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DIRITTO DEL LAVORO

Testi di riferimento:

- Diritto del lavoro volume I : il diritto sindacale” (Carinci ) 


- Diritto del lavoro volume II . il rapporto di lavoro subordinato (Carinci Tosi, Creu)/ diritto
sindacale
- CODICE DEL LAVORO 
- Conciliare vita e lavoro, la prospettiva del diritto del lavoro dopo il jobs act (Vettor) → libro
che useremo

→ ultima edizione di ogni testo 

Prova finale:
Scritto online (se non si accetta si farà orale) → 20 domande chiuse (per ciascuna 3 risposte, solo
una giusta) + 2 domande aperte (risposte sintetiche in forma discorsiva, max 10 righe) 

Date appelli : 
 scritto 8 giugno (12.30 - 13.30) → orale 22 giugno 
 scritto 22 giugno (14-15) → orale 6 luglio
 scritto 6 luglio (14-15)→ orale 14 luglio 
 scritto 15 settembre → 23 settembre

Programma:
Formato da 5 cicli di lezioni :
1. Evoluzione storica e tendenze attuali del diritto del lavoro
2. La questione della subordinazione 
3. La tipologia dei rapporti di lavoro
4. La regolamentazione del rapporto di lavoro 
5. Elementi di diritto sindacale 

Ad ogni chiusura di un singolo ciclo di lezioni ci sarà una simulazione dell’esame, momenti
esercitatori. Oltre a questi macro-argomenti : bilanciamento esigenze di vita e di lavoro, come
fondo di tutto il corso.

Mail prof : tiziana.vettor@unimib.


1. EVOLUZIONE STORICA E TENDENZE ATTUALI DEL DIRITTO DI
LAVORO
Scaletta:
Origine e sviluppo del diritto del lavoro sino ad oggi, con lo scopo di comprendere alcune
caratteristiche principali della materia che sono spiegabili in base allo sviluppo storico che essa ha
avuto nel tempo. 
Partendo dal 1800, dagli ultimi decenni del XIX secolo, sino ai nostri giorni. Lo spartiacque è
rappresentato dall'esperienza fascista nel nostro paese, perciò guarderemo alla fase antecedente
e alla fase successiva al fascismo:

 fase pre-corporativa : fase antecedente al periodo fascista

 fase corporativa : Si tratta di una fase storica contrassegnata dall’intreccio di più forme di
tutela, ma durante l’esperienza fascista di una fase storica caratterizzata dalla mancanza di
una dialettica democratica. E’ un periodo in cui assistiamo ad un’estensione delle tutele
lavoristiche, ma allo stesso tempo questa fase si caratterizza per essere un momento
storico autoritario, in cui assistiamo alla negazione di molti diritti che sono elemento
essenziale del diritto del lavoro → ad esempio nella fase corporativa nel divieto del diritto
all’aggregazione dei lavoratori e lavoratrici, viene negato il diritto alla libertà sindacale, di
coalizzarsi ai fini di autotutela. Anche la negazione al diritto dei lavoratori di esprimere
un’attività rivendicativa dei loro diritti, diritto di sciopero ad esempio. E’ una fase storica in
cui il diritto di sciopero era una fattispecie di reato, è una fase caratterizzata dall’esperienza
delle leggi razziali o di natura discriminatoria fondata sull’appartenenza religiosa, una
legislazione che discriminava le persone in relazione alla loro appartenenza a un credo
religioso diverso da quello maggioritario in Italia. Infatti ha contrassegnato l’anno 1938. E’
questa una fase in cui nel nostro paese è stato possibile discriminare gli ebrei a partire dal
divieto di svolgere un'attività lavorativa in forma dipendente o autonoma, nell’impiego
privato o pubblico, per sottolineare il carattere autoritario era stato prescritto di cancellare
ogni traccia di ebraicità dalle scuole di ogni ordine e grado, espulsione di docenti e
studenti. Periodo in cui si è vietato il matrimonio tra persone di razza ebraica con altre
persone, si è limitato diritto a proprietà privata. Queste disposizioni erano rivolte ad una
parte della popolazione italiana minoritaria, c’erano un po’ più di 50 mila ebrei e circa 8
mila ebrei stranieri. Architettura imponente di disposizioni discriminatorie rivolta a una
presenza molto piccola.

 Fase costituzionale : In questo periodo si è assistito ad un rovesciamento di principi e valori


con la Costituzione italiana = rovescio in positivo dell’esperienza della discriminazione
degli ebrei. La nostra costituzione è pervasa dalla centralità del lavoro, a partire dalla sua
norma d’esordio. Molte delle norme costituzionali sono il fondamento dello sviluppo del
diritto del lavoro post costituzionale; infatti, le principali legislazioni lavoristiche sono
espressione dei principi e delle norme costituzionali. In particolare, le norme relative alla
genitorialità.
Approfondita l'evoluzione storica del diritto lavoristico guarderemo al presente:

- Tendenze attuali del diritto del lavoro : principali riforme del diritto del lavoro che hanno
contrassegnato il decennio precedente la pandemia. Ad esempio, la c.d. Legge Fornero (in
relazione a tutela pensionistica); Job act (riforma del diritto del lavoro e diritto
previdenziale che ha contrassegnato la fase del governo Renzi); decreto dignità (che ha
contrassegnato il primo governo Conte); norme applicate alla fase pandemica,
provvedimenti anti-coronavirus, in particolare nella prospettiva dei congedi e dello smart
working. 

- Tema delle fonti del diritto del lavoro :  analisi dell’articolo 117 della Costituzione; il ruolo
del diritto internazionale ed europeo del lavoro, molte delle nostre norme sono attuazione
delle direttive europee; fenomeno della contrattazione collettiva che insieme al diritto alla
libertà sindacale e al diritto di sciopero compone il diritto sindacale nei suoi aspetti
essenziali.
FASE PRE CORPORATIVA :

Il diritto del lavoro nasce verso la fine del XIX secolo, in corrispondenza della cd. Legislazione
sociale, ovvero un insieme di disposizioni che vanno dal 1880 al 1920, all'incirca. Periodo in cui,
grazie alla rivoluzione industriale, si impone un nuovo sistema produttivo.
Come si potrà intuire, è stato questo sistema produttivo che ha permesso l'emersione della
legislazione sociale. Già nelle prime fasi di industrializzazione, questo sistema rese evidenti
fenomeni di:

- Sfruttamento del lavoro che riguardava in particolare la categoria dei bambini e delle
donne (le cosiddette mezze forze)

- Aumento degli infortuni a cui spesso seguiva anche il decesso. Questo fenomeno era
dovuto alle pessime condizioni di lavoro: insalubri e pericolose.

Da qui l’esigenza di approntare forme minime di tutela, in particolare nei confronti dei soggetti
maggiormente esposti a questi problemi, ossia le mezze forze.

Difatti, la prima legislazione sociale è la legge 3657/1886 a tutela dei fanciulli, a cui seguirà la legge
242/1902 sulla tutela delle donne.
Tuttavia, la nascita del diritto del lavoro viene fatta coincidere alla legge n°80 del 1898, riguardante
l’obbligo per i datori di lavoro di assicurarsi contro gli infortuni sul lavoro, in relazione ai rischi.
Legge su cui poi verrà edificata la tutela contro gli infortuni e le malattie professionali attualmente
vigente e contenuta nel d.P.R. 1124/1965.

In questa stessa fase storica, mediante un importante processo di codificazione, che ha


contrassegnato gli ultimi decenni del 19° secolo ( vedi codice Zanardelli), viene rimosso il divieto di
coalizione dei lavoratori/lavoratrici, e quindi permessa l’aggregazione sindacale finalizzata al
raggiungimento di accordi collettivi riguardanti gli aspetti salariali e retributivi. Sempre in questo
periodo vengono istituiti con la legge 295/1893 i collegi dei probiviri, ossia una speciale
magistratura non togata il cui compito era quello di elaborare regole di giudizio nelle controversie
individuali di lavoro. Tutto ciò in una fase in cui il diritto del lavoro di fonte legale era appena
delineato.
Quindi in questa prima fase, in cui NON era stato ancora codificato il diritto lavoristico, la
legislazione in merito si presentava in forma frammentata, episodica e socialmente mirata.
Difatti il Codice civile del 1865, ricalcato sul modello del Codice civile francese del 1804, NON
prevedeva una disciplina specifica sul lavoro: l’attività lavorativa non era ricondotta alla figura del
contratto di lavoro (non ancora esistente), ma a quella della locazione. Le scarne disposizione
riguardanti il lavoro non rispondevano ad una logica protettiva, bensì hai principi tipici
dell'individualismo liberale.

Infatti, nel Codice del 1865 l'unica disposizione sui rapporti lavorativi è il divieto di stipulare vincoli
contrattuali a tempo indeterminato (ai sensi dell'art. 1628), questo perché si voleva evitare che
mediante vincoli contrattuali si potesse portare a una condizione servile dei lavoratori/lavoratrici.

In assenza di norme, questa materia veniva regolata dai privati ( datori di lavoro) che seguivano i
propri interessi a discapito del singolo lavoratore. Di conseguenza il rapporto di lavoro, spesso, era
caratterizzato da una forte disuguaglianza fra datore di lavoro e lavoratore. Questa disparità era
dovuta al fatto che il reddito del lavoratore e fonte esclusiva di sostentamento per lui/lei e per la
propria famiglia, il che lo porta a cercare e accettare lavori a condizioni inique.

Analogamente a quanto accadeva in Italia, anche in altri Stati come Inghilterra, Francia, Germania
la legislazione sociale iniziava a formarsi.

Inoltre, sempre in questo periodo, nel 1919 nasce l'organizzazione internazionale del lavoro che
ebbe e continua ad avere un ruolo rilevante, non a caso molte delle disposizioni di materia
lavoristica sono state emanate su impulso ILO. Anche recentemente la ILO sta parlando di forme di
lavoro neo-schiavistiche, in cui si assiste al ritorno a condizioni di lavoro avvilenti, per questo si è
espressa per andare a richiedere azioni a tutela della dignità del lavoro , nonostante si pensasse
che questi problemi fossero appartenenti a un passato lontano.

La fase pre-corporativa cessa con l’avvento del regime fascista nel 1922; a seguito di questa data
si può parlare di fase corporativa. In questo periodo si assiste a un'estensione della legislazione
lavoristica, marchiata e influenzata dal regime autoritario dell'epoca.

Esempio: in questa fase storica assistiamo ad una fortissima compressione della libertà
di aggregazione dei lavoratori e delle lavoratrici. È questa la fase nella quale l’Italia si
doterà di un ampio insieme di disposizioni persecutorie, razziste, le quali trovavano
fondamento nella diversa appartenenza religiosa rispetto a quella che caratterizzava la
popolazione maggioritaria.
COSE IMPORTANTI (RIASSUNTO) NELLA FASE PRE-CORPORATIVA:

1. Il processo di industrializzazione porta all'emersione di una serie di problemi sociali alla


quale si cercherà di rispondere con un insieme di disposizioni di natura protettiva, rivolte a
specifiche categorie di soggetti : i lavoratori della media-grande impresa, o quello di cui si
temeva l’attività rivendicativa.

Queste disposizioni sono, inoltre, caratterizzate dal principio di inderogabilità: poiché


queste disposizioni erano destinate a limitare il potere contrattuale del datore di lavoro,
questo non potevano essere annullate determinando uno svantaggio per il lavoratore.
È chiaro che il principio di inderogabilità tutela la posizione dei contraenti(lavoratori) dei
quali si assumeva una condizione di disparità rispetto al datore.

2. La legislazione sociale, al tempo, era rimessa ai privati, in quanto il Codice civile dell’epoca
(1865) non prevedeva una specifica disciplina del contratto di lavoro, ad eccezione della
norma spiegabile in base al disvalore riservato ai rapporti di lavoro indeterminati (art.
1628), perché a questo poteva ricollegarsi una condizione servile.
FASE CORPORATIVA :

Definiamo fasi corporativa del diritto lavoristico quella successiva all'avvento del fascismo in Italia
nel 1922.

Prima che lo stato totalitario prendesse forma compiutamente, assistiamo all’approvazione di due
decreti legislativi riguardanti la disciplina dei rapporti individuali di lavoro:

- Regio decreto-legge n° 692/1923 → sull’orario di lavoro

- Legge n°562/1925 (decreto 1825/1924) → Si tratta di una legislazione importante in quanto


è la legge in cui è riportata la prima nozione di contratto di lavoro subordinato, e in
secondo luogo perché contiene una disciplina applicabile al contratto di lavoro subordinato
e che è anticipatoria rispetto alla regolamentazione del lavoro contenuta nel Codice civile
del 1942; tuttavia questa era ancora legata a singole categorie di lavoratori, in questo caso
impiegati.
Questa disciplina che tiene ancora conto della disparità fra datore di lavoro e lavoratore è
soggetta al principio di inderogabilità.

L'intero periodo fascista è caratterizzato da un regime autoritario. In questa fase:

► Viene limitata la possibilità di aggregazione (lib.sindacale) dei lavoratori ai fini di


autotutela. Difatti le attività sindacali vennero considerate fattispecie di reato dal Codice
penale Rocco del 1930. E non solo, venne, anche, istituito un sindacato unico per ogni
categoria produttiva, il quale era legittimato, in via esclusiva, alla stipulazione di contratti
collettivi; ossia accordi validi per la generalità dei lavoratori. Si parla di contrattazione
collettiva corporativa.  Il cui contratto collettivo assume dignità formale di fronte del diritto
positivo, va a costituire un contenuto dal punto di vista delle fonti del diritto.

► Anche l'attività rivendicativa dei lavoratori viene compressa virgola in quanto lo sciopero, il
quale è l'espressione classica con cui si estrinseca l'attività rivendicativa, diviene fattispecie
di reato. Anche l’attività rivendicativa dei datori, la cd. serrata, viene limitata

► Con la legge 80/1898, di cui abbiamo già parlato, venne previsto l’obbligo del datore di
dotarsi di un’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. Anche durante questa fase si
assiste a fenomeni attivismo legislativo sul fronte previdenziale, in particolare in materia
pensionistica.

► Venne codificato nel 1942 il Codice civile. Se prima il diritto lavoristico era disciplinato in
maniera frammentata, episodica e rimessa in gran parte ai privati con il Codice del 1942
questa materia ricevette una specifica e organica regolamentazione contenuta all'interno
del libro V del codice. Venne anche introdotta la nozione di lavoro subordinato, ai sensi
dell’artico 2094 cc. Inoltre, a differenza di quanto accadeva in precedenza, con il Codice
civile la legislazione lavoristica non era più limitata a specifiche categorie di lavoratori.
Di conseguenza alla legge speciale non spetta più un ruolo esclusivo in materia, bensì
integrativo rispetto a quest'ultima.
Tuttavia, bisogna ricordare che il Codice civile è figlio della propria epoca di conseguenza i
rapporti tra lavoratore e datore di lavoro sono subordinati a un interesse superiore, ossia
quello della nazione. In tal senso il Codice civile riflette l'ideologia ispiratrice del fascismo.

► Altro tragico lascito dell'epoca fascista è stata l'esperienza delle leggi razziali. questa
esperienza non ha interessato solamente la storia nazionale ma anche il legislazioni
analoghe di diversi paesi europei nello stesso periodo storico, come ad esempio Germania
e Francia.

Le leggi razziali trovavano, almeno formalmente, il proprio fondamento nella razza, di


fatto, però, questo fenomeno di discriminazione era basato su una diversa appartenenza
religiosa di alcuni soggetti rispetto a quella della maggioranza della popolazione.

Destinatari di queste norme erano principalmente gli ebrei, che all'epoca formavano un
gruppo ristretto di persone (il censimento dell'epoca indica che in Italia c'erano circa
50.000 ebrei E altri 8000 erano ebrei stranieri).

Lo scopo di queste leggi razziali era quello di eliminare giuridicamente gli ebrei, gli italiani e
gli stranieri, dalla società mediante un regime giuridico differenziato relativamente ai
diversi profili in cui si esplicitava la vita pubblica e a vita privata (scuola, vita affettiva,
lavoro pubblico/ privato/ dipendente/ autonomo).
Sarà proprio questa persecuzione giuridica che renderà possibile la successiva eliminazione
fisica, ossia l'olocausto. Difatti, quando queste persone sono state spogliate di uno statuto
giuridico, allora è stato possibile prevedere la loro eliminazione fisica.

Regime differenziato 

 In quegli anni mediante un regio decreto si inizia a disporre dapprima il


licenziamento degli ebrei da tutti gli impieghi pubblici e ad essi correlati,
successivamente verrà prevista l’espulsione di questi dagli impieghi privati e dalle
professioni autonome regolate da albi (avvocati, medici, ingegneri…). 

 Tra il 1939 e il 1943 il ministero dell'Interno, di cui faceva parte lo stesso Mussolini,
mediante una serie di circolari ministeriali aveva previsto ulteriori divieti lavorativi,
come ad esempio il divieto di commerciare specifici oggetti (es: oggetti antichi,
opere d'arte, libri), o il divieto di esercitare alcune specifiche professioni (es:
amministratore di condominio, industria tipografica, commercio ambulante).

Successivamente venne vietato agli ebrei la possibilità di possedere beni immobili,


comportando, così, la compressione del loro diritto di proprietà.

 Nel 1938 viene prevista l’esclusione e l’espulsione immediata degli ebrei dalla
scuola e dalla cultura. Lo scopo di questo provvedimento era quello di colpire gli
ebrei in quella che si assumeva essere una loro specificità, ossia l’alto livello di
istruzione.
 Tra il 1938 e il 1943 vennero previste una serie di norme che è stato mettevano gli
ebrei da tutte le cariche pubbliche, mortificavano la loro vita sociale, personale e
affettiva, come il divieto di matrimonio misto, divieto di osservare specifiche
abitudini alimentari collegate al culto religioso, divieto di soggiornare in alcune
località turistiche.

L'esperienza razziale ha condizionato lo sviluppo di tutta la legislazione successiva, la quale appare


come diametralmente opposta all'esperienza legislativa in epoca fascista.
Difatti, nella Costituzione Italiana sono diverse le norme che adottano un nuovo slancio,
consapevoli dell'esperienza che ha caratterizzato il periodo immediatamente precedente.
 
Art. 4, Costituzione italiana
“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che
rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le
proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al
progresso materiale o spirituale della società”

Prima parte → in questa parte vieni riconosciuto a tutti i cittadini il diritto al lavoro.

Seconda parte → a differenza di quanto accadeva in epoca fascista, dove parte della società era
esclusa dall'attività lavorativa, con la costituzione viene riconosciuto ad ogni cittadino il dovere di
svolgere un'attività che concorra al progresso della società. È importante sottolineare come
l'articolo quattro non si limiti a esplicitare e affermare il diritto al lavoro, ma lo rafforza dicendo
che vi è un dovere di partecipare alla vita della società.

COSE IMPORTANTI (RIASSUNTO) NELLA FASE CORPORATIVA:

1. Attivismo da parte del legislatore dell’epoca fascista, che interviene sia sul versante
sindacale, sia sul versante della disciplina dei rapporti individuali di lavoro

 sul versante sindacale vengono ristabiliti limiti alla libertà sindacale e previsto il
confinamento dell'attività rivendicativa dei lavoratori in una fattispecie penale. In
questa fase storica la libertà sindacale subisce una compressione, in ragione della
costituzione di un sindacato unico, legittimato alla stipulazione di contratti collettivi
validi per tutti i lavoratori. Fase in cui contratto collettivo assume dignità formale di
fonte del diritto positivo, va a costituire un contenuto dal punto di vista delle fonti del
diritto.

Anche l'attività rivendicativa dei lavoratori viene compressa virgola in quanto lo


sciopero, il quale è l'espressione classica con cui si estrinseca l'attività rivendicativa,
diviene fattispecie di reato. Anche l’attività rivendicativa dei datori, la cd. serrata,
viene limitata

 Sul fronte dei rapporti individuali di lavoro → in particolare due legislazioni :


una riguardante l’orario di lavoro e una che riguarda il contratto d'impiego privato,
che veniva applicato solo rispetto ad una categoria dei lavoratori, ossia gli impiegati,
a cui poi veniva riconosciuta una disciplina specifica, quel contratto era fornito di una
regolamentazione che include il carattere dell’inderogabilità, in continuità con
l’esperienza legislativa pre-corporativa.  Questa inderogabilità è spiegata in base al
fatto che il lavoratore ha bisogno di trovare un’attività retribuita per sé e per il suo
nucleo familiare.
 In questa fase storica assistiamo a un attivismo legislativo, anche sul fronte
previdenziale, in particolare in materia pensionistica.

Questo riassunto ci permette di comprendere come il diritto sindacale, il diritto


previdenziale e il diritto del lavoro siano strettamente correlati fra di loro.

2. Mediante il Codice civile del 1942, in particolare mediante il suo titolo V, fa ingresso la
nozione di lavoro subordinato ai sensi dell’art. 2094, per TUTTI i lavoratori, non più solo per
gli impiegati (come invece accadeva nella legge del 1925). 

3. REGIME CORPORATIVO = il termine deriva dall’ideologia corporativa a cui il fascismo


dichiarava di ispirarsi e che esprimeva una visione organica della società nella quale gli
interessi dei singoli e delle singole, anche sul fronte lavorativo, dovevano restare
subordinati al perseguimento dell’interesse superiore della nazione. Il volto autoritario del
regime si è poi espresso attraverso l’esperienza delle leggi razziali. 
FASE COSTITUZIONALE 

Definiamo fase costituzionale del diritto lavoristico quella successiva alla Costituzione del 1945.
La nostra costituzione è stata redatta sull’influsso di una serie di tradizioni culturali di pensiero:
socialistica, cattolico, liberale. La Costituzione ha segnato la trasformazione dalla stato liberale
classico allo stato democratico e sociale (Welfare state).

Con il passaggio al Welfare state iniziano ad essere esplicitati e garantiti i cosiddetti diritti sociali (o
di seconda generazione). Possiamo definire diritti sociali quei diritti che hanno per oggetto i bisogni
dell'esistenza umana, e che si pongono come condizione per l’effettivo godimento dei diritti civili e
politici (prima generazione). Tra questi assume una posizione centrale il diritto al lavoro,
contenuto nell’articolo 4 della Costituzione. Il lavoro è una tematica cara alla Costituzione che vi
dedica un’attenzione particolare, difatti questa tematica pervade l’intero testo costituzionale:
costituisce uno dei principi fondamentali della costituzione, è contenuta nell’articolo 4 e in altre
norme contenute nel titolo III della Costituzione dedicata ai rapporti economici.

Principi Fondamentali:

La vocazione sociale della Costituzione si esprime in particolare negli articoli contenuti nei principi
fondamentali, artt. 2 e 3 Costituzione. All’articolo 2 della Cost. viene esplicitato il principio della
dignità umana, il quale che deve realizzarsi attraverso l’eguaglianza formale (art 3. Co.1, Cost.) e
sostanziale (art 3. Co.2, Cost.). Queste disposizioni sono alla base dei diritti sociali.

Quali sono alcuni di questi diritti sociali? 

 Diritto alla salute, esplicitato nell’art. 32 Costituzione.

 Diritto all’assistenza sociale, alla prevenzione sociale → Ad ogni cittadino inabile al lavoro


e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere è riconosciuto i diritto al mantenimento e
all'assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi
adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia,
disoccupazione involontaria

 Diritto all’istruzione, di cui all’art. 34 Costituzione : “La scuola è aperta a tutti.” → lascito in
positivo delle leggi razziali, proprio perché in passato parte della società era stata esclusa
dal godimento di questo diritto, perché di una fede religiosa diversa da quella della
popolazione maggioritaria.

 Tra questi anche il diritto al lavoro – esplicitato nell’articolo 4, ma soprattutto nel Titolo III
della Costituzione, dall’articolo 35 in poi.
Diritti del rapporto di lavoro

La parte più sostanziosa dedicata al lavoro la si trova nel titolo III, che si apre con art. 35.

Articolo 35, Cost:


“La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.”

Questa norma, quando è stata scritta, si pensava a un suo utilizzo limitatamente al lavoro
subordinato, ambito naturale del diritto del lavoro; tuttavia, la tutela conferita da questa
disposizione venne estesa anche al lavoro autonomo nelle sue diverse articolazioni.

Art. 36 , Cost – diritto alla retribuzione + d.al riposo + d.ferie retribuite:


“Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità
del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia
un'esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è
stabilita dalla legge. Il  lavoratore  ha  diritto al riposo settimanale e a ferie
annuali retribuite, e non può rinunziarvi.”

Trattasi di una norma precettiva, non programmatica, conferisce il diritto alla retribuzione.
In primo luogo, tale diritto deve essere proporzionato (criterio della proporzionalità) alla:

 Qualità 

 Quantità

Inoltre, la retribuzione deve essere sufficiente (criterio della sufficienza) a garantire a sé e al


nucleo familiare un’esistenza libera e dignitosa. Norma molto attuale, perché i livelli retributivi
oggi rischiano di non realizzare il parametro della sufficienza. Si parla in proposito dei cosiddetti
Working poor/work poverty, in cui la retribuzione è in conflitto con i parametri prima esplicitati, in
quanto non consente un'esistenza in grado di soddisfare una vita libera e dignitosa, le
organizzazioni internazionali cercano di rispondere a questo fenomeno che sembrava debellato in
Europa, ma non è così. 
Ciò significa che la retribuzione soddisfa i requisiti costituzionali nella misura in cui entrambi
questi criteri si possano dire soddisfatti.

All’interno dell’ art. 36 si fa riferimento anche ad altri diritti del lavoro, quali il diritto al riposo
settimanale e alle ferie retribuite.
Art. 37 Costituzione 
“La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni
che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire
l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e
al bambino una speciale adeguata protezione. La legge stabilisce il limite minimo
di età per il lavoro salariato. La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali
norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di
retribuzione.” 

→ Tenendo conto dell’esperienza passata si parla di donne e di minori, quelle che prima venivano
chiamate , ossia la categoria di lavoratori più esposte ai rischi nella fase.

Prima parte →
Nella prima parte si afferma che donne e uomini godono dello stesso trattamento giuridico nel
lavoro, non è possibile nel lavoro operare un discriminazione per ragioni di genere →
esplicitazione più precisa del principio di eguaglianza contenuto nell’art.3, Cost. (il quale
individua dei possibili fattori di rischio sulla quale basare la disuguaglianza, tra cui il sesso)

Si tratta di una norma di grande attualità perché all'interno della norma non vi è solo una
esplicitazione del diritto all’uguaglianza applicata all’ambito lavorativo, ma c’è anche un preciso
riferimento al trattamento retributivo. Così facendo questa norma esplicita una tematica che
ancora oggi fine non si è del tutto scongiurato, dati i perduranti differenziali retributivi tra uomini
e donne nel lavoro(cosiddetto gender gap - divario di genere).

Ma se è vero che le donne sono più povere degli uomini, è altrettanto vero che le donne
cominciano ad essere sempre più ricche.

Seconda parte →
Nella parte successiva dell’art. 37, si esplicita una perdurante differenza tra uomini e donne
rispetto al compito di operare un bilanciamento tra le esigenze personali e quelle di lavoro.
Motivo per cui ancora oggi notiamo un assetto normativo differente in merito all'attività di
conciliazione tra uomini e donne.

Questa norma nella sua seconda parte incornicia la donna con il compito di madre, il quale è
ritenuto un servizio necessario, “presunto” naturale in relazione alla sua capacità procreativa.
Pertanto, nella misura in cui la donna può essere madre il suo lavoro dovrebbe essere conciliati
con il suo necessario e naturale compito di madre.

Norma soggetta a numerose critiche, risente inevitabilmente del contesto sociale e storico in cui è
stata scritta dell’epoca. Da questa disposizione prende avvio serie di disposizioni verso la donna,
lavoratrice e madre contemporaneamente, le lavoratrici hanno assunto un ruolo fondamentale
rispetto al tema del bilanciamento, della conciliazione delle esigenze di vita e lavoro. Dagli anni
2000 si ha uno sviluppo sul piano del diritto del lavoro in Europa, sviluppo che ha previsto
l’inclusione degli uomini rispetto al tema del bilanciamento tra lavoro e vita → questa legislazione
cerca di attuare una tutela indifferenziata tra uomini e donne ad esempio per la conciliazione
familiare (il principio paritario)
Terza parte →

Nell’ultima parte v’è una riserva di legge per quanto riguarda il limite minimo di età per il lavoro
salariato →  Il lavoro dei minori è tutelato dalla Repubblica.

Art. 38 Costituzione : assistenza e previdenza sociale →


“ Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha
diritto al mantenimento e all'assistenza sociale.
I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle
loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia,
disoccupazione involontaria.”

Quanto affermato nel 1° comma rappresenta il fondamento dell’assistenza sociale, il comma 2° è


la base del diritto previdenziale…

Comma 1:
La norma esordisce sottolineando l’ambito applicativo di questo comma, ossia i cittadini; tuttavia,
la giurisprudenza costituzionale ha affermato un ampliamento, oltre l’ambito della cittadinanza,
del diritto all’assistenza sociale. Inoltre, le norme contenute nel testo unico in materia
immigrazione straniera extra europea conferisce questo diritto anche agli stranieri non comunitari
(con qualche limite).

L’assistenza sociale viene riconosciuta solo quando siano soddisfate congiuntamente 2 condizioni:

 stato inabilità al lavoro

 assenza di mezzi necessari per vivere

Questo perché al ricorrere di queste condizioni, il soggetto può incorrere nel rischio di povertà e di
esclusione sociale. Il contesto sociale-economico odierno, porta il dibattito del diritto lavoristico a
focalizzarsi sul fenomeno di chi pur svolgendo un’attività lavorativa si esponga al rischio di
povertà/esclusione sociale ( cd. working poor)  Alla luce di questi fenomeni, alcuni hanno
ritenuto che il testo costituzionale anziché usare il disgiuntiva “e” avesse usato la “o”, prevedendo,
così, l’ipotesi di chi, pur essendo abile al lavoro, si trovasse in una condizione di bisogno.
Comma 2:
Per quanto riguarda il comma 2°, i soggetti titolari del diritto previdenziale sono i lavoratori → il
diritto previdenziale è connesso al diritto di lavoro e al rapporto di lavoro.

LAVORATORI  rivolta alla generalità dei lavoratori o solo una parte di essi? E’ una norma il cui ambito di
applicazione è rivolto solo al lavoro subordinato o deve includere anche il lavoro autonomo?
Secondo l’interpretazione che ne è stata data questo comma include nel suo ambito di
applicazione anche il lavoro autonomo. Interpretazione che si fonda sulla lettura combinata di
art.35, co 1 e art.38, co 2.

Il Lavoro = subordinato + autonomo.

NB: Non diversamente da assistenza sociale, anche la previdenza sociale include la componente
straniera. 

Questo comma ci dice che al verificarsi di una serie di eventi generatori di bisogno, scaturisce un
sistema di protezione. Questi eventi sono: infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia,
disoccupazione involontaria. Nel dibattito giuridico ci si è chiesti se questa lista fosse tassativa o
esemplificativa. È prevalsa l’idea secondo la quale questa lista sia esemplificativa → quindi
possono essere inclusi altri eventi generatori di bisogno.

L’Art. 39 e 40 Costituzione costituiscono il fondamento del diritto sindacale, parte significativa del
diritto del lavoro.

Art. 39 Costituzione : 
“L'organizzazione sindacale è libera” 

“Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione
presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge.
È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un
ordinamento interno a base democratica.
I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati
unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro
con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il
contratto si riferisce.”

Comma 1:
Rovesciamento rispetto a periodo corporativo, in cui la libertà di aggregazione dei lavoratori era
compressa → riconoscimento come diritto soggettivo pubblico della libertà sindacale. Si tratta di
un'ipotesi tipica della libertà di associazione, di cui parla l'articolo 18 della costituzione diritto di
associazione), tipica perché si tratta di diritto ad associarsi, relativamente ai lavoratori al fine di
realizzare un’autotutela.
La scelta della parola organizzazione riferimento ad una modalità più inclusiva e ampia possibile di
aggregazione, in contrapposizione al periodo corporativo.
Comma 2 e 3:
Nei commi successivi dell’articolo 39 viene a costituirsi il fondamento di un altro aspetto del diritto
sindacale e del diritto del lavoro, ossia l’autonomia negoziale collettiva tra libere e contrapposte
organizzazioni sindacali di lavoratori e di datori di lavoro, che è diretta a regolare l’interesse
collettivo delle lavoratrici e dei lavoratori.  Quindi il nostro ordinamento oltre a riconoscere
l’autonomia negoziale privata individuale, riconosce l’autonomia negoziale collettiva.

Questi contratti collettivi hanno efficacia erga omnes, cioè vengono estesi alla generalità dei
lavoratori. Tuttavia, affinché le contrattazioni dei sindacati siano efficaci, questi devono rispettare
una serie di passaggi:

 REGISTRAZIONE DEI SINDACATI

 ORDINAMENTO INTERNO DI STAMPO DEMOCRATICO

Il modello di contrattazione presentato dall’articolo 39 della Cost., di fatto, NON ha avuto seguito
 i sindacati non si sono mai sottoposti ad una registrazione, al vaglio dei loro statuti e
conseguentemente non vi è stato un riconoscimento legale della validità erga omnes della
contrattazione collettiva. È una parte dell’art. 39 che è rimasta inattuata.

Ad oggi, non avendo la contrattazione collettiva una disciplina specifica, quindi in via generale è
soggetto alle norme previste per le obbligazioni tra privati. Tanto che il fenomeno della
contrattazione collettiva post costituzionale viene anche denominata contrattazione collettiva di
diritto comune, perché si tratta di negozi stipulati da privati.

Perché questa parte, così rilevante, non ha avuto attuazione?


All’epoca c’erano ragioni per cui i sindacati si sono posti di traverso all’attuazione di questa parte
della costituzione:

- I sindacati NON volevano registrarsi ed essere sottoposti ad un controllo pubblico 


contrastavamo ogni forma di intrusione statale nella loro vita associativa. Probabilmente
perché era ancora troppo presente il ricordo delle intrusioni e del controllo autoritario che
vi era nel periodo fascista/corporativo.

- Un’altra obiezione venne posta dal sindacato di ispirazione cattolica (CISL), perché con
questa norma avrebbe avuto un peso contrattuale minore rispetto a CGIL, la quale aveva
una consistenza numerica superiore.

Quindi, la contrattazione collettiva negli anni successivi non riceve una disciplina coerente allo
schema costituzionale. 
Art. 40 Costituzione – diritto di sciopero
“Il diritto di sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo regolano”

L’articolo 40 fonda il diritto di sciopero → discontinuità con periodo corporativo, in cui l’attività
rivendicativa dei diritti dei lavoratori costituiva una fattispecie di reato in base al Codice Rocco. 

Art. 41 Costituzione :
L'iniziativa economica privata è libera.

Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla
salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività
economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e
ambientali

 Scelta del modello economico su cui si fonda la nostra repubblica.


L’articolo 41, nel comma 1°, contiene il riconoscimento della libertà di iniziativa economica
privata, la quale, però, ai sensi del comma 2°, non può svolgersi in con l’utilità sociale o in modo
da recare danno alla libertà, alla sicurezza e alla dignità umana.

Il combinato disposto degli artt. 3 co 2 e 41 consente di intravedere un programma costituzionale


di riduzione delle diseguaglianze sociali. Per quanto l’articolo 41 legittimi la libera iniziativa
economica privata, è altresì vero che questa resta subordinata al primato della libertà, della
sicurezza e della dignità umana.
FASE POST COSTITUZIONALE :

Nel trentennio successivo alla Costituzione vi è uno sviluppo consistente della legislazione del
lavoro, parallelo (anni 50, 60 e 70) a una fase di forte sviluppo economico : c.d. trentennio
glorioso, cicli di forte sviluppo economico che hanno influenzato l’accrescimento di legislazione
protettiva verso i lavoratori.

ANNI 50’

Negli agli anni immediatamente successivi alla costituzione vi è un andamento della legislazione
del lavoro abbastanza timido e cauto, emerge anche una certa delusione rispetto all’attività
legislativa operata, soprattutto in rapporto alle promesse e ai contenuti della costituzione. Siamo
in una fase storica in cui prevale ancora l’individualismo liberale, quindi l’autoregolamentazione
privata. Occorrerà del tempo affinché i principi della costituzione trovino spazio nella legislazione
successiva.

Nonostante ciò, ci sono una serie di legislazioni che hanno fortemente condizionato il diritto del
lavoro successivo :

 Legge n°264 /1949 “attuativa del collocamento pubblico”  ossia una disciplina il cui
scopo è quello di regolare la mediazione tra domanda e offerta di lavoro, cioè far
incontrare le imprese e i lavoratori.

Nel tempo vi è stata la progressiva riduzione, ed infine abbandono della mediazione


pubblica, la quale ha lasciato spazio a soggetti prevalentemente privati (Legge Biagi –
imponente riforma del diritto del lavoro, attuata mediante il d.lgs. 276 del 2003).

 Legge n°860/1950  legge che rinnova la previgente disciplina a favore delle lavoratrici
madri.

 Legge 264/1958  sul lavoro a domicilio

Per quanto riguarda il più specifico diritto sindacale, in questo periodo, per aggirare gli ostacoli
determinati dal punto di vista dell’attuazione dell’art. 39 nella parte relativa alla contrattazione
collettiva (cioè co 2 ss.), il legislatore si inventa un escamotage per rendere di fatto la
contrattazione collettiva applicabile alla generalità dei lavoratori  LEGGE VIGORELLI N° 741/1959
→ stabiliva il recepimento, mediante decreto, dei contratti collettivi e ciò al fine di garantire un
minimo trattamento protettivo economico nei confronti dei lavoratori.

