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protezione dei cittadini disoccupati, nonch di coloro che neppure tentano di inserirsi nel mercato del lavoro.
Il punto di forza del sindacato - il sistema, cio, attraverso il quale il sindacato poteva contrastare il potere della classe dirigente - era solo lo sciopero, ossia l'astensione dal lavoro, causando in tal modo gravi danni economici all'imprenditore. Inizialmente lo sciopero era penalmente perseguito e, in Italia, solo col codice Zanardelli del 1889 tale forma di protesta dei lavoratori venne resa tollerabile e, tuttavia, senza lasciare lo scioperante indenne da responsabilit civile per il danno causato con la sua astensione dal lavoro.
6. Il ventennio fascista.
Con l'avvento del fascismo si ebbe un radicale cambiamento istituzionale nei confronti del sindacato, la cui sopravvivenza era subordinata alla sua compatibilit col regime corporativo. Non di meno in tale periodo vi furono numerose innovazioni legislative che sostanzialmente realizzavano gli obiettivi sindacali.
Sul fronte sindacale, in particolare, la Confndustria, rappresentante la parte datoriale, riconosceva alle organizzazioni sindacali fasciste il monopolio della rappresentanza sindacale, cos eliminando di fatto i preesistenti sindacati rossi (socialisti e comunisti) e bianchi (moderati e cattolici) ed ottenendo, altres, l'eliminazione delle "commissioni sindacali interne", ossia delle rappresentanze sindacali aziendali Il governo, dal canto suo, si riserv la facolt di legittimare un solo sindacato - cosa che fece - a condizione che questo fosse rappresentativo di almeno il 10% dei lavoratori della categoria interessata e purch "compatibile" col regime corporativo, ossia col comune intento di realizzare gli obiettivi di governo. In tal modo veniva messo fuori gioco il primo grande sindacato costituitosi nel 1906 su impulso del partito socialista: la CGIL (Confederazione Generale Italiana del Lavoro). La legittimazione di un unico sindacato di gradimento del governo port, non di meno, all'affermazione della contrattazione collettiva quale fonte normativa del rapporto di lavoro dipendente, non derogabile se non a favore del lavoratore. Le innovazioni normative del ventennio fascista videro l'abolizione dello sciopero e, con esso, della serrata, il miglioramento delle norme a tutela del lavoro delle donne e dei fanciulli e delle lavoratrici madri nonch in materia di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro ed in materia di assistenza previdenza (con l'istituzione dellINPS). La legislazione del ventennio fascista culmin col codice civile del 1942 nel quale fece la comparsa la definizione di "lavoro subordinato", che and a sostituire la preesistente ed ormai inadeguate definizione di "locazione d'opera" di cui al primo codice del 1865. Il grande merito della disciplina del contratto di lavoro, contenuta nel codice, fu altres quello di applicarsi indifferentemente, per la prima volta, a tutte le categorie di lavoratori subordinati. Si realizz, in tal modo, una "storica" unificazione normativa del regime giuridico del lavoro subordinato.
7. Il diritto del lavoro repubblicano: dalla Costituzione allo Statuto dei lavoratori.
Dopo la seconda guerra mondiale, una volta abolite le strutture sindacali corporative, si ricostitu il movimento sindacale riunitosi nella CGIL, unico grande sindacato preesistente. Tale unit, per, dur poco ed alla spaccatura politica, tra forze socialiste e comuniste e forze moderate e cattoliche, fece eco la spaccatura sindacale e dalla CGIL, di ispirazione social-comunista, si staccarono la CISL, di ispirazione cattolica, e la UIL, di ispirazione repubblicano-socialista. Sul piano normativo un nuovo impulso allo sviluppo di un diritto del lavoro venne dalla Costituzione che, pur esaltando i diritti del lavoratore, non era di per se sufficiente a disciplinare la materia, per cui tale compito tornava nelle mani del legislatore. Le prime innovazioni si ebbero negli anni '50 del secolo scorso, ma fu negli anni '60 che, con la partecipazione dei socialisti al governo, si ebbero significative riforme a tutela dei lavoratori dipendenti. Tra queste si ricordano: la legge n. 1369 del 1960, sul divieto di interposizione nell'impiego di mano d'opera, finalizzata a contrastare il fenomeno del caporalato; la legge n. 230 del 1962, limitativa delle assunzioni a tempo determinato e perci introduttiva del principio della stabilit del rapporto di lavoro;
la legge n. 604 del 1966, limitativa della facolt di licenziamento. Gli anni 70 hanno visto una sempre maggiore partecipazione sindacale, anche a livello aziendale con la ricostituzione delle commissioni interne, risentendo favorevolmente di fenomeni di forte contestazione politica e sociale. Ed in tale clima di contestazione, caratterizzata dalla nascita di forze extraparlamentari di sinistra e da episodi di estremismo violento, che vide la luce la legge 20 maggio 1970, n. 300, nota come Statuto dei diritti dei lavoratori (di seguito pi semplicemente Statuto), portatrice di significative riforme a tutela del sindacato e dei lavoratori, introduttiva, tra l'altro, del procedimento giudiziario speciale di cui allart. 28 sulla repressione della condotta antisindacale. Alla legge n. 300 del 1970 fecero seguito altri importanti provvedimenti legislativi tra i quali vanno ricordati: la legge n. 1204 del 1971, sulla tutela delle lavoratrici madri; la legge n. 533 del 1973, sul procedimento processuale speciale in materia di controversie di lavoro; la legge n. 903 del 1977, sulluguaglianza nel lavoro tra luomo e la donna. Altre particolari riforme riguardarono la protezione dei salari attraverso listituto cosiddetto della scala mobile (ossia della contingenza per il settore privato, e dellindennit integrativa speciale, per il settore pubblico), consistente nell'automatico adeguamento dei salari al crescere dell'inflazione. Tale istituto, caratterizzante l'autonoma dei salari rispetto all'andamento dell'economia del paese, sarebbe stato poi abolito a partire dal 1992.
Tali soluzioni, frattanto, furono possibili solo con una cosciente partecipazione del sindacato che in tal modo and ad assumere un ruolo pi politico che sindacale e per ci stesso non esente da conflitti interni e spaccature con la pi intransigente CGIL, faticosamente ricostruite, che rispecchiavano le diverse posizioni delle forze politiche.
Pur nel comune intento di incrementare il tasso di occupazione, i programmi delle forze politiche si sono ispirati a posizioni diverse e si sono diversamente indirizzati: il centrosinistra si ispirato a posizioni pi conservatrici delle conquiste sindacali (modello renano) mentre il centro-destra si ispirato a soluzioni pi progressiste (modello americano), essendo favorevole ad introdurre forti cambiamenti nel mercato del lavoro. Tali innovazioni sono state realizzate col governo Berlusconi il cui programma venne presentato, nel 2001, con il Libro bianco sul mercato del Lavoro. Questo venne elaborato da Marco Biagi, giuslavorista che aveva collaborato col governo D'Alema, nell'intento di trovare soluzioni alternative, in materia di mercato del lavoro, che favorissero le ripresa economica del paese senza pregiudicare le conquiste sindacali degli anni addietro. Il Libro bianco ipotizzava profonde riforme in materia di mercato del lavoro sia strutturali, consentendo l'ingresso del privato nella gestione del mercato del lavoro, sia contrattuali, prevedendo forma di lavoro flessibile. In particolare, con esso si sosteneva la necessita di spostare lattenzione alla protezione del mercato del lavoro, piuttosto che alla protezione del rapporto di lavoro, con lintroduzione di norme meno protettive del rapporto di lavoro in termini di stabilit ma offerenti maggiori prospettive di reimpiego del lavoratore rimasto disoccupato. Il programma del Libro bianco stato tradotto in numerosi provvedimenti legislativi ispirati ai citati criteri di flessibilit e meno attenti al consenso sindacale, quali i decreti legislativi: n. 368 del 2001, sul rapporto di lavoro a tempo determinato; n. 66 del 2003, sugli orari di lavoro; n. 276 del 2003, sul mercato del lavoro.
2. L'economia.
Una delle scienze che entra necessariamente in relazione col diritto del lavoro senz'altro quella economica. I relativi rapporti, tuttavia, sono particolarmente delicati a causa dei diversi valori fondamentali. L'economia, infatti, ha quale valore fondamentale quello dell'allocazione ottimale delle risorse in un determinato mercato, mentre il diritto del lavoro ha quale valore fondamentale quello della tutela della parte debole del mercato del lavoro. L'economia del lavoro quella branca dell'economia che studia il mercato del lavoro ossia il mercato nel quale la merc scambiata il lavoro umano. Il mercato del lavoro, tuttavia, non pu equipararsi ad un qualsiasi altro mercato nel quale si raggiunge un equilibrio tra domanda e offerta, in quanto l'offerta non pu tendere al ribasso quando la domanda si ritrae; il diritto del lavoro perci definito antieconomico, in quanto non rispetta la legge di mercato di tendenza all'equilibrio ed , anzi, caratterizzato da un'incidenza programmatica sui meccanismi di mercato, tesa allo squilibrio, determinata dalla contrattazione collettiva e dalle leggi di tutela del rapporto di lavoro. Va perci respinta la teoria che un mercato del lavoro lasciato a se stesso, ossia non protetto, nel quale, cio, non vi siano minimi salariali invalicabili, risolverebbe il problema dell'occupazione (ovvero della disoccupazione) sol perch l'accettazione di minori retribuzioni aumenterebbe la domanda. Una tale ipotesi stata smentita dai fatti. Scienza economica e diritto del lavoro devono tuttavia convivere e non detto che la posizione conflittuale, determinata dai differenti valori di base, non possa invece contribuire per uno sviluppo positivo di entrambe le scienze.
3. La sociologia.
Un'altra disciplina che va ad intersecarsi col diritto del lavoro la sociologia e, pi precisamente, la sociologia giuridica. La sociologia la scienza che studia i fenomeni e le manifestazioni tipiche della vita associata e ne trae le sue leggi generali. Ebbene il diritto del lavoro nato innanzitutto quale diritto sindacale ed immaginabile che questo, prima di raggiungere una qualsiasi forma di regolamentazione, stato caratterizzato da una forma spontanea di comportamento collettivo in un determinato contesto sociale. Diritto del lavoro e sociologia sono, dunque, in stretta correlazione e diverse branche della sociologia vanno ad intersecarsi col diritto del lavoro, quali, ad esempio: la sociologia industriale, che studia i fenomeni legati all'industrializzazione e al suo impatto con lambiente esterno; la sociologia dell'azienda, che studia la conformazione, l'organizzazione e le relazioni interne dell'azienda; la sociologia dell'organizzazione che studia il funzionamento delle organizzazioni, ivi comprese quelle dimpresa; la sociologia del lavoro che studia le variazioni del valore, dellorganizzazione e della qualit del lavoro in differenti settori produttivi; la sociologia del mercato del lavoro, che studia le dinamiche della domanda e dell'offerta di lavoro.
4. La filosofia.
I principi di libert e di eguaglianza, esaltati dall'illuminismo e dalla Rivoluzione francese, hanno portato all'affermazione dei diritti dell'uomo e di quei valori che costituiscono il fondamento della nostra cultura occidentale; i diritti di libert e i diritti umani quali diritti fondamentali dell'uomo libero. Il diritto del lavoro portatore degli stessi valori e concorre al progresso della nostra societ e, tuttavia, l'uomo ed i diritti che esso considera non sono quelli del cittadino qualunque bens quelli dell'uomo lavoratore i cui diritti vengono, talvolta, in contrapposizione con la libert altrui. Nel diritto del lavoro l'eguaglianza che ha preso il sopravvento sulla libert e tale eguaglianza, ove non sia realizzata spontaneamente, deve essere resa concreta dallintervento dell'uomo o delle istituzioni.
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Riconosce la libert di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell'interesse generale, e tutela il lavoro italiano all'estero TUTELA DEL LAVORO Art. 41: L'iniziativa economica privata libera. Non pu svolgersi in contrasto con la utilit sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libert, alla dignit umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perch l'attivit economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a firn sociali LIBERT DI INIZIATIVA ECONOMICA.
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sanciti i diritti fondamentali, bench tali diritti siano bene o male contemplati nelle singole costituzioni. A tale carenza per certi versi sopperisce la Carta dei diritti fondamentali di Nizza del 7.12.2000 che, pur essendo una semplice dichiarazione, ritenuta vincolante dalla Corte di giustizia europea. La Carta proclama i diritti di uguaglianza e di tutela dei soggetti in posizione di svantaggio ed ritenuta vincolante per effetto del rinvio di cui all'art. 134 del Trattato CE; la norma comunitaria, infatti, obbliga gli stati mmbri ad attenersi ai principi inerenti ai diritti sociali fondamentali, di tal che dritti proclamati dalla Carta di Nizza vengono in tutti rilievo pur essendo contenuti in una mera dichiarazione. V', dunque, un rinvio che rende operativa la Carta di Nizza pur in assenza di una costituzione che la faccia diventare norma a tutti gli effetti. Dal canto suo la Costituzione europea, al di l della sua mancata approvazione, non stata esente da critiche anche da parte di quelli che l'avrebbero voluta. E infatti taluni l'avrebbero voluta pi incisiva, con ci ignorando le diversit esistenti tra gli stati e la conseguente necessit di attestarsi a livelli, pi bassi, compatibili con tali diversit; altri l'hanno invece vista come una caparbia conservazione di valori tutti europei.
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Lart. 137 del Trattato individua in tal modo la relativa competenza: a) le materie per le quali possono essere adottate direttive assunte a maggioranza qualificata sono: miglioramento dell'ambiente di lavoro ai fini della sicurezza e della salute dei lavoratori; condizioni di lavoro; informazione e consultazione dei lavoratori; integrazioni; parit tra uomo e donna; b) le materie per le quali le direttive devono essere assunte all'unanimit sono: sicurezza sociale e protezione sociale dei lavoratori; protezione dei lavoratori nei casi di risoluzione del rapporto di lavoro; rappresentanza collettiva degli interessi dei lavoratori e dei datori di lavoro; condizioni di impiego dei lavoratori extracomunitari; c) le materie di competenza esclusiva degli stati mmbri sono: retribuzioni; diritto di associazione; diritto di sciopero; diritto di serrata.
4. Le norme comunitarie
La prima fonte comunitaria Fatto costitutivo della stessa Comunit Europea, ossia il Trattato di Roma del 1957. Una volta ratificato il trattato, gli stati mmbri sono immediatamente soggetti alle norme ivi previste e, per l'effetto, sono altres soggetti ai regolamenti comunitari che hanno efficacia immediata rispetto al diritto interno, in quanto entrano immediatamente a far parte dell'ordinamento interno degli stati mmbri e prevalgono sulle leggi ordinarie degli stessi. Ci non avviene per le direttive comunitarie, comunque vincolanti, cui, non di meno si riconosce in taluni casi un'efficacia immediata, che richiedono uno specifico provvedimento di attuazione, anche amministrativo, che inserisca la norma comunitaria nel diritto interno. La direttiva latto pi frequentemente adottato dal Consiglio europeo, a maggioranza qualificata od anche all'unanimit, su proposta dalla Commissione e previa consultazione del Parlamento. Tale atto normativo non immediatamente efficace ma e vincolante per gli stati mmbri, cui assegna i fini da conseguire con i provvedimenti attuativi di essa ed il termine entro il quale tali provvedimento devono essere adottati. Prima dell'adozione del provvedimento attuativo della direttiva ad essa comunque riconosciuta una immediata efficacia verticale, nel senso che il soggetto destinatario della norma comunitaria pu agire contro lo stato inadempiente pretendendo lapplicazione della direttiva e con diritto anche al risarcimento del relativo danno, purch la direttiva sia chiara e precisa nelle sue finalit, ossia purch essa abbia i requisiti della norma internazionale di tipo self-executing. Con l'Accordo di Maastricht sulla politica sociale stata altres istituzionalizzata la partecipazione sindacale al processo di formazione delle direttive, a tal fine stabilendo che il Consiglio, prima di adottare direttive inerenti a materie di diritto sociale comunitario, deve consultare le associazioni sindacali al livello europeo con le quali pu stipulare accordi collettivi che, tuttavia, non sono vincolanti.
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2. La legge statale.
Non esiste alcuna differenza tra la procedura di formazione delle leggi "lavoristiche" e quella valevole in via generale. Esiste peraltro una forte tendenza all'impiego di strumenti alternativi alla legge, quali: a) decreti legge: a causa delle risicate maggioranze parlamentari che imperavano nella Prima repubblica, e della conseguente difficolt dei governi di allora di far passare leggi in materia economico-sociale, si instaur la prassi di normare attraverso decreti legge che, non essendo poi convertiti dal Parlamento, venivano continuamente reiterati. Tale prassi fu bocciata dalla Corte Costituzionale che sanc, in via di principio, il divieto di reiterazione dei decreti legge; b) decreti legislativi: a seguito dello stop ai decreti legge, la prassi si evoluta nella direzione di un rinnovato utilizzo dei decreti legislativi, facendosi approvare dal Parlamento da parte dei governi leggi delega molto ampie, spesso ai limiti del
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contrasto con l'art. 76 Cost., in quanto carenti di principi e criteri direttivi sufficientemente specifici. Tutte i principali provvedimenti in materia di lavoro degli ultimi dieci anni sono state elaborate con questa tecnica (da ultimo, il d.lgs. n.66 del 2003, di riforma della disciplina dell'orario di lavoro, e il d.lgs. n. 276 del 2003, di riforma del mercato del lavoro). Il grave rischio che il baricentro del potere legislativo ne risulti squilibrato, e in particolare che il governo si appropri. indebitamente, di prerogative spettanti al Parlamento.
4. Il regolamento.
Il peso dei regolamenti governativi in materia di diritto del lavoro sempre statoassai scarso. Esso cresciuto soltanto in epoca recente, in funzione di esecuzione e specificazione della normativa legale: accaduto, infatti, che le leggi abbiano spesso fatto rinvio a regolamenti, la cui adozione prevista, da parte o del governo nella sua collegialit (d.P.R.), o del Presidente del Consiglio dei Ministri (d.P.C.M.), o di singoli ministri (d.m.). Un recente esempio rinvenibile, ancora una volta, nel d.lgs. n. 276 del 2003. La crescente produzione regolamentare degli ultimi anni ha accentuato, pertanto, il gi rilevato (e denunciato) spostamento del baricentro normativo dal Parlamento al governo. Non sempre, fra l'altro, i margini lasciati al regolamento riguardano aspetti di mero dettaglio.
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5. Le Autorit indipendenti.
Trattasi di organismi istituiti nella legislazione recente, onde assolvere varie funzioni di regolazione di aspetti delicati del mercato, ad es. Authority per le telecomunicazioni, o quella per la privacy. Quest'ultima, in particolare, ha una notevole importanza nel campo del diritto del lavoro, in quanto i provvedimenti dell'Autorit garante concernono spesso problemi legati alla tutela della privacy dei lavoratori subordinati. Peraltro, tra le Autorit indipendenti merita una segnalazione particolare la "Commissione di garanzia per l'attuazione della legge 12 giugno 1990 n. 146", istituita dalla legge omonima, con l'attribuzione di un'importante serie di compiti afferenti alla disciplina ed alla gestione degli scioperi nei servizi pubblici essenziali.
6. Il Contratto Collettivo
Nel diritto italiano, il contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) il contratto stipulato a livello nazionale con cui le organizzazioni rappresentative dei lavoratori e le associazioni dei datori di lavoro (o un singolo datore) predeterminano congiuntamente la disciplina dei rapporti individuali di lavoro (cosiddetta parte normativa) e alcuni aspetti dei loro rapporti reciproci (cosiddetta parte obbligatoria). Nel settore del pubblico impiego stipulato tra le rappresentanze sindacali dei lavoratori e l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN), che rappresenta per legge l'Amministrazione Pubblica nella contrattazione collettiva. La banca dati ufficiale tenuta dal Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro (CNEL), che gestisce tra l'altro un archivio elettronico di tutti i CCNL (correnti e passati) liberamente scaricabili. La Contrattazione Collettiva, pur non potendosi considerare fonte normativa, ha, non di meno, unessenziale funzione normativa in senso materiale e, pertanto, verr trattata separatamente nel Capitolo VIII.
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2. I sindacati.
Il sindacato nasce come associazione finalizzata a tutelare i lavoratori ad esso aderenti e dei quali assume, pertanto, la rappresentativit in sede contrattuale. La forma pi antica di sindacalismo il sindacalismo di mestiere, che il frutto dell'aggregazione di lavoratori accomunati dal fatto di svolgere un medesimo mestiere. Il sindacato di mestiere sorto nell'Ottocento in riferimento ai mestieri pi importanti e qualificati dell'epoca (le aristocrazie operaie), gli unici che potevano aspirare ad un peso negoziale nei confronti degli imprenditori. Tali sindacati sopravvivono, oggi, nei cosiddetti sindacati professionali, rappresentativi di lavoratori appartenenti ad una determinata categoria professionale; questi ultimi sorgono quando categorie di lavoratori (di tipo intellettuale, o comunque in possesso di un'alta qualificazione professionale: macchinisti, insegnanti, controllori di volo, piloti, medici ospedalieri, etc.), insoddisfatti del modo in cui sono considerati dal sindacalismo generale, si associano in organizzazioni separate allo scopo di difendere meglio i propri Interessi. Con lindustrializzazione e la collettivizzazione del rapporto di lavoro si invece affermato il sindacato di industria, rappresentativo dei lavoratori appartenenti alla stessa azienda (in tal caso di grandi dimensioni), ed il sindacato di categoria, rappresentativo di tutti i lavoratori operanti in un determinato settore produttivo (es.: metalmeccanici) o dei servizi (es.: dipendenti degli enti locali), a prescindere dall'azienda di appartenenza e dal livello professionale. Nell'esperienza italiana, il sindacato di categoria si interseca, senza entrarvi in contrasto ma anzi essendo complementare ad esso, con il modello del sindacalismo confederale. La confederazione (CGIL, CISL e UIL su tutte) un'associazione che raggruppa i lavoratori, accomunati da una medesima identit politico sindacale. Essa si articola anche in diramazioni territoriali (nel caso della CGIL, ad es., le Camere del lavoro). Data l'origine "politica" del sindacalismo italiano, la confederazione nata prima del sindacalismo di categoria. La confederazione, in virt della generalit dell'ambito cui si riferisce, il sindacato dotato della maggiore caratterizzazione "politica", ed , come tale, il protagonista della concertazione.
