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DIRITTO PUBBLICO

DELL’ECONOMIA

Prof.ssa Claudia Golino


Dipartimento di Sociologia e Diritto
dell’Economia
INTEGRAZIONE SOVRANAZIONALE

A lato delle variabili endogene, il rapporto tra Stato e mercato è


anche il frutto di variabili esogene, a partire dal mutare del
vincolo esterno, come plasticamente rappresentato dal crollo del
sistema di Bretton Woods e, poco più tardi, dall’emergere della
crisi petrolifera.
Tra queste variabili di carattere esogeno, meritano particolare
attenzione i processi di integrazione sovranazionale, siano essi di
natura prevalentemente economica, come la globalizzazione, sia di
carattere più propriamente giuridico.
INTEGRAZIONE SOVRANAZIONALE

L’adesione alla normativa europea ha determinato una pluralità di


reazioni da parte della dottrina, sulla base di una differenza
fondamentale tra l’approccio ai rapporti economici sotteso alla
Costituzione italiana e al diritto primario europeo.
Il testo della Costituzione repubblicana, infatti, denota un carattere
aperto, il quale da un lato sancisce alcune situazioni giuridiche
soggettive – i diritti del lavoro, la libertà dell’iniziativa economica, la
proprietà privata, da disciplinare secondo la sua funzione sociale, ecc.
– e dall’altro, assegna alle istituzioni repubblicane il compito di
determinare il punto di equilibrio tra le medesime, alla luce della più
complessiva assiologia costituzionale.
INTEGRAZIONE SOVRANAZIONALE
D’altro canto, il diritto primario europeo si pone come il diritto
materialmente di un ordinamento sui generis, il quale è a un tempo
il prodotto e l’artefice di un processo di integrazione
sovranazionale che ha nel mercato il suo snodo strategico
fondamentale.

In questo contesto, le cd. quattro libertà (le libertà di stabilimento


dei soggetti economici e la libera circolazione di merci, di capitali
e di lavoratori) sono passibili di un bilanciamento con altre
esigenze di carattere sociale, pur asserite oggi dallo stesso diritto
primario europeo, che è geneticamente ineguale.
INTEGRAZIONE SOVRANAZIONALE
Si possono, quindi, fare 3 distinte considerazioni:
1. Le norme costituzionali domestiche specificatamente dedicate alle
libertà economiche si prestano con discreta naturalezza a
un’attenzione coerente con l’approccio sotteso al diritto
europeo.
2. Il contrasto tra le discipline europea e nazionale dei rapporti
economici ha carattere teleologico e concerne gli obiettivi che si
impongono ai pubblici poteri: economia sociale fortemente
competitiva vs. clausole generale come l’utilità sociale.
3. In ultimo, la differenza nei rapporti tra rapporti economici e circuiti
democratici. Da un lato il perseguimento degli obiettivi sociali,
dall’altro il perseguimento del rafforzamento del mercato interno.
I RAPPORTI ECONOMICI E L’AFFERMARSI DELLA
PRIMAUTÈ DEL DIRITTO COMUNITARIO

I vincoli derivanti all’intervento statale nell’economia dalla disciplina


prevista dal Trattato di Roma non avrebbero potuto dispiegare
un’influenza, nei confronti del nostro sistema giuridico, in nulla diversa
rispetto a quella che deriva dai vincoli di natura indiretta propri degli
obblighi derivanti da qualsiasi trattato internazionale, se non vi fosse
stata una decisa accentuazione del carattere sovranazionale
dell’ordinamento comunitario.
Ciò si è verificato grazie alla visione dei primi commissari, sia per
l’intervento della giurisprudenza della Corte.
IL MERCATO INTERNO E LE POLITICHE DELL’UE

Con la nascita delle Comunità europee, il primo problema fu quello di


stabilire un mercato unico; così nel 1957 la prima preoccupazione
della Comunità economica europea (CEE) fu quella di aprire i mercati
nazionali, istituendo in tal modo un mercato comune (poi chiamato
”mercato unico” o “mercato interno”).
La comunità economica europea era una della tre comunità europee
istituite negli ‘50 del XX secolo: ad essa si affiancavano la Comunità
europea del carbone e dell’acciaio – CECA, il cui trattato è giunto a
scadenza nel 2002, e l’Euratom.
Dal 1992 (Trattato di Maastricht) le comunità europee si uniscono
in unica organizzazione che poi confluirà nell’attuale Unione
Europea.
CARATTERISTICHE DEL MERCATO UNICO EUROPEO

