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Il presente manuale fa parte della Collana di Studi Giuridici, nella Sezione di Manualistica, pubbli-
cata da Edicusano s.r.l. e si propone quale strumento di studio aggiornato e completo, di taglio
pratico, teso a fornire un supporto indispensabile per gli studenti, per i professionisti di settore e
Manuale di
Diritto del Lavoro
per coloro che intendono affrontare prove di concorso.
Il manuale si compone di venti capitoli.
Dopo una generale analisi dell’evoluzione storica e delle fonti del diritto del lavoro, la trattazione
si concentra sul lavoro subordinato, del quale vengono presi in considerazione gli aspetti del
contratto (tanto collettivo, quanto individuale) e del rapporto (con particolare attenzione alle
problematiche della retribuzione, dell’organizzazione della prestazione lavorativa e della sicurez-
za sul luogo di lavoro).
Appositi Capitoli vengono dedicati ai rapporti di lavoro cd. “speciali”, al decentramento produtti-
vo e alla somministrazione, nonché al rapporto di lavoro alle dipendenze della Pubblica Ammini-
strazione.
Ancora, vengono analizzati gli aspetti relativi alla cessazione del rapporto di lavoro, agli ammor-
tizzatori sociali ed alle assunzioni obbligatorie, all’organizzazione dell’attività sindacale e al diritto
di sciopero.
Non manca infine un accenno all’aspetto processuale, con un Capitolo appositamente dedicato
del rito del lavoro.
Per come concepito, questo volume costituisce uno strumento indispensabile, che consente
all’utilizzatore una preparazione ampia ed esaustiva della materia e l’apprendimento di un
metodo di studio che garantisca capacità critica ed analitica; la capacità di comprendere e di
utilizzare consapevolmente il linguaggio giuridico; la capacità di impiegare gli strumenti giuridici
per un sicuro dominio delle competenze richieste nelle tradizionali professioni giuridiche:
notariato, magistratura e avvocatura.
€27,00
Studi Giuridici
manuali
Scuola Specialistica degli Studi Giuridici, Economici e Sociali
Manuale
di Diritto del Lavoro
Collana
Studi Giuridici - Manuali
Il presente volume fa parte della Collana di Studi Giuridici, nella Sezione di Manualistica, pubblicata da Edicusano s.r.l. e costitui-
sce un'opera di taglio pratico tesa a fornire un supporto indispensabile per gli studenti, per i professionisti di settore e per coloro
che intendono affrontare prove di concorso.
Alla prospettiva scientifica di stampo universitario si unisce pertanto una prospettiva di carattere operativo che, da una parte,
mette in evidenza i tratti salienti dell'argomento così come sono stati elaborati nel nostro ordinamento, e dell'altra si proietta
verso i vari sviluppi interpretativi offerti dagli studiosi della materia trattata.
Tutti i volumi della Collana mantengono oltremodo una freschezza ed una attualità indiscutibile proprio per l'impostazione
che si è voluta dare al lavoro, che parte sempre dai fondamenti della disciplina e dell'istituto e si sofferma sulle problematiche
essenziali sottese ai diversi argomenti.
Coordinatore Scientifico della Sezione dei Manuali di Scienze Giuridiche: prof. Bruno Cucchi
Coordinatore Didattico della Sezione dei Manuali di Scienze Giuridiche: prof. Federica Simonelli
È vietata la riproduzione, anche parziale, non autorizzata in forma scritta dall’editore, realizzata con qualsiasi mezzo, compresa
fotocopia, anche ad uso interno o didattico.
ISBN: 978-88-98948-37-6
Stampa e allestimento:
Febbraio 2019 • Pioda Imaging s.r.l. • Viale Ippocrate 154 • 00161 Roma
Immagine di copertina
"La Giustizia" - Paolo veronese - 1551- affresco del Duomo di Castelfranco Veneto
Indice
Capitolo 1
Il diritto del lavoro................................................................................ 11
1.1 Nozione. ........................................................................................ 11
1.2 Il diritto del lavoro in generale ed il suo sviluppo storico................ 14
1.3 L’evoluzione dall’entrata in vigore della Costituzione agli anni
Novanta........................................................................................17
1.4 Le riforme degli anni 2000............................................................. 21
Capitolo 2
Le fonti del diritto del lavoro................................................................ 25
2.1 La Costituzione.............................................................................. 25
2.2 Le fonti sovranazionali. Il diritto dell’Unione europea ................... 27
2.3 Il diritto internazionale. In particolare: a) la CEDU; b) le Conven-
zioni dell’OIL.................................................................................. 35
2.4 La legislazione ordinaria: ripartizione della potestà legislativa tra
Stato e Regioni................................................................................. 38
2.5 Le fonti contrattuali........................................................................ 40
2.6 Gli usi............................................................................................. 40
2.7 Le fondamentali regole interpretative.............................................. 41
2.8 La fonte di regolazione del rapporto di lavoro in base al criterio della
territorialità...................................................................................... 42
Capitolo 3
Il lavoratore subordinato....................................................................... 45
3.1. La subordinazione ......................................................................... 45
3.2 Il lavoro parasubordinato................................................................ 50
3.3 Lavoro familiare, gratuito e volontariato......................................... 52
3.4 Il lavoro nell’impresa sociale e il lavoro accessorio........................... 54
Capitolo 4
Il contratto collettivo............................................................................ 57
4.1. Definizione.................................................................................... 57
4.2 Il Contratto collettivo di diritto comune........................................ 59
4.3 L’efficacia oggettiva e soggettiva del contratto collettivo di diritto
comune............................................................................................ 60
4.4. L’efficacia spaziale e temporale del contratto collettivo di diritto comu-
ne e la sua interpretazione................................................................ 62
Capitolo 5
Il contratto individuale di lavoro........................................................... 63
5.1 Nozione.......................................................................................... 63
5.2 I presupposti soggettivi del contratto di lavoro............................... 66
5.3 I requisiti del contratto................................................................... 70
VI MANUALE DI DIRITTO DEL LAVORO
Sommario: 1.1 Nozione. 1.2 Il diritto del lavoro in generale ed il suo sviluppo storico. 1.3 L’evolu-
zione dall’entrata in vigore della Costituzione agli anni Novanta. 1.4 Le riforme degli anni 2000.
1.1 Nozione.
Sotto tale aspetto, dunque, il diritto del lavoro, inteso come auto-
noma disciplina giuridica, nasce in epoca relativamente recente, ossia
nell’ambito del moderno Stato sociale di diritto.
Nell’età antica mancava del tutto una disciplina del lavoro: ciò si
spiega alla luce del fatto che, in epoca antica, i lavoratori, se non facevano
parte della familia del dominus, erano per lo più schiavi, ai quali non era
riconosciuta alcuna soggettività giuridica.
Una primordiale regolamentazione del rapporto di lavoro si ebbe
nell’Alto Medioevo, relativamente all’attività svolta dai lavoranti nelle
botteghe degli artigiani e nelle corporazioni dei mercanti.
Solo in età moderna, in conseguenza dell’intensificazione degli scam-
bi e della formazione di un diritto del commercio, si può tuttavia parlare
della nascita di un “diritto del lavoro”, peraltro di carattere strettamente
ed esclusivamente privatistico.
Solo nel corso del XIX secolo, con la progressiva industrializzazione
e la conseguente nascita del movimento operaio e contadino, gli ordina-
menti giuridici iniziano ad attuare una sempre più ampia regolamenta-
zione del lavoro subordinato.
Il nucleo costitutivo del diritto del lavoro è quindi almeno inizial-
mente rappresentato dalla legislazione sociale, ossia da norme caratte-
rizzate da finalità eminentemente protettive.
Per contenere le forme più intense di sfruttamento, che avevano ca-
ratterizzato le prime fasi dell’industrializzazione, lo Stato interviene per
la prima volta in un ambito- quello del lavoro- fino a quel momento
ritenuto di natura essenzialmente privata, dettando norme concernenti
alcune tutele minime dei lavoratori in materia di infortuni sul lavoro,
igiene dei luoghi di lavoro, orario di lavoro, tutela del lavoro delle donne
e dei fanciulli, etc.
Successivamente, il diritto del lavoro viene ad ampliare il proprio
ambito applicativo, ponendosi quale obiettivo quello di mediare le di-
verse, e talora contrapposte, esigenze della produzione e della tutela
dei lavoratori, anche mediante il ricorso a norme imperative e non dero-
gabili dalla volontà privata.
Alla realizzazione di tali obiettivi hanno concorso sia la legislazione
statale, sia le organizzazioni sindacali dei lavoratori.
Pertanto, ad oggi, il diritto del lavoro può essere definito come il com-
plesso di norme che disciplinano il rapporto di lavoro e che tutelano, oltre all’in-
teresse economico, anche la libertà, la dignità e la personalità del lavoratore.
Tali norme si applicano al rapporto di lavoro subordinato in quan-
to, storicamente, in tale tipo di lavoro sussiste una rilevante disparità
tra le parti, che determina l’esigenza di tutelare la parte debole- ossia il
lavoratore – dato il coinvolgimento non solo della sua persona fisica, ma
Il diritto del lavoro
13
anche della sua personalità morale, della sua libertà e della sua dignità.
L’oggetto specifico del diritto del lavoro è quindi la disciplina del-
la relazione giuridica tra il datore di lavoro ed il lavoratore.
Tale rapporto trova la propria fonte in un contratto.
La peculiarità consiste nel fatto che, mentre nella generalità dei con-
tratti conclusi tra privati i contraenti si trovano in una posizione di pari-
tà, nel contratto di lavoro sussiste uno squilibrio di potere, perché:
-- sotto il profilo giuridico, le parti (datore di lavoro e lavoratore)
operano sul medesimo piano di parità;
-- sotto il profilo economico, una delle parti (il lavoratore) si trova
in una posizione di inferiorità, che fa di lui il cd. “contraente più
debole” (SANTORO-PASSSARELLI, MAZZONI).
L’attuale diritto del lavoro costituisce dunque espressione di uno “Stato
sociale”, che interviene per porre rimedio ad una situazione di disparità
(secondo quanto espressamente previsto dall’art. 3, comma 2, Costitu-
zione) mediante la predisposizione di norme imperative a favore del
contraente più debole, ossia del lavoratore.
In aggiunta a ciò, lo Stato riconosce l’attività di apposite strutture, le
associazioni sindacali, che hanno come proprio scopo quello di tutelare
gli interessi dei lavoratori.
Pertanto, alla tutela predisposta dallo Stato mediante alcune norme
imperative e cogenti, inderogabili dalla volontà contrattuale privata (cd.
“eterotutela”), si aggiunge anche una tutela che i lavoratori possono at-
tuare, mediante le associazioni sindacali, direttamente per se stessi (cd.
“autotutela”).
Per tale motivo, parte della dottrina sostiene che la finalità stessa del
diritto del lavoro sia quella di attenuare gli effetti più deleteri della subor-
dinazione, in particolare quelli che vanno ad incidere sulla libertà, sulla
dignità e sulla sicurezza umana del prestatore di lavoro (MAZZIOTTI).
Ne consegue che il carattere fondamentale del diritto del lavoro vie-
ne ad essere costituito dalla funzione di garanzia che esso svolge e che
spiega la presenza rilevante di una normativa in gran parte inderogabi-
le dai privati.
Per tradizione, anche ai fini di una corretta metodologia di studio, il
diritto del lavoro si distingue in:
-- diritto del lavoro in senso stretto (o diritto privato del lavoro),
che attiene alla regolamentazione della relazione giuridica tra le
parti del rapporto di lavoro;
-- diritto sindacale, che attiene alla posizione dei sindacati nell’or-
dinamento, alla contrattazione collettiva, allo sciopero e alla serrata;
-- diritto previdenziale (o legislazione sociale o diritto pubblico del
lavoro), che attiene alla tutela dei soggetti protetti avverso eventi
14 MANUALE DI DIRITTO DEL LAVORO
I primi risultati utili furono ottenuti una volta sorte le prime orga-
nizzazioni stabili preordinate alla tutela dell’interesse collettivo dei com-
ponenti della categoria, ossia i c.d. sindacati.
In tutti i Paesi, si attraversò una fase molto dura di repressione del
sindacalismo.
Nell’ambito della concezione liberistica, si riteneva che non vi fosse
spazio per mutare la condizione del lavoro attraverso la lotta sindacale, in
quanto il livello salariale doveva risultare spontaneamente dall’incontro
sul mercato della domanda e dell’offerta. Di conseguenza, lo sciopero ve-
niva bandito e come tale represso e, con esso, tutta l’attività del sindacato.
Successivamente però, iniziò nei vari Paesi la c.d. “legislazione socia-
le”; lo Stato cominciò ad emanare singole leggi, volte a risolvere le sin-
gole problematiche della situazione. Furono emanate leggi per limitare
l’orario di lavoro o per inibire le attività più pesanti a fanciulli e donne.
Si trattava di normative di ordine pubblico, cioè inderogabili dalle parti,
spesso accompagnate da sanzioni penali.
Ad un certo punto, in tutti i Paesi, l’originario regime repressivo
venne meno. Maturò la convinzione che il movimento sindacale serviva
alla buona causa di rendere più eque le condizioni di lavoro.
Il reato di sciopero venne cancellato e si passò alla fase della cd. “tol-
leranza legale”.
L’unico problema insisteva sul fatto che lo sciopero, seppur penal-
mente irrilevante, costituiva inadempimento all’obbligazione di lavorare
e quindi poteva legittimare l’irrogazione di sanzioni disciplinari ovvero,
in ipotesi più gravi, il licenziamento.
Nel nostro Paese, la svolta nel senso della “tolleranza” verso il sinda-
calismo avvenne nel 1889 con il nuovo Codice Penale, nel quale scom-
parvero reati di sciopero e serrata.
Si ebbero, negli anni successivi, nuovi interventi di legislazione so-
ciale e, dopo l’introduzione dell’assicurazione obbligatoria contro gli in-
fortuni sul lavoro nel 1898, altri interventi sul piano della previdenza
sociale.
Una prima regolamentazione dei rapporti di lavoro ebbe origine at-
traverso la giurisprudenza dei probiviri, ossia collegi giurisdizionali eletti-
vi, che dovevano risolvere le controversie del lavoro secondo equità.
Attraverso questa giurisprudenza creativa, si cominciarono a porre le
basi del nuovo diritto.
Con l’avvento del fascismo, si introdusse un’ideologia corporativa.
