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Il gruppo è una forma di aggregazione aziendale sempre più diffusa e portatrice di un ruolo strategico nel sistema
economico.
La definizione di gruppo non è univoca né di agevole formulazione, causa l’esistenza di diverse impostazioni
teoriche che spesso trovano espressione in differenti pronunciamenti normativo-professionali e comportano
variabilità e incertezza in ordine alla definizione dell’ambito economico-giuridico del gruppo.
Alcuni gruppi si caratterizzano per un livello di autonomia gestionale delle singole imprese
componenti estremamente limitato e per la netta prevalenza della gestione d’insieme, al
punto tale che il gruppo stesso deve essere considerato come un istituto economico che,
affiancando al citato carattere della complessità quello della unitarietà, può essere qualificato
come un’unica azienda [Azzini, 1975]
Per quanto forti siano i legami che tengono unito l’insieme di imprese che costituisce il gruppo,
l’autonomia economica delle imprese rappresenta un carattere che non viene mai meno,
nonostante possa risultare talvolta limitata dal carattere della comunanza, che può indurre il
singolo soggetto economico componente ad assegnare un ruolo di primo piano nelle sue
decisioni agli interessi generali del gruppo [Cassandro, 1988]
Dalla dottrina e dalla prassi, sia pure in assenza di un riconoscimento unanime di quali siano i caratteri
minimi distintivi della forma di aggregazione aziendale considerata, si può comunque evidenziare una
significativa concordanza su tre elementi costitutivi del gruppo:
La principale ragione che conduce alla formazione di un gruppo di imprese è data dalla valutazione di
tale forma di aggregazione come quella meglio rispondente agli obiettivi di miglioramento
dell’equilibrio economico e gestionale perseguiti dalle singole imprese. In quest’ottica, il gruppo
aziendale è visto come una forma organizzativa evoluta che, nella prospettiva di una crescita
dimensionale e/o dell’attivazione di sinergie tecnologiche, economiche e finanziarie, consente un
miglioramento dell’economicità complessiva rispetto alle unità che ne fanno parte.
Tra le principali modalità che portano alla genesi dei gruppi ci sono sia fenomeni di aggregazione, che
avvengono tipicamente per accordi tra aziende che comportano una direzione unitaria finalizzata a
stabilizzare e formalizzare i rapporti tra esse, sia fenomeni di disaggregazione dove intervengono
processi di scorporo e di suddivisione delle attività precedentemente realizzate da una singola unità
di maggiori dimensioni in imprese più piccole per le quali si rende per qualche ragione vantaggioso
conseguire un’autonomia giuridica.
Il risultato del consolidamento dei singoli bilanci delle imprese che compongono l’aggregato è dato dal bilancio
di gruppo, strumento informativo fondamentale della realtà aggregata soggetto a diverse configurazioni a
seconda della differenziazione delle prassi contabili.
La rappresentazione da esso offerta permette di far cadere lo schermo giuridico che formalmente
separa le diverse unità aziendali appartenenti al gruppo. Negli ordinamenti in cui al gruppo aziendale
non è riconosciuta una distinta soggettività giuridica, il bilancio consolidato funge da rimedio contabile
finalizzato a dare evidenza a ciò che nella sostanza è unitario ma nella forma risulta diviso.
Il bilancio consolidato amplia e completa l’informazione contenuta nel bilancio della capogruppo e si
pone come il solo strumento di rappresentazione contabile in grado di dare compiuta evidenza
analitica e sostanziale dell’insieme delle unità come se fossero un unico soggetto economico.
Il bilancio d’esercizio della capogruppo, pur esprimendo gli investimenti nelle controllate tramite l’iscrizione delle
relative partecipazioni, non è in grado di dare conto delle risorse gestite dal complesso economico e del risultato
complessivo prodotto, impedendo di cogliere compiutamente la dinamica del gruppo e le sue condizioni di
gestione e funzionamento.
Il bilancio consolidato, essendo un bilancio di livello superiore rispetto a quello delle singole unità
consolidate, presenta una maggiore discrezionalità rispetto ai bilanci individuali delle unità stesse,
dovuta, da un lato, ai criteri di individuazione delle aziende componenti il gruppo, dall’altro, alla
necessità, nell’ambito delle operazioni preliminari e di consolidamento, di mettere in pratica
procedure e meccanismi contabili che includono l’effettuazione di stime e congetture.
La funzione del bilancio consolidato è di primaria importanza per esprimere, attraverso analisi e
comparazioni spazio-temporali, un giudizio d’insieme sull’andamento della gestione svolta: da una
parte un giudizio sulla performance dell’intera entità aggregata che trova espressione nel risultato
economico di gruppo e nelle componenti analitiche del conto economico consolidato, dall’altra una
valutazione della struttura quali-quantitativa del capitale di funzionamento del gruppo che origina
dalla contrapposizione tra forme di investimento (impieghi) e fonti di finanziamento contenuta nello
stato patrimoniale consolidato.
Per ottenere una comprensione piena della situazione economico-finanziaria di gruppo il bilancio
consolidato, che per la sua natura aggregata inevitabilmente nasconde i sottosistemi che lo
compongono, deve essere inserito in un sistema più complesso di strumenti informativi che tenga in
considerazione anche i seguenti strumenti per l’apprezzamento di situazioni parziali:
- i bilanci delle singole unità aziendali, qualora emergano differenze di ordine economico-
finanziario a livello di aziende;
- i bilanci consolidati dei sottogruppi, qualora emergano differenze di ordine economico-
finanziario a livello di sottoinsiemi di aziende;
- l’informativa settoriale, qualora si sia in presenza di disomogeneità legate all’appartenenza
ad ambiti di attività o ad aree geografiche distinte.
1.3.2 La costruzione del bilancio consolidato
Il processo di redazione del bilancio consolidato si articola secondo le seguenti fasi:
***
Le diverse criticità spesso possono essere risolte secondo metodi alternativi a seconda del modo di
intendere il fenomeno di gruppo, conducendo a esiti differenti: si distinguono genericamente angoli
visuali maggiormente spostati verso un approccio proprietary (ovvero del gruppo inteso come
estensione degli interessi della controllante) oppure verso un approccio entity (che considera il
gruppo come un’entità unitaria sovraordinata rispetto agli stessi interessi della controllante).
Riflesso sul bilancio consolidato della gestione esterna e interna di gruppo
Il bilancio consolidato riflette soltanto i valori che traggono origine dalle operazioni effettuate dalle
unità del gruppo nei confronti di terze economie.
Prima di aggregare i singoli bilanci di esercizio occorre eliminare, reinterpretare, rettificare i valori
originati dalle operazioni "infragruppo”.
Esempio supplementare
Le teorie di gruppo, o di consolidamento, costituiscono un referente concettuale di estrema rilevanza nelle scelte
che conducono alla redazione del bilancio consolidato, in quanto questo riflette inevitabilmente il modo in cui il
gruppo viene inteso e che rappresentazione si vuole offrire di tale fenomeno.
Sono due i filoni originari a cui possono essere ricondotte le diverse teorie di consolidamento:
Entrambi gli approcci teorici nascono non tanto con riferimento al bilancio di gruppo, quanto piuttosto
a quello della singola azienda, e sono riconducibili alle diverse teorie contabili che nascono dalla
formalizzazione della prassi operativa [Zambon, 1996; D’Amico, 1999].
Le due teorie costituiscono schemi di riferimento che orientano diversamente la redazione del
bilancio di gruppo per la particolare idea di impresa e di gruppo di cui ciascuna si fa portatrice. I
differenti approcci derivano da una razionalizzazione teorica che si propone di mantenere una certa
coerenza tra postulati e criteri di bilancio da una parte e beneficiari dell’informazione economico-
finanziaria dall’altra.
Accanto agli approcci originari, nel tempo si sono sviluppate anche le seguenti teorie derivate:
A seconda della teoria di consolidamento adottata nella redazione, i bilanci consolidati presentano
caratteristiche, informazioni, valori di reddito e patrimonio netto di gruppo che possono risultare
sostanzialmente differenti e, quindi, influenzare l'utilità del bilancio consolidato per i molteplici fruitori
delle sue informazioni.
Per evidenziare tali differenze, è utile analizzare la rappresentazione contabile di gruppo che
scaturisce dall’applicazione delle singole teorie di consolidamento rispetto all’esempio di seguito
illustrato.
All’inizio dell’esercizio (n) la società A acquista per 150 il 75% della società B.
Al momento dell’acquisto lo stato patrimoniale di B presentava i seguenti valori:
Al momento dell’acquisto il valore corrente delle attività di B è di 140.
Si assume che la differenza di 60 tra il prezzo pagato per l’acquisto della partecipazione (150)
e il 75% del patrimonio netto di bilancio della partecipata al momento dell’acquisto (120 x
0,75 = 90) sia da interpretare:
o per 15 come quota di spettanza della controllante del maggior valore delle attività
della controllata al momento dell’acquisto (20 x 0,75 = 15);
o per la parte residua di 45 (60 ‐ 15 = 45) come avviamento.
La teoria della proprietà (Proprietary theory) si fonda su un’interpretazione dell’azienda come mezzo
mediante il quale i proprietari perseguono i propri fini economici e fa perno sull’idea fondamentale
secondo la quale il proprietario (o il gruppo di proprietari) viene considerato il diretto possessore
dell’attività dell’azienda al quale fanno capo anche le passività della medesima. Posto che, in base a
questo approccio, il beneficiario dell’informazione viene inteso come il proprietario stesso, questi è
posto al centro del processo di rilevazione e il sistema dei valori in azienda è orientato con precipuo
riguardo al suo interesse.
Il gruppo, secondo questa impostazione, è concepito come una proprietà della capogruppo, una
sorta di estensione della stessa generato dall’investimento finanziario nelle imprese controllate.
Sono considerate di proprietà della controllante soltanto quelle imprese sulle quali la controllante
detiene un potere legale, ossia una possibilità di controllo che trova diretto riconoscimento negli
strumenti giuridici in suo possesso (es. possesso della maggioranza assoluta del capitale sociale della
controllata). L’approccio proprietary considera un gruppo esistente laddove sussista un potere di
influenza dominante fondato su presupposti giuridici che consenta l’instaurazione di una relazione
strumentale tra controllata e capogruppo a favore di quest’ultima.
In tale prospettiva, il bilancio consolidato corrisponde al bilancio della capogruppo integrato con i
valori economico-patrimoniali delle partecipate di stretta pertinenza della capogruppo. Il metodo
di consolidamento rispecchia un criterio proporzionale perché conduce al consolidamento del
patrimonio netto della controllante e della parte di attività e di passività, e di costi e di ricavi, delle
controllate di “proprietà” della capogruppo (in base alla propria percentuale di titolarità), con il
risultato che i valori espressi nel bilancio di gruppo escludono i valori delle minoranze. Oggetto di
inclusione, per la parte attribuibile alla maggioranza, sono, oltre alle consistenze patrimoniali e
reddituali delle controllate, anche le rivalutazioni patrimoniali e l’avviamento delle partecipate
rilevabili al momento dell’acquisto della partecipazione. I terzi che possiedono le quote minoritarie
sono considerati soggetti estranei al gruppo, ragion per cui il bilancio consolidato, concepito per
dare comunicazione della sola ricchezza della capogruppo-proprietaria, non è teso ad assolvere un
ruolo informativo nei loro confronti.
L’immagine seguente evidenzia le componenti che trovano espressione nel bilancio consolidato
redatto secondo la teoria della proprietà:
Come evidenziato, il maggior/minor valore riconosciuto agli elementi patrimoniali delle controllate
trova espressione per la sola quota di pertinenza della controllante, mentre la quota afferente ai soci
di minoranza non trova alcuna rappresentazione.
Anche l’eliminazione dei margini infragruppo avviene per la sola quota di pertinenza della capogruppo:
se, ad esempio, A vende a B merci al prezzo di 120 dopo averle acquistate per 100 e, al termine
dell’esercizio, B detiene ancora le merci tra le rimanenze di magazzino, è opportuno considerare che
il margine di 20 (120 – 100 = 20) non proviene (interamente) da operazioni condotte verso economie
terze. In base alla teoria della proprietà, l’eliminazione del margine riguarda la sola quota dello stesso
di pertinenza della capogruppo A (ipotizzando che A controlli B per il 75%, il margine da eliminare
sarebbe 20 x 75% = 15), mentre la restante parte (20 – 15 = 5), stante la considerazione delle
minoranze come soggetti terzi rispetto al gruppo, viene interpretata come pienamente realizzata, non
rendendosi necessaria alcuna rettifica.
La teoria dell’entità (Entity Theory) nasce con riferimento al bilancio di esercizio della singola impresa
e si fonda sull’idea che l’impresa costituisce un organismo con autonomia e individualità proprie e
dotato di indipendente capacità operativa, per cui l’impresa deve rappresentare il centro e l’obiettivo
del processo di rilevazione, di analisi e di trascrizione delle operazioni di gestione finalizzato alla
redazione del documento contabile.
La traslazione dello stesso impianto di fondo all’aggregato di imprese permette di concepire il gruppo
come un’entità economica superiore ed autonoma rispetto alle imprese giuridicamente distinte che
lo compongono, per cui esso deve costituire il primario oggetto di osservazione e rappresentazione,
senza che il suo operato debba essere necessariamente filtrato tramite l’ottica della capogruppo. A
porsi contemporaneamente come oggetto e beneficiario è l’entità gruppo, e alle molteplici categorie
di interessi che attorno ad esso gravitano deve rivolgersi il bilancio consolidato.
L’insieme delle aziende considerate nel consolidamento include tutte le imprese soggette alla
“direzione unitaria” effettiva della capogruppo, per cui prevale una concezione di controllo
sostanziale che permette di ricomprendere situazioni di controllo de facto e non de iure: quello che
rileva è che i legami siano in grado in concreto di assicurare che l’attività del gruppo si svolga come se
lo stesso fosse un’unica entità economica.
La direzione unitaria a cui le singole imprese sono effettivamente, e non solo potenzialmente,
assoggettate rappresenta il collante tra le medesime e determina la configurazione del gruppo come
entità superiore aggregata.
In questa prospettiva, gli interessi degli azionisti del gruppo, siano essi di maggioranza o di
minoranza, sono tutti subordinati al comune interesse di gruppo espresso dalla direzione unitaria
di fatto [Fortunato, 1993]; consegue che il capitale e il risultato economico rilevati dal bilancio
consolidato comprendono unitariamente gli interessi della maggioranza e della minoranza, per cui il
bilancio consolidato si può intendere come il bilancio d’esercizio dell’azienda di gruppo.
Il metodo di consolidamento che informa il bilancio di gruppo è dunque integrale e, al netto delle
elisioni necessarie per evitare la duplicazione dei valori, si traduce nella somma indistinta di tutte le
attività e di tutte le passività della controllante con quelle delle partecipate. Il capitale e il risultato
economico di gruppo che emergono risentono delle rivalutazioni patrimoniali e dell’avviamento
delle partecipate rilevabili al momento dell’acquisto della partecipazione nella loro interezza
(ovvero comprendendo indistintamente le parti attribuibili alle minoranze).
TEORIA DELL’ENTITÀ
Metodo di integrale
consolidamento
Maggior/minor valore accolto integralmente nel bilancio consolidato
riconosciuto agli elementi
patrimoniali delle
controllate
Avviamento esposto integralmente (compresa la quota che idealmente è di
pertinenza della minoranza)
Diritti delle minoranze Il patrimonio netto delle minoranze viene valutato sulla base della
corrispondente quota di capitale economico, estrapolato dal costo di
acquisto della partecipazione di controllo (sotto l’ipotesi che il costo di
acquisizione della partecipazione di controllo rappresenti una frazione
del capitale economico della controllata esattamente proporzionale
alla % di partecipazione detenuta dalla controllante), e iscritto
nell'ambito del patrimonio netto consolidato.
Il reddito di pertinenza delle minoranze viene determinato sulla base
dei valori consolidati (compreso l’avviamento) che sono stati
integralmente rivalutati ed è compreso nel risultato di esercizio
consolidato
Elisione valori reciproci ed vengono effettuate integralmente
eliminazione margini
infragruppo
Applicando tali criteri sulla base dei dati dell’esempio, si determinerebbe la seguente
rappresentazione contabile consolidata:
L’immagine seguente evidenzia le componenti che trovano espressione nel bilancio consolidato
redatto secondo la teoria dell’entità:
Storicamente, la teoria della proprietà è quella che ha riscosso il maggior seguito nelle diverse prassi
e regolamentazioni dell’informativa consolidata, benché i più recenti orientamenti mostrino il
prevalere di un approccio entity.
Sono riconducibili all’approccio proprietary le due impostazioni teoriche che si sono più diffusamente
affermate:
- Teoria della capogruppo (PARENT COMPANY THEORY);
- Teoria modificata della capogruppo (PARENT COMPANY EXTENSION THEORY).
Entrambe tali derivazioni sono animate dall’esigenza che il bilancio consolidato consenta di cogliere
l’estensione economica della capogruppo valutandola non solo in termini di proprie risorse investite
in altre unità, ma anche di risorse gestite tramite quelle unità grazie al controllo su di esse esercitato.
L’elemento differenziale tra le due teorie è costituito invece dal trattamento della quota delle
rivalutazioni patrimoniali delle partecipate attribuibile alle minoranze: la teoria della capogruppo le
esclude dal calcolo del patrimonio netto rivalutato, mentre la teoria modificata della capogruppo,
in un avvicinamento alla logica entity, le include esprimendone l’effetto nel patrimonio netto di
terzi.
In sostanza, il bilancio consolidato rappresenta la totalità delle risorse reddituali e patrimoniali che la
capogruppo ha il potere di gestire, indipendentemente dalla percentuale di partecipazione nelle
controllate, mentre esprime le misure di sintesi del risultato economico e del patrimonio netto
limitatamente alla percentuale posseduta. Rispetto alla teoria della capogruppo, la teoria modificata
della capogruppo contempla l’intero valore dell’importo delle rivalutazioni.
L’immagine seguente evidenzia le componenti che trovano espressione nel bilancio consolidato
redatto secondo la teoria della capogruppo:
Nella seguente tabella si evidenziano i caratteri essenziali della teoria modificata della capogruppo:
Applicando tali criteri sulla base dei dati dell’esempio, si determinerebbe la seguente
rappresentazione contabile consolidata:
L’immagine seguente evidenzia le componenti che trovano espressione nel bilancio consolidato
redatto secondo la teoria modificata della capogruppo:
2.2 I riferimenti normativi per la redazione del bilancio consolidato
Il quadro della regolamentazione dedicata alla redazione del bilancio consolidato si compone di:
IFRS 10 – Bilancio
sistema regolativo internazionale relativo al stabilisce i principi per la preparazione e la presentazione del
I principi contabili internazionali risentono di un’influenza proprietary, per quanto si segnali in tempi
più recenti un’attenuazione in favore di un’inclinazione in chiave entity in ordine alla delimitazione
dell’area di consolidamento nonché alla determinazione delle grandezze economiche consolidate.
Pertanto, nel quadro dei principi contabili internazionali, il processo di consolidamento
tradizionalmente ispirato alla teoria modificata o estesa della capogruppo (con il conseguente
inserimento nel bilancio consolidato delle rivalutazioni patrimoniali nella loro interezza, anche per la
quota attribuibile alle minoranze) trova sempre più significativi rimandi alla teoria dell’entità, ivi
inclusa la possibilità di riconoscere in bilancio la quota di avviamento di pertinenza della minoranze
(rappresentazione dell’avviamento integrale o full goodwill). Nei più recenti interventi di
regolamentazione sembra dunque potersi cogliere un orientamento coerente ad un approccio entity,
in uno sforzo teso ad avvicinare il concetto giuridico con il concetto economico di gruppo ai fini del
consolidamento. Si registra un ampliamento delle possibili relazioni in grado di configurare un gruppo
aprendo al riconoscimento contabile di casi di controllo de facto accanto a fattispecie di diritto.
L’allargamento del concetto di gruppo va di pari passo con il processo di restringimento dei casi che
comportano le esclusioni di controllate dalla rappresentazione consolidata, sfociando in un
consistente avvicinamento tra area di consolidamento e area di gruppo.
Quanto alla metodologia di consolidamento comunitaria, benché consideri i valori integrali dei bilanci
delle singole unità ai fini dell’aggregazione, permane l’ancoraggio alla logica proprietary, come
evidenziato dalla scelta di mantenere separate, nella rappresentazione di sintesi, le consistenze
patrimoniali e reddituali delle minoranze. Ne discende che la normativa nazionale appare perlopiù
ispirata alla teoria della capogruppo, stante la prevalenza di un concetto di gruppo basato sulla
definizione in senso giuridico del rapporto controllante-controllata, producendo una conseguente
delimitazione de iure dell’area di consolidamento. Fermo restando che le elaborazioni di
consolidamento conducono alla rappresentazione della totalità delle risorse gestite dalla capogruppo
(e non solo di quelle dalla stessa “possedute”), permane, nelle grandezze di sintesi, l’indicazione
separata della parte di pertinenza della capogruppo e di quella di pertinenza delle minoranze. Inoltre,
la normativa nazionale contempla il ricorso al metodo di consolidamento proporzionale nella
rappresentazione contabile degli accordi a controllo congiunto o joint-ventures.
Normativa nazionale
Il postulato di verità va interpretato tenendo conto che la suddivisione fittizia in esercizi implica
l’impiego di quantità soggettive per le misurazioni di bilancio. La soggettività insita nelle stime e
congetture impiegate nella produzione dei bilanci delle imprese consolidate prima, e del bilancio
consolidato poi, deve in ogni caso rispondere a una prescrizione di coerenza nella formulazione delle
stime e delle congetture utilizzate per la redazione.
Per correttezza nella rappresentazione si intende l’applicazione di criteri tecnicamente corretti nella
determinazione dei valori, nonché la comunicazione in modo corretto delle informazioni, in particolar
modo quelle discorsive contenute nella nota integrativa.
3. Se le informazioni richieste da specifiche disposizioni del presente decreto non sono sufficienti
a dare una rappresentazione veritiera e corretta, il bilancio deve fornire le informazioni
supplementari necessarie allo scopo.
Sulla stessa linea si pone il successivo comma 3-bis, che introduce il concetto di rilevanza
dell’informazione:
3-bis Non occorre rispettare gli obblighi in tema di rilevazione, valutazione, presentazione,
informativa e consolidamento quando la loro osservanza abbia effetti irrilevanti al fine
di dare una rappresentazione veritiera e corretta. Rimangono fermi gli obblighi in tema
di regolare tenuta delle scritture contabili. Le società illustrano nella nota integrativa i
criteri con i quali hanno dato attuazione alla presente disposizione.
