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Testi di riferimento:
Prova finale:
Scritto online (se non si accetta si farà orale) → 20 domande chiuse (per ciascuna 3 risposte, solo
una giusta) + 2 domande aperte (risposte sintetiche in forma discorsiva, max 10 righe)
Date appelli :
scritto 8 giugno (12.30 - 13.30) → orale 22 giugno
scritto 22 giugno (14-15) → orale 6 luglio
scritto 6 luglio (14-15)→ orale 14 luglio
scritto 15 settembre → 23 settembre
Programma:
Formato da 5 cicli di lezioni :
1. Evoluzione storica e tendenze attuali del diritto del lavoro
2. La questione della subordinazione
3. La tipologia dei rapporti di lavoro
4. La regolamentazione del rapporto di lavoro
5. Elementi di diritto sindacale
Ad ogni chiusura di un singolo ciclo di lezioni ci sarà una simulazione dell’esame, momenti
esercitatori. Oltre a questi macro-argomenti : bilanciamento esigenze di vita e di lavoro, come
fondo di tutto il corso.
fase corporativa : Si tratta di una fase storica contrassegnata dall’intreccio di più forme di
tutela, ma durante l’esperienza fascista di una fase storica caratterizzata dalla mancanza di
una dialettica democratica. E’ un periodo in cui assistiamo ad un’estensione delle tutele
lavoristiche, ma allo stesso tempo questa fase si caratterizza per essere un momento
storico autoritario, in cui assistiamo alla negazione di molti diritti che sono elemento
essenziale del diritto del lavoro → ad esempio nella fase corporativa nel divieto del diritto
all’aggregazione dei lavoratori e lavoratrici, viene negato il diritto alla libertà sindacale, di
coalizzarsi ai fini di autotutela. Anche la negazione al diritto dei lavoratori di esprimere
un’attività rivendicativa dei loro diritti, diritto di sciopero ad esempio. E’ una fase storica in
cui il diritto di sciopero era una fattispecie di reato, è una fase caratterizzata dall’esperienza
delle leggi razziali o di natura discriminatoria fondata sull’appartenenza religiosa, una
legislazione che discriminava le persone in relazione alla loro appartenenza a un credo
religioso diverso da quello maggioritario in Italia. Infatti ha contrassegnato l’anno 1938. E’
questa una fase in cui nel nostro paese è stato possibile discriminare gli ebrei a partire dal
divieto di svolgere un'attività lavorativa in forma dipendente o autonoma, nell’impiego
privato o pubblico, per sottolineare il carattere autoritario era stato prescritto di cancellare
ogni traccia di ebraicità dalle scuole di ogni ordine e grado, espulsione di docenti e
studenti. Periodo in cui si è vietato il matrimonio tra persone di razza ebraica con altre
persone, si è limitato diritto a proprietà privata. Queste disposizioni erano rivolte ad una
parte della popolazione italiana minoritaria, c’erano un po’ più di 50 mila ebrei e circa 8
mila ebrei stranieri. Architettura imponente di disposizioni discriminatorie rivolta a una
presenza molto piccola.
- Tendenze attuali del diritto del lavoro : principali riforme del diritto del lavoro che hanno
contrassegnato il decennio precedente la pandemia. Ad esempio, la c.d. Legge Fornero (in
relazione a tutela pensionistica); Job act (riforma del diritto del lavoro e diritto
previdenziale che ha contrassegnato la fase del governo Renzi); decreto dignità (che ha
contrassegnato il primo governo Conte); norme applicate alla fase pandemica,
provvedimenti anti-coronavirus, in particolare nella prospettiva dei congedi e dello smart
working.
- Tema delle fonti del diritto del lavoro : analisi dell’articolo 117 della Costituzione; il ruolo
del diritto internazionale ed europeo del lavoro, molte delle nostre norme sono attuazione
delle direttive europee; fenomeno della contrattazione collettiva che insieme al diritto alla
libertà sindacale e al diritto di sciopero compone il diritto sindacale nei suoi aspetti
essenziali.
FASE PRE CORPORATIVA :
Il diritto del lavoro nasce verso la fine del XIX secolo, in corrispondenza della cd. Legislazione
sociale, ovvero un insieme di disposizioni che vanno dal 1880 al 1920, all'incirca. Periodo in cui,
grazie alla rivoluzione industriale, si impone un nuovo sistema produttivo.
Come si potrà intuire, è stato questo sistema produttivo che ha permesso l'emersione della
legislazione sociale. Già nelle prime fasi di industrializzazione, questo sistema rese evidenti
fenomeni di:
- Sfruttamento del lavoro che riguardava in particolare la categoria dei bambini e delle
donne (le cosiddette mezze forze)
- Aumento degli infortuni a cui spesso seguiva anche il decesso. Questo fenomeno era
dovuto alle pessime condizioni di lavoro: insalubri e pericolose.
Da qui l’esigenza di approntare forme minime di tutela, in particolare nei confronti dei soggetti
maggiormente esposti a questi problemi, ossia le mezze forze.
Difatti, la prima legislazione sociale è la legge 3657/1886 a tutela dei fanciulli, a cui seguirà la legge
242/1902 sulla tutela delle donne.
Tuttavia, la nascita del diritto del lavoro viene fatta coincidere alla legge n°80 del 1898, riguardante
l’obbligo per i datori di lavoro di assicurarsi contro gli infortuni sul lavoro, in relazione ai rischi.
Legge su cui poi verrà edificata la tutela contro gli infortuni e le malattie professionali attualmente
vigente e contenuta nel d.P.R. 1124/1965.
Infatti, nel Codice del 1865 l'unica disposizione sui rapporti lavorativi è il divieto di stipulare vincoli
contrattuali a tempo indeterminato (ai sensi dell'art. 1628), questo perché si voleva evitare che
mediante vincoli contrattuali si potesse portare a una condizione servile dei lavoratori/lavoratrici.
In assenza di norme, questa materia veniva regolata dai privati ( datori di lavoro) che seguivano i
propri interessi a discapito del singolo lavoratore. Di conseguenza il rapporto di lavoro, spesso, era
caratterizzato da una forte disuguaglianza fra datore di lavoro e lavoratore. Questa disparità era
dovuta al fatto che il reddito del lavoratore e fonte esclusiva di sostentamento per lui/lei e per la
propria famiglia, il che lo porta a cercare e accettare lavori a condizioni inique.
Analogamente a quanto accadeva in Italia, anche in altri Stati come Inghilterra, Francia, Germania
la legislazione sociale iniziava a formarsi.
Inoltre, sempre in questo periodo, nel 1919 nasce l'organizzazione internazionale del lavoro che
ebbe e continua ad avere un ruolo rilevante, non a caso molte delle disposizioni di materia
lavoristica sono state emanate su impulso ILO. Anche recentemente la ILO sta parlando di forme di
lavoro neo-schiavistiche, in cui si assiste al ritorno a condizioni di lavoro avvilenti, per questo si è
espressa per andare a richiedere azioni a tutela della dignità del lavoro , nonostante si pensasse
che questi problemi fossero appartenenti a un passato lontano.
La fase pre-corporativa cessa con l’avvento del regime fascista nel 1922; a seguito di questa data
si può parlare di fase corporativa. In questo periodo si assiste a un'estensione della legislazione
lavoristica, marchiata e influenzata dal regime autoritario dell'epoca.
Esempio: in questa fase storica assistiamo ad una fortissima compressione della libertà
di aggregazione dei lavoratori e delle lavoratrici. È questa la fase nella quale l’Italia si
doterà di un ampio insieme di disposizioni persecutorie, razziste, le quali trovavano
fondamento nella diversa appartenenza religiosa rispetto a quella che caratterizzava la
popolazione maggioritaria.
COSE IMPORTANTI (RIASSUNTO) NELLA FASE PRE-CORPORATIVA:
2. La legislazione sociale, al tempo, era rimessa ai privati, in quanto il Codice civile dell’epoca
(1865) non prevedeva una specifica disciplina del contratto di lavoro, ad eccezione della
norma spiegabile in base al disvalore riservato ai rapporti di lavoro indeterminati (art.
1628), perché a questo poteva ricollegarsi una condizione servile.
FASE CORPORATIVA :
Definiamo fasi corporativa del diritto lavoristico quella successiva all'avvento del fascismo in Italia
nel 1922.
Prima che lo stato totalitario prendesse forma compiutamente, assistiamo all’approvazione di due
decreti legislativi riguardanti la disciplina dei rapporti individuali di lavoro:
► Anche l'attività rivendicativa dei lavoratori viene compressa virgola in quanto lo sciopero, il
quale è l'espressione classica con cui si estrinseca l'attività rivendicativa, diviene fattispecie
di reato. Anche l’attività rivendicativa dei datori, la cd. serrata, viene limitata
► Con la legge 80/1898, di cui abbiamo già parlato, venne previsto l’obbligo del datore di
dotarsi di un’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. Anche durante questa fase si
assiste a fenomeni attivismo legislativo sul fronte previdenziale, in particolare in materia
pensionistica.
► Venne codificato nel 1942 il Codice civile. Se prima il diritto lavoristico era disciplinato in
maniera frammentata, episodica e rimessa in gran parte ai privati con il Codice del 1942
questa materia ricevette una specifica e organica regolamentazione contenuta all'interno
del libro V del codice. Venne anche introdotta la nozione di lavoro subordinato, ai sensi
dell’artico 2094 cc. Inoltre, a differenza di quanto accadeva in precedenza, con il Codice
civile la legislazione lavoristica non era più limitata a specifiche categorie di lavoratori.
Di conseguenza alla legge speciale non spetta più un ruolo esclusivo in materia, bensì
integrativo rispetto a quest'ultima.
Tuttavia, bisogna ricordare che il Codice civile è figlio della propria epoca di conseguenza i
rapporti tra lavoratore e datore di lavoro sono subordinati a un interesse superiore, ossia
quello della nazione. In tal senso il Codice civile riflette l'ideologia ispiratrice del fascismo.
► Altro tragico lascito dell'epoca fascista è stata l'esperienza delle leggi razziali. questa
esperienza non ha interessato solamente la storia nazionale ma anche il legislazioni
analoghe di diversi paesi europei nello stesso periodo storico, come ad esempio Germania
e Francia.
Destinatari di queste norme erano principalmente gli ebrei, che all'epoca formavano un
gruppo ristretto di persone (il censimento dell'epoca indica che in Italia c'erano circa
50.000 ebrei E altri 8000 erano ebrei stranieri).
Lo scopo di queste leggi razziali era quello di eliminare giuridicamente gli ebrei, gli italiani e
gli stranieri, dalla società mediante un regime giuridico differenziato relativamente ai
diversi profili in cui si esplicitava la vita pubblica e a vita privata (scuola, vita affettiva,
lavoro pubblico/ privato/ dipendente/ autonomo).
Sarà proprio questa persecuzione giuridica che renderà possibile la successiva eliminazione
fisica, ossia l'olocausto. Difatti, quando queste persone sono state spogliate di uno statuto
giuridico, allora è stato possibile prevedere la loro eliminazione fisica.
Regime differenziato
Tra il 1939 e il 1943 il ministero dell'Interno, di cui faceva parte lo stesso Mussolini,
mediante una serie di circolari ministeriali aveva previsto ulteriori divieti lavorativi,
come ad esempio il divieto di commerciare specifici oggetti (es: oggetti antichi,
opere d'arte, libri), o il divieto di esercitare alcune specifiche professioni (es:
amministratore di condominio, industria tipografica, commercio ambulante).
Nel 1938 viene prevista l’esclusione e l’espulsione immediata degli ebrei dalla
scuola e dalla cultura. Lo scopo di questo provvedimento era quello di colpire gli
ebrei in quella che si assumeva essere una loro specificità, ossia l’alto livello di
istruzione.
Tra il 1938 e il 1943 vennero previste una serie di norme che è stato mettevano gli
ebrei da tutte le cariche pubbliche, mortificavano la loro vita sociale, personale e
affettiva, come il divieto di matrimonio misto, divieto di osservare specifiche
abitudini alimentari collegate al culto religioso, divieto di soggiornare in alcune
località turistiche.
Prima parte → in questa parte vieni riconosciuto a tutti i cittadini il diritto al lavoro.
Seconda parte → a differenza di quanto accadeva in epoca fascista, dove parte della società era
esclusa dall'attività lavorativa, con la costituzione viene riconosciuto ad ogni cittadino il dovere di
svolgere un'attività che concorra al progresso della società. È importante sottolineare come
l'articolo quattro non si limiti a esplicitare e affermare il diritto al lavoro, ma lo rafforza dicendo
che vi è un dovere di partecipare alla vita della società.
1. Attivismo da parte del legislatore dell’epoca fascista, che interviene sia sul versante
sindacale, sia sul versante della disciplina dei rapporti individuali di lavoro
sul versante sindacale vengono ristabiliti limiti alla libertà sindacale e previsto il
confinamento dell'attività rivendicativa dei lavoratori in una fattispecie penale. In
questa fase storica la libertà sindacale subisce una compressione, in ragione della
costituzione di un sindacato unico, legittimato alla stipulazione di contratti collettivi
validi per tutti i lavoratori. Fase in cui contratto collettivo assume dignità formale di
fonte del diritto positivo, va a costituire un contenuto dal punto di vista delle fonti del
diritto.
2. Mediante il Codice civile del 1942, in particolare mediante il suo titolo V, fa ingresso la
nozione di lavoro subordinato ai sensi dell’art. 2094, per TUTTI i lavoratori, non più solo per
gli impiegati (come invece accadeva nella legge del 1925).
Definiamo fase costituzionale del diritto lavoristico quella successiva alla Costituzione del 1945.
La nostra costituzione è stata redatta sull’influsso di una serie di tradizioni culturali di pensiero:
socialistica, cattolico, liberale. La Costituzione ha segnato la trasformazione dalla stato liberale
classico allo stato democratico e sociale (Welfare state).
Con il passaggio al Welfare state iniziano ad essere esplicitati e garantiti i cosiddetti diritti sociali (o
di seconda generazione). Possiamo definire diritti sociali quei diritti che hanno per oggetto i bisogni
dell'esistenza umana, e che si pongono come condizione per l’effettivo godimento dei diritti civili e
politici (prima generazione). Tra questi assume una posizione centrale il diritto al lavoro,
contenuto nell’articolo 4 della Costituzione. Il lavoro è una tematica cara alla Costituzione che vi
dedica un’attenzione particolare, difatti questa tematica pervade l’intero testo costituzionale:
costituisce uno dei principi fondamentali della costituzione, è contenuta nell’articolo 4 e in altre
norme contenute nel titolo III della Costituzione dedicata ai rapporti economici.
Principi Fondamentali:
La vocazione sociale della Costituzione si esprime in particolare negli articoli contenuti nei principi
fondamentali, artt. 2 e 3 Costituzione. All’articolo 2 della Cost. viene esplicitato il principio della
dignità umana, il quale che deve realizzarsi attraverso l’eguaglianza formale (art 3. Co.1, Cost.) e
sostanziale (art 3. Co.2, Cost.). Queste disposizioni sono alla base dei diritti sociali.
Diritto all’istruzione, di cui all’art. 34 Costituzione : “La scuola è aperta a tutti.” → lascito in
positivo delle leggi razziali, proprio perché in passato parte della società era stata esclusa
dal godimento di questo diritto, perché di una fede religiosa diversa da quella della
popolazione maggioritaria.
Tra questi anche il diritto al lavoro – esplicitato nell’articolo 4, ma soprattutto nel Titolo III
della Costituzione, dall’articolo 35 in poi.
Diritti del rapporto di lavoro
La parte più sostanziosa dedicata al lavoro la si trova nel titolo III, che si apre con art. 35.
Questa norma, quando è stata scritta, si pensava a un suo utilizzo limitatamente al lavoro
subordinato, ambito naturale del diritto del lavoro; tuttavia, la tutela conferita da questa
disposizione venne estesa anche al lavoro autonomo nelle sue diverse articolazioni.
Trattasi di una norma precettiva, non programmatica, conferisce il diritto alla retribuzione.
In primo luogo, tale diritto deve essere proporzionato (criterio della proporzionalità) alla:
Qualità
Quantità
All’interno dell’ art. 36 si fa riferimento anche ad altri diritti del lavoro, quali il diritto al riposo
settimanale e alle ferie retribuite.
Art. 37 Costituzione
“La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni
che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire
l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e
al bambino una speciale adeguata protezione. La legge stabilisce il limite minimo
di età per il lavoro salariato. La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali
norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di
retribuzione.”
→ Tenendo conto dell’esperienza passata si parla di donne e di minori, quelle che prima venivano
chiamate , ossia la categoria di lavoratori più esposte ai rischi nella fase.
Prima parte →
Nella prima parte si afferma che donne e uomini godono dello stesso trattamento giuridico nel
lavoro, non è possibile nel lavoro operare un discriminazione per ragioni di genere →
esplicitazione più precisa del principio di eguaglianza contenuto nell’art.3, Cost. (il quale
individua dei possibili fattori di rischio sulla quale basare la disuguaglianza, tra cui il sesso)
Si tratta di una norma di grande attualità perché all'interno della norma non vi è solo una
esplicitazione del diritto all’uguaglianza applicata all’ambito lavorativo, ma c’è anche un preciso
riferimento al trattamento retributivo. Così facendo questa norma esplicita una tematica che
ancora oggi fine non si è del tutto scongiurato, dati i perduranti differenziali retributivi tra uomini
e donne nel lavoro(cosiddetto gender gap - divario di genere).
Ma se è vero che le donne sono più povere degli uomini, è altrettanto vero che le donne
cominciano ad essere sempre più ricche.
Seconda parte →
Nella parte successiva dell’art. 37, si esplicita una perdurante differenza tra uomini e donne
rispetto al compito di operare un bilanciamento tra le esigenze personali e quelle di lavoro.
Motivo per cui ancora oggi notiamo un assetto normativo differente in merito all'attività di
conciliazione tra uomini e donne.
Questa norma nella sua seconda parte incornicia la donna con il compito di madre, il quale è
ritenuto un servizio necessario, “presunto” naturale in relazione alla sua capacità procreativa.
Pertanto, nella misura in cui la donna può essere madre il suo lavoro dovrebbe essere conciliati
con il suo necessario e naturale compito di madre.
Norma soggetta a numerose critiche, risente inevitabilmente del contesto sociale e storico in cui è
stata scritta dell’epoca. Da questa disposizione prende avvio serie di disposizioni verso la donna,
lavoratrice e madre contemporaneamente, le lavoratrici hanno assunto un ruolo fondamentale
rispetto al tema del bilanciamento, della conciliazione delle esigenze di vita e lavoro. Dagli anni
2000 si ha uno sviluppo sul piano del diritto del lavoro in Europa, sviluppo che ha previsto
l’inclusione degli uomini rispetto al tema del bilanciamento tra lavoro e vita → questa legislazione
cerca di attuare una tutela indifferenziata tra uomini e donne ad esempio per la conciliazione
familiare (il principio paritario)
Terza parte →
Nell’ultima parte v’è una riserva di legge per quanto riguarda il limite minimo di età per il lavoro
salariato → Il lavoro dei minori è tutelato dalla Repubblica.
Comma 1:
La norma esordisce sottolineando l’ambito applicativo di questo comma, ossia i cittadini; tuttavia,
la giurisprudenza costituzionale ha affermato un ampliamento, oltre l’ambito della cittadinanza,
del diritto all’assistenza sociale. Inoltre, le norme contenute nel testo unico in materia
immigrazione straniera extra europea conferisce questo diritto anche agli stranieri non comunitari
(con qualche limite).
L’assistenza sociale viene riconosciuta solo quando siano soddisfate congiuntamente 2 condizioni:
Questo perché al ricorrere di queste condizioni, il soggetto può incorrere nel rischio di povertà e di
esclusione sociale. Il contesto sociale-economico odierno, porta il dibattito del diritto lavoristico a
focalizzarsi sul fenomeno di chi pur svolgendo un’attività lavorativa si esponga al rischio di
povertà/esclusione sociale ( cd. working poor) Alla luce di questi fenomeni, alcuni hanno
ritenuto che il testo costituzionale anziché usare il disgiuntiva “e” avesse usato la “o”, prevedendo,
così, l’ipotesi di chi, pur essendo abile al lavoro, si trovasse in una condizione di bisogno.
Comma 2:
Per quanto riguarda il comma 2°, i soggetti titolari del diritto previdenziale sono i lavoratori → il
diritto previdenziale è connesso al diritto di lavoro e al rapporto di lavoro.
LAVORATORI rivolta alla generalità dei lavoratori o solo una parte di essi? E’ una norma il cui ambito di
applicazione è rivolto solo al lavoro subordinato o deve includere anche il lavoro autonomo?
Secondo l’interpretazione che ne è stata data questo comma include nel suo ambito di
applicazione anche il lavoro autonomo. Interpretazione che si fonda sulla lettura combinata di
art.35, co 1 e art.38, co 2.
NB: Non diversamente da assistenza sociale, anche la previdenza sociale include la componente
straniera.
Questo comma ci dice che al verificarsi di una serie di eventi generatori di bisogno, scaturisce un
sistema di protezione. Questi eventi sono: infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia,
disoccupazione involontaria. Nel dibattito giuridico ci si è chiesti se questa lista fosse tassativa o
esemplificativa. È prevalsa l’idea secondo la quale questa lista sia esemplificativa → quindi
possono essere inclusi altri eventi generatori di bisogno.
L’Art. 39 e 40 Costituzione costituiscono il fondamento del diritto sindacale, parte significativa del
diritto del lavoro.
Art. 39 Costituzione :
“L'organizzazione sindacale è libera”
“Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione
presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge.
È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un
ordinamento interno a base democratica.
I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati
unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro
con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il
contratto si riferisce.”
Comma 1:
Rovesciamento rispetto a periodo corporativo, in cui la libertà di aggregazione dei lavoratori era
compressa → riconoscimento come diritto soggettivo pubblico della libertà sindacale. Si tratta di
un'ipotesi tipica della libertà di associazione, di cui parla l'articolo 18 della costituzione diritto di
associazione), tipica perché si tratta di diritto ad associarsi, relativamente ai lavoratori al fine di
realizzare un’autotutela.
La scelta della parola organizzazione riferimento ad una modalità più inclusiva e ampia possibile di
aggregazione, in contrapposizione al periodo corporativo.
Comma 2 e 3:
Nei commi successivi dell’articolo 39 viene a costituirsi il fondamento di un altro aspetto del diritto
sindacale e del diritto del lavoro, ossia l’autonomia negoziale collettiva tra libere e contrapposte
organizzazioni sindacali di lavoratori e di datori di lavoro, che è diretta a regolare l’interesse
collettivo delle lavoratrici e dei lavoratori. Quindi il nostro ordinamento oltre a riconoscere
l’autonomia negoziale privata individuale, riconosce l’autonomia negoziale collettiva.
Questi contratti collettivi hanno efficacia erga omnes, cioè vengono estesi alla generalità dei
lavoratori. Tuttavia, affinché le contrattazioni dei sindacati siano efficaci, questi devono rispettare
una serie di passaggi:
Il modello di contrattazione presentato dall’articolo 39 della Cost., di fatto, NON ha avuto seguito
i sindacati non si sono mai sottoposti ad una registrazione, al vaglio dei loro statuti e
conseguentemente non vi è stato un riconoscimento legale della validità erga omnes della
contrattazione collettiva. È una parte dell’art. 39 che è rimasta inattuata.
