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Diritto dell'Unione Europea (Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido
Carli)
DIRITTO UE CASA
CAPITOLO I
1948: Convenzione di Parigi crea l’Organizzazione europea di cooperazione economica (OECE), col
compito di amministrare i fondi del piano Marshall. Nel 1960 si trasformò nell’Organizzazione per
la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE). Queste esperienze hanno creato un clima di
collaborazione tra gli Stati europei.
La prima organizzazione con la quale ha inizio il processo di integrazione europeo è la Comunità
europea del carbone e dell’acciaio (CECA). All’origine c’è la celebre dichiarazione Schumann
(inspirata a Monnet) del 9 maggio 1950 (festa dell’Unione europea). Era una proposta volta a
Francia e Germania nella quale suggerisce al ministro degli esteri francese di mettere insieme
un’associazione per unire il mercato del settore più importante per la strategia nella regione della
Sarr, ovvero quello siderurgico. La proposta fu accettata non solo da Germania e Francia, ma anche
da Italia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo. REGNO Unito rifiuta per il Commonwealth. La firma
giunse a Parigi nel 1951 ed il trattato entrò in vigore nel 1952 costituendo il nucleo originario della
costruzione dell’Unione europea.
Il trattato prevedeva la creazione di un mercato comune dei prodotti carbo-siderurgici, eliminando
i dazi e le restrizioni quantitative alla circolazione di tali prodotti tra gli Stati membri.
Per raggiungere questo obbiettivo il Trattato d Parigi creava un articolato apparato organizzativo,
formato da:
- Alta Autorità: organo collegiale con funzioni “sopranazionali”, con poteri sia esecutivi che
normativi nei confronti degli Stati membri;
- Assemblea comune: composta dai rappresentanti dei popoli degli Stati riuniti nella
Comunità. Ha funzione di controllo politico sull’Alta Autorità;
- Consiglio speciale dei ministri: formato da un ministro di ciascuno Stato membro,
competente ad emanare poteri;
- Corte di giustizia: organo giudiziario chiamato ad assicurare il rispetto del diritto
nell’interpretazione e nell’applicazione del Trattato.
Con la nascita della CEE e dell’EURATOM l’Assemblea comune (parlamento europeo) e la Corte di
giustizia vennero unificate per le tre Comunità (CECA, CEE e EURATOM).
Il Trattato di Parigi prevedeva un termine di durata di cinquant’anni. La CECA si è estinta nel 2002.
Differenze tra le comunità:
- CECA e EURATOM sono settoriali;
- CEE è generale ed è volta alla creazione di un mercato comune.
Il successo della CECA impresse una spinta eccessiva e prematura al processo d’integrazione
europeo gli stessi Stati della CECA sottoscrissero un nuovo trattato: la CED (comunità europea
difensiva), che comportava la creazione di un esercito europeo. Ulteriore progetto -> CPE
(comunità politica europea). Il CED non entrò mai in vigore. Prevale il metodo Schumann e
Monnet, ovvero quello di procedere per piccoli passi senza allargare inutilmente politiche a tutti se
non si è pronti. Dopo 5 anni, il ministro degli esteri Italiano Gaetano Martino organizza una
conferenza con gli altri membri della CECA e suggerisce di tornare alla strada originaria. La
commissione scrive due testi: la CEE e l’EURATOM. Nel 1957 si sottoscrivono i due trattati.
Differenze tra le comunità:
- CECA e EURATOM sono settoriali;
- CEE è generale ed è volta alla creazione di un mercato comune.
Le nuove comunità:
- Il Trattato della CEE ha un oggetto di natura economica e commerciale e non ha un aspetto
settoriale, bensì generale. Prevede la progressiva creazione di un mercato comune
caratterizzato dall’eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione di:
o Merci;
o Persone;
o Servizi;
o Capitali
Tra gli Stati membri. Cerca di garantire la libera concorrenza. Obbiettivi ispirati a principi liberisti di
un’economia di mercato aperto.
- La CEEA nasceva con il compito di contribuire, incrementando le industrie nucleari,
all’elevazione del tenore di vita negli Stati membri e allo sviluppo degli scambi con altri
paesi. Ciò comportava quindi lo sviluppo delle ricerche e la diffusione delle cognizioni
tecniche delle questioni nucleari.
sia degli Stati membri si dei loro cittadini. I cittadini collaborano, attraverso il Parlamento europeo,
delle attività della Comunità stessa. La funzione attribuita alla Corte di giustizia, il cui scopo è
quello di garantire l’uniforme interpretazione del Trattato da parte dei giudici nazionali, costituisce
la riprova del fatto che gli Stati hanno riconosciuto al diritto comunitario un’autorità tale da poter
essere fatto valere dai loro cittadini davanti a detti giudici. La comunità costituisce un ordinamento
giuridico di nuovo genere a favore del quale gli Stati hanno rinunciato ai loro poteri sovrani e che
riconosce come soggetti non solo gli Stati membri ma anche i loro cittadini”.
Primo elemento che viene posto in luce è dato dalla partecipazione dei cittadini alla vita della
comunità mediate il parlamento europeo che viene più accentuata grazie all’elezione diretta del
parlamento. Il metodo di funzionamento del parlamento è denominato “comunitario”. L’elemento
caratterizzante della “sopranazionalità” è rappresentato dal trasferimento parziale di sovranità
dagli Stati membri all’Unione. Tale trasferimento emerge sul piano della podestà legislativa. Gli
organi dell’unione sono investiti “di poteri sovrani da esercitarsi nei confronti sia degli Stati membri
sia dei loro cittadini”.
Oltre alla generalità e all’obbligatorietà, va segnalata la diretta applicabilità del regolamento
all’interno degli Stati membri. Ciò implica che tale atto è idoneo a produrre obblighi e diritti per i
singoli, a essere applicato dai giudici e dalle autorità di ciascuno Stato membro senza necessità di
un atto di esecuzione da parte di tale Stato. È la capacità di raggiungere direttamente le comunità
interne senza obbligo di alcuna mediazione da parte dello Stato. In virtù di questa diretta
applicabilità vanno riconosciuti non solo gli Stati membri, ma anche i loro cittadini. Essi sono
immediatamente destinatari di diritti e obblighi derivanti da norme europee. Il diritto comunitario
prevale sul diritto interno, quindi il giudice nazionale è tenuto ad applicare il primo in caso di
contrasti tra i due.
ALLARGAMENTO
Il numero degli Stati membri appartenenti all’Unione europea si è progressivamente ampliato fino
agli attuali ventotto.
- 1957: intorno a Francia e Germania si crea la CECA e la CEE che contava 6 Stati membri, i
quali, all’epoca, contavano il 30% della popolazione europea;
- 1973: Danimarca, Irlanda e Regno Unito. Quest’ultimo importante sia a livello geopolitico
che demografico. Il Regno Unito era contro gli elementi che erano sorti con Van Gend en
Loos che ledono la sovranità dello Stato ai quali non era familiare. Il caso Brexit descrive un
caso di recesso ed è simile al caso del 1974 quando si votò lo stesso referendum e coloro
che volevano rimanere vinsero di poco contro quelli che volevano uscire dall’Unione;
- 1981: Grecia. Aveva iniziato l’adesione anni prima attraverso l’Accordo di associazione, il
quale estende le norme più semplici per un certo periodo di tempo. Aderire al processo di
associazione non è cosa da poco poiché i trattati chiedono molto soprattutto in termini di
rinuncia volontaria di sovranità;
- 1886: Spagna e Portogallo;
- 1995: Austria, Finlandia e Svezia.
Da ciò si deduce che:
- Il processo di adattamento è molto lento;
- Entrano in pochi alla volta;
- Entrano paesi che hanno un sistema valoriale simile a quello occidentale poiché è più facile
per loro rispettare le norme e le regole.
Poi c’è una maxi-adesione:
- 2004: dieci Stati: Cipro, Malta, Repubblica Ceca, Lettonia, Lituania, Estonia, Slovenia,
Slovacchia, Ungheria e Polonia.
L’allargamento dell’Unione europea ha determinato una progressiva estensione del diritto europea
nei nuovi Stati membri.
L’ammissione e il recesso vengono regolati secondo gli art. 49 e 50 del TUE. Il recesso è considerato
senza condizioni ma nell’art. 50 c’è scritto “conformemente alle proprie norme costituzionali”
(Italia -> non si possono fare referendum per materie riguardanti i trattati internazionali, quindi
non possiamo fare come il Regno Unito).
b. Persone;
c. Servizi;
d. Capitali;
4. Istituì nuove politiche europee:
a. La politica di coesione economica e sociale: al fine di ridurre il divario tra le diverse
regioni;
b. La politica di ricerca e sviluppo tecnologico: con l’obbiettivo di rafforzare le basi
scientifiche e tecnologiche dell’industria europea;
c. La politica ambientale: tesa a salvaguardare, proteggere e migliorare la qualità
dell’ambiente.
1. Istituisce una nuova procedura di adozione degli atti delle istituzioni europee, denominata
“codecisione”;
2. Accetta definitivamente che il modello d’integrazione europea può svilupparsi non
uniformemente per tutti gli Stati membri. Questo modello viene chiamato a “cerchi
concentrici” e si sviluppa soprattutto in seguito all’ostilità manifestata del Regno Unito.
Modeste innovazioni del Trattato di Nizza del 2001, in vigore dal 2003. Nel Trattato non è stata
inserita la Carta di Nizza dei diritti fondamentali. Non aveva valore giuridicamente obbligatorio e,
dopo alcune modifiche, è stata firmata dai Presidenti del Parlamento europeo nel 2007. Ha
acquisto valore giuridico nel 2009 insieme al Trattato di Lisbona del 2007 (in vigore 2009).
