado di tipo
amministrativo per la tutela degli interessi legittimi in materia. È un organo misto, composto complessivamente
da un P. (che è magistrato di Cassazione), un P. supplente, 4 consiglieri di Stato, 4 magistrati scelti tra i consiglieri
di Cassazione e 3 esperti, iscritti nell'albo degli ingegneri: come giudice d'appello decide in composizione di 5
membri; come giudice di unico grado in composizione di 7 membri.

14. LA TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI E IL “GIUSTO PROCESSO”


Accanto ai principi di organizzazione del sistema giudiziario, la Costituzione ne detta altri.
All'art. 24 sono sanciti il diritto di azione in giudizio, in forza del quale «tutti possono agire in giudizio per la tutela
dei propri diritti e interessi legittimi», e il diritto di difesa, per cui «la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e
grado del procedimento».
Il diritto di azione implica l'illegittimità di ogni limitazione del ricorso alla tutela giudiziaria di situazioni giuridiche
soggettive, che non risulti giustificata dall'interesse pubblico a un ordinato svolgimento dei processi ovvero dalla
necessità di evitare abusi nelle iniziative volte a provocare l'intervento degli organi giurisdizionali.
Il diritto di difesa, ha natura di diritto inviolabile ex art. 2 Cost.

Poiché l'ostacolo più concreto all'esercizio dei diritti di azione e di difesa è rappresentato dai costi della tutela
giurisdizionale, l'art. 24 si preoccupa di affermare che «sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi
per agire e difendersi davanti a ogni giurisdizione». Il legislatore vi ha provveduto compiutamente con l'istituzione
del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti (L. 1990 e d.P.R. 2002).
Inoltre è proclamato il principio secondo cui «nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per
legge» (art. 25). Tale principio intende garantire l'imparzialità del giudice stabilendo che l'organo giudicante sia
individuato per legge (riserva di legge) “in base a criteri generali fissati in anticipo e non in vista di determinate
controversie; con riferimento cioè a fattispecie astratte”.

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La Corte cost. ha chiarito che la L. può prevedere meccanismi di sostituzione del giudice inizialmente individuato
quando si manifestino o siano prevedibili gravi turbamenti della pubb. tranquillità e della pacifica convivenza dei
cittadini, o quando siano state poste in essere condotte volte a influire sul regolare svolgimento del processo.

In seguito ad una revisione costituzionale del 1999, sono stati introdotti nel testo dell'art. 111 Cost. anche i princìpi
del "giusto processo", ripresi dall'art. 6 della CEDU. La Corte cost. aveva già fatto riferimento a questo concetto in
alcune sentenze definendo il «giusto processo» come «la formula in cui si riassumono i principi che la Cost. detta
in ordine ai caratteri della giurisdizione, sotto il profilo sogg. e ogg., quanto ai diritti di azione difesa in giudizio».
Ora, il nuovo art. 111 Cost. individua alcuni princìpi valevoli per ogni processo e ulteriori e più specifiche regole
riferite al processo penale, la cui attuazione è in ogni caso riservata al legislatore ordinario.

a) Con riguardo ad ogni processo, è posta una riserva di legge per la sua disciplina, quindi sono affermati i principi
del contraddittorio, della “parità delle armi" tra le parti, del giudice terzo e imparziale e della ragionevole durata
del processo. Altro principio fondamentale è costituito dall'obbligo di motivazione dei provvedimenti
giurisdizionali, al duplice scopo di consentire alla parte soccombente (sconfitta) di impugnare il provvedimento
che reputi ingiusto dinanzi a un organo giurisdizionale di grado superiore e di consentire un controllo d'opinione
diffuso sull’azione dei giudici. L’obbligo di motivazione è funzionale al ricorso in Cassazione per motivi di
legittimità, sempre ammesso nei confronti delle sentenze e dei provvedimenti in materia di libertà personale.

b) Con riguardo al processo penale, le regole poste dall'art. 111 Cost. sono più dettagliate: il giusto processo
penale si arricchisce del «principio del contraddittorio nella formazione della prova», derogabile solo con il
consenso dell'imputato ovvero quando sussistano ragionevoli motivi.

Mentre il ricorso alla Corte di Cassazione in materia di libertà personale trova un'esplicita garanzia cost. (art. 111),
altrettanto non può dirsi per il c.d. doppio grado di giurisdizione di merito, cioè per il sistema che affida a due
gradi di giudizio l'accertamento dei controversi. La sua realizzazione è rimessa alle scelte del legislatore, trovando
quindi solo nella legge ordinaria riconoscimento e garanzia.
La Corte cost. ha dichiarato l'incostituzionalità di disposizioni legislative che escludevano il ricorso in appello in
determinati casi, sottolineando che il legislatore non può irragionevolmente limitare il ricorso ad un mezzo
generale di esercizio del diritto di difesa senza specifici e seri motivi.

Anche la materia penale è oggetto di particolare attenzione da parte della Cost. Ad essa sono dedicati i principi:
a) di stretta legalità (art. 25);
b) della personalità della responsabilità penale (art. 27);
c) di presunzione di non colpevolezza (art. 27, 2°C);
d) della finalità rieducativa della pena (art. 27, 3°C).

a) Il principio di stretta legalità della norma penale – secondo cui «nessuno può essere punito se non in forza di
una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso» - comporta:
-la determinatezza della norma penale, affinché siano chiare le condotte vietate e le sanzioni stabilite;
-la tassatività della norma penale, affinché sia precluso l'arbitrio del giudice nell'app. della sanzione penale;
-l'irretroattività della norma penale, affinché sia impedito l'arbitrio del legislatore nel punire una condotta
commessa quando non costituiva ancora reato.

b) Il principio per cui «la responsabilità penale è personale», art. 27 → ribadisce il divieto di responsabilità per
fatto altrui e stabilisce che la responsabilità penale richiede un nesso di colpevolezza, ogg. e sogg., con il fatto
commesso.

c) Il principio della presunzione di non colpevolezza, art. 27 (per cui «l’imputato non è considerato colpevole sino
alla condanna definitiva»), esprime un valore di Civiltà giuridica e l'esigenza processuale dell'attribuzione
dell'onere della prova a carico dell'accusa: non è l'imputato che deve provare la propria innocenza, ma l'accusa
che deve provare la sua colpevolezza.

d) Il principio della finalità rieducativa della pena, art. 27, pur senza negare il carattere afflittivo delle sanzioni
penali si richiede che esse abbiano come finalità primaria il reinserimento, a fine pena, del colpevole nella
comunità, attraverso la rieducazione ai valori su cui si fonda la società civile.

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Per questo, nel 2021 la Corte cost. ha dichiarato in contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost. (nonché con l'art. 3 della
CEDU) il c.d. ergastolo ostativo, che preclude in modo assoluto ai condannati di mafia, che non abbiano
collaborato con la giustizia, di accedere alla liberazione condizionale.
Tuttavia, la Consulta ha rinviato la decisione finale sulla questione di costituzionalità al maggio 2022, per
consentire al legislatore di adottare nel frattempo i necessari interventi normativi.

CORTE COSTITUZIONALE
1. IL CONTROLLO DI COSTITUZIONALITA’ DELLE LEGGI
La Cost. repubblicana è rigida ma anche dotata di efficaci strumenti di controllo del suo rispetto da parte di tutte
le fonti del diritto subordinate, in particolare della legge e degli atti ad essa equiparati, che pure sono la max.
espressione della volontà generale della comunità e dei suoi rappresentanti.

In precedenza non esisteva in Italia un controllo di costituzionalità delle leggi ordinarie, in quanto queste erano
ritenute capaci di derogare allo Statuto Albertino. Una volta optato per una Cost. rigida e per l'istituzione di un
controllo di legittimità cost. in forme giurisdizionali (in aggiunta a quello di tipo tecnico-politico affidato al P. della
R. prima della promulgazione delle leggi e dell'emanazione degli atti con forza di legge) l'Assemblea Costituente
dovette scegliere fra 2 modelli di giustizia costituzionale: il sistema diffuso, nato negli Stati Uniti d'America, e
quello accentrato, sviluppatosi in alcuni Paesi europei sulla base delle teorizzazioni del giurista Hans Kelsen.

Modello diffuso: il controllo è effettuato da tutti gli organi giudiziari che qualora si trovino ad applicare una norma
di legge e ne accertino l'incostituzionalità, devono disapplicarla e decidere la controversia tenendo conto della
norma o del principio ricavabile in proposito dalla Cost. La disapplicazione ha, però, effetti limitati al caso concreto,
la legge non viene espunta dall'ordinamento ma potrà essere applicata da altri giudici che non la reputino
incostituzionale. Tale sistema si è affermato nell'800 negli Stati Uniti d'America.
Una legge in contrasto con la Cost. «non è legge», cioè è giuridicamente invalida, ed il giudice è tenuto a non farne
applicazione.

Dopo la prima guerra mondiale, è stato introdotto in alcuni Paesi europei un secondo modello, di tipo accentrato,
che prevede che il controllo in questione sia compiuto da un organo ad hoc, non appartenente al Potere
giudiziario, il quale può accertare l'incostituzionalità della legge, abrogandola o addirittura annullandola con
effetti erga omnes, come fosse un "legislatore negativo": la legge, in quanto espunta dall'ordinamento, non può
più trovare applicazione in nessun caso.

I Costituenti italiani hanno scelto il modello accentrato: essi hanno preferito creare un apposito organo di giustizia
costituzionale → Corte costituzionale (ma chiamato anche Consulta, dal nome dell'organo che occupava in origine
il palazzo dove è ospitato), deputato a decidere sulla costituzionalità delle leggi ordinarie in via esclusiva, in unica
istanza e con effetti erga omnes, piuttosto che affidare questo compito ai giudici ordinari (e speciali). Ciò per
ragioni inerenti al nostro sistema giurisdizionale: per il rischio di pronunce opposte da parte di differenti organi
giudiziari e per il timore dell'incertezza che vi sarebbe stata in attesa della pronuncia in merito della Cassazione.
Ma anche per i dubbi circa l'attitudine a cogliere appieno lo sfondo politico delle scelte legislative da parte dei
magistrati ordinari e speciali e dei magistrati che in concreto operavano nel dopoguerra, formatisi sotto il fascismo
e ritenuti poco aperti alle novità che la Cost. repubblicana stava per introdurre.
La scelta di un sistema accentrato è stata parzialmente corretta subito dopo l'approvazione della Carta cost., con
l'adozione (da parte della stessa Assemblea Costituente) della L. cost. n. 1 del 1948, che ha affidato ai giudici
ordinari e speciali il compito di effettuare un primo sommario esame della questione di legittimità costituzionale,
verificandone la rilevanza ai fini del giudizio a quo e la non manifesta infondatezza, e facendo in tal modo da filtro
rispetto alle richieste indirizzate alla Corte costituzionale.

2. STRUTTURA DELLA CORTE COSTITUZIONALE


L’organo è formato da 15 autorevoli giuristi, provenienti da diverse esperienze professionali (giudici, avvocati,
professori universitari) e scelti da 3 diversi Poteri dello Stato: per 1/3 dal Parlamento a maggioranza qualificata,
quindi con il coinvolgimento dell'opposizione; per 1/3 dal P. della R.; per 1/3 dalle supreme magistrature ordinaria
e amministrative (Corte di Cassazione, Consiglio di Stato, Corte dei conti).
In tal modo a composizione della Corte cost. garantisce la competenza tecnica e l'attenzione dei membri verso il
carattere politico delle leggi e mira ad escludere che i giudici siano espressione delle forze politiche.

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Le modalità di nomina dei membri della Corte sono stabilite dalla L. cost. 2 del 1967 e dalla L. ordinaria 87 del
1953. I giudici di espressione parlamentare sono eletti dal Parlamento in seduta comune, a scrutinio segreto, con
la > dei 2/3 dei componenti nelle prime 3 votazioni e con > dei 3/5 dei componenti.
I giudici di nomina presidenziale sono scelti dal Capo dello Stato con proprio decreto, controfirmato dal P. del
Consiglio. I giudici scelti dalle supreme magistrature – 3 dalla Corte di Cassazione, 1 dal Consiglio di Stato ed 1
dalla Corte dei conti – sono eletti dai magistrati di ciascuna Corte a > assoluta, eventuale ballottaggio tra i candidati
che abbiano riportato il maggior n° di voti al primo turno.

Per quanto riguarda i requisiti di professionalità richiesti, la Cost. prescrive che «i giudici della Corte cost. sono
scelti tra i magistrati delle giurisdizioni superiori ordinaria e amministrative, i professori ordinari di università in
materie giuridiche e gli avvocati dopo 20 anni di esercizio»

Molto spesso i candidati espressi dal Parlamento e dal P. della R. sono avvocati o professori universitari, mentre
quelli eletti dalle supreme magistrature provengono dai ranghi delle stesse. Non di rado i membri eletti dal
Parlamento sono stati in passato deputati o senatori.
Nei giudizi di accusa nei confronti del P. della R., la composizione della Corte cost. è integrata con la presenza di
16 giudici aggregati, i quali sono tratti a sorte «da un elenco di cittadini aventi i requisiti per l'eleggibilità a
senatore, che il Parlamento compila ogni 9 anni mediante elezione con le stesse modalità stabilite per la nomina
dei giudici ordinari» (art. 135).
Si è voluto che la > del collegio sia formata da "maturi" cittadini, sul modello della Corte d'assise (composta da
giudici togati e cittadini comuni) cui è assegnato il compito di giudicare sui reati più gravi. Dato l'alto tasso di
politicità dei reati di alto tradimento e attentato alla Cost. addebitati al Capo dello Stato, si è voluto consentire
che la Corte venisse integrata con membri aggregati dotati di ampia sensibilità politica.

Al fine di garantire l'indipendenza dei giudici cost. e la stabilità della Corte, la Cost. dispone una lunga durata del
loro mandato, superiore a quella dei parlamentari e del P. della R. In origine, l'ufficio di giudice cost. durava 12
anni, ora ridotti a 9 dalla legge cost. n. 2 del 1967. È prevista la gradualità del rinnovo del collegio.
È vietata la loro rielezione (art. 135). La Cost. prescrive che la stessa Corte cost. elegga il proprio P., il quale resta
in carica 3 anni ed è rieleggibile (sempre che non scada nel frattempo dal suo mandato novennale di giudice):
spesso viene scelto il giudice più anziano in ruolo, in considerazione dell'esperienza acquisita, anche se in tal modo
riesce a rimanere in carica solo per pochi mesi.
Il Presidente è un primus inter pares: soltanto in caso di parità negli schieramenti interni il suo voto è decisivo.
I suoi compiti riguardano l'organizzazione dei lavori, la direzione delle udienze e delle sedute in camera di
consiglio, l'assegnazione ai singoli giudici del compito di riferire al collegio sulle singole cause e di redigere poi la
bozza di decisione.
Il funzionamento della Corte cost. è informato al principio di collegialità, in base al quale ogni decisione è discussa
e adottata dal plenum (eventualmente a >), su relazione di un giudice, e la decisione, redatta da uno dei membri,
viene letta e approvata dall'intero collegio. Attualmente non è prevista possibilità per i giudici contrari alla
decisione di redigere una motivazione «dissenziente» o «concorrente».

2.2. L’INDIPENDENZA DELLA CORTE E DEI SUOI GIUDICI


I giudici costituzionali godono di prerogative a garanzia della propria indipendenza:
a) l'inamovibilità: non possono essere rimossi né sospesi dal loro ufficio se non con decisione della stessa Corte,
adottata con la > dei 2/3 dei presenti, per sopravvenuta incapacità fisica o civile o per gravi mancanze nell'esercizio
delle loro funzioni;
b) l'insindacabilità: non sono sindacabili, né possono essere perseguiti per le opinioni espresse e i voti dati
nell'esercizio delle loro funzioni;
c) l'immunità: finché durano in carica, godono della stessa immunità accordata dal 2° comma dell'art. 68 Cost. ai
membri delle due Camere, ma la relativa autorizzazione a procedere è data dalla Corte costituzionale;
d) retribuzione mensile, che non può essere inferiore a quella del più alto magistrato della giurisdizione ordinaria
ed è determinata con legge.

A favore della Corte sono, poi, riconosciute ulteriori garanzie, analoghe a quelle previste per i 2 rami del
Parlamento: i) l'autonomia finanziaria, amministrativa e regolamentare; ii) il potere di verifica dei titoli di
ammissione dei propri membri, a > assoluta; iii) l’inviolabilità della sede, nella quale non può entrare la forza
pubblica se non per ordine del suo Presidente.

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3. LE FUNZIONI DELLA CORTE
Il ruolo della Corte cost. è di garantire il rispetto della Cost. e della sua rigidità da parte di ogni Potere dello Stato
(incluso il corpo elettorale), come si evince già dalla sua collocazione nel Titolo VI della Parte II della Carta
fondamentale, denominato «Garanzie costituzionali».
La funzione di garante della Cost. colloca la Consulta al di fuori della tradizionale tripartizione dei Poteri dello
Stato, così com'e per il P. della R., anch'esso organo di garanzia cost.

L'art. 134 Cost. e la L. cost. n. 1 del 1953 assegnano alla Corte 4 attribuzioni:
a) giudicare sula cost. delle leggi e degli atti aventi forza di L. dello Stato e delle Regioni (nonché delle Province
autonome Trento e Bolzano), verificando se siano conformi alle norme e ai principi sanciti dalla Cost.;
b) giudicare sui conflitti di attribuzione che possono sorgere fra i Poteri dello Stato (c.d. conflitti inter-organici)
oppure fra lo Stato e le Regioni o fra Regioni o Province autonome (c.d. conflitti intersoggettivi) decidendo a quale
Potere o a quale ente spetti l'attribuzione contestata;
c) giudicare, in composizione integrata, sulle accuse di alto tradimento o attentato alla Costituzione mosse al
Presidente della Repubblica dal Parlamento in seduta comune;
d) giudicare sull'ammissibilità delle richieste di referendum abrogativo di leggi e di atti con forza di legge statali.

4. IL MODELLO ITALIANO DI GIUDIZIO SULLE LEGGI


Il nostro sistema di giustizia cost. prevede che i giudizi sulle leggi possano essere instaurati tanto in via incidentale
o indiretta, quanto in via principale o diretta (ad opera solo dello Stato e delle Regioni).
In Assemblea Costituente furono proposte varie modalità per investire la Consulta delle questioni di legittimità
costituzionale: i) la via incidentale, grazie a cui la questione, sollevata nel corso di un giudizio concreto, sarebbe
stata decisa dalla Corte con effetti limitati a quel solo giudizio, salvo la possibilità di loro estensione erga omnes
su richiesta di alcuni sogg. qualificati; ii) l'azione diretta del singolo nei confronti della legge incostituzionale entro
un termine da definire (giudizio in via principale e astratto, inizialmente sostenuto da molti Costituenti); iii) il
ricorso da parte di diversi sogg. pubblici (un certo numero di cittadini, di Consigli regionali o di enti qualificati,
secondo il "progetto Patricolo”).

«Una L. costituzionale stabilisce le condizioni, le forme, i termini di proponibilità dei giudizi di legittimità
costituzionale» (art. 137 Cost.). L'art. 137 Cost. è stato, poi, attuato subito dalla L. cost. n. 1 del 1948 che prevede
una forma di accesso incidentale, e non diretto, da parte di cittadini o di sogg. pubblici: «la questione di legittimità
costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge della Rep., rilevata d'ufficio o sollevata da una delle
parti nel corso di un giudizio e non ritenuta dal giudice manifestamente infondata, è rimessa alla Corte cost. per
la sua decisione». Spetta ai giudici comuni la selezione e la proposizione delle questioni, dopo averne fatto un
primo sommario esame.
La riserva dell'iniziativa a qualsiasi giudice condizione necessaria perché la Consulta si attivi – tende a rendere
"misto" il sistema italiano, cioè intermedio tra quello accentrato puro e quello diffuso.
L'altra forma di accesso, in via principale o diretta, è riservata allo Stato (originario art. 127) e alle Regioni,
legittimate dall'art. 2 della legge cost. n. 1 del 1948 a ricorrere direttamente contro una L. dello Stato o di un'altra
Regione successivamente alla sua approvazione.

5. IL GIUDIZIO IN VIA INCIDENTALE


A parte la facoltà di ricorso diretto da parte dello Stato e delle Regioni, la questione di costituzionalità, ossia la
domanda circa la conformità o meno di una norma legislativa ad una norma cost., deve sorgere nel corso di un
giudizio, cioè in occasione dell’applicazione concreta della L.
Essa può essere eccepita (o sollevata) da una delle parti del giudizio, compreso il p.m., oppure può essere rilevata
d'ufficio dal giudice.
Spetta, poi, al giudice rivolgersi alla Consulta, dopo aver verificato che sussistano le condizioni di proponibilità
della questione (la rilevanza e la non manifesta infondatezza).

5.1. LA NOZIONE DI GIUDICE E DI GIUDIZIO


Le modalità per accedere alla Corte cost. in via incidentale sono precisate dall'art. 1 della L. cost. n. 1 del 1948 e
dall'art. 23 della L. attuativa 11 marzo 1953, n. 87: ai sensi dell’art. 1, la questione può essere sollevata «nel corso
di un giudizio», mentre, per il citato art. 23, la questione può essere sollevata «nel corso di un giudizio dinanzi a
un'autorità giurisdizionale». Pertanto, per sollevare una questione in via incidentale occorre che sussistano i
requisiti soggettivo e oggettivo.

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Infatti: per giudice non deve intendersi soltanto un'autorità giurisdizionale incardinata nell'ordinamento
giudiziario bensì qualunque organo chiamato ad assumere una decisione in modo terzo e imparziale, in
contraddittorio tra le parti interessate; per giudizio non deve intendersi soltanto un processo, o comunque un
procedimento in forma giurisdizionale, bensì qualsiasi sede in cui un organo giudicante assume una decisione
facendo obiettiva applicazione di norme giuridiche.

Nei primi tempi la Corte cost. ritenne che potesse essere sufficiente anche uno solo dei 2 requisiti. Vennero
considerate ammissibili questioni sollevate nell'ambito di un qualsiasi procedimento qualificabile come giudizio
(criterio oggettivo) o sollevate in procedimenti non giurisdizionali che si svolgevano davanti a un organo
appartenente all'ordinamento giudiziario (criterio soggettivo).
La Consulta ha, così, riconosciuto la legittimazione a sollevare questioni di costituzionalità di vari organi tra cui in
particolare: la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura; il Consiglio Nazionale Forense, la
Corte dei conti in sede di controllo preventivo e di parificazione del rendiconto dello Stato.

A partire dagli anni '80 ("processo Lockheed"), la giurisprudenza cost. è divenuta + rigorosa, esigendo la presenza
di entrambi i requisiti di giudice e di giudizio. Non sono, comunque, mancate eccezioni: in particolare, la Consulta
ha ritenuto sufficiente la sussistenza del requisito oggettivo rispetto agli arbitri rituali, che operano secondo le
norme del c.p.c.

5.2. LA RILEVANZA DELLA QUESTIONE


Come richiesto dalla L. n. 87 del 1953 e dalla logica del sindacato incidentale, un giudice può adire la Corte cost.
solo «qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di
legittimità costituzionale».
La nozione di rilevanza si può considerare come il nesso di pregiudizialità intercorrente tra il giudizio cost. e il
giudizio "a quo" (“da cui" nasce e proviene la questione di legittimità cost.): infatti, senza la risoluzione da parte
della Consulta della questione, che si pone come "incidente" rispetto al corso del procedimento a quo,
quest'ultimo non può essere definito.
La questione di costituzionalità può dirsi rilevante quando ha ad oggetto una norma di legge che il giudice deve
applicare per la prosecuzione o la definizione del giudizio, sempre che la decisione della Corte cost. sulla
fondatezza o meno del dubbio influisca su tale definizione.
Il controllo della Corte cost. si è fatto + rigoroso dalla fine degli anni '80. Si è consolidato l'orientamento che
richiede tanto la sussistenza della rilevanza, quanto una motivazione circa tale sussistenza.
La Corte può dichiarare inammissibile la questione anche quando il giudice a quo abbia omesso di motivare in
modo adeguato circa la sussistenza della rilevanza.

La questione è irrilevante anche per difetto di attualità, ossia se riguarda una norma che il giudice non deve
applicare in quello stadio del processo. In tal caso la decisione della Corte cost. sarebbe inutiliter data rispetto al
giudizio a quo, perché non produrrebbe alcun effetto su di esso.

Non sono ammissibili:


-né questioni premature, sollevate da giudici che non devono applicare quella norma, che potrà trovare
applicazione in una fase successiva;
-né questioni tardive, sollevate dal giudice che abbia già utilizzato la norma della cui legittimità dubita.

Dubbi sulla sussistenza della rilevanza si sono posti per le questioni aventi ad ogg. norme penali di favore: infatti,
anche se tali norme fossero dichiarate illegittime, il giudice a quo dovrebbe utilizzarle nel caso specifico, non
potendo far ricorso alle norme generali, meno favorevoli perché ciò violerebbe il principio di irretroattività delle
norme penali in malam partem. Quindi la pronuncia della Consulta, non influenzando il giudizio a quo,
sembrerebbe inutile.
Invece, la Corte cost. ha ritenuto ammissibili questioni di legittimità su norme penali di favore, perché la successiva
applicazione di queste ultime nel giudizio a quo dipende dalla successione delle leggi penali del tempo, che è
regolato dal principio dell'irretroattività delle norme penali.

Va ricordato quello che accade se, dopo che sia stata sollevata una questione di legittimità costituzionale,
sopravvengano fatti o norme nuovi.
Al riguardo, occorre distinguere:

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a) nel caso in cui gli eventi sopravvenuti riguardino il processo a quo, la Consulta non dichiara l'inammissibilità
della questione per sopravvenuto difetto di rilevanza, in quanto tale requisito deve sussistere al momento della
rimessione della questione alla Corte;
b) nell'ipotesi di c.d. ius superveniens, ossia di novità nella normativa applicabile al caso, la Consulta rimette con
ordinanza gli atti al giudice a quo, affinché egli proceda a una valutazione circa la rilevanza della questione di
costituzionalità. Il giudice potrà sollevare nuovamente la questione soltanto se ritenga che le nuove norme non si
applichino al caso sottoposto al suo esame oppure se anche per esse si pongano dubbi di legittimità costituzionale.

5.3. LA NON MANIFESTA INFONDATEZZA DELLA QUESTIONE


Affinché una questione di legittimità cost. sia sottoposta alla Consulta occorre che sia rilevante e che sia «non
ritenuta dal giudice manifestamente infondata».
Il requisito della non manifesta infondatezza è un «filtro di merito» giustificato dall'esigenza di evitare che
l'incidente di costituzionalità possa essere utilizzato dalle parti del giudizio a quo a meri scopi dilatori o che la
Corte debba attardarsi a giudicare un ampio numero di questioni infondate.
L'espressione "non manifesta infondatezza" (doppia negazione) non equivale al significato affermativo di
“manifesta fondatezza", o di "fondatezza", ma implica il dubbio che la norma legislativa, da applicare nel giudizio
a quo, sia incostituzionale. Non è necessario che il giudice sia convinto della fondatezza della questione, ma solo
che esistano ogg. ragioni di incertezza sulla compatibilità della norma di legge con una o più norme della Cost.
Riguardo alla non manifesta infondatezza il giudice a quo dovrà operare una valutazione prima facie, ossia senza
approfondire analiticamente il problema, perché altrimenti andrebbe ad invadere la giurisdizione esclusiva della
Corte cost. a dichiarare la fondatezza o meno delle questioni sollevate.

Trattandosi di valutazioni prima facie, non può escludersi che vengano ritenute manifestamente infondate
questioni che non lo sono. Ma sarà possibile eccepire nuovamente la medesima questione in ogni stato e grado
dello stesso procedimento. La Consulta verifica che il giudice a quo abbia operato un'adeguata valutazione
attraverso la motivazione contenuta nell'ordinanza di rimessione.
Il giudice deve motivare anche la decisione opposta, con cui respinga l'eccezione di illegittimità cost. per manifesta
infondatezza o per irrilevanza.

Per poter sollevare una questione di costituzionalità occorre un'altra condizione: è la c.d. interpretazione
adeguatrice (o conforme) a Cost. della norma di legge, che va tentata dal giudice a quo prima di sollevare la
questione.
La giurisprudenza cost. è da tempo ferma nel richiedere che, tra 2 possibili interpretazioni di una disposizione di
L., si opti per quella compatibile con la Cost.
Emblematica è la massima per cui, «in linea di principio, le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime
perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali, ma perché è impossibile darne interpretazioni
costituzionali».

5.4. IL CONTENUTO DELL’ORDINANZA DI RIMESSIONE E LA TIPOLOGIA DEI VIZI SINDACABILI


Dopo aver verificato la sussistenza della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione, e dopo aver
tentato l'interpretazione adeguatrice, il giudice a quo redige un'ordinanza di rimessione degli atti alla Corte cost.,
nella quale: espone i termini e i motivi della questione, illustrando i fatti di causa; indica norme di legge ordinaria
oggetto del dubbio di costituzionalità; indica norme cost. che ritiene violate; motiva sulla sussistenza della
rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione; sospende il giudizio a quo, fino alla decisione della
Corte cost.
È frequente che la questione di costituzionalità venga posta con riferimento a una pluralità di profili, cioè di ragioni
che fanno dubitare della compatibilità della norma di legge con norme costituzionali. La Consulta dovrà
pronunciarsi su ognuno di essi, fino a dichiararli tutti infondati: quando la fondatezza di uno di essi conduca a
dichiarare la norma illegittima, la Corte può evitare di proseguire nell'analisi degli ulteriori profili indicati dal
giudice a quo, perché il loro accoglimento o il loro rigetto non cambierebbe le cose.

Nell'ordinanza di rimessione è definito l'oggetto del giudizio di costituzionalità (thema decidendum), su cui la
Corte cost. è vincolata a pronunciarsi, in base al principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.
La Consulta opera talvolta delle correzioni rispetto all'impostazione del giudice, dalla quale ricava gli elementi
necessari a formulare la sua decisione.

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In rari casi può ampliare l'oggetto del giudizio, potendo: sollevare davanti a sé stessa questioni di legittimità cost.
collegate, o dichiarare l'illegittimità consequenziale (ossia come inevitabile conseguenza) di ulteriori norme,
diverse da quella censurata dal giudice a quo.
Il thema decidendum deve essere precisamente definito, con l'indicazione della norma oggetto (ossia la norma
ordinaria della cui legittimità si dubita) e della norma parametro (cioè la norma cost. che si ritiene violata).
Il dubbio di legittimità cost. può riguardare solo alcune parti del contenuto normativo e non l'intera disposizione:
in tal caso, la questione sarà sollevata “nella parte in cui essa prevede qualcosa” oppure “nella parte in cui non
prevede qualcosa” che, al contrario, dovrebbe contemplare.

Invece, non si possono porre in modo alternativo più questioni, cioè ipotizzare differenti interpretazioni della
disposizione legislativa che conducano a diverse questioni, o richiedere alla Consulta di risolvere un dubbio solo
interpretativo.

Ai sensi dell'art. 134 Cost., possono costituire oggetto di una questione di costituzionalità norme di leggi e di atti
aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni. Sono censurabili anche le L. cost. rispetto ai principi supremi della
Cost. o con riguardo al loro procedimento di approvazione. Invece, sono esclusi gli atti normativi subordinati alla
legge (es. regolamenti), sui quali il controllo di legittimità spetta al giudice comune (amm. oppure ordinario).
La Corte cost. ha escluso la sindacabilità dei regolamenti parlamentari, adottati da ciascuna Camera ai sensi
dell'art. 64 Cost.

Nell'ordinanza di rimessione il giudice a quo deve indicare la norma della cui costituzionalità dubita, segnalando
la disposizione da cui la trae. Infatti, la questione di legittimità costituzionale riguarda le norme (ossia le regole di
condotta) che si ricavano dalle disposizioni (ovvero dagli articoli e commi) attraverso l'interpretazione: perciò la
Corte cost. «giudica su norme, ma si pronuncia su disposizioni».
Può accadere che da una singola disposizione possano trarsi + norme, fra le quali bisognerà operare una scelta, o
può darsi che una norma possa desumersi non da una, ma da 2 o + disposizioni (c.d. combinato disposto).
Nella sua attività interpretativa il giudice a quo deve tener conto del criterio dell'interpretazione adeguatrice e
del "diritto vivente", cioè di un'interpretazione consolidata della disposizione di cui si dubita. Di fronte al diritto
vivente il giudice a quo si trova vincolato nell'individuazione della norma da utilizzare, per cui la deve applicare,
se non dubita' della sua legittimità, oppure deve sollevare la questione di costituzionalità.

La questione può essere sollevata anche con riferimento indiretto a una norma cost., quando a essere violata è
una norma di rango sub-costituzionale alla quale la Cost. attribuisce efficacia vincolante nei confronti degli atti
legislativi ordinari. Tale norma costituisce un parametro interposto in quanto la sua violazione si traduce in
un'indiretta lesione della Cost. Es. di parametri interposti: i) la L. delega rispetto al d.lgs., ii) i principi fondamentali
stabiliti dalle leggi dello Stato nelle materie di potestà legislativa concorrente, iii) i trattati internazionali.

I vizi sindacabili vengono distinti in:


-vizi formali (o procedurali), consistenti nel mancato rispetto delle regole che disciplinano il procedimento di
formazione dell'atto normativo;
-vizi sostanziali (o materiali), concernenti i contenuti della norma oggetto della questione, che risultano in
contrasto con i contenuti sostanziali della norma parametro.
In dottrina è stata individuata una 3° categoria: il vizio di competenza, che ricorre quando un atto normativo sia
adottato da un sogg. diverso da quello costituzionalmente competente.

5.5. IL PROCESSO COSTITUZIONALE


L'ordinanza di rimessione va: notificata alle parti del giudizio a quo e al pubblico ministero; notificata al P. del
Consiglio dei ministri (che rappresenta lo Stato) o al P. della Giunta regionale (rappresentanza della Regione) e
comunicata ai Presidenti delle due Camere o al P. del Consiglio regionale interessato; pubblicata sulla G.U. e,
quando occorra, sul Bollettino Ufficiale della Regione, affinché tutti possano sapere che è stato sollevato un
dubbio di costituzionalità nei confronti di una determinata norma di legge.

Entro il termine 20g dalla notificazione dell'ordinanza, possono costituirsi (ossia intervenire) nel giudizio cost, per
sostenere le proprie ragioni, tanto le parti del giudizio a quo, quanto il P. del Consiglio dei ministri, in nome dello
Stato, o il P. della Giunta regionale, in nome della Regione.

69
Nel processo cost. sorto in via incidentale l'instaurazione del contraddittorio è del tutto eventuale, perché il
giudizio della Consulta ha luogo anche se le parti decidono di non costituirsi: si può dire che si tratti di un giudizio
a parti eventuali od anche senza parti.
La L.87/1953 non stabilisce nulla in merito alla possibilità che altri soggetti, diversi da quelli costituiti nel giudizio
a quo ed a cui viene notificata l'ordinanza di rimessione, partecipino al processo davanti alla Corte cost., salvo
prevedere che «gli organi dello Stato e delle Regioni hanno diritto di intervenire in giudizio».
La Consulta ha ammesso l'intervento di i) soggetti individuali che abbiano un rapporto qualificato con l'oggetto
del giudizio a quo, nonché ii) associazioni e istituzioni portatrici di interessi collettivi o diffusi specificamente
coinvolti nella questione di costituzionalità.

Nel 2020, la Consulta ha modificato le "Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte cost.", prevedendo che:
«nei giudizi in via incidentale possono intervenire i titolari di un interesse qualificato, inerente in modo diretto e
immediato al rapporto dedotto in giudizio»; «Le formazioni sociali senza scopo di lucro e i soggetti istituzionali,
portatori di interessi collettivi o diffusi attinenti alla questione di costituzionalità, possono presentare alla Corte
cost. un'opinione scritta», senza assumere la qualità di parte nel giudizio (c.d. amici curiae); «Con decreto del P.,
sentito il giudice relatore, sono ammesse le opinioni che offrono elementi utili alla conoscenza e alla valutazione
del caso, anche in ragione della sua complessità»

Per quanto riguarda lo svolgimento del processo cost., il P. della Corte nomina uno dei componenti dell'organo
relatore della questione di fronte a tutto il collegio e fissa la data della discussione, che può avvenire in udienza
pubblica oppure in camera di consiglio.
La Corte cost. decide direttamente in camera di consiglio (senza la presenza di altri sogg.): i) quando non ci siano
parti costituite, non considerandosi a tali fini il solo P. del Consiglio dei ministri, oppure ii) quando la questione
appaia prima facie di agevole soluzione nel senso della manifesta inammissibilità o della manifesta infondatezza.
In tutte le altre ipotesi, la Consulta decide la questione previa discussione in udienza pubblica, alla quale può
assistere il pubblico e possono partecipare le parti costituite e gli intervenuti. Costoro possono depositare proprie
memorie o produrre documenti presso la cancelleria della Corte almeno 20g liberi prima della data fissata per
l'udienza.

La Consulta, ove risulti necessario acquisire documenti, atti, dati statistici o tecnici oppure accertare situazioni di
fatto, può ricorrere a poteri istruttori, i quali sono in concreto utilizzati di rado.
L'art. 14-bis delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte cost., introdotto nel 2020, aggiunge ora la
possibilità che «la Corte, ove ritenga necessario acquisire informazioni attinenti a specifiche discipline, disponga
con ordinanza che siano ascoltati esperti di chiara fama in apposita adunanza in camera di consiglio alla quale
possono assistere le parti costituite».

6. IL GIUDIZIO IN VIA PRINCIPALE


Oltre che in via incidentale, è possibile sottoporre alla Consulta una questione di legittimità cost. anche in via
principale o in via d'azione. Tale possibilità è riservata: allo Stato – rappresentato dal P. del Consiglio dei ministri,
che può agire solo previa deliberazione del Consiglio dei ministri nei confronti delle leggi regionali o di loro singole
norme; e alle Regioni (più le 2 Province autonome di Trento e Bolzano) - rappresentate dal P. della Giunta
regionale (o provinciale), che può agire solo previa deliberazione della Giunta – nei riguardi delle leggi e degli atti
aventi forza di legge dello Stato, nonché delle leggi di altre Regioni, o di loro singole norme.
Quando la Corte viene adita in via principale è chiamata a decidere su una questione astratta, senza cioè che il
problema di legittimità cost. si sia ancora posto (o, risolto) in sede di concreta applicazione della legge censurata.

A seguito della riforma cost. del 2001, l'art. 127 Cost. prevede che sia le leggi e gli atti statali, sia le leggi regionali
siano impugnabili dopo la loro entrata in vigore, entro 60g dalla loro pubblicazione.
Rimane azionabile in via preventiva, entro 30g dalla pubblicazione a scopo notiziale, il ricorso governativo contro
gli statuti regionali ordinari e le leggi statutarie delle Regioni speciali.
Per poter proporre una questione in via principale, deve sussistere l'interesse al ricorso, che consiste nell'utilità
della pronuncia della Corte cost. rispetto alla situazione fatta valere dal ricorrente.

Per quanto attiene ai vizi denunciabili, la Corte cost. distingue la posizione dello Stato da quella delle Regioni, in
quanto:
- lo Stato può denunciare la violazione di qualsiasi norma cost. da parte della legge regionale;

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- una Regione può denunciare la violazione da parte di leggi statali (o di altre Regioni) solo delle norme cost. che
le attribuiscono una competenza legislativa.
Le ragioni di questa diversità di trattamento trovano il loro fondamento nell'art. 127 Cost. (secondo cui «il Go-
verno, quando ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della Regione, può promuovere la questione
di legittimità costituzionale», mentre la Regione può farlo “quando ritenga che una legge o un atto avente valore
di legge dello Stato o di un'altra Regione leda la Sua sfera di competenza”) e nella diversa posizione che i 2 tipi di
enti occupano nel nostro ordinamento.
Per la Consulta, anche allo Stato [è] pur sempre riservata, nell'ordinamento generale della Rep., una posizione
peculiare. Così, il ruolo dello Stato è stato efficacemente definito di «polizia costituzionale».
La Corte cost. riconosce la facoltà alle Regioni di ricorrere contro l'invasione indiretta delle loro competenze.
Sul piano processuale, il giudizio in via principale si caratterizza per essere un "processo di parti": è promosso su
impulso di parte e si estingue in seguito a rinuncia del ricorrente, accettata dalla controparte. Inoltre, «nei giudizi
promossi in via principale nei confronti di leggi regionali o statali non possono intervenire sogg. diversi da quelli
titolari delle attribuzioni legislative in contestazione».