La disciplina uniforme del mercato interno viene realizzata, dunque, da tre principali
strumenti:

Una disciplina sovranazionale che


dispone limiti agli interventi statali. 4 libertà di circolazione

Una disciplina sovranazionale che


dispone limite ai privati.
Disciplina della concorrenza

Una struttura complessa in cui si limita


l’attività dei poteri pubblici nazionali,
interagente con limiti gravanti sui
Aiuti di stato
privati.
LA CREAZIONE DEL MERCATO INTERNO

Con l’apertura dei mercati nazionali e la formazione di un mercato interno


transnazionale, mutano ambedue i termini del tradizionale rapporto Stato-mercato: da
un lato, i mercati perdono la loro identità nazionale; dall’altro, lo Stato viene
progressivamente affiancato da un organismo sovranazionale.
Alla formazione di un mercato interno europeo si è pervenuti utilizzando tre strumenti:

1. La libera circolazione di merci, lavoratori, servizi e capitali


2. La disciplina della concorrenza
3. La limitazione degli aiuti statali alle imprese

Il primo e il terzo strumento comportano un obbligo da parte degli Stati di astenersi


dall’intervenire o interferire con il mercato. Il secondo strumento invece non è diretto
agli Stati ma al mercato.
LE QUATTRO LIBERTÀ DI CIRCOLAZIONE

Art. 26.2 TFUE*

Il mercato interno comporta uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la
libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali secondo le
disposizioni dei trattati.

*Il TFUE è il TUE sono i due trattati pilastro dell’Unione Europea, il primo in
particolare organizza il funzionamento dell’Unione e determina i settori, la
delimitazione e le modalità di esercizio delle sue competenze.
LA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
La libera circolazione delle merci è garantita attraverso l'eliminazione dei dazi
doganali e delle restrizioni quantitative e dal divieto di adottare misure di effetto
equivalente. I principi del riconoscimento reciproco, l'eliminazione delle
barriere fisiche e tecniche e la promozione della standardizzazione sono ulteriori
elementi introdotti per portare avanti il completamento del mercato interno.
L'adozione del nuovo quadro legislativo nel 2008 ha rafforzato la libera
circolazione delle merci, il sistema di vigilanza del mercato dell'UE e il marchio
CE. Studi recenti indicano che i benefici derivanti dal principio della libera
circolazione delle merci e dalla legislazione correlata ammontano a 386 miliardi
di EUR l'anno.
LA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
La libera circolazione delle merci nel mercato interno è assicurata attraverso:
STRUMENTI
- Attraverso un’unione doganale (art. 28.1 TFUE)
- Col divieto di imposizioni fiscali (art. 110 TFUE)
- Con l’abolizione delle restrizioni quantitative e delle misure di effetto
equivalente (artt. 34 e 35 TFUE)
- Con il riordinamento dei monopoli (art. 37 TFUE)
- Col riavvicinamento delle legislazioni nazionali (art. 114 TFUE)
LA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI
OBIETTIVI
Il diritto alla libera circolazione delle merci originarie degli Stati membri e delle merci
provenienti da paesi terzi che si trovano in libera pratica negli Stati membri è uno dei
principi fondamentali del trattato (articolo 28 del TFUE). In una fase iniziale, la libera
circolazione delle merci era stata concepita nel quadro di un'unione doganale tra gli Stati
membri con l'abolizione dei dazi doganali, delle restrizioni quantitative agli scambi, delle
misure di effetto equivalente e con la fissazione di una tariffa esterna comune
dell'Unione. In seguito l'accento è stato posto sull'eliminazione di tutti gli ostacoli restanti
frapposti alla libera circolazione delle merci al fine di realizzare il mercato interno.
RISULTATI
L'abolizione dei dazi doganali e delle restrizioni quantitative (contingenti) fra gli Stati
membri è stata portata a termine entro il 1. luglio 1968. Per contro, gli obiettivi
complementari, ovvero il divieto di misure di effetto equivalente e l'armonizzazione delle
normative nazionali pertinenti, non sono stati conseguiti entro tale termine. Tali obiettivi
sono divenuti fondamentali nello sforzo continuo di conseguire la libera circolazione
delle merci.
LA CIRCOLAZIONE DEI LAVORATORI

