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DIRITTO PRIVATO

1° CAPITOLO
Diritto oggettivo: è un insieme di norme, varie nel contenuto e nella forma e che hanno un diverso grado di
efficacia a seconda del tempo, dello spazio e della provenienza (fonti). Talvolta il diritto oggettivo si esprime
attraverso obblighi, talvolta attraverso autorizzazioni o attribuzioni di poteri; talora stabilisce principi
generali, talvolta criteri minuziosi di riferimento.
Giustizia: è un principio fondamentale del diritto che rappresenta il parametro di apprezzamento ed
effettività di ogni norma giuridica, specialmente di quelle che attribuiscono poteri e riconoscono libertà.
Diritto e giustizia tendono a coincidere quanto più l’ordinamento giuridico esprime i valori diffusi nella
società e quanto più questi valori sono condivisi dalla società medesima.
Equità: è definita la giustizia del caso particolare (singolo). Essa è richiamata in alcune norme del codice
civile e in quelle del codice di procedure civile. Quest’ultimo attribuisce al giudice il potere di decidere
secondo equità nei casi stabiliti dalla legge; che possa farlo per le cause di valore non superiore a 1100
euro; che una controversia possa essere risolta prescindendo dalle norme giuridiche vigenti qualora le parti
richiedono concordemente al giudice o all’arbitro di decidere secondo equità. Questa possibilità è però
preclusa quando la causa riguarda i c.d. diritti indisponibili, cioè quei diritti che rispondono ad un interesse
superiore (pubblico o collettivo) e dunque sono sottratti all’autonomia dei privati.
Autonomia privata: è il potere di ogni individuo di autoregolamentare i propri interessi ed i propri rapporti,
attraverso l’atto giuridico ritenuto più idoneo. L’autonomia privata incontra dei limiti dettati
dall’ordinamento giuridico in via preventiva per delineare i confini del potere di azione dei soggetti e in
funzione della preservazione di interessi e libertà fondamentali. L’ordinamento giuridico, infatti, prevede
norme imperative e svolge anche una funzione di controllo successiva all’atteggiarsi dell’autonomia privata,
sanzionando quegli atti che superano i confini del potere di azione. L’autoregolamentazione dei propri
interessi può essere esercitata sia dal singolo che da soggetti rappresentati interessi di categoria o di
gruppo. In quest’ultimo caso si parla di autonomia collettiva.
Diritto soggettivo: indica la situazione giuridica di un soggetto portare di un interesse proprio riconosciuto
e tutelato dall’ordinamento. Gli elementi costituivi del diritto soggettivo sono la volontà e l’interesse in
quanto la situazione giuridica si manifesta nel potere della volontà individuale di realizzare l’interesse
perseguito. Nei sistemi giuridici contemporanei si afferma il riconoscimento di diritti soggettivi che trovano
fondamento e legittimazione nella persona umana. Essi sono i diritti di libertà (diritto di professare il
proprio credo), i diritti della personalità (diritto alla salute). Essi sono innati ed universali in quanto nascono
con la persona umana e non dipendono dalla nazionalità o dal luogo in cui vive l’individuo. L’esercizio del
diritto soggettivo incontra dei limiti sia nell’interesse generale che in quello dei titolari di altri diritti
soggettivi.
Per quanto riguarda l’interesse generale i limiti sono dati dalle norme imperative, dall’ordine pubblico e dal
buon costume. Le norme imperative spesso tutelano anche interessi di soggetti privati, cioè interessi
meritevoli di essere elevati al livello dell’interesse generale in quanto interessi “forti”. L’ordine pubblico
consiste nell’insieme dei principi che ispirano le singole norme giuridiche o determinati sistemi di norme. Il
buon costume consiste nell’insieme dei principi morali di una determinata società e di un certo periodo
storico. Infatti il buon costume è variabile nel tempo e nello spazio, il che impone al giurista di interpretare
la coscienza collettiva della propria epoca. I comportamenti che violano le norme imperative e l’ordine
pubblico sono detti illegali; quelli che violano il buon costume sono detti immorali. Questa distinzione è
rilevante per ciò che riguarda la ripetibilità della prestazione (l’individuo che ha seguito una prestazione per
un fine che ha offeso il buon costume non può richiedere la restituzione della somma che ha pagato). Sia gli
atti illegali che quelli immorali sono sanzionati dalla nullità e dal risarcimento del danno qualora venga leso
il diritto soggettivo o un interesse giuridicamente protetto.