L'art. 35 della L. 87 del 1953, modificato dalla legge del 2003, ha esteso al giudizio in via principale la possibilità
che, in pendenza del giudizio, l'efficacia dell'atto legislativo contestato sia sospesa, con ordinanza motivata, dalla
Corte cost. quando «l'esecuzione dell'atto impugnato o di parti di esso possa comportare il rischio di un
irreparabile pregiudizio all'interesse pubb. o all'ordinamento giuridico della Rep., ovvero il rischio di un pregiudizio
grave e irreparabile per i diritti dei cittadini».
Il primo caso di sospensione è avvenuto nel 2021 in riferimento ad una legge della Valle d'Aosta – successivamente
dichiarata illegittima - che consentiva lo svolgimento di attività sociali ed economiche nonostante il divieto
stabilito dalla normativa statale di contrasto all'epidemia di Covid-19 (Corte cost., ord. n. 4 del 2021).

7. LA TIPOLOGIA DELLE DECISIONI DELLA CORTE COSTITUZIONALE


La Corte cost. provvede (ex art. 18 della L.87 del 1953) con:
a) sentenza, quando giudica in via definitiva;
b) ordinanza, per tutti gli altri provvedimenti di sua competenza;
c) decreto, per gli atti di carattere organizzativo, generalmente assunti dal Presidente.

La Cost. e la L. del 1953 prevedono 2 tipologie di decisioni nel merito della Consulta: sentenze di accoglimento
della questione di legittimità cost. e sentenze di rigetto della stessa.
Ad esse si aggiungono decisioni processuali di inammissibilità o di manifesta infondatezza. Tuttavia, la Corte cost.
ha sviluppato ulteriori forme e tecniche di decisione.

7.1. LE PRONUNCE DI INAMMISSIBILITA’


La Corte dichiara l'inammissibilità della questione di legittimità cost., quando questa non può essere esaminata
nel merito: per la presenza di vizi processuali conseguenti al difetto dei requisiti della questione stessa; oppure
perché la questione prospettata richiederebbe alla Corte di adottare una decisione che esorbita (uscire dai limti)
dalla sua giurisdizione.

L'inammissibilità per ragioni di ordine processuale si produce:


a) in via incidentale per: carenza di legittimazione del giudice remittente a sollevare la questione (ossia per
mancanza dei requisiti soggettivo e oggettivo); difetto di rilevanza della questione di legittimità cost.; motivazione
insufficiente circa la rilevanza o la non manifesta infondatezza;

b) in via principale per: difetto di legittimazione del ricorrente (per mancanza della deliberazione del Consiglio dei
ministri o della Giunta regionale); carenza di interesse al ricorso; decadenza dalla facoltà di ricorrere per decorso
del termine di 60g;

c) in entrambi i tipi di giudizio per: inidoneità dell'oggetto della questione o inidoneità del parametro;
sopravvenuta carenza dell'oggetto; natura puramente interpretativa della questione sollevata.

Il difetto di giurisdizione si verifica qualora la Corte, per decidere la questione, debba invadere l'ambito di
discrezionalità del legislatore, come: quando la Consulta debba sindacare la costituzionalità di una norma, il cui
annullamento produrrebbe un vuoto legislativo che creerebbe nell'ordinamento una nuova incostituzionalità o al
quale sarebbe possibile rimediare attraverso una pluralità di soluzioni, nessuna delle quali costituzionalmente

71
obbligata; e quando venga prospettata una questione di opportunità e non di costituzionalità, per cui la Corte si
troverebbe a giudicare del merito delle scelte del legislatore.

Per quanto attiene ai loro effetti, le pronunce di inammissibilità hanno efficacia inter partes, vincolando soltanto
il giudice rimettente in via incidentale, o l'ente ricorrente in via principale.
Questi potranno proporre nuovamente la stessa questione soltanto se il vizio accertato dalla Corte cost. sia
sanabile: ciò può avvenire in caso di difetto di motivazione (per cui il giudice a quo potrà risollevare la questione
in via incidentale, motivandola in modo più preciso e completo) o in caso di difetto di legittimazione del ricorrente
(potendo P. del Consiglio o della Giunta ripresentare la questione in via d'azione previa deliberazione dei rispettivi
Esecutivi, ove l'inammissibilità sia stata pronunciata dalla Corte prima della fine dei 60g concessi per ricorrere).

Non è possibile sanatoria per i vizi sostanziali e per la carenza di legittimazione del giudice a quo e il difetto di
rilevanza, in via incidentale, o per la carenza di interesse a ricorrere e la decadenza per decorso del termine, in
via principale.

7.2. LE DECISIONI DI RIGETTO


La Corte cost. adotta, con sentenza, una decisione di rigetto quando la questione non è fondata.
Può, altresì, accadere che la Corte giudichi la questione come manifestamente infondata, pronunciandosi
solitamente con ordinanza, quando l'infondatezza del dubbio proposto si può constatare prima facie. Anche le
decisioni di rigetto hanno efficacia inter partes.
Ciò comporta che, mentre il giudice a quo non può riproporre la stessa questione all'interno del medesimo grado
di giudizio, altri giudici potranno farlo. E, se lo Stato e le Regioni non possono impugnare di nuovo in via d'azione
la stessa legge, sarà comunque possibile sollevare, rispetto ad essa, una questione incidentale nel corso della sua
applicazione. Di fatto la Consulta tende a dichiarare manifestamente infondate le questioni nuovamente sollevate
a ridotta distanza di tempo.

Alcune decisioni di rigetto presentano un carattere peculiare, perché in realtà accertano la sussistenza di vizi nelle
norme impugnate, senza però accogliere la questione e far cessare l'efficacia di tali norme.
a) Con le c.d. sentenze-delega o sentenze-monito la Consulta evita di intervenire direttamente ma sollecita il
legislatore a modificare la normativa sulla base di principi e linee guida indicati dalla stessa Corte alla luce del
dettato cost.
b) Con le pronunce di incostituzionalità differita, la Consulta, pur riconoscendo la contrarietà alla Cost. delle
norme impugnate, ne fa salva provvisoriamente la vigenza in attesa del necessario intervento del legislatore
secondo le indicazioni fornite dalla Corte. Qualora un tale intervento non avvenga tempestivamente e la
questione sia riproposta in via incidentale, la Consulta adotterà una sentenza di accoglimento.

Poiché ciò dipende dall'eventualità che la questione venga sollevata nuovamente, in taluni casi delicati il Giudice
delle leggi ha adottato una nuova tecnica in 2 tempi, evitando di emettere una pronuncia di rigetto ed emanando:
i) un'ordinanza - con cui ha concesso al legislatore un lasso di tempo (di solito un anno) per l'introduzione delle
modifiche richieste – e ii) in mancanza di queste, una sentenza di accoglimento.

7.3. LE DECISIONI DI ACCOGLIMENTO


La Corte cost. emette una sentenza di accoglimento quando dichiara l’illegittimità cost. della norma oggetto,
perché la questione è fondata. In deroga al principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, la Consulta può
altresì dichiarare la illegittimità consequenziale anche di quelle ulteriori disposizioni legislative, non impugnate,
«la cui illegittimità deriva come conseguenza dalla decisione adottata».

La sentenza di accoglimento ha efficacia generale (erga omnes) e retroattiva. Si era inizialmente discusso se gli
effetti delle sentenze in esame dovessero essere retroattivi o valere solo per il futuro. Il dubbio è stato risolto
dall'art. 30 della L.87/1953- in base a cui «le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal
giorno successivo alla pubblicazione della decisione» - stabilendosi, così, che la dichiarazione di incostituzionalità
abbia effetto anche nei confronti di tutte le situazioni sorte precedentemente ad essa.
Gli effetti retroattivi dell'incostituzionalità risultano una conseguenza pressoché obbligata in caso di giudizi in via
incidentale, perché altrimenti verrebbe meno l'interesse del giudice a quo a sollevare la questione, che è
necessariamente riferita ad una vicenda sorta anteriormente.

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Le norme di L. dichiarate incostituzionali non possono più essere applicate: né ai casi e ai rapporti che sorgeranno
in seguito, né a quelli sorti precedentemente, con il solo limite dei rapporti esauriti, cioè non più sottoponibili a
un giudizio di merito per il sopravvenire di fatti impeditivi, quali: i) il giudicato (che rende definitiva una pronuncia
giudiziaria), ii) la prescrizione e iii) la decadenza (che, per il decorso del tempo, impediscono di ricorrere al giudice).

In qualche caso la Corte cost. è giunta a prescrivere limiti agli effetti retroattivi di una propria pronuncia di
accoglimento, per circoscriverne l'impatto sulla finanza pubblica o su altri interessi di rilievo cost.
In una sola ipotesi la pronuncia di incostituzionalità travolge anche i rapporti esauriti dal giudicato penale:
«quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di
condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali».

7.4. LE PRONUNCE INTERPRETATIVE


La Corte cost. adotta pronunce interpretative, ove una disposizione di legge consenta + di un'interpretazione e
permetta di ricavare + d'una norma.
La Consulta può rifiutare l'interpretazione presentata dal giudice a quo o dall'ente ricorrente ed elaborarne, una
propria. Perciò la questione di costituzionalità può essere dichiarata fondata oppure infondata anche sulla base
di una diversa interpretazione della norma oggetto.
Se l'interpretazione seguita dal giudice a quo è conforme al diritto vivente, la Corte cost. vi si attiene, anche se ciò
conduce a dichiarare l'illegittimità costituzionale della norma di legge.
Le sentenze interpretative di accoglimento comportano che la norma di L., ricavata in via interpretativa dalla
Consulta, non può più essere applicata, essendo incostituzionale. Poiché può essere tratta dalla disposizione una
diversa norma, tutti dovranno ricavare ed applicare tale ulteriore norma.
Le decisioni interpretative di rigetto, avendo efficacia inter partes, tendenzialmente non obbligano i giudici – che
sono soggetti solo alla L. (art. 101 Cost.) – né il Governo e la Giunta regionale od altri operatori del diritto a trarre
dalla disposizione la norma indicata dalla Corte.
Resta il dubbio che la diversa norma ricavabile dalla disposizione non sia conforme alla Costituzione. Pertanto, lo
stesso Giudice delle leggi e la Corte di Cassazione spingono affinché sia seguita da tutti l'interpretazione data dalla
Corte cost. Se la giurisprudenza comune non si adegua all'interpretazione suggerita, la Consulta, ove sia risollevata
la questione, può essere indotta a pervenire ad una pronuncia interpretativa di accoglimento per rendere
inapplicabile tale diversa norma.

7.5. LE DECISIONI MANIPOLATIVE


La Corte cost. dichiara l'incostituzionalità di una norma di legge solo nella parte in cui: prevede qualcosa (sentenze
riduttive o di accoglimento parziale); o, al contrario, non prevede qualcosa (sentenze additive); oppure prevede
qualcosa anziché qualcos'altro (sentenze sostitutive).

a) Con le sentenze riduttive (o di accoglimento parziale) la Consulta dichiara l'illegittimità cost. della norma
impugnata solo «nella parte in cui prevede che...», individuando la porzione di norma viziata. La norma andrà
applicata senza quella parte.
b) Con le sentenze additive la Corte interviene per colmare una lacuna normativa contraria alla Cost.: la Consulta
dichiara l'illegittimità cost. della norma impugnata «nella parte in cui essa non prevede che ...», ossia quando dalla
disposizione non si riesca a trarre un contenuto normativo che risulta costituzionalmente necessario. La norma
andrà applicata con quell'aggiunta (anche se la disposizione scritta non la prevede).
c) Con le sentenze sostitutive la Corte dichiara l'illegittimità cost. di una norma legislativa «nella parte in cui
prevede "a" anziché “b"». La norma andrà applicata come se dicesse "b" (anche se la disposizione scritta prevede
"a").

La Consulta adotta anche sentenze additive di principio, che si differenziano rispetto alle pronunce additive
classiche per l'assenza di un preciso contenuto normativo da aggiungere, poiché la Consulta si limita a dichiarare
l'illegittimità cost. della norma impugnata nella parte in cui non è conforme a principi generali che essa indica e
che richiede al legislatore di attuare attraverso un suo intervento regolatore. Tali decisioni possono suscitare
problemi nella loro concreta applicazione da parte dei giudici comuni, chiamati a specificare e concretizzare i
principi in questione nelle controversie sottoposte al loro esame quando il legislatore ometta tardi a intervenire.
Tutte le pronunce manipolative dichiarano l'incostituzionalità della norma denunciata solo in una porzione del
suo contenuto, lasciando sopravvivere le rimanenti parti. Tali sentenze producono gli effetti erga omnes e
retroattivi, nei confronti della sola parte di norma colpita dalla declaratoria di incostituzionalità.

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Queste tecniche manipolative hanno suscitato critiche in dottrina ed anche nel mondo politico, perché ritenute
lesive dell'ambito riservato alla discrezionalità del legislatore e dei giudici: i) infatti, se la norma nella sua corretta
portata - quindi, senza la parte illegittima o con l'aggiunta di quella mancante o con la sostituzione di parte - è
presente nell'ordinamento, spetta ai giudici ricavarla in via interpretativa; ii) se invece non è presente, spetta al
legislatore, e solo a lui, introdurla → per cui la Corte cost., nel primo caso, violerebbe la sfera di attribuzioni dei
giudici e, nel secondo, quella del legislatore.
A tale obiezione si è risposto che la manipolazione effettuata dalla Corte avviene «a rime obbligate»: la Consulta
non crea nuove norme ma si limita a ricavarle dal sistema cost. e legislativo.
La Corte cost. ha fatto largo uso di decisioni di questo tipo, soprattutto per evitare di creare vuoti legislativi che
avrebbero potuto non essere tempestivamente colmati da un legislatore poco reattivo come il nostro. In tal modo
la Consulta è intervenuta in delicati settori dell'ordinamento (es. materia penale o procedura penale).

8. I CONFLITTI DI ATTRIBUZIONE: LA TIPOLOGIA


Alla Corte cost. spetta giudicare anche «sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e
le Regioni, e tra le Regioni» (art. 134 Cost.). I conflitti di attribuzione si distinguono in 2 tipologie:
a) conflitti tra i Poteri dello Stato, detti anche conflitti inter-organici,
b) conflitti tra Stato e Regioni o tra Regioni, detti anche conflitti inter-soggettivi.
I 2 tipi di conflitto devono caratterizzarsi entrambi per il "tono Cost." delle prerogative oggetto del contendere:
infatti, i sogg. in conflitto possono ricorrere alla Corte cost. riguardo a «la delimitazione della sfera di attribuzioni
determinata per i vari poteri da norme cost.» ovvero riguardo a «la sfera di competenza cost.» lamentando la
lesione di una propria prerogativa sancita dalla Cost. e reclamando il ripristino dell'ordine cost. delle competenze.

I conflitti di attribuzione possono essere di 3 tipi:


a) per usurpazione (o positivi), quando il ricorrente lamenta che il proprio potere sia stato usurpato da altri;
b) per ricusazione (o negativi), quando entrambi gli organi o i soggetti rifiutano di riconoscere di disporre del
potere in questione (rara);
c) per menomazione (il + frequente), quando il ricorrente non contesta la titolarità del potere altrui, ma il suo
cattivo uso, che ha danneggiato le proprie prerogative. Es.: se il P. della R. omettesse tout court di promulgare
una L., anziché rinviarla con messaggio motivato alle Camere, queste ultime, in un conflitto tra Poteri,
contesterebbero il cattivo uso del potere presidenziale di non promulgare la L., che si riflette, però, su tali
prerogative.

La Corte risolve il conflitto dichiarando il Potere, nei conflitti inter-organici, o l'ente, nei conflitti intersoggettivi, al
quale spettano le attribuzioni in contestazione e, ove sia stato emanato un atto viziato da incompetenza, lo
annulla.

8.2. I SOGGETTI E L’OGGETTO DEI CONFLITTI


Nel conflitto tra enti, i sogg. ammessi sono lo Stato e le Regioni (+ 2 Province autonome di Trento e Bolzano),
rappresentati, rispettivamente, dal P. del Consiglio dei ministri e dal P. della Giunta regionale (o provinciale),
previa deliberazione dei rispettivi organi collegiali.
I conflitti tra enti possono sorgere a seguito dell'adozione di atti o di semplici comportamenti (azioni o omissioni),
ad opera di qualunque organo dell'uno o dell'altro ente (di tipo esecutivo, legislativo e, nel caso dello Stato,
giudiziario).
Gli atti non possono essere legislativi, perché contro di essi è previsto l'utilizzo del giudizio di legittimità cost. in
via principale.

Secondo l'art. 37 della legge n. 87 del 1953, «il conflitto tra poteri dello Stato è risoluto dalla Corte cost. se insorge
tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione
della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme cost.».
È necessario, dal punto di vista sogg., che le parti del conflitto siano organi:
-appartenenti a Poteri dello Stato diversi;
-idonei a dichiarare definitivamente, con i loro atti, la volontà del Potere cui appartengono.
Si tratta di una verifica da effettuare caso per caso. Norme processuali prevedono una delibazione preliminare
della Corte circa l'ammissibilità del conflitto inter-organico, su cui la Consulta si pronuncia con ordinanza.

I principali organi ammessi ad essere parti di un conflitto sono:

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→ per il Potere esecutivo, retto dal principio di collegialità, il Consiglio dei ministri; ma, per la difesa delle proprie
prerogative delineate dagli artt. 107 e 110 Cost., può essere anche il Ministro della Giustizia, come pure, in
riferimento all'art. 95 Cost., il P. del Consiglio (ed eventualmente ciascun ministro se abbia prerogative
costituzionali proprie da difendere);
→ per il Potere legislativo: ciascuna delle 2 Camere e alcune loro articolazioni interne, come le Commissioni
parlamentari di inchiesta istituite ai sensi dell'art. 82 Cost. e la Commissione di vigilanza sulla RAI – nonché il
Parlamento in seduta comune; recentemente la Consulta ha affermato che anche i singoli parlamentari
potrebbero sollevare conflitto tra Poteri dello Stato contro “violazioni gravi e manifeste» delle loro prerogative”,
ma non l'ha ancora concretamente consentito;
→ per il Potere giudiziario, che è un potere diffuso, ogni organo giudiziario e, per la difesa delle prerogative
conferitegli dall'art. 112 Cost., ogni ufficio del pubblico ministero;
→ per i Poteri non rientranti nella classica tripartizione: il P. della R., la stessa Corte cost., la Corte dei conti quando
opera come organo di controllo (oltre che quando agisce come giudice speciale), il CSM, nonché il comitato
promotore del referendum come Potere non permanente esterno allo Stato apparato (destinato ad estinguersi
con la proclamazione dell'esito referendario).
→ È stata negata la legittimazione a sollevare conflitto da parte dei partiti politici.

Anche i conflitti inter-organici possono sorgere a seguito dell'adozione di atti o di semplici comportamenti. Gli atti
di tipo legislativo possono essere contestati ma solo in casi specifici, perché contro di essi è normalmente previsto
l'utilizzo del giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale.

9. IL GIUDIZIO SULLE ACCUSE NEI CONFRONTI DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA


La Corte cost., in composizione integrata (31 giudici, di cui 16 aggregati), è titolare di una funzione peculiare -
parlandosi in proposito, senza connotazioni negative, di “giustizia politica" – dovendo giudicare il P. della R., messo
in stato d'accusa dal Parlamento in seduta comune a > assoluta dei componenti (art. 90 Cost.), per i reati di «alto
tradimento» e «attentato alla Cost.» cosa finora mai avvenuta.

Con legge cost. 16 gennaio 1989, n. 1, è stata sottratta alla Corte e devoluta ai giudici ordinari la competenza,
originariamente prevista dagli artt. 96 e 134 Cost., a giudicare dei reati ministeriali: l'unico caso di esercizio di tale
competenza si è verificato, nel 1977-79, nel “processo Lockheed" contro due ex Ministri della Difesa.
Il procedimento, disciplinato dalla L. cost. 1/1953 e dalla L. 20/1962, si svolge davanti al Parlamento in seduta
comune, in 2 fasi:
- la 1° consiste nella redazione di una relazione istruttoria ad opera di un Comitato bicamerale, formato dai
componenti delle Giunte del Senato e della Camera competenti per le autorizzazioni a procedere;
- la 2° consiste nella deliberazione dell'assemblea, assunta a > assoluta. Quando sia deliberata la messa in stato di
accusa, la Corte cost. può disporre la sospensione dalla carica del P. della R., mentre il Parlamento in seduta
comune elegge, anche tra i suoi componenti, 1 o + Commissari per sostenere l'accusa davanti alla Corte, che
esercitano funzioni di p.m.
Il processo innanzi alla Consulta si svolge secondo le norme del c.p.p.

La Corte, quando pronuncia sentenza di condanna, determina le sanzioni penali nei limiti del massimo di pena
previsto dalle leggi vigenti al momento del fatto, nonché le sanzioni cost., amm. e civili adeguate al fatto.
La sentenza, di condanna o di assoluzione, pronunciata dalla Corte è definitiva, non essendo ammessi mezzi di
impugnazione. Tuttavia, la sentenza di condanna può essere sottoposta a revisione, su istanza del Comitato
bicamerale, se dopo la condanna sopravvengano o si scoprano nuovi fatti o nuovi elementi di prova, i quali
rendano evidente che il fatto non sussiste ovvero che il condannato non lo ha commesso.

10. IL GIUDIZIO DI AMMISSIBILITA’ DEL REFERENDUM ABROGATIVO


Alle competenze dettate dall'art. 134 Cost., l'art. 2 della legge cost. n. 1 del 1953 ha aggiunto quella di giudicare
sull'ammissibilità delle richieste di referendum abrogativo.
Il P. della Corte cost., ricevuta la comunicazione dell'ordinanza, emessa dall'Ufficio centrale per il referendum
istituito presso la Corte di Cassazione, che dichiara la legittimità di una richiesta di consultazione referendaria,
fissa il giorno della deliberazione in camera di consiglio, in una data non successiva al 20.01 dell'anno successivo
a quello in cui la predetta ordinanza è stata pronunciata, e nomina il giudice relatore. I richiedenti (delegati
regionali o presentatori, nel caso di iniziativa popolare) e il Governo possono depositare memorie
sull’ammissibilità o meno del referendum e illustrarle oralmente in camera di consiglio.

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Di recente, la Consulta ha ammesso in qualche caso la presentazione e l'illustrazione di memorie anche da parte
di sogg. diversi da quelli espressamente indicati nella L., portatori di interessi diffusi coinvolti dai quesiti
referendari. La Corte decide sull'ammissibilità con sentenza, entro il 10.02.

11. I RAPPORTI CON LE NORMATIVE E LE CORTI SOVRANAZIONALI


La marcata dimensione internazionalista del nostro ord. giuridico incide anche sul ruolo che la Corte cost. è
chiamata a svolgere, dovendosi rapportare con l'ord. comunitario europeo e la Corte di Giustizia dell'UE, e con la
CEDU e la Corte di Strasburgo.

Il primato e l'effetto diretto del diritto comunitario hanno sottratto al giudice cost. e demandato al giudice
comune il compito di accertare e di risolvere gran parte degli eventuali contrasti tra il diritto nazionale e il diritto
dell'UE. Infatti, il giudice comune, quando ravvisa un contrasto tra una norma di diritto interno e una norma
comunitaria europea direttamente applicabile o dotata di effetti diretti, provvede in prima persona alla soluzione
dell'antinomia disapplicando la norma nazionale, mentre la Corte cost. interviene - dichiarando illegittima la
norma nazionale – nella sola ipotesi che il contrasto interessi una norma comunitaria priva di questi effetti.
Diversamente accade quando la Consulta sia investita di una questione di legittimità cost. in via principale: in tal
caso tocca a lei giudicare della compatibilità tra la legge nazionale, statale o regionale, e le norme comunitarie,
eventualmente operando un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, quando abbia un dubbio concernente
l'interpretazione o la validità della fonte comunitaria.

È differente il rapporto tra la Corte cost. e la Corte EU dei diritti dell'uomo, quale organo giurisdizionale chiamato
ad assicurare la tutela dei diritti sanciti dalla CEDU, ratificata e resa esecutiva in Italia con L. 848/1955 e che ai
sensi dell'art. 117 Cost. deve essere rispettata dalle leggi italiane.
La Corte cost. è intervenuta con 2 importanti pronunce, con le quali ha affermato che, di fronte a un contrasto
tra una norma nazionale e una norma convenzionale, al giudice comune spetta: l'esperimento di un primo
tentativo di interpretazione adeguatrice della norma italiana, conforme alla CEDU; e, in caso di esito negativo di
questo tentativo, l'onere di sollevare la questione di legittimità cost. della norma nazionale davanti alla Consulta,
per violazione dell’art. 117 Cost. (“la potestà legislativa è esercitata nel rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi
internazionali”).
La Corte cost., dunque, ha negato che sia possibile disapplicare una norma nazionale contrastante con quella
convenzionale, come invece accade nei confronti della norma comunitaria direttamente applicabile o dotata di
effetti diretti, mantenendo fermo un controllo di tipo accentrato.
Nel contempo, la Consulta ritiene che la CEDU (così come la Carta sociale europea), presentando elementi di
specialità rispetto agli ordinari accordi internazionali, sia parametro interposto di costituzionalità, ma non sia una
normativa pari-ordinata alla Cost. → in caso di contrasto di una L. con la Convenzione o con la Carta sociale,
occorre verificare se non accada che tale L. sia conforme alla Cost. e sia invece la singola norma convenzionale a
divergere dalla Carta cost. italiana.

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
1. LA SEPARAZIONE TRA POLITICA E AMMINISTRAZIONE
Il Governo è titolare della funzione esecutiva-amministrativa e dirige l'apparato amm. statale, che è articolato in
ministeri: questi svolgono tutte le funzioni amm. che spettano allo Stato, salvo che siano assegnate a distinti enti
pubb. oppure ad organismi autonomi privi di personalità giuridica, che si affiancano ai ministeri. Per individuare
le specifiche attribuzioni di ciascun dicastero occorre far riferimento a quanto stabilito dalla L. e da appositi
regolamenti organizzativi ministeriali.

I ministri, quali membri del Governo, esercitano collegialmente un ruolo di direzione politica, ma, in qualità di
organi apicali dei ministeri, sono individualmente responsabili dell’attuazione dell’indirizzo politico espresso da
Governo e Parlamento e degli atti che pongono in essere.
Questa duplicità di funzioni consente di mantenere una certa coerenza tra indirizzo politico e l'attività amm.
Il modello di amm. fondato sui ministeri ha subito profonda trasformazione: dall'iniziale organizzazione su base
gerarchica, che vedeva nel ministro il titolare della funzione amm. e nel ministero il suo apparato servente, si è
passati, tra gli anni '70 e '90 del 900, a un'organizzazione basata sul principio di separazione tra sfera politica e
sfera amm., secondo il quale all'organo politico spetta la funzione di indirizzo (determinazione di obiettivi, delle
priorità, dei programmi dell'amm. e nell’allocazione delle risorse umane, materiali e finanziarie), mentre agli
organi amministrativi spetta la gestione amm., finanziaria e tecnica.

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Il principio di separazione tra politica e amministrazione è stato sancito dalla L. ma si ricava già dall'art. 97 Cost.,
secondo cui «nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le
responsabilità proprie dei funzionari».
La separazione delle competenze non determina l'autonomia della sfera amm. rispetto a quella politica, perché
altrimenti si avrebbe un sogg. (l'apparato amm.) capace di operare le proprie scelte senza assumerne la
responsabilità politica. La separazione delle competenze non impedisce che i 2 momenti dell'indirizzo politico e
della gestione amm. siano funzionalmente collegati, in modo tale che l'attività di gestione persegua gli obiettivi
determinati dall'organo di governo, il quale ne risponde al Parlamento.

I ministeri sono organizzati secondo una struttura piramidale, ai cui vertici sono posti i dirigenti generali, che sono
nominati e revocati dai ministri rispondono ad essi dei risultati della propria gestione amm. (responsabilità
dirigenziale). Sempre connesso a quello della separazione tra politica e amm., è la pratica dello "spoils system”,
secondo cui l'incarico dirigenziale deve seguire la durata del mandato dell'organo politico, per consentire a ogni
nuovo Governo di collocare ai vertici dell'amm. persone di propria fiducia che realizzino con fedeltà l'indirizzo
politico-amm. di ciascun Gabinetto.
Questa pratica può ritenersi cost. legittima solo nei confronti degli uffici dirigenziali apicali, mentre è illegittima
se rivolta anche ai livelli inferiori, perché contrastante con i principi del buon andamento e dell'imparzialità
dell'amm., sanciti dall'art. 97 Cost.

2. I PRINCIPI COSTITUZIONALI SULLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE


L'art. 97 Cost. richiede che l'organizzazione e le attività di tutti gli uffici della p.a. siano regolate dalla L. in modo
tale da assicurarne l'«imparzialità» e il «buon andamento».
Il presidio costituzionale dell'imparzialità costituisce la + significativa espressione della differenza che deve
sussistere tra l'attività politica di governo e l'attività amm., la quale presuppone invece che, in applicazione del
principio di uguaglianza, venga garantito pari trattamento a tutti i sogg. che vengono a contatto con la p.a.
Anche per questo, ogni decisione amm. deve trovare il proprio fondamento nella L. (principio di legalità) e deve
essere adottata sulla base di valutazioni istruttorie complete e approfondite, con la partecipazione degli
interessati: tali principi sono oggi ripresi e sanciti dalla L. 241/1990.
Art. 98 Cost., secondo cui gli impiegati della p.a. devono essere al «servizio esclusivo della Nazione», senza essere
condizionati da interessi personali o di parte.
Il concetto di buon andamento richiede che la p.a. agisca, al fine di conseguire gli obiettivi che le sono assegnati,
secondo criteri di efficienza, economicità ed efficacia. Ciò significa che l'attività amministrativa deve essere in
grado di raggiungere gli obiettivi perseguiti con strumenti adeguati allo scopo e con il minor dispendio possibile
di mezzi e risorse.
Il nesso tra imparzialità e buon andamento si riflette anche sugli aspetti relativi alle modalità di selezione e
assunzione del personale pubblico → art. 97 Cost. prescrive infatti che, per essere impiegati in una p.a., bisogna
vincere un concorso pubblico. Questo metodo di selezione evita che si verifichino assunzioni di favore e tende a
garantire il reclutamento di persone qualificate.
Un pubblico impiegato che assuma la carica di parlamentare potrà ottenne avanzamenti di carriera solo se
determinati da scatti automatici dovuti all'anzianità (art. 98). Lo scopo è di evitare che il mandato parlamentare
possa consentire di ottenere promozioni/vantaggi nell'ambito del pubblico impiego.
Sempre per questo, l'art. 98 Cost. consente (senza imporlo) alla L. di limitare il diritto di iscrizione ai partiti politici
dei pubblici funzionari addetti a questi settori. Attualmente la legge vieta una tale iscrizione soltanto ai magistrati,
mentre a poliziotti militari proibisce non l'adesione, ma l'assunzione di cariche all'interno dei partiti e la
partecipazione a manifestazioni o a prese di posizione pubbliche.

3. GLI APPARATI AMMINISTRATIVI: I MINISTERI E LE LORO ARTICOLAZIONI


I ministeri sono apparati statali formati da personale, mezzi ed uffici "unificati" dalle competenze loro assegnate
in settori relativamente omogenei, nonché dalla sottoposizione ad uno stesso organo di vertice, che è il ministro.
Essi non hanno personalità giuridica: non sono perciò enti pubb., ma articolazioni dell'amm. statale, per cui gli atti
da loro adottati sono atti dello Stato, il personale è formato da dipendenti statali, i mezzi che impiegano sono di
proprietà dello Stato.

Attualmente i ministeri sono 15, disciplinati nei profili generali dal d.lgs.300/1999 e dalle sue successive
modifiche: 1) Ministero dell'Interno; 2) Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale; 3)
Ministero della Difesa; 4) Ministero della Giustizia; 5) Ministero dell'Economia e delle Finanze; 6) Ministero dello
Sviluppo economico; 7) Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali; 8) Ministero della Transizione

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ecologica (trasformazione ed ampliamento del precedente Ministero dell'Ambiente e della Tutela del territorio e
del mare); 9) Ministero Infrastrutture e Mobilità sostenibili (già Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti); 10)
Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali; 11) Ministero dell'Istruzione; 12) Ministero dell'Università e della
Ricerca (separato da quello dell'Istruzione dal D.L. 1/2020 adottato dal II Governo Conte); 13) Ministero della
Cultura (già Ministero per i Beni e le Attività culturali); 14) Ministero della Salute; 15) Ministero del Turismo
(ricostituito dal D.L. 22/2021 adottato dal Governo Draghi).

I ministeri sono articolati al loro interno in dipartimenti oppure in direzioni generali, suddivisi poi, gli uni, in
direzioni centrali e, le altre, in divisioni o uffici, cui possono aggiungersi altre articolazioni, anche periferiche (ossia
decentrate sul territorio). Nei ministeri ripartiti in direzioni generali - che, a differenza dei dipartimenti, sono
strutture di carattere + settoriale che funzionale - è in genere prevista la figura del segretario generale, quale
massimo dirigente amm. chiamato a coordinare le diverse articolazioni interne.

Per lo svolgimento di servizi di carattere tecnico o commerciale, all'interno dei ministeri possono essere costituite
aziende autonome. Esse hanno organi propri - di solito un presidente e un consiglio di amm. – ma non hanno, in
genere, personalità giuridica ma autonomia nella gestione dei beni, del personale e dei fondi loro assegnati, anche
se i loro bilanci sono collegati a quello del ministero di cui fanno parte.

Le agenzie (come quella delle Entrate, quella del Farmaco AIFA, quella per la rappresentanza delle amm. pubb.
ARAN etc.) sono strutture chiamate a svolgere, al servizio dei ministeri e di altre amm. pubb., attività tecnico-
operative di interesse nazionale che richiedono particolari professionalità e conoscenze specialistiche, nonché
specifiche modalità di organizzazione del lavoro. Le agenzie hanno “piena autonomia nei limiti stabiliti dalla L.” e
stipulano convenzioni con i rispettivi ministeri, le quali determinano gli obiettivi da conseguire e i mezzi materiali
e finanziari messi a loro disposizione. Sono dotate di personalità giuridica solo se la L. lo prevede e sono sottoposte
al controllo della Corte dei conti. Sono guidate da un direttore generale, che risponde al ministro.

3.2. GLI ENTI PIUBBLICI


Enti pubblici → organizzazioni con personalità giuridica create dallo Stato, dalle Regioni e dagli enti locali – per
raggiungere finalità di pubblico interesse.
In base alla L.70/1975, nuovi enti pubb. possono essere istituiti solo in base a leggi che li prevedano, mentre in
precedenza sono stati creati anche con provvedimenti amministrativi. Da un certo punto di vista, anche lo Stato
e le Regioni, Province e Comuni, avendo personalità giuridica, sono enti pubb., ma peculiari, perché sono enti
territoriali (cioè rappresentativi del popolo nelle sue articolazioni territoriali e chiamati ad occuparsi di tutte le
esigenze dei loro territori) e sono dotati, per volontà della Cost. (art. 114), di una condizione particolare di
autonomia.
Vi sono poi gli enti pubblici c.d. funzionali (incaricati di occuparsi di ciò riguarda lo svolgimento di una funzione
pubblica), che godono anch'essi di una certa autonomia, concessa dalla stessa Cost. (come accade per le
università, l'art. 33) o dalla L., come avviene per gli ordini professionali o per le Camere di commercio, industria,
artigianato e agricoltura.
La maggioranza degli altri enti pubblici sono enti ausiliari o enti strumentali dello Stato (delle Regioni o degli enti
locali). Essi formano il c.d. "parastato" ed hanno una disciplina di base omogenea dettata dalla L.70/1975, per cui
allo Stato (o agli altri enti territoriali) spettano poteri di nomina degli amministratori, di direttiva, di vigilanza e
controllo.
Accanto alla nozione di ente pubblico ha acquistato importanza quella di organismo di diritto pubblico, che indica
qualunque struttura che operi come puro strumento di una p.a. che la guida e la controlla, nell'ambito di
un’attività non di natura commerciale o industriale. Gli organismi di diritto pubb., quando concludono contratti di
appalto di lavori o di forniture o di servizi, devono seguire le procedure di evidenza pubblica, cioè devono scegliere
il proprio contraente attraverso gare pubbliche, ed i relativi atti possono essere impugnati davanti al giudice amm.

Enti pubblici economici → sono stati creati per tutto il corso del 900 dallo Stato italiano al fine di svolgere attività
di produzione di beni e servizi analoghe a quelle delle imprese private, sia pure al fine di perseguire finalità non
solo economiche ma anche sociali.
Gli atti adottati da tali enti sono perciò, in generale, negozi giuridici di diritto privato e non provvedimenti amm.
e gli amministratori devono sempre rispettare i principi di imparzialità e di buon andamento, art. 97 Cost., anche
quando agiscono attraverso atti di diritto privato.
Fine del 900: i maggiori enti pubb. economici sono stati trasformati in società per azioni, ossia in società di diritto
privato ad azionariato pubb. (es. l'ENI, l'ENEL, l'ANAS, l'Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, l'Ente tabacchi

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italiani e molte delle banche pubb.). Nella forma dell'ente pubb. economico rimangono ormai poche strutture,
quali l'Agenzia del Demanio, l'Istituto per il credito sportivo, la Società italiana autori ed editori, i Consorzi di
sviluppo industriale.

4. L’ATTIVITA’ AMMINISTRATIVA
L'attività amministrativa può suddividersi in 2 grandi tipologie: l'amm. per atti e l'amm. per servizi.
Da una parte gli interessi pubb. affidati agli organi ed agli uffici amm. richiedono di essere protetti e perseguiti
mediante atti, ossia manifestazioni di volontà rivolte a decidere quali comportamenti concreti possano o debbano
essere tenuti da specifici amm., o rivolte a produrre determinati effetti giuridici. Altre volte i risultati ai quali
l'amm. tende richiedono la predisposizione e la gestione di servizi, o il compimento di opere, pur se la decisione
di predisporli o compierli è comunque assunta attraverso atti amministrativi.
La p.a. può stipulare anche negozi di diritto privato e può concludere accordi amm. con soggetti privati oppure
con altre amm. (per «disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune»).
Nello Stato democratico-sociale la p.a. deve individuare in modo sistematico gli obiettivi da raggiungere,
programmare il modo migliore per conseguirli, adottare gli atti o predisporre i servizi, verificare i risultati raggiunti,
per poter poi impostare un nuovo ciclo di obiettivi e programmi (e di verifiche).
L'attività amm. è sempre più organizzata per risultati.

Con l'avvento dello Stato di diritto le leggi riguardanti la p.a. sono state considerate come il fondamento di specifici
poteri che altrimenti non spetterebbero all'amm. In altre parole, il principio secondo il quale la pubb. autorità
dispone di ogni potere, salvo ciò che le leggi garantiscono ai cittadini, è stato sostituito dal principio secondo il
quale l'autorità ha soltanto i poteri che ad essa sono assegnati dalle norme giuridiche, e in particolare dalle leggi.
La Cost. esprime un'idea del genere all'art. 23: «nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta
se non in base alla legge».
Per la p.a. la legge non opera solo quale confine negativo ed esterno dell'azione amm. (limite della liceità), ma
anche come sua direzione e guida (limite della legittimità), individuando il potere giuridico da esercitare, le ipotesi
nelle quali tale potere può o deve essere esercitato, l'organo competente, il procedimento da seguire, gli effetti
dell'atto da adottarsi.
È possibile che la legge guidi l'azione della p.a. in modo tale che ad essa non rimanga altro che una attività di mera
esecuzione. Se, ad es., la L. dispone che hanno diritto di essere iscritti all'università i soggetti che abbiano
compiuto gli studi secondari di 2°, è chiaro che l'università cui venga rivolta una domanda di iscrizione non ha
alcuna facoltà di scelta, ma deve solo accertare che il richiedente abbia i requisiti richiesti. La stessa funzione di
guida può essere svolta da un precedente provvedimento o serie di provvedimenti amministrativi, nell'ambito di
una programmazione o pianificazione: es. in materia urbanistica per i permessi edificatori rispetto al piano
regolatore o piano di governo del territorio.

5. LA DISCREZIONALITA’ AMMINISTRATIVA
In molti casi la legge consente o impone alle autorità amm. di valutare esse stesse la situazione, e di compiere poi
le scelte necessarie. Anche in queste situazioni, la p.a. non gode di una piena libertà decisionale ma di una più
circoscritta discrezionalità amministrativa, che è una facoltà di scelta (entro il limite della legittimità) attribuita
alla L. in vista del miglior conseguimento dell'interesse pubb.
Le scelte discrezionali richiedono una previa valutazione dell'interesse pubblico da perseguire e dei mezzi a
disposizione per conseguirlo. Più precisamente, esse richiedono una valutazione complessiva dai diversi interessi
pubb. coinvolti da una certa decisione amm.: una sintesi che deve tener conto anche di interessi privati, i quali
non devono risultare sacrificati senza che ne sia una necessità effettiva (principio di proporzionalità).