Infine, il successivo comma 4 prevede una deroga obbligatoria alle disposizioni di legge finalizzata al
concreto perseguimento dei principi fondamentali di chiarezza e rappresentazione veritiera e corretta:
4. Se, in casi eccezionali, l'applicazione di una disposizione degli articoli seguenti è incompatibile
con la rappresentazione veritiera e corretta, la disposizione non deve essere applicata. La nota
integrativa deve motivare la deroga e indicarne l'influenza sulla rappresentazione della
situazione patrimoniale, finanziaria e del risultato economico.”
L’OIC 11 – Finalità e postulati del bilancio d’esercizio (a cui rinvia il par. 31 dell’OIC 17 – Bilancio
consolidato e metodo del patrimonio netto), nell’ultima versione di marzo 2018, individua i destinatari
primari dell’informazione del bilancio in coloro che forniscono risorse finanziarie all’impresa, ovvero
gli investitori, i finanziatori e gli altri creditori (par. 9). Essi coincidono con i cd. primary users individuati
nell’ultima versione del Conceptual Framework for Financial Reporting prodotta dallo IASB a marzo
2018.
Pertanto, il simultaneo rispetto dei principi fondamentali di redazione del bilancio consolidato è
preordinato alla finalità dello stesso, che risiede nella concreta utilità per gli utilizzatori
dell’informativa in esso contenuta.
L’ultima versione del Conceptual Framework for Financial Reporting prodotta dallo IASB a marzo
2018 le finalità e l’oggetto del bilancio.
L’utilità di queste informazioni ai fini decisionali deriva dal ricorrere congiunto dei caratteri di
significatività (relevance) e di fedeltà della rappresentazione (faithful representation).
Un’informazione è significativa se è in grado di fare la differenza nei processi decisionali dei destinatari
di bilancio nel senso che in sua assenza una decisione non sarebbe stata assunta o sarebbe stata
assunta in maniera diversa. Oltre che significativa, per potersi dire utile l’informazione stessa deve
offrire una rappresentazione fedele.
CAPITOLO 3 L’area di consolidamento secondo la disciplina nazionale e gli IFRS
Nel gruppo aziendale, il controllo è il potere del soggetto economico di determinare l’indirizzo di
gestione delle unità componenti, ossia di indirizzare e coordinare le singole gestioni in una
prospettiva unitaria. Il potere di governo della controllante si estrinseca attraverso legami significativi
con le unità controllate, rappresentativi di relazioni di controllo che possono assumere configurazioni
sia di natura formale che di natura sostanziale, variamente valorizzate a seconda della concezione di
controllo adottata.
L’evoluzione del concetto di controllo tende sempre più allo spostamento da un’accezione legalistico-
formale verso un’accezione economico-sostanziale dello stesso. I recenti interventi di
regolamentazione in materia di bilancio consolidato privilegiano l’identificazione delle relazioni di
controllo attingendo alla ragione sostanziale, piuttosto che formale, dell’appartenenza dell’unità al
gruppo, al fine di pervenire a una rappresentazione di gruppo più adeguata ad esprimere la sostanza
economica delle relazioni.
da una parte, quelle che identificano i soggetti cd. attivi, ovvero obbligati a redigere il bilancio
consolidato;
dall’altra, quelle che individuano i soggetti cd. passivi, ovvero le imprese controllate da
includere nel documento aggregato.
Le norme in oggetto sono rappresentate dagli artt. 25, 26, 27 e 28 del D.Lgs. 127/91, dedicati
rispettivamente alla definizione dei soggetti obbligati a redigere il bilancio consolidato, delle relazioni
di controllo, degli esoneri e delle esclusioni.
I soggetti obbligati alla redazione del bilancio consolidato secondo il D.Lgs. 127/91
I soggetti obbligati alla redazione del bilancio consolidato si individuano dalla lettura congiunta degli
artt. 25 e 27 del D.Lgs. 127/91.
Il legislatore italiano ha optato, per l’identificazione dei gruppi chiamati a redigere il bilancio
consolidato, per un criterio basato sulla forma di società di capitali per le controllanti, salvo poi
estendere l’obbligo di redazione del consolidato anche alle capogruppo esercitate in una delle forme
indicate al secondo comma dell’art. 25.
Mentre è rigidamente stabilita la forma di società che deve assumere la capogruppo (società di
capitali oppure, se controllano una società per azioni, anche enti pubblici economici, società
cooperative o mutue assicuratrici), si ritiene che ogni impresa, indipendentemente dalla forma in
cui è organizzata, possa rientrare nella definizione di impresa controllata, a condizione che si tratti
di impresa commerciale obbligata alla tenuta delle scritture contabili ed alla redazione del bilancio.
Possibili controllate sono dunque le società di capitali, le società di persone, i consorzi, le joint venture,
le associazioni e le fondazioni che esercitano attività di impresa, i Gruppi europei di interesse
economico (Geie), le imprese individuali, le società consortili, le mutue assicuratrici.
I soggetti esonerati dalla redazione del bilancio consolidato secondo il D.Lgs. 127/91
La normativa interna consente di ricavare per differenza la categoria dei “non soggetti”, ovvero di
quei soggetti che risultano di fatto esonerati dall’obbligo informativo, a prescindere dall’esercizio di
un potere di controllo su altri soggetti.
(*) L’obbligo della redazione del bilancio consolidato è esteso alle società in nome collettivo e
alle società in accomandita semplice che controllino un’impresa e che abbiano una
compagine sociale nella quale i soci illimitatamente responsabili sono rappresentati da
società di capitali (s.p.a., s.a.p.a., s.r.l.)
Casi di esonero dall’obbligo di redazione del bilancio consolidato secondo il D.Lgs. 127/91
L'art. 27 del D.Lgs. 127/91 stabilisce quali soggetti, che pur rientrano in quelli indicati nell’art. 25
dello stesso Decreto, possono non redigere il Bilancio consolidato. Le ragioni dell’esonero derivano
in alcuni casi da minori esigenze di tutela dei terzi a causa delle contenute, o al limite irrilevanti,
dimensioni del gruppo da rappresentare, in altri casi dalla presenza e disponibilità di informazioni
aggregate a cui attingere per conoscere la situazione economico-finanziaria di un sottogruppo.
La previsione dell’esonero, essendo dettata da una logica di agevolazione contabile per il gruppo, non
esclude, tuttavia, che l’impresa capogruppo vi rinunci volontariamente e predisponga ugualmente il
bilancio consolidato. Qualora invece la controllante si avvalga dell’esonero, è tenuta a darne
informativa nella nota integrativa del proprio bilancio d’esercizio, adempimento questo non previsto
per le ipotesi di esonero di fatto.
Quanto ai soggetti che devono o possono applicare i principi contabili internazionali, nonostante gli
IFRS impongano l'obbligo di redazione del consolidato a qualsiasi controllante, l'applicazione in Italia
degli IFRS non incide sulle condizioni che richiedono la redazione del bilancio consolidato come pure
sulle condizioni che consentono l'esenzione dall'obbligo, poiché tali materie sono disciplinate dalle
disposizioni comunitarie (VII direttiva CEE) e nazionali (D. Lgs. 127/91). Pertanto, nei casi in cui dovesse
generarsi una sovrapposizione tra principi contabili internazionali e normativa interna, occorre
sempre fare riferimento al D.Lgs. 127/91 al fine di valutare se un soggetto è tenuto o meno a
redigere il bilancio consolidato, a prescindere dal fatto che lo stesso soggetto abbia l'obbligo o la
facoltà di applicare i principi contabili internazionali.
1. Non sono soggette all'obbligo indicato nell'art. 25 le imprese controllanti che, unitamente
alle imprese controllate, non abbiano superato, per 2 esercizi consecutivi, 2 dei seguenti
limiti:
a. 17.500.000 euro nel totale degli attivi degli stati patrimoniali;
b. 35.000.000 euro nel totale dei ricavi delle vendite e delle prestazioni;
c. 250 dipendenti occupati in media durante l'esercizio.
2. L'esonero previsto dal comma precedente non si applica se l'impresa controllante o una delle
imprese controllate è un ente di interesse pubblico ai sensi dell'articolo 16 del decreto
legislativo 27 gennaio 2010, n. 39 ovvero un ente sottoposto a regime intermedio ai sensi
dell'articolo 19-ter del medesimo decreto legislativo.
[…]
Quanto alle misure dimensionali, è opportuno precisare che non si considerano quelli che sarebbero
i dati del bilancio consolidato ma unicamente i valori contenuti nei bilanci individuali, al lordo dei
rapporti infragruppo e senza operare le rettifiche normalmente effettuate in sede di
condolidamento. Inoltre:
il totale degli attivi patrimoniali è dato dalla somma del totale delle attività presenti nei diversi
stati patrimoniali (corrispondente alla somma dei totali delle passività e del patrimonio netto);
il totale dei ricavi delle vendite e delle prestazioni si ottiene considerando il fatturato della
gestione caratteristica e trova riferimento nella voce A.1 “Ricavi delle vendite e delle
prestazioni” del Conto economico civilistico;
il numero dei dipendenti comprende anche i lavoratori part-time e con contratto di
formazione-lavoro, mentre restano esclusi coloro che operano in regime di para-
subordinazione come agenti e procacciatori.
L’esonero si applica nei confronti delle imprese cd. sub-holding, ovvero quelle imprese che controllano
un sottogruppo e sono a loro volta controllate da una capogruppo di ordine superiore.
[…]
3. Non sono inoltre soggette all'obbligo indicato nell'art. 25 le imprese a loro volta controllate
quando la controllante sia titolare di oltre il novantacinque per cento delle azioni o quote
dell'impresa controllata ovvero, in difetto di tale condizione, quando la redazione del
bilancio consolidato non sia richiesta almeno sei mesi prima della fine dell'esercizio da tanti
soci che rappresentino almeno il 5% del capitale.
[…]
4. L'esonero previsto dal comma 3 è subordinato alle seguenti condizioni:
a. che l'impresa controllante, soggetta al diritto di uno Stato membro dell'Unione
europea, rediga e sottoponga a controllo il bilancio consolidato secondo il presente
decreto ovvero secondo il diritto di altro Stato membro dell'Unione europea o in
conformità ai principi contabili internazionali adottati dall'Unione europea;
b. che l'impresa controllata non abbia emesso valori mobiliari ammessi alla
negoziazione in mercati regolamentati italiani o dell'Unione europea.
5. Le ragioni dell'esonero devono essere indicate nella nota integrativa al bilancio di esercizio.
Nel caso previsto dal terzo comma, la nota integrativa deve altresì indicare la denominazione
e la sede della società controllante che redige il bilancio consolidato; copia dello stesso, della
relazione sulla gestione e di quella dell'organo di controllo, redatti in lingua italiana o nella
lingua comunemente utilizzata negli ambienti della finanza internazionale, devono essere
depositati presso l'ufficio del registro delle imprese del luogo ove è la sede dell'impresa
controllata.
Dal disposto del comma 4 si ricava che si può accedere all’esonero soltanto qualora la controllante sia
sottoposta al diritto di uno Stato membro dell’Unione Europea.
[…]
3-bis Non sono altresì soggette all'obbligo indicato nell'articolo 25 le imprese che controllano solo
imprese che, individualmente e nel loro insieme, sono irrilevanti ai fini indicati nel secondo
comma dell'articolo 29, nonché le imprese che controllano solo imprese che possono essere
escluse dal consolidamento ai sensi dell'articolo 28.
[…]
La disposizione consente di accedere all’esonero dalla redazione del bilancio consolidato qualora le
società controllate oggetto del possibile consolidamento non presentino, sia singolarmente sia nel
loro insieme, un interesse rilevante ai fini dello scopo del bilancio consolidato, ovvero quello di
rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria e il risultato
economico del complesso delle imprese costituito dalla controllante e dalle controllate. Inoltre,
qualora tutte le controllate del gruppo siano escludibili per le cause contemplate nel successivo art.
28, il bilancio consolidato può essere omesso in ragione della sostanziale non significatività del gruppo
stesso.
Si ritiene che la prima tipologia di esonero possa configurarsi nel caso, ad esempio, di controllate
particolarmente “effimere” nella loro attività e, conseguentemente, nel loro volume d’affari, per le
quali potrebbe ammettersi una valutazione di irrilevanza sulla scorta del fatto che il loro
consolidamento poco o nulla aggiungerebbe sotto il profilo informativo.
L'art. 26 del D.Lgs. 127/91 definisce le imprese controllate ai fini del consolidamento (cd. soggetti
passivi). L’impresa obbligata a redigere il consolidato (cd. soggetto attivo), individuata dal combinato
degli artt. 25 e 27 del Decreto e le imprese controllate, individuate dall’art. 26 formano, di fatto, l'area
di gruppo.
L'art. 28 specifica quali imprese, pur rientrando nell'area di gruppo, possono non essere consolidate.
Pertanto, dalla lettura congiunta degli artt. 26 e 28 si giunge, indirettamente, alla delimitazione
dell'area di consolidamento.
1. Agli effetti dell'art. 25 sono considerate imprese controllate quelle indicate nei nn. 1) e 2) del
primo comma dell'art. 2359 del c.c.
2. Agli stessi effetti sono in ogni caso considerate controllate:
a) le imprese su cui un'altra ha il diritto, in virtù di un contratto o di una clausola
statutaria, di esercitare un'influenza dominante, quando la legge applicabile
consenta tali contratti o clausole;
b) le imprese in cui un'altra, in base ad accordi con altri soci, controlla da sola la
maggioranza dei diritti di voto.
3. Ai fini dell'applicazione del comma precedente si considerano anche i diritti spettanti a
società controllate, a società fiduciarie e a persone interposte; non si considerano quelli
spettanti per conto di terzi.
Si rileva che la mancata previsione di limitazioni spaziali all’individuazione delle imprese controllate
da includere nel consolidamento costituisce un’applicazione implicita del principio di consolidamento
su scala mondiale affermato dalla direttiva comunitaria, che conduce all’aggregazione dei bilanci delle
imprese che compongono un gruppo indipendentemente dal paese di appartenenza.
La parte richiamata dell’art. 2359 c.c., rubricato “Società controllate e società collegate”, così dispone:
L’art. 26, in sostanza, prevede quattro fattispecie di controllo valide ai fini del consolidamento:
Nello stabilire le condizioni per l’esercizio del controllo, sia di diritto che di fatto, è richiesta la
disponibilità dei diritti di voto e non necessariamente il possesso della partecipazione al capitale
della controllata; ne deriva che la disponibilità di voti può derivare anche da altri rapporti giuridici (ad
esempio, usufrutto e pegno di azioni), oltre al possesso, in grado di assicurare al titolare il potere di
decidere autonomamente in che modo votare. La disponibilità in oggetto deve presentare un’origine
legale che sia connessa alla vita dell’azione.
Mentre nella fattispecie del controllo di diritto l’influenza dominante è presunta sulla base della
disponibilità della maggioranza assoluta dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria (a tal fine,
occorrerà fare riferimento alle disposizioni della legge e dello statuto societario in materia di
maggioranza), nella fattispecie del controllo di fatto l’influenza dominante deve essere dimostrata
caso per caso (a tal fine, sarà utile un esame della composizione della base azionaria e dei suoi
comportamenti in assemblea, con particolare riguardo a fenomeni di polverizzazione dell’azionariato
e di assenteismo dei soci in assemblea).
Si segnala come non ci sia piena coincidenza con la nozione civilistica di controllo: infatti, il controllo
derivante da vincoli contrattuali (ad esempio, contratti di concessione o licenza con obbligo di
esclusiva), previsto dal n. 3 del co. 1 dell’art. 2359 c.c., non risulta valido ai fini del consolidamento.
Si tratta di due ipotesi di controllo formale che differiscono tra loro unicamente sotto il profilo della
fonte (contratto o clausola statutaria) da cui scaturisce il diritto di esercitare un’influenza dominante.
Il contratto di dominazione rappresenta una forma di legame tra aziende avente ad oggetto la
sottomissione di un’impresa alla direzione di un’altra. Il controllo per clausola statutaria deriva invece
dall’inserimento nello statuto dell’impresa figlia della clausola (ad esempio, cd. golden share) che,
riservando a un soggetto il potere di nominare o revocare la maggioranza degli amministratori,
attribuisce a questi una posizione dominante su tale impresa.
Va sottolineato che il controllo derivante da contratto di dominazione si differenzia dal controllo cd.
contrattuale di cui al n. 3 del co. 1 dell’art. 2359 c.c. per la diversità di oggetto e di contenuto dei
rapporti giuridici sottostanti.
L’ipotesi del controllo da accordi con altri soci fa riferimento a qualsiasi tipo di accordo tra soci che
abbia il fine di attribuire ad un’impresa il controllo della maggioranza, anche solo relativa, dei voti.
La fattispecie riguarda il caso in cui, in mancanza del patto, la stessa impresa non sarebbe in grado di
controllare tale maggioranza, pena la riconducibilità alle ipotesi di controllo di diritto o di fatto.
Rientrano tra gli accordi in oggetto sia i sindacati di voto che deliberano a maggioranza, con cui le
parti si impegnano a votare uniformemente a quanto stabilito dalla maggioranza dell’accordo, sia i
patti di astensione dal voto di alcuni soci, che consentono di trasformare in maggioranza la
partecipazione minoritaria nell’impresa considerata.
L’art. 28 del D.Lgs. 127/91 stabilisce alcune condizioni di esclusione facoltativa delle imprese
controllate dall’area di consolidamento.
1. (Comma abrogato)
2. Possono essere escluse dal consolidamento le imprese controllate quando:
a. la loro inclusione sarebbe irrilevante ai fini indicati nel secondo comma dell'art. 29,
sempre che il complesso di tali esclusioni non contrasti con i fini suddetti;
b. l'esercizio effettivo dei diritti della controllante è soggetto a gravi e durature
restrizioni;
c. in casi eccezionali, non è possibile ottenere tempestivamente, o senza spese
sproporzionate, le necessarie informazioni;
d. le loro azioni o quote sono possedute esclusivamente allo scopo della successiva
alienazione.
a. Esclusione per irrilevanza della controllata ai fini della rappresentazione chiara, veritiera e
corretta
Il concetto di “irrilevanza” pare, ad una prima analisi, da attribuire alle consistenze economico-
finanziarie espresse nei rendiconti dell’impresa controllata. Tuttavia, la norma richiede di effettuare
una valutazione che tenga debitamente conto dell’effetto che il complesso delle esclusioni per
irrilevanza produce in termini di chiarezza, verità e correttezza della rappresentazione consolidata.
Pertanto, il giudizio di non rilevanza deve essere formulato sia con riferimento alla singola impresa
che all’insieme delle imprese ritenute scarsamente significative, in quanto la considerazione di più
situazioni modeste potrebbe rivelarsi di interesse ai fini del consolidato: si deve dunque evitare che
l’esclusione di tante realtà autonomamente (individualmente) insignificanti sottragga al bilancio di
gruppo informazioni di rilievo.
La valutazione di “irrilevanza” non può limitarsi alla sola dimensione quantitativa (frutto del
confronto di parametri come il totale delle attività, il capitale investito, i ricavi di vendita, il numero
dei dipendenti e il patrimonio netto dell’impresa controllata rispetto ai corrispondenti valori relativi
al gruppo aggregato) ma dovrebbe includere anche altre situazioni che potrebbero indurre al
consolidamento dell’impresa, quali ad esempio la posizione strategica assunta dalla stessa
all’interno del gruppo qualora in essa siano concentrare le attività di ricerca e sviluppo.
In questa logica, è possibile individuare alcuni casi in cui il parametro di irrilevanza non può dirsi
soddisfatto ai fini dell’esclusione dal consolidamento: piccole imprese controllate che fanno ampio
ricorso all’indebitamento esterno e/o che presentano un notevole ammontare di giacenze
infragruppo e/o verso le quali sono state realizzate cessioni infragruppo che hanno comportato la
realizzazione di significative plusvalenze e/o riconducibili alla categoria degli enti di interesse
pubblico (ad esempio, società quotate).
b. Esclusione per gravi e durature restrizioni nell’esercizio effettivo dei diritti della controllante
Nell’ipotesi in oggetto si configura l’assenza di un potere di controllo effettivo della capogruppo nei
confronti dell’impresa controllata, elemento questo essenziale ai fini del consolidamento. Il potere di
controllo, in ragione delle gravi e durature restrizioni a cui è sottoposto, si mantiene pertanto
nell’alveo della mera potenzialità; qualora mancasse anche tale aspetto, si determinerebbe
l’esclusione implicita della stessa nozione di controllo ai sensi dell’art. 26.
I caratteri di gravità e durevolezza delle restrizioni devono essere attentamente soppesati attraverso
una valutazione soggettiva, benché non del tutto discrezionale. Ipotesi di esclusione rientranti nella
fattispecie in argomento sono individuabili qualora:
Nel caso dell’impresa controllata inattiva, occorre valutare con attenzione le cause determinanti
dell’inattività stessa e verificare se queste sono riconducibili a una delle cause di cui all’art. 28. Nella
prassi, l’inattività si accompagna spesso all’irrilevanza, per cui eventualmente la controllata potrà
rientrare nell’ipotesi di esclusione di cui alla lett. a) dello stesso art. 28.
c. Esclusione, in casi eccezionali, per difficoltà nel reperimento delle informazioni necessarie
(non ottenibili tempestivamente o senza spese sproporzionate)
L’ipotesi di esclusione in oggetto attribuisce rilevanza, in casi eccezionali, alle difficoltà di reperimento
delle informazioni dettate alternativamente da:
mancanza di tempestività nel fornire le informazioni in tempo utile ai fini del consolidamento
dei bilanci entro i termini di legge;
costi sproporzionati nel produrre le informazioni in rapporto ai benefici informativi (si ritiene
che l’ipotesi possa riguardare unicamente imprese di minori dimensioni).
