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Il processo di integrazione europea ha inizio con la CECA (Comunità europea del carbonio e dell’acciaio). Questa nasce come una comunità sopranazionale e
non più quindi come un organizzazione internazionale. La novità è principalmente il trasferimento dei poteri sovrani da parte degli Stati membri a enti,
appunto le comunità sopranazionali.
All’origine della Ceca vi è la celebre dichiarazione di Robert Schuman, che contiene LA PROPOSTA, rivota anzitutto alla Germania (in relazione allo storico contrasto Francia -
Germania), ma anche agli altri Stati Europei che intendevano aderirvi, DI METTERE IN COMUNE, sotto un Alta Autorità, l’insieme della produzione di carbone e di acciaio,
assicurando allo stesso tempo la loro libera circolazione, al fine di favorire una solidarietà tra i due Stati principalmente coinvolti. L’ apparato organizzativo sarebbe stato
formato da un’Alta Autorità , composta da personalità indipendenti che avrebbero avuto poteri sia esecutivi che normativi nei confronti dei Paesi aderenti ma soggetta a un
controllo giurisdizionale a livello europeo, da un Assemblea comune, composta dai rappresentati dei popoli degli Stati mebri, dal Consiglio speciale dei ministri (composto
dai rappresentanti dei governi di ciascuno Stato membro) a cui spettavano compiti consultivi → lo stesso esprimeva infatti pareri vincolanti sulle proposte avanzate dall’Alta
autorità e dalla Corte di Giustizia alla quale veniva assegnato il potere giurisdizionale, con il compito di interpretare e vigilare sulla corretta applicazione delle norme del
diritto comunitario (contenute nel Trattato istitutivo della CECA).
Questa proposta fu accettata da sei Stati e nell’ Aprile del 1951 essi firmarono il trattato istitutivo della CECA, che prevedeva la creazione di un mercato comune dei prodotti
carbo-siderurgici, delle condizioni di concorrenza da rispettare come l’eliminazione e il divieto dei dazi e delle restrizione quantitative alla circolazione di tali prodotti tra i Stati
membri, degli aiuti e sovvenzioni statali.
IL FALLIMENTO DELLA COMUNITA’ EUROPEA DI DIFESA (CED) E IL RILANCIO DEL PROCESSO DI INTEGRAZIONE EUROPEA: LA CEE E LA CEEA (Euratom)
Gli stessi Stati che sottoscrissero il Trattato CECA ne firmarono, nel 1952, un altro a Parigi, istitutivo della CED ossia la Comunità Europea di Difesa, che comportava la
creazione di un esercito europeo, di un apparato istituzionale di un meccanismo di reazione a qualsiasi aggressione contro uno Stato membro. Tale trattato non entrò però
mai in vigore poiché non fu ratificato dalla Francia; tale fallimento, portò al rilancio del processo di integrazione che condusse alla firma, a Roma, nel marzo del 1957,
del Trattato Istitutivo della COMUNITA’ ECONOMICA EUROPEA, LA CEE, e della COMUNITA’ EUROPEA DELL ENERGIA ATOMICA , la CEEA (Euratom).
La CEE ha natura prevalentemente economica e commerciale, come la CECA, ma a differenza di quest’ultima non ha un intervento settoriale ma generale. Stabilisce quindi un
unione doganale, l’eliminazione dei dazi, delle restrizioni quantitative e di ogni altro ostacolo agli scambi di merci tra gli Stati membri, nonché degli ostacoli alla libera
circolazione di persone, servizi e capitali tra gli stessi. La CEE quindi si propone di intervenire soprattutto in quei segmenti dell’economia più deboli, in quelle fasce sociali
fragili e in zone di geografiche in ritardo di sviluppo.
Quanto alla CEEA, essa nasce con lo scopo di contribuire ad elevare il tenore di vita degli stati membri e far sviluppare gli scambi con gli altri paesi.
GLI SVILUPPI DELL’INTEGRAZIONE EUROPEA: IN PARTICOLARE L’ATTO UNICO EUROPEO DEL 1986
Essenzialmente, è dagli anni 80 che si è messo in moto il processo che ha condotto poi all’attuale Unione europea. Uno dei passaggi più significativi fu la sottoscrizione
dell’ATTO UNICO EUROPEO, entrato in vigore il 1° luglio del 1987 e che fa seguito ad un Trattato, approvato dal Parlamento europeo nell’ 84, e noto come ”Trattato Spinelli”.
