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Dipartimento di Scienze Aziendali e Giuridiche

LINTEGRAZIONE VeRTICALE

A cura di:
Alessandra Anastasi
Serena Emilia Gagliardi
Francesca Semeraro
Carmela Sette
Roberta Turco

Indice

1. Introduzione;
2. Motivazioni di carattere economico;
3. Vantaggi competitivi e corrispondenti rischi;
4. Tipologie di integrazione verticale;
5. Misura dellintegrazione;
6. Strategie alternative;
7. Conclusioni.

Lintegrazione verticale
1. Introduzione
Nel seguente elaborato si discute sul processo di integrazione verticale, quale
strategia di sviluppo, che unimpresa pu attuare per trarre dei benefici
economici.
Il tema di particolare interesse poich la grande capacit produttiva che
caratterizza molti settori nellambito della competizione fra imprese rende
criticamente importanti i bassi costi ed un miglior servizio: lintegrazione
verticale pu essere una delle principali fonti di questo tipo di vantaggio
competitivo. Lapproccio dellanalisi del tema complesso in quanto la scelta
dellintegrazione verticale rappresenta la definizione del confine impresaambiente.
Partendo da un approfondimento su ci che riguarda il fenomeno
dellintegrazione verticale nei suoi aspetti generali, si proseguir analizzando i
vantaggi e i corrispondenti rischi della soluzione organizzativa di tipo
gerarchico.
Dopo di ci, raggiungeremo il nucleo dellargomento in questione attraverso
unanalisi pi vicina e accurata di alcuni casi empirici che coinvolgono il
territorio nazionale ed estero.
Partendo dallassunto che limpresa sia naturalmente protesa verso la crescita
opportuno esaminare i comportamenti imprenditoriali, tali da indurre a
dedicare una particolare attenzione alle strategie di sviluppo dimensionale, che
possono essere considerate come un movimento verso il meglio. Con
questultimo sintende un processo qualitativo, ovvero di evoluzione dei
rapporti tra limpresa e lambiente a cui di solito si accompagna un
ampliamento della struttura organizzativa.
Unimpresa, affinch possa raggiungere lo sviluppo desiderato, ha lonere di
realizzare ed attuare delle strategie, le quali possono essere cosi sintetizzate:

Concentrare le risorse nel business in cui limpresa ha le maggiori


competenze e scegliere quindi una strategia di concentrazione o
integrazione;
Diversificare in pi mercati o settori.

Delle due strade, nel nostro elaborato, consideriamo la prima: la strategia di


integrazione verticale.
Per comprendere tale strategia necessario chiarire il concetto di filiera, ossia
linsieme delle lavorazioni che devono essere effettuate a cascata per passare
da materiali grezzi al prodotto finito.
Nella microeconomia e nel management strategico, la locuzione
integrazione verticale descrive la scelta di un'impresa produttrice o
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assemblatrice di un certo prodotto di integrare all'interno della propria attivit


un maggior numero di "passaggi intermedi" necessari all'ottenimento del
prodotto finito. Le compagnie integrate verticalmente sono unite attraverso
una gerarchia e condividono un proprietario comune. Di solito ogni membro
della gerarchia si occupa di step differenti e i prodotti insieme soddisfano un
bisogno comune.
Esempio: le fasi che compongono la filiera tecnologico-produttiva di
unazienda che opera nel settore della produzione dei mobili sono:
1- taglio delle tavole, 2- produzione di tavole, 3- levigatura, 4- progettazione
dei mobili, 5- produzione di componenti, 6- vari trattamenti, 7- verniciatura, 8assemblaggio.
Lesempio mostra come, la strategia di integrazione verticale consista in un
processo di internalizzazione sequenziale o verticale, (da qui la
denominazione), delle fasi della filiera tecnologico-produttiva immediatamente
collegate a quelle in cui gi opera limpresa.

2. Motivazioni di carattere economico


Per limpresa pu sorgere un problema: stabilire quale attivit svolgere
allinterno della catena verticale e quali attivit lasciare ad altre imprese,
nonch il fenomeno del make or buy .
Si tratta di una scelta strategica fondamentale per la gestione d'azienda, che
definisce il livello di integrazione delle attivit, (a monte e a valle), e determina
anche la struttura dei costi, l'organizzazione e il posizionamento sul mercato.
L'opzione make, (o gerarchia), offre soprattutto il vantaggio di garantire un
controllo diretto sull'attivit, sugli approvvigionamenti e sulla qualit del
prodotto/servizio. Consente inoltre di mantenere eventuali segreti industriali.
L'opzione buy, (o mercato), offre invece il vantaggio di comportare minori costi
fissi e quindi minore capitale immobilizzato, consentendo una maggiore
flessibilit della capacit produttiva.
La scelta di produrre allinterno anzich fare affidamento sul mercato dipende,
in primo luogo, da motivazioni di carattere economico. Dunque, osserviamo
come incide questa scelta sui ricavi e sui costi.
Dal lato dei ricavi non si determina tanto un aumento del fatturato quanto un
aumento del valore aggiunto conseguente al fatto che, limpresa aggiunge
allattivit manifatturiera precedente ulteriori funzioni di trasformazione
industriali e commerciali, a monte e a valle, incorporando con esse il valore
aggiunto precedentemente realizzato da altre imprese.
Dal lato dei costi, gli effetti dellintegrazione verticale riguardano sia i costi di
transazione sia i costi di produzione.
Per quanto riguarda i costi di transazione, Williamson definisce transazione il
passaggio di un bene e/o servizio tra due attivit produttive tecnologicamente
distinte e sostiene che questo passaggio determina costi di tipo transazionale
nel caso in cui venga realizzato con lapporto di operatori esterni. Rispetto al
momento di realizzazione della transazione, i costi relativi sono sostenuti ex
ante per lindividuazione dei potenziali fornitori e per la definizione e la stesura
del contratto, ed ex post per il controllo dellesatto adempimento del contratto
e per la soluzione delle controversie.
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Le attivit vengono verticalmente integrate quando i costi necessari per