Spesso, per perseguire un interesse pubblico, la p.a. si trova a dover compiere scelte che si basano sulla
valutazione di elementi "tecnici", operata attraverso attività di ordine conoscitivo. Quando si tratta di valutazioni
puramente oggettive (come la misura della cubatura di un edificio), esse risultano praticamente vincolate: si parla
allora di semplici accertamenti tecnici. Altre volte la decisione dell'amm., pur dovendo basarsi su elementi
acquisiti in via conoscitiva, comporta margini di scelta tra opzioni tutte ugualmente sostenibili: si parla, allora, di
discrezionalità tecnica, ad es. quando la L. richiede che l'amm. valuti quale sia il candidato migliore per un impiego.

La giurisprudenza ha stabilito che il giudice, pur non potendosi sostituire nella valutazione all'amm., può e deve
esercitare il suo sindacato sulla attendibilità tecnica del criterio da essa seguito e sulla correttezza della sua
applicazione.

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6. GLI ATTI E I PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI: I CARATTERI
Tra le manifestazioni di volontà della p.a. occorre distinguere i meri atti amm. – i quali producono effetti giuridici
solo all'interno dell'apparato che li adotta - dai provvedimenti, che producono effetti giuridici all'esterno, ossia
nei confronti degli amministrati, modificando le loro situazioni giuridiche sogg.
Gli atti e i provvedimenti devono presentare 4 elementi essenziali (o costitutivi), senza i quali non si possono
considerare giuridicamente perfetti ed esistenti: a) il soggetto (pubblico) che li adotta (o la riferibilità dell'atto a
tale sogg.), b) il potere giuridico conferito dalla L., c) la forma scritta (a volte accompagnata da particolari
solennità), d) l'oggetto della decisione.
Un provvedimento (così come un mero atto) è perfetto quando sono venuti in essere i suoi elementi costitutivi,
per cui si può dire che esso esiste sul piano giuridico.
Per validità si intende la conformità del provvedimento ai requisiti fissati dalle norme, ossia l'assenza di vizi che lo
rendano invalido.
Un provvedimento che sia perfetto può essere dotato di efficacia, cioè della idoneità a produrre i suoi effetti
giuridici, anche se non sempre ciò avviene immediatamente. Un provvedimento valido può essere ancora
inefficace, mentre un provvedimento invalido può acquistare efficacia come se fosse valido (sicché, per rimediare,
si dovrà annullarlo).

I provvedimenti sono contraddistinti da alcune caratteristiche, che li distinguono nettamente dai negozi di diritto
privato. Esse sono: l'unilateralità (perché nell'adottarli l'unica volontà che conta è quella dell'amm., anche quando
sono richiesti da privati); l'autoritatività (perché la p.a. agisce come autorità, ossia impone le sue decisioni in
quanto tutrice degli interessi pubb.); la nominatività e tipicità (perché ciascuno di essi è previsto e disciplinato
dalla L.); l'esecutorietà (essendo suscettibili di esecuzione coattiva senza l'intervento dell'autorità giudiziaria).
Possono essere, poi, esecutivi o meno, a seconda che sia o non sia necessaria una attività amm. rivolta alla loro
esecuzione.
Ogni provvedimento amministrativo deve essere motivato, ad eccezione degli atti a contenuto generale (come i
piani e i programmi) e degli atti normativi adottati da organi amm. La motivazione «deve indicare i presupposti di
fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amm., in relazione alle risultanze
dell'istruttoria»

6.2. LA TIPOLOGIA
I provvedimenti sono tutti previsti dalla L. per la tutela di interessi pubb. ma si possono distinguere in
provvedimenti favorevoli, che ampliano la loro sfera giuridica (=ciò che è consentito dal diritto) e provvedimenti
sfavorevoli, che la restringono.

I provvedimenti favorevoli sono adottati su apposita domanda o istanza degli interessati. Sono: l'autorizzazione
(con la quale viene consentito lo svolgimento di una attività privata, che la L. permette a chi possieda certi requisiti
o sulla base di determinati presupposti, la cui sussistenza viene verificata dall'amministrazione prima di concedere
l'autorizzazione. Gli atti di tipo autorizzativo possono essere chiamati in vari modi: autorizzazioni, licenze, patenti,
nulla-osta, abilitazioni, omologazioni, ecc.); la concessione (con cui l'amm. attribuisce ad un privato speciali facoltà
di usare beni pubb., di gestire servizi pubb., o di eseguire opere pubb); l'ammissione (con la quale un privato viene
ammesso a far parte di una istituzione pubb. come scuola, uni., biblioteca pubb., un ordine professionale …);
l'esonero e la dispensa (con cui un sogg. viene esentato da un obbligo o un dovere che altrimenti avrebbe, ad
esempio, dal pagamento di determinate tasse); gli incentivi (come i contributi e le sovvenzioni, con i quali vengono
erogate a privati o ad altri sogg. pubb. somme di danaro per fini di interesse pubb.).

I provvedimenti sfavorevoli sono posti in essere dall'amm. d'ufficio, cioè di propria iniziativa, e sono: l'ordine (che
fa nascere nel destinatario un obbligo o un dovere, che prima non esisteva es. chiamata alle armi); l'espropriazione
(attraverso cui un'autorità amm., l'espropriante, in vista della realizzazione di un'opera di pubb. utilità, trasferisce
il diritto di proprietà di un immobile dal precedente proprietario, l'espropriato, a chi realizza l'opera, il beneficiario.
Dall'espropriazione, ai sensi dell'art. 42 Cost., deriva per l'espropriato anche un diritto soggettivo, quello
all'indennità, con il corrispondente obbligo a carico del beneficiario della espropriazione); la requisizione in uso e
l'occupazione (con cui vengono temporaneamente sottratti alla disponibilità dei proprietari, e utilizzati a fini
pubblici, dei beni mobili o immobili es. appartamenti per ricoverarvi dei senzatetto dopo un terremoto, o dei beni
immobili nel caso delle occupazioni, come quelle d'urgenza che possono precedere l'espropriazione di un terreno
consentendo l'immediato avvio di un'opera pubblica); la sanzione amministrativa (con cui la p.a. punisce un sogg.
per non aver rispettato determinate norme giuridiche, irrogandogli una sanzione pecuniaria, impropriamente
chiamata "multa", o una sanzione disciplinare nei confronti degli appartenenti ad una pubb. istituzione, come

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un'università, od anche disponendo la revoca di un provvedimento favorevole, come il ritiro del porto d'armi a
seguito di un'infrazione del beneficiario).

7. IL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
Ogni provvedimento è adottato a seguito di un procedimento, ossia di una serie di atti e di attività che si
susseguono in ordine prestabilito.

La L. 241/1990 ha disciplinato a livello generale il procedimento amm. (fatto salvo quanto stabilito riguardo a
determinati procedimenti da parte di altre leggi), che si articola in 4 fasi:
a) l'iniziativa, che può avvenire su istanza di colui che è interessato al provvedimento oppure d’ufficio o su
richiesta di una autorità amm. diversa da quella che deve provvedere, e il cui avvio deve essere comunicato al
destinatario del provvedimento ed ai contro-interessati, ossia a coloro ai quali potrà derivare un pregiudizio.

b) la fase istruttoria (o preparatoria), in cui l'amm. - tramite un proprio ufficio e, all'interno di questo, un
funzionario responsabile del procedimento amm., che devono essere individuati e comunicati ai destinatari -
raccoglie gli elementi di fatto e di diritto necessari per decidere, mediante: l'esame dei documenti a disposizione
o la richiesta di ulteriore documentazione, l'assunzione di info, il compimento di verifiche o ispezioni,
l'acquisizione di pareri da parte di appositi organi consultivi (talora da richiedere obbligatoriamente, ma che
possono non essere seguiti, indicandone i motivi), se del caso, la convocazione di una conferenza di servizi
(istruttoria o addirittura decisoria), che consiste in una riunione con i responsabili di tutte le altre amm. che siano
eventualmente coinvolte nel procedimento, al fine di operare una valutazione degli interessi pubb. in gioco.

c) la fase costitutiva del provvedimento, nella quale l'organo competente emana il provvedimento alla luce dei
risultati dell'istruttoria (che è, di norma, libero di valutare). Se, nei procedimenti ad istanza di parte, tale organo
non provvede entro il termine assegnatogli dalla normativa, ciò equivale assenso, ossia ad un «provvedimento di
accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide».

d) la fase integrativa dell'efficacia, ove la L. preveda che il provvedimento non produca effetti giuridici per il solo
fatto di esistere, ma a seguito di altri atti, adempimenti o formalità, che solitamente sono: un controllo per
verificare la sua conformità alle norme giuridiche, superato il quale l'efficacia decorre retroattivamente dal
momento della perfezione del provvedimento; la pubblicazione o la comunicazione o la notificazione dell'atto
all'interessato (queste ultime 2 richieste, oltre che per provvedimenti favorevoli, per tutti quelli sfavorevoli
dall'art. 21-bis, in base a cui «il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia nei
confronti di ciascun destinatario con la comunicazione», anche se in certi casi è ammessa una efficacia anticipata).

Ai destinatari ed agli altri sogg. coinvolti sono riconosciute facoltà di partecipazione al procedimento amm.
Innanzitutto, l'avvio stesso del procedimento deve essere comunicato ai destinatari del provvedimento finale ed
agli altri sogg. cui possa derivare un pregiudizio. Se poi un tale pregiudizio possa derivare ad altri sogg. pubb. o
privati, o ad associazioni e comitati costituiti per la tutela di interessi diffusi, anch'essi hanno facoltà di intervenire
nel procedimento.
La partecipazione al procedimento comporta la facoltà di prendere visione dei relativi atti (tranne quelli che
devono rimanere riservati per la volontà della stessa L.) e la facoltà di presentare memorie scritte e documenti,
che l'amm. ha l'obbligo di valutare.
Nei procedimenti ad istanza di parte, rivolti all'emanazione di provvedimenti favorevoli al richiedente, la
partecipazione comprende il diritto di conoscere, prima dell'adozione di un provvedimento negativo, i «motivi
che ostano all'accoglimento della domanda», e di esprimere su tali motivi le proprie osservazioni. Se l'amm. non
le accoglie, ha l'onere di indicarne le ragioni nella motivazione del provvedimento.

7.2. L’ACCESSO AI DOCUMENTI AMMINISTRATIVI


La L.241/1990 disciplina anche l'accesso ai documenti amm., che «costituisce principio generale dell'attività amm.
al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l'imparzialità e la trasparenza»
Esso riguarda tutti i tipi di documento ed include la facoltà di ottenerne copia. Sono esclusi soltanto i documenti
coperti da segreto o da divieto di divulgazione, quelli presenti nei procedimenti tributari e nei procedimenti diretti
all'emanazione di atti normativi o, infine, quelli che riguardino la vita privata o la riservatezza di persone, gruppi,
imprese e associazioni.
Il «diritto di accesso» è riconosciuto a coloro che partecipano al procedimento rispetto ai relativi documenti ma
anche a tutti gli interessati, definiti come «tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubb. o

81
diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente
tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso».
L'accesso si esercita mediante domanda motivata. Ove l'amm. lo rifiuti o non risponda entro 30g dalla richiesta –
l'interessato può ricorrere al difensore civico oppure al tribunale amm. regionale, il quale, se ritiene che il
ricorrente vi abbia diritto, ordina che l'accesso sia consentito.
Il d.lgs. n. 33 del 2013 e successive modifiche hanno sancito, a favore di «chiunque» il diritto di accesso civico
("semplice") e quello di accesso civico generalizzato.
Il primo concerne i documenti, le info e i dati oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi di legge, che si ha
diritto di richiedere in caso di omessa pubblicazione. Il secondo riguarda i dati e i documenti ulteriori rispetto a
quelli anzidetti, che è possibile richiedere «nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente
rilevanti» «allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e
sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico».

8. I VIZI DI LEGITTIMITA’
A volte i provvedimenti amm. sono affetti da vizi di legittimità, ossia irregolarità derivanti dalla violazione di norme
e principi giuridici, che ne impediscono la perfezione o la validità.
Invece, i c.d. vizi di merito, che riguardano l'opportunità delle scelte effettuate mediante l'atto, non inficiano la
perfezione e validità di quest'ultimo: gli atti inopportuni o inappropriati non sono annullabili, ma possono solo
essere revocati, con effetto ex nunc, dalla stessa amm. che ritenga di aver operato in precedenza una scelta
sbagliata o non ben meditata. Rimangono fermi gli effetti già prodotti per il passato del provvedimento revocato
(analogamente a quanto avviene a seguito dell'abrogazione di una norma).

I vizi di legittimità che comportano l'inesistenza o la nullità di 1 o + degli elementi costitutivi del provvedimento
ne impediscono la perfezione, per cui il provvedimento non può produrre alcun effetto.
Le cause di nullità sono ora espressamente menzionate dall'art. 21- septies, della L.241/1990, secondo il quale «è
nullo il provvedimento amm. che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione,
che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla L.».
Ogni altra difformità del provvedimento rispetto ai requisiti posti dalle norme giuridiche è causa di annullabilità,
con perdita degli effetti dell'atto ex tunc: l'annullamento può essere richiesto ed accordato qualunque sia il vizio
che si lamenta, dato che la Cost. prevede che «contro gli atti della p.a. è sempre ammessa la tutela
giurisdizionale», la quale «non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate
categorie di atti».
Fin dal 1889 la L. classifica i vizi che comportano l'annullabilità degli atti amministrativi in 3 tipologie:
l'incompetenza, la violazione di legge e l'eccesso di potere.

a) Si ha il vizio di incompetenza (relativa) quando un provvedimento amm. è posto in essere da un'amm. provvista
di potestà nella materia, ma attraverso un organo diverso da quello che avrebbe dovuto provvedere. Diverso è il
caso dell'incompetenza assoluta, in cui l'amm. che ha adottato il provvedimento non aveva alcun potere per farlo,
il che comporta la nullità dell'atto.

b) La violazione di legge comprende tutte le altre ipotesi nelle quali risulta violata una norma giuridica a contenuto
specifico e determinato (in particolare, quando non vengano rispettate le regole procedurali previste).

c) L'eccesso di potere si produce in tutti quei casi in cui la formazione della volontà dell'amm. avviene in maniera
scorretta rispetto ai principi che regolano l'esercizio della funzione amm. Esso è diventato il vizio tipico della parte
discrezionale del provvedimento, anche se occorre sottolineare che, attraverso l'eccesso di potere, si arriva a
sindacare non il contenuto della scelta amm., ma soltanto il modo in cui essa si è formata, per cui il sindacato
sull'atto resta sul piano della legittimità e non si trasforma in una valutazione del merito.

Il caso tipico è l'eccesso di potere per sviamento di potere, ossia per un uso sviato della potestà conferita dalla
legge all'amm.
Nell'eccesso di potere sono stati ricompresi i vizi della motivazione, cioè di quella parte del provvedimento in cui
vengono spiegate le ragioni di interesse pubb. che hanno guidato la scelta amministrativa: la contraddittorietà
della motivazione, la sua insufficienza o incertezza ecc.
Nel vizio in esame sono state fatte rientrare ulteriori gravi irregolarità che non derivano da una specifica violazione
di legge, come la disparità di trattamento (quando vengano assunti provvedimenti diversi in situazioni analoghe),
l'ingiustificata violazione della prassi amministrativa (ossia del modo in cui si comporta da tempo quell'amm. in

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una situazione di quel tipo), il travisamento dei fatti (cioè l'aver considerato esistenti fatti chiaramente inesistenti,
o che tali risultano dalla stessa istruttoria, o viceversa), la c.d. giustizia manifesta (cioè un provvedimento già a
prima vista esagerato o cervellotico).

8.2. LA CONVALIDA DEGLI ATTI VIZIATI


Un provvedimento viziato è illegittimo, e quindi annullabile. Talvolta, però, il vizio può essere eliminato ad opera
della stessa p.a., senza che si debba annullare l'atto: l'art. 21-nonies, della L. 241/1990 stabilisce che è fatta salva
la possibilità di convalida del provvedimento annullabile sussistendone le ragioni di interesse pubb. ed entro un
termine ragionevole».
Si parla di sanatoria quando viene ripetuta una fase del procedimento (superando così la violazione di legge che
si era prodotta) e di convalida quando viene appositamente adottato un atto da parte dell'organo dotato della
competenza a provvedere (così da ovviare all'incompetenza iniziale).
La + comune forma di convalida consiste nella ratifica da parte di un organo dell'atto emanato da una autorità
incompetente.
Rimangono invece del tutto insanabili i vizi che consistono in un contrasto del contenuto del provvedimento con
le norme legislative o regolamentari, o con i principi di imparzialità e di parità di trattamento.
Qualora l'amm. si renda conto che un proprio provvedimento è illegittimo e non può essere sanato, può, a certe
condizioni, provvedere ad annullarlo (annullamento d'ufficio), tenendo però conto degli interessi dei destinatari
e dei controinteressati.

9. I RICORSI CONTRO I PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI


Un sogg. che si ritenga leso da un provvedimento amministrativo può sempre chiedere tutela all'autorità
giudiziaria e precisamente: ove lamenti la violazione di un interesse legittimo o, in caso di giurisdizione esclusiva,
anche di un diritto sogg., può ricorrere al giudice amm., entro il termine di decadenza di 60g da quando ha avuto
comunicazione o conoscenza dell'atto; ove lamenti la lesione di un diritto soggettivo, può rivolgersi al giudice
ordinario, entro il termine di prescrizione del diritto stesso (di norma 10 anni).
In pratica, si ha giurisdizione del giudice ordinario quando l'amministrazione abbia agito in carenza assoluta di un
potere o con atti assolutamente non idonei ad esercitare un potere pur esistente oppure quando non abbia
tutelato aspetti essenziali di un diritto fondamentale, mentre si ha giurisdizione del giudice amministrativo
quando l'amm. abbia agito esercitando male un potere attribuitole.
A seconda del giudice adito, possono essere accordati rimedi differenti:
-il giudice amministrativo può annullare il provvedimento, con effetto ex tunc, e condannare l'amm. a risarcire il
danno provocato dalla lesione dell'interesse legittimo;
-il giudice ordinario può solo disapplicare l'atto (ossia decidere la controversia come se l'atto non ci fosse) e
ordinare il risarcimento del danno causato dall'amm. (che discende direttamente dalla lesione del diritto).

Tuttavia, i destinatari e i controinteressati hanno anche la possibilità di chiedere tutela alla stessa p.a., mediante
la proposizione di un ricorso amm., con cui si possono far valere sia interessi legittimi che diritti soggettivi
(maggiore speditezza ed economicità, facoltà di non avvalersi dell'assistenza di un avvocato, possibilità di chiedere
non solo l'annullamento del provvedimento per ragioni di legittimità, ma anche – salvo che per il ricorso al Capo
dello Stato - la revoca o la riforma (ossia la modifica) di esso per motivi di merito).
I ricorsi amministrativi, disciplinati dal d.P.R. 1199/1971 (che è un decreto legislativo), sono:
a) il ricorso in opposizione, da presentare, entro 30g dalla comunicazione o dalla piena conoscenza dell'atto
contestato, davanti allo stesso organo che lo ha emanato, che è ammissibile solo nei casi previsti da specifiche
disposizioni (ritenendosi dal legislatore poco probabile che l’organo muti la sua posizione);
b) il ricorso gerarchico, da presentare entro 30g davanti all'organo immediatamente superiore a quello che ha
posto in essere il provvedimento, che è sempre possibile se vi sia un superiore gerarchico o se la legge consenta
espressamente di ricorrere ad una diversa autorità (c.d. ricorso gerarchico improprio), e che può essere
presentato anche contro il rigetto di un ricorso in opposizione. In caso di reiezione del ricorso gerarchico o di
silenzio protratto per i 90g successivi alla sua presentazione (od anche di impossibilità di presentare un tale ricorso
per mancanza di organi superiori, come per un provvedimento amm. adottato dal Consiglio dei ministri), il
ricorrente può rivolgersi all'autorità giudiziaria o, in alternativa, può presentare;
c) il ricorso straordinario al Capo dello Stato, per sole ragioni di legittimità, nel termine di 120g dalla notificazione
o dalla piena conoscenza dell'atto di rigetto del ricorso gerarchico (o, in mancanza, di quello originario). Tuttavia,
i controinteressati e le amm. non statali possono richiedere, entro ulteriori 60g, che il giudizio si svolga in sede
giurisdizionale. Il ricorso è istruito dal ministero competente per materia, ma la decisione, adottata con decreto

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del P. della R. su proposta del ministro, deve essere conforme al parere vincolante emesso dal Consiglio di Stato,
attraverso una delle sue sezioni consultive.

REGIONI ED ENTI LOCALI


1. IL REGIONALISMO ITALIANO
Lo Stato regionale era tradizionalmente considerato un modello intermedio fra i 2 prototipi dello Stato unitario e
dello Stato federale, in quanto, pur esistendo in esso + livelli di governo dotati di autonomia politica, le entità
minori non vantano prerogative sovrane.
Alla luce delle riflessioni dottrinali e delle concrete esperienze dei vari Paesi, si è osservato che ormai gli Stati
membri delle federazioni tendono a non essere più realmente sovrani (nelle materie di loro competenza), ma
largamente autonomi: ciò comporta che la differenza tra uno Stato federale ed uno regionale tende ad essere di
tipo quantitativo (rispetto al volume delle competenze assegnate agli enti territoriali) più che qualitativo.
In Italia, l'Assemblea Costituente scartò comunque l'ipotesi di trasformazione del Paese da Stato unitario
accentrato in Stato federale, ma dibatté sull'introduzione, accanto ai già esistenti Comuni e Province, delle
Regioni: si mostrarono favorevoli i costituenti della Democrazia Cristiana e dei partiti laici (Partito d'azione, Partito
repubblicano, in certa misura i liberali); erano invece contrarie, almeno inizialmente, le forze di sinistra, temendo
che ciò rappresentasse un freno all'applicazione generalizzata del principio di uguaglianza sostanziale e delle
riforme economico-sociali che si andavano progettando.
Così se, da un lato, venne sancito, nell'art. 5 della Cost., che «la Rep., una e indivisibile, riconosce e promuove le
autonomie locali», dall'altro, mediando tra le diverse posizioni politiche, venne adottato un modello organizzativo
non pienamente adeguato alla realizzazione di questo obiettivo.

Le stesse singole Regioni sono state create dall'Assemblea Costituente (che ne approvò l'elenco nell'art. 131
Cost.): quindi esse sono nate ad opera della comunità nazionale (dall'"alto"), anziché delle comunità locali
interessate (dal "basso"). Tali enti, poi, hanno ricevuto gli stessi compiti, poteri e risorse (delineando un
regionalismo indifferenziato o simmetrico), tranne le 5 Regioni a statuto speciale, a cui sono state attribuite con
specifiche L. cost. «forme e condizioni particolari di autonomia» (secondo quanto previsto dall'art. 116 Cost.).
Le potestà statutaria (art. 123 Cost.), legislativa (art. 117 Cost.), amministrativa (art. 118 Cost.) e finanziaria (art.
119 Cost.), pur riconosciute alle Regioni, furono configurate in termini circoscritti.
Infine, pur prevedendosi che il Senato della Rep. dovesse essere eletta «a base regionale» (art. 57 Cost.), la
legislazione elettorale e la prassi politica successive non consentirono che tale assemblea riuscisse a
rappresentare le comunità regionali nelle loro specificità.
La stessa attuazione del modello regionale avvenne tempestivamente solo per gli enti a statuto speciale, mentre
per gli altri - nonostante l’adozione della L.62/1953 (c.d. "legge Scelba") - si realizzò solo molti anni + tardi: le
prime elezioni dei loro Consigli regionali si tennero nel giugno del 1970, mentre il trasferimento alle Regioni
ordinarie delle funzioni di loro spettanza, svolte fino ad allora dallo Stato, avvenne con vari decreti legislativi nel
1972 e nel 1977.
Solo a partire dagli anni '90 prese avvio una serie di incisive riforme, culminate nella revisione dell'intero Titolo V
della Parte II della Cost. ad opera di L. cost. 1/1999 e 3/2001: la 2° di esse, dopo essere stata votata dalle Camere,
venne anche confermata dal corpo elettorale nel 1° referendum cost. della storia repubblicana (2001).
A seguito di tale revisione l'Italia si è evoluta verso un regionalismo rafforzato – e una > autonomia per Comuni e
Province -, che potrebbe aprirsi in futuro anche a forme di differenziazione ed asimmetria fra le singole Regioni
ordinarie mediante l'eventuale applicazione del nuovo art. 116 Cost.

2. AUTONOMIA E DIFFERENZIAZIONE DEGLI ENTI TERRITORIALI


Il nuovo art. 114 della Cost. proclama che tutti i livelli di governo sono enti «costitutivi» della Rep., precisando
subito che «i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi [e non sovrani] con
propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Cost.». I successivi articoli del Titolo V attribuiscono
a tali enti l'autonomia organizzativa (statutaria: artt. 114 e 123), normativa (legislativa e regolamentare per le
Regioni, soltanto regolamentare per gli altri enti: art. 117), amministrativa (nelle materie in cui non sia necessario
un esercizio unitario a livello nazionale: art. 118) e finanziaria (di entrata e di spesa, in modo che le risorse
complessivamente disponibili consentano «di finanziare integralmente le funzioni pubb. loro attribuite»: art. 119).

La nuova disciplina cost. prende atto che il riconoscimento dell'autonomia presuppone il superamento dei criteri
di omogeneità e di uniformità, con il conseguente riconoscimento che ciascun ente territoriale possiede una
specifica individualità.

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È stato, così, sancito anche il principio di differenziazione (art. 118 Cost.), che non determina una lesione del
principio di eguaglianza tutelato dall'art. 3 Cost., anche se sarebbe costituzionalmente illegittima la concreta
realizzazione di una differenziazione che si traducesse, per alcuni territori o gruppi di cittadini, in una
compressione sostanziale dei diritti garantiti dalla Cost. Per scongiurare tale eventualità, il nuovo Titolo V ha
introdotto due correttivi:
-all'art 117 Cost. ha riservato alla L. statale la competenza a determinate i «livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale»;
-all'art. 120 Cost. ha previsto il potere sostitutivo del Governo nei confronti delle Regioni e degli enti locali, quando
lo richieda la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini
territoriali dei governi locali.

Il nuovo Titolo V consente alle singole Regioni a statuto ordinario di richiedere l'attribuzione di forme e condizioni
particolari di autonomia (c.d. "regionalismo differenziato" o "asimmetrico"), ferma restando la particolare e +
ampia autonomia di cui godono le Regioni a statuto speciale (ex art. 116 Cost.).
L'autonomia differenziata può riguardare l'ambito dei principi fondamentali delle materie di legislazione
concorrente (elencate nell'art. 117), nonché 3 materie di competenza esclusiva statale: a) l'organizzazione della
giustizia di pace; b) le norme generali sull'istruzione: c) la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali.
In alcuni/tutti gli ambiti e materie sopra indicati una Regione ordinaria può chiedere allo Stato di ottenere una +
ampia potestà legislativa e regolamentare. Può chiedere anche > autonomia amm. e gestionale, nel rispetto però
dello spazio garantito dalla Cost., in questo campo, agli enti locali.
Infine può chiedere anche + risorse, sotto forma di maggiori quote di tributi statali riscossi nel suo territorio o
della facoltà di tassare fonti di reddito oggi sottoposte ad imposizione statale.
Lo Stato è tenuto soltanto ad aprire la trattativa con la Regione, ma potrebbe non aderire alle sue richieste o
potrebbe accettarle solo in parte, dovendo considerare l'interesse nazionale e i riflessi sulla condizione delle altre
Regioni della concessione ad un solo ente di tale maggiore autonomia.
D'altra parte, la procedura prevista dalla Cost. per attribuire autonomia differenziata è articolata e complessa:
dopo l'iniziativa della Regione interessata (che nella prassi avviene ad opera degli Esecutivi regionali) e la trattativa
con il Governo nazionale, occorre che: sia sottoscritta un'intesa fra lo Stato e la Regione, che definisca le materie
o i loro ambiti trasferiti dalla competenza statale a quella regionale; che su di essa sia acquisito il parere degli enti
locali presenti sul territorio della Regione interessata; che il Parlamento approvi, sulla base dell'intesa, una legge
ordinaria rinforzata, a maggioranza assoluta dei componenti sia alla Camera che al Senato.

Negli anni successivi alla riforma cost. del 2001, alcune Regioni ordinarie avevano promosso iniziative per
richiedere una maggiore autonomia, senza pervenire ad un'intesa con il Governo.
Nel 2017 il Veneto e la Lombardia + l'Emilia-Romagna hanno dato avvio a negoziati con il Governo, giungendo il
28.02.2018 alla stesura di 3 accordi preliminari. Successivamente la trattativa si è sostanzialmente bloccata.

3. L’AUTONOMIA STATUTARIA REGIONALE


Le Regioni italiane sono state distinte in 2 tipologie, differenziando da quelle ordinarie 5 Regioni speciali (Valle
d''Aosta/Vallée d'Aoste, Trentino-Alto Adige/Südtirol, Friuli-Venezia Giulia, Sicilia e Sardegna), alle quali
l'ordinamento riconosce «forme e condizioni particolari di autonomia» (art. 116 Cost.), in ragione di peculiari
condizioni geografiche, storiche o linguistiche.
Ciascuna Regione, ordinaria o speciale, ha uno statuto, che ne delinea i caratteri e l'organizzazione (e, nel caso di
quelle speciali, anche l'ambito di competenza).
Per le Regioni speciali, gli statuti sono adottati con legge cost. - quindi dal Parlamento nazionale - in modo da
poter delineare forme di autonomia + ampie e derogatorie rispetto ai limiti fissati dalla Cost. per le altre Regioni.
Per le Regioni ordinarie gli statuti, deliberati da ciascun Consiglio regionale, erano inizialmente approvati con L.
statale, anche al fine di consentire un controllo sulla loro «armonia con la Cost. e con le leggi della Rep.».

A seguito della L. cost. 1/1999, l'art. 123 Cost. prevede ora un diverso procedimento di adozione degli statuti
ordinari: il testo è approvato dal Consiglio regionale, a > assoluta dei componenti, con 2 deliberazioni successive
ad intervallo non minore di 2 mesi l'una dall'altra; dopo la 2° approvazione, il testo è pubblicato a scopo notiziale
sul Bollettino Ufficiale della Regione; dalla pubblicazione decorrono i termini:
a) di 30g per proporre ricorso alla Corte cost. da parte del Governo (e dunque per attivare un controllo di
legittimità cost. preventivo),
b) e di 3 mesi perché 1/50 degli elettori della Regione o 1/5 dei componenti del Consiglio regionale richiedano un
referendum sullo statuto.

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Ove non sia stata dichiarata l'illegittimità costituzionale né sia stato richiesto referendum (ovvero in caso di esito
favorevole del referendum celebrato), lo statuto è promulgato dal P. della Regione e nuovamente e
definitivamente pubblicato nel Bollettino regionale ai fini della sua entrata in vigore.

A seguito della L. cost. 2/2001, anche le Regioni a statuto speciale possono adottare leggi statutarie anche se è
sufficiente in questo caso una sola deliberazione del Consiglio regionale, a > assoluta dei componenti, seguita
dalla pubblicazione notiziale dell'atto nonché dalla possibilità di ricorso governativo e di referendum su di esso.
Gli statuti delle Regioni ordinarie e le leggi statutarie delle Regioni speciali sono leggi regionali rinforzate nel
procedimento perché destinate a prevalere su di esse in caso di contrasto.

Con riguardo ai contenuti, l'attuale art. 123 Cost. riserva allo statuto ordinario, nel rispetto del (solo) limite
dell'«armonia con la Cost.», la disciplina: della «forma di governo»; dei «principi fondamentali di organizzazione
e funzionamento» della Regione; dell'«esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti
amm. della Regione»; della «pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali»; del «Consiglio delle autonomie
locali».

Gli ambiti che lo statuto è chiamato a disciplinare si sono estesi, includendo la «forma di governo» e i «principi
fondamentali di organizzazione e funzionamento», rendendo i margini di autonomia delle Regioni, almeno sulla
carta, ampi.
Quelli appena richiamati costituiscono i contenuti necessari dello statuto. Accanto ad essi, la dottrina si è
interrogata sull'ammissibilità di contenuti ulteriori ed eventuali. Rientrano in questa categoria le enunciazioni
programmatiche, ossia quelle disposizioni recanti principi e obiettivi volti a orientare l’attività normativa e amm.
della Regione.
La Corte cost. ha ammesso che gli statuti regionali possano avere contenuti ulteriori rispetto a quelli necessari, e
chiarito che, quando queste enunciazioni programmatiche eccedano le competenze della Regione, ad esse non
può essere riconosciuta alcuna efficacia giuridica, collocandosi piuttosto su un piano meramente politico e
culturale.

4. LA FORMA DI GOVERNO REGIONALE


In seguito alla L. cost. 1/1999, le Regioni ordinarie hanno acquisito la facoltà di determinare la propria «forma di
governo», =sistema di regole relative all'individuazione degli organi regionali di governo, alla loro composizione,
alle modalità di scelta dei loro titolari, alle loro attribuzioni e ai loro reciproci rapporti.
Sugli esiti dell'applicazione di tali regole influiscono il sistema elettorale e il sistema politico.
Le Regioni sono solo parzialmente libere in tale determinazione. Secondo l'art. 121 Cost., esse devono dotarsi di
3 organi aventi specifiche competenze:
a) Consiglia regionale: organo rappresentativo della comunità regionale ed “esercita le potestà legislative
attribuite alla Regione e le altre funzioni conferitegli dalla Cost. e dalle leggi”;
b) Giunta regionale: «l'organo esecutivo delle Regioni» (e la cui presenza ostacola l'adozione di forme di governo
presidenziali, in cui l'organo esecutivo è il Presidente);
c) Presidente della Giunta: «rappresenta la Regione; dirige la politica della Giunta e ne è responsabile; promulga
le leggi ed emana i regolamenti regionali; dirige le funzioni amm. delegate dallo Stato alla Regione, conformandosi
alle istruzioni del Governo della Rep.» (il che ostacola a forme di governo direttoriali, nelle quali tali funzioni
sarebbero svolte dalla Giunta, ed a sistemi semipresidenziali, in cui esse sarebbero ripartite fra P. della Regione e
P. della Giunta).
Ha compiti consultivi e di raccordo fra la Regione e gli enti locali compresi nel suo territorio il Consiglio delle
autonomie locali, previsto dall'art. 123 Cost. e disciplinato da ciascuno statuto regionale.

I rapporti tra gli organi di governo sono sogg. ad alcune regole imperative:
-il Consiglio regionale deve poter esprimere la sfiducia nei confronti del P. della Giunta (art. 126 Cost.);
-le dimissioni contestuali della maggioranza dei componenti del Consiglio comportano lo scioglimento del
Consiglio e le dimissioni della Giunta (art. 126 Cost.);
-se il P. della Giunta è eletto a suffragio universale, gli spetta la nomina e la revoca degli assessori (art. 122 Cost.)
mentre la sua cessazione dalla carica per qualunque ragione (mozione di sfiducia, rimozione, impedimento
permanente, morte, dimissioni volontarie) comporta lo scioglimento anticipato del Consiglio regionale (principio
del “simul stabunt simul cadent": art. 126).

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In tal modo la Cost. stessa detta una forma di governo standard, di tipo neoparlamentare in «non esiste tra P.
della Giunta e Consiglio regionale una relazione fiduciaria assimilabile a quella tipica delle forme di governo
parlamentari, ma un rapporto di consonanza politica, istituito dagli elettori».
Se lo statuto dispone l'elezione a suffragio universale e diretto del P. della Giunta, deve assegnargli in via esclusiva
anche la nomina e la revoca degli assessori e deve disciplinare i rapporti fra i 3 organi fondamentali di governo
sulla base del principio simul stabunt simul cadent, in forza del quale il P. della Regione e il Consiglio regionale
seguono in qualunque caso la stessa sorte.
Tutti gli statuti ordinari adottati negli anni 2000 hanno optato per un regime neoparlamentare analogo a quello
standard, eventualmente regolando alcuni aspetti.
Tra questi si segnalano: la disciplina delle modalità di presentazione al Consiglio regionale, da parte del P. eletto,
del programma di governo per la legislatura, a cui non può far seguito un voto con effetti vincolanti o
l'approvazione di una mozione di fiducia; la mozione di «censura» nei confronti di un singolo assessore, che non
ne comporta la rimozione dall'ufficio, spettando solo al P. eletto disporne la revoca; l'eventuale previsione della
questione di fiducia.

Anche alle Regioni a statuto speciale è stato esteso dalla legge cost.2/2001 il modello di governo standard, salva
la possibilità di definire una diversa forma di governo con apposita legge statutaria. Come le Regioni ordinarie
anche quelle ad autonomia speciale hanno in concreto optato per una forma di governo neoparlamentare, con la
sola eccezione della Valle d'Aosta e della Provincia autonoma di Bolzano che - per salvaguardare le loro diverse
componenti linguistiche - hanno preferito la forma di governo parlamentare razionalizzata.

La forma di governo regionale è influenzata dal sistema elettorale. L'art. 122 Cost. prevede una competenza
legislativa concorrente in materia, stabilendo che «il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità
del P. e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con L. della
Regione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con L. della Rep., che stabilisce anche la durata degli organi
elettivi.
Il legislatore statale ha sancito i principi fondamentali della materia con la L.165/2004, la quale dispone che il
sistema elettorale adottato in ogni Regione debba agevolare la formazione di stabili maggioranze nel Consiglio e
assicurare la rappresentanza delle minoranze → se il P. della Giunta è eletto a suffragio universale e diretto, la
sua elezione deve essere contestuale a quella del Consiglio regionale.
Le Regioni hanno ripreso, salvo alcune varianti, il sistema misto introdotto dalla precedente L. statale n. 43/1995
basato su una ripartizione proporzionale della maggioranza dei seggi del Consiglio e sull'assegnazione della quota
rimanente di seggi alle sole liste collegate al P., eletto a maggioranza relativa dei voti (come in Lombardia, basato
sull'attribuzione di un premio di magg. che garantisce il 55% o il 60% dei seggi consiliari alle liste collegate al P.
eletto). In tal modo il sistema elettorale supporta in maniera determinante la forma di governo neoparlamentare,
garantendo al P. eletto a suffragio universale il sostegno della > dei membri del Consiglio: un sostegno che
potrebbe anche non mantenersi per l'intera legislatura, ma che difficilmente si ribalterà in una esplicita sfiducia,
la quale comporterebbe lo scioglimento anticipato dello stesso Consiglio.

5. LE FUNZIONI LEGISLATIVE E REGOLAMENTARI


La riforma cost. del 2001 ha modificato la ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regioni, sulla base
della materia da disciplinare.
L'art. 117 Cost. equipara la potestà legislativa dei 2 tipi di enti, disponendo che l'esercizio della stessa avvenga
sempre nell'osservanza dei medesimi limiti, ossia: «nel rispetto della Cost.» (limite costituzionale), «dei vincoli
derivanti dall'ordinamento comunitario» (limite comunitario), e dei vincoli derivanti «dagli obblighi
internazionali» (limite internazionalista).

La potestà legislativa viene suddivisa tra Stato e Regioni ordinarie secondo le seguenti modalità:
-lo Stato può legiferare in via esclusiva nelle materie espressamente indicate nell'art. 117 Cost., considerate di
interesse unitario e nazionale, tali da richiedere una disciplina uniforme a livello statale e che sono in molti casi
riservate allo Stato centrale (es. «politica estera» o la «moneta»);
-numerose altre materie sono affidate alla legislazione concorrente di Stato e Regioni: al primo spetta la disciplina
di principio, alle seconde quella di completamento e di dettaglio, in quanto la natura delle materie consente una
differenziazione tra una Regione e l'altra nell'ambito di una normazione di principio rispondente a esigenze
unitarie (es. «tutela della salute» o il «governo del territorio»);
-in tutte le materie non elencate, la potestà legislativa residuale è attribuita alle Regioni.

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Le competenze regionali si inseriscono in un sistema di competenze statali dove sono presenti anche "materie
trasversali" (come la «tutela della concorrenza» o la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale»).
A ciò deve aggiungersi che la Corte cost., ha individuato altri elementi unificanti, che hanno ulteriormente
circoscritto l'autonomia legislativa regionale. In particolare, va ricordato il fenomeno della "attrazione in
sussidiarietà", in base alla quale il riparto delle competenze definito dal nuovo art. 117 Cost. può essere derogato.
Infatti, quando l'applicazione dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza sanciti dall'art. 118 Cost.
comporta l'attribuzione di funzioni amm. al livello statale, essa legittima l'attrazione a livello statale anche della
relativa competenza legislativa, per non tradire quelle medesime esigenze di unitarietà sottese all'attrazione
amministrativa.