Articolo 45 TFUE

1. La libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione è assicurata.


2. Essa implica l'abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori
degli Stati membri, per quanto riguarda l'impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro.
3. Fatte salve le limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità
pubblica, essa importa il diritto: a) di rispondere a offerte di lavoro effettive; b) di spostarsi
liberamente a tal fine nel territorio degli Stati membri; c) di prendere dimora in uno degli Stati
membri al fine di svolgervi un'attività di lavoro, confor­memente alle disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative che disciplinano l'occupa­ zione dei lavoratori nazionali; d) di
rimanere, a condizioni che costituiranno l'oggetto di regolamenti stabiliti dalla Commissione, sul
territorio di uno Stato membro, dopo aver occupato un impiego.
LA CIRCOLAZIONE DEI LAVORATORI
La libera circolazione dei lavoratori nel mercato interno è assicurata dall’art. 45 del
TFUE.
OBIETTIVI
Essa include i diritti di circolazione e di soggiorno dei lavoratori, i diritti di ingresso e di
soggiorno dei loro familiari e il diritto di svolgere un'attività lavorativa in un altro Stato
membro, nonché di essere trattati su un piano di parità rispetto ai cittadini di quello Stato.
L'Autorità europea del lavoro funge da agenzia dedicata per la libera circolazione dei
lavoratori, compresi i lavoratori distaccati.
L'Autorità europea del lavoro, un'iniziativa nell'ambito del pilastro europeo dei diritti
sociali, è stata istituita il 31 luglio 2019. I suoi obiettivi principali sono: garantire una
migliore applicazione delle norme UE relative alla mobilità del lavoro e al
coordinamento della sicurezza sociale, fornire servizi di sostegno ai lavoratori in mobilità
e ai datori di lavoro, sostenere il coordinamento tra gli Stati membri nell'applicazione
transfrontaliera, comprese le ispezioni congiunte e la mediazione per la risoluzione delle
controversie transfrontaliere, nonché promuovere la cooperazione tra gli Stati membri
nella lotta al lavoro non dichiarato.
LA CIRCOLAZIONE DEI LAVORATORI

Essa implica l'abolizione di qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalità per quanto
riguarda l'impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro. Inoltre, l’art. 45 stabilisce che
un lavoratore dell'UE ha il diritto di rispondere a un'offerta di lavoro, di spostarsi liberamente a
tal fine nel paese, di prendervi dimora al fine di svolgervi un'attività di lavoro e di rimanere nel
suo territorio, a determinate condizioni, dopo aver occupato un impiego.
Inoltre esistono altre disposizioni che la completano, in relazione alla equiparazione della
protezione sociale, del diritto al lavoro, della formazione professionale:
- art. 48 TFUE: sistema che consente ai lavori migranti di continuare a godere delle prestazioni e di ottenere il
cumulo dei periodi assicurativi maturati nei diversi Stati membri;
- art. 153.1 TFUE: norma volta ad eliminare i dislivelli tra i diversi Stati membri per giungere a norme comuni
per un sistema europeo di diritti sociali;
- art. 166.1 TFUE: l’UE attua una politica di formazione professionale che rafforza ed integra le azioni deli
Stati membri;
- art. 162 TFUE: costituzione Fondo Sociale Europeo per migliorare la possibilità di occupazione dei lavoratori
all’interno del mercato interno e per contribuire al tenore di vita: norma positiva volta a favorire la
circolazione.
LA CIRCOLAZIONE DEI LAVORATORI