organizzarle sono inferiori ai marketing costs, sostenuti dallimpresa quando si
rivolge al mercato. Lorganizzazione interna e la supervisione gerarchica delle
attivit garantiscono, da un lato, il risparmio dei costi di negoziazione di una
vasta gamma di contratti con fornitori esterni, dallaltro lato, la soluzione dei
problemi connessi alla ricerca dei fornitori e al rischio di frodi e comportamenti
sleali.
Lentit di questi costi varia in funzione della specificit delle risorse impiegate,
dellincertezza dellandamento del mercato e della frequenza dei contratti con
fornitori esterni.
Secondo Williamson, in situazioni di bassa specificit degli investimenti e di
ridotta frequenza delle transazioni risulta pi efficiente la gestione secondo le
modalit di mercato: le relazioni non presentano livelli di complessit tali da
richiedere sforzi per sviluppare la fiducia reciproca al fine di ridurre i rischi di
opportunismo. Viceversa, in condizioni di incertezza di investimenti
specializzati e di transazioni ricorrenti, lorganizzazione gerarchica risulterebbe
pi efficace per ridurre i comportamenti opportunistici che ne deriverebbero.
In contesti caratterizzati da investimenti specifici e in condizioni di incertezza,
lintegrazione verticale risulterebbe, quindi, la modalit di gestione pi efficace
poich, grazie allaccesso immediato alle informazioni richieste e
allapplicazioni di regole interne, si riuscirebbe a risolvere eventuali conflitti pi
velocemente, senza eccessive contestazioni e, conseguentemente a minori
costi.
Per quanto riguarda i costi di produzione, la convenienza economica ad
integrare a monte e a valle dipende fondamentalmente dagli effetti delle
economie di scala e, quindi, dallaumento dei profitti derivabili dai minori costi
di produzione interna.
Confronto tra costo unitario di produzione e prezzo unitario di acquisto per la
scelta di integrazione verticale a monte.

Costo un. di produzione, prezzo un. di acquisto

X
P
Y
C

Scala di produzione
dellimpianto

Sullasse delle ascisse sono indicate le scale di produzione dellimpianto da


integrare, mentre lasse delle ordinate misura il costo unitario di produzione del
semilavorato nonch il suo prezzo unitario di acquisto sul mercato del
semilavorato.
La curva spezzata C mostra landamento del costo unitario di produzione del
semilavorato, il quale varia in funzione della capacit produttiva dellimpianto.
La curva a gradini P rappresenta il prezzo unitario di acquisto sul mercato dello
stesso semilavorato, che diminuisce in corrispondenza di volumi di acquisto
maggiori, fino a raggiungere un livello minimo al di sotto del quale non
conveniente scendere.
Da un confronto tra prezzo di acquisto e costo medio unitario di produzione si
pu rilevare che conviene integrare limpianto quando il fabbisogno interno di
semilavorati maggiore di X, in quanto per livelli di produzione superiori ad X il
costo del semilavorato C minore del prezzo di acquisto sul mercato P .
necessario fare una precisazione: supponendo che lindustria del
semilavorato sia efficiente, cio riesca ad impiegare la capacit ottima degli
impianti (Y) e, quindi, a realizzare il prodotto al costo minimo unitario di
produzione, lazienda che intende impiegare la produzione di quel semilavorato
trover convenienza a farlo solo se il fabbisogno produttivo sar superiore ad Y.
In tal modo, il tasso di reddito ottenuto per unit di prodotto sar pari a quello
delle aziende che operano nel settore con dimensione ottima.
Il costo unitario di produzione inferiore al prezzo unitario di acquisto una
condizione necessaria ma non sufficiente per stabilire la convenienza
economica della scelta strategica di integrazione verticale. Bisogna, infatti,
tenere conto che il nuovo impianto integrato pur sempre un investimento
industriale e pertanto occorre confrontare la redditivit di tale investimento con
quella di altri investimenti alternativi, considerando i rischi che la nuova attivit
produttiva comporta. necessario, quindi, che laumento dei profitti
determinato dallattivit integrata sia superiore alla redditivit conseguibile
mediante altri investimenti.

3. Vantaggi competitivi e corrispondenti rischi


La scelta di procedere ad unintegrazione verticale pu essere motivata oltre
che da fattori economici anche dal conseguimento di vantaggi competitivi,
quali:
Economia di scala. Consiste nella diminuzione dei costi medi di
produzione in relazione alla crescita della dimensione degli impianti e
sono quindi realizzate dalle grandi imprese per ragioni organizzative e
tecnologiche. In corrispondenza di un dato livello di dimensione degli
impianti, la riduzione dei costi unitari al crescere della quantit prodotta
pu realizzarsi in conseguenza sia della maggiore efficienza della
direzione e delle maestranze, sia della riduzione e dispersione dei rischi,
sia della maggiore facilit di finanziamento e della possibilit di un pi
largo ricorso alla pubblicit. Inoltre le economie di s. sono connesse con
la ricerca di migliori metodi di produzione e con lo sviluppo di nuovi
prodotti.
Incentivo allinnovazione e allefficienza;
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Riduzione dei costi di transazione, in quanto si evitano costi per