Tra gli sviluppi più recenti va ricordata l’iniziativa che ha condotto alla firma a Roma nel 2004 del
Trattato che adotta una Costituzione europea. È noto che, pur avendo subito numerose ratifiche,
non è mai entrata in vigore. 2005: “pausa di riflessione”; 2007: “il progetto costituzionale è stato
abbandonato”. È stato affidato ad una conferenza intergovernativa il compito di integrare nei
Trattati esistenti le innovazioni della “Costituzione europea”.
Il Trattato di Lisbona comporta l’abolizione della struttura in tre pilastri. Tendenzialmente si ha una
generalizzazione delle regole proprie dell’originario diritto comunitario. Tuttavia, la politica estera e
di sicurezza comune (PESC) resta intergovernativa.
Viene inoltre modificata la struttura organizzativa dell’unione:
- Viene istituito il Presidente del Consiglio Europeo, eletto dal Consiglio e dall’Alto
rappresentante dell’Unione;
- Vengono aumentati i poteri del parlamento, accrescendo la legittimità democratica della
costituzione europea.
CAPITOLO II
L'art. 7 è stato introdotto dal Trattato di Amsterdam col compito di controllare il rispetto dei valori
fondanti dell’Unione. Alla constatazione della violazione può seguire la decisione di sanzioni contro
lo Stato membro, consistenti nella sospensione di alcuni diritti derivati dai Trattati. Tali misure
possono essere modificate o revocate dal Consiglio. Il procedimento presuppone che la violazione
sia già avvenuta. L’art. 7 dichiara:
“Su proposta di 1/3 degli Stati membri, del Parlamento europeo o della Commissione, il Consiglio,
deliberando a maggioranza dei 4/5 e previa approvazione del Parlamento, può constatare che
esiste un evidente rischio di violazione grave da parte di uno degli Stati membri dei valori dell’art.
2”.
Tale procedimento non è soggetto a controllo giudiziario. L’unica competenza esercitabile dalla
Corte di giustizia riguarda gli aspetti “procedurali” e non il merito (es. forme sostanziali).
20 dicembre 2017, la Commissione afferma che c’è il rischio di una grave violazione da parte della
Polonia.
È stato predisposto un altro strumento di carattere preventivo da parte della Commissione che
prevede un preallarme nel caso di “disfunzione sistemica” dello Stato di diritto al fine di individuare
soluzioni prima di ricorrere al procedimento previsto dall’art. 7.
Art. 6: l’Unione riconosce i diritti fondamentali della “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione”,
inglobando i diritti fondamentali all’interno del diritto dell’Unione.
I principi democratici
Il Trattato di Lisbona introduce delle disposizioni specificatamente relative ai principi democratici
agli art. 9-12.
Nell’art. 12 viene consolidato ulteriormente il valore democratico dando prerogative secondarie ai
parlamenti nazionali, elencate nello stesso articolo:
- I parlamenti nazionali vengono informati delle domande di adesione;
- Partecipano alle procedure di revisione dei trattati in conformità con l’art. 48. Il Consiglio
europeo può lasciare il progetto com’è dopo averlo revisionato. Se c’è un elevato numero di
stati però si può porre la questione davanti alla Corte di giustizia.
- Partecipano alla cooperazione interparlamentare tra parlamento europeo e parlamenti
nazionali.
Il parlamento europeo ha rilievo nei riguardi della Commissione mentre ha un potere tenue nei
confronti delle istituzioni formate dai rappresentanti dei governi degli Stati membri (Consiglio
europeo).
Va ricordato che in una prima fase la Corte di giustizia aveva rifiutato di tener conto della eventuale
violazione dei diritti umani, garantiti dalle costituzioni degli Stati membri:
- Sentenza Stork 1959: Stork opera nel settore carbo-siderurgico dove l’Alta Autorità assunse
una restrizione quantitativa che compresse i diritti dell’azienda. Questa decisione violava il
diritto di libera iniziativa economica e il diritto di proprietà. Secondo la Corte non c’è
contrasto poiché esso si verifica solo se le norme fanno parte dello stesso ordinamento. In
questo caso una fa parte della Costituzione tedesca e l’altra della CECA. La Corte afferma
che la giurisdizione ce l’ha sul diritto della CECA. Afferma che: “la Corte deve
semplicemente garantire il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione del
Trattato e dei regolamenti di esecuzione, ma non è di regola tenuta a pronunciarsi in merito
alle norme dei diritti nazionali. Ne consegue che anche la censura relativa al fatto che l’Alta
Autorità con la sua decisione avrebbe violato principi fondamentali della Costituzione
tedesca non può essere presa in considerazione dalla Corte”.
Bisogna riconoscere che il Trattato CECA, come quello CEE e CEEA, non conteneva disposizioni
volte a garantire che l’azione comunitaria si svolgesse nel rispetto dei diritti umani fondamentali.
Svolta:
- Sentenza Acciaierie San Michele 1965: sia la C.C. italiana che tedesca sviluppano la teoria
dei contro limiti. Affermano che sono aperti al diritto comunitario ma ci sono principi super
costituzionali difronte a cui anche il diritto comunitario non si piega. La Corte europea
accetta di integrare i diritti umani fondamentali del diritto comunitario per paura che ogni
ordinamento nazionale “lavasse i panni in modo diverso”. In questo modo la corte “lava i
panni come vuole per tutti”;
- Sentenza Handelsgesellschaft: problema simile a Stork. Il giudice dice che la norma viola la
libera iniziativa economica. Non c’è più la CECA ma c’è il diritto comunitario che contiene i
diritti fondamentali. La risposta è opposta a quella Stork;
- Sentenza Nold 1974: la Corte aggiunge: “I Trattati internazionali relativi alla tutela dei diritti
dell’uomo possono del pari fornire elementi di cui occorre tener conto nell’ambito del
diritto comunitario”.
Nel caso in cui viene commessa una violazione nel contesto delle materie appartenenti al diritto
comunitario si può provocare l’apertura di una procedura di infrazione nei confronti dello Stato che
ne sia autore.
Per quanto riguarda la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la Corte ha ribadito
l’appartenenza dei diritti da essa contemplati al diritto dell’unione, affermando che la convenzione:
“non costituisce un atto giuridico formalmente integrato nell’ordinamento giuridico dell’Unione”.
La Corte ha inoltre escluso che la Convenzione sia direttamente applicabile all’interno degli stati
membri e sia provvista del “primato” sulle norme nazionali incompatibili che caratterizzano il
diritto dell’Unione. La Corte ha affermato che: “i diritti fondamentali garantiti dalla CEDU fanno
parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali. Tuttavia, l’art. 6 TUE non disciplina il
rapporto tra CEDU e gli ordinamenti giuridici nazionali (…). Pertanto, non impone al giudice
nazionale di applicare direttamente le disposizioni di quest’ultima, disapplicando la norma di
diritto nazionale in contrasto con essa”.
Sono nuovi gli altri due paragrafi introdotti da Lisbona 2007. Il primo attribuisce valore
giuridicamente obbligatorio alla Carta di Nizza dei diritti fondamentali del 2000, riproclamata a
Strasburgo nel 2007: “l’Unione riconosce i diritti e i principi sanciti dalla Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione del 2000 e riadattata a Strasburgo nel 2007, che ha lo stesso valore
giuridico dei Trattati”. Quindi la Carta dei diritti fondamentali acquista il medesimo valore giuridico
dei Trattati sui quali si fonda l’Unione.
(appunti in classe) ->
Inizialmente la Corte non accetta di integrare i diritti fondamentali (fino al 1991) ma preferisce
ispirarsi alla CEDU, fino a Maastricht 1991 che cambia l’art. 6 in F. La Corte introduce un elemento
di novità: prima i destinatari unici dei diritti erano le istituzioni. Fino al 1977 i diritti fondamentali
erano parte del diritto dell’Unione.
Caso greco: la Corte si ispira alla CEDU, quindi l’art. 10 non è parte del diritto comunitario
formalmente e la norma non fa parte dell’ordinamento quindi la Corte è flessibile nei confronti dei
diritti CEDU.
Con Maastricht -> art. F (o 2): l’Unione rispetta i diritti fondamentali CEDU in quanto principi
generali. I problemi erano due:
- La CEDU non fa parte dell’Unione;
- Non c’è carta dell’Unione per i diritti ma fa riferimento alla CEDU.
La situazione cambia con Lisbona nel 2007:
- L’Unione riconosce i diritti della Carta di Nizza rifornendosi di un elenco proprio;
- L’Unione aderisce con l’art. 2 alla CEDU per la salvaguardia dei diritti dell’uomo.
accordo sulle modalità del recesso segna anche il momento di cessazione dell’applicazione dei
Trattati allo Stato interessato. Se non si riesce a concludere un accordo tra lo Stato e l’Unione, i
Trattati cessano ugualmente di essere applicabili due anni (eventualmente prorogabili come nel
caso UK) dopo la notifica della decisione di recedere. Allo spiare dei due anni il recesso produce
pienamente effetto di estinguere lo status di membro dell’Unione. Se lo Stato dovesse in seguito
decidere di rientrare nell’Unione dovrà rispettare l’art. 49 TUE e seguire il procedimento di
ammissione.
CAPITOLO III
Le competenze di attribuzione
Le competenze dell’Unione sono delimitate rispetto a quelle esercitabili dagli Stati membri in base
di ad alcuni principi, i quali segnano lo spartiacque tra le competenze delle istituzioni europee e
quelle che restano nell’ambito degli Stati. Essi riguardano sia la delimitazione delle competenze tra
Unione e gli Stati membri, sia l’esercizio di tali competenze.
Principio di attribuzione
Art. 5 TUE: “L’Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli
Stati membri nei Trattati per realizzare gli obbiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non
attribuita all’Unione nei Trattati appartiene agli Stati membri”. Tale principio viene ribadito in altre
disposizioni, a dimostrazione di quanto gli Stati membri tengano alla sua osservanza. Questo
principio significa che l’Unione dispone esclusivamente di quelle funzioni e di quei poteri che gli
Stati membri hanno convenuto di attribuirle mediante i Trattati istitutivi, ogni altra competenza
resta nelle mani degli Stati. Ove l’Unione agisse al di là delle competenze a essa conferite, gli atti
emanati sarebbero illegittimi, in quanto viziati di incompetenza e soggetti a dichiarazione di nullità
da parte dei giudici dell’Unione.