Ad oggi, non avendo la contrattazione collettiva una disciplina specifica, quindi in via generale è
soggetto alle norme previste per le obbligazioni tra privati. Tanto che il fenomeno della
contrattazione collettiva post costituzionale viene anche denominata contrattazione collettiva di
diritto comune, perché si tratta di negozi stipulati da privati.
- Un’altra obiezione venne posta dal sindacato di ispirazione cattolica (CISL), perché con
questa norma avrebbe avuto un peso contrattuale minore rispetto a CGIL, la quale aveva
una consistenza numerica superiore.
Quindi, la contrattazione collettiva negli anni successivi non riceve una disciplina coerente allo
schema costituzionale.
Art. 40 Costituzione – diritto di sciopero
“Il diritto di sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo regolano”
L’articolo 40 fonda il diritto di sciopero → discontinuità con periodo corporativo, in cui l’attività
rivendicativa dei diritti dei lavoratori costituiva una fattispecie di reato in base al Codice Rocco.
Art. 41 Costituzione :
L'iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla
salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività
economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e
ambientali
Nel trentennio successivo alla Costituzione vi è uno sviluppo consistente della legislazione del
lavoro, parallelo (anni 50, 60 e 70) a una fase di forte sviluppo economico : c.d. trentennio
glorioso, cicli di forte sviluppo economico che hanno influenzato l’accrescimento di legislazione
protettiva verso i lavoratori.
ANNI 50’
Negli agli anni immediatamente successivi alla costituzione vi è un andamento della legislazione
del lavoro abbastanza timido e cauto, emerge anche una certa delusione rispetto all’attività
legislativa operata, soprattutto in rapporto alle promesse e ai contenuti della costituzione. Siamo
in una fase storica in cui prevale ancora l’individualismo liberale, quindi l’autoregolamentazione
privata. Occorrerà del tempo affinché i principi della costituzione trovino spazio nella legislazione
successiva.
Nonostante ciò, ci sono una serie di legislazioni che hanno fortemente condizionato il diritto del
lavoro successivo :
Legge n°264 /1949 “attuativa del collocamento pubblico” ossia una disciplina il cui
scopo è quello di regolare la mediazione tra domanda e offerta di lavoro, cioè far
incontrare le imprese e i lavoratori.
Legge n°860/1950 legge che rinnova la previgente disciplina a favore delle lavoratrici
madri.
Per quanto riguarda il più specifico diritto sindacale, in questo periodo, per aggirare gli ostacoli
determinati dal punto di vista dell’attuazione dell’art. 39 nella parte relativa alla contrattazione
collettiva (cioè co 2 ss.), il legislatore si inventa un escamotage per rendere di fatto la
contrattazione collettiva applicabile alla generalità dei lavoratori LEGGE VIGORELLI N° 741/1959
→ stabiliva il recepimento, mediante decreto, dei contratti collettivi e ciò al fine di garantire un
minimo trattamento protettivo economico nei confronti dei lavoratori.
In concreto, i sindacati portavano questi contratti che poi costituivano il contenuto di un decreto,
sono stati, così, emanati decine e decine di decreti che riflettevano numerosi contratti collettivi
sforniti dell’efficacia erga omnes, che , però, veniva acquisita di fatto con il decreto. Poi, questo
meccanismo venne dichiarato l’illegittimità da parte della Corte costituzionale.
ANNI 60’
Questi sono anni in cui il legislatore è chiamato a contrastare fenomeni di iper-sfruttamento nel
lavoro, fenomeni di servilismo o neoschiavismo lavorativo:
Legge n°7/1963 legge che poneva dei limiti al licenziamento per causa di matrimonio.
Erano anni nei quali la discriminazione per motivi di genere era molto diffusa, e uno dei
modi in cui si sostanziava era la di rapporto del lavoro a seguito del matrimonio delle
lavoratrici, perché ad esso poteva seguire la gravidanza.
Per esempio, il recesso datoriale che si verifica nel periodo di prova. Il periodo
di prova (di cui all'art. 2096 c.c.) dà la possibilità di recedere liberamente,
senza che il datore debba sottostare alla regola della necessaria giustificazione
del recesso.
Sempre in questi anni la legislazione si è sviluppata anche sul fronte del diritto previdenziale:
Legge 1115/1968 La prima legge a prevedere una cassa integrazione, poi ripresa negli
anni successivi con una legge del 1975. La cassa integrazione è una forma di tutela
previdenziale che si attiva nell’ipotesi di disoccupazione involontaria. È uno degli istituti che
compongono i c.d. “ammortizzatori sociali”.
ANNI 70’
La fine degli anni 60’ è segnata da numerose trasformazioni sociali, nel 1968 nasce il Movimento
Studentesco; e non solo, questi sono gli anni del femminismo, anni in cui il conflitto capitale-lavoro
si inasprisce, anni in cui anche il conflitto politico diventa teso, assumendo connotazioni violente,
terroristiche. Anche il mondo del lavoro è in subbuglio (prese di coscenza). Questo periodo prende
il nome di “autunno caldo”.
Sulla scia di questi eventi, viene alla luce la legge n°300/1970, il cd. STATUTO DEI
LAVORATORI .. Da un lato questa legge, mediante le previsioni contenute nel titolo I,
riconosce le fondamentali libertà costituzionali all’interno dei luoghi di lavoro; dall’altro,
nei titoli II e III dello Statuto, si occupa di assicurare le condizioni normative funzionali
all’esercizio dell’attività sindacale. In questa legge si esprime appieno il legame tra i
rapporti di lavoro e il diritto sindacale.
Il punto di raccordo tra questi due blocchi normativi è l’art. 18 dello Statuto, articolo
istitutivo di una speciale tutela c.d. “reale” in caso di illegittimo licenziamento da parte di
imprese con una specifica consistenza numerica (imprese medio-grandi) – ne parleremo
poi. Questa norma chiude il titolo II.
Norma che esplicita in maniera più specifica, facendo riferimento ai luoghi di lavoro,
quanto già previsto dall’articolo 39, comma 1 della Cost., ossia la libertà sindacale.
Negli anni 70’ si inizia a ragionare sulla conciliazione delle esigenze di vita-lavoro è la donna
lavoratrice il soggetto principale di questa legislazione. Come abbiamo già visto nell’articolo 37
della Costituzione, alla donna è ritagliato il compito di madre, “presunto” naturale in relazione
alla sua capacità procreativa. Pertanto, nella misura in cui la donna può essere madre il suo lavoro
dovrebbe essere conciliato con il suo necessario e naturale compito. Questa è la visione della
donna lavoratrice che andrà a condizionare la legislazione successiva:
Questa non era l’unica forma di tutela riconosciuta, difatti la legge 1204 prevedeva anche
le cd. astensioni anticipate ossia la possibilità di anticipare e ampliare il periodo di
astensione obbligatoria, ad esempio in caso di sostanze pericolose sul luogo lavorativo.
Estremamente rilevante è quella parte di legge che prevede una tutela particolarmente
incisiva per quanto concerne il licenziamento individuale La lavoratrice nel periodo che
intercorreva dai 2 mesi antecedenti all’anno successivo al parto non poteva essere
legittimamente licenziata (tutela della madre). Tuttavia, la legislazione prevedeva delle
eccezioni :
Inoltre, questa legislazione NON guarda alla generalità delle lavoratrici, ma solo ad una parte di
esse, ossia le lavoratrici dipendenti.
Legge n° 903/1977 - legge sulla parità di genere nel lavoro legge di attuazione di una
direttiva europea (n°207/1976) e che esplicita anche la prima parte dell’art. 37 della
Costituzione.
Il soggetto non sono più le sole donne lavoratrici ------> In questa legge notiamo diverse
disposizioni che esplicitano il principio paritario nel lavoro rispetto a tutte le fasi in cui esso
si articola (accesso, svolgimento, cessazione etc…), ma anche norme che riguardano la
paternità dei lavoratori. Questa legge prevede la possibilità per il padre, di poter
subentrare alla madre nel periodo di astensione facoltativa, qualora questa non possa
goderne ( Astensione in via derivata). Non è un diritto iure proprio del padre (ora i padri
sono titolari iure proprio di congedi di paternità), ma che deriva dall’impossibilità della
madre dell’astensione facoltativa.
Es. morte/decesso della madre → il diritto è della madre, che cede, non è
ancora un diritto del padre
Es. abbandono
Legge 833/1978 legge istitutiva del servizio sanitario nazionale. Legislazione del diritto
sulla sicurezza sociale, costituito dalle norme della previdenza e assistenza sociale →.
TENDENZE ATTUALI DEL DIRITTO LAVORISTICO
Negli anni successivi la legislazione diviene sempre più complessa, in relazione all’enormità di
provvedimenti emanati sui tre fronti per noi rilevanti:
Diritto sindacale
Diritto previdenziale
► DEREGOLAZIONE: dalla seconda metà anni ‘70 inizia ad entrare in crisi il modello
economico del tempo, entra in crisi il c.d. “trentennio glorioso” in cui si era assistito a un
forte sviluppo sociale ed economico. Peggioramento dovuto alle prime grandi crisi
petrolifere, l’approvvigionamento materie prime diventa complesso.
Inizia, così, a svilupparsi una legislazione volta a favorire la cd. “flessibilità in entrata”. In
altre parole, in quegli anni inizia un’abbondante produzione legislativa che aumenta le
figure negoziali di lavoro subordinato, e anche autonomo, c.d. figure atipiche ( ossia forme
contrattuali che per uno o più aspetti si discostano dal tipo contrattuale standard ), al fine
di rilanciare l’economia.
Fu così che in quegli anni si assistette alla proliferazione di figure di lavoro
precarie/instabili, questo perché si riteneva che ad una maggiore flessibilità in entrata, e
quindi allo sviluppo di figure negoziali flessibili e atipiche per l’accesso al lavoro,
corrispondesse un maggiore slancio dal punto di vista economico, e quindi anche sul fronte
occupazionale.
Legge Biagi – d.lgs. 276/2003 in tal senso, questa legge ne è un esempio, difatti in
questa legislazione osserviamo la tendenza alla c.d. flessibilità in entrata, quindi si assiste
ad una proliferazione di figure negoziali atipiche o precarie.
Negli anni successivi, questo impianto normativo viene modificato diverse volte, e a
seconda degli equilibri parlamentari di governo, tali interventi sono stati orientati in un
caso ad una restrizione di questa flessibilità, nell’altro in una prospettiva ampliativa di
questa deregolamentazione.
► Riforma c.d. “salva Italia”, legge 214/2011, con cui è stato modificato il sistema
pensionistico, al fine di realizzare un risparmio, richiesti dalla crisi. Per esempio, al fine di
posticipare e ridurre gli oneri sociali (ossia la spesa pubblica), venne previsto un
innalzamento dei requisiti anagrafici per l’ottenimento della pensione di vecchiaia.
Anni in cui si era costituito governo tecnico a guida del professor Monti, verrà emanata:
Legge Fornero – 92/2012 Questa legge da una parte cerca di limitare la “flessibilità in entrata”,
dall’altra, però, presenta delle rilevanti eccezioni:
- Sono state previste delle modifiche, in senso flessibile, di alcuni sottotipi negoziali del
lavoro subordinato, in particolare sul contratto di lavoro a termine. = Sono state ampliate
le ipotesi di stipulazione di un contratto a termine, precario dal punto di vista della durata.
- Inoltre, questa legge ha previsto una maggiore “flessibilità in uscita”, quindi la disciplina sul
licenziamento individuale diviene meno garantista, poiché questa legge va a toccare l’art.
18 dello statuto dei lavoratori, in cui è stata disciplinata la tutela reale.
Con la legge Fornero per la prima volta nel nostro paese (in altri paesi europei si era già realizzato
da tempo) i lavoratori padri, divengono titolari direttamente di congedi lavorativi, è soggetti della
disciplina di conciliazione, almeno in teoria.
Gli uomini diventano titolari di un congedo obbligatorio(art 4, co.24), sino ad allora spettante solo
alla madre. Tuttavia, il periodo di congedo riconosciuto ai lavoratori-padri era pari a 1 giorno (c’è
stata una certa delusione). Il lavoratore poteva godere di questo congedo obbligatorio entro i
primi 5 mesi di vita del bambino (lo prendeva il giorno del parto solitamente). Al padre veniva
riconosciuto non l’80%, come alle lavoratrici, ma il 100% della retribuzione.
In realtà, i padri potevano usufruire di un ulteriore congedo di natura facoltativa, fruibile sempre
entro i primi 5 mesi di vita del bambino, previo consenso e in sostituzione della madre, pari a 2
giorni.
Nonostante la dotazione temporale scarsa, questo passaggio aveva un valore simbolico (almeno ci
si stavano ragionando).
Quanto previsto dalla legge Fornero (che tratta principalmente il congedo obbligatorio) andava ad
aggiungersi a quello che si era realizzato, per quanto riguarda le astensioni facoltative:
► Con la legge 53/2000 . Si tratta di una legge di attuazione di una direttiva europea, che
aveva previsto il riconoscimento di un “congedo parentale” facoltativo, non più solo alla
madre e in via derivata al padre, ma paritariamente per ciascuno dei genitori. Sia per il
lavoro autonomo che dipendente.
NB: Importante perché notiamo un’inclusione degli uomini dal punto di vista delle
esigenze di bilanciamento tra vita e lavoro.
In base al testo originario di questa legge, venivano riconosciuti solo 6 mesi di indennizzo ai
genitori, di conseguenza parte dell’astensione non veniva coperta. Questa indennità veniva
riconosciuta solamente nel caso in cui fosse stata attivata entro i 3 anni di vita del
bambino. In caso di frazionamento dell’astensione oltre questo limite, l’indennizzo veniva
riconosciuto solo se i genitori non avessero raggiunto alcuni limiti reddituali (caso di
bisogno economico).
Nel caso in cui entrambi i genitori si avvalessero di questa astensione , i mesi a disposizione,
di cui solo 6 erano coperti da un’indennità previdenziale, arrivavano ad un limite di 10.
Il congedo veniva riconosciuto anche nell’ipotesi in cui il genitore fosse single; in tal caso la
dotazione prevista per il singolo genitore era di 10 mesi. Restava invariato il trattamento
economico (30%).
Al fine di incentivare gli uomini al godimento del congedo, questa normativa prevedeva
anche un premio: nel caso in cui il padre avesse usufruito di 3 mesi continuamente o
frazionatamente, aumentava di 1 mese la dotazione complessiva di mesi utilizzabili per il
congedo.
La tutela genitoriale prevista da questa legge opera anche in casi diversi dalla filiazione
naturale, ossia in caso di filiazione legale (adozione e affidamento).
Questi diversi modelli familiari implicano termini di decorrenza della titolarità di questi
diritti differenti rispetto a quelli previsti per la filiazione naturale. In questo caso il
momento a cui fare riferimento è l’ingresso del minore nel nucleo familiare [sposta anche
il periodo entro cui si può godere dell’astensione].
Dunque, i padri avevano diritto ad un (1) congedo parentale (legge 53 del 2000); (2) un
congedo obbligatorio in via derivata nel momento in cui la madre non fosse nella
condizione di goderne, ma solo dopo il parto; e (3) ai congedi di cui alla legge Fornero
(congedo di paternità obbligatorio e facoltativo).
Si ebbe, così, nell’ordinamento una situazione in cui si erano sovrapposte diverse legislazioni: alla
legge 1204/1971 era seguita la 903/1977 e poi la 53/2000 ne derivava un quadro normativo
molto complesso. Per questo motivo, all’interno della legge 53/2000 vi è una delega legislativa,
con la quale si chiede al governo di operare una riorganizzazione e sistematizzazione della
legislazione legislativo previgente (abrogare norme che non avevano più senso, coordinare gli
interventi precedenti con quelli successivi).
Quello che un tempo era chiamato astensione obbligatoria prese il nome di congedo di
maternità e venne disciplinato dall’articolo 16 ss. Del Testo unico in materia di tutela della
maternità e paternità. La disciplina sul congedo parentale, che va a sostituirsi alla
precedente astensione è contenuta nell’art. 32 ss. del decreto legislativo 151. Il congedo
obbligatorio del padre in via derivata è regolamentato dagli artt. 28 ss. del decreto 151.
Nella legge Fornero osserviamo anche altre novità importanti che vanno a modificare la
previgente disciplina in materia di congedo parentale. L’articolo 4, co. 24 introduce i cd. voucher
baby-sitting o asilo nido. Viene riconosciuto alla madre un importo in sostituzione del congedo
parentale, importo che andrà a sostenere le spese per un servizio di baby-sitting o per pagare i
servizi per l’infanzia accreditati. Lo scopo era favorire le madri, consento a queste di continuare a
lavorare e in tal modo contrastando il fenomeno dell’espulsione dal mercato del lavoro delle donne
a seguito di un esteso prolungamento della sospensione dell’attività lavorativa.
Critica questa disposizione va ad incidere sul congedo parentale della sola madre e non
del padre, violazione del principio paritario che era esplicitato dalla legge 53 del 2000.
La ragione per cui si è operata questa decisione è che, di fatto, ad avvalersi di questa astensione
erano più le donne degli uomini; nonostante ciò, il congedo parentale dovrebbe essere
riconosciuto in via paritaria ad entrambi. Quindi le lavoratrici possono scegliere se astenersi dal
lavoro o avvalersi di questo sostegno economico per baby-sitting o servizi d’infanzia accreditati.
In quello stesso anno viene emessa un’altra legge che va a modificare la disciplina del congedo
parentale:
► LEGGE 228 /2012 – cd. “Legge di bilancio per l’anno 2013” Questa legge modifica il
congedo parentale su impulso di una normativa europea sui congedi parentali. La legge
previse il frazionamento a ore del congedo parentale, quindi possono alternare
l’astensione alla presenza nel luogo di lavoro. A differenza della legge Fornero questa legge
venne accolta più favorevolmente perché:
Questa disposizione, a differenza della legge Fornero, viene incorporata nel d.lgs.
151/2001, ossia nel testo unico dedicata alla disciplina del congedo parentale.
Questa riforma, che la dottrina ha distinto in 2 atti, si pone in continuità rispetto alla legge
Fornero, difatti ha cercato di favorire la stabilità dei rapporti di lavoro, ossia di limitare la
“flessibilità in entrata” con delle eccezioni:
- Viene prevista una maggiore flessibilità dei contratto di lavoro subordinato a termine.
Sono state ampliate le ipotesi di stipulazione di un contratto a termine, precario dal punto
di vista della durata.
- Come nel caso della legge Fornero notiamo anche qui un intervento dal punto di vista
della flessibilità in uscita.
Ma è questa riforma non si limita alla sola “deregolamentazione”, ma guarda un po’ a tutti o a
quasi tutti gli istituti del diritto del lavoro.
D.lgs. 81/2017 intervento legislativo che chiude l’esperienza del governo Renzi,
disciplinante il lavoro agile, c.d. smart working, rilevante sia dal punto di vista della
conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e anche nello studio della questione della
subordinazione.
D.lgs. 81/2015 che sarà oggetto di analisi nell’ambito del ciclo di lezioni dedicato alle
tipologie negoziali, perché questo decreto legislativo che costituisce un po’ il testo unico
dal punto di vista della disciplina relativa alle figure negoziali atipiche.
Gli anni successivi sono contrassegnato da crisi e interventi di garanzia, sia sul fronte lavoristico,
sia nel diritto della sicurezza sociale (disposizioni in cui confluiscono norme previdenziali e norme
del diritto dell’assistenza sociale). Segue all’esperienza Renziana:
► il decreto-legge 87/2018, cd. decreto dignità, poi convertito con la legge 96/2018.
Si assiste ad una vistosa riduzione della “flessibilità in entrata e in uscita”, sostanzialmente
si realizza un intervento correttivo sulla disciplina dei contratti di lavoro a termine.
In questi anni emerge il fenomeno della povertà, o meglio delle nuove povertà, a causa di diversi
cicli di crisi economico-finanziarie. Per questo motivo viene prevista una disciplina in materia di
sostegno della povertà: nasce, così, nel 2019 il REDDITO DI CITTADINANZA (governo Conte I)
Questa disciplina va a sostituirsi a quella previgente, ossia al cd. reddito di inclusione, emanata
poco tempo prima (2017).
Importanti modifiche sulla disciplina dello smart working, rese necessarie dal periodo
d’emergenza: il lavoro smart diventa la forma tipica nell'impiego pubblico.
Di conseguenza, durante la pandemia, si è derogato un principio tipico del lavoro smart,
ossia il principio di volontarietà. Normalmente lo smart working veniva inteso come una
modalità di esecuzione della prestazione lavorativa flessibile, che poteva essere adottata
dietro specifico accordo delle parti. Tuttavia, la situazione ha richiesto e ammesso la
possibilità di svolgere il lavoro agile (smart) anche in assenza di un accordo tra le parti.
Sempre in questo periodo, vi è stato un intervento massiccio per la tutela dei casi di
disoccupazione involontaria: cd. ammortizzatori sociali ad esempio sul fronte della cassa
integrazione.
La pandemia ha inasprito il fenomeno della povertà, dell’insufficienza del reddito a tal punto da
rendere necessario un ulteriore sostegno al reddito (reddito c.d. di emergenza = previsto dopo la
disciplina del reddito di cittadinanza).
FONTI DEL DIRITTO DEL LAVORO :
Legge
Con la legge 3/2001, l’art. 117 Costituzione viene profondamente modificato. Questo indica e
distingue al suo interno le materie di competenza esclusiva dello stato, di competenza concorrente
tra stato e regioni e di esclusiva competenza delle regioni.
Per quanto riguarda il lavoro, questa NON è citato come materia di esclusiva competenza dello
stato, anzi al co.3, dell’art 117, riguardante le competenze concorrenti tra stato e regione,
compare la “tutela e sicurezza del lavoro”. Da ciò nacquero diversi dubbi: ci si chiedeva se il lavoro
fosse estraneo alla esclusiva competenza dello Stato, a vantaggio della competenza concorrente.
Ma, la materia del diritto del lavoro è anche di competenza concorrente, ciò limitatamente alla
tutela e alla sicurezza sul lavoro (co 3 art.117), che insieme ad altre materie come l’istruzione, la
formazione professionale, la legislazione in materia di mercato di lavoro (relativa al problema della
mediazione tra domanda e offerta di lavoro), erano già di competenza delle regioni.
Contrattazione collettiva
Un'altra fonte è costituita dalla contrattazione collettiva, che derivano dall’autonomia collettiva, il
cui fondamento è rinvenibile nell’art. 39 co 2 ss. Modello di contrattazione/mediazione, che come
ben sai, non ha avuto attuazione; al contrario oggi parliamo di contrattazione collettivo di diritto
comune (ossia fatto da privati).