lacquisto e vendita ad altre societ;
Assicurazione della costante fornitura di un fattore di produzione
fondamentale;
Eliminazione dei passaggi intermedi;
Coordinamento efficace;
Riduzione dei livelli dincertezza nei mercati grazie ad una rapida
acquisizione di informazioni;
Riduzione dei tempi e negoziazione dei contratti;
Maggior valore aggiunto, ossia di quella grandezza economica ottenuta
per differenza tra il valore della produzione di unimpresa e il costo delle
materie prime e dei servizi acquistati da terzi ed utilizzati per la
produzione;
Maggiore capacit di controllo dellambiente competitivo;
Possibilit di eludere le regole imposte dallo Stato, quindi evitare i
controlli dei governi su prezzi, tasse e regolamenti;
Acquisizione di potere di mercato;
Riduzione dei costi di contrattazione;
Risparmio di risorse ed interdipendenze tecniche nel processo produttivo
(economie tecniche);
Apprendimento reciproco ed economie di scopo. Si realizzano economie
di scopo quando, date le dimensioni degli impianti e, entro certi limiti,
anche le quantit delle risorse umane e degli altri input, il costo totale
della produzione congiunta di due o pi beni allinterno di unimpresa
minore della somma dei costi totali sostenuti producendo separatamente,
in imprese diverse, gli stessi beni.
Eliminazione dei contrasti con i fornitori;
Una maggiore personalizzazione dei prodotti o dei servizi erogati;
Conservazione del talento organizzativo.
Mentre, dal lato dei rischi dellintegrazione verticale vi sono i seguenti fattori:
o Problemi di coordinamento e compatibilit;
o Incremento costi fissi e mancato sfruttamento delle economie di scala;
o Rigidit in caso di dinamicit del mercato ed imprevedibilit della
domanda;
o Incapacit di sviluppare particolari competenze distintive;
o Difficolt a gestire attivit strategicamente diverse;
o Ripercussione del rischio tra i vari stadi;
o Maggiore ricorso a fonti di finanziamento esterne.

Caso Luxottica

(di Roberta Turco)

Luxottica unazienda italiana che produce e commercializza occhiali. La sua sede


centrale ad gordo, provincia di Belluno, in Italia.
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Storia:
L'azienda viene fondata ad gordo nel 1961 da Leonardo Del Vecchio, giovane
incisore milanese. Nei primi anni produceva occhiali per conto di terzi, per la
Metalflex di Venas di Cadore, poi si mise a fabbricare per proprio conto,
ottenendo un grande successo, per lo stile e la novit delle montature, al primo
Mido (mostra internazionale degli occhiali) di Milano, a cui partecip. Da allora
tutta una serie di successi di vendita, specialmente negli Usa, dove sar
collocata alla Borsa di New York.
Luxottica una compagnia ad integrazione verticale, cio ricopre al suo interno
tutte le attivit che accompagnano un occhiale dalla produzione delle singole
parti alla vendita. Produce all'ingrosso con i propri marchi.
Lattuale assetto la conseguenza della lungimirante scelta del fondatore e
attuale Presidente del Gruppo, che intu la portata di una tale strategia fin da
quando decise di sostituire alla mera produzione di componenti quella
dellintera montatura. Allintegrazione verticale in ambito produttivo si poi
progressivamente affiancata lespansione distributiva, prima wholesale e dal
1995 retail, senza dimenticare limportante presenza nel segmento ad alto
valore aggiunto della lavorazione delle lenti.
Sotto il profilo della produzione, nel corso dei decenni la Societ ha integrato
verticalmente tutte le fasi del processo produttivo per raggiungere un livello di
efficienza adeguato alla qualit di prodotti e servizi che intende offrire.
Lesecuzione di tutte le diverse fasi di produzione consente, infatti, di verificare
la bont di prodotti e processi, introducendo innovazioni, scoprendo sinergie e
nuove modalit operative, ottimizzando contemporaneamente tempi e costi.
Poter distribuire direttamente permette quindi di mantenere il contatto con il
cliente finale, captandone gusti e tendenze, ma rappresenta anche un punto di
forza agli occhi degli stilisti e delle maison della moda che decidono di affidare
a Luxottica la produzione delle proprie collezioni di occhiali, alle quali
garantita una distribuzione davvero globale e capillare.
Tappe principali

Nel 1999 il gruppo Luxottica acquista la statunitense Ray-Ban, di


propriet della multinazionale Bausch & Lomb, in un momento di
profonda crisi della stessa. In pochi anni il brand Ray-Ban sar rinvigorito.
Nel 2003 il titolo viene quotato all'MTA di Milano.

Nel 2007 Luxottica acquista per 2.1 miliardi di dollari Oakley, il leader
mondiale nell'ottica per lo sport.

Nel 2011 Luxottica acquisisce il 100% del Grupo Tecnol, principale


operatore brasiliano in campo ottico, per un valore totale di 110 milioni di
euro, e nel 2012 acquisisce oltre 120 negozi tra Spagna e Portogallo
legati alla catena retail Sun Planet.

Vantaggi competitivi e fattori di rischio


Diverse caratteristiche concorrono a caratterizzare Luxottica come un'impresa
singolare e atipica, in controtendenza rispetto a molti processi in atto
nell'industria:

il radicamento forte con la zona di produzione: l'espansione del gruppo


ha addirittura visto la rilocazione negli stabilimenti italiani di attivit
prima collocate all'estero;
il forte investimento nella ricerca e nell'innovazione;

un portafoglio di marchi prestigioso e bilanciato;

la gi citata integrazione verticale, con quasi il 90% del processo


produttivo gestito internamente e una vera capillarit dei punti vendita
nel mondo.

