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Riassunti manuale diritto privato Butturini

Istituzioni di diritto commerciale   (Università degli Studi di Verona)

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Capitolo 1: Il diritto privato

1. Il diritto

Il diritto è un sistema di regole per la soluzione di conflitti fra gli uomini, proibendo l’uso della
violenza per risolverli. L’insieme di regole del diritto formano un sistema, e tutte insieme
concorrono ad assolvere una funzione complessiva. Questi sistemi di regole mutano nel tempo e
nello spazio. Ogni epoca storica ha avuto un suo diritto, così come ce l’ha ogni società nazionale.

Per ordinare una società secondo il diritto è necessaria un’apposita organizzazione


(organizzazione giuridica): ad una superiore autorità dev’essere riconosciuta la preliminare
funzione di creare regole, a cui debba anche essere attribuita la funzione di applicare quelle regole
per risolvere i conflitti già insorti.

Almeno tre ordini di autorità sono, nella nostra società, investiti del potere di creare diritto:
1. Un’autorità nazionale (lo stato)
2. Un’autorità sovranazionale (l’UE)
3. Le autorità infrastatuali (le regioni, gli enti locali)

Il potere di creare diritto e quello di applicarlo sono due poteri separati.


1. Potere di creare diritto: organi dello Stato (parlamento, governo), organi dell’UE (parlamento
europeo, consiglio europeo), organi delle regioni e degli enti locali (consigli regionali,
provinciali, comunali).
2. Potere di applicare il diritto: autorità giudiziaria (statale, applica il diritto statuale,
sovranazionale e infrastatuale), Corte di giustizia (dell’UE)

Le organizzazioni giuridiche si differenziano tra loro. Per esempio, il sistema di common law
(colonie inglesi) si differenziano dal nostro sistema (civil law) a causa del precedente giudiziario
vincolante (le sentenze dei giudici creano dei precedenti, a cui tutti i giudici che dovranno risolvere
casi successivi saranno vincolati. L’autorità giudiziaria ha il potere, in questo caso, di creare diritto).

Il diritto si differenzia dagli altri sistemi di regole (quello della morale, quello del costume, quello
religioso) grazie al carattere della coercività: il diritto è organizzato in modo da imporre
l’osservanza delle proprie regole. La coercività del diritto si declina in diversi metodi (quando è
possibile, vengono eliminate le conseguenze della trasgressione. Quando ciò non è materialmente
possibile, l’osservanza del diritto viene garantita dalle sanzioni).

Il diritto si legittima formalmente in forza del potere di cui sono investite le autorità che lo emanano
e quelle che hanno il compito di farlo osservate. Tuttavia, il diritto è anche espressione della
società in uno specifico tempo e luogo. Esso vige perché accettato: Sostanzialmente, la sua
legittimazione è il consenso, e non l’autorità.
Approfondimento (esplicativo): le concezioni volontaristiche dipingono il diritto come esclusiva
espressione della volontà sovrana. Quelle organicistiche lo spiegano come una spontanea
autorganizzazione della società (Hobbes-Lock).

2. La norma giuridica

La norma giuridica è l’unità elementare del sistema del diritto. Il testo delle norme è diviso in
articoli, a loro volta suddivisi in commi. Ogni articolo o comma può contenere una o più norme.
Più norme coordinate per assolvere una funzione unitaria sono chiamate istituto (es. istituto della
proprietà).
L’insieme di norme che compongono il diritto viene chiamato ordinamento giuridico.

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Le norme hanno sempre funzione precettiva, nonostante siano spesso formulate in maniera
apparentemente descrittiva (es. articolo 3 comma 1º).

Le norme sono precetti generali (si riferiscono ad una collettività, e non a singole persone) ed
astratti (non riguardano fatti concreti, ma una serie ipotetica di fatti). Sono inoltre regole
precostituite, create prima dell’insorgere del conflitto. Al contrario, le sentenze sono provvedimenti
individuali e concreti, che risolvono conflitti già insorti.
Civil law vs common law: il giudice, secondo il sistema del common law, ha il potere di creare
diritto, e quindi la norma secondo la quale risolvere il conflitto. Ma il precedente vincolante termina
comunque per assumere comunque il valore di norma generale astratta. Civil law e Common law
si differenziano per il diverso modo di creare norme: le sentenze dei giudici partono da casi
concreti.

La precostituzione delle regole assicura l’uniformità delle soluzioni e predetermina l’assetto della
società, adeguandola ad un dato modello generale di convivenza. 

La precostituzione del diritto corrisponde al concetto di certezza del diritto (principio secondo cui il
diritto debba ricevere un’applicazione prevedibile, in modo che il singolo possa conoscere in
anticipo quali sono i comportamenti giuridicamente leciti e no, gli interessi protetti dal diritto e no).

Il grado di generalità e astrattezza può variare. Le norme di diritto comune (o diritto generale)
raggiungono il grado massimo: si rivolgono a chiunque o a qualunque fatto. Sono di diritto speciale
le norme con limitato grado di generalità ed astrattezza (si riferiscono solitamente a specifiche
categorie professionali, specifiche situazioni sociali, temporali o locali).

3. Diritto privato e diritto pubblico

Tradizionalmente: il diritto privato corrisponde al diritto che regola i rapporti tra due privati; mentre
quello privato regola i rapporti ai quali partecipa lo Stato o un ente pubblico. Tuttavia, i rapporti
privati non possono essere regolati se non dal diritto privato. I rapporti ai quali partecipa anche lo
stato non sono sempre e solo regolati dal diritto pubblico.

Distinzione di tradizione romana: il diritto privato attiene alla protezione di interessi particolari e
quello pubblico protegge l’interesse generale della collettività. In effetti, allo stato e ad altri enti
pubblici viene richiesto di realizzare l’interesse generale, ma il diritto privato è di per sé neutro
rispetto al tipo di interessi da realizzare (ad es., lo stato e gli enti pubblici agiscono secondo le
norme del diritto privato: comprano, vendono, partecipano a società per azioni ed ubbidiscono alle
stesse norme che regolano i rapporti fra i privati).

Attualmente: possiamo dire che quello privato sia IL DIRITTO. Viene infatti detto anche “diritto
comune”, applicabile nei rapporti tra priv e priv, ma anche in quelli ai quali partecipa lo Stato o enti
pubblici.

Differenze:


1. Il diritto pubblico riguarda esclusivamente i rapporti ai quali partecipa lo stato o altro ente
pubblico.
2. Il diritto pubblico riguarda quei rapporti ai quali lo stato o altri enti pubblici partecipano quali enti
dotati di sovranità => diritto pubblico regola i presupposti, le forme ed i modi dell’esercizio della
sovranità (stato di diritto: quello stato che esercita la sovranità secondo norme precostituite)


In particolare, il diritto pubblico regola l’organizzazione dello stato ed i rapporti autoritativi
(basati sull’esercizio dei poteri sovrani che lo stato stabilisce con singoli individui o enti). 


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I sottoinsiemi del diritto pubblico:

- Diritto costituzionale: attiene alle regole fondamentali dell’organizzazione dello Stato-comunità


(diritti e doveri del cittadino) e dello Stato-apparato (stabilire organi e regole dell’esercizio delle
funzioni sovrane).
- Diritto amministrativo: riguarda compiti ed attività degli apparati dell’esecutivo e degli enti
pubblici.
- Diritto penale: regola la potestà punitiva dello Stato (quali pene, quali fatti costituiscono reato)
- Diritto processuale: riguarda l’esercizio della giurisdizione (attività dei giudici). A sua volta si
distingue in diritto processuale penale e diritto processuale amministrativo.

La possibilità di intraprendere rapporti autoritativi è, per lo Stato o altri enti pubblici, concessa dal
diritto con maggiore o minore larghezza, a seconda del Paese. InItalia vige il modello dello Stato a
diritto amministrativo. L’attività dell’esecutivo e quella degli enti pubblici si svolge per atti
amministrativi (regolati dal diritto amministrativo). Opposto a questo modello è quello dello Stato a
diritto comune: la pubblica amministrazione agisce seguendo le norme del diritto privato).

Ovunque, la pubblica amministrativa può far uso dei poteri autoritativi solo quando autorizzata.
Quando non lo è, resta sottoposta al diritto privato comune.

5. Diritto oggettivo e diritti soggettivi

Il diritto oggettivo è insieme delle leggi che impongono obblighi o divieti, avendo la funzione di
risolvere i conflitti in modo non violento e stabilendo quale interesse sia sia degno di protezione o
meno.

I rapporti regolati dalle norme giuridiche vengono detti rapporti giuridici. Essi si svolgono fra un
soggetto passivo, al quale la norma impone un dovere, ed un soggetto attivo, nell’interesse del
quale è imposto quel dovere. Il soggetto attivo potrà pretendere da quello passivo l’osservanza del
dovere a lui imposto dalla legge. Questa pretesa è esattamente il diritto soggettivo: un interesse
protetto dal diritto oggettivo.

Non tutte le norme del diritto oggettivo che prescrivono doveri riconoscono diritti soggettivi (per
esempio, quelle norme di diritto pubblico che impongono obblighi o divieti a protezione di interessi
solo generali, es. art. 53 costituzione). La pretesa di esigere l’osservanza degli obblighi o dei
doveri spetta allo Stato o ad altri enti pubblici.
Nel rapporto giuridico istaurato da queste norme al soggetto passivo si contrappone un potere
sovrano del soggetto attivo, detto anche potestà di imperio.

Norme poste a tutela di interessi generali della società proteggono spesso anche l’interesse
particolare dei suoi singoli membri. Il potere sovrano che impone l’osservanza di una tale norma
concorre con il diritto soggettivo dei singoli.

Diritto soggettivo assoluto = diritti che vengono riconosciuti ad un soggetto, nei confronti di tutti (es.
diritto di proprietà). 

A questa categoria appartengono i diritti reali (diritti sulle cose) ed i diritti della personalità (diritti
riconosciuti a tutela della persona umana, es. quello sulla vita)

Diritto soggettivo relativo = diritti che spettano ad un soggetto nei confronti di una o più persone
determinate o determinabili (es. art. 2043 c.c.)

A questa categoria appartengono i diritti di credito ed i diritti di famiglia.
Il dovere correlativo al diritto di credito è detto obbligazione (o debito). Il rapporto giuridico fra
creditore e debitore viene chiamato rapporto obbligatorio.
I doveri correlativi ai diritti di famiglia vengono chiamati obblighi.

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Diversa situazione rispetto all’obbligo o al divieto è la soggezione. Essa ricorre quando una norma
espone un soggetto a subire, passivamente, le conseguenze dell’atto altrui.
Situazione attiva correlativa ad una soggezione è detta potere. Può essere riconosciuta tanto dal
dir. pubblico (potere sovrano), quanto da quello privato. I poteri riconosciuti dal diritto privato sono
detti diritti potestativi (es. il diritto potestativo di un lavoratore per quanto riguarda il recesso dal
contratto).

Diversa situazione rispetto all’obbligo, al divieto e alla soggezione è l’onere: questo è un


comportamento che un soggetto è libero di osservare o meno, ma che deve osservare per
realizzare un dato risultato (es. art. 2697 c.c.).

Non sempre il soggetto portatore dell’interesse protetto dal diritto oggettivo coincide con il soggetto
titolare del diritto. E’ il caso della potestà (differente dal diritto soggettivo), per es. la potestà dei
genitori sui figli minori.

5. Fatti giuridici, atti giuridici, negozi giuridici




Il diritto oggettivo è inoltre norma che prevede fatti, al verificarsi dei quali i doveri o i diritti si
costituiscono, si modificano o si estinguono.

Fatto giuridico = ogni accadimento a verificarsi del quale l’ordinamento giuridico ricollega un
qualsiasi effetto giuridico, costitutivo, modificativo o estintivo di rapporti giuridici. I fatti umani
producono effetti solo se consapevoli e volontari, indipendentemente dalla conoscenza degli effetti
giuridici da parte del soggetto. Non producono effetti quando il soggetto che li ha posti in essere
non goda della capacità di intendere e di volere.

Fatti giuridici possono essere:

- Accadimenti naturali: eventi naturali indipendenti dall’opera dell’uomo. Può anche accadere che
ci sia un concorso umano, ma che esso rimanga giuridicamente irrilevante.
- Fatto umano: avviene quando una modificazione, la costituzione o l’estinzione di un rapporto
giuridico avviene come effetto di un volontario e consapevole comportamento umano.


I fatti umani possono inoltre distinguersi in:
- Fatti (o atti) illeciti o leciti: a seconda della loro conformità al diritto.
- Comportamenti discrezionali e dovuti: il soggetto è libero o obbligato.


Atto giuridico = sottocategoria dei fatti giuridici. Questi sono fatti destinati a produrre effetti
giuridici, ma solo se il soggetto che li pone in essere, oltre a godere della capacità di intendere e di
volere, sia considerato legalmente capace di agire.

Le due tipologie di atto giuridico sono:

- Le dichiarazioni (o atti) di volontà: si ha quando l’effetto giuridico modificativo, costitutivo o


estintivo di rapporti giuridici non si ricollega solo alla volontarietà del comportamento umano, ma
anche alla volontà degli effetti (il soggetto deve volere gli effetti). E’ il caso del contratto.
- Le dichiarazioni (o atti) di scienza: con questi il soggetto dichiara di aver conoscenza di un fatto
giuridico (per esempio, la confessione, la dichiarazione di fatti a sé sfavorevoli e favorevoli ad
altri). Hanno scopo di provare l’esistenza di fatti giuridici, costitutivi, modificativi o estintivi di
rapporti. 

Gli atti di scienza comportano effetti solo se consapevoli e volontari, indipendentemente dalla
volontà degli effetti.

Nel C.C si parla di “fatto” per designare fatti volontari dell’uomo. Gli atti diversi dal contratto sono
invece gli atti unilaterali.
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Il corrente linguaggio dei giuristi talvolta utilizza una diversa classificazione, dove:
- Fatto giuridico = fatto naturale
- Atto giuridico = fatto umano
- Negozio giuridico = atti di volontà (chiamati dal c.c. “atti giuridici”, contratti e atti unilaterali). (??
GO MIA CAPIT EN CASO)

Capitolo 2: Le fonti del diritto e l’interpretazione della legge



Le fonti del diritto


Sono due le fonti principali del diritto:


1. Fonti di produzione: modi di formazione delle norme giuridiche (es. il percorso che una norma
deve compiere per diventare legge)
2. Fonti di cognizione: i testi che compongono le norme giuridiche già formate (es. gazzetta
ufficiale)

Le fonti del diritto in Italia sono:


1. Fonti del diritto nazionale (basate sulla sovranità dello stato Italiano)
2. Fonti del diritto sovranazionale (basate sui poteri dell’UE)

Le fonti delle fonti del diritto sono indicate dalle Preleggi, che precedono il Codice Civile. E’ però
un’indicazione incompleta, giacché il Codice Civile entrò in vigore nel 1942, quindi
precedentemente rispetto alla Costituzione Repubblicana, alla comunità europea e all’autonomia
legislativa delle regioni.

Le fonti del diritto in Italia sono:


1. I Trattati ed i regolamenti dell’UE
2. La costituzione e le leggi costituzionali
3. Le leggi ordinarie dello Stato
4. Le leggi regionali
5. I regolamenti
6. Gli usi

Quest’ordine rappresenta una gerarchia. Infatti, fonti di grado inferiore non possono produrre
norme in contrasto con quelle già formate da fonti di grado superiore, pena l’illegittimità della
norma di grado inferiore.

Analizziamo ora ogni diversa fonte del diritto nazionale. 


1. La costituzione: è la legge fondamentale. Quella italiana è una costituzione rigida: non può
essere modificata se non attraverso il procedimento di revisione costituzionale (le altre
costituzioni vengono dette “elastiche”). 

Le leggi per le quali la Costituzione formula una riserva di legge (costituzionale) sono chiamate
leggi costituzionali, e possono essere modificate esclusivamente tramite legge costituzionale. 

In altri casi la costituzione formula riserve di legge ordinaria, ossia impone che date materie
non possano essere regolate con fonti di grado inferiore alla legge. 

La riserva può essere:

- Assoluta 

- Relativa: la legge ordinaria può fare rinvio, per quanto riguarda la disciplina di dettaglio, a
fonti di grado inferiore. 


Una norma di legge in contrasto con la costituzione viene chiamata costituzionalmente
illegittima. E’ la corte costituzionale che la giudica tale, tramite uno specifico procedimento.

Se nel corso di un processo civile, penale o amministrativo, una delle due parti o il giudice si
appella all’incostituzionalità di una legge da cui dipende l’esito del processo stesso, allora il
giudice è tenuto a pronunciarsi sull’eventuale “non manifesta infondatezza”, e rimette gli atti
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alla corte costituzionale, sospendendo il processo. Se la corte dichiara effettivamente illegittima


una norma, essa viene espunta (≠ disapplicata). 


2. Le leggi ordinarie: Intendendole come fonti di produzione, ci si riferisce al procedimento di


formazione di norme giuridiche che avviene tramite:

- L’ iniziativa del governo, di un parlamentare o di un consigliere regionale o popolare

- L’approvazione da parte dei due rami del parlamento (Camera/Senato)

- La promulgazione da parte del presidente della Rep.


Tutti i codici in vigore (fonti di cognizione) sono però state formate in epica anteriore rispetto
alla costituzione, durante la dittatura fascista e secondo un procedimento autoritario di
formazione delle leggi. 


Atti avente forza di legge ordinaria sono:

- Decreti legge: atti emanati dal governo in casi straordinari di necessità ed urgenza
(attualmente diventati di prassi), che perdono efficacia sin dall’inizio se, entro 60 gg dalla loro
emanazione non vengono convertiti in legge dal parlamento.

- Decreti legislativi: emanati dal governo per delega del parlamento, sulla base di una legge
di delegazione.


3. Leggi regionali: conseguenza dell’autonomia che la Costituzione riconosce alle regioni in


determinate materie. Quest’autonomia limita la sovranità dello Stato, che nelle materie di
competenza legislativa delle regioni può dettare solo i “principi fondamentali” rispetto a quella
materia. Alle regioni il compito di redarre una legislazione più analitica. 

Le leggi regionali non possono essere in contrasto con le leggi ordinarie. In caso di contrasto
giudica la corte costituzionale su ricorso del governo. Lo stesso ricorso alla corte Cost. è
compito delle regioni nel caso in cui lo Stato invada l’autonomia regionale. Le regioni non
possono però legiferare in materia di diritto privato o penale. 


4. I regolamenti: sulla loro legittimità si pronuncia il giudice ordinario. I regolamenti vengono


emanati:

- dal governo 

- dalle regioni/province/comuni

- da autorità che non sono enti territoriali (Banca d’Italia/Consob)


I regolamenti si distinguono in:

- Regolamenti governativi di esecuzione: emanati per regolare nel particolare materie già
definite in generale da leggi ordinarie 

- Regolamenti governativi indipendenti: regolano materie non regolate da alcuna legge. 