Con la legge sindacale Rocco del 1926 veniva formalmente rico-
nosciuta la libertà sindacale e quindi, almeno teoricamente, la possibile
coesistenza di diverse associazioni sindacali, ma nella realtà, solamente un
solo sindacato poteva essere riconosciuto giuridicamente (quello organiz-
16 MANUALE DI DIRITTO DEL LAVORO
zante almeno il 10% della categoria e diretto da uomini di sicura fede na-
zionale). Il sindacato riconosciuto aveva la personalità giuridica di diritto
pubblico ed era quindi soggetto ai controlli previsti per gli enti pubblici.
I contratti collettivi stipulati erano generalmente obbligatori per tutta la
categoria ed il contratto individuale poteva derogare al contratto colletti-
vo solamente per porre condizioni più favorevoli al lavoratore.
Lo sciopero e la serrata ritornavano ad essere reati contro l’economia
nazionale. Eventuali conflitti dovevano essere risolti da una speciale Ma-
gistratura del lavoro (composta da giudici togati ed esperti).
Nel 1927 fu approvata la Carta del Lavoro, sulla qui base si ebbe un
notevole sviluppo della legislazione sociale, con l’introduzione di leggi
che riguardavano alcuni punti fondamentali della materia (quali l’orario
di lavoro, i riposi settimanali ecc.).
Nel 1935 e nel 1939 si ebbero leggi importanti per le assicurazioni
gestite dall’INPS.
Nel 1942, con la stesura del Codice civile, fu prevista una regola-
mentazione organica del rapporto di lavoro.
A differenza del precedente Codice civile del 1865 – che non preve-
deva una disciplina del rapporto di lavoro, ma solo, agli artt. 1570 e ss.
c.c., quella della locazione delle opere e dei servizi – il Codice civile del
1942 introdusse una sistemazione organica della materia del lavoro,
alla quale venne dedicata una disciplina compresa nel Libro V, ossia nel
medesimo libro nel quale sono regolate anche l’impresa e le società. Alla
materia del lavoro sono dedicati in particolare i primi quattro Titoli del
Libro V (artt. 2060-2246 c.c.).
Tale fase, definita come quella della “incorporazione del diritto del
lavoro nel diritto privato” (GHERA), è caratterizzata dal fatto che la
materia lavoristica non viene più considerata oggetto di disciplina spe-
ciale o eccezionale, ma al contrario viene inserita nella codificazione uni-
ficata del diritto privato e riconosciuta come una delle tre fondamentali
materie componenti il diritto privato stesso (insieme al diritto civile e al
diritto commerciale).
Infine, nel 1943, superandosi la mutualità di categoria, sorse l’assicu-
razione obbligatoria per le malattie.
Un ulteriore momento di significativo sviluppo coincise con l’av-
vento della Costituzione repubblicana, approvata il 22 dicembre 1947
ed entrata in vigore il 1° gennaio 1948, che alla visione corporativistica
dello Stato fascista (cui è ispirato lo stesso Codice civile del 1942) sostituì
quella democratica e sociale, fondando la Repubblica italiana sul lavoro
(art. 1 Costituzione).
Iniziò così una nuova “stagione” del diritto del lavoro, qualificabi-
le come “fase della costituzionalizzazione” (GHERA), contrassegnata
Il diritto del lavoro
17
Le caratteristiche salienti del diritto del lavoro sono il frutto della lunga
evoluzione legislativa descritta in precedenza.
18 MANUALE DI DIRITTO DEL LAVORO
I primi anni del nuovo millennio si aprirono con una riforma epocale che
ebbe a riformulare gran parte della materia gius-lavoristica.
Il D.Lgs. 10 settembre 2003 n. 276 introdusse infatti disposizioni
in materia di servizi pubblici e privati per l’impiego, contratti a conte-
nuto formativo, lavoro a tempo parziale, nuove tipologie contrattuali e
un meccanismo amministrativo di certificazione dei contratti di lavoro.
Ad esso fecero seguito diversi ulteriori provvedimenti legislativi, tra
i quali si ricordano:
-- la Legge 24 dicembre 2007 n. 247 in materia di previdenza,
lavoro e competitività;
-- il D.Lgs. 09 aprile 2008 n. 81, recante il “Testo Unico della si-
curezza sul lavoro”, che ha introdotto un significante numero di
norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro, con il duplice
obiettivo di accrescere il livello di tutela dei lavoratori e di proce-
dere al riordino di una materia fino a quel momento disseminata
in testi legislativi eterogenei e spesso anche molto risalenti nel
tempo;
-- il D.L. 25 giugno 2008 n. 112, convertito in Legge 06 agosto
2008 n. 133: si tratta di un provvedimento contenente norme in
materia di lavoro privato, nell’ottica di semplificazione dei rap-
porti di lavoro, e di lavoro pubblico, nell’ottica di una maggiore
severità nella regolamentazione del rapporto di lavoro e nella va-
lutazione delle responsabilità dei dirigenti pubblici, unitamente
ad una politica gestionale meritocratica ed incentivante;
-- la Legge 14 novembre 2010 n. 183 (c.d. “collegato lavoro”) che va
ad incidere su aspetti quali i congedi, i permessi, gli ammortizza-
22 MANUALE DI DIRITTO DEL LAVORO
Sommario: 2.1 La Costituzione. 2.2 Le fonti sovranazionali. Il diritto dell’Unione europea. 2.3
Il diritto internazionale. In particolare: a) la CEDU; b) le Convenzioni dell’OIL. 2.4 La legisla-
zione ordinaria: ripartizione della potestà legislativa tra Stato e Regioni. 2.5 Le fonti contrattuali.
2.6 Gli usi. 2.7 Le fondamentali regole interpretative. 2.8 La fonte di regolazione del rapporto
in base al criterio della territorialità.
2.1 La Costituzione
Fonti del diritto del lavoro sono rappresentate della Costituzione, dalle
fonti internazionali, dalle fonti dell’Unione Europea, dalla legge, dai con-
tratti collettivi ed individuali e dagli usi.
La Costituzione attribuisce al lavoro una rilevanza fondamentale, in
quanto esso è considerato il valore su cui si fonda tutta la Repubblica (art.
1 Costituzione).
Al termine “lavoro”, utilizzato dalla Costituzione, la dottrina ha at-
tribuito la più ampia estensione possibile, includendovi qualsiasi forma
di lavoro subordinato, autonomo ed imprenditoriale. La norma costitu-
zionale fa infatti riferimento al “lavoro”, includendovi tutti i soggetti so-
ciali connessi ad esso, e non ha invece impiegato il termine più restrittivo
di “lavoratori”.
Ai sensi del successivo art. 4 della Carta Costituzionale, il lavoro è
riconosciuto a tutti i cittadini come un diritto, oltre che un dovere.
In particolare, ai sensi dell’art. 4, comma 1, Costituzione, la Re-
pubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro, promuovendo
“le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. Tale norma si collega
direttamente a quella dell’art. 3, comma 2, Costituzione, secondo cui è
compito fondamentale della Repubblica rimuovere gli ostacoli alla liber-
tà e all’eguaglianza che impediscono “l’effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
L’espressione “diritto al lavoro” deve essere intesa non già in senso
strettamente giuridico (ossia come diritto del singolo ad ottenere in con-
creto un’occupazione, o quanto meno la conservazione del posto di lavo-
ro), quanto piuttosto in senso politico, come impegno per il Legislatore
ad intervenire con adeguati strumenti normativi per favorire la massima
occupazione possibile.
26 MANUALE DI DIRITTO DEL LAVORO
re. Il principio della “parità” è riproposto anche per il lavoro dei minori
(Legge 17 ottobre 1967 n. 977).
L’art. 38 dispone che ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei
mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza so-
ciale e, per tale motivo, i lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed
assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio,
malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.
Occorre rimarcare anche la ricerca, all’interno dei dettami costitu-
zionali, della tutela della salute e della sicurezza nell’ambiente di lavoro. Il
combinato disposto dell’art. 32 Costituzione (previsto, in senso generale,
come diritto dell’individuo alla tutela della propria salute) con gli artt. 1,
4, 35, 38 e 41 Costituzione realizza, da un lato, l’imposizione di obblighi
a carico dei pubblici poteri e, dall’altro, impone una serie di limiti alla
libertà di iniziativa economica privata, considerata quale situazione po-
tenzialmente lesiva dei valori della persona.
Così, ad esempio, l’art. 41 Costituzione il quale, pur prevedendo che
l’iniziativa economica privata è libera, stabilisce che essa non può svolgersi
in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza,
alla libertà, alla dignità umana, attribuendo alla legge il compito di deter-
minare i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica
pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.
Analogamente, il successivo art. 42 Costituzione riconosce e garan-
tisce la proprietà privata, prevedendo però che la legge ordinaria possa
imporre alla stessa i limiti diretti ad assicurarne la funzione sociale.
Particolare importanza assumono infine le norme di cui agli artt. 39 e
40 Costituzione: esse stabiliscono il principio della libertà nell’organizza-
zione sindacale (art. 39, comma 1, Costituzione); il principio della capaci-
tà, per i sindacati registrati, di stipulare contratti collettivi di lavoro vinco-
lanti per tutti i lavoratori appartenenti alle categorie che essi rappresentano,
anche se non iscritti (art. 39, comma 3, Costituzione, peraltro rimasto
inattuato, a causa della scelta dei sindacati di non procedere alla propria
registrazione, mantenendo così lo status di associazioni non riconosciute);
il riconoscimento del diritto di sciopero, anche se non illimitato, ma
esercitabile “nell’ambito delle leggi che lo regolano” (art. 40 Costituzione).
(e ora “diritto dell’Unione europea”), al punto che oggi non avrebbe alcun
senso, e non sarebbe neppure possibile, studiare il diritto del lavoro italia-
no senza considerare quelle fonti, che hanno conformato molte materie
e molti istituti cardine del diritto interno (eguaglianza e discriminazione,
tempo di lavoro, sicurezza, lavori c.d. atipici, trasferimento d’azienda,
insolvenza del datore di lavoro, licenziamenti collettivi, per citare alcuni
temi centrali del diritto del mercato e del rapporto di lavoro). Peculiare
è l’origine del diritto comunitario, e altrettanto peculiare la collocazione
delle norme da esso espresse nella gerarchia delle fonti.
Nato, negli anni ‘50, per creare quello che diverrà un mercato comu-
ne, e dunque con l’obiettivo, in particolare, di realizzare e garantire una
leale concorrenza tra gli operatori economici collocati nei diversi Stati
membri (in origine sei – Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo,
Paesi Bassi – oggi ventotto), il diritto comunitario (diritto della Comu-
nità Economica Europea, CEE, istituita con il Trattato di Roma del 25
marzo 1957, entrato in vigore il 1° gennaio 1958), nei decenni successivi
ha progressivamente dato spazio ai diritti sociali fondamentali.
Sin dal Trattato di Roma, d’altronde, tra le finalità della Comunità,
compariva l’obiettivo della «parificazione nel progresso», delle condizioni
di vita e di lavoro dei cittadini degli Stati membri, e i successivi Trattati,
che hanno modificato il Trattato originario, hanno progressivamente am-
pliato le competenze normative delle fonti comunitarie e gli ambiti nei
quali quelle competenze possono essere esercitate.
Il punto di svolta finale è rappresentato dal Trattato di Lisbona
(entrato in vigore il 1° dicembre 2009), in forza del quale, tra l’altro,
“l’Unione sostituisce e succede alla Comunità europea”. Corretto e dovero-
so, dunque, parlare oggi di diritto dell’Unione europea, fondato sui due
Trattati (che hanno lo stesso valore giuridico) che rappresentano oggi le
fondamenta del nuovo diritto dell’UE: il nuovo Trattato sull’Unione
europea (d’ora in poi TUE) e il Trattato sul funzionamento dell’U-
nione europea (d’ora in poi TFUE). Le disposizioni che riguardano se-
gnatamente quello che possiamo definire il diritto del lavoro (o diritto
sociale, in senso più ampio) dell’Unione europea (d’ora in poi UE) sono
disperse in diverse parti di entrambi i Trattati (ma soprattutto nel TFUE)
e, complessivamente, denotano una accresciuta sensibilità per la c.d. “di-
mensione sociale” dell’UE.
Tra gli obiettivi odierni, troviamo la realizzazione di una “economia
sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e
al progresso sociale” (art. 3.3 TUE). Tra i valori sui quali si fonda l’Unione,
troviamo, per quanto qui più rileva, “il rispetto della dignità umana, della
libertà, (…) dell’uguaglianza (…) e dei diritti umani”, valori comuni “agli
Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discri-
Le fonti del diritto del lavoro 29
Secondo l’art. 5.3 TUE, invece, “in virtù del principio di sussidia-
rietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l’Unione interviene
soltanto se e in quanto gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere
conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né
a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti
dell’azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione”.
Non solo: “in virtù del principio di proporzionalità, il contenuto e la
forma dell’azione dell’Unione si limitano a quanto necessario per il consegui-
mento degli obiettivi dei trattati” (art. 5.4 TUE).
Il ruolo della legislazione nazionale, infine, è rafforzato dalla previ-
sione in forza della quale “i parlamenti nazionali vigilano sul rispetto del
principio di sussidiarietà” (art. 5.5 TUE).
La Corte Costituzionale ha ormai avallato la prevalenza del diritto
UE sul diritto interno (inclusa la stessa Costituzione, e con il solo limite
dei principi fondamentali), ritenendo tale prevalenza consentita dalla
stessa Costituzione. La Corte, nelle sue decisioni in materia, si è riferita
anzitutto all’art. 11 Costituzione (“L’Italia […] consente, in condizioni
di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un
ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e
favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”) e, in secondo
luogo, all’art. 117 Costituzione (come modificato dalla Legge costituzio-
nale n. 3/2001), in forza del quale “la potestà legislativa è esercitata dallo
Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli deri-
vanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.
Ciò non esclude che, in talune circostanze, il problema della supre-
mazia del diritto UE rispetto alla nostra Costituzione si sia posto (es.
divieto di lavoro notturno femminile) e possa riproporsi, mettendo in
evidenza punti di frizione tra i diversi principi e le diverse norme espresse
da quelle fonti, rimettendo così in discussione i loro reciproci rapporti.