Punto debole dell'azienda il cambio dell'euro/dollaro, in funzione


dell'importanza del mercato statunitense, anche se ci ha un impatto
marginale, alla luce della continua crescita dell'azienda stessa in fatto di
redditivit. Un altro fattore di rischio, comune ad altre societ del settore la
licenza di produrre occhiali per conto di grandi stilisti, licenze destinate a
scadere e quindi da rinnovare o sostituire con altre. Da notare tuttavia che per
l'azienda agordina tale situazione pi che bilanciata da un portfolio di marchi
propri redditizi e di successo, con brand come Ray-Ban, Oakley, Vogue-Eyewear
e Persol.
Altri fatti e cifre
Luxottica quotata alla Borsa di New York dal 23 gennaio 1990 con la sigla
LUX, e fa parte dell'indice FTSE MIB della Borsa di Milano.
Presenza: presente in 130 Paesi nei 5 continenti e in circa 61.000 punti
vendita direttamente controllati.
Produzione: produce e commercializza ogni anno circa 50 milioni di
occhiali.
Marchi: Luxottica gestisce 30 marchi di occhiali da vista e sole. Il 60%
delle unit vendute fa capo ai marchi propri.
Capitale azionario al 24 luglio 2012: 12,53 mld
Valore nominale per azione al 24 luglio 2012: 21,01
Fatturato: 7.086 milioni (2012)
Risultato operativo: 1.004 milioni (2012)
Utile netto: 567 milioni (2012)

4. Tipologie di integrazione verticale


Spiegato perch unimpresa possa giungere alla decisione di avviare la
strategia dellintegrazione verticale, vediamo ora come essa si pu
manifestare.
Esistono due tipi di integrazione verticale: integrazione a monte e integrazione
a valle.

L'integrazione a monte (o ascendente) si ha quando un'azienda decide di


prendere il controllo di uno step antecedente a quello gi svolto: ad esempio,
un'impresa assemblatrice di automobili inizia a produrre volanti.
L'integrazione a valle (o discendente), invece, consiste nel controllo da parte di
un'azienda di un passaggio successivo rispetto a quello che gi ricopre: ad
esempio, un'impresa assemblatrice di automobili apre una concessionaria,
poich mutano i metodi di vendita, lorganizzazione commerciale e i canali
distributivi. Sul piano della concorrenza le aziende che prima dellintegrazione
erano clienti del semilavorato prodotto dallazienda, successivamente
diventano concorrenti dellazienda integrata.
La tendenza dei produttori ad integrarsi a valle non spinta da ragioni di costo,
quanto piuttosto dalla ricerca di maggiore efficienza nella gestione delle attivit
di vendita e di marketing.
Mentre, le tendenze delle imprese della Grande Distribuzione ad integrarsi a
monte consente la realizzazione di economie di costo.

Il caso LiuJo del distretto tessile di Carpi


(di Carmela Sette)
Di particolare interesse il caso del distretto tessile di Carpi (provincia di
Modena), per anni leader internazionale nel settore della maglieria, che ha
subito notevoli trasformazioni nel tempo per adattarsi allevoluzione dei
mercati e della concorrenza internazionale che attualmente pesantemente
condizionato dal fenomeno cinese.
Dopo aver delocalizzato e trasferito in Cina il know-how, oggi la presenza nel
distretto di imprenditori cinesi strutturale e caratterizzata da investimenti in
capannoni e macchine (i ricami, ad esempio, sono fatti solo dalle aziende cinesi
e sono i migliori nel mondo); la loro entrata nel mercato con produzioni a basso
costo e spesso di qualit, li pongono in concorrenza diretta con i maglifici
carpigiani. Non solo, i cinesi a Carpi sostengono la competitivit del distretto:
gestiscono infatti anche i servizi che ruotano intorno alla produzione di
maglieria, come lavaggi e stirature (che prima facevano le microaziende del
territorio), garantendo efficacia ed efficienza, a prezzi molto bassi. Il rischio
che delegando ad altri le funzioni produttive scompariranno i saperi che fino ad
oggi si sono sedimentati nel territorio. Tendono a scomparire, cos le imprese
carpigiane che producono tutto al loro interno mentre si rafforzano le aziende
leader che gestiscono solo lo stile, che puntano sul marchio e, quindi, sullidea
che la comunicazione, pi che il prodotto, il vero fattore competitivo mentre
delegano allesterno tutta la produzione.
Le grandi aziende con marchi importanti fanno lo schizzo nellufficio, dopo di
ci lo mandano tramite e-mail in Cina e sar l che avverr lesecuzione del
lavoro. Nel giro di pochi giorni hanno il campione in mano a costo zero.
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In questo contesto, LiuJo, marchio leader nella produzione di abbigliamento


fashion made in Italy, ricercato e di tendenza e presente commercialmente in
Europa, Cina, Giappone e Medio Oriente con negozi monomarca, stato senza
dubbi il caso pi significativo.
Il brand, nato nel 1995 dai fratelli Marco e Vannis Marchi, gi noti nel settore
tessile come imprenditori, lancia inizialmente una collezione di maglieria per
donna, per concentrarsi in seguito sulla caratterizzazione del marchio, rivolto
ad un pubblico femminile selezionato: nascono le collezioni donna total look e
accessori. In seguito il marchio si posiziona in diversi segmenti come uomo e
bambini, intimo e beach wear. LiuJo sforna modelli a ripetizione, ogni settimana
in boutique ci sono delle novit e questo tiene alto linteresse per il marchio
capace di competere con le griffe straniere pi aggressive. La mente creativa di
LiuJo Marco Marchi, il quale ha intuito come stava cambiando il mercato e ha
puntato:

sullo stile, design e la comunicazione;


sul marchio e sulla capacit di questultimo di dare identit e
rappresentazione al prodotto;
su un strategia di internazionalizzazione produttiva e articolata che
sceglie i paesi migliori per ogni tipologia di prodotto e che guarda allo
sviluppo di nuovi mercati.

Il successo di LuiJo lascia supporre che la chiave del successo futuro


rappresentata da un approccio pi diretto con i mercati, soprattutto con quelli
esteri nonch da politiche di marketing idonee a dare identit al prodotto. Si
tratta di raffinate e colte abilit che i competitor cinesi, bravi nel saper fare ma
non nelle funzioni terziarie, per molto tempo ancora non saranno in grado di
fronteggiare.