In concreto, i sindacati portavano questi contratti che poi costituivano il contenuto di un decreto,
sono stati, così, emanati decine e decine di decreti che riflettevano numerosi contratti collettivi
sforniti dell’efficacia erga omnes, che , però, veniva acquisita di fatto con il decreto. Poi, questo
meccanismo venne dichiarato l’illegittimità da parte della Corte costituzionale.
ANNI 60’

Gli anni Sessanta si aprono con delle legislazioni importanti:

Questi sono anni in cui il legislatore è chiamato a contrastare fenomeni di iper-sfruttamento nel
lavoro, fenomeni di servilismo o neoschiavismo lavorativo:

 Legge n°1369/1960  legge sul divieto di interposizione nell'impiego di manodopera -


norma che vieta ai soggetti privati di commerciare mediante la fornitura di lavoratori alle
imprese -- Si tratta del cd. fenomeno del caporalato

Esempi: settore dell’agricoltura particolarmente colpita

 Legge n°230/1962  la norma prevede delle forti limitazioni in caso di stipulazione di un


contratto a termine. Si tratta di una forma atipica di contratto, in quanto si discosta dal
modello standard del contratto a tempo indeterminato.
Questa legge prevedeva l’apposizione di un termine determinato solamente in casi
eccezionali, questo perché la garanzia dei lavoratori si attua mediante la stabilità
dell'impiego, che viene invece precarizzata con l’apposizione del limite di durata

 Legge n°7/1963  legge che poneva dei limiti al licenziamento per causa di matrimonio.
Erano anni nei quali la discriminazione per motivi di genere era molto diffusa, e uno dei
modi in cui si sostanziava era la di rapporto del lavoro a seguito del matrimonio delle
lavoratrici, perché ad esso poteva seguire la gravidanza.

 Legge n° 604/1966  norma sul licenziamento individuale.


Legge che prevede, diversamente da come si era fatto fino ad allora, limiti al potere di
recesso datoriale ( cioè al datore di lavoro). Fino ad allora la regola era quella della libera
recedibilità, di cui l’art. 2118 C.C., secondo la quale è possibile alle parti (datore e
lavoratori) recedere dal rapporto senza alcun limite, salvo preavviso o dell’indennità
sostitutiva del preavviso.

Art. 2118 c.c. :


“Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo
indeterminato, dando preavviso nel termine e nei modi stabiliti, dagli usi o
secondo equità.
In mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l'altra parte a
un'indennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe
spettata per il periodo di preavviso
La stessa indennità è dovuta dal datore di lavoro nel caso di cessazione del
rapporto per morte del prestatore di lavoro” 
Assumendo la diseguaglianza, di fatto esistente, tra lavoratore e datore di lavoro, questa
legge pone in capo al datore di lavoro una serie di limiti al suo potere di recesso, cioè di
interrompere il contratto. Il datore è legittimato ad esercitare il suo potere di recesso
solamente nel caso in cui sussista un giustificato motivo, come definito dall’art. 3 della
medesima legge. Questa giustificazione può essere duplice:

 Giustificato motivo OGGETTIVO : Sono motivazioni che non riguardano l’eventuale


inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del datore di lavoro, semmai si
fa riferimento a condizioni oggettive riguardanti l’impresa, tali da non permettere il
proseguimento di quel rapporto di lavoro.

 Giustificato motivo SOGGETTIVO : Questioni riguardanti l’inadempimento degli


obblighi contrattuali da parte del lavoratore.

Esempio: licenziamento dovuto all’assenza dal lavoro non giustificata

Il licenziamento individuale è legittimo non solo da punto di vista causale in presenza di un


motivo oggettivo o soggettivo, ma anche laddove questo sia stato motivato da una giusta
causa, ossia un grave inadempimento del lavoratore ai sensi dell’art. 2119 c.c.
L’art. 2119 fa riferimento ad un grave inadempimento, tale da giustificare la cessazione
immediata del rapporto di lavoro, senza che sia previsto un preavviso o sia riconosciuta una
indennità, a differenza di quanto si verifica nell’ipotesi di licenziamento ingiustificato.

Questo significa che l’articolo 2118 è stato implicitamente abrogato?


Non vi è stata un’abrogazione implicita, il principio della libera recedibilità è ancora valido
in alcune ipotesi residuali di recesso datoriale 

Per esempio, il recesso datoriale che si verifica nel periodo di prova. Il periodo
di prova (di cui all'art. 2096 c.c.) dà la possibilità di recedere liberamente,
senza che il datore debba sottostare alla regola della necessaria giustificazione
del recesso.

Sempre in questi anni la legislazione si è sviluppata anche sul fronte del diritto previdenziale:

 Legge 1115/1968  La prima legge a prevedere una cassa integrazione, poi ripresa negli
anni successivi con una legge del 1975. La cassa integrazione è una forma di tutela
previdenziale che si attiva nell’ipotesi di disoccupazione involontaria. È uno degli istituti che
compongono i c.d. “ammortizzatori sociali”. 
ANNI 70’

La fine degli anni 60’ è segnata da numerose trasformazioni sociali, nel 1968 nasce il Movimento
Studentesco; e non solo, questi sono gli anni del femminismo, anni in cui il conflitto capitale-lavoro
si inasprisce, anni in cui  anche il conflitto politico diventa teso, assumendo connotazioni violente,
terroristiche. Anche il mondo del lavoro è in subbuglio (prese di coscenza). Questo periodo prende
il nome di “autunno caldo”.

 Sulla scia di questi eventi, viene alla luce la legge n°300/1970, il cd. STATUTO DEI
LAVORATORI .. Da un lato questa legge, mediante le previsioni contenute nel titolo I,
riconosce le fondamentali libertà costituzionali all’interno dei luoghi di lavoro; dall’altro,
nei titoli II e III dello Statuto, si occupa di assicurare le condizioni normative funzionali
all’esercizio dell’attività sindacale. In questa legge si esprime appieno il legame tra i
rapporti di lavoro e il diritto sindacale.

Il punto di raccordo tra questi due blocchi normativi è l’art. 18 dello Statuto, articolo
istitutivo di una speciale tutela c.d. “reale” in caso di illegittimo licenziamento da parte di
imprese con una specifica consistenza numerica (imprese medio-grandi) – ne parleremo
poi. Questa norma chiude il titolo II.

ART. 14 della legge 300 :


Il diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività
sindacale, è garantito a tutti i lavoratori all'interno dei luoghi di lavoro.

 Norma che esplicita in maniera più specifica, facendo riferimento ai luoghi di lavoro,
quanto già previsto dall’articolo 39, comma 1 della Cost., ossia la libertà sindacale.

Negli anni 70’ si inizia a ragionare sulla conciliazione delle esigenze di vita-lavoro  è la donna
lavoratrice il soggetto principale di questa legislazione. Come abbiamo già visto nell’articolo 37
della Costituzione, alla donna è ritagliato il compito di madre, “presunto” naturale in relazione
alla sua capacità procreativa. Pertanto, nella misura in cui la donna può essere madre il suo lavoro
dovrebbe essere conciliato con il suo necessario e naturale compito. Questa è la visione della
donna lavoratrice che andrà a condizionare la legislazione successiva:

 Legge 1204/1971  legge di attuazione costituzionale (art. 37 Cost, parte seconda).


Legge che riconosce alla lavoratrice subordinata una serie di tutele con lo scopo di tutelare
il nascituro o il minore. Per esempio, in questa legge sono previste delle astensioni
legittime dal lavoro da parte della lavoratrice, antecedenti e successive al parto.
In particolare, questa legge riconosce 2 astensioni:

 Periodo di astensione “obbligatoria” – alla lavoratrice viene imposto un periodo di


astensione che copre i 2 mesi antecedenti la data del parto, cd. astensione
antepartum, e i 3 mesi successivi alla data del parto, per un totale di 5 mesi. In questo
periodo di legittima assenza, al fine di tutelare economicamente la lavoratrice, a
quest’ultima viene, nondimeno, riconosciuto una indennità di maternità.
Somma che viene erogata da datore di lavoro, il quale si rivarrà nei confronti
dell'istituto previdenziale in via di conguaglio rispetto ai contributi. L’importo
dell’indennità che viene riconosciuta alla lavoratrice ammonta per legge all’80% della
retribuzione.

 In realtà, l’indennità riconosciuta alle lavoratrici è superiore all’80%, questo grazie


all’intervento della contrattazione collettiva, la cui funzione è quella di creare un
rapporto di lavoro in senso migliorativo rispetto alla disciplina legale (art. 39
Costituzione).

 Periodo di astensione “facoltativa” - A questa astensione la legge dà facoltà alla


donna di prolungare l’astensione dal lavoro, per ulteriori 6 mesi, entro il primo anno
di vita del bambino.

Anche in questo caso, la legge riconosce un’indennità. Come per l’astensione


obbligatoria, il datore di lavoro dovrà erogare l’indennità alla lavoratrice, e
successivamente potrà rivalersi sull’istituto previdenziale. Questa indennità
ammontava al 30% della retribuzione, salvo l'intervento della contrattazione
collettiva in senso migliorativo.

Questa non era l’unica forma di tutela riconosciuta, difatti la legge 1204 prevedeva anche
le cd. astensioni anticipate  ossia la possibilità di anticipare e ampliare il periodo di
astensione obbligatoria, ad esempio in caso di sostanze pericolose sul luogo lavorativo.

Estremamente rilevante è quella parte di legge che prevede una tutela particolarmente
incisiva per quanto concerne il licenziamento individuale  La lavoratrice nel periodo che
intercorreva dai 2 mesi antecedenti all’anno successivo al parto non poteva essere
legittimamente licenziata (tutela della madre). Tuttavia, la legislazione prevedeva delle
eccezioni :

1. COLPA GRAVE DELLA LAVORATRICE, COSTITUENTE GIUSTA CAUSA PER IL LICENZIAMENTO


→ In linea generale, sappiamo che il licenziamento individuale è legittimo nella
misura in cui sussiste un giustificato motivo (oggettivo o soggettivo) o sussiste la
giusta causa (art. 2119 c.c.). L’ipotesi derogatoria richiamata dalla legge fa
riferimento ad una ipotesi di giusta causa particolarmente giustificata, rispetto a
quello che legittimerebbe normalmente un licenziamento per giusta causa, questo
perché deve essere conciliato con la condizione in cui si trova la lavoratrice
(gravidanza e madre).

2. CESSAZIONE DELL’ATTIVITÀ DI CUI LA STESSA LAVORATRICE ERA ADDETTA

3. SCADENZA DEL TERMINE DEL SUO RAPPORTO DI LAVORO


Commenti alla legge 1204/1971
Come si può notare, è centrale ed esclusiva, in questa legge, la figura femminile, NON vi è alcuna
disposizione che riguardi i padri. Coerentemente a quanto detto all’inizio, si riteneva che la
conciliazione vita familiare - lavoro fosse qualcosa che riguardava esclusivamente la donna
lavoratrice.

Inoltre, questa legislazione NON guarda alla generalità delle lavoratrici, ma solo ad una parte di
esse, ossia le lavoratrici dipendenti.

Le cose iniziano a cambiare significativamente qualche anno dopo:

 Legge n° 903/1977 - legge sulla parità di genere nel lavoro  legge di attuazione di una
direttiva europea (n°207/1976) e che esplicita anche la prima parte dell’art. 37 della
Costituzione.

Il soggetto non sono più le sole donne lavoratrici ------> In questa legge notiamo diverse
disposizioni che esplicitano il principio paritario nel lavoro rispetto a tutte le fasi in cui esso
si articola (accesso, svolgimento, cessazione etc…), ma anche norme che riguardano la
paternità dei lavoratori. Questa legge prevede la possibilità per il padre, di poter
subentrare alla madre nel periodo di astensione facoltativa, qualora questa non possa
goderne ( Astensione in via derivata). Non è un diritto iure proprio del padre (ora i padri
sono titolari iure proprio di congedi di paternità), ma che deriva dall’impossibilità della
madre dell’astensione facoltativa.

Es. morte/decesso della madre → il diritto è della madre, che cede, non è
ancora un diritto del padre

Es. abbandono

Es. grave infermità della madre

Si parla di Congedo di paternità in via derivata, il cui trattamento economico normativo


sarà uguale a quello della madre, ossia il 30%, salvo una migliore regolamentazione
derivate da una pattuizione collettiva.

 Legge 833/1978  legge istitutiva del servizio sanitario nazionale. Legislazione del diritto
sulla sicurezza sociale, costituito dalle norme della previdenza e assistenza sociale →.
TENDENZE ATTUALI DEL DIRITTO LAVORISTICO

Negli anni successivi la legislazione diviene sempre più complessa, in relazione all’enormità di
provvedimenti emanati sui tre fronti per noi rilevanti:

 Disciplina rapporto lavoro

 Diritto sindacale

 Diritto previdenziale

L’andamento e le tendenze legislative di quegli anni possono essere decritti come:

► DEREGOLAZIONE: dalla seconda metà anni ‘70 inizia ad entrare in crisi il modello
economico del tempo, entra in crisi il c.d. “trentennio glorioso” in cui si era assistito a un
forte sviluppo sociale ed economico. Peggioramento dovuto alle prime grandi crisi
petrolifere, l’approvvigionamento materie prime diventa complesso.

Inizia, così, a svilupparsi una legislazione volta a favorire la cd. “flessibilità in entrata”. In
altre parole, in quegli anni inizia un’abbondante produzione legislativa che aumenta le
figure negoziali di lavoro subordinato, e anche autonomo, c.d. figure atipiche ( ossia forme
contrattuali che per uno o più aspetti si discostano dal tipo contrattuale standard ), al fine
di rilanciare l’economia.
Fu così che in quegli anni si assistette alla proliferazione di figure di lavoro
precarie/instabili, questo perché si riteneva che ad una maggiore flessibilità in entrata, e
quindi allo sviluppo di figure negoziali flessibili e atipiche per l’accesso al lavoro,
corrispondesse un maggiore slancio dal punto di vista economico, e quindi anche sul fronte

occupazionale.

Legge Biagi – d.lgs. 276/2003  in tal senso, questa legge ne è un esempio, difatti in
questa legislazione osserviamo la tendenza alla c.d. flessibilità in entrata, quindi si assiste
ad una proliferazione di figure negoziali atipiche o precarie.

Negli anni successivi, questo impianto normativo viene modificato diverse volte, e a
seconda degli equilibri parlamentari di governo, tali interventi sono stati orientati in un
caso ad una restrizione di questa flessibilità, nell’altro in una prospettiva ampliativa di
questa deregolamentazione.

Esempio  La legge 247/2007 (governo Prodi) – cd. “protocollo welfare” – è un esempio di


intervento restrittivo della “flessibilità in entrata , orientato a dare stabilità al rapporto di
lavoro. A questa seguirà, al modificarsi degli equilibri politici, un intervento di natura
ampliativa della flessibilità in entrata, cioè legge la legge 133 /2008 (governo Berlusconi). 
Segue in quegli anni la Crisi finanziaria del 2008, dalla quale deriva l’esigenza di una serie di
interventi (per esempio sul fronte previdenziale, della sicurezza sociale etc…) volti proprio a
realizzare un risparmio della spesa pubblica.

► Riforma c.d. “salva Italia”, legge 214/2011, con cui è stato modificato il sistema
pensionistico, al fine di realizzare un risparmio, richiesti dalla crisi. Per esempio, al fine di
posticipare e ridurre gli oneri sociali (ossia la spesa pubblica), venne previsto un
innalzamento dei requisiti anagrafici per l’ottenimento della pensione di vecchiaia.

Anni in cui si era costituito governo tecnico a guida del professor Monti, verrà emanata:

Legge Fornero – 92/2012  Questa legge da una parte cerca di limitare la “flessibilità in entrata”,
dall’altra, però, presenta delle rilevanti eccezioni:

- Sono state previste delle modifiche, in senso flessibile, di alcuni sottotipi negoziali del
lavoro subordinato, in particolare sul contratto di lavoro a termine. = Sono state ampliate
le ipotesi di stipulazione di un contratto a termine, precario dal punto di vista della durata.

- Inoltre, questa legge ha previsto una maggiore “flessibilità in uscita”, quindi la disciplina sul
licenziamento individuale diviene meno garantista, poiché questa legge va a toccare l’art.
18 dello statuto dei lavoratori, in cui è stata disciplinata la tutela reale. 

Con la legge Fornero per la prima volta nel nostro paese (in altri paesi europei si era già realizzato
da tempo) i lavoratori padri, divengono titolari direttamente di congedi lavorativi, è soggetti della
disciplina di conciliazione, almeno in teoria.
Gli uomini diventano titolari di un congedo obbligatorio(art 4, co.24), sino ad allora spettante solo
alla madre. Tuttavia, il periodo di congedo riconosciuto ai lavoratori-padri era pari a 1 giorno (c’è
stata una certa delusione). Il lavoratore poteva godere di questo congedo obbligatorio entro i
primi 5 mesi di vita del bambino (lo prendeva il giorno del parto solitamente). Al padre veniva
riconosciuto non l’80%, come alle lavoratrici, ma il 100% della retribuzione.

In realtà, i padri potevano usufruire di un ulteriore congedo di natura facoltativa, fruibile sempre
entro i primi 5 mesi di vita del bambino, previo consenso e in sostituzione della madre, pari a 2
giorni.

Nonostante la dotazione temporale scarsa, questo passaggio aveva un valore simbolico (almeno ci
si stavano ragionando).
Quanto previsto dalla legge Fornero (che tratta principalmente il congedo obbligatorio) andava ad
aggiungersi a quello che si era realizzato, per quanto riguarda le astensioni facoltative:

► Con la legge 53/2000 . Si tratta di una legge di attuazione di una direttiva europea, che
aveva previsto il riconoscimento di un “congedo parentale” facoltativo, non più solo alla
madre e in via derivata al padre, ma paritariamente per ciascuno dei genitori. Sia per il
lavoro autonomo che dipendente.
NB: Importante perché notiamo un’inclusione degli uomini dal punto di vista delle
esigenze di bilanciamento tra vita e lavoro.

In continuità rispetto al sistema previgente sono la durata e l’indennizzo, che restano


rispettivamente pari a 6 mesi a testa e al 30% della retribuzione. Una variazione si ha in
merito all’arco temporale in cui era possibile avvalersi di questa astensione: In origine la
legge diceva “sino al compimento degli 8 anni di vita del bambino” (poi modificata)

In base al testo originario di questa legge, venivano riconosciuti solo 6 mesi di indennizzo ai
genitori, di conseguenza parte dell’astensione non veniva coperta. Questa indennità veniva
riconosciuta solamente nel caso in cui fosse stata attivata entro i 3 anni di vita del
bambino. In caso di frazionamento dell’astensione oltre questo limite, l’indennizzo veniva
riconosciuto solo se i genitori non avessero raggiunto alcuni limiti reddituali (caso di
bisogno economico).
Nel caso in cui entrambi i genitori si avvalessero di questa astensione , i mesi a disposizione,
di cui solo 6 erano coperti da un’indennità previdenziale, arrivavano ad un limite di 10.

Esempio: In  concreto, se anche il padre avesse deciso di attivare


quest’astensione di cui era titolare in proprio, sarebbe potuto essere 5 e 5 o 6 e 4.

Il congedo veniva riconosciuto anche nell’ipotesi in cui il genitore fosse single; in tal caso la
dotazione prevista per il singolo genitore era di 10 mesi. Restava invariato il trattamento
economico (30%).

Al fine di incentivare gli uomini al godimento del congedo, questa normativa prevedeva
anche un premio: nel caso in cui il padre avesse usufruito di 3 mesi continuamente o
frazionatamente, aumentava di 1 mese la dotazione complessiva di mesi utilizzabili per il
congedo.

La tutela genitoriale prevista da questa legge opera anche in casi diversi dalla filiazione
naturale, ossia in caso di filiazione legale (adozione e affidamento).
Questi diversi modelli familiari implicano termini di decorrenza della titolarità di questi
diritti differenti rispetto a quelli previsti per la filiazione naturale. In questo caso il
momento a cui fare riferimento è l’ingresso del minore nel nucleo familiare [sposta anche
il periodo entro cui si può godere dell’astensione].

Dunque, i padri avevano diritto ad un (1) congedo parentale (legge 53 del 2000); (2) un
congedo obbligatorio in via derivata nel momento in cui la madre non fosse nella
condizione di goderne, ma solo dopo il parto; e (3) ai congedi di cui alla legge Fornero
(congedo di paternità obbligatorio e facoltativo).
Si ebbe, così, nell’ordinamento una situazione in cui si erano sovrapposte diverse legislazioni: alla
legge 1204/1971 era seguita la 903/1977 e poi la 53/2000  ne derivava un quadro normativo
molto complesso. Per questo motivo, all’interno della legge 53/2000 vi è una delega legislativa,
con la quale si chiede al governo di operare una riorganizzazione e sistematizzazione della
legislazione legislativo previgente (abrogare norme che non avevano più senso, coordinare gli
interventi precedenti con quelli successivi).

► Conseguentemente il governo emise il d.lgs. 151/2001 – che ancora oggi costituisce la


Testo unico in materia di tutela della maternità e della paternità.

Quello che un tempo era chiamato astensione obbligatoria prese il nome di congedo di
maternità e venne disciplinato dall’articolo 16 ss. Del Testo unico in materia di tutela della
maternità e paternità. La disciplina sul congedo parentale, che va a sostituirsi alla
precedente astensione è contenuta nell’art. 32 ss. del decreto legislativo 151. Il congedo
obbligatorio del padre in via derivata è regolamentato dagli artt. 28 ss. del decreto 151.

La disciplina del congedo di paternità obbligatorio e facoltativo (art.4, co.24), contenta


nella Legge Fornero del 2012, la quale è successiva a questo decreto legislativo, non venne
inclusa nel decreto 151/2001, ma resta al di fuori del testo unico.

VOUCHER BABY-SITTING E ASILO NIDO

Nella legge Fornero osserviamo anche altre novità importanti che vanno a modificare la
previgente disciplina in materia di congedo parentale. L’articolo 4, co. 24 introduce i cd. voucher
baby-sitting o asilo nido. Viene riconosciuto alla madre un importo in sostituzione del congedo
parentale, importo che andrà a sostenere le spese per un servizio di baby-sitting o per pagare i
servizi per l’infanzia accreditati. Lo scopo era favorire le madri, consento a queste di continuare a
lavorare e in tal modo contrastando il fenomeno dell’espulsione dal mercato del lavoro delle donne
a seguito di un esteso prolungamento della sospensione dell’attività lavorativa.

Critica  questa disposizione va ad incidere sul congedo parentale della sola madre e non
del padre, violazione del principio paritario che era esplicitato dalla legge 53 del 2000.

La ragione per cui si è operata questa decisione è che, di fatto, ad avvalersi di questa astensione
erano più le donne degli uomini; nonostante ciò, il congedo parentale dovrebbe essere
riconosciuto in via paritaria ad entrambi. Quindi le lavoratrici possono scegliere se astenersi dal
lavoro o avvalersi di questo sostegno economico per baby-sitting o servizi d’infanzia accreditati.
In quello stesso anno viene emessa un’altra legge che va a modificare la disciplina del congedo
parentale:

► LEGGE 228 /2012 – cd. “Legge di bilancio per l’anno 2013” Questa legge modifica il
congedo parentale su impulso di una normativa europea sui congedi parentali. La legge
previse il frazionamento a ore del congedo parentale, quindi possono alternare
l’astensione alla presenza nel luogo di lavoro. A differenza della legge Fornero questa legge
venne accolta più favorevolmente perché:

- SI RIVOLGE A ENTRAMBI I GENITORI

- INTRODUCE UNA SORTA DI FLESSIBILITÀ ORARIA. In questo modo il lavoratore o


lavoratrice non devono necessariamente astenersi per un lungo periodo dal luogo
di lavoro  in questo modo si è voluto scongiurare il rischio di discriminazione per
ragioni di genere conseguente alla maternità nei cfr. delle lavoratrici.

Questa disposizione, a differenza della legge Fornero, viene incorporata nel d.lgs.
151/2001, ossia nel testo unico dedicata alla disciplina del congedo parentale.

Inoltre, la l. 228/2012 rinvia alla contrattazione collettiva l’individuazione delle concrete


modalità di utilizzo di questo frazionamento a ore del congedo parentale. Salvo rare
ipotesi, la contrattazione collettiva non si è espressa in merito alle modalità di godimento.
Quindi, di fatto, non ci si è potuti avvalere di questo frazionamento a ore del congedo.
JOB ACT
Questi aspetti problematici rimasti in sospeso saranno oggetto del d.lgs. n. 80 del 2015 che
costituisce uno dei decreti legislativi del Job Act, enorme riforma del lavoro e previdenziale voluta
dal governo Renzi.

Questa riforma, che la dottrina ha distinto in 2 atti, si pone in continuità rispetto alla legge
Fornero, difatti ha cercato di favorire la stabilità dei rapporti di lavoro, ossia di limitare la
“flessibilità in entrata” con delle eccezioni:

- Viene prevista una maggiore flessibilità dei contratto di lavoro subordinato a termine.
Sono state ampliate le ipotesi di stipulazione di un contratto a termine, precario dal punto
di vista della durata.

- Come nel caso della legge Fornero notiamo anche qui un intervento dal punto di vista
della flessibilità in uscita.

Ma è questa riforma non si limita alla sola “deregolamentazione”, ma guarda un po’ a tutti o a
quasi tutti gli istituti del diritto del lavoro.

JOB ACT - ATTO PRIMO


La prima fase di questa riforma è caratterizzata dalla legge n° 78/2014 in cui vengono previste
delle modifiche del contratto di lavoro a termine, mediante le quali si è operato nel senso di
un'ulteriore liberalizzazione (/flessibilità) di questa forma contrattuale, al fine di stimolare
l’occupazione. Questo provvedimento va a costituire il c.d. job act atto primo.

JOB ACT, ATTO SECONDO


A questo provvedimento seguirà la legge delega 183/2014 da cui sono scaturiti diversi decreti
legislativi di attuazione di questa delega legislativa:

 D.lgs. 80/2015  decreto legislativo che, come anticipato, va a integrare la disciplina in


materia di congedi genitoriali prevista dal testo unico e dalla legge Fornero.

 D.lgs. 81/2017  intervento legislativo che chiude l’esperienza del governo Renzi,
disciplinante il lavoro agile, c.d. smart working, rilevante sia dal punto di vista della
conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e anche nello studio della questione della
subordinazione.

 D.lgs. 81/2015  che sarà oggetto di analisi nell’ambito del ciclo di lezioni dedicato alle
tipologie negoziali, perché questo decreto legislativo che costituisce un po’ il testo unico
dal punto di vista della disciplina relativa alle figure negoziali atipiche.
Gli anni successivi sono contrassegnato da crisi e interventi di garanzia, sia sul fronte lavoristico,
sia nel diritto della sicurezza sociale (disposizioni in cui confluiscono norme previdenziali e norme
del diritto dell’assistenza sociale). Segue all’esperienza Renziana:

► il decreto-legge 87/2018, cd. decreto dignità, poi convertito con la legge 96/2018.
Si assiste ad una vistosa riduzione della “flessibilità in entrata e in uscita”, sostanzialmente
si realizza un intervento correttivo sulla disciplina dei contratti di lavoro a termine.

In questi anni emerge il fenomeno della povertà, o meglio delle nuove povertà, a causa di diversi
cicli di crisi economico-finanziarie. Per questo motivo viene prevista una disciplina in materia di
sostegno della povertà: nasce, così, nel 2019 il REDDITO DI CITTADINANZA (governo Conte I)
Questa disciplina va a sostituirsi a quella previgente, ossia al cd. reddito di inclusione, emanata
poco tempo prima (2017).

Al reddito di cittadinanza seguiranno molti altri provvedimenti, in particolare sul fronte


previdenziale e assistenziale, motivati dalla pandemia:

 Numerosi sono stati i provvedimenti riguardanti il congedo parentale – questo perché la


pandemia ha portato alla chiusura delle scuole di ogni ordine e grado a tutela della salute
pubblica.

 Disposizioni che prevedevano dei bonus (per varie ragioni)

 Importanti modifiche sulla disciplina dello smart working, rese necessarie dal periodo
d’emergenza: il lavoro smart diventa la forma tipica nell'impiego pubblico.
Di conseguenza, durante la pandemia, si è derogato un principio tipico del lavoro smart,
ossia il principio di volontarietà. Normalmente lo smart working veniva inteso come una
modalità di esecuzione della prestazione lavorativa flessibile, che poteva essere adottata
dietro specifico accordo delle parti. Tuttavia, la situazione ha richiesto e ammesso la
possibilità di svolgere il lavoro agile (smart) anche in assenza di un accordo tra le parti.

Sempre in questo periodo, vi è stato un intervento massiccio per la tutela dei casi di
disoccupazione involontaria: cd. ammortizzatori sociali  ad esempio sul fronte della cassa
integrazione.
La pandemia ha inasprito il fenomeno della povertà, dell’insufficienza del reddito a tal punto da
rendere necessario un ulteriore sostegno al reddito (reddito c.d. di emergenza = previsto dopo la
disciplina del reddito di cittadinanza).
FONTI DEL DIRITTO DEL LAVORO :

Legge

Ok, le leggi, ma quali leggi? Parlamentari? Regionali? Etc..

Con la legge 3/2001, l’art. 117 Costituzione viene profondamente modificato. Questo indica e
distingue al suo interno le materie di competenza esclusiva dello stato, di competenza concorrente
tra stato e regioni e di esclusiva competenza delle regioni.

Per quanto riguarda il lavoro, questa NON è citato come materia di esclusiva competenza dello
stato, anzi al co.3, dell’art 117, riguardante le competenze concorrenti tra stato e regione,
compare la “tutela e sicurezza del lavoro”. Da ciò nacquero diversi dubbi: ci si chiedeva se il lavoro
fosse estraneo alla esclusiva competenza dello Stato, a vantaggio della competenza concorrente.

Su questa questione interpretativa, si è espressa la dottrina e la giurisprudenza. In particolare,


grazie alle pronunce della giurisprudenza costituzionale si è concluso per la competenza esclusiva
dello Stato per quanto riguarda il diritto del lavoro, in virtù di quanto viene affermato dal co.2,
lett. L, dell’art. 117 (competenze dello stato), in cui si fa riferimento all’ordinamento civile.

Ma, la materia del diritto del lavoro è anche di competenza concorrente, ciò limitatamente alla
tutela e alla sicurezza sul lavoro (co 3 art.117), che insieme ad altre materie come l’istruzione, la
formazione professionale, la legislazione in materia di mercato di lavoro (relativa al problema della
mediazione tra domanda e offerta di lavoro), erano già di competenza delle regioni.

Contrattazione collettiva
Un'altra fonte è costituita dalla contrattazione collettiva, che derivano dall’autonomia collettiva, il
cui fondamento è rinvenibile nell’art. 39 co 2 ss. Modello di contrattazione/mediazione, che come
ben sai, non ha avuto attuazione; al contrario oggi parliamo di contrattazione collettivo di diritto
comune (ossia fatto da privati).

La contrattazione collettiva ha un ruolo fondamentale nella regolamentazione del diritto del


lavoro, in quanto realizza, se non in via esclusiva prevalente, interventi in senso migliorativo
rispetto alla disciplina prevista dalla legge in merito ai rapporti di lavoro.  Poiché si assume una
disparità sostanziale tra datore di lavoro e lavoratore , i contratti collettivi agiscono in base al
principio del favor nei confronti del lavoratore.

Esempi in cui la contrattazione collettiva si è esposta in senso migliorativo


rispetto alla legge: trattamento economico riservato ai lavoratori che sono anche
genitori→ nel congedo di maternità obbligatorio l’indennità è pari all’80%, salvo
interventi migliorativi della contrattazione collettiva.
Fonte di natura amministrativa

Fonti che vengono prodotte da enti amministrativi  come le circolari ministeriali emesse dal
ministero del lavoro, le circolari prodotte dagli enti previdenziali sul fronte infortunistico, della
tutela pensionistica, della tutela genitoriale, etc…

Esempio :
Il congedo parentale viene riconosciuto anche nel caso in cui il genitore si trovi ad
essere SOLO.

Su tale questione si è posto un problema interpretativo: cosa determina la condizione


di genitore singolo (tenuto conto del fatto che ove si determini questa condizione il
soggetto ha diritto ad un congedo pari a 10 mesi e ad un’indennità)? Escluso il caso i
cui il genitore sia materialmente da solo, la questione si è posta rispetto alle ipotesi in
cui questo, pur non essendo concretamente solo, lo era di fatto in relazione alle
caratteristiche dell’altro genitore.

Risposta: In merito a questa ipotesi è stato interpellato l’ente previdenziale tenuto ad


erogare l’indennizzo, il quale ha indicato le condizioni tali per cui un genitore, pur non
essendo materialmente solo, possa essere rappresentato come tale  parliamo di una
condizione di solitudine quando l’altro genitore non sia in condizione di svolgere la sua
funzione genitoriale; ad esempio perché molto sofferente, oppure perché colpito da
grave infermità, in tal caso si dovrà verificare se la stessa possa effettivamente
costituire un limite alla capacità relazionale nei confronti del bambino.

Queste circolari assumono importanza rilevante, soprattutto dal punto di vista interpretativo
norme del diritto del lavoro. Dal punto di vista tecnico le circolari hanno una validità limitata
all’ordinamento interno dell’organizzazione che le emana.

Fonti Internazionali

Fonti Europee (inteso come UE)


- La fonte principale è il Trattato dell’Unione Europea, come da ultimo modificato dal
Trattato di Lisbona.

- Un ruolo fondamentale è svolto dalle direttive europee, difatti in molti casi la disciplina del
lavoro nazionale deriva su impulso di una direttiva europea.

Esempio:
Per quanto concerne la tutela genitoriale (ad esempio legge 903/1977 e la
53/2000, la 228/2012). In merito il legislatore europeo è nuovamente
intervenuto con una nuova direttiva 1158/2019, in cui troviamo la disciplina del
congedo obbligatorio di paternità: questa direttiva viene previsto un congedo
obbligatorio della durata di 10 giorni.
In attuazione di questa direttiva europea, il nostro ordinamento ha portato la
durata del congedo obbligatorio di paternità a 10 giorni, da che ne era previsto
solo 1 con la legge Fornero del 2012.
Esempio:
La tutela della salute e la sicurezza nel lavoro → disciplina in materia di
prevenzione nei luoghi di lavoro, oggi oggetto del d.lgs. 81/2008, ha operato
razionalizzazione e riorganizzazione del quadro legislativo precedente che era
costituito dal d.lgs. 226/2004, che a sua volta era attuazione di una direttiva
europea della fine degli anni ‘80.

Esempio:
Per quanto riguarda il lavoro atipico/flessibile nell’ambito della subordinazione
 la disciplina del contratto a termine, su cui sono intervenute le varie riforme
viste, proviene da una direttiva europea.

Esempio:
La disciplina sul contratto a termine, ossia con una diversa modulazione
dell’orario di lavoro, deriva da una direttiva europea

Regolamentazione pattizia del d. del lavoro


Facciamo riferimento alla regolamentazione che discende dagli organismi universali, ossia ai quali
aderiscono, se non la totalità, l’assoluta maggioranza dei paesi del mondo.

Esempio: ONU, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ne avevamo parlato in


merito al working poor).

Giurisprudenza

La pronuncia della giurisprudenza sovranazionale, come la Corte di Giustizia Europea e delle Corti
Nazionali ( come la Cassazione, Corte d’Appello, Tribunali) hanno ruolo essenziale nella
costruzione e comprensione delle norme applicabili al diritto del lavoro→ consentono di chiarire e
innovare le norme applicabili al diritto del lavoro.

Esempio: La riforma salva Italia, è stata innescata da una pronuncia della corte di
giustizia europea.
2. LA QUESTIONE DELLA SUBORDINAZIONE
Scaletta:

Le norme che studieremo si fondano su uno specifico tipo contrattuale, cioè si fondano sul lavoro
subordinato, in opposizione al lavoro autonomo. Il diritto del lavoro è un insieme di regole rivolto
non alla generalità dei lavoratori, ma essenzialmente previsto per un insieme di lavoratori, ossia i
lavoratori subordinati o dipendenti.

 Il lavoro subordinato: Sarà inevitabile chiedersi in cosa consiste il lavoro subordinato,


altrimenti non daremo attuazione e applicazione alle norme lavoristiche. La nozione di
lavoro subordinato è reperibile nel Codice civile, dell'articolo 2094 c.c., nozione in
opposizione a quella di lavoro autonomo ex art. 2222 c.c. Ci chiederemo quali sono gli
elementi qualificatori della subordinazione.

 Figure negoziali di lavoro: Guarderemo allo sviluppo di alcune figure negoziali, contrattuali,
di lavoro autonomo. Guarderemo ai sottotipi negoziali del tipo contrattuale lavoro
autonomo, in particolare alle c.d. “collaborazioni coordinate continuative”, al fenomeno
del lavoro autonomo con caratteristiche simili a quelle del lavoro dipendente, ossia figure
negoziali di lavoro autonomo ma le cui modalità di esecuzione presentano aspetti
assimilabili a quelle del lavoro dipendente.

 Elementi del contratto di lavoro subordinato: Guarderemo quali sono gli elementi del
contratto di lavoro subordinato, riferendoci al tipo contrattuale al quale norme lavoristiche
guardano se non in modo esclusivo, prevalente. Causa del contratto; oggetto del contratto;
se per il contratto di lavoro sono o meno prescritti dei requisiti di forma per la validità del
contratto o ai fini della prova; elementi accidentali o accessori al contratto di lavoro quindi
patto di prova (possibilità e con quali limiti di differire l'assunzione dopo aver verificato
l’idoneità del lavoratore), qual è il regime giuridico che si applica in questa fase; patto di
non concorrenza : è possibile una volta che il patto di lavoro sia cessato porre limiti allo
svolgimento di un’attività simile a quella concluse nei confronti del lavoratore? Si può
vincolare il lavoratore o lavoratrice dopo la cessazione del rapporto per un tempo a tutela
dell’impresa? Sono o meno prescritti i requisiti di forma? il termine del contratto di lavoro e
i suoi limiti. Tema dell’invalidità del contratto di lavoro.
IL LAVORO SUBORDINATO

Le disposizioni del diritto del lavoro trovano applicazione, praticamente in via esclusiva, in
presenza di un rapporto di lavoro subordinato.
Il diritto del lavoro, anche per ragioni storiche, è un diritto che si sviluppa attorno alla figura del
lavoro dipendente (o subordinato). Difatti nel nostro ordinamento, come in altri ordinamenti
europei, il diritto del lavoro è costituito da relazioni tra fattispecie ( di lavoro subordinato) ed
effetti (regole del diritto del lavoro).