Lasciando da parte i difficili e rari casi nei quali si potrebbe evidenziare
un contrasto tra la Carta costituzionale e il diritto dell’UE, il primato
del diritto UE trova riscontro, sia nell’elaborazione della Corte Costi-
tuzionale sia nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, nell’obbligo
del giudice nazionale di decidere una controversia sulla base delle norme
UE direttamente applicabili, disapplicando le norme interne contrastan-
ti. Quando, invece, il giudice individui un contrasto tra norme UE non
direttamente applicabili e norme interne, trova spazio l’applicazione del
principio di c.d. interpretazione conforme: il giudice nazionale deve inter-
pretare le disposizioni interne (tutte, non solo quelle che espressamente
recepiscono norme UE) nel modo più conforme alle disposizioni UE,
quando ciò risulti possibile e non vi sia incertezza sull’interpretazione
delle disposizioni UE.
Le fonti del diritto del lavoro 31
nei quali, dunque, la direttiva può produrre quell’effetto diretto che non
le sarebbe proprio. Scaduto il termine entro il quale uno Stato membro
avrebbe dovuto recepire la direttiva, a fronte di un mancato o inadeguato
recepimento della stessa direttiva, le disposizioni contenute in quella di-
rettiva possono essere invocate direttamente dal cittadino dello Stato ina-
dempiente, a condizione che esse siano così dettagliate e self executing da
definire in modo chiaro, preciso e incondizionato i diritti che il cittadino
intenda far valere. Verificata questa necessaria condizione, la disposizione
in oggetto acquisisce sì efficacia diretta, ma limitata: la sua efficacia, infat-
ti, si dispiega soltanto nei confronti dello Stato (inadempiente all’obbligo
di recepimento), sia pure inteso in senso ampio, così da ricomprendere
anche tutti i casi nei quali sia parte del giudizio la Pubblica amministra-
zione (per esempio, nella sua veste di datore di lavoro pubblico). Si tratta
di quello che usualmente viene definito effetto diretto verticale. Resta
invece ferma l’impossibilità di realizzare l’obiettivo di attribuire alla
direttiva effetto diretto orizzontale (tra privati).
Al fine di garantire l’effettività delle direttive e di evitare che uno Sta-
to membro possa trarre beneficio dal loro mancato recepimento, tuttavia,
la Corte di Giustizia ha statuito che il cittadino che abbia subito un dan-
no direttamente riconducibile al mancato recepimento di una direttiva
non self executing potrà far valere il diritto ad un risarcimento effettivo
e proporzionato del danno subito; si tratta dell’applicazione della c.d.
dottrina Francovich, dal caso (italiano) che è stato all’origine di questa
giurisprudenza della Corte, ormai consolidatasi.
Perché il danno possa e debba essere risarcito, occorre che si veri-
fichino tre condizioni: la prima di queste condizioni è che il risultato
prescritto dalla direttiva implichi l’attribuzione di diritti a favore dei sin-
goli. La seconda condizione è che il contenuto di tali diritti possa essere
individuato sulla base delle disposizioni della direttiva. Infine, la terza
condizione è l’esistenza di un nesso di causalità tra la violazione dell’ob-
bligo a carico dello Stato e il danno subito dai soggetti lesi.
Diversamente da quanto avviene per le fonti di diritto internazio-
nale, le direttive acquisiscono efficacia nel diritto interno non attraver-
so una legge di ratifica, bensì attraverso un procedimento che, da molti
anni, è stato codificato e strutturato in modo da garantire, almeno in
via di principio, il costante e tempestivo adeguamento dell’ordinamento
interno alle direttive che, anno dopo anno, vengono approvate dalle isti-
tuzioni UE e al “diritto vivente” elaborato dalla Corte di Giustizia.
La Legge 234/2012 ha sostituito la tradizionale “legge comunitaria
annuale”- che era stata introdotta nel 1989 dalla legge “La Pergola”- con
un doppio binario, costituito da: 1) la legge di delegazione europea,
che attribuisce al Governo deleghe legislative per il recepimento delle di-
Le fonti del diritto del lavoro 33
Secondo la previsione dell’art. 1 delle disp. prel. al c.c., tra le fonti del
diritto è da annoverare la consuetudine, denominata anche uso.
L’uso è costituito da un comportamento costante ed uniforme, dal
ripetersi cioè di un dato comportamento nel tempo (cd. “diuturnitas”),
accompagnato dalla convinzione della conformità al diritto e della neces-
Le fonti del diritto del lavoro 41
La materia del diritto del lavoro conosce alcune peculiari regole interpre-
tative capaci, in determinate ipotesi, di orientare la decisione secondo un
determinato bilanciamento degli opposti interessi. Non si tratta, quindi,
di fonti del diritto in senso formale, ma di criteri guida sussidiari.
Il primo di essi è costituito dall’equità, che costituisce il criterio in-
terpretativo ed il metodo di giudizio del caso concreto.
Nel diritto del lavoro, tradizionalmente, si fa riferimento a tale criterio
relativamente ad alcune specifiche fattispecie, quali la determinazione della
retribuzione (art. 36 Costituzione), quella della durata delle ferie annuali
(art. 2109, comma 2, c.c.), quella del trattamento retributivo - indennita-
rio in caso di infortunio, malattia, gravidanza e puerperio (art. 2110 c.c.),
nonché della durata del preavviso del licenziamento (art. 2118 c.c.).
In tali casi, la decisione cui il giudice sia pervenuto secondo equità
assume valore di fonte normativa, a condizione che la legge o la stessa
volontà delle parti abbiano conferito al giudice (artt. 113 e 114 c.p.c.) o
agli arbitri (artt. 822 e 829, comma 2, c.p.c.) il potere di decidere secon-
do equità.
In particolare, la Legge 183/2011 (cd. “collegato lavoro”) dispone
che per la generalità delle controversie le parti, in tutti i casi di devoluzio-
ne della controversia ad arbitri, possano chiedere che la decisione avvenga
secondo equità.
42 MANUALE DI DIRITTO DEL LAVORO
Le fonti finora esaminate concorrono alla produzione del diritto del lavo-
ro nell’ambito dell’ordinamento nazionale.
Non è tuttavia rara l’ipotesi in cui lavoratori italiani prestino la pro-
pria attività all’estero o, al contrario, cittadini stranieri lavorino in Italia.
In tali casi diviene necessario comprendere il criterio di individuazione
della normativa applicabile al rapporto di lavoro.
La Convenzione di Roma del 19 giugno 1980 sulla legge appli-
cabile alle obbligazioni contrattuali, entrata in vigore il 1° aprile 1991
nella maggioranza degli Stati membri dell’Unione europea, stabilisce due
fondamentali criteri.
La regola generale è quella della libera scelta della legislazione, ad
opera delle parti.
Le fonti del diritto del lavoro 43
Sommario: 3.1. La subordinazione. 3.2 Il lavoro parasubordinato. 3.3 Lavoro familiare, gratuito
e volontariato. 3.4 Il lavoro nell’impresa sociale e il lavoro accessorio.
3.1. La subordinazione
Sommario: 4.1. Definizione. 4.2 Il Contratto collettivo di diritto comune. 4.3 L’efficacia ogget-
tiva e soggettiva del contratto collettivo di diritto comune. 4.4. L’efficacia spaziale e temporale
del contratto collettivo di diritto comune e la sua interpretazione.
4.1. Definizione
L’unica forma di contratto collettivo che possa realizzarsi nel nostro or-
dinamento è il contratto collettivo di diritto comune, regolato dalle
norme di diritto comune in materia contrattuale.
Tale tipo di contratto, avente natura privatistica, vincola esclusiva-
mente gli associati alle organizzazioni sindacali (di entrambe le parti con-
traenti) che l’hanno stipulato, e pertanto non ha efficacia erga omnes.
La causa del contratto può individuarsi nella funzione normativa,
ossia nella realizzazione dell’interesse collettivo alla pattuizione di dispo-
sizioni vincolanti per coloro che sono addivenuti o addiverranno alla
costituzione contrattuale di rapporti di lavoro compresi nel campo di
applicazione della disciplina collettiva pattuita (RIVA-SANSEVERO).
La dottrina prevalente ritiene che la forma del contratto debba essere
scritta, a pena di nullità, e debba essere sottoscritta da tutti gli stipulanti.
La funzione precipua del contratto collettivo di lavoro è quella eco-
nomico-sociale di tutela dei lavoratori e di composizione del conflitto
sociale.
I contratti collettivi si possono distinguere, quanto al loro contenu-
to, in due parti aventi diverse funzioni.
La prima è la parte c.d. “normativa”, che concerne la disciplina dei
rapporti di lavoro della categoria interessata ed è suddivisa, a sua volta,
nella parte economica (che riguarda i minimi di paga e le voci della re-
tribuzione) e nella parte normativa vera e propria (che riguarda invece
l’inquadramento, l’orario di lavoro, le ferie, i permessi ecc.).
Vi è poi la parte denominata “obbligatoria”, destinata a regolare i
rapporti tra i soggetti stipulanti, ossia l’insieme di diritti ed obblighi che
le parti si riconoscono e al rispetto dei quali sono vincolate.
Tra le più importanti clausole obbligatorie si ricordano quella di
“tregua sindacale”, che impegna le associazioni sindacali dei lavorato-
ri a non far ricorso all’azione diretta e a non organizzare agitazioni per
conseguire la modifica del contratto prima della sua scadenza naturale.
Autorevole dottrina (GIUGNI) osserva che tale tipo di clausola non può
tuttavia certamente precludere il diritto di sciopero degli iscritti.
Esistono poi “clausole di amministrazione del contratto”, le qua-
li prevedono collegi di conciliazione o particolari organi paritetici con
60 MANUALE DI DIRITTO DEL LAVORO
Sommario: 5.1 Nozione. 5.2 I presupposti soggettivi del contratto di lavoro. 5.3 I requisiti del
contratto. 5.4 Gli elementi accidentali del contratto. 5.5 L’invalidità del contratto di lavoro. 5.6
La certificazione del contratto di lavoro.
5.1 Nozione.
zialmente fondata sul disposto dell’art. 2126 c.c., secondo cui “la nullità
o l’annullamento del rapporto di lavoro non produce effetto per il periodo in
cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi dall’illiceità
dell’oggetto o della causa”. Da tale norma si ricaverebbe l’idea di un rap-
porto di lavoro che trae origine dalla materialità della prestazione di fatto,
svincolata da una fonte contrattuale).
Tra le seconde si ricordano invece, in particolare, la teoria del con-
tratto per adesione - costruita sull’interpretazione degli artt. 1341 e
1342 c.c., che disciplinano il fenomeno della predisposizione unilaterale
delle clausole contrattuali ad opera di una parte (i.e.: il datore di lavoro),
alle quali l’altra parte (i.e.: il lavoratore) è libera di aderire o meno- e la
teoria del contratto associativo- secondo la quale il contratto di lavoro
seguirebbe lo “schema” di cui all’art. 1420 c.c. e sarebbe quindi caratte-
rizzato dalla comunione di scopo tra il datore di lavoro ed il lavoratore, in
funzione di un comune interesse superiore (cd. “contratto associativo”).
Tutte le predette teorie non sono peraltro andate esenti da critiche.
Alla teoria istituzionalistica-comunitaria si è obiettato che i limiti
all’autonomia negoziale nella disciplina del rapporto di lavoro non esclu-
dono certamente la libertà di consenso al momento della sua costituzio-
ne.
Rispetto alla teoria della prestazione di fatto si è osservato che l’art.
2126 c.c. non ha in realtà altro scopo, se non quello di fornire una tu-
tela al soggetto che, nonostante l’invalidità del titolo, abbia prestato la
propria attività di lavoro al servizio dell’imprenditore: pertanto, proprio
dall’esistenza di tale disposizione sarebbe possibile desumere come l’or-
dinamento ricolleghi la costituzione del rapporto individuale di lavoro
all’esistenza di un titolo contrattuale, ancorché nullo o annullabile.
Neppure le teorie contrattualistiche sono peraltro andate esenti da
critiche.
In particolare, la teoria del contratto per adesione è apparsa inade-
guata, in quanto il contratto di lavoro subordinato, sebbene prevalente-
mente determinato nel contenuto da parte del datore di lavoro, costi-
tuisce tuttavia un accordo di natura necessariamente bilaterale, che si
perfeziona con il consenso delle due parti.
Altrettanto criticabile la teoria del contatto associativo, la quale pre-
suppone una visione comunitaristica dell’impresa, retaggio del periodo
corporativo fascista.
In ogni caso, la dottrina e la giurisprudenza prevalenti sono ora
concordi nel sostenere la natura contrattuale del rapporto di lavoro
subordinato, fondando la propria convinzione sul rilievo che la natura
contrattuale del rapporto è costituita dall’incontro di volontà tra il datore
di lavoro ed il lavoratore.
Il contratto individuale di lavoro
65
In tutti gli altri casi, ossia quando tale connessione manchi, è invece
illegittimo subordinare l’accessi ad un impiego al possesso di determi-
nati requisiti psico-fisici.
La più recente legislazione anti-discriminatoria dispone in tal sen-
so: in particolare, il D.Lgs. 11 aprile 2006 n. 198 (cd. “Codice delle
pari opportunità”) vieta qualsiasi discriminazione nell’accesso al lavoro
fondata sul sesso, ammettendo una deroga solo per le assunzioni in at-
tività della moda, dell’arte e dello spettacolo, quando ciò sia essenziale
alla natura del lavoro o della prestazione.
Nei concorsi pubblici, la posizione di lavoro messa a concorso deve
essere accompagnata dalle parole “dell’uno o dell’altro sesso”, fatta ecce-
zione per i casi in cui il riferimento al sesso costituisca requisito essen-
ziale per la natura del lavoro o della prestazione.
Sono inoltre illegittime le norme dei bandi di concorso che richie-
dano il requisito della “sana e robusta costituzione fisica”, salvi però i re-
quisiti di idoneità specifica per singole funzioni (art. 16 Legge 68/1999).
Nel secondo caso, l’idoneità psico-fisica alla prestazione di lavo-
ro (intesa come mancanza di controindicazioni specifiche) è legittima,
quando è prevista dalla legge in relazione alle mansioni da svolgere (es.:
attività pericolose per la sicurezza del lavoratore o potenzialmente lesive
per la sua salute) oppure per la condizione in cui si trovi il lavoratore
stesso (es.: soggetto minore di età, donne in stato di gravidanza, ecc.)
La normativa in materia di igiene e sicurezza sul lavoro (artt. 38
e ss. D.Lgs. 81/2008) prevede che, nei casi di sorveglianza sanitaria
obbligatoria, il datore di lavoro provveda, mediante il medico compe-
tente, ad effettuare accertamenti preventivi, intesi a constatare l’assenza
di controindicazioni al lavoro cui i lavoratori sono destinati, ai fini della
valutazione della loro idoneità alla mansione specifica. Gli stessi accer-
tamenti devono inoltre essere ripetuti ad intervalli periodici.