Attraverso la politica della delegificazione del 1988 (con la funzione di alleggerire le funzioni del
parlamento), un’apposita legge ha riconosciuto al governo il potere di emanare regolamenti
indipendenti, ma solo non in materie coperte da riserva di legge e attribuisce al governo il
potere di emanarne di esecuzione, anche senza previsione della legge. 


E’ inoltre stato permessa l’emanazione di regolamenti di valore equivalente alla legge, nel caso
in cui:

- La materia non sia coperta da riserva assoluta di legge

- Sia presente una legge che autorizzi il governo a disciplinare per regolamento una data
materia, fissando i criteri che il governo dovrà seguire. 


Inoltre, con la legge 400 si è permesso al governo di abrogare leggi precedenti tramite
regolamento. Altre autorità non possono venire meno ai regolamenti governativi. 


5. Gli usi/consuetudini: fonte non scritta e non statuale (= degli aspetti politico/giuridici
dell’attività statale). Consistono nella pratica uniforme e costante di dati comportamenti. A
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livello di fonte del diritto, è necessario che i soggetti che attuano tali comportamenti siano
convinti di ubbidire ad una non scritta norma di diritto. 

Nei paesi anglosassoni (common law), gli usi godono ancora di una grande importanza. In
Italia, essi assumono valore giuridico solo per quanto riguarda materie non regolate da alcuna
legge e quando sono richiamati da leggi o da regolamenti. 


Ogni decisione circa l’effettiva esistenza di una consuetudine è rimessa al giudice. E’ per
questo che, per esempio nelle camere di commercio, si trova talvolta una raccolta scritta di usi:
questa ha valore probatorio.


Le fonti del UE occupano posizioni più alte nella gerarchia, rispetto a quelle nazionali. Esse sono: 

- Il trattato sull’UE

- Il trattato sul funzionamento dell’UE

- La carta dei diritti fondamentali dell’UE 

- I Regolamenti. 


Esse limitano la sovranità degli stati membri. Il giudice dello stato è tenuto a disapplicare le norme
interne che risultino contrarie con quelle dell’UE.


L’efficacia della legge nel tempo


Le leggi ed i regolamenti divengono ufficiali solo nel quindicesimo giorno successivo alla loro
pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Questo perché, in astratto, essi dovrebbero poter essere
conosciuti da chi deve osservarli (Nella pratica, l’ignoranza della legge non scusa). 


Le leggi cessano di avere efficacia per:
- Disposizione di una legge successiva (si dice quindi che la legge precedente è stata tacitamente
abrogata)
- Referendum costituzionale o llegittimità costituzionale (si dice quindi che la legge è stata
espressamente abrogata).

L’interpretazione della legge




L’interpretazione della legge è tesa a stabilire:
- Qual è la norma entro la cui generale ed astratta previsione possa essere fatto rientrare il caso
da risolvere
- Qual è il significato da attribuire alle norme (sia a quelle che non si applicheranno nella
fattispecie che a quelle da applicare) 


I criteri da seguire nell’interpretazione delle norme sono fissati dalla legge (nelle preleggi). 

Nell’applicare una legge non si può attribuire ad essa un senso che non sia quello palesato da:

- Il significato proprio delle parole con la quale è formulata e secondo la connessione tra esse
(interpretazione letterale)

-L’interpretazione del legislatore (interpretazione teleologica) 


Questi criteri impediscono al giudice di erigersi a creatore del diritto, e garantiscono il rispetto della
finalità che la norma si propone.

L’interpretazione teleologica può dare luogo all’interpretazione estensiva, con la quale si


attribuisce alle parole con cui viene formulata una norma un significato più ampio. 

Opposta a quella estensiva è l’interpretazione restrittiva. 


Ogni ordinamento giuridico statuale rivendica a sé il carattere della completezza. Tuttavia, il
legislatore non può prevedere ogni fattispecie. Il giudice ha quindi la possibilità di creare
liberamente norme con le quali risolvere il caso, tramite l’applicazione analogica del diritto (si fa
riferimento a norme che regolano casi simili o materie analoghe). Il giudice può quindi fare una
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duplice applicazione della legge: diretta e analogica. Le norme penali e quelle eccezionali (che
fanno eccezione a regole generali) non possono essere applicate a casi simili.

Un ulteriore criterio di interpretazione della legge è quello secondo il diritto dell’Unione


Europea. 


Capitolo 3: Le persone


1. Condizione giuridica della persona

Per il diritto, ogni uomo è una persona (espressione usata dal c.c.) o un soggetto di diritto (uso
dottrinale). Queste due espressioni indicano l’uomo come centro di imputazione (ossia, che ha
capacità di essere titolare di situazioni giuridiche soggettive) o punto di riferimento di diritti e doveri.

Ogni uomo è, in quanto tale, una persona. Questo stato vale dalla nascita alla morte. L’essere
titolare di diritti e doveri rende l’uomo giuridicamente capace. Quest’attitudine si acquista al
momento della nascita e perdura fino al momento della morte. L’atto di nascita e morte sono iscritti
nei registri dello stato civile, ed hanno forza probatoria.
Ogni persona viene identificata con un nome, che consiste in nome e cognome. Il nome viene
dato dai dichiaranti della nascita all’ufficiale di stato civile, o dallo stesso ufficiale. Il cognome del
figlio è quello del padre nel caso di coniugi sposati, in caso di figli nati fuori dal matrimonio, il loro
cognome è quello di colui che per primo ne ha dichiarato la nascita (se essa viene dichiarata
contemporaneamente, allora sarà del padre). Se il figlio è di ignoti, sarà l’ufficiale di stato a dargli il
nome. 


Il domicilio è la sede degli affari o interessi di una persona. 

Si distingue in:
Domicilio generale = sede principale dei suoi affari o interessi

Domicilio speciale = sede eletta per determinati atti o affari


Non coincide necessariamente con la residenza, abituale dimora della persona.
La dimora è il luogo in cui la persona soggiorna attualmente (es. seconda casa o la camera n
locazione per il periodo degli studi). 

Il soggiorno è il luogo in cui momentaneamente o occasionalmente si alloggia (es. albergo)


Se la persona scompare dalla sua residenza o domicilio per un certo periodo di tempo, coloro che
presumono di esserne i successori, qualsiasi altro interessato o il pubblico ministero possono
chiedere al tribunale la nomina di un curatore dello scomparso. Dopo due anni dal giorno cui
risale l’ultima notizia, il tribunale può dichiarare l’assenza della persona e immettere nel possesso
temporaneo dei beni dell’assente coloro che ne sarebbero stati eredi. Se trascorrono dieci anni
dall’ultima notizia, il tribunale ne dichiara la morte presunta. Si apre quindi la successione
ereditaria, e coloro che furono nominati curatori acquistano la piena disponibilità dei beni dell’ex
assente, ed ora presunto morto.

2. La capacità di agire

La capacità d’agire è l’attitudine del soggetto a compiere atti giuridici, mediante i quali acquistare
diritti o assumere doveri. Essa si acquista con il raggiungimento della maggiore età. Alcuni atti
giuridici sono consentiti anche al minore (molti ai sedicenni). 

Il minore acquista diritti ed assume doveri per mezzo dei suoi legali rappresentanti. E’ quindi
sottoposto alla potestà dei genitori o alla cura di un tutore. Ai genitori/tutore spetta la legale
rappresentanza del minore (amministrano i suoi beni, compiono atti giuridici mediante i quali il
minore acquista diritti o assume doveri). 


Nè i minorenni né i loro legali rappresentanti possono compiere atti giuridici di carattere
strettamente personale (come l’iscrizione ad un partito politico). Il sedicenne autorizzato a
sposarsi è emancipato. L’emancipazione comporta l’acquisto della piena capacità d’agire,
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limitatamente agli atti di ordinaria amministrazione. Per quelli di straordinaria amministrazione


dovrà comunque essere autorizzato dal giudice tutelare ed assistito dal curatore.

Le persone maggiorenni possono trovarsi ad essere permanentemente, momentaneamente, o


parzialmente prive di autonomia. La più importante misura di protezione per queste persone è la
figura dell’amministratore di sostegno, nominato con decreto del giudice tutelare per assistere
una persona che vive in uno stato di infermità mentale o che soffre di una menomazione fisica o
psichica che provoca l’impossibilità di provvedere ai propri interessi. 


I maggiorenni che si trovano in stato di abituale infermità mentale può essere, tramite il tribunale e
su istanza del coniuge/convivente/parente più prossimo, interdetto, ossia privato della capacità di
agire. Verrà quindi nominata un tutore dell’interdetto (interdetti sono ad esempio, gli ergastolani o i
condannati a più di cinque anni di carcere). 


Se lo stato di infermità mentale non è tanto grave da giustificare l’interdizione, allora il tribunale
può limitarsi a dichiarare il soggetto inabilitato (prodighi, alcolisti, tossicodipendenti). All’inabilitato
è nominato un curatore.

3. La persona fisica e la persona giuridica 




Si definisce “persona giuridica” quel soggetto di diritto diverso dalla persona fisica, ossia ogni
centro di imputazione che il diritto fa corrispondere ad un’organizzazione collettiva di uomini
(es. associazione, fondazione, società, consorzi ecc.). La persona giuridica è dotata di una
capacità giuridica che le permette di essere titolare di diritti e doveri, avere proprietà di beni ecc.

E’ inoltre dotata di propria capacità di agire. Compie atti giuridici per mezzo delle persone fisiche
che agiscono come suoi organi. Nell’ottocento ha riscosso grande successo il dibattito fra i
sostenitori della teoria della finzione (secondo la quale la persona giuridica altro non sia che
un’invenzione del diritto) e quelli della teoria della realtà (per la quale le persone giuridiche sono
organismi sociali dotati di una propria volontà e portatori di un proprio interesse distinti da quelli
delle persone fisiche che le compongono). Oggi queste sono state superate da un’altra teoria,
secondo la quale la “persona giuridica” è un’immagine del parlare figurato, essendo le norme
regolatrici delle organizzazioni collettive creatrici di situazioni analoghe a quelle che si verificano
per il soggetto di diritto. 


4. Classificazione delle persone giuridiche: enti pubblici e privati 


Le persone pubbliche


Le persone pubbliche hanno come fine comune il perseguimento di pubblici interessi (che possono
essere però perseguiti anche mediante enti privati, come nel caso delle società a partecipazione
statale). 

Pubbliche sono innanzitutto, lo Stato e gli enti pubblici territoriali (regioni, province e comuni).
Ad essi spetta il potere sovrano. Queste sono le forme di organizzazione politica della comunità
nazionale, secondo la costituzione. Province, comuni, regioni sono enti autonomi territoriali,
esponenti di una data comunità stanziata in un dato territorio.

Da questi si distinguono enti pubblici con compiti specifici, che possono essere monosettoriali o
plurisettoriali (a seconda del numero delle loro funzioni) e nazionali o locali (es. università).

Gli enti pubblici economici hanno come oggetto esclusivo o principale l’esercizio di un’attività
commerciale. Gli enti pubblici territoriali hanno doppia capacità di diritto pubblico (potestà sovrana)
e privato (sono titolari di diritti e doveri e compiono atti giuridici allo stesso modo dei privati) 


Altro criterio di classificazione è quello che identifica gli enti strumentali dello Stato e degli altri
enti territoriali, ossia quegli enti al quale lo stato o altro ente territoriale delega attività che
potrebbero essere direttamente da loro svolte in nome di un’organizzazione più efficiente e
razionale del pubblico potere. Lo Stato o altro ente territoriale ha spesso il potere di nominare e
revocare gli amministratori e sempre quello di formulare direttive (≠ ordini) per l’attuazione dei fini
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istituzionali dell’ente. Gli enti strumentali hanno solo la capacità di diritto privato. 


5. Associazioni e fondazioni


Persone giuridiche private sono organizzazioni collettive costituite secondo le norme del codice
civile. Sono persone di diritto comune. 


- Associazioni: organizzazione collettiva attraverso la quale vengono perseguiti scopi
superindividuali. La Costituzione (art. 2) fa della Repubblica la garante dei diritti dell’uomo sia
come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità. Formazioni sociali
possono essere organizzazioni volontarie, associazioni, o le organizzazioni collettive
necessarie, come gli enti pubblici territoriali o la famiglia.
Le associazioni si costituiscono per contratto, mediante il quale i membri di questa si impegnano
al perseguimento di uno scopo di natura ideale (e non economica. In questo si distinguono dalle
società e dalle cooperative).
Alle associazioni possono aderire nuovi membri. I membri che ne fanno parte possono uscirne
mediante la dichiarazione di recesso. Le associazioni agiscono per mezzo dei propri organi.
L’assemblea di tutti gli associati costituisce l’organo sovrano, che elegge gli amministratori
dell’associazione, costituenti dell’organo esecutivo.

- La fondazione: organizzazione predisposta per la destinazione di un patrimonio privato ad un


determinato scopo di natura ideale (es. assistenziale, culturale, scientifica ecc.). 

Si costituisce per atto unilaterale, anche per testamento. Essa ha un solo organo, formato dagli
amministratori (nominati nei modi previsti dall’atto di fondazione), vincolati al perseguimento dello
scopo assegnato dal fondatore. 


Sia le associazioni che le fondazioni vengono riconosciute come personalità giuridica mediante
l’iscrizione nel registro delle persone giuridiche, istituito presso le prefetture.
Associazioni non riconosciute come persone giuridiche non hanno mai chiesto o mai ottenuto
l’iscrizione a questo registro. A livello giuridico, la loro condizione è per molti aspetti parificata a
quella delle associazioni riconosciute.
Prima della legge 192 del 2000, solo le associazioni riconosciute potevano acquistare beni a titolo
gratuito, mentre le associazioni non riconosciute potevano acquistarli solo a titolo oneroso.
Tuttavia, ad oggi la legge consente anche a quelle non riconosciute di conseguire eredità, legati e
donazioni. 

Maggiore differenza sta nella gestione delle obbligazioni assunte da associazioni non
riconosciute o riconosciute (vedi tab.)

Associazioni non riconosciute Associazioni riconosciute

Associati Non sono mai personalmente responsabili delle obbligazioni assunte


in nome di un’associazione.

Amministratori Personalmente responsabili Non personalmente responsabili.


dell’obbligazione assunta a nome Solo l’associazione risponde
dell’associazione. verso i creditori con il suo
patrimonio.

- I comitati: organizzazione cui fondi sono destinati ad uno specifico scopo di pubblica utilità e
sono raccolti per pubblica sottoscrizione da una pluralità di promotori. Questi rispondono delle
obbligazioni assunte.

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Capitolo 4: I beni e le proprietà 




1. I beni


Cose che soddisfano i bisogni dell’uomo sono dette beni. Sono beni le risorse della natura o le
cose che l’uomo produce utilizzandole o trasformandole.
I beni di consumo soddisfano direttamente i bisogni umani.

I mezzi di produzione sono beni che vengono utilizzati per creare altri beni, e soddisfano
indirettamente le necessità dell’uomo. 


I beni che sono presenti in natura in quantità assolutamente superiore rispetto ai bisogni dell’uomo
o all’utilizzo che l’uomo può fare di esse (es. luce del sole, l’aria, l’acqua del mare, l’energia del
vento, l’energia solare) sono dette cose comuni di tutti: nessuno ha interesse a stabilire con esse
un rapporto di appartenenza.


Il diritto si occupa esclusivamente di quei beni la cui appropriazione da parte di uno esclude
l’utilizzo della medesima cosa per un altro, e che possono quindi essere oggetto di possibile
conflitto tra gli uomini. Secondo il diritto, un bene può essere definito tale solo se formi oggetto di
diritti (le cose comuni di tutti non sono quindi giuridicamente considerate beni). 


Sono beni di diritto anche quelle energie naturali limitatamente presenti sul pianeta, per cui si è
disposti a pagare e che sono cedute per un dato prezzo ai consumatori (es. petrolio): sono
giuridicamente considerati oggetti di scambio, anziché oggetti di diritto. 

In generale, si può dire che il diritto considera beni tutte le cose suscettibili di valutazione
economica.


Ogni sistema giuridico:


- Riconosce su un bene il diritto di proprietà.



- Regola i conflitti tra gli uomini per l’appropriazione delle cose, determinando i modi d’acquisto
delle proprietà (condannando, così, l’uso della violenza) 


- Fonda la categoria dei beni pubblici, di utilità generale e che appartengono alla società nel suo
insieme. Appartengono quindi allo Stato o ad altri enti pubblici, che hanno il compito di:


- Consentirne l’uso da parte di tutti


- Utilizzarli in modo da volgerli a vantaggio di tutti (es. foreste, miniere, torbiere)


- Proteggere la natura e salvaguardare il patrimonio culturale

_ Beni demaniali: cose immobili di valore storico, archeologico, artistico e cose mobili in musei, 

pinacoteche, biblioteche. Sono beni inalienabili (non cedibili a privati) 

_ Beni indisponibili: beni con valore artistico/ ritrovati nel sottosuolo, che non possono essere 

sottratti alla loro destinazione, sono inalienabili. 

(Beni demaniali ed indisponibili sono cose fuori dal commercio (sono inalienabili e i privati non 

ne possono acquistare la proprietà neppure tramite il possesso). 

_ Beni disponibili: beni che lo stato acquista in forza della sua capacità di diritto privato e sui 

quali esercita il diritto di proprietà. 


- Pone limiti alle proprietà ed impone obblighi al proprietario 


2. I diritti sulle cose: la proprietà e gli altri diritti reali




I diritti sulle cose sono detti diritti reali. Secondo il sistema giuridico italiano, essi sono sette:
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proprietà, diritti di superficie, di enfiteusi, di usufrutto, di uso, di abitazione, di servitù. 



Ogni diritto reale è costituito da una o più facoltà che il suo tito
lare può esercitare sulla cosa (= contenuto del diritto). La proprietà consente, potenzialmente,
facoltà illimitate. Rispetto ad essa, gli altri diritti sono:

- Limitati o parziali o minori: caratterizzati da limitato contenuto (una sola facoltà)
- Diritti su cosa altrui: che si esercitano sulle cose di altrui proprietà. Coesistono con l’altrui diritto di 

proprietà.

Il diritto di proprietà è, secondo l’art. 832, il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed
esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico. 


Le facoltà che spettano al proprietario sono:
1. Facoltà di godere delle cose: (diritto di godere) Ossia la possibilità di usarla, non usarla e la
scelta rispetto a come usarla. 

Per le cose fruttifere, la facoltà di godimento implica il diritto di fare propri i frutti della cosa. 

- Frutti naturali: provengono direttamente dalla cosa. Fino alla separazione dalla cosa madre, i 

frutti naturali sono parte di essa. Prima della separazione si può disporre dei 

frutti solo come cosa futura. 