RISULTATI
Secondo i dati Eurostat, nel 2019, il 3,3 % dei cittadini dell'UE in età lavorativa (20-64
anni) risiedeva in un paese dell'UE diverso da quello di cittadinanza — una percentuale
in aumento rispetto al 2,4 % del 2009. Inoltre, si sono registrati 1,5 milioni di lavoratori
transfrontalieri e 4,6 milioni di lavoratori distaccati. La quota di cittadini dell'UE in
mobilità varia notevolmente da uno Stato membro all'altro e va dallo 0,8 % nel caso della
Germania al 19,4 % nel caso della Romania.
Questi cittadini dell'UE in mobilità registrano un tasso di occupazione più elevato (75,5
%) rispetto a quelli residenti nel paese di cui erano cittadini (73,1 %). Inoltre, tra il 2011
e il 2019 la mobilità delle persone altamente qualificate è aumentata di 4 punti
percentuali, promuovendo così la circolazione delle conoscenze nell'UE.
LA CIRCOLAZIONE DEI LAVORATORI – IMPATTO
DELLA PANDEMIA COVID-19
La pandemia di COVID-19, che ha colpito l'UE nei primi mesi del 2020, ha portato a
restrizioni senza precedenti della libera circolazione dei lavoratori in tutti gli Stati
membri dell'UE, in particolare a seguito della reintroduzione dei controlli alle frontiere
interne.
Di conseguenza, fra i lavoratori transfrontalieri, stagionali e distaccati si sono registrati
un aumento della disoccupazione e gravi problemi di trasferimento. Nel marzo 2020 la
Commissione ha pubblicato orientamenti relativi all'esercizio della libera circolazione dei
lavoratori durante la pandemia di COVID-19, integrati da ulteriori orientamenti relativi
alla libera circolazione degli operatori sanitari e dei lavoratori stagionali, rispettivamente
nel maggio e nel luglio 2020. Il 12 ottobre 2020 il Consiglio ha adottato una
raccomandazione per un approccio coordinato alla limitazione della libertà di
circolazione in risposta alla pandemia di COVID-19, che contiene disposizioni sulla
revoca degli obblighi di quarantena per i lavoratori essenziali.
IL DIRITTO DI STABILIMENTO E LA CIRCOLAZIONE
DEI SERVIZI

Articolo 49 TFUE

Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato
membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì ̀ alle restrizioni
relative all'apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio
di un altro Stato membro. La libertà di stabilimento importa l'accesso alle attività autonome e al loro esercizio,
nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell'articolo 54, secondo comma,
alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le
disposizioni del capo relativo ai capitali.