Fonti che vengono prodotte da enti amministrativi come le circolari ministeriali emesse dal
ministero del lavoro, le circolari prodotte dagli enti previdenziali sul fronte infortunistico, della
tutela pensionistica, della tutela genitoriale, etc…
Esempio :
Il congedo parentale viene riconosciuto anche nel caso in cui il genitore si trovi ad
essere SOLO.
Queste circolari assumono importanza rilevante, soprattutto dal punto di vista interpretativo
norme del diritto del lavoro. Dal punto di vista tecnico le circolari hanno una validità limitata
all’ordinamento interno dell’organizzazione che le emana.
Fonti Internazionali
- Un ruolo fondamentale è svolto dalle direttive europee, difatti in molti casi la disciplina del
lavoro nazionale deriva su impulso di una direttiva europea.
Esempio:
Per quanto concerne la tutela genitoriale (ad esempio legge 903/1977 e la
53/2000, la 228/2012). In merito il legislatore europeo è nuovamente
intervenuto con una nuova direttiva 1158/2019, in cui troviamo la disciplina del
congedo obbligatorio di paternità: questa direttiva viene previsto un congedo
obbligatorio della durata di 10 giorni.
In attuazione di questa direttiva europea, il nostro ordinamento ha portato la
durata del congedo obbligatorio di paternità a 10 giorni, da che ne era previsto
solo 1 con la legge Fornero del 2012.
Esempio:
La tutela della salute e la sicurezza nel lavoro → disciplina in materia di
prevenzione nei luoghi di lavoro, oggi oggetto del d.lgs. 81/2008, ha operato
razionalizzazione e riorganizzazione del quadro legislativo precedente che era
costituito dal d.lgs. 226/2004, che a sua volta era attuazione di una direttiva
europea della fine degli anni ‘80.
Esempio:
Per quanto riguarda il lavoro atipico/flessibile nell’ambito della subordinazione
la disciplina del contratto a termine, su cui sono intervenute le varie riforme
viste, proviene da una direttiva europea.
Esempio:
La disciplina sul contratto a termine, ossia con una diversa modulazione
dell’orario di lavoro, deriva da una direttiva europea
Giurisprudenza
La pronuncia della giurisprudenza sovranazionale, come la Corte di Giustizia Europea e delle Corti
Nazionali ( come la Cassazione, Corte d’Appello, Tribunali) hanno ruolo essenziale nella
costruzione e comprensione delle norme applicabili al diritto del lavoro→ consentono di chiarire e
innovare le norme applicabili al diritto del lavoro.
Esempio: La riforma salva Italia, è stata innescata da una pronuncia della corte di
giustizia europea.
2. LA QUESTIONE DELLA SUBORDINAZIONE
Scaletta:
Le norme che studieremo si fondano su uno specifico tipo contrattuale, cioè si fondano sul lavoro
subordinato, in opposizione al lavoro autonomo. Il diritto del lavoro è un insieme di regole rivolto
non alla generalità dei lavoratori, ma essenzialmente previsto per un insieme di lavoratori, ossia i
lavoratori subordinati o dipendenti.
Figure negoziali di lavoro: Guarderemo allo sviluppo di alcune figure negoziali, contrattuali,
di lavoro autonomo. Guarderemo ai sottotipi negoziali del tipo contrattuale lavoro
autonomo, in particolare alle c.d. “collaborazioni coordinate continuative”, al fenomeno
del lavoro autonomo con caratteristiche simili a quelle del lavoro dipendente, ossia figure
negoziali di lavoro autonomo ma le cui modalità di esecuzione presentano aspetti
assimilabili a quelle del lavoro dipendente.
Elementi del contratto di lavoro subordinato: Guarderemo quali sono gli elementi del
contratto di lavoro subordinato, riferendoci al tipo contrattuale al quale norme lavoristiche
guardano se non in modo esclusivo, prevalente. Causa del contratto; oggetto del contratto;
se per il contratto di lavoro sono o meno prescritti dei requisiti di forma per la validità del
contratto o ai fini della prova; elementi accidentali o accessori al contratto di lavoro quindi
patto di prova (possibilità e con quali limiti di differire l'assunzione dopo aver verificato
l’idoneità del lavoratore), qual è il regime giuridico che si applica in questa fase; patto di
non concorrenza : è possibile una volta che il patto di lavoro sia cessato porre limiti allo
svolgimento di un’attività simile a quella concluse nei confronti del lavoratore? Si può
vincolare il lavoratore o lavoratrice dopo la cessazione del rapporto per un tempo a tutela
dell’impresa? Sono o meno prescritti i requisiti di forma? il termine del contratto di lavoro e
i suoi limiti. Tema dell’invalidità del contratto di lavoro.
IL LAVORO SUBORDINATO
Le disposizioni del diritto del lavoro trovano applicazione, praticamente in via esclusiva, in
presenza di un rapporto di lavoro subordinato.
Il diritto del lavoro, anche per ragioni storiche, è un diritto che si sviluppa attorno alla figura del
lavoro dipendente (o subordinato). Difatti nel nostro ordinamento, come in altri ordinamenti
europei, il diritto del lavoro è costituito da relazioni tra fattispecie ( di lavoro subordinato) ed
effetti (regole del diritto del lavoro).
È importante definire la “subordinazione”, poiché le disposizioni del diritto del lavoro si applicano
solo se siamo in presenza del lavoro subordinato:
Secondo questo articolo è subordinata quella prestazione di lavoro “dipendente”. Questa nozione
civilistica NON riesce a definire efficacemente il lavoro subordinato, poiché lo qualifica in termini
di “dipendenza”, che potremmo dire essere un’espressione equipollente alla “subordinazione”.
Gli studiosi di diritto del lavoro hanno sempre sottolineato l’elemento della scarsa pregnanza
qualificatoria di questo articolo.
Si è cercato di trarre il significato della “subordinazione”, o “dipendenza”, dalla norma del Codice
civile che fornisce la nozione di lavoro indipendente, ossia l’art. 2222 C.C.
È indipendente colui che si obbliga a un’opera o un servizio SENZA vincolo di subordinazione nei
confronti del committente. Neppure l'art. 2222 C.C. è in grado di indicare gli elementi di
qualificazione del lavoro subordinato, perché nel definire il lavoro indipendente fa sempre
riferimento al concetto di subordinazione che, però, resta inesplicato.
L’esigenza di andare a definire il significato della “dipendenza” o della “subordinazione, ha portato
a un esteso e approfondito dibattito dottrinale e giurisprudenziale. E da questo dibattito sono
emersi i principi e gli elementi definitori della subordinazione:
Ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di un rapporto di
lavoro subordinato ex art. 2094 C.C., sia di un rapporto di lavoro autonomo ex art. 2222
C.C.
Ciò significa che la qualificazione del rapporto in un senso o nell’altro dipende dal tipo di
prestazione e alle modalità di svolgimento della prestazione nel caso concreto.
Ad indicare gli indici di riferimento del lavoro subordinato social tipico, è stata la
giurisprudenza
Indici di qualificazione del lavoro subordinato
I giudici e la dottrina hanno individuato una serie di indici distinti, sulla base concrete modalità di
svolgimento della prestazioni osservate. Questi sono ordinati gerarchicamente (cd. tecnica dei
fasci di indici) :
II. Al di sotto di questo criterio, vi sono i cd. indici essenziali esterni, ossia elementi esterni
rispetto alla prestazione oggetto del contratto di lavoro, ma pure sempre indicativi
dell'esistenza di un vincolo di subordinazione. Questi indici sono: il coordinamento, ossia
l’inserimento del soggetto nell'organizzazione dell’impresa, la collaborazione, ossia il
coordinamento funzionale del lavoratore all’impresa, e la continuità della prestazione.
III. Potrebbe essere necessario analizzare anche altri indicato ciaori, oltre a quelli precedenti,
che assumono la denominazione di indici sussidiari (presuntivi del l.subordinato).
Tra questi indici ci sono: la presenza di un orario di lavoro; la presenza di specifiche
modalità di erogazione della retribuzione (es: specifiche cadenze temporali); l’oggetto della
prestazione; la localizzazione della prestazione e il nomen iuris (= volontà delle parti).
Etero
direzi
one
Dalla analisi della giurisprudenza derivano alcune problematiche, legate all’importanza e posizione
di questi indici nella piramide:
Per quanto riguarda l’indice essenziale interno, ossia l’eterodirezione, si hanno dei
problemi interpretativi. Difatti andando a vedere le pronunce dei giudici ci si trova di fronte
ad orientamenti interpretativi discordanti, che attribuiscono significati diversi al requisito
della eterodirezione:
Anche nel caso degli indici essenziali esterni è possibile notare interpretazioni
disomogenee:
In merito al criterio del coordinamento
- in alcune sentenze il “coordinamento” viene elevato a indice essenziale interno
(anche se di base è esterno), in quanto elemento irrinunciabile della nozione di
subordinazione.
CONCLUSIONE:
Abbiamo posto in evidenza l’incertezza qualificatoria derivante dall’impiego della tecnica del
fascio di indici, poiché gli orientamenti in merito non sono omogenei.
Schema riassuntivo:
★ Il diritto del lavoro, anche per ragioni storiche, è un diritto che si sviluppa attorno alla figura
del lavoro dipendente (o subordinato) → relazione tra fattispecie ed effetti.
★ La nozione civilistica del lavoro subordinato non fornisce elementi sufficienti di
qualificazione, assume una scarsa pregnanza qualificatoria. Anche l’analisi dell’art. 2222
C.C. non permette di giungere ad una chiara e univoca definizione di subordinazione.
★ Da qui ha preso avvio un lungo e ampio dibattito alla luce del quale viene affermato che
ogni attività umana può essere oggetto di lavoro subordinato o autonomo, dipendendo dal
tipo di lavoro → indisponibilità delle parti e del legislatore
★ È possibile individuare un indice delle modalità di subordinazione riguardante il modello
social tipico dipendente, metodo tipologico, consistente in un giudizio di approssimazione
★ Questa distinzione avviene sulla base di un fascio di indici
★ L’analisi della giurisprudenza porta a non pochi scostamenti della collocazione degli indici
nella piramide.
Una seconda problematica che si è determinata a partire dalla tecnica dei fasci di indici, riguarda il
diffondersi, dagli anni 90’ del secolo scorso, delle collaborazioni coordinate continuative, figura
negoziale formalmente autonoma, in relazione alla definizione che fa riferimento all’assenza della
subordinazione, ma che di fatto, in base alle concrete modalità di svolgimento della prestazione, si
possono assimilare alla subordinazione. Il fondamento normativo di questa figura negoziale è
l’art.409 Codice di Procedura Civile, n°3.
Questi problemi (1 e 2) hanno portato a un intervento legislativo volto a realizzare dei rimedi e a
dare maggiore certezza ai rapporti di lavoro.
1. Continuità
2. Prevalente personalità
4. Assenza di subordinazione
Come detto in precedenza, negli anni 90’ cominciano a diffondersi le collaborazioni coordinate e
continuative, ossia figure negoziali simil dipendenti. Si è determinata la diffusione di rapporti di
lavoro a quali non veniva riconosciuta la disciplina protettiva del diritto del lavoro, poiché assente
il requisito della subordinazione, nondimeno i committenti potevano avvalersi di prestazioni
assimilabili al lavoro dipendente.
Nel tempo è diventata sempre maggiore l’esigenza di intervenire in merito; si era osservata la
natura fraudolenta di queste collaborazioni coordinate e continuative , che puntava ad eludere le
garanzie e la protezione del diritto del lavoro. Per questo motivo si sono succeduti vari interventi
legislativi per risolvere questo problema:
A quasi 10 anni dalla previsione del lavoro a progetto, si nota che, nonostante l'intento
della legge Biagi (ridurre il fenomeno delle finte collaborazioni autonome con lavoro a
progetto), non si era determinata una riduzione dell’utilizzo fraudolento di forme di
collaborazione coordinate e continuative a progetto. Difatti, Il lavoro a progetto aveva
sostituito le collaborazioni, ma non era riuscito a risolvere il problema del “finto lavoro
autonomo”.
Quindi, si determina un nuovo intervento legislativo con la legge Fornero.
Legge Fornero, n° 92/2012 → la legge Fornero accrebbe la severità della disciplina dei
lavori a progetto, al fine di per scongiurarne l’utilizzo improprio. Tale intervento incide sulla
nozione di lavoro a progetto e rinforza la tutela nei confronti dei lavoratori a progetto
(rende ancora più garantista la disciplina ).
Dopo questa esperienza del governo Monti, succederà il governo Renzi, in cui è stata realizzata
una riforma del diritto del lavoro e previdenziale, ossia il Job Act I e Job ACT II) :
Job Act (legge delega 183/2014), d.lgs. 81/2015 (atto II)→ Governo Renzi affronta vari
aspetti della disciplina lavoristica, modificandoli, fra questi interviene anche dal punto di
vista delle collaborazioni coordinate e continuative a progetto. Anche dopo la legge
Fornero non si era osservata un’inversione di tendenza, e preso atto della sostanziale
impossibilità di rimediare a questa problematica, si decise di lasciare in vigore l’art. 409
c.p.c., circoscrivendone l’ambito di applicazione, e di abrogare il lavoro a progetto, che
avviene mediante il d.lgs. n 81/2015 (Job Act II)
La disciplina in merito non si applica alle collaborazioni indicate nell’art. 2, co. 2 e 4 del
decreto legislativo.
Dietro specifico rinvio dell’art.2, co.1 del decreto lgs. , alle collaborazioni eteroorganizzate
viene applicata la disciplina del lavoro subordinato.
Tale decreto si è occupato di individuare la disciplina applicabile, ossia quella del lavoro
dipendente, tuttavia queste figure negoziali simil dipendenti, rimangono difficilmente
qualificabili. In merito alla qualificazione di queste figure negoziali, la dottrina e la
giurisprudenza si sono interrogati. Con la sentenza n°1663/2020 la Corte di Cassazione, in
merito ai “rider”, ha affermato che stabilirne la natura non sia rilevante, perché ciò che
conta è che per queste collaborazioni, collocabili in una terra di mezzo tra autonomia e
subordinazione, l’ordinamento ha statuito espressamente l’applicazione delle norme del
lavoro subordinato.
Su questa vicenda, ossia quella dei rider, è intervenuto anche il primo governo Conte con
il decreto-legge 101 /2019, poi convertito con la legge 128/2019, il quale ha affermato che
l’art. 2 comma 1 del d.lgs. 81/2015 (applicazione della disciplina del lavoro subordinato alle
collaborazioni eteroorganizzate) si applica anche ai ciclo-fattorini, le cui modalità di
esecuzione della prestazione sono organizzate mediante piattaforme digitali. Il tema non è
risolto, anche l’UE ha deciso di intervenire.
Job Act (legge delega 183/2014), d.lgs. 81/2017 (atto II)→ Sempre il Job Act con la
legge 81/2017 torna sulle questioni del lavoro autonomo, mediante la previsione di uno
statuto applicabile al lavoro autonomo, il quale va ad ampliare la tutela prevista dal
Codice civile rispetto a questi rapporti. Legge distinta in due parti:
1) Il capo primo prevede una disciplina che va ad ampliare la protezione accordata dal
Codice civile al lavoro autonomo (rimane cmq inferiore alla tutela per il lavoro
subordinato)
2) Al capo secondo viene disciplinato per la 1° volta il lavoro agile o “smart working”.
Lo smart working è una clausola apponibile al contratto di lavoro, che prevede la
una forma flessibile di esecuzione del lavoro subordinato, improntata sul principio
di volontarietà delle parti, in quanto questa clausola può essere o meno apposta
dalle parti contratto di lavoro subordinato.
Questa deroga dovrebbe valere fino alla cessazione del periodo di emergenza (fino
al 30 giugno), poi si dovrebbe tornare all’intesa individuale obbligatoria (disciplina
fisiologica).Per quanto riguarda la PA, in questo periodo, il lavoro agile è diventata la
forma ordinaria dello svolgimento della prestazione. Ma dal 15 ottobre 2021, in
base a DPCM del 23 settembre 2021 la modalità ordinaria di svolgimento della PA è
tornata quella in presenza.
Tutto ciò ci porta a parlare del diritto alla disconnessione, diritto di nuova
generazione, le cui modalità di godimento in origine dovevano essere parte
dell’accordo individuale con la quale veniva sottoscritta questa modalità di lavoro.
La pandemia ha mostrato in modo evidente l’inadeguatezza della disciplina legale in
merito al diritto alla disconnessione, per questo motivo sono seguiti degli interventi
regolativi.
VEDI SUL SUO LIBRO LA PARTE SUL LAVORO AGILE (lo dice perché vuole easy money $$)
Esercitazione sentenza n 1663/2020 :
1. Corte di Cassazione n. 1663 del 2020: chi sono le parti in causa?
Ricorrente :
FOODINHO S.R.L. quale incorporante di DIGITAL SERVICES XXXVI ITALY S.R.L. IN
LIQUIDAZIONE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio dell'avvocato LUIGI FIORILLO,
rappresentata e difesa dagli avvocati GIOVANNI REALMONTE, ORNELLA GIRGENTI,
FIORELLA LUNARDON, PAOLO TOSI .
Controricorrenti :
RIDERS (PISANO MARCO, CANNIZZO GIUSEPPE, LAJOLO RICCARDO, RUTA ANGELO
ANDREA, GIORDANO VALERIO, tutti domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la
CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall'avvocato
PATRIZIA TOTARO, GIUSEPPE MARZIALE, SERGIO SONETTO, GIULIA DRUETTA);
Lo smart working è una clausola apponibile al contratto di lavoro (in forma scritta?), che prevede
la una forma flessibile di esecuzione del lavoro subordinato, improntata sul principio di
volontarietà delle parti, in quanto questa clausola può essere o meno apposta dalle parti contratto
di lavoro subordinato.
Il lavoro agile viene introdotto dal d.lgs. 81/2017. (Job Act II). Per giustificare l’introduzione del
lavoro agile si sottolinea il potenziale ai fini di un migliore equilibrio tra vita privata e
professionale, soprattutto per i genitori che si inseriscono dopo il congedo. Riguarda sia settore
privato che quello pubblico, in attuazione di questi principi la legge Madia prevede il
rafforzamento del telelavoro che ha come obiettivo il rendere operativi meccanismi per almeno il
10% dei dipendenti pubblici che ne fa richiesta entro tre anni dall’attuazione della legge delega.
Il lavoro agile NON ha precisi vincoli di orario o di luogo, e si può basare sull’utilizzo di strumenti
tecnologici anche di proprietà degli stessi lavoratori. In ogni caso il datore di lavoro è responsabile
della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti. La Prestazione viene eseguita in parte
all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa entro i soli limiti di
durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale. Durata massima in base a d.lgs.
66/2003.
Lo smart working si fonda sul principio di volontarietà, ossia si deve fondare su un accordo tra le
parti, accordo scritto a fini probatori. Questo accordo può essere a termine o a tempo
indeterminato e in quest’ultimo caso il recesso per tornare alla modalità standard avviene con un
preavviso non inferiore a 30 giorni.
È un giustificato motivo ciascuno dei contraenti recede prima della scadenza del termine o senza
preavviso nel caso di accordo a tempo indeterminato.
All’epoca l'impiego pubblico doveva iniziare la promozione e sperimentazione dello smart working.
Riguarda solo il lavoro subordinato : principio di volontarietà, scopo…
Diritto alla disconnessione è uno dei diritti di nuova generazione. Esso è un contenuto della
clausola di smart working.
Questa disciplina è assimilabile alla disciplina del telelavoro: entrambi in luoghi diversi da quelli
standard,
- telelavoro: postazione fissa adibita ad esso
- smart working: prestazione eseguita in qualsiasi luogo
Elementi del contratto di lavoro
Il patto di prova, a cui spesso si ricorre in fase di costituzione del contratto, è una clausola che può
essere apposta al contratto di lavoro dipendente, anche atipico (es contratto a termine), con la
quale le parti si impegnano per un determinato periodo a titolo di prova/sperimentazione.
Il Patto di prova riguarda non solo l’impiego privato, ma anche il settore pubblico, ciò in base alla
disciplina che regolamenta il pubblico impiego, costituita dal d.lgs. 165 del 2001 “Testo Unico sul
Pubblico Impiego”.
Durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto,
senza obbligo di preavviso o d’indennità. Se però la prova è stabilita per
un tempo minimo necessario, la facoltà di recesso non può esercitarsi
prima della scadenza del termine.
Comma 1 :
L’assunzione per un periodo di prova deve risultare da un atto scritto; tuttavia, NON viene
specificato il tipo di forma, se la forma è prevista ad substantiam (da essa dipende la validità
dell’atto) o ad probationem (la forma risponde solamente a finalità probatorie).
In merito, la giurisprudenza ha concluso che la forma scritta sia rilevante ai fini della validità
del patto (ad substantiam). Inoltre, a giurisprudenza ha aggiunto che affinché il patto possa dirsi
formalmente valido, questo debba essere stipulato in un momento precedente o contestuale alla
costituzione del rapporto di lavoro.
Comma 2 :
Questo comma contiene la CAUSA del patto di prova, ossia la ragione alla base della stipulazione
di un patto di prova il patto di prova permette a datore di lavoro e a lavoratore di
rappresentarsi la reciproca convenienza del rapporto di lavoro, risponde a un interesse comune
alle parti (valenza bidirezionale). Infatti, durante il periodo di prova il datore di lavoro può
accertare le capacità e le competenze del lavoratore, mentre quest’ultimo valuta l’entità, le
caratteristiche e le condizioni della prestazione che gli viene richiesta.
Parte della dottrina è, invece critica e ritiene che il patto di prova NON risponda ad un interesse
comune alle parti, ma ad un interesse del datore di lavoro → questo sarebbe desumibile dal
1°comma in cui si richiede un requisito di forma. Solitamente la presenza di un requisito formale
nel diritto del lavoro suggerisce quando un’esigenza di protezione ai lavoratori perché si è in
presenza di una minore tutela nei confronti degli stessi.
Comma 3 :
Principio della libera recedibilità Durante il periodo di prova, in qualsiasi momento ciascuna
delle parti può recedere dal contratto senza obbligo di preavviso o di indennità. Tuttavia, qualora
le parti abbiano previsto un periodo minimo neccessario di prova, il recesso NON potrà essere
esercitato fino al termine previsto dalle parti.
Il recesso NON necessità di alcun requisito formale, e NON deve essere necessariamente motivato,
in quanto libero.
Tuttavia, la Corte costituzionale ha, di fatto, attenuato la regola della libera recedibilità nel
rapporto di lavoro in prova, prevedendo delle ipotesi in cui è possibile contestare la legittimità del
recesso. Libero non significa che possa essere esercitato senza alcun limite.
o Il lavoratore può contestare la legittimità del recesso da parte del datore di lavoro, qualora
non sia stata data la possibilità o consentita di fare l’esperimento oggetto della prova,
oppure quando il recesso sia imputabile ad un motivo illecito o estraneo all’esperimento,
ad esempio in presenza di forme di discriminazione illegittime (scopro che la lavoratrice è
in gravidanza).
In tal caso, la Corte costituzionale ha stabilito che, diversamente da quanto previsto per
ogni altro caso di licenziamento individuale, l’onere della prova spetta, in base alla regola
generale nell’art. 2697 c.c. (onere della prova), al soggetto che rivendica l’illegittimità del
recesso, ossia il lavoratore.