Nei casi in cui non sussiste tale obbligo, qualsiasi accertamento
sullo stato di salute psico-fisico del lavoratore è invece vietato, ai sensi
dell’art. 5 Statuto dei Lavoratori.
L’idoneità tecnica riguarda invece la capacità giuridica, nei casi in
cui sia richiesta la capacità professionale a svolgere una determinata
attività.
Quando essa debba risultare da diplomi, patenti, licenze, iscrizioni
in albi o altre certificazioni della pubblica autorità, la mancanza dell’i-
doneità tecnica è causa di nullità del contratto di lavoro (es.: l’iscri-
zione all’Ordine dei Medici per l’esercizio delle professioni sanitarie).
Tale regola è posta a tutela non solo dei contraenti (ivi incluso lo
stesso lavoratore, nel caso di attività pericolose), ma anche dei terzi che
dalla prestazione di lavoro possono ricevere un danno diretto.
70 MANUALE DI DIRITTO DEL LAVORO
pio della libertà della forma”). Ciò significa che hanno rilievo le forme
tacite di manifestazioni del consenso, in particolare il comportamento con-
cludente delle parti, consistente ad esempio nell’esecuzione della prestazio-
ne. Pertanto, il contratto di lavoro si ritiene validamente costituito quando,
dal comportamento delle parti, derivi inequivocabilmente la loro volontà
di dare vita ad un rapporto ed eseguire le obbligazioni connesse.
In caso di contenzioso circa l’esistenza del rapporto di lavoro, la
mancanza di un vero e proprio contratto non è elemento di per sé suffi-
ciente a confutare l’esistenza del rapporto. A tal fine, il datore di lavoro
deve fornire la prova che la prestazione si sia svolta contro la sua volontà.
In ipotesi particolari la legge prevede espressamente una forma par-
ticolare (cd. “casi di forma vincolata”).
Può trattarsi di forma scritta richiesta a pena di nullità, la cui man-
canza determina la nullità del rapporto (il lavoratore ha comunque diritto
alla retribuzione per l’attività prestata, secondo quanto stabilito dall’art.
2126 c.c.), oppure richiesta a fini probatori dell’esistenza del contratto
o di alcune clausole negoziali (ad esempio, la legge prescrive l’atto scritto
per provare il tempo parziale del contratto di lavoro).
Sommario: 6.1 Premessa. 6.2 La posizione del lavoratore. 6.3 L’informativa al lavoratore sul-
le condizioni del rapporto di lavoro. 6.4 Il mutamento delle mansioni del lavoratore. 6.5 La
sospensione e la modificazione del rapporto di lavoro. 6.6 La prestazione del lavoratore. 6.7 I
diritti del lavoratore. 6.8 Gli obblighi e i poteri del datore di lavoro.
6.1 Premessa.
tore di lavoro adotti le misure necessarie a tutela della privacy del proprio
dipendente.
Il rispetto dei principi del “Codice Privacy” costituisce un argine
rispetto all’utilizzo pervasivo dei controlli sul lavoro; anche a seguito del
Jobs Act, con un intervento del Presidente Garante privacy del 13 genna-
io 2016, è stato chiarito che i controlli devono essere fatti con assoluta
residualità, specie per quelli più invasivi, che sono legittimati solo a fron-
te di preventive rilevazioni anomale nell’attività lavorativa e comunque
sempre a seguito di tutte quelle misure preventive, sicuramente meno
limitative dei diritti del lavoratore.
Per quanto attiene ai sistemi di geolocalizzazione, con la Circolare
INL 2/2016 si è stabilito che, per la loro liceità, è necessario l’accordo
aziendale o l’autorizzazione amministrativa, in quanto non rientrano tra
gli strumenti di lavoro, ma costituiscono elementi aggiunti che rispon-
dono ad esigenze di carattere assicurativo, organizzativo, produttivo o di
garanzia per la sicurezza sul lavoro.
L’art. 5 dello Statuto dei Lavoratori vieta (pena sanzione penale) gli
accertamenti sanitari sul lavoratore, compiuti dal datore di lavoro, di-
rettamente o tramite medico privato. La norma, posta al fine di garantire
la dignità del lavoratore, ricomprende sia gli accertamenti sanitari com-
piuti sull’idoneità fisica del lavoratore alla mansione espletata, sia i con-
trolli sul suo stato di malattia/infortunio. In ogni caso, il datore di lavoro
ha facoltà di far controllare l’idoneità fisica del lavoratore da enti pubblici
ed istituti specializzati di diritto pubblico.
Il D.Lgs. 81/2008 (cd. “T.U. della sicurezza sul lavoro”) disciplina
invece i controlli sanitari alle specifiche mansioni dei lavoratori soggetti
a sorveglianza sanitaria.
Da ultimo, infine, vanno menzionate due fondamentali norme poste
a tutela del principio di libertà del lavoratore.
L’art. 1 Statuto dei Lavoratori riconosce il diritto dei lavoratori di
manifestare liberamente, senza distinzioni di opinioni politiche, sindacali
e di fede religiosa, il proprio pensiero nei luoghi lavorativi, nel rispetto
dei principi della Costituzione e dello Statuto dei lavoratori. A comple-
tamento della predetta norma, l’art.8 Statuto dei Lavoratori prevede il
divieto per il datore di lavoro (sia ai fini dell’assunzione, sia nel corso
del rapporto) di effettuare indagini, anche tramite terzi, sulle opinio-
ni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché sui fatti non
rilevanti ai fini della valutazione della sua attitudine professionale;
-- POTERE DISCIPLINARE (artt. 2106 c.c. e 7 Statuto dei La-
voratori): indica il potere del datore di lavoro di sanzionare il la-
voratore nel caso in cui venga meno ai suoi doveri contrattuali.
Parte della dottrina (SANTORO-PASSARELLI) considera le sanzio-
Il rapporto di lavoro 101
Sommario: 7.1 Principi. 7.2. La struttura e i sistemi della retribuzione. 7.3 Gli elementi della
retribuzione 7.4 L’adempimento dell’obbligazione retributiva. 7.5 La tutela della retribuzione.
7.6 Il Trattamento di fine rapporto. 7.7 La devoluzione del TFR alla previdenza complementare.
7.1 Principi.
mentre nella retribuzione a cottimo si tiene conto non soltanto del tem-
po impiegato, ma anche del risultato ottenuto dal lavoratore.
Nel sistema a cottimo il rischio della produttività del lavoro, pur re-
stando a carico del datore di lavoro per ciò che concerne l’organizzazione
del lavoro, viene parzialmente trasferito a carico del lavoratore per ciò che
concerne la qualità della prestazione.
Si distinguono due tipologie di cottimo: il cottimo puro (in cui la
retribuzione viene interamente determinata in base al sistema del cotti-
mo) ed il cottimo misto ( in cui la retribuzione è data da una combina-
zione tra la forma del cottimo e quella del tempo, suddividendosi in paga
base, cottimo minimo garantito, cottimo effettivamente ottenuto).
Ancora, si definisce cottimo collettivo (di squadra o di gruppo)
quella particolare forma di retribuzione del lavoro subordinato legata al
rendimento misurato non già individualmente, ma in riferimento ad un
gruppo di lavoratori organizzato dall’impresa.
Si definisce invece concottimo quel particolare trattamento retribu-
tivo riservato ai lavoratori non cottimisti che, in ragione delle mansioni
espletate, sono condizionati al ritmo di lavoro dei cottimisti: per loro è
prevista una partecipazione ai benefici del cottimo.
La contrattazione collettiva disciplina in quasi tutti i suoi aspetti l’i-
stituto del cottimo, con il fine di controllare il potere dell’imprenditore,
fissando le tariffe minime e il minimo garantito di cottimo, nonché la
rilevazione dei tempi ecc.
Le ipotesi di cottimo obbligatorio sono previste dall’art. 2100 c.c.
nei casi in cui:
-- il lavoratore risulti oggettivamente vincolato all’osservanza di un
determinato ritmo produttivo (es.: catena di montaggio);
-- si abbia la previa misurazione dei tempi di lavorazione;
-- nel lavoro a domicilio.
Ai sensi dell’art. 42 del D.Lgs. 81/2015, è vietato il cottimo nel periodo
di apprendistato, per l’ovvia ragione di evitare che il lavoratore, in detto
periodo, pregiudichi l’attività formativa e l’integrità fisica.
Come sopra rilevato, le ulteriori forme di retribuzione previste
dall’art. 2099 c.c. (c.d. speciali) sono rappresentate dalla retribuzione
in natura (che trova applicazione in certe forme di lavoro agricolo, nel
settore della pesca e nel lavoro domestico); dalla provvigione, che con-
siste in una percentuale sugli affari conclusi dal prestatore (vi è da ri-
marcare che la provvigione non potrebbe costituire una forma esclusiva
di retribuzione, in quanto la sua aleatorietà non garantirebbe il rispetto
dei caratteri generali previsti e garantiti dalle norme di legge), e dalle
partecipazioni agli utili e al capitale dell’impresa (se non diversamente
stabilito, la partecipazione agli utili è determinata in base agli utili netti
La retribuzione 109
ite al lavoratore. Sono parte integrante della paga base gli scatti
di anzianità, che consistono in aumenti periodici di retribuzio-
ne stabiliti dai contratti collettivi che ne determinano il numero
massimo, le percentuali di calcolo, le cadenze di maturazione e gli
eventuali assorbimenti;
-- l’indennità di contingenza: è considerabile come un automati-
smo retributivo indicizzato al costo della vita, ha funzione di ga-
rantire che il valore nominale della retribuzione sia costantemen-
te adeguato al valore reale, al fine di evitare che i salari perdano
il potere di acquisto a causa dell’inflazione. Il sistema, soppresso
nel 1991, era basato sul meccanismo della “scala mobile”, che
prevedeva adeguamenti automatici della retribuzione attraverso
il riferimento ad indici (prezzi determinati dal c.d. “paniere”); al
variare di detto indice oltre una certa soglia percentuale, si aveva
lo scatto dei punti di contingenza, ossia l’aumento in una certa
misura della retribuzione. La “scala mobile”, inizialmente nata
come istituto contrattuale collettivo, ha trovato poi applicazione
nel settore del pubblico impiego in anni in cui non vi era ancora
una vera e propria contrattualizzazione.
Essa è stata modificata dal D.L. n.70/1984, convertito in Legge
219/1984, oggetto anche di referendum popolare, e dalla Legge n.
38/1986, nonché dalla Legge n. 191/1990, che ha prorogato fino
al 31dicembre 1991 il programma di contenimento del meccani-
smo di indicizzazione.
Alla scadenza vi è stata la soppressione dell’istituito e il formale
riconoscimento del superamento del meccanismo con il “Proto-
collo triangolare d’intesa” tra Governo e Parti Sociali del 31 luglio
1992, a cui è seguito il “Protocollo Interconfederale” del 1993,
che ha introdotto la possibilità di recuperare lo scarto tra livello
reale dei salari e livello di infrazione.
Nel 2009 si è avuto un nuovo accordo in base al quale il tasso
di inflazione programmata è stato sostituito da un indice previ-
sionale costituito sulla base dell’IPCA (indice dei prezzi al con-
sumo armonizzato in ambito europeo per l’Italia), elaborato da
un soggetto terzo (ISTAT) che si occupa di verificare eventuali
scostamenti tra inflazione prevista ed inflazione reale; il recupero
degli scostamenti è previsto entro la vigenza di ciascun contratto
collettivo;
-- l’elemento distinto della retribuzione (E.D.R.): introdotto dal
Protocollo del 31 luglio 1992, ha lo scopo di compensare il man-
cato adeguamento dei salari al costo della vita a seguito dell’abo-
lizione del meccanismo della “scala mobile”;
La retribuzione 111
il lavoratore aderisce.
Infine, dal 2007, le aziende con organico pari ad almeno 50 dipen-
denti devono versare al cd. Fondo di Tesoreria (istituito dalla Legge
296/2006 e gestito dall’INPS) le quote di TFR dei lavoratori non ade-
renti alla previdenza complementare, mensilmente e per ciascuno di essi.
Pertanto, in conclusione, la riforma della previdenza complementare
ha inciso profondamente anche sui datori di lavoro, avendo determinato
il venir meno, nella generalità dei casi, della cd. “riserva di liquidità” che
il TFR tradizionalmente svolgeva nei loro confronti, mediante il relativo
accantonamento per tutta la durata del rapporto lavorativo.
Capitolo 8
L’organizzazione della prestazione lavorativa.
Sommario: 8.1 Il luogo della prestazione lavorativa. 8.2 L’orario di lavoro. 8.3 Orario Flessibile.
8.4 Orario Elastico. 8.5 Lavoro straordinario. 8.6 Lavoro notturno. 8.7 Riposi. 8.8 Ferie e festi-
vità. 8.9 Permessi e congedi. 8.10 Congedo ai genitori lavoratori.
Il D.lgs. n. 66 del 2003 (nel testo modificato dal D.L. 112/2008, conver-
tito con modificazioni in Legge 133/2008) introduce per la prima volta
una definizione legale del concetto di orario di lavoro, stabilendo che
per esso deve intendersi il periodo di tempo durante il quale il lavoratore
si trova fisicamente sul posto di lavoro ed a disposizione del datore di
lavoro, al fine di svolgere la propria prestazione in caso di necessità.
È pertanto superato il concetto di “lavoro effettivo” della previgen-
te disciplina e vengono ricomprese nella definizione anche tutte quelle
occupazioni che, per loro natura, richiedono un lavoro discontinuo o di
semplice attesa o custodia (ad esempio, il medico di guardia).
Restano ancora dubbi circa la possibilità di ricomprendere nell’at-
tività lavorativa il tempo impiegato per raggiungere il posto di lavoro
oppure il tempo connaturato alla prestazione lavorativa stessa, come nel
caso degli autotrasportatori.
Dibattuta e controversa è invece la questione relativa all’inclusione
nell’attività di lavoro del tempo impiegato per indossare tute da lavoro,
presidi antinfortunistici o comunque, in generale, l’abbigliamento neces-
sario per il proprio lavoro (es.: divisa).
Riguardo al regime generale dell’orario di lavoro, si può ritenere che
la giurisprudenza abbia stabilito che la mancanza di un orario fisso e ca-
denzato non è sufficiente ad escludere il vincolo della subordinazione,
laddove la prestazione espletata non necessiti di un orario prestabilito.