Art. 56 TFUE

Nel quadro delle disposizioni seguenti, le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all'interno dell'Unione sono
vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in uno Stato membro che non sia quello del
destinatario della prestazione.Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa
ordinaria, possono estendere il beneficio delle disposizioni del presente capo ai prestatori di servizi, cittadini di un
paese terzo e stabiliti all'interno dell'Unione.
IL DIRITTO DI STABILIMENTO E LA CIRCOLAZIONE
DEI SERVIZI
Il diritto di stabilimento (art. 49 TFUE) importa l’accesso alle attività autonome e al loro
esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società, alle
condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri
cittadini.
Inoltre, l’art. 53 TFUE, commi 1 e 2, dispone che al fine di agevolare l’accesso alle
attività autonome e l’esercizio di queste, il Parlamento EU e il Consiglio stabiliscono
direttive intese al reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati, ed altri titoli e al
coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati
membri.
Quanto alla circolazione dei servizi l’art. 57 TFUE stabilisce la definizione di servizi:
prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione: a) attività di carattere industriale; b)
attività di carattere commerciale; c) attività artigiane; d) attività delle libere professioni.
Queste disposizioni sono considerate norme di chiusura in quanto si riferiscono alle
restanti attività non assicurate dalle altre libertà.
IL DIRITTO DI STABILIMENTO E LA CIRCOLAZIONE
DEI SERVIZI
I lavoratori autonomi e i professionisti o le persone giuridiche ai sensi dell'articolo 54
TFUE che operano legalmente in uno Stato membro possono: i) esercitare un'attività
economica in un altro Stato membro su base stabile e continuativa (libertà di
stabilimento: articolo 49 TFUE); o ii) offrire e fornire i loro servizi in altri Stati membri
su base temporanea pur restando nel loro paese d'origine (libera prestazione dei servizi:
articolo 56 TFUE). Ciò presuppone non soltanto l'abolizione di ogni discriminazione
basata sulla nazionalità ma anche, al fine di poter usufruire concretamente di tale libertà,
l'adozione di misure volte a facilitarne l'esercizio, compresa l'armonizzazione delle
norme nazionali di accesso o il loro riconoscimento reciproco
IL DIRITTO DI STABILIMENTO E LA CIRCOLAZIONE
DEI SERVIZI
RISULTATI
A. La liberalizzazione nel trattato
1. «Libertà fondamentali»
Il diritto di stabilimento comprende il diritto di svolgere attività indipendenti, nonché di
avviare e gestire imprese al fine di esercitare un'attività permanente su base stabile e
continuativa, alle stesse condizioni previste per i propri cittadini dalla legislazione dello
Stato membro di stabilimento.
La libertà di prestare servizi si applica a tutti i servizi che vengono generalmente forniti a
titolo remunerativo, nella misura in cui essi non sono regolamentati dalle disposizioni
relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone. La persona che
presta un «servizio» può, a tal fine, esercitare temporaneamente la propria attività nello
Stato membro in cui il servizio viene prestato, alle stesse condizioni imposte da tale Stato
ai propri cittadini.
IL DIRITTO DI STABILIMENTO E LA CIRCOLAZIONE
DEI SERVIZI
2. Le eccezioni
Il TFUE esclude dalla libertà di stabilimento e dalla libera prestazione dei servizi le
attività che sono connesse all'esercizio dei pubblici poteri (articolo 51 TFUE). Tale
esclusione è tuttavia limitata da un'interpretazione restrittiva: le esclusioni possono
riguardare soltanto attività e funzioni specifiche che comportano l'esercizio dei pubblici
poteri; inoltre, affinché l'esclusione comprenda un'intera professione, tutta la relativa
attività deve essere dedicata all'esercizio dei pubblici poteri o la parte che vi è dedicata
deve essere inscindibile dalle altre. Tali eccezioni permettono agli Stati membri di
escludere la produzione o il commercio di materiale bellico (articolo 346, paragrafo 1,
lettera b), TFUE) e di mantenere un regime particolare per i cittadini stranieri,
giustificato da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica
(articolo 52, paragrafo 1).
IL DIRITTO DI STABILIMENTO E LA CIRCOLAZIONE
DEI SERVIZI
Per l’attuazione della libertà di stabilimento l’UE ha adottato specifiche direttive di
coordinamento della formazione professionale negli Stati membri e di mutuo
riconoscimento del titolo a seguito del percorso formativo coordinato.
Per l’attuazione della circolazione dei servizi sono state adottate:
- normativa generale: dir. 123/2006 (d.lgs. n. 59/2010) si applica a qualunque servizio
fornito dietro corrispettivo economico. E’ volta a facilitare la libertà di stabilimento e di
prestazione dei servizi nel mercato e a migliorare la qualità dei servizi offerti. Questi
obiettivi sono raggiunti attraverso:
- regimi di autorizzazione
- rafforzamento diritti dei destinatari di servizi
- certificazione volontaria delle attività, elaborazione carte di qualità e codici di condotta
europei
- semplificazione amministrativa
- meccanismi di cooperazione tra amministrazioni (assistenza reciproca)
LA CIRCOLAZIONE DEI CAPITALI

Articolo 63 TFUE

1. Nell'ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni ai
movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi.
2. Nell'ambito delle disposizioni previste da l presente capo sono vietate tutte le restrizioni sui
pagamenti tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi.

