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Presidente (Chief Justice) della Court of Common Pleas, Coke si oppose con
decisione alla richiesta del re di sottrarre alla giurisdizione di common law un caso
riguardante i diritti fatto valere da un arcivescovo: egli sostenne che la giustizia dei
giudici di professione doveva essere il vero fondamento del diritto inglese e come tale
non era né sostituibile né infirmabile neppure dalla diretta volontà del sovrano. Egli
concepiva il Common law come legge fondamentale del regno, in grado di imporsi e
prevalere nei confronti della corona e dello stesso parlamento.
Egli sostenne anche una memorabile tesi per cui per giudicare rettamente non basta
l’equità naturale ma occorre applicare una tecnica del diritto che solo gli esperti
possiedono, sulla base della loro familiarità con le decisioni antiche.
Qualche anno più tardi Coke negò che una Commissione speciale di nomina regia
potesse decretare la pena del carcere in un caso specifico e poco dopo, divenuto Chief
Justice del King’s Bench si battè contro la Corte di cancelleria che intendenva
riformare una decisione della Corte regia.
Gli si oppose il cancelliere in carica, Lord Ellesmere, il quale nella battaglia a-
sostegno della Corte di Equity aveva il pieno appoggio del re Giacomo I, che stabilità
in un decreto che il cancelliere poteva intervenire con un suo giudizio anche dopo che
un caso fosse stato deciso dal Common law. Sconfitto, Coke abbandonò la carriera di
Chief Justice, ma negli anni seguenti svolse ancora un ruolo importante sul fronte
dell'opposizione, nel corso della vicenda politica che portò all’affermazione del
parlamento e del moderno costituzionalismo inglese.
Nel 1628 lo scontro fu aspro fra la Corte del Kings Bench e il governo del re, che
aveva fatto incarcerare cinque cavalieri che si erano rifiutati di sottoscrivere un
prestito forzoso imposto dalla corona. Coke argomentò che la pretesa di imprigionare
senza causa un suddito era contraria alla Magna Charta, ma tale argomentazione non
fu risolutiva.
La controversia fra monarchia e Parlamento arrivò al suo esito finale a causa della
pretesa di Giacomo Il di non osservare (in nome della tolleranza e della libertà
religiosa), per moto proprio in casi specifici, disposizioni legislative votate dal
Parlamento. Ciò portò alla sua abdicazione e all’avvento al trono della figlia Mary
insieme con il coniuge Guglielmo III.
Il nuovo assetto fu esplicitato nel 1689 con il Bill of Rights, in cui si dichiarava
illegale ogni ordine del re che sospendesse, senza autorizzazione del Parlamento,
l’applicazione di una legge; ogni impostazione stabile di tributi non votata dal
parlamento; il mantenimento di un esercito in tempo di pace senza autorizzazione del
Parlamento. Stabiliva inoltre il principio della libera elezione dei membri
parlamentari, la loro incondizionata libertà di parola, la necessità di convocazioni
regolari delle sessioni parlamentari.
Dieci anni prima una legge, l’Act of Habeas Corpus, aveva introdotto forti garanzie
nei confronti di ordini governativi restrittivi della libertà personale, indicando il
potere del giudice di farsi consegnare in custodia chi fosse detenuto illegalmente da
parte del potere esecutivo.
Ogni suddito poteva ottenere il writ of habeas corpus al fine di venire sottoposto ad
un regolare processo alla presenza di giurati: dapprima esso fu imitato al solo
controllo delle irregolarità Charta
Sul terreno del diritto privato importante fu lo strumento dell’assumpsit, un writ che
estendeva all’inadempimento di un’obbligazione la tutela che era assicurata alla
vittima di un atto illecito attraverso il writ of trepass.
La denominazione derivava dalla formula adoperata nel writ in cui, nella descrizione
schematica della fattispecie concreta, si affermava che il convenuto si era assunto un
determinato obbligo ma, non avendolo adempiuto o avendolo adempiuto male, aveva
arrecato un danno all’attore. Funzione di tale azione era, quindi, quella di sanzionare
il comportamento del convenuto il quale con sua colpa contrattuale non aveva
rispettato le regole dell’affidamento e mirava ad ottenere il mero risarcimento del
danno.
Più tardi si estese analoga tutela a chi si fosse indebitato e avesse iniziato a pagare il
debito senza però saldarlo.