Per quanto riguarda l’interesse dei titolari di altri diritti soggettivi, i limiti sono sia di carattere generale che
di natura specifica. La violazione di questi limiti dà luogo alla sanzione del risarcimento del danno o a quella
del ripristino della situazione precedente a spese del trasgressore.
Diritti assoluti: sono quelle situazioni giuridiche soggettive che si possono fare valere nei confronti di
chiunque, dunque erga omnes. Per il loro esercizio non è necessaria la cooperazione e quindi l’esistenza di
un rapporto giuridico (necessario nei diritti relativi). Essi sono assistiti da una tutela inibitoria (che tende ad
assicurare la cessazione dello spoglio o della molestia) e da una tutela risarcitoria (che tende a compensare
il titolare della lesione del proprio diritto). I diritti assoluti sono i diritti della personalità e i diritti reali.
I diritti della personalità sono i diritti inerenti alla persona e allo sviluppo della personalità (diritto al nome,
all’onore, alla libertà).
I diritti reali sono così chiamati dalla parola “res” (cose) perché si esercitano su una o più cose. Il prototipo
dei diritti reali è il diritto di proprietà: è la facoltà di godere e disporre delle cose in modo pieno ed
esclusivo. I diritti reali sono tipici: essi costituiscono un numero chiuso stabilito dalla legge tale per cui
l’autonomia privata non può crearne di nuovi. Oltre alla proprietà essi sono: l’uso, l’usufrutto, l’abitazione,
la servitù, l’enfiteusi e la superficie. Essi sono detti diritti di godimento su cosa altrui o diritti limitati in
quanto si risolvono in una limitazione del diritto di proprietà (di cui sono una derivazione) comprimendone
la facoltà di godimento. Vi sono inoltre i c.d. diritti reali di garanzia, che sono il pegno e l’ipoteca e che
incidono sulla facoltà di disposizione del proprietario, permettendo al titolare del diritto reale minore, in
caso di inadempimento da parte del proprietario-debitore, di soddisfarsi con preferenza rispetto agli altri
creditori sul ricavato della vendita del bene su cui gravano.
Diritti relativi: è l’altra categoria in cui si dividono i diritti soggettivi (oltre a quella dei diritti assoluti). Essi
coincidono con i diritti di credito o di obbligazione. Hanno per contenuto la pretesa ad una o più prestazioni
al cui adempimento altri è tenuto. Si possono fare valere nei confronti dei soggetti obbligati (i debitori), la
cui cooperazione è necessaria per il soddisfacimento dell’interesse dei titolari (creditori). Essi non sono
tipici (come i diritti reali) in quanto l’autonomia privata può determinare il loro contenuto liberamente,
indipendentemente dalla previsione della legge. Essi prevedono la sanzione risarcitoria.
Diritti patrimoniali: sono quelli suscettibili di valutazione economica. Con riguardo ai diritti assoluti essi
sono i diritti reali. I diritti relativi sono anche qualificabili come patrimoniali. Essi sono trasferibili per atto tra
vivi o per successione a causa di morte dal titolare ad altri soggetti, a differenza dei diritti non patrimoniali
inerenti alla sfera personale e quindi intrasferibili o trasferibili entro una delimitata cerchia di persone.
Interesse legittimo: è la facoltà del privato di vigilare sul corretto esercizio del potere pubblico a tutela del
proprio interesse.