Esso stabiliva che il Parlamento e il Consiglio dell’ Unione esercitino congiuntamente il potere legislativo e che una legge potesse essere adottata solo se approvata da
entrambi. Nonostante tale trattato fu un insuccesso, esso fece comunque da base all’Atto unico europeo, il quale:
• istaurò una cooperazione europea in materia di politica estera, basata sull’informazione reciproca , sulla cooperazione e sul coordinamento tra gli stati.
• dava la possibilità al Consiglio si adottare un atto anche contro la volontà del Parlamento ( (≠ trattato Spinelli).
• fissava una data precisa entro cui la CEE avrebbe dovuto adottare le misure necessarie per il completamento del mercato interno attraverso la realizzazione di 4
fondamentali libertà di circolazione: → 1) merci 2) persone 3) servizi 4) capitali.
• ha creato un’unione doganale mediante l’abolizione di dazi doganali e fissando una tariffa comune nei riguardi degli scambi con paesi terzi.
La fissazione di tale termine fu prevista per il 31 dicembre del 1992 (per la realizzazione del mercato interno) Termine che fu rispettato
• nel 1°pilastro operano pienamente le istituzioni, i procedimenti, il sistema delle fonti e il carattere sopranazionale proprio della Comunità.
• negli altri due pilastri prevale invece il carattere intergovernativo, nel quale operano soprattutto gli Stati membri, rappresentati dai rispettivi governi.
Sviluppo fondamentale, con tale Trattato, è il passaggio a una moneta unica europea, l’Euro;
Tale trattato inoltre mostra una spiccata sensibilità per i diritti della persona istituendo una cittadinanza europea, consistente in uno status giuridico spettante ad ogni
cittadino di uno Stato membro dell’Unione.
Altre due innovazioni del Trattato sono:
1) una nuova procedura di adozione degli atti comunitari denominata ”codecisione”, la quale comporta che l’atto sia adottato solo se sul suo testo si registra la comune
volontà sia del Parlamento europeo che del Consiglio.
2) l’accettazione di un modello di integrazione europea non necessariamente uniforme per tutti gli Stati membri denominato a “integrazione differenziata” o flessibile (per
esempio il Regno Unito ha scelto di rimanere fuori dall’accordo sulla politica sociale).
GLI SVILUPPI SUCCESSIVI
Innovazioni significative sono state apportate dal Trattato di Amsterdam del 1997, entrato in vigore nel 1999, in cui si proclamano i principi di libertà, democrazia, rispetto dei
diritti umani e dello stato di diritto, inserendo come obiettivo la promozione di un elevato livello di occupazione.
Sono state apportate modifiche al secondo pilastro, ma soprattutto viene realizzata una parziale “comunitarizzazione” del terzo pilastro nel senso che materie appartenenti
ad esso vengono sottratte al TUE e passano nell’ambito del Trattato CE. Il terzo pilastro riduce quindi il suo ambito di applicazione alla sola cooperazione di polizia e giudiziaria
in materia penale.
Uno dei nodi irrisolti con l’approvazione del Trattato di Amsterdam era il nuovo assetto istituzionale da dare alla allora Comunità Europea, dotando le istituzioni di procedure
decisionali più semplici ed efficaci. Entrato in vigore nel 2003 , Il Trattato di Nizza ha apportato ai trattati preesistenti modifiche estremamente tecniche, ma indispensabili
per delineare il nuovo equilibrio istituzionale dell’Unione.
Tra le novità più significative introdotte dal Trattato ricordiamo :
1) La nuova ripartizione del numero dei rappresentanti degli Stati membri nelle istituzioni e negli organi comunitari;
2) L’ampliamento dei poteri del Presidente della Commissione europea;
3) Riduzione dei casi in cui il Consiglio deve deliberare all’unanimità;
4) Le modifiche dell’ordinamento giudiziario comunitario;
5) L’introduzione di una procedura di preavviso nel caso in cui siano constatate violazioni dei diritti fondamentali da parte di uno Stato membro.
Con il Trattato di Roma del 2004 si voleva creare una Costituzione Europea: il testo venne elaborato da una Convenzione composta dai rappresentanti dei governi, della
Commissione, del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali, determinando un processo partecipativo trasparente e aperto come mai era accaduto in passato. L’ultima
parola, però, rimaneva comunque nelle mani dei governi e per questo la Costituzione non entrò in vigore dato che era necessaria la ratifica di tutti gli Stati membri.
Ratifica che non è avvenuta.
STRUTTURA:
- istituzione di un Presidente dell’Unione eletto per un mandato di 2 anni e mezzo dal Consiglio Europeo;
- istituzione di un Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, avente l’incarico di Presidente del consiglio degli “Affari estri” e di
Vicepresidente della Commissione;
- vengono aumentati i poteri del Parlamento europeo in materia di bilancio e di adozione degli atti dell’Unione, diventando, la codecisione, la procedura legislativa ordinaria
(accrescimento della legittimità democratica);
- viene garantito il valore giuridico della Carta di Nizza dei diritti fondamentali;
- definitivo abbandono di un’ottica meramente economica e mercantile dell’Unione;
➔ Quali sono gli obiettivi, i principi, caratteri dell’UE e dei trattati su cui si fonda?