In altre parole, un orario flessibile non fa venire meno la continuità
del rapporto di lavoro, dal momento che possono considerarsi continua-
L’organizzazione della prestazione lavorativa 123
66/2003 prevede che “il lavoratore verrà assegnato al lavoro diurno, in altre
mansioni equivalenti, se esistenti e disponibili”.
La contrattazione collettiva stabilisce la maggiorazione retributiva
per il lavoro notturno e/o la riduzione dell’orario di lavoro normale nei
confronti dei lavoratori notturni.
Differente dal lavoro notturno è il cosiddetto “lavoro a turni”, pre-
visto laddove vi siano esigenze di produzione o di organizzazione del
lavoro che richiedono l’avvicendamento continuo dei lavoratori nello
svolgimento di uno stesso compito o nel medesimo contesto lavorativo.
Nel caso in cui la turnazione avvenga nella medesima giornata, si
parlerà di “lavoro a squadre”, mentre si avrà “lavoro a ciclo continuo”, se
gli impianti dell’azienda sono in funzione per l’intera giornata lavorativa.
8.7 Riposi.
nale.
In merito al lavoro prestato oltre il sesto giorno consecutivo, va
distinto il “danno da usura psico-fisica”, conseguente alla mancata fruizio-
ne del riposo dopo sei giorni di lavoro, dal “danno alla salute o biologi-
co”, che si concretizza invece in una infermità del lavoratore determinata
dall’attività lavorativa usurante, svolta in conseguenza di una prestazione
di lavoro priva di riposi settimanali.
Nella prima ipotesi il danno sull’an si ritiene presunto e, pertanto,
il risarcimento potrà essere determinato spontaneamente dal datore di
lavoro con il consenso del lavoratore, tenendo conto delle maggiorazioni
eventualmente previste dai contratti collettivi.
Nella seconda ipotesi, invece, il danno alla salute o biologico si con-
cretizza in una infermità del lavoratore che, pertanto, non può essere
ritenuta esistente in maniera presuntiva, ma deve essere dimostrata sia
nell’esistenza, sia nel nesso eziologico, a prescindere dalla presunzione di
colpa propria della responsabilità nascente dall’illecito contrattuale.
Per i dipendenti delle Ferrovie dello Stato, il lavoro prestato è di-
stribuito in cinque giorni settimanali con due di riposo compensativo;
nel caso di mancato godimento di una giornata per coincidenza con
quella festiva, non si avrà diritto al risarcimento del danno, dal momen-
to che il mancato godimento non concreta violazione della normativa
legale e contrattuale e non determina per il lavoratore alcun pregiudizio
di carattere retributivo, risarcitorio o indennitario, sotto il profilo di un
possibile danno da usura psicofisica.
Infine, quando la giornata lavorativa ecceda il limite delle 6 ore, i
lavoratori hanno diritto di effettuare delle pause ai fini del recupero delle
energie psico-fisiche, dell’attenuazione del lavoro monotono e della con-
sumazione del pasto (art. 8 D.Lgs. 66/2003).
Al contratto collettivo è rimessa la disciplina delle modalità e del-
la durata della pausa giornaliera. In assenza di contrattazione collettiva,
il datore di lavoro deve concedere una pausa di durata non inferiore a
10 minuti, collocata, tenendo conto delle esigenze tecniche del processo
produttivo, tra l’inizio e la fine di ogni periodo giornaliero di lavoro.
Particolari pause sono infine previste in caso di svolgimento di deter-
minate attività (es.: i lavoratori addetti ai terminali in modo sistematico
o abituale, per 20 ore settimanali, hanno diritto, qualora svolgano tale
attività per almeno 4 ore consecutive, ad una pausa stabilita nelle moda-
lità dalla contrattazione collettiva o, in mancanza, pari a 15 minuti ogni
120 minuti, senza possibilità di cumulo all’inizio e al termine dell’orario
di lavoro).
L’organizzazione della prestazione lavorativa 129
Sommario: 9.1. L’obbligo di sicurezza. 9.2 Le fonti della sicurezza sul lavoro. 9.3 La prevenzione.
9.4 I soggetti responsabili ed i soggetti tutelati. 9.5 La sorveglianza sanitaria. 9.6 L’esonero della
responsabilità civile del datore di lavoro per infortunio e malattia professionale. 9.7 Le sanzioni.
9.3 La prevenzione.
minimo i rischi derivanti dalle possibili interferenze tra l’attività dei pro-
pri lavoratori e quella dei dipendenti dell’appaltatore; deve essere allegato
al contratto di appalto o d’opera e deve essere adeguato all’evoluzione dei
lavori, dei servizi e delle forniture.
A tali dati accedono sia il rappresentante dei lavoratori per la sicu-
rezza, sia gli organismi locali delle organizzazioni sindacali dei lavoratori
comparativamente più rappresentative a livello nazionale.
Il servizio di prevenzione e protezione dai rischi (SPP), coordi-
nato da un responsabile designato direttamente dal datore di lavoro, è
costituito dall’insieme di persone, sistemi e mezzi, esterni o interni all’a-
zienda, finalizzati all’attività di prevenzione e protezione dai rischi profes-
sionali per i lavoratori (art. 2, comma 1, lett.l), T.U.).
Esso svolge un ruolo di supporto per il datore di lavoro ed è coor-
dinato da un responsabile designato da quest’ultimo.
In seguito a recenti modifiche, il SPP deve essere organizzato prio-
ritariamente dal datore di lavoro all’interno dell’azienda. Prevale quindi
il modello di “SPP interno”, costituito dal responsabile nominato dal
datore di lavoro e da altri addetti, individuati tra i lavoratori in possesso
di attitudini e capacità adeguate.
In assenza di adeguate attitudini e capacità “interne”, il datore di
lavoro può avvalesi, eccetto che in determinati settori ed attività ad alto
rischio infortuni, di un “SPP esterno”, affidandolo a professionisti.
Infine, eccetto che in determinate attività “a rischio”, i compiti del
SPP possono essere svolti direttamente dal datore di lavoro, che sia in
possesso di apposita formazione, dandone preventiva comunicazione al
rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.
I membri del SPP, nel caso di aziende o unità produttive che occu-
pano più di 15 dipendenti, si devono riunire almeno una volta all’anno
per verificare e controllare lo stato delle misure di sicurezza, l’andamento
degli infortuni e delle malattie professionali e della sorveglianza sanitaria,
i dispositivi di protezione individuale e i programmi di informazione dei
lavoratori.
e del nesso causale, senza dover fornire la prova anche delle misure di
prevenzione e protezione non attuate dal datore di lavoro.
Inoltre il datore di lavoro è responsabile per l’infortunio occorso al
lavoratore, anche quando non abbia accertato l’effettivo utilizzo, da parte
del lavoratore stesso, delle misure protettive fornite.
In pratica, il datore di lavoro deve controllare che gli strumenti ade-
guati vengano concretamente utilizzati dai lavoratori e che le modalità
del processo di lavorazione siano rispettate.
Non è invece assolutamente responsabile per quegli infortuni causati
da comportamenti dolosi del lavoratore, cioè preordinati a causare l’even-
to lesivo, al fine di godere della tutela risarcitoria.
I soggetti tutelati sono ovviamente i lavoratori subordinati ed an-
che tutti coloro che risultano assunti con differenti tipologie contrat-
tuali (D.Lgs. 81/2015).
In particolare, sono tutelati:
-- i lavoratori assunti con contratto a tempo determinato (artt.
19-29 D.Lgs. 81/2015);
-- i lavoratori occupati in regime di part-time (artt. 4-12 D.Lgs.
81/2015);
-- i lavoratori che operano in regime di apprendistato (artt. 41-47
D.Lgs. 81/2015): in particolare, per tale categoria di lavoratori,
l’obbligo di sicurezza incombe sia sul datore di lavoro, sia sull’i-
stituzione formativa ed è diversamente articolato a seconda della
diversa tipologia di apprendistato;
-- i lavoratori assunti con contratto di lavoro intermittente (artt.
13-18 D.Lgs. 81/2015);
i lavoratori che operano in regime di somministrazione (artt. 30-40
D.Lgs. 81/2015): in questo caso, la responsabilità e i compiti in materia
di sicurezza sono ripartiti tra il datore di lavoro formale (agenzia-sommi-
nistratore) e il datore di lavoro effettivo (utilizzatore).
Per quanto riguarda i lavoratori che operano in regime di distacco,
il Testo Unici prevede che gli obblighi dio prevenzione e protezione sono
a carico del cd. “distaccatario”, ossia del datore di lavoro preso cui sono
distaccati i lavoratori.
Restano invece esclusi dalle previsioni del Testo Unico gli addetti ai
servizi domestici e familiari (art. 2, comma 1, T.U.).
Per alcuni rapporti, i lavoratori beneficiano di una tutela parziale,
ossia dell’applicazione di solo alcune delle norme del Testo Unico.
È il caso, ad esempio, dei lavoratori a domicilio, ai quali si appli-
cano soltanto le norme concernenti l’informazione e la formazione, le
attrezzature di lavoro e la fornitura di dispositivi di protezione indivi-
duale. In ogni caso, nel lavoro a domicilio non è ammessa l’esecuzione di
La sicurezza sul luogo di lavoro
149
9.6 L’esonero della responsabilità civile del datore di lavoro per infortunio
e malattia professionale.
9.7 Le sanzioni.
Sommario: 10.1 Premessa. 10.2 Il contratto di lavoro a tempo determinato. 10.3 Il lavoro a
tempo parziale (part-time). 10.4 Il lavoro intermittente. 10.5 L’apprendistato. 10.6 Il lavoro
sportivo. 10.7 Il lavoro giornalistico. 10.8 I lavoratori dello spettacolo. 10.9 Il lavoro dirigenzia-
le. 10.10 Il lavoro a domicilio. 10.11 Il telelavoro. 10.12 Il lavoro agile (Smart Working). 10.13
Il lavoro domestico. 10.14 Il lavoro dei portieri. 10.15 Il lavoro familiare e l’impresa familiare.
10.16 La tutela del lavoro autonomo di cui alla Legge 81/2017.
10.1 Premessa.
In ogni caso, con l’eccezione dei settori del turismo, dei pubblici eserci-
zi e dello spettacolo, il contratto di lavoro intermittente è ammesso, per
ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per un periodo com-
plessivamente non superiore a quattrocento giornate di effettivo lavoro
nell’arco di tre anni solari.
In caso di superamento del predetto periodo, il relativo rapporto si
trasforma in un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato.
Il lavoro intermittente non può essere stipulato nell’ambito della
Pubblica Amministrazione.
Ai sensi dell’art. 14 D.Lgs. 81/2015 è vietato il ricorso al lavoro inter-
mittente:
a. per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
b. presso unità produttive nelle quali si è proceduto, entro i sei mesi
precedenti, a licenziamenti collettivi a norma degli articoli 4 e 24
della legge 23 luglio 1991, n. 223, che hanno riguardato lavorato-
ri adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro
intermittente, ovvero presso unità produttive nelle quali sono ope-
ranti una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario in regi-
me di cassa integrazione guadagni, che interessano lavoratori adibi-
ti alle mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente;
c. ai datori di lavoro che non hanno effettuato la valutazione dei ri-
schi in applicazione della normativa di tutela della salute e della
sicurezza dei lavoratori.
Il contratto di lavoro intermittente deve essere stipulato in forma scritta ai
fini della prova dei seguenti elementi:
a. durata e ipotesi, oggettive o soggettive, che consentono la stipula-
zione del contratto a norma dell’articolo 13;
b. luogo e modalità della disponibilità, eventualmente garantita dal
lavoratore, e del relativo preavviso di chiamata del lavoratore, che
non può essere inferiore a un giorno lavorativo;
c. trattamento economico e normativo spettante al lavoratore per la
prestazione eseguita e relativa indennità di disponibilità, ove pre-
vista;
d. forme e modalità, con cui il datore di lavoro e’ legittimato a richie-
dere l’esecuzione della prestazione di lavoro, nonché modalità di
rilevazione della prestazione;
e. tempi e modalità di pagamento della retribuzione e della indennità
di disponibilità;
f. misure di sicurezza necessarie in relazione al tipo di attività dedotta
in contratto.
Prima dell’inizio della prestazione lavorativa o di un ciclo integrato di pre-
stazioni di durata non superiore a trenta giorni, il datore di lavoro è tenuto
I rapporti di lavoro speciali 165
10.5 L’apprendistato.
lavoro, restando esclusi dal computo i rapporti cessati per recesso durante
il periodo di prova, dimissioni o licenziamento per giusta causa. Qua-
lora non sia rispettata la predetta percentuale, è in ogni caso consentita
l’assunzione di un apprendista con contratto professionalizzante. Gli ap-
prendisti assunti in violazione dei limiti, sono considerati ordinari lavo-
ratori subordinati a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione
del rapporto.
In caso di inadempimento nella erogazione della formazione a
carico del datore di lavoro, di cui egli sia esclusivamente responsabile e
che sia tale da impedire la realizzazione delle finalità della norma, il da-
tore di lavoro e’ tenuto a versare la differenza tra la contribuzione versata
e quella dovuta con riferimento al livello di inquadramento contrattuale
superiore che sarebbe stato raggiunto dal lavoratore al termine del pe-
riodo di apprendistato, maggiorata del 100 per cento, con esclusione di
qualsiasi sanzione per omessa contribuzione. Nel caso in cui rilevi un
inadempimento nella erogazione della formazione prevista nel piano for-
mativo individuale, il personale ispettivo del Ministero del lavoro e delle
politiche sociali adotta un provvedimento di disposizione, ai sensi dell’ar-
ticolo 14 del decreto legislativo n. 124 del 2004, assegnando un congruo
termine al datore di lavoro per adempiere.
Al termine del periodo di apprendistato le parti possono recedere dal
contratto, ai sensi dell’articolo 2118 c.c., con preavviso decorrente dal
medesimo termine. Durante il periodo di preavviso continua a trovare
applicazione la disciplina del contratto di apprendistato.
Se nessuna delle parti recede il rapporto prosegue come ordinario
rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
10.11 Il telelavoro.
dettato alcune disposizioni per la tutela del lavoro autonomo non im-
prenditoriale.
L’ambito applicativo del Capo I della predetta Legge (artt. 1-17)
coincide con i rapporti di lavoro autonomo di cui al Libro V, Titolo
III Codice civile (artt. 2222-2238 c.c.), ivi inclusi quelli aventi una
disciplina particolare ai sensi dell’art. 2222 c.c.
Sono invece espressamente esclusi dall’ambito del Capo I Legge
81/2017 gli imprenditori, anche “piccoli” ex art. 2083 c.c.