Le competenze sussidiarie
Il principio delle competenze di attribuzione appare ridimensionato dalla possibilità prevista
dall’art. 352 TFUE di conferire nuovi poteri, detti “competenze sussidiarie”, all’Unione senza una
formale modifica dei Trattati. Il procedimento richiede: la proposta della Commissione,
l’approvazione del Parlamento e il voto unanime del Consiglio. La regola dell’unanimità implica che
l’attribuzione di nuove competenze all’Unione è subordinata al consenso di tutti gli Stati. L’ipotesi
prevista dall’art. 352 è che un determinato scopo rientri già nella competenza dell’Unione, ma che
quest’ultima non sia stata provvista dai Trattati dei poteri d’azione necessari per realizzarlo; per cui
tali poteri vengono attribuiti mediante il procedimento in esame.
I poteri impliciti
Secondo tale teoria, l’Unione europea, doveva ritenersi provvista non solo dei poteri a essa
conferiti espressamente dai Trattati (poteri espliciti), ma anche dei poteri (impliciti) che siano
funzionali ai poteri espliciti; che siano cioè necessari per garantire che i poteri espliciti siano
esercitati nella maniera più efficace. Tali poteri possono essere ricavati direttamente dagli scopi dei
Trattati: l’Unione sarebbe fornita dei poteri impliciti occorrenti per raggiungere tali scopi.
Es.: sentenza 3 marzo 1971:
Il principio di sussidiarietà
I Trattati su cui si fonda l’Unione provvedono non solo a delimitare le competenze dell’Unione, ma
anche a stabilire i principi in base ai quali l’Unione esercita le sue competenze. Uno di questi
principi è il principio di sussidiarietà. Ne parla l’art. 5 TUE: “l’esercizio delle competenze
dell’Unione si basa sui principi di sussidiarietà e proporzionalità”. Il primo principio è stato
introdotto dal Trattato di Maastricht del 1992 e l’art. 5 par. 3, TUE dichiara che: “nei settori che non
sono di sua competenza esclusiva l’Unione interviene soltanto s e in quanto gli obbiettivi
dell’azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, ma
possono essere conseguiti meglio a livello di Unione”.
Il principio non riguarda la ripartizione di competenze tra l’Unione e gli Stati membri, ma il loro
esercizio. Il principio di sussidiarietà delimita l’esercizio delle competenze dell’Unione e degli Stati.
Il principio si applica anche in materia di PESC. L’art. 5 par. 3, TUE, appare espresso in maniera
restrittiva, rispetto all’intervento dell’Unione, richiedendo le seguenti condizioni:
- L’insufficienza dell’azione statale al fine della realizzazione degli obbiettivi;
- Il “valore aggiunto” insito nell’intervento europeo.
Al tale principio si riferisce anche il protocollo n. 2, introdotto da Lisbona, che viene espressamente
richiamato dallo stesso art. 5, par. 3, TUE. Esso pone obblighi alle istituzioni europee e regola i
poteri di vigilanza sull’applicazione del principio di sussidiarietà attribuiti ai parlamenti nazionali.
Tale principio non si applica alle materie di competenza esclusiva dell’Unione
Il principio di proporzionalità
Il principio di proporzionalità è anch’esso inserito nell’art. 5, TUE, e afferma: “in virtù del principio
di proporzionalità, il contenuto e la forma dell’azione dell’Unione si limitano a quanto necessario
per il conseguimento degli obbiettivi dei Trattati”. Esso non vincola solo l’Unione ma anche gli Stati
membri, con la conseguenza che la sua violazione da parte di quest’ultimi rappresenta una
violazione sottoponibile al giudizio della Corte di giustizia.
Il principio di proporzionalità comporta una valutazione circa la congruità dei mezzi impiegati
rispetto all’obbiettivo perseguito e implica che tali mezzi devono essere limitati a quelli occorrenti
per il raggiungimento dell’obbiettivo in questione ed è teso a porre un argine all’azione
dell’Unione. Opera all’interno del campo di applicazione dei Trattati, comprese le materie nelle
quali l’Unione ha competenza esclusiva.
L’art. 5, par, 4, TUE, fa espresso riferimento non solo al contenuto dell’azione ma anche alla forma,
cioè ai tipi di atti adottabili. Es.: se non è indispensabile un regolamento dovrà emettersi una
direttiva; se non è necessario un atto vincolante dovrà preferirsi una raccomandazione.
L’integrazione differenziata
I rapporti tra l’Unione europea e gli Stati membri non hanno sempre il medesimo contenuto e la
medesima portata. L’applicazione del diritto dell’Unione avviene spesso in maniera differenziata
nei diversi Stati membri, nel senso, cioè, che tali Stati non sono sempre integralmente soggetti a
tutta la normativa europea, dando luogo a quel fenomeno denominato “Europa a più velocità”,
modello istituzionalizzato dal Trattato di Amsterdam del 1997 (trattato di revisione). Questo
metodo verrà ampiamente impiegato nel Trattato di Maastricht del 1992. Ciò era avvenuto per il
Protocollo contenente l’Accordo sulla politica sociale, non applicabile al Regno Unito. Ma ancora
più importante è il meccanismo adottato dal Trattato di Maastricht relativamente all’unione
economica e monetaria, consentendo a Regno Unito e a Danimarca di restarne estranei. Un
ulteriore caso di integrazione differenziata può determinarsi in materia PESC. Il Consiglio deve
votare all’unanimità ma lo Stato che motiva la sua astensione con una dichiarazione formale può
sottrarsi agli obblighi derivati dalla decisione del Consiglio, senza impedire che essa impegni
l’Unione.
Le cooperazioni rafforzate
Il Trattato di Amsterdam 1997 ha introdotto un meccanismo specifico per consentire forme di
sviluppo flessibile o differenziato tra alcuni Stati membri all’interno dell’Unione europea, cioè
consentendo di assumere obblighi più incisivi. Si tratta della c.d. cooperazione rafforzata:
- Lato positivo: consiste in un approfondimento dello sviluppo dell’integrazione;
- Lato negativo: alcuni Stati membri restano estranei a tale sviluppo per diversi motivi (non
sono nelle condizioni o non vogliono).
Lo stesso Trattato di Amsterdam prevedeva direttamente un importante esempio di cooperazione
rafforzata, mediante il Protocollo 1997 sull’integrazione Schengen. Tali accordi sono stati conclusi
da alcuni Stati membri, senza Regno Unito e Irlanda ma con la partecipazione di altri Stati fuori
dall’Unione.
Le cooperazioni rafforzate sono regolate dall’art. 20 TUE e dagli art. 326-334 TFUE.
Significato: promuovere l’inserimento all’interno del sistema dell’Unione europea di forme di più
intenso sviluppo concernenti un limitato numero di Stati membri.
Obbiettivo: consentire ad un gruppo di Stati più avanzati di impiegare le istituzioni e le procedure
dell’Unione per far progredire l’integrazione europea.
L’istituzione della cooperazione rafforzata possono partecipare tutti gli Stati ma solo quelli che
partecipano alla cooperazione rafforzata possono votare sulle decisioni. Gli Stati membri non
partecipanti hanno l’obbligo di non ostacolare la cooperazione rafforzata.
La commissione e il consiglio hanno il compito di assicurare la coerenza delle azioni intraprese
nell’ambito di una cooperazione rafforzata e la coerenza di dette azioni con le politiche
dell’Unione.
CAPITOLO IV
membro di cittadini di Stati terzi parenti del cittadino in questione. La corte ha ribadito che un
diritto di soggiorno deve essere accordato al cittadino di Stato terzo, familiare di un cittadino
dell’Unione, qualora, in conseguenza del rifiuto di un siffatto diritto, il cittadino europeo si vedesse
di fatto obbligato a lasciare il territorio dell’Unione; altrimenti, sarebbe pregiudicato l’effetto utile
dello status di cittadino europeo, poiché sarebbe privato del godimento effettivo del contenuto
essenziale dei diritti conferiti da tale status.
La corte ha sottolineato, inoltre, l’effetto utile della disposizione in esame, l’esigenza, cioè che sia
interpretata e applicata in maniera tale da garantire l’effettivo esercizio del diritto da essa
derivante. E ha di conseguenza riconosciuto che, per garantire il diritto di soggiorno di una bimba,
cittadina dell’Unione, tale diritto va riconosciuto anche alla madre (sentenza Chen 2004).
Nella sentenza Ruiz Zambrano la corte ha riconosciuto il diritto di soggiorno e di lavoro in Belgio al
genitore colombiano di due bambini, cittadini belgi. In questa situazione, a differenza della
sentenza Chen, i bambini non hanno esercitato il diritto di libera circolazione.
Il diritto di petizione
Art. 24 TFUE + art. 227: ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di petizione dinanzi al parlamento
europeo conformemente all’art. 227. Materia che rientra nel campo di attività dell’Unione e che lo
concerne direttamente.
Per l’esame delle petizioni è stata istituita la Commissione per le petizioni, la qual può chiedere alla
Commissione europea di assisterla. La Commissione per le petizioni redige un atto di natura non
vincolante.
CAPITOLO V
Quadro generale delle istituzioni e degli organi. Il principio dell’equilibrio istituzionale
L’Unione europea dispone di un’ampia e articolata struttura organizzativa, la cui azione è diretta a
perseguire i suoi obbiettivi. Art. 13 TUE, il quadro istituzionale mira “a promuovere i valori,
perseguire gli obbiettivi, servire i suoi interessi, quelli dei cittadini e quelli degli Stati membri”. La
composizione, il funzionamento, le competenze e i poteri degli organi sono ripartiti tra il TUE e il
TFUE.