È evidente che, nella prassi, si riscontri una chiara interdipendenza tra le cause individuate dalla
norma.
imprese il cui controllo è stato acquisito nell’ultimo scorcio dell’esercizio (che, secondo la
prassi internazionali, potrebbe consistere negli ultimi tre mesi, ma solo a condizione che si
trovino in una fase di ristrutturazione produttiva, commerciale ed amministrativa);
difficoltà di ordine pratico derivanti da eventi di natura straordinaria, come nel caso della
scomparsa di documenti contabili a seguito di incendio o di problemi sui supporti
informatici;
impossibilità per la controllata di comunicare le necessarie informazioni per motivi di ordine
politico o eventi bellici;
normativa locale che impone disposizioni incompatibili con quelle adottate dal gruppo e
conseguente impossibilità di rettifica dei bilanci della controllata;
inattendibilità dei documenti contabili (bilanci non controllati, giudizio negativo o
impossibilità di esprimere un giudizio da parte del revisore locale)
Qualora la controllata, pur in presenza delle condizioni che garantiscono l’influenza dominante da
parte della capogruppo, è da questa detenuta «esclusivamente allo scopo della successiva
alienazione», lo scopo economico della partecipazione assume carattere speculativo e non di lungo
periodo. L’ipotesi di esclusione in oggetto è dettata dal fatto che al bilancio della controllata
dovrebbero applicarsi criteri di valutazione differenti da quelli di funzionamento.
La successiva rivendita deve essere uno scopo immediato e non uno scopo successivo inquadrabile
come mera intenzione, eventualmente a margine di lunghi processi di risanamento e di
ristrutturazione aziendale. Conseguentemente, nel bilancio d’esercizio della controllante la
partecipazione deve risultare iscritta nell’attivo circolante e non tra le immobilizzazioni finanziarie,
stante la prospettiva di alienazione nel breve periodo. In tal senso di esprime anche l’OIC 17 (par.
39.d), ove si afferma che “una controllata può essere esclusa dall’area di consolidamento quando è
stata acquisita con l’esclusivo fine della vendita entro 12 mesi dalla data di acquisizione del
controllo. In tal caso essa è classificata nella voce dell’attivo circolante dello stato patrimoniale
consolidato III – Attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni – 1) Partecipazioni in
imprese controllate non consolidate”.
Si ritiene che rientri nella fattispecie di esclusione per successiva alienazione anche il caso della
controllata in liquidazione.
L’IFRS 10 Bilancio consolidato dispone che “l'entità (la controllante) che controlla una o più entità
(controllate) debba presentare un bilancio consolidato” (par. 2 lett. a) e aggiunge che “un'entità che
è una controllante deve presentare il bilancio consolidato” (par. 4).
L’Appendice A dell’IFRS 10, dedicata alla definizione dei termini rilevanti del documento, individua tra
gli altri i concetti di:
L’IFRS 10 identifica alcuni casi di esonero, che si inseriscono in chiave limitata ed eccezionale rispetto
al principio della generale obbligatorietà del rendiconto consolidato per qualsiasi gruppo aziendale.
La scelta di avvalersi dell'esonero rappresenta una facoltà, posto che il soggetto esonerabile può
comunque essere incluso nel consolidato.
“[…] Il presente IFRS si applica a tutte le entità, a eccezione dei seguenti casi:
a) una entità controllante non è tenuta alla presentazione del bilancio consolidato se soddisfa
tutte le seguenti condizioni:
i. è una società interamente controllata, o una società controllata parzialmente, da
un'altra entità e tutti gli azionisti terzi, inclusi quelli non aventi diritto di voto, sono
stati informati, e non dissentono, del fatto che la controllante non redige un bilancio
consolidato;
ii. i suoi titoli di debito o gli strumenti rappresentativi di capitale non sono negoziati in
un mercato pubblico (una Borsa Valori nazionale o estera ovvero in un mercato «over-
the-counter», compresi i mercati locali e regionali);
iii. non ha depositato, né è in procinto di farlo, il proprio bilancio presso una
Commissione per la Borsa Valori o altro organismo di regolamentazione al fine di
emettere una qualsiasi categoria di strumenti finanziari in un mercato pubblico; e
iv. la sua capogruppo o una controllante intermedia redige un bilancio per uso pubblico
che sia conforme agli IFRS, in cui le società controllate sono consolidate o sono
valutate al fair value rilevato a conto economico in conformità con il presente IFRS.
[…]”
“Una controllante che è un'entità d'investimento non è tenuta alla presentazione del bilancio
consolidato se deve valutare tutte le proprie controllate al fair value rilevato a conto economico, in
conformità al paragrafo 31 del presente IFRS.”
(a) ottiene fondi da uno o più investitori al fine di fornire loro servizi di gestione degli investimenti;
(b) si impegna nei confronti dei propri investitori a perseguire la finalità commerciale di investire
i fondi esclusivamente per ottenere rendimenti dalla rivalutazione del capitale, dai proventi
degli investimenti o da entrambi; e
(c) calcola e valuta i rendimenti della quasi totalità degli investimenti in base al fair value”
Un'entità d'investimento “non deve consolidare le proprie controllate, o applicare l'IFRS 3, quando
ottiene il controllo di un'altra entità”, ma “deve invece valutare un investimento in una controllata al
fair value rilevato a conto economico in conformità all'IFRS 9” (par. 31). Inoltre, “una controllante di
una entità d'investimento deve consolidare tutte le entità che controlla, incluse quelle controllate
attraverso una entità d'investimento controllata, a meno che la controllante non sia essa stessa una
entità d'investimento” (par. 33).
Contrariamente al caso delle controllanti a loro volta controllate (cd. sub-holding) di cui al par. 4, che
rappresenta un’ipotesi di esonero facoltativo, la fattispecie di esonero di cui al par. 4B si configura
come una sorta di divieto alla redazione del bilancio consolidato.
Il concetto di controllo enucleato dai principi contabili internazionali può dirsi basato su principi,
prima ancora che su linee precise (logica principles based).
Innanzitutto, “Un investitore, indipendentemente dalla natura del proprio rapporto con un'entità
(l'entità oggetto di investimento), deve accertare se è una entità controllante valutando se controlla
l'entità oggetto di investimento” (par. 5).
“Un investitore controlla un'entità oggetto di investimento quando è esposto a rendimenti variabili,
o detiene diritti su tali rendimenti, derivanti dal proprio rapporto con la stessa e nel contempo ha la
capacità di incidere su tali rendimenti esercitando il proprio potere su tale entità” (par. 6).
“Nel determinare se controlla un'entità oggetto di investimento, un investitore deve considerare tutti
i fatti e le circostanze. L'investitore deve valutare nuovamente se controlla un'entità oggetto di
investimento qualora i fatti e le circostanze indicano la presenza di variazioni in uno o più dei tre
elementi di controllo” (par. 8).
“Un investitore ha potere su un'entità oggetto di investimento quando detiene validi diritti che gli
conferiscono la capacità attuale di dirigere le attività rilevanti, ossia le attività che incidono in
maniera significativa sui rendimenti dell'entità oggetto di investimento” (par. 10).
Esempi di attività rilevanti sono le operazioni di acquisto e di vendita di beni e servizi, la gestione delle
attività finanziarie, la determinazione della struttura finanziaria, la ricerca e lo sviluppo di nuovi
prodotti o processi.
“Il potere deriva dai diritti. In alcuni casi l'accertamento del potere è immediato, come nel caso in
cui il potere su un'entità oggetto di investimento si ottiene direttamente e unicamente attraverso i
diritti di voto conferiti da strumenti rappresentativi di capitale come le azioni, e può essere
determinato considerando i diritti di voto derivanti da tali partecipazioni. In altri casi, la verifica sarà
più complessa ed è necessario considerare più fattori, per esempio nel caso in cui il potere risulti da
uno o più accordi contrattuali” (par. 11)
“Un investitore con la capacità attuale di dirigere le attività rilevanti ha potere anche se i diritti di
dirigere tali attività non sono stati ancora esercitati. La circostanza che l'investitore stia dirigendo le
attività rilevanti può aiutare a stabilire se esso ha potere, ma tale evidenza non costituisce di per sé
un elemento conclusivo per stabilire se un investitore ha potere su un'entità oggetto di investimento”
(par. 12).
La guida operativa (appendice B) dell’IFRS 10 propone un elenco non esaustivo “di diritti che,
singolarmente o cumulativamente, possono conferire potere a un investitore:
a) diritti sotto forma di diritti di voto (o di diritti di voto potenziali) di una partecipata […];
b) diritti di nomina, nomina successiva o destituzione di dirigenti con responsabilità
strategiche della partecipata che abbiano la capacità di condurre le attività rilevanti;
c) diritti di nomina o destituzione di un'altra entità che conduce le attività rilevanti;
d) diritti di istruire la partecipata ad avviare operazioni che vadano a vantaggio dell'investitore,
o di vietarne qualsiasi modifica; e
e) altri diritti (come i diritti di assumere decisioni specificati in un contratto di gestione) che
diano al titolare degli stessi la capacità di condurre le attività rilevanti.” (par. B15)
“Nello stabilire se detiene potere, un investitore considera solo i diritti sostanziali relativi a una
partecipata (detenuti dall'investitore e da altri). Affinché un diritto sia sostanziale, il titolare deve
disporre della capacità pratica di esercitare tale diritto” (par. B22).
In questa logica, la capacità attuale di dirigere le attività rilevanti potrebbe venire meno qualora
queste siano dirette da un liquidatore, da un tribunale, da un amministratore, da un ente di
regolamentazione o da un’autorità pubblica.
B. Esposizione o diritti a rendimenti variabili derivanti dal rapporto con l’entità oggetto di
investimento (par. 15-16)
“Un investitore è esposto o ha diritto ai rendimenti variabili derivanti dal proprio rapporto con l'entità
oggetto di investimento quando i rendimenti che gli derivano da tale rapporto sono suscettibili di
variare in relazione all'andamento economico dell'entità oggetto di investimento. I rendimenti
dell'investitore possono essere solo positivi, solo negativi o, nel complesso, positivi e negativi” (par.
15). In generale, la variabilità dei rendimenti deve dipendere in qualche misura dall'attività del
soggetto controllato, per cui deve escludersi il caso in cui questa sia data unicamente dalla
parametrazione a un indice macroeconomico.
Benché un unico investitore possa controllare un'entità oggetto di investimento, più parti possono
condividerne i rendimenti. Per esempio, i titolari di partecipazioni di minoranza possono condividere i
profitti o i dividendi di un'entità oggetto di investimento” (par. 16). Ad esempio, i soci di minoranza
sono esposti o hanno diritto a rendimenti variabili e, su queste basi, partecipano agli utili e alle perdite
pur senza detenere il controllo.
a) dividendi, altre distribuzioni di benefici economici derivanti da una partecipata (per esempio,
interessi derivanti da titoli di debito emessi dalla partecipata) e variazioni del valore
dell'investimento nella partecipata;
b) compensi per la gestione delle attività o delle passività della partecipata, commissioni ed
esposizione al rischio di perdita derivante dal sostegno in termini creditizi e di liquidità,
interessi residui nelle attività e passività della partecipata all'atto della sua liquidazione,
benefici fiscali e accesso alla liquidità futura di un investitore sulla base del suo coinvolgimento
in una partecipata;
c) rendimenti non disponibili per altri detentori di partecipazioni. Per esempio, un investitore
potrebbe utilizzare le proprie attività in combinazione con le attività della partecipata,
combinando funzioni operative per conseguire economie di scala e risparmi di costo,
procurando prodotti scarsi, ottenendo accesso a conoscenze proprietarie o limitando alcune
operazioni o attività per accrescere il valore delle altre attività dell'investitore” (par. B57)
“Un investitore controlla un'entità oggetto di investimento se, oltre ad avere il potere su di essa e
l'esposizione o il diritto ai rendimenti variabili derivanti dal proprio rapporto con l'entità oggetto di
investimento, ha anche la capacità di esercitare il proprio potere per incidere sui rendimenti derivanti
da tale rapporto” (par. 17).
“Pertanto, un investitore che abbia il diritto di assumere decisioni deve stabilire se opera in conto
proprio (c.d. preponente o “principal”) ovvero come un agente per conto di terzi (c.d. “agent”). Un
investitore che operi da agente, secondo quanto previsto dai paragrafi B58–B72, non controlla
un'entità oggetto di investimento quando esercita il diritto delegato di prendere decisioni” (par. 18).
Esempio tipico di agente può essere rappresentato, a certe condizioni, dal soggetto gestore di un
fondo.
CAPITOLO 4 La composizione e il contenuto del bilancio consolidato nella disciplina nazionale e
secondo gli IFRS
4.1 La composizione del bilancio consolidato secondo la normativa nazionale e gli IFRS
Secondo l’art. 29, co. 1, del D.Lgs. 127/91, il bilancio consolidato è costituito da:
Inoltre, il bilancio consolidato deve essere corredato dalla Relazione sulla gestione, redatta dagli
amministratori e “contenente un'analisi fedele, equilibrata ed esauriente della situazione dell'insieme
delle imprese incluse nel consolidamento e dell'andamento e del risultato della gestione nel suo
insieme e nei vari settori, con particolare riguardo ai costi, ai ricavi e agli investimenti, nonché una
descrizione dei principali rischi e incertezze cui le imprese incluse nel consolidamento sono esposte”
(art. 40 del Decreto)
L’OIC 17 raccomanda che la Nota integrativa al bilancio consolidato comprenda anche (parr. 143-146):
L’art. 32 del D.Lgs. 127/91, rubricato “Struttura e contenuto dello stato patrimoniale, del conto
economico e del rendiconto finanziario consolidati”, al comma 1 così dispone:
1. Salvi gli adeguamenti necessari, la struttura e il contenuto dello stato patrimoniale e del
conto economico e del rendiconto finanziario consolidati sono quelli prescritti per i bilanci di
esercizio delle imprese incluse nel consolidamento. Se questi sono soggetti a discipline
diverse, devono essere adottati la struttura e il contenuto più idonei a realizzare i fini indicati
nel comma 2 dell'art. 29, dandone motivazione nella nota integrativa.
Con il venir meno delle discipline speciali, che al momento dell'entrata in vigore del D.Lgs. 127/1991
caratterizzavano gli schemi di bilancio per le imprese operanti in alcuni settori specifici di attività (ad
esempio, editoria e creditizio), la fattispecie delle discipline diverse ha perso rilevanza poiché, se la
capogruppo non è obbligata alla (oppure avendone facoltà, non ha optato per la) redazione del
bilancio consolidato secondo gli IFRS, gli unici schemi che può adottare (con le opportune
integrazioni) sono quelli previsti dal codice civile.
L’IFRS 10 non prevede espressamente il contenuto del bilancio consolidato. A tal fine, il riferimento è
dato dallo IAS 1 Presentazione del bilancio, il cui par. 4 prevede l’applicazione del principio anche per
la redazione del bilancio consolidato, oltre che del bilancio separato e individuale. Il par. 10 del
documento specifica che “un'informativa di bilancio completa include:
Si ritiene che, sebbene non prevista esplicitamente dagli IFRS, la relazione sulla gestione ex art. 40 del
D.Lgs. 127/91 debba comunque essere posta a corredo del bilancio consolidato, anche qualora questo
sia redatto sulla base dei principi contabili internazionali.
III Attività finanziarie che non costituiscono VIII Utili (perdite) portati a nuovo
immobilizzazioni
IV Disponibilità liquide IX Utile (perdita) dell’esercizio
D Ratei e risconti X Riserva negativa per azioni proprie in portafoglio
Patrimonio netto di terzi
2. Le voci relative alle rimanenze possono essere raggruppate quando la loro distinta
indicazione comporti costi sproporzionati.
3. L'importo del capitale e delle riserve delle imprese controllate corrispondente a partecipazioni
di terzi è iscritto in una voce del patrimonio netto denominata “capitale e riserve di terzi”.
4. La parte del risultato economico consolidato corrispondente a partecipazioni di terzi è iscritta
in una voce denominata “utile (perdita) dell'esercizio di pertinenza di terzi”.
La distinta indicazione delle rimanenze potrebbe comportare costi sproporzionati in quanto alcuni
beni possono rivestire natura diversa nel bilancio delle singole imprese rispetto a quella che sarebbe
loro propria nel bilancio consolidato. Ad esempio, se tra le rimanenze di un’impresa sono compresi
beni che essa ha acquistato al fine di venderli ad un’altra impresa del gruppo che li impiegherà nel
proprio processo produttivo, è evidente che quegli stessi beni, mentre per l’impresa singolarmente
considerata costituiscono rimanenze di merci (voce C.I.4), per il gruppo costituiscono rimanenze di
materie prime (voce C.I.1).
Vanno inoltre considerate le ulteriori voci da inserire, ove ne ricorrano i presupposti, per effetto del
consolidamento delle partecipazioni, e in particolare dell’eventuale emergere di differenze (positive
o negative) tra il valore della partecipazione e la corrispondente quota del patrimonio netto della
partecipata. A tal proposito, il co. 3 dell’art. 33 del D.Lgs. 127/91 dispone che:
3. L'eventuale residuo, se negativo, è iscritto in una voce del patrimonio netto denominata
“riserva di consolidamento”, ovvero, quando sia dovuto a previsione di risultati economici
sfavorevoli, in una voce denominata “fondo di consolidamento per rischi ed oneri futuri”; se
positivo, è iscritto in una voce dell'attivo denominata “avviamento”, salvo che debba essere
in tutto o in parte imputato a conto economico. L'importo iscritto nell'attivo è ammortizzato
nel periodo previsto dal primo comma, n. 6, dell'articolo 2426 del codice civile.
Infine, il par. 34, lett. e), del documento OIC 17 prevede l’inserimento nell’ambito della voce A.VI “Altre
riserve” del patrimonio netto della voce “Riserva da differenze di traduzione” (detta anche “Riserva
di conversione da consolidamento estero”) rappresentativa della differenza derivante dalla
traduzione di bilanci di controllate espressi in valuta estera.
Lo IAS 1 (par. 10) indica lo Stato patrimoniale con l’espressione Prospetto della situazione
patrimoniale-finanziaria, benché tale denominazione non sia tassativa.
I principi contabili internazionali non prescrivono l’ordine o lo schema con il quale vanno esposte le
voci, ma si limitano semplicemente ad elencare le voci che sono sufficientemente diverse per natura
o destinazione da richiedere un’esposizione separata in tale prospetto, senza dare alcun risalto alle
voci che compaiono unicamente nel bilancio consolidato (IAS 1, parr. 54-55).
“Un'entità deve presentare le attività correnti e non correnti, e le passività correnti e non correnti,
come classificazioni distinte nel prospetto della situazione patrimoniale-finanziaria […] ad eccezione
del caso in cui una presentazione basata sulla liquidità fornisce informazioni che sono attendibili e
più rilevanti. Quando tale eccezione si applica, un'entità deve presentare tutte le attività e passività
ordinate in base al loro livello di liquidità” (par. 60).
“Qualunque sia il metodo di presentazione adottato, un'entità deve indicare l'importo che si prevede
di realizzare o regolare dopo oltre dodici mesi per ciascuna voce di attività e passività che include gli
importi che ci si aspetta di realizzare o estinguere:
Rispetto allo schema di Stato patrimoniale consolidato redatto secondo la normativa nazionale si
notano le seguenti differenze:
- nel patrimonio netto compare un’unica voce per indicare le Interessenze di pertinenza dei
terzi, mentre la norma nazionale prevede di indicare distintamente le voci Capitale e riserve
di terzi e Utile (perdita) dell’esercizio di pertinenza di terzi;
- nel patrimonio netto non è presente la voce Riserva di consolidamento e nel passivo non è
presente la voce Fondo di consolidamento per rischi e oneri futuri, in quanto gli IFRS
prevedono altre modalità di contabilizzazione delle differenze negative di consolidamento.
Lo schema di Conto economico accolto dalla normativa civilistica si può denominare “a valore e costo
della produzione”, con i costi classificati per natura.
Lo IAS 1 (parr. 10A e 81A) consente di optare tra due diverse soluzioni per l’esposizione delle voci di
Conto economico:
a) ricavi;
b) oneri finanziari;
c) quota dell'utile o perdita di collegate e joint venture contabilizzate con il metodo del
patrimonio netto;
d) oneri tributari;
e) un unico importo comprendente il totale della plusvalenza o minusvalenza delle attività
operative cessate.
Le ulteriori voci, che vengono esposte nella seconda parte del Prospetto dell’utile (perdita) d’esercizio
e delle altre componenti di conto economico complessivo, oppure nel Prospetto di conto economico
complessivo, sono le altre voci che influiscono sul patrimonio netto diverse da quelle considerate per
la determinazione del reddito d’esercizio e da quelle derivanti dai rapporti con i soci. Esse
comprendono:
- variazioni nella riserva di rivalutazione di immobili, impianti e macchinari (IAS 16) e di attività
immateriali (IAS 38);
- utili e perdite attuariali da piani a benefici definiti (par. 93A dello IAS 19);
- utili e perdite derivanti dalla conversione dei bilanci di una gestione estera (IAS 21);
- utili e perdite dalla rideterminazione di attività finanziarie al fair value (valore equo) rilevato
nelle altre componenti di conto economico complessivo (IFRS 9)
- la parte efficace degli utili e delle perdite sugli strumenti di copertura in una copertura di flussi
finanziari (IFRS 9);
- quota parte delle altre componenti di conto economico complessivo di pertinenza di collegate
e joint venture contabilizzate con il metodo del patrimonio netto;
- totale conto economico complessivo.
Per quanto riguarda in particolare il Conto economico consolidato, lo IAS 1 (par. 81B) specifica quanto
segue:
“Oltre alle sezioni dell'utile (perdita) d'esercizio e delle altre componenti di conto economico
complessivo, una entità deve presentare la ripartizione dell'utile (perdita) d'esercizio e delle altre
componenti di conto economico complessivo tra le seguenti voci:
Se una entità rappresenta l'utile (perdita) d'esercizio in un prospetto distinto, in tale prospetto deve
riportare la ripartizione di cui al punto (a)”
Si ritiene che l'ordine delle voci i. e ii. non sia tassativo e sia ammissibile un’inversione delle stesse.