L’art. 2 Legge 81/2017 offre tutela ai lavoratori autonomi nell’am-
bito delle transazioni commerciali con le imprese, con le Pubbliche
Amministrazioni o con altri lavoratori autonomi, prevedendo l’appli-
cazione, nei limiti della compatibilità, delle disposizioni di cui al D.lgs.
09 ottobre 2002 n. 231 (“Attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa
alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”). È in
ogni caso fatta salva l’applicazione di disposizioni più favorevoli.
Il successivo art. 3 Legge 81/2017 offre invece tutela contro le “clau-
sole e condotte abusive”.
Si considerano abusive e sono quindi inefficaci:
-- le clausole che attribuiscono al committente la facoltà di modifi-
care unilateralmente le condizioni del contratto;
-- nel caso di contratto avente ad oggetto una prestazione conti-
nuativa, le clausole che attribuiscono al committente la facoltà di
recedere da esso senza congruo preavviso;
-- le clausole mediante le quali le parti concordano termini di pa-
gamento superiori a sessanta giorni dalla data del ricevimento,
da parte del committente, della fattura o della richiesta di paga-
mento.
Si considera inoltre abusivo il rifiuto del committente di stipulare il con-
tratto in forma scritta.
In tutti i predetti casi, il lavoratore autonomo ha diritto al risar-
cimento dei danni, anche promuovendo un tentativo di conciliazione
mediante gli organismi abilitati.
Si applica, in quanto compatibile, l’art. 9 Legge 18 giugno 1998 n.
192, in materia di abuso di dipendenza economica.
Sono inoltre oggetto di specifica protezione gli apporti originali e le
invenzioni del lavoratore autonomo.
Salvo il caso in cui l’attività inventiva sia prevista come oggetto del
contratto di lavoro e a tale scopo compensata, i diritti di utilizzazione
economica relativi ad apporti originali e ad invenzioni realizzati nell’e-
secuzione del contratto stesso spettano al lavoratore autonomo, secondo
le disposizioni di cui alla Legge 22 aprile 1941 n. 633 e al Codice della
proprietà industriale, emanato con D.lgs. 10 febbraio 2005 n. 30 (art. 4
I rapporti di lavoro speciali 187
Legge 81/2017).
I successivi artt. 5 e 6 della predetta Legge conferiscono poi al Go-
verno una serie di deleghe legislative in materia di atti pubblici rimessi
alle professioni organizzate in Ordini o Collegi ed in tema di sicurezza e
protezione sociale dei professionisti iscritti a tali organismi, in particolare
per ciò che concerne l’ampliamento delle prestazioni di malattia e ma-
ternità riconosciute ai lavoratori autonomi iscritti alla Gestione Separata
dell’INPS. Parimenti, il successivo art. 11 conferisce delega al Governo
in materia di semplificazione della normativa sulla salute e sulla sicurezza
negli studi professionali.
Ancora, ulteriori disposizioni sono previste in materia di stabilizza-
zione ed estensione dell’indennità di disoccupazione per i lavoratori
con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa (cd. “DIS-
COLL, ex art. 7 Legge 81/2017), deducibilità delle spese di formazione
e accesso alla formazione permanente (art. 9), accesso alle informazioni
sul mercato e servizi personalizzati di orientamento, riqualificazione e
ricollocazione (art. 10), informazioni ed accesso agli appalti pubblici e ai
bandi per l’assegnazione di incarichi ed appalti privati (art. 12).
In particolare, in forza dell’art. 10 Legge 81/2017, i Centri per l’im-
piego e gli organismi autorizzati alle attività di intermediazione in ma-
teria di lavoro devono dotarsi, in ogni sede aperta al pubblico, di uno
sportello dedicato al lavoro autonomo, anche mediante la stipulazione
di apposite convenzioni non onerose con collegi, ordini ed associazioni
professionali e con le associazioni comparativamente più rappresentative
sul piano nazionale dei lavoratori autonomi iscritti e non iscritti ad albi
professionali.
Il predetto sportello svolge compiti di raccolta delle domande e delle
offerte di lavoro autonomo, di fornitura delle relative informazioni ai
professionisti e alle imprese richiedenti, nonché di fornitura di infor-
mazioni relative alle procedure per l’avvio di attività autonome, per le
eventuali trasformazioni e per l’accesso a commesse ed appalti pubblici,
nonché relative alle opportunità di credito e alle agevolazioni pubbliche
nazionali e locali.
In materia di indennità di maternità, quest’ultima è riconosciu-
ta alla lavoratrice autonoma nelle forme e con le modalità previste per
il lavoro dipendente, a prescindere, per quanto concerne l’indennità di
maternità spettante per i due mesi antecedenti la data del parto e per i tre
mesi successivi, dalla effettiva astensione dall’attività lavorativa (art. 64,
comma 2, D.lgs. 26 marzo 2001 n. 151, come modificato dall’art. 13
Legge 22 maggio 2017 n. 81).
Ai sensi del successivo art. 14 legge 81/2017, la gravidanza, la ma-
lattia e l’infortunio dei lavoratori autonomi, che prestano la propria
188 MANUALE DI DIRITTO DEL LAVORO
no attivare una procedura monitoria (artt. 633 e ss. c.p.c.) sulla base di
tali documenti, dopo tale riforma analoga facoltà è concessa anche ai
lavoratori autonomi non imprenditori.
Il Capo I della Legge 81/2017, dedicato alla tutela del lavoro auto-
nomo non imprenditoriale, si conclude infine con la norma di cui all’art.
17, che prevede l’istituzione, presso il Ministero del lavoro e delle poli-
tiche sociali, di un tavolo tecnico di confronto permanente sul lavoro
autonomo, composto da rappresentanti designati dal Ministero del lavo-
ro e delle politiche sociali, nonché dalle associazioni sindacali dei lavora-
tori e dei datori di lavoro e dalle associazioni di settore comparativamente
più rappresentative a livello nazionale.
Al predetto tavolo tecnico è attribuito il compito di formulare pro-
poste e indirizzi operativi in materia di politiche del lavoro autonomo
con particolare riferimento a:
a. modelli previdenziali;
b. modelli di welfare;
c. formazione professionale.
Capitolo 11
Il decentramento produttivo, la somministrazione
di lavoro e l’appalto.
Sommario: 11.1 L’abrogazione del divieto di interposizione ed appalto nelle prestazioni di la-
voro. 11.2 La somministrazione di lavoro e la sua disciplina. 11.3 La disciplina del rapporto di
lavoro derivante dalla somministrazione. 11.4 L’appalto e la tutela dei lavoratori. 11.5 Il distacco
e la tutela dei lavoratori. 11.6 Il distacco transnazionale. 11.7 Il trasferimento di azienda.
Sommario: 12.1 Il Pubblico impiego. 12.2 L’accesso al pubblico impiego e le modalità di con-
tratto applicabili. 12.3 La tutela giurisdizionale. 12.4 Le fonti del pubblico impiego e la con-
trattazione collettiva. 12.5 Diritti e doveri del dipendente pubblico. 12.6 La mobilità. 12.7 Le
vicende modificative e estintive del rapporto di impiego. 12.8 La dirigenza pubblica.
Il processo di privatizzazione avviato nel corso negli anni ’90 ha inciso si-
gnificativamente nella materia del lavoro pubblico. Le regole del rappor-
to di lavoro sono state infatti ricondotte nell’alveo del diritto del lavoro
nell’impresa, con conseguente attribuzione all’Amministrazione pubbli-
ca degli stessi poteri del datore di lavoro privato.
Altro corollario è stato quello della devoluzione delle controversie
in materia di rapporto di lavoro al giudice ordinario, in funzione del
giudice del lavoro.
L’art. 63 D. Lgs. 165/2001 regolamenta i criteri di attribuzione di
giurisdizione all’autorità del giudice ordinario e a quella del giudice am-
ministrativo.
La prima concerne tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro
alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni, ad eccezione di quel-
le relative ai rapporti di lavoro non privatizzati, incluse le controversie
riguardanti l’assunzione (ad eccezione, cioè, delle fasi relative alle proce-
dure concorsuali), il conferimento e la revoca di incarichi dirigenziali e
la responsabilità dirigenziale, nonché quelle concernenti le indennità di
fine rapporto.
Al giudice ordinario spettano anche tutte le controversie aventi ad
oggetto comportamenti antisindacali delle Pubbliche Amministrazioni e
le controversie c.d. collettive (promosse con riferimento alle procedure di
contrattazione collettiva dell’ARAN).
Spettano invece al giudice amministrativo le controversie relative ai
rapporti di lavoro delle categorie cd. “non contrattualizzate” di cui all’art.
214 MANUALE DI DIRITTO DEL LAVORO
12.6 La mobilità.
Sommario: 13.1 Le cause. 13.2 L’atto di recesso. Tipologie. 13.3 Il licenziamento individuale:
evoluzione storica. 13.4 La regolamentazione del licenziamento individuale: requisiti sostanziali,
divieti e requisiti formali. 13.5 L’illegittimità del licenziamento individuale e le sue conseguenze
sanzionatorie. 13.6 L’impugnazione, l’offerta di conciliazione e la revoca del licenziamento. 13.7
Il regime sanzionatorio dei licenziamenti discriminatori, nulli e orali. 13.8 Il regime sanzionato-
rio dei licenziamenti illegittimi prima e dopo il D.Lgs. 23/2015. 13.9 Il licenziamento colletti-
vo. 13.10 La disciplina delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali.
13.1 Le cause.
consentito recedere dal rapporto prima del termine stabilito, a meno che
non si verifichi una giusta causa.
Il recesso nel rapporto a tempo indeterminato è invece disciplinato
in modo diverso tra lavoratore e datore di lavoro; le dimissioni non ne-
cessitano di alcuna giustificazione, mentre il licenziamento è sottoposto
alla sussistenza di una causa giustificatrice.
La parte che recede deve osservare l’obbligo di dare un periodo di
preavviso (art. 2118 c.c.), al fine di evitare che la parte, che subisce il
recesso, si trovi improvvisamente dinnanzi alla rottura del contratto. La
durata del periodo di preavviso è stabilita dai contratti collettivi di ca-
tegoria ed in tale periodo il rapporto di lavoro continua come in prece-
denza, con annessi diritti ed obblighi per entrambe le parti del rapporto.
In manca di preavviso, la parte recedente deve corrispondere all’altra
un’indennità equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spetta-
ta per il periodo di preavviso (c.d. indennità sostitutiva del preavviso).
L’obbligo di preavviso tuttavia, non sussiste se le dimissioni o il licen-
ziamento avvengono per giusta causa.
La disciplina della giusta causa è contenuta all’art. 2119 c.c. e fa ri-
ferimento ad una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvi-
soria, del rapporto. Deve quindi trattarsi di un atto o fatto, riferibile alla
sfera contrattuale e, entro determinati limiti, anche a quella extra-con-
trattuale, di oggettiva gravità.
ficato diversi da quelli del numero 2), che prevede soltanto il di-
ritto al pagamento di un’indennità di importo pari a 2 mensilità
per ogni anni di servizio, in misura compresa tra 4 e 24 mensilità;
4. tutela risarcitoria debole (applicabile ai datori di lavoro con
limiti occupazionali medio/grandi), per i casi di licenziamento
inefficaci per vizi diversi dall’assenza di forma scritta, che prevede
soltanto il diritto al pagamento di un’indennità di importo pari
a una mensilità per ogni anni di servizio, in misura compresa tra
2 e 12 mensilità;
5. tutela risarcitoria dimezzata (applicabile alle imprese di piccole
dimensioni), per i casi di licenziamento ingiustificati e inefficaci
che prevede il dimezzamento dell’importo delle indennità risarci-
torie previste nei casi di applicazione della tutela risarcitoria forte
e debole.
In tutti i casi in cui si accerti l’illegittimità del licenziamento e venga
riconosciuto il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro, è consentito
al lavoratore di rinunciarvi, optando per un’indennità pari a 15 mensilità
(c.d. opting out). Tale possibilità può esercitarsi sia se il lavoratore sia sog-
getto al vecchio regime che al nuovo.
Nel caso concreto, su ordine del giudice, il datore di lavoro è tenuto
ad invitare il lavoratore a riprendere il servizio e quest’ultimo deve ripren-
derlo entro 30 giorni; altrimenti, il rapporto si intende risolto. Entro il
medesimo termine, se non intende riprendere il servizio, il lavoratore
può chiedere la corresponsione dell’indennità sostitutiva.
Quest’ultima può essere richiesta anche in mancanza dell’invito a
riprendere il servizio: in tal caso, il termine di trenta giorni per l’esercizio
dell’opzione decorre dalla comunicazione del deposito della sentenza.
Il parametro per la determinazione dell’indennità sostitutiva è tutta-
via diverso nei due regimi: nel “vecchio” l’indennità sostitutiva è rappor-
tata all’ultima retribuzione globale di fatto, mentre nel “nuovo” all’ultima
retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR.
In base alla disciplina dell’art. 18, commi 1-3, Legge 300/1970, nel caso
di licenziamento discriminatorio, indipendentemente dalla motivazio-
ne formalmente addotta dal datore di lavoro, e quale che sia il numero
dei lavoratori occupati da quest’ultimo, trova applicazione la tutela reale
piena (o risarcimento pieno). Infatti il giudice:
-- dichiara nullo il licenziamento;
-- ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la
reintegrazione del lavoratore (anche dirigente) nel posto di la-
voro (salvo il diritto del lavoratore di optare per l’indennità so-
stitutiva);
-- condanna altresì il datore di lavoro al risarcimento del danno
subìto dal lavoratore, stabilendo a tal fine un’indennità commi-
surata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno
del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, ma
in ogni caso non inferiore a 5 mensilità della retribuzione globale
di fatto;
-- condanna il datore di lavoro al versamento dei contributi previ-
denziali ed assistenziali per il medesimo periodo.
La tutela reale trova applicazione in ogni caso di nullità previsto dal-
la legge e nelle ulteriori ipotesi tipiche previste dall’art. 18 Legge
300/1970 (i.e.: licenziamento della lavoratrice in concomitanza di ma-
trimonio; licenziamento della lavoratrice dall’inizio della gravidanza fino
a tutto il periodo di interdizione dal lavoro prescritto dalla legge; licen-
ziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale
e per la malattia del bambino e del congedo di paternità, comprese le
ipotesi di affidamento e adozione; licenziamento causato da un motivo
illecito determinante ex art. 1345 c.c.).
La tutela reale piena trova altresì applicazione in caso di licenzia-
mento orale.