L’articolo 2096 cc. NON prevede una durata massima del patto di prova , questa può essere
desunta dall’articolo 10, co. 1 della legge 604/1966 sui “licenziamenti individuali” (cioè quelli
senza giusta causa che richiedono preavviso o indennità)→
Quindi ne traiamo che la durata massima del patto di prova è di 6 mesi, dopo di che il patto
di prova si scioglie.
Tuttavia, in linea generale la durata dei patti di prova è stabilita dalla contrattazione
collettiva, che differenzia la durata a seconda della categoria del lavoratore. Inoltre, spesso è
di gran lunga minore rispetto alla durata massima di 6 mesi stabilita dalla legge, questo
perché l’autonomia collettiva agisce a favore del lavoratore. In questo caso una maggiore
brevità del patto di prova è da intendersi come un intervento migliorativo migliorativa, data
la precarietà strutturale del patto di prova.
L’art. 2096 NON fa riferimento ad alcuna proroga del periodo di prova → nel silenzio del
legislatore, la giurisprudenza e la dottrina ritengono legittimo l'allungamento del patto di
prova, purché la proroga sia redatta per iscritto e abbia una durata complessiva di 6 mesi.
Comma 4 :
In mancanza del recesso, e compiuto il periodo di prova, l'assunzione diviene definitiva e il servizio
prestato si computa nell’anzianità del prestatore di lavoro (ossia pensione).
Le parti contraenti :
Lavoratori subordinati →
I lavoratori devono aver compiuto 16 anni, salvo eccezioni (ad esempio in alcuni settori
produttivi, specifiche attività come nello spettacolo, nello sport ,) e i casi in cui occorre il
consenso dei genitori e l’autorizzazione amministrativa.
La capacità di stipulare contratto di lavoro nel nostro ordinamento quindi si acquisisce con i
16 anni, mentre la capacità di stipulare contratti in generale si acquisisce ai 18 anni →
questa regola la desumiamo (non è espressa) dall’ art. 2 co 2 C.C.
o Diverso è il discorso per il cittadino extra UE, a cui si applica una disciplina speciale
(testo unico in materia di stranieri cittadini extra UE), che sostanzialmente richiede
una serie di requisiti che rendono legittima la loro presenza sul territorio nazionale
(ad esempio il permesso di soggiorno).
Datore di lavoro →
Esempio: testo unico materia tutela salute e sicurezza nel lavoro, d.lgs. n.
81/2008, in cui vi è la definizione di datore di lavoro, nell’art. 2 comma 1
lettera b
Accordo: in linea con le regole generali, l’accordo è l’incontro della volontà dei contraenti.
La peculiarità dei contratti di lavoro è che la manifestazione del consenso può anche
coincidere con l'esecuzione da parte del lavoratore della prestazione (per atti concludenti).
Un’altra particolarità scarsa incidenza casistica rispetto ai vizi della volontà (errore,
violenza, dolo), in relazione al fatto che molti aspetti del diritto del lavoro sono
caratterizzati da una disciplina imperativa, inderogabile; ma questa scarsa incidenza è
anche legata al principio dell’indisponibilità del tipo contrattuale per le parti e per
legislatore.
Causa : come desumiamo dall’art. 2094 C.C., il contratto di lavoro è a titolo oneroso
come abbiamo detto prima il contratto di lavoro è un contratto di scambio, il cui nucleo
essenziale è costituito dallo scambio tra prestazione svolta in regime subordinazione e
retribuzione.
All’interno del contratto di lavoro devono essere indicate le mansioni per cui il lavoratore
viene assunto, la retribuzione spettante, il luogo di svolgimento della prestazione e il
regime temporale della stessa prestazione.
o Sull’oggetto incide l’art. 2103 c.c., che disciplina i poteri unilaterali del datore di
lavoro rispetto alle mansioni stabilite in origine, ma anche rispetto al luogo stabilito in
origine.
In riferimento all’oggetto del contratto di lavoro, possiamo parlare di una serie di obblighi
legali a cui sono sottoposti lavoratore e datore di lavoro:
Tuttavia, in alcune ipotesi è prevista una forma specifica: ad esempio per quanto concerne
i contratti speciali di lavoro, come il contratto di lavoro sportivo, dove, ai sensi della legge
91/1981, è prescritta la forma scritta ad substantiam per la validità del contratto degli
sportivi professionisti. Ci sono altri contratti atipici, come il contratto part-time, che ha dei
requisiti di forma.
Occorre ricordare che il datore è tenuto per legge a una serie di comunicazioni scritte in
sede di assunzione, ciò in base ad una disciplina europea (direttiva 533 del 1991) che poi è
stata oggetto di un d.lgs. n 152/1997 di attuazione
Elementi accidentali :
Affinché il patto sia valido questo deve essere: scritto (requisito di forma), deve essere
indicato il corrispettivo del lavoratore, inoltre devono essere indicati oggetto, luogo e
durata del patto. Molto frequente previsione di questa clausola.
(2) Termine: ossia l’apposizione di un limite di durata al contratto di lavoro. Si ritiene che
l’evoluzione legislativa di questo istituto costituisca un esempio emblematico per
comprendere le tecniche di flessibilizzazione (in entrata e uscita) del rapporto di lavoro.
Seguì l’abrogazione di questa legge a seguito di una direttiva europea, n°70/1999, con cui si
è chiesto ai paesi membri dell'Unione di modificare la disciplina del lavoro a termine, al fine
di ampliare l’utilizzo di questo contratto. Ad attuare questa diretta è stato il d.lgs. n°
268/2001, in uno dei governi Berlusconi. Con questo decreto legislativo è stata dismessa la
tassatività delle ipotesi di legittima apposizione del termine, e in sostituzione si è optato
per una causale più ampia, NON più tassativa, per rendere l’utilizzo di questo strumento
più esteso. A tal punto che si è discusso su quale dovesse essere la forma tipica/standard di
lavoro (a termine o indeterminato). Su questo d.lgs. sono stati fatti interventi :
Deroga rispetto alle regole normalmente applicabili ai contratti, dove la nullità travolge tutto
sin dall’inizio dell’esecuzione.
II.Parte. Tuttavia, nel caso in cui la nullità del contratto derivi dall’illeceità dell’oggetto o
della causa, l'invalidità opera retroattivamente, quindi si torna alla regola generale.
III.Parte. Il contratto che violi le norme poste a tutela del lavoratore è invalido, tuttavia al
fine di tutelare il lavoratore, egli avrà, in ogni caso, diritto alla retribuzione per la prestazione
già resa.
Esempio: nel nostro ordinamento non è possibile assumere stranieri privi di idoneo
titolo di soggiorno (testo unico immigrazione extraeuropea che sanziona i datori che
si servono di lavoratori stranieri presenti illegalmente sul nostro territorio).
CONCILIAZIONE VITA-LAVORO
Riprendiamo l’argomento della conciliazione vita-lavoro.
Con il D.lgs. n 80 del 2015 (Job act II), il legislatore ha apportato modifiche rilevanti alla disciplina
della conciliazione familiare previgente, che si era stratificata nel tempo (vedi ciclo I per maggiori
informazioni).
► Congedo di maternità
Il Jobs Act ha reso più flessibile la possibilità di fruire il congedo di maternità, in alcuni casi
specifici, ossia in caso di parto prematuro (antecedente la data presunta) e di ricovero del
neonato. Il Job act ha modificato l’ art. 16 co. 1 let. d e aggiunto art. 16 bis del d.lgs.
151/2001. (da guardare).
Il job Act rinnova anche l’art. 20 del d.lgs. 151/2001, prevedendo una diversa modulazione
del periodo di astensione ante partum Se prima questo era pari a 2 mesi, con il decreto
era stata prevista la possibilità di fruire il congedo di maternità 1 mese prima la data
presunta del parto e di 4 mesi successivi allo stesso. Successivamente al Job Act, quindi al
d.lgs. 80/2015, viene previsto che l’intera astensione ante partum possa essere goduta
insieme all’astensione post partum.
Tra gli interventi più importanti del Job Act vi è il completamento della disciplina prevista
in materia di frazionamento a ore del congedo parentale. Difatti la legge 228/2012 aveva
rinviato alla contrattazione collettiva l’individuazione delle concrete modalità di utilizzo di
questo frazionamento a ore, tuttavia non segui alcun intervento. Per questo motivo il Job
Act ha previsto una disciplina suppletiva eteronoma, diretta a garantire la fruizione del
frazionamento a ore anche in assenza di disposizioni dell’autonomia collettiva aggiunge
il co.1-ter all’art 32 del d.lgs. 151/2001
Il Job Act NON interviene in alcun modo sul congedo obbligatorio di paternità. Nella
regolamentazione originaria della legge Fornero, il congedo obbligatorio, ma anche
facoltativo, di paternità erano interventi di natura sperimentale previsti per il triennio
fino al 2015. Per questo motivo, ci si attendeva da parte del Job Act un chiarimento su
questo punto, finalizzato a farne una misura strumentale e non più sperimentale.
Il Job act è risultato criticabile perché, aldilà delle sue intenzioni, è intervenuto in maniera
poco innovativa. Ne sono un esempio le modifiche sul congedo di maternità, che, in realtà,
andavano a recepire alcuni orientamenti della giurisprudenza costituzionale. In altre
parole, il Job Act si è occupato di adattare il quadro legale ad alcuni orientamenti
giurisprudenziali che si erano susseguiti.
Aspetti innovativi del Job Act
Se per certi aspetti il Job Act è risultato poco innovativo, bisogna ammettere il d.lgs. 80/2015 ha
affrontato in maniera nuova il tema della conciliazione. Si è preso atto del fatto che la
conciliazione, ossia il bilanciamento delle esigenze di vita-lavoro, NON necessariamente riguarda
nuclei familiari con all’interno un minore, ma potrebbe interessare anche altre sfere della persona,
come per esempio problemi di salute o altro…
Secondo questo articolo, il periodo massimo di questo congedo è di 3 mesi Periodo, fruibili
entro 3 anni dalla data di inizio del percorso di protezione. Questo congedo può essere
fruito su base giornaliera o oraria, salve le previsioni dell’autonomia collettiva.
Inoltre, è richiesto, salvo casi di oggettiva impossibilità, di preavvisare il datore di lavoro
con un termine non inferiore a 7 giorni, mediante l'indicazione dell’inizio e della fine del
periodo di congedo accompagnato dalla certificazione del percorso di protezione.
Durante questo periodo di congedo la lavoratrice ha diritto a un’indennità previdenziale
che corrisponde all’ultima retribuzione, con riferimento alle voci retributive fisse e
continuative del trattamento economico. Similmente ai congedi genitoriali, l’indennizzo
dovrà essere erogato dal datore di lavoro e poi andrà a conguaglio.
Alla lavoratrice è riconosciuto il diritto alla trasformazione del lavoro a tempo pieno in
lavoro a tempo parziale; tuttavia, il rapporto di lavoro potrà essere nuovamente
trasformato su richiesta della lavoratrice.
Questa disciplina applicabile non solo all'impiego privato, ma è anche al pubblico impiego
Oltre a quanto già previsto, in questo caso si ammette la possibilità di presentare una
domanda di trasferimento ad un’altra sede, ubicato in un comune diverso. La PA disporrà il
trasferimento, in base alla qualifica personale, e se presenti posti disponibili.
Sempre in tema della salute il job act dedica altre disposizioni, ad esempio contenute nel
d.lgs. 81/2015 (Testo Unico in materia di lavoro atipico/flessibile). All’interno della quale
viene disciplinato il contratto part-time, vi sono anche delle disposizioni derivanti da
esigenze di conciliazione tra il lavoro e la tutela della salute per esempio esigenze
riguardanti il coniuge, che attengono sul fronte della salute del nucleo familiare (possibilità
di trasformare il lavoro in part-time se il coniuge è malato)
Sul fronte delle esigenze di conciliazione, familiare e non (lavoro-salute, etc…), ci troviamo di
fronte ad un problema, ossia se sia possibile estendere queste disposizione a tipologie di nuclei
familiari, diversi da quello maggioritario.
Questo perché nel tempo i nuclei familiari hanno subito delle trasformazioni, e ad oggi abbiamo
strutture familiari estremamente variegate: nuclei familiari monoparentali (famiglia con 1 solo
genitore), nuclei omoparentali (famiglia con genitori dello stesso sesso), etc …
In merito, una prima indicazione legislativa viene fornita dalla legge 76/2016, contente la disciplina
le Unioni civili. Questa legge ha assimilato la figura delle coppie omosessuali a quello del
matrimonio, in base a quanto stabilito da…
Quindi la disposizione del d.lgs. 81/2015 si applica anche alle unioni civili perché contenente il
termine "coniuge".
Es. in caso di infortunio mortale sul lavoro, l’INAIL riconosce al coniuge superstite una
rendita, poiché abbiamo la parola coniuge la disposizione si applica anche all’unione
civile.
Tuttavia, legge 184/1993 , in materia di adozione, non si applica alle unioni civili. Quindi se
dall’unione civile si hanno dei figli, non sarà possibile, per il genitore non biologico , creare un
rapporto di filiazione, quindi questo genitore sarà sfornito di tutela dal punto di vista dei congedi
genitoriali.
TUTTAVIA…
È stato possibile verificare il riconoscimento del rapporto di filiazione tra il minore e il genitore
sociale (non biologico), mediante atti di natura amministrativa → alcuni comuni hanno permesso il
riconoscimento della filiazione tra genitore sociale e minore.
Questa situazione ha fatto emergere l’esigenza di intervenire in merito: sentenza 230/2020 della
Corte di Cassazione in cui si chiede al parlamento di legiferare su questo aspetto ad esempio
estendendo l’istituto delle adozioni particolari ai nuclei omogenitoriali. Nonostante ciò, al
momento non è stato dato corso a questa sentenza, quindi ci troviamo ancora in una situazione
confusa che è stata risolta solo in alcuni casi particolari.
Tuttavia, Il datore di lavoro NON riconosce questo diritto , rigetta la richiesta, affermando
che non vi sia una disciplina applicabile a questi casi.
Secondo il Tribunale di Milano nella misura in cui esiste rapporto di filiazione accertato,
in questo caso da un’autorità amministrativa, nonostante non via sia una disciplina per
tutti i tipi familiari, non è possibile contestarne la legittimità non riconoscendo il congedo
parentale, perché incorreremmo in un atto discriminatorio, in ragione dell'orientamento
sessuale della lavoratrice, come disciplinato dal d.lgs. 216/2003. Quindi in questi casi
dobbiamo mettere sostanzialmente la lavoratrice al posto del padre e quindi questa potrà
godere paritariamente di questa disciplina.
Tuttavia, non solo le pronunce giurisprudenziali si sono espresse in merito, ma osserviamo anche
interventi della contrattazione collettiva, volti ad estendere l'ambito di applicazione in materia di
congedi genitoriali.
Inoltre, è possibile anche riscontrare, in maniera sempre più frequente, decisioni unilaterali dei
datori dei datori di lavoro volti a riconoscere il congedo obbligatorio al genitore sociale.
Quindi, si può concludere dicendo che la conciliazione familiare riguarda anche nuclei per cui
NON vi è un riconoscimento legale della filiazione, come ad esempio i nuclei omoparentali, ma alla
condizione che sia stato accertato un rapporto di filiazione, come abbiamo visto in via
amministrativa o giurisprudenziale.
La conciliazione delle esigenze di vita è stata riconosciuta anche oltre l'ambito dei modelli familiari
tradizionali, ma si può notare anche un ampliamento del riconoscimento della tutela genitoriale
oltre l’ambito del lavoro dipendente. Quindi la conciliazione familiare riguarda anche il lavoro
autonomo
In merito, già la legge 53/2000 aveva esteso la tutela genitoriale (congedo genitoriale) al lavoro
autonomo. Su questo impianto, poi trasfuso nel d.lgs. 151 /2001 (statuto della tutela bla… bla…
bla…), è intervenuto il job act, il quale si è limitato a recepire risultati e principi già emersi nella
giurisprudenza e nelle sentenze della Corte costituzionale.
Quella prevista per il lavoro autonomo, si tratta di una tutela assimilabile a quella riconosciuta in
presenza di un rapporto di lavoro dipendente, con una rilevante differenza che riguarda l’aspetto
previdenziale della tutela: nel lavoro subordinato l'indennità NON dipende dalla maturazione di
requisiti contributivi, il suo riconoscimento è relazionato esclusivamente all’esistenza del rapporto
di lavoro (non dobbiamo avere un’anzianità contributiva per il riconoscimento dell’indennità); quanto al
lavoro autonomo le indennità parentali sono condizionate all’effettivo versamento dei contributi
previdenziali.
INFINE…
Durante la pandemia, la tutela riconosciuta dai congedi e dai bonus è stata rafforzata con la
funzione di facilitare e aiutare il bilanciamento delle esigenze genitoriali e di lavoro conseguenti
alla sospensione dei servizi educativi per l’infanzia e alla chiusura delle attività didattiche delle
scuole di ogni ordine.
3. LA TIPOLOGIA DEI RAPPORTI DI LAVORO
Scaletta:
Analisi dei sottotipi negoziali del tipo contrattuale lavoro subordinato, vedremo le figure
contrattuali che per uno o più aspetti si discostano dal tipo contrattuale lavoro subordinato, ossia
dal modello standard e tipico di lavoro.
Contratti atipici in quanto si discostano dal modello standard dal punto di vista della
modulazione dell’orario di lavoro, quindi il contratto a tempo parziale, il contratto
standard tipicamente ci impegna per l’intera giornata, c.d. “a tempo pieno”.
Figura negoziale atipica dal punto di vista della causa (la ragione) del contratto di lavoro, la
quale consiste nello scambio tra retribuzione e prestazione di lavoro, le figure negoziali
atipiche dal punto di vista della causa sono caratterizzate dall’obbligo retributivo ma anche
obbligo formativo, si parla di retribuzione differita = in capo al datore di lavoro non solo vi
è l’obbligo di erogare una retribuzione ma anche quello di erogare una formazione (obbligo
formativo).
Analizzare queste forme atipiche è importante per guardare al mercato del lavoro, e chiederci
oggi quali sono le figure prevalenti di lavoro atipico, se possiamo ancora assumere la centralità del
lavoro standard. Qual è la forma negoziale con cui si accede più frequentemente al lavoro, qual è
oggi nei fatti la figura di lavoro prevalente.
LE FIGURE NEGOZIALI ATIPICHE NELL’AMBITO DELLA SUBORDINAZIONE
La specialità dei rapporti di lavoro
La specialità nei rapporti di lavoro. Con questa espressione, si allude al fenomeno della presenza,
nel panorama produttivo, di rapporti di lavoro diversi, con deviazioni più o meno accentuate,
rispetto alla fattispecie tipica/standard di lavoro subordinato, disciplinata dall’art. 2094 c.c.
In altre parole, la disciplina del lavoro nell’impresa, per come risulta sistemazione codicistica,
mostra un’insufficienza rispetto alle diverse richieste di regolamentazione derivanti dalla
molteplicità di forme che la prestazione di lavoro può assumere.
Esigenze derivanti, in alcuni casi, dall’Oggetto della prestazione → caso del rapporto di
lavoro nello sport, la cui disciplina attualmente è contenuta nella legge 91/1981
Esigenze derivanti dal Contesto in cui la prestazione di lavoro viene resa → es. figura del
lavoro domestico, ossia una possibilità di erogare il lavoro che va a destrutturare il modello
spazio-temporale del lavoro dipendente, mediante la previsione del lavoro agile
In assenza di una disciplina inerente ai rapporti di lavoro speciali, si è quindi posta l’esigenza, da
parte degli studiosi del diritto del lavoro, di elaborare una categoria unitaria che racchiudesse
queste figure negoziali. Per poter individuare questa categoria di figure negoziali dobbiamo caoire
Cosa qualifica il concetto di specialità?
Criticità con questa tesi, rientrerebbero nel concetto di specialità solo i rapporti di
lavoro che presentano un contenuto formativo (es. contratto di apprendistato). Quindi
questa tesi non riesce ad includere le diverse espressioni che si discostano dal modello
standard.
Devono essere considerati speciali tutti quei rapporti di lavoro la cui disciplina risulti, più o
meno, diversa rispetto a quella generale del rapporto di lavoro tipico/standard
nell’impresa → tesi oggi preferibile.
Quindi, secondo questa tesi, possiamo intendere la specialità come l’esistenza di una pluralità di
rapporti a disciplina speciale.
Esempio: Caso del rapporto di lavoro sportivo, la cui disciplina è ampiamente derogatoria
rispetto a quella applicabile al rapporto di lavoro dipendente o standard, da tanti punti di
vista. Non si applicano ad esempio numerose disposizioni contenute nello statuto dei
lavoratori (legge 300/1970). È una disciplina speciale perché riscontriamo requisiti di
forma, quando normalmente il contratto di lavoro è a forma libera.
Esempio: Caso del rapporto di lavoro a termine → speciale dal punto di vista della durata
del rapporto
Si tratta di un particolare rapporto di lavoro che in virtù del suo oggetto, presenta una disciplina
speciale.
In primo luogo, la disciplina fondamentale del rapporto di lavoro sportivo è contenuta nella legge
n°91/1981 (a differenza del rapporto di lavoro standard – l.300/1970).
Al momento, questa è la normativa vigente, tuttavia è stata prevista entrata in vigore di una
disciplina in materia di lavoro sportivo, per il 1° gennaio 2023. Difatti, on la legge delega 86/2019,
il legislatore ha chiesto un intervento di riforma del settore sportivo, da questa legge sono scaturiti
5 decreti legislativi: uno di questi, ossia il d.lgs. 36/2021 , tratta specificamente del tema del
rapporto di lavoro sportivo. In realtà i decreti lgs. sarebbero dovuti essere 6, ma uno di questi non
ha mai visto la luce, ossia quello sul sistema della governance dello sport.
Secondo questa legge sono lavoratori sportivi o sportivi professionisti: gli atleti, gli allenatori, i
direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici. In merito, ci si è chiesti se questo elenco avesse
natura esemplificativa, e quindi potessero essere inclusi altre figure sportive, o tassativa. È andata
a prevalere la seconda interpretazione, poiché si riteneva di non poter adottare una lettura
estensiva della norma, in virtù del fatto che la disciplina sul lavoro sportivo professionistico è
derogatoria in peius, rispetto al rapporto di lavoro subordinato tipico. Vedasi art.4 della stessa
legge.
Caratteri e le modalità dell’esercizio dell’attività sportiva → Inoltre, l’attività che deve essere svolta
a titolo oneroso (dietro compenso) e con carattere di continuità.
La norma prescrive, anche, dei presupposti oggettivi in base alla quale identificare il lavoro
sportivo. È tale quell’attività che:
- Sia qualificata come professionistica dalle federazioni sportive nazionali, tenendo conto
delle direttive impartite dal CONI per la distinzione dell'attività dilettantistica da quella
professionistica. Le federazioni hanno il potere di definire l’attività come professionistica.
In questo momento in Italia i settori considerati professionistici sono solo:
- Questa nozione esclude l’ambito del dilettantismo, ossia le attività sportiva rese per
società e associazioni dilettantistiche, e tantomeno la legge definisce il dilettantismo.