È importante definire la “subordinazione”, poiché le disposizioni del diritto del lavoro si applicano
solo se siamo in presenza del lavoro subordinato:

Art 2094 C.C. - Lavoro subordinato


“È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a
collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle
dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore”

Secondo questo articolo è subordinata quella prestazione di lavoro “dipendente”. Questa nozione
civilistica NON riesce a definire efficacemente il lavoro subordinato, poiché lo qualifica in termini
di “dipendenza”, che potremmo dire essere un’espressione equipollente alla “subordinazione”.
 Gli studiosi di diritto del lavoro hanno sempre sottolineato l’elemento della scarsa pregnanza
qualificatoria di questo articolo.

Si è cercato di trarre il significato della “subordinazione”, o “dipendenza”, dalla norma del Codice
civile che fornisce la nozione di lavoro indipendente, ossia l’art. 2222 C.C.

Art. 2222 C.C. – contratto d’opera (lavoro indipendente)


“Quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un'opera o un
servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione
nei confronti del committente, si applicano le norme di questo capo, salvo che il
rapporto abbia una disciplina particolare nel libro IV”

È indipendente colui che si obbliga a un’opera o un servizio SENZA vincolo di subordinazione nei
confronti del committente. Neppure l'art. 2222 C.C. è in grado di indicare gli elementi di
qualificazione del lavoro subordinato, perché nel definire il lavoro indipendente fa sempre
riferimento al concetto di subordinazione che, però, resta inesplicato.
L’esigenza di andare a definire il significato della “dipendenza” o della “subordinazione, ha portato
a un esteso e approfondito dibattito dottrinale e giurisprudenziale. E da questo dibattito sono
emersi i principi e gli elementi definitori della subordinazione:

 Ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di un rapporto di
lavoro subordinato ex art. 2094 C.C., sia di un rapporto di lavoro autonomo ex art. 2222
C.C.
Ciò significa che la qualificazione del rapporto in un senso o nell’altro dipende dal tipo di
prestazione e alle modalità di svolgimento della prestazione nel caso concreto.

Da questo assunto deriva un importante principio  il tipo contrattuale è indisponibile sia


per le parti che stipulano il contratto individuale, sia per il legislatore; questo perché il tipo
contrattuale discende dalle concrete modalità di svolgimento della prestazione.
Quindi le parti non possono, in via predeterminata, qualificare il rapporto di lavoro, e in
base alla giurisprudenza della Corte costituzionale, nemmeno, sono illegittime le leggi che
predeterminano la qualificazione del rapporto.

 Il metodo per qualificare un rapporto di lavoro che si è affermato è il METODO


TIPOLOGICO, consistente in un giudizio di approssimazione. Secondo questo metodo la
fattispecie concreta doveva essere riconducibile alla fattispecie legale di lavoro
subordinato, di cui l’articolo 2094. La fattispecie concreta è riconducibile a “lavoro
subordinato”, quando presenta degli elementi/caratteristiche tipiche del modello
socialmente tipico di lavoro subordinato, ossia del modello di lavoro subordinato
prevalente nella società.

Ad indicare gli indici di riferimento del lavoro subordinato social tipico, è stata la
giurisprudenza
Indici di qualificazione del lavoro subordinato

I giudici e la dottrina hanno individuato una serie di indici distinti, sulla base concrete modalità di
svolgimento della prestazioni osservate. Questi sono ordinati gerarchicamente (cd. tecnica dei
fasci di indici) :

I. L’elemento di qualificazione maggiormente rilevante è l’eterodirezione, che si sostanzia


nella esistenza di un potere direttivo, organizzativo e disciplinare esercitato su di un
lavoratore. Questo criterio è denominato anche indice di qualificazione essenziale o
interno.

II. Al di sotto di questo criterio, vi sono i cd. indici essenziali esterni, ossia elementi esterni
rispetto alla prestazione oggetto del contratto di lavoro, ma pure sempre indicativi
dell'esistenza di un vincolo di subordinazione. Questi indici sono: il coordinamento, ossia
l’inserimento del soggetto nell'organizzazione dell’impresa, la collaborazione, ossia il
coordinamento funzionale del lavoratore all’impresa, e la continuità della prestazione.

III. Potrebbe essere necessario analizzare anche altri indicato ciaori, oltre a quelli precedenti,
che assumono la denominazione di indici sussidiari (presuntivi del l.subordinato).
Tra questi indici ci sono: la presenza di un orario di lavoro; la presenza di specifiche
modalità di erogazione della retribuzione (es: specifiche cadenze temporali); l’oggetto della
prestazione; la localizzazione della prestazione e il nomen iuris (= volontà delle parti).

NB  l'ordinamento lavoristico si fonda sul principio dell’indisponibilità del disponibile il


tipo contrattuale, non può essere predeterminato il tipo contrattuale, perché la
qualificazione del rapporto dipende dalle concrete modalità di svolgimento della
prestazione. Quindi la volontà dei contraenti (nomen iuris) ha rilevanza, ma sussidiaria.

Etero
direzi
one

Indici essenziali esterni

Indici sussidiari (orario di lavoro, oggetto della


prestazione, nomen iuris, etc...)
Problematiche del fascio di indici (1):

Dalla analisi della giurisprudenza derivano alcune problematiche, legate all’importanza e posizione
di questi indici nella piramide:

 Per quanto riguarda l’indice essenziale interno, ossia l’eterodirezione, si hanno dei
problemi interpretativi. Difatti andando a vedere le pronunce dei giudici ci si trova di fronte
ad orientamenti interpretativi discordanti, che attribuiscono significati diversi al requisito
della eterodirezione:

- Alcuni giudici adottano una interpretazione estensiva - essi ritengono


l’eterodirezione indichi l’assoggettamento del lavoratore a degli ordini/direttive
impartiti dal datore o dai suoi ausiliari → potrebbero rientrare moltissimi lavoratori ;

- Interpretazione restrittiva - altri giudici ritengono che si possa parlare di


eterodirezione solamente in riferimento a ordini specifici/dettagliati intrinsecamente
attribuibili alla prestazione di lavoro → Abbiamo una restrizione dell’ambito dei
lavoratori che possono accedere alle regole lavoristiche.

Al di là dei vari orientamenti, la presenza di differenti concezioni dell’eterodirezione è


sintomatica della difficoltà di stabilire la sussistenza di un vincolo di subordinazione, per
questo motivo la giurisprudenza ricorre a ulteriori criteri di qualificazione, ossia gli indici
essenziali esterni.

 Anche nel caso degli indici essenziali esterni è possibile notare interpretazioni
disomogenee:
 In merito al criterio del coordinamento 
- in alcune sentenze il “coordinamento” viene elevato a indice essenziale interno
(anche se di base è esterno), in quanto elemento irrinunciabile della nozione di
subordinazione.

- Tuttavia, in altri casi si afferma che il “coordinamento” sia un criterio di natura


sussidiaria

 In merito al criterio della collaborazione


- Da un lato ci sono sentenze confermative del ruolo essenziale esterno di
questo criterio di natura complementare.

- Altre sentenze, invece, hanno affermato che la collaborazione è da considerarsi


fra gli indici sintomatici o sussidiari

 In merito al criterio della continuità 


- in alcuni casi viene affermata la natura di indice non essenziale esterno, ma
sintomatico, o sussidiario

- altre sentenze considerano la continuità un elemento essenziale interno della


subordinazione. Questo passaggio da indice essenziale esterno al livello di
indice essenziale interno sarebbe dovuto alle trasformazioni del lavoro, alla luce
delle quali è sempre più presente il fenomeno dell’esternalizzazione del lavoro.

 Venendo agli indici sussidiari, da considerarsi in posizione subordinata, ci sono diverse


interpretazioni:

 In merito al vincolo d’orario, richiesta alla lavoratrice di svolgere la prestazione in


base a specifiche fasce orarie
- da un lato la presenza o assenza di un vincolo d’orario viene considerata
irrilevante ai fini della qualificazione di un rapporto

- non mancano pronunce per le quali invece il vincolo d’orario costituirebbe un


elemento significativo per la configurazione del lavoro dipendente

 In merito al modalità di erogazione della prestazione 


- è frequente l'affermazione secondo la quale le modalità del compenso con
specifiche cadenze temporali configuri la subordinazione (elemento presuntivo
residuale della subordinazione)

 In merito all’oggetto della prestazione, che fa riferimento all’incidenza del rischio


economico
- in giurisprudenza notiamo accanto a pronunce che considerano l'incidenza del
rischio un mero indice sussidiario

- altre in cui il criterio distintivo tra autonomia e subordinazione viene proprio


individuato nell’assunzione di tale rischio

 In merito al criterio della localizzazione della prestazione, quando la prestazione


lavorativa avviene presso i locali aziendali 
- in alcune sentenze, tale non è considerato decisivo ai fini della qualificazione
del rapporto (alienità dei mezzi di produzione, elemento indiziario della
subordinazione

- altre pronunce considerano questo criterio molto rilevante, essenziale, ai fini


della distinzione tra subordinazione e autonomia

 In merito al nomen iuris (la volontà negoziale) 


- accanto a una svalutazione di questo elemento dal punto di vista della
qualificazione del rapporto

- sono da registrare altre sentenze che hanno affermato una maggiore


qualificazione di questo indice.

CONCLUSIONE:
Abbiamo posto in evidenza l’incertezza qualificatoria derivante dall’impiego della tecnica del
fascio di indici, poiché gli orientamenti in merito non sono omogenei.
Schema riassuntivo:
★ Il diritto del lavoro, anche per ragioni storiche, è un diritto che si sviluppa attorno alla figura
del lavoro dipendente (o subordinato) → relazione tra fattispecie ed effetti.
★ La nozione civilistica del lavoro subordinato non fornisce elementi sufficienti di
qualificazione, assume una scarsa pregnanza qualificatoria. Anche l’analisi dell’art. 2222
C.C. non permette di giungere ad una chiara e univoca definizione di subordinazione.
★ Da qui ha preso avvio un lungo e ampio dibattito alla luce del quale viene affermato che
ogni attività umana può essere oggetto di lavoro subordinato o autonomo, dipendendo dal
tipo di lavoro → indisponibilità delle parti e del legislatore
★ È possibile individuare un indice delle modalità di subordinazione riguardante il modello
social tipico dipendente, metodo tipologico, consistente in un giudizio di approssimazione
★ Questa distinzione avviene sulla base di un fascio di indici
★ L’analisi della giurisprudenza porta a non pochi scostamenti della collocazione degli indici
nella piramide.

Problematiche del fascio di indici (2):

Una seconda problematica che si è determinata a partire dalla tecnica dei fasci di indici, riguarda il
diffondersi, dagli anni 90’ del secolo scorso, delle collaborazioni coordinate continuative, figura
negoziale formalmente autonoma, in relazione alla definizione che fa riferimento all’assenza della
subordinazione, ma che di fatto, in base alle concrete modalità di svolgimento della prestazione, si
possono assimilare alla subordinazione. Il fondamento normativo di questa figura negoziale è
l’art.409 Codice di Procedura Civile, n°3.

 Problema – Si è determinata la diffusione di rapporti di lavoro simil dipendenti, a quali non


veniva riconosciuta la disciplina protettiva del diritto del lavoro (perché formalmente autonoma),
poiché assente il requisito della subordinazione, nondimeno i committenti potevano avvalersi di
prestazioni assimilabili al lavoro dipendente.
Rimedi alle problematiche

Questi problemi (1 e 2) hanno portato a un intervento legislativo volto a realizzare dei rimedi e a
dare maggiore certezza ai rapporti di lavoro.

 Per quanto riguarda il problema dell’incertezza qualificatoria derivante dall’impiego della


tecnica del fascio di indici Per porre rimedio a questa problematica venne previsto
l’istituto della certificazione, disciplinato con la legge Biagi (art 75 e ss., d.lgs. 276/2003).
La certificazione consiste in una procedura volontaria, a seguito della quale una
commissione convalida/certifica la qualificazione che le parti del contratto danno del
rapporto di lavoro stipulato. Questa convalida nel tempo ha ampliato la propria portata,
tanto che oggi mediante questa procedura è possibile convalidare anche altri aspetti della
disciplina del lavoro.

Questa certificazione NON è incontrovertibile, quindi non esclusa la possibilità che,


successivamente, si possa fare ricorso in giudizio in merito alla qualificazione del contratto
di lavoro.

Quindi, ha la funzione di limitare l’incertezza qualificatoria del rapporto di lavoro , ma


non sovverte la regola dell’indisponibilità per le parti del tipo contrattuale.

La diffusione dei rapporti simil dipendenti


Per quanto riguarda la diffusione dei rapporti simil dipendenti, ossia rapporti formalmente
autonomi, ma in realtà assimilabili ai lavori subordinati, il cui fondamento normativo è l’art. 409
n.3 del c.p.c.:  In base alla formulazione originaria, questi rapporti venivano definiti in base a
quattro principali criteri :

1. Continuità

2. Prevalente personalità

3. Requisito del coordinamento

4. Assenza di subordinazione

Come detto in precedenza, negli anni 90’ cominciano a diffondersi le collaborazioni coordinate e
continuative, ossia figure negoziali simil dipendenti. Si è determinata la diffusione di rapporti di
lavoro a quali non veniva riconosciuta la disciplina protettiva del diritto del lavoro, poiché assente
il requisito della subordinazione, nondimeno i committenti potevano avvalersi di prestazioni
assimilabili al lavoro dipendente.
Nel tempo è diventata sempre maggiore l’esigenza di intervenire in merito; si era osservata la
natura fraudolenta di queste collaborazioni coordinate e continuative , che puntava ad eludere le
garanzie e la protezione del diritto del lavoro. Per questo motivo si sono succeduti vari interventi
legislativi per risolvere questo problema:

 Legge Biagi - d.lgs. n 276/2003 → la legge Biagi ha cercato di ridurre l’ambito di


applicazione dell’art. 409 c.p.c., base giuridica di queste figure negoziali simil dipendenti, al
fine di ridurre le false collaborazioni coordinate e continuative; mediante la previsione del
lavoro a progetto = figura negoziale di lavoro di natura autonoma, ma con caratteristiche
assimilabili al lavoro dipendente, per la quale era stata riconosciuta una specifica disciplina .
Lo scopo di questa legge era quello di far transitare verso questa nuova figura negoziale.

A quasi 10 anni dalla previsione del lavoro a progetto, si nota che, nonostante l'intento
della legge Biagi (ridurre il fenomeno delle finte collaborazioni autonome con lavoro a
progetto), non si era determinata una riduzione dell’utilizzo fraudolento di forme di
collaborazione coordinate e continuative a progetto. Difatti, Il lavoro a progetto aveva
sostituito le collaborazioni, ma non era riuscito a risolvere il problema del “finto lavoro
autonomo”.
 Quindi, si determina un nuovo intervento legislativo con la legge Fornero.

 Legge Fornero, n° 92/2012 → la legge Fornero accrebbe la severità della disciplina dei
lavori a progetto, al fine di per scongiurarne l’utilizzo improprio. Tale intervento incide sulla
nozione di lavoro a progetto e rinforza la tutela nei confronti dei lavoratori a progetto
(rende ancora più garantista la disciplina ).

Dopo questa esperienza del governo Monti, succederà il governo Renzi, in cui è stata realizzata
una riforma del diritto del lavoro e previdenziale, ossia il Job Act I e Job ACT II) :

 Job Act (legge delega 183/2014), d.lgs. 81/2015 (atto II)→ Governo Renzi affronta vari
aspetti della disciplina lavoristica, modificandoli, fra questi interviene anche dal punto di
vista delle collaborazioni coordinate e continuative a progetto. Anche dopo la legge
Fornero non si era osservata un’inversione di tendenza, e preso atto della sostanziale
impossibilità di rimediare a questa problematica, si decise di lasciare in vigore l’art. 409
c.p.c., circoscrivendone l’ambito di applicazione, e di abrogare il lavoro a progetto, che
avviene mediante il d.lgs. n 81/2015 (Job Act II)

In sostituzione di quest’ultimo, questo decreto previse una nuova tipologia di


collaborazione, ossia i “rapporti di collaborazione”, o collaborazioni eteroorganizzate.
Ai sensi dell’art. 2, co.1, d.lgs. 81/2015, i rapporti di collaborazione si sostanziano in
prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative, le cui modalità di esecuzione
sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.
In altre parole, Si tratta di rapporti simil dipendenti, assimilabili al lavoro dipendente, in
relazione al criterio della etero organizzazione.

La disciplina in merito non si applica alle collaborazioni indicate nell’art. 2, co. 2 e 4 del
decreto legislativo.
Dietro specifico rinvio dell’art.2, co.1 del decreto lgs. , alle collaborazioni eteroorganizzate
viene applicata la disciplina del lavoro subordinato.
Tale decreto si è occupato di individuare la disciplina applicabile, ossia quella del lavoro
dipendente, tuttavia queste figure negoziali simil dipendenti, rimangono difficilmente
qualificabili. In merito alla qualificazione di queste figure negoziali, la dottrina e la
giurisprudenza si sono interrogati. Con la sentenza n°1663/2020 la Corte di Cassazione, in
merito ai “rider”, ha affermato che stabilirne la natura non sia rilevante, perché ciò che
conta è che per queste collaborazioni, collocabili in una terra di mezzo tra autonomia e
subordinazione, l’ordinamento ha statuito espressamente l’applicazione delle norme del
lavoro subordinato.

Su questa vicenda, ossia quella dei rider, è intervenuto anche il primo governo Conte con
il decreto-legge 101 /2019, poi convertito con la legge 128/2019, il quale ha affermato che
l’art. 2 comma 1 del d.lgs. 81/2015 (applicazione della disciplina del lavoro subordinato alle
collaborazioni eteroorganizzate) si applica anche ai ciclo-fattorini, le cui modalità di
esecuzione della prestazione sono organizzate mediante piattaforme digitali. Il tema non è
risolto, anche l’UE ha deciso di intervenire.

 Job Act (legge delega 183/2014), d.lgs. 81/2017 (atto II)→ Sempre il Job Act con la
legge 81/2017 torna sulle questioni del lavoro autonomo, mediante la previsione di uno
statuto applicabile al lavoro autonomo, il quale va ad ampliare la tutela prevista dal
Codice civile rispetto a questi rapporti. Legge distinta in due parti:

1) Il capo primo prevede una disciplina che va ad ampliare la protezione accordata dal
Codice civile al lavoro autonomo (rimane cmq inferiore alla tutela per il lavoro
subordinato)

2) Al capo secondo viene disciplinato per la 1° volta il lavoro agile o “smart working”.
Lo smart working è una clausola apponibile al contratto di lavoro, che prevede la
una forma flessibile di esecuzione del lavoro subordinato, improntata sul principio
di volontarietà delle parti, in quanto questa clausola può essere o meno apposta
dalle parti contratto di lavoro subordinato.

Originariamente era una forma di lavoro che interessava solamente l'impiego


privato, mentre per quanto riguarda l'impiego pubblico era necessaria una
transizione a questa forma di lavoro, la quale sarebbe avvenuta gradualmente
nell'arco del tempo. Questa forma di lavoro ha riguardato dapprima alcune migliaia
di posizioni di lavoro e poi con la pandemia ha riguardato alcuni milioni di
lavoratori.
Per quanto riguarda la disciplina dello smart working possiamo distinguere una:

- DISCIPLINA FISIOLOGICA: ossia la disciplina originale (quella usata


normalmente, prima della pandemia) improntata sul principio di
volontarietà

- DISCIPLINA ECCEZIONALE: ossia una disciplina eccezionale, diversa da quella


originale, resa necessaria dal periodo di pandemia, al fine di tutelare la
salute pubblica. Per questi motivi, questa disciplina deroga al principio di
volontarietà, la situazione ha richiesto e ammesso la possibilità di svolgere
il lavoro agile (smart) anche in assenza di un accordo tra le parti (cd. lavoro
agile semplificato)

Questa deroga dovrebbe valere fino alla cessazione del periodo di emergenza (fino
al 30 giugno), poi si dovrebbe tornare all’intesa individuale obbligatoria (disciplina
fisiologica).Per quanto riguarda la PA, in questo periodo, il lavoro agile è diventata la
forma ordinaria dello svolgimento della prestazione. Ma dal 15 ottobre 2021, in
base a DPCM del 23 settembre 2021 la modalità ordinaria di svolgimento della PA è
tornata quella in presenza.

A questa figura di lavoro dipendente è associata una specifica disciplina che


riguarda la tutela della salute dei lavoratori, resa necessaria dai rischi intrinseci a
questa modalità di esecuzione della prestazione: rischio di over working (prolungata
connessione alla strumentazione informatica); confusione tra tempi di vita e tempi
di lavoro, etc…

Tutto ciò ci porta a parlare del diritto alla disconnessione, diritto di nuova
generazione, le cui modalità di godimento in origine dovevano essere parte
dell’accordo individuale con la quale veniva sottoscritta questa modalità di lavoro.
La pandemia ha mostrato in modo evidente l’inadeguatezza della disciplina legale in
merito al diritto alla disconnessione, per questo motivo sono seguiti degli interventi
regolativi.

Inoltre, con la pandemia si è intensificato l’intervento della contrattazione collettiva


relativamente allo smart working, quando invece la disciplina originale non dava
molto spazio ai profili sindacali.

VEDI SUL SUO LIBRO LA PARTE SUL LAVORO AGILE (lo dice perché vuole easy money $$)
Esercitazione sentenza n 1663/2020 :
1. Corte di Cassazione n. 1663 del 2020: chi sono le parti in causa?

Ricorrente :
FOODINHO S.R.L. quale incorporante di DIGITAL SERVICES XXXVI ITALY S.R.L. IN
LIQUIDAZIONE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio dell'avvocato LUIGI FIORILLO,
rappresentata e difesa dagli avvocati GIOVANNI REALMONTE, ORNELLA GIRGENTI,
FIORELLA LUNARDON, PAOLO TOSI .

Controricorrenti :
RIDERS (PISANO MARCO, CANNIZZO GIUSEPPE, LAJOLO RICCARDO, RUTA ANGELO
ANDREA, GIORDANO VALERIO, tutti domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la
CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall'avvocato
PATRIZIA TOTARO, GIUSEPPE MARZIALE, SERGIO SONETTO, GIULIA DRUETTA);

2. Qual è la vicenda processuale riguardante i due precedenti gradi di giudizio?

- sentenza 10 luglio 2017 : Richiesta di accertamento da parte di Marco Pisano, della


natura subordinata del rapporto di lavoro tra la Foodora e i riders, con la condanna
della società al pagamento delle differenze retributive maturate. I lavoratori
sostenevano inoltre di essere stati illegittimamente licenziati e quindi chiedevano il
ripristino del rapporto, nonché un risarcimento del danno subito. In ultimo, hanno
lamentato un danno non patrimoniale per la violazione di norme a tutela di dati
personali.
- sentenza 7 maggio 2018 : tribunale rigetta le domande presentate dai lavoratori nel
2017
- sentenza 4 febbraio 2019 : la corte d’appello ha negato la subordinazione del
rapporto, ma ha ritenuto applicabile d.lgs. 81 del 2015 e quindi ha dichiarato il
diritto degli appellanti di ricevere quanto maturato in relazione all’attività lavorativa
prestata, condannando la società al pagamento delle differenze retributive. La
Corte ha ritenuto che l’art. 2 del d.lgs. n 81 del 2015 individui un “terzo genere”,
ossia le collaborazioni eteroorganizzate, che si pone tra il rapporto di lavoro
subordinato (art. 2094 c.c.) e la collaborazione coordinata e continuativa (art. 409 n
3 cod proc civ), per tutelare nuove forme di lavoro. In virtù di questo i riders
diventano titolari delle norme di lavoro subordinate. Successivamente al deposito
del ricorso viene pubblicato il decreto-legge n 101 del 2019, recante modifiche
all’art. 2 del d.lgs. 81 del 2015.

3. Quali sono le principali motivazioni a sostegno della sentenza?


Si sostiene la falsa applicazione dell’art. 2 del d.lgs. 81 del 2015. Inoltre, secondo la
ricorrente l’art. 2 del d.lgs. non ha introdotto un “terzo genere” di lavoro, la etero
organizzazione è infatti un tratto tipico della subordinazione disciplinata nell’art. 2094 c.c.
La corte avrebbe commesso un errore affermando che la etero organizzazione
consisterebbe nel potere di determinare le modalità di esecuzione della prestazione,
quindi di stabilire tempi e luoghi della prestazione. Sul testo dell’art. 2 del d.lgs. 81 del
2015 è intervenuto il decreto-legge n 101 del 2019 che ha apposto modifiche alla
disciplina, ma che non ha carattere retroattivo.
La corte si rifà anche al dibattito dottrinale che ha accompagnato l’entrata in vigore dei
primi di anni di vita dell’art. 2 comma 1 del d.lgs 81 del 2015, la via della sentenza
impugnata è quella per cui questo articolo avrebbe introdotto un tertium genus avente
tanto caratteristiche del lavoro subordinato quanto di quello autonomo. La conseguenza
è l’applicazione delle tutele del lavoro subordinato al rapporto di collaborazione dei
riders.
Censura l’applicazione alla fattispecie litigiosa dell’art.2 comma 1 dlgs 81/2015.

La disciplina fisiologica del lavoro agile: legge, scopo (parte da rivedere)

Lo smart working è una clausola apponibile al contratto di lavoro (in forma scritta?), che prevede
la una forma flessibile di esecuzione del lavoro subordinato, improntata sul principio di
volontarietà delle parti, in quanto questa clausola può essere o meno apposta dalle parti contratto
di lavoro subordinato.

Il lavoro agile viene introdotto dal d.lgs. 81/2017. (Job Act II). Per giustificare l’introduzione del
lavoro agile si sottolinea il potenziale ai fini di un migliore equilibrio tra vita privata e
professionale, soprattutto per i genitori che si inseriscono dopo il congedo. Riguarda sia settore
privato che quello pubblico, in attuazione di questi principi la legge Madia prevede il
rafforzamento del telelavoro che ha come obiettivo il rendere operativi meccanismi per almeno il
10% dei dipendenti pubblici che ne fa richiesta entro tre anni dall’attuazione della legge delega.

Il lavoro agile NON ha precisi vincoli di orario o di luogo, e si può basare sull’utilizzo di strumenti
tecnologici anche di proprietà degli stessi lavoratori. In ogni caso il datore di lavoro è responsabile
della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti. La Prestazione viene eseguita in parte
all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa entro i soli limiti di
durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale. Durata massima in base a d.lgs.
66/2003.

Lo smart working si fonda sul principio di volontarietà, ossia si deve fondare su un accordo tra le
parti, accordo scritto a fini probatori. Questo accordo può essere a termine o a tempo
indeterminato e in quest’ultimo caso il recesso per tornare alla modalità standard avviene con un
preavviso non inferiore a 30 giorni.

È un giustificato motivo ciascuno dei contraenti recede prima della scadenza del termine o senza
preavviso nel caso di accordo a tempo indeterminato.

In base all’articolo 20 comma 1 il lavoratore ha diritto a un trattamento economico e normativo


non inferiore a quello applicato nei confronti dei lavoratori all’interno dell’azienda → parità di
trattamento.

All’epoca l'impiego pubblico doveva iniziare la promozione e sperimentazione dello smart working.
Riguarda solo il lavoro subordinato : principio di volontarietà, scopo…
Diritto alla disconnessione è uno dei diritti di nuova generazione. Esso è un contenuto della
clausola di smart working.
Questa disciplina è assimilabile alla disciplina del telelavoro: entrambi in luoghi diversi da quelli
standard,
- telelavoro: postazione fissa adibita ad esso
- smart working: prestazione eseguita in qualsiasi luogo
Elementi del contratto di lavoro

Il Patto di prova (clausola)

Il patto di prova, a cui spesso si ricorre in fase di costituzione del contratto, è una clausola che può
essere apposta al contratto di lavoro dipendente, anche atipico (es contratto a termine), con la
quale le parti si impegnano per un determinato periodo a titolo di prova/sperimentazione.

Il Patto di prova riguarda non solo l’impiego privato, ma anche il settore pubblico, ciò in base alla
disciplina che regolamenta il pubblico impiego, costituita dal d.lgs. 165 del 2001 “Testo Unico sul
Pubblico Impiego”.

Art. 2096 C.C. – assunzione in prova:


Salvo diversa disposizione delle norme corporative, l'assunzione del
prestatore di lavoro per un periodo di prova deve risultare da atto scritto.

L'imprenditore e il prestatore di lavoro sono rispettivamente tenuti a


consentire e a fare l'esperimento che forma oggetto del patto di prova.

Durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto,
senza obbligo di preavviso o d’indennità. Se però la prova è stabilita per
un tempo minimo necessario, la facoltà di recesso non può esercitarsi
prima della scadenza del termine.

Compiuto il periodo di prova, l'assunzione diviene definitiva e il servizio


prestato si computa nell’anzianità del prestatore di lavoro.

Comma 1 :
L’assunzione per un periodo di prova deve risultare da un atto scritto; tuttavia, NON viene
specificato il tipo di forma, se la forma è prevista ad substantiam (da essa dipende la validità
dell’atto) o ad probationem (la forma risponde solamente a finalità probatorie).
 In merito, la giurisprudenza ha concluso che la forma scritta sia rilevante ai fini della validità
del patto (ad substantiam). Inoltre, a giurisprudenza ha aggiunto che affinché il patto possa dirsi
formalmente valido, questo debba essere stipulato in un momento precedente o contestuale alla
costituzione del rapporto di lavoro.

Nonostante, l’articolo non ne faccia riferimento, la giurisprudenza ha precisato che è necessario


che il patto di prova contenga la specifica indicazione delle mansioni che il lavoratore è chiamato a
svolgere, ciò perché è necessario che i lavoratori conoscano preventivamente il contenuto della
prova a cui verranno sottoposti e sulla cui base verranno poi anche valutati.

Comma 2 :
Questo comma contiene la CAUSA del patto di prova, ossia la ragione alla base della stipulazione
di un patto di prova  il patto di prova permette a datore di lavoro e a lavoratore di
rappresentarsi la reciproca convenienza del rapporto di lavoro, risponde a un interesse comune
alle parti (valenza bidirezionale).  Infatti, durante il periodo di prova il datore di lavoro può
accertare le capacità e le competenze del lavoratore, mentre quest’ultimo valuta l’entità, le
caratteristiche e le condizioni della prestazione che gli viene richiesta.
Parte della dottrina è, invece critica e ritiene che il patto di prova NON risponda ad un interesse
comune alle parti, ma ad un interesse del datore di lavoro → questo sarebbe desumibile dal
1°comma in cui si richiede un requisito di forma. Solitamente la presenza di un requisito formale
nel diritto del lavoro suggerisce quando un’esigenza di protezione ai lavoratori perché si è in
presenza di una minore tutela nei confronti degli stessi.

Comma 3 :
Principio della libera recedibilità  Durante il periodo di prova, in qualsiasi momento ciascuna
delle parti può recedere dal contratto senza obbligo di preavviso o di indennità. Tuttavia, qualora
le parti abbiano previsto un periodo minimo neccessario di prova, il recesso NON potrà essere
esercitato fino al termine previsto dalle parti.

Il recesso NON necessità di alcun requisito formale, e NON deve essere necessariamente motivato,
in quanto libero.

Tuttavia, la Corte costituzionale ha, di fatto, attenuato la regola della libera recedibilità nel
rapporto di lavoro in prova, prevedendo delle ipotesi in cui è possibile contestare la legittimità del
recesso. Libero non significa che possa essere esercitato senza alcun limite. 

o Il lavoratore può contestare la legittimità del recesso da parte del datore di lavoro, qualora
non sia stata data la possibilità o consentita di fare l’esperimento oggetto della prova,
oppure quando il recesso sia imputabile ad un motivo illecito o estraneo all’esperimento,
ad esempio in presenza di forme di discriminazione illegittime (scopro che la lavoratrice è
in gravidanza).

In tal caso, la Corte costituzionale ha stabilito che, diversamente da quanto previsto per
ogni altro caso di licenziamento individuale, l’onere della prova spetta, in base alla regola
generale nell’art. 2697 c.c. (onere della prova), al soggetto che rivendica l’illegittimità del
recesso, ossia il lavoratore.

 L’articolo 2096 cc. NON prevede una durata massima del patto di prova , questa può essere
desunta dall’articolo 10, co. 1 della legge 604/1966 sui “licenziamenti individuali” (cioè quelli
senza giusta causa che richiedono preavviso o indennità)→

Le norme sui licenziamenti individuali si applicano nei confronti dei prestatori


di lavoro… assunti in prova, si applicano dal momento in cui l'assunzione
diviene definitiva e, in ogni caso, quando sono decorsi sei mesi dall'inizio del
rapporto di lavoro.

Quindi ne traiamo che la durata massima del patto di prova è di 6 mesi, dopo di che il patto
di prova si scioglie.

 Tuttavia, in linea generale la durata dei patti di prova è stabilita dalla contrattazione
collettiva, che differenzia la durata a seconda della categoria del lavoratore. Inoltre, spesso è
di gran lunga minore rispetto alla durata massima di 6 mesi stabilita dalla legge, questo
perché l’autonomia collettiva agisce a favore del lavoratore. In questo caso una maggiore
brevità del patto di prova è da intendersi come un intervento migliorativo migliorativa, data
la precarietà strutturale del patto di prova.
 L’art. 2096 NON fa riferimento ad alcuna proroga del periodo di prova → nel silenzio del
legislatore, la giurisprudenza e la dottrina ritengono legittimo l'allungamento del patto di
prova, purché la proroga sia redatta per iscritto e abbia una durata complessiva di 6 mesi.

Comma 4 :
In mancanza del recesso, e compiuto il periodo di prova, l'assunzione diviene definitiva e il servizio
prestato si computa nell’anzianità del prestatore di lavoro (ossia pensione).

Trattamento economico del rapporto di lavoro in prova :


Salvo l’eccezione prevista dalla legge sui licenziamenti individuali (intende se supera i 6
mesi?);Secondo la Corte costituzionale, al lavoratore in prova devono essere riconosciute tutte le
protezioni di cui avrebbe diritto in caso di assunzione non condizionata (cioè non in prova). 
parità di trattamento. Quindi, anche in caso di recesso, al lavoratore in prova spettano ferie
retribuite e TFR (trattamento di fine rapporto). Compiuto il periodo di prova l’assunzione diviene
definitiva e il servizio prestato già reso deve essere imputato nella pensione (comma 4 art. 2096
c.c.)
Il contratto di lavoro è un contratto di scambio = contratto sinallagmatico (scambio reciproco di
prestazioni)  Vengono scambiate prestazioni : prestazione di lavoro in cambio di retribuzione.

Le parti contraenti :

 Lavoratori subordinati →

- Sono persone fisiche, la cui prestazione è di norma infungibile (non sostituibile).


Questa infungibilità era stata posta in discussione dalla Legge Biagi, che aveva
introdotto una figura negoziale di lavoro subordinato, ossia il “job sharing” (“a
coppia”), in cui la prestazione di lavoro veniva resa da due lavoratori obbligati
solidalmente all’esecuzione del contratto, poi questa disciplina è stata abrogata dal
Job Act II, con art. 55 del d.lgs. 81/2015.

- Per essere ammessi al lavoro i lavoratori devono aver assolto all’obbligo di


istruzione, fissato in almeno 10 anni, in base a quanto dalla legge 296/2006.

I lavoratori devono aver compiuto 16 anni, salvo eccezioni (ad esempio in alcuni settori
produttivi, specifiche attività come nello spettacolo, nello sport ,) e i casi in cui occorre il
consenso dei genitori e l’autorizzazione amministrativa.

La capacità di stipulare contratto di lavoro nel nostro ordinamento quindi si acquisisce con i
16 anni, mentre la capacità di stipulare contratti in generale si acquisisce ai 18 anni →
questa regola la desumiamo (non è espressa) dall’ art. 2 co 2 C.C.

La componente straniera del mercato del lavoro → quando parliamo di stranieri ci


confrontiamo con un ambito molto variegato e complesso, in cui è importante adottare
una distinzione tra lavoratori cittadini di un paese europeo e lavoratori di cittadinanza
extra-europea :

o Per quanto riguarda la prima categoria, il principio di libera circolazione dei


lavoratori all’interno dell’UE porta ad un’equiparazione del trattamento, tra
cittadino italiano e cittadino membro di uno stato europeo.

o Diverso è il discorso per il cittadino extra UE, a cui si applica una disciplina speciale
(testo unico in materia di stranieri cittadini extra UE), che sostanzialmente richiede
una serie di requisiti che rendono legittima la loro presenza sul territorio nazionale
(ad esempio il permesso di soggiorno).
 Datore di lavoro →

- Può essere indistintamente una persona fisica o giuridica, si applicano le regole


generali in materia di capacità giuridica e capacità di agire

- Il contratto di lavoro subordinato si caratterizza tradizionalmente per la necessaria


bilateralità → per evitare abusi è vietata la dissociazione tra titolarità formale del
rapporto di lavoro ed effettiva utilizzazione della prestazione di lavoro. La figura del
datore di lavoro non deve essere dissociata; quindi, non possiamo avere un titolare
formale del rapporto e un utilizzatore effettivo della prestazione di lavoro.
Con opportune garanzie è ammessa questa dissociazione a partire dalla legge n
196/1997 che ha introdotto il lavoro interinale (è una deviazione al principio della
bilateralità). Figura negoziale sostituita da artt. 20 - 28 legge Biagi e che oggi
troviamo negli artt. da 30 a 40 del d.lgs. 81/2015 insieme ai quali consideriamo art.
30 d.lgs. 276/2003 (Legge Biagi) = figure di somministrazione di lavoro, che ha
sostituito il lavoro interinale.

- Le regole del lavoro presentano specifiche definizioni di datore di lavoro. In alcune


legislazioni troviamo specifiche discipline :

Esempio: testo unico materia tutela salute e sicurezza nel lavoro, d.lgs. n.
81/2008, in cui vi è la definizione di datore di lavoro, nell’art. 2 comma 1
lettera b

- La legislazione prevede una regolamentazione differenziata per i datori di lavoro, in


base alla consistenza numerica-occupazionale (criterio numerico) dell’impresa o in
base al carattere imprenditoriale.