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Essa ha anche, ovviamente, una legittimazione negoziale, che si esplica negli accordi interconfederali (o, in caso di concertazione, trilaterali), e proprie diramazioni a livello territoriale. In contrapposizione ai sindacati di categoria dei lavoratori si sono poi formati i sindacati degli imprenditori che con i primi stipulano i contratti collettivi (es. Federmeccanica, Confindustria ecc.).
3. LAzione Sindacale
Il Sindacato esercita la sua azione in rappresentanza del lavoratore e a tutela del rapporto di lavoro dello stesso. L'azione sindacale, ovvero la partecipazione del sindacato alla formazione delle norme in materia di rapporto di lavoro si svolge secondo i modelli delle cosiddette relazioni sindacali e, principalmente, attraverso la concertazione e la contrattazione. La concertazione presuppone una partecipazione del sindacato alle scelte del governo o, comunque, della parte datoriale, ed finalizzata a raggiungere il pi ampio consenso ma non obbliga l'altra parte ad assecondare le eventuali istanze sindacali. La contrattazione si svolge invece sulle materie ad essa demandate, con l'obiettivo di raggiungere un accordo, ed ha nello sciopero l'unico mezzo di pressione. Importante poi la partecipazione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti alla gestione delle imprese, la quale pu realizzarsi tramite una gamma di istituti, accomunati dal fatto di comportare un coinvolgimento dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti in alcuni processi decisionali delle imprese.
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2. La libert sindacale.
L'art. 39 della Costituzione sancisce, al primo comma, la libert della organizzazione sindacale, intendendosi, come tale, la libert di costituirsi in forma associata per l'esercizio di attivit e per l'assunzione di iniziative dirette alla tutela di interessi connessi all'attivit lavorativa. La libert sindacale , dunque, una libert pi ampia rispetto a quella di associazione cui all'art. 18 della stessa Costituzione, giacch quest'ultima incontra i limiti posti dalla stessa norma consistenti nel divieto di costituire associazioni finalizzate ad attivit vietate dalla legge penale - mentre l'associazionismo sindacale, in quanto finalizzato alla tutela del lavoratore, non incontra limiti. Titolare della libert sindacale , ovviamente, il lavoratore dipendente, pur se tale libert riconosciuta, in linea di principio, anche allimprenditore il quale pu a sua volta costituirsi in associazioni sindacali. La libert sindacale sancita dall'ari 39 ha diversi aspetti. Primo tra essi quello della libert da qualsiasi norma che autorizzi la formazione di organizzazioni sindacali o che autorizzi l'esercizio della relativa attivit, in tal modo superando il corporativismo del previgente regime fascista secondo il quale era il governo a decidere con quale sindacato intrattenere relazioni, delegittimando, in tal modo, i sindacati non graditi. Libert sindacale intesa, dunque, come libert di associarsi, per i fini propri del sindacato, senza aver bisogno dal previo consenso da parte di chicchessia. L'associazionismo sindacale, intanto, non fine a se stesso: l'associazione sindacale si forma, infatti, con una finalit attiva e cio per il concreto esercizio, specie in sede contrattuale, della sua rappresentativit.
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Libert sindacale significa, dunque, esercizio delle prerogative e delle funzioni sindacali. Ma la libert sindacale ha anche - con riferimento al singolo - aspetti per cos dire "negativi", nel senso che libert sindacale anche libert dal sindacato, ossia libert di non aderire ad alcun sindacato od anche di dissociarsene. 3. Le norme legislative di tutela della libert sindacale. Nella tutela delle libert sindacali una pietra miliare stata posta dalla legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei diritti dei lavoratori), il cui art. 14 ha rafforzato il principio costituzionale della libert di associazione e di attivit sindacale gi previsto dallArt.39 Ico. Cost., stabilendone l'esercizio anche nei luoghi di lavoro (cos ripristinando le commissioni sindacali interne abolite in epoca fascista). Il successivo art. 15 pone il divieto di atti discriminatori sanzionando con la nullit ogni atto che condizioni l'assunzione di un lavoratore o ne determini il mutamento di mansioni o la modifica della posizione di lavoro od anche il licenziamento in relazione alla sua affiliazione o meno ad un sindacato oppure alla sua partecipazione ad attivit sindacali. A tal fine lart.28 dello stesso Statuto introduce un procedimento giudiziario speciale per la repressione della condotta antisindacale, fermo l'onere della prova a carico dell'attore, col quale viene annullato ogni atto o patto discriminatorio. Gli atti discriminatori sanzionabili ai sensi dell'art. 15 non sono soltanto gli atti diretti a colpire un soggetto, in relazione alla sua posizione sindacale, o intesi a precludere l'esercizio delle libert sindacali bens anche quelli che conferiscono privilegi a favore di quelli che non aderiscono ad associazioni sindacali o alle relative iniziative (Trattamenti Economici Collettivi discriminatori). A tale nonna collegata la previsione dell'art. 17 che vieta la costituzione di sindacati di comodo, ossia di sindacati sostenuti o addirittura finanziati dalla parte datoriale e ad essa pi vicini al fine di concludere con essi trattative sostanzialmente unilaterali in tal modo aggirando l'obbligo del confronto con i sindacati realmente rappresentativi.
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della maggiori associazioni sindacali e specialmente la CISL vide di buon occhio una qualsiasi forma di controllo centrale. Nel regime fascista, infatti, era legittimato ad agire un solo sindacato e solo quello riconosciuto di suo gradimento da parte del governo. La sola registrazione, ai sensi dellart. 39, avrebbe invece consentito a qualsiasi sindacato di essere presente e di operare, senza il previo consenso di chicchessia, e, tuttavia, essa venne comunque vista come una sorta di limitazione della libert sancita dal primo comma. Intanto la conservazione di una posizione di massima libert sindacale, sulla base del solo principio sancito dal primo comma dell'art. 39, ed il mancato assoggettamento alle regole della seconda parte dello stesso art. 39 nonch l'assenza di una legislazione attuativa di tale seconda parte hanno un rovescio della medaglia di tutto rilievo, in quanto, in particolare, a causa della mancata attuazione della seconda parte dell'art. 39 il sindacato non legittimato a stipulare contratti collettivi validi erga omnes, ossia verso tutti gli appartenenti alla categoria di riferimento e col carattere di unicit tipico degli atti normativi.
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creditore, mentre gli associati rispondono personalmente delle obbligazioni assunte in nome e per conto dell'associazione.
2. Le Funzioni
La Funzione generale del Contratto Collettivo quella di tutelare gli interessi dei lavoratori rappresentati; tale funzione si articola in alcune Funzioni pi specifiche (Funzione Normativa e Funzione Obbligatoria). Funzione Normativa: tale funzione fa riferimento al fatto che il contratto collettivo ha l'obiettivo di dettare le "norme" che dovranno valere per una serie indeterminata di contratti individuali di lavoro subordinato. In questo modo, il contratto collettivo si inserisce dall'esterno, come fonte eteronoma (al pari della legge), nel contenuto dei singoli contratti di lavoro rientranti nell'ambito di efficacia del contratto collettivo. Cos, quando il contratto collettivo determina il regime dell'orario di lavoro, l'ammontare dei riposi, la misura della retribuzione spettante ad un lavoratore adibito a determinate mansioni ecc., il contenuto delle previsioni collettive in questione, vale per le parti individuali.
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Funzione Obbligatoria: ad essa assolvono quelle previsioni del Contratto Collettivo (Clausole Obbligatorie) che istituiscono diritti e obblighi valevoli per e tra gli stessi soggetti collettivi. Le Clausole Obbligatorie sorgono sia dal lato degli Imprenditori, sia da quello dei Lavoratori. Come esempio di Obblighi "imprenditoriali", vale menzionare le varie tipologie di obblighi di informazione, in virt dei quali i sindacati degli imprenditori, o le stesse imprese, si impegnano ad informare i sindacati dei lavoratori circa una serie di questioni concernenti le condizioni del mercato, le strategie d'impresa, le eventuali ristrutturazioni in programma, etc. Come es. di Obblighi dei Lavoratori sono evocabili le clausole di "pace sindacale", grazie alle quali un sindacato si impegna a non proclamare scioperi in un determinato periodo. Il problema delle clausole obbligatorie di come assicurarne l'effettiva osservanza. In teoria, la parte lesa pu intentare un'azione di responsabilit contrattuale dinanzi al giudice ordinario onde richiedere il risarcimento dei danni derivanti dall'inadempimento contrattuale (art. 1218 c.c.); ma trattasi di un rimedio quasi per nulla utilizzato, poich ai sindacati interessano, di massima, non i successi giudiziali o i ristori patrimoniali, ma i risultati concreti sul terreno delle relazioni sindacali. Pi concreta la possibilit di utilizzare lo speciale procedimento giudiziario di repressione della condotta antisindacale, previsto dall'ari. 28 dello Statuto dei lavoratori. Ma ad esso potr farsi ricorso soltanto qualora la violazione della clausola obbligatoria sia stata perpetrata dall'impresa, unica legittimata passiva nel procedimento in discorso, e non dal sindacato degli imprenditori.
3. La disciplina.
Il principale problema rimasto irrisolto, in conseguenza della non attuazione della seconda parte dell'alt. 39 della Costituzione, quello della disciplina del contratto collettivo e, pi precisamente, della determinazione della sua efficacia, tenuto conto dell'assenza di regole. Intanto, in presenza di una serie di elementi caratterizzanti la contrattazione collettiva (soggetti abilitati, vincolativit per i contraenti, contenuto normativo, ecc.), indubbio che i contratti collettivi costituiscano fonte normativa di natura sostanziale, atipica, sintomatica della tendenza astensionista del legislatore nel rispetto del principio di libert. Una specifica disciplina invece prevista dal d.lgs. n. 165 del 2001 per i contratti del pubblico impiego.
3.1 I Soggetti
In linea di principio non esiste una previa individuazione dei soggetti abilitati a stipulare i contratti collettivi e, pertanto, a ci abilitata qualsiasi associazione sindacale; al riguardo emblematico il fatto che uno dei pi importanti contratti collettivi, quello dei metalmeccanici, non stato sottoscritto dalla FIOM-CGIL che il sindacato maggiormente rappresentativo della categoria, ma soltanto da FIM e UILM. Un'eccezione in tal senso venne introdotta col protocollo Ciampi del 23 luglio 1993, relativamente alla contrattazione decentrata (aziendale, di secondo livello), che si svolge sulle materia ed essa demandate dalla contrattazione nazionale (di primo livello); a tale
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contrattazione sono abilitati esclusivamente gli organismi sindacali interni alle aziende, i cui mmbri sono individuati attraverso specifiche procedure di tipo elettorale, ed i sindacati firmatari degli accordi nazionali. Un'altra eccezione costituita dai contratti cosiddetti di solidariet, che producono effetti solo se stipulati da determinati sindacati, con la conseguenza che i contratti di tale natura stipulati da sindacati diversi da quelli previamente individuati non hanno un'efficacia legale, e per questo essi saranno privi degli effetti (intervento, a sostegno del reddito dei lavoratori coinvolti, della Cassa integrazione guadagni) discendenti, esclusivamente, dalla fattispecie legale.
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imputati direttamente ad un altro soggetto (rappresentato), nel cui nome e interesse essi sono stati compiuti (art. 1388 c.c.). Sta di fatto che se un'impresa, in linea di principio, pu aderire ad un'associazione sindacale del tutto estranea al suo ambito di attivit, altrettanto vero che il lavoratore pu non essere affiliato al sindacato di categoria o, addirittura, ad alcun sindacato. Ne consegue che l'adesione dell'azienda ad un sindacato del tutto estraneo al suo settore produttivo determinerebbe l'applicazione, ai suoi dipendenti, di un contratto pertinente a tutt'altra categoria e, parimenti, il lavoratore potrebbe vedersi applicato un contratto che il sindacato cui aderisce non ha stipulato. La rappresentanza sindacale in sede contrattuale va perdo intesa come rappresentanza della sintesi degli interessi dei lavoratori della categoria, a prescindere dall'adesione o meno di essi al sindacato e senza determinare nei loro confronti alcun vincolo; a tal proposito si tiene conto che la delega sindacale (sottoscritta quale adesione al sindacato) tutt'altra cosa rispetto al mandato ad agire in nome e per conto di cui all'ari 1387 c.c. con efficacia vincolante per il rappresentato, ai sensi del successivo art 1388. E' perdo essenziale che un'azienda abbia aderito al sindacato rappresentativo della categoria imprenditoriale, affinch ai suoi dipendenti si applichino i contratti collettivi da esso stipulati, ed altrettanto necessario che il lavoratore, se non iscritto al sindacato dei lavoratori che ha stipulato il medesimo contratto, ne accetti l'applicazione.
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ed imprese non sindacalizzate, e di consolidare, ad un tempo, il tasso di effettivit del contratto collettivo di categoria.
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2. Concorso di fonti.
Allo stato, dunque, le diverse fonti del diritto del lavoro convivono e, al di l dei casi in cui esse disciplinano autonomamente e separatamente fattispecie specifiche, spesso concorrono a disciplinare la stessa materia ed anche lo stesso istituto mediante rinvio. Sono, infatti, molteplici i casi in cui la legge delinea la fattispecie costitutiva di un diritto demandando, attraverso clausole di rinvio, al contratto collettivo la definizione in dettaglio dello stesso istituto (Funzione di Specificazione). Con tale sistema ognuna delle fondi normative mantiene la sua autonomia dall'altra, senza invadere l'altrui competenza, e, al tempo stesso, il legislatore da un lato ed il sindacato dall'altro mantengono il controllo di una determinata materia, specie quando essa vede le parti in posizioni contrapposte. L'esempio classico quello in cui la legge delinea la fattispecie costitutiva (lan) di un certo diritto, e lascia la fissazione del quantum al contratto collettivo. un modello ben presente al codice civile: l'art. 2110 co. 2, ad esempio, non determina il periodo di tempo per il quale il lavoratore autorizzato a rimanere assente da lavoro in quanto affetto da malattia (periodo di comporto), ma delega tale determinazione ai contratti collettivi, ovviamente diversi da categoria a categoria. Oltra alla classica Funzione di Specificazione, importante risulta la Funzione Autorizzatoria svolta dal Contratto Collettivo.
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Tale stato il caso in cui il legislatore, nell'intaccare il modello standard del rapporto di lavoro che quello a tempo indeterminato e perci caratterizzato dalla stabilit introducendo forme di lavoro flessibile, ne ha demandato la disciplina di dettaglio alla sede contrattuale, cos recuperando la partecipazione attiva del sindacato su un argomento che lo vedeva tradizionalmente di diverso avviso.
La contrattazione assume, in tal caso, una funzione autorizzatoria perch, una volta posta la norma di legge, il contratto che ne determina la concreta attuazione; dunque, autorizzazione necessaria, visto che dal punto di vista della condizione giuridica, le forme di Lavoro Flessibile sono meno favorevoli per i lavoratori.
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CAPITOLO X Lo Sciopero
1. Sciopero e Teorie Sociali
Il prioritario fine dell'attivit sindacale il contratto, ossia la formazione, con atti di natura pattizia, di regole a favore del lavoratore. Agli interessi dei lavoratori si contrappongono gli interessi della parte datoriale la quale, finch trovasi in posizione si supremazia, pu anche decidere di non addivenire ad alcun accordo approfittando della sua posizione contrattuale forte. Lo sciopero il mezzo utilizzato per raggiungere il fine. L'interruzione, con lo sciopero, dell'attivit produttiva, arreca all'imprenditore un danno economico che aumenta con il prolungarsi dell'astensione dal lavoro, cos esercitando nei suoi confronti la pressione necessaria per costringerlo ad addivenire ad un accordo di natura contrattuale. Lo sciopero , dunque, l'unico mezzo attraverso il quale il lavoratore consegue la pari dignit, rispetto all'imprenditore, proclamata dall'art. 3 della Costituzione. Ed proprio con la Costituzione, all'art. 40, che listituto dello sciopero ha ottenuto il massimo riconoscimento in termini di diritto da esercitarsi nei modi stabiliti dalla legge. E' evidente che lo sciopero sintomatico di una situazione conflittuale e, pertanto, esso ha una rilevanza sociale laddove nell'ambito della societ sussistano differenze di classe e forme di governo che tali differenze consentano. Questa forma di lotta sociale, infatti, non pensabile in societ primitive ne in regimi comunisti. Lo sciopero, nato come forma di lotta di classe, per diventato strumento di pressione anche politica e, quindi, quale mezzo per raggiungere fini diversi da quelli contrattuali e, pur tuttavia, danneggiando lincolpevole imprenditore e non la vera controparte della protesta. Con la maggiore partecipazione del sindacato alla vita politica, il ricorso alla sciopero si notevolmente ridotto, in quanto le parti hanno assunto comportamenti cooperativi piuttosto che conflittuali, ed proprio tale maggiore partecipazione che ha indotto ad utilizzare lo sciopero per fini politici anzich contrattuali. La rilevanza sociale dello sciopero stata attestata dal riconoscimento dello stesso quale diritto costituzionale; tale diritto altres riconosciuto al datore di lavoro, con la serrata, ma con diverse conseguenze economiche in quanto in tale ipotesi il lavoratore non perde il diritto alla retribuzione. Il diritto di sciopero espressione del costituzionalismo sociale, ossia della posizione assunta dal costituente a favore della classe lavoratrice. L'esercizio del diritto di sciopero talvolta si ripercuote principalmente in danno dell'utenza: il caso dello sciopero dei lavoratori del terziario, la cui astensione dal lavoro
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comporta disagi agli utenti ed un danno del tutto relativo alla parte datoriale. Pertanto, al fine di salvaguardare i diritti dell'utenza, non meno importanti di quelli dei lavoratori, stante la previsione di cui all'art. 40 della Costituzione, che non esclude una disciplina legale dello sciopero, sono state emanate leggi dispositive della garanzia dei servizi pubblici essenziali in occasione degli scioperi, consistenti nel divieto di astensione dal lavoro per un numero stabilito di addetti ai servizi pubblici dei quali deve assicurarsi la continuit (legge n. 146 del 1990).
3. Lo sciopero come diritto. La statuizione di cui all'art. 40 della Costituzione, secondo il quale il diritto di sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo regolano, di per s sufficiente a qualificare lo sciopero come un diritto anche in assenza di una disciplina di legge. Lo Sciopero si pone come: a) Diritto di Libert nei confronti dello Stato, vietando a questultimo di reprimerlo penalmente con iniziative legislative (salvo casi eccezionali);
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b) Diritto Soggettivo nei confronti del datore di lavoro, vietando a questultimo ogni
azione risarcitoria per inadempimento contrattuale. Altri orientamenti hanno qualificato il diritto allo sciopero come: a) Diritto Soggettivo Potestativo avente ad oggetto la sospensione concertata della prestazione di lavoro per la tutela di un interesse collettivo; al suo esercizio corrisponde, come in ogni diritto potestativo (che comporta il potere di produrre un effetto giuridico nella sfera giuridica di un altro soggetto) una posizione di soggezione del datore di lavoro. b) Diritto Fondamentale della persona; infatti lo sciopero costituisce uno dei principali strumenti di emancipazione dei lavoratori dallo stato di disuguaglianza sociale in cui essi versano, e, conseguentemente, di sviluppo della loro personalit.
4. Titolarit
L'indeterminatezza dell'art. 40 della Costituzione (dovuta dallutilizzo dellimpersonale si esercita) ha alimentato dubbi circa l'individuazione del soggetto titolare del diritto di sciopero. L'iniziale orientamento dava per scontato che titolare del diritto fosse il lavoratore dipendente ma tale orientamento stato smentito dalla Corte costituzionale con la dichiarazione di illegittimit della norma penale (art. 506) che vieta la serrata alle piccole industrie ed agli esercizi commerciali, di tal che il diritto di sciopero deve essere riconosciuto a qualsiasi lavoratore. In ordine alla titolarit del diritto di sciopero in capo all'associazione sindacale, si sono sviluppate due diverse tesi. La prima vuole titolare del diritto l'associazione sindacale sul presupposto che, essendo il sindacato preposto alla tutela degli interessi di lavoratori, ad esso spetterebbe il diritto di azionare lo sciopero nell'esercizio delle sue funzioni. E tuttavia, pur se lo sciopero normalmente proclamato dall'asso dazione sindacale, pur sempre il lavoratore che lo attua, anche non aderendo al sindacato che ha proclamato lo sciopero e, in estrema ipotesi, anche contro la volont del sindacato. Ecco che ha poi prevalso la seconda ipotesi, che vede titolare del diritto il singolo lavoratore il quale, tuttavia, non pu esercitare tale diritto singolarmente, non essendo ammissibile uno sciopero individuale. Lo sciopero, pertanto, stato configurato come diritto individuale ad esercizio collettivo e non si esclude che tale diritto sia esercitato anche contro il diverso avviso del sindacato. Lo sciopero, pertanto, sfugge a qualsiasi forma di governo e neanche le clausole contrattuali con le quali il sindacato si impegna alla "pace sindacale" possono impedire ai lavoratori di azionare il diritto di sciopero. Un'eventuale violazione di tali clausole pu quindi dare luogo soltanto a conseguenze sul piano dell'ordinamento intersindacale (ad es. a sanzioni per gli iscritti che si siano ribellati all'impegno assunto dal sindacato), o produrre, al massimo, una responsabilit contrattuale dell'associazione dei lavoratori nei confronti della contrapposta associazione imprenditoriale, o direttamente dell'imprenditore. In entrambi i casi, sono sanzioni prive di qualsiasi forza deterrente, il che spiega perch l'esperienza delle clausole di pace, e in generale del governo sindacale del conflitto, non abbia sinora registrato successi significativi.