Le istituzioni descritte nell’art. 13 TUE sono:
- Il parlamento europeo;
- Il consiglio europeo;
- Il consiglio;
- La commissione europea;
- La Corte di giustizia dell’Unione europea;
- La banca centrale europea;
- La Corte dei conti.
La qualifica di istituzione ha conseguenze giuridiche, poiché alcune disposizioni dei Trattati si
riferiscono espressamente alle istituzioni e non ad altri organi. Per esempio, l’art. 265 TFUE
attribuisce la legittimazione a proporre ricorsi “in carenza” dinanzi alla corte alle “istituzioni
dell’Unione”.
Con il Trattato di Lisbona, il consiglio europeo, formato dai massimi vertici degli Stati membri, è
inserito per la prima volta tra le istituzioni dell’Unione. Nonostante ciò, esso occupa una posizione
a sé, al di sopra rispetto alle altre istituzioni, assumendo le decisioni fondamentali concernenti lo
sviluppo dell’azione europea e dello stesso processo d’integrazione europea.
Tre successive istituzioni:
- Parlamento europeo -> rappresenta i cittadini dell’Unione;
- Il Consiglio -> rappresenta i governi degli Stati membri;
- La commissione -> rappresenta l’interesse unitario dell’Unione.
Vige il principio di equilibrio istituzionale, secondo il quale “ciascuna istituzione esercita le proprie
competenze nel rispetto di quelle delle altre istituzioni”. Questo principio determina l’illegittimità
degli atti adottati in sua violazione.
Le altre istituzioni si caratterizzano per la piena indipendenza trattandosi di:
- Corte di giustizia -> istituzione giudiziaria;
- Banca centrale europea -> autorità monetaria;
- Corte dei conti -> controllo dei conti.
I trattati istituiscono anche degli organi ausiliari. Il parlamento, il consiglio e la commissione sono
assistiti da:
- Comitato economico e sociale: raccoglie le realtà economiche, non ci sono rappresentanti
statali ma delle imprese, sei lavoratori ecc. Il parere è raramente richiesto;
- Comitato delle regioni: rappresenta le realtà locali degli stati membri. ne fanno parte i
rappresentanti delle realtà locali (consiglieri regionali, presidente della regione ecc.). La
funzione consultiva può essere obbligatoria o facoltativa.
Ulteriori organismi hanno solitamente una sede decentrata rispetto a quelle delle istituzioni e sono
creati con atti delle stesse istituzioni, con compiti vari (tecnici, scientifici, consultivi, gestione,
operativi ecc.). Altri organismi sono:
- Alto rappresentante PESC;
- Presidente del consiglio europeo;
- Mediatore europeo.
IL PARLAMENTO EUROPEO
Il Parlamento europeo è l’istituzione rappresentativa dei cittadini dell’Unione europea, l’organo
democratico per eccellenza. L’art. 14 dichiara che “il Parlamento europeo è composto dai
rappresentanti dei cittadini dell’Unione”. Il numero dei parlamentari è variato molte volte in
corrispondenza dell’ampliamento dell’Unione ai nuovi stati. L’art. 14 par. 2 non stabilisce un
numero fisso per ciascun paese ma solo un numero massimo di parlamentari, 750 più il presidente
LA COMMISSIONE
È un organo tipicamente sopranazionale tenuto ad operare nell’esclusivo interesse dell’Unione, in
posizione di piena indipendenza rispetto sia agli Stati membri sia di qualsiasi ente o potere. È
Cessazione anticipata
La cessazione anticipata può avvenire per dimissioni volontarie o d’ufficio:
- D’ufficio: sono pronunciate dalla corte qual ora il commissario abbia commesso una colpa
grave. Cosa si intende per colpa grave -> art. 247 e 245: la colpa grave sta nell’art. 247 e non
nel 245, quindi è diverso dalla violazione degli obblighi. Se la colpa è grave, quindi, non avrà
a che fare con i suoi obblighi ma è un atto provato. Va fatto dimissionare per poi essere
processato;
[ricorda: “ovvero” = “oppure” e non “ossia”; la corte usa “può” per liberarsi del vincolo
decisionale]
- Qual ora le dimissioni riguardino il presidente o l’alto rappresentante essi sono sostituiti per
il resto del mandato secondo la normale procedura di nomina;
- Se le dimissioni sono da parte di un altro membro della commissione, egli è sostituito, per il
resto del mandato, con un membro della stessa nazionalità da parte del consiglio di
comune accordo con il presidente della commissione. Lo stesso consiglio può decidere di
non procedere alla sostituzione, specie se la restante durata del mandato è breve (art. 246);
- Dimissioni volontarie dell’intera commissione (art. 246): i membri restano in carica,
curando gli affari di ordinaria amministrazione, fino alla loro sostituzione, che viene
effettuata con la procedura di nomina (art. 17).
Con la mozione di sfiducia l’alto rappresentante non si dimette in automatico e rimane in carica. Se
è stato apprezzato in quanto vicepresidente si può ipotizzare che il nuovo presidente lo lasci come
vice.
IL CONSIGLIO EUROPEO
È nato nella prassi della diplomazia intergovernativa dei c.d. Vertici al fine di affrontare problemi e
assumere importanti decisioni politiche sul cammino dell’integrazione europea. Tale prassi fu
formalizzata col Vertice di Parigi del 1974, nel quale i capi di stato (o governo per la Francia)
espressero la decisione di riunirsi tre volte l’anno e ogni colta che fosse necessario come Consiglio
delle Comunità. Si diffuse il nome di Consiglio europeo con la duplice funzione di:
- Dibattere questioni di principale importanza a livello comunitario e di operare scelte a
riguardo;
- Programmazione nel campo della politica estera.
Con Maastricht 1992 fu formalmente inserito nell’Unione europea e con Lisbona 2007 ha ricevuto
la qualifica di istituzione. Esso resta caratterizzato per il suo senso intergovernativo, in quanto le
grandi decisioni relative agli sviluppi dell’integrazione europea sono assunte al livello di tale
Consiglio e sono poi attuate dalle altre istituzioni. L’art. 15 definisce la composizione del Consiglio:
- Capi di stato degli stati membri;
giuridici nei confronti di terzi. L’ipotesi si restringe dato che la Corte di giustizia non ha competenza
in materie riguardanti la PESC. Gli unici atti impugnabili possono riguardare per esempio revisioni
semplificate dei Trattati.
Il Consiglio europeo ha svolto frequentemente un ruolo positivo assumendo politiche
fondamentali, come quella sull’allargamento sulla moneta unica, sull’avvio dei processi di revisione
dei Trattati ecc. Tuttavia, ha determinato una erosione dei poteri di tutte le istituzioni europee a
esso subordinate.
IL CONSIGLIO
Il consiglio è un organo tipicamente intergovernativo. Esso è composto dagli Stati membri
rappresentati dai rispettivi esecutivi. Mentre il Parlamento europeo esprime gli interessi dei
cittadini europei, il Consiglio esprime gli interessi particolari dei singoli Stati membri, interessi che
raggiungono la loro sintesi negli atti adottati dal Consiglio. Essi sono considerati atti organici,
imputabili giuridicamente allo stesso Consiglio, non ai singoli Stati membri.
Art. 16: ogni stato membro vi è rappresentato a livello ministeriale con una persona abilitata a
impegnare il governo di detto Stato e a votare. La composizione è quindi variabile, poiché esso è
formato dai ministri competenti ratione materiae in corrispondenza agli argomenti di vola in volta
posti al suo ordine del giorno. Il Consiglio ha stabilito 10 formazioni, idonee a coprire il complesso
delle materie di competenza dell’Unione europea. Inoltre, lo stesso art. 16 prevede due formazioni
del Consiglio:
1. Consiglio “Affari generali”: assicura la coerenza dei lavori, prepara le riunioni del Consiglio
europeo e ne assicura il collegamento col presidente del consiglio europeo e la
commissione;
2. Consiglio “Affari Esteri”: elabora l’azione esterna dell’Unione secondo le linee strategiche
definite dal Consiglio europeo e assicura la coerenza dell’azione dell’Unione.
La presidenza del Consiglio (eccezione “Affari esteri”) è determinata dal Consiglio europeo con
votazione a maggioranza qualificata secondo un sistema di rotazione paritaria, cioè assicurando a
tutti gli Stati membri tale presidenza. La presidenza è svolta da ciascun Stato membro per 6 mesi.
Viene predeterminato un gruppo di 3 Stati membri tenendo conto della loro diversità e degli
equilibri geografici nell’Unione, per un periodo di 18 mesi. Ciascun membro esercita la presidenza
mentre gli altri due lo assistono in tutti i suoi compiti sulla base di un programma comune. La
presidenza del Consiglio “affari esteri” è presieduta dall’Alto rappresentante.
Il consiglio è assistito da un Segretariato generale sotto la responsabilità di un Segretario generale,
nominato dal Consiglio a maggioranza qualificata, mentre l’organizzazione è votata a maggioranza
semplice. Il Consiglio si riunisce per iniziativa dello stesso presidente, di uno stato membro o della
commissione.
Ruolo significativo è svolto dal COREPER (Comitato dei rappresentanti permanenti). È un organo
intergovernativo, essendo formato da delegati dei governi degli Stati membri e svolge un ruolo
importante ai fini dell’adozione degli atti da parte del Consiglio. La proposta della Commissione
viene trasmessa al COREPER ed è posta in discussione:
- Posizione unanime: iscritta al punto A dell’ordine del giorno del Consiglio, il quale si limita
ad approvarla senza riaprire la discussione;
- Non si raggiunge una posizione unanime: iscritta al punto B dell’ordine del giorno e viene
esaminata e discussa in Consiglio.
Il COREPER diventa il reale interlocutore della Commissione.
Funzioni
Art. 18: vigila sulla coerenza dell’azione esterna dell’UE. In seno alla Commissione, è incaricato
delle responsabilità che incombono a tale istituzione nel settore delle relazioni esterne e nel
coordinamento degli altri aspetti dell’azione esterna dell’Unione.