I valori dell’UE sono condivisi dagli Stati membri in una società in cui prevalgono l’inclusione, la tolleranza, la giustizia, la solidarietà e la non discriminazione. Questi valori
sono parte integrante del nostro modo di vivere europeo :
Dignità umana : La dignità umana è inviolabile. Deve essere rispettata e tutelata e costituisce la base stessa dei diritti fondamentali;
Libertà : La libertà di movimento conferisce ai cittadini il diritto di circolare e soggiornare liberamente nell’UE. Le libertà individuali, quali il rispetto della vita privata,la
libertà di pensiero, di religione, di riunione, di espressione e di informazione, sono tutelate dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE.
Democrazia : Il funzionamento dell’UE si fonda sulla democrazia rappresentativa. Essere cittadino europeo significa anche godere di diritti politici. Ogni cittadino
adulto dell’UE ha il diritto di eleggibilità e di voto alle elezioni del Parlamento europeo. I cittadini dell’UE hanno il diritto di candidarsi e di votare nel loro Paese di
residenza o in quello di origine.
Uguaglianza : Uguaglianza significa riconoscere a tutti i cittadini gli stessi diritti davanti alla legge. Si applica in tutti i settori.
Stato di diritto : L’Unione europea si fonda sul principio dello Stato di diritto. Tutti i suoi poteri riposano cioè su trattati liberamente sottoscritti dai paesi membri. Il
diritto e la giustizia sono tutelati da una magistratura indipendente. I paesi membri hanno conferito alla Corte di Giustizia dell’Unione europea la competenza di
pronunciarsi in maniera definitiva e tutti devono rispettare le sentenze emesse,
Diritti umani : La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea tutela i diritti umani, fra cui il diritto a non subire discriminazioni fondate sul sesso, la razza o
l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale, il diritto alla protezione dei dati personali e il diritto di accesso alla
giustizia.
Questi obiettivi e valori, che costituiscono le fondamenta dell’UE, sono sanciti dal Trattato di Lisbona e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE.
E’ in base a tali valori che l’Unione europea, lavorando per i suoi interessi, per quelli dei suoi cittadini e dei suoi Stati membri, persegue i seguenti obiettivi :
➔ Il Principio di uguaglianza dei cittadini, enunciato all’Art. 9 del TUE, deve essere rispettato nell’ambito di tutte le attività che svolge l’Unione e necessita dell’attenzione
di quest’ultima mediante le sue istituzioni , i suoi organi e i suoi organismi.
➔ Il Principio di democrazia rappresentativa, l’unico su cui si basa il funzionamento dell’Unione, prevede che la rappresentanza dei cittadini nell’ambito del Parlamento
europeo, è diretta, tenuto conto delle elezioni a suffragio universale, ma si manifesta indirettamente , in senso al Consiglio europeo, attraverso la presenza dei Capi di
Stato o di governo e, in seno al Consiglio, tramite i rappresentanti dei governi;
➔ Il Principio di democrazia partecipativa, comporta la partecipazione dei cittadini e delle associazioni alla vita democratica dell’Unione.
Alle istituzioni, inoltre, corrisponde l’obbligo (in linea con il cd. principio di prossimità e trasparenza) di adottare le decisioni il più possibile aperte e vicine ai cittadini.
L’adesione dell’Unione Europea alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo rappresenta una questione particolarmente complessa per quanto riguarda la tutela dei diritti
fondamentali nel continente. La nascita di un sistema che rinforza questa tutela è sicuramente da considerare in maniera positiva, ma la sovrapposizione tra queste 2 entità
sovranazionali crea dei problemi sia dal punto di vista normativo che giurisdizionale.
Nonostante sia nata come comunità economica, l’UE non ha mai negato l’importanza dei diritti fondamentali come parte integrante del diritto comunitario, e ha anzi, sempre
riconosciuto il ruolo centrale delle convenzioni internazionali in materia, tra cui la CEDU.
In tutto questo, però, la comunità europea ha sempre ribadito la sua posizione di preminenza, e in particolare, la superiorità del diritto comunitario.
E’ proprio in questa “tensione” che risiedono i principali ostacoli alla concreta adesione dell’UE alla CEDU.
