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L’ordinamento dell’UE

L’UE nasce come un’organizzazione internazionale e come tutte le organizzazioni internazionali si fonda su
un Trattato istitutivo. In linea con questa origine, radicata nel diritto internazionale, nell’UE è riconoscibile
una dimensione cd. INTERGOVERNATIVA in cui appunto gli Stati, e in particolare gli esecutivi di questi, sono
i principali attori. Tuttavia, accanto a questa dimensione originaria, tuttora presente, se ne è affiancata
un’altra, che presenta analogie con una struttura di tipo statuale federale. Nello stato federale per
aggregazione, cioè quello che si forma da unità in precedenza sovrane e indipendenti (vedi Stati Uniti), si
supera appunto la dimensione intergovernativa, la singola componente statuale perde la sua indipendenza
e sovranità, che viene trasferita all’unità federale.

L’intreccio di queste due dimensioni – una intergovernativa, l’altra che richiama, senza esserlo ancora e
senza necessariamente divenirlo, la prospettiva statale-federale – è ciò che rende l’UE un unicum. Si parla
di ordinamento sovranazionale per denotare appunto una costruzione peculiare, che non ha eguali nel
diritto internazionale, presentando appunto caratteri sui generis.

Per capire la natura cd. sovranazionale dell’UE è anche necessario guardare ad essa in prospettiva
diacronica, perché la costruzione dell’UE si pone come un processo temporale che si snoda dagli anni ’50
fino ad oggi. Questo processo, che ha determinato via via un rafforzamento della dimensione
sovranazionale rispetto a quella intergovernativa, è stato determinato sia dagli Stati, attraverso opportune
revisioni ai trattati, sia dai giudici della Corte di giustizia, l’organo giurisdizionale chiamato a garantire il
rispetto del diritto nell’UE.

La Corte di giustizia ha infatti utilizzato quale faro della sua giurisprudenza, particolarmente evolutiva, il
fatto di garantire la massima effettività al diritto dell’UE, imponendo il rispetto di quest’ultimo agli Stati
membri che a volte tendevano e tendono a far primeggiare il diritto interno a discapito di quello europeo.

Per cogliere le specificità dell’UE, il suo essere appunto ordinamento sovranazionale, vediamo di
considerare 3 aspetti generali: la progressiva estensione delle competenze; il piano istituzionale e le
procedure decisionali; il piano delle fonti del diritto dell’UE e il loro rapporto con il diritto degli Stati.

Evoluzione storica e competenze: L’UE in origine non si chiamava così. Esistevano le tre Comunità europee:
la Comunità Europea del Carbone e dell’acciaio, la Comunità Economica Europea e la Comunità Europea
dell’Energia Atomica. La prima in ordine di tempo è stata la CECA (1952) e poi nel 1957 la CEE e la CEEA o
EURATOM. L’UE nascerà solo nel 1992 e solo dal 2009, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, l’UE è
subentrata alla precedente Comunità europea (che aveva perso l’aggettivo economica nel 1992).

Ora il dato caratteristico delle tre comunità e oggi dell’UE è che si tratta di organizzazioni internazionali che
sono state istituite attraverso Trattati. Come abbiamo visto, la caratteristica del Trattato è quella di essere
un accordo volontario tra stati. Sicché, l’appartenenza all’UE è una decisione sovrana dei singoli stati che
rimangono liberi, come nel caso del Regno Unito, di uscirne.

La modifica dei Trattati istitutivi presuppone il CONSENSO UNANIME di tutti gli stati parte (in origine 6, ma
oggi 27). Quindi tutte le modifiche ai diversi trattati (che prendono il nome dalla città in cui sono state
firmate – Maastricht, Amsterdam, Nizza, Lisbona …) che sono intervenute e che interverranno necessitano
del consenso degli stati – Esecutivi e parlamenti nazionali.

Attraverso i trattati istitutivi (quello CECA del 1952 e poi quello CEE e CEEA del 1957) e loro successive
modifiche, gli Stati hanno attribuito alle Comunità e poi all’Unione – più correttamente, alle istituzioni di
questa (Parlamento Europeo, Consiglio, Commissione) il potere di assumere atti normativi (quindi di fare
norme giuridiche, attraverso i Regolamenti, direttive e decisioni – il diritto derivato) in una serie di ambiti
materiali. A differenza dello Stato, l’UE non può assumere atti normativi (“leggi”) se non nei limiti
esplicitamente conferiti dai Trattati.

Attualmente, i trattati in vigore sono due: il Trattato sull’UE e il Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE),
entrambi firmati a Lisbona nel 2009. Per sapere su quali materie l’UE può legiferare, bisogna andare a
vedere il TFUE. Ad esempio: l’UE ha delle competenze, poteri in materia di immigrazione, ma il Trattato
riserva agli Stati, quindi lascia a questi ultimi, la decisione di decidere i flussi di immigrazione economici.
L’UE ha competenza esclusiva in materia monetaria, per gli stati che appartengono all’Euro, ma ne ha scarsi
in materia di politiche economiche (quante tasse mettere, se ricorrere al debito, per che cifra etc) e non
può imporre lei stessa tasse.

L’UE quindi si fonda su un principio di attribuzione. Può appunto assumere “leggi”, il diritto dell’UE cd.
derivato, solo nei settori che le sono stati attribuiti dagli Stati con i trattati istitutivi.

I diversi trattati che si sono succeduti nel tempo hanno progressivamente esteso gli ambiti di intervento
dell’UE. Inoltre, da una concezione dell’integrazione dell’UE essenzialmente limitata ad un ambito
economico e volta a istituire un mercato comune si è passati ad un’integrazione anche su settori diversi, più
“politici”, che connotano la sovranità statuale.

CECA 1952: il trattato crea un mercato comune del carbone e dell’acciaio, il primo ancora essenziale fonte
di energia, il secondo utile per la ricostruzione postbellica. La CECA attribuisce ad un organismo della
Comunità il potere di assumere iniziative vincolanti per le imprese produttrici, potendo anche imporre
limitazioni alla produzione se funzionale alla circolazione.

CEE 1957: è l’estensione del metodo nato con la Ceca ad altri settori. Essenzialmente, si vuole creare un
mercato comune. Le merci, ma anche i lavoratori, i fornitori di servizi possono liberamente circolare nel
territorio degli Stati membri senza che questi possano imporre dazi o ostacolarne con misure
discriminatorie la circolazione. Al fine di agevolare la circolazione, si rende necessario determinare dei
requisiti di qualità comuni alle merci prodotte on EU. Questo spiega l’esistenza di norme anche molto
dettagliate e puntuali sullo smercio dei vari prodotti. Ad esempio, se commercio vernici e solventi, ogni
paese avrà il suo modo di indicare i componenti chimici, prevederà quantitativi più o meno tollerabili di una
certa sostanza e così via. Questa diversità di regolazione tra Stati rappresenta un ostacolo al commercio di
prodotti. Si rende così necessario che le istituzioni dell’UE abbiano discipline uniformi. Per questo, al fine di
garantire regole armonizzanti per favorire la libera circolazione dei prodotti si impone l’adozione di norme
in materia ambientale, in materia di parità di retribuzione uomo donna e in generale di condizioni in
materia di lavoro perché differenze in questi settori tra paesi membri possono determinare costi aggiuntivi
per alcune imprese. In questo modo, la CEE progressivamente estende la possibilità di intervenire anche su
materie in cui il nesso con l’integrazione dei mercati è presente ma in modo indiretto: ambiente, condizioni
dei lavoratori, appalti pubblici, etc.