5. Misura dellintegrazione
Per misurare il grado di intensit di tale fenomeno esiste un metodo, che il
pi utilizzato, il quale presenta la seguente formulazione:

Indice di Adelman : VA / VP
Nonch, il rapporto tra il valore aggiunto e il valore della produzione, ossia il
valore globalmente realizzato dallimpresa nellesercizio, indipendentemente
dalla commercializzazione (fatturato).
Bisogna capire che, pi lavorazioni vengono svolte allinterno dellimpresa, pi
passaggi di beni intermedi verranno presumibilmente effettuati internamente,
e meno spazio ci sar quindi per gli scambi di mercato. Con laumento del
numero di fasi svolte dallimpresa aumenter il valore aggiunto da essa
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prodotto: il rapporto valore aggiunto/fatturato stato allora usato come


indicatore del grado di integrazione verticale .

6. Strategie alternative e intermedie


Lintegrazione verticale non risolve tutti i problemi di incentivazione, per cui a
volte la soluzione ottimale pu essere intermedia, infatti, esistono strategie
alternative rispetto a quella in questione. Tra le pi utilizzate:
1. Franchising: una formula di collaborazione tra imprenditori per la
distribuzione di servizi e/o beni, indicata per chi vuole avviare una nuova
impresa ma non vuole partire da zero, e preferisce affiliare la propria
impresa ad un marchio gi affermato. Il franchising infatti un accordo di
collaborazione che vede da una parte un'azienda con una formula
commerciale consolidata (affiliante, o franchisor) e dall'altra una societ o
una persona fisica (affiliato, o franchisee) che aderisce a questa formula.
Tale strategia unisce i vantaggi dellintegrazione verticale, (gli investimenti
specifici sono pagati dalla casa madre), con quelli della separazione
verticale, (i franchisee hanno forti incentivi ad essere efficienti perch a
loro che spettano i profitti che restano dopo avere pagato la tassa di
franchising);
2. Joint venture: un accordo di collaborazione tra due o pi imprese, (anche
in concorrenza tra loro) si impegnano a collaborare alla realizzazione di un
investimento o di unopera allo scopo di suddividere il rischio, mettere
insieme know-how diversi e conseguire un utile da ripartire
proporzionalmente. Questa collaborazione, non solo riduce moltissimo i costi
di transazione( supponiamo che due imprese, A e B, abbiano realizzato una
joint-venture: nel caso di inadempienze da parte dellimpresa A , non solo
limpresa B a subirne il discapito, ma anche A stessa, dato che entrambe
hanno il medesimo scopo, perci A indotta a rispettare il contratto) ed
ostacola il verificarsi di comportamenti opportunistici, ma permette anche
un utilissimo scambio di conoscenze tra le varie imprese che va ad arricchire
le loro potenzialit:se le imprese scegliessero il mercato perderebbero
loccasione di aumentare il know-how mediante il learning by doing;
3. Infine, loutsourcing o de-integrazione verticale consiste nel
trasferimento allesterno di una o pi funzioni proprie di unazienda ad
unaltra entit esterna che possiede le capacit tecniche ed organizzative
per svolgere un particolare servizio. Uno dei principali vantaggi del ricorso
alloutsourcing la possibilit di concentrare le risorse aziendali sul core
business, delegando ai soggetti terzi la gestione di settori secondari,
ridefinendo cos i confini dellimpresa.
Risulta ora doveroso soffermarsi brevemente su un altro tipo di relazione,
differente da quello che si discusso finora. Lintegrazione orizzontale, una
strategia di sviluppo con la quale le attivit di unimpresa vengono ampliate
attraverso lunione, acquisto o alleanza, con unaltra impresa che svolge le
stesse attivit.

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Caso Fiat

(di Francesca Semeraro)

La FIAT (Fabbrica Italiana Automobili Torino) nasce a Torino l11 Luglio 1899 da
un gruppo di investitori, tra cui spicca il nome di Giovanni Agnelli, come casa
produttrice italiana di automobili.
Allinizio degli anni Novanta, Fiat Auto S.p.A. ha attuato un processo di parziale
esternalizzazione finalizzato ad acquisire alcuni vantaggi di efficienza senza
intaccare la capacit di controllo dellimpresa.
Sono state esternalizzate attivit di servizio (contabilit, manutenzione, servizi
legali, gestione della liquidit, gestione del personale) non direttamente
connesse con il core business dellimpresa. La gestione della logistica stata
affidata a TNT Automotive Logistics. Il servizio prevede: gestione delle scorte,
progettazione delle confezioni, trasporto e distribuzione del prodotto finito in
tutta Europa. In seguito il processo di outsourcing si esteso a fasi produttive
di importanza centrale, attraverso il trasferimento presso fornitori non soltanto
della produzione e dellassemblaggio delle parti pi importanti e complesse
delle autovetture ma anche delle fasi dello sviluppo e della progettazione.
Attualmente i contratti di fornitura comprendono lo sviluppo e la produzione di
parti sempre pi importanti e complesse delle autovetture.
La fase delloutsourcing comporta tra laltro rapporti pi stretti e di lungo
periodo tra imprese e fornitori; si ricerca anche la qualit, la riduzione degli
immobilizzi finanziari, la tempestivit del servizio. Alcuni aspetti importanti di
questa fase nel settore dellauto sono i seguenti:
1. il forte aumento nel mondo del ricorso allesterno, anche con lestensione
del tipo di attivit decentrate;
2. la Fiat non conduce pi il gioco come prima, c ad esempio tutta la
componentistica elettronica che diventata il cuore dei veicoli e in cui la
Fiat deve subire le imposizioni dei fornitori esterni.
Da una situazione in cui le imprese della fornitura si trovano a dipendere dalla
Fiat come mercato di sbocco, dal punto di vista tecnologico essendo la
progettazione in buona misura concentrata in Fiat, si passa ad una realt nella
quale le performance del produttore finale vengono a dipendere fortemente dal
comportamento di tutte le imprese appartenenti alla filiera e dunque passando
da un rapporto di dominio/subordinazione ad uno di collaborazione tra casa
auto e fornitori.
Quel che distingue il distretto dellautomative torinese dai concorrenti proprio
la capacit di mettere in circolo le conoscenze per migliorare la qualit dei
prodotti e rimanere competitivi sul mercato.