Al di là dei suoi due ruoli principali, numerose disposizioni nei Trattati stabiliscono le sue funzioni
nell’ambito generale dell’azione esterna dell’Unione e nella PESC.
Sul piano generale l’Alto rappresentante assiste il Consiglio e la Commissione nel loro compito di
garantire la coerenza tra i vari settori dell’azione esterna. Esso svolge una funzione di PROPOSTA
nei confronti del Consiglio e di attuazione delle decisioni dello stesso Consiglio + nel Consiglio
europeo si rappresentanza dell’Unione nei rapporti con i terzi e di consultazione.
In particolare, sul piano operativo, svolge funzioni importanti sul piano operativo e nell’attuazione
delle missioni implicanti l’impiego di mezzi civili e militari (operazioni Petersberg => azioni di
disarmo, missioni umanitarie e di soccorso, consulenza e assistenza, prevenzione dei conflitti e
mantenimento della pace). Tali missioni sono decise dal Consiglio e spetta poi all’Alto
rappresentante provvedere a coordinare gli aspetti civili e militari delle stesse missioni.
Col Trattato di Lisbona fu introdotto un Servizio europeo per l’azione esterna posto sotto la
direzione dell’Alto rappresentante. Esso assiste innanzitutto l’Alto rappresentante nell’esecuzione
delle sue funzioni di guida della PESC, nelle funzioni svolte nella veste di Presidente del Consiglio
“Affari esteri” e in quella di vicepresidente della Commissione. Collabora, inoltre, con i servizi
diplomatici degli stati membri.
Procedura d’infrazione
La Corte di giustizia ha la competenza esclusiva relativa al controllo sul rispetto del diritto
dell’Unione da parte degli stati membri. essa può essere esercitata su iniziativa della Commissione
oppure di uno stato membro. La procedura è chiamata “procedura d’infrazione”. Presenta varianti
a seconda che sia promossa dalla Commissione o da uno Stato membro:
- Precontenzioso:
o Commissione: l’attribuzione del potere d’iniziativa alla Commissione è coerente con
il ruolo di guardiano dei Trattati. Essa non implica un dovere giuridico di
intraprendere un’azione contro uno stato. La stessa corte ha ribadito che la
Commissione gode di un ampio potere discrezionale. Non coinvolge la Corte di
giustizia e si esaurisce nel dialogo tra Commissione e Stato membro. Questa fase ha
lo scopo di dare allo stato membro l’opportunità di conformarsi agli obblighi e di
sviluppare una difesa utile contro gli addebiti formulati dalla Commissione. Tale fase
inizia con l’invio di una lettera di messa in mora (o di diffida) con la quale la
Commissione contesta allo stato ‘esistenza di una sua violazione di un obbligo
derivante dal diritto dell’Unione. in essa sono indicati gli elementi in base ai quali la
Commissione reputa che sussista l’infrazione. Inoltre, lo stato viene invitato a
comunicare le proprie osservazioni entro un certo termine. Il contenuto della lettera
non è modificabile. Qualora le osservazioni dello stato siano ritenute insufficienti, la
Commissione emette un parere motivato. In esso precisa in maniera rigida e
formale gli addebiti contestati e gli elementi implicanti l’infrazione. L’art. 258 non
stabilisce il termine ma, la Corte di giustizia, ha affermato che deve trattarsi di un
termine ragionevole. Esistono specifiche ipotesi nelle quali non è contemplato lo
svolgimento della fase precontenziosa e la Commissione può aderire direttamente
la Corte di giustizia. A parte questi casi straordinari, solo dopo la scadenza del
termine fissato dalla Commissione essa può adire alla Corte. La commissione ha un
potere pienamente discrezionale in merito alla presentazione o meno del ricorso
alla Corte e alla determinazione del momento in cui presentarlo. A questo fine può
emettere una lettera di diffida complementare o un parere motivato
supplementare. Qualora la Commissione adisca alla Corte il processo deve
necessariamente concludersi con il giudizio sull’inadempimento dello stato;
o Stato membro: il ricorso per infrazione può essere proposto anche da un altro Stato
membro. Esso è tenuto a rivolgersi alla sola Corte, e non ad altri procedimenti. Il
ricorso può riguardare l’intero diritto dell’Unione. Contempla anch’essa una fase
precontenziosa con il coinvolgimento della Commissione, la quale emette un parere
motivato dopo che gli Stati interessati siano posti in condizione di presentare le loro
osservazioni. Qualora la Commissione non abbia formulato il parere nel termine di
tre mesi, lo Stato può fare ricorso direttamente alla Corte. Il ricorso è proponibile
anche qualora il parere emesso sia favorevole allo Stato convenuto ed esprima
l’inesistenza della violazione.
- Contenzioso: qualora la Corte giudichi lo Stato responsabile della violazione, essa emana
una sentenza non di condanna ma dichiarativa dell’inadempimento. La sentenza è
obbligatoria per lo stato in questione, il quale è tenuto a eseguirla adottando i
provvedimenti necessari. La norma non stabilisce alcun termine ma vanno adottati al più
presto. L’obbligo di esecuzione grava su tutti gli organi dello stato. Anche i giudici, quindi,
dovranno astenersi dall’applicare una legge nazionale giudicata in conflitto con una norma
dell’Unione. Qualora lo stato membro non dia esecuzione alla sentenza:
o Prima: doppia condanna = lo stato subiva una prima sentenza di accertamento della
violazione di una disposizione e una seconda sentenza di violazione dell’obbligo di
eseguire la prima sentenza;
o Maastricht ’92: stabilisce che la Commissione possa non solo aprire un
procedimento di infrazione per fare dichiarare che lo stato ha violato l’obbligo di
eseguire la precedenza sentenza, ma possa chiedere alla Corte di condannare lo
Stato al pagamento di una sanzione monetaria;
o Lisbona ’07: non è più richiesta la previa emanazione da parte della Commissione.
Annullamento
Il controllo sulla condotta delle istituzioni e degli organi dell’Unione europea si realizza
principalmente nella competenza di legittimità sugli atti dell’Unione, volta a verificare che tali atti
siano immuni da vizi che ne comportino l’invalidità. La competenza sussiste sia al Tribunale che alla
Corte di giustizia. A tali giudici i soggetti legittimati possono sottoporre un ricorso per ottenere
l’annullamento dell’atto
Chi richiede l’azione:
- Istituzione: è competente sempre la corte e l’annullamento ha un grado unico (es.
parlamento vs consiglio: controversia di natura interistituzionale;
Termine di tempo: i ricorsi devono essere proposti nel termine di due mesi dalla pubblicazione
dell’atto.
La sentenza di annullamento fa sparire l’atto impugnato o anche solo un pezzo (es. quando ci sono
norme contrarie ai trattati, a meno che non siano essenziali per l’esistenza dell’atto). La Corte
precisa gli effetti dell’atto annullato, che devono essere considerati definitici. La sentenza ha effetto
retroattivo: è come se non fosse mai esistito. A volte può convenire che non retroagisca e che l’atto
venga annullato dal momento in cui è fatta la sentenza.
Il ricorso in carenza
Il ricorso in carenza è previsto dall’art. 265 TFUE. In questo caso il ricorso è diretto a fare constatare
una omissione da parte di una istituzione, organo o organismo dell’Unione nell’adozione di un atto
che questi hanno l’obbligo di emanare. Tale ricorso è diretto a sindacare la legittimità del
comportamento delle istituzioni europee.
La mancata emanazione dell’atto deve avvenire “in violazione dei Trattati”, deve rappresentare,
cioè, la violazione di un preciso obbligo giuridico dell’istituzione di emanare l’atto. Il ricorso in
carenza costituisce pure il mezzo appropriato per fare accertare la mancata adozione, da parte di
un’istituzione, dei provvedimenti che l’esecuzione di una sentenza comporta. Tale circostanza
induce a ritenere impugnabili omissioni delle istituzioni rispetto a qualsiasi tipo di atto, anche se
non vincolante e pure se non definitivo, sempre che l’istituzione sia tenuta a adottarlo.
I soggetti legittimati a proporre il ricordo sono divisi tra privilegiati e non privilegiati:
- Privilegiati: Stati membri e istituzioni
- Non privilegiati: persone fisiche o giuridiche. Tale ricorso è limitato:
o È escluso per le raccomandazioni e i pareri e riguarda la mancata adozione solo di
atti suscettibili di produrre effetti giuridicamente vincolanti;
o I singoli devono essere i destinatari dell’atto che l’istituzione ha omesso di adottare.
Eccezione di invalidità
Art. 277: “nell'eventualità di una controversia che metta in causa un atto di portata generale adottato da
un'istituzione, organo o organismo dell'Unione, ciascuna parte può, anche dopo lo spirare del termine
previsto all'articolo 263, sesto comma, valersi dei motivi previsti all'articolo 263, secondo comma, per
invocare dinanzi alla Corte di giustizia dell'Unione europea l'inapplicabilità dell'atto stesso”.
Tale articolo consente di contestare un atto illegittimo anche una volta che sia scaduto il termine
per la sua impugnazione e risulta molto utile per i singoli, i quali, di regola, non sono legittimati a
impugnare atti legislativi di portata generale, come i regolamenti.
al Parlamento europeo il parere sul progetto di atto prima di assumere la propria decisione.
L’obbligo riguarda solo la consultazione, ma esso resta del tutto libero di accettare o meno il
parere. In caso di mancata consultazione: “violazione delle forme sostanziali”. Il Parlamento deve
essere consultato anche nel caso in cui l’originaria proposta sia stata sostanzialmente modificata. Il
Consiglio può emanare l’atto in assenza del parere del Parlamento qualora quest’ultimo ritardi
eccessivamente nel darlo, usando il suo potere consultivo come arma di pressione verso il
Consiglio, al fine di indurlo a conformarsi alla propria posizione o di impedire l’adozione dell’atto.
Ciò andrebbe in contrasto col principio di leale cooperazione, che è stato esteso anche alle
istituzioni.