Altre situazioni giuridiche attive: (oltre al diritto soggettivo) esse esprimono la posizione di vantaggio del
titolare e consentono alla persona di tenere un determinato comportamento o di realizzare un particolare
interesse per sé o per gli altri (a differenza delle situazioni giuridiche passive che limitano la libertà del
soggetto attraverso l’imposizione di una condotta o di uno stato di attesa, in vista della realizzazione di un
interesse). Esse sono:
Aspettativa: diritto soggettivo in formazione, cioè non ancora esercitabile. In questa fase il titolare può
compiere atti conservativi volti a salvaguardare le condizioni che rendano possibile l’acquisto del diritto;
Diritto potestativo: attribuisce al titolare il potere di modificare la situazione giuridica altrui con la semplice
manifestazione della propria volontà. Esso è attribuito nel solo interesse del suo titolare;
Potestà: è contrassegnata dall’esercizio di un potere che mira alla realizzazione di un interesse che non è
esclusivo del titolare ma anche di un altro soggetto (potestà genitoriale). È diretta a realizzare una funzione.
La deviazione dello scopo al quale è preordinata determina un abuso sanzionato con la limitazione o la
perdita dei poteri da parte del titolare della potestà;
Status: è la posizione di un soggetto in un determinato complesso di relazioni nelle quali si individuano di
volta in volta singoli e specifici diritti soggettivi.

2° CAPITOLO
La persona: ogni persona umana è soggetto di diritto, ossia centro di interessi e di imputazione di rapporti
giuridici. Qualsiasi limitazione o esclusione della soggettività giuridica è in sé antigiuridica in quanto si
colloca al di fuori dei principi fondamentali del nostro ordinamento. Anche le formazioni sociali (società,
enti) sono soggetti di diritto e di acquisto della soggettività giuridica. È assegnato alla Repubblica il compito
di rimuovere gli ostacoli che, limitando la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo
della persona umana.
I diritti della personalità: sono l’espressione degli attributi essenziali della persona, fisici e morali. Essi si
inquadrano nella categoria dei diritti assoluti in quanto possono essere fatti valere erga omnes. Il nostro
ordinamento si fonda sul loro riconoscimento. I caratteri dei diritti della personalità sono:
- L’essenzialità: la loro soppressione o limitazione fa venire meno uno dei fondamenti
dell’ordinamento giuridico, in quanto sono il pilastro su cui si regge l’ordinamento giuridico;
- L’inviolabilità: la loro tutela è garantita a fronte di qualsiasi soggetto pubblico o privato.
L’inviolabilità comporta l’antigiuridicità degli atti o delle norme di segno contrario ed impone
all’ordinamento giuridico il compito di rispettarla e salvaguardarla;
- L’universalità: i diritti della personalità vanno oltre i confini della cittadinanza e della nazionalità.
Vi sono dei punti di contatto tra i diritti sociali (diritti dei lavoratori, dei risparmiatori, dei consumatori,
diritto all’abitazione etc.) e i diritti della personalità. Infatti in alcuni casi l’ordinamento configura un
interesse sia come fondamentale diritto dell’individuo che come diritto sociale (es: la salute).
Diritto alla vita: anche se nella nostra costituzione non esiste una norma che tutela il diritto alla vita, esso è
un diritto inviolabile in quanto non è permesso a nessuno di porre fine all’esistenza di un’altra persona,
neanche con il suo consenso (infatti l’eutanasia è punita quale omicidio del consenziente). La persona può
volontariamente e coscientemente porre fine alla sua vita (suicidio) o non tutelarla (non sottoporsi alle cure
mediche necessarie), ed in questi casi l’ordinamento non punisce il comportamento dell’autore dell’atto,
mentre punisce chi partecipa al suo compimento.
Il diritto alla vita si acquista nel momento in cui si nasce, cioè nel momento in cui si acquista capacità
giuridica. Ciò pone il problema dell’individuazione del momento iniziale e finale della vita. Il primo si è
proposto in relazione alla legge sull’interruzione della gravidanza (che ha ammesso l’interruzione di
gravidanza quando è in pericolo la salute o la vita della donna, poiché il diritto alla salute della madre
prevale nei confronti dell’aspettativa del concepito a nascere) e sulla formazione di embrioni umani tramite
tecniche di procreazione assistita (questione ancora aperta); il secondo è sorto in relazione alla morte
cerebrale e al trapianto di organi.