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Caso Zara

(di Alessandra Anastasi)

ZARA rappresenta una delle otto catene distributive, di cui fanno parte Zara,
Class, Pull and Bear, Massimo Dutti, Bershka, Stradivarius, Oysho, Zara Home,
appartenenti al gruppo Indetix, ed presente oggi in pi di 50 Paesi. Manifesta
una presenza radicata in molti Paesi Europei e del Nord America ed opera
anche in paesi emergenti asiatici e in America Latina, (questultima vicina per
prossimit culturale allorigine spagnola dellazienda). Lapertura del primo
negozio si registr nel 1975 in Spagna, a La Corua , dove oggi si trova la sede
centrale. Gli iniziali successi, derivanti dalla formula di vendita adottata,
diedero la spinta per lespansione della rete distributiva nella maggiori citt del
Paese e in seguito si iniziarono ad adottare strategie di ingresso sui mercati
esteri. Lazienda garantisce una diversificazione dellofferta, con lobiettivo di
andare a coprire lintero mercato dellabbigliamento, comprendendo tutte le
categorie di clientela segmentate per tipologia (sesso ed et), e per stile
(casual, sportivo ed elegante).
ZARA opera attraverso una gestione internalizzata delle attivit a monte, in cui
si collocano le politiche di approvvigionamento e di produzione. I fornitori e gli
impianti produttivi non sono diversificati per marchio commerciale, ma sono
concentrati negli stessi centri di produzione e raccolta; lo stesso vale per
lorganizzazione logistica. Controllare la produzione e la distribuzione d
numerosi vantaggi:
una perfetta ottimizzazione dei flussi dinformazione circolante da un estremo
allaltro della catena;
limitazione dei rischi di giacenze di magazzino e tempistica, grazie ad una
politica della distribuzione sul mercato di serie limitate (marketing della
rarit);
possibilit di consegna a tutti i propri negozi, grazie ad un sistema di
produzione centralizzato, (la marca limita i suoi livelli intermediari, riducendo,
per lappunto le giacenze in magazzino e puntando ad una distribuzione
tempistica).
La gerarchia di ZARA si compone di un responsabile commerciale per ogni
linea, (ad esempio il direttore commerciale della catena ZARA), il quale a sua
volta ha un referente per ogni nazione, (ad esempio il Direttore Commerciale di
ZARA Italia), il quale gestisce una serie di manager che controllano un numero
limitato di punti vendita. Obiettivo di mercato di Zara: offrire articoli di
abbigliamento moda a prezzi contenuti, orientandosi verso le tendenze di
mercato, in modo tale da massimizzare la customer satisfaction. La conformit
rispetto ai gusti estremamente variabili e la diminuzione dei tempi di attesa del
mercato determinano la gestione di una struttura operativa e distributiva
necessariamente integrata e coordinata dal punto di vista fisico ed informativo.
Tra i principi su cui si basa tale catena distributiva spagnola vi lincremento
della flessibilit della supply chain, (una filiera composta da fornitori di materia
prima, produttori, fornitori di servizi, vettori trasportatori dei prodotti realizzati
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e consumatori finali), attraverso lintegrazione verticale di tutti gli attori della


filiera.
Lintegrazione verticale rappresenta laspetto che maggiormente ha
caratterizzato il successo di ZARA e che risultato determinante in termini di
competitivit rispetto ad altri marchi che fanno parte del consumo di massa. A
monte del sistema vi una difficile imitabilit, che consente a ZARA un veloce
riassortimento e una ripetuta presentazione di collezioni flash. Tutto ci con
lintento di alimentare sul mercato un sentimento diffuso di scarsit ed
opportunit, che induce la clientela a compiere acquisti di impulso imposti
dalla consapevolezza che buona parte dellassortimento viene modificato
nellarco di due settimane. Questa logica fa cadere i capisaldi del settore
riguardanti la stagionalit delle collezioni e la prassi degli acquisti anticipati da
parte dei distributori, andando a creare per un rischio commerciale, che ricade
a valle della filiera e della difficile prevedibilit della domanda.
Lusuale tasso decrescente connesso alle vendite del prodotto, generalmente
legato alle preferenze del consumatore, si capovolge imponendosi dal lato
dellofferta. Infatti, nel breve periodo in cui il prodotto lanciato, quindici
giorni, il cliente sar libero di acquistare il capo, essendo consapevole che
superato quel tot di giorni il suo bisogno potr non essere soddisfatto,
generando cos la voglia di non rimandare lacquisto ad un periodo successivo.
Lintegrazione verticale si ha sia a monte che a valle:
Integrazione a monte:
Integrazione a valle:
- Lavorazione materie prime
- Distribuzione allingrosso
- Produzione di semilavorati
- Distribuzione al dettaglio
- Assemblaggio
Lintegrazione avviene tramite una fase di design internalizzata, con un
approvvigionamento di tessuti centralizzato e pianificato (attraverso la
gestione in proprio o con contratto di esclusiva dei centri tessili galiziani e
portoghesi). Lattivit produttiva si sviluppa attraverso la gestione di aziende in
propriet, concretizzando una internalizzazione dellattivit produttiva, che
mira ad ottimizzare i tempi di consegna e i livelli qualitativi della lavorazione. I
principali benefici che derivano da tali pratiche sono leliminazione dei costi di
transazione e la gestione condivisa delle informazioni. Viene, inoltre, data
ampia attenzione al circuito informativo al fine di conformarsi alle tendenze.
Esso si suddivide su due canali:
la fase di disegno e progettazione che modula lofferta secondo le
richieste della clientela;
la fase di controllo delle vendite, della programmazione degli acquisti e
della gestione delle risorse.
Limplementazione del sistema just in time ha consentito una riduzione dei
costi e dei tempi di immagazzinamento grazie alla gestione sincronizzata delle
attivit, resa anche possibile da un apparato informatico che interconnette i
centri logistici e produttivi e che consente di guadagnare in termini di velocit
nelle consegne, condivisione di informazioni e creazione di sinergie.
Grazie alla strategia di integrazione verticale dei componenti della filiera, (dal
disegno alla gestione dei negozi in propriet), lazienda ha la possibilit di
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controllare in modo costante i flussi di prodotto, garantendo la sincronizzazione