Esempio: abbiamo una differenziazione in tema di sistema sanzionatorio in


caso di illegittimo licenziamento individuale  sarà più attenuato se
impresa è piccola, se è medio-grande si applica tutela più rigorosa
Elementi essenziali del contratto :

 Accordo: in linea con le regole generali, l’accordo è l’incontro della volontà dei contraenti.
La peculiarità dei contratti di lavoro è che la manifestazione del consenso può anche
coincidere con l'esecuzione da parte del lavoratore della prestazione (per atti concludenti).

Un’altra particolarità scarsa incidenza casistica rispetto ai vizi della volontà (errore,
violenza, dolo), in relazione al fatto che molti aspetti del diritto del lavoro sono
caratterizzati da una disciplina imperativa, inderogabile; ma questa scarsa incidenza è
anche legata al principio dell’indisponibilità del tipo contrattuale per le parti e per
legislatore.

Frequente è l’ipotesi di simulazione relativa caso di parziale difformità tra la volontà


effettiva delle parti e quella espressa nelle dichiarazioni negoziali. Da cui un’ampia casistica
giurisprudenziale in materia di qualificazione della prestazione in termini di subordinazione
o relativamente al riconoscimento di aspetti della disciplina lavoristica, in particolare
retribuzione

 Causa : come desumiamo dall’art. 2094 C.C., il contratto di lavoro è a titolo oneroso 
come abbiamo detto prima il contratto di lavoro è un contratto di scambio, il cui nucleo
essenziale è costituito dallo scambio tra prestazione svolta in regime subordinazione e
retribuzione.

 Oggetto : corrisponde al contenuto della prestazione, che è destinata a svolgersi in forma


subordinata dietro compenso. Riferimento all’art. 1346 C.C., in base al quale l’oggetto deve
essere lecito, possibile a pena di nullità, determinato o determinabile.

All’interno del contratto di lavoro devono essere indicate le mansioni per cui il lavoratore
viene assunto, la retribuzione spettante, il luogo di svolgimento della prestazione e il
regime temporale della stessa prestazione.

o Sull’oggetto incide l’art. 2103 c.c., che disciplina i poteri unilaterali del datore di
lavoro rispetto alle mansioni stabilite in origine, ma anche rispetto al luogo stabilito in
origine.

In riferimento all’oggetto del contratto di lavoro, possiamo parlare di una serie di obblighi
legali a cui sono sottoposti lavoratore e datore di lavoro:

Obblighi del lavoratore


- Art. 2104 c.c.: obbligo di diligenza del lavoratore
- Art. 2105 c.c.: obbligo di fedeltà

Obblighi del datore


- Art. 2094 c.c. - obbligo retributivo (deriva la sicurezza sociale??)
- art. 2115 C.C. - obbligo contributivo (deriva la tutela previdenziale?)
- Art. 2087 - obbligo di tutelare l'integrità fisica e morale
 Forma: il contratto di lavoro ha forma libera, volendo Il vincolo contrattuale può
determinarsi anche per fatti concludenti (dalla quale si desume la volontà delle parti).

Tuttavia, in alcune ipotesi è prevista una forma specifica: ad esempio per quanto concerne
i contratti speciali di lavoro, come il contratto di lavoro sportivo, dove, ai sensi della legge
91/1981, è prescritta la forma scritta ad substantiam per la validità del contratto degli
sportivi professionisti. Ci sono altri contratti atipici, come il contratto part-time, che ha dei
requisiti di forma.

 Occorre ricordare che il datore è tenuto per legge a una serie di comunicazioni scritte in
sede di assunzione, ciò in base ad una disciplina europea (direttiva 533 del 1991) che poi è
stata oggetto di un d.lgs. n 152/1997 di attuazione

Elementi accidentali :

Il patto di prova è un elemento accidentale, che abbiamo già visto…

(1) Patto di non concorrenza : apparentemente simile all’obbligo di fedeltà, ma in realtà è


molto diverso da quest’ultimo (di cui parla art. 2105).

La differenza fondamentale è che l’obbligo di fedeltà impone al lavoratore di non svolgere


alcuna attività che possa essere in concorrenza con l’attività di lavoro, per tutta la durata
del rapporto di lavoro. Il patto di non concorrenza, diversamente da obbligo fedeltà, si
riferisce al periodo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro. Questa clausola è
soggetta a una serie di requisiti, ai sensi dell’articolo 2125 :

Articolo 2125 cc. -


“Il patto con il quale si limita lo svolgimento dell'attività del prestatore di lavoro,
per il tempo successivo alla cessazione del contratto, è nullo se non risulta da atto
scritto, se non è pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e se il
vincolo non è contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo. La
durata del vincolo non può essere superiore a cinque anni, se si tratta di dirigenti,
e a tre anni negli altri casi. Se è pattuita una durata maggiore, essa si riduce nella
misura su indicata”

Affinché il patto sia valido questo deve essere: scritto (requisito di forma), deve essere
indicato il corrispettivo del lavoratore, inoltre devono essere indicati oggetto, luogo e
durata del patto. Molto frequente previsione di questa clausola.

(2) Termine: ossia l’apposizione di un limite di durata al contratto di lavoro. Si ritiene che
l’evoluzione legislativa di questo istituto costituisca un esempio emblematico per
comprendere le tecniche di flessibilizzazione (in entrata e uscita) del rapporto di lavoro.

La vicenda del contratto a termine è molto intricata. Inizialmente la legge n° 230/1962


aveva previsto come forma contrattuale standard il contratto a tempo indeterminato,
salvo alcune ipotesi tipiche, indicate dalla stessa legge, in cui, per ragione della
temporaneità dell’esigenza produttiva/organizzativa, era possibile deviare dal modello
standard di lavoro (ipotesi tassative).

Seguì l’abrogazione di questa legge a seguito di una direttiva europea, n°70/1999, con cui si
è chiesto ai paesi membri dell'Unione di modificare la disciplina del lavoro a termine, al fine
di ampliare l’utilizzo di questo contratto. Ad attuare questa diretta è stato il d.lgs. n°
268/2001, in uno dei governi Berlusconi. Con questo decreto legislativo è stata dismessa la
tassatività delle ipotesi di legittima apposizione del termine, e in sostituzione si è optato
per una causale più ampia, NON più tassativa, per rendere l’utilizzo di questo strumento
più esteso. A tal punto che si è discusso su quale dovesse essere la forma tipica/standard di
lavoro (a termine o indeterminato). Su questo d.lgs. sono stati fatti interventi :

- Governo Prodi, restrittivo di questa causale generale, si è riaffermato il primato del


contratto indeterminato rispetto al contratto a termine, da ritenersi eccezione alla
presenza di esigenze temporanee. (< flessibilità)

- Il governo successivo, il Governo Berlusconi, ha operato un intervento ampliativo


del d.lgs. del 2001, nella prospettiva di un utilizzo maggiore del contratto di lavoro a
termine. (> flessibilità)

- Legge Fornero (n 92/2012) che da un lato afferma la centralità del rapporto di


lavoro a tempo indeterminato, dall’altro modifica la disciplina del contratto a
termine in senso ampliativo, rendendolo più appetibile per i datori di lavoro, meno
vincolato. (>flessibilità)

- Anche il Governo Renzi la flessibilità in entrata nei rapporti di lavoro, rendendo


questo contratto acausale, ossia permettendo di utilizzare il contratto a termine
senza la necessità di indicare le delle ragioni per cui deviare dal modello standard di
contratto di lavoro a tempo indeterminato. Lo scopo era favorire un incremento dei
livelli occupazionali. Mediante la legge 78/2014(con Job Act I). --- (> flessibilità)

- Governo Conte, intervento opposto a quello effettuato durante la stagione renziana


→ decreto dignità, decreto-legge n°96/2018, mediante la quale il contratto a tempo
indeterminato ritorna ad essere quello standard. (< flessibilità)

- Durante la pandemia, il decreto-legge n°73/2021, poi convertito con legge


206/2021 → disposizione temporanea in materia di causali, delle ragioni
giustificatrici dell’apposizione del termine al contratto di lavoro.
Invalidità del contratto di lavoro
Altro aspetto peculiare che separa la disciplina del rapporto di lavoro da quella generalmente
applicabile ai contratti riguarda la regolamentazione dettata dal CC in materia di invalidità del
contratto. Le norme generalmente applicabili sono l’art. 1418 e 1419 C.C. Qui invece dobbiamo
andare a vedere una norma specifica che in tema di invalidità del contratto si applica ai rapporti
di lavoro :

Art. 2126 C.C.- Prestazioni di fatto con violazione di legge:


La nullità o l'annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per
il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi
dall’illiceità dell'oggetto o della causa.

Se il lavoro è stato prestato con violazione di norme poste a tutela del


prestatore di lavoro, questi ha in ogni caso diritto alla retribuzione

Scomponiamo questa norma in tre parti :

I.Parte. In caso di invalidità del contratto la nullità o l’annullamento NON ha efficacia


retroattiva, ossia non ha effetto per il periodo in cui il rapporto di lavoro ha avuto esecuzione.
Quindi il lavoro già reso (presupponendo che non possa essere ripetuto), sia pure nell’ambito di
un contratto invalido, è salvo, ciò a tutela dei lavoratori stessi (altrimenti non sarebbero
pagati).

Deroga rispetto alle regole normalmente applicabili ai contratti, dove la nullità travolge tutto
sin dall’inizio dell’esecuzione.

II.Parte. Tuttavia, nel caso in cui la nullità del contratto derivi dall’illeceità dell’oggetto o
della causa, l'invalidità opera retroattivamente, quindi si torna alla regola generale.

Esempio: contratto di lavoro per bastonare una persona – essendo l’oggetto


illecito, l ‘invalidità ha effetto sin dall’inizio del contratto

III.Parte. Il contratto che violi le norme poste a tutela del lavoratore è invalido, tuttavia al
fine di tutelare il lavoratore, egli avrà, in ogni caso, diritto alla retribuzione per la prestazione
già resa.

Esempio: nel nostro ordinamento non è possibile assumere stranieri privi di idoneo
titolo di soggiorno (testo unico immigrazione extraeuropea che sanziona i datori che
si servono di lavoratori stranieri presenti illegalmente sul nostro territorio).
CONCILIAZIONE VITA-LAVORO
Riprendiamo l’argomento della conciliazione vita-lavoro.

Per ricapitolare brevemente a dove eravamo rimasti


La prima legge in merito era stata la legge 1201/1971, alla quale era seguita la legge 903/1977,
dopodiché c’è stata la legge di attuazione europea, la legge 53/2000. A questa serie di leggi si era
resa necessaria la razionalizzazione della materia, questa venne mediante il d.lgs. 151/2001.
Dopodiché erano intervenuto la legge Fornero (l. 92/2012) e la legge 228/2012. Fino a quel
momento la disciplina era…

MADRE PADRE ENTRAMBI

 Congedo di maternità  Congedo di paternità  Congedo parentale =


= 5 mesi e 80% obbligatorio = 1 giorno sostituisce l’astensione
e 100% facoltativa ex legge
 Voucher baby-sitting o  Congedo di paternità 1204/1971. Durata di 6
asili nido facoltativo = 2 giorni – mesi a testa, ma in
in via derivata al posto totale potevano essere
della madre 10 complessivamente.
30% retribuzione
 Frazionamento a
ore del congedo

Con il D.lgs. n 80 del 2015 (Job act II), il legislatore ha apportato modifiche rilevanti alla disciplina
della conciliazione familiare previgente, che si era stratificata nel tempo (vedi ciclo I per maggiori
informazioni).

► Congedo di maternità 
Il Jobs Act ha reso più flessibile la possibilità di fruire il congedo di maternità, in alcuni casi
specifici, ossia in caso di parto prematuro (antecedente la data presunta) e di ricovero del
neonato. Il Job act ha modificato l’ art. 16 co. 1 let. d e aggiunto art. 16 bis del d.lgs.
151/2001. (da guardare).

Il job Act rinnova anche l’art. 20 del d.lgs. 151/2001, prevedendo una diversa modulazione
del periodo di astensione ante partum  Se prima questo era pari a 2 mesi, con il decreto
era stata prevista la possibilità di fruire il congedo di maternità 1 mese prima la data
presunta del parto e di 4 mesi successivi allo stesso. Successivamente al Job Act, quindi al
d.lgs. 80/2015, viene previsto che l’intera astensione ante partum possa essere goduta
insieme all’astensione post partum.

La possibilità di flessibilizzare l’astensione ante partum, a un mese prima oppure


interamente insieme a quella post partum, è comunque subordinata all'autorizzazione del
medico, il quale deve accertare che non sussista un pericolo per la madre o per il nascituro.
► Congedo parentale 
La principale modifica operata dal Job act, riguarda il periodo entro il quale può essere
attivato il congedo: se prima, ai sensi della legge 53/2000, si poteva godere del congedo
entro i primi 8 anni di vita del bambino, a seguito del decreto lgs. 80/2015 questo limite
viene elevato a 12 anni. Conseguentemente venne elevato anche il parametro temporale
per il godimento dell’indennizzo (prima era 3 anni, ora boh non c’è l’ha detto)

Tra gli interventi più importanti del Job Act vi è il completamento della disciplina prevista
in materia di frazionamento a ore del congedo parentale. Difatti la legge 228/2012 aveva
rinviato alla contrattazione collettiva l’individuazione delle concrete modalità di utilizzo di
questo frazionamento a ore, tuttavia non segui alcun intervento. Per questo motivo il Job
Act ha previsto una disciplina suppletiva eteronoma, diretta a garantire la fruizione del
frazionamento a ore anche in assenza di disposizioni dell’autonomia collettiva  aggiunge
il co.1-ter all’art 32 del d.lgs. 151/2001

Art. 32, co. 1-ter, d.lgs. 151/2001


In caso di mancata regolamentazione, da parte della contrattazione
collettiva, anche di livello aziendale, delle modalità di fruizione del
congedo parentale su base oraria, ciascun genitore può scegliere tra la
fruizione giornaliera e quella oraria. […]

Criticità del Job Act

 Il Job Act NON interviene in alcun modo sul congedo obbligatorio di paternità. Nella
regolamentazione originaria della legge Fornero, il congedo obbligatorio, ma anche
facoltativo, di paternità erano interventi di natura sperimentale  previsti per il triennio
fino al 2015. Per questo motivo, ci si attendeva da parte del Job Act un chiarimento su
questo punto, finalizzato a farne una misura strumentale e non più sperimentale.

 Il Job act è risultato criticabile perché, aldilà delle sue intenzioni, è intervenuto in maniera
poco innovativa. Ne sono un esempio le modifiche sul congedo di maternità, che, in realtà,
andavano a recepire alcuni orientamenti della giurisprudenza costituzionale. In altre
parole, il Job Act si è occupato di adattare il quadro legale ad alcuni orientamenti
giurisprudenziali che si erano susseguiti.
Aspetti innovativi del Job Act
Se per certi aspetti il Job Act è risultato poco innovativo, bisogna ammettere il d.lgs. 80/2015 ha
affrontato in maniera nuova il tema della conciliazione. Si è preso atto del fatto che la
conciliazione, ossia il bilanciamento delle esigenze di vita-lavoro, NON necessariamente riguarda
nuclei familiari con all’interno un minore, ma potrebbe interessare anche altre sfere della persona,
come per esempio problemi di salute o altro…

 Art. 24 d.lgs. 80/2015 previsione di un congedo per le donne vittime di violenza di


genere. Questo è un tema ancora tragicamente attuale, che ha importanti implicazioni sul
versante della salute.

Prima di tutto con violenza di genere cosa si intende?


La definizione è rinvenibile nella risoluzione ONU 1993 che considera questo
fenomeno come ogni atto di violenza sessista che rechi o possa recare alle donne un
pregiudizio, sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche, compresa la minaccia di tali
atti, la coazione o privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica sia nella
vita privata.

Il godimento di questo congedo è subordinato alla presenza di alcuni requisiti:

1. Deve trattarsi di lavoratrice vittima di violenza di genere inserita in un percorso di


protezione; quindi, deve essersi rivolta a strutture deputate a realizzare percorso di
protezione

2. Questo congedo, la sospensione dell’attività lavorativa, deve essere funzionale allo


svolgimento del percorso di protezione

Secondo questo articolo, il periodo massimo di questo congedo è di 3 mesi Periodo, fruibili
entro 3 anni dalla data di inizio del percorso di protezione. Questo congedo può essere
fruito su base giornaliera o oraria, salve le previsioni dell’autonomia collettiva.
Inoltre, è richiesto, salvo casi di oggettiva impossibilità, di preavvisare il datore di lavoro
con un termine non inferiore a 7 giorni, mediante l'indicazione dell’inizio e della fine del
periodo di congedo accompagnato dalla certificazione del percorso di protezione.
Durante questo periodo di congedo la lavoratrice ha diritto a un’indennità previdenziale
che corrisponde all’ultima retribuzione, con riferimento alle voci retributive fisse e
continuative del trattamento economico. Similmente ai congedi genitoriali, l’indennizzo
dovrà essere erogato dal datore di lavoro e poi andrà a conguaglio.

Alla lavoratrice è riconosciuto il diritto alla trasformazione del lavoro a tempo pieno in
lavoro a tempo parziale; tuttavia, il rapporto di lavoro potrà essere nuovamente
trasformato su richiesta della lavoratrice.

Questa disciplina applicabile non solo all'impiego privato, ma è anche al pubblico impiego
Oltre a quanto già previsto, in questo caso si ammette la possibilità di presentare una
domanda di trasferimento ad un’altra sede, ubicato in un comune diverso. La PA disporrà il
trasferimento, in base alla qualifica personale, e se presenti posti disponibili.
 Sempre in tema della salute il job act dedica altre disposizioni, ad esempio contenute nel
d.lgs. 81/2015 (Testo Unico in materia di lavoro atipico/flessibile). All’interno della quale
viene disciplinato il contratto part-time, vi sono anche delle disposizioni derivanti da
esigenze di conciliazione tra il lavoro e la tutela della salute  per esempio esigenze
riguardanti il coniuge, che attengono sul fronte della salute del nucleo familiare (possibilità
di trasformare il lavoro in part-time se il coniuge è malato)

Tipologia del nucleo familiare e conciliazione:

Sul fronte delle esigenze di conciliazione, familiare e non (lavoro-salute, etc…), ci troviamo di
fronte ad un problema, ossia se sia possibile estendere queste disposizione a tipologie di nuclei
familiari, diversi da quello maggioritario.
Questo perché nel tempo i nuclei familiari hanno subito delle trasformazioni, e ad oggi abbiamo
strutture familiari estremamente variegate: nuclei familiari monoparentali (famiglia con 1 solo
genitore), nuclei omoparentali (famiglia con genitori dello stesso sesso), etc …

È possibile estendere la tutela genitoriale in presenza di questi diversi nuclei familiari?


L’altro genitore, non biologico, può godere di queste disposizioni in materia di part time
ecc.? Possono queste disposizioni essere applicate a famiglie omoparentali ?

In merito, una prima indicazione legislativa viene fornita dalla legge 76/2016, contente la disciplina
le Unioni civili. Questa legge ha assimilato la figura delle coppie omosessuali a quello del
matrimonio, in base a quanto stabilito da…

Articolo 1 co. 20:


Al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento
degli obblighi derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso sesso, le
disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole
«coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli
atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché' negli atti amministrativi e nei
contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra
persone dello stesso sesso. La disposizione di cui al periodo precedente non si
applica alle norme del Codice civile non richiamate espressamente nella presente
legge, nonché' alle disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184. Resta
fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti.

Quindi la disposizione del d.lgs. 81/2015 si applica anche alle unioni civili perché contenente il
termine "coniuge".

Es. in caso di infortunio mortale sul lavoro, l’INAIL riconosce al coniuge superstite una
rendita, poiché abbiamo la parola coniuge la disposizione si applica anche all’unione
civile.

Tuttavia, legge 184/1993 , in materia di adozione, non si applica alle unioni civili.  Quindi se
dall’unione civile si hanno dei figli, non sarà possibile, per il genitore non biologico , creare un
rapporto di filiazione, quindi questo genitore sarà sfornito di tutela dal punto di vista dei congedi
genitoriali.
TUTTAVIA…

È stato possibile verificare il riconoscimento del rapporto di filiazione tra il minore e il genitore
sociale (non biologico), mediante atti di natura amministrativa → alcuni comuni hanno permesso il
riconoscimento della filiazione tra genitore sociale e minore.

Il rapporto di filiazione validato da atti amministrativi è stato riconosciuto anche a livello


giurisprudenziale con delle sentenze che hanno dichiarato l’esistenza di questo vincolo
genitoriale. Queste, però, sono ipotesi specifiche che hanno riguardato alcuni casi a fronte di una
disciplina legale che, invece, nega nella sostanza questo riconoscimento

Questa situazione ha fatto emergere l’esigenza di intervenire in merito: sentenza 230/2020 della
Corte di Cassazione in cui si chiede al parlamento di legiferare su questo aspetto ad esempio
estendendo l’istituto delle adozioni particolari ai nuclei omogenitoriali. Nonostante ciò, al
momento non è stato dato corso a questa sentenza, quindi ci troviamo ancora in una situazione
confusa che è stata risolta solo in alcuni casi particolari.

Sentenza del tribunale di Milano (2020)


In questo contesto normativo, caratterizzato dall’assenza di una disciplina legale, vi è stata
una sentenza (12 novembre 2020) del tribunale di Milano. Oggetto di questa sentenza era
il caso di una lavoratrice unita civilmente, che a seguito di questa unione ha avuto un
bambino, mediante le tecniche di procreazione medicalmente assistita. A seguito di un
provvedimento amministrativo, all’altro genitore, quello non biologico, è stato
riconosciuto il legame con il figlio.
Quindi a seguito della nascita di questo figlio, il genitore sociale richiede al datore di
lavoro che le venisse riconosciuto anche a lei il congedo parentale, ex art. 32 del d.lgs.
151/2001.

Tuttavia, Il datore di lavoro NON riconosce questo diritto , rigetta la richiesta, affermando
che non vi sia una disciplina applicabile a questi casi.

Quesito: la disciplina in materia di congedi parentali può estendere la sua applicazione


oltre al modello familiare egemone?

Secondo il Tribunale di Milano  nella misura in cui esiste rapporto di filiazione accertato,
in questo caso da un’autorità amministrativa, nonostante non via sia una disciplina per
tutti i tipi familiari, non è possibile contestarne la legittimità non riconoscendo il congedo
parentale, perché incorreremmo in un atto discriminatorio, in ragione dell'orientamento
sessuale della lavoratrice, come disciplinato dal d.lgs. 216/2003. Quindi in questi casi
dobbiamo mettere sostanzialmente la lavoratrice al posto del padre e quindi questa potrà
godere paritariamente di questa disciplina.
Tuttavia, non solo le pronunce giurisprudenziali si sono espresse in merito, ma osserviamo anche
interventi della contrattazione collettiva, volti ad estendere l'ambito di applicazione in materia di
congedi genitoriali.

Inoltre, è possibile anche riscontrare, in maniera sempre più frequente, decisioni unilaterali dei
datori dei datori di lavoro volti a riconoscere il congedo obbligatorio al genitore sociale.

Quindi, si può concludere dicendo che la conciliazione familiare riguarda anche nuclei per cui
NON vi è un riconoscimento legale della filiazione, come ad esempio i nuclei omoparentali, ma alla
condizione che sia stato accertato un rapporto di filiazione, come abbiamo visto in via
amministrativa o giurisprudenziale.

La conciliazione delle esigenze di vita è stata riconosciuta anche oltre l'ambito dei modelli familiari
tradizionali, ma si può notare anche un ampliamento del riconoscimento della tutela genitoriale
oltre l’ambito del lavoro dipendente. Quindi la conciliazione familiare riguarda anche il lavoro
autonomo 

In merito, già la legge 53/2000 aveva esteso la tutela genitoriale (congedo genitoriale) al lavoro
autonomo. Su questo impianto, poi trasfuso nel d.lgs. 151 /2001 (statuto della tutela bla… bla…
bla…), è intervenuto il job act, il quale si è limitato a recepire risultati e principi già emersi nella
giurisprudenza e nelle sentenze della Corte costituzionale.

Quella prevista per il lavoro autonomo, si tratta di una tutela assimilabile a quella riconosciuta in
presenza di un rapporto di lavoro dipendente, con una rilevante differenza che riguarda l’aspetto
previdenziale della tutela: nel lavoro subordinato l'indennità NON dipende dalla maturazione di
requisiti contributivi, il suo riconoscimento è relazionato esclusivamente all’esistenza del rapporto
di lavoro (non dobbiamo avere un’anzianità contributiva per il riconoscimento dell’indennità); quanto al
lavoro autonomo le indennità parentali sono condizionate all’effettivo versamento dei contributi
previdenziali.

INFINE…
 Durante la pandemia, la tutela riconosciuta dai congedi e dai bonus è stata rafforzata con la
funzione di facilitare e aiutare il bilanciamento delle esigenze genitoriali e di lavoro conseguenti
alla sospensione dei servizi educativi per l’infanzia e alla chiusura delle attività didattiche delle
scuole di ogni ordine.
3. LA TIPOLOGIA DEI RAPPORTI DI LAVORO
Scaletta:

Analisi dei sottotipi negoziali del tipo contrattuale lavoro subordinato, vedremo le figure
contrattuali che per uno o più aspetti si discostano dal tipo contrattuale lavoro subordinato, ossia
dal modello standard e tipico di lavoro.

 Vedremo il contratto a termine, atipico nella misura in cui è caratterizzato dall’apposizione


del limite di durata, mentre il contratto di lavoro standard è a tempo indeterminato.

 Contratti atipici in quanto si discostano dal modello standard dal punto di vista della
modulazione dell’orario di lavoro, quindi il contratto a tempo parziale, il contratto
standard tipicamente ci impegna per l’intera giornata, c.d. “a tempo pieno”.

 Figura negoziale atipica dal punto di vista della causa (la ragione) del contratto di lavoro, la
quale consiste nello scambio tra retribuzione e prestazione di lavoro, le figure negoziali
atipiche dal punto di vista della causa sono caratterizzate dall’obbligo retributivo ma anche
obbligo formativo, si parla di retribuzione differita = in capo al datore di lavoro non solo vi
è l’obbligo di erogare una retribuzione ma anche quello di erogare una formazione (obbligo
formativo).

Analizzare queste forme atipiche è importante per guardare al mercato del lavoro, e chiederci
oggi quali sono le figure prevalenti di lavoro atipico, se possiamo ancora assumere la centralità del
lavoro standard. Qual è la forma negoziale con cui si accede più frequentemente al lavoro, qual è
oggi nei fatti la figura di lavoro prevalente.
LE FIGURE NEGOZIALI ATIPICHE NELL’AMBITO DELLA SUBORDINAZIONE
La specialità dei rapporti di lavoro

La specialità nei rapporti di lavoro. Con questa espressione, si allude al fenomeno della presenza,
nel panorama produttivo, di rapporti di lavoro diversi, con deviazioni più o meno accentuate,
rispetto alla fattispecie tipica/standard di lavoro subordinato, disciplinata dall’art. 2094 c.c.

In altre parole, la disciplina del lavoro nell’impresa, per come risulta sistemazione codicistica,
mostra un’insufficienza rispetto alle diverse richieste di regolamentazione derivanti dalla
molteplicità di forme che la prestazione di lavoro può assumere.

Quali sono le ragioni che hanno portato a questo fenomeno ?

 Presenza di contratti di lavoro “a causa mista” → contratti di lavoro in cui si arricchisce di


aspetti ulteriori lo scambio tipico del lavoro standard, ossia prestazione di lavoro per
retribuzione. Viene fatto carico al datore di lavoro non solo l’obbligo retributivo, ma anche
l’obbligo formativo.

 L’emergere di figure negoziali caratterizzate dall’apposizione del limite di durata (contratto


a termine), posto che la forma standard del lavoro dipendente è quella del contratto a
tempo indeterminato ( vedi “elementi accidentali” e decreto dignità governo Conte).

 Interesse pubblico, della collettività, a modificare il rapporto di lavoro tipico, ad esempio


disciplina del pubblico impiego, lavoro nei trasporti.

 Esigenze derivanti, in alcuni casi, dall’Oggetto della prestazione → caso del rapporto di
lavoro nello sport, la cui disciplina attualmente è contenuta nella legge 91/1981

 Esigenze derivanti dal Contesto in cui la prestazione di lavoro viene resa → es. figura del
lavoro domestico, ossia una possibilità di erogare il lavoro che va a destrutturare il modello
spazio-temporale del lavoro dipendente, mediante la previsione del lavoro agile
In assenza di una disciplina inerente ai rapporti di lavoro speciali, si è quindi posta l’esigenza, da
parte degli studiosi del diritto del lavoro, di elaborare una categoria unitaria che racchiudesse
queste figure negoziali. Per poter individuare questa categoria di figure negoziali dobbiamo caoire
Cosa qualifica il concetto di specialità?

Nel tempo, sono state elaborate due tesi :

 Secondo un 1° orientamento di specialità occorrerebbe parlare solo quando siamo in


presenza di un diverso schema causale del rapporto di lavoro.

Criticità  con questa tesi, rientrerebbero nel concetto di specialità solo i rapporti di
lavoro che presentano un contenuto formativo (es. contratto di apprendistato). Quindi
questa tesi non riesce ad includere le diverse espressioni che si discostano dal modello
standard.

Per questo motivo, questa tesi è stata abbandonata a favore di un’altra:

 Devono essere considerati speciali tutti quei rapporti di lavoro la cui disciplina risulti, più o
meno, diversa rispetto a quella generale del rapporto di lavoro tipico/standard
nell’impresa → tesi oggi preferibile.

Quindi, secondo questa tesi, possiamo intendere la specialità come l’esistenza di una pluralità di
rapporti a disciplina speciale.

Esempio: Caso del rapporto di lavoro sportivo, la cui disciplina è ampiamente derogatoria
rispetto a quella applicabile al rapporto di lavoro dipendente o standard, da tanti punti di
vista. Non si applicano ad esempio numerose disposizioni contenute nello statuto dei
lavoratori (legge 300/1970). È una disciplina speciale perché riscontriamo requisiti di
forma, quando normalmente il contratto di lavoro è a forma libera.

Esempio: Caso del rapporto di lavoro a termine → speciale dal punto di vista della durata
del rapporto

Esempio: il caso del contratto part-time


Il rapporto di lavoro sportivo

Si tratta di un particolare rapporto di lavoro che in virtù del suo oggetto, presenta una disciplina
speciale.

In primo luogo, la disciplina fondamentale del rapporto di lavoro sportivo è contenuta nella legge
n°91/1981 (a differenza del rapporto di lavoro standard – l.300/1970).

Al momento, questa è la normativa vigente, tuttavia è stata prevista entrata in vigore di una
disciplina in materia di lavoro sportivo, per il 1° gennaio 2023. Difatti, on la legge delega 86/2019,
il legislatore ha chiesto un intervento di riforma del settore sportivo, da questa legge sono scaturiti
5 decreti legislativi: uno di questi, ossia il d.lgs. 36/2021 , tratta specificamente del tema del
rapporto di lavoro sportivo. In realtà i decreti lgs. sarebbero dovuti essere 6, ma uno di questi non
ha mai visto la luce, ossia quello sul sistema della governance dello sport.

Disciplina attuale del lavoro sportivo


Chi sono i lavoratori dello sport e come vengono definiti?
Secondo questa legge, si può costituire un rapporto di lavoro sportivo solo nell’ambito del
professionismo. Quindi non vi può essere rapporto di lavoro, al di fuori del professionismo.

Art. 2, l. 91/1981 - Professionismo sportivo


Ai fini dell'applicazione della presente legge, sono sportivi professionisti gli atleti,
gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici, che esercitano
l'attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell'ambito delle
discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle
federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni
stesse, con l'osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione
dell'attività dilettantistica da quella professionistica

Secondo questa legge sono lavoratori sportivi o sportivi professionisti: gli atleti, gli allenatori, i
direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici. In merito, ci si è chiesti se questo elenco avesse
natura esemplificativa, e quindi potessero essere inclusi altre figure sportive, o tassativa. È andata
a prevalere la seconda interpretazione, poiché si riteneva di non poter adottare una lettura
estensiva della norma, in virtù del fatto che la disciplina sul lavoro sportivo professionistico è
derogatoria in peius, rispetto al rapporto di lavoro subordinato tipico. Vedasi art.4 della stessa
legge.

Caratteri e le modalità dell’esercizio dell’attività sportiva → Inoltre, l’attività che deve essere svolta
a titolo oneroso (dietro compenso) e con carattere di continuità.
La norma prescrive, anche, dei presupposti oggettivi in base alla quale identificare il lavoro
sportivo. È tale quell’attività che:

- si svolge nell’ambito delle discipline sportive regolamentate dal CONI (attualmente si


occupa di più di 40 discipline).

- Sia qualificata come professionistica dalle federazioni sportive nazionali, tenendo conto
delle direttive impartite dal CONI per la distinzione dell'attività dilettantistica da quella
professionistica. Le federazioni hanno il potere di definire l’attività come professionistica.
In questo momento in Italia i settori considerati professionistici sono solo:

o il calcio (FIGC), limitatamente alla serie A, serie B e lega pro;


o la pallacanestro (FIP), solo serie A
o il ciclismo (FCI)
o il golf (FIG).

Criticità di questa nozione 


Questa nozione presenta diversi problemi:

- Questa nozione esclude l’ambito del dilettantismo, ossia le attività sportiva rese per
società e associazioni dilettantistiche, e tantomeno la legge definisce il dilettantismo.

- Il problema più grave riguarda il fatto che, le poche federazione che hanno istituito un
settore professionistico (eccezion fata per la FIG) NON hanno previsto al loro interno
alcuna disciplina sportiva femminile. Quindi il professionismo è stato riconosciuto
Ai sensi di questa legge tutte le donne sono dilettanti, NON esiste il professionismo
nell’ambito delle attività sportive femminili, ma è stato riconosciuto solo per le attività
maschili.

Ne consegue che , per come questo assetto normativo è stato elaborato, si impedisce ad alcuni
uomini e a tutte le donne di accedere alle tutele lavoristiche.

Storicamente, nonostante le atlete conseguono risultati eccellenti, il settore sportivo è sempre


stato segnato da differenze di genere non solo per quanto riguarda l’accesso al rapporto di lavoro
professionistico, ma sotto altri profili, come quello economico, mediatico. Oppure in ambito di
rappresentanza femminile negli organi gestionali dello sport a livello nazionale e internazionale.
Senza poi considerare, altre problematiche che si pongono sia nel rapporto di lavoro tipico che in
quello sportivo, come: molestie, violenza di genere (ad esempio tra allenatore-giovane atleta).

Da qui la necessità di riformare la materia, difatti il legislatore con la legge 86/2019 chiede al
governo di realizzare una riforma, che tra le varie cose riguardi il rapporto di lavoro, per risolvere
la questione del dilettantismo di alcuni uomini e il mancato riconoscimento del lavoro sportivo per
le donne e cercando di realizzare un sistema di protezione anche dal punto di vista di una
maggiore presenza femminile a livello gestionale dello sport.
Art. 3 - Prestazione sportiva dell'atleta
La prestazione a titolo oneroso dell'atleta costituisce oggetto di contratto di lavoro
subordinato regolato dalle norme contenute nella presente legge.

Essa costituisce, tuttavia, oggetto di contratto di lavoro autonomo quando ricorra


almeno uno dei seguenti requisiti:

a) l'attività sia svolta nell'ambito di una singola manifestazione sportiva o di più


manifestazioni tra loro collegate in un breve periodo di tempo;

b) l'atleta non sia contrattualmente vincolato per ciò che riguarda la frequenza a
sedute di preparazione od allenamento;

c) la prestazione che è oggetto del contratto, pur avendo carattere continuativo,


non superi otto ore settimanali oppure cinque giorni ogni mese ovvero trenta giorni
ogni anno.

Ai sensi dell’articolo 3, si presume per gli atleti la natura subordinata del rapporto di lavoro.
In virtù della qualifica formale (come lav.sub.) delle federazioni sportive nazionali, quindi di un
soggetto privato, viene presuntivamente stabilita la natura subordinata della prestazione di lavoro
 potenziale conflitto con il principio di indisponibilità del tipo contrattuale.

Tuttavia, nei casi previsti dal 2 comma, il lavoro sportivo può essere anche autonomo.

L’art. 4, - disciplina del lavoro subordinato


[Comma 1] Il rapporto di prestazione sportiva a titolo oneroso si costituisce mediante
assunzione diretta e con la stipulazione di un contratto in forma scritta, a pena di nullità,
tra lo sportivo e la società destinataria delle prestazioni sportive, secondo il contratto
tipo predisposto, conformemente all'accordo stipulato, ogni tre anni dalla federazione
sportiva nazionale e dai rappresentanti delle categorie interessate.

[Comma 6] Il contratto non può contenere clausole di non concorrenza o, comunque,
limitative della libertà professionale dello sportivo per il periodo successivo alla
risoluzione del contratto stesso né può essere integrato, durante lo svolgimento del
rapporto, con tali pattuizioni.

[Comma 8] Ai contratti di cui al presente articolo non si applicano le norme contenute
negli articoli 4, 5, 13, 18, 33, 34 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (2), e negli articoli 1,
2, 3, 5, 6, 7, 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (2). Ai contratti di lavoro a termine non si
applicano le norme della legge 18 aprile 1962, n. 230 (2).