Il D.Lgs. 23/2015 riconosce anche ai lavoratori soggetti alla nuova
disciplina, ed indipendentemente dal numero di lavoratori occupati, la
238 MANUALE DI DIRITTO DEL LAVORO
tutela reale piena nei casi di nullità del licenziamento perché discrimina-
torio ex art. 15 Legge 300/1970 ovvero perché riconducibile agli altri casi
di nullità espressamente previsti dalla legge (art. 2). Tale tipo di tutela è
esteso anche ai casi di difetto di giustificazione del licenziamento per mo-
tivo consistente nella disabilità psichica del lavoratore (art. 2, comma 4).
Il risarcimento del danno deve essere commisurato all’ultima retri-
buzione di riferimento per il calcolo del TFR, e non all’ultima retribu-
zione globale di fatto (come previsto nel vecchio regime sanzionatorio).
Il divieto di licenziamento discriminatorio trova infine applicazione
anche ai rapporti lavorativi rispetto ai quali è ammesso il licenziamen-
to ad nutum (letteralmente: “al cenno”), ossia a quei rapporti lavorativi
rispetto ai quali non è applicabile la disciplina generale di garanzia in
materia di licenziamento, e che sono quindi soggetti ad un generale regi-
me di libera recedibilità. Rientrano in tale categoria i rapporti lavorativi
dei dirigenti, dei lavoratori in prova (art. 2096, comma 2, c.c. e art.
10 Legge 604/1966), degli atleti professionisti (art. 4 Legge 23 marzo
1981 n. 91), degli addetti ai servizi domestici e dei lavoratori ultrases-
santenni in possesso dei requisiti pensionistici, a meno che gli stessi
abbiano deciso di proseguire il rapporto di lavoro per maturare i requisiti
massimi per il pensionamento (art. 4 Legge 108/1990).
***
Sommario: 14.1 La riforma degli ammortizzatori sociali. 14.2 Gli ammortizzatori sociali in
costanza di rapporto. 14.3 Gli ammortizzatori sociali in caso di perdita dell’occupazione. 14.4
Gli ammortizzatori sociali in deroga. 14.5 L’evoluzione del sistema di protezione sociale verso
un modello di assistenza sul mercato del lavoro.
***
***
Gli ammortizzatori sociali 253
Sono altresì previsti appositi istituti a tutela del reddito dei disoccupati
involontari, che intervengono nel caso in cui il rapporto di lavoro cessi
definitivamente.
La Legge 223/1991 aveva previsto l’istituto della mobilità, diretta
254 MANUALE DI DIRITTO DEL LAVORO
Sommario: 15.1 Premessa. 15.2 Ispettorato nazionale del Lavoro. 15.3 L’attività ispettiva. 15.4
Gli strumenti dell’attività di vigilanza. 15.5 Le misure di contrasto al lavoro nero e irregolare.
15.1 Premessa.
Sommario: 16.1 Caratteri generali. 16.2 La materia del lavoro. 16.3 La competenza e il muta-
mento del rito. 16.4 Il tentativo pregiudiziale di conciliazione facoltativo. 16.5 L’introduzione
della causa. 16.6 La costituzione della parte resistente. 16.7 La trattazione della causa. 16.8 I
poteri istruttori officiosi del giudice. 16.9 La decisione. 16.10 Le impugnazioni. 16.11 La prov-
visoria esecutorietà “speciale” in favore del lavoratore. 16.12 Le attribuzioni delle associazioni
sindacali e le controversie sindacali. 16.13 Le controversie in materia di previdenza e assistenza
obbligatoria: competenza e disposizioni particolari del procedimento. 16.14 Le controversie in
materia di impugnativa dei licenziamenti.
Le norme del Libro II, Titolo IV del Codice di procedura civile (artt.
409 e ss. c.p.c.) sono state integralmente sostituite dalla Legge 11 agosto
1973 n. 533, che ha istituito un sistema organico di procedimento per
le controversie individuali di lavoro e per le controversie in materia di
previdenza e assistenza obbligatorie.
Si tratta di un procedimento speciale a cognizione piena, in quan-
to lo stesso si svolge secondo le forme di un particolare modello la cui
scelta, nelle materie in questione, si pone come necessaria, e non già
come alternativa, rispetto a quella del rito ordinario, le cui norme restano
applicabili solo ove non espressamente derogate e nei limiti della com-
patibilità.
I caratteri peculiari e distintivi del processo del lavoro, riguardano
principalmente:
-- la competenza;
-- le regole del procedimento;
-- i poteri istruttori officiosi del giudice;
-- la pubblicazione della sentenza;
-- la struttura dell’appello.
La competenza del Pretore, che era già stata stabilita dalla Legge 604/1966
per le controversie in materia di licenziamenti individuali e dalla Legge
300/1970 in ordine al procedimento di repressione della condotta antisin-
dacale di cui all’art. 28, era stata poi estesa dalla Legge 533/1973 a tutte
le controversie di lavoro e a quelle di previdenza e assistenza obbligatorie.
Con la soppressione della figura del Pretore e l’istituzione del Giu-
dice unico di primo grado, avvenuta ad opera del D.lgs. 51/1998, la
270 MANUALE DI DIRITTO DEL LAVORO
sie di lavoro è stata oggetto di una radicale riforma, volta a rafforzare gli
strumenti di risoluzione delle controversie alternativi al processo.
In particolare, gli artt. 410, 411, 412, 412-ter e 412-quater c.p.c.
sono stati abrogati e sostituiti da nuove disposizioni (dichiarate applica-
bili anche alle controversie di lavoro del pubblico impiego privatizzato
di cui all’art. 63, comma 1, D.Lgs. 165/2001), mentre sono stati defi-
nitivamente abrogati gli artt. 410-bis c.p.c. (disciplinante il termine per
l’esperimento del tentativo di conciliazione) e 412-bis c.p.c. (inerente la
procedibilità della domanda giudiziale), nonché gli artt. 65 e 66 D.L-
gs. 165/2001 in tema di conciliazione obbligatoria nelle controversie del
pubblico impiego.
Resta invece obbligatorio il tentativo di conciliazione di cui
all’art. 80, comma 4, D.Lgs. 276/2003, relativo alle controversie ine-
renti gli atti di certificazione dei contratti di lavoro.
In sostanza, quindi, il legislatore ha preso atto del fallimento, nelle
controversie di lavoro, del tentativo di conciliazione reso obbligatorio
nel 1998 ed ha proceduto ad una revisione di tale istituto, attraverso la
valorizzazione degli strumenti alternativi di deflazionamento del conten-
zioso e la definitiva eliminazione della condizione di procedibilità della
domanda giudiziale.
Il novellato art. 410 c.p.c. prevede quindi ad oggi che chi intende
proporre in giudizio una domanda relativa ad uno dei rapporti di cui
all’art. 409 c.p.c. può promuovere, anche tramite l’associazione sindacale
cui aderisce o conferisce mandato, un previo tentativo di conciliazione
presso la commissione di conciliazione, istituita presso la Direzione Pro-
vinciale del Lavoro e individuata secondo i criteri di cui all’art. 413 c.p.c.
La comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di
conciliazione interrompe la prescrizione e sospende ogni decadenza,
per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi
alla sua conclusione.
Non sono previsti oneri o sanzioni a carico del datore di lavoro che
decida di non aderire al tentativo di conciliazione.
La richiesta del tentativo di conciliazione, sottoscritta dalla parte
istante, è consegnata o spedita mediante raccomandata con avviso di ri-
cevimento. Copia della richiesta del tentativo di conciliazione deve essere
consegnata o spedita mediante raccomandata con ricevuta di ritorno, a
cura della stessa parte istante, alla controparte.
La richiesta, il cui contenuto è mutuato dall’abrogato art. 66, com-
ma 3, D.Lgs. 165/2001, deve precisare:
-- nome, cognome e residenza dell’istante e del convenuto; se l’i-
stante o il convenuto sono una persona giuridica, un’associazione
non riconosciuta o un comitato, l’istanza deve indicare la deno-
Il processo del lavoro.
277
Il giudice, entro cinque giorni dal deposito del ricorso, fissa con de-
creto l’udienza di discussione, alla quale le parti sono tenute a comparire
personalmente.
Tra il giorno del deposito del ricorso e l’udienza di discussione non
devono decorrere più di sessanta giorni (ottanta giorni, se la notificazio-
ne deve essere effettuata all’estero): tale termine riveste unicamente una
funzione acceleratoria, coerente con le esigenze di speditezza che carat-
terizzano il processo del lavoro, ma la sua eventuale inosservanza non
comporta alcuna nullità.
Tra la data di notificazione al convenuto e quella dell’udienza di di-
scussione deve intercorrere un termine non minore di trenta giorni (qua-
ranta giorni, se la notificazione deve essere effettuata all’estero): in tal caso,
trattandosi di un termine a difesa del convenuto, il suo rispetto costituisce
condizione di validità del decreto di fissazione dell’udienza. Sempre a causa
della sua funzione di termine a difesa, esso deve intendersi come di trenta
(o quaranta) giorni liberi (ossia nel cui calcolo non vanno inclusi né il dies
a quo, di perfezionamento della notifica nei confronti del convenuto, né il
dies ad quem, coincidente con la data di svolgimento dell’udienza).
La notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza al con-
venuto deve di regola avvenire a cura dell’attore, entro dieci giorni dalla
data di pronuncia del decreto.
È in ogni caso fatto salvo quanto disposto dall’art. 417 c.p.c. in
materia di costituzione e difesa personale delle parti davanti al giudice
del lavoro, limitatamente al solo primo grado dei giudizi il cui valore non
ecceda l’importo di Euro 129,11. In tali casi, la parte ricorrente può pro-
porre la domanda sia nelle forme di cui all’art. 414 c.p.c., sia verbalmente
davanti al giudice, che ne fa redigere processo verbale.
Il ricorso o il processo verbale, con il decreto di fissazione dell’udien-
za, devono essere notificati al convenuto e allo stesso attore, nei termini
cui all’art. 415 c.p.c., a cura della cancelleria, la quale deve altresì prov-
vedere alla notificazione di ogni ulteriore atto o memoria nei confronti
delle parti che stanno in giudizio personalmente.
mine a difesa in favore del ricorrente nei cui confronti sia stata propo-
sta la domanda riconvenzionale, è previsto a pena di nullità del nuovo
decreto di fissazione di udienza.
Il ricorrente, che abbia assunto la veste di convenuto in conse-
guenza di domanda riconvenzionale, può a propria vola avanzare
un’ulteriore domanda riconvenzionale nei confronti del convenuto
(cd. “reconventio reconventionis”), purché lo faccia tempestivamente
nel primo atto difensivo successivo alla comparsa di costituzione del
convenuto, e purché tale domanda dipenda dal titolo dedotto in causa
o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione alla
domanda riconvenzionale ritualmente proposta ex art. 36 c.p.c.
Anche alla parte resistente trova applicazione la norma di cui
all’art. 417 c.p.c. in materia di facoltà di difesa personale, nei giudizi
di primo grado il cui valore non ecceda l’importo di Euro 129,11.
Una disposizione speciale in materia di difesa delle Pubbliche
Amministrazioni è dettata dall’art. 417-bis c.p.c., la quale stabilisce
che, nelle controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti
delle Pubbliche Amministrazioni di cui all’art. 413, comma 5, c.p.c.,
limitatamente al giudizio di primo grado, le Amministrazioni stesse
possono stare in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipen-
denti.
Nel rito del lavoro, il giudice dispone di poteri istruttori d’ufficio mol-
to più ampi di quelli fissati per il processo ordinario di cognizione.
In particolare, nel rito del lavoro il giudice:
-- indica alle parti in ogni momento le irregolarità degli atti
e dei documenti che possono essere sanate, assegnando un
termine per provvedervi, salvo gli eventuali diritti quesiti (art.
421, comma 1, c.p.c.);
-- può altresì disporre d’ufficio in qualsiasi momento l’ammis-
sione di ogni mezzo di prova, anche fuori dei limiti stabiliti
dal Codice civile, ad eccezione del giuramento decisorio (art.
421, comma 2, c.p.c.): l’esercizio di tale potere da parte del giu-
dice, pur in presenza di decadenze o preclusioni già verificatesi
e pur in assenza di un’esplicita richiesta delle parti in causa,
non è meramente discrezionale, ma si presenta come un pote-
re-dovere, sicché il Giudice del lavoro non può limitarsi a fare
meccanica applicazione della regola formale del giudizio fonda-
ta sull’onere della prova (art. 2697 c.c.), avendo l’obbligo – in
ossequio a quanto prescritto dall’art. 134 c.p.c. e al disposto di
cui all’art. 111 Costituzione sul “giusto processo regolato dalla
legge”- di esplicitare le ragioni per le quali reputi di fare ricor-
so all’uso dei poteri istruttori o, nonostante la specifica richie-
sta di una delle parti, ritenga invece di non farvi ricorso (Cass.
SS.UU., 11353/2004);
-- può disporre, su istanza di parte, l’accesso sul luogo di lavoro,
purché necessario al fine dell’accertamento dei fatti, e può di-
sporre altresì, se ne ravvisa l’utilità, l’esame dei testimoni sul
luogo stesso (art. 421, comma 3, c.p.c.);
-- può ordinare la comparizione, per interrogarle liberamente
sui fatti della causa, anche di quelle persone che siano inca-
paci di testimoniare a norma dell’art. 246 c.p.c. (art. 421,
comma 4, c.p.c.);
-- può richiedere informazioni ed osservazioni, sia scritte che
orali, alle associazioni sindacali indicate dalle parti: tale fa-
coltà del giudice presuppone comunque che le parti abbiano
indicato l’associazione sindacale alla quale inoltrare la richiesta.
Tale potere è direttamente collegato con l’analogo potere delle
parti di provocare l’intervento nel processo delle associazioni
sindacali da loro indicate, perché rendano in giudizio o (se ciò
sia possibile) nel corso dell’accesso sul luogo di lavoro, trami-
Il processo del lavoro.
285
16.9 La decisione.
16.10 Le impugnazioni.
una volta che la sentenza sia stata depositata, secondo la disciplina dettata
dall’art. 282 c.p.c. per il rito ordinario.
Parzialmente diverso è anche il regime della sospensione della
provvisoria esecutività della sentenza, da parte del giudice di appello.
Per la sentenza, che abbia pronunciato condanna in favore del da-
tore di lavoro, viene integralmente richiamato l’art. 283 c.p.c.: pertan-
to, la sospensione della provvisoria esecutività della sentenza potrà essere
concessa in presenza di “gravi e fondati motivi”, anche in relazione alla
possibilità di insolvenza della parte (provvisoriamente) vincitrice.