Atto Unico Europeo 1987-1989: è la prima modifica dei Trattati (del TCE) che formalizza tutta una serie di
materie su cui già l’Unione interveniva. Si tratta della materia ambientale, fondi strutturali, politica sociale.

Maastricht 1992: Segna uno spartiacque nell’evoluzione istituzionale dell’ordinamento comunitario.


Maastricht delinea una struttura istituzionale a tempio greco, fondata su tre pilastri. Il primo pilastro
comprende le tre comunità, disciplinate dai rispettivi trattati (CECA, CE e CEEA). Gli altri due pilastri detti
Politica estera e sicurezza comune (PESC) e Giustizia e affari interni sono disciplinati nel Trattato dell’UE. Il
trattato dell’UE prevede anche delle istituzioni comuni che operano sia nel primo pilastro che nel secondo
e nel terzo. L’aspetto importante è che si ha per la prima volta un’estensione del ruolo dell’UE rispetto
materie tipiche della sovranità dello Stato (politica estera, difesa comune, giustizia penale famiglia),
segnando un superamento della logica dell’integrazione esclusivamente dei mercati.
Tuttavia, a differenza di quello che si prevede nel primo pilastro, nel II e III pilastro le decisioni si prendono
seguendo il metodo intergovernativo (vedi infra), cioè all’unanimità e dalle sole istituzioni che
rappresentano gli esecutivi. Vengono poste le basi per attribuire all’UE la competenza esclusiva in materia
di politica monetaria, per gli stati che adottano UE, invece le decisioni sulle politiche economiche sono
lasciati agli Stati membri pur prevedendo un potere di coordinamento dell’UE.

Amsterdam 1999/Nizza 2001- rafforzano la dimensione sovranazionale. Materie importanti come


l’immigrazione e l’asilo vengono comunitarizzate. A Nizza viene solennemente proclamata la Carta dei diritti
fondamentali dell’UE

Lisbona 2009: segue il fallimento dell’entrata in vigore del Trattato che istituisce una costituzione per
l’Europa, che doveva nelle intenzioni segnare uno sviluppo più marcato sulla strada dell’integrazione
europea. A Lisbona, viene meno la struttura a pilastri di Maastricht. Ci sono due trattati: il Trattato sull’UE
che contiene: le finalità dell’UE, i principi su cui si fonda, le istituzioni, come si modificano i Trattati, come si
entra a far parte dell’Unione. Il TUE continua a disciplinare il settore della politica estera e sicurezza
comune in cui le norme continuano ad essere adottate secondo modalità intergovernative. Il vecchio terzo
pilastro (cooperazione di polizia e giudiziaria in materia pensale e civile) viene invece assorbito nel Trattato
sul funzionamento dell’UE. Anche questi settori sono disciplinati secondo il metodo comunitario --

Istituzioni e meccanismo decisionale: in origine, le comunità europee presentavano tratti marcatamente


intergovernativi tipici di un’organizzazione internazionale.

Le istituzioni dell’UE sono infatti: il Consiglio -è formato da un rappresentante per stato membro a livello
ministeriale. Non c’è una formazione unica, ma variabile a seconda delle materie. Si discute di politica
sociale: il consiglio sarà formato dai ministri del lavoro dei 27 stati membri. Il Consiglio è l’organo
intergovernativo per eccellenza perché in esso sono rappresentati gli esecutivi degli Stati membri secondo
uno schema classico del diritto internazionale; il Parlamento europeo - è l’organo che dal 1979 è eletto
direttamente dai cittadini dell’Unione europea (in precedenza invece erano scelti dai parlamenti nazionali
tra i propri parlamentari). Rappresenta l’interesse dei cittadini dell’Unione, quindi l’anima sovranazionale.
La Commissione: è formata da un commissario per stato membro, MA il commissario non è un
rappresentante del proprio stato. Deve agire nell’interesse dell’Unione. Decide a maggioranza. (più Corte di
giustizia, Consiglio Europeo, Banca centrale europea)

Il Trattato CEE del 1957 spiccava per un procedimento decisionale marcatamente intergovernativo. Come
abbiamo detto prima, in relazione alle materie date alla CEE dai Trattati istitutivi, gli organi dell’unione
potevano assumere regolamenti e direttive cioè delle “leggi” che producono effetti negli ordinamenti
nazionali.

Come si adottavano queste leggi?

Lo schema iniziale era come detto intriso di aspetti intergovernativi, internazionali. Ciò voleva dire una
prevalenza del canale di legittimazione degli stati.

Commissione: monopolio deLL’INIZIATIVA DELLA PROPOSTA. Questo è stato fin da subito un elemento
eccentrico rispetto alla tradizione intergovernativa. La Commissione, che rappresenta l’interesse generale
dell’UE e non la sommatoria degli interessi nazionali, ha il potere esclusivo di presentare disegni di
regolamenti e direttive. Non li adotta, ma incide attivamente sulla procedura decisionale. (oltre a questo la
Commissione ha il compito di vigilare sul rispetto del diritto dell’UE da parte degli stati - la guardiana dei
trattati. Inoltre gestisce il bilancio dell’UE).
Adozione di regolamenti e direttive funzione legislativa per intendersi: spettava al Consiglio, cioè agli
esecutivi nazionali. Inoltre si votava per lo più all’UNANIMITa’ cioè tutti gli stati dovevano essere d’accordo
e questo garantiva la salvaguardia dell’interesse nazionale.

Parlamento europeo: il ruolo del parlamento europeo era debole. Forniva solo un parere rispetto alla
proposta della Commissione, ma non può modificare l’atto.

Nonostante il potere di iniziativa della Commissione, la procedura decisionale rifletteva una natura
tipicamente di diritto internazionale. Nel diritto internazionale i soggetti di diritto sono gli Stati. Non rileva
se uno Stato sia grande o piccolo, rileva sempre lo stato. La regola di fondo è che lo stato è sovrano e
dunque si vincola a norme esterne solo se le accetta volontariamente. Ecco perché prevale la regola
dell’unanimità. Inoltre l’organo che decide è rappresentativo degli esecutivi nazionali, cioè dell’organo cui
normalmente spetta la conduzione della politica estera. La legittimazione democratica della CEE è in questa
fase solo indiretta: si fonda sugli esecutivi, che a loro volta rispondono al proprio elettorato, ma su base
nazionale, non europea.

L’estensione delle competenze della CEE porta però alla necessità di rafforzare il ruolo del Parlamento
europeo. Inoltre, l’estensione dell’UE a nuovi stati membri non rende più praticabile il ricorso all’unanimità.
L’incidenza del diritto dell’UE sugli ordinamenti nazionali pone un problema di legittimazione democratica
che non può essere soddisfatta solo attraverso il fatto che gli esecutivi nazionali siano legittimati nei loro
ordinamenti interni dai loro parlamenti o cittadini.

-- la tendenza che emergerà tra Atto Unico Europeo, Maastricht, Amsterdam et. sarà quella di superare
questo modello decisionale per introdurre elementi che da un lato rafforzino il ruolo del Parlamento, unica
istanza eletta direttamente dai cittadini dell’Unione, nel procedimento decisionale, dall’altra, a superare il
principio di unanimità in seno alle deliberazione del Consiglio.

1) in seno al Consiglio si passa dall’unanimità a meccanismi che prevedono il voto a maggioranza, così da
superare la possibilità che il Governo di uno Stato ponga il veto.