Il tema dell’adesione dell’UE è stato ampiamente dibattuto sino a che la Corte di Giustizia , su richiesta del Consiglio, con il parere 2/94 ha negato la competenza della
Comunità ad aderire alla Convenzione, poiché si determinerebbe l’inserimento della Comunità in un diverso sistema istituzionale, nonché l’integrazione delle disposizioni
della Convenzione nell’ordinamento comunitario. Ciò implicherebbe una modifica di rilevanza costituzionale incompatibile con l’applicazione dell’art 308 del Trattato.
Il problema potrebbe essere risolto con l’approvazione della “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea” , nella quale dovrebbero essere trasposti i diritti garantiti
dalla CEDU.
La Carta dei diritti fondamentali dell’UE sancisce in maniera visibile il carattere fondamentale e la portata dei diritti umani per i cittadini dell’Unione. Prima del Trattato di
Lisbona , la Carta era priva di valore giuridico vincolante, con la modifica dell’art. 6 TUE è stata equiparata ai Trattati, assumendone lo stesso valore giuridico.
La Carta riprende e raccoglie per la prima volta in un testo organico i diritti civili e politici, economici e sociali. La proclamazione della Carta ha rappresentato un passo decisivo
verso l’affermazione dell’autonomia costituzionale dell’Unione dal momento che la materia della tutela dei diritti umani in ambito europeo, fondata un tempo su rinvii e
citazioni a fonti giuridiche esterne all’ordinamento dell’Unione, ora appare disciplinata da un testo organico elaborato autonomamente con un procedimento tutto interno
all’ordinamento giuridico ed istituzionale dell’Unione.
In una prima fase la Corte di Giustizia, nel valutare la validità di un atto comunitario, si era rifiutata di tenere conto dell’eventuale violazione dei diritti umani, mentre in una
seconda fase, a seguito soprattutto delle posizioni assunte dalla giurisprudenza interna (italiana e tedesca in primis), ha affermato che i diritti umani fondamentali fanno parte
dei principi giuridici generali dell’Unione. Perciò atti europei emanati in loro violazione sono illegittimi e suscettibili di essere annullati dalla Corte di Giustizia.
L’inserimento dei diritti fondamentali, nel diritto dell’Unione è avvenuto dunque in via “pretoria” grazie alla giurisprudenza per così dire creativa della Corte.
• Spetta al Consiglio europeo, previa consultazione del Parlamento europeo e della Commissione, adottare a maggioranza semplice una decisione favorevole alle
modifiche. Segue poi la convocazione di una Convenzione da parte del Presidente del Consiglio Europeo.
La Convenzione composta di rappresentanti dei Parlamenti nazionali, dei capi di Stato o di governo degli Stati membri, del Parlamento europeo e della Commissione,
esamina i progetti di modifica e adotta una raccomandazione a una Conferenza di rappresentanti dei governi degli Stati membri.
• La Conferenza dei rappresentanti dei governi degli Stati membri è convocata dal Presidente del Consiglio al fine di stabilire di comune accordo le modifiche da
apportare ai trattati.
PROCEDURA DI REVISIONE DELEGATA: → Particolare procedura di revisione semplificata che consente alle istituzioni europee di adottare atti diretti ad integrare o
sviluppare il contenuto di particolari disposizioni. In alcuni casi addirittura, senza il bisogno di una ratifica da parte degli Stati membri, come per esempio in caso di
modifica dello Statuto della Corte di Giustizia (art.281 TFUE).
A tale procedura si lega anche la possibilità di attribuire all’Unione delle competenze “sussidiarie”, ampliando i suoi poteri mediante un procedimento che si esaurisce
sul piano esclusivamente europeo.
Occorre sottolineare che le modifiche entreranno in vigore dopo essere state ratificate da tutti gli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali.
Qualora al termine dei 2 anni dalla firma del trattato di modifica, i 4/5 degli Stati membri abbiano ratificato detto Trattato e uno o più Stati abbiano incontrato difficoltà nella
procedura di ratifica, la questione è sottoposta al Consiglio europeo.