Il divieto imposto dall’art. 63 TFUE contribuisce alla rimozione degli ostacoli alla
circolazione dei fattori produttivi nell’ambito del mercato interno. Da esso discende, ad
esempio, l’illegittimità delle misure nazionali che subordinino ad un’autorizzazione
amministrativa il trasferimento di valuta, di mezzi di pagamento o di valori mobiliari; delle
misure che stabiliscono dei controlli sugli investimenti diretti mediante la previsione di azioni
che conferiscono diritti speciali a favore dello Stato o che impongono restrizioni
all’assunzione di partecipazioni azionarie.
I LIMITI ALL’IMPRESA PUBBLICA

È ora necessario considerare i 4 ambiti nei quali si è sviluppata


l’incidenza europea di cui si discute.
Il primo di questi riguarda il divieto di mantenere trattamenti speciali
a favore di imprese pubbliche (art. 106 TFUE). Tale divieto impone di
rimuovere quei trattamenti speciali che comportano discriminazioni a
danno di singole imprese o concedano lo sfruttamento di posizioni
dominanti, intese monopolistiche, o ancora che consistano in aiuti di
qualsiasi specie idonei a turbare la concorrenza comunitaria.
L’art. 106 non esprime un’esclusione dell’iniziativa pubblica, ma essa
deve sottostare alla stesse regole di concorrenza dell’impresa privata.
IL DIVIETO DI AIUTI DI STATO

Gli stessi obiettivi che hanno portato a ricondurre l’impresa


pubblica al modello dell’imprenditore privato non potevano non
incidere significativamente su un altro strumento a lungo utilizzato
dai governi nazionali per finalità di politica economica: si tratta
della disciplina europea relativa agli aiuti di Stato.
Essi sono quei sostegni economici a carico della fiscalità generale
– o comunque finanziate dal complesso delle risorse pubbliche –
volte a sussidiare specifiche attività di produzione e
commercializzazione di beni e servizi.
IL DIVIETO DI AIUTI DI STATO

Da un punto di vista diacronico, la disposizione di riferimento della


disciplina in materia di aiuti di Stato è presente sin dal Trattato di Roma.
Tuttavia, sino agli anni ‘80, il numero di decisioni relative ad aiuti
illegittimi è stato molto ridotto e tendenzialmente confinato in ambiti
specifici come carbone e acciaio, agricoltura, tessile e cantieristica.
La circostanza non deve stupire: infatti, iniziative rientranti a pieno titolo
nella nozione di aiuto di Stato erano largamente utilizzate dai governi
nazionali dell’epoca e costituivano quindi una leva fondamentale per il
perseguimento di interessi generali.
IL DIVIETO DI AIUTI DI STATO

Per altro verso, negli anni ’80 si afferma un approccio decisamente più
rigorista al tema degli aiuti, per almeno tre ragioni:
1. Abbandono delle teorie economiche keynesiane in favore di quelle di
matrice neoclassica
2. Nuovo slancio al progetto europeo e, in particolare, al rafforzamento
del mercato unico.
3. Infine, al principio degli anni ‘90, la redazione di Maastricht incide
ulteriormente sulla capacità degli Stati di sussidiare il proprio sistema
produttivo, a partire dalla limitazione dell’indebitamento pubblico, la
quale si ripercuote in misura diretta sulle risorse da destinare agli
aiuti.
IL DIVIETO DI AIUTI DI STATO

Più di recente, infine, con la crisi economica e finanziaria del 2008,


l’approccio al tema degli aiuti torna a caratterizzarsi per un certo
pragmatismo, permettendo massicci interventi pubblici in soccorso
soprattutto di istituzioni finanziarie minacciate dal possesso di asset
deteriorati e, più in generale, da un contesto macroeconomico
particolarmente critico.
Tuttavia, terminata la fase più acuta della crisi e attenuatasi l’esigenza di
permettere agli stati di indossare i panni dello “Stato salvatore”, non
solo l’approccio al tema degli aiuti è tornato quello del periodo
precedente, ma sono state messe in cantiere alcune nuove misure.
IL DIVIETO DI AIUTI DI STATO