Benché gli IFRS non definiscano una vera e propria struttura di Conto economico consolidato, è
possibile comunque ricavare uno schema di massima:
- del Prospetto dell’utile (perdita) d’esercizio e delle altre componenti del conto economico
complessivo consolidato con la classificazione per destinazione
Ricavi
Costo del venduto
Utile lordo
Altri proventi
Costi di distribuzione
Costi amministrativi
Altri costi
Oneri finanziari
Quote di utili di società collegate
Utile (perdita) prima delle imposte
Imposte sul reddito
Utile (perdita) dalle attività di funzionamento
Utile (perdita) da attività dismesse
UTILE (PERDITA) D’ESERCIZIO
attribuibile a partecipazioni di minoranza
attribuibile ai soci della controllante
Altre componenti di conto economico complessivo:
Voci che non saranno successivamente riclassificate nell'utile (perdita) d'esercizio:
- Rivalutazione immobili
- Utili (perdite) attuariali da piani a benefici definiti
- Quote di rivalutazione immobili di società collegate
- Imposte sul reddito relative a voci che non saranno riclassificate
Voci che potranno essere successivamente riclassificate nell'utile (perdita) d'esercizio:
- Differenze di cambio derivanti dalla conversione di gestioni estere
- Rideterminazione di attività finanziarie (diverse dagli strumenti rappresentativi di capitale) al fair
value rilevato nelle altre componenti di conto economico complessivo
- Variazione strumenti di copertura di flussi finanziari
- Imposte sul reddito relative a voci che potranno essere riclassificate
Totale altre componenti di conto economico complessivo
TOTALE CONTO ECONOMICO COMPLESSIVO D’ESERCIZIO
attribuibile a partecipazioni di minoranza
attribuibile ai soci della controllante
- del Prospetto dell’utile (perdita) d’esercizio consolidato con la classificazione per natura
Ricavi
Altri proventi
Variazioni nelle rimanenze di prodotti finiti e prodotti in corso di lavorazione
Lavori in economia e capitalizzati
Materie prime e di consumo utilizzate
Costi per benefici ai dipendenti
Svalutazioni e ammortamenti
Riduzione di valore di immobili, impianti e macchinari
Altri costi
Oneri finanziari
Quote di utili di società collegate
Utile (perdita) prima delle imposte
Imposte sul reddito dell’esercizio
Utile (perdita) dalle attività di funzionamento
Utile (o perdita) da attività dismesse
UTILE (PERDITA) D’ESERCIZIO
attribuibile a partecipazioni di minoranza
attribuibile ai soci della controllante
- del Prospetto di conto economico complessivo consolidato con la classificazione per natura
Utile (perdita) d’esercizio
Altre componenti di conto economico complessivo:
Voci che non saranno successivamente riclassificate nell'utile (perdita) d'esercizio:
- Rivalutazione immobili
- Utili (perdite) attuariali da piani a benefici definiti
- Quote di rivalutazione immobili di società collegate
- Imposte sul reddito relative a voci che non saranno riclassificate
Voci che potranno essere successivamente riclassificate nell'utile (perdita) d'esercizio:
- Differenze di cambio derivanti dalla conversione di gestioni estere
- Rideterminazione di attività finanziarie (diverse dagli strumenti rappresentativi di capitale) al fair
value rilevato nelle altre componenti di conto economico complessivo
- Variazione strumenti di copertura di flussi finanziari
- Imposte sul reddito relative a voci che potranno essere riclassificate
Totale altre componenti di conto economico complessivo
TOTALE CONTO ECONOMICO COMPLESSIVO D’ESERCIZIO
attribuibile a partecipazioni di minoranza
attribuibile ai soci della controllante
4.8 Il prospetto di raccordo tra il bilancio della società controllante e il bilancio consolidato
Secondo l’OIC 17 (par. 143-144), il prospetto di raccordo tra il patrimonio netto e il risultato
dell’esercizio del bilancio di esercizio della società controllante e il patrimonio netto e il risultato
dell’esercizio del bilancio consolidato, che riporta l’ammontare e la natura delle principali differenze
tra tali bilanci, deve essere inserito nella nota integrativa al bilancio consolidato.
a) il valore complessivo del patrimonio netto e del risultato dell’esercizio risultanti dal bilancio
consolidato e i rispettivi valori esposti dal bilancio d’esercizio della controllante;
b) le rettifiche operate, distinguendo tra quelle operate per l’eliminazione delle operazioni e dei
saldi infragruppo e le altre rettifiche di consolidamento;
c) l’ammontare complessivo del patrimonio netto consolidato e del risultato consolidato
dell’esercizio.
Di seguito si riporta uno schema esemplificativo del prospetto redatto in conformità alle indicazione
dell’OIC 17:
CAPITOLO 5 La valutazione delle partecipazioni nel bilancio della singola impresa e nel bilancio
consolidato secondo la disciplina nazionale e gli IFRS
5.2 Classificazione e criteri di valutazione delle partecipazioni nel bilancio della singola impresa e
nel bilancio consolidato secondo la disciplina nazionale
Classificazione delle partecipazioni nel bilancio della singola impresa e nel bilancio consolidato
secondo la disciplina nazionale
L’art. 2424 c.c., nel definire il contenuto dello Stato patrimoniale, prevede la collocazione delle
partecipazioni nelle seguenti classi dell’attivo patrimoniale:
B) Immobilizzazioni:
III. Immobilizzazioni finanziarie:
1)partecipazioni in:
a) imprese controllate;
b) imprese collegate;
c) imprese controllanti;
d) imprese sottoposte al controllo delle controllanti;
d-bis) altre imprese;
C) Attivo circolante:
III. Attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni:
1) partecipazioni in imprese controllate;
2) partecipazioni in imprese collegate;
3) partecipazioni in imprese controllanti;
3-bis) partecipazioni in imprese sottoposte al controllo delle controllanti;
4) altre partecipazioni.
Tale classificazione rileva anche ai fini della redazione del bilancio consolidato.
L’OIC 21 (par. 4) afferma che le partecipazioni costituiscono investimenti nel capitale di altre
imprese.
Quanto alla distinzione tra imprese controllate e collegate, è lo stesso codice civile a dettare precise
disposizioni.
1) le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea
ordinaria;
2) le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza
dominante nell'assemblea ordinaria;
3) le società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli
contrattuali con essa.
Ai fini dell'applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma si computano anche i voti spettanti a
società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta; non si computano i voti spettanti per
conto di terzi.
Sono considerate collegate le società sulle quali un'altra società esercita un'influenza notevole.
L'influenza si presume quando nell'assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei
voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in borsa.
In merito all’allocazione delle partecipazioni tra le immobilizzazioni finanziarie oppure tra le attività
finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni, il riferimento è dato dall’art. 2424-bis del codice
civile.
Art. 2424-bis c.c. – Disposizioni relative a singole voci dello stato patrimoniale
1. Gli elementi patrimoniali destinati ad essere utilizzati durevolmente devono essere iscritti
tra le immobilizzazioni.
2. Le partecipazioni in altre imprese in misura non inferiore a quelle stabilite dal terzo comma
dell'articolo 2359 si presumono immobilizzazioni. […]
La presunzione di cui al co. 2 dell’art. 2424-bis c.c. è in realtà priva di rilevanza, per cui la classificazione
delle partecipazioni tra immobilizzazioni e attivo circolante va basata esclusivamente sul dettato del
co. 1, che fa riferimento all’utilizzo durevole.
“La classificazione nell’attivo immobilizzato e nell’attivo circolante dipende dalla destinazione della
partecipazione. Le partecipazioni destinate ad una permanenza durevole nel portafoglio della
società si iscrivono tra le immobilizzazioni, le altre vengono iscritte nell’attivo circolante. Al fine di
determinare l’esistenza della destinazione a permanere durevolmente nel patrimonio dell’impresa si
considerano la volontà della direzione aziendale e l’effettiva capacità della società di detenere le
partecipazioni per un periodo prolungato di tempo.”
Criteri di valutazione delle partecipazioni nel bilancio della singola impresa secondo la disciplina
nazionale
Il codice civile definisce i criteri generali di valutazione delle partecipazioni con i seguenti numeri del
primo comma dell’art. 2426:
Solo per le partecipazioni in imprese controllate e collegate che costituiscono immobilizzazioni sono
previsti due criteri alternativi, tra i quali gli amministratori possono scegliere, mentre in tutti gli altri
casi la valutazione avviene sempre al costo oppure a un valore inferiore se si riscontrano determinate
condizioni, senza che vi sia discrezionalità nella scelta da parte degli amministratori.
Per le determinazione del costo di acquisto delle partecipazioni risultano applicabili le seguenti norme
del codice civile, contenute nell’art. 2426 c.c. dedicato ai criteri di valutazione:
L’OIC 21 (par. 6) definisce i costi accessori come quei “costi direttamente imputabili all’operazione” e
reca alcuni esempi:
La determinazione del valore (durevole) di fine esercizio per le partecipazioni iscritte nelle
immobilizzazioni finanziarie
L’OIC 21 (par. 31) stabilisce che “la perdita durevole di valore è determinata confrontando il valore
di iscrizione in bilancio della partecipazione con il suo valore recuperabile, determinato in base ai
benefici futuri che si prevede affluiranno all’economia della partecipante”.
Il processo valutativo delle partecipazioni immobilizzate descritto dall’OIC 21 (parr. 32-41) si articola
nelle seguenti fasi:
Tali perdite sono riconducibili a situazioni negative interne alla società stessa o esterne ad
essa, oppure ad una combinazione di fattori interni ed esterni.
Esempi di situazioni interne alla società che possono rappresentare un indicatore di perdita di valore
(par. 33):
- perdite operative divenute fisiologiche, derivanti da una struttura del ciclo costi/ricavi che
cessa di essere remunerativa;
- eccesso di costi fissi, non riducibili nel breve periodo, rispetto al volume d'affari;
- obsolescenza tecnologica degli impianti o dei processi produttivi dell'impresa;
- un perdurante stato di tensione finanziaria al quale non si possa porre rimedio e che divenga
eccessivamente oneroso per la società,
- una distribuzione di dividendi che abbia comportato che la quota di patrimonio netto
posseduta nella partecipata sia diventata inferiore al valore di iscrizione della stessa nell’attivo.
Esempi di fattori esterni alla società che possono rappresentare un indicatore di perdita di valore (par.
34):
- crisi del mercato in cui opera l'impresa con previsioni di assestamento dello stesso in direzione
opposta a quella auspicata dall'impresa;
- sostanziale ribasso dei prezzi di vendita dei prodotti non bilanciato dall'adeguamento dei costi
di produzione e vendita;
- nuove leggi e regolamentazione che incidono negativamente sulla redditività dell'impresa;
- perdita di quote di mercato a favore di imprese concorrenti;
- abbandono da parte del mercato dei prodotti dell'impresa a favore di prodotti alternativi;
- evidenze che inducono a ritenere che si è prodotta una significativa perdita durevole di valore.
Un ulteriore indicatore di perdita può essere costituito dal mancato esercizio di un diritto di opzione,
previsto dall’art. 2441 del codice civile, che abbia comportato una diminuzione del valore economico
della partecipata al di sotto del valore di iscrizione della stessa nell’attivo (par. 35).
Per i titoli partecipativi quotati non è necessariamente considerato motivo di abbattimento del costo
un improvviso e generalizzato ribasso del valore di mercato; questo può costituire peraltro un primo
elemento segnaletico di un'eventuale perdita durevole di valore (par. 36).
2) la verifica della durevolezza della perdita di valore (parr. 38-39): una perdita di valore è
durevole quando fondatamente non si prevede che le ragioni che l’hanno causata possono
essere rimosse in un breve arco temporale, cioè in un periodo così breve da permettere di
formulare previsioni attendibili e basate su fatti obiettivi e ragionevolmente riscontrabili.
Se invece la partecipata ha predisposto piani e programmi tesi al recupero delle condizioni di
equilibrio economico-finanziario, con caratteristiche tali da far fondatamente ritenere che la
perdita di valore della partecipazione abbia carattere contingente, questa può definirsi non
durevole. Tali piani e programmi devono rispondere a specifici requisiti e deve esserne
predisposta una adeguata informativa.
3) l’individuazione di elementi per quantificare la perdita di valore: come anticipato, il valore
recuperabile della partecipazione deve essere determinato in base ai benefici futuri che si
prevede affluiranno all’economia della partecipante (par. 31). Accertata in sede di formazione
del bilancio la perdita durevole di valore della partecipazione e determinato il suo valore
recuperabile, il valore di iscrizione in bilancio è ridotto a tale minor valore (par. 40).
La riduzione di valore deve essere interamente imputata all'esercizio in cui è accertata (par.
41), tramite imputazione alla voce D.19.a) Svalutazioni di partecipazioni del Conto
economico.
In merito all’eventuale ripristino di valore conseguente al venir meno dei motivi della rettifica
effettuata, l’OIC stabilisce che, nel caso in cui vengano meno le ragioni che avevano indotto l'organo
amministrativo ad abbandonare il criterio del costo per assumere nella valutazione delle
partecipazioni immobilizzate un valore inferiore, si incrementa il valore del titolo fino alla concorrenza,
al massimo, del costo originario (par. 42). Il ripristino di valore può essere parziale o totale rispetto al
valore precedentemente iscritto in bilancio, con la conseguenza che, qualora le ragioni dell'originaria
svalutazione vengano meno, anziché per intero in un unico momento, gradualmente in più esercizi
successivi, il ripristino di valore è attuato per l'ammontare corrispondente (par.43). Il ripristino di
valore è rilevato nella voce D.18.a) Rivalutazioni di partecipazioni.
La determinazione del valore di presunto realizzo per le partecipazioni iscritte nell’attivo circolante
Quanto alle partecipazioni iscritte nell’attivo circolante, l’art. 2426 (co. 1, n. 9) dispone che le attività
finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni sono iscritte al costo di acquisto (calcolato
secondo il n. 1), ovvero al valore di realizzazione desumibile dall'andamento del mercato, se minore;
tale minor valore non può essere mantenuto nei successivi bilanci se ne sono venuti meno i motivi.
Il valore di mercato, da confrontare con il costo, è costituito dal valore di quotazione per
partecipazioni negoziate in mercati organizzati che, per volumi trattati e per caratteristiche di
affidabilità, possano effettivamente esprimere quotazioni sufficientemente attendibili. Qualora
l’ammontare delle partecipazioni oggetto di valutazione sia rilevante rispetto ai volumi normalmente
negoziati sul mercato, le quotazioni potrebbero non essere significative (par. 47).
Stante la difficoltà pratica di identificare un valore di mercato per le partecipazioni non quotate, è
necessario che la società si adoperi con la dovuta diligenza professionale e sopportando costi
proporzionati alla complessità e alla rilevanza dell’investimento, per acquisire tutte le informazioni
disponibili per poter stimare in modo attendibile il valore di realizzazione. Nella stima di tale valore
si dovrà tenere conto anche della ridotta negoziabilità della partecipazione (par. 48).
Il mercato, come sopra definito, esprime valori diversi nel corso del tempo. Occorre perciò stabilire il
riferimento temporale espressivo di un “andamento” del mercato alla data di bilancio (par. 49).
Si possono considerare in astratto due riferimenti temporali: uno fisso, cioè la data di fine esercizio (o
quella di quotazione più prossima); l’altro rappresentato dalla media delle quotazioni del titolo relative
a un determinato periodo, più o meno ampio. Il dato puntuale di fine esercizio rappresenta la scelta
che meno è influenzata da fattori soggettivi. Tuttavia la quotazione di una giornata può essere
influenzata da fattori spesso esogeni, relativi a situazioni transitorie riferibili alla singola
partecipazione o al mercato mobiliare nel suo complesso o addirittura alla variabilità dei volumi
trattati. Per queste ragioni le quotazioni di una singola giornata non sono considerate rappresentative
dell'“andamento del mercato”, occorre – piuttosto – assumere un valore che, pur dovendosi riferire
alla chiusura dell’esercizio, possa ritenersi consolidato ovvero sufficientemente scevro da
perturbazioni temporanee. In questo senso la media delle quotazioni passate, per un periodo
sufficientemente ampio, quale l'ultimo mese, può ritenersi maggiormente rappresentativa. La scelta
del periodo temporale cui fare riferimento va operata con giudizio, avendo presente l’obiettivo
generale imposto dal codice civile. Ad esempio, in un mercato fortemente caratterizzato da
quotazioni in flessione, il ricorso alla media aritmetica dei valori registrati nell'ultimo mese non
esprime l'andamento del mercato; occorre allora tenere conto di valori medi inferiori, riferiti ad un
arco temporale più breve (par. 50).
Se vengono meno, in tutto o in parte, i presupposti della rettifica (o anche di più rettifiche in anni
precedenti) per effetto della ripresa del valore di mercato, la rettifica stessa è annullata fino, ma non
oltre, al ripristino del costo (par. 52).
Anche per le partceipazioni iscritte nell’attivo circolante l’eventuale rettifica di valore deve essere
imputata alla voce D.19.a) Svalutazioni di partecipazioni del Conto economico, mentre l’eventuale
ripristino di valore è appostato alla voce D.18.a) Rivalutazioni di partecipazioni.
Il metodo del patrimonio netto di cui al n. 4 del co. 1 dell’art. 2426 c.c. trova applicazione, oltre che
per la valutazione delle partecipazioni in imprese controllate e collegate nel bilancio della singola
impresa, anche per la valutazione della partecipazioni in imprese collegate nel bilancio consolidato,
stante l’esplicito richiamo contenuto nell’art. 36 del D.Lgs. 127/91.
Le plusvalenze, derivanti dall'applicazione del metodo del patrimonio netto, rispetto al valore indicato
nel bilancio dell'esercizio precedente sono iscritte in una riserva non distribuibile, indice
dell’attenzione posta dal legislatore al fine di evitare che si distribuiscano plusvalori non
effettivamente realizzati.
L’OIC 17 (par. 173) stabilisce che anche le partecipazioni valutate con il metodo del patrimonio netto
vanno svalutate in presenza di perdite durevoli di valore, secondo le modalità previste per le
partecipazioni iscritte nelle immobilizzazioni finanziarie.
Criteri di valutazione delle partecipazioni nel bilancio consolidato secondo la disciplina nazionale
Per quanto riguarda la valutazione delle partecipazioni nel bilancio consolidato, l’art. 35 del D.Lgs.
127/91 stabilisce innanzitutto che “i criteri di valutazione devono essere quelli utilizzati nel bilancio
di esercizio dell'impresa che redige il bilancio consolidato”, mentre l’art. 36 dello stesso Decreto
dispone che le partecipazioni costituenti immobilizzazioni in imprese collegate sono valutate con il
metodo del patrimonio netto di cui all’art. 2426, co. 1, n. 4, c.c., salvo quando “l’entità della
partecipazione è irrilevante ai fini indicati nel secondo comma dell'art. 29” [rappresentazione chiara,
veritiera e corretta]. Nella redazione del bilancio consolidato è dunque prevista l’applicazione
obbligatoria (al posto della mera facoltà) del metodo del patrimonio netto per la valutazione delle
partecipazioni in imprese collegate non irrilevanti. Per quanto concerne invece le partecipazioni in
imprese controllate che siano state escluse dall’area di consolidamento, benché sia teoricamente
possibile ricorrere al metodo del patrimonio netto, ciò può rivelarsi impossibile o inopportuno,
risultando preferibile la valutazione al costo (OIC 17, par. 110-111).
Contrariamente all’applicazione del metodo del patrimonio netto per la valutazione delle
partecipazioni nel bilancio della singola impresa, nella redazione del bilancio consolidato non è
previsto l’obbligo di costituire una riserva non distribuibile per le eventuali plusvalenze determinate
rispetto al valore indicato nel bilancio dell'esercizio precedente.
Il metodo del patrimonio netto si utilizza anche per la valutazione di partecipazioni in società
sottoposte a controllo congiunto, nel caso in cui esse non siano consolidate con metodo
proporzionale. Per questa tipologia di partecipazioni non è ammesso l’utilizzo del metodo del costo,
salvo nei casi di impossibilità a ottenere le informazioni necessarie all’applicazione del metodo del
patrimonio netto (par. 109).
5.3 Classificazione e criteri di valutazione delle partecipazioni nel bilancio della singola impresa e
nel bilancio consolidato secondo gli IFRS
Classificazione delle partecipazioni nel bilancio della singola impresa e nel bilancio consolidato
secondo gli IFRS
in imprese collegate: una collegata è una entità su cui l'investitore esercita un'influenza notevole
(ovvero il potere di partecipare alla determinazione delle politiche finanziarie e gestionali della
partecipata senza averne il controllo o il controllo congiunto) (IAS 28, Partecipazioni in società
collegate e joint venture, par. 3).
in joint ventures: una joint venture è un accordo a controllo congiunto su un'entità in base al quale le
parti che detengono il controllo congiunto vantano dei diritti sulle attività nette dell'entità stessa (IAS
28, Partecipazioni in società collegate e joint venture, par. 3).
Per quanto riguarda le altre partecipazioni (diverse da quelle in imprese controllate, collegate e
sottoposte a controllo congiunto), l’IFRS 9, Strumenti finanziari, al cap. 4 prevede una classificazione
delle attività finanziarie basata su due criteri generali:
In base all’IFRS 9, le “altre partecipazioni” devono essere classificate tra le attività finanziarie
valutate al fair value con imputazione della variazione tra le componenti che determinano l’utile
(perdita) d’esercizio poiché non rispettano le caratteristiche previste per la valutazione al costo
ammortizzato né quelle previste per la valutazione al fair value con imputazione della variazione tra
le altre componenti del conto economico complessivo. Tuttavia, al momento della rilevazione iniziale
è possibile, per particolari investimenti in strumenti rappresentativi di capitale, scegliere
irrevocabilmente la valutazione al fair value con imputazione della variazione tra le altre
componenti del conto economico complessivo. Tale possibilità è preclusa per gli investimenti in
strumenti rappresentativi di capitale che sono posseduti per la negoziazione e/o costituiscono un
corrispettivo potenziale rilevato da un acquirente in un'operazione di aggregazione aziendale cui si
applica l'IFRS 3.
Criteri di valutazione delle partecipazioni nel bilancio della singola impresa secondo gli IFRS
L’impostazione seguita dagli IFRS per la valutazione delle partecipazioni presenta differenze sostanziali
rispetto alla disciplina nazionale:
La valutazione al fair value (valore equo) è un criterio di valutazione alternativo a quello basato sul
costo storico che gli IFRS prevedono (o consentono come alternativa) per la valutazione di diverse
poste di bilancio, tra cui gli strumenti finanziari.
L’IFRS 13, Valutazione del fair value, al par. 9 definisce il fair value (valore equo) come il prezzo che si
percepirebbe per la vendita di un'attività ovvero che si pagherebbe per il trasferimento di una
passività in una regolare operazione tra operatori di mercato alla data di valutazione.
La valutazione delle poste di bilancio al fair value conduce ad una nozione di risultato economico che
si avvicina a quella di reddito potenzialmente prodotto, poiché comprende anche elementi positivi
che possono trovare riscontro nel mercato, ma non si sono ancora concretizzati con un’operazione di
scambio e quindi non sono pienamente realizzati.
In sede di valutazione iniziale il fair value equivale normalmente al costo sostenuto per
l’acquisizione.