2. ) il parlamento europeo viene progressivamente equiparato al Consiglio, quindi all’organo


intergovernativo, sia nei procedimenti decisionali sia nella nomina della Commissione. Non solo parere, ma
co-legifera. Ci deve essere accordo.

ESITO

Procedura legislativa ordinaria: nel trattato di Lisbona si prevede che direttive e regolamenti vengano
adottati secondo una procedura detta legislativa ordinaria. La proposta di regolamento e direttiva è
presentata sempre dalla Commissione. Tuttavia, Il parlamento europeo e il Consiglio possono modificarla
ma alla fine devono convenire su uno stesso testo (le due catene di legittimazione – quella degli stati che si
esprime nel Consiglio e quella comunitaria/sovranazionale che si esprime nel Parlamento UE – si
equivalgono). Inoltre, in seno al Consiglio la decisione è presa a maggioranza: sono necessari il 55% dei
membri del Consiglio (quindi Stati) che corrispondano al 65% popolazione UE (quindi questi Stati devono
anche essere sufficientemente popolosi in modo da rappresentare una maggioranza del “popolo” dell’UE.
Se contassero solo gli stati, secondo un’ottica internazionale, magari tutti gli stati piccoli raggiungerebbero
la maggioranza numerica di stati ma tutti insieme non sarebbero espressivi della maggioranza del popolo
dell’UE. Tenere conto dei due elementi – numero di stati e popolazione – è tenere conto delle due
dimensioni dell’UE quella intergovernativa e quella comunitaria, sovranazionale.

Nb: sebbene questa sia la procedura più applicata non è l’unica. Permangono molte aree in cui il
parlamento europeo esprime solo un parere e il Consiglio vota all’unanimità. Ricorda poi Pesc che è
settore ancora intergovernativo.
Fonti del diritto: nel diritto dell’UE abbiamo il diritto primario che è rappresentato dai trattati istitutivi. Poi
abbiamo il cd. diritto derivato. Il trattato autorizza Commissione, Parlamento e Consiglio, nelle modalità
sopra descritte, ad adottare Regolamenti e direttive. Solo i primi sono applicabili direttamente negli Stati
dell’UE, mentre le seconde devono essere recepite dagli Stati membri entro un termine. Vedi però sotto
l’efficacia diretta.

Il regolamento rappresentò una novità nel panorama delle organizzazioni internazionali: esso infatti
rompeva il necessario filtro dello Stato applicandosi direttamente negli ordinamenti nazionali senza che gli
Stati recepissero l’atto. Il diritto contenuto nel Regolamento esplicava effetti diretti, creando diritti e
obblighi in capo non solo agli Stati ma anche ai cittadini e alle imprese dell’UE.

Corte di giustizia

Abbiamo visto come gli Stati, attraverso modifiche ai Trattati istitutivi, abbiano rafforzato la dimensione
sovranazionale rispetto a quella originariamente intergovernativa. Hanno esteso le competenze dell’UE,
hanno introdotto un meccanismo decisionale in cui il Parlamento europeo, organo direttamente eletto dai
cittadini dell’UE, partecipa su una base di parità con il Consiglio, organo che rappresenta gli Stati; hanno
superato la regola dell’unanimità in seno al Consiglio;, hanno previsto una fonte del diritto come il
regolamento in grado di produrre effetti immediatamente vincolanti negli ordinamenti degli Stati membri;
hanno dotato l’UE di un catalogo di diritti che sia le istituzioni dell’UE sia gli Stati membri quando attuano il
diritto dell’UE devono rispettare. Oltre a ciò, i trattati delle tre comunità avevano istituito un organo
giurisdizionale -la Corte di giustizia – che doveva garantire il rispetto del diritto dell’UE. Questa era una
grossa novità: sono ancora relativamente rare le giurisdizioni internazionali istituite attraverso un trattato.
(metodo comunitario)

La Corte di giustizia si mostrerà centrale nel costruire e rafforzare il carattere sovranazionale della CEE
prima e dell’UE poi. La sua giurisprudenza sarà caratterizzata dalla volontà di garantire al diritto dell’UE la
massima efficacia possibile rispetto al diritto nazionale. Per farlo, la Corte di giustizia ha soprattutto fatto
leva sui cittadini dell’Ue e soprattutto sui giudici nazionali.

La Corte di giustizia è composta di tanti giudici quanti sono gli Stati. I giudici tuttavia sono scelti tra
personalità che devono garantire la completa indipendenza alla Corte. Inoltre, la Corte di giustizia giudica
secondo camere, cioè formazioni di 5 o 7 giudici.

Cosa fa esattamente la Corte di giustizia?

Come tutti i giudici, la Corte deve essere adita da qualcuno. Sono essenzialmente tre i modi in cui la Corte
viene chiamata in causa e questi tre tipi di ricorso svolgono funzioni distinte.

Ricorso di inadempimento: allorché si ritenga che uno Stato dell’UE abbia violato il diritto dell’UE (non
abbia rispettato una sentenza della corte di giustizia, non abbia trasposto una direttiva, abbia
indebitamente dato soldi ad una sua impresa falsando la concorrenza europea), la Commissione avvia una
procedura di infrazione in cui sollecita lo Stato a porre fine al suo inadempimento, dopo averlo messo in
condizione di presentare sue osservazioni a riguardo. Se questa fase non contenziosa, non ha successo, la
Commissione, nel suo ruolo di guardiana dei Trattati, si rivolge alla Corte di giustizia. Questa potrà
dichiarare l’inadempimento al diritto dell’UE e in talune circostanze condannare lo stato ad una sanzione
economica.
Ricorso di annullamento: la funzione qui è diversa. Se nel ricorso di inadempimento si sanziona lo stato per
aver violato il diritto UE, il ricorso di annullamento serve per invalidare, dichiarare illegittimo un atto di
diritto dell’Unione derivato laddove ha violato il diritto primario cioè il Trattato. E’ un esempio di ricorso di
tipo diretto e astratto. Il ricorso spetta infatti ad alcuni soggetti istituzionali (lo Stato, Il PE, Il Consiglio, la
Commissione). È sostanzialmente precluso al singolo impugnare un regolamento o una direttiva. Esempio: il
regolamento dell’UE viene ritenuto illegittimo perché non rispetta determinati diritti fondamentali o perché
è stato assunto in relazione ad un ambito rispetto al quale UE non aveva competenza.

Rinvio pregiudiziale (di interpretazione): è lo strumento centrale, quello che ha consentito alla Corte di
giustizia di sviluppare il diritto materialmente costituzionale dell’UE. Gli estensori dei Trattati avevano
ipotizzato uno strumento mediante il quale ogni giudice nazionale, qualora avesse un dubbio sulla corretta
interpretazione da dare a una norna di diritto dell’UE che il giudice dovesse applicare per risolvere una
controversia dinnanzi a lui pendente (un regolamento ad esempio, o una legge nazionale attuativa della
direttiva), avrebbe potuto, se giudice di primo o secondo grado, dovuto se di ultima istanza, porre una
questione pregiudiziale alla Corte di giustizia.

Il meccanismo del rinvio pregiudiziale è simile, da un punto di vista procedurale, a quello visto nel caso
italiano per adire la Corte costituzionale: il giudice nazionale dubita della corretta interpretazione da dare al
testo del regolamento dell’UE e chiede un chiarimento alla Corte di giustizia. Sospende dunque il suo
processo, pone alla Corte la sua domanda, e poi una volta che la Corte di giustizia ha risposto, riassume la
sua causa e decide.