• Nella 1° ipotesi (art. 48 par. 6 TUE) è il Consiglio europeo che, su proposta del governo di qualsiasi Stato membro, o del Parlamento o della Commissione , intesa a
modificare in tutto o in parte le disposizioni della parte terza del TFUE relative alle politiche e alle azioni interne dell’Unione, può approvare direttamente tali
modifiche ( senza l’intervento di una Conferenza intergovernativa). Ciò con una decisione adottata all’unanimità, previa consultazione del Parlamento, della
Commissione e della Banca Centrale europea ( nel caso di modifiche nel settore monetario), che entrerà in vigore solo dopo l’approvazione degli Stati membri
conformemente alle rispettive norme costituzionali. Tale tipo di procedura esclude una revisione sull’estensione delle competenze attribuite all’Unione;
• Nella 2° ipotesi (art.48 par. 7 TUE) si presenta la cd. clausola passerella secondo cui quando il TFUE o il Titolo V del Trattato sull’UE prevedono che il Consiglio deliberi
all’unanimità in un settore o in un determinato caso, il Consiglio europeo con una decisione consente al Consiglio di deliberare a maggioranza qualificata in quel
settore o in quel determinato caso. Questo passaggio da una procedura di voto ad un’altra è consentito anche quando il TFUE prevede che il Consiglio adotti atti
legislativi con la procedura legislativa speciale. In tale caso il Consiglio europeo può adottare una decisione che consenta l’emanazione di tali atti secondo la procedura
legislativa ordinaria.
In entrambi i casi, le iniziative di modifica del TFUE o del TUE sono adottate dal Consiglio europeo e trasmesse ai Parlamenti nazionali. Se vi è opposizione, anche solo di un
Parlamento nazionale, questa deve essere notificata entro 6 mesi dalla data di trasmissione e la decisione di modifica del Consiglio europeo non può essere adottata. In
assenza di opposizione la decisione di modifica è approvata.
Per aderire all’Unione, occorre stipulare un accordo internazionale tra gli Stati già membri del Trattato originario e i nuovi Stati, accordo che deve essere poi sottoposto alla
ratifica da parte di tutti i soggetti che vi hanno partecipato.
Il trattato di adesione non contiene le condizioni per l’ammissione né gli adattamenti ai trattati istitutivi necessari. Tali elementi sono contenuti nell’Atto relativo alle
condizioni d’adesione e agli adattamenti dei trattati, le cui disposizioni costituiscono parte integrante del trattato di adesione.
Gli strumenti relativi all’adesione (trattato,atto,allegati,protocolli,dichiarazioni) contengono soprattutto la previsione di periodi transitori, in in ossequio al principio di
gradualità, già applicato nei trattati originari.
Di massima, invece, gli strumenti di adesione non contengono modificazioni alle norme che riguardano i settori d’intervento e le politiche dell’Unione.
La seconda parte dell’art. 49 TUE codifica quei criteri di ammissibilità che, frutto dell’esperienza dei vari ampliamenti, furono stabiliti nel corso del Consiglio europeo di
Copenaghen del 21 e 22 giugno 1993 (cd. criteri di Copenaghen).
Tali criteri, rispetto ai quali i candidati devono conformarsi prima dell’adesione, vanno verificati in una fase preliminare. Si tratta di criteri politici, giuridici ed economici:
Stabilità politica e rispetto dei principi di democrazia : gli Stati che intendono entrare nell’Unione non solo devono dimostrare di rispettare tali valori ma devono
assumere l’impegno formale di promuoverli sul piano interno ed internazionale;
Instaurazione e consolidamento di un economia di mercato, in grado di sopportare le regole e le pressioni derivanti dalla libera concorrenza;
Capacità di assumere gli impegni connessi all’adesione, compresa l’accettazione degli obiettivi dell’Unione, delle norme dei Trattati, del diritto derivato e più in
generale all’acquis dell’Unione.
Tuttavia l’adesione dello Stato, che si realizza una volta entrato in vigore l’accordo, deve essere progressiva → è dunque necessario un periodo transitorio affinché i nuovi
Stati si inseriscano gradualmente nella realtà dell’Unione.
IL RECESSO DALL’UNIONE (ART.50 TUE)
L’art. 50 TUE attribuisce ad ogni Stato dell’UE la facoltà di decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall’Unione. Tale disposizione lascia piena
discrezionalità, dunque, ai Paesi membri di esercitare la facoltà di recesso dall’Unione, essendo previsto solo il rispetto delle proprie norme costituzionali e non essendo
richiesto alcun obbligo di motivazione.
Non è prevista neanche l’approvazione del recesso da parte degli altri Stati membri che non possono impedire la “fuoriuscita” dello Stato interessato dall’UE, potendo tutt’al
più soltanto negoziare le modalità di scioglimento dall’Unione.
La procedura di recesso prevede che lo Stato membro recedente debba notificare tale intenzione al Consiglio europeo, che formula gli “orientamenti” in base ai quali
l’Unione negozia e conclude con tale Stato un accordo volto a definire le modalità di recesso, tenendo conto del quadro delle future relazioni con l’Unione.
L’accordo di recesso viene negoziato in conformità con quanto stabilito dall’art.218 par.3 TFUE ed è concluso, a nome dell’Unione, dal Consiglio, che delibera a maggioranza
qualificata previa approvazione del Parlamento europeo.