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L'unica forma di governo dello sciopero rappresentata dalla legge n. 146 del 1990, con la quale, in presenza di interessi di terzi meritevoli di tutela, sono state introdotte norme di regolamentazione dello sciopero, che impongono altres, alle associazioni sindacali, la stipula di accordi per lindividuazione dei servizi pubblici essenziali e per la determinazione delle modalit di attuazione degli scioperi senza pregiudicare la continuit di tali servizi.
6. Finalit.
Per definizione la finalit dello sciopero quella dell'autotutela di un interesse collettivo, il che, pertanto, ne individuerebbe i limiti, nel senso che l'astensione dal lavoro di una determinata categoria di lavoratori, che a tal fine sopportano un sacrificio economico in quanto non vengono retribuiti (a differenza di quel che avviene con la serrata) finalizzata ad ottenere miglioramenti collettivi, e non individuali, o, quanto meno, a tutelare gli interessi dei lavoratori appartenenti alla categoria. Ma lo sciopero non stato utilizzato per soli fini contrattuali bens anche per solidariet o per fini, sostanzialmente politici e, ancora, per fare pressione sulla pubblica autorit invadendone la sfera di autonomia. Da tali circostanze discende l'esigenza di individuare i limiti interni del diritto di sciopero e, quindi, i casi in cui, superando tali limiti, si incorre negli estremi dell'illecito o, addirittura, del reato penale. Una sorta di casistica di motivi leciti e non contenuta nel codice penale Rocco che, criminalizzando tutti i tipi di sciopero e di serrata, ha offerto alla Corte costituzionale l'occasione per censurare le nonne illegittime e, al tempo stesso, di lasciare in vita quelle riguardanti i casi in cui lo sciopero punibile come reato.
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La Corte costituzionale, in particolare, ha dichiarato incostituzionali tutte le norme penali che criminalizzano lo sciopero, sostanzialmente ammettendo la legittimit di qualsiasi forma e finalit dello sciopero, ivi compreso quello attuato per solidariet o per fini politici, ma ha lasciato fuori, confermandone la punibilit, le azioni di sciopero di tipo sovversivo, ossia dirette ad impedire l'esercizio di "poteri legittimi nei quali si esprime la sovranit popolare". Pertanto, se talune forme di astensione dal lavoro non sono esenti da azioni di responsabilit, altre non sono esenti dall'incriminazione per violazione di norme penali.
7. Modalit.
Lo sciopero, quale astensione dal lavoro, pu essere attuato in vari modi. La forma classica quella della semplice astensione collettiva dal lavoro, per un periodo di tempo continuativo, da cui deriva pari danno per il lavoratore, che perde la retribuzione, e per l'imprenditore, che perde la produzione. Nell'esperienza italiana sono state invece organizzate forme di sciopero (Anomale) tali da arrecare un maggior danno all'imprenditore e, quindi, tali da determinare un minor sacrifcio per il lavoratore, quali lo sciopero a singhiozzo o a scacchiera, determinanti una sostanziale inattivit dei lavoratori ancorch in servizio. Tali forme di sciopero hanno riproposto il problema inerente ai limiti di liceit dello sciopero oltre i quali esso si configura come danno ingiusto. Negli anni '50 e '60 del secolo scorso, la giurisprudenza era unanime nel ritenere illegittime le forme di sciopero in discorso, sulla base di una teoria del "danno ingiusto" che presupponeva l'esistenza di "limiti intrinseci" del diritto di sciopero, e che invocava, a sostegno, i principi di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto (artt. 1175 e 1375 c.c.). In pratica, si riteneva che questi scioperi fossero illegittimi perch fonte di un danno ulteriore e pi grave (per disorganizzazione dell'azienda, spreco di energie e di materie prime, corresponsione di retribuzioni per prestazioni non rese o scarsamente utilizzabili, etc.) di quello necessariamente inerente ai mancati utili dovuti alla momentanea sospensione dell'attivit lavorativa dei suoi dipendenti, ed a sua volta compensato o limitato dal mancato pagamento della retribuzione agli scioperanti. Contro tale giurisprudenza si erano indirizzate, da tempo, le severe critiche della dottrina, da sempre netta nel ribadire come, essendo lo sciopero rivolto a procurare il maggior danno possibile alla controparte, dalla consistenza del danno arrecato all'impresa non si potesse trarre alcuna implicazione di illegittimit dello sciopero. Ne si riteneva possibile invocare, in contrario, i principi di correttezza e buona fede, che operano quando il contratto operante, e non, invece, quando ne legittimamente sospesa l'attuazione. Sul punto intervenuta la Corte di cassazione che con la Sent. 711/1980 ha sostanzialmente affermato la liceit di qualsiasi forma di sciopero ma, al tempo stesso, ha introdotto il criterio nuovo della differenziazione tra interruzione della produzione ed interruzione della produttivit, stabilendo, in proposito, che non illecito lo sciopero che arreca un maggior danno alla produzione per effetto del modo in cui esso viene organizzato ed attuato mentre illecito lo sciopero che danneggia irreparabilmente l'azienda nella sua capacit produttiva.
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Dunque, sono del tutto leciti anche gli scioperi anomali, purch non vadano a danneggiare la capacit produttiva dellazienda, e cio la possibilit per limprenditore di continuare a svolgere la sua iniziativa economica.
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In tali casi l'esercizio del diritto di sciopero ha altres comportato linaccettabile limitazione di diritti altrui cui s' dovuto porre inevitabilmente rimedio. Un primo tentativo, risoltosi in modo sostanzialmente fallimentare, stato effettuato con la previsione di codici di autoregolamentazione adottati dai sindacati e da essi stessi disattesi. Pertanto quale unica alternativa non rest che il ricorso alla legge infine approvata il 12 giugno 1990, col n. 146, e con la prospettiva, non di meno, di mantenere un sostanziale equilibrio tra diritto di sciopero ed altri diritti e di non realizzare una regolamentazione tale da determinare una sostanziale negazione del diritto di sciopero. Ai fini suddetti, la legge n. 146 del 1990 precisa che quel che va rispettato il contenuto essenziale dei diritti altrui e non quello genericamente inteso, atteso che in tale ipotesi verrebbe a determinarsi un sostanziale soffocamento del diritto di sciopero a favore di altri diritti. Essa, pertanto, innanzitutto elenca m via non esaustiva i servizi ritenuti essenziali e quindi stabilisce, in parte direttamente ed in parte mediante rinvio alla contrattazione collettiva, le modalit con le quali i servizi essenziali devono essere garantiti. L'individuazione dei servizi essenziali effettuata con riferimento ai diritti, meritevoli di tutela, cui i medesimi servici sono rivolti, quali il diritto alla vita, alla salute, all'ambiente, all'istruzione, alla retribuzione, alla libera circolazione, ecc., pertanto tali servizi sono, per esempio, la sanit, l'igiene, la protezione civile, la scuola, ecc. La legge n. 146 procedimentalizza lo sciopero stabilendo un previo tentativo di soluzione bonaria del conflitto, fallito il quale lo sciopero pu essere proclamato col preavviso di almeno 10 giorni, salvo non si tratti di azioni a difesa dell'ordine costituzionale o di azioni di protesta per gravi eventi lesivi dell'incolumit e della salute dei lavoratori, ossia in presenza di circostanze nelle quali l'efficacia della protesta direttamente collegata alla sua immediatezza. La stessa legge impone, poi, un regime di rarefazione degli scioperi, stabilendo che lo stesso sindacato non pu proclamare uno sciopero prima di aver effettuato quello proclamato precedentemente (rarefazione soggettiva) ne pi sindacati possono proclamare pi scioperi nello stesso servizio se non a distanza di un certo lasso di tempo l'uno dall'altro (rarefazione oggettiva). La regolamentazione demandata alla contrattazione collettiva quella riguardante l'individuazione delle unit lavorative attraverso le quali assicurare i servizi essenziali.
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La Commissione promuove, inoltre, il componimento bonario delle situazioni conflittuali per evitare, ove possibile, l'effettuazione degli scioperi e vigila sull'osservanza della relative regole. La Commissione, infine, comunica ai competenti organi amministrativi situazioni di assenza della garanzia dei servizi pubblici essenziali affinch questi, ove non lo facciano di propria iniziativa, adottino provvedimenti impositivi dell'osservanza delle misure necessario per la salvaguardia di diritti costituzionalmente garantiti, ivi compreso il differimento o lastensione dalleffettuazione degli scioperi.
12. Le sanzioni.
L'inosservanza delle regole riguardanti la proclamazione degli scioperi, l'effettuazione degli stessi e l'organizzazione della garanzia dei servizi pubblici essenziali da luogo a sanzioni rispettivamente individuali, nei confronti dei lavoratori, collettive, nei confronti delle associazioni sindacali, ed amministrative, nei confronti dei legali rappresentanti delle amministrazioni e delle imprese. Le sanzioni individuali sono adottate nei confronti dei lavoratori che si astengono dal lavoro bench inseriti nei turni di lavoro attraverso i quali deve essere garantita la continuit del servizio pubblico ritenuto essenziale. La sanzione di natura disciplinare (multa, sospensione dal servizio) e viene comminata all'esito del relativo procedimento e in nessun caso pu comportare il licenziamento. Le sanzioni collettive sono comminate alle associazioni sindacali inadempienti; esse consistono, in via graduale nella sospensione dei permessi sindacali, nella sospensione dell'erogazione dei contributi sindacali mediante prelievo dalle buste paga e nella esclusione dalla trattative per un lasso di tempo non inferiore a due mesi. Le sanzioni amministrative, di natura pecuniaria, sono comminate al legale rappresentante dell'amministrazione o dell'impresa che non abbiano fatto il possibile per garantire losservanza della legge. L'apparato sanzionatorio completato dalla cosiddetta precettazione, attuata col provvedimento amministrativo adottato dal Presidente del consiglio dei ministri o dal ministro, per le questioni di livello nazionale, ovvero dal Prefetto, per le questioni di rilevanza territoriale, col quale l'autorit amministrativa, in presenza di un pregiudizio grave ed imminente ai diritti della persona costituzionalmente tutelati, ordina la non astensione dal lavoro con gravi sanzioni nel caso di inosservanza. Il provvedimento di precettazione pu essere impugnato al TAR entro 7 giorni.
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poi al giudizio di idoneit della stessa Commissione, e sostituiti, in caso di inattivit delle parti o di non idoneit dei codici medesimi, da regolamentazioni provvisorie sempre adottate dalla Commissione. I codici di autoregolamentazione debbono contenere un termine di preavviso non inferiore a dieci giorni, l'indicazione della durata e delle motivazioni dell'astensione, ed assicurare in ogni caso un livello di prestazioni compatibile con il soddisfacimento del contenuto essenziale dei diritti della persona messi in pericolo dall'astensione. In caso di violazione, le associazioni e gii organismi rappresentativi dei lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori sono soggetti a sanzione amministrativa. Tali soggetti, infine, sono sottoposti, al pari dei lavoratori subordinati, alla disciplina in tema di precettazione.
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sindacale unitaria (RSU) composta per 2/3 da soggetti scelti dai lavoratori con sistemi di tipo elettorale e per 1/3 da soggetti scelti dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative (Sistema del Canale misto). Nel Pubblico Impiego la RSU nata nel 1998 ed interamente eletta dai lavoratori.
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durante l'orano di servizio, limitato a 10 ore annue retribuite, mentre non sono retribuite le ore eccedenti tale limite; lart. 21 prevede la facolt di indire referendum su materie inerenti all'attivit sindacale; lart. 22 prevede una sorta di protezione a favore dei rappresentanti sindacali (RSA) stabilendo, in particolare, che essi non possono essere trasferiti se non col previo consenso dell'associazione sindacale di appartenenza; si tratta di una garanzia aggiuntiva a quella prevista in generale, per il trasferimento dei lavoratori, dall'art. 2103 c.c., e che mira ad evitare che possano esservi trasferimenti discriminatori o ritorsivi a danno dei dirigenti in discorso. Lart.23 prevede permessi sindacali retribuiti dei quali possono fruire i sindacalisti interni per svolgere attivit sindacale; diritto al permesso ha natura di diritto potestativo, da esercitarsi tramite una "comunicazione" da inviarsi per iscritto al datore di lavoro, di regola 24 ore prima, tramite la RSA. Lart.24 prevede permessi sindacali non retribuiti dei quali possono fruire i sindacalisti interni per partecipare a contrattazioni, convegni e congressi sindacali; anche in questo caso il diritto potestativo, e la comunicazione scritta deve essere inviati! al datore di lavoro, di regola, 3 giorni prima, tramite la RSA Lart. 30 prevede permessi retribuiti dei quali possono fruire i dirigenti sindacali e, quindi, quei lavoratori che abbiano una tale qualifica nell'ambito del sindacato cui appartengono, a prescindere dalla posizione da essi rivestita in azienda; Lart.25 prevede il diritto di affissione, ossia il diritto di pubblicizzare, in appositi spazi, notizie e comunicati di interesse sindacale; Lart.26 prevede la raccolta di contributi sindacali; Lart.27 impone al datore di lavoro di rendere disponibile un locale per le riunioni degli organismi sindacali ogni qualvolta ne venga fatta richiesta; nelle aziende con pi di 200 dipendente, invece, tale locale deve essere reso disponibile in modo permanente. Tutti diritti sindacali sono di natura potestativa e, pertanto, il relativo esercizio subordinato alla semplice comunicazione, col preavviso di volta in volta stabilito, e non ad una previa autorizzazione. b) La contrattazione aziendale. Le RSA e le RSU sono soggetti sindacali a rutti gli effetti e, pertanto, possono stipulare contratti collettivi sulle materie demandate a tale livello di contrattazione, la cui efficacia limitata alla singola azienda. La contrattazione nazionale stabilisce ambiti, modalit e limiti della contrattazione aziendale. c) La partecipazione alla gestione delle imprese. Oltre alla funzione contrattuale, H sindacato altres chiamato a partecipare alla gestione dell'azienda secondo i vari modelli di relazioni sindacali. I modelli prevalenti in Italia e dunque i Diritti spettanti ai lavoratori sono: Diritto di Informazione: secondo il quale il datore di lavoro ha l'obbligo di informare il sindacato sulle iniziative riguardanti determinate materie; Diritto di Consultazione: secondo la quale il datore di lavoro ha l'obbligo di sentire il sindacato prima di adottare determinate iniziative.
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Ulteriori Modelli (Diritti) di Relazioni Sindacali, non diffusisi in Italia, e comportanti una partecipazione pi diretta dei lavoratori, sono: diritti di codecisione: comportanti l'attribuzione agli organismi di rappresentanza e/o ai sindacati di un vero e proprio diritto di veto su certe materie, definibili soltanto attraverso un accordo; diritti di cogestione: in base ai quali rappresentanti dei lavoratori sono presenti negli organi di gestione delle imprese, come il consiglio di amministrazione o quelli d vigilanza, cosi da poter esercitare (pur non avendo la maggioranza) una funzione di controllo ad alto livello. Complessivamente, quindi, sono prevalenti nel nostro ordina- mento i diritti "deboli" di partecipazione, non comportanti la necessit ma, al massimo, prospettanti l'opportunit di accordi con l'interlocutore sindacale. Ci non toglie che essi siano stati, e siano, di grande utilit nel favorire la maturazione delle relazioni sindacali in senso cooperativo, ivi comprese le relazioni di natura contrattuale.
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PARTE TERZA IL MERCATO DEL LAVORO CAPITOLO XII I Servizi per lImpiego
1. La tutela del lavoratore nel Mercato del Lavoro.
Il diritto del lavoro non riguarda solo le vicende del rapporto di lavoro bens anche la delicata fase della costituzione del detto rapporto. Esso riguarda, in pratica, anche il cosiddetto mercato del lavoro e la sua recente profonda trasformazione. La delicatezza del problema e la diffidenza nei confronti di intermediari privati (il cui compito quello di favorire lassunzione), diffidenza giustificata da pratiche di sfruttamento della mano d'opera, hanno indotto il legislatore ad orientarsi per un monopolio pubblico del mercato del lavoro. Tale monopolio ha avuto attuazione attraverso gli uffici di collocamento preposti alla gestione dell'incontro tra domanda e offerta di lavoro. Di tale sistema, tuttavia, s' dovuto rilevare il sostanziale fallimento ancor pi intollerabile in un'epoca in cui il paese non pu permettersi, per motivi economici, una politica di conservazione di strutture inefficienti nonch protezionista del rapporto di lavoro. La politica del lavoro si perci orientata pi verso la protezione del mercato del lavoro, con l'introduzione di forme flessibili, cos puntando alla professionalizzazione piuttosto che alla stabilit del posto di lavoro.
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denominati uffici di collocamento; con al stessa legge veniva altres vietata - e penalmente sanzionata - l'intermediazione privata tra domanda e offerta di lavoro. Gli uffici di collocamento tenevano liste, distinte per professionalit, nelle quali dovevano iscriversi i lavoratori in cerca di occupazione. L'azienda che avesse voluto reclutare dei lavoratori, doveva rivolgersi all'ufficio di collocamento il quale avviava al lavoro quelli che si trovavano nelle liste della professionalit richiesta, in ordine di graduatoria (chiamata numerica) e solo in rare eccezioni, come per gli impiegati, era possibile un avviamento al lavoro del lavoratore scelto dall'imprenditore senza tener conto dell'ordine di graduatoria (chiamata nominativa); in tal modo le aziende si vedevano assegnati dei lavoratori iscritti nelle liste delle diverse professionalit sulla sola base delle loro dichiarazioni e, pertanto, senza che nessuno ne avesse accertato la reale professionalit ne il livello della stessa. Il sistema, bench inteso a distribuire equamente prospettive di lavoro, aveva non pochi difetti e, ci nonostante, stato mantenuto in piedi pur in presenta di una facile e diffusissima elusione delle relative regole. In particolare, vera una possibilit di eludere legalmente il meccanismo, attraverso il passaggio diretto da azienda ad azienda: difatti un lavoratore, invece di dimettersi o di essere licenziato e di riscriversi nelle liste di collocamento, attendendo che arrivasse il suo turno, poteva transitare da un'azienda ad un'altra, sulla base di contatti diretti fra le stesse, previa la mera concessione di un nulla-osta da parte dell'ufficio di collocamento. pur vero che erano previste sanzioni, anche penali, per chi violasse la normativa, ma, col tempo, esse erano divenute sempre pi lettera morta. Cominci cosi la serie delle modifiche legislative. In un primo tempo, ci si limitati ad ampliare il numero dei casi nei quali si poteva proporre una richiesta nominativa, piuttosto che numerica. Ci per venire incontro alla pressante richiesta delle imprese di non dover procedere ad assunzioni al buio, visto che, fra laltro, lufficio non controllava leffettiva esistenza dei requisiti professionali dichiarati dal lavoratore in cerca di lavoro. Ma un primo vero tentativo di riforma venne attuato con la legge n. 56 del 1987, attraverso il decentramento delle funzioni e la creazione di apparati regionali (Commissioni Regionali per lImpiego). Il risultato, pero, m per niente soddisfacente. Una prima svolta decisiva la si ebbe con la legge n. 608 del 1996, con la quale venne abolita la richiesta numerica - e, sostanzialmente, anche quella nominativa, ove consentita prevedendo la sola comunicazione dell'assunzione, una volta avvenuta, all'ufficio di collocamento, il quale in tal modo assumeva, nel mercato del lavoro, il ruolo di semplice spettatore. Gli uffici di collocamento restarono, quindi, organismi tenuti alla sola registrazione dei dati e senza alcuna possibilit di gestire il mercato del lavoro, e l'inutilit di tale funzione fu il pretesto per decretarne l'abolizione. Determinante in tal senso fu una sentenza della Corte di giustizia europea del 1997 che, su ricorso di un'azienda italiana, la Job Centre, sentenzi l'incompatibilit del monopolio pubblico italiano del mercato del lavoro col Trattato di Roma istitutivo della Comunit europea per violazione della libert di concorrenza.
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All'azienda italiana in questione era stata negata l'iscrizione dal Tribunale di Milano in quanto il suo statuto prevedeva l'esercizio di un'attivit di intermediazione, ossia un'attivit ancora vietata dalla legge n. 264 del 1949. La sentenza della Corte diede in tal modo una spinta decisiva in direzione del superamento del monopolio pubblico del mercato dal lavoro con l'apertura ai privati del medesimo mercato, tenuto anche conto della fallimentare esperienza della sistema pubblico.
3, La concorrenza pubblico-privato: dal d.lgs. n. 469 del 1997 al d.lgs. n. 276 del 2003.