- Frutti civili: il denaro ricavato dal proprietario tramite la cessione ad altri del godimento della 

cosa (es. appartamento in locazione). I frutti civili si acquistano giorno per giorno.


2. Facoltà di disporre delle cose: (e di disporre delle cose) è la facoltà di vendere o non
vendere, donare o non donare, lasciare in testamento una cosa, o di costituire su essa diritti
reali minori a favori di altri. Entro questa facoltà si inserisce anche la facoltà del proprietario di
costruire sulle cose garanzie reali (es. ipoteca). Le cose hanno qualità di valore di scambio:
vendendole, il proprietario ne realizza il contro-valore in denaro. 


Caratteri generali riconosciuti dalla proprietà di godere delle cose e di disporre sono:

1. La pienezza del diritto di proprietà: (in modo pieno) il proprietario può fare della cosa che
possiede tutto ciò che non sia espressamente vietato (le norme di legge si limitano
possibilmente ad imporgli di fare o non fare qualcosa con quella determinata cosa). La
pienezza del diritto di proprietà viene meno quando sulla cosa siano costituiti diritti reali minori
che limitino le facoltà di godimento del proprietario. Nel momento in cui si estingue il diritto
reale minore, si riespande la pienezza del diritto di proprietà (= elasticità della proprietà).


2. L’esclusività del diritto di proprietà: (ed esclusivo) il proprietario può escludere chiunque altro
dal godimento e dalla disposizione della sua cosa. Il diritto di proprietà rende quindi legittima la
pretesa del singolo di servirsi delle cose con esclusione degli altri. La pretesa del proprietario è
protetta dall’autorità giudiziaria e dalla possibilità di rivolgersi al giudice per azioni civili.

“Entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”: correttivi
ai caratteri di pienezza e di esclusività, che possano bilanciare l’interesse del proprietario e quello
della collettività: la limitazione del contenuto di proprietà e l’imposizione di obblighi al proprietario. 


- I limiti:

(Alla facoltà di godere) Tradizionale è il divieto degli atti di emulazione: il proprietario non può
godere della sua cosa per compiere atti che non abbiano altro scopo se non quello di nuocere o
recare molestia ad altri. Un altro esempio è il limite alla scelta della destinazione di un fondo da
parte del proprietario (all’agricoltura, all’industria ecc.). Sono i comuni a scegliere l’assetto del
territorio mediante piani regolatori.


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3. Le cose oggetto di diritti: la classificazione dei beni




Secondo il diritto, sono beni che possono formare oggetto di diritti, quindi: le cose che
appartengono a qualcuno (= beni in patrimonio) così come quelle che potrebbero formare
oggetto di proprietà (es. pesci nel mare = beni di nessuno).
Si distingue inoltre fra beni immobili, come il suolo, le sorgenti e tutto ciò che è incorporato al
suolo, sia naturalmente che artificialmente. Al suolo oggetto di proprietà si dà il nome di fondo
(fondi destinati all’agricoltura sono detti fondi rustici, quelli edificabili per insediamenti industriali,
commerciali o abitativi sono detti fondi urbani). I beni mobili sono tutti gli altri beni. 


Si distingue fra beni mobili ed immobili anche a livello giuridico, essendo la loro condizione
giuridica completamente diversa, soprattutto riguardo alla legge di circolazione dei beni, che
regola il passaggio da un proprietario all’altro. In effetti, i beni mobili circolano molto rapidamente e
in maniera molto semplice, rispondendo all’esigenza di circolazione della ricchezza. La
circolazione dei beni immobili è assai rapida e viene condotta attraverso modalità molto più
complesse. 


In una condizione intermedia fra beni mobili ed immobili sono quelli mobili iscritti nei pubblici
registri (es. veicoli), la cui legge di circolazione presenta analogie con quella dei beni immobili, ma
che per il resto vengono considerati come beni mobili. 


Più cose mobili formano un’universalità di cose, se appartengono al medesimo proprietario ed
hanno una destinazione unitaria. La condizione giuridica delle universalità si distacca in qualche
aspetto da quella dei beni mobili e si avvicina a quella degli immobili. Il proprietario può disporre
dell’universalità nel suo insieme.


Sono pertinenze le cose (sia mobili che immobili) destinate al servizio od ornamento di un’altra
cosa (sia mobile che immobili), es. garage di una villa. Atti o rapporti che hanno per oggetto la
cosa principale comprendono, se non escluse, anche le pertinenze. Il rapporto pertinenziale può
essere costituito solo dal proprietario della cosa principale: può accadere, quindi, che egli
trasferisca la cosa principale senza escludere dall’atto le pertinenze. L’acquirente della cosa
principale acquisterà allora anche le pertinenze ad essa correlate, salvo che egli non sia in mala
fede (= sappia che le pertinenze non appartengono al proprietario della cosa principale).

Le cose che vengono assemblate in modo da formare un’unica cosa formano cose che vengono
definite composte (es. l’auto). Mancando una cosa all’insieme, la cosa risultante perderebbe la
sua identità (es. l’auto senza le ruote).

Cose fungibili/infungibili = cose fungibili sono cose indifferentemente sostituibili con altre (es.
denaro). Infungibili sono quelle cose che consistono in un unico esemplare (es. un dipinto). 

Cose consumabili/inconsumabili = cose consumabili sono quelle che si estinguono per l’uso.
Inconsumabili sono quelle che consentono di essere usate ripetutamente nel tempo.

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Capitolo 5: Il possesso


1. Concetto di possesso

Proprietà e possesso sono due situazioni giuridicamente differenti. 



La proprietà è una situazione di diritto, mentre il possesso solo di fatto: esso è definito come il
potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà. I
possessori si comportano come proprietari, ma di diritto non lo sono. 

Normalmente il proprietario è possessore ed ha ed esercita diritti su quella cosa. Tuttavia, può
accadere che il possessore non sia proprietario e che il proprietario non sia possessore (es. furto).


Il possesso è una situazione protetta dal diritto autonomamente rispetto a quella del diritto di
proprietà.

Il possesso corrispondente al diritto di proprietà è detto possesso pieno, m esistono anche


possessi corrispondenti al contenuto altri diritti reali, definiti possessi minori. 


Dal possesso si deve distinguere la semplice detenzione, che consiste nell’avere la cosa nella
propria materiale disponibilità. Per essere possessore occorre l’animo o l’intenzione di
comportarsi come proprietario della cosa: chi detiene la cosa per un titolo riconosce l’altruità della
cosa. Si può detenere una cosa altrui nel proprio interesse (es. appartamento in locazione), o
nell’interesse altrui (es. strumenti di lavoro del datore di lavoro).

Si può possedere in due modi:


- Direttamente, detenendo la cosa con l’animo di considerarla propria, oppure indirettamente, per
mezzo di altri che ne abbia la detenzione.
- Indirettamente, per mezzo di altri che ne abbia la detenzione.

Concretamente, nella differenza tra possesso e detenzione interviene una presunzione: chi
esercita il potere di fatto si presume possessore, salvo che non si provi che egli ha cominciato
ad esercitarlo come semplice detentore e cioè sulla base di un titolo che implicava il
riconoscimento dell’altrui possesso. 

La legge consente in soli due casi l’inversione del possesso (= passaggio da detenzione in
possesso)

1. Quando il titolo per il quale si ha la materiale disponibilità della cosa venga mutato per
causa proveniente da un terzo. Es. Ho un appartamento in locazione ed un terzo,
arrogandosi i diritti del proprietario, me lo vende o me lo lascia in eredità.
2. Quando il detentore faccia opposizione contro il proprietario e faccia constare al possessore
con esplicita dichiarazione o con atti concreti, che intende tenere la cosa come propria. 


La protezione giuridica del possesso prescinde dalla buona/mala fede del possessore, anche se
quello in buona fede gode di maggior protezione. E’ in buona fede colui che possiede ignorando
l’altruità della cosa. E’ in mala fede colui che sa di possedere la cosa altrui o che, usando un
minimo di diligenza, poteva venire a conoscenza dell’altruità della cosa. 

A questo riguardo interviene una presunzione: il possessore si presume in buona fede sino a prova
contraria. E’ sufficiente, perché il possesso sia considerato di buona fede, che il possessore fosse
originariamente in buona fede. In diverse situazioni conta la durata del possesso. Per la prova
della durata, il possessore è assistito da due presunzioni:
- Chi prova di essere possessore attuale e di aver posseduto anche in tempo più remoto, si
presume abbia posseduto anche durante il tempo intermedio.
- Chi prova il possesso attuale ed il titolo in forza del quale possiede, si presume che abbia
posseduto dalla data del titolo.

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Il possesso dell’erede continua quello del defunto, conservandone l’originaria qualificazione (in
buona/mala fede: successione nel possesso).

2. Diritti del possessore nella restituzione al proprietario

Il possesso è modo di acquisto della proprietà. Ma il proprietario può esercitare nei confronti del
possessore l’azione di rivendicazione ed ottenere la restituzione della cosa.
Se la cosa, nel frattempo, dovesse aver portato frutti percepiti dal possessore, a rigore, essi, o il
loro controvalore in denaro, spetterebbero al proprietario. Tuttavia, la legge distingue tra possesso
in buona e mala fede: il possessore in buona fede fa propri i frutti, mentre quello in mala fede
deve restituirli. Anche al possessore in mala fede è dovuto il rimborso delle spese incontrate per la
produzione ed il raccolto, oltre che a quello per eventuali riparazioni straordinarie. A quello in
buona fede è dovuta un’indennità pari al maggior valore che la cosa ha conseguito per effetto dei
miglioramenti apportati, mentre a quello in mala fede la minor somma fra l’aumento di valore della
cosa e l’importo delle spese affrontate.


Al possessore spetta il diritto di ritenzione (può rifiutarsi di consegnare la cosa al proprietario). 


Capitolo 6: i modi d’acquisto della proprietà

1. Acquisto a titolo originario e a titolo derivato



La proprietà si può acquistare solo nei modi previsti dalla legge. I nove modi indicati sono
suddivisibili in due grandi categorie:

1. Modi d’acquisto a titolo derivato: quando si acquista sulla cosa il diritto di proprietà già
spettante ad un altro. La cosa viene trasferita tramite un contratto, o tramite la successione alla
morte del proprietario precedente. A chi trasferisce il diritto si dà il nome di dante causa, mentre
l’acquirente è chiamato avente causa. Il trasferimento dei diritti su una cosa è possibile solo se
il dante causa ne era proprietario. Se sulla cosa in questione erano costituiti altri diritti reali o
garanzie reali, essi vengono trasferiti al nuovo proprietario. 


2. Modi d’acquisto a titolo originario: non solo quando non c’è un precedente proprietario della
cosa o quando il precedente proprietario l’ha abbandonata, ma anche se il diritto del
precedente proprietario è destinato a soccombere di fronte al diritto di chi acquista a titolo
originario. Il titolo originario dell’acquisto libera la cosa da ogni diritto altrui che avesse gravato
il precedente proprietario ed estingue i diritti reali e garanzie reali in precedenza costituiti sulla
cosa.

4. Il possesso di buona fede dei beni mobili




La proprietà si piò acquistare a titolo originario mediante il possesso. Per i beni immobili è
necessario un possesso continuato nel tempo, mentre per quelli mobili è possibile il possesso
istantaneo, in quanto è fondamentale rendere rapida e sicura la loro circolazione. Il possesso
vale il titolo, come si manifesta in due situazioni:
- L’acquisto di cosa mobile da un venditore non proprietario: colui al quale viene alienata una
cosa mobile da chi non ne è proprietario ne acquista la proprietà mediante il possesso, purché
sia in buona fede e sussista un titolo idoneo al trasferimento della proprietà. In questo caso la
proprietà viene acquistata a titolo originario (il trasferimento della proprietà non si può attuare a
titolo derivativo se il dante causa non possedeva il bene).
- Alienazione della cosa mobile a più persone: ne acquista la proprietà chi tra esse ha per prima
conseguito, in buona fede, il possesso della cosa, anche se il suo contratto è successivo a
quello di un’altra (per conseguenza del precedente principio).
Nello stesso modo si acquistano altri diritti reali su cose mobili (usufrutto, uso) e il pegno. Non si
può acquistare mediante il possesso la proprietà di universalità di mobili né quella di mobili
iscritti in pubblici registri.
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5. L’usucapione


Quando la situazione di un non-proprietario che però è possessore di un bene si protrae nel


tempo, la legge asserisce che il proprietario non possessore perde il diritto di proprietà che viene
acquistato dal possessore non proprietario: è la situazione dell’usucapione, che avviene a titolo
originario. Non è rilevante che il possesso sia di buona fede o mala fede: ciò interferisce solo sulla
durata del possesso necessaria per usucapione.
Occorre che il possesso sia goduto alla luce del sole. Se il possesso è stato conseguito in modo
violento o clandestino, il tempo l’utile per l’usucapione comincia a decorrere solo da quando sia
cessata la violenza o la clandestinità. 

La funzione dell’usucapione è assicurare la certezza dei diritti sulle cose, necessaria per la
circolazione dei beni. 

Vale inoltre a semplificare la prova in giudizio del diritto di proprietà. Sarebbe impossibile
dimostrare d’aver acquistato la proprietà a titolo derivativo (bisognerebbe conoscere il primo
proprietario del bene).

I tempi necessari per acquistare la proprietà mediante usucapione varia rispetto ai beni e alla
malafede/buona fede. Di regola, occorrono 20 anni per i beni immobili, e 10 anni per quelli mobili
registrati. Ma:
Beni immobili/universalità di beni Beni mobili registrati

Buona fede con titolo idoneo 10 anni 3 anni

Buona fede senza titolo ‘’ 20 anni 10 anni

Mala fede senza titolo ‘’ 20 anni

Capitolo 9: l’obbligazione

1. Diritto reale e diritto d’obbligazione




I diritti reali sono quei diritti che spettano agli uomini sulle cose. I diritti di obbligazione (anche detti
di credito o personali) sono diritti di un soggetto alle prestazioni personali di altri soggetti. 

Essi sono:


- Diritti ad una prestazione personale, che può consistere in una prestazione di dare, di
consegnare, di fare o di non fare.
- Diritti relativi (quelli reali sono assoluti): spettano ad un soggetto nei confronti di uno o più
soggetti determinati o determinabili.
- Fruiscono di una difesa relativa: il loro titolare può difenderli solo nei confronti della persona
dell’obbligato (e non nei confronti di terzi che contestino il suo diritto). Quelli reali fruiscono di
una difesa assoluta: anche il titolare di diritti minori ha azione in giudizio contro chiunque
contesti l’esercizio del suo diritto.
- Si possono acquistare solo a titolo derivativo (solo i diritti reali sono suscettibili di possesso e
di acquisto a titolo originario).

2. Il rapporto obbligatorio 


L’obbligazione è un vincolo che lega:

- Un soggetto attivo (creditore)

- Un soggetto passivo (debitore) 

- Un oggetto dell’obbligazione (prestazione)


Nel rapporto obbligatorio possono esserci sia più debitori che più creditori. I soggetti devono
essere, al momento in cui sorge l’obbligazione, determinati o determinabili. 

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L’oggetto dell’obbligazione deve avere carattere patrimoniale: dev’essere suscettibile di


valutazione economica (caso particolare: due imprenditori che si obbligano a non farsi
concorrenza: il valore della prestazione di non fare è il maggior profitto che ciascuno dei due può
realizzare per effetto della non concorrenza). 


L’interesse del creditore non deve avere necessariamente carattere patrimoniale: può essere un
interesse economico o patrimoniale così come un interesse patrimoniale (se vado al cinema ricevo
una prestazione suscettibile di valutazione economica, ma il mio interesse è culturale o di svago).

La prestazione che forma oggetto dell’obbligazione può essere:


- Di dare o consegnare: come pagare una somma di denaro o consegnare un bene. La
prestazione di restituzione è una sottospecie di questa categoria (es. mutuo).

La prestazione di consegnare può dare luogo ad obbligazioni di genere o specie.

- Di genere: consegna di una cosa determinata solo nel genere (es. somma di denaro)

- Di specie: consegna di una cosa determinata nella sua identità


- Di fare, che può dar origine a:



- Obbligazione di mezzi: quando il debitore è obbligato a svolgere un’attività senza garantire il 

risultato che in questo caso il debitore si attende (es. la prestazione di un medico) 

- Obbligazione d risultato: quando il debitore è obbligato a svolgere un’attività garantendone il 

risultato.

Questa distinzione comporta una diversa distribuzione di rischio per la mancata realizzazione
del risultato tra creditore e debitore. 


- Di non fare

Fuori da questa tradizionale tripartizione sono:



- Prestazione di contrattare, che impegna a concludere un futuro contratto.
- La prestazione di garanzia (es. chi ha promesso il fatto del terzo. Il soggetto debitore si assume
il rischio del verificarsi di un evento indipendente dalla sua volontà)

3. Obbligazioni con pluralità di soggetti o di oggetti

In un rapporto obbligatorio possono esserci più debitori di un medesimo creditore o più creditori di
un medesimo debitore. L’obbligazione in questo caso può essere:


— Solidale

_ Solidarietà attiva: quando ciascuno dei creditori di un medesimo debitore può rivolgersi a questo
ed esigere da lui l’intera prestazione, liberandosi dall’obbligazione nei confronti di tutti gli altri.
_ Solidarietà passiva: quando ciascuno dei debitori di un medesimo creditore può essere costretto
da questo ad eseguire l’intera prestazione, liberando gli altri debitori 

dall’obbligazione. 


In questi casi l’obbligazione si divide: il creditore che ha riscosso dovrà corrispondere agli altri la
parte delle prestazioni che spettano loro, mentre il condebitore che ha adempiuto avrà azione di
regresso nei confronti degli altri per ottenere il rimborso delle loro parti.

— Parziaria

- Attiva: quando ciascuno dei creditori di un medesimo debitore può esigere da questo solo la sua
parte di prestazione.
- Passiva: quando ciascuno dei debitori di un medesimo creditore può essere costretto a pagare 

solo la sua parte. Il creditore, per ottenere l’intero, dovrà agire nei confronti di tutti.


Quando ci sono più debitori, la solidarietà è la regola. 

Quando ci sono più creditori, la parziarietà è la regola. 

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In queste due situazioni di solidarietà/parziarietà si manifesta il principio del favore per il
creditore, secondo il diritto. Eccezionale sarà l’obbligazione la cui prestazione consista nella
consegna di una cosa indivisibile o in una prestazione di fare indivisibile: l’obbligazione sarà
necessariamente solidale. L’obbligazione può anche avere ad oggetto due prestazioni in
alternativa fra loro.

4. Le fonti delle obbligazioni




Le fonti delle obbligazioni sono gli atti o i fatti da cui originano le obbligazioni. Esse sono, secondo
l’art. 1173, divisibili in 3 grandi categorie.