- Il problema più grave riguarda il fatto che, le poche federazione che hanno istituito un
settore professionistico (eccezion fata per la FIG) NON hanno previsto al loro interno
alcuna disciplina sportiva femminile. Quindi il professionismo è stato riconosciuto
Ai sensi di questa legge tutte le donne sono dilettanti, NON esiste il professionismo
nell’ambito delle attività sportive femminili, ma è stato riconosciuto solo per le attività
maschili.
Ne consegue che , per come questo assetto normativo è stato elaborato, si impedisce ad alcuni
uomini e a tutte le donne di accedere alle tutele lavoristiche.
Da qui la necessità di riformare la materia, difatti il legislatore con la legge 86/2019 chiede al
governo di realizzare una riforma, che tra le varie cose riguardi il rapporto di lavoro, per risolvere
la questione del dilettantismo di alcuni uomini e il mancato riconoscimento del lavoro sportivo per
le donne e cercando di realizzare un sistema di protezione anche dal punto di vista di una
maggiore presenza femminile a livello gestionale dello sport.
Art. 3 - Prestazione sportiva dell'atleta
La prestazione a titolo oneroso dell'atleta costituisce oggetto di contratto di lavoro
subordinato regolato dalle norme contenute nella presente legge.
b) l'atleta non sia contrattualmente vincolato per ciò che riguarda la frequenza a
sedute di preparazione od allenamento;
Ai sensi dell’articolo 3, si presume per gli atleti la natura subordinata del rapporto di lavoro.
In virtù della qualifica formale (come lav.sub.) delle federazioni sportive nazionali, quindi di un
soggetto privato, viene presuntivamente stabilita la natura subordinata della prestazione di lavoro
potenziale conflitto con il principio di indisponibilità del tipo contrattuale.
Tuttavia, nei casi previsti dal 2 comma, il lavoro sportivo può essere anche autonomo.
Comma 1:
A differenza del contratto di lavoro subordinato tipico che non ha requisiti di forma, il rapporto di
prestazione sportiva a titolo oneroso si costituisce mediante assunzione diretta e con la
stipulazione di un contratto in forma scritta ad substantiam tra lo sportivo e la società
destinataria delle prestazioni sportive.
Comma 6 :
Il contratto non può contenere clausole di non concorrenza (patti di concorrenza), a differenza
di quanto accade nel contratto di lavoro subordinato a cui può essere apposta una clausola
limitativa della concorrenza per il periodo successivo alla risoluzione del contratto stesso
anomalia rispetto all’art. 2125
Comma 8 :
Non si applicano diverse disposizioni della legge 300/1970, ossia lo statuto dei lavoratori, tra cui la
cd. tutela reale prevista dall’art.18 (visto in parte). Non si applicano, nemmeno, diversi articoli
della legge 604/1966, sui licenziamenti individuali e non si applica per intero la legge 230/1962 sui
contratti a termine.
Riforma del lavoro sportivo
Con la legge 86/2019 il legislatore chiede al governo di realizzare una riforma: tra i suoi aspetti
qualificanti vanno inclusi quelli relativi ai rapporti di lavoro per risolvere la questione di
dilettantismo e di mancato riconoscimento per le donne, cercando di realizzare un sistema di
protezione anche dal punto di vista di una maggiore presenza femminile a livello gestionale nello
sport. Ecco come:
In primo luogo, l’articolo prevedere nuove figure di lavoratore sportivo: si aggiungono l’istruttore
sportivo, il direttore di gara e viene dissociata la figura dei tecnici-sportivi, in direttore sportivo e
direttore tecnico. Anche in questo caso l’elenco è tassativo, in virtù del fatto che tale disciplina si
pone in deroga rispetto al lavoro dipendente standard, ai sensi dell’articolo 26.
Rilevante aggiunta, il fatto che il lavoro sportivo comprenda non più solo il professionismo, ma
anche il dilettantismo, senza alcuna distinzione di genere. Per quanto riguarda le modalità di
esecuzione della prestazione viene meno la continuità, ma rimane il carattere dell’onerosità.
NON rientra il lavoro amatoriale (ai sensi dell’art. 29 del d.lgs. 36/2021).
Il decreto legislativo 36/2021 prevede la possibilità, che ricorrendo i presupposti, il contratto di
lavoro sportivo possa essere: autonomo, dipendente, eteroorganizzato (d.lgs. 81/2015),
coordinata e continuativa.
L’Articolo che presenta diverse similitudini rispetto con l’art. 4, co.8 della l. 91/1981, riguardante le
deroghe legislative. Però qui non parliamo di professionismo ma di lavoratore sportivo.
Anche se il contratto di lavoro si può costituire senza distinzione di genere, il problema del
professionismo femminile non è ancora risolto; per come erano i presupposti oggettivi nella legge
91/1981→
In continuità con la legge 91/1981, le Federazioni sportive nazionali hanno ancora potere di
qualificare le discipline sportive; tuttavia l'articolo 38 del decreto fa un'importante aggiunta: viene
specificato che nel momento in cui si qualifica una disciplina sportiva come professionistica, non vi
sono distinzioni di genere.
Per questo motivo, la riforma ha previsto un incentivo per le federazioni nazionali, nella
prospettiva delle donne nel professionismo, mediante l'articolo 39 in cui viene previsto un
fondo per il professionismo delle attività sportive femminili.
Tuttavia, con la normativa attuale ci sono altri aspetti problematici, come la scarsa/inesistente
presenza femminile nella governance dello sport → In tal senso, interviene l’art. 40, in cui viene
chiesto ad una pluralità di soggetti, tra cui il CONI, di realizzare misure promozionali per favorire
la presenza delle donne nella dello sport.
Esempio: il CONI nel 2018 aveva previsto delle misure promozionali. Aveva individuato la
necessità di creare equilibrio di genere all’interno degli organi di gestione del CONI.
Nonostante la maggior parte delle disposizioni del decreto legislativo 36/2021 non siano attive, gli
articoli 39 e 40 sono immediatamente operativi, quindi si può già attingere a questo fondo ed è
possibile realizzare misure promozionali dell’equilibrio di genere.
Altra problematica è il fenomeno delle molestie e violenza di genere, in realtà in questo caso non
dobbiamo andare a considerare il decreto legislativo 36/2021, ma il d. lgs. 39/2021, più
precisamente all’art. 16, dove viene delineata una tutela per contrastare questi fenomeni
La vicenda del contratto a termine è molto intricata. Ha conosciuto nel tempo diversi interventi
normativi che sono stati di segno opposto, a seconda anche dei governi che si sono via via
succeduti.
Percorso storico:
In origine l’ordinamento del lavoro ha per lungo tempo valutato con grande sfavore il contratto a
tempo determinato, perché solo un rapporto a tempo indeterminato poteva garantire la
continuità dell’occupazione e la continuità del reddito.
Nel tempo sono emerse delle esigenze di maggiore flessibilità del rapporto di lavoro, che hanno
determinato un cambiamento rispetto all’originario disfavore del lavoro a tempo determinato. Le
ragioni che hanno condotto ad una progressiva apertura del contratto a termine sono molteplici,
ma sono essenzialmente riconducibili al succedersi di crisi economiche, ma anche a trasformazioni
che hanno riguardato i processi produttivi, e il tipo di prodotto che si andava realizzando
Inizialmente l’apposizione del termine era vista come ipotesi residuale, difatti, ai sensi
dell’art. 2097 C.C. (è stato abrogato), il contratto si reputava a tempo indeterminato
qualora il termine non risultasse dalla specialità del rapporto o da un atto scritto.
L’articolo 2097 c.c. venne poi abrogato con la legge n° 230/1962, ossia la legge che ha dato
una disciplina organica ai contratti a termine. Legge che prosegue sulla linea di rigore
precedente. Il legislatore aveva previsto il contratto a termine come un’eccezione alla
regola generale, del contratto a tempo indeterminato, quindi anche per questo motivo,
questo contratto ha dei requisiti di forma: ossia la forma scritta ab substantiam
Questa eccezione, poteva applicarsi solamente nelle ipotesi tassativamente previste dalla
legge stessa, in virtù del loro intrinseco elemento di temporaneità:
- attività stagionali
- sostituzione di lavoratori assenti, per i quali era previsto la conservazione del posto
di lavoro (es. malattia, maternità e paternità)
- opere e servizi a carattere straordinario o occasionale
La prima modifica a questo quadro normativo si ha negli anni 80’, a causa delle prime crisi
petrolifere (economiche) che avevano determinato un’emergenza occupazionale,
interrompendo anche il trentennio glorioso.
Di fronte a questa situazione di crisi economica vengono ampliate le ipotesi in cui era
legittimo appore un termine, mediante la legge 56/1987. Questa legge prevedeva la
possibilità per l’autonomia collettiva di individuare ulteriori ipotesi di contratto a termine,
non specificate dalla legge, a condizione che rispettassero i criteri di eccezionalità,
temporaneità, e transitorietà, propri delle ipotesi e della ratio complessiva della legge
230/1962. > flessibilità in entrata.
Il contratto a termine poi verrà nuovamente modificato, intervento che costituirà prima svolta
verso la liberalizzazione di questo contratto, tanto che si parlerà del contratto a termine come
nuova forma tipica.
o Veniva indicato che la prima assunzione a termine potesse essere realizzata senza
alcun limite, dal punto di vista causale, ossia senza la necessità di indicare ragioni
eccezionali, transitorie, temporanee (questo solo per la prima assunzione).
Affermava, anche, l’utilità del lavoro a termine in determinate ipotesi.
Il legislatore interviene, recependo questa direttiva con il d.lgs. 368/2001 (svolta verso la
liberalizzazione del contratto a termine). Questa legge prevede una nuova disciplina per il
contratto a tempo determinato, abrogando la l. 230/1962.
o L’elemento di novità è contenuto dall’art. 1 della legge: Non sono più previste
ipotesi tassative in base alla quale poter costituire un contratto a termine, al
contrario prevedeva una causale autorizzativa generale. L’apposizione del termine
era consentita a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e
sostitutivo. liberalizzazione del contratto a termine.
Dopo questa modifica ve ne furono altre che invece han restituito alla causale generale un ambito
più esteso, tanto da configurare il contratto a termine un'alternativa al contratto a tempo
indeterminato
Seguirà il d.lgs. 81/2015 ( Job Act atto II, legge delega 183/2014) cui il legislatore ha
previsto il c.d. “Testo Unico in materia di lavoro atipico o flessibile”, al cui interno è
inclusa la disciplina sul contratto a termine, non è più nel d.lgs. 368/2001.
Fa affermazioni contraddittorie : Il decreto si apre con l’affermazione secondo la quale il
rapporto a tempo indeterminato deve costituire la regola, salvo poi prevedere in sostanza
la acausalità del contratto a termine, in virtù del d. legge 34/2014 poi convertito con la
legge 78/2014.
La disciplina del contratto a termine è contenuta negli art 19 a 29 del d.lgs. 81/2015. – “Testo
Unico in materia di lavoro atipico o flessibile”.
Tuttavia, se il termine ha una durata superiore ai 12 mesi, ma cmq non eccedente i 24 mesi (dai 12
ai 24), saranno necessarie delle specifiche causali:
I requisiti di forma
In continuità col quadro normativo precedente, salvi i rapporti di lavoro di durata non superiore a
12 giorni, l'apposizione del termine al contratto è priva di effetto se non risulta da atto scritto ab
substantiam (art 19).
Inoltre, riguarda anche il caso in cui il contratto sia superiori ai 12 mesi, poiché in tal caso le ragioni
devono essere indicate.
Non è possibile usare il contratto a termine per sostituire lavoratori che esercitano il diritto
di sciopero → ciò perché è un diritto costituzionale
Non possono appore un termine al contratto di lavoro, i datori che non abbiano effettuato
la valutazione periodica dei rischi, prevista dalla disciplina in materia di tutela della salute e
sicurezza del lavoro (d.lgs. 81/2008) con lo scopo di stimolare, incentivare la prevenzione
in azienda, poiché diversamente le imprese non potranno accedere al contratto a termine.
Proroga
L’articolo 21 prevede la possibilità di prorogare, ossia di proseguire il contratto rinviando la
scadenza, il contratto a tempo determinato. Per prorogare il termine è necessario:
- l’indicazione delle causali se la proroga determina il superamento della soglia dei 12 mesi;
infatti, sotto questa soglia temporale non è richiesta la presenza delle causali di cui all’art.
19 comma 1.
- Altro requisito ai fini della validità della proroga è che la durata del contratto sia inferiore a
24 mesi.
Rinnovo
L’articolo 21 prevede anche la possibilità di rinnovare il contratto a tempo determinato. A
differenza della proroga, in questo caso si costituisce un nuovo e distinto contratto. Per poter
rinnovar il contratto:
o Sono richieste le causali, di cui all’art. 19 comma 1., e diversamente dalla proroga, anche
qualora il contratto abbia una durata iniziale inferiore a 12 mesi.
Affinché il rinnovo sia legittimo deve essere rispettato un intervallo di tempo tra un contratto e
l’altro, che è variabile in relazione alla durata del contratto a termine scaduto più esattamente
dovranno trascorrere 10 giorni per i contratti di durata sino a 6 mesi, 20 giorni per i contratti la cui
durata è superiore a 6 mesi.
In questo caso, la legge prevede che il datore di lavoro debba corrispondere al lavoratore una
maggiorazione della retribuzione pari al 20% per ogni giorno fino al decimo giorno successivo e
pari al 40% per ciascun giorno ulteriore.
Qualora un contratto a termine con durata inferiore ai 6 mesi, continui oltre il 30° giorno; oppure
quando un contratto a termine di durata superiore ai 6 mesi, continui oltre il 50° giorno; il
contratto si trasforma in un contratto a tempo indeterminato. al fine di evitare abuso di questa
forma negoziale.
I limiti quantitativi al numero di contratti a termine
A seguito del decreto dignità, sono stati previsti dei limiti quantitativi al numero di contratti a
termine, questa disciplina sui limiti è contenuta nell’articolo 23.
Viene previsto che NON possano essere assunti lavoratori a tempo determinato in misura
superiore al 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno
di assunzione → si ammette la flessibilità, ma entro limiti quantitativi. Per i datori di lavoro che
occupano al più 5 dipendenti è sempre possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo
determinato.
È sempre salva, l’autonomia collettiva può in ogni caso stabilire un diverso limite percentuale sia in
senso migliorativo, sia in senso peggiorativo → riflesso di quanto era già stato previsto con il Job
Act che aveva previsto la causalità del contratto a termine, ma al contempo aveva anche posto
limiti quantitativi al suo utilizzo.
Sono, inoltre previste specifiche ipotesi esenti dai limiti quantitativi art 23, co.2
Questo è un principio trasversale alle figure negoziali atipiche, difatti è analogo il principio
applicato ai contratti di ,lavoro part-time (diversa modulazione dell’orario).
L’articolo 24 riconosce anche il Diritto di precedenza, ossia il diritto ad essere preferiti nel
momento in cui il datore di lavoro sta assumendo alle condizione di cui all’art. 24. Il diritto
di precedenza deve essere espressamente richiamato nel contratto di lavoro
Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi, in linea generale, ai lavoratori che hanno
prestato attività lavorativa per un periodo superiore a 6 mesi, viene riconosciuto il diritto di
precedenza sulle assunzioni a tempo indeterminato, diritto espletabile entro i successivi 12
mesi.
Obblighi del lavoratore : Dal lato dei lavoratori faremo una focalizzazione sugli obblighi
legali del lavoratore costitutivi il rapporto di lavoro, gli obblighi di cui agli artt. 2104
(obbligo di diligenza) e 2105 (obbligo di fedeltà) c.c.
Poteri e doveri del datore di lavoro: Quanto ai poteri e ai doveri del datore di lavoro,
faremo una focalizzazione su alcuni aspetti della disciplina applicabile al datore di lavoro, in
particolare al potere disciplinare, riconosciuto al datore nel momento in cui i lavoratori
disattendono i loro obblighi legali e infatti l’art. 2106 c.c. riconosce questo potere in caso di
violazione degli obblighi di diligenza e fedeltà. Questo potere non può esplicarsi senza la
previsione di specifiche garanzie nei confronti dei lavoratori, potrebbero realizzarsi degli
abusi o prevaricazioni; dunque, ci si chiede se questo potere nel momento in cui si esprime
è vincolato ad alcuni limiti, deve esprimersi coerentemente ad una procedura, che infatti
viene prevista in una legge importante, ossia la Legge 300/1970 = STATUTO DEI
LAVORATORI. In questa legge troviamo l'art. 7 in cui viene dettagliata procedura in base
alla quale può legittimamente esprimersi e realizzarsi il potere disciplinare
l datore di lavoro ha a sua volta degli obblighi legali; infatti, questi non caratterizzano solo i
lavoratori → Anzitutto ha l’obbligo retributivo in relazione a causa di contratto del lavoro,
che è un contratto sinallagmatico. Ha poi anche l’obbligo contributivo : il diritto
previdenziale è una parte essenziale del diritto del lavoro, in quanto al rapporto di lavoro è
collegata la tutela previdenziale, che scaturisce al verificarsi di alcuni eventi generatori di
bisogni, È strettamente collegato attraverso l’attività contributiva, con il riconoscimento di
oneri sociali. Il datore di lavoro ha tra i suoi obblighi principali, obblighi legali del contratto
di lavoro, l’obbligo di tutelare l’integrità fisica e morale dei lavoratori, di creare sistema di
prevenzione → obbligo previsto all’art. 2087 c.c., è una norma importantissima nel sistema
degli obblighi datoriali. È una norma incerta, quindi è stato introdotto Il Testo unico
contenuto nel d.lgs. 81/2008 è una legge monumentale, in cui viene delineato il sistema
della prevenzione, caratterizzato da una pluralità di disposizioni che nel tempo hanno
rappresentato un rimedio all’indeterminatezza del contenuto dell’art. 2087 c.c.
Gli obblighi gravanti sul lavoratore sono l’obbligo di diligenza e l’obbligo di fedeltà.
L’Obbligo di diligenza
Art. 2104
Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della
prestazione dovuta, dall'interesse dell'impresa e da quello superiore della
produzione nazionale.
Deve inoltre osservare le disposizioni per l'esecuzione e per la disciplina del lavoro
impartite dall'imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali
gerarchicamente dipende
L’art. 2104 c.c. prevede l’obbligo di diligenza in capo al lavoratore. L’articolo individua 3 gradi
dell’obbligo di diligenza:
- interesse dell’impresa → si risolve nel fatto che la prestazione di lavoro deve rispondere
all’interesse soggettivo del datore di lavoro e quindi non a un interesse obiettivo, astratto
- interesse della produzione nazionale → criterio ormai superato in quanto tipica espressione
della cultura del corporativismo
La diligenza rappresenta il modo di essere della subordinazione (comma 2 art. 2104), difatti
l’articolo prevede il criterio dell’eterodirezione (art.2094 cc.) = sottoposizione del lavoratore al
potere direttivo del datore di lavoro o dei suoi ausiliari.
Obbligo di fedeltà
Art. 2105 (da tenere distinto dal patto di non concorrenza di cui all’art. 2125)
Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in
concorrenza con l'imprenditore, né divulgare notizie attinenti all'organizzazione e
ai metodi di produzione dell'impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa
pregiudizio
L’Obbligo di fedeltà si sostanzia in un divieto a porre in esse una condotta negativa (come fare
affari in concorrenza, divulgare notizie sull’impresa, o farne uso per arrecare pregiudizio ad essa)al
fine garantire interessi aziendali, fra cui l’interesse alla capacità competitiva dell’azienda.
Quest’obbligo non deve essere confuso col patto di non concorrenza (art. 2125 cc).
I poteri datoriali
Il potere disciplinare
In capo al lavoratore che contravvenga ai suoi gli obblighi si ha una responsabilità disciplinare, a
cui corrisponde un potere disciplinare del datore. In virtù di questo potere, la legge prevede che il
datore di lavoro possa punire il lavoratore inadempiente, con una cd. sanzione disciplinare avente
carattere afflittivo.
Art. 2106
L'inosservanza delle disposizioni contenute nei due articoli precedenti può dar
luogo all'applicazione di sanzioni disciplinari, secondo la gravità dell'infrazione [e
in conformità delle norme corporative]
L'articolo 2106 individua un elemento essenziale della sanzione riconosciuta, cioè un criterio di
proporzionalità: a seconda della gravità dell'infrazione verrà riconosciuta una sanzione. La
proporzionalità come principio orientativo nell’esercizio del potere disciplinare.
Altre sanzioni oltre al richiamo e al licenziamento possono essere: la sospensione senza retribuzione
per qualche giorno (in base alla gravità del comportamento), la multa ( o sanzione economica
trattenendo lo stipendio), il trasferimento e arresto.
Normativa sulle sanzioni disciplinari
La possibilità di esercitare una punizione in un rapporto tra privati, è eccezionale. Da qui, nasce
l’esigenza di prevedere delle disposizioni a tutela del lavoratore inadempiente. In tal senso,
l’articolo 7 della legge 300/1970 regolamenta le sanzioni disciplinari, per cui sono state previste
anche delle disposizioni che limitano il potere disciplinare del datore di lavoro con lo scopo di
scongiurare abusi da parte del datore nell’esercizio di questo potere a tutela del lavoratore
inadempiente
In ogni caso, i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono
essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto
del fatto che vi ha dato causa.
Salvo analoghe procedure previste dai contratti collettivi di lavoro e ferma restando la
facoltà di adire l'autorità giudiziaria, il lavoratore al quale sia stata applicata una
sanzione disciplinare può promuovere, nei venti giorni successivi, anche per mezzo
dell'associazione alla quale sia iscritto ovvero conferisca mandato, la costituzione,
tramite l'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, di un collegio di
conciliazione ed arbitrato, composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un
terzo membro scelto di comune accordo o, in difetto di accordo, nominato dal direttore
dell'ufficio del lavoro. La sanzione disciplinare resta sospesa fino alla pronuncia da parte
del collegio.
Qualora il datore di lavoro non provveda, entro dieci giorni dall'invito rivoltogli
dall'ufficio del lavoro, a nominare il proprio rappresentante in seno al collegio di cui al
comma precedente, la sanzione disciplinare non ha effetto. Se il datore di lavoro adisce
l'autorità giudiziaria, la sanzione disciplinare resta sospesa fino alla definizione del
giudizio.
Non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla
loro applicazione.
Norme sostanziali
Comma 1
Prima di tutto, il comma 1 prevede un obbligo di pubblicità in capo al datore di lavoro, il quale
sarà tenuto a portare a conoscenza dei lavoratori le norme disciplinari in relazione alle sanzioni.
Il lavoratore non potrà essere sanzionato per cui un comportamento di cui non conosceva la punibilità.
Il datore di lavoro può prevedere infrazione e sanzioni, per come stabilite dai contratti collettivi.
Quindi all’autonomia collettiva è rimesso il compito di definire le ipotesi di legittimo esercizio del
potere disciplinare, sia per quanto concerne le infrazioni del lavoratore, sia per quanto concerne le
sanzioni del datore. Inoltre, dovrebbe anche esplicare il rapporto di corrispondenza che c’è tra
infrazioni e sanzioni. Ciò non esclude che il datore possa specificare quanto stabilito
dall’autonomia collettiva dal punto di vista delle infrazioni, in relazione alle concrete esigenze
dell'impresa.