La sentenza della Corte di giustizia europea Job Centre del 1997 decretava lincompatibilit del monopolio statale in materia di mercato del lavoro in quanto contrario alle norme sulla libera concorrenza. Da essa ha preso vita il processo di riforma iniziato col d.lgs. n. 469 del 1997 introduttivo di due fondamentali innovazioni, e cio: a) il trasferimento delle funzioni degli uffici di collocamento dallo Stato alle Regioni che a loro volta l'avrebbero decentrato alle Province dopo la riforma costituzionale del 2001; b) la legalizzazione dell'intermediazione privata il cui esercizio era subordinato al rilascio di un'autorizzazione amministrativa. Circa il punto sub a): Con la riforma del Titolo V della Costituzione con L.3/2001, lo Stato manteneva solo una funzione di indirizzo e di coordinamento della politica del lavoro, mentre la relativa competenza legislativa veniva decentrata alle Regioni. Queste ultime avrebbero poi attuato un ulteriore decentramento a livello provinciale, con l'istituzione dei Centri per l'impiego in sostituzione degli uffici di collocamento e con l'obiettivo di fornire varie forme di assistenza a favore di chi fosse in cerca di un'occupazione, la Regione coordina tali Centri dallalto, attraverso una Commissione Tripartita composta da rappresentanti pubblici e delle parti sociali. Circa il punto sub b): Sul piano dell'apertura ai privati, tuttavia, la legge non ebbe buoni risultati in quanto non permetteva di svolgere contemporaneamente attivit di intermediazione e di somministrazione di lavoro. Ma il processo di riforma continuato.
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Con riguardo al collocamento pubblico, da segnalare il d.lgs. 21 aprile 2000 n. 181, modificato dai d.lgs. 19 dicembre 2002 n. 297. Esso ha dettato i principi fondamentali di indirizzo per l'esercizio della potest legislativa in materia da parte delle Regioni. Tale Riforma ha determinato: l'abolizione delle liste di collocamento e, con esse, della chiamata numerica; la previsione di nuove modalit di accertamento dello stato di disoccupazione; l'introduzione dell'obbligo di denuncia contestuale dell'assunzione anche per i rapporti di lavoro non subordinato (bens parasubordinato) quali le collaborazioni coordinate e continuative ed i lavori a progetto. Si giunti, infine, ad un'ulteriore riforma del regime del collocamento privato, tramite il pi volte evocato d.lgs. n. 276 del 2003, come ritoccato dal d.lgs. 11 ottobre 2004 n. 251, una delle cui linee di intervento stata quella dell'ulteriore rivisitazione della disciplina che prevede i presupposti e le condizioni di svolgimento dell'attivit di collocamento da parte dei privati. In particolare tale Riforma ha previsto: labolizione del vincolo di oggetto sociale esclusivo per le agenzie di lavoro somministrato, di tal che le stesse avrebbero potuto esercitare anche altre attivit, ivi compresa quella di intermediazione, inerenti al mercato del lavoro. A tale ultimo scopo stato istituito un albo, presso il Ministero del lavoro, diviso in 5 sezioni, cui devono iscriversi le agenzie che intendono esercitare attivit di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione del personale e supporto alla ricollocazione professionale, prevedendo un regime unico di autorizzazione, nel senso che le agenzie del lavoro possono svolgere una o pi delle dette attivit. Le agenzie possono operare anche sulla base di un'autorizzazione provvisoria, ottenuta per silenzio-assenso col decorso di 60 giorni dalla domanda di iscrizione all'albo, che diventa definitiva dopo due anni. Le dette agenzie sono soggette a tutte le norme in materia di tutela della riservatezza dei dati personali e, con esse, a quelle che vietano discriminazioni nell'avviamento al lavoro; ad esse, in particolare, fatto divieto di assumere informazioni sulla posizione personale dei lavoratori in materia di credo religioso, sesso, politica, origini etniche e nazionali, ecc. Un'ultima importante innovazione, connessa al progresso tecnologico, la sostituzione del fallimentare SIL (Sistema Informativo del Lavoro) con una Borsa continua nazionale del lavoro, ossia con una banca dati telematica attraverso la quale ognuno pu acquisire informazioni tali da agevolare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro.
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determinate categorie ed iscritti in apposite liste tenute dai centri per l'impiego. La previgente normativa, recata dalla legge n. 482 del 1968, stata sostituita dalla legge n. 68 del 1999 che ha introdotto le seguenti innovazioni: a) i soggetti aventi diritto al collocamento obbligatorio sono individuati nelle seguenti categorie: disabili con un grado di inabilit superiore al 45%; invalidi per lavoro con un grado di inabilit superiore al 33%; orfani e coniugi superstiti di deceduti per causa di lavoro, guerra o servizio o in conseguenza dell'invalidit riportata per tali cause e soggetti assimilati, quali, in ultimo, anche le vittime del terrorismo e della criminalit organizzata; b) l'obbligo di avere in servizio un determinato numero di disabili e di appartenenti alle categorie protette, assumendo di volta in volta le unit necessarie a garantire la cosiddetta "quota di riserva", stato cos ridimensionato: nessuna unit per le imprese occupanti fino a 15 dipendenti; una unit per le imprese occupanti da 16 a 35 dipendenti; due unit per le imprese occupanti da 36 a 50 dipendenti; il 7% dell'organico in servizio per le imprese occupanti pi di 50 dipendenti;
c) la scelta dei soggetti da avviare al lavoro avviene per chiamata numerica, sulla base
di apposite liste, tenuto conto dell'idoneit del soggetto alle mansioni da svolgere; in alcuni casi previsto ravviamento nominativo o la stipula di convenzioni per una diversa modalit o tempistica di avviamento al lavoro; d) la procedura di avviamento avviene sulla base di apposita denuncia che il datore di lavoro deve obbligatoriamente inoltrare al Centro per l'impiego con cadenza annuale (entro il 31 gennaio di ciascun anno), affinch questo possa verificare i mutamenti d'organico e l'osservanza dei relativi obblighi inerenti al collocamento obbligatorio; a tal fine prevista l'obbligatoriet della denuncia annuale, cui attribuita una funzione di contestuale richiesta di avviamento al lavoro di disabili a copertura del contingente dovuto; l'omessa denuncia da luogo a pesanti sanzioni ma non consente al Centro per l'impiego di procedere all'avviamento al lavoro d'ufficio. Le norme sul collocamento obbligatorio non incontrano il maggior favore da parte delle imprese, giacch esse si vedono assegnare unit lavorative di accertata minore capacit lavorativa. Se, da un lato, la condizione di disabile e di minore capacit lavorativa non presupposto di minore capacit produttiva, perch un disabile pu essere utilizzato in modo ottimale in mansioni che non risentono della sua condizione, per altro verso non sono escluse, successivamente all'assunzione, verifiche intese ad accertare il grado di effettiva utilizzazione del disabile; all'esito di tali accertamenti, laddove sussistano condizioni di incompatibilit, temporanea o permanente, il disabile pu essere temporaneamente sospeso dal servizio, con privazione della retribuzione, od anche licenziato per giusta causa.
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membri sono a tutti gli effetti equiparati ai cittadini italiani. Tale diritto altres protetto dal divieto, cos confermato, di ogni discriminazione, nell'avviamento al lavoro, fondata sulla nazionalit di origine. Ci potrebbe implicare la non spettanza di unanaloga libert in assenza di occasioni di lavoro effettive, ma la Corte di giustizia europea ha interpretato in modo estensivo tale diritto facendovi derivare l'ulteriore diritto di stabilirsi in un paese membro ancor prima di aver trovato un'occupazione e, in particolare, per tutto il periodo necessario a cercarne una.
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Il permesso concesso per la durata del contratto ii quale, dal canto suo, non pu eccedere la durata massima del permesso che, per i rapporti di lavoro a tempo indeterminato, di due anni. Qualora il rapporto di lavoro si interrompa prima della scadenza del permesso di soggiorno, l'extracomunitario resta iscritto, fino a tale data, in apposite liste formate presso i Centri per l'impiego. La normativa attuale in materia quella di cui alla legge n. 189 del 2002 (detta BossiFini) che tra l'altro prevede il contingentamento dei flussi di immigrazione per mantenerne il controllo; in tal modo il governo che periodicamente stabilisce quanti permessi di soggiorno per lavoro possano essere concessi ad extracomunitari, cos limitandone, correlativamente, l'immissione sul mercato del lavoro.
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rapporto di lavoro subordinato non esclusivamente quello instaurato con un imprenditore bens con qualsiasi altro datore d lavoro, sia privato che pubblico. Al fine di equiparare all'imprenditore qualsiasi altro datore di lavoro, sufficiente il generico rinvio di cui allart. 2239 c.c.. Per quanto attiene al rapporto di pubblico impiego, invece, il rinvio addirittura espresso, ad opera dell'art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001. La figura del lavoratore dipendente e gli elementi identificativi di un rapporto di lavoro dipendente sono rinvenibili nell'art. 2094 c.c. secondo il quale prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore. Pertanto solo le situazioni di lavoro che presentano tali caratteristiche possono qualificarsi come rapporto di lavoro dipendente; negli altri casi si avranno, invece, le varie forme di lavoro autonomo e non subordinato. Gli elementi identificati del rapporto di lavoro subordinato sono, dunque: a) l'obbligo di collaborare "nell'impresa"; esso presuppone che il lavoratore partecipi alla realizzazione degli scopi dell'impresa e non di quelli propri o di soggetti diversi dall'impresa nella quale lavora; b) la prestazione di lavoro "alle dipendenze" dell'imprenditore; il che indicativo della posizione del lavoratore che, in tal caso, non autonoma ne esposta ai rischi dell'impresa che ricadono, invece, tutti sull'imprenditore; c) l'assoggettamento della prestazione alla direzione dell'imprenditore"; a conferma della posizione non autonoma del lavoratore bens sottoposta alle direttive altrui ed anche alle regole di organizzazione interna dell'impresa. Invero le altre forme di rapporto di lavoro hanno diversi tratti comuni col rapporto di lavoro subordinato. Infatti una forma di collaborazione sussiste sempre tra prestatore d'opera ed imprenditore, ma il lavoratore autonomo non inserito nell'organizzazione dell'impresa e, in ogni caso, non vincolato alle direttive dell'imprenditore nei confronti del quale ha solo obblighi di risultato. L'altro elemento comune la remunerazione della prestazione che, al di l della diversa forma, in ogni caso dovuta salvo non si tratti di lavoro gratuito o familiare.
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Le norme in materia di rapporto di lavoro sono, infatti, di tipo imperativo e non dispositivo, sicch le parti non possono di comune accordo derogare a tali norme stabilendo che un rapporto di lavoro - che di fatto o di tipo subordinato - sia regolato da norme diverse da quelle per esso previste dallordinamento. perci innanzitutto irrilevante il nomen iuris dalle parti dato al contratto quando il contenuto dello stesso sia con esso non coerente, nel senso che pur qualificando il rapporto contrattuale in modo diverso da quello del lavoro subordinato, le relative clausole sono invece indicative del rapporto di subordinazione. Se cos non fosse, la parti potrebbero facilmente mascherare un contratto di lavoro dipendente - eludendo tutte le nonne regolatrici di tale tipo di rapporto semplicemente attribuendo al detto rapporto un nomen diverso da quello del rapporto di lavoro subordinato, ancorch le relative clausole siano quelle tipiche di tale tipo di rapporto. Per altro verso un contratto di lavoro pu ben essere provvisto dei requisiti della coerenza formale - tra denominazione e contenuto per poi risultare difforme dalla reale situazione di fatto. Per tale motivo l'accertamento dell'esistenza o meno di un rapporto di lavoro subordinato e esperito con prioritario riferimento alle situazione di fatto e, pi in particolare, all'accertamento delle presenza degli elementi in tal senso fondamentali della subordinazione, della remunerazione periodica e della organizzazione eteronoma della prestazione lavorativa, tutti sintomatici del rapporto di lavoro subordinato.
3. La certificazione.
Il contratto di lavoro un contratto per il quale prevista la forma scritta. Il contratto di lavoro subordinato quello maggiormente protetto dall'ordinamento e, quindi, maggiormente oneroso per l'imprenditore. Dalla qualificazione del contratto o dal suo contenuto potrebbe risultare che il rapporto di lavoro non sia di tipo subordinato ma solo sul piano formale mentre la prestazione di fatto caratterizzata da tutti gli elementi di cui allart. 2094 c.c. e perci sufficienti a qualificare il rapporto di lavoro come rapporto di lavoro di tipo subordinato. Al fine di ridurre il contenzioso inerente allaccertamento del contratto di lavoro subordinato, l'art. 76 d.lgs. n. 276 del 2003 prevede una procedura di certificazione, secondo la quale le parti congiuntamente possono chiedere a determinati organismi dalla stessa norma individuati (enti bilaterali, universit, direzioni provinciali del lavoro) la certificazione o, meglio, la dichiarazione circa la qualificazione del suo rapporto di lavoro. La certificazione ha validit giuridica verso terzi, relativamente alla qualificazione del contratto, fino a quando non sia diversamente stabilito dall'autorit giudiziaria. Infatti avverso la certificazione, che si qualifica atto amministrativo, ammesso il ricorso al TAR, per eccesso di potere, od anche al giudice ordinario, per difformit della prestazione di fatto rispetto a quanto pattuito col contratto e coerentemente con esso certificato dal competente organo.
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2. Il lavoro autonomo.
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La figura del lavoratore autonomo si differenzia da quella del lavoratore subordinato in quanto la sua prestazione autonomamente organizzata, cio organizza autonomamente il suo lavoro ed ha nei confronti del committente solo un obbligo di risultato. L'art. 2222 c.c. definisce lavoratore autonomo quella persona che "si obbliga a compiere verso un corrispettivo un'opera o un servigio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincoli di subordinazione nei confronti del committente". Le parti del rapporto contrattuale sono, quindi, il lavoratore autonomo, da un lato, ed il committente dell'opera o del servizio, dall'altro. La disciplina del rapporto, essendo esclusivamente codicistica, di natura dispositiva ed , pertanto, lasciata alla libera scelta delle parti, a differenza del rapporto di lavoro subordinato soggetto a norme di natura imperativa e perci inderogabili.
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il collaboratore non ha diritto a ferie, ad assistenza per malattia ne a trattamento di fine rapporto; non vi contrattazione collettiva regolante il rapporto la cui disciplina, pertanto, lasciata alla libera scelta delle partirla.
5. Il lavoro associato. 58
Il lavoro associato quella particolare forma di rapporto di lavoro secondo la quale da un lato c' il committente (datore di lavoro) e dall'altra c' l'associazione i cui componenti sono i prestatori d'opera a favore del committente ma sono al tempo stesso datori di lavoro di se stessi. Dunque, la prestazione lavorativa diversa da quella di tipo subordinato pu essere svolta anche all'interno di contratti di tipo associativo e perci "orizzontali". L'esempio tipico e quella della cooperativa di produzione e lavoro nell'ambito della quale il lavoratore anche socio, ossia imprenditore in quota parte. A favore di questa categoria di lavoratori gi da tempo sono state estese alcune tutele tipiche del rapporto di lavoro subordinato (tutela della maternit, contribuzione previdenziale obbligatoria, ecc.). Dei contratti associativi fa altres parte il contratto di associamone in partecipazione, previsto e disciplinato dall'art. 2549 e seguenti c.c. Lassociazione in partecipazione quella particolare forma di lavoro associato secondo la quale l'associazione costituita dal datore di lavoro e dal prestatore di lavoro che col primo si associa. In tal caso il prestatore di lavoro non viene remunerato come lavoratore subordinate bens partecipando agli utili dell'impresa in misura proporzionale al suo apporto lavorativo. La partecipazione alle perdite, viceversa, eventuale, in quanto pu essere esclusa dalle parti con un apposito accordo.
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Nell'altra ipotesi limpresa mantiene la produzione della parte strategica del prodotto principale appaltando ad altre imprese la produzione di parti accessorie del bene principale od anche la realizzazione di servizi collaterali; in tal modo l'impresa principale non avr tutte le problematiche inerenti alla gestione di personale che lavora alla sua produzione ma dipende da altri, ossia da imprese satelliti, sulle quali ricadranno, per esempio, anche i cali produttivi derivanti da una contrazione della domanda e le ripercussioni sull'occupazione. Questa seconda ipotesi presenta poi l'aspetto produttivo della maggiore specializzazione che l'impresa pu conseguire se concentrata sulla realizzazione di un'unica parte del prodotto.
2. Il trasferimento di azienda.
Lesternalizzazione di una parte dell'attivit produttiva pu avvenire in diversi modi; uno di questi l'appalto di un servizio o della produzione di un bene, nel senso che l'azienda, anzich provvedervi m proprio, da il relativo incarico ad un'altra impresa; un altro modo e quello che comporta la cessione di una parte della propria azienda ad un'altra, ossia il trasferimento di un segmento della propria attivit produttiva e, con essa, anche delle risorse ad esso dedicate, ivi compreso il personale dipendente. La fattispecie regolata dall'art. 2112 c.c., come modificato dall'art. 32 del d.lgs. n. 276 del 2003, che agevola i processi di esternalizzazione ed introduce nuove norme a tutela dei lavoratori coinvolti in tali processi. La norma prevede, innanzitutto, che le relative regole si applicano sia al trasferimento in toto dell'azienda sia al trasferimento di parte (ramo) di essa (co.5). In proposito va precisato che il trasferimento di azienda o di impresa da considerarsi tale se resta di fatto inalterata la finalit produttiva della stessa, per cui non sfuggono all'applicazione delle relative regole quei trasferimenti organizzati proprio per eluderle e per determinare condizioni di minor favore per il personale. Nel caso di trasferimento di una parte soltanto dell'azienda peraltro con la prospettiva di riacquistare dal cessionario il prodotto prima realizzato in proprio tale parte deve essere funzionalmente autonoma. Tuttavia, mentre in passato tale autonomia doveva essere "preesistente al trasferimento", ossia avere un riscontro reale nell'organizzazione aziendale anteriore a detto trasferimento, la novella del 2003 ha soppresso il requisito della "preesistenza", ritenendo sufficiente che il ramo d'azienda sia identificato come tale, dal cedente e dal cessionario, al momento del trasferimento. Si tratta di una previsione mirante a favorire le Esternalizzazioni. A protezione della posizione del lavoratore, che viene trasferito unitamente allattivit produttiva, la norma prevede, innanzitutto, che detto trasferimento non pu essere motivo di licenziamento, nel senso che il trasferimento dell'azienda non pu avvenire correlativamente alla riduzione dell'organico che dovrebbe essere con essa trasferito ne a condizione che ci avvenga, di tal che il cessionario obbligato ad acquisire l'intero personale gi destinato dal cedente all'attivit produttiva ceduta (art.2112 co.4). Il lavoratore, inoltre, mantiene i diritti acquisiti ed i crediti vantati all'atto del trasferimento (co.1), che pu rivendicare verso il cessionario, il quale obbligato in solido col cedente (co.2), e mantiene il diritto a vedersi applicare i contratti collettivi vigenti
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all'atto del trasferimento, salvo che nell'azienda cessionaria non trovino applicazione contratti collettivi diversi (co.3). Il linea teorica, pertanto, il trasferimento pu dar luogo a reformatio in peius, nel senso che il lavoratore pu vedersi applicare fin da subito un contratto peggiorativo rispetto a quello applicategli nella posizione di provenienza; ove una tale ipotesi possa realmente verificarsi, col contratto aziendale che, in genere, viene scongiurata o comunque graduata una reformatio in peius. La tutela a favore del lavoratore consiste, altres, nell'inserimento dell'eventuale trasferimento dell'azienda tra le materie oggetto di relazioni sindacali, prevedendo l'obbligo della previa informazione e consultazione dei soggetti sindacali competenti; la disattenzione di tali norme pu costituire presupposto per un ricorso per condotta antisindacale, ai sensi dell'art. 28 dello Statuto, ma non pu impedire che il trasferimento sia effettuato.
3. Gli appalti.
Se quella del trasferimento di un ramo dazienda rappresenta la prima fase del processo di esternalizzazione, la seconda fase ha come obiettivo quelli di riacquisire all'azienda il prodotto dell'attivit oggetto di decentramento. Ci avviene, in genere, tramite la stipulazione di contratti di appalto fra l'impresa gi titolare dell'attivit e quella che ha acquisito la gestione della stessa: in virt di tale contratto, l'appaltatore si obbliga a fornire, "con organizzazione dei mezzi necessari e gestione a proprio rischio" (art. 1655 c.c.), l'opera o il servizio gi prodotti all'interno. Quando si parla di lavoratore in appalto si fa riferimento alle due diverse ipotesi di impiego di un lavoratore che dipende da un'azienda appaltatrice di un servizio per conto di un altro, e cio all'ipotesi in cui il lavoratore, dipendente della ditta appaltatrice, lavori presso di essa ovvero presso l'appaltante. Nel primo caso non v'e alcuna differenza con qualsiasi altro rapporto di lavoro. Invece nella seconda ipotesi, cio nel caso in cui l'azienda appaltatrice svolga il suo servizio utilizzando i propri lavoratori presso l'azienda appaltante, il lavoratore ha diritto allo stesso trattamento, se pi favorevole, riservato ai lavoratori dell'azienda appaltante (L.1369/1960). La previsione in tal senso finalizzata ad evitare appalti di comodo fatti per applicare condizioni di minor favore attraverso l'affidamento ad altri di una lavorazione che fatta in proprio costerebbe di pi. Al fine di eliminare il disincentivo normativo alle operazioni di esternalizzazione, tale norma stata abrogata dal d.lgs. n. 276 del 2003 il quale, a tutela del lavoratore dell'impresa appaltatrice ha previsto un regime di solidariet secondo il quale nel caso di sua inadempienza nei confronti dei medesimi lavoratori essi possono rivalersi nei confronti della ditta appaltante.
4. Il divieto di interposizione.
L'appalto contraddistinto dal fatto che l'appaltatore, ai sensi dell'art. 1655 c.c., deve essere provvisto di mezzi propri per lo svolgimento in piena autonomia di un determinato servizio. Laddove tali condizioni non esistono, l'appalto solo finalizzato a mascherare un rapporto di lavoro dipendente.