Comma 1:
A differenza del contratto di lavoro subordinato tipico che non ha requisiti di forma, il rapporto di
prestazione sportiva a titolo oneroso si costituisce mediante assunzione diretta e con la
stipulazione di un contratto in forma scritta ad substantiam tra lo sportivo e la società
destinataria delle prestazioni sportive.
Comma 6 :
Il contratto non può contenere clausole di non concorrenza (patti di concorrenza), a differenza
di quanto accade nel contratto di lavoro subordinato a cui può essere apposta una clausola
limitativa della concorrenza per il periodo successivo alla risoluzione del contratto stesso
anomalia rispetto all’art. 2125

Comma 8 :
Non si applicano diverse disposizioni della legge 300/1970, ossia lo statuto dei lavoratori, tra cui la
cd. tutela reale prevista dall’art.18 (visto in parte). Non si applicano, nemmeno, diversi articoli
della legge 604/1966, sui licenziamenti individuali e non si applica per intero la legge 230/1962 sui
contratti a termine.
Riforma del lavoro sportivo

Con la legge 86/2019 il legislatore chiede al governo di realizzare una riforma: tra i suoi aspetti
qualificanti vanno inclusi quelli relativi ai rapporti di lavoro per risolvere la questione di
dilettantismo e di mancato riconoscimento per le donne, cercando di realizzare un sistema di
protezione anche dal punto di vista di una maggiore presenza femminile a livello gestionale nello
sport. Ecco come:

Il d.lgs. 36/2021 dà una nuova definizione di lavoratore sportivo

Art. 25 - Lavoratore sportivo


È lavoratore sportivo l'atleta, l'allenatore, l'istruttore, il direttore tecnico, il
direttore sportivo, il preparatore atletico e il direttore di gara che, senza alcuna
distinzione di genere e indipendentemente dal settore professionistico o
dilettantistico, esercita l’attività sportiva verso un corrispettivo al di fuori delle
prestazioni amatoriali di cui all'articolo 29.

In primo luogo, l’articolo prevedere nuove figure di lavoratore sportivo: si aggiungono l’istruttore
sportivo, il direttore di gara e viene dissociata la figura dei tecnici-sportivi, in direttore sportivo e
direttore tecnico. Anche in questo caso l’elenco è tassativo, in virtù del fatto che tale disciplina si
pone in deroga rispetto al lavoro dipendente standard, ai sensi dell’articolo 26.

Rilevante aggiunta, il fatto che il lavoro sportivo comprenda non più solo il professionismo, ma
anche il dilettantismo, senza alcuna distinzione di genere. Per quanto riguarda le modalità di
esecuzione della prestazione viene meno la continuità, ma rimane il carattere dell’onerosità.

NON rientra il lavoro amatoriale (ai sensi dell’art. 29 del d.lgs. 36/2021).
Il decreto legislativo 36/2021 prevede la possibilità, che ricorrendo i presupposti, il contratto di
lavoro sportivo possa essere: autonomo, dipendente, eteroorganizzato (d.lgs. 81/2015),
coordinata e continuativa.

Art. 26 - Disciplina del rapporto di lavoro subordinato sportivo


Ai contratti di lavoro subordinato sportivo non si applicano le norme contenute
negli articoli 4, 5, 13 e 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, negli articoli 1, 2, 3,
5, 6, 7, 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, nell'articolo 1, commi da 47 a 69,
della legge 28 giugno 2012, n. 92, negli articoli 2, 4 e 5 della legge 11 maggio
1990, n. 108, nell'articolo 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, e nel decreto
legislativo 4 marzo 2015, n. 23

L’Articolo che presenta diverse similitudini rispetto con l’art. 4, co.8 della l. 91/1981, riguardante le
deroghe legislative. Però qui non parliamo di professionismo ma di lavoratore sportivo.
Anche se il contratto di lavoro si può costituire senza distinzione di genere, il problema del
professionismo femminile non è ancora risolto; per come erano i presupposti oggettivi nella legge
91/1981→

Art. 38 - Settori professionistici e dilettantistici


Sono professionistiche le discipline che conseguono la relativa qualificazione dalle
Federazioni Sportive Nazionali o dalle Discipline Sportive Associate secondo le norme
emanate dalle federazioni e dalle discipline sportive stesse, con l'osservanza delle
direttive e dei criteri stabiliti dal CONI per la distinzione dell’attività dilettantistica da
quella professionistica, in armonia con l'ordinamento sportivo internazionale. La
qualificazione di una disciplina sportiva come professionistica opera senza distinzione di
genere. Decorso inutilmente il termine di otto mesi dall'entrata in vigore del presente
decreto, le direttive e i criteri di cui al presente articolo sono adottati, sentito il CONI, dal
Presidente del Consiglio dei ministri o dall’Autorità politica da esso delegata in materia
di sport.

In continuità con la legge 91/1981, le Federazioni sportive nazionali hanno ancora potere di
qualificare le discipline sportive; tuttavia l'articolo 38 del decreto fa un'importante aggiunta: viene
specificato che nel momento in cui si qualifica una disciplina sportiva come professionistica, non vi
sono distinzioni di genere.

 L’obiezione principale avanzata dalle federazione: è la minore redditività degli sport


femminili rispetto al professionismo maschile. questa obiezione è veritiera, ma si può anche
facilmente superare: occorrere iniziare a porre in essere tutta una serie di interventi volti a
rendere redditizie anche le attività sportive femminili.

Per questo motivo, la riforma ha previsto un incentivo per le federazioni nazionali, nella
prospettiva delle donne nel professionismo, mediante l'articolo 39 in cui viene previsto un
fondo per il professionismo delle attività sportive femminili.

Tuttavia, con la normativa attuale ci sono altri aspetti problematici, come la scarsa/inesistente
presenza femminile nella governance dello sport → In tal senso, interviene l’art. 40, in cui viene
chiesto ad una pluralità di soggetti, tra cui il CONI, di realizzare misure promozionali per favorire
la presenza delle donne nella dello sport.

 La commissione europea ha chiesto l’adozione di quote di genere per favorire la presenza


femminile nella gestione dello sport.

Esempio: il CONI nel 2018 aveva previsto delle misure promozionali. Aveva individuato la
necessità di creare equilibrio di genere all’interno degli organi di gestione del CONI.

Nonostante la maggior parte delle disposizioni del decreto legislativo 36/2021 non siano attive, gli
articoli 39 e 40 sono immediatamente operativi, quindi si può già attingere a questo fondo ed è
possibile realizzare misure promozionali dell’equilibrio di genere.
Altra problematica è il fenomeno delle molestie e violenza di genere, in realtà in questo caso non
dobbiamo andare a considerare il decreto legislativo 36/2021, ma il d. lgs. 39/2021, più
precisamente all’art. 16, dove viene delineata una tutela per contrastare questi fenomeni 

Art. 16 - fattori di rischio e contrasto della violenza di genere nello sport


Le Federazioni sportive nazionali, le Discipline sportive associate, gli Enti di
promozione sportiva e le Associazioni benemerite, sentito il parere del CONI,
devono redigere, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente
decreto, le linee guida per la predisposizione dei modelli organizzativi e di
controllo dell’attività sportiva e dei codici di condotta a tutela dei minori e per
la prevenzione delle molestie, della violenza di genere e di ogni altra
condizione di discriminazione prevista dal decreto legislativo 11 aprile 2006, n.
198 o per ragioni di etnia, religione, convinzioni personali, disabilità, età o
orientamento sessuale. Le linee guida vengono elaborate con validità
quadriennale sulla base delle caratteristiche delle diverse Associazioni e delle
Società sportive e delle persone tesserate.

Quindi le Federazioni sportive nazionali, le Discipline sportive associate, gli Enti di


promozione sportiva e le Associazioni benemerite devono realizzare delle misure di
prevenzione contro ogni condizione discriminatoria: genere, etnia, provenienza geografica,
appartenenza religiosa, etc…

Es. lancio di banane nei confronti di Kalidou Koulibaly


Contratto di lavoro a termine
Si tratta di un particolare contratto di lavoro subordinato alla quale viene apposto un limite di
durata. Da che era un’eccezione, è diventata una forma alternativa al rapporto di lavoro
subordinato standard, alcuni parlano addirittura del contratto a termine come la forma tipica.

La vicenda del contratto a termine è molto intricata. Ha conosciuto nel tempo diversi interventi
normativi che sono stati di segno opposto, a seconda anche dei governi che si sono via via
succeduti.

Percorso storico:

In origine l’ordinamento del lavoro ha per lungo tempo valutato con grande sfavore il contratto a
tempo determinato, perché solo un rapporto a tempo indeterminato poteva garantire la
continuità dell’occupazione e la continuità del reddito.

Nel tempo sono emerse delle esigenze di maggiore flessibilità del rapporto di lavoro, che hanno
determinato un cambiamento rispetto all’originario disfavore del lavoro a tempo determinato. Le
ragioni che hanno condotto ad una progressiva apertura del contratto a termine sono molteplici,
ma sono essenzialmente riconducibili al succedersi di crisi economiche, ma anche a trasformazioni
che hanno riguardato i processi produttivi, e il tipo di prodotto che si andava realizzando 

 Inizialmente l’apposizione del termine era vista come ipotesi residuale, difatti, ai sensi
dell’art. 2097 C.C. (è stato abrogato), il contratto si reputava a tempo indeterminato
qualora il termine non risultasse dalla specialità del rapporto o da un atto scritto.

L’articolo 2097 c.c. venne poi abrogato con la legge n° 230/1962, ossia la legge che ha dato
una disciplina organica ai contratti a termine. Legge che prosegue sulla linea di rigore
precedente. Il legislatore aveva previsto il contratto a termine come un’eccezione alla
regola generale, del contratto a tempo indeterminato, quindi anche per questo motivo,
questo contratto ha dei requisiti di forma: ossia la forma scritta ab substantiam

Questa eccezione, poteva applicarsi solamente nelle ipotesi tassativamente previste dalla
legge stessa, in virtù del loro intrinseco elemento di temporaneità:

- attività stagionali
- sostituzione di lavoratori assenti, per i quali era previsto la conservazione del posto
di lavoro (es. malattia, maternità e paternità)
- opere e servizi a carattere straordinario o occasionale

 La prima modifica a questo quadro normativo si ha negli anni 80’, a causa delle prime crisi
petrolifere (economiche) che avevano determinato un’emergenza occupazionale,
interrompendo anche il trentennio glorioso.

Di fronte a questa situazione di crisi economica vengono ampliate le ipotesi in cui era
legittimo appore un termine, mediante la legge 56/1987. Questa legge prevedeva la
possibilità per l’autonomia collettiva di individuare ulteriori ipotesi di contratto a termine,
non specificate dalla legge, a condizione che rispettassero i criteri di eccezionalità,
temporaneità, e transitorietà, propri delle ipotesi e della ratio complessiva della legge
230/1962.  > flessibilità in entrata.

Il contratto a termine poi verrà nuovamente modificato, intervento che costituirà prima svolta
verso la liberalizzazione di questo contratto, tanto che si parlerà del contratto a termine come
nuova forma tipica.

 La prima svolta verso la liberalizzazione del contratto a termine, e una precarizzazione


dell'impiego, si ha a seguito del recepimento della direttiva dell’UE n 70/1999. Questa
direttiva mirava a stimolare la flessibilità in entrata, dall’altro richiedeva agli stati membri
l’adozione di una serie di misure volte a migliorare la condizione dei lavoratori a termine 

o Veniva indicato che la prima assunzione a termine potesse essere realizzata senza
alcun limite, dal punto di vista causale, ossia senza la necessità di indicare ragioni
eccezionali, transitorie, temporanee (questo solo per la prima assunzione).
Affermava, anche, l’utilità del lavoro a termine in determinate ipotesi.

 Il legislatore interviene, recependo questa direttiva con il d.lgs. 368/2001 (svolta verso la
liberalizzazione del contratto a termine). Questa legge prevede una nuova disciplina per il
contratto a tempo determinato, abrogando la l. 230/1962.

o In continuità con la legislazione precedente, il termine deve risultare da un atto


scritto ab substantiam .

o L’elemento di novità è contenuto dall’art. 1 della legge: Non sono più previste
ipotesi tassative in base alla quale poter costituire un contratto a termine, al
contrario prevedeva una causale autorizzativa generale. L’apposizione del termine
era consentita a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e
sostitutivo.  liberalizzazione del contratto a termine.

Tuttavia, si era creato un orientamento giurisprudenziale che sosteneva il contrario, ossia


che anche questo modello fosse da considerare comunque come un’eccezione, in virtù di
una disposizione di questo decreto legislativo chiedeva al datore i motivi che lo avevano
spinto ad apporre un termine al contratto.

 A seguito di questo orientamento, in una fase successiva viene prevista l'aggiunta di un


comma [01] al comma 1 dell’art. 1 del d.lgs. 368/2001, in cui veniva specificato quanto la
giurisprudenza era andata affermando, ossia che in virtù della presenza dell’obbligo di
specificare le ragioni appositive del termine, questo doveva essere considerarsi eccezione
rispetto al contratto determinato  < flessibilità

Dopo questa modifica ve ne furono altre che invece han restituito alla causale generale un ambito
più esteso, tanto da configurare il contratto a termine un'alternativa al contratto a tempo
indeterminato

 In un contesto caratterizzato da forte crisi finanziaria, la legge Fornero (92/2012) incentiva


la flessibilità in entrata dei rapporti di lavoro: ammette limitatamente al primo contratto a
termine, per una durata di 12 mesi, il ricorso a questa forma negoziale, a prescindere dalla
individuazione e formalizzazione delle ragioni giustificative del termine.  > flessibilità
 Dati gli urgenti problemi occupazionali, il Job Act, con la sua 1° disposizione, ossia il
decreto-legge 34/2014, poi convertito con la legge 78/2014, agirà a favore di una maggiore
flessibilità dei rapporti di lavoro. Con questa disposizione viene eliminata l’esigenza
indicare le ragioni specifiche per l’utilizzo della contratto a termine, per ogni ipotesi
(contratto acausale)

 Seguirà il d.lgs. 81/2015 ( Job Act atto II, legge delega 183/2014) cui il legislatore ha
previsto il c.d. “Testo Unico in materia di lavoro atipico o flessibile”, al cui interno è
inclusa la disciplina sul contratto a termine, non è più nel d.lgs. 368/2001.
Fa affermazioni contraddittorie : Il decreto si apre con l’affermazione secondo la quale il
rapporto a tempo indeterminato deve costituire la regola, salvo poi prevedere in sostanza
la acausalità del contratto a termine, in virtù del d. legge 34/2014 poi convertito con la
legge 78/2014.

 È poi nuovamente intervenuto il legislatore con il decreto dignità (decreto-legge 87 /2018,


convertito in legge 96/2018), modificando il d.lgs. 81/2015 → Intervento opposto ai
precedenti, questa legge torna, seppur limitatamente, al principio causale del contratto a
termine in alcune specifiche ipotesi.

 Questa materia è stata anche oggetto della normativa anti-coronavirus, di natura


emergenziale, ad esempio si è prevista la proroga dei contratti a termine nel periodo in cui
l’attività di lavoro è stata sospesa.
La disciplina del contratto a termine

La disciplina del contratto a termine è contenuta negli art 19 a 29 del d.lgs. 81/2015. – “Testo
Unico in materia di lavoro atipico o flessibile”.

anche a seguito di questa evoluzione legislativa in materia di contratto a termine, il nostro


ordinamento ex art. 1 d.lgs. 81 recepisce il principio del contratto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato come forma comune del rapporto di lavoro

Condizioni di legittima Apposizione del termine


La disciplina di legittima apposizione al termine è contenuta nell’art.19, co.1, come modificato dal
decreto dignità. Il quale prevede che al contratto di lavoro subordinato possa essere apposto un
termine, se questi è inferiori a 12 mesi il contratto avrò natura acausale.

Tuttavia, se il termine ha una durata superiore ai 12 mesi, ma cmq non eccedente i 24 mesi (dai 12
ai 24), saranno necessarie delle specifiche causali:

(1) esigenze temporanee e oggettive estranee all’ordinaria attività aziendale

(2) esigenze di sostituzione di lavoratori assenti dal lavoro

(3) esigenze connesse a incrementi temporanei significativi e non programmabili


dell’ordinaria attività aziendale

I requisiti di forma
In continuità col quadro normativo precedente, salvi i rapporti di lavoro di durata non superiore a
12 giorni, l'apposizione del termine al contratto è priva di effetto se non risulta da atto scritto ab
substantiam (art 19).
Inoltre, riguarda anche il caso in cui il contratto sia superiori ai 12 mesi, poiché in tal caso le ragioni
devono essere indicate.

Divieti di apposizione del termine


L’articolo 20 elenca le ipotesi in cui non è possibile appore un termina al contratto di lavoro
subordinato. I 2 casi più importanti sono (ce ne sono anche altri):

 Non è possibile usare il contratto a termine per sostituire lavoratori che esercitano il diritto
di sciopero → ciò perché è un diritto costituzionale

 Non possono appore un termine al contratto di lavoro, i datori che non abbiano effettuato
la valutazione periodica dei rischi, prevista dalla disciplina in materia di tutela della salute e
sicurezza del lavoro (d.lgs. 81/2008) con lo scopo di stimolare, incentivare la prevenzione
in azienda, poiché diversamente le imprese non potranno accedere al contratto a termine.
Proroga
L’articolo 21 prevede la possibilità di prorogare, ossia di proseguire il contratto rinviando la
scadenza, il contratto a tempo determinato. Per prorogare il termine è necessario:

- il consenso del lavoratore;

- l’indicazione delle causali se la proroga determina il superamento della soglia dei 12 mesi;
infatti, sotto questa soglia temporale non è richiesta la presenza delle causali di cui all’art.
19 comma 1.

- Altro requisito ai fini della validità della proroga è che la durata del contratto sia inferiore a
24 mesi.

- Infine, vengono consentite al massimo 4 proroghe nell’arco di 24 mesi.

Rinnovo
L’articolo 21 prevede anche la possibilità di rinnovare il contratto a tempo determinato. A
differenza della proroga, in questo caso si costituisce un nuovo e distinto contratto. Per poter
rinnovar il contratto:

o Sono richieste le causali, di cui all’art. 19 comma 1., e diversamente dalla proroga, anche
qualora il contratto abbia una durata iniziale inferiore a 12 mesi.

Affinché il rinnovo sia legittimo deve essere rispettato un intervallo di tempo tra un contratto e
l’altro, che è variabile in relazione alla durata del contratto a termine scaduto  più esattamente
dovranno trascorrere 10 giorni per i contratti di durata sino a 6 mesi, 20 giorni per i contratti la cui
durata è superiore a 6 mesi.

Continuazione del contratto a termine


L’articolo art. 22 riguarda la disciplina della continuazione dei rapporti di lavoro, ossia dell’ipotesi
in cui il rapporto di lavoro continua anche dopo la scadenza del termine fissato o successivamente
prorogato.

In questo caso, la legge prevede che il datore di lavoro debba corrispondere al lavoratore una
maggiorazione della retribuzione pari al 20% per ogni giorno fino al decimo giorno successivo e
pari al 40% per ciascun giorno ulteriore.

Qualora un contratto a termine con durata inferiore ai 6 mesi, continui oltre il 30° giorno; oppure
quando un contratto a termine di durata superiore ai 6 mesi, continui oltre il 50° giorno; il
contratto si trasforma in un contratto a tempo indeterminato.  al fine di evitare abuso di questa
forma negoziale.
I limiti quantitativi al numero di contratti a termine
A seguito del decreto dignità, sono stati previsti dei limiti quantitativi al numero di contratti a
termine, questa disciplina sui limiti è contenuta nell’articolo 23.

Viene previsto che NON possano essere assunti lavoratori a tempo determinato in misura
superiore al 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno
di assunzione → si ammette la flessibilità, ma entro limiti quantitativi. Per i datori di lavoro che
occupano al più 5 dipendenti è sempre possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo
determinato.

È sempre salva, l’autonomia collettiva può in ogni caso stabilire un diverso limite percentuale sia in
senso migliorativo, sia in senso peggiorativo → riflesso di quanto era già stato previsto con il Job
Act che aveva previsto la causalità del contratto a termine, ma al contempo aveva anche posto
limiti quantitativi al suo utilizzo.

Sono, inoltre previste specifiche ipotesi esenti dai limiti quantitativi  art 23, co.2

Diritti riconosciuti ai lavoratori con contratto a termine

 L’articolo 25 prevede il principio di non discriminazione. Secondo il quale al lavoratore


determinato spetta il trattamento economico e normativo in atto nell'impresa per i
lavoratori con contratto a tempo indeterminato comparabili, ossia paragonabili. 
prevede la parità di trattamento tra lavoratori atipici e tipici .

Questo è un principio trasversale alle figure negoziali atipiche, difatti è analogo il principio
applicato ai contratti di ,lavoro part-time (diversa modulazione dell’orario).

 L’articolo 24 riconosce anche il Diritto di precedenza, ossia il diritto ad essere preferiti nel
momento in cui il datore di lavoro sta assumendo alle condizione di cui all’art. 24. Il diritto
di precedenza deve essere espressamente richiamato nel contratto di lavoro

Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi, in linea generale, ai lavoratori che hanno
prestato attività lavorativa per un periodo superiore a 6 mesi, viene riconosciuto il diritto di
precedenza sulle assunzioni a tempo indeterminato, diritto espletabile entro i successivi 12
mesi.

- Inoltre, per quanto riguarda le lavoratrice, il congedo di maternità, che gli è


riconosciuto dal d.lgs. 151/2001, usufruito nell'esecuzione di un contratto a tempo
determinato concorre a al periodo di attività lavorativa utile a conseguire il diritto di
precedenza (cioè concorre a quei 6 mesi). Alle lavoratrici che abbiano usufruito del
congedo di maternità, viene riconosciuto il diritto di precedenza sulle assunzioni a
tempo determinato, entro i successivi 12 mesi.

Anche al lavoratore assunto a tempo determinato per lo svolgimento di attività stagionali


viene riconosciuto il diritto di precedenza rispetto a nuove assunzioni a tempo determinato
per le medesime attività stagionali.
Deroghe al contratto a tempo determinato
La disciplina del contratto di lavoro a termine può essere a sua volta derogata, in cui è esclusa la
disciplina oppure abbiamo il rinvio a discipline specifiche. L’elenco dei casi è contenuto nell’art. 29
che contempla varie esclusioni dalla disciplina fin qui analizzata, tra cui il caso dei dirigenti o dei
specifici settori produttivi, in questo caso vengono in considerazione il settore del turismo e dello
spettacolo per cui valgono regole specifiche.

4. LA REGOLAMENTAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO


Scaletta:
Regole applicabili in fase di accesso, in fase di svolgimento del rapporto di lavoro e rispetto alla sua
cessazione. Al centro di questa fase c’è lo studio dei diritti e degli obblighi dei lavoratori, dei
poteri e doveri del datore di lavoro.

 Obblighi del lavoratore : Dal lato dei lavoratori faremo una focalizzazione sugli obblighi
legali del lavoratore costitutivi il rapporto di lavoro, gli obblighi di cui agli artt. 2104
(obbligo di diligenza) e 2105 (obbligo di fedeltà) c.c.

 Poteri e doveri del datore di lavoro: Quanto ai poteri e ai doveri del datore di lavoro,
faremo una focalizzazione su alcuni aspetti della disciplina applicabile al datore di lavoro, in
particolare al potere disciplinare, riconosciuto al datore nel momento in cui i lavoratori
disattendono i loro obblighi legali e infatti l’art. 2106 c.c. riconosce questo potere in caso di
violazione degli obblighi di diligenza e fedeltà. Questo potere non può esplicarsi senza la
previsione di specifiche garanzie nei confronti dei lavoratori, potrebbero realizzarsi degli
abusi o prevaricazioni; dunque, ci si chiede se questo potere nel momento in cui si esprime
è vincolato ad alcuni limiti, deve esprimersi coerentemente ad una procedura, che infatti
viene prevista in una legge importante, ossia la Legge 300/1970 = STATUTO DEI
LAVORATORI. In questa legge troviamo l'art. 7 in cui viene dettagliata procedura in base
alla quale può legittimamente esprimersi e realizzarsi il potere disciplinare
l datore di lavoro ha a sua volta degli obblighi legali; infatti, questi non caratterizzano solo i
lavoratori → Anzitutto ha l’obbligo retributivo in relazione a causa di contratto del lavoro,
che è un contratto sinallagmatico. Ha poi anche l’obbligo contributivo : il diritto
previdenziale è una parte essenziale del diritto del lavoro, in quanto al rapporto di lavoro è
collegata la tutela previdenziale, che scaturisce al verificarsi di alcuni eventi generatori di
bisogni, È strettamente collegato attraverso l’attività contributiva, con il riconoscimento di
oneri sociali. Il datore di lavoro ha tra i suoi obblighi principali, obblighi legali del contratto
di lavoro, l’obbligo di tutelare l’integrità fisica e morale dei lavoratori, di creare sistema di
prevenzione → obbligo previsto all’art. 2087 c.c., è una norma importantissima nel sistema
degli obblighi datoriali. È una norma incerta, quindi è stato introdotto Il Testo unico
contenuto nel d.lgs. 81/2008 è una legge monumentale, in cui viene delineato il sistema
della prevenzione, caratterizzato da una pluralità di disposizioni che nel tempo hanno
rappresentato un rimedio all’indeterminatezza del contenuto dell’art. 2087 c.c.

 Studio del diritto antidiscriminatorio.

 Cause di sospensione del rapporto di lavoro


 Diritto sindacale
Gli obblighi legali gravanti sul lavoratore

Gli obblighi gravanti sul lavoratore sono l’obbligo di diligenza e l’obbligo di fedeltà.

L’Obbligo di diligenza

Art. 2104
Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della
prestazione dovuta, dall'interesse dell'impresa e da quello superiore della
produzione nazionale.

Deve inoltre osservare le disposizioni per l'esecuzione e per la disciplina del lavoro
impartite dall'imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali
gerarchicamente dipende

L’art. 2104 c.c. prevede l’obbligo di diligenza in capo al lavoratore. L’articolo individua 3 gradi
dell’obbligo di diligenza:

- Natura prestazione → la diligenza richiesta delle regole teorico-pratiche previste per il


compimento di una certa prestazione di lavoro. In sostanza possiamo dire si tratta della
trasposizione nel campo del contratto di lavoro della diligenza professionale di cui parla
l’art. 1176 comma 2 C.C.

- interesse dell’impresa → si risolve nel fatto che la prestazione di lavoro deve rispondere
all’interesse soggettivo del datore di lavoro e quindi non a un interesse obiettivo, astratto

- interesse della produzione nazionale → criterio ormai superato in quanto tipica espressione
della cultura del corporativismo

La diligenza rappresenta il modo di essere della subordinazione (comma 2 art. 2104), difatti
l’articolo prevede il criterio dell’eterodirezione (art.2094 cc.) = sottoposizione del lavoratore al
potere direttivo del datore di lavoro o dei suoi ausiliari.

Obbligo di fedeltà

Art. 2105 (da tenere distinto dal patto di non concorrenza di cui all’art. 2125)
Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in
concorrenza con l'imprenditore, né divulgare notizie attinenti all'organizzazione e
ai metodi di produzione dell'impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa
pregiudizio

L’Obbligo di fedeltà si sostanzia in un divieto a porre in esse una condotta negativa (come fare
affari in concorrenza, divulgare notizie sull’impresa, o farne uso per arrecare pregiudizio ad essa)al
fine garantire interessi aziendali, fra cui l’interesse alla capacità competitiva dell’azienda.
Quest’obbligo non deve essere confuso col patto di non concorrenza (art. 2125 cc).
I poteri datoriali

Il potere disciplinare

In capo al lavoratore che contravvenga ai suoi gli obblighi si ha una responsabilità disciplinare, a
cui corrisponde un potere disciplinare del datore. In virtù di questo potere, la legge prevede che il
datore di lavoro possa punire il lavoratore inadempiente, con una cd. sanzione disciplinare avente
carattere afflittivo.

Art. 2106
L'inosservanza delle disposizioni contenute nei due articoli precedenti può dar
luogo all'applicazione di sanzioni disciplinari, secondo la gravità dell'infrazione [e
in conformità delle norme corporative]

L'articolo 2106 individua un elemento essenziale della sanzione riconosciuta, cioè un criterio di
proporzionalità: a seconda della gravità dell'infrazione verrà riconosciuta una sanzione. La
proporzionalità come principio orientativo nell’esercizio del potere disciplinare.

Possibili inadempimenti dei lavoratori e possibili sanzioni ammissibili:


 Inadempimenti all'obbligo di diligenza (esempi)
- ritardo
- danno alla strumentazione aziendale
- disattende alle direttive impartite

 Violazione dell’obbligo di fedeltà:


- comportamenti omissivi che comportano danno
- ci possono essere comportamenti tra colleghi, es qualcuno chiede sempre di essere
sostituito
Sanzioni :
 Ritardo → richiamo prima verbale poi scritto, se c’è reiterazione del comportamento la
somma di ritardi diventa un fatto grave anche se magari il singolo ritardo non lo è →
licenziamento per giusta causa (senza preavviso)

Altre sanzioni oltre al richiamo e al licenziamento possono essere: la sospensione senza retribuzione
per qualche giorno (in base alla gravità del comportamento), la multa ( o sanzione economica
trattenendo lo stipendio), il trasferimento e arresto.
Normativa sulle sanzioni disciplinari
La possibilità di esercitare una punizione in un rapporto tra privati, è eccezionale. Da qui, nasce
l’esigenza di prevedere delle disposizioni a tutela del lavoratore inadempiente. In tal senso,
l’articolo 7 della legge 300/1970 regolamenta le sanzioni disciplinari, per cui sono state previste
anche delle disposizioni che limitano il potere disciplinare del datore di lavoro con lo scopo di
scongiurare abusi da parte del datore nell’esercizio di questo potere  a tutela del lavoratore
inadempiente

Art. 7 – sanzioni disciplinari


Le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna
di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono
essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a
tutti. Esse devono applicare quanto in materia è stabilito da accordi e contratti di lavoro
ove esistano.
Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del
lavoratore senza avergli preventivamente contestato l'addebito e senza averlo sentito a
sua difesa .
Il lavoratore potrà farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui
aderisce o conferisce mandato.
Fermo restando quanto disposto dalla  legge 15 luglio 1966, n. 604  , non possono essere
disposte sanzioni disciplinari che comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro;
inoltre la multa non può essere disposta per un importo superiore a quattro ore della
retribuzione base e la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per più di dieci giorni.

In ogni caso, i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono
essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto
del fatto che vi ha dato causa.

Salvo analoghe procedure previste dai contratti collettivi di lavoro e ferma restando la
facoltà di adire l'autorità giudiziaria, il lavoratore al quale sia stata applicata una
sanzione disciplinare può promuovere, nei venti giorni successivi, anche per mezzo
dell'associazione alla quale sia iscritto ovvero conferisca mandato, la costituzione,
tramite l'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, di un collegio di
conciliazione ed arbitrato, composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un
terzo membro scelto di comune accordo o, in difetto di accordo, nominato dal direttore
dell'ufficio del lavoro. La sanzione disciplinare resta sospesa fino alla pronuncia da parte
del collegio.
Qualora il datore di lavoro non provveda, entro dieci giorni dall'invito rivoltogli
dall'ufficio del lavoro, a nominare il proprio rappresentante in seno al collegio di cui al
comma precedente, la sanzione disciplinare non ha effetto. Se il datore di lavoro adisce
l'autorità giudiziaria, la sanzione disciplinare resta sospesa fino alla definizione del
giudizio.
Non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla
loro applicazione.
Norme sostanziali 
Comma 1
Prima di tutto, il comma 1 prevede un obbligo di pubblicità in capo al datore di lavoro, il quale
sarà tenuto a portare a conoscenza dei lavoratori le norme disciplinari in relazione alle sanzioni. 
Il lavoratore non potrà essere sanzionato per cui un comportamento di cui non conosceva la punibilità.
Il datore di lavoro può prevedere infrazione e sanzioni, per come stabilite dai contratti collettivi.
Quindi all’autonomia collettiva è rimesso il compito di definire le ipotesi di legittimo esercizio del
potere disciplinare, sia per quanto concerne le infrazioni del lavoratore, sia per quanto concerne le
sanzioni del datore. Inoltre, dovrebbe anche esplicare il rapporto di corrispondenza che c’è tra
infrazioni e sanzioni. Ciò non esclude che il datore possa specificare quanto stabilito
dall’autonomia collettiva dal punto di vista delle infrazioni, in relazione alle concrete esigenze
dell'impresa.

Comma 4
Salvo il licenziamento individuale (legge 604/1966), questo comma prevede che NON possano
essere previste sanzioni non conservative, ossia comportino il mutamento definitivo, del rapporto
di lavoro, come il trasferimento. Inoltre, la multa non può essere disposta per un importo
superiore a quattro ore della retribuzione base e la sospensione dal servizio e dalla retribuzione
per più di dieci giorni.

Comma 8
L’articolo 7 prevede l’ipotesi della recidiva, ossia una reiterazione dei comportamenti in violazione
degli obblighi legali. In merito, il comma 8 afferma che non si tiene conto della recidiva qualora
siano trascorsi 2 anni dalla sanzione.

Norme procedurali 
L’Art. 7 contiene il procedimento con cui si possono infliggere sanzioni (usare il potere
disciplinare).
Queste regole procedurali sono orientate alla tutela del lavoratore (evitare abusi del potere
disciplinare).

NB: questo normativa, limitatamente alle regole sulla contestazione e difesa del
lavoratore, si applica anche all’ipotesi di licenziamento individuale per giusta causa,
qualora questo sia motivato da un comportamento riprovevole del lavoratore

Procedimento:
Per poter applicare una sanzione, in primo luogo il datore di lavoro deve contestare l’infrazione
del lavoratore. Tale contestazione dovrà essere redatta in forma scritta, ex. Comma 5. In
particolare, per le sanzioni più gravi della sanzione verbale, devono trascorrere almeno 5 giorni tra
contestazione e sanzione.

Inoltre, ai sensi del comma 2, dovranno essere individuate le circostante di luogo e tempo in cui si
è realizzata violazione, ciò per permettere ai lavoratori di esercitare il diritto di difendersi. Difesa
che può avvenire in forma scritta o orale, anche avvalendosi dell'assistenza di un rappresentante
sindacale, ai sensi del 3°comma.

Ai sensi dei commi 6 e 7, a garanzia del lavoratore è anche prevista la possibilità di impugnare la
sanzione in giudizio. Salvo diverse procedure previste dalla contrattazione collettiva, è possibile
attivare un collegio arbitrale presso l’ispettorato del lavoro, da cui deriverà la sospensione della
sanzione fino alla definizione del giudizio.
Obblighi datoriali

Gli obblighi a cui è soggetto il datore di lavoro sono: l'obbligo retributivo (art.2094 cc), l'obbligo
contributivo (art. 2115 cc) e l'obbligo di tutelare l'integrità fisica morale (art. 2087).

Obbligo di tutela l’integrità fisica e morale

Art. 2087 C.C. – tutela delle condizioni di lavoro


L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che,
secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a
tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro

Il datore di lavoro ha l’obbligo di tutelare l’integrità fisica e morale, ossia di vigilare sulla la salute
e la sicurezza, dei lavoratori, ai sensi dell’art. 2087 C.C., di rilievo anche il d.lgs. 81/2008 (Testo
unico sulla sicurezza nel lavoro).

Obbligo di protezione nel quale troviamo riflessi di alcuni principi e norme costituzionali, cioè negli
artt. 2 e 41 della Costituzione (diritti fondamentali, inviolabilità della dignità umana, || modello di
sviluppo economico del nostro paese).

Percorso storico:
La storia di questo articolo è particolare, perché non avuto effetto dal punto di vista della
prevenzione, ma al contrario è stata ampiamente utilizzate per fondare richieste risarcitorie a
seguito di lesioni già avvenute della salute. Difatti questa norma non individua delle misure
concrete di prevenzione, ma definisce i parametri ai quali il datore deve attenersi per attuare
misure di prevenzione (che però non sono specificate da questa norma). I parametri a cui il datore
deve attenersi sono:

- Particolarità del lavoro


- Esperienza
- Tecnica

Criticità:
o Nella sua genericità, questa norma da sola non ha potuto costituire il fondamento della
disciplina della prevenzione, per questo negli anni si è posta l'esigenza di integrare la materia
con una specifica legislazione prevenzionistica.

o All’obbligo del datore di lavoro corrispondeva una posizione di diritto al singolo lavoratore,
senza considerare l’interesse collettivo alla prevenzione. Quindi, molto difficilmente il
lavoratore andava a rivendicare questo diritto, temendo un comportamento ritorsivo del
datore di lavoro → mancava una tutela collettiva.
► Una prima risposta arriverà dallo statuto dei lavoratori (l.300/1970), che all’art. 9 prevedeva
la costituzione di rappresentanze sindacali allo scopo di promuovere la tutela della salute
nei luoghi di lavoro. Oltre a prevedere specifici compiti dei datori aziendali.

Il quadro normativo della prevenzione si è arricchito di nuovi interventi legislativi:

► D.lgs. 626/1994 – Alla fine degli anni ’80, vengono emanate un gruppo di direttive europee,
costituite da una direttiva cd. “madre”, che stabilì gli obblighi per tutti i luoghi di lavoro, a cui
seguiranno delle direttive cd. “figlie”, volte a realizzare prevenzione rispetto a specifici
settori merceologici.
Il d.lgs. 626/1994 costituì l’attuazione della direttiva europea madre, nel quale viene
presentata un’idea di prevenzione diversa da quella che caratterizzato la legislazione
precedente: secondo questa direttiva alla prevenzione non doveva partecipare unicamente il
datore di lavoro, ma anche i lavoratori al fine di realizzare un sistema previdenziale.

Questa direttiva, e successivamente la legge di attuazione, hanno previsto una pluralità di


figure tenute a realizzare il sistema di prevenzione, a supporto sia dei lavoratori che dei
datori.

- Per quanto riguarda i lavoratori, viene ripresa l’idea della rappresentanza dei
lavoratori in materia di salute e sicurezza, e viene articolata una disciplina in merito.

- Quanto alla figura datoriale, al datore vengono riconosciuti una serie di obblighi:

o Obbligo, non delegabile, di redigere una relazione periodica in materia di


valutazione dei rischi, la quale dovrà essere consegnata alle
rappresentanze sindacali che potranno esprimere una valutazione in
merito.
A seguito di una sentenza della Cassazione si è specificato che occorreva
analizzare tutti i rischi.

Seguirono altri interventi per dare attuazione alle direttive figlie….

Successivamente a questo intervento normativa, il quadro normativo era estremamente


complesso, caratterizzato dalla presenza di norme desuete, da qui l’esigenza di operare un
intervento di raccolta e razionalizzazione della disciplina … In realtà, la necessità di un testo
unico in materia di salute e sicurezza, risale a molti anni prima con la legge istitutiva del servizio
sanitario nazionale 1833/1978. Fu il d.lgs. 81 del 2008 "testo unico in materia della tutela della
salute e sicurezza”, a raccogliere e riordinare le norme in materia di tutela della salute e della
sicurezza, ivi comprese le disposizioni del d.lgs. 626/1994.