Per la sentenza, che abbia pronunciato condanna in favore del lavo-
ratore, è invece previsto che la sospensione della provvisoria esecutività
possa essere concessa dal giudice di appello solo allorché alla parte soc-
combente possa derivare dall’esecuzione “gravissimo danno”.
Pertanto, la sospensione della provvisoria esecutività di una sentenza
in favore del lavoratore richiede un requisito ancora più stringente rispet-
to a quello “ordinario”.
In entrambi i casi, la sospensione della provvisoria esecutività può
anche essere solo parziale.
L’esecuzione provvisoria in favore del lavoratore resta sempre auto-
rizzata fino ad euro 258,23.
La Legge 183/2011 ha infine aggiunto un ultimo comma all’art. 431
c.p.c., secondo cui, se l’istanza di sospensione è inammissibile o mani-
festamente infondata, il giudice, con ordinanza non impugnabile, può
condannare la parte, che l’ha proposta, ad una pena pecuniaria non infe-
riore a 250 euro e non superiore a 10.000 euro. L’ordinanza è revocabile
con la sentenza che definisce il giudizio.
In conclusione, quindi, l’esecutorietà della sentenza di lavoro presen-
ta i seguenti caratteri:
-- non deve essere richiesta dalle parti, né dichiarata dal giudice,
bensì opera automaticamente per legge;
-- è prevista in favore del lavoratore e, dopo la riforma di cui alla
Legge 353/1990, anche in favore del datore di lavoro;
-- relativamente al lavoratore, è prevista soltanto per le sentenze di
condanna per crediti derivanti da rapporti di lavoro (ma tale limi-
tazione deve intendersi superata dopo la riforma di cui alla Legge
353/1990, che ha sancito il principio della provvisoria esecutività
di tutte le sentenze di primo grado contenenti una statuizione di
condanna).
Indipendentemente e prima della sentenza, infine, a norma dell’art. 423
c.p.c. il giudice, su istanza di parte, in ogni stato e grado del giudizio,
dispone con ordinanza il pagamento delle somme non contestate.
Egualmente il giudice può, su istanza del lavoratore, in ogni stato e
290 MANUALE DI DIRITTO DEL LAVORO
Il rito speciale previsto dagli artt. 409 e ss. c.p.c., in virtù dell’espressa
estensione operata dall’art. 442 c.p.c., si applica altresì in tutti i proce-
dimenti aventi ad oggetto controversie in materia di previdenza ed
assistenza obbligatorie.
Tali controversie possono essere ricondotte a tre tipologie:
1. le controversie derivanti dall’applicazione delle norme riguardan-
ti le assicurazioni sociali, gli infortuni sul lavoro, le malattie pro-
fessionali e gli assegni familiari;
2. le controversie derivanti dall’applicazione delle norme riguardan-
ti ogni altra forma di previdenza e assistenza obbligatoria;
3. le controversie relative all’inosservanza degli obblighi di assisten-
za e di previdenza derivante da contratti o accordi collettivi.
Per quanto riguarda il procedimento, valgono le norme previste per il rito
del lavoro, con le seguenti particolarità:
-- la domanda non è procedibile se non siano stati esauriti i proce-
dimenti prescritti dalle leggi speciali per la composizione in sede
amministrativa o siano decorsi i termini ivi fissati per il compimen-
to dei procedimenti stessi o siano, comunque, decorsi centottanta
giorni dalla data in cui è proposto il ricorso amministrativo. Se il
giudice, nella prima udienza di discussione, rileva l’improcedibilità
della domanda, sospende il giudizio e fissa all’attore un termine
perentorio di sessanta giorni per la presentazione del ricorso in sede
amministrativa. Il processo deve essere riassunto, a cura dell’attore,
nel termine perentorio di centottanta giorni, decorrenti dalla cessa-
zione della causa della sospensione (art. 443 c.p.c.);
-- il giudice competente per tali controversie è di regola il tribu-
nale nella cui circoscrizione risiede l’attore. Tuttavia, se l’attore
è residente all’estero, la competenza è del tribunale, in funzione
di giudice del lavoro, nella cui circoscrizione l’attore aveva l’ulti-
ma residenza prima del trasferimento all’estero ovvero, quando la
Il processo del lavoro.
293
Sommario: 17.1 Aspetti generali. 17.2 Le rinunzie e le transazioni. 17.3 La garanzia dei crediti
retributivi del lavoratore. 17.4 La prescrizione e la decadenza.
L’art. 2113 c.c. non preclude del tutto la negoziazione delle parti sui
diritti del lavoratore derivanti da norme inderogabili, ma li assoggetta ad
un meccanismo volto a tutelare il lavoratore.
Gli atti dispositivi sono validi se avvengono mediante conciliazioni
concluse presso le sedi stabilite dalla legge, ove la presenza di terzi sogget-
ti qualificati permette di appurare la reale volontà abdicativa e transattiva
delle parti, ed in particolare del lavoratore, escludendo così una possibile
sopraffazione del datore di lavoro. Si parla, in tal senso, di cd. “volontà
assistita”.
Non possono essere impugnate le rinunzie e le transazioni stipulate
(art. 2113, comma 4, c.c.):
-- innanzi alle commissioni istituite presso gli Ispettorati territo-
riali del lavoro (art. 410 c.p.c.);
-- in sede sindacale (art. 412-ter c.p.c.);
-- innanzi al collegio di conciliazione ed arbitrato irrituale (art.
412-quater c.p.c.);
-- innanzi al giudice (art. 420 c.p.c.).
Sono inoltre inoppugnabili gli atti di disposizione certificato presso le
apposite Commissioni di certificazione del rapporto di lavoro (art. 82
D.Lgs. 276/2003), nonché gi atti dispositivi intervenuti per effetto della
cd. “proposta per la bonaria definizione della controversia”, formulata
dalla commissione istituita presso gli Ispettorati territoriali del lavoro in
sede di tentativo di conciliazione, ove non sia raggiunto un accordo tra
le parti (art. 411 c.p.c.).
lare protratta per il tempo di volta in volta fissato dalla legge, il diritto
si estingue.
Il termine di prescrizione estintiva quinquennale (art. 2948, nn. 4
e 5, c.c.) si applica ai crediti di lavoro aventi natura retributiva, quali
la retribuzione e le indennità spettanti al lavoratore per la cessazione del
rapporto di lavoro, mentre il termine decennale (art. 2946 c.c.) è appli-
cabile ai diritti non retributivi (es.: diritto alla qualifica superiore).
Per i crediti del lavoratore aventi natura retributiva, sono previsti
anche termini di prescrizione presuntiva, che si caratterizzano per il
fatto che, decorso il periodo di tempo fissato dalla legge, il credito si
presume estinto per adempimento.
Si tratta di una presunzione relativa o juris tantm, suscettibile di pro-
va contraria, per fornire la quale, tuttavia, il datore di lavoro dispone di
mezzi istruttori limitati alla confessione giudiziale ex art. 2959 c.c. (i.e.: il
datore di lavoro ammette, in giudizio o con un atto stragiudiziale rivolto
alla controparte, che l’obbligazione non si è estinta) e alla delazione di
giuramento ex art. 2960 c.c. (i.e.: il lavoratore può deferire al datore di
lavoro il giuramento decisorio).
I termini della prescrizione presuntiva sono i seguenti:
-- tre anni, per le retribuzioni corrisposte per periodi superiori al
mese (art. 2956, n. 1, c.c.);
-- un anno, per le retribuzioni corrisposte per periodi non superiori
al mese (art. 2956, n. 2, c.c.).
Esistono altresì termini, previsti dalla legge, entro i quali il lavoratore
deve (i.e.: ha l’onere di) esercitare determinati diritti.
Decorso il termine stabilito, senza che egli abbia compiuto un de-
terminato atto o tenuto un determinato comportamento, decade dal
diritto, ossia perde la possibilità di esercitarlo.
La decadenza può essere prevista dalla legge ovvero stabilita dalle
parti.
Costituiscono fattispecie della prima tipologia (cd. “decadenza le-
gale”) il termine di 60 giorni per impugnare il licenziamento ex art. 6
Legge 604/1966; il termine semestrale per impugnare le rinunzie e le
transazioni ex art. 2113 c.c.; i termini in materia di licenziamenti disci-
plinari ex art. 7 Legge 300/1970).
La decadenza stabilita dalle parti (cd. “decadenza convenzionale”)
non è priva di limiti, in quanto resta ferma la nullità delle clausole che
fissano termini che rendono troppo difficile ad una delle parti l’esercizio
del diritto (art. 2965 c.c.).
Generalmente, la decadenza convenzionale è prevista dai contrat-
ti collettivi per i diritti attribuiti o regolati dal contratto medesimo: gli
esempi più importanti sono quelli relativi ai reclami dei lavoratori per
306 MANUALE DI DIRITTO DEL LAVORO
errori materiali della busta paga, che possono essere fatti valere entro
termini fissati a pena di decadenza.
In conclusione, sia la prescrizione che la decadenza hanno, quale
proprio presupposto costitutivo, il decorso del tempo. Solo nel caso della
prescrizione, tuttavia, esso produce l’estinzione del diritto a favore di un
altro soggetto.
Con la decadenza, invece, non si ha la perdita del diritto, bensì l’im-
possibilità per il titolare di esercitarlo.
Per tale motivo, parte della dottrina fa riferimento alla “funzione di
certezza soggettiva della decadenza” (GHERA).
Capitolo 18
Organizzazione e attività sindacale.
interessi professionali nei confronti degli stessi soci, delle altre associazioni, di
altri soggetti giuridici” (MAZZONI).
L’art. 39 della Costituzione sancisce, al primo comma, il principio
della libertà di organizzazione sindacale.
Ai commi successivi dispone che ai sindacati può essere imposto so-
lamente l’obbligo di registrazione presso uffici centrali o periferici (con-
dizione per la registrazione è che i sindacati abbiano un ordinamento
interno a base democratica). Con la registrazione è attribuita ai sindacati
la personalità giuridica di diritto pubblico e capacità di stipulare contratti
collettivi con efficacia erga omnes.
Mentre il principio della libertà sindacale ha trovato immedia-
ta applicazione, gli altri dettami di natura programmatica non sono
mai stati attuati.
Per tale motivo, le associazioni sindacali devono essere inquadrate
nell’ambito delle associazioni non riconosciute e, quindi, come enti di
fatto privi di personalità giuridica.
Ne deriva che le associazioni sindacali sono regolate dalle norme del
Codice civile applicabili alla generalità delle associazioni non riconosciu-
te, ossia dagli artt. 36, 37 e 38 c.c.
Tali norme dispongono in particolare che:
-- l’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non
riconosciute come persone giuridiche sono regolati dagli accordi
degli associati; le predette associazioni possono stare in giudizio
nella persona di coloro ai quali, secondo questi accordi, è conferi-
ta la presidenza o la direzione (art. 36 c.c.);
-- i contributi degli associati e i beni acquistati con questi contributi
costituiscono il fondo comune dell’associazione. Finché questa
dura, i singoli associati non possono chiedere la divisione del fon-
do comune, né pretendere la quota in caso di recesso (art. 37 c.c.);
-- per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’as-
sociazione, i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comu-
ne. Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e
solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto
dell’associazione (art. 38 c.c.).
È comunque opinione dominante che, pur nella mancata attuazione
dell’art. 39 Costituzione, l’ordinamento interno del sindacato debba pos-
sedere quelle stesse caratteristiche strutturali di democraticità, richieste
dal Costituente per i sindacati registrati e sancita in via generale dall’or-
dinamento giuridico per tutti gli assetti organizzativi in cui si manifesta
la libertà di associazione (consacrata dall’art. 18 Costituzione).
Secondo la dottrina, il principio della democraticità interna del
sindacato si pone come condizione necessaria per poter qualificare il sin-
Organizzazione e attività sindacale 309
In particolare:
-- l’art. 14 prevede il diritto a svolgere liberamente attività e pro-
paganda sindacale nei luoghi di lavoro;
-- l’art. 15 vieta patti ed atti discriminatori in relazione all’attività
sindacale del prestatore di lavoro;
-- l’art. 16 vieta, per le medesime ragioni, i trattamenti economici
discriminatori;
-- l’art. 17 vieta espressamente la costituzione ed il sostegno, da
parte dei datori di lavoro e delle loro organizzazioni sindacali, dei
cd. “sindacati di comodo”, ossia dei sindacati controllati, anche
in forma occulta, dai datori di lavoro;
-- l’art. 18 disciplina i licenziamenti individuali, stabilendo le con-
seguenze in caso di illegittimità del recesso datoriale.;
-- l’art. 19 prevede la possibilità di costituire rappresentanze sinda-
cali aziendali (RSA) per i sindacati firmatari di contratti colletti-
vi di categoria applicati nell’unità produttiva;
-- l’art. 20 prevede e regola il diritto di assemblea dei lavoratori
nell’ambito dell’azienda;
-- l’art. 21 disciplina l’istituto del referendum;
-- l’art. 22 subordina il trasferimento dei dirigenti delle RSA al “pre-
vio nulla osta delle associazioni sindacali di appartenenza”;
-- gli artt. 23 e 24 disciplinano, rispettivamente, il diritto dei diri-
genti delle RSA a permessi retribuiti e non retribuiti per svolge-
re la loro attività sindacale, anche al di fuori dell’azienda;
-- l’art. 25 regola il diritto di affissione di comunicati “di interesse
sindacale e del lavoro”;
-- l’art. 26 regola i contributi sindacali, riconoscendo al lavoratore
il diritto di raccogliere fondi e di svolgere opera di proselitismo;
-- l’art. 27 impone ai datori di lavoro con almeno 200 dipendenti di
assicurare alle rappresentanze sindacali aziendali la disponibilità
di idonei locali per svolgere attività sindacale;
-- l’art. 28 prevede, in via ordinaria, una particolare forma di tutela
giudiziale della libertà sindacale, mediante una procedura som-
maria conosciuta come “repressione della condotta antisindacale”.
Sommario: 19.1 Nozioni. 19.2 Lo sciopero come diritto. 19.3 Titolarità del diritto di sciopero.
19.4 I limiti al diritto di sciopero. 19.5 Effetti dello sciopero sul rapporto di lavoro. 19.6 Effet-
tività del diritto di sciopero e reazioni del datore di lavoro. 19.7 Lo sciopero nei servizi pubblici
essenziali: la legge n.146/1990. 19.8 I mezzi di lotta del datore di lavoro: la serrata.
19.1 Nozioni.