1. Il contratto: l’accordo volontario di due o più parti.
2. Il fatto illecito: esso è ogni fatto che cagiona ad altri un danno ingiusto: il debitore dovrà quindi
risarcire il danno (fonte non volontaria).
3. Ogni altro atto o fatto: fonti volontarie differenti dal contratto (es. la promessa al pubblico), fonti
non volontarie non qualificabili come fatti illeciti.

Capitolo 10: L’adempimento e l’inadempimento 




1. L’adempimento delle obbligazioni


L’adempimento dell’obbligazione, che libera il debitore e estingue l’obbligazione, è l’esatta
esecuzione della prestazione da parte del debitore. Essa viene valutata in base a tre criteri.


a. Le modalità di esecuzione


Secondo l’art. 1176, il debitore deve eseguire la prestazione con la diligenza del buon padre di
famiglia (= quella dell’uomo medio). Per quanto riguarda le prestazioni che si ineriscono
nell’esercizio di un’attività professionale, l’esattezza dev’essere valutata considerando la natura
dell’attività esercitata (es. Sono un medico. La diligenza non dovrà essere quella dell’uomo medio,
ma del medico medio). 


Inoltre, la prestazione dev’essere eseguita per intero: il creditore può rifiutare un adempimento
parziale,

b. Il tempo di esecuzione


La prestazione dev’essere eseguita a richiesta del creditore (può esigerla in ogni momento, fino
a che il suo diritto di credito non sia estinto per prescrizione, solitamente dieci anni) o alla
scadenza del termine, se fissato (si presume a favore del debitore. Il creditore generalmente non
può esigere la prestazione prima della scadenza del termine)

c. Il luogo


La prestazione dev’essere eseguita nel luogo pattuito dalle parti. Se non è stato pattuito, valgono
tre regole:
- La cosa determinata va consegnata nel luogo in cui la cosa si trovava quando è sorta 

l’obbligazione.

- La somma di denaro va consegnata al domicilio del debitore al tempo dell’adempimento

- Ogni altra obbligazione si adempie al domicilio del debitore al momento dell’adempimento. 


d. La persona che esegue la prestazione




Generalmente è il debitore ad over eseguire la prestazione, ma per alcune é indifferente che ad
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adempiere sia il debitore o un terzo. Ad esempio, quando la prestazione è la consegna di denaro o


altro bene fungibile. In questo caso il creditore non può rifiutare l’adempimento del terzo.
Può farlo solo in due casi:
_ Se ha interesse che il debitore esegua personalmente la prestazione (dare cose infungibili/fare)
_ Se il debitore abbia manifestato al creditore la sua opposizione all’adempimento altrui: ma in ogni 

caso non ha il dovere di rifiutare, ha solo facoltà (<— Favore per il creditore)


L’adempimento è un atto dovuto, per il debitore: non serve quindi essere capaci di intendere e di
volere per adempiere. Non si può chiedere la restituzione di ciò che si ha già pagato a causa della
propria incapacità. 


e. Il destinatario dell’adempimento 


L’adempimento deve essere eseguito nelle mani del creditore oppure in quelle del suo
rappresentante o altra persona autorizzata (non è liberato il debitore che paga una persona
legalmente incapace). Può succedere che si paghi a chi sia solo apparentemente legittimato a
ricevere il pagamento: il debitore è comunque liberato, sempre che l’apparenza fosse creata da
circostanze univoche (=elementi obiettivi) e che egli fosse i buona fede. 


f. L’identità della prestazione 


Il debitore è liberato solo se ha eseguito la prestazione dovuta. Non è liberato se esegue una
prestazione differente, nemmeno se di valore maggiore o uguale. Il creditore può però consentire
che si esegua una prestazione differente. Quella sostitutiva viene chiamata “prestazione in luogo
dell’adempimento” (datio in solutum). La prestazione è eseguita solo quando il credito è riscosso. 


Il debitore che adempie ha diritto ad una quietanza (che attesta l’avvenuto pagamento).

2. Le obbligazioni pecuniarie 


Il denaro è un bene mobile che assolve la funzione di mezzo di scambio. Le obbligazioni
pecuniarie (debiti di valuta es. pagamento di un dipendente, pagare il prezzo di una cosa
acquistata) hanno come oggetto la consegna di una quantità di denaro. Si adempiono con la
moneta avente corso legale nello Stato al momento del pagamento. Secondo il principio
nominalistico, la moneta è presa in considerazione per il suo valore nominale, non per il suo
potere d’acquisto (indipendentemente dall’inflazione, per esempio). 


Contrapposti ai debiti di valuta sono i debiti di valore, che ricorrono quando una somma di denaro
è dovuta come valore di un altro bene. Il denaro è quindi considerato come l’equivalente
economico di un bene. E’ debito di valore l’obbligazione di risarcire il danno. 

Nel momento in cui il valore viene liquidato (ossia tradotto in una somma di denaro), il debito di
valore si tramuta in debito di valuta. 


Il denaro è considerato un bene produttivo: produce frutti civili, chiamati interessi. L’obbligazione
di denaro liquida (determinata nel suo ammontare) ed esigibile (non scaduta) è sempre
accompagnata da un’obbligazione accessoria, ossia quella di corrispondere gli interessi secondo
il tasso legale o secondo quello convenuto tra le parti. Gli interessi compensativi sono quelli
dovuti sui debiti non sottoposti a termine, o su quelli sottoposti a termine e scaduti, dei quali il
creditore non abbia la costituzione in mora del debitore. 


3. L’inadempimento dell’obbligazione


Il debitore è inadempiente se non esegue la prestazione dovuta o non la esegue esattamente.
L’inadempimento è un fatto oggettivo, a cui consegue la responsabilità del debitore, che dovrà
risarcire il danno cagionato dal suo inadempimento.

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Secondo l’art. 1218 Il debitore può liberarsi dalla responsabilità offrendo una duplice prova:
- Provare l’impossibilità della prestazione, che deve essere oggettiva (qualsiasi debitore non
avrebbe potuto eseguirla)
- Provare che l’impossibilità sia sopravvenuta per causa a lui non imputabile, ossia non
prevedibile né evitabile (caso fortuito o forza maggiore)

- Prestazioni di dare che abbiano per oggetto una cosa di genere: il debitore sarà sempre
responsabile per l’inadempimento (una cosa di genere non diventa mai impossibile
oggettivamente).
- Prestazioni di dare che abbiano per oggetto una cosa di specie/un genere limitato: possono
diventare oggettivamente impossibili. Le cause ignote sono a carico del debitore.
- Prestazioni di fare consistenti in prestazioni di mezzi: solo nel caso del direttore d’orchestra o
del lavoratore subordinato. L’onere di provare la colpa del debitore incombe sul creditore. Ma può
comunque risultare oggettivamente impossibile.

- Prestazioni di fare consistenti in prestazioni di risultato: l’impossibilità soggettiva non libera il
debitore da responsabilità. Quella oggettiva sì.

- Prestazioni di non fare. Il debitore è sempre responsabile, in quanto ogni fatto compiuto in
violazione dell’obbligazione è un fato volontario. Si dice quindi che il debitore è in dolo. 


4. La mora del debitore e del creditore 


La mora del debitore è il ritardo di questo nell’adempiere la prestazione dovuta. 

Non basta che un debitore sia inadempiente per essere definito in mora: occorre un atto formale,
chiamato “costituzione in mora”, che è la richiesta o l’intimazione scritta di adempiere rivolta dal
creditore al debitore, necessaria poiché si presume che il ritardo del debitore sia tollerato dal
creditore; per vincere questa presunzione è necessaria la costituzione in mora.
E’ superflua nel caso in cui il debitore abbia dichiarato per iscritto di non voler adempiere o quando
il termine della prestazione da eseguirsi al domicilio del creditore è scaduto, quando l’obbligazione
è da fatto illecito o è di non fare. 

Il creditore è dispensato dallo scrivere la costituzione in mora quando è impossibile attendersi o
non è ragionevole attendersi una prestazione tardiva della prestazione, quando essa non dipende
dall’iniziativa del creditore o quando il debitore è considerato immeritevole di tolleranza.


La mora produce due effetti:
- L’aggravamento del rischio del debitore: se dopo la costituzione in mora la prestazione
diventa impossibile per causa non imputabile al debitore, egli ne risponde ugualmente, a meno
che non dimostri che la prestazione sarebbe diventata impossibile anche nelle mani del
creditore. 

- L’obbligazione di risarcire i danni subiti dal creditore a causa dell’inadempimento o ritardo.
E’ detta responsabilità contrattuale. 

Il danno è formato da due componenti:

_ Il danno emergente, ossia la perdita subita dal creditore

_ Il lucro cessante, ossia il mancato guadagno che il danno ha causato.


La prestazione della consegna di denaro non diventa mai impossibile: anche dopo la
costituzione in mora il debitore è tenuto ad eseguirla, in più dovrà consegnare anche gli
interessi moratori, secondo il tasso legale. Se già decorrevano interessi compensativi superiori
al tasso legale, continueranno a decorrere a titolo di interessi moratori. 


Il ritardo nell’inadempimento può anche dipendere dal comportamento del creditore. La mora
del creditore è l’ingiustificato (illegittimo) rifiuto di ricevere la prestazione offertagli o di mettere il
debitore in condizioni di poterla eseguire, nei casi in cui il suo rifiuto danneggi il debitore. Per
non essere in mora il debitore deve fare il necessario affinché il debitore possa adempiere. 


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La costituzione in mora del creditore si effettua con l’offerta della prestazione da parte del
debitore (reale per le cose mobili da consegnare al suo domicilio, per intimazione per gli
immobili e le cose mobili da consegnare in luogo diverso).


Effetti della costituzione in mora del creditore sono:
- L’impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile al creditore: questa è a
carico del creditore (il debitore conserva il diritto alla controprestazione).
- Cessazione degli interessi sulle somme di denaro
- Il rimborso per le spese di custodia della cosa, e il risarcimento dei danni subiti a causa della
mora.


Il debitore potrà anche, in caso persista il rifiuto del creditore, conseguire la propria liberazione
con il deposito della somma dovuta in banca o delle altre cose mobili nel luogo indicato dal giudice
o con la consegna degli immobili al sequestratario nominato dal giudice.

5. Estinzione dell’obbligazione per cause diverse dall’inadempimento




L’obbligazione può estinguersi anche per impossibilità sopravvenuta non imputabile al debitore. 

Essa può essere:
- Temporanea: in tal caso, l’obbligazione non si estingue ed egli non sarà liberato. 

- Definitiva: se il tempo dell’adempimento era considerato essenziale

- Parziale: il debitore si libera eseguendo la parte di prestazione rimasta


Altre cause di estinzione sono:

1. La novazione: estinzione dell’obbligazione con costituzione di una nuova obbligazione, per
volontà di entrambe le parti, diversa da quella originaria o per titolo o per oggetto (es. datio in
solutum. Il consenso del creditore libera il debitore dalla precedente obbligazione). 

Non c’è novazione con la sola modifica del tempo dell’adempimento originariamente previsto.

2. La remissione: rinuncia volontaria del creditore al proprio diritto, che può essere espressa oo
implicita. Ciò estingue l’obbligazione sempre che il debitore non si opponga, entro un dato termine.

3. La confusione: avviene quando due persone sono obbligate l’una nei confronti dell’altra, in
forza di distinti rapporti obbligatori per i quali A sia debitore di B e B debitore di A. I due debiti si
estinguono per le quantità corrispondenti (es. A deve 100 a B, B deve 200 ad A. B consegnerà 100
a A). Può essere:

_ Compensazione legale: automatica se ricorrono i presupposti di legge; avviene fra debiti
omogenei (che hanno con oggetto somme di denaro o cose fungibili dello stesso genere, liquidi ed
esigibili) 

_ Compensazione giudiziale: decisa dal giudice, quando i debiti sono omogenei ed esigibili ma uno
dei due non è liquidato. 

_ Compensazione volontaria, stabilita per accordo fra le parti.

Capitolo 11: il contratto

1. Il contratto e l’autonomia contrattuale 




Funzioni del contratto:
- Modo d’acquisto delle proprietà, funzione di strumento per la circolazione dei beni

- Modo d’acquisto del diritto di credito

- Fonte delle obbligazioni: funzione di strumento mediante il quale ci si procura il diritto alle altrui 

prestazioni


L’articolo 1321 definisce generalmente il contratto come l’accordo di due o più parti per
costituire, regolare o estinguere fra loro un rapporto giuridico patrimoniale. 


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def. Patrimoniale: deve avere ad oggetto cose o prestazioni suscettibile di valutazione economica.
Questo è il requisito per la definizione di beni e delle prestazioni che formano oggetto di
obbligazione.)

La regolazione del contratto si articola in due serie di norme: 

1) “Contratti in generale”

2) “Singoli contratti”, ossia quelli che trovano nel codice civile una disciplina particolare, specifica.

Le norme sui contratti in generale valgono per tutti i contratti e si applicano a ciascuno di essi.


def. Accordo tra le parti: ciò che costituisce/regola/estingue un rapporto patrimoniale. Nel
contratto gioca un fondamentale ruolo la volontà dell’uomo. L’effetto giuridico del contratto è
prodotto della volontà delle parti interessate. L’importanza del contratto deriva dal riconoscimento
legislativo della signoria della volontà: la legge riconosce ai privati il potere di provvedere, con il
proprio atto di volontà, alla costituzione/estinzione/regolazione dei rapporti patrimoniali. 

Per definire questo ruolo della volontà dei privati si parla di libertà o autonomia contrattuale. 

- In senso negativo ciò significa che nessuno può essere spogliato dei propri beni o costretto ad
eseguire una prestazione a favore di altro contro o indipendentemente dalla propria volontà;
quindi nessuno è vincolato dalla volontà altrui (il contratto non vincola chi non ha partecipato
all’accordo, infatti non produce effetti rispetto ai terzi)

- In senso positivo ciò significa che i privati possono, volontariamente, costituire o regolare o
estinguere rapporti patrimoniale. La libertà contrattuale è quindi:

1. Libertà di scelta tra i diversi tipi di contratto previsti dalla legge, a seconda dei propri scopi.

2. Libertà di determinare il contenuto del contratto: ciascuna determinazione prende il nome di
clausola o di patto, che insieme vengono chiamati regolamento contrattuale. 

3. Libertà di cocludere contratti atipici o innominati, non corrispondenti ai tipi contrattuali
previsti dalla legge, ma ideati e praticati nel mondo degli affari. Essi sono validi purché siano diretti
a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’O.G (art. 1322). 


Il contratto è bilaterale quando le parti sono due. Devono necessariamente esser due, ma
possono essere di più: in questo caso, il contratto sarà plurilaterale. Quello di “parte del contratto”
non coincide con il concetto di persona: per parte si intende il centro di interessi. Un contratto
come quello di vendita resta bilaterale anche se ad essa partecipano più di due persone: ci
saranno in ogni caso un’unica parte venditrice, ed un’unica parte compratrice. 

Dai contratti si distinguono gli atti unilaterali, ossia le dichiarazioni di volontà di una sola parte.
Costituiscono una categoria chiusa: sono solo quelli previsti dalla legge (ad esclusione di quelli
atipici), che dispone una disciplina particolare per ciascuno di essi. Per quanto compatibili, ad essi
si applica la disciplina dei contratti. 


2. I requisiti del contratto: l’accordo tra le parti 


L’accordo tra le parti è l’incontro delle manifestazioni o dichiarazioni di volontà di ciascuna di
esse. Un contratto si dice concluso quando si raggiunge la piena coincidenza tra le dichiarazioni di
volontà delle diverse parti contraenti. 

Può essere una conclusione espressa (quando la volontà delle parti è dichiarata oralmente o per
iscritto, o con qualsiasi altro segno) o tacita (quando viene desunta dal loro comportamento).


L’accordo si può formare in modo simultaneo (quando ad esempio, le parti si recano insieme dal
notaio) o per fasi successive: le dichiarazioni di volontà prenderanno il nome di:

- Proposta; dichiarazione di volontà di colui che prende l’iniziativa del contratto
- Accettazione: dichiarazione di volontà che il destinatario della proposta rivolge al proponente. E’
accettazione solo quando corrisponde alla proposta. Se non è conforme, corrisponde ad una
nuova proposta. 


Il contratto è concluso quando chi ha fatto la proposta riceve notizia dell’accettazione dell’altra
parte, che deve pervenire entro il termine stabilito o in un tempo che possa ritenersi ragionevole in
relazione alla natura dell’affare. 

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La proposta può essere rivolta ad un destinatario determinato o assumere la forma di offerta al


pubblico.

Fino al momento in cui il contratto non si è concluso, le parti possono revocare proposta ed
accettazione. La conoscenza della proposta o dell’accettazione è una conoscenza presunta: nel
momento in cui giungono all’indirizzo di una delle parti, esse sono conoscibili. Ma il destinatario è
ammesso a provare d’essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di riceverne notizia.

Particolari tecniche di formazione dell’accordo riguardano:
- Contratti con obbligazioni del solo proponente (es. trasporto gratuito se il proponente è il
mandatario): il silenzio del destinatario della proposta è una tacita accettazione. 

- Contratti che ammettono esecuzione prima della risposta dell’accettante. L’accettazione
è tacita per l’iniziata esecuzione della prestazione. 


3. I limiti dell’autonomia contrattuale 


Essi sono i limiti a cui fa riferimento la legge 1321. Essi sono aumentati rispetto al passato, in
quanto sono il risultato della produzione in serie su larga scala ed imposti da esigenze di
governo pubblico dell’economia. 


Essi si manifestano sotto due aspetti:


- Possono essere limiti posti all’autonomia contrattuali di una delle parti: ricorre nel contratto in
serie (ossia quello il cui contenuto è predeterminato da una delle parti, privando l’altra della
possibilità di contrattare. Il suo opposto è il contratto isolato, frutto di trattative tra le parti
contraenti). La sua funzione è quella di regolare in modo uniforme i rapporti contrattuali con i
consumatori dei produttori o con gli utenti dei servizi. Giuridicamente il suo aspetto giuridico si
manifesta nell’efficacia che la legge attribuisce alle condizioni generali di contratto, quelle
predisposte in modo uniforme da uno dei contraenti. Per il primo comma dell’articolo 1341,
esse sono efficaci nei confronti dell’altro se al momento della conclusione del contratto questi le
ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza. Il consumatore è un
contraente debole, protetto dalla legge. Il secondo comma prevede alcune eccezioni al primo: le
clausole vessatorie devono essere specificatamente approvate per iscritto. Esse sono le
“condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità ,
facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l'esecuzione, ovvero sanciscono a carico
dell'altro contraente decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla
libertà contrattuale nei rapporti coi terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole
compromissorie o deroghe alla competenza dell'autorità giudiziaria”. 