Comma 4
Salvo il licenziamento individuale (legge 604/1966), questo comma prevede che NON possano
essere previste sanzioni non conservative, ossia comportino il mutamento definitivo, del rapporto
di lavoro, come il trasferimento. Inoltre, la multa non può essere disposta per un importo
superiore a quattro ore della retribuzione base e la sospensione dal servizio e dalla retribuzione
per più di dieci giorni.
Comma 8
L’articolo 7 prevede l’ipotesi della recidiva, ossia una reiterazione dei comportamenti in violazione
degli obblighi legali. In merito, il comma 8 afferma che non si tiene conto della recidiva qualora
siano trascorsi 2 anni dalla sanzione.
Norme procedurali
L’Art. 7 contiene il procedimento con cui si possono infliggere sanzioni (usare il potere
disciplinare).
Queste regole procedurali sono orientate alla tutela del lavoratore (evitare abusi del potere
disciplinare).
NB: questo normativa, limitatamente alle regole sulla contestazione e difesa del
lavoratore, si applica anche all’ipotesi di licenziamento individuale per giusta causa,
qualora questo sia motivato da un comportamento riprovevole del lavoratore
Procedimento:
Per poter applicare una sanzione, in primo luogo il datore di lavoro deve contestare l’infrazione
del lavoratore. Tale contestazione dovrà essere redatta in forma scritta, ex. Comma 5. In
particolare, per le sanzioni più gravi della sanzione verbale, devono trascorrere almeno 5 giorni tra
contestazione e sanzione.
Inoltre, ai sensi del comma 2, dovranno essere individuate le circostante di luogo e tempo in cui si
è realizzata violazione, ciò per permettere ai lavoratori di esercitare il diritto di difendersi. Difesa
che può avvenire in forma scritta o orale, anche avvalendosi dell'assistenza di un rappresentante
sindacale, ai sensi del 3°comma.
Ai sensi dei commi 6 e 7, a garanzia del lavoratore è anche prevista la possibilità di impugnare la
sanzione in giudizio. Salvo diverse procedure previste dalla contrattazione collettiva, è possibile
attivare un collegio arbitrale presso l’ispettorato del lavoro, da cui deriverà la sospensione della
sanzione fino alla definizione del giudizio.
Obblighi datoriali
Gli obblighi a cui è soggetto il datore di lavoro sono: l'obbligo retributivo (art.2094 cc), l'obbligo
contributivo (art. 2115 cc) e l'obbligo di tutelare l'integrità fisica morale (art. 2087).
Il datore di lavoro ha l’obbligo di tutelare l’integrità fisica e morale, ossia di vigilare sulla la salute
e la sicurezza, dei lavoratori, ai sensi dell’art. 2087 C.C., di rilievo anche il d.lgs. 81/2008 (Testo
unico sulla sicurezza nel lavoro).
Obbligo di protezione nel quale troviamo riflessi di alcuni principi e norme costituzionali, cioè negli
artt. 2 e 41 della Costituzione (diritti fondamentali, inviolabilità della dignità umana, || modello di
sviluppo economico del nostro paese).
Percorso storico:
La storia di questo articolo è particolare, perché non avuto effetto dal punto di vista della
prevenzione, ma al contrario è stata ampiamente utilizzate per fondare richieste risarcitorie a
seguito di lesioni già avvenute della salute. Difatti questa norma non individua delle misure
concrete di prevenzione, ma definisce i parametri ai quali il datore deve attenersi per attuare
misure di prevenzione (che però non sono specificate da questa norma). I parametri a cui il datore
deve attenersi sono:
Criticità:
o Nella sua genericità, questa norma da sola non ha potuto costituire il fondamento della
disciplina della prevenzione, per questo negli anni si è posta l'esigenza di integrare la materia
con una specifica legislazione prevenzionistica.
o All’obbligo del datore di lavoro corrispondeva una posizione di diritto al singolo lavoratore,
senza considerare l’interesse collettivo alla prevenzione. Quindi, molto difficilmente il
lavoratore andava a rivendicare questo diritto, temendo un comportamento ritorsivo del
datore di lavoro → mancava una tutela collettiva.
► Una prima risposta arriverà dallo statuto dei lavoratori (l.300/1970), che all’art. 9 prevedeva
la costituzione di rappresentanze sindacali allo scopo di promuovere la tutela della salute
nei luoghi di lavoro. Oltre a prevedere specifici compiti dei datori aziendali.
► D.lgs. 626/1994 – Alla fine degli anni ’80, vengono emanate un gruppo di direttive europee,
costituite da una direttiva cd. “madre”, che stabilì gli obblighi per tutti i luoghi di lavoro, a cui
seguiranno delle direttive cd. “figlie”, volte a realizzare prevenzione rispetto a specifici
settori merceologici.
Il d.lgs. 626/1994 costituì l’attuazione della direttiva europea madre, nel quale viene
presentata un’idea di prevenzione diversa da quella che caratterizzato la legislazione
precedente: secondo questa direttiva alla prevenzione non doveva partecipare unicamente il
datore di lavoro, ma anche i lavoratori al fine di realizzare un sistema previdenziale.
- Per quanto riguarda i lavoratori, viene ripresa l’idea della rappresentanza dei
lavoratori in materia di salute e sicurezza, e viene articolata una disciplina in merito.
- Quanto alla figura datoriale, al datore vengono riconosciuti una serie di obblighi:
Si è anche corso il pericolo che questo intervento di sistematizzazione non vedesse la luce
→ Ad incentivare questo processo di razionalizzazione, oltre ad altre cose, fu il caso
Thyssenkrupp, vicenda che scosso il nostro paese, in cui persero la vita diversi lavoratori.
Testo unico in materia di salute e sicurezza
Questo testo unico prevederà decine e decine di obblighi, tra i più qualificanti vi l’obbligo di
compiere una la valutazione periodica di tutti i rischi, già esplicitato dal d.lgs. 626/1994 e dalla
Corte di cassazione.
Il primo comma dell’articolo 28 richiede al datore di lavoro di valutare TUTTI i rischi per la
sicurezza e la salute dei lavoratori, anche quelli particolari. In particolare, l’articolo fa riferimento
alle figure di rischio derivanti:
Dallo stress lavoro-correlato, che ai sensi dell’accordo europea dell’8 ottobre del 2004, è
uno stato di malessere dato da disfunzioni fisiche, psicologiche o sociali, causato da diversi
fattori quali il contenuto e l’organizzazione del lavoro, l’ambiente di lavoro, la comunicazione nei
luoghi di lavoro.
Dalla condizione di gravidanza delle lavoratici , secondo i contenuti del Testo unico in
materia di tutela della maternità e della paternità, d.lgs. 151/2001.
Rischi derivanti dalle differenze che contraddistinguono le persone nella comunità del
lavoro (genere, età, la provenienza, la tipologia di contratto, la lingua, la religione etc… ),
perché questi aspetti dei lavoratori hanno un impatto dal punto di vista dell’esposizione al
rischio.
Esempio: giovani uomini hanno meno rischi delle donne della stessa età, le
persone più vecchie vanno incontro a determinati rischi etc…
Colui che NON adempia a questo obbligo, NON potrà accedere alla disciplina del contratto a
termine con lo scopo di stimolare, incentivare la prevenzione in azienda, poiché diversamente
le imprese non potranno accedere al contratto a termine.
È interessante che sentiamo in questo articolo l’eco del diritto antidiscriminatorio: obbligando il
datore di lavoro a considerare i diversi aspetti che ci caratterizzano si va a delineare una disciplina
protettiva.
Il diritto del lavoro, in particolare su impulso del diritto europeo del lavoro, è una delle branche più
attive nel diritto antidiscriminatorio. Ancora oggi, la discriminazione è ampiamente diffusa nel
mondo lavorativo: soprattutto discriminazioni di genere; in cui la legislazione fa rientrare le
molestie sessuali, ma anche altri fattori di rischio che possono determinare discriminazioni (lingua,
tipo di contratto, religione, provenienza etc…).
- Legge 238/2021, che ha modificato il d.lgs. 216 del 2003, nel quale è reperibile una parte
rilevante del diritto antidiscriminatorio.
o Decreto legislativo 286/1998, che costituisce il testo unico in materia di stranieri extra
UE→ disciplina antidiscriminatoria rispetto ai fattori di rischio della razza e dall’etnia.
(discriminazioni in ragione della razza e dell’etnia). Materia su cui interverrà anche il
d.lgs. 215/2003
o D.lgs. 216/2003 che guarda alla tutela di nuovi fattori di rischio, emersi dalla sensibilità
collettiva, religioni, convinzioni personali, età, disabilità e l’orientamento sessuale.
Alla luce di questo sviluppo normativo, ci si è trovati davanti un quadro normativo stratificato e
complesso, che necessitava di essere riordinato e razionalizzato. Venne, quindi, prevista, mediante
legge delega, la redazioni di un testo unico in materie di tutela antidiscriminatoria, che
considerasse tutti i fattori di rischio finora emersi.
Tuttavia, non si è giunti alla redazione di un testo unico, ma si è redatto un testo che ha tenuto in
considerazione solo la disciplina antidiscriminatoria per ragioni di genere, in base alle differenze di
sesso → ossia il d.lgs. 198/2006 = codice per le pari opportunità tra uomini e donne.
NB: Quindi, per i fattori di rischio diversi dal genere, dobbiamo consultare altre
legislazioni, che presentano elementi di analogia con le norme di protezione in materia di
differenze di genere.
Discriminazione in ragione del genere
Ci si è chiesti se queste ipotesi, alla quale non è riservata una disciplina specifica, rientrino
in quelle ipotesi tutelate dalla disciplina antidiscriminatoria di genere. La risposta è che
rientrano.
La Discriminazione di genere
Le discriminazioni dirette:
Art.25, co.1 – discriminazioni dirette
“Costituisce discriminazione diretta, ai sensi del presente titolo, qualsiasi
disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento, nonché l'ordine di
porre in essere un atto o un comportamento, che produca un effetto
pregiudizievole discriminando le candidate e i candidati, in fase di selezione del
personale, le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il
trattamento meno favorevole rispetto a quello di un'altra lavoratrice o di un altro
lavoratore in situazione analoga”.
Nell'ambito della discriminazione di genere diretta può rientrare una qualsiasi disposizione,
criterio, prassi, atto o comportamento. Quindi, volendo, può riguardare anche trattamenti che
derivino dall’applicazione di regole del contratto collettivo e persino di norme di legge.
Tuttavia, affinché possa integrare la figura della discriminazione diretta, deve avere una
connotazione oggettiva: “deve produrre un effetto pregiudizievole”. In questo senso si è espressa
anche la giurisprudenza affermando che l’illecito discriminatorio per ragioni di genere deve basarsi
su elementi obiettivi, a prescindere dall’intento del suo autore.
Discriminazione indiretta :
Art.25, co.2
“Si ha discriminazione indiretta, ai sensi del presente titolo, quando una
disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento,
compresi quelli di natura organizzativa o incidenti sull'orario di lavoro,
apparentemente neutri mettono o possono mettere i candidati in fase di
selezione e i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare
svantaggio rispetto a lavoratori dell'altro sesso, salvo che riguardino requisiti
essenziali allo svolgimento dell'attività lavorativa, purché l'obiettivo sia legittimo
e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari”.
Ciò che distingue la discriminazione diretta da quella indiretta, e il riferimento ad atti e patti
pregiudizievoli apparentemente neutri, che tuttavia determinano o possono determinare una
discriminazione per ragioni di genere.
Esempio: I giudici hanno affermato la discriminazione indiretta, in un caso noto in cui era
previsto un bando per svolgere l’attività di vigile urbano, tra i requisiti di ammissione era
prevista una specifica altezza dei candidati, non c’è riferimento esplicito al genere, ma la
richiesta dell’altezza comportava l’esclusione di più donne che uomini.
Successivamente, la legge 162/2021 modifica l’articolo 25, andando ad aggiunger il comma 2-bis,
genitore :
Questo articolo delinea una tutela in caso di ipotesi discriminatorie legate al problema del
bilanciamento di vita-lavoro.
Ipotesi tipiche di discriminazione di genere
Il decreto 198/2006, su influsso del diritto europeo del lavoro e riprendendo disposizioni già
presenti nella legislazione precedente (in particolare nella legge 903/197.), contiene delle ipotesi
tipiche di discriminazione , agli articolo 26 ss., come: molestie sessuali, discriminazione nello
svolgimento della prestazione lavorativa e nella carriera, discriminazioni nell’accesso alle
prestazioni previdenziali, licenziamento per causa di matrimonio, licenziamento in ragione della
maternità.
Questo articolo fornisce sia la nozione di “molestie” che la nozione di “molestie sessuali”, i quali
sono 2 fenomeni distinti. Le molestie sono comportamenti motivati dalla differenza di genere,
mentre le molestie sessuali sono comportamenti che hanno connotazione sessuale.
Ciò che accomuna questi 2 fenomeni è il carattere della indesideratezza da parte della persona
che subisce quel comportamento. Quindi l’illiceità del comportamento è legato alla percezione
soggettiva di chi quel comportamento lo subisce, che potrà ritenere certi comportamenti
accettabili o meno.
Questo elemento, però, risulta essere molto controverso, ad esempio si potrebbero avere casi di
ipersensibilità, reazioni sproporzionate rispetto alla condotta subita.
Si è posta l’esigenza di operare anche valutazione oggettiva rispetto a questo elemento. In merito,
gli studiosi hanno cercato di fornire delle possibili soluzioni, come:
Comma 2-bis
Il comma 2-bis dell’articolo 26, prevede che rientrino nella nozione di discriminazione anche quei
comportamenti sfavorevoli che il datore di lavoro pone in essere nei confronti del lavoratore, dopo
che questi si sia rifiutato o sottomesso alle molestie o alle molestie sessuali.
Comma 3-ter
Questa norma evidenzia anche l’esigenza di realizzare strumenti e misure previdenziali della salute
e della sicurezza, a opera anche della contrattazione collettiva, volte a creare un clima di
benessere organizzativo, ai sensi dell’articolo 2097 cc.
Quindi questo rinvierebbe alla possibilità di prevedere azioni positive soltanto nei confronti delle
donne (non abbiamo il carattere della bidirezionalità) propri per realizzare un effettivo
eguagliamento (situazioni diverse vanno trattate in modo diverso e situazioni uguali in modo
uguale). Nell’impiego privato questi interventi hanno natura volontaristica, mentre nell’impiego
pubblico sono maggiormente vincolate.
Questo è un tema che nel dibattito pubblico rinvia alle quote di genere per l’accesso
all’impiego, al fine di realizzare una parità numerica (es: posti solo per le donne) Nel
nostro ordinamento non hanno legittimità in ambito lavoristico i sistemi di quote rigide, è
semmai ammesso un sistema di quote flessibili (cioè interventi di natura promozionale
temporanea, da rimuoversi quando sono state tolte le cause che rappresentavano un
ostacolo all’effettivo eguagliamento).
La legislazione del decreto lgs. 198/206 prevede un articolato sistema istituzionale, cioè prevede
una pluralità di soggetti che a vario titolo e a vari livelli sono tenuti al rispetto della disciplina
antidiscriminatoria, sia a livello nazionale che a livello territoriale (consigliera di parità).
Accanto a queste figure, molte imprese (volontariamente), mediante codici di condotta, hanno
previsto commissioni per le pari opportunità, così come nel contesto del pubblico impiego, poi
abrogate per la previsione di comitati unici di garanzia.
Disciplina lavoristica relativamente a fattori di rischio ulteriori al fattore di genere:
Guardando alla tutela antidiscriminatoria più recente, oltre il fattore di discriminazione di genere,
il riferimento va essenzialmente ai d.lgs. 215 e 216 del 2003:
- D.lgs. 215/2003 - riguarda i fattori di rischio della Razza ed etnia. Materia a cui si era già
riferito il d.lgs. 286/1998
Tieni conto che in materia di disabilità occorre fare riferimento a due legislazioni del lavoro
precedenti : legge 104/1992 e legge 68/1999. Inoltre, il fattore della nazionalità è un
elemento che costituisce è un fattore aggiunto a seguito della legge 238/2021 = c.d. “legge
europea 2019/2020”
Questa forte analogia ha spinto la dottrina a parlare di una tendenza al compattamento, con la
disciplina antidiscriminatoria per ragioni di genere.
Alla luce dell’articolo 1 di entrambi questi decreti legislativi, possiamo notare che questi molteplici
fattori di rischio possono coesistere/intrecciarsi tra di loro. Quindi la discriminazione può riguarda
più fattori di rischio contemporaneamente, in tal caso si parla di discriminazioni doppie, nel caso
in cui si parli di soli 2 fattori di rischio, o multiple, qualora siano più di 2. Chi svolge una
prestazione di lavoro può esprimere almeno due fattori di rischio e persino tutti, in certi casi.
nel d.lgs. 81/2008, art. 28 co 1, viene disciplinato l’obbligo datoriale della valutazione dei
rischi, disciplina in cui, come avevamo detto, notiamo il riflesso del diritto
antidiscriminatorio.
Legame rinvenibile nell’art. 3 co 1 lettera b. del d.lgs. 216/2003, a seguito delle modifiche
opera della legge europea 2019/2020
È vera l’affermazione secondo la quale soprattutto le lavoratrici più giovani sono mal
pagate; possono risentire in modo evidente i differenziali retributivi. Inoltre, sono i soggetti
maggiormente esposti al fenomeno delle molestie sessuali, col il conseguente rischio di
esporsi a patologie da stress e contrarre patologie.
Ma è anche vero che il fenomeno delle disuguaglianze e le loro implicazione negative per le
donne, riguardano anche le lavoratrici meno giovani, riferimento ad un ambito anagrafico
specifico: dai 45 ai 55 anni (emerge dalle ricerche). E non solo, spesso nelle imprese accade
che ad esempio ci sia un’esitazione a riconoscere nei loro confronti un’attività di
formazione, di potenziamento, aggiornamento professionale, sulla base di una ricorrente
argomentazione il rendimento di questo investimento sarebbe troppo limitato, in
relazione al fatto che non si è più giovani. Per le stesse ragioni si esita a promuoverle, a
realizzare un avanzamento professionale. Risulta anche che le lavoratrici meno giovani
siano esposte a pressioni, a comportamenti vessatori, e a pratiche di mobbing, il cui
obiettivo è quello di promuoverne l’uscita dal mercato del lavoro → ad esempio con
isolamento o progressiva dequalificazione professionale.
Tuttavia, se rilevanti sono i limiti dell’età nel lavoro e da questo punto di vista pensiamo ad
una maggiore ridotta capacità fisica della persona non giovane, è altrettanto vero che
l’invecchiamento non implica necessariamente l’indebolimento delle capacità cognitive o
psico-relazionali e gestionali. Questi sono anche aspetti che caratterizzano le forme di
lavoro contemporaneo.
Problema delle diseguaglianze nelle responsabilità familiari (conciliazione vita-lavoro) →
anche qui le differenze d’età possono esporre le donne meno giovani ad una serie di
patologie. I problemi della conciliazione, in particolare interessano le lavoratrici giovani, ma
è anche vero che una lavoratrice meno giovane può spesso riportare elevatissimi livelli di
stress (45-55 anni), ciò in relazione al fatto che quando si è meno giovani ci si trova spesso
nella condizione di dover sopportare un doppio carico di cura : sia nei confronti dei minori
d’età (“nonni sitter”), sia relativo alla presenza di parenti anziani. Queste situazioni sono
spesso l’esito di una progressiva mancanza di servizi per anziani e per infanzia, problemi del
welfare pubblico.
Dal punto di vista delle responsabilità familiari, quindi conciliazione vita-lavoro → è stato
osservato da studiose del diritto antidiscriminatorio, come queste lavoratrici siano allo stesso
tempo migliori attrici non protagoniste della conciliazione altrui e anche potenziali vittime di una
loro conciliazione impossibile, questi nei casi in cui, per necessità un rapporto di lavoro, la
lavoratrice straniera è co-residente (quando lavoratrice vive in un’altra famiglia) → patologie da
stress, lesioni gravi alla salute.
La componente straniera femminile ,ma anche maschile non è sempre uguale dal punto di vista
degli stili di vita e delle culture di appartenenza (ci sono diverse culture, religioni etc…). Anche
questo può influenzare gli aspetti legati alla tutela sul lavoro. Questo emerge studi in chiave
antropologica e psico-sociale l’impatto della provenienza geografica sulla esposizione al rischio.
Possibili rimedi alle discriminazioni – la disciplina prevenzionistica :
L’applicazione della normativa in materia prevenzionistica costituisce un importante strumento di
contrasto alle discriminazioni di genere nella intersezione con altri fattori di discriminazione.
Sempre in proposito si è scritto che : “una tale prospettiva si può ritenere del tutto coerente con
l'evoluzione nel tempo delle politiche europee che hanno progressivamente trasformato la
promozione delle pari opportunità da obiettivo di intervento specifico a priorità di carattere
trasversale, e di conseguenza rilevante anche per la materia della salute e della sicurezza nei
luoghi di lavoro”.
I rimedi che possono essere ipotizzati nella fase di valutazione dei rischi sono ad esempio :
- Prevedere una valutazione dell’ effettivo apporto nel lavoro da parte della componente
femminile più “matura” (anziane)→ ad esempio si è suggerito di favorire, per le lavoratrici,
ma anche per i lavoratori, una maggiore autonomia nello svolgimento del loro incarico
lavorativo, anche per scongiurare fenomeni di demotivazione, assenteismo, ossia di perdita
di senso del lavoro che si sta eseguendo. Si è anche scritto che occorrerebbe predisporre
un ambiente lavorativo positivamente attento alle differenze virtuose dell’età.
● art. 37 co.1 costituzione → tratta la parità di trattamento uomini e donne, dal punto di
vista retributivo e tutela riservata alla lavoratrice in relazione alla sua essenziale funzione
familiare
● Da qui sono scaturite delle legislazioni di attuazione costituzionale che mettevano al centro
la lavoratrice :
Trattamento economico in caso di congedo di maternità (art. 16 ss del d.lgs 151 del
2001) →80% della retribuzione.
A seguito di questa legge restava irrisolta la questione del riconoscimento del
congedo di paternità in via diretta →
- Legge Fornero n 92 del 2012 : 1 giorno per il congedo di paternità, con retribuzione
del 100% + congedo di paternità facoltativo pari a 2 giorni, in sostituzione e previo
consenso della madre. Poteva avvalersene entro 5 mesi di vita del bambino. Previsti
anche voucher baby-sitting e asili nido, permesso alla madre di monetizzare la sua
astensione.
- legge 228 del 2012 (di bilancio per l’anno 2013) : attuazione della seconda direttiva
in materia di congedi e conciliazione (che abroga la 34 del 2006) n 18 del 2010.
Intervento di modifica del congedo parentale, che riguarda entrambi i genitori,
previsto il frazionamento ad ore del congedo parentale.