Il fatto posto a fondamento dell’assumpsit, l’inizio dell’esecuzione dell’obbligazione,
doveva essere provato per ottenere la corrispondente tutela.
I contrasti sorti in materia fra King’s Bench e Court of Common Pleas, entrambe
competenti, condussero allo Slade Case nel 1602, ove si affermò che se era provata
l’esistenza di un accorso, l’assumpsit si doveva presumere senza la necessità di
provarlo.
Ma sua quale forma dovesse rivestire l’accordo per diventare azionabile si dibattè a
lungo visto che la Common law non ammetteva razionabilità dei patti nudi: dopo lo
Slade Case si diede rilievo per cui alla consideration, cioè alle motivazioni espresse
dalle parti alla stipula del contratto.
Una celebre decisione di Mansfield non negò la legittimità della schiavitù, in linea di
principio, ma nel caso specifico affermò che uno schiavo divenuto libero sul suolo
inglese non poteva uscire dall’isola contro la propria volontà. L'abolizione della
schiavitù fu disposta solo nel 1807.
Il principio dello stare decisis consiste nel principio della vincolatività del precedente
giudiziario. Dalla metà del 200 Bracton fece un ampio utilizzo delle decisioni da lui
consultate e trascritte, e tale fatto fu eccezionale visto che i registri erano di norma
non ancora accessibili o consultabili in quel tempo, e comunque lo stesso Brancton
non sempre si adeguava ai casi citati contrapponendo loro le decisioni dei giudici
antichi, ritenuti molto più preparati di quelli contemporanei.
Il richiamo dei precedenti aveva un peso non vincolante, basato non sul precedente in
sé ma sulla consuetudine, che andava dimostrata richiamando più giudicati. Non
esisteva quindi la regola del precedente vincolante, anzi, il giudice Hale, Chief Justice
della Court of Common Pleas, affermava che non sarebbe stato razionale rimettersi
ad un precedente giudiziario erroneo, che doveva applicarsi al caso in esame come
cosa giudicata ma non necessariamente essere ripetuto.
Tra 500 e 600 si fece strada il criterio di ritenere vincolanti per il futuro quelle
decisioni assunte dalla Exchequer Chamber, cioè da una Corte suprema che per casi
giudiziari di particolare rilievo riuniva i giudici regi delle tre corti centrali: la Corte
dello Scacchiere, il Banco del re e la Corte dei placiti comuni. Nella stessa opera si
andò affermando la vincolatività delle pronuncie di Equity.
Si distingueva ormai tra il dispositivo specifico della sentenza e le proposizioni
collaterali, ma la libertà dei giudici era ancora considerevole nel valutare il peso da
attribuire a tali precedenti: non era raro che il giudice (spesso lo fece Mansfield)
dichiarasse impropriamente riportato un precedente che lui non approvava,
contrapponendogli un diverso principio legale da lui ritenuto valido. Solo nell’800 si
affermerà la regola per cui anche un solo precedente ha valore vincolante
inderogabile per il giudice di corte inferiore.
Mentre sulla vincolatività di un precedente per la Corte stessa che lo ha enunciato le
opinioni sono state discordanti.
Sir William Blackstone fu l'autore più letto e diffuso nella plurisecolare storia del
diritto inglese con i suoi Commentaries on thè Laws of England. un trattato in quattro
volumi concepito quale testo per l’insegnamento alla cattedra di Oxford, cui
Blackstone era stato chiamato.
L’intero Common law viene riesposto con riferimento alle fonti giurisprudenziali e
legislative; egli espone anche gli strumenti creati per aggirare procedure oramai
desuete da secoli ma non ancora commesse alla procedura dell’arresto, poi venne
esteso a strumento per accertare il fondamento dell’arresto medesimo.
Nel 1701 l’Act of Settlement sancì formalmente le garanzie di indipendenza dei
giudici, assicurando loro la sicurezza del salario e la stabilità dell’ufficio, dal quale i
giudici potevano essere rimossi solo con il voto di entrambi i rami parlamentari.
Tali disposizioni ridussero le prerogative del re rafforzando il ruolo del Parlamento e l’indipendenza
del potere giudiziario: si superò l'assolutismo monarchico e venne posto il fondamento del moderno
stato costituzionale europeo, basato sull’equilibrio dei tre poteri.