Un limite all’autonomia contrattuale a carico del contraente forte è l’obbligo a contrarre (nei
casi dell’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile o in quello del monopolista). Chi
esercita un’impresa in condizione di monopolio legale (es. azienda di trasporto pubblico) ha
l’obbligo di contrarre con chiunque richieda le prestazioni che formano oggetto dell’impresa. La
scelta di contrarre è quindi libera per l’utente, ma non per il contraente forte. L’imprenditore è
tenuto a giustificare le ragioni del diniego di prestazione e a rispettare la parità di trattamento
(quindi secondo specifici criteri o secondo l’ordine delle richieste, e non secondo il proprio
arbitrio. 


- Possono essere limiti posti all’autonomia contrattuale di entrambe le parti: caso tipico è la
determinazione autoritativa, da parte dei pubblici poteri, dei prezzi di vendita di beni di largo
consumo (es. energia elettrica, pedaggi autostradali) o delle tariffe di determinati servizi
pubblici: l’organo che se ne occupa è il Cip (comitato interministeriale prezzi). Le clausole
imposte dalla pubblica autorità sono automaticamente inserite nel contratto, anche in
sostituzione a clausole difformi poste dalle parti. Questo processo di sostituzione automatica
avviene anche quando una clausola contrattuale voluta dalle parti sia contraria ad una norma
imperativa di legge (non derogabile per volontà delle parti). Quindi il contenuto del contratto non
è solo il risultato dell’accordo fra le parti, ma il frutto di una pluralità di componenti derivanti
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da fonti differenti: il codice civile esprime questo principio all’articolo 1374: “Il contratto obbliga le
parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne
derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi e l’equità”. 

Si deve perciò distinguere tra:

- Contenuto pattizio del contratto: voluto dalle parti

- Contenuto legale del contratto: imposto dalla legge 


Sono quattro le fonti del regolamento contrattuale:

1) La volontà espressa dalle parti


2) Le norme imperative di legge e le clausole direttamente inserite nel contratto secondo la legge
3) Gli usi (rispetto alla legge, essi hanno efficacia nelle materie regolate dalle leggi e dai
regolamenti solo in quanto sono da essi richiamati, art. 8 prel.)
4) Le equità (Ci si riferisce, con il termine “equità” a quella valutazione espressa dal giudice ad
integrazione delle valutazioni delle parti, nei casi in cui la legge gli consente di effettuarla.)

Usi ed equità assumono un carattere suppletivo (valgono in mancanza delle altre due).

4. I requisiti del contratto: la causa 


La causa è la funzione economica-sociale dell’atto di volontà. Il codice civile la definisce
“giustificazione dell’autonomia privata”. Ad esempio, la causa della vendita è lo scambio di cosa
con prezzo (è quindi una ragione oggettiva). La causa della permuta è lo scambio di cosa con
cosa, quella del contratto di lavoro è lo scambio di prestazione di lavoro con retribuzione in denaro. 

Oltre a quelli di scambio, esistono anche:
- Contratti a titolo oneroso (la cui causa è lo scambio di prestazioni)
- Contratti a titolo gratuito, la cui prestazione di una delle parti non trova una controprestazione
da parte dell’altra parte. Ma anche quelli a titolo gratuito hanno una loro causa. Per esempio,
quella della donazione è lo spirito di liberalità. 


I contratti tipici (quelli previsti e regolati dalla legge) hanno tutti una causa (detta “tipica”). La
questione di trovare una causa è già risolta dalla legge. Essi si presentano come modelli o schemi
precostituiti secondo i quali i privati possono regolare i loro reciproci interessi.


La causa in astratto è diversa da quella in concreto, particolarmente esemplificativo è il contratto
sottoscritto da colui che acquista un bene già suo: il contratto è tipico, ma nullo per mancanza di
causa. Il problema della causa in astratto si pone per i contratti atipici, non previsti dall’OG. Per
essi sarà il giudice a doversi accertare che essi siano diretti a realizzare interessi meritevoli di
tutela secondo l’OG (art. 1322, comma 2º), quindi che ricorra una causa (detta “atipica”): è
quindi previsto un controllo giudiziario sull’uso che i privati fanno della propria autonomia
contrattuale (si esercita in senso negativo quando il giudice si accerta che la causa non sia
illecita), ma anche in senso positivo, quando egli si accerta che gli interessi siano meritevoli di
tutela). 

Il giudice dovrà giudicare secondo il diritto, a protezione degli interessi degli stessi contraenti e
soprattutto di quello più debole.

La legge esige la cosiddetta expressio causae, ossia l’enunciazione esplicita della causa, anche
per gli atti di liberalità (causa donandi). 


Quando i contratti atipici risultano dalla combinazione di più contratti tipici, la causa sarà detta
mista (ma sarà unica).


Il fenomeno dei contratti collegati si manifesta nella situazione in cui esiste una pluralità
coordinata di contratti, che conservano causa autonoma, anche se mirano ad attuare un’unitaria
funzione economica. Ci possono per cui essere molti documenti contrattuali che formano un
contratto unico ed un unico testo che raggruppa più contratti: l’unità o pluralità di cause
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determinano se i contratti sono combinati, o semplicemente atipici. 




Dal requisito della causa discende l’inammissibilità dei contratti astratti, diretti a produrre effetti
per sola volontà delle parti. L’art. 1988 riguarda la semplice promessa di pagamento o il semplice
riconoscimento del debito (atti unilaterali): esse sono dichiarazioni astratte, da cui non emerge la
causa. Si presenta quindi una situazione di astrazione processuale, ossia l’inversione dell’onere
della prova. La promessa di pagamento o ad una ricognizione di debito producono il solo effetto di
dispensare colui al favore del quale sono fatte dall’onere di provare il rapporto fondamentale, ossia
la causa, l’esistenza della quale si presume fino a prova contraria. 


Il contratto di accertamento ha valore analogo alla ricognizione di debito. Con esse le parti mirano
ad eliminare l’incertezza relativa a situazioni giuridiche fra esse intercorrenti, e si vincolano
reciprocamente ad attribuire al fatto o all’atto preesistente gli effetti che risultano dall’accertamento
contrattuale. Assolve la sua funzione nel caso in cui effettivamente esista una situazione giuridica
preesistente e che essa fosse obiettivamente incerta. Ha effetto retroattivo.

L’astrazione materiale della causa si ha quando la legge riconosce che la sola dichiarazione di
volontà possa produrre effetto traslativo di diritti, indipendentemente dall’esistenza di una causa
(es. Deutschland). 


I motivi del contratto sono ≠ dalla causa. Questi sono le ragioni soggettive che inducono le parti al
contratto, e sono giuridicamente irrilevanti. Possono infatti differenziarsi rispetto alle due (o più)
parti. La causa è unica per entrambe.


5. I requisiti del contratto: l’oggetto


L’oggetto è la cosa o, più in generale, il diritto, che il contratto trasferisce. Normalmente il
contratto ha più oggetti (nella vendita sono oggetto sia la cosa che il prezzo), ma può essere unico
nei contratti che trasferiscono cose o diritti a titolo gratuito, o in quelli con obbligazioni di una sola
parte. 

L’oggetto deve essere:
- Possibile

- Materialmente: è impossibile quando si tratta di una cosa che non esiste o di una prestazione
ineseguibile. Può però formare oggetto del contratto una cosa suscettibile di venire ad esistenza
(come le cose future). E’ però vietato donare cose future.

- Giuridicamente: l’oggetto è impossibile quando consiste in una cosa che non è un bene in
senso giuridico (es. le parti del corpo umano); oppure quando la legge dichiara il bene
inalienabile o fuori commercio (es. un bene demaniale).
- Lecito (vdi cap. 12)
- Determinato/Determinabile: la cosa dev’essere identificata in maniera sicura. Può anche
essere determinabile in base a criteri di individuazione enunciati nello stesso contratto o
altrimenti ricavabili (es. la determinazione del prezzo di vendita può fare riferimento a listini o
quotazione ufficiali, ma non è necessario il riferimento quando le cose hanno un concreto prezzo
di mercato).

6. I requisiti del contratto: la forma

Nel nostro sistema vige il principio della libertà delle forme. E’ sufficiente, perché il contratto sia
valido e produttivo di effetti, che la volontà delle parti si sia manifestata. 

Un’eccezione è rappresentata dai contratti immobiliari, che trasferiscono/costituiscono/
modificano/estinguono proprietà o altri diritti reali sugli immobili: questi dovranno essere conclusi
per atto scritto. La forma scritta è necessaria anche per altri contratti o atti unilaterali indicati dalla
legge.

La forma scritta può consistere in due differenti mezzi di prova, che formano titolo per la
trascrizione: 

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- Atto pubblico: redatto dal notaio, che attesta le volontà dichiarate alla sua presenza dalle parti.
Fa prova, fino a querela di falso, di quanto il notaio attesta essere stato detto e fatto in sua
presenza. L’atto pubblico è richiesto solo in casi eccezionali (“forma solenne”): la donazione, il
contratto di s.p.a e di società a responsabilità limitata.

- Scrittura privata: documento redatto e sottoscritto direttamente dalle parti. Può essere
autenticata da un notaio (che si limita ad attestare che le parti hanno sottoscritto il documento alla
sua presenza, e che quindi le firme sono autentiche). Il requisito della forma scritta è soddisfatto
anche se la scrittura privata non è autenticata. Fa prova dell’autenticità delle forme e serve per
impedire che una delle parti possa disconoscere la propria firma. 


Differente è la forma scritta che la legge richiede per la prova del contratto o per il patto di non
concorrenza fra imprenditori. In questi casi il contratto è valido anche se non è redatto per iscritto,
ma se una delle parti ne contesta l’esistenza, la sua prova sarà particolarmente ardua: potrà
essere provato solo con la confessione dell’altra parte, o con il giuramento. E’ qui richiesta la forma
scritta solo per la prova. 


7. Il contratto preliminare


Il contratto preliminare è quello con il quale le parti si obbligano a concludere un futuro contratto,
del quale predeterminano il contenuto essenziale. Il codice civile ne prescrive la forma, che deve
essere la stessa che la legge richiede per il contratto definitivo; inoltre prevede l’eventualità che
una delle parti non adempia: in quel caso l’altra parte può rivolgersi ad un giudice ed ottenere
l’esecuzione forzata dell’obbligazione contrattat1a. La sentenza del giudice produrrà gli effetti del
contratto non concluso. 

La minuta di contratto o lettera di intenti è quella attraverso la quale le parti concordano su alcuni
estremi del futuro contratto, ma non sui punti essenziali. Se non si raggiunge un successivo
accordo, il contratto peccherà di oggetto, in quanto indeterminato e non determinabile, quindi nullo.

8. I contratti del consumatore




Il codice del consumo introduce nuove norme per la tutela delle esigenze di protezione del
consumatore. La materia è regolata con riferimento al contratto che intercorre fra parti così
definite:

- Un professionista: una persona (fisica-giuridica, privata-pubblica) che nell’ambito della sua
attività conclude contratti aventi per oggetto la cessione di beni o la prestazione di servizi.
- Un consumatore: persona fisica che si procura per contratto beni o servizi offerti da un
professionista, per utilizzarli a fini personali. 


Tale contratto è legislativamente valutato come contratto con il quale un contraente forte, il
professionista, può avvalersi della propria forza contrattuale per imporre al consumatore
condizioni contrattuali che provocano uno squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal
contratto, violando il dovere di buona fede e danneggiando il consumatore.
Si definiscono come vessatorie le clausole contrattuali che provocano un significativo squilibrio dei
diritti e degli obblighi reciproci. E’ uno squilibrio soggettivo e non economico; riguarda solo diritti e
doveri. Il codice del consumo fornisce una serie di presunzioni relative, che ammettono la prova
contraria da parte del professionista. Sono vessatorie, fino a prova contraria, venti clausole
menzionate, di cui le più importanti sono:
- Escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o danno alla persona
del consumatore, risultante da un fatto o da un’omissione del professionista (a)
- Escludere o limitare le azioni o diritti del consumatore nei confronti del professionista o di
un’altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di inadempimento inesatto da parte
del professionista (b)
- Prevedere l’estensione dell’adesione del consumatore a clausole che non hanno avuto la
possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto. (l)

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E’ però una categorie aperta: anche fuori dalle venti ipotesi previste, il consumatore può dare
prova dello squilibrio provocato da una data clausola. La sorte delle clausole vessatorie è diversa:
nel caso di quelle citate (a-b-l), esse sono sempre comunque nulle. Negli altri casi, esse sono
nulle solo se unilateralmente predisposte dal professionista, al di fuori della trattativa contrattuale
(anche quando il contratto è stato concluso mediante la sottoscrizione di un modulo o formulario)


La nullità è relativa: opera solo a vantaggio del consumatore. E’ anche parziale: non colpisce
l’intero contratto ma solo la singola clausola vessatoria.

Capitolo 12: validità ed invalidità del contratto

1. Le cause di nullità del contratto




Il contratto è invalido quando è in contrasto con una norma imperativa di legge (= quelle non
derogabili per volontà delle parti. Al contrario, sono norme dispositive quelle che ammettono
diversa volontà delle parti). 

L’invalidità è di due specie, per il comma 1º dell’art. 1418.

1) La nullità: più generale, è quella prevista dalla legge come conseguenza della violazione di una
data norma imperativa. E’ quindi virtuale.
2) La annullabilità: è speciale, è prevista dalla legge come conseguenza della violazione di una
norma imperativa. E’ quindi testuale.

Nel 2º comma del 1418 sono presentate una serie di applicazioni alla regola di nullità del contratto
per contrasto con una norma imperativa di legge; prima fra tutte la mancanza di uno dei requisiti
del contratto: l’accordo, la causa (negli atipici), l’oggetto o la forma (se richiesta a pena di nullità)

L’accordo è il risultato della concorda dichiarazione di volontà delle parti. Si compone di due (o
più) dichiarazioni di volontà (con le quali il contraente partecipa all’accordo), in cui si può
distinguere fra volontà (interna al soggetto) e dichiarazione (atto scritto-parole-segni), mediante
la quale il soggetto esterna la propria volontà. La volontà è irrilevante. La dichiarazione è valida
solo quando corrisponde ad una volontà del dichiarante (se salutassi un mio amico all’asta,
ovviamente non desidererei acquistare. Quindi il gesto sarebbe giuridicamente irrilevante).
Un contratto è nullo per mancanza dell’accordo quando manca l’interna volontà delle parti di
produrre effetti giuridici.

- Dichiarazione non seria: per esempio quando un contratto è dichiarato per finzione scenica o
esemplificazione didattica. 

- Dichiarazione non voluta a seguito di una violenza fisica: ad esempio il caso di contratto firmato
in caso di assoluta incapacità di intendere o di volere provocata dall’altro contraente: c’è la
dichiarazione esterna, ma manca la volontà. 


Quando c’è divergenza fra interna volontà e dichiarazione, la legge prevede la semplice
annullabilità del contratto. In questi casi il dichiarante vuole la dichiarazione, ma questa è per
errore formulata non esattamente (errore ostativo) o inesattamente trasmessa.


2. Il contratto illecito

Il contratto è nullo per illiceità della causa, dell’oggetto e dei motivi. Il contrario le norme
imperative del risultato che le parti si propongono di realizzare.
La causa, l’oggetto ed i motivi sono illeciti quando contrari a norme imperative, all’ordine pubblico o
al buon costume, per difesa dei valori di natura collettiva (pacifica convivenza tra uomini e
progresso della società) ed individuale (libertà, dignità, sicurezza dei singoli). 

La difesa di questi valori fondamentali è generalmente espressa attraverso formulazione legislativa
di norme imperative, ma questa non è necessaria perché il giudice consideri illecito un contratto:
può esserlo anche perché in contrasto con l’ordine pubblico ed il buon costume. Le norme sono
comunque imperative, ma si ricavano per implicito dal sistema legislativo. Il buon costume è
costituito da norme che comportano una valutazione del comportamento dei singoli in termini di
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moralità e di onestà. 


L’illiceità del contratto si articola in illiceità:

- Dell’oggetto: quando la cosa ricavata tramite il contratto è il prodotto o lo strumento di


attività contrarie alle norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume; o quando la
prestazione dedotta in contratto è attività vietata.
- Della causa: investe la funzione del contratto. L’oggetto può essere lecito, ma la causa illecita:
è il caso del contratto che obblighi le parti ad una prestazione e controprestazione lecite, ma di
cui è vietata la causa: nella pratica ciò è pressoché impossibile. Il C.C considera i contratti
conclusi in frode alla legge come illeciti nella loro causa. E’ in frode alla legge il contratto che
costituisce il modo per eludere l’applicazione di una norma imperativa: le parti mirano a
raggiungere un risultato vietato, e concludono una serie di contratti in sè leciti per mascherare i
loro intenti.
- Dei motivi: che diventano giuridicamente rilevanti solo quando illeciti. Per essere illecito, il
motivo deve soddisfare due requisiti:

- Dev’essere quello esclusivo del contratto

- Deve essere comune ad entrambe le parti: occorre che l’altra sia partecipe e miri a trarre
vantaggio dall’attività illecita che è motivo el contratto.


3. Le cause di annullabilità: a) l’incapacità di contrarre

Il contratto è annullabile quando la legge esplicitamente ricollega alla violazione di norme


imperative la conseguenza della annullabilità, anziché quella della della nullità.

- Incapacità a contrarre di una delle parti: può essere legale o naturale. Gli incapaci legali sono i
minorenni, gli infermi totali di mente che siano interdetti. Parzialmente privi della capacità di
contrarre sono i minori emancipati e i parziali infermi di mente che siano stati inabilitati. I contratti
da loro conclusi sono annullabili: l’annullamento può essere domandato al giudice da:

- Coloro che esercitano la potestà sul minore (i genitori/tutori, il curatore) o sull’interdetto (tutore) o
inabilitato (curatore)

- Dalla stessa parte legalmente incapace raggiunta la maggiore età o una volta revocato il suo 

stato di interdizione o inabilitazione

- Gli eredi o aventi causa del minore 


L’annullamento non può essere chiesto dal contraente capace (l’annullabilità è prevista a
protezione del contraente incapace).


L’incapacità naturale è quella di chi ha giuridicamente capacità legale ma è quella di maggiorenni
affetti da infermità mentale, ma non interdetti né inabilitati; oppure la temporanea incapacità di
intendere e di volere di un soggetto per una causa transitoria al momento della conclusione del
contratto (es. ubriachezza).

Si potrebbe pensare che nel contratto dell’incapace naturale non ci sia sufficiente volontà, e
provando la sua incapacità naturale si possa ottenere l’annullamento. Non è così.

- Gli atti unilaterali (es. offerta al pubblico) sono annullabili su istanza dell’incapace/dei suoi eredi/
aventi in causa se si prova che dall’atto deriva un grave pregiudizio (= grave danno).
- Per i contratti ciò non basta, bisogna anche dimostrare la mala fede dell’altro contraente, che
conosceva lo stato di incapacità naturale o avrebbe potuto conoscerlo utilizzando l’ordinaria
diligenza. 