La potestà legislativa delle Regioni è limitata all'area dei rapporti amministrativi.


Le Regioni continuano a legiferare soltanto riguardo ai rapporti tra pubblici poteri e soggetti privati, mentre è loro
precluso disciplinare le relazioni tra due privati o tra due imprese.

Per le Regioni speciali, i rispettivi statuti disciplinano la potestà legislativa di ciascun ente e le materie su cui può
esercitarsi, prevedendo di solito una potestà primaria regionale- simile o più ampia di quella residuale -, una
potestà concorrente ed una integrativa di leggi statali. L'art. 10 della L. cost.3 del 2001 ha stabilito una "clausola
di maggior favore", in virtù della quale alle stesse si applicano le disposizioni che il Titolo V Cost. detta per le
Regioni di diritto comune.

Alle Regioni sono conferiti poteri regolamentari, consistenti nella facoltà di adottare norme giuridiche subordinate
a quelle legislative, finalizzate a precisare o completare quelle dettate dalle leggi. Tali poteri sono attribuiti anche
a Comuni, Province e Città metropolitane riguardo all'organizzazione delle funzioni e dei compiti loro spettanti.
La potestà regolamentare è ripartita fra lo Stato, le Regioni e gli enti locali.

6. LE FUNZIONI AMMINISTRATIVE
Ai sensi dell'originario art. 118 Cost., ispirato al principio del "parallelismo delle funzioni", le Regioni ordinarie
esercitavano funzioni amm. nelle materie in cui disponevano anche di competenza legislativa concorrente e in
alcune di queste la legge statale poteva decidere di attribuire la potestà amm. a Comuni e Province. Gli enti
regionali dovevano svolgere le funzioni in parola non direttamente, ma delegandole agli enti locali oppure
avvalendosi dei loro uffici. L'esercizio delle funzioni amm. era sostanzialmente concentrato nelle mani dello Stato
e degli enti sub-regionali (soprattutto i Comuni).

6.1. IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETA’


A partire dagli anni '90, si è progressivamente affermata la convinzione che le funzioni amm. di sussidiarietà
debbano essere assegnate all'ente più vicino all'interesse da curare (o, come si dice, all'ente + prossimo al
cittadino), sulla base del principio di sussidiarietà.
Dopo una prima sperimentazione operata con la L.59/1997 ("legge Bassanini") e con successivi decreti legislativi
delegati, il principio in oggetto è stato codificato, con la riforma cost. del 2001, nel nuovo art. 118 Cost., secondo
il quale «le funzioni amm. sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite
a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e
adeguatezza”. Tutti gli enti territoriali devono favorire «l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per
lo svolgimento di attività di interesse generale».
1°C → sancita la sussidiarietà "verticale", che rappresenta un criterio basato sulla capacità dei singoli enti,
rappresentativi delle comunità territoriali, di adempiere le funzioni pubb.
4°C → prevista la sussidiarietà "orizzontale", che indica un analogo criterio, operante però tra privati ed enti pubb.
Dalla combinazione dei 2 criteri deriva che la cura degli interessi pubb. dovrebbe essere affidata agli stessi
cittadini. Se questi non sono in grado di occuparsene, deve essere attribuita agli enti pubb., a cominciare da quelli
+ vicini ai cittadini stessi (i Comuni) e poi via via agli altri: le Province o le Città metropolitane, poi le Regioni, quindi
lo Stato e, da ultimo, ai sensi dell'art.5 del TUE, all'UE.
La sussidiarietà verticale serve a ripartire sia lo svolgimento delle funzioni pubb. sia i compiti di erogazione dei
servizi pubb.; quella orizzontale si riferisce al 2° aspetto e solo marginalmente al primo, dato che i privati non
possono esercitare poteri di comando, né utilizzare la forza nei confronti di altri privati. Inoltre, sembra logico che
il principio in oggetto imponga di favorire i privati solo a determinate condizioni: innanzitutto se la loro azione si
dimostra altrettanto efficace di quella pubb., poi se non risulta + gravosa di quest'ultima, sotto il profilo finanziario
e tecnico-organizzativo, infine se è in grado di rispettare le "regole del gioco" e gli interessi di tutti. Altrimenti si

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dovrebbe ammettere che sia stato introdotto nella Cost. il diritto dei privati ad essere aiutati dai pubblici poteri
nello svolgimento di qualunque iniziativa di pubblico interesse cui essi intendano partecipare.
Poiché il principio di sussidiarietà è un criterio di ripartizione delle funzioni e dei poteri amm. non sostanziale, ma
procedurale spetta poi alla legge, statale o regionale stabilire la collocazione delle specifiche funzioni tra i diversi
livelli territoriali. Al principio di sussidiarietà si affiancano nell'art. 118 Cost. i principi di:
-differenziazione, che impone che le funzioni amm. siano allocate tenendo conto della circostanza che gli enti
pubblici non sono tra loro uguali per dimensione e capacità gestionale, sicché enti dello stesso livello possono
ricevere competenze diverse;
-adeguatezza, che sottolinea che l'attribuzione delle funzioni amm. deve tener conto della capacità dell'ente di
gestire l'interesse pubblico in modo efficiente ed efficace.

6.2. I POTERI SOSTITUTIVI


Benché dall'art. 118 Cost. traspaia un'evidente «"preferenza" generalizzata per gli enti + vicini ai cittadini», il
rischio che le autonomie territoriali non adempiano adeguatamente le funzioni amm. loro attribuite ha indotto la
Cost. e le leggi a prevedere poteri sostitutivi dell'ente "superiore".
Così, l'art. 120 Cost. stabilisce che lo Stato - rappresentato dal Governo – può sostituirsi agli organi delle Regioni
e degli enti locali «nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria
oppure di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubb., ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unità
giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti
civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali». In qualunque caso, vanno seguite
«procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del
principio di leale collaborazione».
L'art. 8 della L.131/2003 dispone che il P. del Consiglio, salvo i casi di assoluta urgenza, proceda nei confronti
dell'ente interessato con una diffida ad adempiere (assegnandogli un congruo termine per adottare i
provvedimenti dovuti) e che, in caso di inutile decorso del termine e dopo aver sentito l'organo coinvolto, il
Consiglio dei ministri possa adottare i provvedimenti necessari (anche di tipo normativo), ovvero procedere alla
nomina di un commissario ad acta.
L'art. 120, 2°C, Cost. prevede un potere sostitutivo di tipo straordinario e lascia impregiudicata l'ammissibilità di
altri interventi sostitutivi "ordinari", che possono essere previsti dal legislatore statale o regionale, a seconda della
materia coinvolta, sempre nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione.

7. LE RISORSE FINANZIARIE
Quanto all'autonomia finanziaria regionale (e locale), l'art. 119 Cost. stabilisce un quadro di riferimento ampio e
articolato. Esso prevede che sia le Regioni che gli enti locali godano di autonomia «di entrata e di spesa, nel
rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci» e nell'osservanza «dei vincoli economici e finanziari derivanti
dall'ordinamento dell'UE».
a) Tutti gli enti territoriali «stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Cost. e secondo i
principi di coordinamento della finanza pubb. e del sistema tributario»: principi determinati dallo Stato e spesso
sono assai specifici (quasi "dettagliati", secondo una prassi legislativa statale generalmente avallata dalla Corte
costituzionale), «nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge» (art.
23 Cost.): ciò implica che, mentre le Regioni possono effettivamente istituire tributi propri approvando leggi
regionali, gli enti locali possono farlo soltanto se una legge statale glielo consenta.
b) Regioni ed enti locali dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio».
c) Lo Stato deve istituire «un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con < capacità fiscale
per abitante».
d) Le risorse derivanti dalle diverse fonti di entrata fin qui citate devono consentire «ai Comuni, alle Province, alle
Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubb. loro attribuite».
e) «Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri
economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal
normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di
determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni».

L'attuazione di questi importanti principi è stata lenta e parziale: la finanza regionale (e quella locale) ha
continuato a fondarsi su trasferimenti di risorse dal bilancio statale e su compartecipazioni al gettito di tributi
statali (l'IVA, l'IRAP, le accise sulla benzina, l'addizionale regionale all'IRPEF, che rappresenta comunque una quota
dell'imposta, anche se aggiunta e non detratta dal gettito riscosso dallo Stato), oltre alle risorse provenienti dal
fondo perequativo (per le sole Regioni con < capacità fiscale per abitante).

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Solo con la L.42/2009 (sul c.d. federalismo fiscale) e con i vari decreti legislativi attuativi (in particolare il
d.lgs.68/2011) si è cominciato a modificare tale situazione.
Tali atti hanno statuito che le Regioni possono istituire propri tributi soltanto se questi colpiscono fonti di reddito
che non siano già tassate dallo Stato o dagli enti locali, ciò che riduce moltissimo la capacità regionale di finanziarsi
con tali tipi di risorse.
In compenso, sono previsti tributi regionali (e locali) «propri derivati» ossia istituiti da leggi statali e soltanto
modulabili da Regioni ed enti locali, entro i limiti stabiliti dalla legge statale.
Rispetto a quelle ordinarie, le Regioni a statuto speciale godono di una situazione nettamente migliore, in quanto
gli statuti speciali e le relative norme di attuazione erogano loro quote molto consistenti dei > tributi statali riscossi
nel rispettivo territorio ed assicurano una capacità di istituire e disciplinare tributi propri > di quella di cui fruiscono
le Regioni ordinarie.

8. REGIONALISMO COOPERATIVO E LEALE COLLABORAZIONE


L'organizzazione della Rep. su base regionale e la valorizzazione del sistema delle autonomie territoriali creano
possibilità di sovrapposizione tra gli ambiti di intervento dei diversi livelli di governo e risulta quindi necessario
che anche il regionalismo italiano sia modulato in termini cooperativi e non in termini di regionalismo dualistico,
basato sulla netta separazione delle competenze e privo di sedi di confronto collaborativo.
La giurisprudenza cost., già prima della riforma del Titolo V, aveva teorizzato il principio di leale collaborazione al
quale Stato e Regioni si dovevano conformare per il migliore soddisfacimento dell'interesse nazionale. Ancor +
dopo la riforma cost. del 2001 ciascun ente deve raccordarsi con l'altro, al fine di soddisfare i propri interessi senza
negare gli interessi altrui.

8.2. GLI STRUMENTI DI RACCORDO FRA CENTRO E PERIFERIA


Neppure il nuovo Titolo V ha previsto precisi strumenti ed organi di raccordo politico-amministrativo.
La normativa statale (art. 12 della L.400/1988 e d.lgs.281/1997) ha cercato di provvedere a tale lacuna
prevedendo una sede privilegiata di raccordo, costituita da 3 "Conferenze" (organi specifici): la Conferenza Stato-
Regioni; la Conferenza Stato-Città ed autonomie locali; la Conferenza unificata.
Esse svolgono compiti di info, consultazione e raccordo, in relazione agli indirizzi di politica generale suscettibili di
incidere sulle materie di competenza regionale o locale (esclusi gli indirizzi generali relativi alla politica estera, alla
difesa e alla sicurezza nazionale, alla giustizia), al fine di raggiungere intese e accordi tra tutti i sogg. coinvolti.
Le Conferenze sono istituite presso la Presidenza del Consiglio, ma non appartengono all’apparato statale, né a
quello delle Regioni o degli enti locali, trattandosi di istituzioni che operano nell'ambito della comunità nazionale
quali strumenti di cooperazione.
a) La Conferenza Stato-Regioni è composta dal P. del Consiglio, che la presiede, e dai P. delle Regioni nonché delle
Province autonome di Trento e Bolzano, ma possono partecipare alle sue riunioni, senza diritto di voto, i ministri
interessati agli argomenti iscritti all’ordine del giorno, nonché i rappresentanti di amministrazioni dello Stato o di
enti pubblici.
b) Della Conferenza Stato-Città ed autonomie locali, anch'essa presieduta dal P. del Consiglio, fanno parte per lo
Stato vari ministri, per le autonomie locali - oltre ai presidenti delle rispettive associazioni nazionali - 14 Sindaci
designati dall'ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) e 6 P. di Provincia designati dall'UPI (Unione Province
Italiane).
c) La Conferenza unificata riunisce i membri delle altre 2, per la trattazione degli argomenti di interesse comune;
nel suo ambito opera l'ulteriore Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica.
Sulla base del principio di leale collaborazione, la giurisprudenza cost. ha delineato gli strumenti di raccordo e le
intese, in 2 forme, a seconda dell'intensità dell’interesse nazionale rispetto a quello regionale:
-l'intesa forte, dove è necessaria la concorde manifestazione di volontà di Stato e Regioni;
-l'intesa debole, che costituisce invece un obiettivo tendenziale, per raggiungere il quale possono anche ripetersi
più tentativi ma, ove non venga raggiunto, lo Stato può adottare comunque una decisione.

9. GLI ALTRI ENTI POLITICI LOCALI


Accanto alle Regioni, il sistema di autonomie territoriali italiano comprende, quali enti politici, Comuni, Città
metropolitane e Province.
Essi sono dotati di potestà normativa, ma solo di livello regolamentare, attraverso cui possono dettare regole circa
la loro organizzazione e l'esercizio delle rispettive funzioni amm. (loro assegnate con legge). Prima della riforma
del Titolo V della Parte II della Cost., l'art. 128 Cost. (oggi abrogato) assicurava l'esistenza di Comuni e Province
come «enti autonomi nell'ambito dei princìpi fissati da leggi generali della Rep.». Il nuovo art. 114 Cost., invece,

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ne parifica a Regioni e Stato la dignità di enti costitutivi della Rep., riconoscendo loro ambiti di autonomia, nonché
la titolarità di poteri e funzioni propri.
In base all'art. 117, 2° comma, lett. p), Cost., rientra nella competenza statale esclusiva la disciplina della
«legislazione elettorale», degli «organi di governo», oltre che delle «funzioni fondamentali di Comuni, Province e
Città metropolitane».
Il quadro di riferimento essenziale è oggi rappresentato dal TUEL (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli
enti locali, adottato con d.lgs. 267/2000).

9.1. I COMUNI
Nei Comuni – enti a fini generali, chiamati a curare gli interessi ed a promuovere lo sviluppo delle proprie comunità
– gli organi di governo sono:
a) il Consiglio, che è l'organo rappresentativo della comunità locale e svolge funzioni di indirizzo e di controllo
politico-amministrativo;
b) la Giunta, composta dal Sindaco e dagli assessori (nel n° max. stabilito dalla legge), che esercita ogni funzione
non riservata ad altri organi;
c) il Sindaco, che presiede la Giunta, di cui nomina e revoca i componenti (ossia gli assessori), e che costituisce il
vertice dell'amm. comunale. Egli opera anche come organo decentrato dello Stato, assumendo la qualifica di
Ufficiale di Governo nell'esercizio di alcune funzioni (per esempio, in materia di stato civile, anagrafe, leva militare,
servizi elettorali e ordine pubblico). Il ruolo primario del Sindaco nell'assolvimento delle funzioni di governo locale
risulta accentuato dalla modalità di preposizione alla carica, che dal 1993 avviene attraverso l'elezione a suffragio
universale e diretto, secondo 2 differenti modalità;
-l'elezione a > relativa nei Comuni con popolazione sino a 15.000 ab., con l'attribuzione alla lista a lui collegata dei
2/3 dei seggi nel Consiglio comunale;
-l'elezione a > assoluta – con eventuale ballottaggio tra i 2 candidati + votati al 1° turno – nei comuni con
popolazione > a detta soglia, con attribuzione dei 3/5 dei seggi nel Consiglio comunale alla o alle liste a lui
collegate.

Il mandato del Sindaco e del Consiglio, eletti contestualmente, ha durata quinquennale. Come nella forma di
governo regionale standard, vale il principio simul stabunt simul cadent, sicché Sindaco e Consiglio seguono la
stessa sorte: il Consiglio è sciolto anticipatamente in caso di dimissioni, impedimento permanente, rimozione e
morte del Sindaco, ma anche in caso di approvazione a > assoluta di una mozione consiliare di sfiducia nei suoi
confronti (che ovviamente obbliga il Sindaco a dimettersi). Le dimissioni contestuali della > dei membri del
Consiglio determinano l'obbligo di dimissioni del Sindaco e lo scioglimento del Consiglio.

9.2. LE PROVINCE
Fino al 2011, la disciplina delle Province ricalcava quella dei Comuni >.
Il D.L. 201 di quell’anno (convertito nella L. 214/2011) ne ha riformato la composizione e il funzionamento.
Lo strumento normativo utilizzato è stato ritenuto inadeguato ad operare una riforma istituzionale di così ampia
portata. La Corte cost. ha osservato come le norme che disciplinano le modalità di elezione, gli organi e le funzioni
degli enti locali siano norme «ordinamentali», «destinate a durare nel tempo e rispondenti ad esigenze sociali ed
istituzionali di lungo periodo». Perciò esse «non possono essere interamente condizionate dalla contingenza, sino
al punto da costringere il dibattito parlamentare sulle stesse nei ristretti limiti tracciati dal secondo e terzo comma
dell’art. 77 Cost.».
Successivamente, a ridefinire completamente l'ordinamento delle Province è stata la L.56/2014 che, secondo la
Corte cost. ha introdotto una «significativa riforma di sistema della geografia istituzionale della Rep. in vista di una
semplificazione dell'ordinamento degli enti territoriali». Così le Province sono state trasformate in enti di 2° livello,
giacché i titolari dei rispettivi organi di indirizzo sono eletti non più a suffragio universale e diretto, ma dai Sindaci
e dai consiglieri dei Comuni facenti parte del territorio provinciale.

Gli organi provinciali sono oggi:


a) il P. della Provincia, eletto per 4 anni tra i Sindaci dei Comuni presenti sul territorio provinciale, che ha la
rappresentanza dell'ente, convoca e presiede il Consiglio provinciale e l'Assemblea dei Sindaci, sovrintende al
funzionamento dei servizi e degli uffici;
b) il Consiglio provinciale, composto dal P. della Provincia e da un n° di consiglieri variabile in base alla popolazione
residente (da 10 a 16, scelti tra i Sindaci e i consiglieri dei Comuni presenti sul territorio provinciale), che è
anch'esso eletto, ogni 2 anni, dai Sindaci e dai consiglieri comunali ed è l'organo di indirizzo e controllo (ma senza
+ il potere di sfiduciare il P.), chiamato approvare regolamenti, piani, programmi;

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c) l’Assemblea dei Sindaci, composta dai Sindaci di tutti i Comuni appartenenti alla Provincia, competente ad
adottare lo statuto provinciale e dotata di potere consultivo riguardo all'approvazione dei bilanci.
Anche le funzioni amm. delle Province sono state ridotte, concernendo ora la pianificazione del territorio e dei
servizi di trasporto di ambito provinciale, l'assistenza tecnico-amm. agli enti locali, la gestione dell'edilizia
scolastica di competenza provinciale, e poco altro.

9.3. LE CITTA’ METROPOLITANE


Le Città metropolitane, previste già facoltativamente dalla L.142/1990 e poi come enti necessari dal nuovo Titolo
V della Cost., sono state effettivamente istituite dalla L.56/2014, senza definirne ex novo l'ambito territoriale ma
trasformando in enti di questo tipo 10 Province situate in Regioni a statuto ordinario (Torino, Milano, Venezia,
Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Reggio Calabria), cui se ne sono aggiunte altre 4 (Palermo, Catania,
Messina, Cagliari) in Sicilia e Sardegna, istituite con leggi di tali Regioni speciali.

Anche gli organi delle Città metropolitane sono eletti solo indirettamente:
-la carica di Sindaco metropolitano (cui è affidata la rappresentanza dell'ente, la presidenza del Consiglio
metropolitano e della Conferenza metropolitana, la supervisione del funzionamento dei servizi e degli uffici) è
infatti ricoperta di diritto dal Sindaco del Comune capoluogo (il quale, nel suo Comune, è eletto a suffragio
universale);
-il Consiglio metropolitano – organo di indirizzo e controllo, composto dal Sindaco metropolitano e da un n° di
consiglieri variabile in base alla popolazione residente (da un min. di 14 a un max. di 24) - è invece eletto dai
Sindaci e dai consiglieri dei Comuni dell'area metropolitana (anche se la legge prevede che lo statuto
metropolitano possa disporne l'elezione popolare diretta);
-la Conferenza metropolitana, composta dal Sindaco metropolitano e dai Sindaci di tutti i Comuni dell'area,
competente ad adottare lo statuto metropolitano e dotata di potere consultivo riguardo all'approvazione dei
bilanci.

La Corte cost. ha affermato nella sentenza n. 50 del 2015 la «piena compatibilità di un meccanismo elettivo di 2°
con il principio democratico e con quello autonomistico, escludendo che il carattere rappresentativo ed elettivo
degli organi di governo del territorio venga meno in caso di elezioni di 2°».

LE FONTI DEL DIRITTO


1. L’ORDINAMENTO GIURIDICO COME SISTEMA DI FONTI DEL DIRITTO
Un ordinamento giuridico è costituito da norme → occorre chiedersi da dove esse arrivino e come si rapportino
tra loro. Occorre verificare se sia stata prodotta con le modalità fissate dall'ordinamento e se sia coerente con le
altre norme che regolano lo stesso comportamento (nonché con i valori professati dalla comunità di riferimento).

Le fonti del diritto → (tipi di) atti o fatti a cui l'ordinamento attribuisce o riconosce la capacità di produrre norme
giuridiche. Bisogna fare attenzione a non confondere l'atto (o il fatto) in sé stesso e la norma che questo veicola:
la fonte del diritto è il tipo di atto (o di fatto), la disposizione (o formula normativa) è il testo (ossia la formulazione
linguistica), la norma è il risultato interpretativo che è possibile trarre dal testo.
Ogni ordinamento è libero di scegliere le proprie fonti del diritto, decidendo a quali atti o fatti vada riconosciuta
la capacità di produrre norme giuridiche. Può scegliere se predisporre e disciplinare esso stesso alcune fonti, se
attribuire rilievo di fonte ad atti o fatti che non ha il potere di regolamentare o, infine, se applicare una
combinazione delle 2 possibilità. Lo Stato moderno ha optato a lungo per la 1° soluzione, ma ultimamente lascia
sempre più spazio alla 3°.

Le fonti del diritto possono essere distinte tra:


a) fonti di produzione → generalità degli atti o dei fatti che introducono norme nell’ordinamento;
b) fonti sulla produzione → fonti deputate a stabilire le procedure relative alla produzione di atti normativi o che
regolamentano gli organi a ciò deputati. Le norme stabilite dalle fonti sulla produzione dettano le regole per la
produzione di altre norme. La Cost. è la fonte sulla produzione per eccellenza;
c) fonti di cognizione → non sono atti o fatti produttivi di diritto (o regolamentativi di tale produzione), ma
pubblicazioni ufficiali dove si possono leggere e conoscere le disposizioni approvate dagli organi a ciò deputati ed
anche alcune delle norme prodotte in via consuetudinaria.
Lo Stato italiano ha un proprio giornale dedicato alle comunicazioni ufficiali dell'apparato statale → G.U. della
Repubblica italiana. Per molti anni è stata un giornale stampato, ora è pubblicata on line.
Anche l'UE ha la propria G.U.U.E., pubblicata in tutte le lingue dell'Unione, incluso l'italiano.

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Le Regioni italiane hanno ciascuna una fonte ufficiale di cognizione, denominata Bollettino Ufficiale della Regione,
mentre i Comuni pubblicano le proprie disposizioni e i propri atti nell'albo pretorio (in origine una bacheca, oggi
un sito internet).
Infine esistono le raccolte di usi, curate dalle Camere di commercio, dove sono riportate in forma scritta le norme
consuetudinarie vigenti nell'ambito commerciale in un dato territorio.
Le fonti di cognizione servono per portare a conoscenza di tutti il testo delle fonti-atto (e talora delle fonti-fatto),
ma non sostituiscono la Raccolta ufficiale delle leggi e degli atti normativi della Rep., dove viene conservata una
copia di tutti gli atti normativi, fornita di sigillo dello Stato e curata, in Italia, dal Ministro della Giustizia.

La Cost. è fonte delle fonti, in quanto detta le regole fondamentali per la produzione delle norme giuridiche. Essa
– tra le altre cose – stabilisce da chi e in che modo vengono prodotte le norme giuridiche che hanno validità e
vigenza sul territorio dello Stato. In questo senso, si può parlare di legalità costituzionale, ovvero del rispetto
dell'ordine di attribuzione e distribuzione dei poteri normativi a enti (come Stato e Regioni) e organi (es.
Parlamento e Governo), stabilito dalla Carta fondamentale.
In Italia, però, la Cost. non disciplina tutte le fonti, ma solo quelle che appartengono ai livelli gerarchici più alti,
cioè la legge cost., la legge ordinaria (quella statale e, per alcuni profili, quella regionale), gli atti che hanno il
medesimo valore delle leggi e i regolamenti parlamentari. Le fonti gerarchicamente inferiori vengono disciplinate
dalla L.

Conseguenza → le fonti di produzione del diritto sono tipiche, cioè esistono nelle forme e producono gli effetti
visti dalla fonte sulla produzione che le istituisce, che in ultima istanza è la Cost.
Esse hanno una propria forma, cioè un insieme di caratteristiche esteriori che le fanno appartenere ad un modello
(uno per ogni fonte), e possiedono forza normativa, ossia capacità di abrogare e derogare atti normativi
appartenenti allo stesso modello (forza attiva) e di resistere alla abrogazione e alla deroga da parte di atti
normativi non appartenenti allo stesso modello (forza passiva).

2. I CRITERI ORDINARI DEL SISTEMA DI FONTI


La Cost. stabilisce l'ordine delle fonti (basato su una gerarchia fra di esse), ma anche le materie o i profili che esse
possono disciplinare. Inoltre, la Carta fondamentale dà per presupposto il fondamentale principio secondo cui le
norme prodotte da una fonte successiva nel tempo sostituiscono quelle create da una fonte precedente.

2.1. GERARCHIA, COMPETENZA, CRONOLOGIA


I criteri gerarchico, di competenza, cronologico permettono di dare ordine al sistema delle fonti e di risolvere
eventuali antinomie, ossia contrasti tra norme prodotte dalle fonti.

IL 1° CRITERIO DA UTILIZZARE È QUELLO DI GERARCHIA.


a) Esistono fonti di livello super-primario (così denominato perché il livello della L. è tradizionalmente centrale nel
sistema delle fonti, cioè primario), al quale appartengono:
- la Cost. stessa, i cui principi supremi possiedono una forza superiore alle altre norme della Carta fondamentale,
ponendosi di fatto ad un livello superiore ad essa (in certo senso "super-costituzionale" o "sovra-super-primario");
- la L. cost. (con la quale sono adottati anche gli statuti regionali speciali);
- le norme di diritto internazionale richiamate nel nostro ordinamento dall'art. 10.
- le fonti dell'UE (Trattati istitutivi e Carta dei diritti fondamentali, nonché diritto derivato da essi, ossia
regolamenti, direttive, decisioni generali e principi sanciti dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'UE)
assumono nell'ordinamento italiano una forza sostanzialmente pari a quella delle fonti nazionali super-primarie
(soggiacendo soltanto ai principi supremi della Cost.).

b) Al livello primario troviamo la legge → l'atto formale del Parlamento avente questo nome, nonché la L. di
ciascuna Regione (e, per il Trentino-Alto Adige, anche le leggi delle 2 Province autonome di Trento e di Bolzano).
- I trattati internazionali richiamati nel nostro ordinamento tramite ordine di esecuzione dato con L. assumono
una forza superiore alle altre fonti primarie, che non possono stabilire regole con essi contrastanti ex art. 117.
- Lo stesso deve dirsi per gli statuti delle Regioni ordinarie rispetto alle altre fonti primarie regionali. Gli artt. 76 e
77 Cost. disciplinano, poi, 2 tipologie di atti con forza di legge, i decreti legislativi e i decreti-legge.
A livello primario si incontrano anche fonti peculiari, come:
- il referendum abrogativo →fonte del diritto in quanto capace di innovare in negativo rispetto all'ordinamento,
abrogando norme primarie;
- i decreti del Governo adottati in caso di guerra (ex art. 78 Cost.);

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- le ordinanze emanate in caso di necessità e urgenza dalle autorità di protezione civile e dai Sindaci;
- secondo la dottrina – i regolamenti parlamentari.

c) Al livello secondario, subordinato alla legge e quindi incapace di derogare ad essa, si incontrano i regolamenti
dell'Esecutivo, ovvero: i regolamenti del Governo per quanto riguarda lo Stato, i regolamenti regionali, i
regolamenti degli enti locali.
Gli statuti comunali, provinciali e delle Città metropolitane, nonché quelli degli enti pubblici autonomi (come le
università) assumono una forza superiore alle altre fonti secondarie dello stesso ente (territoriale o funzionale),
che non possono stabilire regole contrastanti.
Invece, i regolamenti ministeriali, così come altri regolamenti delle p.a., sono di livello sub-secondario, in quanto
non possono derogare nemmeno alle norme secondarie.
I contratti collettivi di lavoro, benché siano atti di diritto privato, possono assumere, ai sensi dell'art. 39 Cost.,
un'efficacia generale per tutti i lavoratori e gli imprenditori appartenenti alla medesima categoria professionale
(inclusi coloro che non appartengano ai sindacati e associazioni datoriali che li hanno sottoscritti).

d) Completano il sistema delle fonti, al livello terziario, le consuetudini civili e commerciali.

UN 2° CRITERIO CHE DÀ ORDINE AL SISTEMA DELLE FONTI È QUELLO DELLA COMPETENZA.


Ciò significa che la Cost. distribuisce la funzione normativa tra le diverse fonti, secondo il criterio delle materie
(competenza materiale) e secondo il criterio del territorio (competenza territoriale). Al di fuori della materia o del
territorio che le sono assegnati, la fonte è illegittima e dunque, rispetto ad essa, prevale la norma dettata dalla
fonte competente.
La + significativa separazione di competenza per materia è quella sussistente tra Stato e Regioni, disciplinata
dall'art. 117 Cost., ma in termini di competenza viene ricostruito anche il rapporto tra le fonti dell'UE e le fonti
nazionali (statali e regionali).
Dal punto di vista territoriale, la norma di ogni Regione ha vigore sul territorio della Regione medesima, mentre
la norma statale - nelle materie di propria competenza – ha vigore nell'intero ambito nazionale (che include i
territori delle varie Regioni).
La competenza territoriale della L. e del regolamento regionale discende dalla combinazione di diverse norme
cost., quali gli artt. 116 (per le Regioni speciali), 117 e 131.

Rappresenta una declinazione del criterio di competenza il meccanismo della "riserva": la Cost., in quanto fonte
delle fonti, ha la possibilità di riservare a determinate fonti ad essa subordinate la disciplina di talune materie.
Se è la L. ad essere indicata come la fonte che deve disciplinare un certo argomento, si parla di riserva di legge
(ma esistono anche una riserva di legge cost., una riserva di regolamento parlamentare …).
La riserva di legge può essere assoluta o relativa, semplice o rinforzata, formale o sostanziale.

- Riserva assoluta: quando soltanto la L. o un'altra fonte primaria può disciplinare l'argomento in questione (es. i
casi e i modi di limitazione della libertà personale, ex art. 13 Cost.).
- Riserva relativa: quando la L. (o altra fonte primaria) deve dettare i principi generali o le regole essenziali
dell'argomento, mentre la restante disciplina può essere stabilita dai regolamenti dell'Esecutivo (ma, se vuole, la
L. può disciplinare tutta la tematica, non lasciando spazio ai regolamenti), come in materia di prestazioni personali
o patrimoniali ex art. 23 Cost.
La natura assoluta o relativa della riserva non è esplicitata dalla Cost., ma richiede un'attività interpretativa della
stessa. La riserva, assoluta o relativa che sia, è rinforzata ove la Cost. stabilisca alcuni principi o regole che devono
essere fatti propri e sviluppati dalla L. (od altra fonte primaria) nel regolare l'argomento: es. l'art. 97 Cost. dispone
che «i pubb. uffici sono disciplinati secondo disposizioni di legge in modo che siano assicurati il buon andamento
e l'imparzialità dell'amm.>>, stabilendo una riserva di legge relativa ma insieme rinforzata.
La riserva è ordinariamente riserva di legge in senso sostanziale, per cui la disciplina della tematica può essere
dettata da una legge o da un atto con forza di legge (od anche da una norma dell'UE).
Talvolta la Cost. richiede che una materia sia disciplinata solo da una L. formale, approvata dal Parlamento: è il
caso delle leggi di bilancio, di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali, di delegazione legislativa, di
conversione dei decreti- legge, le quali, oltre che produrre diritto, consentono alle Camere di controllare l'operato
del Governo in ambiti di grande rilevanza e non possono essere sostituite da altre fonti primarie.

L'ultimo criterio per la soluzione degli eventuali contrasti tra fonti è il + lineare perché non considera soltanto la
successione temporale. SI TRATTA DEL CRITERIO CRONOLOGICO, tale per cui la fonte successiva nel tempo prevale

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sulla precedente con la quale contrasta: secondo il brocardo, lex posterior abrogat priori. L'effetto giuridico è
quello dell'abrogazione, e non dell’illegittimità: la fonte precedente cessa di avere efficacia nei casi e per i rap-
porti futuri, che si verificano o sorgono successivamente all'abrogazione, mentre in quelli pendenti (sorti prima
ma rispetto ai quali deve ancora tenersi il comportamento disposto dalla norma) continua ad applicarsi la fonte
precedente. Infatti, vige il principio di irretroattività delle norme, tale per cui una nuova regola ha effetto soltanto
per il futuro. L'irretroattività delle norme è prevista in generale dall'art. 11 delle preleggi al c.c., ma in campo
penale è stabilita anche e soprattutto dalla Cost. (art. 25) e non può mai essere derogata.
Per l'applicazione del criterio cronologico sono necessari 2 requisiti: i) contrasto tra due norme; i) parità delle
fonti che lo producono, sia quanto a gerarchia, sia quanto a competenza.

In caso di contrasto tra norme di pari livello gerarchico e competenziale ma di diversa estensione è quest'ultima
a prevalere: secondo il brocardo, lex specialis derogat generali. Questo vale anche rispetto al criterio cronologico,
in quanto la legge posteriore generale non abroga la legge speciale precedente.
Quello della specialità è un criterio interpretativo in base al quale le 2 norme sono entrambe in vigore, valide ed
efficaci nell'ordinamento. È evidente che in questo caso si parla di deroga.
Sempre parlando di norme speciali, l'art. 14 delle preleggi al c.c. prevede che le leggi penali e quelle che fanno
eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati.
Il criterio della specialità è soggetto a un trattamento peculiare con riferimento alla successione delle norme nel
tempo e all'interpretazione analogica (che è vietata).
L. penale → viene accomunata a quella speciale, sulla base di un’autolimitazione della capacità di punizione dello
Stato, che non si ritiene possa estendersi né ad un comportamento che non era punito secondo le norme in vigore
al tempo del fatto, né ad un comportamento "analogo" ad un altro, in quanto è il legislatore - e non l’interprete
– a dover prevedere con esattezza quali (e quando) siano i comportamenti puniti.

2.2. GLI EFFETTI DELLE ANTINOMIE: ILLEGITTIMITA’ E ABROGAZIONE


a) L’illegittimità è definibile come un vizio, un problema che incontra la norma nella sua esistenza e che può essere
originario o sopravvenuto. Quest'ultimo è il caso, ad es., delle norme che la Rep. ha ereditato dallo Stato
monarchico: diverse di queste sono risultate contrastanti con la Cost., pur essendo entrate a far parte
dell'ordinamento giuridico in un momento in cui la Cost. repubblicana non esisteva ancora.
La norma illegittima, per violazione del criterio della gerarchia o della competenza, non perde efficacia in modo
automatico, ma può essere annullata (o comunque resa inoperante) dalla Corte cost., in caso di fonti primarie,
oppure dai giudici amm. o, in talune circostanze, dai giudici ordinari, in caso di fonti secondarie. Se ciò avviene, la
norma in questione non viene applicata nemmeno ai fatti accaduti precedentemente all'accertamento
dell'illegittimità, perché l'annullamento ha effetto retroattivo (salvo che per i rapporti giuridici già esauriti per
prescrizione, decadenza, esaurimento dei ricorsi e dei gradi di giudizio).

b) L'abrogazione è il frutto di un problema che affligge una scelta difforme del legislatore, il quale è libero di
regolamentare in modo diverso una qualsiasi materia. L'abrogazione, dunque, è l'effetto giuridico di una scelta di
politica legislativa. Si verifica abrogazione sia quando viene adottata una norma diversa, sia quando la norma
esistente viene privata di efficacia (senza essere sostituita).
L'abrogazione può essere espressa, tacita o implicita. L'art. 15 delle disposizioni preliminari al c.c. prevede che le
leggi possano essere abrogate solo:
- da L. posteriori che lo prevedano esplicitamente (abrogazione esplicita);
- per incompatibilità di contenuto tra le nuove disposizioni e le precedenti (abrogazione implicita);
- perché una nuova L. regola l'intera materia già regolata dalla L. anteriore (abrogazione tacita).
L'abrogazione di una norma si produce in modo automatico, per cui deve essere solo constatata dai destinatari
delle norme. Essa ha effetto per il futuro: pertanto, la norma abrogata continua ad avere efficacia per i fatti e i
rapporti accaduti precedentemente alla sua abrogazione.

3. LA COSTITUZIONE E LE FONTI SUPERPRIMARIE


La Cost., che è stata approvata dall'Assemblea Costituente il 22.12.1947 ed è entrata in vigore il 1.1.1948, è la
fonte suprema nell'ordinamento giuridico della Rep. italiana ed è il fondamento della legalità e della legittimità
delle altre fonti, nonché dello stesso ordinamento giuridico come sistema.
Per questa ragione, persino le norme primarie contrarie alla Cost. sono illegittime e quindi invalide: esse sono
dichiarate incostituzionali dalla Corte cost., ai sensi dell'art. 134 Cost.

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La Cost. definisce sé stessa «L. fondamentale della Rep.» (XVIII disp. trans. e finale): le norme, ricavate dalle
disposizioni che in essa si trovano, hanno contenuto giuridico vincolante, e non sono espressioni programmatiche
o meramente valoriali.
Negli anni successivi alla sua entrata in vigore si era posto il problema dell'efficacia vincolante delle norme che
non avevano un contenuto immediatamente applicabile, bensì proponevano obiettivi da raggiungere.
Infatti, mentre una norma che sancisca una libertà (es. il diritto di sciopero) è senza dubbio immediatamente
applicabile, una norma che pone un obiettivo per il legislatore o per la Rep. complessivamente intesa (es. il diritto
al lavoro o all'uguaglianza in senso sostanziale) può sembrare un'enunciazione di principio.
Da qui la distinzione tra norme immediatamente applicabili e norme programmatiche. Tale distinzione è stata poi
abbandonata per una ragione sostanziale: tutte le norme sono obbligatorie e si possono applicare
immediatamente, quantomeno nei confronti di L. che contrastano con gli obiettivi che esse perseguono e al fine
di orientare l'interpretazione di altre norme primarie secondo quanto voluto dalla Cost.