Nel rinvio pregiudiziale, almeno in origine, il giudice nazionale avrebbe dovuto chiedere l’esatta
interpretazione della data norma di diritto dell’UE. Ad esempio, il trattato parla di divieto agli stati di porre
dazi e restrizioni equivalenti nella libera circolazione delle merci. Cosa vuol dire restrizioni equivalenti? E
così via.

Ma la Corte di giustizia nella sentenza Van Gend en Loos del 1961 va decisamente oltre e trasforma il
rinvio pregiudiziale in uno strumento attraverso cui il giudice nazionale può chiedere alla Corte di
giustizia se il diritto interno è o meno conforme al diritto dell’UE.

Il risultato è che ogni giudice nazionale, anche se di prima istanza, si trasforma in un giudice dell’Unione
Europea e può/deve porsi il problema, quando interpreta e applica il proprio diritto nazionale, se questo
sia o meno in contrasto con il diritto dell’UE. La Corte di giustizia ottiene un risultato formidabile: si
garantisce attraverso i giudici nazionali di avere un controllo capillare sull’efficacia del diritto dell’UE, ben
maggiore di quanto si possa avere con il ricorso di inadempimento, dove tutto passa attraverso
l’attivazione di un organo centrale come la Commissione.

Ma vi è di più. Una volta che la Corte di giustizia ha trasformato il rinvio pregiudiziale in uno strumento
per controllare la compatibilità del diritto interno nazionale con il diritto UE, cosa accade laddove essa
effettivamente riscontri tale incompatibilità?

Ricorda: la Corte di giustizia non è un giudice nazionale e non è una corte costituzionale. Non annulla le
norme, le “leggi” degli Stati membri. Ma…ha abilitato i singoli giudici nazionali a farlo.

Principio del PRIMATO: come negli Stati federali, dove il diritto della federazione prevale su quello degli
stati parte di essa, così vale nell’UE (elemento appunto che rimanda a modello statuale).

La Corte di giustizia ha affermato, pur in assenza di una esplicita menzione in tal senso nei trattati, che il
diritto dell’UE prevale sul diritto interno con esso incompatibile e, laddove tale diritto dell’UE sia
direttamente applicabile, il giudice nazionale è tenuto a DISAPPLICARE la legge interna, anche se di rango
costituzionale, e ad applicare il diritto dell’UE. (sentenza Costa vs. Enel)

Il principio del primato rappresenta ancora oggi un principio difficile da accettare, soprattutto laddove esso
implichi anche la possibilità di derogare alla Costituzione. Per la Corte di giustizia, infatti, non rileva il fatto
che l’incompatibilità sia contenuta in un atto di rango costituzionale. Inoltre, il principio del Primato abilita
il giudice ordinario a non applicare la legge.

Come ricorderai questo cozza con il principio per cui il giudice è tenuto all’osservanza della legge, votata dal
Parlamento, e, in caso di conflitto con la Costituzione, sottoporre la questione alla Corte costituzionale. Per
questo motivo, ci sarà un contrasto forte con la nostra corte costituzionale. Il principio del primato verrà
infatti affermato in una sentenza della Corte di giustizia proprio a seguito di una sentenza della Corte
costituzionale italiana che affermava il principio per cui la legge successiva poteva abrogare il regolamento
dell’UE.

L’obbligo di disapplicazione della fonte nazionale a favore dell’applicazione del diritto dell’UE vale però solo
nel caso in cui il diritto dell’unione europea sia dotato di efficacia diretta.

Cosa vuol dire? Vuol dire che la norma di diritto dell’UE deve essere sufficientemente precisa e
incondizionata cioè non necessitare di un’attività implementativa/attuativa. Solo a queste condizioni, la
norma di diritto dell’UE può dunque essere applicata dal giudice per risolvere la controversia che ha di
fronte a sé.

Quando la norma di diritto dell’UE ha il carattere della efficacia diretta?

Nel caso di un regolamento, l’efficacia diretta/diretta applicabilità si ha per definizione, sulla base del
Trattato.

Nel caso delle disposizioni del Trattato si tratta di un problema di interpretazione: sarà il giudice, dell’UE, a
stabilire se detta norma sia dotata di efficacia diretta.

Infine abbiamo le direttive. Come ricorderai queste per definizione sono prive di efficacia diretta, perché
presuppongono che lo Stato si attivi e le trasponga nell’ordinamento internazionale.

Tuttavia, la Corte di giustizia ha detto che anche le direttive possono produrre effetti diretti. Se la direttiva
non è stata trasposta dall’ordinamento nazionale entro il termine oppure lo è stata ma scorrettamente, il
giudice nazionale può applicare ugualmente le norme in essa contenute. Ciò è possibile però solo

- se il termine per trasporre la direttiva sia trascorso

- se la norma in questione sia sufficientemente precisa e incondizionata

- se la controversia riguardi lo Stato o un ente pubblico e un cittadino. Non può aversi efficacia diretta se il
rapporto della controversia sia tra due soggetti privati.

In pratica, la previsione per cui anche le direttive possono produrre effetti diretti è stato un modo per
“sanzionare” gli stati che risultavano inadempienti nella trasposizione delle direttive.

Schema e passaggi rilevanti delle sentenze della Corte costituzionale italiana e della Corte di giustizia
(oggi dell’UE) in materia di primato del diritto dell’UE e conseguente risoluzione delle antinomie tra
diritto interno e dell’UE.
La Corte costituzionale italiana è stata più volte chiamata a decidere sul contrasto tra le leggi ordinarie e il
diritto dell’UE e ha dato nel tempo risposte differenti, applicando diversi criteri di risoluzione delle
antinomie, anche perché a ciò indotta dalle sentenze della Corte di giustizia, non propriamente concilianti
con gli assetti dati volta per volta dalla Corte costituzionale italiana.

In un primo momento (sent. 14/1964 Costa c. Enel) la Corte costituzionale (vedi dopo n. 1) aveva ritenuto
che i conflitti tra leggi italiane e normativa comunitaria direttamente applicabile (quindi regolamenti,
norme del Trattato sufficientemente precise e incondizionate, norme contenute in direttive non trasposte,
in rapporti verticali e se sufficientemente precise e incondizionate) dovessero essere risolti applicando il
criterio cronologico (cioè la legge successive abroga la legge precedente). Ciò però implicava che una
qualsiasi legge italiana successiva avrebbe potuto abrogare un regolamento comunitario.

Contro questa ricostruzione del rapporto tra fonti nazionali e fonti comunitarie si pronunciava la Corte di
giustizia delle Comunità Europee affermando il primato della fonte comunitaria su qualsiasi fonte interna
(Corte giust. Costa-Enel, 6./1962 – vedi dopo doc. n. 2)

L’affermazione del primato del diritto dell’UE (se direttamente applicabile) rispetto al diritto nazionale
(anche in ipotesi di quello di rango costituzionale) e soprattutto il conseguente obbligo per ogni giudice (cfr.
sent. Corte giustizia Simmenthal – vedi dopo doc. n. 3), di disapplicare il diritto interno (legge) e applicare il
diritto dell’UE sono senza precedenti nel contesto internazionale. Sebbene per l’ordinamento
internazionale le norme da esso prodotte sono necessariamente da rispettare (pacta servanda sunt), esso,
però, non precisa in alcun modo come ciò debba avvenire e certamente non impone al giudici nazionali
alcun obbligo di invalidare la legge interna. Vige un principio di stretta separazione tra gli ordinamenti:
spetta all’ordinamento nazionale stabilire se e come garantire gli obblighi derivanti dal diritto
internazionale. Come si è visto, una sentenza di un giudice internazionale (ad esempio la Corte edu) che
dovesse ritenere una legge interna in conflitto con le disposizioni della Convenzione EDU ha mero valore
dichiarativo e non determina alcun annullamento della legge interna.