Il tema della fine della vita pone due questioni principali: l’individuazione del momento della morte e dei
criteri per il suo accertamento e la liceità delle tecniche di mantenimento artificiale in vita rispetto
all’interesse a vivere e a morire con dignità. L’esigenza di determinare il momento in cui è avvenuta la
morte è necessaria con riguardo alla questione dei trapianti, per i quali l’espianto avviene a cuore battente
(con funzione cardiocircolatoria). La morte si ha con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni
dell’encefalo, dunque è legittima l’interruzione del mantenimento artificiale in vita di soggetti di cui è
accertata la cessazione irreversibile delle funzioni dell’encefalo. Ancora irrisolta è la questione sulla
legittimità della sospensione dell’alimentazione artificiale e delle cure mediche in soggetti in stato
vegetativo permanente. Il problema si è spostato sul versante parlamentare: la corte di cassazione ha
enunciato il principio di diritto secondo cui <<ove il malato giaccia da molti anni (oltre i 15) in stato
vegetativo permanente, con incapacità di rapportarsi al mondo esterno, e sia artificialmente tenuto in vita
mediante un sondino nasogastrico che provvede alla sua nutrizione ed idratazione, su richiesta del tutore e
nel contraddittorio con il curatore speciale, il giudice può autorizzare la disattivazione del presidio sanitario
in presenza di alcuni presupposti: 1) quando la condizione di stato vegetativo permanente è irreversibile e
non vi è alcun fondamento medico che lasci supporre la benché minima possibilità di un recupero della
coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno; 2) quando questa istanza sia realmente
espressiva della voce del paziente stesso, in base a precedenti dichiarazioni, alla sua personalità, al suo
modo di concepire (prima di cadere nello stato di incoscienza) l’idea stessa di dignità della persona, al suo
stile di vita, ai suoi convincimenti. Ove l’uno o l’altro presupposto non sussista, il giudice deve negare
l’autorizzazione, dovendo dare prevalenza al diritto alla vita.
Diritto all’integrità fisica: è tutelato dall’ordinamento sia rispetto a fatti e comportamenti lesivi di terzi, sia
rispetto agli stessi comportamenti del titolare del diritto, eccetto alcuni casi determinati (rene, sangue,
mutamento del sesso). L’art 5 c.c. vieta gli atti di disposizione del proprio corpo qualora comportano una
diminuzione dell’integrità fisica o quando sia contrari alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume. Il
divieto guarda alla condizione necessaria affinché l’uomo sia in grado di adempiere i suoi doveri verso la
società e verso la famiglia. È ammesso il mutamento di sesso quando esso è necessario alla percezione che
il soggetto ha della propria identità di genere.
Diritto alla salute: per salute si intende il benessere psico-fisico della persona. Esso è tutelato sia come
diritto fondamentale dell’individuo che come interesse della collettività. Ogni persona può tutelare il diritto
alla salute, in caso di violazione, sia contro lo stato inadempiente all’obbligo di tutelare e promuovere il
benessere collettivo, sia contro gli altri soggetti privati qualora la violazione risulti loro imputabile.