La Cost. della Rep. è rigida, diversamente dallo Statuto albertino, carta cost. del Regno d'Italia, che era flessibile.
Se essa fosse assolutamente immodificabile, non sarebbero possibili nemmeno quegli adeguamenti minori utili
per far fronte a nuove esigenze che si presentino nel corso del tempo. Da qui la necessità di prevedere e
disciplinare dei meccanismi per la modifica della Cost., che vanno sotto il nome di revisione cost., stabilendone
però anche i confini. Solo il potere costituente è svincolato da ogni limite e può modellare ex novo i fondamenti
di un ordinamento. Invece, un potere che intervenga successivamente a quello costituente è di per sé un potere
costituito ed è un potere almeno in parte limitato.
Per questo motivo, nell'ordinamento italiano anche il revisore costituzionale incontra 3 tipologie di limiti.

a) Vi è un limite esplicito fissato dall'art. 139 Cost., che vieta la revisione della forma rep., sia come conseguenza
della scelta operata direttamente dal popolo italiano nel referendum istituzionale del 2.06.1946, sia in quanto la
forma rep. rappresenta l'ideale sintesi dei caratteri della nostra forma di Stato.

b) Vi sono poi i limiti impliciti, costituiti dai principi e valori fondamentali di cui la Cost. è espressione: perciò, i
principi supremi della Cost. non sono soggetti a revisione costituzionale. Tali principi non coincidono del tutto con
i «principi fondamentali» elencati nei primi 12 articoli del testo costituzionale – anche se gran parte di questi
ultimi sono principi supremi, come il principio democratico (art. 1), il principio personalista con il riconoscimento
e garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo (art. 2), il principio lavorista (artt. 1 e 4), il principio di unità e indivisibilità
della Rep. (art. 5), il principio di laicità (artt. 7 e 8) – perché ve ne sono altri, es. il diritto d'azione e di difesa in
giudizio (art. 24).
I principi supremi rappresentano altrettanti limiti impliciti alla revisione in quanto la loro modificazione
equivarrebbe a destabilizzare l'ordine cost. La precisa individuazione dei limiti impliciti è un'operazione
interpretativa delicata e complessa, che spetta in primo luogo al Parlamento e, in ultima istanza, alla Corte cost.,
ove chiamata in causa.

c) Taluni ritengono che esistano anche dei limiti logici alla revisione cost. Sarebbe, ad es., uno stratagemma
abrogare l'art. 139 Cost. che vieta la revisione della forma rep. e poi modificare gli artt. 83 e ss. relativi al P. della
R. reintroducendo la figura del Re. Anche l'art. 138 Cost. sembra essere immodificabile nei profili essenziali.

I limiti alla revisione cost. svelano l'esistenza di norme di valore e forza differenti:
- da un lato, i principi supremi (nei quali possono essere inclusi anche i limiti espliciti e quelli logici, oltre a quelli
impliciti), di rango "super-costituzionale" (o, sovra-super-primario);
- dall'altro, le restanti disposizioni della Carta, di rango costituzionale o super-primario, a cui sono equiparate le
leggi cost.

Il procedimento per la revisione della Cost. è disciplinato dall'art. 138 Cost.


La fonte che è in grado di modificare una norma di livello super-primario è la legge costituzionale, la quale deve
essere approvata secondo una procedura aggravata, cioè caratterizzata da elementi aggiuntivi rispetto a quella
seguita per una legge ordinaria.
Esistono 2 tipi di leggi costituzionali, che sono identiche quanto a forma ma differiscono quanto a tipologia di
contenuto: le leggi di revisione della Cost., che modificano disposizioni contenute in quest'ultima, e le altre leggi
cost., che non modificano il testo della Cost. ma introducono nell'ordinamento ulteriori disposizioni di rango
super-primario.

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Quanto all'iter di formazione, l'art. 138 Cost. prevede che la legge cost. sia approvata con aggravamenti rispetto
a quanto previsto dall'art. 64 Cost. per la legge ordinaria. Se è sufficiente che una legge ordinaria sia approvata
da ciascuna Camera a > semplice, la legge cost. conosce 3 aggravamenti, di cui 2 sono necessari mentre 1 è
eventuale.

a) L'art. 138 Cost. prevede che la L. cost. venga approvata 2 volte da ciascuna Camera. Tale doppia deliberazione
avviene in modo incrociato: innanzitutto la 1° deliberazione di una Camera, poi la 1° deliberazione dell'altra
Camera, quindi la 2° deliberazione della Camera che si è pronunciata per 1°, infine la 2° deliberazione dell'altra
Camera. Tra la 1° e la 2° deliberazione della stessa Camera non possono passare meno di 3 mesi: questo garantisce
una pausa di riflessione e impedisce modifiche dettate dalla fretta. L'intervallo corre tra la 1° e la 2° deliberazione
di ciascuna Camera e non è necessario nelle "navette" tra l'una e l'altra assemblea. È possibile apportare modifiche
solo in prima lettura, mentre in seconda lettura il testo sottoposto a votazione deve essere identico a quello già
approvato la prima volta.

b) Mentre nella 1° deliberazione non è richiesta una maggioranza particolare (ma è sufficiente la > semplice), nella
2° è richiesta come < la > assoluta dei componenti (ciò che rappresenta un altro aggravamento). Se a favore si
pronunciano, in entrambe le Camere, almeno i 2/3 dei componenti, la legge cost. è approvata definitivamente e
viene perciò promulgata dal P. della R.

c) Se invece, pur essendo raggiunta o superata la soglia della > assoluta, non è raggiunta – anche in una sola delle
due Camere la > qualificata dei 2/3, allora è possibile, ma non obbligatorio (aggravamento eventuale), richiedere
un referendum entro 3 mesi dalla pubblicazione notiziale sulla G.U. della legge cost.
Sono legittimati a richiederlo: i) almeno 1/5 dei membri di una Camera, ii) 500.000 elettori, ii) 5 Consigli regionali.

Questa consultazione viene definita sui mezzi di comunicazione quale referendum "confermativo" o
“approvativo", ma la dizione + corretta è "referendum” (art. 138 Cost) o "referendum costituzionale".
Se i 3 mesi di tempo trascorrono senza che sia stato richiesto il pronunciamento del corpo elettorale, l'iter di
formazione della legge cost. può dirsi concluso ed essa sarà promulgata e poi pubblicata in modo definitivo. Se
invece è stato richiesto il referendum, l'esito dell'iter dipenderà dalla volontà espressa dagli elettori che
parteciperanno alla votazione, non essendo previsto alcun quorum costitutivo
- se la > dei voti validi (escludendo le schede bianche e quelle nulle) è favorevole, la legge cost. è considerata
approvata, quindi sarà promulgata e pubblicata sulla G.U.;
- se è sfavorevole, non si procede oltre e l'iter è interrotto.

4. LA LEGGE TRA STATO E REGIONI


In senso tecnico la legge (o legge formale) è uno specifico atto approvato dall'organo detentore del potere
legislativo. Nell'ordinamento rep. italiano, vi sono 2 organi di questo tipo: il Parlamento (che approva le leggi
statali) e il Consiglio di ciascuna Regione (che approva le leggi regionali).
L'art. 117 Cost. (come modificato nel 2001), nel disporre che la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle
Regioni e individuando limiti comuni alle due fonti, equipara nel valore la legge statale e quella regionale. Infatti,
entrambi i tipi di legge incontrano i medesimi limiti di validità, ossia: il rispetto della Cost., il rispetto dei vincoli
derivanti dall'ordinamento comunitario europeo, il rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali
assunti dall'Italia.
La riforma del 2001 ha delineato un riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni ordinarie fondato su
3 tipologie:
a) una competenza legislativa esclusiva statale, nelle sole materie elencate dall'art. 117, 2°C, Cost.;
b) una competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni nelle materie indicate nell'art. 117, 3°C, Cost. (con
l'aggiunta di una materia concorrente sui generis nell'art. 122 Cost.: il sistema elettorale regionale).
Il termine "concorrente" fa intendere che sia lo Stato che le Regioni concorrono pro quota alla formazione delle
norme in queste materie, in quanto: allo Stato spetta la determinazione dei principi fondamentali di tali materie,
alle Regioni spetta definirne la disciplina conseguente.
Lo Stato è chiamato a stabilire i principi suddetti con proprie leggi espressamente adottate a tal fine (spesso
descritte come "leggi quadro" o "leggi cornice"), ma, anche in mancanza di esse, le Regioni debbono attenersi ai
principi in questione, ricavandoli dal complessivo sistema legislativo statale vigente;
c) una competenza legislativa residuale regionale su ogni altra materia non elencata (art. 117, 4°C, Cost.), che è
limitata all'area dei rapporti amm.

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L'estensione delle materie riservate allo Stato è dilatata dalla presenza di materie "trasversali", destinate a
investire diagonalmente ogni altra materia, inserendosi anche negli ambiti normativi di spettanza regionale: in
particolare: i) la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che
devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale»; ii) la «tutela della concorrenza».
Un'ulteriore dilatazione della competenza legislativa statale si ha come conseguenza dell'esercizio da parte dello
Stato del potere di attrarre, in virtù del principio di sussidiarietà, l'esercizio di competenze amm. non esercitabili,
per esigenze di unitarietà, a livello regionale o locale: attraendo a sé la funzione amm. lo Stato attrae anche la
corrispondente funzione legislativa, in deroga al riparto delle competenze definito dall'art. 117 Cost.

Per le Regioni a statuto speciale i rispettivi statuti disciplinano la potestà legislativa di ciascun ente e le materie su
cui può esercitarsi, prevedendo di norma: 1) una potestà primaria regionale – simile o + ampia di quella residuale
delle Regioni ordinarie; ii) una potestà concorrente con lo Stato; ii) una potestà integrativa di leggi statali.

L'art. 10 della L. cost. n. 3 del 2001 ha stabilito una "clausola di > favore", in virtù della quale alle Regioni si
applicano le disposizioni dettate dal Titolo V della Cost. «per le parti in cui prevedono forme di autonomia +
ampie» rispetto a quelle già riconosciute dai rispettivi statuti.

Il nuovo art. 116 Cost. ha introdotto un altro meccanismo di differenziazione tale da rendere possibile
l'attribuzione a singole Regioni ordinarie di ulteriori margini di autonomia legislativa.

5. LA LEGGE ORDINARIA STATALE


Ai sensi dell'art. 70 della Cost., la funzione legislativa appartiene collettivamente alle 2 Camere. È la Cost. che
disciplina gli aspetti fondamentali del procedimento di formazione della legge statale (l'iter legis), rinviando per i
dettagli alla regolamentazione di ciascuna Camera, chiamata a disciplinare il proprio funzionamento anche per
quanto riguarda la formazione delle leggi (ex art. 64 Cost.).

5.1. ITER LEGISLATIVO


Il procedimento di formazione della legge è articolato in 4 fasi:
a) l'iniziativa;
b) l'approvazione, o fase costitutiva;
c) la promulgazione;
d) la pubblicazione.
Di queste, le prime 2 appartengono al procedimento di formazione in senso stretto e si svolgono all'interno del
Parlamento. Le ultime 2 sono svolte all'esterno delle Camere e sono dette fasi di integrazione dell'efficacia
(oppure di perfezione) dell'atto.

L'iniziativa legislativa si sostanzia nella presentazione di un progetto di legge (chiamato disegno di legge al Senato
o quando sia di iniziativa governativa) redatto in articoli + relazione illustrativa.
L'iniziativa legislativa è conferita, ai sensi dell'art. 71 Cost.: al Governo; a ciascun membro delle Camere; a 50.000
elettori (iniziativa legislativa popolare); a ciascun Consiglio regionale (art. 121 Cost.); al Consiglio nazionale
dell'economia e del lavoro (art. 99 Cost.); ad altri organi o enti ai quali sia conferita da legge cost. (stabilendosi
così una riserva di legge cost., finora non esercitata).
I soggetti espressamente indicati nell'art. 71 Cost. vantano un diritto di iniziativa a carattere generale, potendo
presentare progetti su qualsiasi materia, mentre i soggetti individuati in altre disposizioni cost. possono vantare,
a seconda dei casi, un’iniziativa limitata a specifiche materie. In alcune materie la limitazione del diritto di iniziativa
legislativa è prevista dalla Cost. attraverso la relativa riserva a un solo soggetto: solo il Governo presenta il disegno
di legge di bilancio (art. 81 Cost).

La seconda fase è quella dell'approvazione (o fase costitutiva), nella quale il progetto di legge viene affidato alla
Commissione competente per materia da parte del P. della Camera o del Senato.
La discussione, l'esame e la votazione della proposta di legge possono avvenire seguendo diversi procedimenti:
ordinario (o per Commissione in sede referente), decentrato (o per Commissione in sede deliberante o legislativa),
misto (o per Commissione in sede redigente).
a) Nel procedimento ordinario o in sede referente, «ogni disegno di legge, presentato a una Camera, è esaminato
da una commissione e poi dalla Camera stessa, che l'approva art. per art. e con votazione finale (art. 72 Cost.).
In Commissione si procede all'esame preliminare del progetto, alla discussione, alla votazione degli art. e degli
eventuali emendamenti, infine alla votazione finale del progetto. Con l'approvazione del testo, la Commissione

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nomina un relatore chiamato a riferire all'intera assemblea i risultati del suo esame, allegando al testo stesso una
o + relazioni illustrative.
In aula si procede come in Commissione, per cui si avranno l'esame preliminare del progetto, la discussione, la
votazione art. per art. e degli eventuali emendamenti, la votazione finale, ma questa volta con efficacia definitiva
(salvo quanto deciso dall'altra Camera). I termini temporali che scandiscono le fasi del procedimento ordinario,
previsti dai regolamenti parlamentari, possono essere abbreviati «per i disegni di legge dei quali è dichiarata
l'urgenza» (art. 72 Cost.).

b) Nel procedimento decentrato o in sede deliberante, l'attività legislativa si esaurisce in Commissione, che agisce,
appunto, in sede deliberante. L'art. 72 Cost. prevede che i regolamenti delle Camere possano «stabilire in quali
casi e forme l'esame e l'approvazione dei disegni di legge sono deferiti a commissioni composte in modo da
rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari».
Tuttavia l'utilizzo di questo procedimento è subordinato a determinate condizioni:
- la relativa adozione è reversibile, in quanto «fino al momento della sua approvazione definitiva, il disegno di
legge è rimesso alla Camera, se il Governo o 1/10 dei componenti della Camera o 1/5 della commissione
richiedono che sia discusso o votato dalla Camera stessa oppure che sia sottoposto alla sua approvazione finale
con sole dichiarazioni di voto»;
- è soggetto ad alcuni limiti materiali, essendo escluso per l'approvazione di proposte di legge in materia
costituzionale ed elettorale, di delegazione legislativa, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, di
approvazione di bilanci e consuntivi, per le quali si parla di riserva di assemblea.

c) Nel procedimento misto o in sede redigente, previsto dai regolamenti delle 2 Camere, le Commissioni svolgono
un'attività istruttoria e procedono alla discussione del testo, al termine della quale procedono altresì alla relativa
approvazione. All'assemblea spetta (alla Camera) solo l'approvazione o meno dei singoli art., senza dichiarazioni
di voto e senza la possibilità di apportare emendamenti, e l'approvazione finale del progetto, ovvero (al Senato)
soltanto l'approvazione finale.

Entro 1 mese dall'approvazione della legge da parte della 2° Camera che l'ha esaminata, il P. della R. procede, con
proprio decreto, alla promulgazione (art. 73 Cost.), ossia all'attestazione solenne che la L. è stata approvata dal
Parlamento nel testo allegato. Tuttavia, il Capo dello Stato può rifiutare di promulgare la L. se ne ravvisa il
contrasto con la Cost. o per gravi ragioni di inopportunità, rinviandola con un messaggio motivato alle Camere
perché la riesaminino. Se però le Camere riapprovano (anche a > semplice) la legge senza modifiche, il Capo dello
Stato è tenuto a promulgarla.
In seguito alla promulgazione, la legge è pubblicata sulla G.U. e inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi
della R. a cura del Ministro della Giustizia.

5.2. LE LEGGI ATIPICHE E RINFORZATE


Alcuni atti normativi sono qualificabili come fonti atipiche, perché in essi si verifica una dissociazione tra forma ed
efficacia. La forma è = a quella degli atti analoghi, ma l'efficacia è differente, essendo caratterizzata da una forza
passiva peculiare, che resiste all'abrogazione o alla deroga da parte di atti normativi appartenenti allo stesso tipo
formale (ma privi di quell'efficacia atipica), i quali, se adottati, risultano illegittimi. Spesso ciò deriva da elementi
procedurali: è il caso delle fonti rinforzate, nelle quali l'atipicità è conseguenza dell'arricchimento del
procedimento di formazione dell'atto con la partecipazione necessaria di una minoranza politica o sociale.

Sono atipiche:
a) le leggi regolatrici della condizione giuridica dello straniero, che devono conformarsi alle norme ed ai trattati
internazionali in materia (art. 10 Cost.);
b) le leggi di esecuzione dei trattati istitutivi dell'UE e le fonti interne (leggi, atti con forza di legge, regolamenti)
che recepiscono le norme delle direttive europee, le quali, dovendo garantire il primato del diritto dell'UE su
quello nazionale, non possono essere abrogate o derogate da fonti di pari grado od anche di livello superiore (ma
solo dai principi supremi della Cost.);
c) le leggi di esecuzione dei Patti lateranensi, che regolano i rapporti dello Stato con la Chiesa cattolica, le quali
assumono un’efficacia superiore a quella tipica godendo di una "copertura cost.".

Sono rinforzate:
d) le leggi che regolano i rapporti dello Stato con le confessioni religiose acattoliche, che sono adottate sulla base
e conformemente ad intese stipulate con le rappresentanze di tali comunità di fedeli (art. 8 Cost.);

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e) le leggi di amnistia e di indulto, che sono deliberate in ogni art. e nella votazione finale a magg. dei 2/3 dei
componenti di ciascuna Camera, e quindi con la partecipazione necessaria (di almeno una parte) delle opposizioni
parlamentari (art. 79 Cost.);
f) le leggi contenenti disposizioni per l'attuazione del principio di equilibrio di bilancio, che sono approvate dalle
Camere a maggioranza assoluta (art. 81 Cost.);
g) le leggi che concedono forme e condizioni particolari di autonomia (c.d. autonomia differenziata) a singole
Regioni ordinarie, che devono essere approvate dalle Camere a > assoluta, sulla base di un'intesa fra lo Stato e la
Regione interessata, raggiunta a seguito di trattative iniziate su impulso della Regione e sentiti gli enti locali (art.
116 Cost.);
h) le leggi di variazione territoriale, ossia: le leggi costituzionali di fusione o creazione delle Regioni, che devono
essere proposte da tanti Consigli comunali che rappresentino 1/3 delle popolazioni interessate alla variazione e
che sono approvate dopo aver acquisito il parere dei Consigli regionali e il voto espresso in un apposito
referendum dalle medesime popolazioni (art. 132 Cost.); le leggi statali di distacco di enti locali da una Regione
ed aggregazione ad un'altra, che sono pure approvate dopo aver acquisito il parere dei Consigli regionali e il voto
espresso in un apposito referendum dalle popolazioni interessate (art. 132 Cost.); le leggi statali di mutamento
delle circoscrizioni provinciali e di istituzione di nuove Province nell'ambito della medesima Regione, che devono
essere proposte dai Comuni e sono approvate dopo aver acquisito il parere della Regione (art. 133 Cost.); le leggi
regionali istitutive di nuovi Comuni o modificative delle loro circoscrizioni e denominazioni, che sono approvate
dopo aver sentito le popolazioni interessate (art. 133 Cost.);
i) dal solo limitato punto di vista della resistenza all'abrogazione mediante referendum, le leggi di bilancio, le leggi
tributarie, le leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali, leggi di amnistia e indulto.

6. GLI ATTI CON VALORE O FORZA DI LEGGE


Ciascuna fonte del diritto ha una propria forma e possiede una forza normativa tipica, ossia è capace di abrogare
o derogare atti normativi appartenenti alla stessa tipologia, oltre a quelli gerarchicamente inferiori (forza attiva),
e di resistere all’abrogazione e alla deroga da parte di atti normativi non appartenenti alla medesima tipologia,
oltre che inferiori (forza passiva). Vi sono casi in cui questa rigida corrispondenza viene meno: tra questi, sono
rilevanti gli atti con forza di legge, i quali hanno la forma di decreti del P. della R. ma sono equiparati alla legge
ordinaria nel valore e nella forza, sia attiva che passiva. Questi atti, costituendo un'eccezione al principio che
assegna la funzione legislativa alle Camere (sancito nell'art. 70 Cost.), sono previsti da fonte cost.: si tratta del
decreto legislativo, del decreto-legge, del referendum abrogativo.

6.1. IL DECRETO LEGISLATIVO


La Cost. ha previsto l'istituto della delegazione legislativa come forma di collaborazione tra Governo e Parlamento,
consentendo al Potere esecutivo di porre in essere atti (emanati poi dal Capo dello Stato) dotati di valore di legge
ordinaria e di forza corrispondente. Le Camere trasferiscono al Governo l'esercizio della funzione legislativa, nei
modi e secondo la procedura espressamente stabiliti dalla Costituzione all'art. 76.

Devono essere adottati 2 atti normativi, distinti ma coordinati: i) una legge di delegazione (o di delega) e ii) un
decreto legislativo.
L'inizio della procedura spetta alle Camere, che conferiscono la delega con una legge (proposta proviene spesso
dal Governo) approvata con il procedimento ordinario (riserva di assemblea). A seguito di tale il Consiglio dei
ministri delibera un atto normativo, che viene poi emanato dal P. della R. con proprio decreto.

Il decreto legislativo assume la forma del d.P.R. La legge di delegazione deve necessariamente contenere
parametri di esercizio della delega:
a) l'oggetto della delega, che deve essere definito;
b) i principi e i criteri direttivi a cui deve attenersi il Governo nell'esercizio della delega, una sorta di guida alla
redazione delle norme delegate;
c) il tempo entro il quale il Governo può esercitare la delega, che deve essere necessariamente limitato (ma è a
discrezione del Parlamento stabilirne la durata).

Le Camere possono introdurre ulteriori parametri, purché con essi circoscrivano la libertà decisionale
dell'Esecutivo, ma non la annullino, rendendo superflua la delega. Non di rado viene previsto l'obbligo del Governo
di acquisire sulla bozza di decreto legislativo il parere preventivo (non vincolante) delle Commissioni parlamentari
competenti nella materia delegata. Come e in che modo quel dato oggetto debba essere disciplinato dal Governo

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è predeterminato dal Parlamento (non vengono concesse deleghe "in bianco"). Al Governo spetta declinare i
principi espressi nella legge delega in norme + dettagliato.
La determinazione dei parametri della legge di delegazione serve a evitare che il Parlamento abdichi alla funzione
legislativa in favore del Governo.

La delegazione legislativa è utile in quanto permette uno snellimento dell'attività legislativa parlamentare grazie
alla collaborazione del Governo, organo in grado di intervenire + adeguatamente delle Camere su testi lunghi,
complessi, tecnici, molto articolati, grazie al supporto degli apparati ministeriali.

Se uno dei parametri di esercizio della delega è mancante, la legge di delegazione è costituzionalmente illegittima,
per violazione dell'art. 76 Cost. (e lo è anche il decreto legislativo successivamente emanato).
Vi è poi l'eventualità che il D.lg. sia in qualche punto contrastante con la L. di delegazione, anche in questo caso il
decreto legislativo risulta incostituzionale, perché è vincolato a rispettare la legge delega. Perciò, in sede di sua
applicazione, potrà essere impugnato e, nel giudizio a quo, potrà essere sollevata una questione di legittimità
cost.
La violazione della Cost. è indiretta: il decreto contrasta con la legge delega ma anche con l'art. 76 Cost., in quanto
questa norma costituzionale gli impone di rispettare la delega. Si dice che la norma cost. è il parametro di
costituzionalità, il decreto legislativo è l'oggetto del giudizio e la legge di delegazione è il parametro interposto.

Decreti legislativi atipici sono quelli adottati dal Governo e emanati dal P. della R., per dare attuazione a norme
degli statuti regionali speciali, sulla base della delega contenuta negli stessi statuti. In questo caso la delega non
è limitata nel tempo, ma permanente. Inoltre il suo esercizio è necessariamente preceduto dal parere di
commissioni paritetiche, formate da un = n° di rappresentanti ed esperti dello Stato e della Regione interessata,
che tendono ad elaborare esse stesse le norme di attuazione, poi inserite nei decreti legislativi adottati dal
Consiglio dei ministri.

Ancor + anomala è la delegazione legislativa prevista dall'art. 78, in base alla quale «le Camere deliberano lo stato
di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari».
La dottrina maggioritaria ritiene indispensabile che il conferimento di tali poteri debba avvenire tramite legge
delega. Non è specificato se i poteri conferiti in ambito legislativo debbano essere esercitati tramite decreti
emanati dal P. della R. oppure se possano esserlo con atti emanati direttamente da organi governativi, come il P.
del Consiglio o il Consiglio dei ministri.

6.2. IL DECRETO-LEGGE
Un problema risalente è quello della "necessità" come fonte del diritto, ossia il fatto che una situazione inattesa
imponga l'adozione di provvedimenti extra ordinem, cioè inediti rispetto all'ordine giuridico.

E l'art. 77 della Cost. a legittimare l'adozione di decreti-legge ed a regolarne il procedimento di formazione:


il Consiglio dei ministri in casi straordinari di necessità e d'urgenza, adotta (o delibera) il decreto; l'atto viene poi
emanato dal P. della R. con la denominazione di decreto-legge e con l'indicazione nel preambolo delle circostanze
straordinarie di necessità' e di urgenza che ne giustificano l'adozione; il decreto è immediatamente pubblicato
sulla G.U. ed entra in vigore, di regola senza vacatio legis, il giorno stesso o il giorno successivo alla pubblicazione.
Tuttavia, l'atto non è stato sottoposto all'esame del Parlamento. Di conseguenza, la Cost. prevede che il giorno
stesso della pubblicazione il Governo debba presentare alle Camere un proprio disegno di legge di conversione in
legge ordinaria del decreto. Tale disegno di legge consiste di un unico art., in cui è disposto: «il decreto-legge x è
convertito in legge», ossia la fonte produttiva delle norme in esso contenute diventa la legge ordinaria (novazione
della fonte).
Se le Camere, entro 60g dalla pubblicazione del decreto, approvano la legge di conversione, questa andrà a
sostituirsi al decreto-legge. Se, invece, entro tale termine il Parlamento non approva la legge di conversione, il
decreto-legge perderà efficacia retroattivamente (ex tunc). Resta inteso che il decreto-legge può decadere anche
prima della scadenza dei 60 giorni, se una delle due Camere espressamente respinga il disegno di legge di
conversione.
Il decreto-legge è un atto destinato in tutti i casi a cessare di produrre i propri effetti: se è convertito in legge, si
ha una novazione della fonte e i suoi contenuti sono trasferiti nella legge di conversione; se non è convertito,
cessa di avere efficacia sin dal primo giorno di sua entrata in vigore (ovvero con effetto retroattivo).

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I presupposti di fatto che legittimano il Governo ad adottare un decreto-legge consistono nel verificarsi di una
situazione straordinaria che renda necessario e indilazionabile provvedere con norme primarie, senza poter
attendere i tempi di approvazione di una legge ordinaria. È prevalsa nella prassi una tendenza a facilitare il ricorso
alla decretazione d'urgenza, attraverso un'interpretazione estensiva tanto della straordinarietà, quanto della
necessità e dell'urgenza.
In ogni caso, la L.400/1988, sull'organizzazione e l'attività del Governo, è intervenuta a dettare norme
interpretative della Cost., operando una ricognizione dei limiti di contenuto della decretazione d'urgenza
desumibili dalla Cost. e stabilendo che il Governo non può, con decreto-legge: a) conferire deleghe legislative ex
art. 76 Cost.; b) provvedere nelle materie indicate nell'art. 72, 4°C, Cost., sottoposte a riserva di assemblea,
autorizzando la ratifica di trattati internazionali, approvando bilanci e consuntivi, intervenendo in materia cost.
ed elettorale, oltre che concedendo deleghe legislative a se stesso (o convertendo in legge un altro decreto-
legge); c) rinnovare le disposizioni di decreti-legge decaduti per espresso rifiuto di conversione in legge di una
delle due Camere; d) regolare i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti (cosa che possono fare
solo le Camere ex art. 77 Cost.); e) ripristinare l'efficacia di disposizioni dichiarate illegittime dalla Corte cost. per
vizi non attinenti al procedimento.
Questi limiti, in quanto elencati in una legge ordinaria, non sono in grado di vincolare la decretazione d'urgenza
se non quando siano ricognitivi di limiti già deducibili dalla Cost. Rispetto all'elencazione contenuta nella L.400,
dubbi sorgono riguardo ad uno dei casi di riserva di assemblea (art. 72), costituito dalla materia elettorale.

La valutazione della sussistenza dei presupposti di adozione del decreto-legge è rimessa allo stesso Governo, che
ne assume la responsabilità politica e giuridica. Ma l'eccezionalità del normativo d'urgenza richiede adeguati
controlli e garanzie circa il corretto uso di tale potere. Anche in caso di decreti-legge spetta al P. della R. operare
un controllo preventivo di legittimità dell'atto ed eventualmente un rinvio al Governo e, nei casi limite, anche un
rifiuto assoluto di emanazione.

Alle Camere compete un secondo controllo in sede di approvazione della legge di conversione: a tal fine, i
regolamenti parlamentari prevedono un'apposita fase, preliminare alla valutazione sul merito del decreto, rivolta
nello specifico alla verifica dell'esistenza dei presupposti per la sua adozione.
Da ultimo, toccherà alla Corte cost., se e quando investita della relativa questione, effettuare una definitiva
verifica della legittimità cost.: un controllo successivo all'entrata in vigore del decreto e limitato ai profili di
legittimità, ma eventuale. In ogni caso la Consulta ha affermato che è e resta incostituzionale il decreto-legge di
cui facciano «evidente difetto» i presupposti di adozione. Invece, i vizi non evidenti sono sanati dalla legge di
conversione.

In sede di approvazione della legge di conversione, le Camere possono introdurre emendamenti all'originario
testo del decreto-legge, i quali hanno effetti ex nunc, cioè pro futuro, alla luce del principio di irretroattività delle
leggi. Il Parlamento non può introdurre nuovi contenuti normativi che siano disomogenei rispetto a quelli originari
del decreto-legge.
Per assicurare la certezza del diritto, è anche prevista la pubblicazione sulla G.U. di un testo coordinato del
decreto-legge emendato in sede di conversione, a cura del Ministero della Giustizia. Si tratta di una pubblicazione
a scopo notiziale.

La mancata conversione in legge determina la decadenza del decreto-legge, cioè la perdita della sua efficacia sin
dall'inizio, come se non ci fosse mai stato. Le conseguenze derivate dalla sua temporanea vigenza vengono
cancellate, ripristinando la situazione antecedente. Tuttavia, il decreto-legge potrebbe aver prodotto effetti
irreversibili durante la propria provvisoria vigenza, avendo costituito la base di atti, comportamenti e rapporti
giuridici non più modificabili. A tali inconvenienti può porre rimedio soltanto una legge di sanatoria: l'art. 77
sancisce in proposito una riserva di legge formale, in quanto solo una legge approvata dal Parlamento può
regolare gli effetti derivanti dalla mancata conversione di un decreto-legge. Così, le sole Camere possono regolare
con legge i rapporti giuridici sorti sulla base del decreto-legge non convertito, eventualmente mantenendo ferma
la regolamentazione data dal decreto a determinate situazioni.

Secondo una prassi (reiterazione, ormai disusato), il Governo era solito superare gli effetti della decadenza dei
decreti-legge che non fossero stati convertiti in legge entro 60g per mera decorrenza dei termini, adottando un
nuovo decreto-legge dal contenuto identico o sostanzialmente analogo a quello precedente, con il quale venivano
anche fatti salvi gli effetti prodotti dal decreto decaduto.

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Questa prassi, che ha portato spesso a prolungare per mesi od anni la vigenza di norme provvisorie, è stata
abbandonata solo in seguito alla decisione con la quale la Corte cost. ha affermato il principio che la reiterazione
del decreto-legge non convertito contrasta con l'art. 77 Cost. e può reputarsi legittima solo quando si manifestino
autonome situazioni straordinarie di necessità e urgenza, diverse da quelle che hanno rappresentato i presupposti
per l'adozione del precedente decreto-legge.
Il vizio di reiterazione viene sanato qualora la conversione in legge intervenga prima del giudizio di legittimità cost.

6.3. I TESTI UNICI


Quando occorre raccogliere, coordinare e sostituire molteplici provvedimenti normativi, disciplinanti una
medesima materia, venuti alla luce in momenti diversi, viene adottato un testo unico che è una tecnica di
semplificazione normativa. Qualunque fonte-atto del diritto (una legge, un decreto legislativo, un regolamento)
può assumere la veste e svolgere la funzione di T.U., salvo il decreto-legge, in ragione dei suoi presupposti di
straordinarietà e urgenza, che mal si conciliano con le esigenze ed i tempi di adozione di un T.U.
Il modo + frequente per realizzare un simile atto consiste nella concessione al Governo di una delega a raccogliere
tutte le norme legislative (ed eventualmente regolamentari) precedentemente emanate riguardo ad una data
materia, talora accompagnata dalla previsione di nuovi principi della materia. In tal caso, il T.U. viene adottato
con decreto legislativo che, una volta entrato in vigore, si sostituisce alle leggi preesistenti per normale
applicazione del criterio cronologico.

Esistono 3 tipi di T.U.:


a) il T.U. innovativo che, oltre a raccogliere tutte le norme precedenti, introduce anche solo in parte una nuova
regolamentazione della materia;
b) il T.U. compilativo, che adempie soltanto a una funzione di riorganizzazione sistematica del materiale normativo
precedente, senza introdurre novità sostanziali nella regolamentazione della materia, ma apportando comunque
una serie di variazioni formali necessarie all'opera di coordinamento del materiale raccolto;
c) il T.U. meramente compilativo, che invece si limita a raccogliere in ordine sistematico le disposizioni vigenti in
una data materia, senza alcuna minima modificazione e con intento esclusivamente notiziale. Esso può venire
adottato anche con atto normativo subordinato alle fonti in esso raccolte o con atto non normativo (es. con atto
amministrativo).

Il T.U. innovativo e quello compilativo, essendo adottati attraverso una fonte pari-ordinata a quelle produttive del
materiale normativo raccolto, determinano sempre l'abrogazione implicita, per ridisciplina dell'intera materia, di
tutti gli atti normativi precedentemente esistenti in tale materia, che d'ora in poi sarà disciplinata dalle sole
disposizioni contenute nel T.U. Invece il T.U. meramente compilativo non produce una tale abrogazione, ma ha
un’efficacia pari all’atto con cui è adottato e comunque meramente interpretativa (o esecutiva) delle norme
riprodotte: perciò risulta vincolante per le sole autorità amm. subordinate a quella che lo adotta, svolgendo per
tutte le altre amm. pubbliche e per i privati una mera (ma utile) funzione di ausilio conoscitivo.

7. IL REFERENDUM ABROGATIVO (CENNI E RINVIO)


La Cost. prevede vari tipi di referendum, a livello statale (ex artt. 75 e 138), territoriale (ex artt. 132 e 133) e
regionale (ex art. 123). Solo il referendum abrogativo, previsto a livello statale dall'art. 75 Cost. (e a livello
regionale dagli statuti ordinari e dalle leggi statutarie), assume, in caso di esito positivo, natura di fonte del diritto,
potendo abrogare in tutto o in parte leggi ed atti con forza di legge precedenti.
Le altre consultazioni referendarie si inseriscono nel procedimento di formazione delle leggi (cost. o ordinarie):
essendo queste ultime le fonti del diritto, il referendum costituisce una fase del loro iter formativo.
La natura normativa del referendum abrogativo deriva da considerazioni di natura sostanziale circa gli effetti
prodotti nell’ordinamento giuridico dall'esito favorevole della consultazione: in quanto capace di abrogare le leggi
ordinarie e gli atti equiparati, il referendum abrogativo assume forza di legge, attraverso il decreto del Capo dello
Stato (d.P.R.) di proclamazione dell'esito referendario, che dichiara avvenuto l'effetto abrogativo.
Trattandosi quindi di un atto dotato di forza di legge, la «normativa di risulta» – cioè l’esito normativo prodotto
dal referendum nell'ordinamento giuridico – è poi sottoponibile al giudizio di legittimità cost., ex art. 134 Cost.

8. I REGOLAMENTI PARLAMENTARI
I regolamenti parlamentari sono gli atti che dettano, distintamente per la Camera dei deputati e per il Senato
della Rep., la disciplina concernente l'organizzazione e il funzionamento delle Camere.

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Con tali atti sono fissate le norme di comportamento di deputati e senatori, le regole di organizzazione degli organi
interni a ciascuna Camera, le regole con cui operano detti organi, le norme relative ai rapporti di ciascuna Camera
con il proprio personale dipendente così come con sogg. esterni, ad esempio il Governo.
Sono le stesse istituzioni parlamentari a determinare le regole attinenti alla propria organizzazione e
funzionamento: infatti, l'art. 64 Cost. stabilisce che «ciascuna Camera adotta il proprio regolamento a > assoluta
dei suoi componenti».
I regolamenti parlamentari sono qualificabili come fonti del diritto e, specificamente, come fonti primarie. Si tratta
di fonti a competenza riservata (si parla di “riserva di regolamento parlamentare"), essendo precluso alla legge e
a qualsiasi altra fonte del diritto di intervenire nelle materie che la Cost. assegna loro.
I regolamenti parlamentari e le leggi sono pertanto allineati sullo stesso piano gerarchico, ma i loro rapporti si
sviluppano in base al criterio di competenza. La dottrina + recente e la Corte cost. li considerano invece «fonti
dell'ordinamento generale della Rep., produttive di norme sottoposte agli ordinari canoni interpretativi».
La Consulta ha, però, escluso che tali atti abbiano forza di legge e possano essere oggetto di un giudizio di
legittimità cost., per 2 ordini di ragione: a) da un punto di vista formale, perché non si tratta di fonti formalmente
annoverabili nella categoria degli «atti aventi forza di legge», che l’art. 134 Cost. consente di sottoporre al
controllo di cost.; b) da un punto di vista sostanziale, perché una diversa interpretazione «urterebbe contro il
sistema», che vede in posizione centrale le Camere, cui spetta «un’indipendenza munita di garanzia nei confronti
di qualsiasi altro potere», inclusa la stessa Corte cost.
Anche laddove una L. venisse adottata senza rispettare i vincoli procedurali o sostanziali disposti dai regolamenti
parlamentari, non risulterebbe possibile far valere tale vizio in un giudizio di cost. (ma solo e con molti limiti in un
conflitto di attribuzione con altri Poteri dello Stato). L’unica eccezione si ha quando la norma regolamentare
violata costituisca la sostanziale riproduzione di una norma cost. relativa al procedimento legislativo.

9. I REGOLAMENTI GOVERNATIVI E MINISTERIALI


“Regolamenti" → in senso tecnico si tratta di atti produttivi di norme giuridiche (ossia di fonti del diritto), che
sono adottati da sogg. differenti.
I regolamenti dell'UE hanno valore corrispondente a quello della legge (ma una competenza prevalente).
Anche i regolamenti parlamentari hanno rango primario (pur se la Consulta non lo riconosce), mentre sono fonti
secondarie interne all'ordinamento italiano i regolamenti governativi, ministeriali, regionali, locali e di altri enti ed
autorità. Dal punto di vista della funzione da essi svolta, i regolamenti appartenenti al livello sub-legislativo
provengono da autorità amm. e sono adottati per l'esecuzione delle leggi o per il corretto e uniforme esercizio
della funzione amm.
Le autorità amm. non possono non possedere anche il potere di regolamentare l'esercizio della propria funzione
nel suo concreto esplicarsi, perché la predisposizione di regole da osservare nei casi concreti è richiesta dal
principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), per circoscrivere la discrezionalità del pubb. amministratore che, in assenza
di regole del genere, potrebbe tradursi in arbitrio. I regolamenti sono sogg. al sindacato diffuso del giudice
comune, ex art. 113 Cost., per violazione di diritti e interessi legittimi.
Il procedimento di formazione dei regolamenti governativi e ministeriali è dettato dall'art. 17 della L.400/1988.
Tale disciplina può essere derogata, di volta in volta, da leggi che prevedano particolari procedure o tipi di
regolamenti.

I regolamenti governativi: sono adottati dal Consiglio dei ministri, previo parere obbligatorio ma non vincolante
del Consiglio di Stato; sono emanati con decreto del P. della R. (art. 87 Cost.), assumendo la forma di d.P.R.: sono
sottoposti al controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti; sono pubblicati sulla G.U.

A seconda della funzione che svolgono rispetto alla legge, i regolamenti governativi possono distinguersi in:
a) esecutivi, quando stabiliscono le norme organizzative e procedurali necessarie alla esecuzione delle leggi (i
quali sono consentiti anche in materie coperte da riserva assoluta di legge);
b) attuativi (o integrativi), quando integrano le disposizioni legislative di principio, ponendo le norme di
completamento e dettaglio e che sono consentiti in materie coperte da riserva relativa di legge;
c) indipendenti, così denominati perché adottati su oggetti privi di disciplina legislativa, sempreché tali oggetti
non siano riservati alla legge;
d) organizzativi, quando dettano la disciplina dei pubb. uffici nel rispetto dei principi stabiliti dalla legge (essendo
la materia coperta da riserva di legge relativa ex art. 97 Cost.).
Mentre i regolamenti esecutivi e attuativi trovano nella legge i parametri di esercizio della funzione normativa
secondaria, i regolamenti indipendenti si atteggiano nella sostanza a disciplina primaria, sovvertendo in questo

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modo il proprio ruolo di fonte destinata a integrare, attuare ed eseguire le scelte politiche espresse dalle fonti di
livello primario.
e) Il procedimento di delegificazione, che consiste nel trasferire la disciplina di una data materia dal livello
legislativo a quello regolamentare, rimuovendo la normativa legislativa preesistente.
Ma la fonte regolamentare non ha la capacità di abrogare o derogare le norme legislative, sicché occorre:
l'approvazione di una legge di delegificazione che affida al regolamento (detto autorizzato o di delegificazione)
l'ulteriore normativa, e dispone altresì l'abrogazione delle leggi preesistenti, con effetto differito alla data di
entrata in vigore del regolamento autorizzato.
La delegificazione differisce dalla deregulation (o deregolamentazione), la quale consiste nell’eliminazione della
disciplina di una data materia, lasciata al libero esplicarsi dell’iniziativa privata. Invece, con la delegificazione si
realizza un abbassamento del livello normativo di dettaglio, ma la materia resta compiutamente regolata, benché
attraverso il concorso di un atto normativo primario e, in maggior misura, di uno secondario.