- Job act atto II (legge delega 183 del 2014, da cui scaturisce d.lgs. 80 del 2015) : si
interviene su d.lgs. 151 del 2001, viene risolto il problema del frazionamento ad
ore, dagli 8 ai 12 anni. Non si caratterizza per un numero rilevante di novità,
recepimento degli orientamenti giurisprudenziali elaborati da Corte costituzionale.
Sarà oggetto delle successive leggi di bilancio
- Attuazione direttiva 1158/2019 con art. 1 co 134 legge 234 del 2021 a decorrere
dal 2022, il congedo obbligatorio di paternità viene elevato a 10 giorni; per quanto
riguarda il congedo di paternità facoltativo la durata è ridotta ad 1 giorno.
- Il 31 marzo 2022 è stato approvato lo schema del d.lgs. attuativo della terza
direttiva in materia di congedi e conciliazione (n° 1158/2019), alla luce della quale
sono state previste una serie di novità che riguardano :
o Durata del congedo → fermi restando i limiti massimi pari a 6 mesi, i mesi di
congedo parentale coperti da indennità previdenziale vengono aumentati da
6 a 9. Indennità previdenziale pari al 30%.
Nei casi indicati nel comma precedente, l'imprenditore ha diritto di recedere dal
contratto a norma dell'articolo 2118, decorso il periodo stabilito dalla legge
[dalle norme corporative], dagli usi o secondo equità
Il periodo di assenza dal lavoro per una delle cause anzidette deve essere
computato nell'anzianità di servizio”
Alle cause legittime di astensione dal lavoro, si associa anche il diritto alla conservazione del
rapporto di lavoro. Questa norma prevede 3 tipi di tutela:
2) Garantisce la conservazione del posto di lavoro ( co.2) → cause di sospensione del rapporto
di lavoro legittime permettono il mantenimento del posto di lavoro, ma per un periodo di
tempo determinato, generalmente disciplinato dalla contrattazione collettiva e che assume
la denominazione di periodo di comporto. Possiamo distinguere fra :
Nel caso in cui non ci fosse una disciplina da questo punto di vista, dobbiamo fare
riferimento all’ art. 2110 co 2 C.C. che, nella determinazione di questi periodi, rinvia al
giudice che decide secondo equità.
Controllo sulla veridicità della condizione di salute → per garantire imparzialità il datore
può realizzare questi controlli attraverso medici pubblici (c.d. “medici fiscali”), ai sensi
dell’art. 5 della legge 300 del 1970. Rispetto all’accertamento della malattia già diagnostica
avviene una conferma, una smentita o una modifica della malattia. In caso di modifica si
può determinare un aumento o diminuzione del periodo di assenza.
È possibile, legittimo, per evitare abusi, operare dei controlli, ne consegue che i lavoratori
devono poter essere reperibili e quindi parliamo di un obbligo di reperibilità = si realizza in
specifiche fasce orarie, salvo che sussista un giustificato motivo per cui non è possibile
essere reperibili, diversamente abbiamo la sanzione della decadenza dal trattamento
economico fino a 10 giorni + previsione di sanzioni disciplinari.
Cause legittime :
Per quanto riguarda infortunio e malattia professionale dobbiamo fare riferimento d.p.r.
1124/1965. Legislazione in cui vengono disciplinati aspetti relativi all’ente previdenziale che viene
in considerazione in queste 2 ipotesi, ossia l’INAIL, e vengono definiti l’infortunio e la malattia
professionale e anche le relativi interventi/prestazioni economiche.
Per quanto concerne le prestazioni/interventi sanitarie occorre fare riferimento alla legislazione
istitutiva del servizio sanitario nazionale, ossia la legge 1833/1978 e successive modifiche. Legge
che tratta della malattia ordinaria o generica, e non professionale.
L’INAIL ha competenza residuale: cioè interviene solo quando NON c’è copertura previdenziale
assicurativa ad altro titolo. In merito, il dpr interviene mediante la previsione di un obbligo
assicurativo in determinate condizioni di rischio per la salute o la sicurezza:
o Tra gli elementi che ne determinano l’importo rientra l'andamento infortunistico medio a
livello → disposizione finalizzata a costituire una coazione (perché è vincolante) indiretta
all’attuazione della disciplina di prevenzione in azienda.
La malattia professionale si tratta di una lesione dovuta a una lenta esposizione al fattore di rischio
(es lavorare in industria chimica, lenta e continua esposizione a fattori di rischio che a lungo
andare potrebbero causare ad esempio il cancro).
o Per l’infortunio, tuttavia, non è richiesto un nesso causale stringente, difatti il dpr riconosce
una tutela economica anche nl caso di infortunio in itinere = lesione della salute del
lavoratore che si determina nel tragitto dal luogo di abitazione al luogo di lavoro o, in
assenza di una mensa aziendale, nel tragitto tra il luogo di consumazione dei pasti e il luogo
di lavoro (la legislazione parla di "normale percorso”, per cui se si fa un percorso diverso
l’INAIL potrebbe non intervenire).
INABILITÀ AL LAVORO: A seguito della lesione si può determinare una inabilita al lavoro,
queste può essere:
Temporanea, quindi sanabile nel tempo. Questa inabilità è assoluta e specifica (in
che senso???)
Il lasso di tempo che intercorre dalla data in cui si verifica l’infortunio e la data in cui
viene riconosciuta l’indennità, prende il nome di periodo di carenza. Secondo
quanto previsto dalla contrattazione collettiva l’indennizzo di questo periodo di
carenza è a carico del datore di lavoro, mentre quello successivo è a carico
dell’INAIL
DECESSO : l'ordinamento riconosce una rendita da erogare ai superstiti (coniuge e figli) pari
al 100% della retribuzione. In mancanza di coniuge o figli verrà riconosciuta agli ascendenti,
ai fratelli e alle sorelle, se conviventi e a carico della persona deceduta. Spetta inoltre al
coniuge, o in mancanza ai figli, un assegno funerario.
Abbiamo il riconoscimento di una rendita al “coniuge”, e quindi in virtù della legge 76/2016
la rendita è riconosciuta anche all’unito civilmente.
Vengono erogate anche prestazioni sanitarie che sono di competenza del servizio sanitario
nazionale, istituito con la legge 833/1978.
In questi casi sorge il diritto alla prestazione economica in capo al lavoratore leso. Questo diritto
viene riconosciuto dall'ordinamento indipendentemente dall’adempimento, da parte del datore di
lavoro, dell’attività contributiva, quindi indipendentemente dal versamento dei contributi
previdenziali → in virtù dell’articolo 2116 c.c., in cui troviamo affermato il principio
dell’automaticità delle prestazioni.
Questo perché nel sistema di sicurezza sociale successivo alla costituzione NON c’è una stretta
relazione tra contributi versati e prestazioni economiche riconosciute: perché l’idea di sicurezza
sociale contenuta nella Costituzione è quella della garanzia sempre presente al verificarsi di eventi
generativi di bisogno.
Gli infortuni e le malattie extralavorative sono una cosa diversa e non rientrano nella tutela
dell'articolo 2110 cc.
Per gli infortuni e malattie extralavorative viene chiamato in causa il servizio sanitario nazionale,
perché questo rende delle prestazioni sanitarie. Esso fa capo allo stato, alle regioni, ai comuni, è
un’articolazione complessa (dopo la pandemia e in relazione ad esperienze negative nella gestione
del servizio da parte delle regioni si sta tornando a parlare di ricentralizzatine del sistema sanitario
nazionale, per garantire tutela uniforme su tutto il territorio). Il servizio sanitario nazionale
consente la cura della malattia, eroga un servizio anche sulla base della percezione soggettiva della
malattia, anche quando “penso di essere malata”, si occupa di riconoscere le prestazioni
diagnostiche, non è un intervento che c’è solo quando vi è una lesione concreta della salute.
5. ELEMENTI DI DIRITTO SINDACALE
Guarderemo al diritto sindacale: diritto alla libertà sindacale, il diritto di sciopero, il fenomeno della
contrattazione collettiva.
Rilevante il diritto previdenziale rispetto al diritto del lavoro nella sua accezione più ampia, teniamo inoltre
conto del fatto che il diritto del lavoro abbraccia anche il diritto sindacale.
Contesto storico… :
…In cui hanno visto la luce le norme costituzionali : art. 39 Costituzione (diritto a libertà sindacale e
contrattazione collettiva), art. 40 Costituzione.
Perché il legislatore costituzionale si occupa di questi diritti nel contesto delle disposizioni più importanti
dell'ordinamento giuridico nazionale? Il contesto era quello del fascismo, che aveva posto il sindacato unico,
previsione di fortissimi ostacoli alla coalizione sindacale, la contrattazione collettiva era fonte di leggi,
costituita da un unico sindacato, illiceità penale dello sciopero, non era possibile effettuare attività
rivendicativa.
L’articolo 39 della Cost. Parla di libertà sindacale sia a livello individuale sia a livello collettivo:
A chiudere il Titolo II, è l’ Art. 18 → prevede tutela reale in caso di illegittimo licenziamento, poi oggetto di
modifica con la flessibilità in uscita (in particolare con la Legge Fornero)
Libertà sindacale collettiva :
Quanto al profilo collettivo l’art. 39 co 1 consente al sindacato la libertà delle forme organizzative, delle
regole che disciplinano l’assetto interno, ma anche libertà nella definizione di obiettivi e strumenti
dell’attività sindacale senza alcuna interferenza.
1. La libertà di associazione è vincolata, occorre un vaglio di liceità penale, non richiesto per la coalizione
sindacale. La Costituzione, con art. 39 co 1 ha espresso un’implicita valutazione di liceità della coalizione
sindacale (in altre parole ritiene che siano implicitamente lecito)
Tuttavia, nel tempo questo diritto ha varcato i confini del lavoro dipendente sino a interessare ampi
settori del lavoro autonomo:
→ In particolare, i lavori simil dipendenti, cioè formalmente autonome ma le cui modalità di esecuzione
sono assimilabili al lavoro dipendente (collaborazioni coordinate continuative). Anche queste figure
devono poter beneficiare del diritto alla libertà sindacale ex art. 39 co 1, poiché di fatto dipendenti.
→ Gli imprenditori (lavoratori autonomi) possono a loro volta svolgere attività sindacale e si discute se
la loro attività sia riconducibile nell’art. 39 co 1 o nell’art. 18 Cost. (libertà di associazione). In
merito si hanno 2 tesi:
- C’è chi esclude il riferimento all’art. 39 co 1 per gli imprenditori (quindi che abbia una valenza
unilaterale) → perché nel caso dei lavoratori è sempre presente una dimensione collettiva,
diversamente sul versante imprenditoriale, dove l’attività sindacale può essere anche espressa
anche singolarmente dall’imprenditore.
Es: contrattazione aziendale, in cui è parte il singolo datore di lavoro, il singolo imprenditore
- Per altri anche il fenomeno collettivo sindacale imprenditoriale deve essere incluso nell’art. 39
co 1 → non c’è motivo di operare distinzione, perché in entrambi i casi siamo in una logica
conflittuale, entrambi esprimono il conflitto industriale.
Inoltre, Il fatto che nella legislazione in materia di diritto sindacale, in molti casi sono presenti
legislazioni promozionali nei confronti dell'organizzazione sindacale dei lavoratori, potrebbe
costituire un elemento che porta a escludere il sindacalismo datoriale dall’ambito di applicazione di
art 39 co.1, ma in realtà risponde alla necessità di permettere l'effettivo svolgimento delle attività
sindacali dei lavoratori, poiché maggiormente esposte ad ostali. Tuttavia, ciò non deve determinare
l’esclusione dall’ambito di applicazione dell’art. 39 anche dal fenomeno sindacale degli
imprenditori.
Oltre ai lavoratori autonomi, ci sono altre Categorie di lavoratori per cui è stata posta in dubbio la titolarità
del diritto alla libertà sindacale :
● lavoratori dell’impiego pubblico → poi superata in forza della legislazione vigente in materia di
pubblico impiego, contenuta nel d.lgs 165/2001 (testo unico in materia di pubblico impiego)
● militari → era previsto un divieto di organizzazione sindacale, ritenuta incompatibile con le funzioni
e le attribuzioni di questi soggetti. Parzialmente modificata a seguito della sentenza dell’11 aprile
2018 della Corte costituzionale, per cui è possibile esprimere un'azione sindacale pur rimanendo il
divieto di aderire ad altre associazioni sindacali.
● polizia di stato → analogamente ai militari, possibile esprimere una coalizione sindacale, pur
rimanendo il divieto di aderire ad altre situazioni sindacali
Le altre figure del mondo del lavoro restano sfornite? No, perché relativamente alle altre figure, il
fondamento normativo deve essere rinvenuto anziché nell’art. 39 co 1, nell'art. 18 Costituzione.
I diritti sindacali – Titolo III
Nel titolo III dello statuto in cui sono disciplinati i diritti sindacali, la cui titolarità compete anzitutto alle
rappresentanze sindacali aziendali, ma non di tutte le imprese, ma solo nei confronti delle imprese che
presentano specifici limiti dimensionali, più esattamente qualora l'impresa abbia una consistenza numerica
pari a più di 15 dipendenti→ specificato nell’art. 35 dello statuto dei lavoratori.
Art. 35
Per le imprese industriali e commerciali, le disposizioni del titolo III, ad eccezione
del primo comma dell'articolo 27, della presente legge si applicano a ciascuna
sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo che occupa più di quindici
dipendenti. Le stesse disposizioni si applicano alle imprese agricole che occupano
più di cinque dipendenti
Le norme suddette si applicano, altresì, alle imprese industriali e commerciali che
nell'ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti ed alle
imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di cinque
dipendenti anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non
raggiunge tali limiti.
Ferme restando le norme di cui agli articoli 1, 8, 9, 14, 15, 16 e 17, i contratti
collettivi di lavoro provvedono ad applicare i principi di cui alla presente legge
alle imprese di navigazione per il personale navigante.
Queste rappresentanza sindacali sono costituite in base a quanto disposto dall’art. 19.
Art. 19
Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in
ogni unità produttiva, nell'ambito:
a) delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano
nazionale;
b) delle associazioni sindacali, che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati
nell'unità produttiva.
Nell'ambito di aziende con più unità produttive le rappresentanze sindacali possono istituire
organi di coordinamento.
→ l’art. 19 individua criteri in base ai quali viene misurata la rappresentatività dei soggetti sindacali
rispetto al mondo del lavoro. Fattore in base alla quale, ad alcuni di questi Soggetti (rapp. sindacali) sono
riconosciuti i diritti sindacali.
Nell’ambito delle associazioni, ai sensi della lettera a prende in considerazione il contesto storico. La lettera
a dell’articolo 19 prende in considerazione il piano storico delle organizzazioni sindacali (CISL, CGIL).La
lettera b guarda a espressioni sindacali anche differenti sviluppatesi al di là dell’esperienza storica delle
organizzazioni sindacali.
Quindi è una norma selettiva dei soggetti collettivi titolari dei diritti sindacali. Questa selettività è resa
necessaria dal fatto che alle rappresentanza sono riconosciute dei diritti che hanno un costo per il datore di
lavoro (che altrimenti dovrebbe soddisfare troppa gente), come:
● diritto di assemblea, art. 20 Statuto → viene riconosciuta ai lavoratori il diritto di riunirsi durante
l'orario di lavoro, nel limite di 10 ore annue per le quali sarà corrisposta la normale retribuzione,
salvo interventi migliorativi della contrattazione collettiva. Mediante questo diritto i lavoratori
possono discutere di materie di interesse sindacale e lavorative.
Queste riunioni sono indette dalle rappresentanze sindacali e vi possono partecipare, oltre ai
lavoratori, i dirigenti esterni del sindacato che ha costituito la rappresentanza sindacale aziendale,
previo preavviso al datore di lavoro.
● permessi retribuiti, art. 23 Statuto → Ai dirigenti delle rappresentanza sindacali, di cui l’art.19,
sono riconosciuti dei permessi retribuiti, in relazione alle dimensioni dell’impresa.
Il dirigente che intende esercitare il diritto deve darne comunicazione scritta al datore di lavoro
almeno 24h prima, tramite le rappresentanze sindacali aziendali.
● permessi non retribuiti, art. 24 Statuto → Ai dirigenti delle rappresentanza sindacali, di cui l’art.19,
sono riconosciuti dei permessi non retribuiti , per la partecipazione a trattative sindacali o a congressi
e convegni di natura sindacale, in misura non inferiore a otto giorni all'anno. I dirigenti che
intendano esercitare il diritto di cui al comma precedente devono darne comunicazione scritta al
datore di lavoro di regola tre giorni prima, tramite le rappresentanze sindacali aziendali.
● diritto di affissione → art. 25
“Le rappresentanze sindacali aziendali hanno diritto di affiggere, su appositi spazi, che il datore di lavoro ha
l'obbligo di predisporre in luoghi accessibili a tutti i lavoratori all'interno dell'unità produttiva, pubblicazioni,
testi e comunicati inerenti a materie di interesse sindacale e del lavoro.”
→ diritto di affiggere pubblicamente comunicati di interesse sindacale. Rispetto a quest’attività di
comunicazione il datore è obbligato a predisporre spazi in luoghi accessibili a tutti i lavoratori
all’interno dell’attività produttiva. La giurisprudenza ha fatto una puntualizzazione nel caso in cui il
datore di lavoro si serva di strumenti informatici (quali mail) per comunicare coi propri dipendenti :
la sua condotta sarebbe antisindacale quando, nei casi in cui comunica tramite strumenti informatici,
non consenta di utilizzare queste modalità anche alle rappresentanze sindacali. In questo caso il
datore è tenuto a mettere a disposizione degli rsa uno spazio virtuale all’interno del sistema
telematico dell’azienda, che svolga la funzione di “bacheca informatica”.
● obbligo per il datore di lavoro, con almeno 200 dipendenti, di mettere permanentemente ad
esposizione delle rappresentanze sindacali aziendali, per l’esercizio delle loro funzioni uno
spazio idoneo all'interno dell’unità produttiva o nelle immediate vicinanze→ art. 27; se siamo in
presenza di un’ impresa con meno 200 dipendenti, le rappresentanze aziendali non possono
richiedere uno spazio permanente, ma gli viene comunque riconosciuto il diritto di usufruire di uno
spazio quando ne facciano richiesta.
“Il datore di lavoro nelle unità produttive con almeno 200 dipendenti pone permanentemente a disposizione
delle rappresentanze sindacali aziendali, per l'esercizio delle loro funzioni, un idoneo locale comune
all'interno della unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa.”
TITOLO IV
Art. 28 → apre il titolo IV dello statuto dei lavoratori. previsione di uno strumento processuale messo a
disposizione delle organizzazioni sindacali e attraverso il quale è possibile per via giudiziaria reprimere la
condotta antisindacale del datore di lavoro. Articolo con cui viene rafforzata l’effettività della tutela
contenuta nei titoli II e III dello statuto dei lavoratori, dei diritti impliciti all’art. 39 e art. 40 Costituzione.
Rafforza le tutele previste nei titoli precedenti
Art. 28
Qualora il datore di lavoro ponga in essere comportamenti diretti ad impedire o limitare
l'esercizio della libertà e della attività sindacale nonché del diritto di sciopero, su ricorso
degli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse, il
pretore del luogo ove è posto in essere il comportamento denunziato, nei due giorni successivi,
convocate le parti ed assunte sommarie informazioni, qualora ritenga sussistente la violazione
di cui al presente comma, ordina al datore di lavoro, con decreto motivato ed immediatamente
esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti.
L'efficacia esecutiva del decreto non può essere revocata fino alla sentenza con cui il pretore
in funzione di giudice del lavoro definisce il giudizio instaurato a norma del comma
successivo.
Contro il decreto che decide sul ricorso è ammessa, entro 15 giorni dalla comunicazione del
decreto alle parti, opposizione davanti al pretore in funzione di giudice del lavoro che decide
con sentenza immediatamente esecutiva. Si osservano le disposizioni degli articoli 413 e
seguenti del codice di procedura civile.
Il datore di lavoro che non ottempera al decreto, di cui al primo comma, o alla sentenza
pronunciata nel giudizio di opposizione è punito ai sensi dell’art 650 del codice penale.
L’autorità giudiziaria ordina la pubblicazione della sentenza penale di condanna nei modi
stabiliti dall’art 36 del Codice penale ………
Comma 1 → Comportamenti antisindacali, ossia una condotta diretta a impedire o limitare l'esercizio della
libertà sindacale (titolo II + art.39 Cost.) e ella attività sindacale (Titolo III) nonché del diritto di sciopero
(art. 40 cost). Non si tratta di una nozione che si avvale di ipotesi tipizzate, siamo di fronte ad una nozione
indeterminata, perché il legislatore è consapevole dell’estrema difficoltà di tipizzare, di specificare le
condotte antisindacali che ad esempio potrebbero consistere in comportamenti neutrali, eppure idonei a
ledere i diritti protetti dal comma 1.
Quanto ai confini della condotta antisindacale ci sono due aspetti problematici che hanno creato dibattito
interpretativo e che hanno a che fare con il comportamento datoriale in sede di trattative sindacali :
1. nel nostro ordinamento è esistente o meno un obbligo di trattare, di realizzare una trattativa
sindacale, a carico del datore di lavoro? → nel nostro ordinamento NON c’è questo obbligo, siamo
in una dinamica conflittuale che esclude obbligo a trattare per chi lo chiede.
2. Un altro fenomeno che si determina è costituito da trattative in base a tavoli di trattativa separati. Da
questo pov nel nostro ordinamento non esiste un obbligo di parità di trattamento tra organizzazioni
sindacali, posso condurre le trattative separatamente, semmai l’ordinamento richiede che non si
realizzino discriminazioni tra singoli lavoratori o limitazioni dell’attività sindacale
I soggetti legittimati ad attivare questo strumento processuale, cioè chi può fare ricorso, sono gli organismi
locali delle associazioni sindacali nazionali. Anche in questo caso si è adottato un filtro selettivo, infatti
parliamo di associazioni sindacali nazionali e non di tutte le associazioni.
Possiamo concludere che di questo strumento processuale NON possono avvalersi i lavoratori, come ad
esempio nel caso di condotte c.d. plurioffensive, ossia caso in cui la condotta antisindacale leda nello stesso
tempo il sindacato e i diritti dei lavoratori. La Corte costituzionale ha chiarito che l’art.28 ci consegna uno
strumento processuale aggiuntivo e non sostitutivo dei mezzi giudiziari messi a disposizione dei lavoratori.
Legittimazione passiva → Il soggetto verso il quale viene rivendicata questa tutela è il datore, che risponde
anche delle condotte dei suoi dipendenti. Ma, la giurisprudenza prevalente non ritiene soggetto attivo di una
condotta antisindacale l’organizzazione sindacale rappresentativa dei datori di lavoro.
E’ un procedimento incentrato alla rapidità e all’immediatezza (co.1 art.28), si svolge dinanzi al tribunale
del luogo in cui è stata posta in essere la condotta antisindacale (co.1 art.28).
Sanzioni: cessazione del comportamento illegittimo e rimozione degli effetti (co.1 )
Comma 2 → La parte soccombente può fare un giudizio di opposizione entro 15 gg dalla comunicazione del
decreto alle parti.