Si è anche corso il pericolo che questo intervento di sistematizzazione non vedesse la luce
→ Ad incentivare questo processo di razionalizzazione, oltre ad altre cose, fu il caso
Thyssenkrupp, vicenda che scosso il nostro paese, in cui persero la vita diversi lavoratori.
Testo unico in materia di salute e sicurezza

Questo testo unico prevederà decine e decine di obblighi, tra i più qualificanti vi l’obbligo di
compiere una la valutazione periodica di tutti i rischi, già esplicitato dal d.lgs. 626/1994 e dalla
Corte di cassazione.

Art 28, co.1, d.lgs. 81/2008


La valutazione di cui all'articolo 17, comma 1, lettera a), anche nella scelta delle
attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei miscele chimiche impiegati, nonché nella
sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute
dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi
particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti
dell'accordo europeo dell'8 ottobre 2004 , e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di
gravidanza, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 ,
nonché quelli connessi alle differenze di genere, all'età, alla provenienza da altri Paesi e
quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la
prestazione di lavoro e i rischi derivanti dal possibile rinvenimento di ordigni bellici
inesplosi nei cantieri temporanei o mobili, come definiti dall'articolo 89, comma 1, lettera
a), del presente decreto, interessati da attività di scavo. […]

Il primo comma dell’articolo 28 richiede al datore di lavoro di valutare TUTTI i rischi per la
sicurezza e la salute dei lavoratori, anche quelli particolari. In particolare, l’articolo fa riferimento
alle figure di rischio derivanti:

 Dallo stress lavoro-correlato, che ai sensi dell’accordo europea dell’8 ottobre del 2004, è
uno stato di malessere dato da disfunzioni fisiche, psicologiche o sociali, causato da diversi
fattori quali il contenuto e l’organizzazione del lavoro, l’ambiente di lavoro, la comunicazione nei
luoghi di lavoro.

Esempio: un organizzazione del lavoro che non da significato al lavoro compiuto

Un esempio di rischio è il Fenomeno del mobbing, comportamenti vessatori atti a


escludere sino a espellere una persona; che il datore deve prevenire.

 Dalla condizione di gravidanza delle lavoratici , secondo i contenuti del Testo unico in
materia di tutela della maternità e della paternità, d.lgs. 151/2001.

 Rischi derivanti dalle differenze che contraddistinguono le persone nella comunità del
lavoro (genere, età, la provenienza, la tipologia di contratto, la lingua, la religione etc… ),
perché questi aspetti dei lavoratori hanno un impatto dal punto di vista dell’esposizione al
rischio.

Esempio: giovani uomini hanno meno rischi delle donne della stessa età, le
persone più vecchie vanno incontro a determinati rischi etc…

Esempio: il rapporto sbilanciato nella conciliazione familiare che porta le donne


ad essere più soggette al rischio di patologie da stress, il datore ne deve tenere
conto
Esempio: gli stranieri sono esposti al rischio derivante dalle differenze di lingua,
non comprendere ad esempio le istruzioni relative alle prevenzioni, il d.lgs. del
2008 chiede di tenere conto di ciò.

Esempio: le tipologie precarie sono un fattore incrementale dell’esposizione al


rischio, portano con sé lo stress della precarietà, il fatto di voler vedere convertito
quel rapporto rende il lavoratore magari meno avversa al rischio, pur di ottenere
quel lavoro.

Colui che NON adempia a questo obbligo, NON potrà accedere alla disciplina del contratto a
termine  con lo scopo di stimolare, incentivare la prevenzione in azienda, poiché diversamente
le imprese non potranno accedere al contratto a termine.

È interessante che sentiamo in questo articolo l’eco del diritto antidiscriminatorio: obbligando il
datore di lavoro a considerare i diversi aspetti che ci caratterizzano si va a delineare una disciplina
protettiva.

In conclusione… L’art. 2087 appare non più necessario in relazione allo


sviluppo che ha avuto la disciplina. → va considerato ancora vigente?
L’Art. 2087 non è stato abrogato, ma è ancora vigente. Questo perché questo articolo, contiene in
sé ha un criterio fondamentale, ossia il criterio della massima sicurezza tecnologicamente
fattibile, nel senso che definisce i parametri limite oltre il quale non si può più chiedere nulla al
datore in termini di prevenzione. Quindi, il datore di lavoro è tenuto a un aggiornamento e
adeguamento delle misure di prevenzione, anche oltre specifici obblighi scritti.
Diritto antidiscriminatorio

Il diritto del lavoro, in particolare su impulso del diritto europeo del lavoro, è una delle branche più
attive nel diritto antidiscriminatorio. Ancora oggi, la discriminazione è ampiamente diffusa nel
mondo lavorativo: soprattutto discriminazioni di genere; in cui la legislazione fa rientrare le
molestie sessuali, ma anche altri fattori di rischio che possono determinare discriminazioni (lingua,
tipo di contratto, religione, provenienza etc…).

Si tratta di una disciplina che si sviluppa ancora oggi:

- Legge 162/2021 → va ad interessarsi al fenomeno delle differenze salariali tra uomini e


donne (tema della parità salariale)

- Legge 238/2021, che ha modificato il d.lgs. 216 del 2003, nel quale è reperibile una parte
rilevante del diritto antidiscriminatorio.

Percorso storico della disciplina antidiscriminatoria


Il diritto del lavoro è stato una delle branche che prima ha sviluppato un diritto antidiscriminatorio.
Tra le norme più norme, in materia abbiamo l’art. 15 dello statuto dei lavoratori, il quale si
occupa di tutelare la libertà sindacale.  contrastare discriminazioni derivanti dal fatto di aver
partecipato ad uno sciopero

Art. 15 STATUTO DEI LAVORATORI (l.300/1970)


È nullo qualsiasi patto od atto diretto a:
a) subordinare l'occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non
aderisca ad una associazione sindacale ovvero cessi di farne parte;
b) licenziare un lavoratore, discriminarlo nella assegnazione di qualifiche o
mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti
pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero della sua
partecipazione ad uno sciopero.

Le disposizioni di cui al comma precedente si applicano altresì ai patti o atti diretti


a fini di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso, di
handicap, di età o basata sull'orientamento sessuale o sulle convinzioni personali.

Ma su impulso del legislatore europeo la disciplina si è arricchita di ulteriori fattori di rischio,


mediante:

o La legge 903/1977  attuazione di direttiva 207/1976, che ha affermato il principio


paritario, per ragioni di genere, rispetto a tutte le fasi in cui si costituisce rapporto di
lavoro (discriminazioni in ragione del genere).

Su questo quadro legislativo si inserirà la legge n 125/1991 che va a modificare alcune


disposizioni della legge 903/1977, recependo importanti orientamenti giurisprudenziali
della corte di giustizia europea.
Negli anni successivi e sempre su impulso del diritto europeo l’ambito della tutela
antidiscriminatoria viene ampliato ancora, mediante:

o Decreto legislativo 286/1998, che costituisce il testo unico in materia di stranieri extra
UE→ disciplina antidiscriminatoria rispetto ai fattori di rischio della razza e dall’etnia.
(discriminazioni in ragione della razza e dell’etnia). Materia su cui interverrà anche il
d.lgs. 215/2003

o D.lgs. 216/2003 che guarda alla tutela di nuovi fattori di rischio, emersi dalla sensibilità
collettiva, religioni, convinzioni personali, età, disabilità e l’orientamento sessuale.

Alla luce di questo sviluppo normativo, ci si è trovati davanti un quadro normativo stratificato e
complesso, che necessitava di essere riordinato e razionalizzato. Venne, quindi, prevista, mediante
legge delega, la redazioni di un testo unico in materie di tutela antidiscriminatoria, che
considerasse tutti i fattori di rischio finora emersi.

Tuttavia, non si è giunti alla redazione di un testo unico, ma si è redatto un testo che ha tenuto in
considerazione solo la disciplina antidiscriminatoria per ragioni di genere, in base alle differenze di
sesso → ossia il d.lgs. 198/2006 = codice per le pari opportunità tra uomini e donne.

NB: Quindi, per i fattori di rischio diversi dal genere, dobbiamo consultare altre
legislazioni, che presentano elementi di analogia con le norme di protezione in materia di
differenze di genere.
Discriminazione in ragione del genere

Il Transessualismo e l’orientamento sessuale

 Il transessualismo, ossia la transizione da un genere all’altro Nel mondo nel lavoro si


determinano fenomeni di esclusione molto gravi e pesanti, a molte di queste persone
addirittura non viene consentito l’accesso ad un rapporto di lavoro, soprattutto nei settori
in cui vengono previste mansioni di front office, cioè di relazione col pubblico.

Ci si è chiesti se queste ipotesi, alla quale non è riservata una disciplina specifica, rientrino
in quelle ipotesi tutelate dalla disciplina antidiscriminatoria di genere. La risposta è che
rientrano.

 Altra questione è orientamento sessuale, fattore di rischio distinto da quello di genere, di


cui si è occupato espressamente il legislatore col d.lgs. 216/2003.

La Discriminazione di genere

La nozione di discriminazione di genere è contenuta nell’art. 25 del d.lgs. 198/2006, come


modificate dalla legge 162/2021 :

Le discriminazioni dirette:
Art.25, co.1 – discriminazioni dirette
“Costituisce discriminazione diretta, ai sensi del presente titolo, qualsiasi
disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento, nonché l'ordine di
porre in essere un atto o un comportamento, che produca un effetto
pregiudizievole discriminando le candidate e i candidati, in fase di selezione del
personale, le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il
trattamento meno favorevole rispetto a quello di un'altra lavoratrice o di un altro
lavoratore in situazione analoga”.

Nell'ambito della discriminazione di genere diretta può rientrare una qualsiasi disposizione,
criterio, prassi, atto o comportamento. Quindi, volendo, può riguardare anche trattamenti che
derivino dall’applicazione di regole del contratto collettivo e persino di norme di legge.

Tuttavia, affinché possa integrare la figura della discriminazione diretta, deve avere una
connotazione oggettiva: “deve produrre un effetto pregiudizievole”. In questo senso si è espressa
anche la giurisprudenza affermando che l’illecito discriminatorio per ragioni di genere deve basarsi
su elementi obiettivi, a prescindere dall’intento del suo autore.

► Passaggio importante perché con la normativa previgente, legge 903/1977, la


discriminazione si basava sugli intenti soggettivi dell’autore, ponendo problemi in sede di
prova della discriminazione, perché era difficile dare la prova dell’intento discriminatorio.
Destinatari della norma sono lavoratrici e lavoratori  la nozione di discriminazione diretta ha un
carattere bidirezionale, riguardando sia donne che uomini. Come ha anche ravvisato la
giurisprudenza sia della Corte costituzionale che della Corte di Giustizia, la quale ha accettato
anche ipotesi di discriminazione alla rovescia (riguardanti trattamenti di sfavore nei confronti degli
uomini).

È implicita nella discriminazione diretta un elemento di comparazione, difatti si può parlare di


discriminazioni dirette, solamente quando una persona, per ragioni riconducibili al sesso, riceva
un trattamento diverso/preferenziale rispetto a quello riconosciuto ad un'altra. In tal senso
depone la clausola di chiusura dell’art. 25 comma 1.

Discriminazione indiretta :
Art.25, co.2
“Si ha discriminazione indiretta, ai sensi del presente titolo, quando una
disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento,
compresi quelli di natura organizzativa o incidenti sull'orario di lavoro,
apparentemente neutri mettono o possono mettere i candidati in fase di
selezione e i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare
svantaggio rispetto a lavoratori dell'altro sesso, salvo che riguardino requisiti
essenziali allo svolgimento dell'attività lavorativa, purché l'obiettivo sia legittimo
e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari”.

Similmente alla discriminazione diretta, la discriminazione in diretta può derivare da una


disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento. Anche in questo caso
è presente un elemento di connotazione oggettiva della discriminazione indiretta, ossia il fatto che
si debba mettere i lavoratori di un sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto ai
lavoratori dell'altro sesso.  anche in questo caso abbiamo un elemento di comparazione
necessario

Ciò che distingue la discriminazione diretta da quella indiretta, e il riferimento ad atti e patti
pregiudizievoli apparentemente neutri, che tuttavia determinano o possono determinare una
discriminazione per ragioni di genere.

Esempio: I giudici hanno affermato la discriminazione indiretta, in un caso noto in cui era
previsto un bando per svolgere l’attività di vigile urbano, tra i requisiti di ammissione era
prevista una specifica altezza dei candidati, non c’è riferimento esplicito al genere, ma la
richiesta dell’altezza comportava l’esclusione di più donne che uomini.

Esempio: Richiesta di una specifica abilitazione professionale, quando questa sia


maggiormente diffusa tra gli uomini che tra le donne.

Tuttavia, questa nozione ammette delle cause di giustificazione  È possibile determinare


requisiti svantaggiosi, in ragione del sesso, ove siano necessari per lo svolgimento dell’attività
lavorativa, purché l'obiettivo sia legittimo e i mezzi collegati per il suo conseguimento siano
appropriati e necessari.
Esempio: Pronuncia del Consiglio di Stato che ha negato la natura discriminatoria di un
bando di concorso pubblico predisposto da un comune per l’assunzione di agenti di
polizia tra i cui requisiti era previsto il possesso alla guida di motoveicoli, posta
l’essenzialità di questo requisito rispetto alla figura messa a concorso.

Successivamente, la legge 162/2021 modifica l’articolo 25, andando ad aggiunger il comma 2-bis,
genitore :

Art.25, Comma 2-bis (modificato da legge 162/2021)


Costituisce discriminazione, ai sensi del presente titolo, ogni trattamento o
modifica dell'organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro che, in ragione
del sesso, dell’età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, dello
stato di gravidanza nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in
ragione della titolarità e dell'esercizio dei relativi diritti, pone o può porre il
lavoratore in almeno una delle seguenti condizioni:

1. posizione di svantaggio rispetto alla generalità degli altri lavoratori;


2. limitazione delle opportunità di partecipazione alla vita o alle scelte
aziendali;
3. limitazione dell’accesso ai meccanismi di avanzamento e di progressione
nella carriera

Questo articolo delinea una tutela in caso di ipotesi discriminatorie legate al problema del
bilanciamento di vita-lavoro.
Ipotesi tipiche di discriminazione di genere
Il decreto 198/2006, su influsso del diritto europeo del lavoro e riprendendo disposizioni già
presenti nella legislazione precedente (in particolare nella legge 903/197.), contiene delle ipotesi
tipiche di discriminazione , agli articolo 26 ss., come: molestie sessuali, discriminazione nello
svolgimento della prestazione lavorativa e nella carriera, discriminazioni nell’accesso alle
prestazioni previdenziali, licenziamento per causa di matrimonio, licenziamento in ragione della
maternità.

Molestie e molestie sessuali

Art. 26 d.lgs. 198/2006


Sono considerate come discriminazioni anche le molestie, ovvero quei comportamenti
indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l'effetto di
violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio,
ostile, degradante, umiliante o offensivo.

Sono, altresì, considerate come discriminazioni le molestie sessuali, ovvero quei


comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o
non verbale, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un
lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.

2- bis. Sono, altresì, considerati come discriminazione i trattamenti meno favorevoli


subiti da una lavoratrice o da un lavoratore per il fatto di aver rifiutato i comportamenti
di cui ai commi 1 e 2 o di esservisi sottomessi.
[…]
3-ter. I datori di lavoro sono tenuti, ai sensi dell'articolo 2087 del Codice civile, ad
assicurare condizioni di lavoro tali da garantire l'integrità fisica e morale e la dignità dei
lavoratori, anche concordando con le organizzazioni sindacali dei lavoratori le iniziative,
di natura informativa e formativa, più opportune al fine di prevenire il fenomeno delle
molestie sessuali nei luoghi di lavoro. Le imprese, i sindacati, i datori di lavoro e i
lavoratori e le lavoratrici si impegnano ad assicurare il mantenimento nei luoghi di
lavoro di un ambiente di lavoro in cui sia rispettata la dignità di ognuno e siano favorite
le relazioni interpersonali, basate su princìpi di eguaglianza e di reciproca correttezza.

Il legislatore riconduce le molestie e le molestie sessuali alla nozione di discriminazione di genere.


Tuttavia, nelle molestie non reperiamo l’elemento della comparazione. Il motivo per cui il
legislatore fa questa assimilazione è l’esigenza di riconoscere anche ai casi di molestie e molestie
sessuali la disciplina riconosciuta a tutela delle discriminazioni di genere.

Questo articolo fornisce sia la nozione di “molestie” che la nozione di “molestie sessuali”, i quali
sono 2 fenomeni distinti. Le molestie sono comportamenti motivati dalla differenza di genere,
mentre le molestie sessuali sono comportamenti che hanno connotazione sessuale.

Esempio: sfioramenti (molestia sessuali); affermazioni degradanti in ragione del genere


(molestia)

Ciò che accomuna questi 2 fenomeni è il carattere della indesideratezza da parte della persona
che subisce quel comportamento. Quindi l’illiceità del comportamento è legato alla percezione
soggettiva di chi quel comportamento lo subisce, che potrà ritenere certi comportamenti
accettabili o meno.
Questo elemento, però, risulta essere molto controverso, ad esempio si potrebbero avere casi di
ipersensibilità, reazioni sproporzionate rispetto alla condotta subita.

Non a caso su questo elemento, tradizionalmente, si sviluppano le difese di chi è stato


accusato di comportamenti sessualmente maestri, tutte orientate a dimostrare il
consenso della vittima o comunque una sua corresponsabilità nell'accaduto.

Si è posta l’esigenza di operare anche valutazione oggettiva rispetto a questo elemento. In merito,
gli studiosi hanno cercato di fornire delle possibili soluzioni, come:

 Soluzione di ispirazione americana dove il giudizio di chi si ritiene colpito da molestie


viene filtrato attraverso alcuni criteri di ordinaria ragionevolezza. Questo perché si ritiene
che la misura dell'illiceità non possa essere interamente rimessa ad una valutazione
soggettiva, occorrerà sempre trovare un riscontro in base a criteri di ordinaria
ragionevolezza.

Comma 2-bis
Il comma 2-bis dell’articolo 26, prevede che rientrino nella nozione di discriminazione anche quei
comportamenti sfavorevoli che il datore di lavoro pone in essere nei confronti del lavoratore, dopo
che questi si sia rifiutato o sottomesso alle molestie o alle molestie sessuali.

Comma 3-ter
Questa norma evidenzia anche l’esigenza di realizzare strumenti e misure previdenziali della salute
e della sicurezza, a opera anche della contrattazione collettiva, volte a creare un clima di
benessere organizzativo, ai sensi dell’articolo 2097 cc.

Altre ipotesi di discriminazione:

 Discriminazione retributiva, fenomeno ancora ampiamente presente, accanto al


fenomeno delle …

 Discriminazioni che riguardano la progressione di carriera (c.d. tetto di cristallo),


avanzamento della carriera ostacolato in ragione del genere

 Discriminazione nell’accesso alle prestazioni previdenziali. Tutela che si è sviluppata


soprattutto dopo la riforma “salva Italia” (214/2011)

 Discriminazione mediante licenziamento per cause di matrimonio. Tutela prevista


dall’articolo 35 d.lgs. 198/2006. In realtà riproposizione della legge 7/1963, finalizzata a
contrastare un’odiosa pratica discriminatoria, attuata dal datore di lavoro mediante la
previsione di clausole di nubilato → il datore guardavano con disfavore le donne sposate,
perché sarebbe dal matrimonio derivata la gravidanza.
Il diritto diseguale

La legislazione antidiscriminatoria non presenta solo divieti di discriminazione, ma prevede anche


una PARTE PROMOZIONALE, il cd. diritto diseguale, il cui scopo è rimuovere gli ostacoli ordine
economico e sociale che impediscono un effettivo uguagliamento.

Mentre i divieti di discriminazione rispondono ai principi di eguaglianza di natura formale (art. 3


comma 1), la disposizioni di natura promozionale rappresentano l’attuazione del principio di
eguaglianza sostanziale (art. 3 comma 2 Costituzione).

Art. 3, co.2, Cost


È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale,
che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno
sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese

Quindi questo rinvierebbe alla possibilità di prevedere azioni positive soltanto nei confronti delle
donne (non abbiamo il carattere della bidirezionalità) propri per realizzare un effettivo
eguagliamento (situazioni diverse vanno trattate in modo diverso e situazioni uguali in modo
uguale). Nell’impiego privato questi interventi hanno natura volontaristica, mentre nell’impiego
pubblico sono maggiormente vincolate.

 Questo è un tema che nel dibattito pubblico rinvia alle quote di genere per l’accesso
all’impiego, al fine di realizzare una parità numerica (es: posti solo per le donne) Nel
nostro ordinamento non hanno legittimità in ambito lavoristico i sistemi di quote rigide, è
semmai ammesso un sistema di quote flessibili (cioè interventi di natura promozionale
temporanea, da rimuoversi quando sono state tolte le cause che rappresentavano un
ostacolo all’effettivo eguagliamento).

La legislazione del decreto lgs. 198/206 prevede un articolato sistema istituzionale, cioè prevede
una pluralità di soggetti che a vario titolo e a vari livelli sono tenuti al rispetto della disciplina
antidiscriminatoria, sia a livello nazionale che a livello territoriale (consigliera di parità).

Accanto a queste figure, molte imprese (volontariamente), mediante codici di condotta, hanno
previsto commissioni per le pari opportunità, così come nel contesto del pubblico impiego, poi
abrogate per la previsione di comitati unici di garanzia.
Disciplina lavoristica relativamente a fattori di rischio ulteriori al fattore di genere:

Guardando alla tutela antidiscriminatoria più recente, oltre il fattore di discriminazione di genere,
il riferimento va essenzialmente ai d.lgs. 215 e 216 del 2003:

- D.lgs. 215/2003 - riguarda i fattori di rischio della Razza ed etnia. Materia a cui si era già
riferito il d.lgs. 286/1998

- D.lgs. 216/2003 – riguarda i fattori di Religione, convinzioni personali, disabilità, età,


nazionalità e orientamento sessuale (d.lgs. 216)

Tieni conto che in materia di disabilità occorre fare riferimento a due legislazioni del lavoro
precedenti : legge 104/1992 e legge 68/1999. Inoltre, il fattore della nazionalità è un
elemento che costituisce è un fattore aggiunto a seguito della legge 238/2021 = c.d. “legge
europea 2019/2020”

Dall'insieme di questi riferimenti legislativi possiamo osservare una disciplina antidiscriminatoria


che presenta forti analogie rispetto a quella per motivi di genere contenuta nel d.lgs. 198/2006.
Le analogie che riscontriamo riguardano sia le nozioni sia le tecniche di tutela impiegate in questi
decreti legislativi. Difatti anche in questi decreti legislativi abbiamo una nozione di discriminazione
distinta in diretta e indiretta, ciò si desume dall’art. 2 di entrambi questi d.lgs. (215 e 216).

Questa forte analogia ha spinto la dottrina a parlare di una tendenza al compattamento, con la
disciplina antidiscriminatoria per ragioni di genere.

Alla luce dell’articolo 1 di entrambi questi decreti legislativi, possiamo notare che questi molteplici
fattori di rischio possono coesistere/intrecciarsi tra di loro. Quindi la discriminazione può riguarda
più fattori di rischio contemporaneamente, in tal caso si parla di discriminazioni doppie, nel caso
in cui si parli di soli 2 fattori di rischio, o multiple, qualora siano più di 2. Chi svolge una
prestazione di lavoro può esprimere almeno due fattori di rischio e persino tutti, in certi casi.

Esempio: genere unito a età, genere e nazionalità…

Art. 1 d.lgs. 215/2003


Il presente decreto reca le disposizioni relative all'attuazione della parità di
trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica,
disponendo le misure necessarie affinché' le differenze di razza o di origine etnica
non siano causa di discriminazione, anche in un'ottica che tenga conto del diverso
impatto che le stesse forme di discriminazione possono avere su donne e uomini,
nonché' dell'esistenza di forme di razzismo a carattere culturale e religioso.
Art. 1 d.lgs. 216 del 2003
Il presente decreto reca le disposizioni relative all'attuazione della parità di
trattamento fra le persone indipendentemente dalla religione, dalle convinzioni
personali, dagli handicap, dall’età e dall'orientamento sessuale, per quanto
concerne l'occupazione e le condizioni di lavoro, disponendo le misure necessarie
affinché' tali fattori non siano causa di discriminazione, in un'ottica che tenga
conto anche del diverso impatto che le stesse forme di discriminazione possono
avere su donne e uomini.

Il diritto previdenziale e quello antidiscriminatorio sono legati fra di loro:

 nel d.lgs. 81/2008, art. 28 co 1, viene disciplinato l’obbligo datoriale della valutazione dei
rischi, disciplina in cui, come avevamo detto, notiamo il riflesso del diritto
antidiscriminatorio.

 Legame rinvenibile nell’art. 3 co 1 lettera b. del d.lgs. 216/2003, a seguito delle modifiche
opera della legge europea 2019/2020

Le interazioni tra fattori di rischio  genere - età :


I lavoratori possono presentare più fattori di qualificazione, in base alle ricerche dal punto di vista
della prevenzione in azienda, queste hanno evidenziato ad esempio che l’avanzare dell’età
costituisce un fattore incrementale del fenomeno della discriminazione per motivi di genere,
esponendo quindi più donne che uomini a una lesione della loro salute.

 È vera l’affermazione secondo la quale soprattutto le lavoratrici più giovani sono mal
pagate; possono risentire in modo evidente i differenziali retributivi. Inoltre, sono i soggetti
maggiormente esposti al fenomeno delle molestie sessuali, col il conseguente rischio di
esporsi a patologie da stress e contrarre patologie.

Ma è anche vero che il fenomeno delle disuguaglianze e le loro implicazione negative per le
donne, riguardano anche le lavoratrici meno giovani, riferimento ad un ambito anagrafico
specifico: dai 45 ai 55 anni (emerge dalle ricerche). E non solo, spesso nelle imprese accade
che ad esempio ci sia un’esitazione a riconoscere nei loro confronti un’attività di
formazione, di potenziamento, aggiornamento professionale, sulla base di una ricorrente
argomentazione  il rendimento di questo investimento sarebbe troppo limitato, in
relazione al fatto che non si è più giovani. Per le stesse ragioni si esita a promuoverle, a
realizzare un avanzamento professionale. Risulta anche che le lavoratrici meno giovani
siano esposte a pressioni, a comportamenti vessatori, e a pratiche di mobbing, il cui
obiettivo è quello di promuoverne l’uscita dal mercato del lavoro → ad esempio con
isolamento o progressiva dequalificazione professionale.

Tuttavia, se rilevanti sono i limiti dell’età nel lavoro e da questo punto di vista pensiamo ad
una maggiore ridotta capacità fisica della persona non giovane, è altrettanto vero che
l’invecchiamento non implica necessariamente l’indebolimento delle capacità cognitive o
psico-relazionali e gestionali. Questi sono anche aspetti che caratterizzano le forme di
lavoro contemporaneo.
 Problema delle diseguaglianze nelle responsabilità familiari (conciliazione vita-lavoro) →
anche qui le differenze d’età possono esporre le donne meno giovani ad una serie di
patologie. I problemi della conciliazione, in particolare interessano le lavoratrici giovani, ma
è anche vero che una lavoratrice meno giovane può spesso riportare elevatissimi livelli di
stress (45-55 anni), ciò in relazione al fatto che quando si è meno giovani ci si trova spesso
nella condizione di dover sopportare un doppio carico di cura : sia nei confronti dei minori
d’età (“nonni sitter”), sia relativo alla presenza di parenti anziani. Queste situazioni sono
spesso l’esito di una progressiva mancanza di servizi per anziani e per infanzia, problemi del
welfare pubblico.

Le interazioni tra fattori di rischio  genere – provenienza da altri paesi :


Sono soprattutto le lavoratrici straniere (genere+ provenienza da altro paese) quelle soggette a
molestie sessuali, ma anche a vessazioni come il mobbing, esponendosi ai relativi rischi
psicosociali.

Questo è un fenomeno spiegabile in base ad una pluralità di ragioni:

 anzitutto in base alla loro maggior vulnerabilità e ricattabilità, dovuta all’incidenza di


lavori precari/atipici, quindi caratterizzati da minore tutela giuridica e da una maggiore
votalità.

Dal punto di vista delle responsabilità familiari, quindi conciliazione vita-lavoro → è stato
osservato da studiose del diritto antidiscriminatorio, come queste lavoratrici siano allo stesso
tempo migliori attrici non protagoniste della conciliazione altrui e anche potenziali vittime di una
loro conciliazione impossibile, questi nei casi in cui, per necessità un rapporto di lavoro, la
lavoratrice straniera è co-residente (quando lavoratrice vive in un’altra famiglia) → patologie da
stress, lesioni gravi alla salute.

La componente straniera femminile ,ma anche maschile non è sempre uguale dal punto di vista
degli stili di vita e delle culture di appartenenza (ci sono diverse culture, religioni etc…). Anche
questo può influenzare gli aspetti legati alla tutela sul lavoro.  Questo emerge studi in chiave
antropologica e psico-sociale l’impatto della provenienza geografica sulla esposizione al rischio.
Possibili rimedi alle discriminazioni – la disciplina prevenzionistica :
L’applicazione della normativa in materia prevenzionistica costituisce un importante strumento di
contrasto alle discriminazioni di genere nella intersezione con altri fattori di discriminazione.
Sempre in proposito si è scritto che : “una tale prospettiva si può ritenere del tutto coerente con
l'evoluzione nel tempo delle politiche europee che hanno progressivamente trasformato la
promozione delle pari opportunità da obiettivo di intervento specifico a priorità di carattere
trasversale, e di conseguenza rilevante anche per la materia della salute e della sicurezza nei
luoghi di lavoro”.

I rimedi che possono essere ipotizzati nella fase di valutazione dei rischi sono ad esempio :

- Codici etici e di comportamento aziendale – prevedere codici, in cui ad esempio esplicitare


il divieto stabilito per legge di discriminazione rispetto al fattore dell’età, ma anche in
relazione a età ed esposizione a molestie sessuali, mobbing. Ciò al fine di impedire
elementi incrementali al rischio dal punto di vista psico-sociale

- Prevedere una valutazione dell’ effettivo apporto nel lavoro da parte della componente
femminile più “matura” (anziane)→ ad esempio si è suggerito di favorire, per le lavoratrici,
ma anche per i lavoratori, una maggiore autonomia nello svolgimento del loro incarico
lavorativo, anche per scongiurare fenomeni di demotivazione, assenteismo, ossia di perdita
di senso del lavoro che si sta eseguendo. Si è anche scritto che occorrerebbe predisporre
un ambiente lavorativo positivamente attento alle differenze virtuose dell’età.

- quanto ai problemi delle patologie da stress legate ai problemi di bilanciamento e


conciliazione vita-lavoro → necessità di operare specifiche scelte strategiche,
organizzative, rivolte alle lavoratrici più e meno giovani. Tra le misure suggerite si parla di
realizzare sistemi di tutela della sicurezza sociale in ambito aziendale (misure di welfare
aziendale), ma anche scelte organizzative che riguardano una diversa modulazione
dell’orario di lavoro, come lo smart working

- quanto alle misure suggerite rispetto all’intersezione della discriminazione genere-


provenienza da altri paesi → sarebbe opportuna una forte azione di contrasto rispetto a
molestie sessuali (considerate come discriminazioni), a vessazioni, ma anche prevedere
prassi per il problema conciliazione vita-lavoro delle lavoratrici straniere. Si è anche
suggerito di prestare particolare attenzione alla diversa provenienza nazionale come
fattore incrementale della lesione della salute e sicurezza, ciò anche perché la presenza
straniera è spesso visibile nei lavori più faticosi e insalubri
Cause di sospensione del rapporto di lavoro imputabili ai lavoratori:

Sintesi della conciliazione vita-lavoro (fatto fin qui):

● art. 37 co.1 costituzione → tratta la parità di trattamento uomini e donne, dal punto di
vista retributivo e tutela riservata alla lavoratrice in relazione alla sua essenziale funzione
familiare

● Da qui sono scaturite delle legislazioni di attuazione costituzionale che mettevano al centro
la lavoratrice :

- legge 1204/1971 → astensione obbligatoria e facoltativa, riconosciuta solo nei


confronti della madre + astensione anticipata in relazione + tutela rispetto ai
licenziamento individuale … La legge non prende in considerazione i padri, che
invece saranno presi in considerazione nella :

- Legge 903/1977 → esempio emblematico di legislazione antidiscriminatoria per


ragioni di genere. Dal punto di vista dei padri prevedeva un’astensione facoltativa in
via derivata nei confronti del padre, ossia quando la madre non poteva avvalersi di
questa astensione (es. morte, grave infermità…).

- Legge n 53/2000 → di attuazione di direttiva europea 34/996. Legge con cui


notiamo importanti novità : previste innovazioni dal punto di vista terminologico,
non si parla più di astensione obbligatoria e facoltativa, ma di congedo di maternità
(è l’astensione obbligatoria della madre) e di congedo parentale (che va a sostituire
la disciplina dell’astensione facoltativa come prevista dalle leggi 1204 e 903).
Gli elementi caratterizzanti il congedo parentale (previsti da art. 32 del testo unico
151 del 2001, in cui la legge 53 è confluita) sono : congedo riconosciuto ad entrambi
i genitori, per la durata di 6 mesi ciascun genitore, ma se se ne avvalgono entrambi
la durata complessiva è 10 mesi, + bonus nell’ipotesi in cui il padre lo attivasse per
un periodo continuativo frazionato pari a 3 mesi, indennità previdenziale
riconosciuta per un periodo complessivo pari a 6 mesi, pari al 30% della
retribuzione, salvo miglioramenti previsti da contrattazione collettiva (metodo di
pagamento erogato dal datore che poi rivaleva sull'ente previdenziale in via di
conguaglio).
Anche il genitore single poteva avvalersi di questo congedo, sempre per una durata
complessiva pari a 10 mesi.

Trattamento economico in caso di congedo di maternità (art. 16 ss del d.lgs 151 del
2001) →80% della retribuzione.
A seguito di questa legge restava irrisolta la questione del riconoscimento del
congedo di paternità in via diretta →

- Legge Fornero n 92 del 2012 : 1 giorno per il congedo di paternità, con retribuzione
del 100% + congedo di paternità facoltativo pari a 2 giorni, in sostituzione e previo
consenso della madre. Poteva avvalersene entro 5 mesi di vita del bambino. Previsti
anche voucher baby-sitting e asili nido, permesso alla madre di monetizzare la sua
astensione.

- legge 228 del 2012 (di bilancio per l’anno 2013) : attuazione della seconda direttiva
in materia di congedi e conciliazione (che abroga la 34 del 2006) n 18 del 2010.
Intervento di modifica del congedo parentale, che riguarda entrambi i genitori,
previsto il frazionamento ad ore del congedo parentale.

- Job act atto II (legge delega 183 del 2014, da cui scaturisce d.lgs. 80 del 2015) : si
interviene su d.lgs. 151 del 2001, viene risolto il problema del frazionamento ad
ore, dagli 8 ai 12 anni. Non si caratterizza per un numero rilevante di novità,
recepimento degli orientamenti giurisprudenziali elaborati da Corte costituzionale.
Sarà oggetto delle successive leggi di bilancio

Normativa recente sul congedo parentale

- Attuazione direttiva 1158/2019 con art. 1 co 134 legge 234 del 2021  a decorrere
dal 2022, il congedo obbligatorio di paternità viene elevato a 10 giorni; per quanto
riguarda il congedo di paternità facoltativo la durata è ridotta ad 1 giorno.

- Il 31 marzo 2022 è stato approvato lo schema del d.lgs. attuativo della terza
direttiva in materia di congedi e conciliazione (n° 1158/2019), alla luce della quale
sono state previste una serie di novità che riguardano :

o Congedo di paternità obbligatorio → si riferisce all’art. 4 della direttiva


europea. Viene confermata la durata di 10 giorni, ma viene modificato il
periodo entro il quale il padre può usufruirne di questa astensione - può
avvalersene nell’arco temporale compreso da i 2 mesi precedenti ai 5 mesi
successivi al parto. Rimane un diritto autonomo e distinto, spettante al
lavoratore padre, accanto al congedo obbligatorio di paternità in via
derivata.

o Genitore single e congedo parentale ad egli riconosciuto → aumenta da 10 a


11 mesi il congedo del genitore solo, nell’ottica di una misura promozionale
che venga incontro ai nuclei familiari monoparentali.

o Durata del congedo → fermi restando i limiti massimi pari a 6 mesi, i mesi di
congedo parentale coperti da indennità previdenziale vengono aumentati da
6 a 9. Indennità previdenziale pari al 30%.

o Lavoro autonomo → viene esteso al lavoro autonomo il diritto all’indennità


di maternità, in favore delle lavoratrici autonome e libere professioniste
anche per gli eventuali periodi di astensione anticipati che sono riconosciuti
in ipotesi di gravidanza a rischio.

Punto irrisolto : riconoscimento di congedi per quanto concerne la presenza


di nuclei parentali omogenitoriali, non abbiamo ancora la previsione di alcun
riconoscimento in materia, diversamente da quanto la stessa direttiva aveva
richiesto con l’individuazione della figura del genitore equivalente (art. 4
direttiva).
QUANTO ABBIAMO VISTO SUI CONGEDI PARENTALI, COSTITUISCE UNA DELLE CAUSE LEGITTIME DI
SOSPENSIONE DLE DIRITTO DEL LAVORO.
Altre ipotesi di astensione legittime dal rapporto di lavoro :

Art. 2110 C.C.


“In caso di infortunio, di malattia, di gravidanza o di puerperio, se la legge [o le
norme corporative] non stabiliscono forme equivalenti di previdenza o di
assistenza, è dovuta al prestatore di lavoro la retribuzione o un'indennità nella
misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali [dalle norme corporative],
dagli usi o secondo equità.