I regolamenti ministeriali sono atti non solo adottati, ma anche emanati da un ministro con proprio decreto, che
si collocano ad un livello sub-secondario, non potendo contrastare con i regolamenti governativi.
La L.400/1988 ne subordina l'emanazione, in riferimento all'esecuzione o all'attuazione delle sole materie di
competenza ministeriale, all'espresso conferimento con legge della relativa potestà di adottarli. Se poi la materia
appartiene alla competenza di + ministri, la L. può conferire il potere regolamentare congiuntamente a tutti loro
(regolamento interministeriale). Anche i regolamenti ministeriali sono soggetti: al preventivo parere (non
vincolante) del Consiglio di Stato, al controllo di legittimità della Corte dei conti, alla pubblicazione sulla G.U.
Inoltre, prima dell'adozione, devono essere comunicati al P. del Consiglio, che può deferire al Consiglio dei ministri
la decisione finale di adottarli o meno

10. LE ORDINANZE CONTINGIBILI ED URGENTI


Quando si verifica una situazione di emergenza cui occorra adottare norme giuridiche non previste da precedenti
leggi in deroga ad esse - e non c'è il tempo di attendere l'intervento del Parlamento- si deve utilizzare la fonte
prevista dall’art.77 della Cost., ossia il decreto-legge.
In situazioni particolari il Governo, ai sensi dell'art. 120 Cost., può sostituirsi, anche con atti normativi (adottati
anch'essi tramite decreti-legge), agli organi della Regione o dell'ente locale che hanno omesso di intervenire o
l'hanno fatto illegittimamente. A parte tali casi – e lo stato di guerra dichiarato formalmente dal P. della R., previa
deliberazione delle Camere, ex art. 78 Cost. – la Cost. italiana non contiene prescrizioni esplicite sulla gestione
delle emergenze. Tuttavia, diverse leggi ordinarie prevedono che alcuni organi della p.a. possano adottare atti
configurati come amm. ma aventi contenuto normativo per far fronte a situazioni eccezionali, che richiedono un
immediato intervento.

10.1. I PRINCIPALI TIPI DI ORDINANZE CONTINGIBILI


Fra gli atti contingibili e urgenti previsti dalle leggi ordinarie, vi sono:
- le ordinanze che il Prefetto può adottare «nel caso di urgenza o di grave necessità pubb.» e che si rendano
«indispensabili per la tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza pubblica» (T.U. sulla pubblica sicurezza, di cui al
regio decreto n. 773 del 1931);
- le ordinanze contingibili e urgenti che il Sindaco, nella sua veste di Ufficiale del Governo, può adottare «al fine
di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana» (art. 54 del
T.U. sugli enti locali).

Ordinanze di protezione civile, disciplinate dapprima dalla L.225/1992 ed oggi dal Codice della protezione civile.
Tale Codice consente al Consiglio dei ministri di deliberare lo «stato di emergenza» al verificarsi- come nel caso
dell'epidemia di Covid-19 del 2020 – di «emergenze di rilievo nazionale connesse con eventi calamitosi di origine
naturale o derivanti dall'attività dell'uomo che in ragione della loro intensità o estensione debbono essere
fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo».
La deliberazione dello stato di emergenza legittima l'emanazione di «ordinanze di protezione civile, da adottarsi
in deroga ad ogni disposizione vigente, nei limiti e con le modalità indicati nella deliberazione dello stato di
emergenza e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico e delle norme dell'UE».
Tutti i provvedimenti fin qui citati costituiscono atti a contenuto atipico stabilito discrezionalmente dall'autorità
competente, chiamata ad adottare la misura che più risponde alle specificità del caso concreto. Essi possono
derogare alla legge, cui gli atti amm. devono conformarsi. Non è però consentita alcuna deroga ai precetti
costituzionali, ai principi generali dell'ordinamento giuridico ed alle norme dell'UE. In alcuni casi questi limiti sono
stati esplicitati dal legislatore; in altri si è reso invece necessario l'intervento della Corte cost.

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10.2. I REQUISITI DELLE ORDINANZE CONTINGIBILI
La facoltà dei provvedimenti in questione di derogare a fonti primarie non risulta contraria alla Cost., che tutela
l’interesse alla conservazione dell'ordinamento.
La Consulta ha precisato che è «conforme a Cost. la possibilità che alle autorità amm. siano affidati i poteri di
emissione di provvedimenti diretti ad una generalità di cittadini, emanati per motivi di necessità e di urgenza, con
una specifica autorizzazione legislativa che indichi il presupposto, la materia, le finalità dell'intervento e l'autorità
legittimata».

La giurisprudenza ha indicato una serie di requisiti che le ordinanze di necessità ed urgenza devono presentare
per risultare legittime:
a) gli eventi da fronteggiare devono essere imprevedibili e deve esserci l'urgenza di provvedere;
b) «ci deve essere una specifica autorizzazione legislativa che, anche senza disciplinare il contenuto dell'atto
(questo in tal senso può considerarsi libero), indichi il presupposto, la materia, le finalità dell'intervento e l'autorità
legittimata»;
c) le ordinanze devono attenersi ai principi cost., ai principi generali dell'ord. giuridico e alle norme dell'UE;
d) i provvedimenti adottati devono essere provvisori e non devono stabilire nuove regole né abrogare quelle
esistenti, ma solo derogare a queste ultime per un lasso di tempo delimitato;
e) deve esserci proporzionalità fra la singola regola di condotta prescritta da tali atti e l'evento da fronteggiare;
f) le ordinanze in questione devono essere adeguatamente motivate ed essere pubblicate;
g) esse devono essere impugnabili. Non essendo loro riconosciuto valore di L. da parte della Corte cost., non
possono essere sottoposte al sindacato di quest’ultima, ma possono essere impugnate davanti al giudice amm.
(che può anche sospenderne l'efficacia in via cautelare, come è avvenuto durante l'emergenza da Covid-19) e
forse anche davanti a quello ordinario, laddove ledano direttamente diritti sogg.

Oltre al P. del Consiglio, pure alcuni ministri possono emanare provvedimenti di questo tipo nell'ambito delle loro
competenze, in particolare il Ministro della Salute, ai sensi dell'art. 32 della L. 833/1978, istitutiva del Servizio
sanitario nazionale, e dell'art. 117 del d.lgs.112/1998.
Inoltre i P. delle Giunte regionali ed i Sindaci sono autorità territoriali di protezione civile e, in tale veste, possono
anch'essi adottare ordinanze del genere sulla base, però, della normativa statale.
La Corte cost. nega che le ordinanze derogatorie delle leggi abbiano, solo, forza di legge.

10.3. I PROVVEDIMENTI ADOTTATI PER FRONTEGGIARE L’EPIDEMIA DI COVID-19


Alla luce dell'esperienza avutasi a partire dal 2020 a causa dell'epidemia di Covid-19, il Governo – dopo aver
dichiarato, il 31.01.2020, lo stato di emergenza nazionale per una durata di 6 mesi (poi prorogata) ed aver
inizialmente stabilito che, per affrontare l'emergenza, si provvedesse con ordinanze di protezione civile – ha
introdotto un ulteriore strumento, costituito da provvedimenti contingibili e urgenti emessi sulla base di
presupposti definiti dai decreti-legge (dapprima) n. 6 e (poi) n. 19 del 2020 (convertiti nelle leggi n. 13 e n. 35 del
2020). In base ad essi, hanno potuto essere assunte, «secondo principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio
effettivamente presente su specifiche parti del territorio nazionale ovvero sulla totalità di esso», svariate misure
«per periodi predeterminati, ciascuno di durata non superiore a 30g, reiterabili e modificabili anche più volte fino
al termine dello stato di emergenza».
Tali misure non sono state, però, direttamente imposte dai decreti-legge, ma da ordinanze contingibili e urgenti
– che hanno assunto diverse forme, tra cui quella del D.P.C.M. (decreto del P. del Consiglio, che, per il relativo
Codice, è autorità nazionale di protezione civile) - le quali risultavano uno strumento non solo agile, ma anche
capace di raggiungere gli effetti desiderati.
Misure aggiuntive sono state poi adottate, con ordinanza, dai P. delle Regioni e dai Sindaci, ma non sempre tali
ulteriori provvedimenti si sono ben armonizzati con quelli nazionali.

Lo schema seguito per adottare le misure di contrasto dell'epidemia di Covid-19 ha suscitato dubbi in merito alla
legittimità formale, o almeno sostanziale, dei provvedimenti. Perplessità e critiche ha suscitato anche la
concentrazione di poteri nell'Esecutivo – e più ancora, a livello statale, nel P. del Consiglio dei ministri – che è
derivata dall'ampio uso dei D.P.C.M., mentre il Capo dello Stato è stato bypassato e il Parlamento è stato chiamato
solo a prendere atto o a ratificare le decisioni assunte dal premier e dal Governo.
Benché il sistema di fonti normative usato per fronteggiare l'emergenza potesse essere meglio definito può dirsi
che abbia comunque rispettato il principio di legalità.

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10.4. LA DIFFICOLTA’ DI INQUADRAMENTO DI ALTRI ATTI REGOLATORI DELLA PUBBLICA
AMMINISTRAZIONE
Occorre sottolineare che non sono unicamente le ordinanze imprevedibili e urgenti a porre l'operatore giuridico
di fronte a notevoli difficoltà di inquadramento. I canoni classici di inquadramento delle norme giuridiche stentano
ad applicarsi anche ad altri atti regolatori della p.a.: circolari, linee guida, direttive, atti di indirizzo, ecc.
Infatti, pur trattandosi di provvedimenti di natura amm. è innegabile che il loro contenuto venga non di rado ad
incidere anche sui diritti delle persone, facendo sorgere il dubbio che si tratti di atti di produzione normativa, pur
secondaria, di cui è spesso difficile individuare il fondamento in una previa legge.
Appare evidente come la prassi mostri varie forzature delle regole sulla produzione del diritto.

11. I CONTRATTI COLLETTIVI DI LAVORO


L'art. 39 della Cost., nel riconoscere la libertà dei lavoratori di organizzarsi in sindacati, prefigura la possibilità che
essi si registrino presso un ufficio pubblico, a condizione che i loro statuti prevedano un ordinamento interno a
base democratica.
I sindacati acquisiscono personalità giuridica e, rappresentati in delegazioni unitarie in proporzione ai rispettivi
iscritti, possono stipulare con le rappresentanze delle imprese contratti collettivi di lavoro «con efficacia
obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce».
I contratti collettivi previsti dall'art. 39 Cost. sono riconducibili alla dimensione privatistico-negoziale, ma, allo
stesso tempo, la capacità loro assegnata di indirizzarsi a tutti coloro che rientrano nella categoria lavorativa
coinvolta ne fa delle vere e proprie fonti del diritto.
Lo schema delineato nella disposizione cost. è rimasto inattuato. Perché un sindacato possa stipulare contratti
con effetti generali occorre che sia registrato, ma le organizzazioni sindacali esistenti si sono sempre dimostrate
contrarie a tale eventualità, perché timorose che ciò comportasse intrusioni statali al loro interno. E il legislatore
ha rinunciato ad adottare le norme procedurali necessarie.
Per superare l'inattuazione del dettato cost., la L. 741/1959 (c.d. "legge Vigorelli") delegò il Governo ad emanare
decreti legislativi recepivano gli accordi collettivi stipulati dai sindacati (non registrati) più rappresentativi. Tale
normativa fu dichiarata incostituzionale.
Ad oggi i contratti collettivi sottoscritti tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori e le rappresentanze dei datori
di lavoro sono contratti di diritto comune, che dovrebbero vincolare solo gli iscritti alle rispettive associazioni.
L'art. 39 Cost. non impedisce alla L. di disciplinare gli ambiti già regolati da tali contratti collettivi, concorrendo
con essi nella regolamentazione dei rapporti di lavoro, ma la Corte cost. ha chiarito che l'autonomia collettiva non
può «essere annullata o compressa nei suoi esiti concreti», a meno che la legge non intervenga per prevedere un
trattamento più favorevole per i lavoratori oppure a salvaguardia di superiori interessi generali.
Le regole che stabiliscono i livelli minimi di tutela vengono applicate nei confronti di tutti, salvo possibili contratti
deroghe in melius.
«Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso
sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa».
Recentemente, si sono avuti degli accordi negoziali che hanno introdotto un’efficacia erga omnes dei contratti
collettivi.
Nel settore pubblico la vincolatività erga omnes dei contratti collettivi nazionali di diritto comune non è in
discussione, essendoci un'unica "Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni"
(ARAN) ed essendo queste ultime obbligate per legge a garantire ai propri dipendenti parità di trattamento
contrattuale e trattamenti non inferiori a quelli previsti dai contratti collettivi.

12. LA CONSUETUDINE
La consuetudine è la principale fonte-fatto dell'ordinamento italiano. Essa si compone di 2 elementi:
a) oggettivo o materiale → costante e uniforme ripetizione nel tempo di un dato comportamento;
b) soggettivo o psicologico → convinzione che quel comportamento sia giuridicamente dovuto perché preteso
come tale dal corpo sociale.
Quello che conta è la giuridicità ritenuta dal corpo sociale, che considera dovuto quel comportamento.
Negli ordinamenti primitivi, la consuetudine rappresentava la fonte del diritto principale in ragione dell’assenza
di organi chiamati a produrre fonti-atto. Negli ordinamenti moderni la consuetudine è, invece, relegata all'ultimo
livello delle fonti normative. Diversamente altri ordinamenti, appartenenti all'area di common law (come Regno
Unito e Stati Uniti), conservano ancora una struttura a base consuetudinaria, ma arricchita dal diritto
giurisprudenziale e, oggi, affiancate da una crescente produzione legislativa.
L'art. 8 delle preleggi, che disciplina gli «usi», dispone che «nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti gli
usi hanno efficacia solo in quanto sono da essi richiamati, mentre sono inefficaci negli altri casi.

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Una consuetudine richiamata può anche derogare alla legge o al regolamento, se questi glielo consentono: basta
che la fonte-atto possa legittimamente effettuare il richiamo e che la consuetudine operi, anche in deroga, entro
i confini del richiamo stesso.

Rimane il problema della consuetudine libera, cioè presente in materie non regolate da fonti-atto. Il nostro
ordinamento ha previsto l'analogia, per colmare eventuali lacune al proprio interno. L'art. 12 delle preleggi invita
a ricorrere all’interpretazione analogica quando «una controversia non può essere decisa con una precisa
disposizione», rinviando «alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe» (analogia legis) o, in
mancanza, ai «princìpi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato» (analogia iuris). Sembrerebbe esservi poco
spazio per la consuetudine libera, se non nell’ipotesi che non vi siano fonti- atto che regolano casi simili o materie
analoghe e nemmeno siano rinvenibili princìpi generali dell'ord. giuridico da cui dedurre la regola del caso
concreto.
In ogni caso, alle consuetudini costituzionali, deve ritenersi che possano sicuramente integrare la disciplina
dettata dalla Cost.
L'individuazione di una consuetudine e la sua distinzione da una prassi (comportamento ripetuto nel tempo ma
sprovvisto della convinzione della sua obbligatorietà, che non è fonte del diritto) è difficile. Per agevolarla l'art. 9
delle preleggi prevede raccolte ufficiali di usi, previa autorizzazione legislativa, da determinati enti pubblici quali
le Camere di commercio. Si tratta di mere fonti di cognizione.

13. LO STATO REGIONALE E LA LEGGE STATUTARIA


Ogni Regione ordinaria, in base all'art. 123 della Cost., adotta uno statuto per stabilire la propria forma di governo
e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento.
Si tratta di un atto, approvato a seguito di uno specifico procedimento legislativo aggravato ed avente un
contenuto necessario, che è dotato di una propria collocazione nel sistema delle fonti, intermedia tra la Cost. e la
legge regionale, perché destinato a prevalere su quest'ultima in caso di contrasto.
Problematica resta la natura di quest’efficacia atipica, definita in parte come gerarchia e in parte come
competenza. Infatti, il rapporto tra statuto e legge regionale è disegnato per alcuni aspetti in termini di gerarchia,
in ragione del carattere fondamentale della fonte statutaria comprovato dal particolare procedimento aggravato
di approvazione, ma per altri aspetti in termini di competenza, in quanto l'art. 123 Cost. riserva alcune materie
alla fonte statutaria.
Ognuna delle 5 Regioni ad autonomia differenziata ha uno statuto speciale adottato con L. cost. in modo da
conferire «forme e condizioni particolari di autonomia».
La legge cost. 2/2001 ha modificato il procedimento di revisione degli statuti speciali, confermando l'applicazione
del «procedimento stabilito dalla Cost. per le leggi cost.», ma stabilendo che «le modificazioni allo statuto
approvate non sono sottoposte a referendum nazionale».
Tuttavia, in seguito al rafforzamento dell'autonomia delle Regioni di diritto comune, realizzato con la riforma del
Titolo V della Parte II della Cost., le differenze tra i due modelli regionali si sono in parte attenuate. D'altro canto,
la citata legge ha conferito a tutte le Regioni speciali la potestà di approvare leggi statutarie in tema di forma di
governo, di sistema elettorale e di istituti di democrazia diretta. Anch'esse sono leggi regionali atipiche e
rinforzate, collocate in posizione intermedia tra lo statuto speciale e la legge regionale, perché destinate a
prevalere su quest'ultima in caso di contrasto.

13.2. LA LEGGE REGIONALE


Anche le Regioni hanno potestà legislativa e producono fonti primarie, essendo chiamate a disciplinare nel loro
complesso le materie di competenza residuale (art. 117 Cost.) - o di competenza primaria, per le Regioni speciali
– e in parte, nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti dallo Stato, le materie di competenza concorrente.
Il procedimento di formazione della legge regionale è solo accennato nella Cost., che si limita a riservare al
Consiglio la funzione legislativa e al P. della Giunta la promulgazione delle leggi regionali (art. 121), nonché a
demandare espressamente allo statuto la disciplina dell’iniziativa e della pubblicazione della legge regionale.

Il procedimento legislativo regionale, come disciplinato dai nuovi statuti ordinari, ricalca di fatto quello statale.
a) L'iniziativa è riconosciuta alla Giunta (o, in Lombardia, al solo P. di essa), a ciascun consigliere, agli enti locali,
ad una frazione del corpo elettorale e, talvolta, al Consiglio delle autonomie locali e ad altri organismi regionali.
b) Anche a livello regionale è previsto che il procedimento di approvazione della legge sia preceduto da un previo
esame in Commissione, che agisce in sede referente o talora in sede redigente (ma non in sede deliberante).
c) A questa fase necessaria può fare seguito una fase eventuale, che coinvolge altri organi regionali. Così in quasi
tutte le Regioni si prevede che appositi organi di garanzia statutaria possano esprimersi preventivamente sulla

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conformità allo statuto dei progetti di legge attraverso pareri che, se negativi, possono determinare la necessità
di un riesame da parte del Consiglio regionale.
d) Diversamente da quanto previsto dall'art. 74 Cost. per le leggi statali, in occasione della promulgazione delle
leggi regionali il P. della Giunta, che è anche P. della Regione, non possiede il potere di rinvio al Consiglio, in quanto
la sua diversa natura, rispetto al P. della R., di organo di indirizzo politico e non di garanzia potrebbe inficiare la
sua attività di controllo sulle leggi.
e) Successivamente alla promulgazione, vi sono la pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione, con la quale
si assicura la conoscibilità della legge, e l'entrata in vigore, decorsa la vacatio legis ordinaria di 15 giorni.

13.3. I REGOLAMENTI REGIONALI


La legge cost. 1/1999 ha eliminato la competenza esclusiva del Consiglio regionale riguardo all'adozione dei
regolamenti regionali, prevista dall'originario art. 121 Cost.
In conseguenza di ciò, oggi spetta allo statuto regionale stabilire chi, tra Giunta e Consiglio, abbia la competenza
ad adottare i regolamenti regionali, sicché ciascuna Regione può articolare in modo diverso il relativo potere,
ferme restando l'emanazione del regolamento ad opera del P. della Giunta e la natura di fonte secondaria
dell'atto.
Il rapporto tra regolamenti statali e regolamenti regionali è delineato dall'art. 117, 6°C, Cost., secondo cui la
competenza regolamentare segue quella legislativa: pertanto, lo Stato ha potestà regolamentare nelle sole
materie in cui ha competenza legislativa esclusiva, mentre la Regione ha potestà regolamentare nelle materie di
competenza legislativa concorrente e di competenza residuale.
Inoltre, lo Stato può conferire (e revocare) con propria L. alle Regioni l'esercizio della competenza regolamentare
in materie di sua competenza.

14. GLI STATUTI E I REGOLAMENTI DEGLI ENTI LOCALI


La rilevanza cost. che il nuovo art. 114 della Cost. assegna agli enti politici locali (Comuni, Province, Città
metropolitane), quali «enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Cost.»,
dotati di pari dignità con lo Stato quali sogg. costitutivi della Rep., non può non influire anche sulla collocazione
che i relativi atti di autonomia assumono nel sistema delle fonti.
Gli statuti degli enti locali non godono della posizione che la Cost. assegna espressamente agli statuti regionali,
perché l'art. 117 riserva alla competenza legislativa statale le materie «legislazione elettorale, organi di governo
e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane».
Gli statuti locali assumono il duplice ruolo di: 1) fonte secondaria esecutiva e attuativa delle disposizioni legislative
statali concernenti «legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali»; ii) fonte a competenza
residuale riservata per ogni altro oggetto rientrante nella materia «organizzazione» dell'ente.
D'altro canto, l'esercizio della competenza legislativa statale e di quella statutaria locale non deve essere così
invadente da colmare anche l'ambito che l'art. 117 riserva alla potestà regolamentare degli enti locali «in ordine
alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite».
La legge regionale appare estranea alla materia «organizzazione e funzionamento» dell'ente locale, alla luce della
riserva di competenza in favore tanto della legge statale, quanto delle fonti locali.
Anche la legge regionale (nelle materie di sua competenza) potrebbe conferire tali funzioni in una o più materie
disciplinandone anche l'organizzazione e lo svolgimento, per soddisfare interessi unitari.

Quanto al procedimento di formazione, gli statuti comunali sono deliberati e modificati dai rispettivi Consigli con
la > qualificata dei 2/3 dei componenti. Qualora tale maggioranza non venga raggiunta, la votazione è ripetuta in
successive sedute da tenersi entro 30g e lo statuto è approvato se ottiene per 2 volte il “sì" della > assoluta dei
consiglieri. Lo statuto è pubblicato nell'albo pretorio dell'ente ed entra in vigore dopo una vacatio legis di 30g,
mentre la pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione avviene solo a scopo notiziale. Gli statuti provinciali
e quelli delle Città metropolitane, dal 2014, sono approvati dall'Assemblea o Conferenza dei Sindaci del rispettivo
territorio.

L'art. 117, 6°C, Cost. riserva alla potestà regolamentare di Comuni, Province e Città metropolitane la «disciplina
dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite», configurando i relativi atti come fonti
secondarie autonome.
I regolamenti locali assumono la natura di fonti secondarie, se la legge attribuisce loro l'esecuzione o l’attuazione
delle proprie norme, o altrimenti di fonti sub-secondarie, in quanto subordinate alla potestà regolamentare dello
Stato e delle Regioni, secondo le rispettive competenze per materia.

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La disciplina dei profili essenziali del procedimento di formazione dei regolamenti locali è di competenza della
legge statale, rientrando la potestà normativa tra le «funzioni fondamentali» dell'ente, mentre allo statuto locale
spetta la regolamentazione degli aspetti e delle opzioni non prefissati dalla legge statale.

15. L’ADATTAMENTO DELL’ORDINAMENTO NAZIONALE AL DIRITTO INTERNAZIONALE


L'ordinamento internazionale è distinto e separato da quello italiano: anch'esso produce norme, che trovano la
propria fonte ora nella consuetudine (diritto internazionale generale), ora nei trattati che gli Stati stipulano tra di
loro (diritto internazionale particolare).
L'adempimento degli impegni assunti sul piano internazionale impone spesso la necessità di tradurre in norme
interne quegli obblighi, che non sono necessariamente riferiti al solo ambito sovranazionale.
Il diritto internazionale non contiene alcuna previsione circa i meccanismi attraverso cui gli Stati devono
procedere ad adeguare i propri ordinamenti agli obblighi internazionali. In Italia, tali modalità sono differenti a
seconda della natura generale o pattizia della fonte del diritto internazionale.

15.1. L’ADATTAMENTO AL DIRITTO INTERNAZIONALE GENERALMENTE RICONOSCIUTO


L'adattamento avviene in modo automatico, in virtù del rinvio mobile dall'art. 10 Cost., in favore delle norme di
dritto internazionale generalmente riconosciute. Rientrano fra tali norme, secondo la giurisprudenza cost.: a) i
principi generali dell'ordinamento internazionale; b) le consuetudini internazionali; C) le norme giuridiche comuni
alla generalità dei membri della comunità internazionale.
Le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute possono derogare anche alle disposizioni cost.,
incontrando il solo limite del rispetto dei princìpi supremi dell'ordinamento cost. Infatti, ove contrastino con tali
principi, «non opera il rinvio di cui al 1°C dell'art. 10 Cost.», per cui non possono essere applicate in Italia.

15.2. L’ADATTAMENTO AL DIRITTO INTERNAZIONALE PATTIZIO


L'adattamento al diritto internazionale pattizio, che scaturisce dai trattati e dagli altri accordi con Stati o con
organizzazioni internazionali, necessita di un procedimento ad hoc, che può realizzarsi:
a) attraverso un atto normativo che detta le regole di condotta a tal fine necessarie, riproducendo i contenuti del
trattato (c.d. procedimento ordinario o con legge di esecuzione);
b) attraverso un ordine di esecuzione che rinvia al trattato allegato (c.d. procedimento per ordine di esecuzione).
Quest’ultima è la procedura + utilizzata quando la ratifica del trattato deve avvenire previa autorizzazione con
legge delle Camere, ai sensi dell'art. 80 Cost.
Infatti «le Camere autorizzano con L. la ratifica dei trattati internazionali che sono di natura politica, o prevedono
arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di
leggi».
Tali trattati, dopo essere stati negoziati e firmati dal Governo, devono essere poi ratificati dal P. della R. a seguito
dell'autorizzazione data con legge dalle Camere. Questa legge contiene, di solito, sia l'autorizzazione alla ratifica
che l'ordine di (futura) esecuzione dell'accordo internazionale.
Invece, gli accordi che non rientrano nelle categorie indicate dall'art. 80 Cost. non sono generalmente sottoposti
all'autorizzazione parlamentare – e spesso nemmeno alla firma del P. della R. – ma vengono molte volte ratificati
in forma c.d. semplificata e impegnano lo Stato italiano già al momento della firma da parte di un ministro o del
P. del Consiglio. Poi, se necessario, vengono adottate norme interne di esecuzione con le ordinarie procedure.
Tutti gli accordi internazionali devono essere pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale e inseriti nella Raccolta ufficiale
degli atti normativi della Repubblica.
La diversa tecnica di adattamento, rispetto alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute,
giustifica la differente collocazione delle norme di diritto internazionale particolare nel sistema delle fonti
nazionali: le norme suddette assumono nel nostro ordinamento il valore conferito loro dalla forza della legge o
dell'atto che ne dà esecuzione e sarebbero derogabili e abrogabili da successive norme nazionali di pari livello.
Tuttavia, in virtù del nuovo art. 117, introdotto con la riforma costituzionale del 2001, è ora sancito che le leggi
statali e regionali (e gli atti con forza di legge) debbono rispettare gli obblighi internazionali assunti dall'Italia.
In tal modo, le norme di diritto internazionale particolare agiscono come “parametro interposto" di
costituzionalità: la norma nazionale (norma oggetto), se contrastante con una norma di diritto internazionale
particolare (parametro interposto), è costituzionalmente illegittima per violazione dell'art. 117 (che è la norma
parametro)
Una legge successiva non potrà dettare regole contrastanti con quelle di un trattato cui sia stata data esecuzione
nel nostro ordinamento, ferma restando la facoltà dello Stato italiano di denunciare il trattato stesso (ad opera
del P. della R., su deliberazione del Governo), svincolandosi dalla sua osservanza.

110
La legge contenente l'ordine di esecuzione o la disciplina per eseguire il trattato dovrà essere conforme alla Cost.,
potendo altrimenti essere dichiarata illegittima in tutto o in parte, con la conseguente inapplicabilità delle norme
pattizie.

16. LE FONTI DELL’UNIONE EUROPEA


Un particolare tipo di norme esterne al nostro ordinamento sono quelle prodotte dall’UE.
Tuttavia l’UE ha progressivamente rivendicato di essere un ordinamento originario di nuovo tipo, distinto tanto
dall'ordinamento internazionale quanto da quelli degli Stati membri, ma integrato con questi ultimi.
La Corte cost. ritiene che l'Italia abbia limitato – e non rinunciato - la sua sovranità, in base all'art. 11 Cost., e che
l'ordinamento giuridico nazionale si mantenga distinto ed autonomo da quello comunitario europeo, pur se
coordinato con esso (ma non integrato al punto da esserne divenuto un sottoinsieme) (“principio dualistico").

16.1. FONTI ORIGINARIE E FONTI DERIVATE


Le fonti del diritto dell'UE si distinguono in originarie e derivate.
Tra i 2 tipi di fonti intercorre un rapporto gerarchico (dato che le prime sono fonti sulla produzione delle seconde),
a tutela del quale è previsto un possibile controllo di legittimità degli atti derivati, affidato alla giurisdizione
esclusiva della Corte di Giustizia dell’UE.

a) Le fonti originarie sono costituite da: i Trattati istitutivi, che sono oggi il Trattato sull'UE (TUE) e il Trattato sul
Funzionamento dell'UE (TFUE); la Carta dei diritti fondamentali dell'UE, dotata dal 2009 della stessa efficacia
giuridica dei Trattati istitutivi; i principi generali del diritto UE, elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia
e spesso comuni agli ordinamenti degli Stati membri.

b) Le fonti derivate sono costituite dagli atti normativi adottati dagli organi dell'Unione, nelle materie e secondo
le procedure previste dalle fonti originarie: il regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi ed è
immediatamente applicabile nello Stato membro, al pari di una L. nazionale (a cui può essere assimilato); la
direttiva, che non è direttamente applicabile, ma vincola gli Stati membri a raggiungere un determinato risultato
entro un dato termine, lasciando ad essi il compito di recepirla nell'ordinamento nazionale predisponendo le
norme necessarie al raggiungimento dello scopo tramite l'adozione di una fonte interna ritenuta idonea (che
vincolerà i privati e le p.a.); la decisione generale, che è obbligatoria in tutti i suoi elementi per gli specifici
destinatari (costituiti a volte da tutti gli Stati membri, ma, in caso di decisione particolare, da un singolo Paese o
da particolari sogg., pubblici o privati) e può avere natura normativa oppure amministrativa
A tali atti si aggiungono, con efficacia non vincolante, la raccomandazione e il parere.
Possono assumere un valore normativo anche le regole specificate nella giurisprudenza della Corte di Giustizia o
in atti atipici, come le comunicazioni, i "libri bianchi" e i “libri verdi" della Commissione EU, le risoluzioni del
Parlamento EU, gli orientamenti, le conclusioni e le risoluzioni del Consiglio EU e del Consiglio UE (c.d. fonti
complementari del diritto UE).

16.2. IL RAPPORTO TRA LE FONTI DELL’UE E LE FONTI NAZIONALI


La particolarità del diritto comunitario EU risiede nel rapporto tra fonti e norme nazionali e fonti e norme dell'UE,
che è retto dal principio del primato del diritto EU: in base ad esso, l'eventuale contrasto tra le 2 fonti o le 2
norme, nelle materie di competenza dell'Unione, si risolve sempre in favore di quelle comunitarie (salvo che in
caso di contrasto con i principi supremi dell'ordinamento cost.).
In caso di dubbio circa l'interpretazione o la validità della fonte dell'UE, i giudici possono operare un rinvio
pregiudiziale alla Corte di Giustizia, richiedendo a quest’ultima di precisare quale sia la corretta interpretazione e
portata della norma EU, per poter poi decidere se sussista o meno un contrasto con la normativa nazionale.

a) Il regolamento EU prevale sempre sulla fonte nazionale contrastante anche se successiva nel tempo,
comportandone la disapplicazione (ma non l'abrogazione né l'annullamento, per cui, in caso di uscita dell'Italia
dall'UE, la fonte nazionale ritornerebbe applicabile).

b) Per le direttive, occorre accertare:


- se le norme da loro dettate siano state recepite in fonti interne, in qual caso queste ultime, divenute atipiche,
prevalgono sulle fonti nazionali contrastanti;
- se le direttive siano divenute auto-applicative, al pari dei regolamenti: a tal fine occorre che siano di contenuto
normativo incondizionato e sufficientemente preciso (es. divieto) e che sia inutilmente decorso il termine per

111
darvi attuazione. In questa ipotesi, esse acquistano effetto diretto, comportando la disapplicazione della fonte
nazionale contrastante;
- se le direttive siano prive di effetti diretti: in tal caso il contrasto con una successiva fonte nazionale determina
l'illegittimità di quest’ultima per violazione del principio di leale collaborazione (art. 4 TUE → «gli Stati membri
facilitano all'Unione l'adempimento dei suoi compiti e si astengono da qualsiasi misura che rischi di mettere in
pericolo la realizzazione degli obiettivi dell'Unione»). In altre parole, in virtù del principio di leale collaborazione a
fronte di una norma comunitaria, gli Stati membri non soltanto sono tenuti a darvi attuazione, ma altresì devono
astenersi dall'adottare comportamenti con essa contrastanti.

Il fondamento cost. dell'ingresso nel nostro ordinamento delle fonti comunitarie e della loro prevalenza sulle fonti
nazionali si trova nell'art. 11 Cost. L'UE soddisfa il duplice requisito di ordinamento volto ad assicurare sia la pace
che la giustizia fra le Nazioni, in condizioni di parità con gli altri Stati membri: da ciò consegue la possibilità di
consentire limitazioni di sovranità italiana, che si esprimono nel riconoscimento dell'efficacia diretta di atti
comunitari normativi, amm. e giurisdizionali. In aggiunta, dal 2001 è stato esplicitato nell'art. 117 Cost. il limite,
indirizzato specificamente alle leggi statali e regionali, del necessario rispetto dei vincoli derivanti
dall'ordinamento comunitario.
Il primato del diritto EU consente alle fonti dell'UE di derogare a tutte le norme italiane, anche cost., collocandosi
così ad un livello super-primario, salvo il “controlimite" rispetto alle limitazioni di sovranità costituito dai principi
supremi dell'ordinamento cost.: in questo caso spetta alla Corte cost., investita della questione, dichiarare
l'illegittimità della legge di esecuzione dei Trattati istitutivi, nella parte in cui consente ad uno specifico atto
comunitario di avere contenuti contrastanti con tali principi supremi.

Il processo di adeguamento del diritto nazionale agli obblighi comunitari EU si fonda sull'approvazione ogni anno,
da parte delle Camere, di 2 leggi italiane: la legge EU, che provvede alle necessarie modifiche della legislazione
vigente e dei compiti degli organi e uffici statali; la legge di delegazione EU, che conferisce al Governo deleghe
legislative ed autorizzazioni all'adozione di regolamenti di delegificazione, come previsto dalla L.234/2012.
Quest’ultima disciplina anche le procedure che le Regioni (e Province autonome di Trento e Bolzano) devono
seguire per l'autonoma attuazione ed esecuzione degli atti comunitari nelle materie di propria competenza, art.
117, e il potere di sostituzione dello Stato nei confronti delle Regioni (e Province autonome) inadempienti.

Le norme prodotte dalle direttive dell'UE possono essere recepite: in decreti legislativi, ai sensi della L. di
delegazione EU; in regolamenti governativi, autorizzati dalla legge di delegazione EU; in leggi regionali (ed
eventualmente in regolamenti regionali), in materie di competenza regionale.
Tutti questi atti normativi interni acquistano una efficacia atipica, ossia forza passiva peculiare, che resiste
all'abrogazione e alla deroga da parte di atti normativi appartenenti allo stesso tipo formale od anche superiori
(ma che non recepiscono norme UE), i quali, se adottati, risultano illegittimi.

DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI


1. DIRITTI E LIBERTA’ DA STATO LIBERALE A STATO DEMOCRATICO-SOCIALE
È opportuno esaminare l’evoluzione delle libertà individuali e collettive alla luce di 2 riferimenti:
1. storia e tradizione di cui è frutto l’esperienza statale che riconosce e garantisce tali libertà;
2. Costituzione → quadro di riferimento dello Stato.

Esiste una correlazione tra forma di Stato esistente e la disciplina dei diritti di libertà del cittadino → in questa
prospettiva si coglie il significato di forma di Stato quale modalità di correlazione tra libertà e autorità.

- LE LIBERTÀ NELLO STATO LIBERALE (800) = diritti di libertà → sfere individuali di autonomia riconosciute al
cittadino e garantite nei confronti delle interferenze dei pubblici poteri.
La “valenza negativa” (libertà dallo Stato) che caratterizza tali diritti si connette alla nozione di uguaglianza
formale, che è frutto delle idee della Rivoluzione francese 1789.
Vengono riconosciuti a tutti i cittadini senza che lo Stato però si preoccupi di garantire il godimento effettivo.
Conseguenza: per molte persone tali garanzie rimangono sulla carta.

Negli ordinamenti common law: i diritti sono riconosciuti e garantiti dal potere giudiziario tramite consuetudini.
Negli ordinamenti continentali europei: i diritti trovano fondamento in Costituzioni scritte e disciplinate da leggi
del Parlamento, espressione della volontà generale.

112
- LE LIBERTÀ NELLO STATO DEMOCRATICO-SOCIALE = i diritti di libertà assumono anche rilievo positivo, ovvero la
loro tutela richiede l’intervento attivo degli apparati pubblici (uguaglianza sostanziale).

Vengono estesi i diritti: vengono inclusi i diritti sociali (salute e istruzione) e le libertà collettive (libertà di
associazione/riunione) garantite direttamente alle formazioni sociali nelle quali si sviluppa la personalità
individuale (famiglie, associazioni, confessioni religiose …). Guarda articolo 2.

La tutela dei diritti sociali è condizione necessaria per l’esercizio delle altre tipologie di diritti civili e politici (es.
diritto di manifestazione del pensiero o diritto di voto presuppongono una capacità di analisi della realtà
concreta/programmi elettorali, la quale può essere acquisita solo grazie ad un’adeguata istruzione).

Tali diritti sono codificati e disciplinati nelle Costituzioni (es. Parte I, 42 art.). Le Cost. democratiche-sociali sono
rigide e prevedono anche il controllo di costituzionalità delle leggi. Le 2 forme di garanzia fondamentali sono:
• riserva di legge → strumento vincolante per Esecutivo e per il legislatore, tenuto al rispetto dei principi
cost.
• riserva di giurisdizione → affianca alla garanzia formale della sottoposizione del giudice alla legge alcune
garanzie sostanziali dirette (sancite nei principi costituzionali in materia processuali) e indirette (es.
indipendenza magistratura).

2. ATTORI DELLA TUTELA DEI DIRITTI: DAI LEGISLATORI AI GIUDICI


Si è via via determinata una certa tensione tra legislatore (attraverso produzione normativa) e giudici (con
interpretazione e applicazione delle norme), chiamati ad intervenire nella tutela dei diritti.
Nei paesi di civil law (come noi) i giudici hanno assunto un ruolo centrale nella tutela dei diritti a fronte di una +
ridotta discrezionalità ed incisività del legislatore → porta all’avvicinamento tra i 2 sistemi (Guarda cap. 2).

Supplenza positiva: espansione > delle garanzie individuali e collettive.