La Corte di giustizia è consapevole di ciò e pertanto, in modo simile a quanto fatto in Van Gend en Loos si
rifà a un’interpretazione di tipo teleologico del Trattato istitutivo. Il punto di partenza è rappresentato
proprio dalla circostanza che l’ordinamento dell’UE/comunitario, pur nato da un trattato internazionale, è
qualcosa di profondamente diverso da quest’ultimo (sovranazionale appunto). Al cuore del ragionamento
della Corte di giustizia c’è pur sempre il tema dell’effettività: l’affermazione del primato è funzionale a
garantire la primazia del diritto UE su quello nazionale a prescindere dalla posizione che gli Stati
attribuiscono nella gerarchia delle fonti al diritto internazionale e di riflesso a quello comunitario/UE. Essa,
inoltre, imponendo al giudice nazionale di disapplicare la legge interna, se in contrasto con il diritto dell’UE,
trasforma il giudice nazionale in giudice europeo, primo garante della corretta applicazione del diritto
dell’UE.

Successivamente, la Corte costituzionale italiana, con la sent. 232/1975 (sentenza Frontini), cercò di
adeguarsi alle affermazioni della Corte di giustizia e sostenne allora che le antinomie tra diritto comunitario
e diritto nazionale andassero risolte applicando il criterio gerarchico: le leggi italiane che contrastassero con
un precedente regolamento CE dovevano essere impugnate davanti alla Corte costituzionale stessa per
violazione “indiretta” dell’art. 11 Cost, la disposizione costituzionale che era stata invocata a giustificazione
delle limitazioni della sovranità che l’Italia aveva assunto aderendo alla CEE.

Questa soluzione risultava coerente coi principi del nostro ordinamento costituzionale: poiché, infatti, l’art.
101, c. 2, della Cost. stabilisce che il giudice è soggetto soltanto alla legge, questi, nel caso in cui si trovi a
dover applicare una legge incostituzionale (come sarebbe la legge in contrasto con un regolamento
comunitario, per violazione mediata dell’art 11 Cost.), non potrebbe decidere di disapplicarla o annullarla
ma dovrebbe rimettere la questione alla Corte costituzionale italiana, l’unico organo competente a
conoscere dei vizi di legittimità costituzionale delle leggi.

Tuttavia questa soluzione non era priva di inconvenienti, giacché si doveva pur sempre attendere
l’intervento della Corte costituzionale per vedere annullare una norma interna in contrasto con il diritto
comunitario, con serio pericolo per l’effettività del diritto comunitario stesso.

Su sollecitazione allora della Corte di giustizia, la Corte costituzionale giunge, con la sentenza 170/1984
Granital (vedi dopo doc. 4) a individuare un nuovo criterio di risoluzione delle antinomie del diritto
comunitario (attenzione, solo di quello direttamente applicabile – regolamenti – alcune disposizioni del
Trattato CE, direttive dotate dell’efficacia diretta) e del diritto nazionale. Partendo dal presupposto che i
due ordinamenti, quello comunitario e quello nazionale, sono autonomi e distinti e quindi dotati di un
proprio sistema delle fonti, la Corte costituzionale giunge a ritenere che i conflitti tra norme vadano risolti
dal giudice italiano applicando il criterio della competenza. Il giudice deve verificare se, in base alla
ripartizione delle competenze operate dai Trattati istitutivi della CE, sulla materia sia competente
l’ordinamento comunitario o quello italiano. Nel caso in cui la materia sia stata devoluta all’ordinamento
comunitario, la norma nazionale che dovesse disciplinare tale ambito e che si ponesse in contrasto con il
diritto comunitario direttamente applicabile non verrebbe né abrogata né annullata, ma semplicemente
non applicata. Si fa quindi applicazione del criterio della competenza, sicché la fonte nazionale che vada a
disciplinare un ambito riservato alla competenza comunitaria non è ritenuta illegittima dal giudice ordinario
ma non applicabile al caso di specie, dovendosi applicare la fonte comunitaria

L’unico limite alla prevalenza della fonte comunitaria e alla conseguente disapplicazione (rectius non
applicazione) del diritto nazionale è l’ipotesi in cui la normativa comunitaria direttamente applicabile (es.
regolamento) sia in contrasto coi principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale (assimilabili
ai principi supremi di cui sent. 1146/88) e ai diritti inalienabili della persona umana. Secondo questa teoria
(dei controlimiti), il primato del diritto comunitario si deve arrestare ogniqualvolta esso metta in gioco
principi caratterizzanti la forma di stato stessa dell’ordinamento italiano, mettendo a repentaglio la
sovranità dell’Italia. In questa ipotesi, e solo in questa, il giudice non potrebbe applicare il diritto
comunitario ma dovrebbe rimettere alla Corte costituzionale la legge nazionale di esecuzione del Trattato,
al fine di verificare se questa sia in contrasto con i principi fondamentali del nostro ordinamento nella parte
in cui abbia consentito l’ingresso di una specifica fonte comunitaria in contrasto con detti principi.

Secondo, dunque, la sentenza Granital i rapporti tra diritto nazionale e diritto dell’UE andrebbero risolti nel
seguente modo:

a) se la norma di rango legislativo di diritto interno confligge con una norma di diritto dell’UE direttamente
applicabile, è lo stesso giudice nazionale, di qualsiasi grado, a risolvere il conflitto, applicando i principi
contenuti in Costa e Simmenthal. Quindi, procederà a disapplicare la norma interna ed applicare quella
dell’UE. Qualora il giudice nazionale abbia un dubbio sulla portata del diritto dell’Ue, o sulla sua diretta
applicabilità, o sull’effettivo contrasto con la norma interna, il giudice cui dovrà fare riferimento è la stessa
Corte di giustizia, attraverso il rinvio pregiudiziale. Il giudice ordinario non deve invece porre la questione di
costituzionalità della legge interna che contrasti con il diritto dell’UE all’attenzione della Corte
costituzionale per violazione dell’art. 11 e oggi 117 Cost. it. La questione di costituzionalità che venisse in
ipotesi posta dal giudice ordinario verrebbe ritenuta inammissibile.

b) se il conflitto è tra legge nazionale e diritto dell’UE non direttamente applicabile (ad esempio una
disposizione contenuta in una direttiva che non è sufficientemente precisa e incondizionata o che è
applicata a un rapporto tra privati), il primato e quindi la diretta disapplicazione non operano. Tuttavia, è
pur sempre possibile che sussista il conflitto tra legge interna e diritto dell’Unione, seppure non
direttamente applicabile. Non sarà però il giudice ordinario a risolvere il conflitto. Egli sarà tenuto a porre
alla Corte costituzionale il dubbio di costituzionalità della legge interna, in ritenuto contrasto con il diritto
dell’UE. La Corte costituzionale, però, giudica dell’illegittimità della legge in riferimento a un parametro
costituzionale. Questo sarà rappresentato dall’art. 11 e/o 117 della Cost. In sostanza, il giudice ordinario
dovrà chiedere alla Corte costituzionale se la legge interna sia illegittima per violazione dell’art. 11 o 117
Cost (che come detto sanciscono la superiorità del diritto dell’Unione rispetto alla legge), nella misura in cui
essa si ritiene contrastare con il diritto dell’UE. La Corte costituzionale a sua volta potrà effettuare un rinvio
pregiudiziale alla Corte di giustizia al fine di avere una corretta indicazione circa l’interpretazione del diritto
dell’UE.

c) C’è poi un’altra situazione di cui conviene dare conto ed è l’eventualità che il diritto dell’UE, dotato del
primato, possa confliggere non semplicemente con una disposizione costituzionale, ma con un principio
supremo di essa, magari cristallizzato in una disposizione costituzionale. In un’eventualità di tal genere, la
Corte costituzionale ha sempre riconosciuto che il primato dell’UE non può operare e che il giudice
nazionale sarebbe tenuto in questa ipotesi a rimettere alla stessa Corte costituzionale il potenziale conflitto
tra diritto dell’UE e principio supremo (cd. controlimiti).