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L'appalto di un servizio per conto di un'impresa pu talvolta mascherare un appalto di manodopera, nel senso che l'impresa appaltatrice del tutto fittizia e svolge una mera funzione di interposizione tra l'imprenditore appaltante ed il lavoratore, ricavandone un utile. Si consideri l'esempio di un'impresa che faccia ricorso ad un servizio di facchinaggio interno, e stipuli a tal fine un contratto di appalto: se gli addetti a tale servizio rispondono alla loro datrice di lavoro, che ne organizza effettivamente le prestazioni, siamo di fronte ad un appalto autentico, e si applica la disciplina analizzata nel paragrafo 3. Qualora, invece, tali addetti, pur facendo il loro mestiere di facchini, vengano diretti da un capo-reparto dell'impresa appaltante, o se, addirittura, vengano utilizzati anche per integrare l'organico di tale impresa, e pertanto in modo fungibile rispetto ai dipendenti interni, non si di fronte ad un appalto ex art. 1655 c.c., bens ad mera una fornitura o somministrazione di manodopera (si parla spesso, in modo atecnico, di un appalto di manodapera), e quindi ad un'interposizione del datore d lavoro puramente formale (l'appaltatore fasullo di opera o servizio) in un rapporto che, di fatto, intercorre fra i lavoratori e il datore di lavoro reale (l'appaltante). Per porre fine a siffatte forme di caporalato, l'art. 1 della legge n. 1369 del 1960, introdusse l'assoluto divieto di appalto di mano d'opera e di intermediazione nellassunzione di mano d'opera fornendo, altres, gli elementi individuativi della illiceit di tali situazioni nella parte in cui stabiliva che "E' considerato appalto di mere prestazioni di lavoro ogni forma di appalto o subappalto, anche per esecuzione di opere o di servizi, ove l'appaltatore impieghi capitali, macchine ed attrezzature fomite dallappaltante, quand'anche per il loro uso venga corrisposto un compenso allappaltante". La violazione di tale norma, siccome imperativa, determinava la nullit dei contratti d'appalto e dei contratti di lavoro stipulati con la ditta appaltatrice ed i lavoratori da essa dipendenti erano considerati a tutti gli effetti dipendenti dellutilizzatore. A tal fine, tuttavia, occorreva dimostrare la sostanziale inesistenza dell'impresa appaltatrice e resistenza di una subordinazione di fatto rispetto all'imprenditore appaltante. A tal fine, in particolare, occorreva dimostrare che l'impresa appaltatrice era priva degli elementi di cui all'art.1655 c.c. caratterizzanti l'appalto, e cio: propri mezzi, capitali, attrezzature ed organizzazione. Allo stesso fine era altres decisiva la presenta di una subordinazione di fatto del lavoratore alle direttive dell'imprenditore appaltante nonch il suo impiego in mansioni uguali a quelle del personale da esso dipendente. La direziono del prestatore d'opera da parte dell'imprenditore, se da un Iato dimostrava l'inesistenza del rapporto di lavoro subordinato tra questo e l'appaltatore o l'intermediario, per altro verso dimostrava l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato di fatto con l'utilizzatore. Il d.lgs. n. 276 del 2003, nellabrogare la legge n. 1369 del 1960, ha sostanzialmente confermato, allart. 29, l'illiceit dell'appalto di prestazioni di lavoro quando l'impresa appaltatrice sia priva degli clementi. identificativi dell'appalto ai sensi dell'art. 1655 c.c., ed ha istituito, all'art. 20, quella forma di intermediazione legale denominata "contratto di somministrazione".
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risparmia tempi e costi per una selezione, ha la garanzia della continuit delle prestazione, in quanto l'appaltatore si impegna a sostituire le unit assenti, risparmia, infine il periodo di prova ed alla fine del rapporto pu anche assumere presso di s, a tempo indeterminato, il lavoratore la cui professionalit stata verificata sul campo. Il d.lgs. n. 276 del 2003 ha definitivamente rimosso ogni ostacolo all'appalto di manodopera, abrogando la legge n. 1369 del I960, ribattezzando il lavoro interinale in "contratto di somministrazione di lavoro" ed introducendo 3 fondamentali innovazioni: a) la riscrittura della normativa che regola le agenzie di somministrazione, inserita nel pi ampio alveo di quella sulle agenzie del lavoro; b) la ridefinizione dei presupposti di accesso all'istituto; c) la legalizzazione della somministrazione di lavoro a tempo indeterminato.
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Il rapporto contrattuale del lavoratore (prestatore) con lazienda somministratrice (agenzia) pu essere sia a termine che a tempo indeterminato. Normalmente il lavoratore da somministrare viene assunto dell'azienda somministratrice in occasione e per la durata del contratto di somministrazione; nel caso in cui questi abbia con lazienda somministratrice un contratto di pi lunga durata (indeterminato), resta a cario della stessa per tutto il periodo durante il quale non venga impiegato presso un utilizzatore, con diritto ad una indennit di disponibilit pari al 20% della normale retribuzione. Le agenzie che si iscrivono all'albo devono essere in possesso dei determinati requisiti. L'iscrizione avviene prima in via provvisoria e poi, dopo 2 anni, in via definitiva. La somministrazione di lavoro a tempo indeterminato ammessa per le attivit elencate all'art. 20, comma 3, del d.lgs. n. 276 del 2003. La somministrazione di lavoro a tempo determinato, comunque esclusa per la sostituzione di lavoratori in sciopero, ammessa "a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all'ordinaria attivit dell'utilizzatoere". Tale precisazione, riportata al successivo comma 4, porta a concludere che per attivit ordinarie diverse da quelle elencare al comma 3 - ferma l'apertura finale a tutti i casi previsti dalla contrattazione collettiva - non ammessa la somministrazione di lavoro a tempo indeterminato.
I requisiti di forma del contratto di somministrazione (tanto a tempo indeterminato quanto a tempo determinato) sono dettati dall'art. 21, il cui primo comma stabilisce che esso sia stipulato in forma scritta, e debba contenere una serie di elementi ivi specificati (fra le quali compresa quella del "numero" dei lavoratori da somministrare, ma non anche quella dei "nomi".
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spettante ai dipendenti dellutilizzatore che svolgano uguali mansioni. Il rapporto diretto tra utilizzatore e lavoratore sta nelle modalit di impiego di quest' ultimo, che avviene secondo le direttive del primo, e per quanto attiene alle norme sulla sicurezza che l'utilizzatore tenuto ad applicare, in tal caso, anche nei confronti di dipendenti non suoi. Nel resto il rapporto di lavoro gestito in tutto e per tutto dal somministratore, anche per quanto attiene agli aspetti disciplinari. Al termine della somministrazione, lutilizzatore pu assumere alle sue dirette dipendenze il lavoratore somministrato; al tal proposito, infatti, la norma dispone la nullit di tutte le clausole che impediscano una tale ipotesi, salvo che il somministratore non si sia riservata l'esclusivit del rapporto con il lavoratore pattuendo una adeguata indennit. Come negli appalti, prevista la responsabilit solidale tra utilizzatore e somministratore nel caso di inadempienze m materia retributiva e contributiva. Il lavoratore pu dunque rivalersi sullutilizzatore per suoi crediti retributivi e contributivi. In tale ipotesi, intanto, l'utilizzatore non fa altro che pagare direttamente al lavoratore e per il lavoratore le stesse somme altrimenti dovute al somministratore nell'ambito del canone contrattuale.
4. Le sanzioni.
La violazione delle norme regolanti la somministrazione di lavoro da luogo a sanzioni, anche penali, e determina la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra utilizzatore e prestatore. Per il contratto di somministrazione, in particolare, prevista la forma scritta, mancando la quale il lavoratore considerato a tutti gli effetti dipendente dellutilizzatore. In tutti gli altri casi di irregolarit, ad es. quando la somministrazione stata effettuata da impresa non regolarmente autorizzata; ha riguardato un numero di lavoratori eccedente quello indicato in contratto; stata effettuata con violazione dell'obbligo di valutazione dei rischi inerenti alla salute ed alla sicurezza dei lavoratori, e di adozione delle consequenziali misure di prevenzione; stata effettuata al di fuori dei termini temporali previsti nel contratto ecc., il lavoratore pu chiedere al giudice la costituzione del rapporto di lavoro a tempo determinato, ferme restando le sanzioni amministrative, di natura pecuniaria, a carico sia del somministratore che dellutilizzatore. Inoltre sono previste sanzioni di natura penale, sia a carico dell'utilizzatore che a carico del somministratore, quando essi siano abusivi o irregolari, nel caso di sfruttamento di minori e quando la somministrazione sia stata posta in essere per eludere norme di legge inderogabili o norme contrattuali. Per qualunque altro vizio, tanto genetico quanto funzionale (ad es. per inadempimenti commessi dal somministratore o dall'utilizzatore, relativamente ai loro rispettivi obblighi contrattuali), non prevista una specifica sanzione civile, fatti per salvi, ovviamente,
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PARTE QUINTA I RAPPORTI DI LAVORO SUBORDINATO CAPITOLO XVII Contratti di Lavoro e Autonomia Individuale
1. LIntegrazione Eteronoma del Contratto di Lavoro
Il contratto individuale di lavoro, pur rientrando nel novero degli atti bilaterali che normalmente sono espressione della volont delle parti, lascia invece ai contraenti uno scarso margine di autonomia in quanto regolato da norme estranee al rapporto o comunque superiori ad esso. Il contratto di lavoro , pertanto, un contratto ad integrazione eteronoma che deve sottostare, ai sensi dell'art. 1374 c.c., alle leggi regolanti il rapporto di lavoro nonch alle norme della contrattazione collettiva. Tali norme si inseriscono nel rapporto tra le parti, a protezione della parte contraente debole, ossia del lavoratore, formando quel complesso di regole cui devono obbligatoriamente uniformarsi i contratti individuali. Lo stato di soggezione del contratto individuale alla legislazione del lavoro ed alla contrattazione collettiva tale che, ove tali norme mutino nel tempo, il contratto di lavoro, ancorch antecedente al mutamento, automaticamente adeguato a tali norme. In altre parole non sussistono, in tale ipotesi, i cosiddetti diritti quesiti per cui, quand' anche le nuove norme prevedano modificazioni in peius, il rapporto di lavoro non resta esente dai
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relativi effetti.
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l'ipotesi che egli possa rinunciare ad alcuni suoi diritti e non perch costrettovi dalla controparte bens nell'esercizio dell'autonomia che in tal senso il medesimo sistema consente. L'art. 2113 c.c. sancisce infatti l'invalidit (annullabilit), ma non la nullit, di rinunce e transazioni che abbiano ad oggetto diritti del lavoratore. La norma codicistica, al di l della funzione protezionista della normativa di settore, non esclude che il lavoratore possa rinunciare o transigere su alcuni suoi diritti e non esclude che tali rinunce o transazioni conservino l'effetto voluto, giacch prevede che tale invalidit non ricorre quando rinunce e transazioni avvengano in sede di conciliazione o di componimento bonario di controversie di lavoro. A tal proposito, intanto, lo stesso art. 2113 c.c. prevede che lazione tesa ad ottenere l'invalidit di rinunce e transazioni debba essere intentata, con un qualsiasi atto idoneo a manifestare la volont in tal senso del lavoratore e non necessariamente con un ricorso al giudice, nei 6 mesi successivi alla cessazione del rapporto di lavoro ovvero, se la rinuncia o la transazione risalgono ad una data successiva alla cessazione, entro 6 mesi da tale data. Il termine di 6 mesi ivi previsto di natura decandenziale, nel senso che se l'azione non viene avviata prima della scadenza, il lavoratore perde ogni diritto ad agire. Esso comunque fissato al di fuori del rapporto di lavoro, sul presupposto che in costanza di rapporto di lavoro il lavoratore trovasi in una posizione di soggezione, anche psicologica, nei confronti della pi forte parte datoriale, e non esclude che il lavoratore decida di non avvalersene. In tale ultima ipotesi la rinuncia o la transazione sui propri diritti da parte del lavoratore conserva la sua efficacia e le relative clausole non sono pi invalidabili. Non di meno eventuali rinunce e transazioni possono dispiegare una certa efficacia anche quando l'azione sia stata avviata nei termini e prosegua normalmente. Se, infatti, la questione portata alla cognizione del giudice, ben ipotizzabile una sentenza di condanna, ma se la questione si esaurisce in sede conciliativa, le rinunce possono anche restare in parte operanti. Lo stesso art. 2113 c.c., infatti, con espresso rinvio agli articoli 185, 410 e 411 c.p.c., stabilisce che non sussiste invalidit per quelle rinunce o transazioni accettate in fase di conciliazione di una controversia di lavoro. L'invalidit, in particolare, non ha luogo quando le rinunce o le transazioni siano stipulate: a) con l'assistenza di associazioni sindacali; b) davanti alla Commissione provinciale di conciliazione; c) davanti al giudice; d) davanti alle Commissioni di certificazione di cui allart. 76 del d.lgs. n.276 del 2003, ai sensi dellart. 82 dello stesso decreto legislativo.
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sacche di perdurante specialit. All'origine di tale specialit, v' l'ovvio dato che mentre un imprenditore privato libero nella sua azione, pur dovendo rispettare i diritti dei lavoratori, e pi in generale i limiti esterni della libert, sicurezza e dignit umana, la pubblica amministrazione non libera nei fini, bens vincolata dai fini di volta in volta posti dalle leggi che regolano i vari campi della sua azione, e in via generale dal principio di buon andamento e di imparzialit dell'azione amministrativa. Le conseguenze di tale fondamentale diversit si manifestano a vari livelli della disciplina: ad es. nell'obbligo di assumere mediante concorsi, o nel regime delle mansioni, che esclude meccanismi di promozione dei lavoratori a seguito dell'esercizio di fatto di mansioni superiori, ostandovi il rispetto della dotazione organica predisposta da leggi o regolamenti.
d) rispetto alla durata del rapporto hanno carattere di specialit i rapporti di lavoro a
tempo determinato ora disciplinati dal d.lgs.368/2001. Ma ve ne sono anche altre, come il contratto di lavoro somministrato, quando stipulato a termine (il cui regime presenta, infatti, alcune particolarit), il contratto di inserimento e il contratto di apprendistato.
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la nullit e l'annullabilit del contratto "non producono effetti per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione". L'effetto non retroattivo della nullit o dell'annullamento del contratto patisce per un'eccezione: essa si ha, sempre a norma del primo comma, quando la nullit del contratto "derivi dall'illiceit dell'oggetto o della causa" (ad es., un contratto di lavoro stipulato per lo svolgimento di una attivit criminale). Il secondo comma dell'ari. 2126 contiene, infine, un'eccezione all'eccezione. Se l'illiceit dell'oggetto o delta causa scaturisce dalla violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi ha, in ogni caso, diritto alla retribuzione. Cos, nell'esempio di un contratto "criminale", ovvio che la nullit nasce dal divieto generale di commettere crimini; ma se alla base v' stata violazione di norme finalizzate a tutelare l'interesse del lavoratore, onde evitare che egli rimanga doppiamente leso, gli si garantisce, quantomeno, il diritto alla retribuzione.
3. Il patto di prova,
La costituzione di un rapporto di lavoro normalmente subordinata ad un periodo di prova la cui previsione, ai sensi dell'art. 2096 c.c., deve risultare da atto scritto. In mancanza di tale clausola, il rapporto di lavoro si intende costituito in via definitiva fin da subito. Il periodo di prova consente all'imprenditore di valutare la professionalit del lavoratore e, a quest'ultimo, di valutare l'accettabilit delle condizioni di lavoro. Il periodo di prova, la cui durata normalmente stabilita in sei mesi, salvo quanto stabilito dalla contrattazione collettiva, ha un regime tutto particolare, in quanto fino alla sua scadenza le parti possono recedere dal contratto senza preavviso o indennit, salvo che non sia stabilito un tempo minimo prima del quale la facolt di recesso non pu essere esercitata. Superato il periodo di prova, intanto previsto anche per la costituzione dei rapporti di lavoro a termine, l'assunzione diventa definitiva.
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2. L'obbligo di diligenza.
A norma dellart.2094 c.c., il primo obbligo del lavoratore quello di prestare la sua attivit lavorativa alle dipendenze e sotto la direzione dellimprenditore. Lart.2104 Ico. c.c. precisa che tale attivit deve essere prestata con diligenza, nell'interesse dell'impresa nonch di quello superiore della produzione nazionale. A tal proposito si considerano i 3 diversi aspetti delobbligazione, e cio: a) il primo quello della normale diligenza, che caratterizza qualsiasi rapporto obbligatorio, e che, tuttavia, in tal caso richiesta in relazione alla specializzazione o alla particolarit della prestazione, di tal che la media diligenza non quella semplicisticamente richiesta al buon padre di famiglia bens quella "media" rispetto alla specifica professionalit e posizione di lavoro; b) l'altro quello riguardante l'interesse a favore del quale il prestatore di lavoro deve usare la sua diligenza; tale interesse quello dell'impresa, ossia dellimprenditore, e non potrebbe essere altrimenti atteso che quest'ultimo ha reclutato il lavoratore in funzione degli obiettivi che con la sua impresa intende perseguire;, c) l'ultimo aspetto quello riguardante il superiore interesse della produzione nazionale a favore del quale il prestatore deve usare la medesima diligenza. E' evidente che la normale e media diligenza, intesa nel senso pi ampio, ricomprende tutte e 3 gli aspetti sopra elencati, in quanto il prestatore di lavoro diligente non pu non operare nell'interesse dell'impresa dalla quale dipendente e quest'ultima, a sua volta, non pu non esercitare la sua attivit nell'interesse della produzione nazionale.
4. Lobbligo di fedelt.
L'art. 2105 c.c. sancisce, poi, l'ulteriore obbligo della fedelt riferibile
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soltanto ai due aspetti precisati dalla stessa norma, e cio: Obbligo di non concorrenza: il divieto di trattare affari per conto proprio o per conto di terzi nello stesso ambito di attivit dell'impresa avvalendosi di notizie riguardanti la medesima impresa e delle quali in possesso in relazione alla sua posizione lavorativa, cos favorendo la concorrenza sleale in danno dell'impresa dalla quale dipende; Rivelazione di degreti industriali: il divieto di divulgare notizie riguardanti le modalit organizzative e produttive dell'impresa o, comunque, di farne uso in modo da arrecare ad essa pregiudizio. La violazione di tali obblighi pu dar luogo alle ipotesi di concorrenza sleale e di spionaggio industriale, con conseguenze anche penali.
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dipendente pi vicina all'imprenditore e spesso rappresenta la controparte del sindacato dei lavoratori dipendenti. I dirigenti, infatti, hanno propri sindacati ed hanno contratti collettivi distinti da quelli degli altri lavoratori dipendenti. Il rapporto di lavoro e prevalentemente su base fiduciaria e per questo e per lo pi a tempo determinato e non esclude la facolt di recesso unilaterale, da ambo le parti, senza condizioni o conseguenze particolari. I quadri costituiscono la categoria immediatamente inferiore a quella di dirigenti e rappresentano il pi alto livello dei lavoratori non dirigenti. La categoria dei quadri venne istituita con la legge n. 190 del 1985 e rappresenta quella classe di lavoratori aventi un maggior grado di professionalit, tale, cio, da distinguersi da impiegali ed operai, spesso aventi competenze simili a quelle della dirigenza ma senza poteri decisionali. I quadri hanno tentato di ottenere una propria autonomia contrattuale, al pari dei dirigenti, ma senza riuscirvi. Dunque, i Quadri hanno ottenuto il solo riconoscimento legale ad opera della gi citata L.190/1995, anche se tale riconoscimento stato solo simbolico, visto che ad esso non seguita la delineazione di uno speciale Statuto Giuridico di Categoria. Ci dimostrato dal fatto che al Quadro, salvo diversa disposizione, si applicano le norme riguardanti la categoria degli Impiegati. A tale omogeneit di condizione fanno eccezione alcune marginali ipotesi; l'obbligo del datore di lavoro di assicurare il quadro (come gi il dirigente) contro il rischio di responsabilit civile verso terzi, conseguente a colpa nello svolgimento delle proprie mansioni contrattuali, ed un regime particolare per l'ipotesi di assegnazione di mansioni superiori. Gli impiegati costituiscono, insieme agli operai, la gran massa dei lavoratori subordinati; essi, i cosiddetti "colletti bianchi", si contraddistinguono dagli operai in quanto impiegati con mansioni di tipo intellettuale, richiedenti un certo grado di cultura, e certamente non manuali. Gli operai costituiscono l'altra classe storica dei lavoratori subordinati, i cosiddetti "colletti blu", che si contraddistinguono per la manualit delle loro competenze di lavoro. Inizialmenti gli Impegati e gli Operai costituivano 2 categorie distinte, ma col tempo si avuto un riassorbimento di tale separazione; a ci ha contribuito la legge che ha eliminato quasi tutte le differenze di trattamento esistenti tra le 2 categorie, e la contrattazione collettiva che negli anni 70 ha optato per lInquadramento unico. Classificazione per Qualifiche: Alla classificazione per categorie si aggiunge una classificazione per qualifiche, cui provvede la contrattazione collettiva attraverso la descrizione delle mansioni specifiche (declaratorie di qualifica). Categorie e qualifiche costituiscono una griglia sulla base della quale viene effettuato l'inquadramento del lavoratore, ossia la sua collocazione funzionale nell'azienda in base alla coincidenza delle mansioni con le qualifiche previste nell'ambito delle categorie.
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I contratti collettivi definiscono, infine, i livelli retributivi, in genere in numero di setto o otto, in base ai quali determinato il trattamento economico delle singole posizioni di lavoro. Ai livelli retributivi pi elevati si trovano le qualifiche appartenenti alla categoria dei quadri ed a quelli pi bassi, ma senza un eccessivo divario, le qualifiche appartenenti alla categoria degli operai.