Le successive variazioni positive o negative derivanti dalla valutazione al fair value possono essere
rappresentate in modi diversi nel Prospetto dell’utile (perdita) d’esercizio e delle altre componenti di
conto economico complessivo):
Gli IFRS distinguono due diverse tipologie di bilancio della singola impresa nei quali vengono
applicati diversi criteri di valutazione. In particolare, per quanto riguarda le partecipazioni in imprese
controllate, collegate e sottoposte a controllo congiunto (joint ventures), i criteri di valutazione previsti
dagli IFRS si differenziano in base alla loro collocazione:
- le partecipazioni in controllate:
o non sono presenti nei bilanci individuali;
o possono invece trovare collocazione nei bilanci separati, dove vanno valutate (IAS 27,
par. 10):
al costo,
al fair value (in conformità all’IFRS 9), o
con il metodo del patrimonio netto (IAS 28)
- le partecipazioni a controllo congiunto (joint ventures) e le partecipazioni in collegate
possono essere presenti in tutte le tipologie di bilancio:
o nei bilanci individuali vanno valutate con il metodo del patrimonio netto;
o nei bilanci separati (IAS 27, par. 10) possono essere valutate:
al costo,
al fair value (in conformità all’IFRS 9), o
con il metodo del patrimonio netto (IAS 28)
Un caso particolare è rappresentato dalle partecipazioni che hanno cambiato destinazione in quanto
si è deciso di venderle. In base all’IFRS 5, Attività non correnti possedute per la vendita e attività
operative cessate, (par. 15) esse devono essere valutate al minore tra il valore contabile e il fair value
(valore equo) al netto dei costi di vendita. L’IFRS 5 non si applica alle partecipazioni per cui si sia deciso
di valutare al fair value in conformità all’IFRS 9.
Per quanto riguarda le altre partecipazioni (diverse da quelle in imprese controllate, collegate e
sottoposte a controllo congiunto) classificate secondo l’IFRS 9 tra le “attività finanziarie valutate al
fair value rilevato nell’utile (perdita) d’esercizio”, oppure designate al momento della rilevazione
iniziale (se non sono possedute per la negoziazione) come “attività finanziarie valutate al fair value
rilevato nelle altre componenti di conto economico complessivo”, la rilevazione iniziale (par. 5.1.1)
deve avvenire al fair value (valore equo), incrementato o diminuito (solo nel caso di “attività
finanziarie valutate al fair value rilevato nelle altre componenti di conto economico complessivo”),
dei costi dell'operazione direttamente attribuibili alla sua acquisizione. I costi dell’operazione sono
definiti (Appendice A) come i costi marginali direttamente attribuibili all'acquisizione di un'attività
finanziaria, cioè i costi che non sarebbero stati sostenuti se l'entità non avesse acquisito lo strumento
finanziario.
Al momento della rilevazione iniziale, la migliore evidenza del fair value (valore equo) di uno
strumento finanziario è normalmente il prezzo dell'operazione (ossia il fair value del corrispettivo dato
o ricevuto) (par. B5.1.2A). Anche nelle valutazioni successive le partecipazioni devono essere valutate
al fair value (par. 5.2.1)
Le variazioni di valore, sia positive che negative, frutto della valutazione al fair value devono essere
imputate diversamente a seconda della classificazione adottata:
- per le partecipazioni classificate tra le “attività finanziarie valutate al fair value rilevato
nell’utile (perdita) d’esercizio”, le variazioni di valore frutto della valutazione al fair value
devono essere imputate tra le componenti del conto economico complessivo che
determinano il risultato d’esercizio;
- per le partecipazioni classificate tra le “attività finanziarie valutate al fair value rilevato nelle
altre componenti di conto economico complessivo”, le variazioni di valore frutto della
valutazione al fair value devono essere iscritte in una riserva di patrimonio netto e rilevate tra
le voci del prospetto delle Altre componenti di conto economico complessivo (OCI), fino a
quando l’attività finanziaria non è eliminata contabilmente o riclassificata. Se l'attività
finanziaria è eliminata contabilmente, l'utile (perdita) cumulato rilevato precedentemente tra
le altre componenti di conto economico complessivo deve essere riclassificato dal patrimonio
netto all'utile (perdita) d'esercizio tramite una rettifica da riclassificazione (par. 5.7.10).
Esempio di valutazione al fair value – Attività finanziarie al fair value rilevato nell’utile (perdita)
d’esercizio
Un’impresa che redige il bilancio in conformità agli IFRS detiene una partecipazione classificata tra le
attività finanziarie al fair value rilevato nell’utile (perdita) d’esercizio.
Al momento dell’acquisto la partecipazione era stata iscritta al costo di acquisto di 100.000, che
equivaleva al fair value.
Alla fine dell’esercizio (n) la partecipazione viene valutata al suo fair value a quella data, pari a
118.000, rilevando:
Alla fine dell’esercizio (n+1), in seguito ad un andamento negativo dei mercati finanziari, il fair value
della partecipazione si riduce a 102.000. Si rileva pertanto:
Un’impresa che redige il bilancio in conformità agli IFRS detiene una partecipazione classificata tra le
attività finanziarie al fair value rilevato nelle altre componenti di conto economico complessivo
(OCI).
Al momento dell’acquisto la partecipazione era stata iscritta al costo di acquisto di 100.000, che
equivaleva al fair value.
Alla fine dell’esercizio (n) la partecipazione viene valutata al suo fair value a quella data, pari a
118.000, rilevando:
L’incremento della riserva di rivalutazione di 18.000 costituisce una variazione del patrimonio netto
da indicare nel Prospetto dell’utile (perdita) d'esercizio e delle altre componenti del conto economico
complessivo tra le Altre componenti del conto economico complessivo (OCI) come “utili dalla
rideterminazione di attività finanziarie al fair value rilevato in OCI”.
Alla fine dell’esercizio (n+1), in seguito ad un andamento negativo dei mercati finanziari, il fair value
della partecipazione si riduce a 102.000. Si rileva pertanto:
La riduzione della riserva di rivalutazione di 16.000 costituisce una variazione del patrimonio netto da
indicare nel Prospetto dell’utile (perdita) d'esercizio e delle altre componenti del conto economico
complessivo tra le Altre componenti del conto economico complessivo (OCI) come “perdite dalla
rideterminazione di attività finanziarie al fair value rilevato in OCI”.
Solo nel caso si sia verificato un “evento perdita” che ha un impatto sui futuri flussi finanziari le
perdite vanno rilevate a conto economico tra le componenti che influiscono sull’utile (perdita)
d’esercizio.
La riduzione della riserva di rivalutazione di 2.000 può essere riclassificata ad altra voce del patrimonio
netto. Ciò non costituisce una variazione del patrimonio netto da indicare nel Prospetto dell’utile
(perdita) d'esercizio e delle altre componenti del conto economico complessivo.
Prospetto di sintesi della valutazione delle partecipazioni nel bilancio della singola impresa secondo gli
IFRS
Criteri di valutazione delle partecipazioni nel bilancio consolidato secondo gli IFRS
Rispetto a quanto indicato per la valutazione delle partecipazioni nel bilancio della singola impresa,
per la redazione del bilancio consolidato gli IFRS prevedono norme di valutazione specifiche solo per
le partecipazioni in collegate e per le partecipazioni a controllo congiunto (joint ventures), che
devono in ogni caso essere valutate con il metodo del patrimonio netto o al valore recuperabile (se
inferiore) (IAS 28, par. 16), secondo lo stesso criterio previsto per il bilancio individuale. Restano
inalterati i criteri di valutazione previsti per le “altre partecipazioni” e per le partecipazioni che hanno
cambiato destinazione in quanto si è deciso di venderle.
Modalità di iscrizione delle partecipazioni nel bilancio consolidato secondo la disciplina nazionale e
secondo gli IFRS
6.1 La natura del valore di scambio delle aziende: capitale di funzionamento vs. capitale
economico
L’acquisto di partecipazioni rappresenta la modalità più diffusa per un’impresa per realizzare processi
di crescita per via esterna. Se la partecipazione è tale da garantire il controllo della partecipata,
l’acquisto della partecipazione configura un’operazione di aggregazione aziendale (business
combination), al pari delle operazioni di fusione, conferimento o cessione di azienda. L’unico aspetto
sostanziale che differenzia l’acquisto di partecipazioni da queste ultime forme di aggregazione è
relativo al fatto che nel primo caso controllante e controllate, pur venendo a realizzare nella sostanza
un unico soggetto economico, mantengono una reciproca indipendenza sotto il profilo giuridico,
mentre invece con la seconda serie di operazioni la società acquisita perde la propria autonomia
giuridica.
Sia nel caso di acquisizione totalitaria che di mero controllo, il trasferimento del complesso aziendale
richiede, preliminarmente, di procedere alla stima del valore economico dell’azienda, che
rappresenta il punto di partenza su cui avviare l’attività negoziale tra le controparti per fissare il valore
definitivo di cessione. Infatti, il prezzo di cessione di una partecipazione di controllo rappresenta la
risultante di due elementi:
È evidente che il bilancio di esercizio costituisce il principale documento da cui prende avvio tale
processo di stima, ma occorre domandarsi se sia possibile considerare il patrimonio netto di bilancio
una buona approssimazione del valore corrente dell’impresa in una prospettiva di cessione e dunque
interrogarsi sul ruolo rivestito dal bilancio di esercizio nella stima del capitale economico.
Occorre a tal fine premettere che l’obiettivo primario del bilancio d’esercizio è fornire una
rappresentazione attendibile del risultato economico conseguito in un determinato esercizio e del
patrimonio a disposizione dell’impresa per la successiva attività di gestione. Da tale impostazione
discendono i seguenti limiti intrinseci del bilancio di esercizio:
i valori espressi in bilancio derivano dalla rappresentazione di fatti di gestione già avvenuti, e
quindi espressi “a consuntivo”, mentre l’acquisto di un’azienda (o delle partecipazioni che ne
rappresentano il capitale) è assimilabile ad un investimento finanziario, per cui la
determinazione del capitale economico risponde a una logica di capacità prospettica di
creazione di valore;
i criteri di valutazione previsti dal codice civile non hanno come obiettivo principale quello
di stimare un corretto (e corrente!) valore del patrimonio, ma quello di identificare una
misura prudenziale del reddito realizzato nel periodo. Nell’impostazione civilistica
l’espressione a valori correnti del patrimonio, in genere, è limitata alle sole situazioni in cui gli
stessi sono inferiori a quelli di costo, in una logica esclusivamente prudenziale.
La misura del cd. capitale di funzionamento che risulta dal bilancio d’esercizio redatto secondo le
logiche sopra descritte presenta quindi limiti insormontabili se si desidera determinare il valore del
capitale dell’impresa con l’obiettivo di trasferire il complesso aziendale. In questo caso, occorre
procedere alla stima del cd. capitale economico, ovvero del valore teorico di scambio proprio di una
determinata impresa. In sostanza, il patrimonio netto contabile rappresenta al più una stima
prudenziale del valore economico dell’impresa.
La logica prudenziale che informa la redazione del bilancio d’esercizio si riflette inoltre nella possibilità
che non tutte le condizioni patrimoniali di produzione che l’impresa sviluppa internamente e per le
quali non siano identificabili costi specifici (ad esempio, lo sviluppo di un marchio interno,
l’accumulazione di una competenza distintiva nella ricerca e realizzazione di nuovi prodotti, nel
marketing, nella gestione della logistica, della distribuzione e del servizio al cliente) trovano o possono
trovare espressione nel bilancio d’esercizio, per il quale l’iscrizione di attività intangibili (cd.
intangibles) è subordinata a determinate condizioni sia nel contesto dei principi contabili nazionali
che internazionali. Infine, benché questi ultimi siano più propensi all’impiego di valori correnti nelle
stime del patrimonio di bilancio rispetto al codice civile, l’utilizzo del fair value incontra alcune
preclusioni (per le rimanenze e per alcune categorie di strumenti finanziari) o rappresenta solo
un’opzione alternativa alla valutazione al costo storico (attività intangibili già iscritte in bilancio,
immobili, impianti e macchinari). Ciò comporta inevitabilmente che il valore di rappresentazione in
bilancio di diversi elementi patrimoniali (rimanenze di magazzino, impianti, immobili etc) potrebbe
non tenere conto delle aspettative di reddito future (cd. avviamento).
I metodi di valutazione del capitale economico possono essere classificati secondo le seguenti
categorie:
- metodi reddituali;
- metodi finanziari;
- metodi patrimoniali;
- altri metodi.
Metodi reddituali
I metodi reddituali considerano il valore del capitale economico funzione del reddito
potenzialmente ottenibile in futuro. Quanto maggiore sarà la capacità di generare flussi reddituali,
tanto più elevato sarà il valore dell’impresa. Pertanto, il presupposto di fondo è che il valore
economico dell’impresa dipenda in misura significativa dalle sua capacità reddituali prospettiche.
L’azienda è vista come un complesso economico unitario, per cui il suo valore economico non coincide
con la semplice sommatoria dei valori dei singoli elementi che ne compongono il patrimonio.
a) un periodo oggetto di valutazione estremamente lungo a cui fare riferimento per la stima del
capitale;
b) una certa stabilità nella produzione di reddito nei vari esercizi.
𝑹
𝑾=
𝒊
dove:
Valore attuale della combinazione di flussi reddituali stimati puntualmente per n esercizi e di una
rendita perpetua
Una possibile variante all’approccio della rendita perpetua prevede di ricorrere alla stima di:
una serie di redditi puntuali attesi nei successi “n” esercizi sulla base dei risultati derivanti in
genere dallo sviluppo di un piano industriale;
un valore residuale o terminale, calcolato in genere come rendita perpetua del reddito medio
normale atteso dall’esercizio “n” in poi, che dovrebbe presentare l’azienda all’anno “n”,
opportunamente attualizzato.
𝒕=𝒏
𝑹𝒕 𝑾𝒏
𝑾=∑ 𝒕
+
(𝟏 + 𝒊) (𝟏 + 𝒊)𝒏
𝒕=𝟏
dove:
In genere è difficile effettuare previsioni attendibili sull’andamento puntuale dei singoli esercizi per
periodi superiori ai 3-5 anni.
Metodi finanziari
In base ai metodi finanziari, il valore del capitale economico è definito dal valore attuale dei flussi
di cassa prospettici prelevabili (Discounted Cash Flow – DCF - Method), ossia dalla capacità di
rispondere alle aspettative di remunerazione di un investitore. L’azienda è equiparata a tutti gli effetti
ad un vero e proprio investimento finanziario. Rispetto ai metodi reddituali, i metodi finanziari sono
da considerarsi più rigorosi in quanto il valore del capitale economico è espressione dei frutti
prelevabili e non semplicemente di quelli prodotti (redditi). Essi trovano ampia diffusione nella prassi.
asset side approach (unlevered DCF method), che arriva alla determinazione del valore
economico del capitale in due fasi:
a. determinazione del valore economico del capitale investito dell’impresa (ovvero dei
suoi asset, da cui il nome) attraverso la stima e l’attualizzazione dei flussi di cassa
operativi (cd. Free Cash Flow from Operations, FCFO), ovvero di quei flussi che
derivano direttamente dalla gestione del capitale investito netto operativo (e quindi
dal core business aziendale), senza comprendere i flussi legati agli oneri finanziari e la
variazione dell’indebitamento data dal rimborso dei debiti finanziari, trattandosi di
flussi non operativi.
Il valore attuale dei FCFO è calcolato normalmente articolando l’orizzonte futuro in
due distinti archi temporali:
un orizzonte analitico di stima dei flussi relativo ai primi n anni (tipicamente,
3-5 anni), che solitamente trova sostegno in un apposito piano finanziario;
un orizzonte illimitato o perpetuo finale, in riferimento al quale si stima un
valore residuo asset side del capitale d’impresa al periodo n. A tal fine, si
procede solitamente all’attualizzazione della rendita perpetua rappresentata
da un FCFO normalizzato, oppure si applica allo stesso un determinato tasso
di crescita o decrescita g lungo un orizzonte temporale infinito.
Il valore attuale dei FCFO permette di stimare il valore dell’impresa asset side
(enterprise value), ossia di spettanza di tutti i conferenti del capitale investito, siano
essi terzi finanziatori o apportatori di capitale di rischio.
b. identificazione del valore dell’indebitamento finanziario netto (posizione finanziaria
netta) al momento della valutazione, che andrà sottratto al valore precedentemente
calcolato.
In formule:
𝑡=𝑛
𝐹𝐶𝐹𝑂𝑡 𝐸𝑉𝑛
𝑊=∑ 𝑡
+ − 𝑃𝐹𝑁
(1 + 𝑖) (1 + 𝑖)𝑛
𝑡=1
dove:
- 𝑊 rappresenta il valore del capitale economico,
- 𝐹𝐶𝐹𝑂𝑡 rappresenta il free cash flow operativo atteso al periodo 𝒕,
- 𝑖 rappresenta il tasso di attualizzazione dei flussi finanziari (𝑊𝐴𝐶𝐶),
- 𝐸𝑉𝑛 rappresenta il valore residuale o terminale asset side dell’azienda
(enterprise value) al periodo 𝑛
- 𝑃𝐹𝑁 rappresenta la posizione finanziaria netta al momento della
valutazione.
Poiché il capitale investito netto dell’impresa è finanziato sia da capitale di debito che
da mezzi propri, per il calcolo del tasso di attualizzazione si dovrà opportunamente
considerare il rendimento atteso da entrambe le tipologie di finanziatori/investitori.
Tale tasso è il cd. Weighted Average Cost of Capital (WACC), ossia il costo medio
ponderato del capitale dell’impresa che pondera il rendimento atteso dalle due
tipologie di finanziatori/investitori in relazione alla relativa incidenza nel
finanziamento del capitale investito netto operativo:
𝐸 𝐷
𝑊𝐴𝐶𝐶 = 𝐾𝐸 ∗ + 𝐾𝐷 ∗ (1 − 𝑡) ∗
𝐷+𝐸 𝐷+𝐸
dove:
- 𝐾𝐸 rappresenta il costo del capitale di rischio,
- 𝐾𝐷 rappresenta il costo del capitale di debito,
- 𝐸 rappresenta l’ammontare di equity (patrimonio netto) espresso a valori
di mercato,
- 𝐷 rappresenta l’ammontare di indebitamento finanziario netto espresso a
valori di mercato,
- 𝑡 rappresenta il tax rate.
equity side approach (levered DCF method), che consente di arrivare direttamente al valore
economico del patrimonio netto attraverso la stima e l’attualizzazione dei flussi di cassa
disponibili per gli azionisti (cd. Free Cash Flow to Equity, FCFE), ovvero di quei flussi
rappresentativi dell’ammontare di risorse potenzialmente distribuibili agli azionisti,
tenendo conto dell’impatto sui flussi monetari derivante dalle operazioni di finanziamento.
Anche in questo caso, per il calcolo del valore attuale dei FCFE è opportuno articolare
l’orizzonte futuro in due distinti archi temporali:
un orizzonte analitico di stima dei flussi relativo ai primi n anni (tipicamente,
3-5 anni), che solitamente trova sostegno in un apposito piano finanziario;
un orizzonte illimitato o perpetuo finale, in riferimento al quale si stima un
valore residuo equity side del capitale d’impresa al periodo n. A tal fine, si
procede solitamente all’attualizzazione della rendita perpetua rappresentata
da un FCFE normalizzato, oppure si applica allo stesso un determinato tasso
di crescita o decrescita g lungo un orizzonte temporale infinito.
Il valore attuale degli FCFE permette di arrivare direttamente alla stima del valore del capitale
economico dell’impresa.
In formule:
𝑡=𝑛
𝐹𝐶𝐹𝐸𝑡 𝑊𝑛
𝑊=∑ +
(1 + 𝑖)𝑡 (1 + 𝑖)𝑛
𝑡=1
dove:
- 𝑊 rappresenta il valore del capitale economico,
- 𝐹𝐶𝐹𝐸𝑡 rappresenta il free cash flow disponibili per gli azionisti atteso al
periodo 𝒕,
- 𝑖 rappresenta il tasso di attualizzazione dei flussi finanziari (𝐾𝐸 ),
- 𝑊𝑛 rappresenta il valore residuale o terminale equity side dell’azienda
(enterprise value) al periodo 𝑛
L’avviamento
La determinazione del capitale economico attraverso l’impiego di flussi attualizzati, siano essi di natura
reddituale o finanziaria, consente di giungere ad un valore economico di sintesi associato all’impresa
nel suo complesso. Dal confronto tra il valore del capitale economico dell’impresa e il patrimonio
netto contabile della stessa può emergere una differenza:
𝐷𝑖𝑓𝑓. = 𝑊 − 𝐾
dove:
a) lo scostamento tra il valore corrente e quello contabile delle attività nette di bilancio;
b) le attese di reddito future.
In formule:
𝐷𝑖𝑓𝑓. = ∆𝐾 + 𝐴𝑣𝑣.
dove:
La relazione tra capitale economico e capitale di funzionamento può essere così rimodulata:
Metodi patrimoniali
I metodi patrimoniali che prevedono nell’attivo solo elementi materiali sono denominati semplici,
mentre qualora l’attivo contenga anche elementi immateriali sono detti complessi. Nella stima del
valore corrente dei cespiti, è inoltre necessario tenere conto del carico fiscale virtuale che grava sulle
plusvalenze relative agli stessi.
I vantaggi associati a questi metodi, rispetto a quelli reddituali o finanziari, consistono nella relativa
semplicità della loro applicazione e nel fatto che prospettano valori dotati di un maggior grado di
attendibilità e verificabilità.
Tuttavia, tali metodi presentano il limite di offrire una visione disaggregata dell’azienda e poco
orientata alla considerazione della capacità prospettica di creazione di valore. Ne consegue che i
metodi patrimoniali potranno essere utilmente impiegati solo in situazioni piuttosto circoscritte,
ovvero quando il valore corrente degli elementi che compongono il patrimonio aziendale, di fatto,
rappresenta una buona approssimazione delle corrispondenti prospettive reddituali attese (ad
esempio, nel caso di società immobiliari e holding finanziarie)
Metodi misti
I metodi misti basano la stima del capitale economico su più tipologie di grandezze, tipicamente
combinando valutazioni di natura patrimoniale con stime relative ai flussi di natura reddituale
prospettica.