A differenza del procedimento di adesione che consta, oltre alla fase “europea” anche di una fase “nazionale” (consistente nella ratifica dell’accordo da parte degli Stati
membri) la procedura di recesso si svolge tutta interamente all’Unione, in quanto non sono previste né la ratifica né l’approvazione diretta da parte degli altri Stati membri.
I Trattati (TUE e TFUE) cessano di essere applicabili allo Stato recedente a decorrere dalla data di entrata in vigore dell’accordo di recesso o, in mancanza di tale accordo, 2
anni dopo la notifica dell’intenzione di recedere, salvo che il Consiglio europeo, d’intesa con lo Stato membro interessato, decida all’unanimità di prorogare tale termine.
Lo Stato receduto può in seguito chiedere di aderire nuovamente all’Unione, seguendo la procedura di ammissione di cui all’art. 49 TUE.
LE COMPETENZE DI ATTRIBUZIONE
Le competenze dell’Unione sono delimitate, rispetto a quelle esercitabili dagli Stati membri, in base ad alcuni principi, i quali circoscrivono anche, la misura delle competenze
che le norme dei Trattati conferiscono a ciascuna istituzione.
Il primo principio, definito come PRINCIPIO DELLE COMPETENZE DI ATTRIBUZIONE , dispone che l’Unione agisce nei limiti delle competenze che gli sono attribuite dai Trattati
istitutivi per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti.
L’Unione dispone solo delle funzioni e dei poteri che gli Stati membri gli hanno volontariamente attribuito.
I poteri dell’Unione europea non sono “originari” bensì “derivati” , sottolineando il carattere non federale dell’Unione e la volontà di salvaguardare la sovranità degli Stati
membri. Qualsiasi competenza non attribuita dai Trattati all’Unione rimane quindi agli Stati membri (art.5 par.2 TUE).
Il rispetto del principio di attribuzione è giuridicamente sanzionato; ciò significa che se le Comunità o le sue istituzioni ove agissero al di là delle competenze che gli sono state
conferite, gli atti emanati verrebbero considerati illegittimi, perché viziati da incompetenza e per questo annullabili dalla Corte di Giustizia.
LE COMPETENZE “SUSSIDIARIE”
L’ articolo 352 TFUE ha ridimensionato il suddetto principio delle “competenze di attribuzione” conferendo nuovi poteri detti → “ competenze sussidiarie”, senza bisogno
però di una formale modifica dei Trattati. Tale articolo contiene una clausola di flessibilità la quale dichiara che quando un’azione dell’Unione è necessaria per raggiungere
uno scopo della stessa, senza che i Trattati prevedano i poteri d’azione richiesti a tale scopo, il Consiglio, all’unanimità, su proposta della Commissione e dopo aver consultato
il Parlamento, può attribuire nuove competenze all’Unione. Tale attribuzione deve essere quindi subordinata al consenso di tutti gli Stati membri.
Tuttavia ci sono dei limiti all’impiego di tale procedimento, in quanto l’Art. 352 TFUE prevede che un determinato scopo rientri già nelle competenze dell’Unione, ma che
quest’ultima non sia stata provvista dai Trattati dei poteri d’azione necessari per realizzarlo.
Un ulteriore limite all’impiego del procedimento deriva dal divieto di applicazione dello stesso in materia di PESC.
Tali limiti hanno però una scarsa efficacia pratica, in quanto gli scopi dell’Unione che risultano dagli articoli 2,3 e 4 del TUE sono già di per sé ampi e generali.
I c.d. POTERI IMPLICITI
Il principio delle competenze di attribuzione risulta limitato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, la quale fa riferimento alla cosiddetta “teoria dei poteri impliciti”.
Secondo tale teoria un organo internazionale può utilizzare tutti i mezzi a sua disposizione per raggiungere gli scopi previsti dal trattato istitutivo dell’organizzazione stessa,
anche quando tali mezzi non sono espressamente previsti nel testo del trattato.
Nel Trattato istitutivo della Comunità europea è stato inserito un articolo, il 308 (ex 235), che richiama la teoria dei poteri impliciti.
In virtù della portata dell’articolo 308, le condizioni per l’esercizio del potere in esame sono alquanto restrittive. Dal punto di vista sostanziale occorre che l’azione sia
necessaria per il raggiungimento degli scopi della Comunità e deve servire al funzionamento del mercato comune. Dal punto di vista procedurale il Consiglio deve deliberare
all’unanimità, previa proposta della Commissione e dopo aver consultato il Parlamento europeo.