In questo caso è protetto l’affidamento di chi ha contratto con l’incapace: l’interesse prevalente è
quello generale della vasta e sicura circolazione dei beni.

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L’incapacità naturale del donante comporta l’annullabilità del contratto, anche se ignota al
donatario. Se lo stato di incapacità naturale è stato provocato dall’altro contraente, si tratta di
violenza fisica, ed il contratto è nullo.

4. Continua: b) l’errore motivo e l’errore ostativo

Il contratto o l’atto unilaterale è annullabile se la volontà delle parti è stata dichiarata per errore,
carpita con dolo o estorta con violenza. Queste tre ipotesi sono categorizzate come vizi della
volontà (o del consenso, con riferimento ai contratti): la volontà è presente, ma il suo processo di
formazione è alterato.

Ci sono due specie di errori:

- L’errore motivo sorge nella formazione della volontà prima che venga dichiarata all’esterno. E’
quindi una falsa rappresentazione della realtà che induce un soggetto a dichiarare una volontà
che non avrebbe dichiarato altrimenti. Per causare annullabilità dev’essere un errore essenziale,
quindi determinante del volere. Quattro ipotesi di errore emotivo:

Sono errori di fatto (determinati da una falsa conoscenza di fatti/cose/persone): 


- Errore sulla natura del contratto (errore sul tipo di contratto che si conclude), o sull’oggetto 

del contratto (riguarda la prestazione o la cosa che si ottiene con il contratto).

- Errore sull’identità dell’oggetto (voglio comperare un terreno ma ne acquisto un altro; questo 

tipo di errore riguarda anche la qualità dell’oggetto: compro un mobile ad un certo prezzo 

credendo sia originale; ma non l’avrei comprato a quel prezzo sapendo che fosse un’imitazione).

L’errore sul valore è irrilevante (il mobile vale molto meno rispetto al prezzo che ho pagato): 

l’errore cade sulla convenienza economica del contratto, quindi non è giuridicamente rilevante. 

Se è però l’altro contraente ad indurre l’altro contraente in errore, il contratto sarà annullabile per 

dolo. L’errore sul prezzo è un errore ostativo: si fraintende la proposta del venditore: il mio 

errore sulle dichiarazione altrui diventa errore nella mia dichiarazione. 


- Errore sull’identità (credo di contrattare con A, ma contratto con B) o sulle qualità dell’altro
contraente (credo di contrattare con una persona ricca, che in realtà è povera): rileva solo in
contratti intuitu personae, cioè quando l’identità/qualità dell’altro siano determinanti del consenso. 

Nei contratti personali l’identità o le qualità dell’altro contraente sono sempre determinanti del
consenso (per esempio, locazione/mutuo/appalto: si tiene conto della solvibilità del locatario/
mutuario, e delle qualità professionali dell’appaltatore: non possono essere persone scelte a caso). 


E’ errore diritto quello provocato dall’ignoranza o dalla falsa conoscenza di norme di legge/
regolamento. E’ il caso:

- dell’errore sui motivi del contratto (quando è di diritto): quando questi siano inficiati 

dall’ignoranza o dalla falsa conoscenza di una norma, e costituiscono ragione esclusiva o 

principale del contratto (e quindi è essenziale). Deve anche essere errore riconoscibile dall’altro
contraente: deve quindi essere un errore rilevabile da una persona di normale diligenza (si va a
proteggere l’affidamento dell’altro contraente e la sicurezza nella circolazione dei beni). Esempio:
se compro un terreno pensando di poterci edificare, ma le disposizioni comunali lo vietano, dovrò
dimostrare che il venditore era in grado di rendersi conto che io non avessi altro scopo fuorché
edificare. In questo senso si dovranno considerare anche il contenuto, le circostanze del contratto
e le qualità del contratto. 


L’errore ostativo cade:

- Sull’esterna dichiarazione della volontà, (e non sulla sua formazione): errore commesso dal
dichiarante

- Sulla sua errata trasmissione da parte di uffici o dalla persona incaricata: errore commesso da un
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terzo


L’errore ostativo è giuridicamente equiparato a quello motivo. Il contratto risulta annullato solo se
riconoscibile dall’altro contraente.

5. Continua: c) il dolo; d) la violenza morale

Il dolo, inteso come vizio del consenso, corrisponde al concetto comune di “inganno”. 

Errore motivo ≠ dolo: nel caso del dolo l’errore è specificatamente causato dai raggiri usati
dall’altro contraente o da un terzo. Se questi sono stati determinanti per il consenso (dolo
determinante), il contratto è annullabile. Se questa avrebbe ugualmente trattato, ma a condizioni
differenti (dolo incidente), il contratto è valido ma l’altra parte deve risarcire il danno subito. In
generale, non occorre che l’errore sia essenziale: include anche l’induzione in errore sul valore
dell’oggetto del contratto, irrilevante se non indotto da dolo (es. se raggirandoti ti convincessi del
valore di un certo mobile, quando questo valga molto meno, allora il tuo errore sarebbe
giuridicamente rilevante: sarebbe dolo). 


Per comportare l’annullamento, il raggiro del terzo dev’essere noto al contraente che ne ha tratto
vantaggio (anche senza che quest’ultimo abbia cospirato con il terzo). Guarda esempio pag. 223.


Il dolus bonus consiste nell’esagerare il decantare le qualità del proprio prodotto o abilità
professionali: una persona di media avvedutezza sa che queste vanterie non corrispondono al
vero. Quindi non potrà esserci annullamento del contratto.

La violenza morale, nel senso di vizio di consenso, consiste nell’estorcere il consenso di un


soggetto con la minaccia, costringendola a dichiarare una propria volontà “ricattandola” (non dirlo
all’esame). Il male può essere:

- Alla persona stessa

- Ai diritti della persona stessa

- Ai beni della persona stessa

- Alla persona/ai beni del coniuge, degli ascendenti, dei discendenti.

Se riguarda parenti in via collaterale (fratello), o affini (suocera) o persone non legate al contraente
da rapporti di parentela o affinità, allora l’annullamento è rimesso alla valutazione del giudice. 


Per essere annullato, il contratto dev’essere concluso sotto minaccia di male ingiusto, cioè
contrario al diritto. Se la minaccia riguarda il far valere un diritto, allora è causa di annullamento
solo se diretta a realizzare vantaggi ingiusti (es. se non mi cedi il tuo brevetto, ti licenzio per
riduzione del personale). 

Il male provocato al contraente dev’essere anche notevole, quindi di gravità superiore al danno
provocato dal contratto. Si tiene conto dell’impressionabilità dell’uomo medio, in rapporto
all’età, al sesso e alle condizioni personali. 


La violenza può provenire da un terzo, ma non occorre che essa sia nota al contraente che
(inconsapevolmente) ne ha tratto vantaggio. Si attenua la protezione dell’affidamento dell’altro
contraente, che subirà l’annullamento del contratto anche se ignaro della violenza del terzo.
6. Le conseguenze della nullità e dell’annullabilità

- Nullità: a chiedere la dichiarazione di nullità è legittimato chiunque, anche terzo alle parti,
dimostri di aver interesse. Essa può essere rilevata d’ufficio dal giudice (che può dichiarare nullo
un contratto che sia stato dedotto in giudizio, anche senza apposita domanda). L’azione di nullità è
imprescrittibile (non ha limitazione di tempo). La sentenza opera retroattivamente: elimina
quindi ogni effetto del contratto sia fra le parti sia rispetto ai terzi (anche in buona fede). La legge
sacrifica le esigenze di sicurezza di circolazione dei beni per proteggere quelle di autonomia
contrattuale. Il contratto nullo non può essere convalidato, ma può essere convertito, per esempio
quando esso è nullo come contratto di un tipo ma presenta i requisiti di un altro tipo contrattuale.
La legge segue infatti il principio di conservazione del contratto, e tende finché è possibile, ad
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attribuire effetti ad una dichiarazione di volontà. Infatti le cause di nullità che investono singole
clausole non comportano nullità dell’intero contratto, se non erano essenziali e se sono sostituite
di diritto da norme imperative di legge. 


- Annullamento: a chiedere l’annullamento è legittimata solo la parte a favore della quale è
prevista l’annullabilità: la parte incapace di agire, il suo erede o avente causa; la parte vittima
dell’errore/dolo/violenza ecc. L’annullamento può essere pronunciato dal giudice solo su domanda
o su eccezione della parte legittimata. La sentenza che annulla il contratto opera retroattivamente
fra le parti, ma esclusivamente rispetto ai terzi in malafede, che conoscevano (o potevano
conoscere) la causa di annullabilità del contratto. Non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di
buona fede. La legge sacrifica l’autonomia contrattuale per proteggere le esigenze di sicurezza di
circolazione dei beni. Il contratto annullabile può essere convalidato, sanando il contratto e
precludendo l’annullamento, mediante un’espressa dichiarazione di convalida (proveniente dalla
parte a cui spetta l’azione di annullamento) o in modo tacito (se la “vittima” dà volontariamente
esecuzione del contratto, pur conoscendo la causa di annullabilità).

In questa materia torna il conflitto d’esigenze tra la protezione dell’autonomia contrattuale e le
esigenze di sicurezza di circolazione dei beni. Le regole menzionate in annullamento e nullità non
valgono se il terzo ha acquistato diritti a titolo gratuito o se l’annullamento dipende dall’incapacità
legale: la sentenza di annullamento produce rispetto a tutti i terzi (anche di buona fede), gli stessi
effetti della sentenza di nullità. 

Gli effetti della nullità in termini di circolazione dei beni possono essere neutralizzati mediante
l’acquisto dei beni a titolo originario, tramite il possesso in buona fede o l’usucapione: per esempio,
la sentenza di nullità sarà inutile per il venditore se il compratore avrà usucapito il bene. 


Nel contratto plurilaterale, la nullità o l’annullabilità di una delle parti non comporta nullità dell’intero
contratto, a meno che essa non fosse essenziale. Il contratto potrà quindi, in ogni caso, avere
attuazione con le parti restanti.

Capitolo 13: efficacia e inefficacia del contratto



1. Invalidità ed inefficacia del contratto


Invalidità del contratto ≠ inefficacia.


Il contratto invalido è anche inefficace: la nullità o l’annullamento rendono il contratto improduttivo
di effetti giuridici, anche retroattivamente. 

Il contratto valido è normalmente anche efficace, ossia produce l’effetto di costituire/regolare/
estinguere rapporti giuridici nel momento in cui si perfeziona (all’atto di formazione dell’accordo).
Eccezionalmente quello valido è anche inefficace, ossia non produttivo di effetti. Può essere:
- Temporaneamente inefficace/efficace: quando sottoposto a termine o a condizione

- Definitivamente inefficace: come nel caso del contratto simulato (inefficace tra le parti ma 

efficace nei confronti di determinate serie di terzi)

- Inefficace in modo assoluto: opera sia fra le parti che rispetto ai terzi

- Inefficace in modo relativo: opera solo nei confronti dei terzi o di determinati terzi (e allora 

l’inefficacia prende il nome di inopponibilità). Un caso è il contratto immobiliare non scritto, che 

ha validità fra le parti ma non rispetto ai terzi.
A volte le cause che provocano l’inefficacia sono dello stesso ordine di quelle che producono
nullità. Per esempio, la contrarietà a norme imperative determina normalmente la nullità del
contratto, “salvo che la legge non disponga diversamente”: quindi, può anche rendere il contratto
annullabile o semplicemente inefficace. (es. prelazione o condizioni generali non conosciute
dall’altro).

2. Il termine e la condizione del contratto

Le cause di inefficacia che agiscono nel tempo:


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- Inefficacia iniziale: ritardano l’efficacia del contratto o ne rendono possibile una successiva
efficacia
- Inefficacia sopraggiunta: tolgono effetti ad un contratto inizialmente efficace.
L’efficacia iniziale può essere subordinata dalle parti al raggiungimento di un termine detto iniziale
(firmo un contratto il 2 gennaio, ma avrà effetto a partire dal 2 marzo). Il termine finale limita nel
tempo l’efficacia di un contratto.


La condizione è un avvenimento futuro ed incerto al verificarsi del quale è subordinata l’iniziale
efficacia del contratto o di una sua clausola (condizione sospensiva: se diventi biondo ti vendo
casa mia), oppure la cessazione degli effetti di un contratto o di una sua clausola (condizione
risolutiva: se intanto che aspetto che A diventi biondo, posso affittare casa mia a B. Se A dovesse
diventare biondo la condizione risolutiva del suo contratto di locazione ne causerà lo scioglimento).

La condizione più anche consistere in un avvenimento già accaduto ma di cui non si ha ancora
notizia quando si conclude il contratto. L’incertezza può essere di vario grado (può essere incerto
sia il se sia il quando, ma anche solo il quando e non il se). 

L’avvenimento futuro ed incerto può essere indipendente dalla volontà delle parti (condizione
causale); ma anche dipendere dalla volontà di una di esse: la condizione potestativa, per
esempio, dipende dal futuro comportamento volontario di una delle parti. Quando la condizione
sospensiva è meramente potestativa il contratto è nullo, in quando manca la volontà attuale di
acquistare un diritto o assumere un’obbligazione.
La condizione contraria a norme imperative/ordine pubblico/buon costume rende nullo il contratto
(ti dono la mia casa se ti fai ebreo —> condizione contraria all’ordine pubblico)
La condizione che consiste in un evento irrealizzabile è impossibile. Può essere irrealizzabile in
assoluto o non realizzabile in concreto (quando la condizione consiste in un evento che non potrà
più verificarsi es. la morte già avvenuta). La condizione impossibile sospensiva rende il contratto
nullo, quella risolutiva si considera come non apposta. 


Il codice civile regola la condizione volontaria, quella apposta per volontà dalle parti. Si parla di
condizione legale quando è la stessa legge a rende efficace un contratto al verificarsi di un evento
futuro e incerto (es. l’approvazione del contratto da parte delle autorità).

Capitolo 14: la rappresentanza




1. Il contratto in nome altrui 


Spesso accade che una o entrambe le parti del contratto siano soggetti diversi dalle parti del
rapporto. La rappresentanza avviene quando è il rappresentante che partecipa alla conclusione del
contratto con una propria dichiarazione di volontà, e non colui che subisce gli effetti giuridici di
quella dichiarazione (il rappresentato).

Il potere della rappresentanza può essere conferito:



- Dall’interessato (rappresentanza volontaria): è manifestazione dell’autonomia del soggetto, che 

affida la sua volontà ad altri. 

- Dalla legge (rappresentanza legale, es. genitori di minorenni o tutore dell’incapace): è
manifestazione della mancanza di autonomia del soggetto, quindi si ha eteronomia. 


In entrambi i casi, il contratto produce direttamente effetto nei confronti del rappresentato. Perchè
ciò accada, sono necessarie tre condizioni:

- Il rappresentante deve contrattare in nome altrui: non basta che abbia agito per conto altrui,
occorre la cosiddetta spendita del nome. Il contratto deve essere concluso a nome del
rappresentato, e, se scritto, deve essere formato con la menzione del suo nome e sottoscritto in
nome del rappresentato. Se un soggetto omette di spendere il nome altrui, il contratto produrrà
effetti nei suoi confronti, anche se l’altro contraente sapeva che egli non agiva per conto proprio. 


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L’effetto rappresentativo si attua solo se il rappresentante è investito del potere di rappresentanza.


Nella rappresentanza legale, il potere è inerente ad una qualità del rappresentante: quella del
genitore o del tutore.

In quella volontaria, è conferita da una dichiarazione di volontà del rappresentato (la procura), che
è un atto unilaterale non recettizio: non è rivolto ad un destinatario determinato ma alla generalità
dei terzi, di fronte ai quali il rappresentato legittima il rappresentante a contrattare in suo nome. 

La procura può essere:

- Speciale, ossia riguardante un solo determinato affare 

- Generale ossia relativa ad una determinata serie di affari (tutti gli affari di un certo tipo, o da
concludere in una certa zona ecc.) o relativa a tutti gli affari del rappresentato. 


La procura deve avere la stessa forma del/i contratto/i che si intende/ono concludere. 


Il falsus procurator è il falso rappresentante: il soggetto che agisce come rappresentante altrui
senza averne i poteri o il rappresentante che eccede i limiti di questi poteri. 

Se il falsus procurator ha agito in nome altrui, il contratto sarà inefficace, ossia improduttivo. La
persona in nome della quale ha contrattato il falsus procurator o i suoi eredi possono rettificare il
contratto tramite una dichiarazione unilaterale di volontà chiamata ratifica: questa ha effetto
retroattivo. 

La procura può anche essere sollecitata dal terzo contraente, i cui interessi sono sacrificati
mediante l’inefficacia del contratto, che protegge gli interessi del falso rappresentato. Il rischio di
imbattersi in un falsus procurator è addossato dalla legge al terzo contraente, che può solo
pretendere il risarcimento dei danni subiti dal falso rappresentante, ma solo se il terzo ha
confidato nel falso rappresentante in maniera non negligente. La legge addossa al terzo l’onere
(e il diritto) di accertare l’esistenza/estensione dei poteri rappresentativi di colui con il quale
contratta. 


La responsabilità del falsus procurator è una responsabilità da fatto illecito (2043): il danno che
deve risarcire è l’interesse contrattuale negativo, ossia una somma corrispondente alla
diminuzione patrimoniale che il terzo non avrebbe subito (spese per la contrattazione) e al
vantaggio che egli avrebbe ottenuto se non avesse contrattato con il falso rappresentante (danno
delle occasioni perdute, derivato dal contraete dalla rinuncia ad altri contratti). 


Il rappresentato può sempre revocare la procura e modificarne il contenuto. La revoca è un atto
unilaterale, ed il rappresentato ha l’onere di portare a conoscenza dei terzi con mezzi idonei
(altrimenti il contratto è ancora efficace, salvo che il terzo non fosse già a conoscenza della revoca/
modificazione della procura). 


Il rappresentante deve contrattare nell’interesse del rappresentato, quindi non nel suo. Può
accadere che ci sia una situazione di conflitto di interessi quando la realizzazione degli interessi
del rappresentato comporti il sacrificio del rappresentante (o il contrario). Il contratto concluso dal
rappresentante in una situazione di conflitto di interessi sarà annullabile su domanda del
rappresentato (es. rappresentante che conclude con sé stesso).


2. Rappresentanza e ambasceria 

Il rappresentante agisce per procura del rappresentato. La capacità legale di agire, necessaria per
la conclusione del contratto, dev’essere del rappresentato: è lui che dev’essere capace di disporre.
Se il rappresentato è legalmente incapace di agire, il contratto sarà annullabile. Non è necessario,
invece, che il rappresentante sia legalmente capace. E’ sufficiente, per la validità del contratto, la
capacità naturale di agire. 


Il rappresentante è investito del potere di determinare il contenuto del contratto da concludere.