Tale evenienza, per molto tempo rimasta solo teorica, si è tuttavia recentemente posta nella vicenda che ha
preso il nome di Taricco.

La vicenda Taricco ben esemplifica la natura e i conseguenti limiti della natura cd. sovranazionale e non
statale dell’UE. Secondo l’impostazione della Corte di giustizia, il diritto dell’UE e i diritti nazionali sarebbero
perfettamente integrati in un unico ordinamento giuridico in cui il diritto dell’UE, se direttamente
applicabile, prevale sul diritto nazionale, anche quello costituzionale, imponendone al giudice la
disapplicazione. In questo schema, è la Corte di giustizia ad avere l’ultima parola e a poter dire se l’UE è
competente, se il diritto dell’UE è direttamente applicabile, se il diritto nazionale è con esso incompatibile e
dunque va disapplicato. Questo schema è quello normalmente rinvenibile in una struttura di stato federale,
dove il diritto federale prevale appunto su quello degli stati parte.

Tuttavia, l’UE non è uno Stato. Le Corti costituzionali nazionali rivendicano di avere l’ultima parola sul
presupposto di essere le custodi delle Costituzioni nazionali e quindi in ultima analisi della stessa
legittimazione democratica dello Stato.

Ne deriva un equilibrio precario in cui nessuno dei due organi giudicanti ha o può avere davvero l’ultima
parola. Si parla a riguardo con linguaggio più descrittivo-evocativo che prescrittivo, di “dialogo tra Corti”
proprio per sottolineare, come evidenziato nel caso Taricco, che la soluzione viene trovata essenzialmente
caso per caso, sulla base di rapporti dialogici in cui le Corti costituzionali hanno accettato di sottoporre esse
stesse questioni pregiudiziali alla Corte di giustizia e la Corte di giustizia si mostra talvolta più disponibile ad
accettare il punto di vista nazionale.

E’ da evidenziare a riguardo che il principio del primato rimane ancor oggi un principio giurisprudenziale.
Esso non risulta stabilito nella lettera dei Trattati. Il Trattato-costituzione per l’Europa lo prevedeva, ma
esso come si sa non è mai entrati in vigore. Il trattato di Lisbona non lo prevede.

Si può dire che la giurisprudenza Costa e Simmenthal è stata elaborata in un frangente in cui si trattava di
garantire soprattutto la supremazia del diritto europeo rispetto a leggi nazionali, più che rispetto a
disposizioni costituzionali. Ma l’allargamento delle competenze dell’UE in relazione a settori sensibili per i
diritti umani (ad esempio la materia penale e processuale, come visto in Taricco), da un lato, la circostanza
di prevedere una Carta dei diritti fondamentali che si impone non solo alle istituzioni dell’UE ma anche agli
Stati membri ogniqualvolta attuino diritto dell’UE, dall’altro, stanno aumentando le occasioni di conflitto tra
Corti costituzionali nazionali e Corte di giustizia.

Di questo potenziale conflitto, è significativo indice la previsione di cui all’art 4.2 TUE, inserito ad opera del
Trattato di Lisbona del 2009, secondo cui: «L’Unione rispetta l’uguaglianza degli Stati membri davanti ai
Trattati e la loro identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale,
compreso il sistema delle autonomie locali e regionali».

Tale clausola consente, infatti, agli Stati e alle Corti costituzionali di invocare da parte dell’UE possibili
trattamenti derogatori ogniqualvolta l’applicazione del diritto dell’UE possa mettere in discussione un
principio che connota l’identità nazionale-costituzionale dello Stato membro. A sua volta, la Corte di
giustizia può rifarsi a tale principio per ammettere una certa flessibilità nell’applicazione del diritto dell’UE.

1) Corte costituzionale – sentenza 14/1964 Costa/Enel – Non fondata la questione di costituzionalità della
legge 1643 del 1962 per violazione indiretta dell’art. 11 Cost. come conseguenza della presunta violazione
della predetta legge col Trattato istitutivo Cee, reso esecutivo con legge ordinaria anteriore

SENTENZA N. 14

ANNO 1964

6. - Resta da esaminare la questione della incostituzionalità della legge istitutiva dell'E.N.E.L. sotto l'aspetto
del suo contrasto con l'art. 11 della Costituzione.

L'art. 11 viene qui in considerazione per la parte nella quale si enuncia che l'Italia consente, in condizioni di
parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la
giustizia fra le Nazioni e promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

La norma significa che, quando ricorrano certi presupposti, é possibile stipulare trattati con cui si assumano
limitazioni della sovranità ed é consentito darvi esecuzione con legge ordinaria; ma ciò non importa alcuna
deviazione dalle regole vigenti in ordine alla efficacia nel diritto interno degli obblighi assunti dallo Stato nei
rapporti con gli altri Stati, non avendo l'art. 11 conferito alla legge ordinaria, che rende esecutivo il trattato,
un'efficacia superiore a quella propria di tale fonte di diritto.

Né si può accogliere la tesi secondo cui la legge che contenga disposizioni difformi da quei patti sarebbe
incostituzionale per violazione indiretta dell'art. 11 attraverso il contrasto con la legge esecutiva del
trattato.

Non vale, infine, l'altro argomento secondo cui lo Stato, una volta che abbia fatto adesione a limitazioni
della propria sovranità, ove volesse riprendere la sua libertà d'azione, non potrebbe evitare che la legge,
con cui tale atteggiamento si concreta, incorra nel vizio di incostituzionalità. Contro tale tesi stanno le
considerazioni ora esposte, le quali conducono a ritenere che la violazione del trattato, se importa
responsabilità dello Stato sul piano internazionale, non toglie alla legge con esso in contrasto la sua piena
efficacia.

Nessun dubbio che lo Stato debba fare onore agli impegni assunti e nessun dubbio che il trattato spieghi
l'efficacia ad esso conferita dalla legge di esecuzione. Ma poiché deve rimanere saldo l'impero delle leggi
posteriori a quest'ultima, secondo i principi della successione delle leggi nel tempo, ne consegue che ogni
ipotesi di conflitto fra l'una e le altre non può dar luogo a questioni di costituzionalità.