Diritto alla riservatezza: la riservatezza è comunemente denominata con il termine privacy. Esso deve
essere riconosciuto ad ogni soggetto, indipendentemente dalla sua notorietà. Nella costituzione italiana
manca una definizione riferibile alla riservatezza, ma essa è tratta da alcuni precetti costituzionali che
configurano una sfera giuridicamente protetta della vita personale. Le ingerenze dei terzi devono
considerarsi illegittime. Anche in sede penale viene tutelata la riservatezza: costituiscono reato la violazione
del domicilio, della corrispondenza, le interferenze illecite nella vita privata, la divulgazione del segreto
professionale, la frode informatica e l’accesso abusivo a sistemi informatici e telematici. L’attività di
qualunque soggetto che tratta dati personali deve improntarsi sui principi della liceità, correttezza, finalità,
pertinenza, non eccedenza, verità. Per dato personale si intende qualsiasi informazione (sia connesse alla
vita privata che quelle di carattere economico) relativa a persona fisica identificata o identificabile
mediante riferimento a qualsiasi altra informazione. Al momento della raccolta dei dati, ogni soggetto deve
essere informato sulle finalità di trattamento. Se il trattamento riguarda i c.d. dati sensibili (relativi alle
origini razziali, etniche, alle concezioni religiose, filosofiche, politiche, alla vita sessuale e allo stato di salute)
è richiesto il consenso scritto dell’interessato e l’autorizzazione del Garante. Chiunque cagioni danni ad altri
per effetto del trattamento è tenuto al risarcimento, salvo che provi di aver adottato tutte le misure idonee
ad impedire il fatto lesivo (anche nel caso di non rispetto delle modalità di raccolta previste dalla legge).
Diritto all’identità: l’identità esprime il modo d’essere di ogni persona ed è data dall’insieme dei suoi
convincimenti e orientamenti. Rispecchia la specificità di ogni individuo, per questo è definito il diritto ad
essere sé stessi. Esso attiene alla rappresentazione esterna della personalità in ogni dimensione della
propria esistenza e coincide con l’interesse dell’individuo a che la proiezione sociale di sé non subisca
travisamenti a causa dell’attribuzione di idee e comportamenti non propri. Il dato anagrafico è un segno
distintivo dell’identità personale perché attraverso il suo uso l’individuo identifica e distingue sé stesso nella
trama delle relazioni sociali. Deve escludersi l’aggiunta del cognome del genitore che effettua un
riconoscimento tardivo a quello originariamente attribuito al bambino, quando ciò può recare pregiudizio
alla sua identità, così come maturata nel contesto familiare e sociale in cui il figlio è cresciuto. Anche le
persone giuridiche, le associazioni e gli enti sono titolari del diritto all’identità avendo interesse a non subire
una deformazione della propria immagine sociale.
Diritto al nome: è uno dei pochi diritti di cui si occupa il codice civile (oltre all’immagine e allo pseudonimo).
L’art 6 c.c. stabilisce che ogni soggetto ha diritto al nome, composto dal prenome e dal cognome. Sono
vietati cambiamenti, aggiunte o rettifiche al proprio nome, se non nei casi e nelle formalità previsti dalla
legge. Nessuno può essere privato per motivi politici del nome. Il figlio di soggetti uniti in matrimonio
acquista il cognome del padre; se i genitori non sono coniugati, il bambino assume il cognome paterno
qualora è contestualmente riconosciuto da entrambi i genitori; se il riconoscimento non è contestuale, il
figlio acquista il nome del genitore che lo ha riconosciuto per primo; in caso di adozione il bambino prende
il cognome degli adottanti. Il diritto al nome è tutelato mediante le azioni di reclamo e di usurpazione. La
prima riguarda l’ipotesi che al soggetto sia contestato il diritto all’uso del proprio nome; con l’usurpazione il
soggetto reagisce contro l’uso indebito che altri fanno del suo nome. Entrambi tendono ad una tutela
diretta alla cessazione del fatto lesivo e, in presenza dei presupposti, al risarcimento del danno. Il giudice
può anche ordinare la pubblicazione della sentenza in uno o più giornali. Lo pseudonimo è tutelato alla
stregua del nome qualora abbia assunto la sua stessa valenza.