Quali sono, quindi, le caratteristiche per cui un aiuto di Stato risulta


essere incompatibile con il diritto dell’UE?
• Deve trattarsi di un intervento diretto dello Stato o, comunque
effettuato mediante risorse pubbliche;
• In secondo luogo, tale intervento deve poter incidere sugli scambi
tra Stati membri;
• In terzo luogo, esso deve concedere un vantaggio al suo
beneficiario;
• Infine, tale intervento deve falsare o minacciare di falsare la
concorrenza.
IL DIVIETO DI AIUTI DI STATO
Se gli aiuti che presentano – cumulativamente – i quattro caratteri di cui
si è detto sono attratti dalla disciplina dell’art. 107 TFUE e dunque
potenzialmente incompatibili col mercato interno, ciò non toglie che
possano esistere eccezioni.
Il secondo comma dell’art. 107 sancisce che sono compatibili col
mercato interno 3 diversi tipi di aiuti:
1. Aiuti a carattere sociale, concessi ai singoli consumatori, a
condizione che siano accordati senza discriminazioni legate
all’origine dei prodotti.
2. Aiuti destinati a ovviare ai danni prodotti da calamità naturali o da
eventi eccezionali.
IL DIVIETO DI AIUTI DI STATO

Il terzo comma dell’art. 107 elenca infine una pluralità di tipi di aiuto di
Stato che possono essere considerati compatibili col mercato interno:
• Favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia
anormalmente basso, oppure dove si abbia una grave forma di
sottoccupazione;
• Promuovere la realizzazione di un importante progetto di comune
interesse europeo;
• Porre rimedio a un grave turbamento dell’economia di uno SM
• Agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni
economiche
• Promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio
IL DIVIETO DI AIUTI DI STATO

Per quest’ultimo elenco non vale la presunzione di piena


compatibilità, qui non si tratta di aiuti sicuramente compatibili, ma
al contrario di iniziative statali potenzialmente compatibili con il
mercato comune, per le quali vale quanto deciso dalle Istituzioni
europee.
A norme del successivo art. 108 TFUE, alla Commissione spetta
un compito di monitoraggio permanente degli aiuti posti in
essere dagli Stati, mentre su questi ultimi grava un dovere di previa
informazione, in favore dell’Istituzione europea, circa i progetti di
aiuti che essi intendono porre in essere, al fine di una loro
valutazione preventiva.
LA DISCIPLINA DELLA CONCORRENZA

Il quadro che si è ricostruito finora trova completamento nei limiti che il Trattato
pone allo svolgimento dell’iniziativa economica privata, la quale è chiamata a
rispettare le regole del mercato concorrenziale.
La centralità della concorrenza all’interno del disegno di integrazione
sovranazionale tramite il mercato deriva da due distinti fattori:
1. Il carattere più marcatamente tecnico delle politiche incentrate sul
carattere competitivo del mercato, rispetto a quelle che sottintendevano una
maggiore discrezionalità del decisore politico.
2. La convinzione per cui l’unione di iniziativa privata e meccanismo
concorrenziale sia la via migliore per coniugare sviluppo economico e
responsabilizzazione di chi detiene questa forma di potere sociale.
LA DISCIPLINA DELLA CONCORRENZA

Evitare distorsioni del mercato e concentrazioni oligopolistiche, o


peggio monopolistiche, infatti, è apparsa sin da principio un’esigenza
funzionale all’obiettivo primario della costruzione europea: la
realizzazione di un mercato unico di merci, capitali, servizi e
lavoratori.
Infatti, nel momento in cui mercati interni dei sei Paesi fondatori
devono compenetrarsi nel mercato comune europeo, la presenza di
soggetti in posizione monopolistica o oligopolistica a livello nazionale
minaccia di mantenere in vita, su un piano fattuale, i confini statali
che il progetto integrativo vuole al contrario superare.
LA DISCIPLINA DELLA CONCORRENZA
Quanto alla disciplina imposta dal diritto primario europeo, il Trattato di
Roma disciplina restrittivamente le intese, gli accordi tra imprese e le
pratiche concordate che alterino il gioco della concorrenza e vieta
l’abuso di posizione dominante.
Il divieto non si applica quando l’intesa contribuisca a “migliorare la
produzione o la distribuzione dei prodotti”, o a “promuovere il progresso
tecnico o economico”, qualora:
• Sia riservata ai consumatori una parte dell’utile che deriva dall’intesa
• Le restrizioni alle imprese interessate siano solo quelle indispensabili
per raggiungere gli obiettivi legittimanti.
• Non vi sia comunque l’esito di eliminare la concorrenza per una parte
sostanziale dei prodotti di cui trattasi.
LA DISCIPLINA DELLA CONCORRENZA