Da tutto quanto precede si trae la conclusione che, ai fini del decidere, non giova occuparsi del carattere
della Comunità economica europea e delle conseguenze che derivano dalla legge di esecuzione del Trattato
istitutivo di essa, né occorre indagare se con la legge denunziata siano stati violati gli obblighi assunti con il
Trattato predetto. Con che resta anche assorbita la questione circa la rimessione degli atti alla Corte di
Giustizia delle Comunità europee e circa la competenza a disporre tale rinvio;

2/3) Corte giustizia C- 6/1962 Costa/ENEL e Corte Giustizia C-106/77 Simmenthal: affermazione del
principio del primato. L’ordinamento comunitario presenta aspetti peculiari rispetto all’ordinamento
internazionale. La diretta applicabilità che i Trattati conferiscono ai regolamenti comunitari (- e, come
verrà chiarito, in successive sentenze, ad altre fonti diritto comunitario [disposizioni trattato e direttive se
esse sono chiare precise e incondizionate] per le quali si parla di efficacia diretta) è di ostacolo a una
prassi nazionale che vorrebbe il diritto comunitario reso inefficace da leggi successive. Per una ragione di
efficacia del diritto comunitario, questo, se direttamente applicabile o dotato di efficacia diretta, deve
prevalere su ogni norma giuridica nazionale con esso incompatibile. I due ordinamenti – nazionale e
comunitario - risultano integrati. La norma nazionale che dovesse entrare in contrasto con quella
comunitaria è perciò invalida/illegittima. Questa invalidità può essere fatta valere da ogni giudice
nazionale disapplicando la legge interna incompatibile col diritto comunitario, contrariamente a quando
affermato dalla Corte costituzionale (sentn 232/1975), in cui pur riconoscendosi il primato del diritto
comunitario ex art. 11 Cost., non si consentiva al giudice di disapplicare la legge interna ma solo di
rimettere la questione di costituzionalità alla Corte di tale legge interna in contrasto col diritto
comunitario per violazione mediata dell’art. 11 Cost.

1) Corte Giust. Sentenza Costa/ENEL

LA CORTE RILEVA CHE, A DIFFERENZA DEI COMUNI TRATTATI INTERNAZIONALI, IL TRATTATO CEE HA
ISTITUITO UN PROPRIO ORDINAMENTO GIURIDICO, INTEGRATO NELL' ORDINAMENTO GIURIDICO DEGLI
STATI MEMBRI ALL' ATTO DELL' ENTRATA IN VIGORE DEL TRATTATO E CHE I GIUDICI NAZIONALI SONO
TENUTI AD OSSERVARE . INFATTI, ISTITUENDO UNA COMUNITA SENZA LIMITI DI DURATA, DOTATA DI
PROPRI ORGANI, DI PERSONALITA, DI CAPACITA GIURIDICA, DI CAPACITA DI RAPPRESENTANZA SUL PIANO
INTERNAZIONALE, ED IN ISPECIE DI POTERI EFFETTIVI PROVENIENTI DA UNA LIMITAZIONE DI COMPETENZA
O DA UN TRASFERIMENTO DI ATTRIBUZIONI DEGLI STATI ALLA COMUNITA, QUESTI HANNO LIMITATO, SIA
PURE IN CAMPI CIRCOSCRITTI, I LORO POTERI SOVRANI E CREATO QUINDI UN COMPLESSO DI DIRITTO
VINCOLANTE PER I LORO CITTADINI E PER LORO STESSI .

TALE INTEGRAZIONE NEL DIRITTO DI CIASCUNO STATO MEMBRO DI NORME CHE PROMANANO DA FONTI
COMUNITARIE, E PIU IN GENERALE, LO SPIRITO E I TERMINI DEL TRATTATO, HANNO PER COROLLARIO L'
IMPOSSIBILITA PER GLI STATI DI FAR PREVALERE, CONTRO UN ORDINAMENTO GIURIDICO DA ESSI
ACCETTATO A CONDIZIONE DI RECIPROCITA, UN PROVVEDIMENTO UNILATERALE ULTERIORE, IL QUALE
PERTANTO NON POTRA ESSERE OPPONIBILE ALL' ORDINE COMUNE . SE L' EFFICACIA DEL DIRITTO
COMUNITARIO VARIASSE DA UNO STATO ALL' ALTRO IN FUNZIONE DELLE LEGGI INTERNE POSTERIORI, CIO'
METTEREBBE IN PERICOLO L' ATTUAZIONE DEGLI SCOPI DEL TRATTATO CONTEMPLATA NELL' ART . 5,
SECONDO COMMA, E CAUSEREBBE UNA DISCRIMINAZIONE VIETATA DALL' ART . 7 .

GLI OBBLIGHI ASSUNTI COL TRATTATO ISTITUTIVO DELLA COMUNITA NON SAREBBERO ASSOLUTI, MA
SOLTANTO CONDIZIONATI, QUALORA LE PARTI CONTRAENTI POTESSERO SOTTRARSI ALLA LORO
OSSERVANZA MEDIANTE ULTERIORI PROVVEDIMENTI LEGISLATIVI . I CASI IN CUI GLI STATI HANNO DIRITTO
DI AGIRE UNILATERALMENTE SONO ESPRESSAMENTE INDICATI ( V . AD ES . GLI ARTICOLO 15, 93 N . 3,
223/225 )

LA PREMINENZA DEL DIRITTO COMUNITARIO TROVA CONFERMA NELL' ART . 189, A NORMA DEL QUALE I
REGOLAMENTI SONO OBBLIGATORI E DIRETTAMENTE APPLICABILI IN CIASCUNO DEGLI STATI MEMBRI .
QUESTA DISPOSIZIONE, CHE NON E ACCOMPAGNATA DA ALCUNA RISERVA, SAREBBE PRIVA DI SIGNIFICATO
SE UNO STATO POTESSE UNILATERALMENTE ANNULLARNE GLI EFFETTI CON UN PROVVEDIMENTO
LEGISLATIVO CHE PREVALESSE SUI TESTI COMUNITARI .

DAL COMPLESSO DEI MENZIONATI ELEMENTI DISCENDE CHE, SCATURITO DA UNA FONTE AUTONOMA, IL
DIRITTO NATO DAL TRATTATO NON POTREBBE, IN RAGIONE APPUNTO DELLA SUA SPECIFICA NATURA,
TROVARE UN LIMITE IN QUALSIASI PROVVEDIMENTO INTERNO SENZA PERDERE IL PROPRIO CARATTERE
COMUNITARIO E SENZA CHE NE RISULTASSE SCOSSO IL FONDAMENTO GIURIDICO DELLA STESSA
COMUNITA .

IL TRASFERIMENTO, EFFETTUATO DAGLI STATI A FAVORE DELL' ORDINAMENTO GIURIDICO COMUNITARIO,


DEI DIRITTI E DEGLI OBBLIGHI CORRISPONDENTI ALLE DISPOSIZIONI DEL TRATTATO IMPLICA QUINDI UNA
LIMITAZIONE DEFINITIVA DEI LORO DIRITTI SOVRANI, DI FRONTE ALLA QUALE UN ATTO UNILATERALE
ULTERIORE, INCOMPATIBILE COL SISTEMA DELLA COMUNITA, SAREBBE DEL TUTTO PRIVO DI EFFICACIA .

2) Sentenza Corte di giustizia Simmenthal C-106/1977

13LA PRIMA QUESTIONE MIRA IN SOSTANZA A FAR PRECISARE LE CONSEGUENZE DELL ' APPLICABILITA
DIRETTA DI UNA DISPOSIZIONE DI DIRITTO COMUNITARIO IN CASO D ' INCOMPATIBILITA CON UNA
DISPOSIZIONE SUCCESSIVA FACENTE PARTE DELLA LEGISLAZIONE D ' UNO STATO MEMBRO .