Diritto all’immagine: l’immagine è intesa come rappresentazione delle proprie sembianze fisiche realizzata
con qualsiasi strumento (fotografia, disegno, ritratto etc.). È vietata l’esposizione o la pubblicazione
dell’immagine altrui fuori dai casi previsti dalla legge o quando da tale pubblicazione possa derivare
pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona ritratta. In questo caso, il soggetto può chiedere al
giudice che vengano fatti cessare gli atti lesivi ed è ammesso in ogni caso il risarcimento del danno. Questo
anche quando l’abuso riguarda l’immagine dei genitori, del coniuge o dei figli. È necessaria l’autorizzazione
della persona ritratta per l’esposizione, la riproduzione e la messa in commercio della sua immagine. Ciò
non avviene se la diffusione risponde ad un interesse della collettività ad essere informati (interesse
determinato dalla notorietà del soggetto o dall’ufficio pubblico ricoperto o da altre circostanze previste
dalla legge). La titolarità del diritto all’immagine è riconosciuta anche alle persone giuridiche, private e
pubbliche.
Diritto all’onore e alla reputazione: l’onore è la percezione che ognuno ha della propria dignità morale,
intellettuale e sociale: la reputazione è il modo in cui il soggetto viene considerato nell’ambiente in cui vive.
Questi diritti sono tutelati anche in sede penale (sono punite l’ingiuria e la diffamazione). La lesione di
questi diritti è collegata spesso all’esercizio del diritto di cronaca, espressione della libertà di
manifestazione del pensiero. Vi sono alcuni limiti tracciati dalla giurisprudenza, trattandosi di diritti di pari
rango: l’attività di informazione è legittima, anche se idonea a ledere l’onore e la reputazione altrui, quando
esiste un interesse pubblico a conoscere i fatti narrati, quando essi sono esposti in modo corretto e non
offensivo e quando il giornalista ha verificato l’attendibilità della fonte diligentemente.
Diritto d’autore: viene tutelato l’autore di un’opera dell’ingegno in quanto l’opera è considerata la diretta
estrinsecazione e manifestazione della personalità dell’individuo (diritto morale), oltre che bene suscettibile
di valutazione economica (diritto patrimoniale d’autore). L’autore è libero di pubblicare l’opera, di usare il
suo nome o uno pseudonimo, rivendicarne la paternità ed opporsi a qualsiasi alterazione rechi pregiudizio
al suo onore e alla sua reputazione, anche quando è stato ceduto a terzi il diritto di sfruttamento
economico. La cessione può essere totale o parziale, temporaneo o definitiva, effettuabile sia per atto tra
vivi (in cui è necessaria la forma scritta ai fini della prova) che mortis causa. I diritti di utilizzazione
economica durano tutta la vita dell’autore sino al termine di 70 anni dopo la sua morte. Se l’opera viene
pubblicata o diffusa al pubblico per la prima volta entro questi limiti, la durata dei diritti di utilizzazione
economia è di 25 anni, a vantaggio di chi ha effettuato legittimamente la pubblicazione postuma. Il diritto
morale d’autore è inalienabile. Dopo la morte dell’autore può essere fatto valere dai prossimi congiunti
senza limiti di tempo.
È possibile riprodurre per fini personali, senza il consenso dell’autore o dell’editore, le opere esistenti nelle
biblioteche se ricorrono due condizioni: 1) la copia non deve superare il 15% del volume o del fascicolo
riprodotto e 2) i responsabili dei centri di riproduzione devono corrispondere un compenso agli autori e agli
editori delle opere. La protezione del diritto d’autore svolge anche una funzione sociale perché favorisce la
creazione di opere dell’ingegno quali patrimonio della collettività.
La sede della persona: il codice civile individua dei luoghi di riferimento e collegamento di ciascun
individuo. Essi sono:
- Il domicilio: è il luogo in cui la persona ha stabilito la sede principali dei suoi affari ed interessi di
natura patrimoniale. La successione a causa di morte di apre nell’ultimo domicilio del defunto; (il
domicilio digitale è l’indirizzo di posta elettronica)
- La residenza: è il posto in cui la persona abitualmente dimora e la sede di interessi
prevalentemente personali. La pubblicazione che precede il matrimonio deve essere fatta nei
comuni di residenza degli sposi;
- La dimora: è il luogo in cui la persona si trova per un breve periodo di tempo.