Ad un’analisi non meramente superficiale, appare chiaro che, nella gran


parte dei casi, il bilanciamento tra conseguenze negative e positive
dell’intesa non abbia carattere automatico, ma richieda il compimento di
valutazioni che non sono esclusivamente tecniche, quanto piuttosto
tecnico-politiche.
In altri termini, l’intesa ha (quasi) sempre un effetto anticompetitivo
immediato, ma lo sviluppo di un nuovo prodotto o di un processo
produttivo o distributivo può promettere di dispiegare effetti positivi nel
medio periodo, con tutta la difficoltà di operare una stima attendibile e di
comporre in un risultato univoco effetti che sono obiettivamente
disomogenei.
LA DISCIPLINA DELLA CONCORRENZA
Il quadro relativo alla disciplina comunitaria delle intese restrittive della
concorrenza è infine caratterizzato dall’esistenza di regole de minimis in
cui è lo stesso divieto del par.1 dell’art. 101 TFUE a non operare.
Si tratta di un sistema di esenzioni per quelle imprese la cui dimensione
sia talmente ridotta da non poter incidere significativamente sul mercato
e soprattutto sugli scambi tra SM.
Nel 2001, la Commissione ha identificato due criteri per l’adozione delle
relative regole:
1. Il primo è relativo alle dimensioni delle imprese
2. Il secondo concerne la quota di mercato detenuta dalle parti
dell’accordo.
LA DISCIPLINA DELLA CONCORRENZA

Discorso diverso merita l’abuso di posizione dominante (art. 102


TFUE).
È interessante sottolineare il carattere lecito della posizione dominante, a
riprova del fatto che il diritto antitrust non mira alla realizzazione
dell’idealtipo della concorrenza perfetta, quanto piuttosto a proteggere la
concorrenza effettiva da comportamenti opportunistici delle imprese.
La stessa giurisprudenza comunitaria fornisce una definizione secondo la
quale deve intendersi “la posizione di potenza economica grazie alla
quale l’impresa che la detiene è in grado di ostacolare la presenza di una
concorrenza effettiva sul mercato in questione e ha la possibilità di
tenere comportamenti alquanto indipendenti nei confronti dei
concorrenti, dei suoi clienti e, in definitiva, dei consumatori”.
VERSO UN MUTUO ARRICCHIMENTO TRA LA
COSTITUZIONE ECONOMICA EUROPEA E NAZIONALE

I due sistemi, inizialmente, si presentano, in fondo, complementari in


quanto, mentre obiettivo della Comunità è la creazione di un mercato
comune, restano agli Stati importanti competenze in relazione alle
politiche finanziarie, economiche e sociali. Tale distinzione di ruoli e
competenze viene però, progressivamente meno con l’estendersi
dell’azione comunitaria.
Più che di una supremazia di un modello di costituzione economica a
danno del concorrente, sembra opportuno parlare, guardando alle
trasformazioni che hanno caratterizzato, rispettivamente, l’esperienza
nazionale e quella comunitaria, di un circuito biunivoco di mutua
alimentazione tra, per l’appunto, il livello interno e quello comunitario.
VERSO UN MUTUO ARRICCHIMENTO TRA LA
COSTITUZIONE ECONOMICA EUROPEA E NAZIONALE

In altre parole, il diritto pubblico dell’economia trova le sue basi


nell’equilibrio cui perviene la relazione tra diritti economici e
diritti sociali.
Si può allora affermare che, nel corso degli anni, lasciandosi
plasmare dal portato dei principi costituzionali degli SM,
l’evoluzione della giurisprudenza e della normativa comunitaria ha
parzialmente rimediato allo squilibrio a favore dei diritti economici
che caratterizzava invece l’impostazione originaria della Comunità
economica europea.
Prof.ssa Claudia Golino

Dipartimento di Sociologia e Diritto dell’Economia

claudia.golino@unibo.it

www.unibo.it

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