puntuale di tutti gli anelli della filiera.
I principali vantaggi sono:
- Lancio di prodotti differenziati
- Forte riduzione dei costi
- Riduzione delle scorte
- Assenza di spese per pubblicit, (ZARA lunica azienda di abbigliamento
che non effettua nessun tipo di pubblicit per i propri prodotti, dato il
Time to Market breve*).
* la localizzazione dei punti vendita che funge da strategia di marketing e che
evita di studiare e attuare campagne pubblicitarie dirette. La societ si
stabilizza in luoghi strategici in centro citt, in modo tale che il consumatore
non possa evitare di notare un negozio ZARA passandoci davanti.
Tra i rischi principali si evidenziano:
- mercato mutevole
- la concorrenza nel settore dellabbigliamento con paesi che producono a
basso costo
- la presenza di imprese mondiali che producono capi altrettanto conosciuti
e diffusi sul mercato, che sfruttano per esempio la notoriet degli ideatori e
sviluppatori dei vari modelli, (caso H&M).
La soluzione a tale problematica potrebbe consistere nel proporre dei prodotti
di gamma superiore, differenziandosi il pi possibile dai competitori. Per tale
motivo, ZARA, attraverso il cosiddetto fast fashion, impone un rinnovamento
permanente delle collezioni rispetto ai suoi concorrenti e offre lultima moda al
migliore prezzo.
Concludendo, si pu osservare che ZARA con il suo modello strategico
dellintegrazione verticale riesce ad offrire ai consumatori degli abiti sempre
allultima moda attraverso pratiche commerciali che si distolgono da quelle
generalmente applicate in tale campo. Questo sistema ha avuto successo
grazie al buon funzionamento del sistema dinformazione utilizzato e anche
grazie alla dinamicit dei numerosi designer che scrutano costantemente le
nuove tendenze mettendo in atto le preferenze e le potenziali aspettative del
consumatore.

Integrazione verticale nel settore


cinematografico
(di Serena Emilia Gagliardi)
L'analisi della situazione dei singoli mercati che compongono il settore
cinematografico, evidenzia la presenza di legami di tipo "verticale" fra imprese
operanti nelle diverse fasi del ciclo produttivo. Le ragioni che spiegano lo
sviluppo di forme di integrazione verticale nel settore cinematografico
risiedono essenzialmente nelle caratteristiche intrinseche al prodotto, ovvero
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dalla sostanziale impossibilit di conoscere il successo del singolo film prima


del suo effettivo "consumo" da parte dello spettatore. L'integrazione fra pi fasi
del processo produttivo pu offrire un migliore controllo della modalit, intesa
come pubblicit e tempi di programmazione, con cui il prodotto filmico viene
proposto al consumatore e ci rappresenta un vantaggio essenziale nello
svolgimento dell'attivit di distribuzione cinematografica.
Il termine "distribuzione" fa riferimento al mercato ed alla circolazione di film
nei cinema; , quindi, una fase del processo di diffusione e presentazione al
pubblico di un film. Di questaspetto si occupa spesso una societ controllata o
occasionalmente una individuale, che lavora come agente finale tra una casa
di produzione ed un esercente, con il fine di assicurare le proiezioni del film
sullo schermo della sala cinematografica. In queste circostanze, le case di
produzione sono incentivate ad integrarsi "a valle" nell'esercizio di sale
cinematografiche, con lo scopo di evitare che una troppo breve
programmazione del film da parte dell'esercente impedisca il ritorno economico
dell'investimento, ovvero una sua adeguata valorizzazione ai fini della
successiva vendita dei diritti del film sia alla distribuzione in dvd che alle
emittenti televisive. Per altro verso le case cinematografiche hanno un
incentivo ad integrarsi a monte" assumendo, inoltre, una parte dei costi di
produzione del film al fine di controllare le modalit con cui viene assicurata la
fornitura del prodotto.
Nei giorni del cinema hollywoodiano, gli studi cinematografici usarono lo
studio system producendo e distribuendo i loro stessi film ai cinema. Questa
pratica si riferisce in primo luogo, alla produzione di lungometraggi
principalmente nei propri studios e backlot (cio una grande area esterna di
uno studio cinematografico utilizzata per girare le scene allaperto di un film);
ed in secondo luogo a perseguire lintegrazione verticale dellintero ciclo
attraverso la propriet o il controllo effettivo sia dei distributori che delle
catene di sale cinematografiche, oltretutto garantendosi i margini di profitto
attraverso tecniche di promozione indirizzate al pi vasto pubblico.
Tale sistema permise alle aziende di ottenere vantaggi cospicui in quanto
consent il posizionamento su vari segmenti della filiera. La riduzione dei costi
permise di garantire benefici ai consumatori, mentre laumento dei profitti
consent di investire ingenti quantit di denaro nel miglioramento del prodotto
attraverso la ricerca tecnologica nellambito sonoro, del colore e degli effetti
speciali.
Questo modello di integrazione verticale totale, per, condotta agli estremi
port a forti contrazioni della concorrenza. In America, infatti, leccessiva
concentrazione delle sale cinematografiche nelle mani delle societ produttrici
e distributrici, port lAutorit Antitrust statunitense ad emettere delle sanzioni
molto forti. Durante lepoca doro furono otto le societ comunemente note
come gli Studios a promulgare lo studio system hollywoodiano. Fra queste
otto, cinque erano conglomerati totalmente integrati, i famosi Big Five.
Queste combinarono la propriet di uno studio di produzione, ad una divisione
distributiva e ad una sostanziale catena di sale cinematografiche, contrattando
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autonomamente con i cineasti e il personale creativo. Erano, quindi, molto