Tra di essi, assume particolare rilievo il metodo della stima autonoma dell’avviamento, che si basa
sulla determinazione di due elementi:
il patrimonio netto rettificato espresso a valori correnti, che discende dall’applicazione dei
metodi patrimoniali (𝑲′);
il valore di avviamento, espressione della capacità di creare sovraredditi futuri attraverso la
gestione dell’impresa. L’avviamento può essere calcolato quale differenza tra:
– il reddito medio normale atteso dalla gestione dell’impresa nei successivi esercizi
(𝑅), determinato in analogia con quanto previsto dai metodi reddituali; e
– il reddito normale per il settore di appartenenza, ottenuto applicando il tasso atteso
di rendimento medio del settore (𝑖) al valore del patrimonio netto precedentemente
individuato (𝐾′).
𝑹 − 𝒊 ∗ 𝑲′
Attualizzando tale valore per il numero di anni () in cui ci si attende di poterlo ottenere, si arriva alla
misura autonoma del valore di avviamento associato all’impresa:
𝑖=𝑛
(𝑅 − 𝑖 ∗ 𝐾′)
𝐴𝑣𝑣𝑖𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 = ∑
(1 + 𝑖)𝑛
𝑖=1
La stima del capitale economico deriva infine dalla somma tra il patrimonio netto espresso a valori
correnti e il valore di avviamento, autonomamente determinato:
𝑖=𝑛
′
(𝑅 − 𝑖 ∗ 𝐾′)
𝑊 =𝐾 +∑
(1 + 𝑖)𝑛
𝑖=1
I metodi basati sui multipli di mercato, diversamente da tutti i metodi finora analizzati, si propongono
di stimare il valore del capitale economico dell’azienda attraverso la rilevazione di prezzi negoziati,
normalmente nei mercati finanziari, per imprese considerate similari e comparabili con quella
oggetto di valutazione.
I prezzi osservati vengono rapportati a tipiche grandezze delle imprese cui si riferiscono (ad esempio,
l’utile d’esercizio, l’EBITDA, il patrimonio netto) ottenendo così dei multipli con cui valutare un’azienda
simile.
Si tratta di una soluzione spesso semplicistica, che non tiene conto di molte altre informazioni:
- i prezzi non sono valori astratti e tengono conto di aspetti negoziali legati alle parti
contraenti;
- è difficile trovare aziende veramente simili e direttamente confrontabili (per quanto
riguarda le risorse generabili, la crescita attesa e il tasso di rischio).
Inoltre, non va tralasciato che l’impiego dei multipli di mercato per la valutazione del capitale
economico di un’impresa sottende che:
- la grandezza utilizzata per l’impresa da valutare sia omogenea con quelle delle imprese
prescelte per la comparazione;
- tale grandezza sia in diretta relazione con il valore economico assegnabile all’azienda.
Non di rado capita che tali ipotesi non si verifichino, privando di validità e significatività la
comparazione.
I metodi dei multipli hanno trovato ampia diffusione nei paesi anglosassoni per la relativa semplicità
d’uso e per la presenza di mercati finanziari estesi e robusti. Anche in altri contesti, tali metodi
conservano comunque una validità come parametri di controllo per valutare l’attendibilità delle stime
ottenute con altri metodi.
Nel novero dei metodi basati sui multipli di mercato, si suole distinguere tra multipli equity side e
multipli asset side, a seconda che essi consentano di stimare direttamente il capitale economico
dell’azienda oggetto di valutazione oppure il relativo enterprise value, dal quale dovrà essere sottratto
l’ammontare della posizione finanziaria netta per ottenere il valore del capitale economico
dell’azienda.
Come anticipato, la stima del capitale economico deriva direttamente dall’applicazione del multiplo
alla corrispondente grandezza aziendale. Ad esempio:
𝑃
𝑊 = 𝐸𝐴𝑧𝑖𝑒𝑛𝑑𝑎 ∗
𝐸 𝑀𝑒𝑟𝑐𝑎𝑡𝑜
Esempi di multipli asset side sono:
𝐸𝑉
-
𝐸𝐵𝐼𝑇
𝐸𝑉
- 𝐸𝐵𝐼𝑇𝐷𝐴
𝐸𝑉
- 𝑆𝑎𝑙𝑒𝑠
Come anticipato, al valore del capitale investito (enterprise value) bisogna detrarre il valore della
posizione finanziaria netta. Ad esempio:
𝐸𝑉
𝑊 = 𝐸𝐵𝐼𝑇𝐴𝑧𝑖𝑒𝑛𝑑𝑎 ∗ − 𝑃𝐹𝑁
𝐸𝐵𝐼𝑇𝑀𝑒𝑟𝑐𝑎𝑡𝑜
In sede di consolidamento, il valore delle partecipazioni di controllo iscritto nel bilancio della
controllante viene sostituito dalla corrispondente frazione delle attività e delle passività della
controllata. In questa fase possono sorgere delle differenze tra il valore della partecipazione iscritto
nel bilancio della controllante alla data di consolidamento (che normalmente coincide con il costo di
acquisto) e la corrispondente frazione del patrimonio netto contabile (cioè la differenza tra attività
e passività) risultante dal bilancio della controllata parimenti alla data di consolidamento (OIC 17,
par. 51).
Quelle che l’OIC 17 definisce differenze di annullamento possono essere di due tipi:
se il valore della partecipazione (iscritto nel bilancio della controllante alla data di
consolidamento) supera la corrispondente frazione patrimonio netto contabile (risultante
dal bilancio della controllata parimenti alla data di consolidamento), si origina una differenza
di annullamento positiva;
se il valore della partecipazione (iscritto nel bilancio della controllante alla data di
consolidamento) è minore della corrispondente frazione patrimonio netto contabile
(risultante dal bilancio della controllata parimenti alla data di consolidamento), si origina una
differenza di annullamento negativa.
Gli IFRS, i cui principi sono sul punto mutuati dai principi contabili nazionali, prevedono che
l’avviamento iscritto in bilancio a seguito di un processo di aggregazione aziendale (business
combination) non sia ammortizzato ma sottoposto a una valutazione periodica di recuperabilità del
relativo valore (cd. impairment test).
Tale processo (IAS 36, Riduzione di valore delle attività) si sviluppa secondo le seguenti fasi:
1. allocazione dell’avviamento alle unità generatrici di flussi finanziari (cash generating unit -
CGU);
2. verifica del valore recuperabile dell’unità generatrice di flussi finanziari ed eventuale
svalutazione dell’avviamento;
3. eventuale successivo ripristino di valore dell’unità generatrice di flussi finanziari, ma non
dell’avviamento.
1. Allocazione dell’avviamento alle unità generatrici di flussi finanziari (cash generating unit -
CGU)
Lo IAS 36 stabilisce che l’avviamento acquisito in un’aggregazione aziendale debba essere allocato a
uno o più unità generatrici di flussi finanziari (cash generating unit – CGU) che si prevede beneficino
delle sinergie derivanti dall’aggregazione.
L’unità generatrice di flussi finanziari (cash generating unit – CGU) può essere definita come il gruppo
più piccolo di attività alla cui gestione è riconducibile la produzione di flussi di cassa
significativamente indipendenti dai flussi finanziari generati da altre attività o da altre unità
generatrici di flussi finanziari. Si tratta pertanto di segmenti dell’impresa dotati di relativa autonomia
gestionale e finanziaria che sia avvicinano al concetto di business unit.
In base allo IAS 36 (par. 80), ciascuna unità generatrice di flussi finanziari deve:
Lo IAS 36 richiede che la verifica del valore recuperabile dell’unità generatrice di flussi finanziari (cd.
impairment test) sia condotta con cadenza annuale in ciascuna CGU in cui l’avviamento è stato
allocato e ogni qualvolta vi siano indicazioni che l’unità possa avere subito una riduzione di valore.
La verifica avviene identificando il valore recuperabile di una CGU e confrontandolo con il valore
contabile delle attività che compongono la CGU.
Se valore recuperabile è inferiore al valore contabile, si rende necessario rilevare una perdita per
riduzione di valore (svalutazione), che coinvolge anche il valore dell’avviamento, qualora allocato alla
CGU. In particolare, nell’attribuzione della perdita si deve procedere secondo il seguente ordine:
può essere iscritto nell’attivo con il consenso, ove esistente, del collegio sindacale, se
acquisito a titolo oneroso, nei limiti del costo per esso sostenuto;
deve essere sistematicamente ammortizzato secondo la sua vita utile; nei casi eccezionali in
cui non è possibile stimarne attendibilmente la vita utile, è ammortizzato entro un periodo
non superiore a dieci anni. Nella nota integrativa è fornita una spiegazione del periodo di
ammortamento dell’avviamento.
L’art. 33, co. 3 del D.Lgs. 127/91 richiama esplicitamente le disposizioni del codice civile relative
all’ammortamento del’avviamento.
Pertanto, a differenza di quanto previsto dai principi contabili internazionali, l’avviamento per il
codice civile deve essere sottoposto ad ammortamento entro un periodo limitato di tempo.
Per quanto attiene alla svalutazione dell’avviamento iscritto in bilancio, l’art. 2426, co. 1, n. 3, del c.c.
prevede che l'immobilizzazione che, alla data della chiusura dell'esercizio, risulti durevolmente di
valore inferiore al suo valore contabile deve essere iscritta a tale minore valore (valore recuperabile).
Il minor valore non può essere mantenuto nei successivi bilanci se sono venuti meno i motivi della
rettifica effettuata; questa disposizione non si applica a rettifiche di valore relative all’avviamento.
Pertanto, anche nella normativa nazionale, l’avviamento, una volta svalutato, non può più essere
ripristinato.
L’OIC 9, Svalutazioni per perdite durevoli di valore delle immobilizzazioni materiali e immateriali, al
par. 15 afferma che, se non è possibile stimare il valore recuperabile della singola immobilizzazione, la
società determina il valore recuperabile dell’unità generatrice di flussi di cassa alla quale
l’immobilizzazione appartiene. Ciò si verifica quando le singole immobilizzazioni non generano flussi di
cassa in via autonoma rispetto alle altre immobilizzazioni.
L’approccio identificato dal documento nazionale mutua di fatto l’impostazione dallo IAS 36.
Lo stesso OIC 9 (par. 5) definisce il valore recuperabile di una immobilizzazione come il maggiore tra il
suo valore d’uso e il suo fair value al netto dei costi di vendita, in analogia con i criteri stabiliti dallo
IAS 36.
CAPITOLO 7 Le precondizioni al consolidamento e le operazioni preliminari
Affinché il bilancio consolidato sia espressivo di una rappresentazione veritiera e corretta della
situazione del gruppo nel suo complesso, sono necessarie alcune uniformità tra i bilanci che vengono
consolidati, in modo che sia assicurata l’omogeneità dei valori.
L’omogeneità può essere (parzialmente) ottenuta attraverso direttive emanate dalla capogruppo
oppure va raggiunta attraverso le operazioni di preconsolidamento
Disciplina nazionale
L’art. 30 del D.Lgs. 127/91, rubricato Data di riferimento del bilancio consolidato, così dispone:
1. La data di riferimento del bilancio consolidato coincide con la data di chiusura del bilancio
dell’esercizio della controllante.
2. La data di riferimento del bilancio consolidato può tuttavia coincidere con la data di chiusura
dell'esercizio della maggior parte delle imprese incluse nel consolidamento o delle più
importanti di esse. L'uso di questa facoltà deve essere indicato e motivato nella nota
integrativa.
3. Se la data di chiusura dell'esercizio di un'impresa inclusa nel consolidamento è diversa dalla
data di riferimento del bilancio consolidato, questa impresa è inclusa in base a un bilancio
annuale intermedio, riferito alla data del bilancio annuale consolidato.
Gli eventuali bilanci annuali intermedi di cui al co. 3 non saranno, ovviamente, approvati
dall’assemblea dei soci delle controllate, ma verranno comunque formati con gli ordinari criteri di
redazione del bilancio e si ritiene debbano almeno essere sottoposti all’approvazione del consiglio di
amministrazione.
In base all’IFRS 10, i bilanci delle imprese incluse nel consolidamento devono avere la stessa data di
riferimento.
Qualora la data di riferimento del bilancio di alcune controllate sia diversa da quella della
controllante, le controllate devono preparare bilanci intermedi riferiti alla stessa data della
controllante, a meno che ciò non sia attuabile.
Nel caso in cui ciò non sia attuabile, la controllante deve consolidare le informazioni finanziarie della
controllata utilizzando il bilancio più recente integrato dagli effetti delle operazioni e degli eventi
significativi avvenuti tra la data di tale bilancio e la data di redazione del bilancio consolidato. In
ogni caso, lo sfasamento temporale non può superare i tre mesi e tale differenza deve essere
mantenuta nel tempo.
La preparazione del bilancio consolidato presuppone che i bilanci della capogruppo e delle controllate
siano consolidati voce per voce. Il presupposto per questo tipo di operazione è l’uniformità del
linguaggio contabile utilizzato ovvero l’utilizzo di piani dei conti redatti con criteri omogenei (in base
alle direttive emanate dalla capogruppo). In alternativa, saranno necessari adattamenti da effettuare
in sede di redazione del bilancio consolidato.
L’aggregazione delle varie voci ai fini della redazione del bilancio consolidato può fornire risultati
significativi soltanto qualora i principi contabili e i criteri di valutazione adottati siano uniformi tra
loro.
Disciplina nazionale
Il riferimento in materia di criteri di valutazione nella redazione del bilancio consolidato è dato dagli
artt. 34 e 35 del D.Lgs. 127/91:
1. Gli elementi dell'attivo e del passivo devono essere valutati con criteri uniformi.
2. A tale scopo devono essere rettificati i valori di elementi valutati con criteri difformi, a meno
che, ai fini indicati nel c. 2 dell'art. 29, la difformità consenta una migliore rappresentazione
o sia irrilevante.
1. I criteri di valutazione devono essere quelli utilizzati nel bilancio di esercizio dell'impresa
che redige il bilancio consolidato.
2. Possono tuttavia essere utilizzati, dandone motivazione nella nota integrativa, altri criteri,
purché ammessi dagli artt. 2423 e seguenti del c.c.
Inoltre, va ricordato anche quanto disposto dall’art. 29, co. 3-bis, del D.Lgs.127/91 (comma aggiunto
dal D.Lgs. 139/2015):
3-bis Non occorre rispettare gli obblighi in tema di rilevazione, valutazione, presentazione,
informativa e consolidamento quando la loro osservanza abbia effetti irrilevanti al fine di
dare una rappresentazione veritiera e corretta. Rimangono fermi gli obblighi in tema di
regolare tenuta delle scritture contabili. Le società illustrano nella nota integrativa i criteri con
i quali hanno dato attuazione alla presente disposizione.
Da quanto sopra si ricava che è possibile non rettificare i valori determinati con principi difformi se gli
effetti della difformità non sono significativi a fini di una rappresentazione chiara, veritiera e corretta.
L’OIC 17 (par. 43) soggiunge che “se alcuni elementi patrimoniali del bilancio consolidato non sono
presenti nel bilancio della società controllante, si utilizzano per tali elementi patrimoniali i criteri di
valutazione utilizzati dalla maggior parte delle imprese controllate. Se i rispettivi principi contabili
consentono l’utilizzo di criteri alternativi (ad es., il metodo della commessa completata o il metodo
della percentuale di completamento, per i lavori in corso su ordinazione), si utilizza quello ritenuto più
idoneo, fra quelli utilizzati dalle controllate, per ottenere una rappresentazione veritiera e corretta”.
Secondo l’IFRS 10 (par. B 87), se un’impresa del gruppo usa politiche contabili diverse rispetto a
quelle adottate per la redazione del bilancio consolidato per transazioni ed eventi simili in
circostanze similari devono essere effettuati appropriati aggiustamenti nella preparazione del
bilancio consolidato per assicurare l’uniformità delle politiche contabili.
L’IFRS 10 non fornisce specifiche indicazioni riguardo ai principi contabili da adottare nel bilancio
consolidato, ma si ritiene che competa alla controllante indicare i principi contabili “di gruppo”.
La valuta di presentazione
Disciplina nazionale
I valori del bilancio consolidato sono espressi nella valuta adottata per la redazione del bilancio della
controllante. Nei gruppi aziendali che controllano imprese che redigono il bilancio da consolidare in
monete di conto differenti si pone dunque il problema della traduzione dei valori al fine di renderli
omogenei. In merito alla conversione valutaria, il D.Lgs. 127/91 non offre indicazioni (si limita nell’art.
38 alla previsione di specifiche indicazioni nella nota integrativa), per cui occorre rifarsi a quanto
stabilito dall’OIC 17 (parr. 120-128).
Le eventuali rettifiche necessarie ad adeguare il bilancio delle suindicate società ai principi contabili
uniformi a quelli del gruppo sono effettuate prima di procedere alla loro traduzione in euro (par.
121).
La traduzione di un bilancio espresso in valuta estera, ai fini della redazione del bilancio consolidato,
si effettua utilizzando (par. 122):
a) il cambio a pronti alla data di bilancio per la traduzione delle attività e delle passività;
b) il cambio in essere alla data di ogni operazione per le voci di conto economico e per i flussi
finanziari del rendiconto finanziario; in alternativa, è ammesso, per motivi di ordine pratico,
l’utilizzo del cambio medio dell’esercizio o di sotto-periodi dell’esercizio applicato alle
operazioni e ai flussi finanziari intercorsi in quei sotto-periodi;
c) il cambio storico del momento della loro formazione per le riserve di patrimonio netto
(diverse dalla riserva da differenze di traduzione).
L’effetto netto della traduzione del bilancio della società partecipata in moneta di conto si rileva in
apposita “Riserva da differenze di traduzione”, nell’ambito del patrimonio netto consolidato (par.
123).
Lo IAS 21, prevede le seguenti procedure per la traduzione dei valori espressi in valuta differente:
le attività, le passività e le voci del patrimonio netto (ad eccezione del risultato di periodo e
del patrimonio netto alla data di acquisto del controllo) devono essere convertite al tasso di
cambio di chiusura del bilancio;
le voci del conto economico e del conto economico complessivo (OCI) devono essere
convertite al tasso di cambio in essere alla data dell’operazione oppure, in alternativa, al
tasso di cambio medio del periodo se non sono intervenute oscillazioni significative;
il valore del patrimonio netto alla data di acquisto del controllo deve essere convertito al
valore storico, ovvero al tasso di cambio alla data di acquisto del controllo.
Tutte le differenze di cambio risultanti dalle conversioni devono essere rilevate nel prospetto delle
altre componenti di conto economico complessivo.
[es. 7.1]
CAPITOLO 8 Le elaborazioni di consolidamento: l’eliminazione delle partecipazioni e il trattamento
delle differenze di annullamento
Se il consolidamento consistesse semplicemente nella somma dei valori presenti nei bilanci della
controllante e delle controllate, è evidente che i valori presenti nello stato patrimoniale dell’impresa
controllata verrebbero di fatto presi in considerazione due volte:
– una prima volta in quanto elementi dell’attivo o del passivo che compaiono come tali nel
bilancio;
– una seconda volta in quanto elementi (attivi o passivi) che contribuiscono alla determinazione
del (la quota di) patrimonio netto della controllata posseduto dalla controllante e
rappresentato nel suo bilancio dalla voce Partecipazioni in società controllate.
Nello stato patrimoniale aggregato (riportato a sinistra) il valore dei terreni posseduti dalla
partecipata viene contato due volte: una volta alla voce Terreni e un’altra volta sotto forma di
partecipazione in B. Di conseguenza, il patrimonio netto non rappresenta la ricchezza netta a
disposizione, in quanto nell’attivo il valore dei terreni è stato preso in considerazione due volte.
Nello stato patrimoniale consolidato vengono elisi il valore della partecipazione iscritta nell’attivo
patrimoniale della controllante e la corrispondente quota del patrimonio netto risultante dal bilancio
della partecipata. In questo modo, nel bilancio consolidato al posto della partecipazione viene
indicato unicamente il valore di ciò che quella partecipazione esprime (nell’esempio, i terreni).
Di seguito si riportano alcuni passaggi normativi particolarmente significativi contenuti nel D.Lgs.
127/91:
1. Nella redazione del bilancio consolidato gli elementi dell'attivo e del passivo nonché i
proventi e gli oneri delle imprese incluse nel consolidamento sono ripresi integralmente.
2. Sono invece eliminati:
a. le partecipazioni in imprese incluse nel consolidamento e le corrispondenti frazioni
del patrimonio netto di queste;
b. i crediti e i debiti tra le imprese incluse nel consolidamento;
c. i proventi e gli oneri relativi a operazioni effettuate fra le imprese medesime;
d. gli utili e le perdite conseguenti a operazioni effettuate tra tali imprese e relative a
valori compresi nel patrimonio, diversi da lavori in corso su ordinazione di terzi.
[…]
Si ricava pertanto che la regola generale prevede l’applicazione del metodo di consolidamento
integrale, mentre il consolidamento proporzionale è ammesso solo per le partecipazioni a controllo
congiunto (art. 37 del D.Lgs. 127/91).
Art. 32. - Struttura e contenuto dello stato patrimoniale e del conto economico consolidati
[…]
[…]
[es. 8.1]
L’art. 33, co. 1, del D.Lgs. 127/91 consente due alternative per attuare l’eliminazione delle
partecipazioni in imprese incluse nel consolidamento e delle corrispondenti frazioni del patrimonio
netto di queste, e dunque per quantificare e interpretare le differenze di annullamento:
con riguardo al valore assunto dalle grandezze di riferimento alla data di acquisizione della
partecipazione;
in relazione al valore assunto dalle grandezze di riferimento alla data in cui la partecipazione
è inclusa per la prima volta nel consolidamento.
Il disposto normativo offre l’opzione di considerare i valori contabili riferiti alla data di prima inclusione
nel consolidamento della controllata allo scopo di semplificare la redazione del bilancio consolidato
nei casi in cui non siano reperibili le informazioni riferibili alla data di acquisizione.
Negli altri casi, tuttavia, è sicuramente preferibile effettuare l’eliminazione delle partecipazioni sulla
base dei valori contabili riferiti alla data di acquisizione. Ciò assume un’importanza ancora maggiore
laddove dall’eliminazione emergano delle differenze, in quanto il costo sostenuto per l’acquisizione
delle partecipazioni di controllo dipende da valori di scambio fondati su valutazioni effettuate al
momento della negoziazione in merito al capitale economico dell’impresa acquisita, ivi incluse le
prospettive future di gestione. Ne consegue che, quando le differenze di annullamento sono calcolate
con riferimento a una data successiva rispetto a quella di acquisizione della partecipazione, la
possibilità di una loro attendibile interpretazione diminuisce in maniera significativa, soprattutto se,
dalla data di acquisizione, la partecipazione ha subito svalutazioni o rivalutazioni e/o è variato il
patrimonio netto della controllata.
raccomanda che la data del consolidamento coincida con la data di acquisizione del
controllo in quanto tecnicamente più corretta;
ritiene comunque accettabile consolidare una controllata ad una data prossima alla data di
acquisizione oppure per l’intero esercizio, se l’acquisizione è avvenuta nei primi mesi
dell’esercizio;
ritiene ammissibile utilizzare la data in cui l’impresa è inclusa per la prima volta nel
consolidamento solo nel caso non siano disponibili le informazioni necessarie.