L’altra forma di partecipazione è l’approvazione. Essa sostituisce il “parere conforme” dell’Atto
unico europeo del 1986. L’approvazione precede la decisione del Consiglio ed è vincolante per
l’adozione dell’atto. Il Parlamento non ha il potere di modificare il contenuto dell’atto in quanto
estraneo alla sua elaborazione.
Varianti:
1. Primo caso:
o Art. 113: previa consultazione del Parlamento e del Comitato economico e sociale in
caso di disposizioni riguardanti imposte economiche;
o Art. 127: previa consultazione del Parlamento e della BCE in caso di disposizioni
sulla politica monetaria;
o Art. 192: previa consultazione di Parlamento, Comitato economico e sociale e
Comitato delle regioni in caso di disposizioni aventi natura fiscale;
2. Secondo caso: previa approvazione del Parlamento europeo, il Consiglio, all’unanimità, può
istituire una Procura europea per il controllo dei reati che ledono gli interessi finanziari
dell’Unione (Eurojust);
3. Terzo caso: il Parlamento ha più potere del Consiglio. Previa consultazione della
Commissione e con approvazione del Consiglio, il Parlamento stabilisce, di sua iniziativa, lo
statuto e le condizioni generali per l’esercizio delle funzioni dei suoi membri.
Alla competenza dell’Unione a concludere accordi fa riferimento anche l’art. 3 par. 2, TFUE, relativo
alle competenze esclusive dell’Unione, in contrapposizione con le competenze concorrenti. Ciò non
implica che la competenza a concludere accordi sia sempre esclusiva. Va osservato che spesso le
norme del Trattato sul funzionamento dichiarano espressamente che la competenza dell’Unione
non esclude quella degli Stati membri. In casi previsti dai Trattati la competenza a concludere
accordi non appartiene in via esclusiva all’Unione, ma ha natura concorrente con quella degli Stati
membri. In altri termini, dove la competenza interna dell’Unione sia esclusiva, altrettanto sarà la
competenza a concludere accordi internazionali, salva la possibilità che la stessa Unione autorizzi
gli Stati membri a concludere accordi. Nelle altre materie, di competenza concorrente, il potere
dell’Unione di concludere accordi internazionali consiste con quello degli Stati membri.
La procedura di stipulazione degli accordi dell’Unione europea e i loro effetti giuridici. Il parere
della Corte di giustizia
Per quanto prevede la conclusione di accordi internazionali, l’art. 218 prevede il procedimento
generale. Tale procedimento inizia con una raccomandazione della Commissione o dell’Alto
rappresentante, rivolta al Consiglio affinché autorizzi l’avvio di negoziati. Se accoglie la
raccomandazione, adotta una decisione che autorizza l’avvio dei negoziati e designa il negoziatore
o il capo della squadra di negoziato. Il negoziatore agisce sotto il controllo dello stesso Consiglio, il
quale può impartirgli direttive e designare un comitato speciale, che deve essere consultato nella
conduzione dei negoziati. Inizialmente non era prevista alcuna partecipazione del Parlamento
europeo. Ora esso è immediatamente e pienamente informato in tutte le fasi della procedura di
stipulazione. Inoltre, il regolamento interno del Parlamento dispone che esso venga
esaustivamente informato dalla Commissione sulla proposta del mandato a negoziare e che esso
possa chiedere al Consiglio di non autorizzare l’apertura dei negoziati finché non si sia pronunciata
su tale proposta. Il Parlamento deve essere regolarmente ed esaurientemente informato dalla
Commissione e dal Consiglio sull’andamento dei negoziati per la loro intera durata. La decisione di
concludere l’accordo spetta al Consiglio nel quale si concentra la competenza a stipulare in nome
dell’Unione. Sia la firma che la decisione di concludere l’accordo sono adottate su proposta del
negoziatore. La conclusione può avvenire in forma semplificata, mediante la semplice firma da
parte della persona delegata dal consiglio, o in forma solenne, con una decisione o un regolamento
del Consiglio. Quando si esegue la forma solenne la firma può essere accompagnata da una
decisione di applicazione provvisoria dell’accordo. Una volta eseguita la determinazione del
Consiglio, alla controparte è comunicato che sono state adempiute le formalità necessarie. La sua
entrata in vigore avviene secondo le norme di diritto internazionale.
Per quanto riguarda il sistema di votazione del Consiglio, questo delibera a maggioranza
qualificata. Delibera all’unanimità per l’emanazione quando l’accordo riguarda un settore per il
quale è richiesta l’unanimità (emanazione di atti sul piano interno, accordi di associazione).
Il ruolo del Parlamento si esprime, a seconda dei casi, con la sua preventiva approvazione o
consultazione. Esso resta estraneo al procedimento quando gli accordi riguardano esclusivamente
la PESC. La sua approvazione è richiesta nei seguenti casi:
- Accordi di associazione;
- Adesione alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo;
- Procedure di cooperazione;
- Ripercussioni finanziarie notevoli per l’Unione;
- Settori ai quali si applica la procedure legislativa ordinaria e speciale qualora sia necessaria
l’approvazione dello stesso Parlamento.
Negli altri casi l’accordo è subordinato alla consultazione obbligatoria del Parlamento, il quale deve
formulare il suo parere entro il termine stabilito, altrimenti il Consiglio potrà deliberare anche in
assenza del parere. L’approvazione e il parere vanno richiesti e formulati anteriormente alla
determinazione del Consiglio di concludere l’accordo. In materia PESC non è prevista né
l’approvazione né il parere. La Corte di giustizia ha affermato che l’art. 218 istituisce una simmetria
fra la procedura di adozione degli atti dell’Unione a livello interno e di conclusione degli accordi
ii. Non approva gli emendamenti. In questo caso viene convocato un comitato
di conciliazione formato dai rappresentanti del Consiglio e del Parlamento
con la partecipazione della Commissione e col compito di giungere, entro 21
giorni, a un accordo su un progetto comune, approvato a maggioranza
qualificata dal Consiglio e a maggioranza semplice dai rappresentanti del
Parlamento.
1. Non perviene un accordo: il progetto è respinto e la commissione
deve sottoporre un nuovo progetto di bilancio;
2. Se si raggiunge un accordo, il Parlamento e il Consiglio dispongono di
14 giorni per approvare il progetto comune.
Entro questi 14 giorni vi sono varie possibilità:
1. Sia Parlamento che Consiglio approvano il progetto: il bilancio è definitivamente adottato;
2. Respinto sia dal Parlamento che dal Consiglio, oppure respinto da una istituzione e
approvato dall’altra, il progetto non è respinto e la Commissione deve presentarne uno
nuovo;
3. Se il Consiglio rigetta il progetto ma il Parlamento lo approva, la posizione di eguale autorità
viene alterata a favore del Parlamento. Quest’ultimo, entro 14 giorni dal rigetto del
Consiglio, può decidere di confermare tutti gli emendamenti originariamente adottati
rispetto alla posizione del Consiglio, oppure solo alcuni. Il bilancio è definitivamente
adottato secondo le determinazioni del Parlamento.
Una volta che il bilancio viene definitivamente adottato, è formalmente il Presidente del
Parlamento europeo che constata tale adozione.
Ove il bilancio sia respinto, le spese vengono erogate secondo il regime dei dodicesimi: le spese
effettuate mensilmente non possono superare un dodicesimo dei crediti aperti nel bilancio
dell’esercizio precedente, né un dodicesimo di quelli previsti nel progetto di bilancio non adottato.
La Commissione esegue il bilancio sotto il controllo finanziario della Corte dei conti.
Accordi misti
Il quadro in merito alla distinzione tra le ipotesi di competenza esclusiva o concorrente dell’Unione
nella conclusione di accordi non è sempre nitido. Ci sono materie che, per esempio, sono
comprese solo parzialmente nella competenza dell’Unione e lasciando per il resto competenza agli
Stati membri. In casi del genere è prevista la prassi di stipulare accordi “misti”, i quali sono
negoziati e sottoscritti sia dall’Unione che dagli Stati membri e richiedono non solo una decisione
dell’Unione, ma anche la ratifica degli Stati membri. Tale procedura è stata voluta dagli stessi Stati
membri al fine di non consentire all’Unione di gestire da sola le relazioni eterne, preoccupati di
salvaguardare le proprie prerogative di fronte alla tendenza a un continuo ampliamento delle
competenze esclusive dell’Unione. Questa prassi è stata riconosciuta anche dalla stessa Corte di
giustizia. Due effetti:
Caratteri generali
L’ordinamento giuridico è riconducibile a una pluralità di fonti:
- Primarie:
o TUE e TFUE. Hanno il medesimo valore giuridico;
o Protocolli e allegati ai Trattati poiché ne costituiscono “parte integrante”;
o Accordi di adesione con nuovi membri;
- Secondarie (o di diritto derivato): atti obbligatori che le istituzioni hanno il potere di
emanare:
o Regolamenti;
o Direttive;
o Decisioni;
essi danno vita alla c.d. legislazione dell’Unione.
- Atti atipici: decisioni sulla conclusione di accordi internazionali.
fra Trattati e fonti di diritto derivato sussiste un rapporto gerarchico poiché le seconde sono
subordinate ai primi.
I Trattati
Essi sono, da un punto di vista formale, accordi internazionali soggetti alle regole di diritto
internazionale generali concernenti la conclusione, la validità, l’efficacia e l’interpretazione. È
frequente l’affermazione secondo la quale i Trattati rappresentando la “costituzione” dell’Unione.
non si distinguono dagli altri trattati internazionali e non si sottraggono alle norme di diritto
internazionale generale in materia.
Il carattere costituzionale dei Trattati è accentuato perché, come ha affermato la Corte nella
sentenza Van Gend en Loos, essi hanno dato vita a un ente sopranazionale a favore del quale gli
Stati hanno rinunciato ai loro poteri sovrani e il cui ordinamento giuridico riconosce come soggetti
non solo gli Stati membri ma anche i loro cittadini.