Nei casi indicati nel comma precedente, l'imprenditore ha diritto di recedere dal
contratto a norma dell'articolo 2118, decorso il periodo stabilito dalla legge
[dalle norme corporative], dagli usi o secondo equità

Il periodo di assenza dal lavoro per una delle cause anzidette deve essere
computato nell'anzianità di servizio”

Alle cause legittime di astensione dal lavoro, si associa anche il diritto alla conservazione del
rapporto di lavoro. Questa norma prevede 3 tipi di tutela:

1) Tutela economica, retributiva o indennità in sostituzione (Co.1)→ Interviene per i lavoratori


subordinati una tutela economica riconosciuta dall’INPS e dal datore di lavoro, tenuto ad
anticipare le prestazioni economiche garantite dall’ente previdenziale.

2) Garantisce la conservazione del posto di lavoro ( co.2) → cause di sospensione del rapporto
di lavoro legittime permettono il mantenimento del posto di lavoro, ma per un periodo di
tempo determinato, generalmente disciplinato dalla contrattazione collettiva e che assume
la denominazione di periodo di comporto. Possiamo distinguere fra :

- Periodo di comporto secco = allude al periodo di conservazione del posto di lavoro


rispetto ad una malattia unica e ininterrotta

- Periodo di comporto per sommatoria = quando l’assenza riguardi diversi periodi di


malattia, separati.

Nel caso in cui non ci fosse una disciplina da questo punto di vista, dobbiamo fare
riferimento all’ art. 2110 co 2 C.C. che, nella determinazione di questi periodi, rinvia al
giudice che decide secondo equità.

3) Consente il computo del periodo di assenza nell’anzianità di servizio (Co.3)


Obblighi gravanti sul lavoratore …

…per evitare abusi e un utilizzo improprio della tutela in caso di malattia.

 Obbligo di comunicazione tempestiva del lavoratore a INPS e datore di lavoro mediante


certificato medico, con l'indicazione del domicilio, al fine di permettere attività di controllo
sulla veridicità delle stato di salute del lavoratore, controlli effettuati anche da ente
previdenziale ove sia tenuto a erogare il trattamento di malattia. Questa è una procedura
telematica, in virtù di quanto disciplinato dall’art. 25 della legge n 183 del 2010, che ha
esteso anche al settore privato la procedura prevista per i dipendenti pubblici.

Nel caso in cui il lavoratore non fa questa comunicazione, si assenta in maniera


ingiustificata; quindi, perde il trattamento economico previdenziale, ma ci saranno anche
delle conseguenze disciplinari.

 Controllo sulla veridicità della condizione di salute → per garantire imparzialità il datore
può realizzare questi controlli attraverso medici pubblici (c.d. “medici fiscali”), ai sensi
dell’art. 5 della legge 300 del 1970. Rispetto all’accertamento della malattia già diagnostica
avviene una conferma, una smentita o una modifica della malattia. In caso di modifica si
può determinare un aumento o diminuzione del periodo di assenza.
È possibile, legittimo, per evitare abusi, operare dei controlli, ne consegue che i lavoratori
devono poter essere reperibili e quindi parliamo di un obbligo di reperibilità = si realizza in
specifiche fasce orarie, salvo che sussista un giustificato motivo per cui non è possibile
essere reperibili, diversamente abbiamo la sanzione della decadenza dal trattamento
economico fino a 10 giorni + previsione di sanzioni disciplinari.

Cause legittime :

Per quanto riguarda infortunio e malattia professionale dobbiamo fare riferimento d.p.r.
1124/1965. Legislazione in cui vengono disciplinati aspetti relativi all’ente previdenziale che viene
in considerazione in queste 2 ipotesi, ossia l’INAIL, e vengono definiti l’infortunio e la malattia
professionale e anche le relativi interventi/prestazioni economiche.

Per quanto concerne le prestazioni/interventi sanitarie occorre fare riferimento alla legislazione
istitutiva del servizio sanitario nazionale, ossia la legge 1833/1978 e successive modifiche. Legge
che tratta della malattia ordinaria o generica, e non professionale.

L’INAIL ha competenza residuale: cioè interviene solo quando NON c’è copertura previdenziale
assicurativa ad altro titolo. In merito, il dpr interviene mediante la previsione di un obbligo
assicurativo in determinate condizioni di rischio per la salute o la sicurezza:

 Casi in cui il rischio deriva dalla presenza di macchinari


 Attività che vengono considerate intrinsecamente pericolose.

Il soggetto tenuto all'obbligo assicurativo è il datore di lavoro, pubblico o privato (soggetto


assicurante, art. 9 dpr 1124 del 1965), mentre i soggetti assicurati sono i lavoratori subordinati, ma
anche autonomi e in virtù di successivi interventi legislativi anche di soggetti che non sono
lavoratori.
Questo obbligo assicurativo che si realizza mediante l’attività contributiva, quindi il datore di
lavoro deve pagare un premio assicurativo, calcolato sulla retribuzione, la cui misura non è fissa,
ma varia in base a diversi fattori.

o Tra gli elementi che ne determinano l’importo rientra l'andamento infortunistico medio a
livello → disposizione finalizzata a costituire una coazione (perché è vincolante) indiretta
all’attuazione della disciplina di prevenzione in azienda.

Infortunio e Malattia sul lavoro 


L’infortunio sul lavoro viene definito come un accadimento caratterizzato da:

 una causa violenta,


 Repentinità ed evidente lesione alla salute

La malattia professionale si tratta di una lesione dovuta a una lenta esposizione al fattore di rischio
(es lavorare in industria chimica, lenta e continua esposizione a fattori di rischio che a lungo
andare potrebbero causare ad esempio il cancro).

Al fine del riconoscimento di una tutela economica, è necessario il requisito “dell’occasione di


lavoro”: cioè è necessaria l'esistenza di un nesso causale, tra l’attività lavorativa e la lesione della
salute e della sicurezza.

o Per l’infortunio, tuttavia, non è richiesto un nesso causale stringente, difatti il dpr riconosce
una tutela economica anche nl caso di infortunio in itinere = lesione della salute del
lavoratore che si determina nel tragitto dal luogo di abitazione al luogo di lavoro o, in
assenza di una mensa aziendale, nel tragitto tra il luogo di consumazione dei pasti e il luogo
di lavoro (la legislazione parla di "normale percorso”, per cui se si fa un percorso diverso
l’INAIL potrebbe non intervenire).

o Per le malattie professionali viene richiesto un nesso causale (occasione di lavoro)


stringente. Il dpr ha al suo interno un elenco di malattie che in sé stesse rientrano nella
categoria di malattie professionali; in nesso è stringente nel senso che sussiste, secondo il
legislatore, solo nel momento in cui il lavoratore contrae una delle malattie professionali
che il legislatore ha elencato.

Il problema che ci si è posti, e su cui si è espressa la Corte costituzionale, ha riguardato


ipotesi di malattie che fuoriuscivano dal sistema tabellato, quesito se in questi casi c’era
nesso o meno, differenza : la risposta è affermativa, nel senso che il lavoratore può
chiedere una copertura assicurativa nel caso in cui dovesse lamentare una malattia che
fuoriesce dal sistema tabellato, dando prova del nesso (L’onere della prova grava sul
lavoratore)
Ai fini del riconoscimento di un indennizzo, occorre anche che queste “cause” determinino un
evento lesivo, quindi che si sia verificato il fatto dannoso, quali:

 INABILITÀ AL LAVORO: A seguito della lesione si può determinare una inabilita al lavoro,
queste può essere:

 Temporanea, quindi sanabile nel tempo. Questa inabilità è assoluta e specifica (in
che senso???)

Il diritto riconosciuto al lavoratore consiste in una indennità giornaliera per


inabilità con decorrenza dal 4° giorno successivo a quello in cui si è verificato
l’infortunio o la malattia professionale e per tutta la durata dell'inabilità stessa.
L’ammontare di questa indennità è pari a una percentuale calcolata sulla
retribuzione per i primi 90 giorni di astensione dal lavoro. Poi questa percentuale
subisce un innalzamento ai 2/3 della retribuzione quando l’inabilità si prolunga oltre
il limite dei 90 giorni.

Il lasso di tempo che intercorre dalla data in cui si verifica l’infortunio e la data in cui
viene riconosciuta l’indennità, prende il nome di periodo di carenza. Secondo
quanto previsto dalla contrattazione collettiva l’indennizzo di questo periodo di
carenza è a carico del datore di lavoro, mentre quello successivo è a carico
dell’INAIL

 Permanente; quindi, la lesione è immodificabile per un tempo ragionevole riferito a


qualsiasi lavoro. In questo caso il diritto alla prestazione economica sorge se
l’inabilità è generica, però può essere sia assoluta che parziale.

Bisogna riconoscere prestazioni economiche diverse a seconda del periodo in cui si


è determinato l’evento lesivo:

o Se l’evento lesivo riguarda un periodo riguarda un periodo antecedente il 25


luglio del 2000, il diritto che viene riconosciuto è quello alla rendita.

o Perché dopo questa data vengono previste prestazioni economiche per il


caso di danno biologico, che vanno a sostituire la rendita per inabilità
permanente.

Parliamo di inabilità permanente assoluta quando siamo in presenza di un


perdita della capacità di lavoro tra il 65% e il 100%. In questo caso la rendita
è pari all’intera retribuzione + un’eventuale assegno qualora venga accertata
l'esigenza di un’assistenza continuativa.
Parliamo di inabilità permanente parziale quando l’inabilità è compresa tra
l’11% e il 64% (e in questo caso la prestazione economica varia in relazione
alla retribuzione alla percentuale di inabilità).
L’importo viene erogato sotto forma di capitale per danni fino al 15%. Per i
danni sopra il 16% viene erogata in forma di rendita.

 DECESSO : l'ordinamento riconosce una rendita da erogare ai superstiti (coniuge e figli) pari
al 100% della retribuzione. In mancanza di coniuge o figli verrà riconosciuta agli ascendenti,
ai fratelli e alle sorelle, se conviventi e a carico della persona deceduta. Spetta inoltre al
coniuge, o in mancanza ai figli, un assegno funerario.
Abbiamo il riconoscimento di una rendita al “coniuge”, e quindi in virtù della legge 76/2016
la rendita è riconosciuta anche all’unito civilmente.

Vengono erogate anche prestazioni sanitarie che sono di competenza del servizio sanitario
nazionale, istituito con la legge 833/1978.

In questi casi sorge il diritto alla prestazione economica in capo al lavoratore leso. Questo diritto
viene riconosciuto dall'ordinamento indipendentemente dall’adempimento, da parte del datore di
lavoro, dell’attività contributiva, quindi indipendentemente dal versamento dei contributi
previdenziali → in virtù dell’articolo 2116 c.c., in cui troviamo affermato il principio
dell’automaticità delle prestazioni.

Articolo 2116 cc - prestazioni


Le prestazioni indicate nell'art. 2114 sono dovute al prestatore di lavoro, anche
quando l'imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti
alle istituzioni di previdenza e di assistenza, salvo diverse disposizioni delle
leggi speciali o delle norme corporative.

Nei casi in cui, secondo tali disposizioni, le istituzioni di previdenza e di


assistenza, per mancata o irregolare contribuzione, non sono tenute
a corrispondere in tutto o in parte le prestazioni dovute,
l'imprenditore e' responsabile del danno che ne deriva al prestatore di lavoro.

Questo perché nel sistema di sicurezza sociale successivo alla costituzione NON c’è una stretta
relazione tra contributi versati e prestazioni economiche riconosciute: perché l’idea di sicurezza
sociale contenuta nella Costituzione è quella della garanzia sempre presente al verificarsi di eventi
generativi di bisogno.

Gli infortuni e le malattie extralavorative sono una cosa diversa e non rientrano nella tutela
dell'articolo 2110 cc.

Per gli infortuni e malattie extralavorative viene chiamato in causa il servizio sanitario nazionale,
perché questo rende delle prestazioni sanitarie. Esso fa capo allo stato, alle regioni, ai comuni, è
un’articolazione complessa (dopo la pandemia e in relazione ad esperienze negative nella gestione
del servizio da parte delle regioni si sta tornando a parlare di ricentralizzatine del sistema sanitario
nazionale, per garantire tutela uniforme su tutto il territorio). Il servizio sanitario nazionale
consente la cura della malattia, eroga un servizio anche sulla base della percezione soggettiva della
malattia, anche quando “penso di essere malata”, si occupa di riconoscere le prestazioni
diagnostiche, non è un intervento che c’è solo quando vi è una lesione concreta della salute.
5. ELEMENTI DI DIRITTO SINDACALE
Guarderemo al diritto sindacale: diritto alla libertà sindacale, il diritto di sciopero, il fenomeno della
contrattazione collettiva.
Rilevante il diritto previdenziale rispetto al diritto del lavoro nella sua accezione più ampia, teniamo inoltre
conto del fatto che il diritto del lavoro abbraccia anche il diritto sindacale.

Contesto storico… :
…In cui hanno visto la luce le norme costituzionali : art. 39 Costituzione (diritto a libertà sindacale e
contrattazione collettiva), art. 40 Costituzione.
Perché il legislatore costituzionale si occupa di questi diritti nel contesto delle disposizioni più importanti
dell'ordinamento giuridico nazionale? Il contesto era quello del fascismo, che aveva posto il sindacato unico,
previsione di fortissimi ostacoli alla coalizione sindacale, la contrattazione collettiva era fonte di leggi,
costituita da un unico sindacato, illiceità penale dello sciopero, non era possibile effettuare attività
rivendicativa.

Diritto alla libertà sindacale


Il riferimento va all’art. 39 co 1, secondo cui “l’organizzazione sindacale è libera”. Negli anni successivi
alla guerra, dell’organizzazione sindacale si occupano anche gli organismi sovranazionali, ad esempio
mediante le convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, la n 87 del 1948 e la n 98 del 1949 .
Anche la fonte europea si è ripetutamente occupata della libertà sindacale, Carta dei diritti fondamentali
(Carta di Nizza del 2000), la quale a seguito della modifica dei trattati istitutivi dell’UE ha il medesimo
valore giuridico degli stessi trattati, in forza dell’art. 6 del trattato istitutivo UE, in cui è fatto rinvio alla carta
di Nizza, che costituisce la COSTITUZIONE EUROPEA.
È fondamentale muovere da art. 39 co 1, il quale è intrecciato con altre disposizioni costituzionali, in
particolare agli artt. 2 e 3 Cost., in cui vengono disciplinati i principi che innervano la struttura dei diritti
sociali. L’art. 39 co 1 è una norma fortemente connessa anche all’art. 40 Cost.
La libertà sindacale

L’articolo 39 della Cost. Parla di libertà sindacale sia a livello individuale sia a livello collettivo:

Libertà sindacale individuale :


Si tratta di una libertà in senso positivo (e quindi io posso aderire al sindacato, svolgere attività sindacale…);
ma anche libertà sindacale in senso negativa (posso non aderire, non svolgere attività, recedere…).

TITOLO II – libertà sindacale


La “libertà sindacale” viene nei contesti in cui può essere maggiormente ostacolato e violato, mediante le
disposizioni dello statuto dei lavoratori (Legge 300 del 1970)  a trattare questo diritto sono gli artt. 14, 15 e
16 (contenuti nel titolo II). Si tratta di disposizioni che si propongono l’attuazione dell’art. 39 co 1 → in
ambito endoaziendale, dove è più possibile vedere compressa la libertà sindacale.

Art. 14 → Diritto di associazione e di attività sindacale - libertà sindacale positiva


Il diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività
sindacale, è garantito a tutti i lavoratori all'interno dei luoghi di lavoro.

Art. 15 → Atti discriminatori - libertà sindacale negativa


È nullo qualsiasi patto od atto diretto a:
a) subordinare l'occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca
o non aderisca ad una associazione sindacale ovvero cessi di farne
parte;

b) licenziare un lavoratore, discriminarlo nella assegnazione di qualifiche o


mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari, o recargli
altrimenti pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività sindacale
ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero.

Le disposizioni di cui al comma precedente si applicano altresì ai patti o atti


diretti a fini di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di
sesso.

Art. 16 → divieto di trattamenti economici collettivi discriminatori

A chiudere il Titolo II, è l’ Art. 18 → prevede tutela reale in caso di illegittimo licenziamento, poi oggetto di
modifica con la flessibilità in uscita (in particolare con la Legge Fornero)
Libertà sindacale collettiva :
Quanto al profilo collettivo l’art. 39 co 1 consente al sindacato la libertà delle forme organizzative, delle
regole che disciplinano l’assetto interno, ma anche libertà nella definizione di obiettivi e strumenti
dell’attività sindacale senza alcuna interferenza.

Definizione del termine “sindacale” :


Non c’è riferimento normativo che definisce espressamente il termine sindacale, ma dalla norma
costituzionale può desumersi un rinvio alla realtà sociale → possiamo ricavare il significato del termine nel
momento in cui siamo di fronte a situazioni volte all’autotutela di interessi giuridici connessi a relazioni di
lavoro, cioè a relazioni giuridiche in cui viene dedotta l’attività di lavoro. L’attributo della sindacalità
contraddistinguerebbe quelle attività e quelle aggregazioni rivolte alla tutela di un interesse collettivo di
lavoro.
Differenze tra coalizione sindacale e il diritto di associarsi :

Art. 18 Costituzione – DIRITTO DI ASSOCIZIONE


I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono
vietati ai singoli dalla legge penale.
Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi
politici mediante organizzazioni di carattere militare.

1. La libertà di associazione è vincolata, occorre un vaglio di liceità penale, non richiesto per la coalizione
sindacale. La Costituzione, con art. 39 co 1 ha espresso un’implicita valutazione di liceità della coalizione
sindacale (in altre parole ritiene che siano implicitamente lecito)

2. Ambito soggettivo (destinatari) della libertà sindacale e dell’associazione


La libertà sindacale riguarda tutti i lavoratori o solo parte di essi?
Una parte di studiosi ritiene questo diritto applicabile solo nei caso dei lavoratori subordinati, e quindi
non dei lavoratori autonomi. Questa tesi si fonda sulla lettura combinata di artt. 39 co 1 e 40 Costituzione,
si rinvia allo sciopero (intrecciato a libertà sindacale), il cui esercizio è tipicamente del lavoro
subordinato.

Tuttavia, nel tempo questo diritto ha varcato i confini del lavoro dipendente sino a interessare ampi
settori del lavoro autonomo:

→ In particolare, i lavori simil dipendenti, cioè formalmente autonome ma le cui modalità di esecuzione
sono assimilabili al lavoro dipendente (collaborazioni coordinate continuative). Anche queste figure
devono poter beneficiare del diritto alla libertà sindacale ex art. 39 co 1, poiché di fatto dipendenti.

→ Gli imprenditori (lavoratori autonomi) possono a loro volta svolgere attività sindacale e si discute se
la loro attività sia riconducibile nell’art. 39 co 1 o nell’art. 18 Cost. (libertà di associazione). In
merito si hanno 2 tesi:

- C’è chi esclude il riferimento all’art. 39 co 1 per gli imprenditori (quindi che abbia una valenza
unilaterale) → perché nel caso dei lavoratori è sempre presente una dimensione collettiva,
diversamente sul versante imprenditoriale, dove l’attività sindacale può essere anche espressa
anche singolarmente dall’imprenditore.

Es: contrattazione aziendale, in cui è parte il singolo datore di lavoro, il singolo imprenditore
- Per altri anche il fenomeno collettivo sindacale imprenditoriale deve essere incluso nell’art. 39
co 1 → non c’è motivo di operare distinzione, perché in entrambi i casi siamo in una logica
conflittuale, entrambi esprimono il conflitto industriale.

Inoltre, Il fatto che nella legislazione in materia di diritto sindacale, in molti casi sono presenti
legislazioni promozionali nei confronti dell'organizzazione sindacale dei lavoratori, potrebbe
costituire un elemento che porta a escludere il sindacalismo datoriale dall’ambito di applicazione di
art 39 co.1, ma in realtà risponde alla necessità di permettere l'effettivo svolgimento delle attività
sindacali dei lavoratori, poiché maggiormente esposte ad ostali. Tuttavia, ciò non deve determinare
l’esclusione dall’ambito di applicazione dell’art. 39 anche dal fenomeno sindacale degli
imprenditori.

Oltre ai lavoratori autonomi, ci sono altre Categorie di lavoratori per cui è stata posta in dubbio la titolarità
del diritto alla libertà sindacale :

● lavoratori dell’impiego pubblico → poi superata in forza della legislazione vigente in materia di
pubblico impiego, contenuta nel d.lgs 165/2001 (testo unico in materia di pubblico impiego)
● militari → era previsto un divieto di organizzazione sindacale, ritenuta incompatibile con le funzioni
e le attribuzioni di questi soggetti. Parzialmente modificata a seguito della sentenza dell’11 aprile
2018 della Corte costituzionale, per cui è possibile esprimere un'azione sindacale pur rimanendo il
divieto di aderire ad altre associazioni sindacali.
● polizia di stato →  analogamente ai militari, possibile esprimere una coalizione sindacale, pur
rimanendo il divieto di aderire ad altre situazioni sindacali

Le altre figure del mondo del lavoro restano sfornite? No, perché relativamente alle altre figure, il
fondamento normativo deve essere rinvenuto anziché nell’art. 39 co 1, nell'art. 18 Costituzione.
I diritti sindacali – Titolo III

Nel titolo III dello statuto in cui sono disciplinati i diritti sindacali, la cui titolarità compete anzitutto alle
rappresentanze sindacali aziendali, ma non di tutte le imprese, ma solo nei confronti delle imprese che
presentano specifici limiti dimensionali, più esattamente qualora l'impresa abbia una consistenza numerica
pari a più di 15 dipendenti→ specificato nell’art. 35 dello statuto dei lavoratori.

Art. 35
Per le imprese industriali e commerciali, le disposizioni del titolo III, ad eccezione
del primo comma dell'articolo 27, della presente legge si applicano a ciascuna
sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo che occupa più di quindici
dipendenti. Le stesse disposizioni si applicano alle imprese agricole che occupano
più di cinque dipendenti
Le norme suddette si applicano, altresì, alle imprese industriali e commerciali che
nell'ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti ed alle
imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di cinque
dipendenti anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non
raggiunge tali limiti.
Ferme restando le norme di cui agli articoli 1, 8, 9, 14, 15, 16 e 17, i contratti
collettivi di lavoro provvedono ad applicare i principi di cui alla presente legge
alle imprese di navigazione per il personale navigante.

Queste rappresentanza sindacali sono costituite in base a quanto disposto dall’art. 19.
Art. 19
Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in
ogni unità produttiva, nell'ambito:
a) delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano
nazionale;
b) delle associazioni sindacali, che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati
nell'unità produttiva.
Nell'ambito di aziende con più unità produttive le rappresentanze sindacali possono istituire
organi di coordinamento.

→ l’art. 19 individua criteri in base ai quali viene misurata la rappresentatività dei soggetti sindacali
rispetto al mondo del lavoro. Fattore in base alla quale, ad alcuni di questi Soggetti (rapp. sindacali) sono
riconosciuti i diritti sindacali.

Nell’ambito delle associazioni, ai sensi della lettera a prende in considerazione il contesto storico. La lettera
a dell’articolo 19 prende in considerazione il piano storico delle organizzazioni sindacali (CISL, CGIL).La
lettera b guarda a espressioni sindacali anche differenti sviluppatesi al di là dell’esperienza storica delle
organizzazioni sindacali.

Quindi è una norma selettiva dei soggetti collettivi titolari dei diritti sindacali. Questa selettività è resa
necessaria dal fatto che alle rappresentanza sono riconosciute dei diritti che hanno un costo per il datore di
lavoro (che altrimenti dovrebbe soddisfare troppa gente), come:

● diritto di assemblea, art. 20 Statuto → viene riconosciuta ai lavoratori il diritto di riunirsi durante
l'orario di lavoro, nel limite di 10 ore annue per le quali sarà corrisposta la normale retribuzione,
salvo interventi migliorativi della contrattazione collettiva. Mediante questo diritto i lavoratori
possono discutere di materie di interesse sindacale e lavorative.
Queste riunioni sono indette dalle rappresentanze sindacali e vi possono partecipare, oltre ai
lavoratori, i dirigenti esterni del sindacato che ha costituito la rappresentanza sindacale aziendale,
previo preavviso al datore di lavoro.

● referendum → Art. 21 statuto dei lavoratori :


“Il datore di lavoro deve consentire nell'ambito aziendale lo svolgimento, fuori dell'orario di
lavoro, di referendum, sia generali che per categoria, su materie inerenti all'attività sindacale,
indetti da tutte le rappresentanze sindacali aziendali tra i lavoratori, con diritto di partecipazione di
tutti i lavoratori appartenenti alla unità produttiva e alla categoria particolarmente interessata”
→ diverso dal diritto di assemblea perché si svolge fuori dall'orario di lavoro e su iniziativa
congiunta di tutte le RSA. Inoltre, il referendum è diverso dall'assemblea, diverso per oggetto, che
risulta più ristretto rispetto a quello dell'assemblea, ricomprendendo infatti solo materie inerenti
all’attività sindacale

● regole applicabili in caso di trasferimento dei dirigenti delle rsa → art. 22

● permessi retribuiti, art. 23 Statuto → Ai dirigenti delle rappresentanza sindacali, di cui l’art.19,
sono riconosciuti dei permessi retribuiti, in relazione alle dimensioni dell’impresa.
Il dirigente che intende esercitare il diritto deve darne comunicazione scritta al datore di lavoro
almeno 24h prima, tramite le rappresentanze sindacali aziendali.

● permessi non retribuiti, art. 24 Statuto → Ai dirigenti delle rappresentanza sindacali, di cui l’art.19,
sono riconosciuti dei permessi non retribuiti , per la partecipazione a trattative sindacali o a congressi
e convegni di natura sindacale, in misura non inferiore a otto giorni all'anno. I dirigenti che
intendano esercitare il diritto di cui al comma precedente devono darne comunicazione scritta al
datore di lavoro di regola tre giorni prima, tramite le rappresentanze sindacali aziendali.
● diritto di affissione → art. 25
“Le rappresentanze sindacali aziendali hanno diritto di affiggere, su appositi spazi, che il datore di lavoro ha
l'obbligo di predisporre in luoghi accessibili a tutti i lavoratori all'interno dell'unità produttiva, pubblicazioni,
testi e comunicati inerenti a materie di interesse sindacale e del lavoro.”
→ diritto di affiggere pubblicamente comunicati di interesse sindacale. Rispetto a quest’attività di
comunicazione il datore è obbligato a predisporre spazi in luoghi accessibili a tutti i lavoratori
all’interno dell’attività produttiva. La giurisprudenza ha fatto una puntualizzazione nel caso in cui il
datore di lavoro si serva di strumenti informatici (quali mail) per comunicare coi propri dipendenti :
la sua condotta sarebbe antisindacale quando, nei casi in cui comunica tramite strumenti informatici,
non consenta di utilizzare queste modalità anche alle rappresentanze sindacali. In questo caso il
datore è tenuto a mettere a disposizione degli rsa uno spazio virtuale all’interno del sistema
telematico dell’azienda, che svolga la funzione di “bacheca informatica”.

● diritto a svolgere attività di proselitismo e di raccogliere contributi economici all’interno dei


luoghi di lavoro → art.26
“I lavoratori hanno diritto di raccogliere contributi e di svolgere opera di proselitismo per le loro
organizzazioni sindacali all'interno dei luoghi di lavoro, senza pregiudizio del normale svolgimento
dell'attività aziendale.”
→ i soggetti destinatari di questi diritti sono i lavoratori, è permesso a qualunque sindacato
attraverso l’attività dei singoli lavoratori di beneficiare dell’attività da essi svolta, necessaria al loro
sostegno (del sindacato)

● obbligo per il datore di lavoro, con almeno 200 dipendenti, di mettere permanentemente ad
esposizione delle rappresentanze sindacali aziendali, per l’esercizio delle loro funzioni uno
spazio idoneo all'interno dell’unità produttiva o nelle immediate vicinanze→ art. 27; se siamo in
presenza di un’ impresa con meno 200 dipendenti, le rappresentanze aziendali non possono
richiedere uno spazio permanente, ma gli viene comunque riconosciuto il diritto di usufruire di uno
spazio quando ne facciano richiesta.

“Il datore di lavoro nelle unità produttive con almeno 200 dipendenti pone permanentemente a disposizione
delle rappresentanze sindacali aziendali, per l'esercizio delle loro funzioni, un idoneo locale comune
all'interno della unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa.”

TITOLO IV
Art. 28 → apre il titolo IV dello statuto dei lavoratori.  previsione di uno strumento processuale messo a
disposizione delle organizzazioni sindacali e attraverso il quale è possibile per via giudiziaria reprimere la
condotta antisindacale del datore di lavoro. Articolo con cui viene rafforzata l’effettività della tutela
contenuta nei titoli II e III dello statuto dei lavoratori, dei diritti impliciti all’art. 39 e art. 40 Costituzione.
Rafforza le tutele previste nei titoli precedenti

Art. 28
Qualora il datore di lavoro ponga in essere comportamenti diretti ad impedire o limitare
l'esercizio della libertà e della attività sindacale nonché del diritto di sciopero, su ricorso
degli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse, il
pretore del luogo ove è posto in essere il comportamento denunziato, nei due giorni successivi,
convocate le parti ed assunte sommarie informazioni, qualora ritenga sussistente la violazione
di cui al presente comma, ordina al datore di lavoro, con decreto motivato ed immediatamente
esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti.

L'efficacia esecutiva del decreto non può essere revocata fino alla sentenza con cui il pretore
in funzione di giudice del lavoro definisce il giudizio instaurato a norma del comma
successivo.

Contro il decreto che decide sul ricorso è ammessa, entro 15 giorni dalla comunicazione del
decreto alle parti, opposizione davanti al pretore in funzione di giudice del lavoro che decide
con sentenza immediatamente esecutiva. Si osservano le disposizioni degli articoli 413 e
seguenti del codice di procedura civile.

Il datore di lavoro che non ottempera al decreto, di cui al primo comma, o alla sentenza
pronunciata nel giudizio di opposizione è punito ai sensi dell’art 650 del codice penale.

L’autorità giudiziaria ordina la pubblicazione della sentenza penale di condanna nei modi
stabiliti dall’art 36 del Codice penale ………

Comma 1 → Comportamenti antisindacali, ossia una condotta diretta a impedire o limitare l'esercizio della
libertà sindacale (titolo II + art.39 Cost.) e ella attività sindacale (Titolo III) nonché del diritto di sciopero
(art. 40 cost). Non si tratta di una nozione che si avvale di ipotesi tipizzate, siamo di fronte ad una nozione
indeterminata, perché il legislatore è consapevole dell’estrema difficoltà di tipizzare, di specificare le
condotte antisindacali che ad esempio potrebbero consistere in comportamenti neutrali, eppure idonei a
ledere i diritti protetti dal comma 1.

Quanto ai confini della condotta antisindacale ci sono due aspetti problematici che hanno creato dibattito
interpretativo e che hanno a che fare con il comportamento datoriale in sede di trattative sindacali :
1. nel nostro ordinamento è esistente o meno un obbligo di trattare, di realizzare una trattativa
sindacale, a carico del datore di lavoro? → nel nostro ordinamento NON c’è questo obbligo, siamo
in una dinamica conflittuale che esclude obbligo a trattare per chi lo chiede.
2. Un altro fenomeno che si determina è costituito da trattative in base a tavoli di trattativa separati. Da
questo pov nel nostro ordinamento non esiste un obbligo di parità di trattamento tra organizzazioni
sindacali, posso condurre le trattative separatamente, semmai l’ordinamento richiede che non si
realizzino discriminazioni tra singoli lavoratori o limitazioni dell’attività sindacale

I soggetti legittimati ad attivare questo strumento processuale, cioè chi può fare ricorso, sono gli organismi
locali delle associazioni sindacali nazionali. Anche in questo caso si è adottato un filtro selettivo, infatti
parliamo di associazioni sindacali nazionali e non di tutte le associazioni.
Possiamo concludere che di questo strumento processuale NON possono avvalersi i lavoratori, come ad
esempio nel caso di condotte c.d. plurioffensive, ossia caso in cui la condotta antisindacale leda nello stesso
tempo il sindacato e i diritti dei lavoratori. La Corte costituzionale ha chiarito che l’art.28 ci consegna uno
strumento processuale aggiuntivo e non sostitutivo dei mezzi giudiziari messi a disposizione dei lavoratori.

Legittimazione passiva → Il soggetto verso il quale viene rivendicata questa tutela è il datore, che risponde
anche delle condotte dei suoi dipendenti. Ma, la giurisprudenza prevalente non ritiene soggetto attivo di una
condotta antisindacale l’organizzazione sindacale rappresentativa dei datori di lavoro.

E’ necessaria l’esistenza di uno specifico animus di antisindacalità (ossia di un elemento soggettivo)?


Riferimento a orientamento giurisprudenziale che ritiene non debba farsi rinvio all’elemento soggettivo
(intenzioni del’autore) → questa precisazione è oggetto di pronuncia di Corte di Cassazione a Sezioni Unite.
Similmente a quanto visto con le discriminazioni, Ciò che rileva è l’idoneità oggettiva a ledere i beni protetti.

Fasi in cui si snoda questo procedimento :

E’ un procedimento incentrato alla rapidità e all’immediatezza (co.1 art.28), si svolge dinanzi al tribunale
del luogo in cui è stata posta in essere la condotta antisindacale (co.1 art.28). 
Sanzioni: cessazione del comportamento illegittimo e rimozione degli effetti (co.1 )

Comma 2 → La parte soccombente può fare un giudizio di opposizione entro 15 gg dalla comunicazione del
decreto alle parti. 
Comma 3 → se il datore non ottempera al decreto di cui al co 1 o alla sentenza pronunciata nel giudizio di
opposizione è punito ai sensi dell’art. 650 c.p.. 

Revoca delle agevolazioni fiscali nei confronti del datore per la creazione di nuove occupazioni → art. 7 co 7
della legge 388 del 2000
Fenomeno della contrattazione collettiva
Articolo 39
L'organizzazione sindacale è libera
Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione
presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge.

È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un


ordinamento interno a base democratica.

I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati


unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro
con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il
contratto si riferisce.

co. 2 : obbligo di registrazione


co. 3: ordinamento interno a base democratica
co. 4: personalità giuridica solo se registrati → cosa mai attuata (cause: fascismo ancora troppo vicino e
diverso peso tra CISL e CGIL)
Diritto di sciopero
Art. 40 Costituzione. Da questo punto di vista la Costituzione segna un punto di forte discontinuità con il
passato e con il periodo corporativo, durante il quale lo sciopero era un reato.
Il diritto di sciopero rappresenta la principale arma attraverso cui si esercita l'attività di rivendicazione del
diritto del lavoro nei confronti dei lavoratori. E’ riconosciuto quindi al contraente debole del rapporto di
lavoro, e da questo punto di vista è uno strumento squilibrato, cioè solo a vantaggio del lavoratore ( da parte
del datore dobbiamo parlare di serrata). Questo conferma che la particolarità del diritto del lavoro è quello di
essere un diritto diseguale, nella prospettiva indicata all’art. 3 co 2 Costituzione.
Nel nostro ordinamento non esiste una definizione giuridica di sciopero: la fonte principale di questo diritto è
appunto l’art. 40 della Costituzione che afferma semplicemente “il diritto di sciopero si esercita
nell'ambito delle leggi che lo regolano” → la definizione di sciopero è lasciata alla comune percezione
sociale di questo fenomeno. Il che significa che siamo in presenza di una nozione mutevole, che infatti nella
storia ha assunto diverse accezioni; osserviamo una diversa regolamentazione di questo fenomeno nel tempo.

Evoluzione storica dello sciopero :

 Lo sciopero, in una prima fase, è stato considerato un reato → codice penale del Regno di Sardegna
del 1859, esteso al territorio nazionale nel momento dell’unificazione italiana nel 1861. 

 Seconda fase → in virtù del codice penale Zanardelli del 1889, lo sciopero viene inteso come una
libertà, molto circostanziata e sorvegliata: in questa fase si manifestano in modo evidente le lotte dei
lavoratori, che lamentano condizioni di vita e lavoro instabili. Da questa concezione di sciopero
consegue che comunque si tratta di un evento che va a costituire un inadempimento contrattuale,
determinando l’obbligo di risarcire i danni arrecati al datore, poteva esporre anche ad un eventuale
licenziamento. Non esclude le regole della responsabilità civile. Fase dell’industrializzazione,
condizioni insalubri.

 Fase corporativa → sciopero come reato in base al codice penale Rocco del 1930, dell’epoca
fascista. 

 Solo con la Costituzione lo sciopero assume la dignità di diritto. Non è più un fenomeno tollerato,
non c’è più spazio per forme di responsabilità civile → conseguenza : perdita della retribuzione. 

L’articolo 40 rinvia a leggi che non hanno costituito oggetto di una successiva legislazione, salvo il caso dei
servizi pubblici essenziali: è lo sciopero che viene indetto per i mezzi di trasporto, per i servizi sanitari.
Molti problemi interpretativi e applicativi derivanti dall’esercizio di questo diritto sono stati affrontati dai
giudici, dalla giurisprudenza. Un primo rilevante aspetto, su cui notiamo un lavoro interpretativo riguarda
l’ambito della titolarità del diritto di sciopero, dal punto di vista se questo debba essere un diritto
dell’organizzazione sindacale che rappresenta i lavoratori. Lo sciopero comporta il riconoscimento di un
diritto diseguale, si presume la debolezza contrattuale del lavoratore, il rapporto di lavoro è improntato ad
una diseguaglianza e asimmetria.
Prima tesi : molto importante il momento sindacale, della proclamazione dello sciopero da parte delle
organizzazioni sindacali, lasciando al singolo la possibilità di aderirvi → pone al centro il protagonismo delle
organizzazioni sindacali.
Seconda tesi : considera il diritto di sciopero un diritto individuale ad esercizio collettivo, cioè la titolarità
del diritto di sciopero spetta al singolo, il quale però dovrà agire questo diritto collettivamente. La
proclamazione delle organizzazioni sindacali non è requisito essenziale della nozione di sciopero, è un
semplice invito a partecipare allo stesso sciopero.
Questa tesi è da preferire, e anche alla luce di questa, i soggetti titolari sono i lavoratori.