integrate verticalmente e detenevano un numero altissimo di sale sparse nel
paese. Le cifre della lunghissima istruttoria, condotta dallAutorit Antitrust
statunitense, dimostrano che le Big Five arrivarono a controllare il 70% dei
cinema di prima visione nelle citt con pi di 100.000 abitanti e circa il 92% di
tali centri era caratterizzato da un mercato di monopolio delle sale da parte di
una delle majior. Inoltre le cinque aziende controllarono anche una quota di
circa il 73% dellintero fatturato della distribuzione cinematografica. Dopo
listruttoria, lAutorit Antitrust, contest alle Big Five la creazione di un cartello
sul prezzo del biglietto dentrata nei cinema, ritenuto dannoso per i
consumatori. Vennero contestati, inoltre, una serie di accordi riguardanti i
rapporti distributori-esercenti, che prevedevano delle esclusive territoriali solo
ad alcuni esercenti. Inoltre, fu rilevato il fenomeno del block-booking e cio il
vincolo imposto dai distributori agli esercenti di acquistare gruppi di film, pena
la non concessione dei titoli migliori.

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CONCLUSIONE
Dalla nostra analisi abbiamo constatato che, internalizzando una o pi attivit
verticalmente correlate, limpresa si trova in un determinato stadio della filiera
produttiva che le permette di acquisire e controllare uno o pi stadi precedenti
o successivi a seconda che si tratti, rispettivamente, di integrazione a monte o
integrazione a valle. La decisione di unimpresa di integrarsi verticalmente
quindi una decisione strategica di corporate.
Non esiste un grado standard dintegrazione che possa essere ottimale per
tutte le imprese; ogni impresa deve valutare attentamente le sue esigenze
strategiche, le sue risorse, le competenze e le caratteristiche delle transazioni
coinvolte, per poi stabilire quali attivit svolgere internamente e quali
esternalizzare, considerando tutti gli svantaggi e i vantaggi offerti da entrambe
le soluzioni.
Considerando la complessit della situazione, le decisioni relative
allintegrazione verticale, non comportano pi una scelta tra make or buy, in
quanto tra i due estremi esiste unampia gamma di relazioni verticali
intermedie. Se si sceglie di integrarsi verticalmente, occorre riunire la
produzione sotto la medesima propriet, anzich farla svolgere da due aziende
indipendenti con stabilimenti fisicamente integrati. Nonostante loperazione
possa generare delle economie tecniche, ossia vantaggi in termini di costo,
necessario considerare anche i maggiori costi amministrativi procurati
allimpresa.
Il riscontro che si ottenuto negli ultimi anni quello che sempre pi imprese
hanno abbandonato i rapporti di fornitura occasionali per stabilire strette
relazioni verticali con un ristretto numero di fornitori, ma al tempo stesso, non
mancano tendenze in senso opposto. Infatti, lesternalizzazione ha preso
sempre pi piede tra le aziende e la maggior parte di esse si specializzata in
poche attivit della propria catena del valore, il cosiddetto core business.
In altre parole si diretti verso il fenomeno di de-integrazione verticale.
A dimostrazione di quanto appena detto, ritorniamo sui casi pratici analizzati e
indichiamo lesito finale che si raggiunto a seguito delladozione della
strategia di integrazione verticale.
Lazienda italiana Luxottica, grazie alla strategia di sviluppo in questione, ha
prodotto vantaggi e benefici rilevanti.
Dal caso Liu Jio emerso come il ruolo della distribuzione consiste sempre pi
nel creare una relazione duratura con il cliente, rendendosi necessari continui
controlli e verifiche.
Lazienda FIAT fa emergere che ogni attivit appare oggi esternalizzabile
permettendo, cos, allazienda di concentrare le proprie risorse sul core
business.
Zara, azienda spagnola, integrandosi totalmente (sia a monte che a valle) ha
trovato un ottimo equilibrio che le ha concesso di espandersi territorialmente
attraverso il favore di una vasta clientela e di emergere tra i suoi concorrenti.
Dal settore cinematografico emerso, invece, che tale strategia pu causare
alcune problematiche in tema del rispetto della concorrenza.
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BIBLIOGRAFIA / SITOGRAFIA
Ricciardi A., Lorientamento, la gestione e la pianificazione

strategica dellimpresa.
Sito ufficiale di Luxottica : www.luxottica.com
Zara & H&M: due modelli che tentano di avvicinare il lusso al
consumo di massa.

www.markup.it

Indetix, con Zara, fa della flessibilit il suo

fiore allocchiello
Strategie di internalizzazione e grande distribuzione nel settore
dellabbigliamento Cristiano Ciappei, Azzura Sani Firenze
University Press, 2006
Wikipedia

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