- La procura non pone limiti: il rappresentante dichiara a nome altrui la propria volontà, quindi i
vizi del consenso renderanno annullabile il contratto solo in caso siano vizi della volontà del

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rappresentante. Gli stati soggettivi (buona-mala fede) devono essere considerati con riguardo al
rappresentante.

- Nella procura sono determinati alcuni elementi del contratto: il contenuto è determinato dalla
volontà del rappresentato e del rappresentante, il quale dichiara una volontà solo in parte sua. I
vizi del consenso che riguardino elementi del contratto predeterminati dal rappresentato
renderanno annullabile il contratto solo se risulta viziata la volontà del rappresentato. Idem per
gli stati soggettivi (rileva la mala/buona fede del rappresentato nel caso siano elementi
predeterminati)


- Tutti gli elementi del contratto sono predeterminati dal rappresentato: il rappresentante si limita a
dichiararne la volontà altrui. In questo caso, si entra nella situazione dell’ambasceria: chi agisce
in nome altrui è un semplice portavoce. I vizi del consenso e gli stati soggettivi da considerare
sono sempre quelli del rappresentato. L’errore ostativo del portavoce (l’errore nella
dichiarazione) rende il contratto annullabile se conoscibile dall’altro contraente. 


3. Mandato con e senza rappresentanza 




Il rapporto tra rappresentato e rappresentante è regolato da un contratto dal quale nasce
l’obbligazione del rappresentante di agire nel nome del rappresentato.


Fonti dell’obbligazione possono essere: 

- Un contratto di lavoro

- Un contratto di agenzia
- Un contratto di mandato: il mandato è il contratto con il quale un soggetto (mandatario) si obbliga 

nei confronti di un altro (il mandante) a compiere uno o più atti giuridici per conto di questo. Il 

mandatario ha diritto ad un compenso per l’attività svolta. Esso può essere espresso o tacito. Il
mandatario è obbligato ad agire per conto del mandante che gli corrisponderà un compenso. Se al
mandatario è conferita anche la procura, allora dovrà agire in nome del mandante. 

In caso contrario, il mandato sarà senza rappresentanza. Il mandatario agirà per conto del
rappresentante ma senza spenderne il nome. Egli sarà obbligato per contratto a trasferire al
mandante i diritti da lui acquisiti; avendo il diritto di essere rimborsato per quanto ha dovuto pagare
al terzo contraente.


Capitolo 15: gli effetti del contratto

1. Gli effetti del contratto tra le parti 




Il contratto è formato dall’accordo tra due o più parti. Esso instaura un rapporto tra i contraenti,
detto “rapporto contrattuale”, costituito dall’insieme di diritti e delle obbligazioni reciproche assunti
tramite il contratto. L’adempimento delle obbligazioni prende il nome di esecuzione. Il loro
inadempimento è detto inesecuzione. L’esecuzione può essere:

- Istantanea: contratti il cui adempimenti si esaurisce, per ciascuna delle parti, nel compimento di
un solo atto simultaneo alla conclusione del contratto o senza intervallo di tempo rispetto ad
essa (es. vendita).
- Differita: se l’adempimento è vincolato ad un termine (evidentemente successivo a quello della
conclusione). Può capitare che l’adempimento si frazioni in più atti (es. pagamento a rate).
- Continuata o periodica: obbligano le parti ad una prestazione continuativa (es. lavoro) o che
dev’essere periodicamente ripetuta nel tempo.


Una volta concluso, il contratto ha forza vincolante per le parti. Questa è chiamata dal codice civile
“forza di legge” (sono quindi tenute a rispettarlo allo stesso modo con cui sono tenute ad
osservare la legge).

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Per sciogliere il contratto occorre un nuovo atto di autonomia contrattuale, detto mutuo dissenso:
un nuovo accordo diretto ad estinguere il rapporto contrattuale. 

Il contratto può però ammetttere ad una (o entrambe) le parti la facoltà di recesso unilaterale, che
non richiede l’accettazione dell’altra e che vale nel momento stesso in cui questo viene comunicato
(se il contratto aveva forma scritta, il recesso dovrà avere stessa forma). 

- Esecuzione istantanea/esecuzione differita: la facoltà di recesso può essere esercitata, salvo
patto contrario, solo prima che il contratto abbia avuto un principio di esecuzione.
- Esecuzione continuata o periodica: il recesso è possibile anche se è già iniziata l’esecuzione del
contratto, e non ha effetto retroattivo (le parti non possono pretendere la restituzione di ciò
che hanno prestato fino a quella data).

Nei contratti plurilaterali la recessione di una parte non comporta lo scioglimento dell’intero
contratto, a meno che la sua partecipazione non fosse essenziale. 


Per le modificazioni del regolamento contrattuale valgono le stesse regole (anche se non
espresse). Le parti non possono unilateralmente modificarlo, salvo che questa possibilità non
fosse già originariamente prevista nel contratto. 


Il contratto si può sciogliere anche per cause ammesse dalla legge, che sono di due ordini:
quelle che riguardano i contratti a titolo oneroso (risoluzione e rescissione del contratto) cap
16, e quelle che riguardano contratti di durata, ossia quelli che instaurano fra le parti un vincolo
destinato a protrarsi nel tempo. 

Per legge i rapporti contrattuali perpetui (che vincolano le parti sino alla morte, o che vincolino
fino alla morte anche i loro eredi) non sono ammissibili: accettare sarebbe come rinunciare alla
libertà contrattuale; inoltre, la legge intende così garantire il mutamento delle destinazione delle
risorse, facendo sì che esse vengano impiegate proficuamente: il vincolo perpetuo lo
impedirebbe.


Per soddisfare queste esigenze la legge utilizza due figure: il termine finale massimo ed il
recesso. Per alcuni contratti ad esecuzione continuata o periodica è considerato requisito
essenziale del contratto la previsione del termine di durata; per altri è direttamente stabilito
dalla legge (la locazione non può, così, durare più di trent’anni). Per altri contratti è ammessa
una durata a tempo indeterminato, ma riconoscendo alle parti facoltà di recesso, che può
essere: 

- Ad nutum: recesso puro e semplice, non richiede giustificazione

- Per giusta causa: a volte è concesso solo questo tipo di recesso, che dev’essere giustificato 

dal contraente.

2. Continua: contratti con effetti obbligatori e con effetti reali, contratti consensuali e
contratti reali


I contratti non sono solo fonti di obbligazioni, ma anche modo d’acquisto (o trasferimento della
proprietà e degli altri diritti). Per contratto si possono costituire diritti reali su cosa altrui e
trasferire diritti di credito. 

Gli effetti obbligatori del contratto sono le obbligazioni che ne scaturiscono. Si parla di effetti
reali riferendosi agli effetti prodotti direttamente dal contratto all’atto stesso della conclusione del
contratto (es. trasferimento di proprietà nella vendita è un effetto reale). 

Contratti con effetti obbligatori saranno quindi fonti di obbligazioni delle parti, di una di esse o
entrambe (es. locazione).

Contratti con effetti reali avranno come effetto il trasferimento della proprietà o di altri diritti, ma
anche fonti di obbligazioni (tipo quella di consegnare la cosa venduta). 


La disciplina che regola i contratti con effetti reali è retta dal principio consensualistico: lil
trasferimento di una cosa determinata, la costituzione o il trasferimento del diritto vengono
trasmessi o acquistati per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato (quindi non
quando paghiamo il prezzo della cosa). 


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Perché operi il principio consensualistico, occorre che il contratto abbia per oggetto il trasferimento
di una cosa determinata. Se si tratta di cose determinate solo nel genere, la proprietà passerà al
momento dell’individuazione, fatta d’accordo fra le parti e nei modi stabiliti (generalmente avviene
all’atto della consegna. Es. il contratto di vendita tra automobilista e benzinaio si perfeziona
quando il benzinaio acconsente di rifornirmi, ma la benzina diventa mia solo quando entra nel
serbatoio). Quando l’oggetto del contratto sono merci da trasportare, l’individuazione avviene al
momento della consegna al vettore (sono proprietario dei pacchi di Amazon che ha in mano la
DHL). Il rischio del perimento, naturalmente, incombe su chi ne è proprietario, che ne dovrà
comunque pagare prezzo.

Il contratto si perfeziona con l’accordo delle parti, che, nel caso dei:

- Contratti consensuali: è necessario e sufficiente per il perfezionamento. La consegna della cosa
è adempimento di un’obbligazione già sorta al momento dell’accordo, ma può svolgere funzioni
specifiche: se, con successivi contratti, una parte concede a diversi contraenti un diritto personale
di godimento sulla medesima cosa, prevale tra essi quello che per primo ha conseguito il
godimento della cosa.
- Contratti reali i è necessario ma non sufficiente: occorre anche la consegna della cosa: deposito,
comodato, mutuo, contratto costitutivo di pegno.

3. Gli effetti del contratto rispetto ai terzi




Il contratto vincola le parti ma non produce effetto rispetto ai terzi. Nessuno può essere tenuto
ad adempiere un’obbligazione o perdere un diritto indipendentemente dalla sua volontà. 

La promessa del fatto o dell’obbligazione del terzo segue lo stesso principio: chi per contratto
promette la prestazione di un terzo, esprime una valida promessa ma obbliga solo se stesso: se il
terzo rifiuta di obbligarsi o non compie il fatto promesso, il promittente dovrà risarcire il danno
subito dell’altro contraente. 


Al momento della conclusione del contratto una delle parti può riservarsi la facoltà di nominare
successivamente l’altra parte. La nomina del contraente dovrà essere fatta nel termine stabilito
nel contratto o, in mancanza, entro tre giorni. Dovrà essere accompagnata dall’accettazione del
terzo. (es. contratti fatti da professionista della compravendita di immobili: si compera “per sè o per
persona da nominare”, evitando di dover fare un secondo passaggio di proprietà per il nuovo
compratore)


Nel contratto da persona da nominare, il contratto diventa inefficace senza l’accettazione del terzo.
Se però, il contratto è a favore del terzo quest’ultima non è necessaria: il terzo acquista solo
doveri, ma non assume obbligazioni. Lo stipulante è colui che contratta a favore, il promittente è
colui che si obbliga verso lo stipulante ad eseguire una prestazione a favore di un terzo. 

(es. Tizio contratta con l’assicurazione e si obbliga a pagare i premi; Tizio muore: l’assicurazione
paga un capitale ad un terzo designato da Tizio. Tizio: stipulante, assicurazione: promittente)

Se il terzo dichiari di non voler profittare della sua favore, la prestazione resta a beneficio dello
stipulante. La stipulazione a favore dei terzi è valida se lo stipulante vi abbia interesse di natura
patrimoniale o derivante da un preesistente rapporto tra stipulante e terzo preesistente (rapporto di
provvista), in forza del quale lo stipulante sia debitore del terzo (es. A è debitore di B. Stipula a
favore di B, ottenendo che C, debitore di A, paghi B). Non necessariamente l’interesse dello
stipulante avrà natura patrimoniale e presuppone un preesistente rapporto di provvista tra lui ed il
terzo. A volte quest’interesse si basa su rapporti affettivi: l’atto avrà allora causa di spirito di
liberalità. 


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Capitolo 16: risoluzione e rescissione del contratto




1. La risoluzione del contratto


La causa può essere onerosa (nel caso in cui entrambe le parti siano obbligate l’una con l’altra) o
gratuita (solo una parte assume l’obbligazione). Si distingue quindi fra contratti a titolo oneroso e
a titolo gratuito.

La causa dei contratti a titolo oneroso risiede nello scambio tra le prestazioni delle parti: ciò
implica la loro corrispettività (ciascuna delle parti si obbliga con l’altra per avere in cambio la
prestazione cui è obbligata l’altra parte). Ciascuna prestazione è, rispetto all’altra, una
controprestazione. Quelli a titolo oneroso sono quindi contatti a prestazioni corrispettive: la
prestazione trova causa nella prestazione dell’altra. Il rapporto di corrispettività delle prestazioni è
detto sinallagma. Esso risulta dal contratto, ne è la causa (sinallagma genetico), ma si realizza
concretamente solo nella fase di esecuzione dei contratto (sinallagma funzionale). 

Può succedere che una delle parti non adempia, che la prestazione diventi impossibile per causa a
lui non imputabile o che diventi eccessivamente onerosa rispetto alla prestazione dell’altra parte: è
la situazione della alterazione della causa: è il difetto funzionale della causa, che differisce dal
difetto genetico (che è l’originaria mancanza o illiceità della causa). 


Il difetto funzionale si manifesta in sede di esecuzione e comporta la risoluzione del contratto.
La risoluzione è lo scioglimento del contratto, che avviene senza necessità di mutuo consenso.
A differenza della nullità/annullamento/dichiarazione di inefficacia originaria, la risoluzione è una
vicenda del rapporto contrattuale. Il contratto in sè è valido e resta tale, ma il rapporto si scioglie,
con effetto retroattivo tra le parti. L’effetto retroattivo, comunque, non vale per i terzi. 

La distinzione fra vicende del contratto e rapporto è rilevante per i contratti ad esecuzione
continuata e periodiche: in questi l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già
eseguite.

Nei contratti plurilaterali, la risoluzione del contratto rispetto ad una parte non importa scioglimento
dell’intero contratto, salvo che la prestazione mancata non debba considerarsi essenziale. 


2. Risoluzione per inadempimento

L’inadempimento permette risoluzione quando è di non scarsa importanza, cioè che sia tale da
rendere non più giustificata la controprestazione dell’altra. La risoluzione può assumere due forme:


- Risoluzione giudiziale


- L’altra parte agisce in giudizio per inadempimento, chiedendo al giudice di condannare 

l’inadempiente ad eseguire la prestazione (in questo modo potrà domandare la 

controprestazione dovutagli)

- L’altra parte agisce per risoluzione, e otterrà di essere esonerato dall’eseguire la prestazione o, 

se l’avesse già eseguita, anche la condanna dell’altra parte alla restituzione della prestazione 

ricevuta. (in questo modo non può chiedere l’adempimento, e l’altra non può adempiere)

- Risoluzione stragiudiziale


- Per inadempimento senza provvedimento giudiziario, attraverso la diffida ad adempiere. La
parte adempiente intima per iscritto all’altra di adempiere entro un certo termine (non minore di 15
giorni), pena la risoluzione del contratto (che si risolve di diritto). L’inadempimento dobrà
comunque essere notevole.


- Risoluzione prevista dallo stesso contratto: le parti convengono che se una sarà inadempiente, il
contratto si risolverà. La parte adempiente deve dichiarare all’altra che intende valersi della
clausola risolutiva: questa dichiarazione risolverà il contratto, anche senza valutazione della gravità
dell’inadempimento.

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- Il caso in cui per l’adempimento sia previsto un termine essenziale già scaduto.



Il rapporto di corrispettività legittima ciascuna parte al rifiuto di adempiere la propria prestazione,
se l’altra parte non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che
non siano previsti diversi termini per l’inadempimento: è la situazione dell’eccezione di
inadempimento (all’inadempiente non si deve adempiere). 

Analoga situazione è l’eccezione basata sul mutamento delle condizioni patrimoniali dell’altro
contraente, tale da porre in pericolo il conseguimento delle prestazioni. La parte, che per contratto
è tenuta ad eseguire la prestazione prima dell’altra, la può sospendere salvo che l’altra parte non
offra garanzie. La parte inadempiente è tenuta a risarcire il danno. 


La parte che chiede il risarcimento ha l’onere di provare di aver subito il danno per altrui
inadempimento o ritardo, e di provare l’ammontare del danno subito. Il contratto può prevedere
una penale per l’inadempimento o per ritardo, con due effetti:

- Dispensare dall’onere di provare il danno
- Limitare il risarcimento del danno all’ammontare della penale
Questa è versata solo in caso di inadempimento/ritardo.

La caparra è una somma di denaro che talvolta viene versata da una parte all’altra nel momento
della conclusione del contratto. 

- Se la parte che ha versato adempie, l’altra parte dovrà restituire la somma

- Se la parte non adempie, l’altra parte potrà trattenere la caparra e recedere.

- Se la parte inadempiente è quella che ha ricevuto la caparra, chi l’ha versata potrà esigere il 

doppio della caparra e recedere. 


La caparra data o ricevuta non comporta rinuncia all’agire per l’adempimento o per risoluzione, né
quella a chiedere il risarcimento del danno subito. Il recesso, trattenendo la caparra o esigendone
il doppio, è una facoltà dell’adempiente. La caparra penitenziale, data alla conclusione, è invece
corrispettivo del recesso (il recedente dovrà versarla/versare il doppio di quella ricevuta).


3. Risoluzione per impossibilità sopravvenuta della prestazione; risoluzione per eccessiva
onerosità sopravvenuta

L’impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile al debitore comporta l’estinzione


dell’obbligazione. Se l’obbligazione estinta deriva da un contratto a prestazioni corrispettive,
l’impossibilità rende priva di ogni giustificazione la controprestazione dell’altra parte, e
comporterà la risoluzione del contratto. La parte liberata per l’impossibilità della sua prestazione
non può chiedere la controprestazione, ed in caso l’abbia già ricevuta, dovrà restituirla.


Se l’impossibilità fosse parziale, allora il contratto non si risolve, ma l’altra parte avrà diritto ad una
riduzione della controprestazione dovuta e potrà recedere dal contratto se non abbia interesse
ad una prestazione solo parziale. Questa situazione fa emergere che nei contratti a prestazione
corrispettiva c’è anche uno specifico rapporto di corrispettività tra il valore economico dell’una
e dell’altra prestazione. Se una parte esegue a favore dell’altra una prestazione minore di quella
pattuita in origine, perde la propria giustificazione all’ammontare del corrispettivo pattuito, che
necessariamente sarà ridotto. L’equivalenza economica fra le prestazioni è tipica dei contratti
commutativi, che hanno funzione di attuare scambio fra prestazioni economiche equivalenti. 


La risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta, che riguarda i contratti ad
esecuzione differita, continuata o periodica può accadere quando sopraggiungono avvenimenti
straordinari ed imprevedibili per effetto dei quali la prestazione di una delle parti diventa
eccessivamente onerosa rispetto alla prestazione dell’altra (si crea uno squilibrio tra le
prestazioni). In questo caso la parte la cui prestazione è diventata eccessiva, può richiedere la
risoluzione giudiziale; oppure l’altra parte può modificare le condizioni contrattuali. 

Le norme della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta non si applicano ai contratti
aleatori/di sorte, in cui il contraente si obbliga ad una prestazione pur non essendo certo della
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presenza di una controprestazione. Il contratto può essere aleatorio per sua natura o per volontà
delle parti (la vendita di cosa futura, per esempio, può essere voluta come commutativa o come
aleatoria, e in questo secondo caso, la parte acquirente si obbliga a pagare il prezzo anche
nell’eventualità in cui la cosa non verrà ad esistenza). 