Diritto primario
Natura: parere della Corte di giustizia nella sentenza Les Verts: legittimità attiva del Parlamento
europeo di impugnare gli atti: qui i Trattati sono definiti come la carta costituzionale di base.
Regolamenti
Il regolamento ha tre caratteristiche principali:
1. Portata generale: implica che esso sia rivolto a una serie indeterminata di destinatari,
conferendo a essi diritti o obblighi. Tale caratteristica lo differenzia dalla decisione, la quale
è rivolta verso specifici destinatari predeterminati. La Corte ha riconosciuto che un atto
rappresenta un regolamento, sebbene sia possibile determinare il numero dei destinatari,
purché avvenga in base a elementi oggettivi e non individuali (es. se atto che congela il
conto ad un individuo per attività terroristiche è regolamento perché nessuno può
finanziarlo privatamente, ha quindi portata generale). La portata generale non va intesa
come implicante necessariamente la sua applicazione in tutti gli stati, è possibile che sia
emanato con riguardo ad un solo stato o che abbia una sfera territoriale limitata;
2. Obbligatorietà in tutti i suoi elementi: si differenzia dalla direttiva, la quale ha
un’obbligatorietà limitata al risultato da raggiungere, mentre gli stati membri conservano la
libertà di stabilire i mezzi per raggiungere tale risultato;
3. Diretta applicabilità: è un aspetto essenziale della sopranazionalità che caratterizza l’intero
fenomeno dell’integrazione europea. I regolamenti esprimono la capacità dell’Unione
europea di produrre una normativa che raggiunge direttamente i consociati, creando per
essi diritti e obblighi giuridici, e s’impone a qualsiasi autorità giuridica. In questo modo il
diritto dell’Unione viene ad integrarsi con quello degli Stati membri. L’applicabilità diretta
comporta che i regolamenti acquistano efficacia giuridica all’interno degli Stati membri al
momento stesso in cui essi entrano in vigore. Ciò esclude la necessità di qualsiasi atto
statale di adattamento per due motivi:
a. Andrebbe in contrasto con la diretta applicabilità dei regolamenti, spostando
l’entrata in vigore del regolamento al momento in cui l’atto statale viene pubblicato;
b. La riproduzione del regolamento in un atto legislativo statale finisce per celare la
natura europea della norma, camuffandola in legge statale.
L’applicabilità diretta dei regolamenti non significa soltanto che essi penetrano negli
ordinamenti degli Stati membri senza bisogno di alcun atto di adattamento, ma anche che
essi sono idonei a creare diritti a favore dei singoli e obblighi a loro carico. Sono produttivi
di effetti diretti sia nei rapporti orizzontali (tra privati) sia nei rapporti verticali (tra privato e
stato).
Differenza tra:
- Diretta applicabilità: opera in relazione all’atto essendo riconosciuta solo dai regolamenti e
fatta solo in essi;
- Effetto diretto: non è una caratteristica dell’atto ma della norma contenuta nell’atto. Se
l’atto è direttamene applicabile le norme mi aspetto che siano dotate di effetto diretto.
Questa differenza ha alcuni effetti pratici: se nel regolamento c’è una norma non dotata di effetto
diretto, significa che necessita di una minima attività di attuazione da parte dello Stato. Se l’atto
non è direttamente applicabile è possibile che le norme non abbiano effetto diretto. La natura
della norma risolve i problemi ed è questo che interessa alla Corte: la norma deve essere chiara,
precisa e incondizionata, quindi, alla Corte non interessa distinguere tra effetto diretto e
applicabilità diretta, ma bisogna leggere la norma.
Direttive
La direttiva può essere destinata a tutti o a taluni Stati membri, ma è sempre rivolta a Stati, non ai
singoli. Essa ha un’efficacia parzialmente obbligatoria poiché vincola gli Stati destinatari solo per i
risultati da raggiungere, mentre riconosce una certa libertà di tali Stati in merito alla scelta dei
mezzi e delle forme necessarie per conseguire il risultato. In questa maniera, la direttiva appare
come un atto meno intrusivo nella realtà giuridica degli Stati membri rispetto ad un regolamento.
A differenza di quest’ultimo, non è direttamente applicabile, ma acquista efficacia all’interno degli
Stati destinatari in via mediata, grazie ad atti statali che provvedono a dare attuazione alla direttiva
e a integrare il suo contenuto normativo, dato che, quest’ultimo, è incompleto, limitandosi a
prescrivere l’obbligo e non la forma e i mezzi. Le direttive stabiliscono il termine entro il quale gli
Stati debbono darvi attuazione. Esso può variare da pochi mesi ad alcuni anni, in rapporto a diversi
fattori. L’obbligo a carico dei destinatari consiste nel divieto di adottare misure che abbiano il
risultato di rendere più difficile l’attuazione della direttiva.
Una volta che il termine sia scaduto senza che lo Stato abbia attuato correttamente la direttiva,
esso è responsabile della violazione dell’art. 288 e può essere esperita una procedura di infrazione
ai sensi dell’art. 258 o 259.
Qualora una direttiva abbia contenuto sufficientemente chiaro e preciso, preveda un obbligo
incondizionato e sia diretta a conferire ai singoli un diritto, essa ha efficacia diretta, cioè è
suscettibile di creare in capo ai singoli diritti da essi esercitabili ed eventualmente invocabili in
giudizio davanti ai giudici nazionali.
Sentenza van Duyn, 1974: l’efficacia diretta della direttiva è ricollegata alla stessa obbligatorietà
dell’atto, che sarebbe ristretta ove si escludesse a priori la possibilità di invocarla in giudizio. Se il
regolamento ha effetto diretto, anche gli altri atti dell’art. 288 possono avere effetti analoghi a
certe condizioni. L’efficacia diretta richiede che la direttiva:
- Abbia un contenuto autosufficiente, completo e tale, quindi, da essere applicabile da
giudice nazionale anche in assenza di una legge statale di attuazione;
- Abbia un obbligo incondizionato, cioè che:
o Non richiede ulteriori atti di esecuzione;
o Il termine per l’attuazione della direttiva sia scaduto e lo Stato non l’abbia trasposta
nel proprio ordinamento, o l’abbia trasposta in modo inadeguato.
Prima della scadenza la possibilità che la direttiva produca effetti diretti per i singoli è esclusa. La
Corte ha confermato l’efficacia diretta delle direttive e ne ha ulteriormente chiarito il fondamento
mettendo in evidenza la necessità che il termine per l’attuazione della direttiva sia scaduto.
Dato che essa costituisce una garanzia per i singoli e una sanzione per lo Stato, crea l’obbligo di
eseguirla solo per quest’ultimo e non nei confronti dei singoli e dei privati. L’efficacia diretta è
quindi verticale e non orizzontale.
Sentenza Marshall, 1986: caso di pensionamento discriminato in base al genere (60 donne e 65
uomini). Il datore di lavoro è un privato quindi la direttiva che vieta la discriminazione in base al
genere non è applicabile. Il divieto di effetti diretti orizzontali produce conseguenze
insoddisfacenti. La Corte di giustizia non ne è indifferente ed ha ampliato l’applicazione di una
direttiva non eseguita attraverso la dilatazione della nozione di “Stato”, comprendendo tutti quegli
enti e organismi che esercitino un potere pubblico. Inoltre, ha affermato che i giudici, in base
all’obbligo di leale cooperazione, devono interpretare il diritto interno in maniera conforme
all’obbligo prescritto dalla direttiva. L’interpretazione del giudice va a piegare il diritto interno
adattandolo alla prescrizione della direttiva. Il giudice formalmente non applica la direttiva, ma il
diritto interno e questo crea diritti e obblighi anche nei rapporti tra privati. Es.: se il giudice
nazionale deve applicare una norma che ha 5 significati non in linea con la direttiva, ne crea un
sesto da applicare al caso concreto. Il lavoro interpretativo del giudice diventa un vero e proprio
lavoro creativo.
Decisioni
La decisione è qualificata come obbligatoria in tutti i suoi elementi e si differenzia dalla direttiva in
quanto quest’ultima è vincolante solo per quanto riguarda il risultato da raggiungere. Art. 288, par.
4: è obbligatoria soltanto nei confronti dei destinatari designati. Se sono prive di destinatari hanno
carattere generale. Gli specifici destinatari possono essere sia Stati membri sia persone fisiche o
giuridiche. Nel caso di quest’ultime, le decisioni assumono caratteri affini a provvedimenti
amministrativi di diritto interno e comportano un obbligo solitamente pecuniario. Nel caso in cui
designano specifici destinatari aiutano a distinguerle dai regolamenti.
Le decisioni che non designano i destinatari restano obbligatorie in tutti i loro elementi. Queste
comprendevano diverse categorie, come: la composizione delle istituzioni e degli organi, l’avvio di
negoziati per la conclusione di accordi dell’Unione e la designazione dei negoziatori e la decisone
di concludere l’accordo.
L’art. 288 omette qualsiasi indicazione in merito all’eventuale diretta applicabilità della decisione.
Considerato che essa è obbligatoria in tutti i suoi elementi, in caso sia indirizzata ad uno Stato,
dipenderà dal suo contenuto stabilire se richieda o meno l’emanazione di atti statali di esecuzione.
Dato il suo carattere tendenzialmente completo, si presuppone che essa sia direttamente
applicabile all’interno dello Stato destinatario. Non hanno bisogno di atti statali le decisioni rivolte
a persone fisiche o giuridiche. Inoltre, il loro carattere è sia verticale che orizzontale.
Raccomandazioni e pareri
L’art. 288, par. 5 contempla le raccomandazioni e i pareri limitandosi ad affermare che non sono
vincolanti.