Ogni dichiarazione diretta ad una determinata persona si presume conosciuta quando giunge al suo
indirizzo.
Morte: coincide con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo, accertata dal Ministero
della Salute. Con la morte il soggetto perde la capacità giuridica (l’attitudine ad essere titolare di diritti e
doveri). La morte produce conseguenze importanti perché i rapporti facenti capo al soggetto si estinguono
o sono trasferiti ad altri. Vengono meno i rapporti di natura personale; la tutela di alcuni interessi di natura
non patrimoniale può essere affidata al coniuge o ai prossimi congiunti; i rapporti di natura patrimoniale si
trasmettono per successione a causa di morte (anche se taluni possono estinguersi o essere sciolti dagli
eredi del defunto o dalla controparte). Avvenuta la morte si può procedere all’espianto di organi e tessuti
per il c.d. trapianto terapeutico. Il decesso della persona deve essere dichiarato entro 24h all’ufficiale dello
stato civile affinché possa redigere l’atto di morte. La dichiarazione può essere fatta da un congiunto o da
un convivente, da un suo delegato o, in mancanza, da persona informata dell’evento, dal direttore di
ospedali, case di cura o di riposo, istituti o stabilimenti, da ufficiali di polizia giudiziaria, da magistrati. Nel
caso di morte di uno straniero nel territorio italiano, l’ufficiale dello stato civile deve spedire una copia
dell’atto di morte al Ministero degli affari esteri per la sua trasmissione all’autorità diplomatica o consolare
del paese in cui il defunto era cittadino.
Scomparsa: si ha quando un individuo non compare più nel luogo in cui ha il domicilio o la residenza e non
si hanno più sue notizie, senza che sia provata la morte. In questa situazione, il Tribunale, su istanza di
qualunque interessato o del pubblico ministero, emana i provvedimenti necessari alla conservazione del
suo patrimonio, nonché alla disciplina degli aspetti patrimoniali (che potrebbero evolversi con la verifica
dell’esistenza in vita della persona, con la sua morte o con il perdurare dell’assenza) e nomina un curatore
(a meno che non vi sia già un rappresentante legale (i genitori per i minori di età)) che rappresenta la
persona scomparsa in giudizio, nella formazione deli inventari e dei conti, nelle divisioni o liquidazioni che la
riguardano.
Assenza: si ha quando sono trascorsi due anni dal giorno dell’ultima notizia del soggetto scomparso. Il
Tribunale dichiara l’assenza su istanza di chiunque vanta o crede di poter vantare dei diritti derivanti dalla
morte dello scomparso. In vista della tutela degli interessi dell’assente e delle persone alle quali verrebbero
trasferiti i suoi beni in caso di morte, il c.c. prevede l’immissione temporanea nel possesso dei beni di
coloro che potrebbero succedere all’assente e il loro godimento e amministrazione senza però possibilità di
alienarli o modificarli. Se la persona ritorna o è dimostrata la sua esistenza, cessano gli effetti della
dichiarazione di assenza e il soggetto ha diritto alla restituzione dei beni; se è provata la sua morte si apre la
successione. La dichiarazione di assenza non comporta lo scioglimento del matrimonio ma è causa di
scioglimento della comunione legale dei beni.
Morte presunta: si ha quando sono trascorsi dieci anni dal giorno dell’ultima notizia dello scomparso. Il
Tribunale può dichiarare con sentenza la morte presunta. Se la scomparsa si è verificata in circostanze
particolari (operazioni belliche), la dichiarazione può avvenire trascorso un termine più breve (due o tre
anni). Per effetto della sentenza gli atti di attribuzione temporanea diventano definitivi e colore che si erano
immessi provvisoriamente nel possesso dei beni, possono liberamente disporne. La dichiarazione di morte
presunta consente al coniuge di contrarre un nuovo matrimonio e determina lo scioglimento dell’unione
civile. Se la persona di cui è stata dichiarata la morte presunta ritorna o è accertata la sua esistenza in vita, il
nuovo matrimonio è invalido perché celebrato con un soggetto ancora sposato, restando salvi gli effetti
civili del matrimonio dichiarato nullo (matrimonio putativo). La persona ricomparsa ha diritto alla
restituzione dei beni nello stato in cui si trovano o a conseguire il prezzo di quelli alienati, se ancora dovuto.