Montesquieu scrisse nel 1721 una breve opera, le Lettres Persanes, in cui immaginò
che un musulmano venuto dalla Persia descrivere ai familiari, in una lettera, le sue
impressioni sulla Francia del tempo in occasione di un viaggio a Parigi: tale
espediente letterario gli consentì di rappresentare con apparente ingenuità non pochi
aspetti dei costumi del tempo e dei profili criticabili della giustizia. La sua opera
maggiore è però l’Esprit des lois datato 1748 in cui fautore si ripropose di tracciare
un compiuto disegno delle relazioni necessarie che intercorrono fra il regime
politico-costituzionale di un paese e il suo diritto pubblico e privato.
Fondato su una vasta cultura antica romana e greca, ma anche su una approfondita
conoscenza della storia medievale e moderna, Montesquieau riformula la tripartizione
aristotelica dei regimi politici considerando tre forme di governo:
1. Il governo repubblicano, a sua volta distinto a seconda che il potere risieda nel
popolo (democrazia) o nella sola componente aristocratica. Il suo principio cardine è
la virtù, e con essa la ricerca dell’uguaglianza.
2. Il governo monarchico, in cui il sovrano opera attraverso le leggi. L’autore ha
ben presenti le repubbliche di Venezia e Genova e afferma che in esso è essenziale il
ruolo della nobiltà che al contempo rafforza e modera il potere sovrano. Tra le
monarchie l’autore distingue i modelli di Francia e Inghilterra, soffermandosi sulle
loro differenze. Il principio su cui regge il governo monarchico è l’onore. anche se vi
sono monarchie strutturate per il perseguimento della gloria (Francia) e altre
imperniate sul valore della libertà (intesa come la tranquillità di spirito che proviene
dall’opinione della propria sicurezza), come il caso della monarchia inglese.
Montesquieau mostra ammirazione verso la cosituzione inglese, una costituzione non
scritta che per la prima volta veniva descritta dall’opinione colta continentale.
3. Il governo dispotico, in cui il despota può operare a suo arbitrio in ogni
campo. L’autore ha presente la Turchia, che al sultano attribuiva poteri
indiscriminati.
Su questa base Montesquieau teorizza la dottrina dei tre poteri, legislativo,
esecutivo e giudiziario e difende i pregi di un regime rappresentativo che affidi il
potere legislativo congiuntamente ad una Camera elettiva e ad una seconda Camera
alta, espressione della nobiltà e dell'elitè della nazione. Dichiara inoltre di preferire il
modello inglese della separazione dei poteri, poiché la libertà cresce quando il potere
è limitato, e ciò che rende la limitazione dei poteri possibile è appunto la loro
separazione, in quanto è il potere che blocca il potere.
Al potere giudiziario spetta il compito non di creare la legge, ma di applicarla, in
modo però differenziato: nel governo repubblicano il giudice deve limitarsi ad una
applicazione automatica della legge, mentre nelle monarchie può far ricorso anche
allo “spirito della legge”.
In Montesquieau sono ravvisabili componenti di natura diversa: alcune regole
considerate preferibili in assoluto atte a garantire il bene dell'individuo e della
società, si ispirano all’impostazione giusnaturalistica: a volte le regole sono invece
connesse con la forma di governo (così anche a proposito del sistema penale: nel
regime repubblicano si impongono sanzioni rigide e discrezionalità minima o nulla
nella loro applicazione, mentre nel regime monarchico il sovrano può ricorrere alla
grazia); altre volte le regole derivano dai caratteri fisici del paese (geografia, clima
ecc).
Questi elementi sono tutti trattati con la consapevolezza della storicità del diritto,
presente in forme diversissime nel tempo e nello spazio: secondo Fautore il diritto
delle genti non è ovunque il medesimo, ogni popolo ha il proprio diritto e i suoi
costumi.
Una fase significativa della nuova cultura illuminista fu l’impresa dell’Enciclopedia,
direta da due giuristi di diversa formazione, Diederot e D'alembert. pubblicata
nell’arco di un quindicennio a partire dal 1750. All’Enciclopedia collaborò Jean
Jacques Rousseau
In questo campo fu decisiva anche l’opera di Lord Mansfield, cadetto di una nobile
famiglia scozzese, latinista, oratore, studioso di Oxford, poi barrister, solicitor,
attomey e infine, nel 1756, Chief Justice nel Kings Bench.