Contro: giudici non adottano orientamenti uniformi e non sempre riescono a considerare pienamente l’impatto
di quest’estensione dei diritti sulla finanza pubblica o sui sentimenti collettivi.

2.2 TUTELA MULTILIVELLO DEI DIRITTI


“Protezione multilivello” → la stessa condizione giuridica soggettiva è tutelabile sulla base di regole di diversi
ordinamenti.
C’è quindi un ampliamento quantitativo e qualitativo dei diritti garantiti in quanto ulteriori soggetti o situazioni
giuridiche vengono riconosciute meritevoli di protezione.
Inoltre si sono aggiunti a quelli nazionali nuovi meccanismi di tutela giurisdizionale o para-giurisdizionale.
Hanno assunto grande rilievo i diritti inclusi nei Trattati istituitivi dell’UE e nella Carta dei diritti fondamentali
dell’UE.
Fanno parte del diritto dell’Unione anche i diritti fondamentali garantiti dalla CEDU e quelli risultanti dalle
tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri.
I diritti europei sono garantiti dai giudici dell’Unione (Tribunale di 1° e Corte di Giustizia) nei confronti degli atti
delle istituzioni europee, utilizzando come parametri di giustizio i Trattati, la Carta di Nizza e i principi tratti dalla
CEDU dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri.

La loro tutela si estende anche ad atti dei Paesi membri nei casi in cui le normative statali entrano nel campo di
applicazione del diritto europeo (dottrina dell’incorporazione).
Fino ad anni recenti la Corte di Giustizia ha fatto ricorso a tale possibilità in 2 ipotesi:
• quando i Paesi membri danno attuazione a normative europee;
• quando invocano una causa di giustificazione prevista dai Trattati europei per restringere una delle
libertà economiche fondamentali garantite dai Trattati stessi.
Oggi → tendenza ad ampliare la tutela europea in ambiti che pur sembrerebbero riservati agli Stati (es. nome,
famiglia, convivenze).

Importanti sono i diritti garantiti da vari trattati internazionali: CEDU (ha un apposito organo giudiziario “Corte
europea dei diritti dell’uomo” a Strasburgo), Carta sociale europea e i 2 Patti internazionali promossi dall’ONU
per la protezione dei diritti civili e politici e dei diritti economici, sociali e culturali.

113
Le situazioni giuridiche soggettive garantite da questi trattati sono riconosciute alle persone fisiche (e spesso
giuridiche) destinatarie dei provvedimenti adottati dagli Stati negli ambiti di propria competenza e possono essere
invocate contro le autorità statali.
In Italia tali atti internazionali sono stati resi esecutivi con legge ordinaria e quindi sono fonti di diritto primario.
Si è riconosciuta ai trattati internazionali una forza passiva superiore però alle leggi ordinarie (non a livello di fonte
costituzionale), e quindi il valore di parametro interposto nei giudizi di costituzionalità, con l’art.117.

La Consulta ha precisato (s. n°317/2009) che spetta al legislatore adeguare l’ordinamento giuridico italiano ai
diritti della CEDU; in mancanza il giudice deve prima cercare un’interpretazione della legislazione interna
conforme alla Convenzione EU, se ciò non è possibile la Corte Cost. deve dichiarare illegittimità cost. della norma
nazionale che non garantisce un diritto (coerente con i principi cost. italiani) protetto dalla Convenzione.

3. I DIRITTI INVIOLABILI DELL’UOMO


ART 2 → “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni
sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica,
economica e sociale”.
Sono 3 i principi fondamentali:
- Principio personalista;
- Principio pluralista;
- Principio di solidarietà.
“Uomo come essere relazionale” → è lo Stato ad operare in funzione dello sviluppo della personalità umana.

L’art. sottolinea anche l’inviolabilità dei diritti della persona umana. La nozione di diritto inviolabile:
→implica l’anteriorità delle garanzie sancite da tali diritti rispetto all’ordinamento giuridico (“riconoscere”);
→significa che i diritti in parola sono intangibili e irrivedibili (nessun potere costituito può evitare di rispettarli e
nemmeno il revisore costituzionale può cancellarli il contenuto essenziale di tali diritti dall’ordinamento, sono
ammissibili solo interventi volti ad incidere sulle modalità di esercizio);
→dall’art.2 deriva l’immediata efficacia dei diritti inviolabili che trovano diretta applicazione nei poteri “verticali”
tra pubblici poteri e cittadini, ma anche nei rapporti “orizzontali” tra le persone. Il Giudice può applicare
direttamente la norma cost. che sancisce un diritto inviolabile.

Nella Parte I la Cost. attribuisce il carattere dell’inviolabilità alla: libertà personale (art.13); libertà di domicilio (art.
14); libertà e segretezza della corrispondenza (art.15); diritto di difesa in giudizio (art.24); definisce fondamentale
il diritto alla salute (art.32).

Esistono 2 interpretazioni dell’art.2:


• Secondo la 1° questa norma costituzionale sarebbe a “fattispecie chiusa”, i diritti inviolabili sarebbero
solo quelli che la Cost. fissa espressamente come tali perché aggiungere “nuovi” diritti fondamentali
comporta il rischio di indebolire quelli già previsti;
• Per la 2° sarebbe a “fattispecie aperta”, si ritiene che la categoria dei diritti inviolabili ricomprenda anche
le esigenze umane. A tale impostazione ha aderito la Corte Cost. nel 1987. È stato così riconosciuto il
carattere dell’inviolabilità ad altri diritti: diritti alla vita, diritto all’identità sessuale, diritto di formare una
famiglia e di procreare (per certi aspetti garantito da art.29-30), diritto all’onore e alla reputazione (art.2-
3), libertà di coscienza (art.2-19-21), diritto al nome (art.2-22), diritto all’abitazione.

Art.2 riconosce e garantisce i diritti inviolabili non solo all’individuo ma anche alle formazioni sociali (comprende
gruppi a base naturale come la famiglia e quelli a struttura volontaria come associazioni, confessioni religiose,
sindacati) ove svolge la sua personalità (principio pluralista).
Sono escluse: le formazioni di natura economica (società di capitali e associazioni economiche), non si basano su
rapporti solidaristici; e gli enti pubblici che non sono espressione di pluralismo sociale ma istituzionale (art.5).

2001 il principio pluralista ha ricevuto un’ulteriore spinta tramite il principio di sussidiarietà orizzontale (art.18).

4. I TITOLARI DEI DIRITTI FONDAMENTALI: CITTADINI E STRANIERI


Anche gli stranieri (sulla base dell’art.2-3 e 10) e gli apolidi sono titolari dei diritti fondamentali, anche se
l’ampiezza della loro tutela può non coincidere con quella riconosciuta ai cittadini.

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Non tutti i diritti fondamentali garantiti al cittadino spettano automaticamente anche allo straniero.
Tendenzialmente vengono riconosciuti agli stranieri i diritti che spettano “ai singoli non in quanto partecipi di una
determinata comunità politica (in linea di principio riservate ai soli cittadini), ma in quanto esseri umani” (Corte
cost. s. 105/2001 e 249/2010).
Allo straniero non spettano i diritti politici (il legislatore può estendere il godimento di alcuni di essi x l’elettorato
attivo e passivo nelle consultazioni locali a favore dei soli cittadini comunitari residenti in Italia).

Nel testo della Cost. alcune garanzie sono espressamente conferite ai soli cittadini: oltre ai diritti politici, la libertà
di circolazione, soggiorno ed espatrio (art.16), libertà di riunione (art.17), libertà di associazione (art.18), diritto al
mantenimento e assistenza sociale (art.38).
Però questo significherebbe negare agli stranieri libertà di riunione e associazione che sono funzionali all’obiettivo
perseguito dalla Repubblica di favorire lo sviluppo della personalità umana attraverso relazioni sociali. Pertanto la
Corte Cost. ha proceduto caso x caso riconoscendo che gli stranieri godono del diritto alla vita, alla salute e alle
cure mediche, difesa in giudizio.

Testo unico sull’immigrazione e sulla condizione dello straniero → sancisce all’art.2 che lo straniero regolarmente
soggiornante nel territorio dello Stato gode di diritti in materia civile, parità di trattamento e piena uguaglianza di
diritti rispetto ai lavoratori italiani e relativamente alla tutela giurisdizionale dei diritti e interessi legittimi nei
rapporti con la P.A. e nell’accesso ai servizi pubblici.
Allo straniero presente (pur se illegalmente) alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti
fondamentali della persona umana.
Allo straniero può comunque non essere garantita la stessa ampiezza di tutela spettante al cittadino ad esempio
riguardo alla libertà di circolazione e di soggiorno nel territorio italiano.
Lo stesso ordinamento internazionale non riconosce un diritto individuale a fare ingresso nel territorio di uno
Stato diverso da quello di cui si possiede la cittadinanza, solo il diritto di lasciare qualsiasi Paese.
Questa tematica è stata oggetto di interventi legislativi: la direttiva rimpatri (disciplina le procedure da seguire
per l’espulsione e il rimpatrio degli immigrati irregolari) ed il regolamento europeo di “Dublino” (detta i criteri x
l’esame delle domande di asilo o di protezione internazionale).

La Corte Cost. (s. del 2010) ha dichiarato illegittimità dell’aggravante di clandestinità, cioè della previsione
normativa che incrementava la pena per i reati commessi dal colpevole mentre si trovava illegalmente sul
territorio nazionale.
La Corte di Giustizia EU (2011) ha ritenuto che la legislazione italiana debba rendere operativo l’ordine di rimpatrio
di un immigrato clandestino utilizzando strumenti amministrativi (anche coercitivi), ma senza ricorrere
immediatamente alle sanzioni penali (possibili solo in caso di reiterata inottemperanza).

5. PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA E DI RAGIONEVOLEZZA


Principio di uguaglianza: art.3 (principio supremo) → è il principio generale che condiziona tutto l’ordinamento
nella sua obiettiva struttura (s. n°25/1996).

Formale (1°C) → tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di
sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche e condizioni personali e sociali.
Sostanziale (2°C) → è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando
di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica economica e sociale del Paese.

U. FORMALE
Divieto rivolto al legislatore di prevedere trattamenti discriminatori tra i cittadini, nonché rispetto agli stranieri ed
apolidi.
N.B: si parla di “trattamenti discriminatori” e non “differenziati”.
Significa che lo stesso principio deve assicurare a ognuno eguaglianza di trattamento, quando eguali sono le
condizioni soggettive e oggettive alle quali le norme giuridiche si riferiscono x la loro applicazione.
Riassumendo: il legislatore deve disciplinare situazioni uguali in modo eguale e trattare situazioni differenti in
modo differenziato, in un’ottica di giustizia.

Sono essenziali forme di controllo sulla correttezza della valutazione operata dal legislatore + occorre verificare
la ragionevolezza della legge (non basta accertare che la norma non sia in contrasto con i precetti inderogabili

115
posti nel 1°C … il principio di eguaglianza è violato anche quando la legge, senza un ragionevole motivo, faccia un
trattamento diverso ai cittadini che si trovino in eguali situazioni).

Viene valutato e giudicato dalla Corte Cost. una parte (non tutto lo spettro se non ci sarebbe sovrapposizione e
confusione con il ruolo del Parlamento) della discrezionalità del legislatore.
Il controllo è invece incentrato sull’adeguatezza dei mezzi forniti dal legislatore rispetto allo scopo da lui
perseguito (ratio legis).

Principio di ragionevolezza quindi è: congruità ed appropriatezza tra obiettivi perseguiti e strumenti adottati.
Il giudizio di ragionevolezza richiede un confronto fra 3 elementi:
- Costituzione
- Norma impugnata
- Termine di paragone (tertium comparationis)
La Corte deve:
- Verificare la correttezza dell’assimilazione/differenziazione operate dal legislatore
- Controllare che sia stato previsto un trattamento giuridico analogo dove le situazioni di partenza sono
omogenee (differente dove sono diverse)
- Valutare la proporzionalità del trattamento giuridico introdotto dalla legge oggetto di giudizio.
Per evitare che la Corte Cost. si sostituisca al legislatore, il giudizio su questo principio richiede a quest’ultima un
self-restraint (autocontrollo) e argomentazione rigorosa.
Tramite questo principio è possibile valutare anche il principio di bilanciamento tra diversi interessi
costituzionalmente tutelati.
È un principio che riguarda la coerenza del complesso ordinamento giuridico.

Nel 1°C. di questo articolo ci sono una serie di fattori discriminatori da evitare:
• Sesso → la nostra Carta Cost. riprende e contestualizza il divieto di discriminazione in base al sesso in
altre disposizioni: art.29 2°C (eguaglianza morale e giuridica dei coniugi), 1° periodo dell’art.37 (la donna
lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità del lavoratore, le stesse retribuzioni), art.51 (tutti i cittadini
dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici ed alle cariche elettive in condizioni di =)
• Razza → società multietnica/multiculturale → obbligo degli immigrati di rispettare le regole e i valori
proclamati dalla Cost. (aderendo alla Carta dei valori della cittadinanza e dell’integrazione) + specifiche
norme volte a tutelare = : D.L. 26 aprile 1993 (misure urgenti in materia di discriminazione raziale, etnica
e religiosa; D.LGS. 9 luglio 2003 (attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra
persone indipendentemente da razza e origine etnica).
Quest’ultimo all’art.2 offre la definizione della nozione di discriminazione sulla base della razza, sia
diretta che indiretta:
- DISCRIMINAZIONE DIRETTA: “quando per la razza o l’origine etnica una persona è trattata –
favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in situazione analoga”;
- DISCRIMINAZIONE INDIRETTA: “quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un
comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone di una determinata razza o origine
etnica in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone”.
• Lingua → sul presupposto che l’italiano sia la lingua ufficiale della Rep. la Carta fondamentale (art.6) ha
specificato che “la Rep. tutela con apposite norme le minoranze linguistiche” stimolando così il
legislatore ad intervenire attraverso L. n°482/1999” x conservare il pluralismo linguistico.
• Religione → anche professione di ateismo o agnosticismo. Altre norme cost. sono dedicate alla disciplina
della religione: in certi casi ribadiscono l’uguaglianza come art.19 (tutti hanno diritto di professare
liberamente la propria fede religiosa, di farne propaganda e di esercitarne in pubblico o privato il culto),
art.8 (tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge), in altri casi stabiliscono
distinzioni come art.7 “in tema di rapporti tra Stato e Chiesa cattolica, disciplinati diversamente”.
• Opinioni politiche → possiamo rintracciare riferimenti nell’art.22 (divieto di privare il cittadino, per
ragioni politiche, della capacità giuridica, del nome e della cittadinanza; art.21 (tutela la libertà di
manifestazione del pensiero anche connotata politicamente); art.48 (garantisce = e segretezza del voto
di ciascuno); art.49 (tutela la libertà di associazione politica).
• Condizioni personali e sociali → clausola ampia in particolare a favore: degli immigrati (T.U.
sull’immigrazione 1998) e persone con disabilità (L. n°104/1992 e L. n°67/2006), a favore dei quali è
prevista anche una specifica forma di protezione giurisdizionale.

116
Il principio di uguaglianza e non discriminazione è sancito anche nell’UE (nel Trattato sul funzionamento dell’UE
e nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE); nella Convenzione europea dei diritti dell’umo e nei Patti ONU sulla
tutela dei diritti civili e politici e dei diritti economici, sociali e culturali.
Per quanto il principio sia riconducibile alla medesima radice, la formulazione di ognuna delle norme citate è
leggermente diversa e non perfettamente sovrapponibile alle altre.

U. SOSTANZIALE
La Repubblica italiana, attraverso le sue diverse istituzioni, è tenuta a “rimuovere gli ostacoli di ordine economico-
sociale” che limitano l’uguale godimento dei diritti di libertà e lo sviluppo della personalità di tutti i cittadini (anche
degli stranieri).
Questo principio richiede che il legislatore intervenga con regole differenziate a favore delle categorie +
svantaggiose impegnandosi, anche con deroghe (sia pure giustificate) al principio di = formale, x garantire loro
un’effettiva parità di trattamento e un’uguale possibilità di godimento dei diritti.
Esso è alla base del riconoscimento costituzionale dei diritti sociali.

Uno strumento che il legislatore può utilizzare sono le azioni positive definite dalla Corte Cost. (sent.n°109/1993).
Tende ad innalzare la soglia di partenza per le singole categorie di persone socialmente svantaggiate al fine di
assicurare loro un uno statuto effettivo di pari opportunità.
Tali interventi però non devono condurre a risultati opposti, ingiustamente discriminatori nei confronti delle
categorie non bisognose di intervento (discriminazione alla rovescia).

6. ORDINE DEI DIRITTI E DEI DOVERI


La trattazione dei diritti e dei doveri nella Parte I della Cost. avviene secondo criterio di “socialità progressiva”. Si
riferisce agli aspetti della vita dei cittadini prima in quanto individui (Titolo I “Rapporti civili”); poi nei rapporti con
le formazioni sociali (Titolo II “Rapporti etico-sociali”), dopo nel mondo economico e del lavoro (Titolo III “Rapporti
economici”), infine in ambito politico (Titolo IV “Rapporti politici”).

LIBERTA’ INDIVIDUALI

7. LIBERTA’ PERSONALE
È garantita dall’art.13 della Costituzione (1°C ne sancisce l’inviolabilità)
L’oggetto tutelato consiste nella libertà fisica dell'individuo intesa come possibilità di disporre di sé stesso e del
proprio corpo (habeas corpus, cioè la libertà degli arresti, infatti il 2°C fa riferimento alla detenzione, all’ispezione
e alla perquisizione + ampia clausola di chiusura riferita a “qualsiasi altra restrizione della libertà personale”).

La Corte Cost. ha poi:


• escluso l’applicabilità dell’art.13 rispetto a misure coercitive di lieve entità che rientrano nella libertà
individuale, tutelata dall’art.23 (es. rilievi segnaletici);
• la garanzia dell’habeas corpus non deve essere intesa solo in rapporto alla coercizione fisica della
persona ma anche alla menomazione della liberà morale quando tale menomazione implichi un
assoggettamento totale della persona all’altrui potere (s.30/1962). La Consulta ha elaborato la nozione
di “degradazione giuridica” come criterio per distinguere misure limitative della libertà, quali rientrano
nell’ambito applicativo dell’art.13 (es. obbligo di comparire davanti all’ufficio di polizia o di sottoporsi
coattivamente a prelievo ematico).

Garanzie: sono quelle della riserva di legge e della riserva di giurisdizione. Infatti (pur se qualificata come
inviolabile) esiste la possibilità di comprimere la libertà personale “nei soli casi e modi previsti dalla legge” (riserva
assoluta di legge) e “per atto motivato dall’autorità giudiziaria” (riserva di giurisdizione). La riserva di legge deve
essere intesa come assoluta e rinforzata, il legislatore deve disciplinare con precisione i casi in cui può avvenire.
Parziale deroga alla riserva di giurisdizione: art.13 consente in casi eccezionali di necessità e urgenza (il codice di
procedura penale indica come tali l’arresto in flagranza di reato e di fermo di indiziato di delitto) l’adozione di
provvedimenti provvisori di limitazione alla libertà personale da parte dell’autorità di p.a. I provvedimenti adottati
da quest’ultima devono essere comunicati entro 48h all’autorità giudiziaria e se questa non li convalida nelle
successive 48h si intendono revocati e privi di effetti.

117
Misure di prevenzione: provvedimenti ante delictum, la cui adozione non consegue alla commissione di un reato,
ma si fonda su giustificati indizi/sospetti di pericolosità sociale del destinatario. Sono riservate all’autorità
giudiziaria quando incidono sulla libertà personale.
Misure di sicurezza: adottate post delictum, ossia dopo l’accertamento della commissione di un reato, che si pone
a giustificazione della loro assunzione (pur se si aggiungono alla pena per quel reato).

Art. 13 (4°C) → non solo si vieta ogni violenza fisica e morale nei confronti delle persone sottoposte a misure
restrittive della libertà personale (come fa l’art.3 della CEDU) ma impone al legislatore di punire eventuali
comportamenti del genere.
Art. 13 (5°C) → necessità che la legge stabilisca limiti max della carcerazione preventiva (oggi custodia cautelare)

Nell’art.27 troviamo i principi che riguardo le pene:


• le pene non possono consistere in trattamenti contrari ai sensi di umanità;
• non è ammessa la pena di morte né è consentita l’estradizione di ricercati verso Paesi nei quali rischino
di subirla.
Ulteriori principi che rafforzano la garanzia cost. della persona:
• art.23 → “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”;
• art.24 → proclama il diritto inviolabile di tutti di agire e di difendersi in giudizio;
• art.25 → consente la sottoposizione a misure di sicurezza nelle sole ipotesi previste dalla legge;
• art.26 → materia di limiti all’estradizione del cittadino;
• art.111 → prevede che sia sempre ammesso il ricorso alla Corte di Cassazione contro i provvedimenti
giudiziari incidenti sulla libertà personale. La legge ha aggiunto la facoltà di ricorrere al tribunale della
libertà (sezione del tribunale del luogo in cui ha sede la Corte d’Appello) che può confermare, annullare
o riformare provvedimento impugnato.

8. LIBERTA’ DI DOMICILIO
La Cost. protegge anche la “proiezione spaziale della persona”, ossia il domicilio (inviolabile).

Nozione costituzionale di domicilio → non coincide né con la nozione civilistica (sede degli affari e interessi) né
con quella penalistica (abitazione o luogo di privata dimora e relative appartenenze) MA è una nozione autonoma:
si riferisce a qualsiasi spazio delimitato dall’ambiente esterno di cui una persona disponga a titolo privato e da cui
possa legittimamente escludere gli altri (abitazione e pertinenze come giardino, ufficio, camera d’albergo, tenda
da campeggio o roulotte). È stata compreso addirittura il bagaglio dell’automobile.

Art.14 individua provvedimenti suscettibili di incidere sulla libertà di domicilio: ispezioni (disposta quando occorre
accertare le tracce e gli effetti materiali del reato art.244), perquisizioni (quando vi è fondato motivo di ritenere
che tali cose pertinenti al reato si trovino in un determinato luogo ovvero che in esso possa eseguirsi l’arresto
dell’imputato o dell’evaso art.247) e sequestri (ad essi sono sottoposte le cose rinvenute a seguito della
perquisizione art.252). Sono mezzi di ricerca della prova di un reato, disciplinati dal codice di procedura penale.

Riguardo agli strumenti di tutela, art.14 prevede 2 forme di garanzia: riserva assoluta di legge e riserva di
giurisdizione. Risulta consentita anche l’adozione di provvedimenti provvisori da parte dell’autorità di pubblica
sicurezza (devono essere comunicati entro 48h all’autorità giudiziaria e da questa convalidati).
Deroga: riguardo gli accertamenti e ispezioni compiuti “per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini
economici e fiscali” perché prevalgono gli interessi pubblici. Queste ispezioni delle autorità amministrative devono
avere finalità conoscitive e non coercitive.

9. LIBERTA’ DI CORRISPONDENZA E DI COMUNICAZIONE


Art.15 garantisce “la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione”.
Fine → tutelare la persona, oltre che in sé (ex art.13) e nella sua proiezione spaziale (ex art.14), anche nelle sue
relazioni con gli altri.

Nozione ampia: comprende qualsiasi modalità di comunicazione interpersonale indipendentemente dal


contenuto e dalle forme utilizzate.
La legge penale invece afferma che: “per corrispondenza si intende quella epistolare, telegrafica, telefonica,
informatica o telematica ovvero effettuata con ogni altra forma di comunicazione a distanza” (art.616 cod. p.).

118
Deve essere una corrispondenza con 1 o + corrispondenti, ossia tra specifici destinatari previamente individuati,
ricercandosi altrimenti nella libertà di manifestazione del pensiero (art.21).
L’essenziale distinzione tra i diritti di libertà garantiti da art.15 e 21 si incentra sul fatto che nel primo caso la
comunicazione è diretta a destinatari predeterminati e tendente alla segretezza, e nell’altro, rivolta ad una
pluralità indeterminata di soggetti.

Oggetto di tutela: corrispondenza con 1 o + sogg. determinati (sia sul piano attivo che passivo) e la segretezza
della comunicazione. Può essere il destinatario a rinunciare alla segretezza, rivelando ai terzi quanto gli è stato
comunicato, me assume la responsabilità delle conseguenze. Segretezza e libertà sono distinte concettualmente.
Strumenti di tutela: garanzia della riserva assoluta di legge e della riserva di giurisdizione (come sempre perché
sono ammissibili limitazioni solo con garanzie stabilite dalla legge e per atto motivato dall’autorità giudiziaria).
NO Eccezione in questo caso di provvedimenti provvisori da parte dell’autorità di pubblica sicurezza.

Per quanto riguarda le intercezioni telefoniche e ambientali sono ammesse SOLO nelle indagini relative ad una
serie di reati, ma è vietata poi la pubblicazione del materiale che non sia stato acquisito al procedimento penale
perché non rilevante. Il pubblico ministero deve poi vigilare affinché nelle trascrizioni delle comunicazioni
intercettate non vi siano espressioni lesive della reputazione delle persone o riguardanti particolari categorie di
dati personali soggetti alla privacy.

10. DIRITTO ALLA RISERVATEZZA (O PRIVACY)


Il diritto alla privacy non è stato canonizzato in una specifica disposizione ma emerge dalla combinazione di ciò
che è stato previsto a tutela delle libertà; morali, di domicilio e di corrispondenza.
C’è una tutela sovranazionale:
• la Convenzione europea dei diritti dell’uomo ha sancito all’art.8 che “ogni persona ha diritto al rispetto
della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza;
• il Patto dell’ONU sui diritti civili e politici ha stabilito all’art.17 che “nessuno può essere sottoposto ad
interferenze arbitrarie o illegittime nella sua vita privata”;
• la Carta dei diritti fondamentali dell’UE dopo aver ripreso quanto disposto dalla CEDU ha aggiunto
nell’art.8 che “ogni persona ha diritto alla protezione dei dati personali che la riguardano”.

Genericità del dettato costituzionale ha rappresentato un limite alla tutela della privacy.

Il Cod. pen. oltre alla violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza punisce le interferenze illecite nella
vita privata, intese come acquisizione e diffusione, mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, di notizie
o immagini attinenti alla vita privata che si svolge nell’abitazione altrui/altro luogo di privata dimora.
Oggi la riservatezza è ampiamente tutelata dal legislatore anche nell’ambito del trattamento dei dati personali.
Esiste un’organica disciplina dettata dal Regolamento generale sulla protezione dei dati personali dell’UE
679/2016 e dal Codice in materia dei dati personali (d.lgs. 196/2003 modificato nel 2018).
Ci sono una serie di regole e vincoli nel trattamento di questi dati, ancora + ristrettivi per i dati sensibili (che
rilevano origine razziale, etnica, opinioni politiche, religione, salute, orientamento sessuale ecc.).

Garante per la protezione dei dati personali → autorità amministrativa indipendente composta da 4 membri di
nomina parlamentare, dotata anche di poteri di intervento.

Tutela della riservatezza si pone in potenziale conflitto con l’esercizio di altri diritti costituzionalmente garantiti
(specialmente libertà economica e libertà di informazione). In merito a questa, la normativa consente ai giornalisti
di raccogliere e diffondere con < vincoli i dati personali pertinenti a fatti di rilevante interesse pubblico o sociale
(in base a regole deontologiche adottate dal Garante e pubblicate sulla G.U., riprese nel T.U. dei doveri del
giornalista).

Protezione della privacy è stata notevolmente intaccata dalle nuove tecnologie (basta pensare alla tracciabilità
dei cellulari).

11. LIBERTA’ DI CIRCOLAZIONE E DI SOGGIORNO


Art.16: “ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le
limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o sicurezza. Nessuna restrizione può essere
determinata da ragioni politiche”.

119
Libertà di circolazione: possibilità di muoversi liberamente all'interno del territorio nazionale.
Libertà di soggiorno: possibilità di stabilirvi residenza, domicilio, dimora, anche temporanei.
Esse tutelano la persona nella proiezione spaziale al di fuori della sfera domiciliare e la loro compressione può
riflettersi sulla libertà personale, pur senza produrne una limitazione sul piano giuridico discendenti da
commissione di reati ecc. (es. restrizioni durante Covid).

Strumenti di tutela: libertà di soggiorno e circolazione è priva di riserva giurisdizionale ma è garantita da una
riserva rinforzata di legge. Può essere limitata solo in via generale per motivi di sicurezza o sanità, per questi ultimi
possono essere adottati cordoni sanitari, ovvero provvedimenti che mirano a prevenire o contrastare pericolo di
contagio o propagazione di epidemie (ad esempio quelli che hanno istituito le zone rosse). Per motivi di sicurezza
possono essere imposte restrizioni all’accesso a determinati luoghi dove potrebbero essere commessi facilmente
reati.
NON possono essere imposti limiti di circolazione e soggiorno determinati da “ragioni politiche”. Solo agli ex Re
di Casa Savoia sono stati vietati per motivi politici l’ingresso e il soggiorno nel territorio nazionale fino al 2002 (in
virtù della 13° disposizione transitoria e finale, abrogata in quell’anno).

Art.120 sancisce che le Regioni non possono “adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera
circolazione delle persone e delle cose tra Regioni, né limitare l’esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte
del territorio nazionale”.

Art.21 TFUE ogni cittadino europeo (al pari dei suoi familiari, anche se non sono cittadini UE) ha diritto di circolare
nel territorio di qualunque Stato membro e di soggiornarvi per un periodo NON > a 3 mesi (con documento di
identità valido e senza essere oggetto a controlli alle frontiere da parte di Paesi che aderiscono al Trattato di
Schengen 1985). Per periodi > a 3 mesi è richiesto il soddisfacimento di alcune condizioni (essere lavoratore
subordinato o autonomo nello Stato ospitante, disporre di risorse economiche sufficienti e di assicurazione contro
le malattie. Dopo 5 anni è riconosciuto il diritto di soggiorno permanente.
Possono essere allontanati se rappresentano minaccia concreta o attuale alla sicurezza dello Stato/ordine
pubblico/pubblica sicurezza.
Nei confronti dei cittadini dei Paesi NON appartenenti all’UE la legge italiana sottopone ad autorizzazione (visto
d’ingresso) l’accesso al nostro territorio e/o a limiti di durata del soggiorno.

Art.16 riconosce il diritto del cittadino di uscire dal territorio della Repubblica e di farvi rientro e trova svolgimento
nell’Art.35 che tutela la libertà di emigrazione consistente nell’espatrio per ragioni economiche/lavorative con
stabilimento in uno Stato estero.
Nel 1° caso la garanzia si limita a riserva “semplice di legge”, nel 2° è sancita una riserva rinforzata.

12. LIBERTA’ DI COSCIENZA E DI RELIGIONE


Art.19: “tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o
associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari
al buon costume (quelle regole di condotta che la società richiede siano rispettate nel campo del pudore sessuale,
con riguardo ai soli riti)”.
La libertà di religione consiste anche nel diritto di non credere o credere diversamente dalla dottrina ufficiale.
Il diritto di professare una determinata religione non esime dal rispetto delle norme penali, dall’osservanza di
regole e limiti derivanti da esigenze di incolumità, sanità o sicurezza pubbliche, dal rispetto dei diritti e delle libertà
altrui.

Le condotte esteriori per motivi religiosi devono essere bilanciate con l’esigenza di tutelare altri interessi di rilievo
costituzionale (es. vestiario → igiene, incolumità personale, sicurezza pubblica, buon andamento della p.a.

Le convenzioni religiose/filosofiche appartengono alla categoria di dati sensibili e il loro trattamento è vietato o
assistito da speciali garanzie.

Libertà di coscienza (art.19, insieme a 2 e 21) → libertà della persona di formare le proprie convinzioni (religiose,
etiche, filosofiche, ideologiche) e di determinarsi conformemente ad esse. Manca un espresso riconoscimento
nella Cost. ma la protezione della coscienza individuale si ricava dalla tutela delle libertà fondamentali e dei diritti
inviolabili (art.2).

120
A tutela di questa libertà si ritiene oggi che l’art.19 impedisca che “il compimento di atti appartenenti alla sfera
religiosa possa essere l’oggetto di prescrizioni obbligatorie derivanti dall’ordinamento giuridico dello Stato”. È
vietato a quest’ultimo ricorrere ad obbligazioni di ordine religioso per rafforzare l’efficacia dei propri precetti (es.
giuramento davanti a Dio).

Diritto all’obiezione di coscienza → il singolo può osservare il proprio “imperativo morale” in luogo di doveri
giuridicamente imposti (es. interruzione volontaria di gravidanza). Il legislatore deve operare un delicato e attento
bilanciamento tra diversi principi costituzionali, dato che l’obiezione si esercita attraverso il rifiuto di adempiere
un dovere imposto nell’interesse collettivo.

La libertà religiosa è riconosciuta sia nella dimensione individuale che in quella collettiva (confessioni religiose).
La Cost. riconosce:
• carattere indipendente e sovrano, nel suo ordine, alla Chiesa cattolica (art.7);
• autonomia delle confessioni diverse da quella cattolica (art.8) che sono “egualmente libere davanti alla
legge”.

Per evitare che le regole delle confessioni religiose si contrappongano alle norme statali, la Cost. dispone che lo
Stato concordi con le comunità dei credenti le norme che regolano i reciproci rapporti e comportamenti. Le
confessioni Acattoliche possono richiedere, ma non pretendere che il Governo, a nome dello Stato, accetti di
negoziare simili intese (tranne Testimoni di Geova x principi e comportamenti non conformi all’ordinamento).

Sono previsti 2 tipi di accordi:


• Patti lateranensi (Chiesa cattolica) art.7. Sono accordi internazionali fra Italia e S. Sede (soggetto di diritto
internazionale) conclusi nel 1929 e revisionati nel 1984. Comprendono: Trattato + Concordato +
Convenzione finanziaria (attuazione mediante legge, fonte atipica dotata di forza peculiare).
• Le intese, poi recepite con legge (per altre confessioni) ex art.8. Sono concluse fra Governo e
rappresentanze delle confessioni acattoliche (13), sono atti interni che devono essere recepiti da
apposite leggi, di carattere rinforzato.
Sono accordi che consentono di disciplinare le materie di comune interesse per lo Stato e le confessioni religiose,
ed i comportamenti dei fedeli e degli organi ecclesiastici.

Cost. italiana si ispira al principio di laicità (non è affermato espressamente ma ricavabile da diverse disposizioni).

Art.9 del Concordato con la Chiesa cattolica→riconosce “Il valore della cultura religiosa” nell’ambito civile e che
“I principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano”.
Il Consiglio di Stato e la Corte di Cassazione hanno confermato pertanto la legittimità dell’esposizione del
crocifisso.

13. LIBERTA’ DI MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO


Il “diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”
(sancito dall’art.21), è stato definito dalla Corte Cost. come “pietra angolare dell’ordine democratico” (s. 84/1969)
e la “condizione del modo di essere e dello sviluppo della vita del Paese in ogni suo aspetto culturale, politico,
sociale” (s. 9/1965).
Art.21 → attribuisce titolarità del diritto di manifestazione del pensiero a “tutti” (stranieri, cittadini, formazioni
sociali). Anche alla forma collettiva è garantita (art.21) la manifestazione del pensiero, in quanto necessaria al fine
di dare corpo e voce ai movimenti di opinione concernenti interessi superindividuali (s. 126/1985).
Da esso discende un diritto d’informazione sia nella dimensione passiva (diritto ad essere informato in modo
obiettivo e imparziale), sia nella dimensione attiva (diritto di informare in modo obiettivo e imparziale).
L’indeterminatezza dei destinatari costituisce l’elemento di differenziazione dalla libertà di corrispondenza e di
comunicazione (art.15).

Questo art. offre protezione a ogni forma di manifestazione del pensiero (limite: buon costume), in particolare è
garantita la libertà di manifestazione:
➔ delle opinioni (diritto di critica);
➔ di tutte le forme di narrazione o esposizione di fatti e di accadimenti (diritto di cronaca) + libertà di dare
e divulgare notizie, opinioni, commenti (diritto di informazione) → Corte Cost. s. 105/1972;

121
➔ facoltà di chiunque di divulgare occasionalmente notizie tramite mass media;
➔ l’attività informativa svolta in forma professionale e continuativa è riservata agli iscritti all’Ordine dei
giornalisti.

Buon costume → unico limite espressamente contemplato dall’art.21. “sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli
spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume”. Si intende la morale sessuale (che si evolve
nel tempo, alla luce delle trasformazioni dei costumi della società, e nello spazio). Esso non costituisce limite x
quelle particolari forme di manifestazione del pensiero riconducibili all’art.33 della Cost. “arte e scienza sono
libere e libero ne è l’insegnamento”.

Accanto a questo limite ne esistono altri impliciti → frutto del bilanciamento della libertà di parola, con altri diritti
individuali ed interessi pubblici sanciti dalla Cost. fra cui: onore altrui (tutelato dal cod. civile ma anche cod. penale
con la previsione del reato di diffamazione, art.595); tutela dei minori; interesse della giustizia (legittima segreto
istruttorio); protezione della Rep. e delle sue istituzioni (consente il segreto di Stato); prestigio e onore delle
istituzioni (giustifica reati di vilipendio nei loro confronti).
Invece i reati di opinione (propaganda sovversiva o apologia di reato) possono ritenersi ammissibili solo nella
misura in cui colpiscono manifestazioni del pensiero che sono idonee ad istigare concretamente altri sogg. a
commettere reati.

Art 21 dedica attenzione alla tutela della libertà di stampa che rappresentava il + importante mezzo di diffusione
del pensiero (oggi superato da tv e internet).
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni (alla pubblicazione) o censure (su singole notizie o art.) →
tipiche limitazioni poste dai regimi totalitari.
È consentito il sequestro successivo sulla base di un provvedimento motivato dall’autorità giudiziaria (quando vi
è urgenza e non è possibile il tempestivo intervento degli organi giudiziari intervengono ufficiali di polizia
giudiziaria che devono riferire all’autorità entro 24h e entro le 24h successive quest’ultima deve convalidare il
provvedimento). È adottato in caso di delitti previsti da specifiche leggi sulla stampa.
La durata max. di sequestro di una pubblicazione adottato in via d’urgenza della pubblica sicurezza è 48h (< a
quella prevista per analoghe limitazioni provvisorie della libertà personale, 96h).

Per quanto riguarda gli spettacoli cinematografici: fino al 2021 (quelli teatrali fino al 1962) sono stati sogg. a
controlli preventivi da parte di apposite commissioni amministrative che potevano anche censurarli in tutto o in
parte. Ora ai sensi del d.lgs. 203/2017 (operativo dal 2021): può essere solo limitata la visione a +18, +6, +14.
Per quanto riguarda internet e social network manca normativa ad hoc (si discute se tali mezzi rientrino nell’art.15
“corrispondenza interpersonale” o 21: L. 62 7.3.2021 si limita ad includere nella stampa periodica i periodici on
line, ma non ha fornito elementi x una chiara distinzione tra testata giornalistica elettronica e mero sito internet.
Per quanto riguarda il sistema radiotelevisivo: ha rappresentato uno dei nodi + problematici perché l’affermazione
che la manifestazione del pensiero costituisce la pietra angolare del sistema democratico rischia di risultare
retorica, se non accompagnata: dalla consapevolezza che il controllo del sistema radiotelevisivo equivale al
controllo di gran parte dell’info potendo influenzare le opinioni dei singoli e l’esercizio del voto; dalla conseguente
predisposizione di una disciplina legislativa idonea a garantire il pluralismo dei mezzi informativi (pluralismo
esterno) e il pluralismo delle opinioni interne a ciascun mezzo (pluralismo interno).
Agli inizi le attività radiotelevisive erano riservate allo Stato che le esercitava attraverso una società pubblica (RAI).
Un simile monopolio pubblico appariva necessario in regione alla limitatezza delle bande di frequenza: la loro
concessione in uso agli operatori privati avrebbe prodotto situazioni di monopolio o oligopolio (Corte Cost. s.
59/1960).
Con il progresso tecnologico apparve chiaro come il monopolio pubblico potesse essere parzialmente derogato
con la concessione ai privati dell’uso di frequenze a livello locale (Corte Cost. s. 202/1976).
All’apertura al mercato locale seguì “la forzatura” di alcune emittenti che iniziarono ad operare come operatori
nazionali.
Successivamente grazie a > disponibilità di frequenza, la L. 223 6.8.1990 (Legge Mammì) consentì agli operatori
privati di trasmettere a livello nazionale, ma fissò nell’elevato n° di 3 le concessioni televisive che potevano essere
rilasciate al max. a un medesimo sogg. in ambito nazionale (cioè stesso numero di quelle ormai possedute).
Questa disciplina fu dichiarata illegittima perché non garantiva il pluralismo delle voci.
È poi intervenuta la L. 112 del 3.5.2004 (Legge Gasparri): essa, facendo leva sul nuovo sistema di trasmissione
digitale terrestre e sul conseguente ampliamento delle frequenze disponibili, ha fissato limite x un singolo sogg.