Capitolo 19: i fatti illeciti 




1. La responsabilità di fatto illecito

Qualunque fatto doloso o colposo che cagioni ad un altro un danno ingiusto è chiamato fatto
illecito. Il danno illecito è fonte dell’obbligazione di risarcire il danno, che sarà una somma di
denaro che rappresenta l’equivalente del danno cagionato. 

L’obbligazione di risarcimento può essere causata anche da contratto (il contraente che non
adempie le obbligazioni derivanti da un contratto è responsabile dei danni che l’inadempimento ha
causato all’altra parte). 

Responsabilità per danni del contraente inadempiente: responsabilità contrattuale

Responsabilità per danni cagionati con fatto illecito: responsabilità extracontrattuale (o civile)


Il fatto illecito presenta tre elementi oggettivi (il fatto, il danno ingiusto, il rapporto di causalità fra
fatto e danno) e due elementi soggettivi: il dolo o la colpa.


- Il fatto è un comportamento umano, commissivo (fare) o omissivo (non fare)


- Il danno ingiusto: è la lesione di un interesse altrui, meritevole di protezione secondo l’OG. La


risarcibilità di ogni danno qualificabile come ingiusto è una clausola generale: quando la legge
non valuta se un danno è ingiusto o meno, la decisione è rimessa all’apprezzamento del giudice
(il nostro sistema è retto dal principio dell’atipicità dell’illecito). Deve trattarsi di un danno non
cagionato nell’esercizio di un diritto (danno contra ius. Il danno giusto è detto non iure) In
alcuni casi la presenza del requisito dell’ingiustizia del danno è certa:

- Quando sia stato leso un diritto della personalità (diritto all’ integrità fisica, alla salute, all’
onore, ecc.)

- Quando sia stato leso un diritto reale (diritto di proprietà/di servitù ecc.)

- Quando l’uccisione di una persona comporti lesione di diritto al mantenimento dei suoi familiari. 

- Quando è leso un diritto relativo, in particolare un diritto di credito (incendio un appartamento
dato in locazione: lede il diritto reale del proprietario, ma anche il diritto di credito del
conduttore). Ciò comporta l’estinzione del rapporto obbligatorio. La legge ha anche predisposto
la risarcibilità della lesiona anche quando il fatto non estingue il rapporto:

- Quando il terzo rende temporaneamente impossibile la prestazione del debitore (es. quando
ferisce una persona che lavora alle dipendenze altrui lede il diritto del datore di lavoro alle
prestazioni del dipendente).

- Quando il terzo sia concorso nell’inadempimento del debitore, istigandolo a non adempiere
(induzione all’inadempimento) o rendendosi partecipe dell’inadempimento


Altre ipotesi di danno risarcibile, che tuttavia non lede un diritto sono:

- La lesione della libertà contrattuale (per falsa informazione del terzo, es. falsa informazione
sulle condizioni di solvibilità del mutuario)

- Lesione di una situazione di fatto meritevole di protezione (es. uccisione del concubino: viene
uccisa una persona che provvedeva al mantenimento del convivente)

- Lesione, da parte della pubblica amministrazione, di un interesse legittimo, che risulta protetto 

solo come riflesso della protezione dell’interesse pubblico. 


- Rapporto tra causalità fra fatto e danno: dev’esserci, fra fatto e danno, un rapporto di causa-
effetto, tale che il fatto ha cagionato il danno. Non basta, per il diritto, che il fatto commesso sia
stato una delle tante cause che hanno portato all’evento dannoso. L’evento dannoso dev’essere

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conseguenza prevedibile ed evitabile del fatto commesso.


- Il dolo o la colpa.

Dolo: intenzione di provocare l’evento dannoso (intenzione di uccidere nell’omicidio volontario). 

Colpa: mancanza di diligenza, prudenza o perizia: l’evento dannoso non intenzionale. E’ quindi
il comportamento negligente, imprudente o imperito (per impreparazione). 


L’onere di provare il dolo e la colpa incombe sul danneggiato (per la responsabilità
extracontrattuale, il debitore deve provare l’impossibilità della prestazione. Per quella non
contrattuale, il creditore deve provare la colpa del debitore). 


Dolo eventuale: pur non agendo per realizzare l’evento dannoso, questo si verifica quale
conseguenza della propria azione/omissione

Colpa cosciente: è l’atteggiamento di chi si comporta imprudentemente o negligentemente con
la previsione del dell’evento dannoso. 


2. Il risarcimento del danno 




Chi è responsabile del danno (a titolo di dolo o di colpa, di responsabilità indiretta o oggettiva)
deve risarcire il danneggiato, con una somma di denaro che si calcola secondo principi generali
sulla valutazione dei danni. Si può ottenere, al posto del denaro, una reintegrazione in forma
specifica (un nuovo bene in sostituzione di quello distrutto dal danneggiante).

Il danno permanente alle persone può essere liquidato in forma di rendita vitalizia. 


Il danno risarcibile è solo il danno patrimoniale, che comprende il danno emergente ed il lucro
cessante, risarcibile quando, sulla base della proiezione di situazioni già esistenti, appare
ragionevole prevedere che il danno si produrrà in futuro. Il danno emergente può essere sia
presente che futuro (Es. Danno futuro: il mancato guadagno spettante al lavoratore divenuto
inabile al laboro. Lucro cessante: somme che avrebbe percepito. Danno emergente futuro il costo
che l’infortunato dovrà affrontare per aver perduto la propria autosufficienza) 


I danni non patrimoniali (danni morali) sono le sofferenze fisiche o psichiche del danneggiato e
sono risarcibili solo nei casi espressamente previsti dalla legge. Vengono liquidati dal giudice in via
equitativa.

Il danno biologico è la lesione dell’integrità psico-fisica della persona, quale bene protetto in sé e
per sé, indipendentemente dalla capacità della persona di produrre ricchezza. (lesione
dell’interesse all’integrità. Ad esempio, viene danneggiata una modella. La modificazione
all'aspetto esteriore di una persona è risarcibile come danno biologico.)


Se più persone sono responsabili del medesimo danno, queste ne rispondono solidalmente, a
prescindere dalla gravità della colpa dei singoli: il danneggiato potrà richiedere il risarcimento a
chiunque dei responsabili. Chi ha pagato avrà poi azione di regresso nei confronti degli altri (solo
in questa sede vale il diverso grado di colpa).

Capitolo 21: responsabilità del debitore e garanzia del creditore




1. La responsabilità patrimoniale


Il rapporto obbligatorio è la correlazione fra il dovere del debitore di eseguire una prestazione ed il
diritto del creditore di esigerla. L’atto o il fatto che genera l’obbligazione determina, a carico de
debitore, la sua responsabilità patrimoniale: egli risponderà dell’adempimento delle obbligazioni
con tutti i suoi beni presenti o futuri. Per il creditore, i beni presenti o futuri costituiscono la
garanzia del credito. 


Il debito ha per oggetto quella specifica prestazione dedotta in obbligazione. La responsabilità del
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debitore ha per oggetto l’intero patrimonio del debitore. Il credito è il diritto ad una data prestazione
dedotta in obbligazione. La garanzia del credito è costituita dall’intero patrimonio del debitore.


Il rapporto fra debito e responsabilità (e fra credito e garanzia) si manifesta in varie fasi del
rapporto obbligatorio:

- Fase costitutiva: se si tratta di obbligazioni a contratto. Si fa credito ad una persona in quanto il


debitore disponga di un patrimonio che rappresenti idonea garanzia per il creditore (il debitore
potrà disporre solo di beni immobili, di valore superiore all’ammontare del debito assunto. Il
creditore potrà fare affidamento su essi: in caso di adempimento, soddisfarsi su uno o più beni
del debitore)
- Fase estintiva: la responsabilità patrimoniale è preordinata all’eventualità che, raggiunto il
tempo per l’adempimento, il debitore non esegua la prestazione dovuta. Il creditore potrà allora
procedere all’esecuzione forzata (in forma generica se il suo credito ha per oggetto una
somma di denaro; in forma specifica se l’oggetto non era in denaro, ottenendo per
provvedimento del giudice la prestazione che il debitore non ha eseguito spontaneamente; un
terzo incaricato eseguirà la prestazione di fare con spese a carico del debitore o distruggerà le
cose costituite in violazione dell’obbligazione di non fare a spese a carico del debitore. Se
l’esecuzione in forma specifica non è possibile, interviene l’esecuzione in forma generica, quindi
in denaro).
- Fase intermedia: assumono rilevanza le vicende che possono investire il patrimonio del
debitore: questo può ridursi, pregiudicando la garanzia del creditore (il debitore avrà meno
possibilità di conseguire la prestazione che deve). Il creditore è legittimato ad operare misure di
tutela preventiva del credito (decadenza dal beneficio del termine; mezzi di conservazione
della garanzia patrimoniale)

2. Le garanzie reali: il pegno


Il patrimonio del debitore è per il creditore solo una garanzia generica (non ha la certezza di potersi
soddisfare su un dato bene del debitore). Garanzia specifica, che dà certezza al creditore, è la
costituzione del pegno o dell’ipoteca, che hanno funzione di vincolare un dato bene a garanzia di
un dato credito. Il bene può essere di un debitore o di un terzo (che acconsenta di garantire). 

Il pegno si costituisce: su cose mobili, su universalità di cose mobili, su diritti di credito

L’ipoteca di costituisce: su beni immobili, su diritti reali su cose immobili, su beni mobili registrati.


Pegno ed ipoteca sono diritti reali di garanzia su cosa altrui: il bene resta di proprietà del debitore o
del terzo, che può alienarlo, ma il creditore pignoratizio/creditizio acquista sul bene un duplice
diritto:
- Diritto di procedere all’esecuzione forzata sul bene anche nei confronti del terzo acquirente.
Pegno ed ipoteca seguono la cosa in tutti i suoi passaggi di proprietà, fino a quando il credito
non è estinto (diritto di seguito). E’ un diritto reale di garanzia (il creditore non non gode della
cosa: essa è solo garanzia di un suo credito).
- Diritto di prelazione: quello di soddisfarsi sul prezzo ricavato dalla vendita forzata del bene con
preferenza rispetto agli altri eventuali creditori del medesimo debitore (se il debitore dà in pegno
un oggetto di valore di 200, quando il suo debito ammonta a 100, il creditore si soddisferà, ed il
ricavato che eccede verrà distribuito fra gli altri creditori (se non ci sono, la somma andrà al
proprietario del bene).


La cosa data in pegno/ipoteca ha solitamente un valore superiore all’ammontare del credito che
garantisce, di cui il creditore on può profittare: è nullo il cosiddetto patto commissorio (la cosa data
in pegno/ipoteca non può passare di proprietà al creditore).


Il pegno si costituisce per contratto in forma scritta. 

Il pegno di cose mobili è un contratto reale che si perfezione con la consegna della cosa dal
proprietario al creditore o ad un terzo designato dalle parti. Se il debitore paga, il creditore dovrà
restituirgli la cosa. Se non paga, il creditore, dopo avergli intimato di pagare, può far vendere la
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cosa da un mediatore autorizzato, o chiedere al giudice che la cosa gli passi in proprietà (sarà
necessaria una stima del valore del bene, per accertarsi che non sia superiore al debito).


Il pegno di crediti, si perfeziona con la notificazione del pegno al debitore del credito dato in
pegno o con l’accettazione da parte di questo. Il creditore, alla scadenza, è tenuto a riscuotere il
credito (tratterrà quanto è dovuto. L’eventuale eccedenza sarà al proprio debitore). Il pegno di
crediti implica anche un mandato a riscuotere. 


Quando la cosa data in pegno è una somma di denaro o altre cose fungibili non individuate delle
quali è stata conferita la facoltà di disporre al creditore, il pegno è irregolare.

3. Continua: l’ipoteca


Ha come oggetto immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri. Richiede l’iscrizione in pubblici
registri immobiliari o nei pubblici registri specifici per i beni mobili soggetti ad iscrizione.


Può avere tre fonti:
- Ipoteca volontaria: si basa su un contratto fra debitore e creditore o su un atto unilaterale del
debitore o del terzo datore di ipoteca. Deve avere forma scritta.
- Ipoteca giudiziale: si basa su una sentenza di condanna al pagamento di una somma o
all’adempimento di un’altra obbligazione o al risarcimento del danno, o su un decreto ingiuntivo
reso esecutivo.
- Ipoteca legale: nei casi previsti dalla legge (importante quello dell’alienazione di un bene
immobile o mobile registrato che non sia stato pagato: l’ipoteca si costituisce sul bene alienato).
L’ipoteca legale e giudiziale si costituiscono per iniziativa del creditore.


Il contratto o l’atto unilaterale per l’ipoteca volontaria, l’atto di alienazione del bene per l’ipoteca
legale sono il titolo per ottenere la costituzione dell’ipoteca. Questa si costituisce solo con
l’iscrizione nei pubblici registi, che sarà quindi pubblicità costitutiva. Questo però non è
sufficiente: se il titolo sulla base del quale è iscritta l’ipoteca è nullo, l’ipoteca sarà inefficace. 


Su un medesimo bene si possono iscrivere più ipoteche a garanzia di crediti diversi. Ogni ipoteca
è contrassegnata da un grado. Con il ricavato della vendita forzata, si soddisferà così il creditore
di primo grado e se c’è un residuo, quello di secondo grado ecc.


L’iscrizione conserva il suo effetto per vent’anni al termine dei quali, se non rinnovata (e in questo
caso equivarrà a nuova iscrizione), l’ipoteca si estinguerà. 

L’ipoteca è un diritto reale di garanzia: il bene ipotecato può essere venduto, ma sarà gravato da
ipoteca (il creditore potrà promuovere la vendita forzata del bene anche in confronto del terzo
acquirente). 


L’ipoteca è retta dai principi di specialità e indivisibilità: grava solo sui beni specificatamente
indicati e solo per una somma determinata; grava per intero su tutti i beni ipotecati e su ogni loro
parte: continuerà a gravare anche se il credito si è in parte estinto, salvo che non vi sia una
riduzione dell’ipoteca.


La cancellazione dal registro comporta l’estinzione dell’ipoteca, per cui è necessario un titolo
(estinzione dell’obbligazione garantita con l’ipoteca, rinuncia del creditore all’ipoteca, vendita
forzata del bene ipotecato, perimento della cosa stessa, lo spirare del termine ventennale non
rinnovato) e la domanda della parte interessata o di una sentenza.

4. Le garanzie personali: la fideiussione

Le garanzie personali sono quelle in cui una persona garantisce, con il proprio adempimento,
l’adempimento di un’obbligazione altrui. Figura tipica è la fideiussione: un contratto con il quale
il fideiussore garantisce l’adempimento di un obbligazione altrui obbligandosi personalmente. Il
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debitore è estraneo a questo contratto. 



L’effetto è la responsabilità solidale nei confronti del creditore: egli può esigere pagamento sia
dal debitore che dal fideiussore (senza necessità di rivolgersi prima al debitore principale), facendo
affidamento sulla responsabilità patrimoniale di due persone. 


La fideiussione può garantire l’adempimento di un futuro debito: il fideiussore omnibus è colui
che garantisce tutte le obbligazioni che un cliente assumerà nei confronti di una banca (è valida
solo se è previsto un importo massimo garantito).

Il fideiussore diventa debitore del creditore, ma la sua è un’obbligazione accessoria: se quella
principale non è valida, nemmeno quella del fideiussore lo sarà (viene meno la causa della
fideiussione).

Capitolo 23: Prescrizione e decadenza

1. La prescrizione
L’estinzione dei diritti a causa di un loro mancato esercizio per un tempo prolungato è chiamata
prescrizione. Il termine ordinario è di dieci anni: vale per ogni diritto per il quale non sia previsto
termine maggiore o minore.

Diritti Azioni Crediti

Non sottoposti a Diritti indisponibili (della Azione di nullità del


prescrizione personalità o inerenti al contratto (salva l’azione
rapporto di famiglia)
 di ripetizione di indebito

 conseguente alla nullità
Diritto di proprietà (si e salvi gli effetti
estingue solo se manca dell’acquisto mediante il
l’esercizio prolungato possesso delle cose
unito al possesso altrui: consegnate in
usucapione) esecuzione del contratto
nullo)

Sei mesi Conto albergo-ristorante

Un anno Diritti derivanti dai Retribuzione dei


contratti di mediazione, lavoratori, prezzo delle
spedizione, trasporto, merci vendute da un
assicurazione commerciante,
medicinali venduti dai
farmacisti

Due anni Diritto al risarcimento del


danno da fatto illecito se
prodotto dalla
circolazione di veicoli

Tre anni Compenso per l’opera


prestata dai liberi
professionisti

Cinque anni Diritto di risarcimento del Azione di annullamento


danno d fatto illecito
 del contratto


 

Diritti derivanti dal Azione revocatoria
contratto di società

Dieci anni Azione di ripetizione di


indebito

Vent’anni Diritti reali su cosa altrui

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Il termine di prescrizione è interrotto se:


- Il titolare del diritto compie un atto di esercizio di quel diritto.
- Il soggetto passivo riconosce l’esistenza del diritto
Conseguenza dell’interruzione è che la prescrizione ricomincia da principio a decorrere.

Quando la prescrizione viene sospesa, il decorso del termine di prescrizione si arresta e


ricomincia a decorrere quando la causa di sospensione è cessata. La prescrizione è sospesa: fra
coniugi, fra genitori esercenti la potestà e figli minori, fra tutore e pupillo, fra società o enti e loro
amministratori, fra datore di lavoro e lavoratore (per quanto riguarda il diritto alla retribuzione)

I diritti che si prescrivono in poco tempo sono chiamati “a prescrizione breve” (uno-due-cinque
anni).


I crediti (termine ordinario, dieci anni) si presumono estinti fino a prova contraria se è trascorso
un certo tempo da quando sono sorti. La prova contraria è ardua: occorre la confessione del
debitore resa in giudizio o con il giuramento del creditore. Solo la parte che ha interesse può
obiettare la prescrizione (eccepire).

2. La decadenza

Anch’essa è l’estinzione di un diritto per mancato esercizio entro un dato tempo. La sua funzione
è, però, limitare entro un breve tempo lo stato di incertezza di situazioni giuridiche. Sottoposto a
termine di decadenza, per esempio, il diritto del compratore di denunciare i vizi della cosa (8
giorni). Termini di decadenza sono anche tutti i termini previsti per il compimento di atti processuali
(se una sentenza di primo grado non è appellata entro trenta giorni dalla notificazione, non sarà
più impugnabile). 

La decadenza non ammette né interruzioni né sospensioni. Non può essere impedita se non dal
compimento dell’atto. Può però essere pattuita, a differenza della prescrizione (il contratto può
sottoporre a decadenza l’esercizio dei diritti che da esso derivano). E’ nullo il patto con cui si
stabiliscono stabiliscono termini di decadenza troppo brevi.

FINE.

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