Nei confronti di chi : Si tratta di un diritto per i lavoratori dipendenti, il cui riconoscimento è avvenuto anche
per i lavoratori autonomi, in particolare per i lavoratori sì autonomi (riguardo la forma) ma economicamente
dipendenti (dal committente).
Questo diritto deve essere riconosciuto anche nei confronti dei piccoli imprenditori, coloro che sono senza
dipendenti (mentre per gli altri imprenditori parliamo di serrata).
Eccezioni riguardanti :
 militari
 appartenenti alla polizia di stato

I limiti del diritto di sciopero


= qual è l’ambito di liceità di questo diritto rivendicativo?
Per un lungo periodo i limiti del diritto di sciopero erano intrinseci a una definizione aprioristica del diritto di
sciopero, cioè veniva assunta una nozione di sciopero, e tutto ciò che da questa si poteva discostare era
considerato un ambito dell’esercizio dello sciopero illecito.
→ si assume una nozione di sciopero aprioristica, e questo in base alle sue tipiche caratteristiche, e tutto ciò
che da questa definizione si differenziava era da ritenersi illecito. 
L’astensione quindi in base al suo tipico manifestarsi doveva essere 

1. CONTINUATIVA = per l’intera giornata → era considerata illegittima la forma anomala


rappresentata dallo sciopero a singhiozzo, 
2. CONCERTATA = quindi con un preavviso→ lo sciopero a sorpresa era da ritenersi illecito, 
3. COMPLETA = doveva riguardare la generalità dei lavoratori → ecco la natura illecita dello
sciopero a scacchiera, cioè dello sciopero che riguarda solo alcuni lavoratori, in momenti differenti; 
4. c’erano anche dei limiti di scopo : AVANZARE RICHIESTE che il datore di lavoro potrà
soddisfare (non ammesse astensione per solidarietà, o con motivazioni politiche)
5.
Le conseguenze di questa nozione erano rappresentate dalla possibilità di invocare la responsabilità civile per
il risarcimento del danno, che poteva anche comportare l’eventualità del licenziamento rispetto a astensioni
che fuoriuscivano dalla nozione di sciopero → tesi dottrinale che ha avuto durata → tesi dei limiti interni :
no sciopero a scacchiera, no sciopero a sorpresa, no sciopero a singhiozzo e per scopi politici 

I giudici, dal punto di vista della nozione di sciopero, hanno aggiunto due criteri:
1. Criterio del danno ingiusto → lo sciopero reca con sé il danno inferto ai datori, il quale non doveva
essere superiore rispetto al risparmio derivante dalle mancate retribuzioni. Tesi contestata, perché
veniva rigettata una visione paritaria del rapporto di lavoro. 
2. Criterio della corrispettività dei sacrifici → intervento della giurisprudenza di legittimità, la Corte
di Cassazione con sentenza del 1980 sovverte l’impostazione dottrinale (punto 1) e afferma
l’esistenza di una nozione di sciopero che varia, è mutevole e che prende le forme tipiche del
contesto storico in cui si determina lo sciopero, è una nozione mutevole e non aprioristica. A seguito
di questa sentenza viene meno la tesi dei limiti interni dello sciopero. Lo sciopero produce danno alla
produzione, ma valica l’ambito della liceità quando si determina un danno alla produttività. Lo
sciopero deve rispondere all'aspettativa datoriale, alla conservazione dell'organizzazione aziendale
per la ripresa dell’attività lavorativa. Non è più condizionato da limiti interni, cade quella tesi, può
semmai essere compresso e limitato in base ad elementi esterni = quando si determini danno vs
datore di lavoro, non tanto alla produzione, quanto alla capacità produttiva dell’impresa. Si parla
dei limiti esterni dello sciopero, occorre operare bilanciamento tra il diritto di sciopero riconosciuto
dalla costituzione con altri diritti di uguale o maggiore portata costituzionale. Limiti che sono
derivanti da un bilanciamento di sciopero con altri diritti di uguale o maggiore portata costituzionale.
Di riferimento anche alla libera iniziativa  economica dell’impresa. QUESTA È LA TESI
ATTUALE 

Elaborazione fatta dalla Corte costituzionale:


In base ai temi dei limiti interni, parliamo di sciopero quando si mette in atto un’attività rivendicativa rispetto
a qualcosa che il datore di lavoro può riconoscere, qui la corte si è occupata di dare a fenomeni riguardanti lo
sciopero aventi una connotazione sovversiva che rinvia ad una mobilitazione orientata a sovvertire l’ordine
costituito. 
Si parla di sciopero eversivo che chiaramente è illegittimo. 
Inoltre, si parla di una forma illegittima che configura un reato quando lo sciopero impedisce il libero
esercizio dei poteri nei quali si esprime la sovranità popolare : fattispecie di reato ex art. 503 cp. Si
discute di forme in cui sono presenti in modo inesplicabile finalità politiche economiche. Per la corte,
quando è tale, lo sciopero gode della copertura costituzionale rappresentata dall’articolo 40. C’è anche lo
sciopero politico che rientrerebbe nel campo della libertà. 
Un altro dato emerso negli studi è che il fenomeno dell’utilizzo della parola sciopero, anche impropriamente,
potrebbe includere manifestazioni, citazioni di vario genere che non aderirebbero esattamente alla fattispecie
costituzionale. 

Molti risultati raggiunti dalla contrattazione collettiva sono frutto dell'attività rivendicativa dei lavoratori,
rispetto alla quale parliamo innanzitutto di diritto di sciopero. Art. 40 sancisce il diritto costituzionale allo
sciopero, è un'acquisizione recente, prima l’attività rivendicativa dei lavoratori ha conosciuto vicende
alterne, non è sempre stato un diritto.
E’ un diritto individuale ad esercizio collettivo.

Nozione di sciopero e diverse forme che può assumere :


Quando parliamo di sciopero ci riferiamo ai lavoratori e non alla parte datoriale. Parliamo invece di serrata
nel caso dei datori di lavoro. 
Il diritto di sciopero è causa di sospensione, cui consegue il mancato riconoscimento della retribuzione e
anche la conservazione del posto di lavoro e di tutti i diritti e obblighi non connessi con l’esercizio della
prestazione di lavoro. Es. obbligo contenuto nell’art. 2105 C.C. : obbligo di fedeltà + 2104  C.C. obbligo di
diligenza → art. 2106 C.C. potere disciplinare, ci potrebbero essere abusi quindi ci vogliono altre norme (art.
7 statuto lavoratori).
Hanno costituito oggetto di dibattito ad esempio lo sciopero dello straordinario, lo sciopero delle mansioni
(quando sono chieste mansioni ulteriori), lo sciopero di rendimento (rallentamento dei ritmi produttivi), lo
sciopero pignolo (quando abbiamo esasperata esecuzione della prestazione di lavoro, ad esempio rispetto alla
necessità di realizzare dei controlli estremamente meticolosi); lo sciopero bianco (forma di protesta dei
lavoratori che consiste nel rifiuto di collaborare realizzato però senza astensione dal lavoro, mediante
applicazione rigida e burocratica delle regole e dell'orario di lavoro contrattuale) → assenza di un elemento
tipico dello sciopero = abbandono del posto di lavoro. Si è discusso se queste forme siano o no da
assumere nell'ambito dell’art. 40 Costituzione : si.
Altra questione è l'occupazione dell’azienda, occupata per esprimere lotta e conflitto sindacale : art. 508 c.p.,
infatti la corte costituzionale parla di legittimità di questa forma di agitazione solo in presenza di una dedita
giustificazione, ad es perché si sta esercitando diritto di assemblea.
Ci sono altre forme di espressione del conflitto che esulano dal concetto di sciopero : 

 picchettaggio → mettersi come ostacolo all’ingresso, impedendo entrata/uscita. Se si tratta


dell’esercizio di una dialettica sindacale assume un elemento di liceità, è legittimo; altra questione è
se si viene a determinare una sorta di barriera umana che può sfociare in azioni violente, qui
abbiamo il rischio di una sanzione penale : in questo caso il picchettaggio è illegittimo. 
 picchettaggio in senso inverso → quando viene impedita l'uscita dei prodotti dall’impresa. Anche
questa è una forma di lotta lecita, ad eccezione di azioni violente.

Possiamo configurare anche un ambito di liceità in questi casi, perchè viene in considerazione bilanciamento
tra libertà sindacale positiva e negativa.

 boicottaggio → ad esempio riguarda una propaganda a non acquistare i prodotti dell’impresa, art
507 c.p., come ha chiarito la Corte Costituzionale è lecita solo l’attività di propaganda che consiste
nella libera manifestazione del pensiero, garantita dall’art. 21 Costituzione

 sabotaggio → forme di lotta sindacale che possono provocare il danneggiamento dei locali aziendali
o di strumenti necessari all’esercizio dell’attività di impresa. Rileva l’art. 508 co 2 c.p. 
Anche i datori di lavoro possono però porre in essere comportamenti conflittuali, la questione è quanto questi
comportamenti possono, ad esempio se ritorsivi in risposta allo sciopero, non configurare un comportamento
sindacale.
Strumento del datore per esprimere una conflittualità : serrata. Espressione con cui intendiamo una chiusura
totale o parziale dell'impresa per un tempo più o meno prolungato, non è uno strumento molto usato, quando
è stato usato ha avuto una connotazione difensiva, rispetto a un’azione rivendicativa posta in essere dai
lavoratori.

Considerazioni storiche : la legge ha trattato per lungo tempo la serrata in modo paritario allo sciopero,
osserviamo la stessa scansione a partire dal codice sardo 1859 reato, poi Zanardelli 1889 libertà, poi reato
con Codice Rocco 1930 reato. Con la costituzione invece si ha discontinuità col passato, ha effettuato una
diversificazione; infatti, in un caso lo sciopero è un diritto, nel caso della serrata invece la costituzione tace.
La Corte Costituzionale si è pronunciata sulla serrata, sentenza 29 del 1960 in cui la corte interpreta la serrata
come una mera libertà e quindi alla serrata si accompagna comunque un obbligo di retribuzione. Quando la
serrata configura una risposta a rivendicazioni dei lavoratori, si pone il tema di un’eventuale condotta
antisindacale ex art. 28 co 1 Statuto dei lavoratori, che menziona tali condotte i comportamenti tali da
impedire o limitare il diritto di sciopero. La condotta antisindacale è indeterminata. 
Nelle mani dell'imprenditore esiste un altro strumento : crumiraggio = crumiro è colui che non intende
aderire allo sciopero, si sottrae, è una posizione legittima, rientra nella libertà sindacale in senso negativo. Il
problema semmai si pone quando abbiamo un crumiraggio indiretto, cioè quando il datore pone in essere
comportamenti che limitano lo sciopero, ad esempio attraverso due azioni → 

Possiamo distinguere :
 crumiraggio interno → si tratta ad esempio del fatto che il datore realizzi uno spostamento di
dipendenti da un settore ad un altro per garantire la prosecuzione dell’attività produttiva. Una parte
dell’impresa è in sciopero e quindi il datore sposta dei dipendenti che andranno a sostituire i
lavoratori in sciopero.
 crumiraggio esterno → il datore recluta altri lavoratori in sostituzione dei lavoratori in sciopero. 

Il crumiraggio è lecito? 
Nel caso del crumiraggio interno, l’orientamento interpretativo lo ritiene lecito, a condizione che venga
rispettato il divieto di non adibire a mansioni inferiori il lavoratore, no cambiamento di mansioni in senso
peggiorativo.
Nel caso del crumiraggio esterno, limiti legali che vietano la possibilità di reclutare altri lavoratori in
sostituzione di quelli in sciopero, sono divieti che la legislazione prevede in diverse leggi → divieto legale di
sostituire i lavoratori in sciopero nel caso del contratto a termine, altrimenti si negherebbe il diritto di
sciopero (art. 20 d.lgs 81 del 2015 come modificato dal decreto dignità).

Sciopero nei servizi pubblici essenziali


L’art. 40 ha ricevuto attuazione della Legge 146 del 1990 → espressione della teoria dei limiti esterni, vi
sono settori di attività che riguardano beni tutelati dalla costituzione, rispetto ai quali è necessario trovare un
bilanciamento con il diritto di sciopero. Questa legge non intende negare l’esercizio del diritto di sciopero nei
settori in cui vengono erogati servizi essenziali, semmai subordina l'esercizio del diritto di sciopero ad un
procedimento, con cui si realizza bilanciamento tra diversi beni ugualmente tutelati dalla costituzione. 
Diritto di sciopero che in questi specifici settori è soggetto a una procedimentalizzazione : serie di passaggi
con cui viene garantita tutela di diritti costituzionali potenzialmente in conflitto con il diritto di sciopero.
Esempio dello sciopero nel settore dei trasporti o quando vengono prese in considerazione prestazioni di
ordine sanitario. 
La legislazione prevede una serie di obblighi che riguardano anzitutto la preventiva informazione
riguardante il periodo dell’astensione e poi la previsione dell’erogazione comunque del servizio essenziale,
prestazioni che consentono comunque la realizzazione dei servizi essenziali. E’ importante ricordare anche la
previsione di organismi a presidio della procedura prevista dalla legge e quindi a garanzia del bilanciamento
dei diritti costituzionali. Queste sono le regole essenziali in materia di sciopero dei servizi pubblici
essenziali. 
A questa legge si arrivò anche perchè quell’anno si disputavano in Italia i campionati di calcio e si era
preoccupati per i disagi che il settore dei trasporti potesse creare. Legge che poi è stata oggetto di modifica
con la legge 83 del 2000. 
Legge con cui si realizza bilanciamento tra diritto di sciopero e altri diritti di rilevanza costituzionale. E’ una
disciplina con cui da un lato vengono individuati questi diritti, rispetto ai quali occorre operare un
bilanciamento e sottopone lo sciopero ad un procedimento = serie di atti che vanno a contrassegnare questa
attività rivendicativa nel settore dei servizi pubblici essenziali.
Principio cardine = lo sciopero deve essere assicurato in modo da garantire il godimento dei diritti della
persona costituzionalmente protetti. 
La legge compie indicazioni per ambito di applicazione oggettivo e soggettivo. Dal punto di vista oggettivo
occorre chiedersi cosa sono ritenuti servizi pubblici essenziali : quelli volti all’attuazione di alcuni diritti di
cui la stessa legge fornisce un’elencazione di tipo tassativo. Occorre in proposito fare riferimento all’art. 1
co 1 della stessa legge.

Art. 1 co 1 legge 146 del 1990 (come modificata dalla legge 83 del 2000)
“Ai fini della presente legge sono considerati servizi pubblici essenziali, indipendentemente dalla natura giuridica del

rapporto di lavoro, anche se svolti in regime di concessione o mediante convenzione, quelli volti a garantire il

godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà ed alla sicurezza, alla

libertà di circolazione, all'assistenza e previdenza sociale, all'istruzione ed alla libertà di comunicazione.”

Quanto all’ambito di applicazione soggettivo, questo ha subito un ampliamento a seguito della legge 83 del
2000, che infatti ha incluso i lavoratori autonomi, i professionisti, i piccoli imprenditori i quali incidano sulla
funzionalità dei servizi pubblici (art. 2-bis). 
Legge che assoggetta il diritto di sciopero, nei settori che sappiamo, ad una procedura che viene innescata da
una fase c.d. “di raffreddamento” e conciliazione, come disciplinata dai contratti collettivi o dai codici di
autoregolamentazione. Quando abbiamo un esito negativo di questa fase di raffreddamento, lo sciopero può
avere luogo. La legge prescrive il preavviso, si tratta del fatto di preavvisare almeno 10 giorni prima la
realizzazione dello sciopero, in sostanza i soggetti che lo proclamano hanno un obbligo di almeno 10 giorni
di preavviso dello sciopero; questo termine può essere elevato da contrattazione collettiva e dai codici di
autoregolamentazione. Questo preavviso serve alla predisposizione da parte dell’azienda erogatrice del
servizio di misure indispensabili per l’utenza. Occorre anche dare comunicazione della durata dello stesso
sciopero, delle modalità dello sciopero e delle motivazioni dello stesso. 
Ulteriore comunicazione ad opera delle aziende erogatrici dei servizi, per queste infatti è previsto l’obbligo
di comunicare agli utenti almeno 5 giorni prima dello sciopero modi e tempi di erogazione dei servizi.
Obblighi anche in capo ai media. Poi è previsto l’obbligo di erogazione delle prestazioni indispensabili da
parte di coloro che hanno proclamato lo sciopero, occorre garantire la fornitura di prestazioni indispensabili
come stabilite dai codici di autoregolamentazione e da contrattazione collettiva, sulle quali esercita un
controllo la commissione di garanzia, istituita nel contesto di questa legge. Si tratta di autorità
amministrativa indipendente, alla quale spettano plurime funzioni : normativa, consultiva, di mediazione e
sanzionatoria. 
La legge articola un ampio sistema sanzionatorio nei confronti : delle organizzazioni sindacali, che possono
essere soggette a sanzioni economiche per un ammontare complessivo da 2500 a 50 mila euro; nei confronti
delle aziende; dei dirigenti responsabili delle amministrazioni pubbliche; dei legali rappresentanti delle
aziende che erogano i servizi; delle associazioni rappresentative dei lavoratori autonomi, professionisti o
piccoli imprenditori, in questo caso la sanzione economica è sempre tra 2500 e 50 mila euro. 
Sistema sanzionatorio nei confronti dei lavoratori, quando si astengono dal lavoro in violazione degli
obblighi legali o quando si rifiutino di svolgere le prestazioni indispensabili richieste → in entrambi i casi i
lavoratori sono soggetti a sanzioni disciplinari comminate dalla commissione di garanzia, in realtà queste
sanzioni vengono materialmente irrogate dal datore in base al procedimento stabilito da art. 7 della legge 300
del 1970. 
Si parla nella legge 146 del 1990 di precettazione = strumento di natura amministrativa, che viene adottato
dal prefetto se lo sciopero ha carattere locale, dal presidente del consiglio o da un ministro da lui delegato se
lo sciopero invece ha rilevanza nazionale o interregionale. 
L’uso di questo strumento è comunque soggetto a dei requisiti sostanziali, occorre infatti, come indicato
nell’art. 8 co 1, un pregiudizio di non lieve entità, nonché di prossima verificazione, per uno dei diritti
costituzionalmente rilevanti, tutelati nella elencazione tassativa contenuta nell’art. 1 co 1. Quando sussiste
questo requisito, il procedimento viene avviato dall’attività precettante su segnalazione della commissione di
garanzia. Quando si determini una situazione di necessità, urgenza, il procedimento viene avviato
direttamente dall'attività precettante che poi sarà tenuta a darne comunicazione alla commissione di garanzia.
Ad ogni modo, l’adozione di questo procedimento, della precettazione, deve essere preceduta da un tentativo
di conciliazione, il cui scopo è quello di far desistere le parti da comportamenti che possono determinare un
rischio o pericolo, in caso di esito negativo del tentativo di conciliazione può essere usata la precettazione,
atto con cui può essere disposto :
 il differimento dello sciopero ad altra data
 la riduzione della durata dello sciopero
 l’osservanza di misure idonee ad assicurare livelli di funzionamento del servizio coerenti e
compatibili con la tutela dei diritti della persona costituzionalmente rilevanti

Disposizioni in materia di licenziamento :


→ ci fa riconsiderare norme = Norme in materie di licenziamento individuale. Infatti, l’aspetto più
emblematico dell’art. 18 è la previsione di un sistema sanzionatorio molto articolato in caso di licenziamento
illegittimo.

Recap disciplina licenziamento individuale :

 Art. 2118 C.C. : “Ciascuno dei contraenti puo' recedere dal  contratto  di  lavoro  a tempo
indeterminato, dando  il  preavviso  nel  termine  e  nei  modi stabiliti dalle norme corporative,
dagli usi o secondo equita'. 
In mancanza di preavviso, il  recedente  e'  tenuto  verso  l'altra parte a un'indennita' equivalente
all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso. 
La stessa indennita' e' dovuta dal datore di  lavoro  nel  caso  di cessazione del rapporto per morte
del prestatore di lavoro” 

L’iniziale tutela nei confronti dei lavoratori è molto esile, riflette i principi della parità formale tra contraenti.
E’ una norma che non incorpora una visione asimmetrica dei contraenti nei rapporti di lavoro, consente ad
entrambi di recedere liberamente dal rapporto senza che questo venga assoggettato né a vincoli di forma né
di motivazione. Libero recesso, subordinato unicamente ad un preavviso, che è surrogabile da un’indennità
equivalente, mediante l’erogazione della retribuzione spettante per il periodo di preavviso. Questo è aspetto
che viene disciplinato tipicamente dalla contrattazione collettiva.

Questa regola, della libera recedibilità, da generale è diventata eccezionale, è confinata a specifiche ipotesi
(patto di prova – 2096 cc, co.3)

C’è stata una fase successiva a WWII in cui è stato previsto il blocco del licenziamento, per una condizione
economica drammatica. I sindacati hanno cercato di introdurre elementi a tutela dei lavoratori dal punto di
vista dei requisiti sostanziali, Dopodichè la legge 604 del ‘66 ha realizzato disciplina organica in conformità
ai principi costituzionali (legge di attuazione costituzionale)

 art 2119 C.C. 

 legge 604/1966 e successive modifiche → Prevede un requisito di forma, il licenziamento deve


essere previsto in forma scritta ab substantiam (per la validità dell’atto) + è necessaria una
giustificazione (art. 3). Cesura con quanto accadeva in precedenza, va a colmare una tutela che era
esigua (quella dell’art. 2118) : 

art. 3 → definite le nozioni di giustificato motivo oggettivo e soggettivo. 


Quanto al giustificato motivo oggettivo, il licenziamento deve essere motivato da ragioni inerenti
all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa. Ragioni che
non riguardano condotte poste in essere dal lavoratore.

o Tuttavia, vi è chi considera il licenziamento motivato dal superamento del periodo di


comporto (cause di sospensione legittima del rapporto di lavoro imputabili al lavoratore art.
2110, malattia o infortunio, legittime nei limiti del periodo di comporto che può essere secco
o per sommatoria), rientrante nella nozione di giustificato motivo oggettivo. 

In questo caso il giudice, in caso di controversia, è chiamato a verificare il nesso causale, tra il
motivo e il licenziamento. Si potrà parlare di giustificato motivo oggettivo, solo se il lavoratore non
possa essere altrimenti impiegato eventualmente anche in mansioni inferiori a quelle che svolgeva =
obbligo di repechage posto in capo al datore di lavoro = quel licenziamento è illegittimo nel
momento in cui il datore non abbia verificato la possibilità di impiegare il lavoratore in altro modo,
anche in mansioni inferiori rispetto a quelle che svolgeva.

Per quanto riguarda il  giustificato motivo soggettivo si tratta di licenziamento che deve essere
motivato da comportamenti o condotte del lavoratore, che nei casi più gravi da luogo al
licenziamento per giusta causa (di cui all’art. 2119 cc). La nozione di giustificato motivo
sembrerebbe apparentemente sovrapponibile a quella di giusta causa, in entrambi i casi siamo di
fronte ad un licenziamento motivato dalla condotta del lavoratore, però vi è differenza.

Tra le tesi che si sono occupate di individuare gli elementi di differenza, una dice che queste nozioni
sono diverse dal punto di vista quantitativo : in entrambi i casi si tratta di un licenziamento motivato
da condotta del lavoratore, ma in un caso quel comportamento assume una connotazione di
particolare gravità, tanto da motivare un licenziamento in tronco (giusta causa); nell’altro, il
comportamento è sì grave ma non così grave come nel caso della giusta causa → ipotesi nella quale
il comportamento è meno grave rispetto al comportamento motivante il recesso per giusta causa.
Non in entrambi i casi viene riconosciuto il preavviso o l’indennità sostitutiva dello stesso → il
diverso grado di gravità spiega perché solo nel caso del giustificato motivo soggettivo abbiamo la
previsione del preavviso o dell’indennità sostitutiva allo stesso e non nell’ipotesi di recesso per
giusta causa.

art. 4 → uno dei riferimenti più risalenti dal punto di vista della tutela antidiscriminatoria, in
particolare questa disposizione analizza alcuni fattori di discriminazione e in particolare la
discriminazione per ragione di credo politico, fede religiosa, appartenenza sindacale.
Dopo il riconoscimento di questa embrionale tutela dal punto di vista del diritto antidiscriminatorio
si è aggiunta una disciplina riguardante il fattore di discriminazione rappresentato dalle differenze
di genere e ulteriori fattori di rischio, di cui rispettivamente parlano il d.lgs. 198 /2006 (Codice per
le pari opportunità) e d.lgs. 215 e 216 del 2003.
 
Si tratta di analizzare i requisiti sostanziali del licenziamento individuale e il sistema sanzionatorio, che
riguarda sia le norme della legge 604, sia l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.

Sanzioni in caso di licenziamento illegittimo di cui alla legge 604 :


Si parla di una stabilità obbligatoria, mentre nel caso dell’art. 18 usiamo l'espressione "tutela reale”.

In caso di illegittimo licenziamento, il legislatore individua la seguente sanzione : riassunzione oppure, a


scelta del datore, il pagamento di una indennità di cui la legge stabilisce un minimo (2.5 mensilità) e un
massimo (6 mensilità).
Si tratta di un'obbligazione con facoltà alternativa, a scelta del datore.

Il limite massimo dell’indennità può essere incrementato fino a 10 in relazione all’anzianità di servizio del
lavoratore, più precisamente in presenza di anzianità superiore a 10 anni.
Questo limite può essere ulteriormente incrementato fino a 14 mensilità, per un’anzianità di servizio ancora
superiore. 

Abbiamo un immediato effetto estintivo del rapporto di lavoro, la riassunzione è un’ipotesi con la quale il
rapporto di lavoro viene ad esistere mediante una nuova assunzione → comunque il rapporto si estingue, solo
una nuova assunzione può dare luogo al rapporto di lavoro.

Art. 18 Statuto dei lavoratori :


Disposizione introdotta nel 1970, è stata poi investita da numerosissime modifiche → rispetto alla sua
formulazione originaria è stata profondamente modificata. Guardando agli interventi legislativi più recenti
con ad oggetto questa disposizione, occorre richiamare due riforme del diritto del lavoro:

 legge 92 del 2012 (Fornero)

 Legge delega 183/2014 e conseguente d.lgs. di attuazione 23/2015 (Job Act II)

Sono disposizioni che intervengono rispetto alla c.d. “flessibilità in uscita” e quindi in fase di licenziamento
e che rispondono entrambe ad una specifica logica, secondo la quale un’eccessiva rigidità delle regole in
uscita (licenziamento) possa costituire un ostacolo al pieno dispiegarsi della positiva funzione
dell’imprenditore, la quale consiste nella creazione di occupazione → un’eccessiva rigidità delle regole in
uscita andrebbe a ridurre, ostacolare le condizioni di occupabilità. 
Si tratta di interventi di riforma che riguardano anche la c.d. “flessibilità in entrata”= contratto a termine.

Tutela reale

FORMULAZIONE ORIGINARIA 

Nella formulazione originaria l’art. 18 conteneva la c.d. “tutela reale”: Nel caso in cui il licenziamento
fosse illegittimo, il giudice ordinava il ripristino del rapporto e la conseguente reintegrazione del dipendente.

Inoltre, al datore di lavoro veniva imposta l’erogazione della retribuzione dal momento dell'illegittimo
licenziamento, sino all’effettivo reintegro → sistema di coazione indiretta in funzione dell’adempimento
dell’ordine del giudice.

Inoltre, risarcimento del danno pari Ad almeno 5 mensilità.


Veniva previsto che il lavoratore potesse monetizzare la reintegrazione, poiché riteneva una prospettiva del
tutto negativa il rientro nel posto di lavoro → possibilità di rinunciare alla reintegrazione, al posto della quale
potevano essere richieste 15 mensilità, da sommare alla tutela economica riconosciuta a titolo di risarcimento
del danno (di almeno 5 mensilità).

TUTELA REALE DOPO LE MODIFICHE

Tutela reale opposta alla tutela obbligatoria (consistente in due obblighi alternativi).

La tutela reale (a seguito di legge fornero e job act) non è stata eliminata la tutela reale, ma osserviamo
piuttosto una limitazione del suo ambito di applicazione, Infatti, l’art. 18 dello statuto dei lavoratori nella
nuova formulazione prevede altre tutele di tipo esclusivamente economico.

Questa è la più rilevante modifica che ha interessato l’art. 18 e che consiste nel ridimensionamento della
tutela reintegratoria reale, che infatti oggi (a seguito delle riforme viste prima) si applica solo in specifiche
ipotesi :
 al licenziamento discriminatorio → riferimento al licenziamento relativo ai diversi fattori di
discrimanzione, i quali includono diversi casi, a seguito dell’evoluzione legislativa, che su impulso
del diritto europeo ha esteso l’ambito dei fattori protetti → d.lgs 215 e 216 del 2003.

 Art. 18 co 1 individua altre ipotesi in cui trova applicazione tutela reale, in particolare nel caso di
licenziamento in concomitanza con il matrimonio → ipotesi di licenziamento che costituisce
violazione di una norma contenuta nel d.lgs 198 del 2006, art. 35, codice pari opportunità uomo-
donna. Legge 7 del 1963

 art. 18 co 1, la tutela reale si applica anche al licenziamento intimato in violazione dei divieti
previsti in caso di maternità, disciplinati dal TU in materia di maternità e paternità, ossia il d.lgs.
151 del 2001

 la tutela reale si applica anche al licenziamento nullo, dichiarato da altre disposizioni di legge; 

 la tutela reale si applica al licenziamento nullo perché determinato da un motivo illecito ai sensi
dell’art. 1345 C.C. ; 

 la tutela reale si applica al licenziamento dichiarato inefficace perché intimato in violazione dei
requisiti di forma, quindi in forma orale

In tutti questi casi, il sistema sanzionatorio, riconosciuto dal nuovo art. 18 è sostanzialmente analogo a quello
previsto dall’art. 18 ante legge Fornero (ante 2012), con una rilevante modifica : nel sistema antecedente il
2012 la tutela reale veniva riconosciuta in base all’esistenza di specifici requisiti dimensionali dell’impresa,
coincidenti con quelli richiesti per il riconoscimento dei diritti sindacali, ex art. 35 statuto lavoratori, quindi
nelle imprese che innanzitutto avessero un numero di lavoratori pari a 15.

Per effetto delle successive riforme, oggi la tutela reale, sostanzialmente paragonabile a quella riconosciuta
antecedente le riforme, trova applicazione nei casi specificamente indicati, anche nell’ipotesi in cui non
sussistono i limiti dimensionali e quindi anche sotto le soglie numeriche antecedentemente previste. →
elemento di grande discontinuità

Tolti questi aspetti di differenza, resta sostanzialmente analoga, abbiamo :

 ripristino del rapporto di lavoro

 la condanna del datore a reintegrare materialmente il lavoratore nel suo posto di lavoro, fermo
restando l’effetto coattivo indiretto sul datore di lavoro, rappresentato dal dovere comunque pagare
le retribuzioni al lavoratore inattivo

 la condanna al risarcimento del danno mediante il riconoscimento di un’indennità pari alla


retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento all’effettiva reintegrazione (meno quanto
percepito dal lavoratore nel periodo di estromissione e comunque non inferiore a 5 mensilità) 

 fermo restando il risarcimento, è poi prevista, in sostituzione della reintegrazione, la possibilità di


monetizzare il diritto alla reintegrazione. 

Recap licenziamento individuale


Completata con disciplina presente in statuto, ex art 18, che ha subito numerose modifiche → da un sistema
dove opposta stabilità obbligatoria a tutela reale, a un sistema odierno dove parliamo di contrapposizione tra
tutela forte, in art 18, e una tutela più attenuata, legge 604. Quanto alla tutela forte, questa è ancora
caratterizzata da un sistema sanzionatorio improntato alla tutela reale che tuttavia, rispetto a disciplina
antecedente, perde il suo carattere generale nell’ambito del licenziamento illegittimo riferibile  a imprese
caratterizzate da una specifica soglia dimensionale. Oggi, infatti, la tutela reale viene riconosciuta in ambito
di specifiche ipotesi di licenziamento illegittimo, tra le quali, quelle rappresentate dal licenziamento
discriminatorio, inoltre rispetto a sistema antecedente, la tutela reintegratoria presciede da limiti dimensionali
impresa.
Quanto alla tutela reale propriamente detta, questa risulta sostanzialmente analoga a quella prevista ante
2012 nei limiti.
1. EVOLUZIONE STORICA E TENDENZE ATTUALI DEL DIRITTO DI LAVORO...............................................2
FASE PRE CORPORATIVA :............................................................................................................................4
FASE CORPORATIVA :...................................................................................................................................7
FASE COSTITUZIONALE...............................................................................................................................11
Perché questa parte, così rilevante, non ha avuto attuazione?............................................................16
FASE POST COSTITUZIONALE :....................................................................................................................18
TENDENZE ATTUALI DEL DIRITTO LAVORISTICO.........................................................................................24
FONTI DEL DIRITTO DEL LAVORO :.............................................................................................................31
Legge.....................................................................................................................................................31
Contrattazione collettiva.......................................................................................................................31
Fonte di natura amministrativa.............................................................................................................32
Fonti Internazionali................................................................................................................................32
Giurisprudenza......................................................................................................................................33
2. LA QUESTIONE DELLA SUBORDINAZIONE.............................................................................................34
IL LAVORO SUBORDINATO.........................................................................................................................35
Indici di qualificazione del lavoro subordinato.....................................................................................37
Problematiche del fascio di indici (1):..................................................................................................................38
Problematiche del fascio di indici (2):..................................................................................................................40
Rimedi alle problematiche...................................................................................................................................41
Esercitazione sentenza n 1663/2020 :...................................................................................................45
La disciplina fisiologica del lavoro agile: legge, scopo (parte da rivedere).............................................46
Elementi del contratto di lavoro............................................................................................................47
Il Patto di prova (clausola)....................................................................................................................................47
Le parti contraenti :..............................................................................................................................................50
Elementi essenziali del contratto :.......................................................................................................................52
Elementi accidentali :...........................................................................................................................................53
Invalidità del contratto di lavoro..........................................................................................................................55
CONCILIAZIONE VITA-LAVORO..................................................................................................................56
3. LA TIPOLOGIA DEI RAPPORTI DI LAVORO..........................................................................................62
LE FIGURE NEGOZIALI ATIPICHE NELL’AMBITO DELLA SUBORDINAZIONE.................................................63
La specialità dei rapporti di lavoro.......................................................................................................................63
Il rapporto di lavoro sportivo.................................................................................................................65
Disciplina attuale del lavoro sportivo...................................................................................................................65
Riforma del lavoro sportivo.................................................................................................................................69
Contratto di lavoro a termine................................................................................................................72
Percorso storico:..................................................................................................................................................72
La disciplina del contratto a termine...................................................................................................................75
Condizioni di legittima Apposizione del termine...........................................................................................75
I requisiti di forma...........................................................................................................................................75
Divieti di apposizione del termine..................................................................................................................75
Proroga............................................................................................................................................................76
Rinnovo...........................................................................................................................................................76
Continuazione del contratto a termine............................................................................................................76
I limiti quantitativi al numero di contratti a termine.......................................................................................77
Diritti riconosciuti ai lavoratori con contratto a termine.................................................................................77
Deroghe al contratto a tempo determinato......................................................................................................78
4. LA REGOLAMENTAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO......................................................................78
Gli obblighi legali gravanti sul lavoratore..............................................................................................79
L’Obbligo di diligenza...........................................................................................................................................79
Obbligo di fedeltà.................................................................................................................................................79
I poteri datoriali.....................................................................................................................................80
Il potere disciplinare............................................................................................................................................80
Normativa sulle sanzioni disciplinari....................................................................................................................81
Obblighi datoriali...................................................................................................................................83
Obbligo di tutela l’integrità fisica e morale.........................................................................................................83
Percorso storico:..................................................................................................................................................83
Testo unico in materia di salute e sicurezza........................................................................................................85
DIRITTO ANTIDISCRIMINATORIO.........................................................................................................................87
Percorso storico della disciplina antidiscriminatoria...........................................................................................87
Discriminazione in ragione del genere...................................................................................................89
Il Transessualismo e l’orientamento sessuale.....................................................................................................89
La Discriminazione di genere...............................................................................................................................89
Le discriminazioni dirette:..............................................................................................................................89
Discriminazione indiretta :..............................................................................................................................90
Ipotesi tipiche di discriminazione di genere........................................................................................................92
Molestie e molestie sessuali............................................................................................................................92
Altre ipotesi di discriminazione:.....................................................................................................................93
Il diritto diseguale..................................................................................................................................94
Disciplina lavoristica relativamente a fattori di rischio ulteriori al fattore di genere:............................95
Le interazioni tra fattori di rischio  genere - età :...........................................................................................96
Le interazioni tra fattori di rischio  genere – provenienza da altri paesi :......................................................97
Possibili rimedi alle discriminazioni – la disciplina prevenzionistica :.................................................................98
CAUSE DI SOSPENSIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO IMPUTABILI AI LAVORATORI:..........................................................99
Sintesi della conciliazione vita-lavoro (fatto fin qui)............................................................................................99
Normativa recente sul congedo parentale........................................................................................................100
Altre ipotesi di astensione legittime dal rapporto di lavoro :...............................................................101
Obblighi gravanti sul lavoratore ….....................................................................................................................102
Cause legittime :.................................................................................................................................................102
Infortunio e Malattia sul lavoro ................................................................................................................103
5. ELEMENTI DI DIRITTO SINDACALE...................................................................................................106
CONTESTO STORICO… :..........................................................................................................................106
Diritto alla libertà sindacale........................................................................................................................106
Analisi art. 39 co 1 :........................................................................................................................................106
Libertà sindacale individuale :..................................................................................................................106
Libertà sindacale collettiva :......................................................................................................................107
Differenze tra coalizione sindacale e il diritto più generale di associarsi :........................................107
Definizione del termine “sindacale” :................................................................................................109
Fenomeno della contrattazione collettiva..............................................................................................113
Diritto di sciopero.........................................................................................................................................114
Sciopero nei servizi pubblici essenziali...................................................................................................119
Disposizioni in materia di licenziamento :....................................................................................................121
Sistema sanzionatorio in caso di licenziamento illegittimo di cui alla legge 604 :...........................123
Art. 18 Statuto dei lavoratori :........................................................................................................................124
Tutela reale.................................................................................................................................................124

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