122
proprietario un n° di mezzi di comunicazione di cui sia ricavabile al max. il 20% dei proventi del sistema integrato
delle comunicazioni.
Oggi la disciplina dell’intero settore è contenuta nel T.U. della radiotelevisione (d.lgs. 177/2005).

La Corte di Giustizia dell’UE s. del 3.9.2020 ha ritenuto contraria al diritto dell’UE la previsione di una quota max.
di mercato in misura fissa, in quanto dovrebbe essere l’organo di regolazione del settore (Autorità per le garanzie
nella comunicazione istituita dalla L. 249 del 1997) a definire volta per volta le soglie max. di concentrazione
proprietaria. Quest’ultima svolge funzioni di regolamentazione e vigilanza nei settori delle telecomunicazioni,
audiovisivo, editoria e ora anche delle poste. È formata da: 5 membri nominati per 7 anni dal Presidente della
Repubblica, 2 previa elezione della Camera dei Deputati, 2 del Senato della Repubblica e 1 (il Presidente) su
proposta del Presidente del Consiglio previo parere delle Commissioni parlamentari competenti.

LIBERTA’ COLLETTIVE
Libertà ad esercizio collettivo: diritti per il cui godimento occorre necessariamente l'esercizio congiunto di una
pluralità di individui rivolto al perseguimento di uno scopo comune.

14. LIBERTA’ DI RIUNIONE


Art. 17: sancisce che “i cittadini hanno diritto a riunirsi pacificamente e senza armi”.
Nozione di riunione: tutti quei fenomeni di incontro volontario di + soggetti nel medesimo luogo per il
proseguimento di uno scopo comune (non elettorale art.48; né religioso art.19).

2 condizioni per il godimento di questo diritto: che la riunione avvenga in forma pacifica per tutelare l'ordine
pubblico materiale (ossia la sicurezza e l'incolumità delle persone) e avvenga senza armi (proprie ovvero strumenti
usualmente adoperati per offendere come fucile, e improprie ovvero strumenti che benché rivolti ad altri utilizzi
possono essere usati per l’offesa delle persone come martello).

La disciplina è diversificata a seconda del luogo in cui si svolge:


- luogo privato → ad uso esclusivo di specifici sogg. privati (abitazione) che decidono liberamente chi ammettere;
- luogo aperto al pubblico → l'ingresso è consentito a tutti ma subordinato a specifiche condizioni (pago il biglietto
per lo stadio);
- luogo pubblico → (piazza, strada). A differenza degli altri 2 casi è necessario un preavviso alle autorità che
possono vietare l’incontro per comprovati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica, per cui i promotori devono
dare preavviso 3g prima al Questore (TULPS) e in caso di inosservanza dell'obbligo si è puniti a titolo di
contravvenzione con l'ammenda e l'arresto. Questo per consentire all'autorità di pubblica sicurezza di:
• valutare se sussistono “comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”;
• prescrivere ad essa modalità di tempo e luogo la cui inosservanza è punita allo stesso modo;
• vigilare sullo svolgimento della riunione.

≠ assembramento: occasionale ritrovo di persone nel medesimo luogo, evidentemente non soggetto all'obbligo
del preavviso in mancanza di un’organizzatori.

15. LIBERTÀ DI ASSOCIAZIONE


Art.18: “i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai
singoli dalla legge penale”.
“Associazione” → qualsiasi formazione sociale costituita volontariamente o comunque ad adesione volontaria
(esclude le formazioni sociali a base naturali es. famiglia) caratterizzata da una struttura organizzativa stabile e
preordinata al proseguimento di uno scopo comune, i cui membri siano legati fra loro da un rapporto giuridico.
Per la stabilità della struttura organizzata e la presenza di un legame giuridico fra soci è ≠ dalla riunione.

È riconosciuta sia in senso attivo come libertà di costituire e di aderire alle associazioni, sia in senso passivo come
libertà di non aderire e di revocare in ogni momento la propria adesione a eccezione di ordini professionali (es.
avvocati) istituiti con L. a cui l'individuo è tenuto ad aderire per poter esercitare una professione.
La Corte costituzionale ha escluso che sia lesiva della libertà negativa di associazione l'imposizione da parte della
legge, per la tutela di altri interessi costituzionalmente garantiti, di obblighi di appartenenza a un organismo
pubblico a struttura associativa, purché non siano altrimenti offesi libertà, diritti e principi costituzionalmente
garantiti.

123
Il legislatore potrà vietare l’associazionismo quando perseguono scopi che la legge penale (non amministrativa e
non tributaria) vieta al singolo individuo (riserva rinforzate di legge): ovvero le associazioni a delinquere.
M anche:
- le associazioni segrete ovvero quelle che all'interno di associazioni palesi, occultando la loro esistenza, tenendo
segrete finalità, attività e soci per interferire sull’esercizio di organi costituzionali, di amministrazioni pubbliche,
di enti pubblici anche economici, nonché di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale;
- le associazioni paramilitari che proseguono anche indirettamente scopi politici mediante organizzazioni di
carattere militare, è sufficiente l'inquadramento degli associati in corpi, reparti o nuclei, con disciplina e
ordinamento gerarchico interno analoghi a quelli militari, con l'eventuale adozione di gradi/uniformi e con
organizzazione atta anche all'impiego collettivo in azioni di violenza o di minaccia.

Qualora con s. irrevocabile sia accertata l’esistenza di un’associazione segreta, essa è sciolta con DPCM, previa
deliberazione del Consiglio dei Ministri, ed i suoi beni sono confiscati.

2 forme particolari di associazione sono oggetto di trattamento speciale da parte di altre disposizioni cost.:
l'associazione sindacale;
l'associazione politica.

LIBERTA’ ECONOMICHE

16. CONFIGURAZIONE DELLE LIBERTA’ ECONOMICHE


Le libertà economiche si trovano nel Titolo III Parte I della Cost (in particolare sono gli art. che vanno dal 41 al 47,
mentre gli art. da 35 a 40 disciplinano diritti ed obblighi di carattere sociale che si sviluppano nel contesto
economico).
“Cost. economica” → espressione usata x indicare l’insieme dei principi e norme volti a regolare il ruolo di privati
e di pubblici poteri in tale ambito.

Le componenti dell’Assemblea Cost. (cattolica, socialista, comunista, liberale) raggiunsero un compromesso di


alto profilo favorendo un sistema economico misto (lasciando al legislatore il compito di decidere come
combinare libertà economiche ed interventi pubblici) → sistema coerente con quello di Stato sociale interventista
che individua gli obiettivi basilare dell’economia (art.3 2°C; art.4 1°C).

Oggetti fondamentali delle disposizioni costituzionali in materia economica sono:


• attività d’impresa (art.41 e 43);
• proprietà (art.42 e 44).
Esse non sono riconosciute come un attributo necessario della persona e garantite come diritti inviolabili MA sono
delineate secondo una dimensione solidaristica.

17. ATTIVITA’ D’IMPRESA


Art.41, 1°C →”l’iniziativa (non l’attività) economica è libera” (in riferimento a qualsiasi attività non
immediatamente destinata al consumo personale del soggetto che la esercita).
Ai privati deve essere consentito di scegliere se intraprendere (iniziare/continuare) una certa attività economica
(se produrre o meno beni o servizi traendone un guadagno e con quale assetto organizzativo).
In riferimento a tali aspetti l’art.41 attribuisce un diritto soggettivo.
Non significa che il privato abbia anche il diritto di esercitare in assoluta libertà l’attività economica, la quale
soggiace a limiti sia di carattere esterno o negativo (divieti), sia di carattere interno o positivo (attinenti alle finalità
e modalità d’azione.

In base al 2°C che prevede i limiti esterni, l’iniziativa economica:


- “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale” (necessità di salvaguardare situazioni e interessi collettivi di
carattere oggettivo (es. sfera economico concorrenziale, tutela dell’ambiente);
- non può “recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” (ossia alle esigenze primarie della persona.

In base al 3°C che prevede limiti interni: la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività
economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata ai fini sociali.

Quindi:

124
ai sensi del 2°C → l’autorità pubblica può solo impedire ad un imprenditore di adottare certi procedimenti
produttivi o di produrre determinati beni;
ai sensi del 3°C → l’autorità pubblica può indicare la necessità di produrre un certo tipo o una certa quantità di
beni, ferma restando la facoltà dell’imprenditore di non aderire a tali indicazioni rinunciando all’attività (non è
costretto ad esercitarla comunque).

La L. 685/1967 ha consentito l’esperimento di una programmazione economica generale (di tipo indicativo non
prescrittivo) e forme di programmazione settoriale (es. chimico) o territoriale realizzate con atti amministrativi a
volte anche prescrittivi pur se a fini perequativi ed accompagnati ad incentivi pubblici.
La Corte Cost. ha richiesto che la L., oltre a specificare fini da raggiungere, precisi i criteri da seguire, i mezzi da
impiegare, organi preposti all’attuazione dei programmi e ai controlli, e valuti la socialità dei fini da far perseguire.

17.2 INFLUENZA DEL DIRITTO COMUNITARIO EU


La portata dell’art.41 1°C risulta attenuata dall’applicazione della normativa dell’UE, di impronta > liberista.
L’UE ha una propria programmazione, i cui effetti vincolanti si esprimono, oltre che in eventuali quote di prodotto,
in standard e norme tecniche più che in indirizzi e obiettivi generali.

Da tempo si cerca di stimolare il raggiungimento di fini sociali mediante la garanzia della concorrenza tra operatori
economici, vietando: intese, pratiche distorsive concordate fra + imprese, l’abuso individuale di posizione
dominante, gli aiuti pubblici che favoriscono determinati operatori. Per evitare ciò sono sottoposte ad
autorizzazione anche le concentrazioni e le acquisizioni aziendali.

Se i comportamenti indicati influenzano sul mercato unico EU, la normativa applicabile è quella dettata dagli art.
101 e ss. Del TFUE e l’organo incaricato di intervenire è la Commissione EU.
Se invece l’impatto è circoscritto al mercato nazionale o ad una sua parte si applicano le analoghe regole stabilite
dalla L. 287/1990 e a vigilare ed intervenire è la l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM). È
indipendente e composta da 3 membri nominati per 7 anni dai Presidenti di Camera e Senato.
Nell’ambito del credito e del risparmio i compiti di regolazione, vigilanza ed intervento sono affidati ad altre
autorità indipendenti: Commissione nazionale per la società e la borsa (CONSOB), l’Autorità EU degli strumenti
finanziari e dei mercati (ESMA), l’istituto x la vigilanza sulle assicurazioni (IVASS), la Banca d’Italia e la Banca
centrale EU.

17.3 LE IMPRESE PUBBLICHE


La Cost. all’art.43 consente in certi ambiti la soppressione della libertà economica dei privati come eccezione,
occorre: che vi siano finalità di “utilità generale”, che le imprese da acquisire al controllo pubblico “abbiano
carattere di preminente interesse generale e che la decisione sia assunta con L. (riserva di legge).

È previsto che si possa disporre una riserva originaria.


L’art.43 stabilisce che imprese o categorie di imprese relative a situazioni di monopolio, fonti di energia o servizi
pubblici essenziali (che rivestano preminente interesse generale) possano essere riservate originariamente allo
Stato, enti pubblici o comunità di lavoratori o di utenti. Lo stesso art. consente di espropriare imprese o categorie
di imprese private, operando con L. la loro nazionalizzazione o pubblicizzazione o socializzazione.
Ciò è avvenuto rispetto alle imprese produttrici ed erogatrici di energia elettrica con la L.1643 del 1962 →
conferendo all’ENEL esclusività in tale settore poi riaperto agli operatori privati nel 1999.

Per quanto riguarda le imprese di proprietà pubblica → a partire dagli anni 90 del 900 è stata avviata una loro
massiccia privatizzazione.
Oggi il d.lgs. 175 19.08.2016 (T.U. in materia di società a partecipazione pubblica) individua tipi di società in cui è
ammessa la partecipazione azionaria pubblica, dettandone condizioni e limiti e disciplinandone gli organai di
amministrazione e di controllo.
Precisa che le Amm. Pubbliche possono costituire o acquistare o mantenere partecipazioni in società per azioni
ma solo per alcune specifiche attività.

Per le partecipazioni pubbliche statali → i diritti del socio sono esercitati dal Ministero dell’Economia e delle
Finanze.
Per quelle regionali → sono esercitati secondo la disciplina stabilita da ciascuna Regione.
Per quelle degli enti locali → sono esercitati dal sindaco o dal Presidente della Provincia (o da un loro delegato).

125
18. LA PROPRIETA’
Art.42 della Cost. prevede che “la proprietà è pubblica o privata”. I beni economici appartengono allo Stato/enti/o
privati. Dispone che la L., nel riconoscere e garantire la proprietà privata, ne determina i modi di acquisto, di
godimento e limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.

La funzione sociale della proprietà → viene riferita ai beni e si estrinseca soprattutto nelle limitazioni
amministrative del diritto di proprietà. In alcune ipotesi può essere realizzata dalla proprietà privata in sé (che
deve essere promossa ed incentivata perché la sua diffusione consente > eguaglianza sostanziale).

Proprietà agraria (art.44) → “al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti
sociali, la L. impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissa limiti alla sua estensione secondo le
regioni e le zone agrarie, promuove ed impone la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo e la
ricostruzione delle unità produttive; aiuta la piccola e la media proprietà”. In attuazione di tale disposizione sono
state realizzate: la riforma agraria, la revisione degli affitti dei fondi rustici, provvidenze a favore delle zone
montane ecc.

Limitazioni al diritto di proprietà: la proprietà privata può essere nei casi previsti dalla legge e salvo indennizzo
espropriata per motivi di interesse generale e pubblica utilità.
Tale espropriazione costituisce un evidente caso di bilanciamento tra interessi generali e particolari con
prevalenza accordata ai primi ma con idonee garanzie a favore dei secondi.
È stabilita una riserva di legge che è di carattere relativo (tale x cui l’espropriazione è ammessa solo “nei casi
preveduti dalla legge).
C’è la necessità di un giusto indennizzo (deve essere pari al valore venale del bene, salvo che l’espropriazione sia
finalizzata a realizzare interventi organici di riforma economico sociale, nel qual caso l’entità dell’indennizzo è
ridotta del 25%).

DIRITTI SOCIALI

19. DIRITTO AL LAVORO


L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro (art.1) e la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto
al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto (art.4).
Il diritto al lavoro è stato interpretato alla stregua di un impegno, assunto dai pubblici poteri, finalizzato a porre
in essere le condizioni economiche-sociali per la sua concreta realizzazione.

La Cost. sancisce specifiche tutele:


• riguardo alle condizioni dei lavoratori in particolare subordinati (art.36);
• in materia di uguaglianza fra i lavoratori dei due sessi (art.37 1°C);
• riguardo alla situazione dei minori (art.37, 2°C e 3°C).

Il lavoro è trattato in una pluralità di dimensioni: come principio fondamentale che caratterizza la Rep. (art.1),
come diritto dell’uomo che contribuisce alla realizzazione della persona (art.4, 1°C), come dovere sociale (art.4,
2°C), come rapporto economico frutto di un bilanciamento economico con altre libertà economiche (art.35-39).

20. DISCIPLINA DEI SINDACATI


Sindacati → sono associazioni di lavoratori (appartenenti a medesima categoria professionale) che svolgono una
rilevante funzione sociale consentendo ai lavoratori stessi, in particolare subordinati, di negoziare migliori
condizioni di impiego con i propri datori di lavoro, compensando attraverso l'unione la propria condizione di
contraenti deboli.

Art..39 Cost. → “l’organizzazione sindacale è libera”, sorge e si sviluppa x volontà degli stessi aderenti.
Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso gli uffici locali o centrali.
Tuttavia è condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscono un ordinamento interno a base
democratica. I sindacati registrati hanno personalità giuridica.
Possono stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie
alle quali il contratto si riferisce, ma i sindacati hanno preferito operare come associazioni non riconosciute,
evitando di sottostare a controlli pubblici (perdendo capacità di rappresentare unitariamente i lavoratori e di

126
stipulare contratti collettivi dotati di efficacia erga omnes) operando di fatto come associazioni private e,
pertanto, concludendo accordi applicabili in favore dei soli iscritti.

La giurisprudenza lavoristica ha posto rimedio alla mancata attuazione della disciplina cost., riconoscendo ad una
parte delle clausole dei contratti collettivi di lavoro di diritto privato un’efficacia di fatto equivalente a quella erga
omnes e definisce le condizioni economiche minimali a cui il lavoratore ha diritto, ovvero una retribuzione
proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia
un'esistenza libera e dignitosa (art.36).

21. DIRITTO DI SCIOPERO


Si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano (art.40 Cost.) perché costituisce l'arma più efficace delle
associazioni sindacali per raggiungere i propri fini.
Esso consiste nell’astensione collettiva dal lavoro, attraverso la quale i lavoratori organizzati esercitano una
pressione sui datori di lavoro al fine di ottenere migliori condizioni contrattuali.

Corte Cost. → ha dichiarato illegittime le disposizioni legislative, di matrice fascista, che vietavano o limitavano lo
sciopero (trattandolo come un fatto illecito anche sul piano penale) → s. 31/1969 e 290/1974.

Per quanto riguarda i servizi pubblici essenziali (L. 146/1990) → si avverte la necessità di bilanciare l’esercizio del
diritto in parola con altri interessi di rilievo cost.
Questa L. qualifica come essenziali i servizi pubblici volti a garantire il godimento dei diritti della persona,
costituzionalmente tutelati (vita, salute, libertà, sicurezza, libertà di circolazione, assistenza e previdenza sociale,
istruzione, libertà di comunicazione.
Per questi ultimi la disciplina è particolare: preavviso dell’astensione dal lavoro almeno 10 giorni prima,
erogazione delle prestazioni indispensabili in ogni caso, comunicazione anche agli utenti delle modalità di
erogazione di tali prestazioni, la p.a. ha facoltà di precettare (obbligare a lavorare) le quote di lavoratori necessarie
all’erogazione delle prestazioni stesse, è stata istituita una Commissione di garanzia per l’attuazione della L., che
è un’autorità amministrativa indipendente composta da 5 membri (scelti d’intesa dal Presidente delle Camere) e
dotata di poteri di regolazione, vigilanza e sanzione.

22. DIRITTO ALLA SALUTE


È garantito dall’art.32 della Cost. sotto una duplice dimensione.

- Sotto il profilo individuale è la pretesa alla propria integrità psicofisica, si declina dal lato attivo nel diritto a essere
curato e dal lato passivo nel diritto a rifiutare le cure come frutto di una scelta consapevole da cui si deduce il
dovere del personale sanitario di acquisire un consenso informato circa i trattamenti.

Nel 2017 (L.219 22/12) il Parlamento ha approvato la legge che sancisce il diritto di consenso informato → quello
a rifiutare le cure (inclusi i trattamenti vitali come la respirazione artificiale, la respirazione e
l'alimentazione/idratazione artificiali) e quello a predisporre disposizioni anticipate di trattamento sanitario (DAT),
tendenzialmente vincolanti per l’eventuale incapacità futura di assumere scelte consapevoli.
Un recente intervento della Corte Cost. (2019) ha introdotto eccezioni al rigido divieto di aiuto al suicidio nei casi
di grave e irreversibile patologia fonte di gravi sofferenze.

- Sotto il profilo collettivo (che ha trovato attuazione ad opera della L. 833/1978 del SSN che garantisce cure
gratuiti a tutti salvo limitate compartecipazioni alle spese diagnostiche e farmacologiche per i + abbienti mediante
i ticket).

Il diritto alla salute include la pretesa a un ambiente salubre. L’ambiente è protetto come elemento determinativo
della qualità della vita. La sua protezione esprime l’esigenza di un habitat naturale nel quale l’uomo vive e agisce.
Tutto ciò è esemplificato dalla protezione contro le emissioni elettromagnetiche e quelle acustiche che richiedono
al singolo che si ritenga danneggiato di provare l’esistenza di un nesso eziologico tra emissione e danno.

Esiste la possibilità di imporre trattamenti sanitari obbligatori, sulla base di disposizioni di legge e nel rispetto della
dignità umana (vaccinazioni obbligatorie, per ora 10) per la tutela della collettività.

127
23. DIRITTO ALL'ISTRUZIONE
Esso traspare dall’art.34 che sancisce il principio della libertà di accesso al sistema scolastico riconosciuto a tutti
e l’obbligatorietà e la gratuità dell’istruzione inferiore (che la Repubblica si impegna a garantire per almeno 8anni).

L.53/2003 → stabilisce che è assicurato a tutti il diritto all’istruzione e alla formazione per almeno 12 o,
comunque, sino al compimento di una qualifica entro il 18° anno d’età.

Il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi è garantito solo ai capaci e ai meritevoli anche se privi di mezzi
(è imposto alla Repubblica di erogare borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere
attribuite per concorso).
Il sistema secondario e universitario è tendenzialmente privo di requisiti di accesso e sono soggetti a ridotta
contribuzione degli studenti.

Il contenuto del diritto all’istruzione consiste in una duplice garanzia:


- Poter accedere (sulla base di capacità di merito) a quelle attività formative che consentono di
raggiungere i gradi che l’ordinamento prevede;
- Di poter disporre di mezzi necessari a tale fine.

Anche se le Regioni hanno adottato leggi sul diritto allo studio, le prestazioni risultano "servizi a domanda
individuale" sottoposti all'onere di contribuzione da parte degli studenti o dei loro genitori, salva la possibilità di
esenzione dei meno abbienti e degli alunni con disabilità.

24. DIRITTI ALLA PREVIDENZA E ALL'ASSISTENZA SOCIALE


Lo Stato sociale si impegna ad aiutare coloro i quali versino in condizioni di indigenza o comunque di bisogno.
L'art. 38 della Costituzione sancisce il diritto alla previdenza e quello all'assistenza sociale, sviluppati poi dal
legislatore in un sistema di sicurezza sociale (collegato a quello sanitario), che intende proteggere cittadini (e gli
stranieri residenti) dalle possibili evenienze negative, assicurando sempre i mezzi adeguati alle svariate esigenze
di vita.

Il diritto alla previdenza sociale è sancito dall'art. 38 2°C, Cost. → «i lavoratori hanno diritto che siano preveduti
ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia,
disoccupazione involontaria».
I lavoratori, insieme ai datori di lavoro ed allo Stato, sono chiamati a versare i contributi necessari a finanziare le
prestazioni previdenziali che sono erogate da «organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato» (in particolare
l’INPS).

A partire dagli anni '90 le esigenze di contenimento della spesa pubblica hanno reso necessari una >
responsabilizzazione del singolo lavoratore ed un ridimensionamento delle prestazioni previdenziali, passando dal
sistema di calcolo retributivo (che collegava l'importo del trattamento pensionistico alle ultime retribuzioni
percepite) a quello contributivo (basato sui contributi previdenziali versati nel corso dell'intera vita lavorativa).
Art. 38 1°C→ «ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al
mantenimento e all'assistenza sociale (l'insieme degli aiuti, ma anche strutture, che lo Stato ed altri enti pubblici
mettono a disposizione dei meno abbienti e di tutti coloro che versino in condizioni di disagio economico e sociale,
sempre che tali condizioni non siano la diretta conseguenza di una loro precedente attività lavorativa nel qual
caso si ricade nell'ambito della previdenza sociale)”.

L'art. 128 2°C del d.lgs.112/1998 ha precisato che debbono intendersi quali servizi sociali «tutte le attività relative
alla predisposizione ed erogazione di servizi gratuiti e a pagamento o di prestazioni economiche destinate a
rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della vita,
escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede
di amministrazione della giustizia”.

Servizi sociali → ampio "contenitore", all'interno del quale è possibile differenziare due ambiti:
assistenza obbligatoria, sono compresi servizi e prestazioni erogati a fronte di diritti soggettivi vantati da
determinate categorie di cittadini: gli invalidi civili, gli inabili al lavoro (che percepiscono la "pensione
sociale"), gli inoccupati (a cui sono attribuiti gli assegni di disoccupazione e, ultimamente, il reddito di
cittadinanza).

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assistenza discrezionale, le prestazioni pubbliche sono caratterizzate da discrezionalità nell'erogazione
(non significa arbitrarietà) dovendo essere assegnate a chiunque versi in stato di bisogno, sia pure nei
limiti delle risorse finanziarie disponibili e in base a criteri predeterminati, che possono anche escludere
alcune tipologie di soggetti. I destinatari vantano interessi legittimi a ricevere provvidenze in svariati
ambiti, come: l'abitazione, il sostegno alle famiglie dei detenuti e degli ex detenuti ma anche delle vittime
dei delitti, l'aiuto ai profughi e agli immigrati, gli assegni e i sussidi economici di varia natura connessi ad
eventi ben definiti.

Accanto all'assistenza pubblica è liberamente ammessa dalla Costituzione quella privata (art. 38 5°C).
Organizzazioni di volontariato ed anche enti a scopo di lucro possono decidere di svolgere attività assistenziale,
ma possono essere tenuti a coordinarsi con le strutture pubbliche secondo quanto indicato dai piani sociali o
socio-sanitari adottati dalle Regioni e, in attuazione di questi, dai Comuni. Spesso tali organizzazioni ed enti si
convenzionano con le strutture pubbliche, svolgendo per conto delle seconde attività assistenziale, in cambio di
una remunerazione.

Esistono istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (IPAB) sparse sul territorio, dotate di personalità
giuridica, che possono anche decidere di mutare la loro forma giuridica tornando ad essere (come era prima della
"legge Crispi" 1890) enti privati.

25. DIRITTI DELLA, E NELLA, FAMIGLIA


Titolo II della Parte I, la Costituzione dedica alla famiglia 3 articoli (artt. 29, 30 e 31).
La famiglia svolge un ruolo di fondamentale di "società intermedia", tanto che la Repubblica è chiamata ad
«agevolare con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti
relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose» (art. 31).

Art.29 → proclama che il matrimonio è ordinato sull'= morale e giuridica dei coniugi con i limiti stabiliti dalla L. a
garanzia dell'unità familiare. Famiglia = «società naturale fondata sul matrimonio», è autonoma rispetto allo Stato

La Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato l'Italia, in quanto «la protezione legale disponibile
attualmente [nel 2015] per le coppie de lo stesso sesso non solo non garantisce i bisogni fondamentali per una
coppia che sia in una relazione stabile, ma non [le] dà neanche sufficiente certezza.
È stata approvata la legge 20 maggio 2016, n. 76 ("Regolamentazione delle persone dello stesso sesso e disciplina
delle convivenze") che equipara parzialmente, salvo che riguardo alla procreazione, i diritti dei membri delle
unioni civili registrate tra due persone dello stesso sesso a quelli dei coniugi. (Tale equiparazione viene operata in
misura < per le unioni registrate fra persone di sesso diverso)
Differenza: mentre la famiglia fondata sul matrimonio è contraddistinta da certezza e stabilità del rapporto
coniugale, nella famiglia di fatto vincolo non è formalizzato ed è revocabile in ogni istante da ciascuna delle parti.

L'attribuzione del cognome ai figli: per tradizione radicata nel nostro Paese, risalente al diritto romano, è sempre
stato attribuito il cognome paterno.
La Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 262 cod. civ. nella parte in cui non consente ai genitori,
di comune accordo, di trasmettere al figlio, al momento della nascita, anche il cognome materno (s. 286/2016).
Ma poiché continua ad essere attribuito il solo cognome paterno, la Consulta ha sollevato davanti a sé stessa una
questione di legittimità cost. dell'art. 262, 1° comma, cod. civ., nella parte in cui, in mancanza dl diverso accordo
esplicito dei genitori, impone l'automatica acquisizione del cognome paterno, anziché dei cognomi di entrambi i
genitori, per contrasto con gli artt. 2, 3 e 117, 1° comma, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 della
CEDU.

DIRITTI POLITICI E DOVERI PUBBLICI

26. DIRITTI POLITICI


I diritti politici: espressione dello status civitatis, cioè dell'appartenenza del cittadino alla comunità statale e danno
forma concreta al principio democratico e della sovranità popolare enunciato dalla Costituzione (art. 1).

I diritti politici espressamente garantiti dalla Costituzione (prevalentemente nel Titolo IV della Parte I) sono: il
diritto di voto (art. 48); il diritto di petizione (art. 50); il diritto di iniziativa legislativa popolare (art. 71); il diritto di

129
iniziativa referendaria (artt. 75 e 138); il diritto di accesso alle cariche elettive (art. 51); il diritto di associazione
politica (art. 49).
Esistono anche doveri politici: il dovere di difesa della Patria (art. 52), il dovere di concorrere alle spese pubbliche
(art. 53) e il dovere di fedeltà alla Repubblica (art. 54)

26.2 DIRITTI INDIVIDUALI


Il diritto di voto è riconosciuto a tutti (e solo) i cittadini che abbiano raggiunto la maggiore età, oltre che ai cittadini
di altri Paesi dell'UE nelle sole elezioni comunali ed europee. Non può essere limitato se non per: incapacità civile,
effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge (art. 48). Questo art.
qualifica il voto come «personale ed eguale, libero e segreto» e definisce il suo esercizio un «dovere civico» (non
giuridico perché c’è la facoltà di astenersi dalla partecipazione alle consultazioni elettorali senza sanzioni amm.).

CARATTERISTICHE DEL VOTO → La personalità del suffragio implica che ciascun voto debba essere espresso dal
titolare e non possa delegato; l'uguaglianza di esso comporta che il voto di ciascun elettore valga quanto quello
degli altri; la segretezza del voto garantisce all'elettore il libero esercizio del proprio diritto.

Il diritto di petizione (disciplinato dall'art. 50) → «tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per
chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità».
Diritto di accesso alle cariche elettive (art.51) → «tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli
uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla L.».
È un diritto inviolabile.

Pari opportunità tra i sessi → art.51 “La Rep. promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne
e uomini”. La revisione cost. dell'art. 51, 1°C ha spinto il legislatore a prevedere l'alternanza di genere nelle liste
dei candidati alle assemblee elettive, anche se ciò non ha ancora determinato una presenza paritaria in queste
ultime dei rappresentanti dei due sessi.

27. LA LIBERTA’ DI ASSOCIAZIONE POLITICA


Libertà di associazione politica (art. 49) → «tutti i cittadini banno diritto di associarsi liberamente in partiti per
concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale».

Le forze politiche sono considerate come mere associazioni di diritto privato (prive di personalità giuridica).
L'organizzazione e l'attività interne sono lasciate all'autonomia degli aderenti e un controllo esterno sulle
deliberazioni dei partiti può essere effettuato solo dall'autorità giudiziaria per verificarne la conformità ai rispettivi
statuti.
Nella realtà, i partiti operano più sul piano pubblico: rappresentano lo strumento principale di partecipazione
politica dei cittadini, svolgendo il compito di armonizzare e far diventare generali interessi particolari e settoriali,
sono definiti «tra i cardini essenziali dell'ordine democratico»

La Corte costituzionale ha affermato che «i partiti politici vanno considerati come organizzazioni proprie della
società civile, alle quali sono attribuite dalle leggi ordinarie talune funzioni pubbliche, e non come poteri dello
Stato» (ord. n. 79 del 2006). Le funzioni pubbliche loro assegnate sono il “modo in cui il legislatore ordinario ha
ritenuto di raccordare il diritto, costituzionalmente riconosciuto ai cittadini, di associarsi in una pluralità di partiti
con la rappresentanza politica, necessaria per concorrere nell'ambito del procedimento elettorale» (ord. n. 76 del
2007).

27.2 ORGANIZZAZIONE INTERNA E AZIONE ESTERNA DEI PARTITI


La libertà di organizzazione politica trova un solo limite, espresso nella XII disposizione finale → “è vietata la
riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”, in accordo anche all'impegno, sancito dal
Trattato di pace del 1947, di non consentire la rinascita di forze aventi il fine di «privare il popolo dei suoi diritti
democratici».
A parte questo, nessun limite di natura ideologica è previsto per la costituzione di un partito, è ammessa
l'esistenza di forze politiche che si ispirano ad ideali opposti a quelli sostenuti dalla Cost. (come quelle
monarchiche o quelle favorevoli alla "dittatura del proletariato").
L'unico ulteriore vincolo previsto riguarda il «metodo democratico» richiesto per l'azione delle forze politiche.

130
L'art. 98 consente (ma non impone) alla legge di «stabilire limitazioni al diritto di iscriversi ai partiti politici per i
magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, funzionari e agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e
consolari all'estero», al fine di garantire la loro piena imparzialità.

D.L. 149/2013, convertito in legge 137/2014, ha introdotto disposizioni > organiche. Esso ha subordinato la
possibilità delle forze politiche di iscriversi ad un apposito registro, e poter così accedere ad un sistema di
contributi fiscalmente agevolati, ad una serie di condizioni (adottare uno statuto che presenti alcuni contenuti
obbligatori, assicurare la trasparenza e l'accesso alle informazioni relative all'assetto statutario, agli organi
associativi, al funzionamento interno e ai bilanci, anche mediante la realizzazione di un sito internet ad elevata
accessibilità).

Nello statuto devono essere necessariamente indicati: il numero; la composizione e le attribuzioni degli organi
deliberativi, esecutivi e di controllo; le modalità della loro elezione e la durata dei relativi incarichi; la cadenza
delle assemblee congressuali generali; le procedure richieste per l'approvazione degli atti che impegnano il
partito; le modalità di partecipazione degli iscritti all'attività della forza politica; i criteri con i quali è promossa la
presenza delle minoranze negli organi collegiali non esecutivi; vi) le modalità di selezione delle candidature
presentate dal partito nelle elezioni parlamentari, europee, regionali e locali; le regole che assicurano la
trasparenza della gestione economico-finanziaria nonché il rispetto della vita privata e la protezione dei dati
personali degli aderenti.

Il legislatore ordinario previde un finanziamento pubblico a favore dei partiti a partire dalla L. 195/1974
(assegnazione sia di un rimborso forfettario per le loro spese elettorali, sia di un contributo annuale ai gruppi
parlamentari in proporzione alla consistenza numerica).
Lo scandalo di "Tangentopoli" portò nel 1993 all'abrogazione per referendum, con oltre il 90% dei voti favorevoli,
della legge del 1974 nella parte in cui disciplinava il finanziamento annuale ai gruppi parlamentari. Rimase, invece,
in vigore il rimborso delle spese elettorali, il cui ammontare fu aumentato dalla L.157/1999 e dalla L. 156/2002.

L.96/2012 ha previsto una rilevante riduzione dei rimborsi ed un + stringente sistema di controlli sull'utilizzazione
delle risorse pubbliche. Nel 2013, con D.L. 149 è stato abolito (dal 2017) il finanziamento pubblico sia diretto che
indiretto, sostituito da un regime di agevolazioni fiscali per incentivare la contribuzione dei privati cittadini e delle
imprese, cui si aggiunge l'assegnazione, su espressa indicazione dei contribuenti, del 2%1000 dell'IRPEF da loro
dovuta.

28. DOVERI COSTITUZIONALI


I principali doveri dei cittadini:
✓ art. 2 Cost. non si limita a riconoscere i diritti inviolabili del l'uomo, ma «richiede l'adempimento dei
doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale»;
✓ art. 4 Cost. «ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta,
un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società» (dovere del
lavoro);
✓ art.30 Cost. «è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del
matrimonio»;
✓ art.34 Cost. tutti hanno il dovere di istruirsi e frequentare le scuole dell'obbligo (l’istruzione inferiore è
obbligatoria e gratuita);
✓ art.48 Cost. l'esercizio del voto «è un dovere civico» del cittadino;
✓ art.52 Cost. «la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino»;
✓ art.54 Cost. «tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la
Costituzione e le leggi»; «i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle
con disciplina e onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla L»;
✓ art.53 Cost. «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità
contributiva».

I doveri costituzionali possono essere visti sotto profili diversi:


-come complesso di atteggiamenti e comportamenti individuali e collettivi ispirati al principio di solidarietà;
-come situazioni giuridiche previste dalla Carta fondamentale;
-come risvolto implicito di ciascun diritto riconosciuto dalla Costituzione (in tal caso trattandosi di obblighi).

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Secondo l'opinione prevalente, il catalogo cost. dei doveri va interpretato come una clausola chiusa, correndosi
altrimenti il rischio di intaccare diritti garantiti dalla Carta fondamentale. Tuttavia, ulteriori doveri ed obblighi
possono essere sanciti dalla L anche se in questo caso non assumeranno caratteri dell'inderogabilità.

28.2 DOVERI DI FEDELTA’ E DI DIFESA DELLA PATRIA


Il dovere di fedeltà alla Rep. (art. 54 Cost.) rappresenta una sintesi di tutti gli altri doveri.
Esso - oltre a legittimare le pesanti sanzioni per «delitti contro la personalità dello Stato» contemplate dal c.p.-
può arrivare a incidere su profili dei diritti di libertà, ad esempio, in tema di manifestazione del pensiero.

Rilevante è il dovere dei pubblici funzionari di adempiere le loro funzioni con disciplina e onore: su di essi grava
un dovere di fedeltà più stringente, che si può anche tradurre in limitazioni al godimento di alcuni diritti cost.,
come l'iscrizione ai partiti politici o la riservatezza su certi aspetti della vita privata (es. adesione ad associazioni)
che possono essere oggetto di obblighi di trasparenza e di comunicazione pubblica.

La + rilevante espressione dei doveri cost. è quello di difesa della Patria, definito “sacro” dall’art.52.
Esso riguarda tutti i cittadini e non si esaurisce nel servizio militare.
Peraltro, il servizio militare di leva – che, per l'art. 52 «è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge» – è stato
sospeso con L.331/2000 in favore di un reclutamento degli appartenenti alle forze armate su base professionale
e volontaria, pur se può essere reso nuovamente obbligatorio dal legislatore in qualunque momento.
Anche il servizio civile è ora su base volontaria: si accede tramite bandi di selezione a n. programmato ed è
«finalizzato alla difesa non armata e non violenta della Patria, all'educazione, alla pace tra i popoli, nonché alla
promozione dei valori fondativi della Repubblica».
Il 3°C dell'art. 52 sancisce che «l'ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della
Repubblica»: ciò, senza impedire l'esistenza di speciali regole volte ad assicurare la gerarchia e la disciplina
interne. Comporta che anche ai corpi militari si applichino i principi cost. ed ai loro membri spettino i diritti
garantiti dalla Carta fondamentale, con alcuni limiti (es. divieto di sciopero, l'impegno politico attivo).

28.3 IL DOVERE DI CONTRIBUIRE ALLE SPESE PUBBLICHE


Il dovere tributario, «in ragione della [propria] capacità contributiva» (art. 53) esprime la funzione distributiva dei
carichi pubblici, tipica dello Stato sociale, concretizzando il dovere di solidarietà sancito dall'art. 2.
Lo Stato democratico-sociale vuole assicurare l'effettiva garanzia dei diritti e l'= sostanziale, e per realizzare questi
obiettivi deve necessariamente disporre di risorse finanziarie, facendo leva su un adeguato sistema fiscale.

I pubblici poteri centrali e locali, se autorizzati dalla L., possono riscuotere: imposte (quando un sogg. si trovi in
una situazione rivelatrice di capacità contributiva); tasse (a fronte di un'attività o un servizio svolti dalla p.a. al cui
costo non è precisamente commisurata la tassa); contributi (a fronte di un'attività pubb. specifica da cui il soggetto
onerato ricavi un vantaggio diretto).

Il richiamo dell'art. 53 alla capacità contributiva implica che «ogni prelievo tributario abbia causa giustificatrice in
indici concretamente rivelatori di ricchezza”.
I tributi sono basati su presupposti: percezione di un reddito; la proprietà di un bene, l'acquisto di beni o di servizi;
il compimento di certi atti (es. l'imposta di bollo) ecc.
Coerentemente con il principio di solidarietà, il sistema tributario deve essere informato al criterio di
progressività. È dominante l'opinione secondo cui l'art. 53 richiede la progressività per il sistema tributario nel suo
complesso e non invece per ogni singolo tributo.

È stato adottato, con L. 212/2000, lo Statuto dei diritti del contribuente: esso stabilisce che i rapporti tra
amministrazione finanziaria e contribuenti devono essere importanti i principi di chiarezza, trasparenza, obbligo
di info, collaborazione, tutela dell’affidamento, buona fede.

Al contribuente è garantito il diritto di interpello, ossia di porre quesiti rispetto ai quali l’amministrazione deve
non solo rispondere, ma anche comportarsi successivamente in modo coerente con quanto indicato.

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