Si origina una differenza di annullamento positiva qualora il valore della partecipazione iscritta nel
bilancio della controllante sia maggiore della corrispondente quota di patrimonio netto della
controllata.
Tale differenza di annullamento positiva può derivare dalla sottovalutazione di attività e/o
sopravvalutazione di passività nel bilancio della partecipata, da cui discende un valore del
patrimonio netto contabile inferiore rispetto a quello corrente, elemento quest’ultimo
implicitamente considerato dalla controllante in fase di acquisizione della partecipazione e dunque
potenzialmente giustificativo del sostenimento di un costo di acquisto più alto.
In questo caso, a mente dell’art. 33, co. 2, del D.Lgs. 127/91 la differenza deve essere imputata a
rettifica degli elementi attivi e passivi delle imprese incluse nel consolidamento, i quali saranno
iscritti nel bilancio consolidato al valore rettificato.
Pertanto, in linea con il contenuto dell’OIC 17 (par. 55), “la differenza è imputata, ove possibile, a
ciascuna attività identificabile acquisita, nel limite del valore corrente di tali attività, e, comunque, per
valori non superiori al loro valore recuperabile, nonché a ciascuna passività identificabile assunta, ivi
incluse le imposte anticipate e differite da iscrivere a fronte dei plus/minus valori allocati. In ogni
caso, la procedura di allocazione dei valori si interrompe nel momento in cui il valore netto dei
plusvalori iscritti al netto della fiscalità differita coincide con l’importo della differenza positiva da
annullamento”.
L’eventuale residuo positivo (o l'intera differenza ove non sia possibile imputarla agli elementi
patrimoniali della partecipata), può rappresentare il valore dell’avviamento proprio della
controllata, che la controllante ha pagato in sede di acquisto della partecipazione. In tal caso, come
stabilito dall’art. 33, co. 3, del D.Lgs. 127/91, deve essere iscritto tra le attività nella voce Avviamento
e ammortizzato secondo le disposizioni del codice civile (art. 2426, co. 1, n. 6, c.c.).
[es.8.3-eserc. (n)]
Tuttavia, il residuo positivo potrebbe non riflettere (in tutto o in parte) un avviamento ma piuttosto
derivare da un prezzo di acquisto della partecipazione ingiustificatamente più elevato rispetto al
valore economico della partecipata (cattivo affare) o risentire di altre cause, come ad esempio
l’effetto del calcolo della differenza alla data del primo consolidamento. In tal caso, il residuo deve
essere imputato al conto economico consolidato come onere derivante da un “cattivo affare” (o,
eventualmente, da altre cause).
Il rispetto del principio della continuità dei valori richiede necessariamente che il bilancio consolidato
degli esercizi successivi sia strettamente dipendente dal consolidato degli esercizio precedenti.
Tuttavia, il bilancio consolidato non ha memoria, in quanto è ottenuto a partire dai bilanci della
controllante e della/e controllata/e di ciascun esercizio, i quali non recano traccia delle eventuali
rettifiche apportate negli esercizi passati in sede di consolidamento. Per tale ragione, prima di
procedere alle nuove rettifiche di consolidamento, si rende necessario “riprendere” le rettifiche di
consolidamento effettuate negli esercizi precedenti al fine di dare continuità nel tempo ai valori del
bilancio consolidato.
effetti di “trascinamento”, che riguardano la ricostruzione dei saldi iniziali di alcune voci dello
stato patrimoniale consolidato (ad esempio, il maggior valore corrente attribuito alle attività
e la rilevazione dell’avviamento conseguenti all’allocazione di differenze di annullamento
positive);
effetti di “rovesciamento”, che riguardano le rettifiche da apportare ai valori reddituali e
patrimoniali degli esercizi successivi per effetto della ricostruzione dei saldi iniziali dello stato
patrimoniale consolidato (ad esempio, il maggior valore degli ammortamenti di quelle attività
a cui si è attribuito un maggior valore corrente e i relativi effetti fiscali).
[es.8.3-eserc. (n+1)]
I diritti di terzi sul patrimonio netto consolidato sono calcolati con riferimento al valore contabile
del patrimonio netto della controllata. Infatti, coerentemente con quanto previsto dalla teoria della
capogruppo, i maggiori/minori valori attribuiti alle attività e passività della controllata e
l’avviamento sono inseriti nel consolidato solo per la quota di spettanza della capogruppo. Pertanto,
i valori patrimoniali che sorgono per effetto del trattamento contabile delle differenze di
consolidamento influenzano solo la determinazione del patrimonio netto consolidato di pertinenza
della controllante.
Occorre prestare attenzione al fatto che, in caso di partecipazione non totalitaria, le differenze tra il
valore contabile e il valore corrente delle poste di bilancio delle partecipate vanno considerate solo in
proporzione alla quota detenuta dalla partecipante, poiché è in ragione di quella sola quota che la
partecipante è stata disponibile a sostenere un maggior costo di acquisto rispetto al valore del
patrimonio netto.
I diritti di terzi sul reddito consolidato sono calcolati prendendo a riferimento il reddito risultante
dal bilancio della controllata, rettificato per tenere conto dell’eliminazione dei margini positivi e
negativi sorti negli scambi infragruppo. I valori reddituali che sorgono per effetto del trattamento
contabile delle differenze di consolidamento incidono solo sul reddito consolidato di pertinenza della
controllante.
[es. 8.4]
Si origina una differenza di annullamento negativa qualora il valore della partecipazione iscritta nel
bilancio della controllante sia minore della corrispondente quota di patrimonio netto della controllata.
Tale differenza di annullamento negativa può derivare dalla sottovalutazione di passività e/o
sopravvalutazione di attività nel bilancio della partecipata, da cui discende un valore del patrimonio
netto contabile superiore rispetto a quello corrente, elemento quest’ultimo implicitamente
considerato dalla controllante in fase di acquisizione della partecipazione e dunque potenzialmente
giustificativo del sostenimento di un costo di acquisto più basso.
In questo caso, a mente dell’art. 33, co. 2, del D.Lgs. 127/91 la differenza deve essere imputata a
rettifica degli elementi attivi e passivi delle imprese incluse nel consolidamento, i quali saranno
iscritti nel bilancio consolidato al valore rettificato.
Pertanto, in linea con il contenuto dell’OIC 17 (par. 58), “La differenza negativa da annullamento è
imputata, ove possibile, a decurtazione delle attività iscritte per valori superiori al loro valore
recuperabile e alle passività iscritte ad un valore inferiore al loro valore di estinzione, al netto delle
imposte anticipate da iscriversi a fronte dei minusvalori allocati”.
In linea con quanto previsto dall’art. 33, co. 3 del D.Lgs. 127/91, l’eventuale residuo negativo (che
l’OIC battezza “eccedenza”) (o l'intera differenza ove non sia possibile imputarla agli elementi
patrimoniali della partecipata), se non è riconducibile alla previsione di risultati economici
sfavorevoli, ma al compimento di un buon affare, si contabilizza in una specifica riserva del
patrimonio netto consolidato denominata “Riserva di consolidamento”.
[es. 8.5]
Se, invece, l’eventuale eccedenza negativa è relativa, in tutto o in parte, alla previsione di risultati
economici sfavorevoli, si contabilizza in un apposito “Fondo di consolidamento per rischi e oneri
futuri” iscritto nella voce del passivo “B) Fondi per rischi ed oneri”, in linea con quanto previsto
dall’art. 33, co. 3, del D.Lgs. 127/91. Ciò è coerente con l’ipotesi che la controllante abbia “spuntato”
un prezzo più basso per tenere conto della previsione di un andamento economico futuro sfavorevole
(cd. avviamento negativo). Il fondo è utilizzato negli esercizi successivi in modo da riflettere le
ipotesi assunte in sede di sua stima all’atto dell’acquisto. L’utilizzo del fondo si effettua a
prescindere dall’effettiva manifestazione dei risultati economici sfavorevoli attesi. L’utilizzo del
fondo è rilevato nella voce di conto economico “A5 Altri ricavi e proventi” (par. 59).
[es. 8.6]
La differenza da annullamento negativa in taluni casi può essere in parte riconducibile ad una
“Riserva di consolidamento” e in parte ad un “Fondo di consolidamento per rischi ed oneri futuri”.
Ciò succede quando l’entità complessiva dei risultati sfavorevoli attesi è minore dell’ammontare
complessivo della differenza negativa da annullamento. In tal caso, ciò che residua dopo l’iscrizione
del “Fondo di consolidamento per rischi e oneri futuri” è accreditato al patrimonio netto consolidato,
nella voce “Riserva di consolidamento” (par. 60).
8.3 I riferimenti normativi: la posizione degli IFRS
L’IFRS 3, Aggregazioni aziendali, al par. 32 prevede che in ogni processo di aggregazione aziendale (e
quindi anche per il trattamento delle partecipazioni in società controllate nel bilancio consolidato)
l’acquirente alla data di acquisizione rilevi l’avviamento valutandolo per l’eccedenza di a) su b),
dove:
L’IFRS 3, a differenza del D.Lgs. 127/91, prevede che le operazioni di consolidamento devono essere
effettuate con riferimento alla data dell’acquisizione, ovvero la data in cui si ottiene effettivamente
il controllo. Il principio non ammette deroghe, al fine di evitare i problemi di rappresentazione
connessi all’utilizzo di una data successiva.
Le grandezze da porre a confronto per determinare le differenze che emergono per effetto
dell’eliminazione delle partecipazioni di controllo e la loro interpretazione
Diversamente da quanto avviene nell’approccio nazionale, per gli IFRS non assume rilievo la differenza
tra il valore della partecipazione risultante dallo stato patrimoniale della controllante e la quota di
patrimonio netto della controllata di spettanza della controllante risultante dal bilancio della
controllata.
Al contrario, in sede di eliminazione delle partecipazioni, sotto l’ipotesi che non vi siano quote della
controllata precedentemente acquisite dalla controllante, devono essere confrontati:
a) il valore della partecipazione, calcolato come sommatoria dei seguenti elementi:
b) il patrimonio netto della controllata espresso al fair value alla data di acquisizione, dato dal valore
netto al fair value delle attività identificabili acquisite (anche quelle immateriali non
precedentemente contabilizzate, come ad esempio un marchio) e delle passività identificabili assunte
di pertinenza della controllata, comprensive di eventuali attività e passività fiscali differite.
= AVVIAMENTO
se la somma del corrispettivo trasferito per l’acquisto della partecipazione e del valore della
partecipazione di minoranza nella società acquisita è maggiore del patrimonio netto della
controllata espresso al fair value, si origina un’eccedenza positiva che è sempre considerata
avviamento;
se invece la somma del corrispettivo trasferito per l’acquisto della partecipazione e del
valore della partecipazione di minoranza nella società acquisita è minore del patrimonio
netto della controllata espresso al fair value, si origina un’eccedenza negativa che (come si
vedrà in seguito) viene interpretata come un provento da buon affare.
Si evidenzia la differenza fondamentale data dal fatto che, mentre la normativa nazionale prevede
l’eventuale rivalutazione solo in un momento successivo (ex post) rispetto alla determinazione della
differenza di annullamento, i principi contabili internazionali impongono di procedere ad una
rivalutazione a valori correnti prima (ex ante) della determinazione dell’eccedenza.
La diversità della sequenza temporale non è priva di conseguenze sui valori che vengono esposti nel
bilancio consolidato. Posto che l’IFRS 3 prevede che la riespressione a valori correnti del patrimonio
netto della partecipata avvenga prima del confronto con il valore della partecipazione (ex ante),
l’eccedenza di valore (positiva o negativa) tra il valore della partecipazione e il patrimonio netto della
partecipata a valori correnti non risente più del maggior valore corrente del patrimonio della
controllata, ma riflette solo le aspettative di reddito future, se positiva, o la realizzazione di un buon
affare, se negativa.
L’approccio nazionale prevede invece che la rivalutazione a valori correnti del patrimonio netto della
partecipata sia (eventualmente) condotta solo dopo il calcolo della differenza di annullamento (ex
post), con la conseguenza che la differenza di annullamento comprende nel proprio valore anche la
distanza tra i valori correnti delle attività e delle passività della controllata e i relativi valori contabili e
riesce a riflettere anche le attese di reddito future (o l’aver concluso un buon affare) solo se i maggiori
valori delle attività (o i minori valori delle passività) non sono sufficienti a spiegarne l’entità.
Si può dimostrare come le due impostazioni – rivalutazione ex ante ed ex post – conducano agli stesso
risultati quando il valore della partecipazione è superiore al patrimonio netto espresso a valori
correnti, mentre le stesse giungono a risultati anche molto diversi quando il patrimonio netto a valori
correnti risulta maggiore del valore della partecipazione.
Di seguito si riporta un esempio riferito a tra diverse imprese (A, B e C), per ipotesi tutte partecipate
al 100% dal soggetto consolidante, evidenziando le diverse conseguenze a cui è possibile pervenire
sotto il profilo dell’interpretazione delle differenze che emergono seguito dell’eliminazione delle
partecipazioni.
L’IFRS 3 prevede due metodi alternativi per valutare l’importo dei diritti vantati dai soci di minoranza
(ovvero, il valore della partecipazione di minoranza nell’acquisita):
a) valutazione sulla base della quota di pertinenza dei terzi del patrimonio netto della
controllata espresso al fair value: si tratta quindi di valutare il patrimonio netto della
controllata espresso al fair value e poi considerarne la quota posseduta dai terzi
b) valutazione in base al fair value dei diritti di possesso detenuti dai terzi: in presenza di un
mercato attivo il fair value è calcolato facendo riferimento alle quotazioni delle azioni della
controllata; in caso contrario, si adottano apposite tecniche di valutazione.
Il trattamento dell’avviamento
Come già riportato, se la somma del corrispettivo trasferito per l’acquisto della partecipazione e del
valore della partecipazione di minoranza nella società acquisita è maggiore del patrimonio netto della
controllata espresso al fair value, si origina un’eccedenza positiva che è sempre considerata
avviamento (i principi contabili internazionali non considerano l’ipotesi del “cattivo affare”).
l’appendice B, Guida operativa, dell’IFRS 3 (par. B63) stabilisce che l’avviamento acquisito a
seguito di un’operazione di aggregazione aziendale deve essere valutato, successivamente
alla rilevazione iniziale, all'importo rilevato alla data di acquisizione al netto delle perdite
per riduzione di valore accumulate; pertanto, l’avviamento non subisce un processo di
ammortamento me se ne deve verificare l’eventuale riduzione di valore;
lo IAS 36 (par. 10) richiede di verificare annualmente (o con maggiore frequenza se
determinati eventi o cambiamenti di circostanze lo richiedono) l’eventuale riduzione di valore
dell'avviamento acquisito in un'aggregazione aziendale;
lo IAS 36 (par. 124-125) inoltre vieta il ripristino del valore contabile dell’avviamento
precedentemente svalutato, poiché tale recupero potrebbe comportare la contabilizzazione
di un avviamento generato internamente dall’acquirente e non originato dall’aggregazione
aziendale.
Come già riportato, se la somma del corrispettivo trasferito per l’acquisto della partecipazione e del
valore della partecipazione di minoranza nella società acquisita è minore del patrimonio netto della
controllata espresso al fair value, si origina un’eccedenza negativa che viene interpretata secondo i
seguenti criteri fissati dall’IFRS 3 (parr. 34 e 36):
In sostanza, secondo gli IFRS, l’eccedenza negativa (dopo aver verificato i valori da cui origina) è
interpretabile quale provento da buon affare e deve essere attribuita integralmente alla controllante,
la quale, diversamente da quanto previsto dalla normativa nazionale, non deve iscrivere una riserva
nel patrimonio netto, ma attribuire il provento direttamente al conto economico. Inoltre, gli IFRS non
contemplano l’ipotesi di avviamento negativo (caso in cui, secondo la normativa nazionale, l’importo
andrebbe iscritto nel fondo di consolidamento per rischi e oneri futuri), ovvero l’ipotesi che la
controllante possa aver pagato un prezzo ridotto per tenere conto della previsione di un andamento
economico futuro sfavorevole della controllata.
[es. 8.9]
a) calcolare l’avviamento (o l’eccedenza negativa) sulla base dei valori che effettivamente
erano stati considerati al momento dell’acquisizione. Infatti, per poter determinare
l’avviamento sulla base dei valori di patrimonio netto che effettivamente erano stati
considerati al momento dell’acquisizione, è necessario considerare anche la parte del risultato
economico maturata nello scorcio di esercizio che va dalla data di inizio dell’esercizio
dell’acquisita alla data dell’acquisizione, come desumibile dal bilancio intermedio redatto a
tale data;
b) riportare nel bilancio consolidato i valori reddituali della controllata solo per la parte
maturata a partire dal momento dell’acquisizione. La necessità di intervenire sui valori
reddituali deriva dal fatto che nel bilancio consolidato si deve rappresentare la situazione
reddituale del gruppo come un’unica entità ed è solo a partire dalla data di acquisizione che
la controllata entra a far parte di tale entità e produce componenti positivi e negativi di reddito
“di gruppo”. Pertanto, al fine di considerare i risultati realizzati dalla controllata a partire dal
momento dell’acquisizione, i valori reddituali della controllata riferiti all’intero esercizio
devono essere rettificati sottraendo a ciascun componente di reddito la parte che era già
maturata al momento dell’acquisizione, come desumibile dal bilancio intermedio redatto a
tale data
[es. 8.10]
Se il controllo è stato ottenuto attraverso acquisti successivi di azioni, l’IFRS 3 (par. 32) stabilisce che
l’avviamento (o l’eccedenza negativa) va calcolato in un’unica soluzione con riferimento alla data in
cui si è ottenuto il controllo, confrontando le seguenti grandezze:
a) il valore della partecipazione che corrisponde alla sommatoria dei seguenti elementi:
i. il corrispettivo trasferito;
ii. l’importo delle partecipazioni di minoranza (quota di partecipazione detenuta da
terzi);
iii. nel caso si tratti di una aggregazione aziendale realizzata in più fasi, il fair value
(valore equo) alla data di acquisizione delle interessenze nell’acquisita
precedentemente possedute dall’acquirente;
b) il patrimonio netto dell’impresa acquisita valutato al fair value.
Ipotizziamo una situazione in cui la società A detiene una partecipazione pari al 100% nella società B.
Durante l’esercizio (n) A ha venduto a B merci, precedentemente acquistate per 1.000, ad un valore
di 1.200; a sua volta, B ha rivenduto le merci ad un cliente terzo per 1.500. Aggregando i due conti
economici si ottengono i seguenti valori:
Il conto economico aggregato non rappresenta l’attività del gruppo inteso come entità unitaria,
perché non descrive correttamente i rapporti tra il gruppo e i terzi: i ricavi di A e i costi di B non
derivano da rapporti con i terzi.
Posto che durante l’esercizio la società A ha venduto merci per 1.200 alla società B, se si vuole evitare
di fornire una rappresentazione distorta della situazione del gruppo nel suo complesso, gli effetti delle
operazioni infragruppo devono essere annullati nella redazione del bilancio consolidato. Nel conto
economico consolidato vanno indicati i seguenti valori:
Il conto economico consolidato riporta solo i ricavi e i costi relativi alle transazioni tra il gruppo e i
terzi.
a) quelle che hanno effetto sulle poste attive e passive dello stato patrimoniale o sulle voci di
conto economico ma che non hanno effetto sul risultato economico e sul patrimonio netto
consolidato;
b) quelle che hanno effetto sul risultato economico e sul patrimonio netto consolidato.
Prima ancora di procedere all’eliminazione degli effetti delle operazioni infragruppo, è necessario
procedere alla fase di riconciliazione dei saldi contabili, ovvero al controllo che i valori reciproci
contenuti nei bilanci delle singole società coincidano tra loro. Tale compito richiede:
la ricognizione delle operazioni che sono avvenute nel periodo tra le varie società del gruppo;
la verifica delle modalità di contabilizzazione nelle varie società delle suddette operazioni;
la sistemazione delle eventuali differenze riscontrate.
I gruppi aziendali tendono ormai ad utilizzare sistemi informativi in grado di produrre in modo
automatico le informazioni necessarie alla riconciliazione dei saldi contabili infragruppo.
In base all’art. 31 del D.Lgs. 127/91, nella redazione del bilancio consolidato devono essere eliminati:
In base al principio di rilevanza di cui al co. 3-bis dell’art. 29 del D.Lgs. 127/91, in base al quale non
occorre rispettare gli obblighi in tema di rilevazione, valutazione, presentazione, informativa e
consolidamento quando la loro osservanza abbia effetti irrilevanti al fine di dare una
rappresentazione veritiera e corretta, i valori di cui ai punti precedenti possono non essere eliminati
se si verifica la loro non rilevanza.
Inoltre, i valori di cui alla lett. d) dell’elenco precedente (gli utili e le perdite conseguenti ad operazioni
effettuate tra le imprese incluse nel consolidamento e relative a valori compresi nel patrimonio,
diversi da lavori in corso su ordinazione di terzi, cd. margini infragruppo) possono non essere eliminati
(a fronte di indicazione delle ragioni in nota integrativa) se relativi ad operazioni correnti
dell’impresa, concluse a normali condizioni di mercato e la cui eliminazione comporta costi
sproporzionati.
Al contrario, l'elisione dei valori di cui alle lett. b) e c) dell’elenco precedente (cd. valori reciproci) può
essere omessa, come detto, soltanto se i valori sono irrilevanti al fine di dare una rappresentazione
veritiera e corretta.
Il par. B.86.c dell’IFRS 10 indica modalità analoghe di eliminazione delle operazioni infragruppo,
stabilendo che:
attività, passività, patrimonio netto, ricavi, costi e flussi finanziari infragruppo relativi a
operazioni tra entità del gruppo, devono essere integralmente eliminati;
gli utili e le perdite derivanti da operazioni infragruppo compresi nel valore contabile di
attività, quali le rimanenze e le immobilizzazioni, sono integralmente eliminati;
le perdite infragruppo possono indicare una riduzione di valore che è necessario
rappresentare nel bilancio consolidato;
le differenze temporanee derivanti dall’eliminazione di utili e perdite originate da
operazioni infragruppo generano attività e passività fiscali differite.