In realtà i poteri riconosciuti dalla norma in questione sono subordinati all’esistenza di due condizioni indispensabili:
— l’azione deve essere necessaria per raggiungere uno degli scopi della Comunità;
— l’azione deve servire al funzionamento del mercato comune.
Esiste poi una versione più avanzata di tale teoria, secondo la quale tali poteri possono essere ricavati direttamente dagli scopi dei Trattati: l’Unione, così, è fornita dei poteri
(impliciti) occorrenti per raggiungere i predetti scopi.
Materie di competenze esclusive : Quando i trattati attribuiscono all’Unione una competenza esclusiva in un determinato settore, solo l’Unione può legiferare e
adottare atti giuridicamente vincolanti. Gli Stati membri possono farlo autonomamente solo se autorizzati dall’Unione oppure per dare attuazione agli atti dell’Unione
L’Unione ha inoltre competenza esclusiva per la conclusione di accordi internazionali allorchè tale conclusione è prevista in un atto legislativo dell’Unione.
Materie di competenze concorrenti : Quando i trattati attribuiscono all’Unione una competenza concorrente con quella degli Stati membri in un determinato settore,
l’Unione e gli Stati membri possono adottare atti giuridicamente vincolanti. Gli Stati membri esercitano la loro competenza nella misura in cui l’Unione non ha
esercitato la propria.
Materie di sostegno e coordinamento o completamento : Volte appunto a sostenere, coordinare o completare l’azione degli Stati membri.
I settori di tali azioni sono i seguenti :
1) la tutela e miglioramento della salute umana; 2) l’industria; 3) la cultura; 4) il turismo; 5) l’istruzione, formazione professionale, gioventù e sport; 6) la protezione civile;
7) la cooperazione amministrativa.
In questa classificazione tripartita non rientrano la politica estera e di sicurezza comune (PESC), né le politiche economiche e dell’occupazione che sono oggetto di
disposizioni specifiche. Per queste ultime due, in particolare, sono previste forme di coordinamento delle politiche nazionali ad opera del Consiglio.
Il rigore di queste due condizioni è confermato inoltre dal PROTOCOLLO N.2, che stabilisce l’obbligo per le istituzioni europee di giustificare le proprie proposte in base al
principio di sussidiarietà, in modo da garantire l’informazione dei Parlamenti nazionali e attribuirgli poteri di vigilanza significativi.
Tale Protocollo infatti stimola una partecipazione dei Parlamenti nazionali all’eventuale impugnazione di atti europei che violino il principio di sussidiarietà.
Il principio di sussidiarietà, si collega in secondo luogo allo scopo che le scelte e le decisioni siano assunte nel modo più trasparente possibile e nel modo più vicino alle
esigenze e alle determinazioni dei cittadini. Si parla al riguardo di del → “principio di prossimità”.
Il principio di sussidiarietà comporta un notevole margine di apprezzamento discrezionale per quanto riguarda sia il profilo dell’insufficienza dell’azione statale sia quello
relativo al valore aggiunto offerto dall’intervento dell’Unione europea.
Tale principio ha provocato una diminuzione del numero delle proposte normative da parte della Commissione ponendo un freno all’eccedenza legislativa.
Gli Stati membri devono adottare tutte le misure affinché vengano adempiti tutti gli obblighi derivanti dai Trattati e dagli atti delle istituzione dell’Unione.
Gli Stati membri facilitano all’Unione l’adempimento dei suoi compiti e si astengono da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli
obiettivi dell’Unione.
Il principio di leale collaborazione degli Stati membri nei riguardi dell’Unione europea, e altrettanto di quest’ultima nei confronti dei primi, specifica quali siano gli obblighi
degli Stati, i quali riguardano tutti gli organi, le autorità pubbliche, organi dello stato o altri enti territoriali. La giurisprudenza dell’Unione ha ricavato dall’articolo 10 il
principio generale di leale collaborazione, o cooperazione, degli Stati membri nei riguardi della Comunità europea.
La Corte, per esempio, ha affermato che dall’articolo 10 deriva l’obbligo del giudice nazionale di garantire la tutela giurisdizionale dei diritti dei singoli derivanti dal diritto
dell’Unione aventi efficacia diretta. E anche nel caso in cui il diritto interno vieti l’emissione di provvedimenti a tutela dei singoli, il giudice è comunque tenuto ad adottarne
dei provvedimenti provvisori.
Un ulteriore conseguenza che viene ricavata dall’obbligo di collaborazione è l’ obbligo del giudice interno di interpretare il proprio diritto in maniera conforme al diritto
dell’Unione. Ciò deve avvenire soprattutto, quando le misure adottate dagli Stati per raggiungere un obbiettivo di una data direttiva, mancano o comunque non sono
appropriate. In tal caso l’obbligo consente di applicare la direttiva “piegando” il diritto dello Stato a conformarsi in via interpretativa a tale direttiva.