In ordine alle mansioni la norma prevede, in buona sostanza, una sorta di stabilit e continuit nelle modalit di impiego del lavoratore ma non esclude un margine di esercizio dello ius variandi, con ogni garanzia in termini di trattamento economico. Il datore di lavoro, infatti, pu variare l'impiego del lavoratore purch nell'ambito di mansioni equivalenti e per tali si intendono non semplicemente quelle di pari livello retributivo bens quelle che siano compatibili con la professionalit del lavoratore, ancorch acquisita in azienda. A tal proposito la giurisprudenza ha elaborato una sorta di "diritto del lavoratore a lavorare", ossia di esprimere la sua professionalit, di tal che si considera demansionamento anche l'assegnazione a mansioni che non tengano conto di tale professionalit. L'esercizio dello ius varandi perci vietato in senso peggiorativo, e come tale da intendersi anche il caso in cui sia mortificata la professionalit del lavoratore allorquando l'equivalenza sia ricercata soltanto sulla base di parametri economici. Viceversa, lesercizio dello ius variandi ammesso in senso migliorativo; infatti, ammesso limpiego del lavoratore in mansioni superiori, con diritto non solo alla maggiore retribuzione ma anche allinquadramento nella superiore qualifica o categoria, quando tali mansioni si protraggono per un periodo di 3 mesi o comunque per il periodo stabilito dalla contrattazione collettiva. Quindi il periodo di 3 mesi stabilito dalla stessa legge (art.2103 c.c.), ma tale termine potrebbe essere derogato dalla contrattazione collettiva, la quale potrebbe prevedere un termine minore o superiore per poter accedere alla qualifica superiore.
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Un es. dato dallart.6 della L.190/1985 che per laccesso alla categoria dei Quadri e dei Dirigenti consente la previsione (per contratto collettivo) di un termine eccedente quello legale, sul presupposto che per accedere a tali pi elevate categorie sia giusto richiedere un periodo pi lungo di training. Trascorso il periodo come sopra determinato, il lavoratore acquisisce in via definitiva il livello contrattuale superiore e non pu pi essere retrocesso. L'unica eccezione a tale regola si da nel caso in cui l'assegnazione alla mansione superiore sia avvenuta per sostituire un lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto (ad esempio, in malattia): in tale ipotesi il limite dei 3 mesi non opera e l'assegnazione pu durare anche pi a lungo, senza che maturi il diritto all'inquadramento definitivo nel livello superiore. Non costituisce demansionamento l'impiego in mansioni di livello inferiore del lavoratore divenuto inabile alle proprie mansioni tenuto altres conto che in tale ipotesi non si ha riduzione del trattamento economico nonch l'accettazione di mansioni di livello inferiore per evitare licenziamenti collettivi.
3. Il trasferimento.
L'assunzione del lavoratore presuppone la sua collocazione in una determinata sede di lavoro. Pu, tuttavia, presentarsi l'esigenza di modificare tale collocazione e, quindi, di assegnare il lavoratore ad una diversa sede, ossia di trasferirlo ad un'altra unit produttiva della stessa azienda. In tal caso lo ius variandi viene esercitato in termini di mutamento della collocazione e non delle mansioni di lavoro; la fattispecie regolata dallo stesso art. 2103 c.c. il quale prescrive che il trasferimento del lavoratore pu essere disposto solo in presenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Ne consegue che il trasferimento pu essere sindacato solo quando manchino tali ragioni o quando manchi il nesso di causalit con esse e, pur tuttavia, senza giudicare le scelte di merito a monte che abbiano determinato tali ragioni, rientrando esse nell'autonomia dell'imprenditore protetta dall'art.41 della Costituzione.
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norme corporative. La norma codicistica confermava, in tal modo, la competenza della legge alla fissazione di un limite massimo alla durata della prestazione lavorativa, facendo salva la contrattazione collettiva che avrebbe potuto stabilire durate inferiori ma non superiori a quelle legali. Per decenni, il quadro legislativo rimasto ancorato alla legge del 1923, rimettendosi in movimento soltanto quando, nel 1993, stata adottata la direttiva CE n. 104 del Consiglio dell'Unione Europea, concernente "taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro", che ha suggerito la necessit di una riforma organica della disciplina, ma il cui processo traspositivo stato faticoso. Una prima revisione si avuta con l'art. 13 della legge n. 196/1997, che ha introdotto un orario normale settimanale di 40 ore. Ma, in seguito, per ragioni politico-sindacali, il processo di riforma si arenato, rimettendosi in moto soltanto nella scorsa legislatura, ed approdando al d.lgs. 8 aprile 2003 n. 66, che ha accorpato in un unico testo, per la prima volta, la disciplina dell'orario di lavoro e quella dei riposi; con abrogazione di tutte le disposizioni precedenti, ivi compreso l'art. 2107 c.c. Il decreto ha rispettato, altres, il ruolo tradizionalmente assegnato alla contrattazione collettiva come fonte della disciplina del- l'orario, al punto di devolvere ad essa anche numerose facolt di deroga "in peius" agli orari legali.
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Attualmente, la norma vigente in materia il d.lgs n.66/2003, il quale ha confermato le disposizioni della L.196/1997. In particolare, la normativa vigente: a) ha confermato il limite delle 40 ore settimanali (Orario Normale); b) ha fissato il limite massimo, comprensivo dello straordinario, in 48 ore, anzich in 52; c) ha confermato il Criterio della Flessibilit nella determinazione dellorario di lavoro; in particolare tale norma consente il superamento del limite massimo delle 48 ore, purch esso sia rispettato in termini di media riferita ad un arco temporale di 4 mesi che la Contrattazione Collettiva pu elevare a 6 o anche a 12 a fronte di ragioni obiettive, tecniche o inerenti allorganizzazione del lavoro. Dunque, unimpresa pu tranquillamente praticare, per alcune settimane, un orario di 60 ore, purch rispetti la media di 48 su una base di 4 mesi. Infine, c da dire che in base allart.17 co.5 del d.lgs.66/2003 la disciplina in tema di orario normale e massimo non si applica a quei lavoratori "la cui durata dell'orario di lavoro, a causa delle caratteristiche dell'attivit esercitata, non misurata o predeterminata o pu essere determinata dai lavoratori stessi", fra i quali: a) dirigenti, personale direttivo delle aziende o di altre persone aventi potere di decisione autonomo: b) manodapera familiare; c) lavoratori nel settore liturgico delle chiese e delle comunit religiose: d) prestazioni rese nell'ambito di rapporti di lavoro a domicilio e di telelavoro. Nei confronti di questi lavoratori, deve comunque essere garantito il "rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori".
4. Il lavoro straordinario.
Ai sensi dell'art.1, comma 2, e dell'art.3, comma 1, del d.lgs, n. 66 del 2003, si considera lavoro straordinario quella durata della prestazione lavorativa che eccede la normale durata settimanale dell'orario di lavoro ivi stabilita in 40 ore. In linea teorica, pertanto, dovrebbe qualificarsi lavoro straordinario solo la prestazione eccedente le 40 ore settimanali e non anche quella eccedente la minor durata dell'orano normale settimanale stabilita dalla contrattazione collettiva. La derogabilit al limite delle 40 ore, da parte della contrattazione collettiva, porta invece a qualificare lavoro straordinario quello che eccede la durata settimanale dell'orario di lavoro contrattuale, di tal che, nel caso di orario di lavoro settimanale di 36 ore, come nel
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pubblico impiego, e di una prestazione settimanale di 42 ore, le ore di lavoro straordinario saranno 6 (ossia la parte eccedente le 36 ore) e non 2 (quale parte eccedente le 40 ore) giacch non possono qualificarsi ordinarie (cio non straordinarie) le ore eccedenti le 36 e fino alle 40. La disciplina della materia , in ogni caso, tutta demandata alla contrattazione collettiva, anche per quanto attiene alle modalit con le quali viene remunerato il lavoro straordinario, non escluso lequivalente riposo compensativo col consenso del lavoratore. Alcuni contratti di lavoro hanno anzi istituito la cosiddetta banca delle ore, ossia un sistema di accumulo programmato delle ore di lavoro straordinario da compensare in termini di equivalente riposo.
6. Le Ferie
Il diritto alle ferie sancito dallart.36 Cost. quale diritto irrinunciabile del lavoratore a fruire di un periodo di ferie annue retribuite; tale art. per non ne fissa la durata.
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La norma costituzionale conferma la prescrizione di cui all'art. 2109 c.c. che a tal proposito aggiunge che: a) la durata delle ferie stabilita dalla legge; b) il periodo di ferie deve essere possibilmente continuativo; c) il periodo durante il quale le ferie possono essere fruite disposto dal datore di lavoro tenendo conto delle esigenze dell'impresa e degli interessi del lavoratore; d) il datore di lavoro deve previamente comunicare al lavoratore il periodo durante il quale potr fruire delle ferie. La normativa vigente in materia quella di cui al d.lgs. n. 66 del 2003 che a tal proposito fissa in almeno 4 settimane il periodo di ferie annue delle quali almeno 2 il lavoratore che ne faccia richiesta deve fruirle nel corso dell'anno di maturazione mentre la restante parte pu essere differita ad un arco temporale non eccedente i 18 mesi successivi allanno di maturazione. Importante risulta la Sentenza della Cort. Cost. n.616/1987 la quale ha stabilito dichiarando parzialmente illegittimo l'art. 2109 c.c. - il principio che la malattia sopravvenuta durante le ferie ne sospende il decorso, per cui il lavoratore abilitato a recuperare successivamente i giorni di ferie "perduti". Ma occorre, perch si produca l'effetto sospensivo, che si sia trattato di una malattia tale da impedire in modo apprezzabile la fruizione delle ferie; considerata tale, dalla maggior parte dei contratti collettivi, una malattia di almeno 3 giorni. Infine, c da dire che il d.lgs. 66/2003 ha altres abolito la possibilit di monetizzare le ferie in alternativa alleffettiva fruizione, sicch tale ipotesi rimasta valida solo nel caso di sopravvenuta cessazione dal servizio, ossia quando in nessun caso le ferie possono essere effettivamente godute (Risoluzione del rapporto di lavoro). per questo che la norma sanziona il datore di lavoro che non consente al lavoratore di fruire delle ferie o che non lo collochi in ferie dufficio nel caso in cui egli non ne faccia richiesta.
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c) part-time misto, frutto di una combinazione fra le due tipologie principali (ad es. contratti
stagionali con un orario d 4 ore giornaliere). La disciplina dellIstituto prevede la presenza di 3 requisiti fondamentali: a) la forma scritta ad probationem del contratto; b) lindicazione nello stesso della durata della prestazione lavorativa; c) lindicazione della collocazione della prestazione lavorativa nella giornata, nella settimana, nel mese o nellanno. Infatti, non possibile pattuire un impegno per generiche 2 ore al giorno, a seconda delle esigenze dellimpresa; e ci a protezione dellinteresse del lavoratore alla Programmabilit del proprio tempo di lavoro. La mancanza di uno dei suddetti requisiti da luogo, previo ricorso al giudice ed a seguito di relativa sentenza, al riconoscimento del rapporto di lavoro a tempo pieno fin dal suo inizio. La costituzione di un Rapporto di lavoro a tempo parziale non caratterizzata dalla rigidit, nel senso che il lavoratore pu essere impiegato col suo consenso, in prestazioni eccedenti il suo orario ridotto. In particolare, esistono 2 modalit per esigere dal lavoratore estensioni o modificazioni dellimpegno orario: a) Lavoro Supplementare: quella durata della maggiore prestazione lavorativa che eccede il tempo parziale fino a concorrenza delle 40 ore costituenti il massimo orario settimanale normale; oltre le 40 ore anche la prestazione del lavoratore a tempo parziale si qualifica lavoro straordinario. b) Clausola di Elasticit: essa deve essere inserita previamente nel contratto di lavoro a tempo parziale, e conferisce al datore di lavoro il potere di pretendere una prestazione lavorativa di maggior durata; ci vale, ovviamente, per i soli rapporti di lavoro a tempo parziale di tipo verticale e misto, in quanto nel caso di tempo parziale orizzontale la maggiore prestazione pu esser chiesta di volta in volta in termini di lavoro supplementare. La clausola di elasticit va formulata in conformit con le regole stabilite dalla contrattazione collettiva ma se tali regole non esistono, essa pu essere liberamente stabilita dalle parti. Il Trattamento del lavoratore part-time deve essere identico a quello del lavoratore a tempo pieno, naturalmente con commisurazione dei principali trattamenti (a cominciare da quello retributivo) al minore impegno orario. Ai fini dell'eventuale passaggio dal tempo pieno al part-time, occorre il consenso del lavoratore, la cui dichiarazione di volont deve per essere convalidata presso la Direzione provinciale del lavoro. Occorre anche il consenso del datore di lavoro. Quanto al percorso inverso (dal part-time al tempo pieno), era prevista la spettanza al lavoratore a tempo parziale di un diritto di prelazione in caso di assunzioni a tempo pieno, relative alle medesime mansioni gi svolte. Ma esso stato eliminato dalla novella del 2003, per cui l'unica possibilit di prevederlo attraverso una pattuizione individuale ad hoc. 2. Il contratto di lavoro Intermittente (Job on call).
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Il contratto di lavoro intermittente, introdotto nell'ordinamento dall'art. 33 del d.lgs. n. 276 del 2003, quel contratto di lavoro, anche a tempo determinato, col quale il lavoratore si obbliga ad effettuare la sua prestazione lavorativa ogni qual volta venga chiamato dal datore di lavoro. La retribuzione del lavoratore intermittente proporzionale alla durata della prestazione ma per i periodi di inattivit al lavoratore spetta una indennit di disponibilit non inferiore al 20% della retribuzione intera. Il lavoratore intermittente che non risponde alla chiamata pu essere licenziato per inadempimento contrattuale salvo che tale circostanza non sia stata determinata da malattia o altro impedimento previamente comunicato al datore di lavoro; in questultimo caso egli comunque perder il diritto allindennit. Il ricorso al lavoro intermittente non del tutto liberalizzato, nel senso che la norma demanda alla contrattazione collettiva la definizione delle esigenze cui possa farsi fronte con l'impiego di tale forma di rapporto di lavoro, ma con alcune eccezioni: si prescinde, infatti, dalla contrattazione collettiva quando il lavoro intermittente sia utilizzato per periodi predeterminati dall'anno (per lo pi caratterizzati dalla prolungata assenza del personale stabile: fine settimana, ferie, periodi natalizio e pasquale) e si prescinde, altres, quando col lavoro intermittente siano utilizzati lavoratori di et inferiore a 25 anni o superiore a 45, ancorch pensionati. Il lavoro intermittente non pu essere in nessun caso utilizzato per sostituire lavoratori in sciopero ne quando per le corrispondenti professionalit si sia proceduto a licenziamenti collettivi ne, ancora, presso le imprese che non abbiano adempiuto alle norme sulla sicurezza sul lavoro. Il contratto di lavoro intermittente pu essere anche in forma non scritta, essendo tale forma necessaria solo ad probationem. Il trattamento del lavoratore intermittente deve essere identico a quello di un normale lavoratore fatto salvo il "riproporzionamento" in relazione alla ridotta prestazione lavorativa.
3. Il contratto di lavoro ripartito. Il contratto di lavoro ripartito, introdotto nell'ordinamento dall'art. 41 del d.lgs. n. 276 del 2003, quel contratto col quale due lavoratori si obbligano, in solido, ad un'unica ed identica prestazione lavorativa che effettuano sulla base di turni da essi autonomamente organizzati. In pratica la prestazione lavorativa viene effettuata di volta in volta da una sola unit ma di essa sono responsabili entrambi i lavoratori, di tal che in mancanza di uno (es. per malattia) deve intervenire laltro. Le dimissioni o il licenziamento di uno dei due coobbligati comportano l'estinzione del vincolo contrattuale con riguardo ad entrambi, salvo che il datore sia disponibile a mantenere in vita il rapporto con l'altro lavoratore, trasformandolo cos in un rapporto normale, a tempo parziale o pieno. Nella stipula di tale contratto prevista la forma scritta ad probationem.
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2. Le guardie giurate.
Il datore di lavoro pu far ricorso all'impiego di guardie giurate la cui funzione, tuttavia, in nessun caso pu dar luogo a controlli nei confronti dei lavoratori.
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Le guardie giurate, in particolare, possono essere utilizzate esclusivamente per attivit di vigilanza sul patrimonio aziendale e non anche sui lavoratori. Le guardie giurate, infatti, possono accedere nei luoghi dove si svolge l'attivit lavorativa soltanto nell'esercizio del controllo ad esse demandato ed il comportamento del lavoratore resta esente da ogni forma di controllo salvo che questo non dia luogo ad un illecito penale. Pertanto le guardie giurate non possono raccogliere ed utilizzare informazioni riguardanti un comportamento negligente del lavoratore se non nel caso in cui esso si realizzi unitamente ad un illecito penale (es. furto). La violazione di tale divieto di controllo da luogo a gravi sanzioni a carico della guardia giurata (sospensione dal servizio, revoca della licenza) nonch all'applicazione nei confronti della stessa e del datore di lavoro delle sanzioni penali di cui all'art.38 dello Statuto.
3. Il Personale di vigilanza
Lart.3 St. Lav. dedicato al Personale di Vigilanza e afferma che I nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza debbono essere comunicati ai lavoratori interessati. Dunque, lo scopo principale di tale norma quello di prevenire i Controlli Occulti, ossia linserimento, tra i lavoratori, di personale addetto a rilevarne il comportamento, e ci in quanto tali controlli non solo sono sleali in s, ma sono anche lesivi della dignit del lavoratore. A fronte di tale esigenza, v' per quella dell'azienda a prevenire e/o verificare la commissione di illeciti, specialmente in quelle attivit che danno adito a furti e irregolarit di vario genere da parte dei dipendenti. La limitazione posta dallart.3, se interpretata in modo rigido, avrebbe sostanzialmente impedito all'imprenditore qualsiasi forma di controllo, anche ai soli fini di tutela del patrimonio aziendale; la giurisprudenza si , pertanto, orientata nel senso di ritenere legittimo il controllo occulto allorch esso sia "difensivo", ovvero rivolto, non gi a controllare il corretto svolgimento del lavoro, bens a prevenire e/o verificare la commissione di illeciti, in specie penali.
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Il successivo art.6 vieta le visite personali di controllo, ossia le perquisizioni, ma anche in tale caso sono previste eccezioni, giacch l'imprenditore, dal canto suo, non pu restare privo di una qualsiasi forma di tutela del suo patrimonio aziendale ne pu restare limitato nella prevenzione di furti di materie prime, prodotti e attrezzature. Sono perci consentite visite di controllo ma a condizione che queste siano effettuate al di fuori dei luoghi di lavoro e con sistemi di selezione automatica e, in ogni caso, salvaguardando la dignit e la riservatezza del lavoratore. Anche per tali forme di controllo previsto il previo accordo sindacale e, in mancanza, l'intervento dell'Ispettorato del lavoro. Linosservanza degli artt.4 e 6 da parte del datore di lavoro sanzionata penalmente dallart.38 dello Statuto.
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possibile prescindere dal consenso, anche in questo caso, allorch il trattamento dei dati sia necessario per l'adempimento di obblighi contrattuali; ma non si pu mai prescindere dall'autorizzazione del Garante (concessa, una volta per tutte, con un provvedimento generale autorizzatorio, emesso di solito con cadenza annuale).
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organizzativo e comportamentale cui lo stesso deve assoggettarsi ai sensi degli articoli 2104 (diligenza) e 2105 (fedelt). La norma codicistica rinvia alla contrattazione collettiva la definizione delle infrazioni e delle sanzioni disciplinari che il datore di lavoro pu infliggere al lavoratore, stabilendo il criterio della proporzionalit della sanzione rispetto all'infrazione; lingerenza dei Contratti Collettivi servita a rendere meno arbitrario tale esercizio. La normativa applicabile arricchita dallart.7 dello Statuto, che disciplina il Procedimento Disciplinare e le modalit di impugnativa della Sanzione.
2. La Normativa Procedurale
La Normativa Procedurale contenuta nellart.7 dello Statuto, il quale, quindi, definisce le modalit del Procedimento Disciplinare e le modalit di Impugnativa della Sanzione. Come prima cosa tale art. opera un rinvio, stabilendo che la definizione delle infrazioni e delle sanzioni disciplinari spetta alla Contrattazione Collettiva. Ne deriva che il datore di lavoro non pu pi prevedere infrazioni e sanzioni a suo piacimento, ma deve applicare obbligatoriamente le norme dei contratti collettivi che prevedono, di solito a livello di contratto nazionale di categoria, il "codice disciplinare". Ci non esclude che, circa le infrazioni, il datore di lavoro possa specificare le previsioni generali previste dal contratto collettivo, in relazione alle esigenze del particolare contesto organizzativo. In ordine alle sanzioni, l'art. 7 sembrerebbe limitarsi a quelle che vanno dalla multa alla sospensione dal lavoro e dalla retribuzione fino a 3 gg., ma i contratti collettivi, ne prevedono una pi ampia gamma e cio, in ordine di gravit: il rimprovero verbale ed il rimprovero scritto; la multa, pari a 4 ore di retribuzione; la sospensione dal servizio e dalla retribuzione fino a 10 gg. il licenziamento con e senza preavviso.