14CONSIDERATA SOTTO QUESTO PROFILO , L ' APPLICABILITA DIRETTA VA INTESA NEL SENSO CHE LE
NORME DI DIRITTO COMUNITARIO DEVONO ESPLICARE LA PIENEZZA DEI LORO EFFETTI , IN MANIERA
UNIFORME IN TUTTI GLI STATI MEMBRI , A PARTIRE DALLA LORO ENTRATA IN VIGORE E PER TUTTA LA
DURATA DELLA LORO VALIDITA ;

15DETTE NORME SONO QUINDI FONTE IMMEDIATA DI DIRITTI E DI OBBLIGHI PER TUTTI COLORO CHE ESSE
RIGUARDANO , SIANO QUESTI GLI STATI MEMBRI OVVERO I SINGOLI , SOGGETTI DI RAPPORTI GIURIDICI
DISCIPLINATI DAL DIRITTO COMUNITARIO ;

16QUESTO EFFETTO RIGUARDA ANCHE TUTTI I GIUDICI CHE , ADITI NELL ' AMBITO DELLA LORO
COMPETENZA , HANNO IL COMPITO , IN QUANTO ORGANI DI UNO STATO MEMBRO , DI TUTELARE I DIRITTI
ATTRIBUITI AI SINGOLI DAL DIRITTO COMUNITARIO ;

17INOLTRE , IN FORZA DEL PRINCIPIO DELLA PREMINENZA DEL DIRITTO COMUNITARIO , LE DISPOSIZIONI
DEL TRATTATO E GLI ATTI DELLE ISTITUZIONI , QUALORA SIANO DIRETTAMENTE APPLICABILI , HANNO L '
EFFETTO , NEI LORO RAPPORTI COL DIRITTO INTERNO DEGLI STATI MEMBRI , NON SOLO DI RENDERE ' IPSO
JURE ' INAPPLICABILE , PER IL FATTO STESSO DELLA LORO ENTRATA IN VIGORE , QUALSIASI DISPOSIZIONE
CONTRASTANTE DELLA LEGISLAZIONE NAZIONALE PREESISTENTE , MA ANCHE - IN QUANTO DETTE
DISPOSIZIONI E DETTI ATTI FANNO PARTE INTEGRANTE , CON RANGO SUPERIORE RISPETTO ALLE NORME
INTERNE , DELL ' ORDINAMENTO GIURIDICO VIGENTE NEL TERRITORIO DEI SINGOLI STATI MEMBRI - DI
IMPEDIRE LA VALIDA FORMAZIONE DI NUOVI ATTI LEGISLATIVI NAZIONALI , NELLA MISURA IN CUI QUESTI
FOSSERO INCOMPATIBILI CON NORME COMUNITARIE ;

18IL RICONOSCERE UNA QUALSIASI EFFICACIA GIURIDICA AD ATTI LEGISLATIVI NAZIONALI CHE INVADANO
LA SFERA NELLA QUALE SI ESPLICA IL POTERE LEGISLATIVO DELLA COMUNITA , O ALTRIMENTI
INCOMPATIBILI COL DIRITTO COMUNITARIO , EQUIVARREBBE INFATTI A NEGARE , SOTTO QUESTO
ASPETTO , IL CARATTERE REALE D ' IMPEGNI INCONDIZIONATAMENTE ED IRREVOCABILMENTE ASSUNTI , IN
FORZA DEL TRATTATO , DAGLI STATI MEMBRI , METTENDO COSI IN PERICOLO LE BASI STESSE DELLA
COMUNITA ;

21DAL COMPLESSO DELLE PRECEDENTI CONSIDERAZIONI RISULTA CHE QUALSIASI GIUDICE NAZIONALE ,
ADITO NELL ' AMBITO DELLA SUA COMPETENZA , HA L ' OBBLIGO DI APPLICARE INTEGRALMENTE IL DIRITTO
COMUNITARIO E DI TUTELARE I DIRITTI CHE QUESTO ATTRIBUISCE AI SINGOLI , DISAPPLICANDO LE
DISPOSIZIONI EVENTUALMENTE CONTRASTANTI DELLA LEGGE INTERNA , SIA ANTERIORE SIA SUCCESSIVA
ALLA NORMA COMUNITARIA ;
22E QUINDI INCOMPATIBILE CON LE ESIGENZE INERENTI ALLA NATURA STESSA DEL DIRITTO COMUNITARIO
QUALSIASI DISPOSIZIONE FACENTE PARTE DELL ' ORDINAMENTO GIURIDICO DI UNO STATO MEMBRO O
QUALSIASI PRASSI , LEGISLATIVA , AMMINISTRATIVA O GIUDIZIARIA , LA QUALE PORTI AD UNA RIDUZIONE
DELLA CONCRETA EFFICACIA DEL DIRITTO COMUNITARIO PER IL FATTO CHE SIA NEGATO AL GIUDICE ,
COMPETENTE AD APPLICARE QUESTO DIRITTO , IL POTERE DI FARE , ALL ' ATTO STESSO DI TALE
APPLICAZIONE , TUTTO QUANTO E NECESSARIO PER DISAPPLICARE LE DISPOSIZIONI LEGISLATIVE
NAZIONALI CHE EVENTUALMENTE OSTINO ALLA PIENA EFFICACIA DELLE NORME COMUNITARIE ;

23CIO SI VERIFICHEREBBE QUALORA , IN CASO DI CONFLITTO TRA UNA DISPOSIZIONE DI DIRITTO


COMUNITARIO ED UNA LEGGE NAZIONALE POSTERIORE , LA SOLUZIONE FOSSE RISERVATA AD UN ORGANO
DIVERSO DAL GIUDICE CUI E AFFIDATO IL COMPITO DI GARANTIRE L ' APPLICAZIONE DEL DIRITTO
COMUNITARIO , E DOTATO DI UN AUTONOMO POTERE DI VALUTAZIONE , ANCHE SE L ' OSTACOLO IN TAL
MODO FRAPPOSTO ALLA PIENA EFFICACIA DI TALE DIRITTO FOSSE SOLTANTO TEMPORANEO ;

4. Corte Costituzionale italiana Sentenza Granital: n. 170/1984.

La Corte costituzionale giunge, da un punto di vista operativo, ad accogliere sostanzialmente i principi di


diritto enucleati dalla Corte di giustizia in Costa/ENel e Simmenthal : il diritto comunitario prevale sulla
fonte interna con esso incompatibile e ogni giudice può effettuare tale valutazione, eventualmente
ricorrendo in caso di dubbio alla stessa Corte di giustizia col rinvio pregiudiziale.

Diverse sono però le coordinate concettuali e dogmatiche da cui muove la Corte costituzionale italiana. 1. I
due ordinamenti – nazionale e comunitario – non sono integrati in un unico ordinamento. 2. la legge
nazionale che contrasta col diritto comunitario non è pertanto invalida o comunque questa invalidità non
può essere rilevata dal giudice nazionale, il quale nell’ordinamento italiano è tenuto ad applicare la legge
salva rimessione alla corte costituzionale se ha un dubbio che essa possa essere costituzionalmente
illegittima. 3. Il giudice si limita a verificare che, sulla base delle disposizioni del trattato, la materia su cui è
intervenuto un regolamento comunitario o altro atto comunitario avente efficacia diretta sia stata attribuita
all’Unione. 4. Se così è, il giudice non applica la legge interna – che però continua ad essere pienamente
legittima – ed applica il diritto dell’UE, il quale per un criterio di competenza/specialità si deve ritenere
quello correttamente applicabile. Per la Corte di giustizia, invece, la disapplicazione da parte del giudice del
diritto nazionale è conseguenza del vizio di legittimità di tale diritto in quanto in contrasto col diritto Ue
gerarchicamente superiore.

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