Comma 3 → se il datore non ottempera al decreto di cui al co 1 o alla sentenza pronunciata nel giudizio di
opposizione è punito ai sensi dell’art. 650 c.p..
Revoca delle agevolazioni fiscali nei confronti del datore per la creazione di nuove occupazioni → art. 7 co 7
della legge 388 del 2000
Fenomeno della contrattazione collettiva
Articolo 39
L'organizzazione sindacale è libera
Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione
presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge.
Lo sciopero, in una prima fase, è stato considerato un reato → codice penale del Regno di Sardegna
del 1859, esteso al territorio nazionale nel momento dell’unificazione italiana nel 1861.
Seconda fase → in virtù del codice penale Zanardelli del 1889, lo sciopero viene inteso come una
libertà, molto circostanziata e sorvegliata: in questa fase si manifestano in modo evidente le lotte dei
lavoratori, che lamentano condizioni di vita e lavoro instabili. Da questa concezione di sciopero
consegue che comunque si tratta di un evento che va a costituire un inadempimento contrattuale,
determinando l’obbligo di risarcire i danni arrecati al datore, poteva esporre anche ad un eventuale
licenziamento. Non esclude le regole della responsabilità civile. Fase dell’industrializzazione,
condizioni insalubri.
Fase corporativa → sciopero come reato in base al codice penale Rocco del 1930, dell’epoca
fascista.
Solo con la Costituzione lo sciopero assume la dignità di diritto. Non è più un fenomeno tollerato,
non c’è più spazio per forme di responsabilità civile → conseguenza : perdita della retribuzione.
L’articolo 40 rinvia a leggi che non hanno costituito oggetto di una successiva legislazione, salvo il caso dei
servizi pubblici essenziali: è lo sciopero che viene indetto per i mezzi di trasporto, per i servizi sanitari.
Molti problemi interpretativi e applicativi derivanti dall’esercizio di questo diritto sono stati affrontati dai
giudici, dalla giurisprudenza. Un primo rilevante aspetto, su cui notiamo un lavoro interpretativo riguarda
l’ambito della titolarità del diritto di sciopero, dal punto di vista se questo debba essere un diritto
dell’organizzazione sindacale che rappresenta i lavoratori. Lo sciopero comporta il riconoscimento di un
diritto diseguale, si presume la debolezza contrattuale del lavoratore, il rapporto di lavoro è improntato ad
una diseguaglianza e asimmetria.
Prima tesi : molto importante il momento sindacale, della proclamazione dello sciopero da parte delle
organizzazioni sindacali, lasciando al singolo la possibilità di aderirvi → pone al centro il protagonismo delle
organizzazioni sindacali.
Seconda tesi : considera il diritto di sciopero un diritto individuale ad esercizio collettivo, cioè la titolarità
del diritto di sciopero spetta al singolo, il quale però dovrà agire questo diritto collettivamente. La
proclamazione delle organizzazioni sindacali non è requisito essenziale della nozione di sciopero, è un
semplice invito a partecipare allo stesso sciopero.
Questa tesi è da preferire, e anche alla luce di questa, i soggetti titolari sono i lavoratori.
Nei confronti di chi : Si tratta di un diritto per i lavoratori dipendenti, il cui riconoscimento è avvenuto anche
per i lavoratori autonomi, in particolare per i lavoratori sì autonomi (riguardo la forma) ma economicamente
dipendenti (dal committente).
Questo diritto deve essere riconosciuto anche nei confronti dei piccoli imprenditori, coloro che sono senza
dipendenti (mentre per gli altri imprenditori parliamo di serrata).
Eccezioni riguardanti :
militari
appartenenti alla polizia di stato
I giudici, dal punto di vista della nozione di sciopero, hanno aggiunto due criteri:
1. Criterio del danno ingiusto → lo sciopero reca con sé il danno inferto ai datori, il quale non doveva
essere superiore rispetto al risparmio derivante dalle mancate retribuzioni. Tesi contestata, perché
veniva rigettata una visione paritaria del rapporto di lavoro.
2. Criterio della corrispettività dei sacrifici → intervento della giurisprudenza di legittimità, la Corte
di Cassazione con sentenza del 1980 sovverte l’impostazione dottrinale (punto 1) e afferma
l’esistenza di una nozione di sciopero che varia, è mutevole e che prende le forme tipiche del
contesto storico in cui si determina lo sciopero, è una nozione mutevole e non aprioristica. A seguito
di questa sentenza viene meno la tesi dei limiti interni dello sciopero. Lo sciopero produce danno alla
produzione, ma valica l’ambito della liceità quando si determina un danno alla produttività. Lo
sciopero deve rispondere all'aspettativa datoriale, alla conservazione dell'organizzazione aziendale
per la ripresa dell’attività lavorativa. Non è più condizionato da limiti interni, cade quella tesi, può
semmai essere compresso e limitato in base ad elementi esterni = quando si determini danno vs
datore di lavoro, non tanto alla produzione, quanto alla capacità produttiva dell’impresa. Si parla
dei limiti esterni dello sciopero, occorre operare bilanciamento tra il diritto di sciopero riconosciuto
dalla costituzione con altri diritti di uguale o maggiore portata costituzionale. Limiti che sono
derivanti da un bilanciamento di sciopero con altri diritti di uguale o maggiore portata costituzionale.
Di riferimento anche alla libera iniziativa economica dell’impresa. QUESTA È LA TESI
ATTUALE
Molti risultati raggiunti dalla contrattazione collettiva sono frutto dell'attività rivendicativa dei lavoratori,
rispetto alla quale parliamo innanzitutto di diritto di sciopero. Art. 40 sancisce il diritto costituzionale allo
sciopero, è un'acquisizione recente, prima l’attività rivendicativa dei lavoratori ha conosciuto vicende
alterne, non è sempre stato un diritto.
E’ un diritto individuale ad esercizio collettivo.
Possiamo configurare anche un ambito di liceità in questi casi, perchè viene in considerazione bilanciamento
tra libertà sindacale positiva e negativa.
boicottaggio → ad esempio riguarda una propaganda a non acquistare i prodotti dell’impresa, art
507 c.p., come ha chiarito la Corte Costituzionale è lecita solo l’attività di propaganda che consiste
nella libera manifestazione del pensiero, garantita dall’art. 21 Costituzione
sabotaggio → forme di lotta sindacale che possono provocare il danneggiamento dei locali aziendali
o di strumenti necessari all’esercizio dell’attività di impresa. Rileva l’art. 508 co 2 c.p.
Anche i datori di lavoro possono però porre in essere comportamenti conflittuali, la questione è quanto questi
comportamenti possono, ad esempio se ritorsivi in risposta allo sciopero, non configurare un comportamento
sindacale.
Strumento del datore per esprimere una conflittualità : serrata. Espressione con cui intendiamo una chiusura
totale o parziale dell'impresa per un tempo più o meno prolungato, non è uno strumento molto usato, quando
è stato usato ha avuto una connotazione difensiva, rispetto a un’azione rivendicativa posta in essere dai
lavoratori.
Considerazioni storiche : la legge ha trattato per lungo tempo la serrata in modo paritario allo sciopero,
osserviamo la stessa scansione a partire dal codice sardo 1859 reato, poi Zanardelli 1889 libertà, poi reato
con Codice Rocco 1930 reato. Con la costituzione invece si ha discontinuità col passato, ha effettuato una
diversificazione; infatti, in un caso lo sciopero è un diritto, nel caso della serrata invece la costituzione tace.
La Corte Costituzionale si è pronunciata sulla serrata, sentenza 29 del 1960 in cui la corte interpreta la serrata
come una mera libertà e quindi alla serrata si accompagna comunque un obbligo di retribuzione. Quando la
serrata configura una risposta a rivendicazioni dei lavoratori, si pone il tema di un’eventuale condotta
antisindacale ex art. 28 co 1 Statuto dei lavoratori, che menziona tali condotte i comportamenti tali da
impedire o limitare il diritto di sciopero. La condotta antisindacale è indeterminata.
Nelle mani dell'imprenditore esiste un altro strumento : crumiraggio = crumiro è colui che non intende
aderire allo sciopero, si sottrae, è una posizione legittima, rientra nella libertà sindacale in senso negativo. Il
problema semmai si pone quando abbiamo un crumiraggio indiretto, cioè quando il datore pone in essere
comportamenti che limitano lo sciopero, ad esempio attraverso due azioni →
Possiamo distinguere :
crumiraggio interno → si tratta ad esempio del fatto che il datore realizzi uno spostamento di
dipendenti da un settore ad un altro per garantire la prosecuzione dell’attività produttiva. Una parte
dell’impresa è in sciopero e quindi il datore sposta dei dipendenti che andranno a sostituire i
lavoratori in sciopero.
crumiraggio esterno → il datore recluta altri lavoratori in sostituzione dei lavoratori in sciopero.
Il crumiraggio è lecito?
Nel caso del crumiraggio interno, l’orientamento interpretativo lo ritiene lecito, a condizione che venga
rispettato il divieto di non adibire a mansioni inferiori il lavoratore, no cambiamento di mansioni in senso
peggiorativo.
Nel caso del crumiraggio esterno, limiti legali che vietano la possibilità di reclutare altri lavoratori in
sostituzione di quelli in sciopero, sono divieti che la legislazione prevede in diverse leggi → divieto legale di
sostituire i lavoratori in sciopero nel caso del contratto a termine, altrimenti si negherebbe il diritto di
sciopero (art. 20 d.lgs 81 del 2015 come modificato dal decreto dignità).
Art. 1 co 1 legge 146 del 1990 (come modificata dalla legge 83 del 2000)
“Ai fini della presente legge sono considerati servizi pubblici essenziali, indipendentemente dalla natura giuridica del
rapporto di lavoro, anche se svolti in regime di concessione o mediante convenzione, quelli volti a garantire il
godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà ed alla sicurezza, alla
Quanto all’ambito di applicazione soggettivo, questo ha subito un ampliamento a seguito della legge 83 del
2000, che infatti ha incluso i lavoratori autonomi, i professionisti, i piccoli imprenditori i quali incidano sulla
funzionalità dei servizi pubblici (art. 2-bis).
Legge che assoggetta il diritto di sciopero, nei settori che sappiamo, ad una procedura che viene innescata da
una fase c.d. “di raffreddamento” e conciliazione, come disciplinata dai contratti collettivi o dai codici di
autoregolamentazione. Quando abbiamo un esito negativo di questa fase di raffreddamento, lo sciopero può
avere luogo. La legge prescrive il preavviso, si tratta del fatto di preavvisare almeno 10 giorni prima la
realizzazione dello sciopero, in sostanza i soggetti che lo proclamano hanno un obbligo di almeno 10 giorni
di preavviso dello sciopero; questo termine può essere elevato da contrattazione collettiva e dai codici di
autoregolamentazione. Questo preavviso serve alla predisposizione da parte dell’azienda erogatrice del
servizio di misure indispensabili per l’utenza. Occorre anche dare comunicazione della durata dello stesso
sciopero, delle modalità dello sciopero e delle motivazioni dello stesso.
Ulteriore comunicazione ad opera delle aziende erogatrici dei servizi, per queste infatti è previsto l’obbligo
di comunicare agli utenti almeno 5 giorni prima dello sciopero modi e tempi di erogazione dei servizi.
Obblighi anche in capo ai media. Poi è previsto l’obbligo di erogazione delle prestazioni indispensabili da
parte di coloro che hanno proclamato lo sciopero, occorre garantire la fornitura di prestazioni indispensabili
come stabilite dai codici di autoregolamentazione e da contrattazione collettiva, sulle quali esercita un
controllo la commissione di garanzia, istituita nel contesto di questa legge. Si tratta di autorità
amministrativa indipendente, alla quale spettano plurime funzioni : normativa, consultiva, di mediazione e
sanzionatoria.
La legge articola un ampio sistema sanzionatorio nei confronti : delle organizzazioni sindacali, che possono
essere soggette a sanzioni economiche per un ammontare complessivo da 2500 a 50 mila euro; nei confronti
delle aziende; dei dirigenti responsabili delle amministrazioni pubbliche; dei legali rappresentanti delle
aziende che erogano i servizi; delle associazioni rappresentative dei lavoratori autonomi, professionisti o
piccoli imprenditori, in questo caso la sanzione economica è sempre tra 2500 e 50 mila euro.
Sistema sanzionatorio nei confronti dei lavoratori, quando si astengono dal lavoro in violazione degli
obblighi legali o quando si rifiutino di svolgere le prestazioni indispensabili richieste → in entrambi i casi i
lavoratori sono soggetti a sanzioni disciplinari comminate dalla commissione di garanzia, in realtà queste
sanzioni vengono materialmente irrogate dal datore in base al procedimento stabilito da art. 7 della legge 300
del 1970.
Si parla nella legge 146 del 1990 di precettazione = strumento di natura amministrativa, che viene adottato
dal prefetto se lo sciopero ha carattere locale, dal presidente del consiglio o da un ministro da lui delegato se
lo sciopero invece ha rilevanza nazionale o interregionale.
L’uso di questo strumento è comunque soggetto a dei requisiti sostanziali, occorre infatti, come indicato
nell’art. 8 co 1, un pregiudizio di non lieve entità, nonché di prossima verificazione, per uno dei diritti
costituzionalmente rilevanti, tutelati nella elencazione tassativa contenuta nell’art. 1 co 1. Quando sussiste
questo requisito, il procedimento viene avviato dall’attività precettante su segnalazione della commissione di
garanzia. Quando si determini una situazione di necessità, urgenza, il procedimento viene avviato
direttamente dall'attività precettante che poi sarà tenuta a darne comunicazione alla commissione di garanzia.
Ad ogni modo, l’adozione di questo procedimento, della precettazione, deve essere preceduta da un tentativo
di conciliazione, il cui scopo è quello di far desistere le parti da comportamenti che possono determinare un
rischio o pericolo, in caso di esito negativo del tentativo di conciliazione può essere usata la precettazione,
atto con cui può essere disposto :
il differimento dello sciopero ad altra data
la riduzione della durata dello sciopero
l’osservanza di misure idonee ad assicurare livelli di funzionamento del servizio coerenti e
compatibili con la tutela dei diritti della persona costituzionalmente rilevanti
Art. 2118 C.C. : “Ciascuno dei contraenti puo' recedere dal contratto di lavoro a tempo
indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti dalle norme corporative,
dagli usi o secondo equita'.
In mancanza di preavviso, il recedente e' tenuto verso l'altra parte a un'indennita' equivalente
all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso.
La stessa indennita' e' dovuta dal datore di lavoro nel caso di cessazione del rapporto per morte
del prestatore di lavoro”
L’iniziale tutela nei confronti dei lavoratori è molto esile, riflette i principi della parità formale tra contraenti.
E’ una norma che non incorpora una visione asimmetrica dei contraenti nei rapporti di lavoro, consente ad
entrambi di recedere liberamente dal rapporto senza che questo venga assoggettato né a vincoli di forma né
di motivazione. Libero recesso, subordinato unicamente ad un preavviso, che è surrogabile da un’indennità
equivalente, mediante l’erogazione della retribuzione spettante per il periodo di preavviso. Questo è aspetto
che viene disciplinato tipicamente dalla contrattazione collettiva.
Questa regola, della libera recedibilità, da generale è diventata eccezionale, è confinata a specifiche ipotesi
(patto di prova – 2096 cc, co.3)
C’è stata una fase successiva a WWII in cui è stato previsto il blocco del licenziamento, per una condizione
economica drammatica. I sindacati hanno cercato di introdurre elementi a tutela dei lavoratori dal punto di
vista dei requisiti sostanziali, Dopodichè la legge 604 del ‘66 ha realizzato disciplina organica in conformità
ai principi costituzionali (legge di attuazione costituzionale)
In questo caso il giudice, in caso di controversia, è chiamato a verificare il nesso causale, tra il
motivo e il licenziamento. Si potrà parlare di giustificato motivo oggettivo, solo se il lavoratore non
possa essere altrimenti impiegato eventualmente anche in mansioni inferiori a quelle che svolgeva =
obbligo di repechage posto in capo al datore di lavoro = quel licenziamento è illegittimo nel
momento in cui il datore non abbia verificato la possibilità di impiegare il lavoratore in altro modo,
anche in mansioni inferiori rispetto a quelle che svolgeva.
Per quanto riguarda il giustificato motivo soggettivo si tratta di licenziamento che deve essere
motivato da comportamenti o condotte del lavoratore, che nei casi più gravi da luogo al
licenziamento per giusta causa (di cui all’art. 2119 cc). La nozione di giustificato motivo
sembrerebbe apparentemente sovrapponibile a quella di giusta causa, in entrambi i casi siamo di
fronte ad un licenziamento motivato dalla condotta del lavoratore, però vi è differenza.
Tra le tesi che si sono occupate di individuare gli elementi di differenza, una dice che queste nozioni
sono diverse dal punto di vista quantitativo : in entrambi i casi si tratta di un licenziamento motivato
da condotta del lavoratore, ma in un caso quel comportamento assume una connotazione di
particolare gravità, tanto da motivare un licenziamento in tronco (giusta causa); nell’altro, il
comportamento è sì grave ma non così grave come nel caso della giusta causa → ipotesi nella quale
il comportamento è meno grave rispetto al comportamento motivante il recesso per giusta causa.
Non in entrambi i casi viene riconosciuto il preavviso o l’indennità sostitutiva dello stesso → il
diverso grado di gravità spiega perché solo nel caso del giustificato motivo soggettivo abbiamo la
previsione del preavviso o dell’indennità sostitutiva allo stesso e non nell’ipotesi di recesso per
giusta causa.
art. 4 → uno dei riferimenti più risalenti dal punto di vista della tutela antidiscriminatoria, in
particolare questa disposizione analizza alcuni fattori di discriminazione e in particolare la
discriminazione per ragione di credo politico, fede religiosa, appartenenza sindacale.
Dopo il riconoscimento di questa embrionale tutela dal punto di vista del diritto antidiscriminatorio
si è aggiunta una disciplina riguardante il fattore di discriminazione rappresentato dalle differenze
di genere e ulteriori fattori di rischio, di cui rispettivamente parlano il d.lgs. 198 /2006 (Codice per
le pari opportunità) e d.lgs. 215 e 216 del 2003.
Si tratta di analizzare i requisiti sostanziali del licenziamento individuale e il sistema sanzionatorio, che
riguarda sia le norme della legge 604, sia l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Il limite massimo dell’indennità può essere incrementato fino a 10 in relazione all’anzianità di servizio del
lavoratore, più precisamente in presenza di anzianità superiore a 10 anni.
Questo limite può essere ulteriormente incrementato fino a 14 mensilità, per un’anzianità di servizio ancora
superiore.
Abbiamo un immediato effetto estintivo del rapporto di lavoro, la riassunzione è un’ipotesi con la quale il
rapporto di lavoro viene ad esistere mediante una nuova assunzione → comunque il rapporto si estingue, solo
una nuova assunzione può dare luogo al rapporto di lavoro.
Legge delega 183/2014 e conseguente d.lgs. di attuazione 23/2015 (Job Act II)
Sono disposizioni che intervengono rispetto alla c.d. “flessibilità in uscita” e quindi in fase di licenziamento
e che rispondono entrambe ad una specifica logica, secondo la quale un’eccessiva rigidità delle regole in
uscita (licenziamento) possa costituire un ostacolo al pieno dispiegarsi della positiva funzione
dell’imprenditore, la quale consiste nella creazione di occupazione → un’eccessiva rigidità delle regole in
uscita andrebbe a ridurre, ostacolare le condizioni di occupabilità.
Si tratta di interventi di riforma che riguardano anche la c.d. “flessibilità in entrata”= contratto a termine.
Tutela reale
FORMULAZIONE ORIGINARIA
Nella formulazione originaria l’art. 18 conteneva la c.d. “tutela reale”: Nel caso in cui il licenziamento
fosse illegittimo, il giudice ordinava il ripristino del rapporto e la conseguente reintegrazione del dipendente.
Inoltre, al datore di lavoro veniva imposta l’erogazione della retribuzione dal momento dell'illegittimo
licenziamento, sino all’effettivo reintegro → sistema di coazione indiretta in funzione dell’adempimento
dell’ordine del giudice.
Tutela reale opposta alla tutela obbligatoria (consistente in due obblighi alternativi).
La tutela reale (a seguito di legge fornero e job act) non è stata eliminata la tutela reale, ma osserviamo
piuttosto una limitazione del suo ambito di applicazione, Infatti, l’art. 18 dello statuto dei lavoratori nella
nuova formulazione prevede altre tutele di tipo esclusivamente economico.
Questa è la più rilevante modifica che ha interessato l’art. 18 e che consiste nel ridimensionamento della
tutela reintegratoria reale, che infatti oggi (a seguito delle riforme viste prima) si applica solo in specifiche
ipotesi :
al licenziamento discriminatorio → riferimento al licenziamento relativo ai diversi fattori di
discrimanzione, i quali includono diversi casi, a seguito dell’evoluzione legislativa, che su impulso
del diritto europeo ha esteso l’ambito dei fattori protetti → d.lgs 215 e 216 del 2003.
Art. 18 co 1 individua altre ipotesi in cui trova applicazione tutela reale, in particolare nel caso di
licenziamento in concomitanza con il matrimonio → ipotesi di licenziamento che costituisce
violazione di una norma contenuta nel d.lgs 198 del 2006, art. 35, codice pari opportunità uomo-
donna. Legge 7 del 1963
art. 18 co 1, la tutela reale si applica anche al licenziamento intimato in violazione dei divieti
previsti in caso di maternità, disciplinati dal TU in materia di maternità e paternità, ossia il d.lgs.
151 del 2001
la tutela reale si applica anche al licenziamento nullo, dichiarato da altre disposizioni di legge;
la tutela reale si applica al licenziamento nullo perché determinato da un motivo illecito ai sensi
dell’art. 1345 C.C. ;
la tutela reale si applica al licenziamento dichiarato inefficace perché intimato in violazione dei
requisiti di forma, quindi in forma orale
In tutti questi casi, il sistema sanzionatorio, riconosciuto dal nuovo art. 18 è sostanzialmente analogo a quello
previsto dall’art. 18 ante legge Fornero (ante 2012), con una rilevante modifica : nel sistema antecedente il
2012 la tutela reale veniva riconosciuta in base all’esistenza di specifici requisiti dimensionali dell’impresa,
coincidenti con quelli richiesti per il riconoscimento dei diritti sindacali, ex art. 35 statuto lavoratori, quindi
nelle imprese che innanzitutto avessero un numero di lavoratori pari a 15.
Per effetto delle successive riforme, oggi la tutela reale, sostanzialmente paragonabile a quella riconosciuta
antecedente le riforme, trova applicazione nei casi specificamente indicati, anche nell’ipotesi in cui non
sussistono i limiti dimensionali e quindi anche sotto le soglie numeriche antecedentemente previste. →
elemento di grande discontinuità
la condanna del datore a reintegrare materialmente il lavoratore nel suo posto di lavoro, fermo
restando l’effetto coattivo indiretto sul datore di lavoro, rappresentato dal dovere comunque pagare
le retribuzioni al lavoratore inattivo