La capacità giuridica: è l’attitudine di ogni soggetto ad essere titolare di diritti e di doveri. Essa si acquista
dal momento della nascita. Nessuno può essere privato per motivi politici della capacità giuridica. Il
riconoscimento ad ogni persona della capacità giuridica rappresenta il ripudio di ogni forma di
discriminazione in ragione del sesso, della razza, della lingua, della religione, del credo politico e del ceto
sociale. Il legislatore del 1942 ammetteva che leggi speciali potessero limitare la capacità giuridica in
ragione della razza. In particolare per la razza ebraica, idonea a giustificare la privazione della potestà ai
genitori non ariani sui figli. La legislazione razziale vietava anche i c.d. matrimoni misti tra soggetti di razze
diverse. Limitazioni alla capacità giuridica erano previste anche in relazione al sesso; esse sono
progressivamente cadute. L’equiparazione dei sessi è perseguita attraverso norme che impongono la parità
di trattamento e attraverso le c.d. azioni positive, cioè quelle misure dirette ad eliminare gli ostacoli che
impediscono l’’uguaglianza sostanziale e le pari opportunità tra lavoratori e lavoratrici. Il codice delle pari
opportunità tra uomo e donna ha per oggetto misure volte ad eliminare ogni distinzione, esclusione, o
limitazione basata sul sesso che abbia come conseguenza o scopo di compromettere o impedire il
godimento, l’esercizio o il riconoscimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali in ogni ambito.
Capacità giuridica e cittadinanza: il superamento del rapporto di indipendenza della capacità giuridica
dalla cittadinanza è avvenuto tramite il riconoscimento al cittadino europeo del diritto di voto e di
eleggibilità alle elezioni comunali nello stato membro in cui risiede. Anche il legislatore italiano ha ammesso
la possibilità per lo straniero regolarmente soggiornante di partecipare alla vita pubblica locale. Egli gode
dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano e gli è riconosciuta parità di trattamento con il
cittadino relativamente alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi.
Acquisto e perdita: la capacità giuridica si acquista dal momento della nascita, che coincide con l’inizio della
respirazione polmonare e con il distacco del feto dal corpo materno. (La possibilità di creare embrioni
umani attraverso le tecniche di procreazione assistita, ha indotto a sostenere la necessità di attribuire
all’embrione la piena capacità giuridica. Gli embrioni devono essere trattati secondo i criteri di rispetto e
tutela che si devono adottare nei confronti degli individui umani a cui si attribuisce la caratteristica di
persone. È vietata qualsiasi sperimentazione sugli embrioni; è consentita la ricerca su di essi solo per finalità
diagnostiche e terapeutiche funzionali alla tutela e allo sviluppo degli embrioni stessi). La capacità giuridica
si perde esclusivamente con la morte della persona fisica.
Capacità giuridica e concepito: i diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati
all’evento della nascita. Essi ruotano intorno ad interessi di natura patrimoniale e attengono alla capacità di
succedere del concepito e alla capacità di chi non è ancora concepito di ricevere per testamento o
donazione. Si è posta la questione se potessero riconoscersi altri diritti oltre a quelli riconosciuti dal
legislatore (la questione si è posta in relazione ai diritti della personalità (diritto alla salute in particolare)) e
se potesse configurarsi la sua generale capacità giuridica. La giurisprudenza riconosce una tutela risarcitoria
al bambino nato con malformazioni causate da lesioni subite durante la vita intrauterina a causa del fatto
illecito del terzo, ma non attribuisce la capacità giuridica anticipata che si acquista appunto al momento
della nascita.

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