All’obbligo di leale collaborazione è riportato anche il c.d. “principio di assimilazione” secondo il quale lo Stato membro deve sanzionare le violazioni del diritto dell’Unione in
termini analoghi rispetto a violazioni comparabili del diritto interno.
Un altro obbligo che la Corte ha dedotto dall’obbligo di cooperazione è quello, per un Stato membro di adottare provvedimenti necessari per fronteggiare atti di privati che
impediscano l’esercizio delle libertà garantite dal diritto dell’Unione. A tal proposito si ricordi la causa nella quale la Francia è stata accusata di non aver adottato
provvedimenti adeguati affinché atti di privati non ostacolassero la libera circolazione degli ortofrutticoli, incolpandola di essere venuta meno agli obblighi imposti dall’articolo
30 CE [oggi 34 TFUE] riguardante le restrizioni quantitative.
La causa Pupino aveva esteso poi l’obbligo di leale collaborazione anche alla cooperazione di polizia giudiziaria in materia penale.
Il trattato di Lisbona ha inserito un nuovo comma all’Art.4 par.3 stabilendo che in virtù del principio di leale collaborazione, l’Unione e gli Stati membri si rispettano e si
assistono reciprocamente nell’adempimento degli obblighi derivanti dai Trattati.
Il principio di leale cooperazione ha trovato poi applicazione anche tra le istituzioni europee (art.13 par.2 TUE).
LA COOPERAZIONE RAFFORZATA
Il trattato di Amsterdam del 1997 ha introdotto un metodo specifico per consentire forme di integrazione differenziata o flessibile all’interno dell’ UE. Questo meccanismo è
denominato → “cooperazione rafforzata”, e con esso si cerca di attenuare l’aspetto negativo del fenomeno, ossia la rinuncia di alcuni Stati a mantenere l’unità e l’uniformità
del sistema europeo perché estranei allo sviluppo. Tale rinuncia tuttavia sembra inevitabile, in considerazione dell’esteso allargamento dell’UE, e quindi della sempre più
marcata differenziazione nei caratteri delle società dei vari Stati membri.
L’unica maniera per conciliare la politica di allargamento dell’UE con quella di approfondimento dell’integrazione sembra essere quella dell’accettazione di un’integrazione
differenziata.
Il significato essenziale della cooperazione rafforzata sta nel promuovere l’inserimento all’interno del sistema dell’UE di forme di approfondimento di sviluppo che
riguardano un numero limitato di Stati membri.
L’Art.20 par.1 TUE stabilisce che gli Stati membri “più avanzati” possano instaurare tra loro delle cooperazioni rafforzate, facendo ricorso alle istituzioni e alle procedure
dell’Unione, per far progredire l’integrazione europea.
Secondo tale procedimento quindi, tutti gli Stati membri del Consiglio possono partecipare alle deliberazione nella materia oggetto di tale cooperazione, ma solo quelli che
partecipano alla cooperazione rafforzata prendono parte alle decisioni con il loro voto.
Le regole di votazione sono quindi adottate in corrispondenza del numero degli Stati membri partecipanti e l’unanimità è data dai soli membri che partecipano alla
cooperazione rafforzata. Lo stesso vale per le decisioni, che sono obbligatorie per i soli partecipanti.
Gli Stati membri non partecipanti alla collaborazione hanno comunque un obbligo negativo, ossia quello di non ostacolare tale cooperazione.
Gli Stati membri partecipanti si adoperano comunque per promuovere la partecipazione del maggior numero di Stati.
Nel quadro della PESC però l’attuazione di una cooperazione rafforzata segue una diversa procedura:
la proposta viene presentata direttamente dagli Stati membri interessati al Consiglio, il quale delibera all’unanimità, previo parere dell’Alto rappresentante per gli affari
esteri e la politica di sicurezza e della Commissione in merito alla coerenza della cooperazione.
Le cooperazioni sono aperte ad ogni Stato membro che può aderirvi anche in un secondo momento notificando al Consiglio e alla Commissione la sua volontà.
Su tale volontà si pronuncia la Commissione previa valutazione dei requisiti.
Un particolare tipo di cooperazione può essere previsto in materia di politica di sicurezza e difesa comune, la quale implica anche l’impiego di mezzi militari.
Si tratta di una cooperazione strutturata permanente che può essere instaurata dagli Stati membri che rispondo a criteri elevati in termini di capacità militari.
Malgrado il progressivo aumento degli Stati membri, nella prassi la cooperazione rafforzata non è mai stata ancora applicata.