- La raccomandazione: è una manifestazione di volontà, con la quale l’istituzione che la
emana chiede al destinatario, in maniera non vincolante, di tenere la condotta
raccomandata. Tutte le istituzioni sono competenti di adottare raccomandazioni nei casi
specifici previsti dai trattati. Solo Consiglio e Commissione hanno il potere generale di
adottare tali atti. I destinatari possono essere istituzioni, Stati e persone fisiche o giuridiche;
- Il parere: è una manifestazione di giudizio o opinione che la Commissione, o altre
istituzioni, possono emanare in una data materia o nei confronti di specifici destinatari. C’è
tuttavia la possibilità che sotto il nomen iuris di parere si celi una decisione. Ciò ha una
specifica rilevanza per quanto riguarda l’impugnabilità dell’atto dinanzi alla corte (parere
non si può, decisione si).
Inoltre, definisce le linee strategiche della politica dell’Unione dinanzi a eventuali sviluppi
internazionali.
L’oggetto di tali atti può riguardare gli atti dell’Unione con un Paese o con una regione, o un tema
particolare (terrorismo, pirateria ecc.). Gli atti del genere del Consiglio europeo possono avere
valore politico, come le conclusioni emanate a seguito delle sue riunioni, ma possono anche
produrre effetti obbligatori. Infatti, le decisioni del Consiglio europeo
“fissano la rispettiva durata e i mezzi che l’Unione e gli Stati membri devono mettere a
disposizione”.
L’obbligo di mettere a disposizione i mezzi necessari incombe, quindi, sia sulle istituzioni che sugli
Stati membri.
Il Consiglio prende decisioni per la definizione e l’attuazione della PESC
“in base agli orientamenti generali e alle linee strategiche definiti dal Consiglio europeo”.
Pertanto, tali orientamenti del Consiglio europeo vincolano giuridicamente il Consiglio.
Esistono quindi due tipi di atto in questa materia:
1. Decisioni che definiscono posizioni dell’Unione, obbligatorie per gli Stati membri;
2. Decisioni che definiscono le modalità di attuazione delle decisioni relative ad azioni o
posizioni dell’Unione e che sono gerarchicamente subordinate a queste ultime decisioni.
Accordi internazionali
Art. 216: l’Unione può concludere accordi con uno o più paesi terzi o con organizzazioni
internazionali qualora i Trattati lo permettano. Tali accordi vincolano le istituzioni e gli Stati
membri.
Art. 3: l’Unione ha competenza esclusiva nella conclusione di accordi internazionali allorché tale
conclusione sia prevista in un atto legislativo dell’Unione o necessaria per consentirle di esercitare
le proprie competenze a livello interno.
Si trovano in una posizione intermedia fra i Trattati e gli atti di diritto derivato. Essi sono
subordinati ai Trattati non avendo la forza giuridica necessaria per modificarli. Possono, infatti,
essere stipulati solo se e quando sia stata assicurata la loro compatibilità con gli stessi Trattati. La
loro contrarietà ne determina l’illegittimità. Il diritto derivato, invece, è subordinato agli accordi, i
quali “vincolano le istituzioni dell’Unione” le quali devono astenersi dall’adottare atti che ne siano
in contrasto.
Anche gli accordi dell’Unione entrano a far parte autonomamente dell’ordinamento dell’Unione,
producendo effetti diretti per i singoli e cioè creando diritti che i singoli possono direttamente
esercitare. Tale efficacia diretta è riconoscibile solo se le norme dell’accordo abbiano un contenuto
chiaro, incondizionato e preciso, che non richieda l’emanazione di alcun atto ulteriore.
Es.: effetto diretto verticale nella sentenza Bresciani: la Corte ha riconosciuto il diritto dei singoli di
far valere in giudizio i propri diritti derivanti da una disposizione della Convenzione di Yaoundé nel
1963 tra CEE e gli Stati africani, che prescriveva il divieto di tasse di effetto equivalente ai dazi
doganali. La ditta Bresciani importava pelli bovine dalla Francia e dal Senegal. Quando la dogana in
italiana chiese una visita sanitaria, la ditta fece causa e la Corte riconobbe l’effetto diretto alle
norme contenute in questo accordo internazionale concluso dall’UE.
Sentenza Bresciani, 1976, è un esempio di effetto interno delle norme degli accordi internazionali:
la ditta importava pelli bovine dalla Francia e dal Senegal. Arrivata in Italia le viene chiesta una
visita sanitaria ma ciò andava contro alla Convenzione di Yaoundé. Fa causa alla Corte di giustizia,
la quale riconosce l’effetto diretto delle norme contenute all’interno degli accordi internazionali
deve ricercare tutti i mezzi per eliminare l’incompatibilità con i Trattati dell’Unione, cercando di
rinegoziare con lo Stato terzo l’accordo in questione e, in caso, denunciandolo, provocando così
l’estinzione della sua efficacia.
diritto comunitario. In questo modo il primato del diritto non ne dichiara solo la prevalenza
ma anche la diretta disapplicazione di quello interno.
I controlimiti
Nel caso di contrasto tra le norme nazionali e il diritto dell’Unione direttamente applicabile è
compito del giudice comune disapplicare le suddette norme in base alla limitazione di sovranità
fondata sull’art. 11, giovandosi del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia.
La Corte costituzionale ha elaborato la teoria dei controlimiti: dei principi nazionali che vanno
necessariamente salvaguardati e che limitano la prevalenza del diritto dell’Unione. essi consistono
nei principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale e nei diritti inalienabili della
persona umana. Ove una disposizione o un atto dell’Unione violino un principio supremo o un
diritto umano fondamentale, il giudice comune deve sottoporre alla Corte costituzionale la
questione di legittimità costituzionale della legge italiana di esecuzione dei Trattati europei.
L’eventuale pronuncia di incostituzionalità avrebbe come oggetto la legge italiana di esecuzione
non nella sua interezza, ma solo nella misura in cui consentisse a specifiche disposizioni di spiegare
i propri effetti nell’ordinamento italiano.
Il giudice nazionale fa rinvio pregiudiziale di validità per il sospetto che la norma comunitaria violi i
diritti fondamentali. Diversi scenari:
- La Corte di giustizia dà ragione al giudice e toglie di mezzo la norma comunitaria;
- La Corte di giustizia mi dà torto:
o Le do ragione e applico la norma comunitaria;
o Faccio il rinvio alla Corte costituzionale:
Dà ragione alla Corte di giustizia: applico norma comunitaria;
Dà ragione a me: applica i controlimiti e caccia la norma comunitaria, ma
l’Italia diventa responsabile di aver violato il diritto comunitario.
C’è anche il caso in cui dopo il rinvio pregiudiziale la Corte di giustizia, per l’art. 264, …
Caso Taricco: nel 2015 la Corte di giustizia nella sentenza c.d. Taricco, sollecitata da un giudice
italiano che si trovava a dover giudicare su alcuni casi di frodi IVA su un commercio di bottiglie di
champagne, aveva ritenuto che la legislazione italiana in materia di prescrizione impedisse di
tutelare in maniera adeguata gli interessi finanziari dell’Unione europea, che in parte venivano lesi
nei casi di specie (l’IVA, infatti, finanzia in gran parte il bilancio italiano, ma in piccola parte anche il
bilancio dell’UE).
La Corte di giustizia aveva stabilito che siccome le regole italiane sulla prescrizione conducevano a
una impunità di fatto nei casi in questione, quelle regole andavano disapplicate al ricorrere di
determinate condizioni. Quella sentenza aveva generato però parecchi problemi: le circostanze
della disapplicazione erano infatti indicate in maniera tale da lasciare un margine di interpretazione
assai ampio per il giudice del caso concreto, che era chiamato a valutare se l’applicazione delle
norme sulla prescrizione conducesse all’impunità in “un numero considerevole di casi di frode
grave”.
Sulla base di queste preoccupazioni, nei giorni e nelle settimane e mesi immediatamente
successivi, diversi altri giudici italiani avevano sollecitato l’intervento della Corte costituzionale,
ritenendo che l’applicazione della sentenza della Corte di giustizia (ovvero… la disapplicazione della
normativa sulla prescrizione) avrebbe violato il principio di legalità in materia penale in sue varie
declinazioni, e ritenendo che quel principio fosse compreso tra quei principi supremi che denotato
l’identità costituzionale italiana, e che quindi possono e devono prevalere rispetto a qualunque
altra norma.
Alla Corte costituzionale veniva in sostanza richiesta la “autorizzazione” a disobbedire la Corte di
giustizia.
La Corte costituzionale, con una decisione abbastanza sorprendente, ha deciso a inizio 2017 di
chiamare nuovamente in causa la Corte di giustizia, per far presente e sottolineare gli effetti che
l’applicazione della giurisprudenza Taricco comportava in Italia, facendo chiaramente intendere che
tali effetti non potevano essere tollerati dall’ordinamento costituzionale italiano. Con una sentenza
non meno sorprendente, la Corte di giustizia ha oggi sostanzialmente teso una mano alla Corte
costituzionale italiana, ampiamente sconfessando le posizioni da essa espresse poco più di un anno
prima.
Altro caso di competenza esclusiva della Corte costituzionale è quello della “ribellione del
legislatore”, nella quale la legge ordinaria è deliberatamente diretta a “impedire o pregiudicare
l’osservanza del Trattato”. In questa ipotesi la Corte deve riferire al legislatore che non può farlo
poiché ha aderito a dei trattati internazionali coperti dall’art. 11.
La Corte di giustizia afferma che il giudice comune non può avere l’obbligo di fare il rinvio alla Corte
costituzionale perché, in questo modo, verrebbe svuotato il significato del rinvio pregiudiziale. Così
da obbligatorio diventa opportuno fare tale rinvio.
L’attuazione del diritto dell’Unione europea comporta anche un delicato problema di riparto di
competenze tra Stato e regioni. Frequentemente le materie oggetto di atti dell’Unione ricadono
nella competenza legislativa delle regioni. Tale fenomeno è stato intensificato con la riforma del
titolo V della parte seconda della Costituzione, la quale ha ampliato notevolmente la sfera di
competenza delle regioni. In questi casi, la podestà legislativa statale e regionale va eseguita
rispettando gli obblighi comunitari, usando anche l’art. 11.