I principi contabili internazionali non ammettono alcuna deroga in merito all’eliminazione delle
partite infragruppo.
[es. 9.1]
L’operazione di eliminazione che si presenta più semplice è quella di eliminazione di proventi e oneri
che non danno luogo a variazioni del risultato di periodo di gruppo.
Esempio: A controllo B al 100%. Nel corso dell’esercizio la società A ha venduto alla società B merci
per un valore complessivo pari a 200. La società B le ha successivamente rivendute a terzi.
Le rettifiche non hanno effetto sul risultato di periodo consolidato. La stessa situazione si verifica
quando l’ammontare degli oneri sostenuti da una società è uguale all’importo dei proventi realizzati
dall’altra.
Poiché oneri e proventi partecipano alla formazione del risultato del periodo in cui sorgono, senza che
il loro importo venga ripreso negli esercizi successivi, questi valori non daranno in alcun caso luogo a
rettifiche nel bilancio consolidato degli esercizi successivi a quello di rilevazione. Diverso è il caso in
cui il trasferimento genera utili o perdite interne.
I margini infragruppo devono essere rettificati solo se, alla data di redazione del bilancio
consolidato, il ciclo produttivo di gruppo è ancora in corso e quindi i margini sono compresi nel valore
delle attività del gruppo sotto forma di:
In tal caso, i margini infragruppo devono essere eliminati, al fine di essere differiti e imputati al
reddito consolidato dell'esercizio in cui essi verranno realizzati dal gruppo attraverso scambi con
terze economie.
La rettifica dei margini infragruppo genera una differenza temporanea tra il periodo in cui gli stessi
sono fiscalmente rilevanti e quello di competenza economica per il gruppo. Pertanto:
– l’eliminazione degli utili e delle perdite infragruppo si effettua sulla base dell’utile o della
perdita lorda;
– non sono incluse le spese generali, amministrative e di vendita che l’impresa sostiene
comunque nel periodo.
Nella vendita di merci all’interno del gruppo si possono presentare i seguenti casi:
[es. 9.2]
Nel caso in cui la partecipazione non sia totalitaria, si pone il problema di suddividere la rettifica tra
il risultato di pertinenza del gruppo ed il risultato di pertinenza di terzi. Secondo i principi contabili
nazionali (OIC 17, parr. 71-74), anche nei casi in cui esistono interessenze di terzi, gli utili e le perdite
infragruppo si eliminano per la loro totalità dalle attività interessate e tuttora incluse nel patrimonio
alla data di bilancio, prima di determinare la quota di patrimonio netto e di risultato di spettanza
dei terzi. Ai fini , invece, dell’attribuzione alle interessenze di terzi di utili e perdite infragruppo si
distinguono:
le cessioni da controllante a controllata (cd. “verso il basso”): in tal caso, lo storno dei margini
infragruppo non ancora realizzati con economie terze ha come contropartita le voci dell’attivo
in cui sono inclusi i beni. Il risultato che si ottiene coincide con quello che si sarebbe ottenuto
se la vendita infragruppo non si fosse verificata. Dato che l’utile o la perdita oggetto di
eliminazione si trovano nel bilancio della controllante e non in quello della controllata, la
quota di risultato economico relativa all’interessenza di terzi non è influenzata da questa
rettifica di consolidamento.
le cessioni da controllata a controllante (cd. “verso l’alto”): in tal caso, mentre gli utili/perdite
infragruppo sono sempre eliminati per il loro intero ammontare dalla voce dell’attivo
interessata dalla cessione, la contropartita a conto economico della rettifica sarà imputata
ai soci di maggioranza e di minoranza proporzionalmente alla loro partecipazione.
[es. 9.3]
il trasferimento di immobilizzazioni all’interno del gruppo. In questo caso, gli effetti del
disallineamento cessano nell’esercizio in cui l’immobilizzazione viene completamente
ammortizzata oppure quando viene ceduta verso soggetti esterni al gruppo. Si tratta,
pertanto, di eliminare gli effetti delle operazioni infragruppo per tutti i periodi in cui il
consolidato è interessato da queste operazioni. Poiché si tratta di fattori produttivi
pluriennali soggetti ad ammortamento, ai fini della redazione del bilancio consolidato è
opportuno:
o rettificare le plusvalenze iscritte, calcolando l’effetto fiscale differito;
o modificare il processo di ammortamento della società acquirente per riportare i
valori alla situazione precedente al trasferimento, considerandone l’effetto in
termini di fiscalità.
Si presentano situazioni diverse a seconda del fatto che l’immobilizzazione che viene ceduta
fosse stata in precedenza acquistata all’esterno oppure prodotta da un soggetto interno al
gruppo:
Cessione di bene strumentale direttamente acquisito dall’esterno con partecipazione
totalitaria [es. 9.4];
Cessione di bene strumentale prodotto internamente con partecipazione totalitaria
[es. 9.5];
Cessione di bene strumentale prodotto internamente con partecipazione non
totalitaria [es. 9.6].
la distribuzione di dividendi dalle controllate a beneficio della controllante. Poiché, a fronte
della distribuzione, la controllata registra una riduzione del patrimonio netto, mentre la
controllante rileva un utile da partecipazioni, ai fini della redazione del bilancio consolidato
è opportuno:
o eliminare il provento percepito dal conto economico della controllante;
o ripristinare il patrimonio netto della controllata per non tenere conto della
riduzione;
o eliminare gli effetti fiscali della distribuzione dei dividendi.
Queste rettifiche a livello consolidato genereranno pertanto una riduzione del risultato
d’esercizio e un incremento del patrimonio netto consolidato che può essere allocato ad una
riserva generalmente denominata “riserva da consolidamento per utili distribuiti”:
Distribuzione di dividendi dalla controllata alla capogruppo in caso di partecipazione
totalitaria [es 9.7]
Distribuzione di dividendi dalla controllata alla capogruppo in caso di partecipazione
non totalitaria [es. 9.8]
devono essere eliminate solo se la perdita è fittizia, cioè derivante da circostanze diverse
dall’effettiva perdita di valore (es. operazioni concluse a condizioni non normali di mercato
per effetto di una pianificazione fiscale);
non devono essere eliminate quando rappresentano effettive perdite di valore, cioè perdite
che sarebbero state comunque rilevate nel bilancio anche in assenza di cessione. A tal
proposito, va infatti ricordato che:
o le rimanenze devono essere svalutate se il loro valore di realizzazione desumibile
dall’andamento del mercato alla chiusura dell’esercizio è inferiore al costo di acquisto
o di produzione;
o le immobilizzazioni devono essere svalutate se il loro valore è (durevolmente)
inferiore al valore contabile (che pertanto non può più essere interamente
recuperato).
Le imposte differite e anticipate derivanti dal consolidamento
Si generano fenomeni di fiscalità differita o anticipata ogniqualvolta che, in ragione delle operazioni
di consolidamento, si determini una differenza tra la sommatoria del reddito ante imposte delle
singole unità del gruppo e il reddito ante imposte calcolato a livello di gruppo. In particolare, tale
differenza può dipendere da:
Quanto alla disciplina nazionale, l’art. 37 del D.Lgs. 127/91 prevede quanto segue:
1. Possono essere incluse nel bilancio consolidato anche le imprese sulle quali un'impresa
inclusa nel consolidamento abbia il controllo congiuntamente con altri soci ed in base ad
accordi con essi, purché la partecipazione posseduta non sia inferiore alle percentuali
indicate nell'art. 2359, co. 3, del codice civile [cd. società collegate: sono considerate
collegate le società sulle quali un'altra società esercita un'influenza notevole. L'influenza si
presume quando nell'assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti
ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in mercati regolamentati]
2. In tal caso l'inclusione nel consolidamento avviene secondo il criterio della proporzione con la
partecipazione posseduta.
Al contrario, gli IFRS non prevedono mai l’applicazione del consolidamento proporzionale.
[es. 11.1]
Con il consolidamento proporzionale, nel caso in cui vi siano delle operazioni infragruppo (OIC 17,
parr. 117-118):
nel bilancio della singola impresa, può essere applicato (in alternativa al metodo del costo
rettificato) per la valutazione delle partecipazioni in imprese controllate o collegate iscritte
tra le immobilizzazioni finanziarie;
nel bilancio consolidato, deve essere applicato per la valutazione delle partecipazioni in
imprese collegate iscritte tra le immobilizzazioni finanziarie (ivi comprese le partecipazioni
a controllo congiunto per le quali non è stata esercitata la facoltà di consolidarle con il
metodo proporzionale).
nel bilancio individuale e nel bilancio consolidato, deve essere applicato per la valutazione
delle partecipazioni in imprese sottoposte a controllo congiunto e in imprese collegate;
nel bilancio separato, può essere applicato (in alternativa al criterio del costo o a quello del
fair value) per la valutazione delle partecipazioni in imprese controllate, sottoposte a
controllo congiunto e collegate.
Applicando il metodo del patrimonio netto, le variazioni che intervengono nel patrimonio netto della
partecipata sono contabilizzate, nello stesso esercizio, nel bilancio della partecipante:
– le variazioni di natura reddituale, ovvero le variazioni di patrimonio netto che nel bilancio della
partecipata derivano da risultati d’esercizio, positivi o negativi, sono rilevate come variazioni
del valore della partecipazione nelle attività e nel conto economico del bilancio della
partecipante.
– le variazioni di natura patrimoniale, ovvero le variazioni di patrimonio netto che nel bilancio
della partecipata non derivano da risultati d’esercizio ma sono contabilizzate direttamente nel
patrimonio netto (come la distribuzione di dividendi e le rivalutazioni) sono rilevate nel
bilancio della partecipante:
o nel caso di distribuzione di dividendi, come variazione del valore delle partecipazioni
nelle attività e come aumento di crediti per dividendi;
o nel caso di rivalutazioni, sotto forma di variazione del patrimonio netto.
L’applicazione del metodo del patrimonio netto richiede di effettuare operazioni simili a quelle che
vanno compiute nel bilancio consolidato per le partecipazioni consolidate:
il valore di prima iscrizione della partecipazione deve essere scomposto (in via extracontabile)
al fine di poter considerare nei successivi esercizi gli eventuali effetti dell’ammortamento o
della svalutazione del maggior valore attribuito alle attività ammortizzabili e/o all’avviamento;
le variazioni del patrimonio netto della partecipata successive alla prima iscrizione sono
oggetto di rettifiche simili a quelle che si devono effettuare ai fini della costruzione di un
bilancio consolidato.
Esempio 11.2
L’1/1/(n) la società A acquista per 160 una partecipazione dell’80% del capitale della società B:
- al momento dell’acquisto nel bilancio di B il patrimonio netto ammonta a 200, per cui il prezzo
pagato corrisponde esattamente all’80% del patrimonio netto;
- nel corso dell’esercizio (n) non avviene alcuna operazione di compravendita tra A e B;
- alla fine dell’esercizio (n) B rileva un utile di 30 (di cui 24 di pertinenza di A);
- nel corso dell’esercizio (n+1) B delibera la distribuzione di dividendi per 20 (di cui 16 ad A);
- alla fine dell’esercizio (n+1) B rileva un utile di 40 (di cui 32 di pertinenza di A).
Applicando il metodo del patrimonio netto, nello stato patrimoniale di A il valore della partecipazione
(rilevata inizialmente per 160) presenterà le seguenti variazioni:
Nel conto economico di A verrà rilevato un utile sulla partecipazione di 24 nell’esercizio (n) e di 32
nell’esercizio (n+1).
L’assegnazione dei dividendi non dà origine a componenti di reddito; i crediti per dividendi vanno
contabilizzati a fronte della riduzione del valore della partecipazione.
In base all’art. 2426, co. 1, n. 4, cpv. 2, del codice civile, quando la partecipazione è iscritta per la
prima volta in base al metodo del patrimonio netto, il costo di acquisto superiore al valore
corrispondente del patrimonio netto riferito alla data di acquisizione o risultante dall'ultimo bilancio
dell'impresa controllata o collegata può essere iscritto nell'attivo, purché ne siano indicate le ragioni
nella nota integrativa.
Per comprendere la norma è necessario innanzitutto capire i motivi per i quali i due valori non
corrispondono, che sono i medesimi che si presentano in sede di consolidamento delle controllate. A
tal proposito, è l’OIC 17 (parr. 158 e ss.) che descrive le modalità di analisi della differenza fra costo
d’acquisto della partecipazione e corrispondente frazione del patrimonio netto contabile della
partecipata.
In sostanza, all’acquisto di una quota di partecipazione in una società tale da conferire il controllo o
l’influenza notevole, l’acquirente compie una valutazione della quota oggetto di acquisizione,
principalmente sulla base di una situazione patrimoniale a valori contabili ricevuta dall’alienante o
dagli organi della stessa società oggetto di alienazione, da integrare sulla base di procedimenti di
rettifica extracontabile analoghi a quanto previsto per il bilancio consolidato. Lo scopo è quello di
compilare un prospetto delle differenze fra costo di acquisto della partecipazione e patrimonio netto
contabile della partecipata (più precisamente, degli scostamenti rispetto ai valori contabili dei singoli
componenti patrimoniali attivi e passivi) e di determinarne la natura ai fini del loro trattamento
contabile. Tale prospetto sarà utilizzato per rettificare i risultati d’esercizio della partecipata a partire
dal primo bilancio successivo all’acquisto.
Ai fini dell’iscrizione della partecipata nello stato patrimoniale della partecipante occorre distinguere
se si è in presenza di una differenza positiva o negativa:
in presenza di una differenza iniziale positiva (costo di acquisto della partecipazione superiore
alla corrispondente frazione di patrimonio netto contabile della partecipata), si possono
prospettare due ipotesi:
a) la differenza iniziale positiva è riconducibile a maggiori valori dell’attivo dello stato
patrimoniale della partecipata, valutati a valori correnti, o alla presenza di
avviamento, per cui la partecipante iscrive la partecipazione al costo di acquisto
comprensivo di tale differenza iniziale positiva [es. 11.7- prima parte es (n)];
b) la differenza iniziale positiva non corrisponde ad un maggior valore dell’attivo e/o
avviamento della partecipata, per cui la partecipazione è oggetto di svalutazione e
la differenza è imputata a conto economico nella voce D.19.a) Svalutazioni di
partecipazioni (ipotesi di “cattivo affare”);
[es. 11.3]
in presenza di una differenza iniziale negativa (costo di acquisto della partecipazione inferiore
alla corrispondente frazione di patrimonio netto contabile della partecipata), si possono
prospettare due ipotesi:
a) la differenza iniziale negativa non è riconducibile alla previsione di perdite ma al
compimento di un buon affare, per cui la partecipante iscrive la partecipazione al
maggior valore del patrimonio netto rettificato della partecipata, iscrivendo quale
contropartita una Riserva per plusvalori di partecipazioni acquisite non distribuibile;
b) la differenza iniziale negativa è dovuta alla presenza di attività iscritte per valori
superiori al loro valore recuperabile o passività iscritte ad un valore inferiore al loro
valore di estinzione o, ancora, alla previsione di risultati economici sfavorevoli, per
cui tale differenza rappresenta un Fondo per rischi e oneri futuri di cui si mantiene
memoria extracontabilmente. In tal caso, la partecipazione è inizialmente iscritta per
un valore pari al costo sostenuto, mentre il fondo memorizzato extracontabilmente
è utilizzato negli esercizi successivi a rettifica dei risultati della partecipata secondo
la stessa logica prevista per il Fondo di consolidamento per rischi e oneri futuri, cioè in
modo da riflettere le ipotesi assunte in sede di sua stima all’atto dell’acquisto, a
prescindere dall’effettiva manifestazione delle perdite attese.
[es. 11.4]
Lo IAS 28, Partecipazioni in società collegate e joint venture, prevede che, all’atto dell’acquisizione
della partecipazione, qualsiasi differenza tra il costo della partecipazione e la quota d’interessenza
della partecipante nel fair value (valore equo) netto di attività e passività identificabili della
partecipata debba essere contabilizzata come segue:
a) l’avviamento relativo a una società collegata o a una joint venture è incluso nel valore
contabile della partecipazione. L’ammortamento di tale avviamento non è consentito. In
sostanza, nell’impostazione propria dei principi contabili internazionali, un'eventuale
differenza positiva che origini dal confronto del costo della partecipazione rispetto alla quota
d’interessenza della partecipante nel patrimonio netto della partecipata espresso a fair value
non è mai considerata espressiva di un cattivo affare;
b) qualunque eccedenza della quota d’interessenza della partecipante nel fair value (valore
equo) netto delle attività e passività identificabili della partecipata, rispetto al costo della
partecipazione, è inclusa come provento nella determinazione della quota d’interessenza
della partecipante nell’utile (perdita) d’esercizio della collegata o della joint venture del
periodo in cui la partecipazione viene acquisita. In sostanza, nell’impostazione propria dei
principi contabili internazionali, un'eventuale differenza negativa che origini dal confronto del
costo della partecipazione rispetto alla quota d’interessenza della partecipante nel patrimonio
netto della partecipata espresso a fair value è sempre espressiva di un buon affare e come
tale deve essere rilevata.
La soluzione prevista dallo IAS 28 è analoga a quella prevista dall’IFRS 3 per il consolidamento della
partecipazione, con la principale differenza rappresentata dal fatto che nell’applicazione del metodo
del patrimonio netto si considera solo la quota d’interessenza della partecipante e restano escluse le
interessenze di terzi.
Per effettuare l’analisi extracontabile del costo di acquisto della partecipazione, al fine di individuare
il valore corrente dei componenti patrimoniali della partecipata e l’importo dell’avviamento, deve
essere individuata una data di riferimento. A questo proposito, si pongono due alternative:
1. effettuare l’analisi a partire da una situazione contabile della partecipata redatta con
riferimento alla data in cui è stata acquistata la partecipazione;
2. a partire dal bilancio della partecipata redatto alla fine dell’esercizio in cui è avvenuta
l’acquisizione.
L’OIC 17 (par. 159) sembra dare quasi per scontata la prima soluzione.
Lo IAS 28 (par. 32) dichiara chiaramente che il metodo del patrimonio netto va applicato a partire dalla
data di acquisizione.
Al contrario, il codice civile (art. 2426, co. 1, n. 4, cpv. 2) prende in considerazione anche la seconda
alternativa, consentendo di utilizzare anche l’ultimo bilancio dell’impresa controllata. Si tratta di una
scelta del legislatore dettata da esigenze di semplificazione e di realismo, tesa ad agevolare la prima
applicazione del metodo, pur comportando che il valore dell’avviamento potrà essere in tal modo
influenzato da componenti improprie, in quanto risente delle operazioni di gestione compiute nello
scorcio d’esercizio che va dalla data d’acquisto fino alla fine del periodo amministrativo. In definitiva,
anche se il riferimento alla data di acquisto è in astratto la soluzione più rigorosa nonché “quella
tecnicamente da preferire ove siano disponibili le informazioni necessarie” (OIC 17, par. 157), non è
sempre facilmente applicabile per mancanza di informazioni. D’altro canto, l’eventuale scelta
semplificatrice di utilizzare il bilancio di fine esercizio comporta che il risultato economico della
partecipata potrà influire su quello della partecipante solo a partire dall'esercizio successivo alla prima
applicazione del metodo del patrimonio netto.
11.4 Il metodo del patrimonio netto: le variazioni di valore
I principali aspetti operativi relativi all’applicazione del metodo del patrimonio netto successivamente
alla prima iscrizione riguardano:
Le variazione del valore della partecipazione di natura reddituale dipendono dal risultato d’esercizio
della partecipata che va sottoposto ad una serie di rettifiche. L’OIC 17 (par. 167) identifica le seguenti:
– rettifiche derivanti dalla mancata applicazione di principi contabili uniformi a quelli applicati
dalla partecipante;
– rettifiche derivanti da eventuali eventi significativi verificatisi tra la data di chiusura
dell’esercizio della collegata e quella della partecipante, se non coincidono;
– rettifiche derivanti dall’eliminazione degli utili e perdite interni relativi ad operazioni
intersocietarie (solo per la relativa quota di interessenza nella partecipata);
– rettifiche per riflettere gli effetti, aggiornati annualmente, derivanti dall’iniziale imputazione
delle differenze fra i valori contabili e i valori che tengono conto del diverso prezzo di
acquisizione;
– rettifiche derivanti dalla percentuale di capitale della partecipata posseduto.
Come previsto dall’OIC 17 (parr. 175-176), se il patrimonio netto della partecipata aumenta o
diminuisce per ragioni diverse dal risultato d’esercizio, per esempio in conseguenza della
rivalutazione monetaria disposta in forza di leggi speciali, della movimentazione della riserva per
operazioni di copertura di flussi finanziari attesi, della riduzione del capitale sociale o della
distribuzione di riserve, in misura corrispondente dovrà essere rispettivamente aumentato o ridotto
il valore della partecipazione e quello della riserva indistribuibile. Tali variazioni non sono imputate
nel conto economico della partecipante.
Lo IAS 28 (par. 10) specifica che tra le rettifiche di natura patrimoniale vanno considerate tutte quelle
derivanti da variazioni nelle voci del prospetto delle altre componenti di conto economico
complessivo della partecipata, come le variazioni derivanti dalla rideterminazione del valore di
immobili, impianti e macchinari e dalle differenze di conversione di partite in valuta estera. La quota
di pertinenza della partecipante di tali variazioni va rilevata tra le altre componenti di conto
economico complessivo.
[es. 11.8]
11.5 Particolarità dell’applicazione del metodo del patrimonio netto nel bilancio non consolidato
secondo la disciplina nazionale
Tale trattamento, valido per il bilancio della singola impresa, non si applica nel bilancio consolidato
redatto secondo il D.Lgs. 127/1991, poiché l’art. 36 prevede espressamente l’iscrizione in apposita
voce del conto economico della differenza positiva tra il valore calcolato con il metodo del patrimonio
netto e il valore iscritto nel bilancio precedente, per la parte derivante da utili.
Per il resto, l’obbligo di accantonamento ad una riserva non distribuibile da rivalutazione delle
partecipazioni conseguente all’applicazione del metodo del patrimonio netto deve intendersi imposto
dall’art. 2426 del codice civile solo con riferimento alla rivalutazione che non risulti già assorbita
dalle eventuali perdite proprie della partecipante. Pertanto:
Quando i dividendi percepiti sono portati a riduzione delle partecipazioni, nel contempo si libera –
diventando disponibile – una corrispondente quota della riserva non distribuibile da rivalutazione
della partecipazione.