Per quanto riguarda il rapporto tra infrazioni e sanzioni, il Principio generale quello della Proporzionalit dalla sanzione allinfrazione commessa. Quasi tutti i contratti collettivi prevedono, a tale riguardo, la recidiva, che opera come fattore di aggravamento della responsabilit disciplinare. In altri termini, ad una certa infrazione pu conseguire una sanzione pi grave di quella ordinariamente prevista, poich il lavoratore gi incorso in una precedente sanzione per una condotta simile (recidiva specifica, pi grave) o in altre sanzioni disciplinari (recidiva generica, di solito meno grave). L'ultimo comma dell'art. 7 St.lav. prescrive, peraltro, che ai fini della recidiva non possono rilevare sanzioni applicate pi di due anni prima. Infine, l'art. 7 co. 1 si preoccupa di garantire che ai lavoratori venga data un'informazione adeguata in ordine al codice disciplinare, e dispone che esso venga affisso in luogo accessibile a tutti. Il Procedimento Disciplinare consta di 4 fasi: a) Contestazione di addebito. Il datore di lavoro, una volta accertato un comportamento disciplinarmente rilevante, deve contestare al lavoratore la commissione di tale fatto, indicandone, con la maggiore precisione possibile le circostanze materiali, di luogo e di tempo.
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b) Difesa del lavoratore. Fra la ricezione della contestazione da parte del lavoratore, e
l'eventuale adozione della sanzione, deve intercorrere un termine dilatorio di almeno 5 giorni, che pu essere utilizzato dal lavoratore per esercitare il diritto di presentare le proprie difese in ordine all'addebito contestato eventualmente con l'assistenza di un rappresentante dell'associazione sindacale cui egli aderisce o conferisce mandato ad hoc. c) Irrorazione della sanzione. Una volta trascorso il termine a difesa, il datore di lavoro pu eventualmente applicare la sanzione, qualora rimanga convinto della responsabilit del dipendente. d) Impugnazione. Una volta ricevuta la sanzione, il lavoratore pu impugnarla dinanzi al Giudice del lavoro, oppure dinanzi al collegio arbitrale costituito presso la Direzione provinciale del lavoro. La legge cerca di promuovere la via arbitrale, onde sgravare gli uffici giudiziari dal carico di impugnative, prevedendo che se viene adito il collegio, invece del Giudice, "la sanzione disciplinare resta sospesa fino alla definizione del giudizio" arbitrale, ossia sino all'emissione del lodo da parte del collegio. La sanzione disciplinare potr essere impugnata (ossia, ne potr essere richiesta la declaratoria di nullit) per motivi tanto sostanziali (insussistenza del fatto addebitato, sproporzione della sanzione, etc.), quanto procedurali (genericit o mancata affissione del codice disciplinare, genericit o assenza della contestazione, mancato ri- spetto del termine a difesa, etc.).
3. Il licenziamento disciplinare.
L'art. 7 dello Statuto sembrava escludere che le norme ivi stabilite per il procedimento disciplinare si applicassero anche nel caso della pi grave sanzione del licenziamento disciplinare, cos precludendo al lavoratore la possibilit di avvalersi di una norma sostanzialmente prevista a sua tutela e contro eventuali abusi. Sul punto intervenuta la Corte costituzionale che con sentenza n. 204 del 1982 ha dichiarato l'illegittimit dell'alt. 7 nella parte in cui non prevede l'applicabilit del procedimento disciplinare anche nel caso di licenziamento disciplinare previsto, quale sanzione, dalla contrattazione collettiva. La Corte di cassazione e poi andata oltre affermando l'applicabilit delle norme sul procedimento disciplinare in ogni caso.
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La norma fondamentale in materia di retribuzione del lavoratore dipendente nellart, 36 della Costituzione che sancisce il diritto del lavoratore dipendente ad una retribuzione proporzionata alla quantit e qualit del lavoro svolto e, in ogni caso, sufficiente ad assicurargli, unitamente alla sua famiglia, "un'esistenza libera e dignitosa". La competenza a determinare una retribuzione "sufficiente" demandata alla contrattazione collettiva che in tale ambito va a definire la cosiddetta "paga sindacale", ossia i minimi retributivi al di sotto dei quali il datore di lavoro non pu fissare la paga dei propri dipendenti, pur non aderendo all'associazione sindacale che ha sottoscritto il contratto collettivo. La previsione di livelli retributivi minimi lascia spazio alla contrattazione aziendale di stabilire tutt'altri livelli retributivi, il che si verifica, pur in presenza di una contrattazione collettiva nazionale, specialmente per pareggiare il diverso costo della vita nelle diverse zone del paese.
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lavoro o alla produttivit, diversificato non solo per categorie ma anche individualmente. La contrattazione collettiva , pertanto, la fonte normativa esclusiva in materia di trattamento economico e nei casi in cui la legge a stabilirne la misura (come, per esempio, nel caso della maternit) la contrattazione collettiva pu stabilire trattamenti migliori ma non viceversa, incontrando il limite del divieto di reformatio in peius.
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costo della vita e quindi corrisposta al lavoratore, nel suo ammontare complessivo, all'atto della cessazione dal servizio presso quell'azienda; pertanto, nel caso di pi rapporti di lavoro successivi, al lavoratore spetteranno altrettanti TFR. In attivit di servizio il lavoratore pu chiedere un'anticipazione del TFR, per determinati motivi (spese sanitarie straordinarie, acquisto della prima casa per se o per i figli ecc.) e, in ogni caso, in misura non superiore al 70% di quanto a tale titolo maturato fino a quel momento. Col sistema del TFR il lavoratore percepisce circa una mensilit di stipendio per ogni anno di servizio ma con riferimento allo stipendio effettivamente percepito di anno in anno; il previgente sistema dell'indennit di anzianit prevedeva, invece, la moltiplicazione dell'ultima retribuzione per gli anni di servizio, cos favorendo il fenomeno delle liquidazioni gonfiate, essendo a tal fine sufficiente aumentare artificiosamente lultima retribuzione. Con la riforma del TFR (esteso anche al settore pubblico), ad opera del d.lgs. n. 252 del 2005, una parte del trattamento di fine rapporto pu essere facoltativamente devoluta a fondi di previdenza complementare. In sostanza, i lavoratori che accetteranno tale devoluzione non beneficeranno pi dellintero T.F.R. alla cessazione del rapporto, ma lo vedremo trasformato, pro tempore, in un trattamento pensionistico. 6. La tutela del credito retributivo. Il credito da lavoro gode di una particolare tutela da parte dell'ordinamento; infatti: allorquando il credito da lavoro accertato dal giudice, alla sua misura originaria si aggiunge automaticamente la rivalutazione monetaria, finalizzata ad attualizzare il credito, e gli interessi legali, aventi natura risarcitoria; il credito da lavoro privilegiato rispetto ad altri crediti, di tal che il lavoratore preferito ed ha maggiori garanzie di soddisfazione rispetto ad altri creditori; il credito da lavoro si prescrive/in 5 anni dalla maturazione del relativo diritto (ai sensi dell'art.2948 c.c. Prescrizione breve) allorquando il rapporto assoggettato ad un regime di tutela contro il licenziamento, ai sensi dell'art. 18 dello Statuto; negli atri casi esso si prescrive in 5 anni dalla cessazione del rapporto.
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In assenza di una precisa indicazione dei rischi rispetto ai quali il datore di lavoro tenuto ad adottare misure di prevenzione ed in assenza di una precisa indicazione delle dette misure, deve concludersi che la norma codicistica pone a carico del datore di lavoro un obbligo indefinito che va oltre la normale diligenza. Infatti, La giurisprudenza ha interpretato l'obbligo alla luce del criterio della massima sicurezza tecnologicamente fattibile, che significa che l'imprenditore non pu ritenersi adempiente a tale obbligo semplicemente osservando le prescrizioni tecniche dettate per una certa attivit o lavorazione; infatti, qualora esse siano superate o insufficienti, in virt del progresso tecnico, l'art. 2087 impone all'imprenditore di fare uno sforzo "in pi", senza attendere passivamente l'aggiornamento della normativa. L'obbligo di sicurezza ha, quindi, un contenuto aperto, espressione di una grande attenzione dell'ordinamento per la vita e la salute dei lavoratori. Nondimeno, proprio tale apertura fonte di una certa indeterminatezza, che causa alle imprese pericolose incertezze sulle misure di prevenzione da adottare. L'incertezza aggravata dal fatto che la maggior parte delle prescrizioni in questione rafforzata dalla presenza di sanzioni penali. Non che non sia giustificato, nella materia, il ricorso alla tutela penale; ma l'indeterminatezza delle relative fattispecie di illecito crea oggettivi problemi, al cospetto del principio di legalit.
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3. Responsabilit e danno.
La presenza di misure di prevenzione in materia sicurezza non esclude che il lavoratore si infortuni sul lavoro o subisca menomazioni derivanti da causa di servizio. Per altro verso l'esistenza di una normativa in materia, che pone obblighi a carico del datore di lavoro, non presuppone che la responsabilit di eventuali infortuni o malattie professionali sia addebitabile esclusivamente ed in ogni caso al datore di lavoro, giacch anche il lavoratore, per quanto addestrato ad avere cura della sua salute, pu essere responsabile di danni da lui stesso subiti e che il datore di lavoro non riuscito ad evitare. Alla responsabilit della lesione o menomazione subita dal lavoratore, consegue l'obbligo del risarcimento del danno. Laddove tale responsabilit sia addebitabile al datore di lavoro, il lavoratore pu agire per inadempimento contrattuale, ai sensi dell'art. 1218 c.c., essendo egli creditore di un obbligazione - quella inerente all'adozione delle misure di prevenzione - che l'ordinamento pone in capo al datore di lavoro; al lavoratore, pertanto, sar sufficiente dimostrare l'inadempimento contrattuale in ordine al suo diritto alla sicurezza per far valere l'ulteriore diritto al risarcimento. La previsione di una tutela di natura contrattuale non esclude che il lavoratore possa far valere il suo diritto al risarcimento al di fuori del relativo rapporto contrattuale, ai sensi dell'alt. 2043 c.c., ossia per responsabilit extracontrattualeLe imprese sono comunque obbligate a stipulare un'assicurazione con lINAIL (Istituto nazionale per gli infortuni su lavoro) che risarcisce il lavoratore per le lesioni e le menomazioni subite e che nel caso di riduzione della capacit lavorativa liquida al lavoratore una rendita vitalizia commisurata a tale menomazione. Peraltro, come ogni assicurazione, lINAIL garantisce al lavoratore un indennizzo anche quando linfortunio non si verificato per una responsabilit dellimpresa.
4. Il mobbing.
L'art. 2087 c.c. pone in capo al datore di lavoro l'obbligo di tutela non solo dell'integrit fisica del lavoratore bens anche della sua personalit morale. In relazione a tale ultima fattispecie, l'inadempimento contrattuale da luogo a
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responsabilit per danno di natura non patrimoniale comunque risarcibile, ai sensi dell'art. 2059 c.c., essendovi, per esso, un preciso riferimento normativo. Dunque, viene alla luce la distinzione tra: Danno Biologico: danno di natura patrimoniale che concerne la salute e dunque lesivo dellintegrit fisica del lavoratore. Danno Esistenziale (Morale): danno di natura non patrimoniale lesivo della dignit (Integrit morale) del lavoratore. Il lavoratore subisce un danno morale, ovvero un danno alla sua personalit, quando vengono posti in essere, nei suoi confronti, una serie di comportamenti, ancorch legittimi, sintomatici di un'attivit persecutoria o comunque di emarginazione rispetto all'ambiente di lavoro, oggi classificati col termine di mobbing (o comportamenti mobbizzanti), nonch quei comportamenti riconducibili alle molestie sessuali. Il mobbing, in particolare, quel comportamento posto in essere dai colleghi di lavoro (in tal caso si parla di mobbing orizzontale} o dai superiori gerarchici (in tal caso di parla di mobbing verticale), con sistematicit o reiterazione per un certo periodo di tempo (almeno 6 mesi), determina una condizione di sostanziale disagio e di emarginazione in conseguenza della quale il lavoratore si sente non gradito dall' ambiente di lavoro. Del mobbing in ogni caso responsabile il datore di lavoro: direttamente, nel caso di mobbing verticale; indirettamente, per omessa vigilanza, nel caso di mobbing orizzontale.
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sussiste in ogni caso la responsabilit del datore di lavoro, diretta, nel primo caso, ed indiretta, per omessa vigilanza, nell'altro caso. Ovviamente, onde individuare il tipo di vigilanza cui il datore di lavoro tenuto, si deve tenere conto che egli non ha il diritto di ingerirsi paternalisticamente nella sfera delle relazioni private dei dipendenti (che possono aver luogo anche sul luogo di lavoro). Ci che il datore deve fare intervenire con decisione nei casi in cui si profilino situazioni moleste, e se possibile operare per sensibilizzare i dipendenti (ad es. con un codice di condotta) a comportamenti corretti. Un tentativo interessante e altres quello di istituire figure di "consigliere di fiducia", cui le persone vittime di molestie possono rivolgersi, anche con rispetto della riservatezza, per avere consigli e aiuti su come affrontare al meglio la sgradevole situazione.
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Il principio costituzionale di eguaglianza, di cui allart. 3. in ambito lavoristico si traduce, principalmente, in un divieto di discriminazione, non essendo ipotizzabile che tutti i lavoratori debbano avere lo stesso trattamento a prescindere dalla qualifica e dalle capacit professionali individuali. Se cos fosse, la stessa contrattazione collettiva, protetta dall'art. 39 della Costituzione, non potrebbe stabilire, in modo differenziato, il trattamento delle diverse categorie e delle diverse professionalit, ne dal canto suo il datore di lavoro potrebbe esercitare un bench minimo potere gestionale applicando un diverso trattamento sulla base di clementi discriminatori che non ledono la pari dignit e libert e che, se del caso, sono collegati al rendimento e ad altre caratteristiche individuali. La parit di trattamento consiste, pertanto, nelloffrire ai lavoratori uguali opportunit a prescindere dal sesso, dalle origini emiche, dalla nazionalit, dalle opinioni, dalla religione, dall'aderenza ad associazioni, ecc., e nel divieto di effettuare della scelte, preferenziali o negative, sulla base degli stessi elementi, sia in fase di costituzione del rapporto di lavoro sia durante il suo svolgimento. In altre parole, possibile differenziare il trattamento di Tizio da quello di Caio perch pi bravo, ha pi esperienza etc.; ma non possibile fare lo stesso se la ragione della differenziazione il sesso di Caio, o la sua razza, etc. La contravvenzione del divieto di discriminazione, peraltro sancito dall'art. 15 dello Statuto, determina la nullit dei relativi atti e da luogo a sanzioni penali. Inoltre, potendo la discriminazione essere perpetrata attraverso comportamenti lesivi della Dignit (Integrit Morale) del lavoratore, stato riconosciuto alla vittima della discriminazione anche il diritto al risarcimento dei danni.
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il d.lgs. n. 145 del 2005, attuativo di una direttiva CE in materia di parit tra uomo e donna sul lavoro, integrativo delle norme gi vigenti in materia. E' dunque vietato ogni atto, fatto o comportamento che produca un effetto meno favorevole nei confronti di un lavoratore o di una lavoratrice rispetto ad un altro o ad un'altra in situazioni analoghe; ci varrebbe anche per quanto attiene alle opportunit di carriera nei livelli pi elevati, ma in tal caso il divieto di discriminazione cede di fronte alla discrezionalit riconosciuta al datore di lavoro di scegliere i suoi pi diretti collaboratori, laddove tali scelte restano insindacabili in quanto avvengono sulla base di elementi prevalentemente fiduciari. Costituisce altres deroga al suddetto principio il caso in cui il sesso sia un requisito essenziale per la particolare prestazione lavorativa nonch nel caso di lavori gravosi. In ambito di discriminazione si usa distinguere tra discriminazione diretta e discriminazione indiretta, laddove la prima immediatamente rilevabile nell'azione, atto o comportamento discriminatorio, mentre l'altra, meno evidente, per lo pi desunta da dati statistici dimostrativi del fatto che atti apparentemente neutri pongono, invece, in situazione di svantaggio determinate categorie di lavoratori. In ambito processuale, nel caso di Discriminazione Diretta lonere della prova spetta allo stesso lavoratore discriminato; invece, nel caso di Discriminazione Indiretta lonere della prova della non discriminazione si rovescia sullimprenditore, cui incombe di discolparsi dallaccusa di discriminazione. Una volta accertata la discriminazione, il giudice potr stabilire nella sentenza un "piano di rimozione" delle discriminazioni. un rimedio processualmente innovativo (anche se, sinora, poco utilizzato), che stato previsto per cercare di conferire pi mordente alla normativa.
Alle nonne negative della discriminazione si accompagnano quelle inerenti alle azioni positive, che contemplano, cio, non divieti bens forme di tutela a favore di particolari categorie ritenute in posizione di svantaggio, quali i disabili e le lavoratrici, nonch iniziative per la realizzazione concreta delle pari opportunit. E se per i disabili vi tutta una normativa protezionista, che addirittura riserva loro una quota di posti di lavoro (legge n. 68 del 1999), per la lavoratrice la legge n. 125 del 1991 prevede solo che siano adottate le misure necessario a rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscano la realizzazione concreta delle pari opportunit. In ambito europeo non mancano casi di eccessivo protezionismo che si sono tradotti in disparit di trattamento all'inverso e cio troppo a favore delle donne ed in danno degli uomini. Si prendi come es. una legge di un Land tedesco, la quale prevedeva che a parit di punteggio in un concorso, si assumesse obbligatoriamente la donna; l'uomo conseguentemente svantaggiato, il sig. Kalanke, introdusse un ricorso, poi pervenuto alla Corte di Giustizia, volto a far dichiarare l'illegittimit della norma, a causa della discriminazione "a rovescio" che essa concretava. La Corte dette ragione, in quel caso, al ricorrente, censurando in particolare l'automatismo del privilegio stabilito dalla legge oggetto del giudizio. Sentenze successive hanno ribadito il concetto, ma attenuandolo: ad es., nella sentenza Marshall stata ribadita l'illegittimit di quote automatiche, ma si anche aggiunto che se una certa legge prevede, invece, un meccanismo non cos "cieco", ma che preveda la possibilit, per il datore di lavoro, di motivare perch o stata preferita una donna, tale preferenza deve ritenersi legittima.
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demanda alla legge ed alla contrattazione collettiva la relativa disciplina ma anche l'individuazione di eventuali atri tipi di permessi o, comunque, di interruzioni dell'attivit lavorativa, retribuite e non, che non danno luogo all'interruzione del rapporto di lavoro. La norma codicistica, sostanzialmente derogativa del principio della corrispettivit, opera, tuttavia, in una duplice direzione; essa, infatti, nel prevedere forme di interruzione della prestazione lavorativa stabilendo, per l'effetto, il divieto di risoluzione del rapporto di lavoro quando l'assenza determinata dai motivi stabiliti dalla legge (es. Maternit) e dalla contrattazione collettiva (es. la Malattia) e nei limiti stabiliti dalle stesse fonti, al tempo stesso conferisce legittimit alla risoluzione del rapporto di lavoro quando l'assenza si sia protratta oltre il limiti stabiliti.
2. Malattia.
Il motivo di assenza pi frequente e quello dello stato di malattia, laddove come tale si intende non la malattia in senso cimice bens quello stato patologico impeditivo della prestazione lavorativa. Relativamente allo stato di malattia vi sono, tuttavia, determinati obblighi in capo al lavoratore ed altrettanti diritti a favore del datore di lavoro. Il lavoratore, in particolare, deve dare tempestiva comunicazione dello stato di infermit, deve produrre la relativa certificazione medica entro un certo termine (in genere 3 giorni) e deve rendersi reperibile nelle fasce orarie durante le quali sono esperibili controlli medici; il lavoratore, inoltre, deve astenersi da attivit che rallentino la guarigione. Dal canto suo il datore di lavoro ha diritto di far eseguire controlli medici dello stato di malattia del lavoratore, a tal fine avvalendosi solo di medici delle strutture pubbliche (ASL, INPS), ha il diritto di irrogare sanzioni disciplinari quando il lavoratore abbia disatteso i suoi obblighi, ha il diritto di risolvere il rapporto di lavoro quando l'assenza per malattia si sia protratta oltre i limiti. I limiti di durata della malattia, superati i quali interviene la legittima risoluzione del rapporto di lavoro, sono stabiliti dalla contrattazione collettiva. La durata massima della malattia detta periodo di comporto ed normalmente di 6 mesi (nel pubblico impiego di 18 mesi). Il periodo di comporto pu essere continuativo o per sommatoria: nel primo caso la risoluzione del rapporto interviene solo quando il periodo di assenza sia continuativo, di tal che un giorno di presenza azzera il conteggio del periodo di comporto e esso ricomincia daccapo; nell'altro caso alla formazione del periodo di comporto concorrono tutte le assenze per malattia verificatesi in un determinato lasso di tempo (in genere 3 anni). Salvo nel caso di rapporto di lavoro a termine, durante il periodo di assenza per malattia il lavoratore non pu essere licenziato per giustificato motivo ma pu esserlo per giusta causa, ossia per fatto a lui imputabile. Per il periodo di assenza di malattia il lavoratore ha diritto alla retribuzione nella misura prevista ancora una volta dai contratti collettivi: non detto che questa retribuzione sia pari al 100% per tutto il periodo del comporto, potendo essere anche essere prevista in misura pi ridotta.
3. Maternit e paternit.
La maternit la seconda principale causa di assenza dal servizio che gode di una particolare tutela. Le massime fonti normative in proposito sono lart. 37 della Costituzione e lart. 2110 c.c..
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Una pi dettagliata disciplina della maternit e della tutela della lavoratrice madre stata introdotta dalla legge n. 1204 del 1971, poi integrata dalla legge n. 903 del 1997, estensiva delle relative norme a favore del padre, e infine dalla legge n. 53 del 2000, istitutiva dei cosiddetti congedi parentali. Il complesso delle disposizioni in materia o ora raccolto nel d.lgs. n. 151 del 2001. La normativa in argomento ispirata a fini di tutela non solo della madre lavoratrice ma anche del figlio ed in tale ottica che essa prevede particolari forme di tutela per il periodo di gravidanza, per un periodo a cavallo del parto, per un periodo durante il quale il minore deve essere assistito e non solo da parte della madre lavoratrice bens anche da parte del padre. In particolare, le astensioni dal lavoro per maternit sono: il congedo per maternit, spettante a cavallo della data del parto per complessivi 5 mesi; 2 mesi prima della data presunta del parto e 3 mesi dopo la data effettiva dello stesso, od anche, rispettivamente, un mese prima e 4 mesi dopo; nel caso di gravidanza a rischio, certificata dall'Ispettorato del lavoro, l'astensione dal lavoro prima della data presunta del parto pu essere notevolmente anticipata; il congedo per maternit per il periodo dopo il parto spetta anche al padre qualora la madre lavoratrice non ne fruisca o sia assente (per decesso o abbandono) ed il minore sia a lui affidato; durante il periodo di congedo per maternit la retribuzione corrisposta per intero, pur se a carico sia del datore di lavoro che di istituti di previdenza; il congedo parentale per assistere il figlio minore di 8 anni, del quale possono fruire, alternativamente, sia la madre che il padre, per 6 mesi ognuno ma a concorrenza del periodo massimo cumulato di 10 mesi; qualora il padre fruisca di tale congedo per un periodo di almeno 3 mesi, la sua dotazione ed il periodo complessivo massimo sono rispettivamente aumentati a 7 e 11 mesi; durante tale periodo di congedo al genitore che ne fruisce spetta un'indennit pari al 30% della retribuzione, a carico dellINPS; se uno dei due genitori non lavora, l'altro pu fruire di tale tipo di congedo soltanto per la sua quota individuale di 6 mesi, ma se il genitore solo (per decesso o abbandono dell'altro) o il solo ad assistere il minore (per incapacit dell'altro) ha diritto a fruire del congedo parentale per l'intero periodo massimo complessivo di 10 mesi;
i riposi giornalieri, consistenti in due ore di riposo (in genere "per allattamento") dei quali pu fruire il genitore fino ad un anno di vita del bambino; pu fruire di tali riposi anche il padre quando la, madre lavoratrice vi rinunci, quando non sta lavoratrice dipendente, quando la madre sia deceduta o gravemente inferma o quando abbia abbandonato la famiglia; questi periodi di riposo sono interamente indennizzati dallINPS; i congedi per malattia del figlio minore di 8 anni, spettanti alternativamente alla madre o al padre e per tutta la durata dell'evento, fino al terzo anno d'et del minore, e nel limite di 5 giorni all'anno, per il minore di et compresa fra i 3 e gli 8 anni; tali congedi non sono retribuiti.
La normativa tutela non solo in termini positivi bens anche in termini negativi, ossia di divieto di licenziamento in occasione della maternit e, tuttavia, con alcune eccezioni: tale divieto non sussiste, infatti, nel caso di licenziamento per giusta causa (ossia per motivi
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imputabili a responsabilit del lavoratore), nel caso di cessazione dell'attivit dell'azienda, per scadenza naturale del rapporto di lavoro a termine e per mandato superamento del periodo di prova.
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Il rapporto di lavoro a termine soddisfa le maggiori esigenze occasionali o stagionali o a termine dell'impresa ma forma, per altro verso, quel precariato che porta con s tutta una serie di implicazioni di ordine sociale.
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E tuttavia non per questo la nuova normativa si presta ad eludere con altrettanta facilit il principio generale della stabilit del rapporto di lavoro. Il ricorso alla costituzione d rapporti di lavoro a termine intanto ammesso per le suddette "ragioni" e, al tempo stesso, assolutamente escluso per la sostituzione di lavoratori in sciopero o quando si siano avuti licenziamenti collettivi di pari qualifica nonch nel caso in cui limprenditore non abbia effettuato la valutazione dei rischi di cui alle norme in materia di sicurezza sul lavoro (d.lgs. n. 626 del 1994). Il contratto di lavoro a termine deve essere stipulato in forma scritta ad substantiam e il datore di lavoro tenuto a darne copia al lavoratore. Esso, inoltre, non pu avere durata complessiva superiore a 3 anni, nel senso che eventuali proroghe devono restare contenute entro tale limite. Il trattamento giuridico ed economico del lavoratore a tempo determinato disciplinato dalla contrattazione collettiva che, peraltro, stabilisce anche le modalit di risoluzione del rapporto prima della sua naturale scadenza. Qualora il rapporto di lavoro prosegua di fatto, il lavoratore ha diritto ad una retribuzione maggiorata del 20% per i primi 10 giorni successivi alla scadenza del contratto e del 40% per l'ulteriore periodo e, comunque, non oltre il 30 giorno. Pertanto: l'assenza di ragioni giustificatrici della costituzione di rapporti di lavoro a termine, la mancata formalizzazione del contratto di lavoro ovvero la mancata indicazione del termine, la proroga oltre i 3 anni, la permanenza in servizio oltre il 20 od oltre il 30 giorno dalla scadenza (per i contratti a termine di durata, rispettivamente, inferiore o superiore a 6 mesi) nonch il rinnovo del contratto prima che sia trascorso un determinato lasso di tempo dalla scadenza di quello precedente, sono tutte valide causali per convertire il rapporto di lavoro a termine in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
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Tali contratti, pensati per favorire loccupabilit e normalmente riservati ai giovani di et compresa tra i 18 ed i 29 anni, consentono altres all'imprenditore di fruire di una serie di benefici di natura contributiva, retributiva e normativa e tale allettante prospettiva ha alimentato abusi infine censurati dalla Commissione europea in termini di violazione delle regole sulla concorrenza, in quanto le imprese facevano ricorso a tali forme di contratto al solo scopo di fruire delle relative agevolazioni e senza dare in cambio la prevista formazione. Il d.lgs. n. 276 del 2003 ha ridisciplinato i contratti di apprendistato ed ha decretato la fine dei contratti di formazione e lavoro (tranne che nel settore pubblico) sostituendo questi ultimi con i contratti di inserimento rivolti alle categorie di "lavoratori svantaggiati" s come individuati dalla stessa normativa e non soltanto ai giovani.
2. I contratti di apprendistato.
Il contratto di apprendistato, destinato a chi, abbandonati gli studi, intende acquisire una formazione sul campo, ha fatto la sua comparsa nell'ordinamento con la legge n. 25 del 1955. Tale contratto offriva prospettive di lavoro all'apprendista, il quale al termine del periodo di apprendistato poteva essere confermato con un contratto di lavoro a tempo indeterminato, ed assicurava all'imprenditore tutta una serie di agevolazioni, quali: la riduzione degli oneri contributivi all'INPS per tutto il periodo dell'apprendistato e fino ad un anno dalla scadenza nel caso di conferma del lavoratore; l'inquadramento dell'apprendista fino a due livelli inferiori rispetto a quello della corrispondente qualifica; la non computabilit del lavoratore nell'organico dell'impresa ai fini delle norme applicabili in base, appunto, al numero dei dipendenti. La stipula di contratti di apprendistato era subordinata all'autorizzazione della Direzione provinciale del lavoro ed il suo svolgimento era assoggettato ad una forma di controllo di verifica della effettivit della formazione e della legittimit dell'erogazione dei previsti benefici.
La riforma dell'istituto avvenuta col d.lgs. n. 276 del 2003 che ha abolito la previa autorizzazione ma nel resto da ritenersi norma di indirizzo per le Regioni cui demandata la relativa attuazione. Il decreto prevede 3 diverse tipologie di contratti di apprendistato: a) il contratto di apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione, di durata non superiore a 3 anni, riservato ai giovani di et non inferiore ai 15 anni, finalizzato a consentire al lavoratore di completare il corso di studi obbligatorio; b) il contratto di apprendistato professionalizzante, riservato ai giovani di et compresa tra i 18 ed i 29 anni, finalizzato al conseguimento di una preparazione professionale specifica, di durata non inferiore a 2 e non superiore a 6 anni; c) il contratto di apprendistato per l'acquisirono di un diploma o per percorsi di alta formazione, la cui disciplina demandata alla contrattazione collettiva.
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Il contratto di apprendistato , dunque, una sorta di contratto a termine che pu trasformarsi, alla scadenza, in un contratto a tempo indeterminato. Il suo svolgimento resta regolato dalle stesse norme valevoli per il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato; alla sua scadenza il datore di lavoro pu confermare l'apprendista convertendo il suo contratto in un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Per il contratto di apprendistato prevista la forma scritta e la violazione delle norme che disciplinano l'istituto espone l'imprenditore a sanzioni di tutto rilievo: infatti, al di l delle rivendicazioni del lavoratore, che pu chiedere ed ottenere - con sentenza il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, l'INPS pu agire per il recupero delle contribuzioni non versate.
3. Il contratto di inserimento.
Il contratto di inserimento, di cui all'art. 54 e seguenti del d.lgs. n. 276 del 2003, ha sostituito il contratto di formazione e lavoro con un'importante novit: esso, infatti, non pi riservato esclusivamente ai giovani di et compresa tra i 18 ed i 29 anni bens anche ad altri soggetti che lo stesso art. 54 qualifica, insieme ai primi, "lavoratori disagiati", e cio: i disoccupati di lunga durata; gli ultracinquantenni privi del posto di lavoro; le donne residenti in aree geografiche nelle quali il tasso di occupazione femminile inferiore di almeno il 20% rispetto a quello maschile ovvero il tasso di disoccupazione femminile superiore a quello maschile di almeno il 10%; le persone riconosciute affette da grave handicap. Ai sensi dell'art. 54 del decreto, il contratto di inserimento "un contratto di lavoro diretto a realizzare, mediante un progetto individuale di adattamento delle competenze professionali del lavoratore ad un determinato contesto lavorativo, l'inserimento ovvero il reinserimento nel mercato del lavoro" delle categorie di lavoratori svantaggiati ivi individuate.
La durata del contratto di inserimento, per il quale prevista la forma scritta, non inferiore a 9 e non superiore a 18 mesi. Esso prevede, quindi, un piano di adattamento individuale o, meglio, di adattamento delle potenzialit professionali del lavoratore a quel determinato contesto lavorativo, s da consentirne un recupero attivo, e alla scadenza pu essere convertito in contratto di lavoro a tempo indeterminato. Col contratto di inserimento l'imprenditore fruisce, per lo pi, delle stesse agevolazioni contributive (sgravi), retributive (sottoinquadramento del lavoratore) e normative (con computabilit del lavoratore nell'organico dell'impresa) previste per i contratti di apprendistato.
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La risolvibilit del rapporto di lavoro, alla stregua di un qualsiasi rapporto contrattuale, prevista dall'ari. 2118 c.c. che, allo stato, trova residuale applicazione solo nel caso delle dimissioni, ossia di risoluzione del rapporto di lavoro per decisione del prestatore di lavoro. La norma codicistica, rimasta valida fino all'entrata in vigore della legge n. 604 del 1966, poneva il datore di lavoro ed il lavoratore sostanzialmente sullo stesso piano, al pari di un qualsiasi altro rapporto contrattuale, di tal che il datore di lavoro poteva risolvere il rapporto - ma ci poteva farlo anche il lavoratore - senza dover dare alcuna giustificazione della sua decisione in tal senso; il recedente, indistintamente, aveva solo l'obbligo di comunicare la sua decisione con un certo preavviso rispetto alla decorrenza della risoluzione del rapporto e, in mancanza, di corrispondere all'altro lammontare della retribuzione corrispondente a tale periodo. I termini di preavviso trovarono una definizione nella regola cosiddetta degli "8 giorni", ossia di una settimana, che dovevano servire al lavoratore per trovare un'altra occupazione e, dall'altro lato, al datore di lavoro per provvedere alla sostituzione del lavoratore dimissionario. Tali termini sono stati dilatati dalla contrattazione collettiva che, peraltro, prevede una maggior durata del preavviso a carico del datore di lavoro. L'art. 2119 c.c. prevede ancora, invece, la risoluzione del rapporto di lavoro senza preavviso in presenza di una giusta causa, e cio in di una circostanza talmente grave da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro. La disciplina in materia stata rivoluzionata dalla legge n. 604 del 1966, introduttiva del principio della obbligatoriet di un "giustificato motivo" a sostegno del licenziamento, in mancanza del quale esso nullo ed il lavoratore ha diritto ad essere reintegrato nel posto di lavoro; quest'ultima normativa stata integrata dall'art. 18 dello Statuto, che ha disciplinato le modalit di esercizio del diritto alla reintegra o, in mancanza, al risarcimento. A seguito della nuova disciplina il licenziamento legittimo solo in presenza di un giustificato motivo riconducibile a ragioni soggettive, riconducibili ad inadempienze del lavoratore tali da determinare azioni disciplinari (giustificato motivo soggettivo), e non solo in presenza di fatti o comportamenti di gravita tale da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro (cosiddetto licenziamento "in tronco") e da esonerare altres dallobbligo del preavviso.
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Si distinguono 2 tipi di Licenziamento: Per Ragioni Soggettive e Per Ragioni Oggettive. Entrambi sono disciplinati dalla L.604/1966.
Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo prescinde dalla Condotta riprovevole del lavoratore essendo invece collegato a situazioni o scelte aziendali. La legge n. 604 del 1966 individua infatti quale giustificato motivo oggettivo del licenziamento quello sorretto da ragioni inerenti all'attivit produttiva, allorganizzazione del lavoro ed al regolare svolgimento di essa". In pratica ogni mutamento organizzativo stabilito dall'imprenditore nell'ambito della sua autonomia organizzativa pu costituire giustificato motivo di licenziamento: dalla chiusura di un reparto dell'azienda alla diversa organizzazione tecnologica di una determinata lavorazione nonch la sopravvenuta non idoneit del lavoratore ad una determinata mansione. In buona sostanza un giustificato motivo oggettivo di licenziamento ogni situazione di non utilizzabilit del lavoratore. Ovviamente il giudice non pu sindacare le decisioni dell'imprenditore dalle quali deriva il licenziamento; se ci fosse possibile, il giudice finirebbe per sovrapporsi all'imprenditore, invadendo la sua sfera di libert, che garantita anche costituzionalmente dall'art.47 comma 1 (libert di iniziativa economica). Il compromesso che la giurisprudenza ha trovato, il seguente; a) il giudice potr e dovr verificare, in primo luogo, la veridicit della ragione addotta. Se dico che ho chiuso un ufficio e poi magari questo non vero, ma ho solo tolto qualche scrivania oppure ne ho chiuso solo una parte, evidente che la valutazione del giudice sar negativa; b) il giudice potr e dovr verificare, in secondo luogo, se da quella ragione dipeso il licenziamento di quel lavoratore, cio se esiste un nesso di causalit tra la premessa e la conseguenza. Se affermo di aver chiuso un ufficio, e poi licenzio una persona che non lavorava in questo ufficio, evidente che il nesso di causalit manca; cos come potr mancare anche se quella persona era stata strumentalmente inserita in quell'ufficio il giorno prima della sua chiusura; c) il giudice potr e dovr verificare, infine, che il datore di lavoro abbia provato l'impossibilit di utilizzare il lavoratore in un'altra mansione: ci significa che il licenziamento deve rappresentare l'extrema ratio.
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del rapporto di lavoro e deve perdo escludere l'ipotesi di reintegra del lavoratore. In questo caso, la riassunzione in servizio pu essere sostituita, a scelta dell'imprenditore, dal pagamento di una penale risarcitoria pari ad un numero di mensilit di stipendio da 2,5 fino a 6, a seconda dei casi; nel caso di riassunzione in servizio il lavoratore non ha diritto ad emolumenti arretrati e il rapporto di lavoro viene costituito ex novo, senza alcun collegamento con quello a suo tempo interrotto col licenziamento. Pertanto, in sostanza, il datore di lavoro, pagando un importo a titolo di penale risarcitoria, fa s che il licenziamento, pur non giustificato, sia comunque produttivo di effetti. Ottiene, cio, quello che era il suo vero scopo: risolvere il rapporto con il lavoratore. Tanto pi che la scelta tra le due opzioni sanzionatorie spetta interamente al medesimo datore. Si parla di tutela obbligatoria, infatti, proprio perch si limita a determinare un "obbligo", alternativo, per il datore di lavoro: nuova assunzione o risarcimento. Il lavoratore non pu condizionare in alcun modo tale decisione. Si tratta di un regime abbastanza debole, nel senso che le cifre che vengono in gioco sono abbastanza modeste; d'altra parte si tratta di piccole imprese. b) Tutela Reale: tale regime sanzionatorio disciplinato dallart.18 dello Statuto (anchesso modificato dalla L.108/1990). Si applica alle imprese che hanno pi di 15 dipendenti nell'ambito del territorio comunale o, comunque, pi di 60 dipendenti a livello nazionale. Prevede il ripristino del rapporto di lavoro a suo tempo interrotto ed il pagamento delle mensilit perdute nel frattempo e, in ogni caso, non meno di 5; il lavoratore, inoltre, pu rinunciare alla reintegra nel posto di lavoro verso il pagamento di 15 mensilit della retribuzione globale di fatto; per leffetto, l'imprenditore che di fatto non reintegri il lavoratore che intende ritornare in servizio tenuto comunque a corrispondergli lo stipendio. Dunque, questa una tutela Reale in quanto comporta la riattribuzione, al lavoratore illegittimamente licenziato, del proprio posto di lavoro. Inoltre una tutela pi forte rispetto a quella Obbligatoria, proprio perch comporta la reviviscenza del rapporto di lavoro, attraverso lannullamento del licenziamento.
7. Il licenziamento discriminatorio.
Il licenziamento discriminatorio quellatto di risoluzione del rapporto di lavoro, dovuto alla attivit e alle idee del dipendente espresse dentro o al di fuori dell'ambiente di lavoro. Dunque, quello derivante dalle situazioni contemplate dai decreti legislativi n. 215 e n. 216 del 2003 (Motivi di Discriminazione) e prescinde dall'esistenza o, meno di un giustificato motivo. Infatti, affermare che un licenziamento discriminatorio pi che ritenerlo semplicemente "non giustificato": un licenziamento pu essere non giustificato, ma non per questo essere discriminatorio, Pertanto, la natura discriminatoria del licenziamento dovr essere provata in positivo, e questa volta da parte del lavoratore, di solito attraverso indizi e presunzioni; fatto salvo il ricorrere delle condizioni per la parziale inversione dell'onere della prova prevista dalla normativa anti-discriminatoria nei casi di discriminazione indiretta.
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b) la sospensione assistita del rapporto di lavoro o la sua risoluzione incentivata; c) i licenziamenti collettivi.
Il sindacato, chiamato a partecipare alle relative decisioni in fase consultiva, propende per la prima soluzione mentre limprenditore propende per la terza. Lo Stato invece interviene in relazione alla ripercussione sociale della crisi aziendale.
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le dimissioni incentivate, che danno luogo alla corresponsione di un incentivo a favore di chi risolva volontariamente il rapporto di lavoro; l'incentivo di volta in volta contrattato e l'onere a carico dell'imprenditore; il prepensionamento, raramente stabilito con legge, che consente l'accesso a pensione con requisiti minori rispetto a quelli normalmente richiesti; il relativo onere cade a carico dello Stato.
La relativa procedura prevede la previa comunicazione alle associazioni ed alle rappresentanze sindacali di tutti gli elementi riguardanti l'operazione, e cio: i motivi determinanti la situazione di eccedenza di personale; l'impossibilit di ricollocare i lavoratori in esubero; il numero ed i profili professionali dei lavoratori da licenziare. Avuta l'informazione, i sindacati possono avviare la fase della consultazione, in tal modo partecipando alle decisioni dell'imprenditore ma verificando innanzitutto la presenza delle condizioni richieste. La fase della consultazione altres finalizzata ad un accordo attraverso il quale sia scongiurata o quanto meno limitata la soluzione estrema del licenziamento collettivo, anche attraverso il ricorso alla cassa integrazione o ai contratti di solidariet. L'eventuale accordo deve concludersi nei successivi 45 giorni, in sede, od anche nell'ulteriore periodo di 30 giorni ma in tal caso davanti alla Direziono provinciale del lavoro.
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In occasione dei licenziamenti collettivi l'imprenditore deve corrispondere ai lavoratori licenziati l'equivalente di 9 mensilit che si riducono a 6 quando il licenziamento avviene al termine del periodo di cassa integrazione. Quando invece si raggiunge un accordo sindacale per effetto del quale il programma di licenziamento viene modificato, le mensilit che l'imprenditore deve corrispondere ai lavoratori licenziati si riducono a 3. In mancanza di validi criteri previamente stabiliti dall'imprenditore, la scelta dei lavoratori da licenziare (ponendoli nelle liste di mobilit) effettuata secondo i criteri di legge, e cio: a) in base alle esigenze tecniche, organizzative e produttive; b) in base all'anzianit di servizio, a discapito del pi giovane; c) in base al carico di famiglia, a discapito del soggetto col minor carico familiare. Il lavoratore posto in mobilit di fatto licenziato, in quanto da quel momento il rapporto di lavoro risolto a tutti gli effetti; la permanenza nelle liste di mobilit dura fino a quando il lavoratore non abbia trovato una nuova occupazione e, comunque, per il periodo massimo di 3 anni. Durante tale periodo egli non resta del tutto privo di protezione, in quanto: a) le imprese che intendono effettuare nuove assunzioni devono innanzitutto attingere dalle liste di mobilit, sicch il lavoratore licenziato fruisce di una sorta di precedenza rispetto al un normale disoccupato; b) per tutto il periodo di permanenza nelle liste di mobilit il lavoratore gode di un'indennit pari all'80% della cassa integrazione (a sua volta gi pari all80% dell'ultima retribuzione) che viene erogata dallINPS.
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