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Diritto dell'unione europea

Diritto dell'Unione Europea (Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido
Carli)

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DIRITTO UE CASA

CAPITOLO I

1948: Convenzione di Parigi crea l’Organizzazione europea di cooperazione economica (OECE), col
compito di amministrare i fondi del piano Marshall. Nel 1960 si trasformò nell’Organizzazione per
la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE). Queste esperienze hanno creato un clima di
collaborazione tra gli Stati europei.
La prima organizzazione con la quale ha inizio il processo di integrazione europeo è la Comunità
europea del carbone e dell’acciaio (CECA). All’origine c’è la celebre dichiarazione Schumann
(inspirata a Monnet) del 9 maggio 1950 (festa dell’Unione europea). Era una proposta volta a
Francia e Germania nella quale suggerisce al ministro degli esteri francese di mettere insieme
un’associazione per unire il mercato del settore più importante per la strategia nella regione della
Sarr, ovvero quello siderurgico. La proposta fu accettata non solo da Germania e Francia, ma anche
da Italia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo. REGNO Unito rifiuta per il Commonwealth. La firma
giunse a Parigi nel 1951 ed il trattato entrò in vigore nel 1952 costituendo il nucleo originario della
costruzione dell’Unione europea.
Il trattato prevedeva la creazione di un mercato comune dei prodotti carbo-siderurgici, eliminando
i dazi e le restrizioni quantitative alla circolazione di tali prodotti tra gli Stati membri.
Per raggiungere questo obbiettivo il Trattato d Parigi creava un articolato apparato organizzativo,
formato da:
- Alta Autorità: organo collegiale con funzioni “sopranazionali”, con poteri sia esecutivi che
normativi nei confronti degli Stati membri;
- Assemblea comune: composta dai rappresentanti dei popoli degli Stati riuniti nella
Comunità. Ha funzione di controllo politico sull’Alta Autorità;
- Consiglio speciale dei ministri: formato da un ministro di ciascuno Stato membro,
competente ad emanare poteri;
- Corte di giustizia: organo giudiziario chiamato ad assicurare il rispetto del diritto
nell’interpretazione e nell’applicazione del Trattato.
Con la nascita della CEE e dell’EURATOM l’Assemblea comune (parlamento europeo) e la Corte di
giustizia vennero unificate per le tre Comunità (CECA, CEE e EURATOM).
Il Trattato di Parigi prevedeva un termine di durata di cinquant’anni. La CECA si è estinta nel 2002.
Differenze tra le comunità:
- CECA e EURATOM sono settoriali;
- CEE è generale ed è volta alla creazione di un mercato comune.

Il successo della CECA impresse una spinta eccessiva e prematura al processo d’integrazione
europeo gli stessi Stati della CECA sottoscrissero un nuovo trattato: la CED (comunità europea
difensiva), che comportava la creazione di un esercito europeo. Ulteriore progetto -> CPE
(comunità politica europea). Il CED non entrò mai in vigore. Prevale il metodo Schumann e
Monnet, ovvero quello di procedere per piccoli passi senza allargare inutilmente politiche a tutti se
non si è pronti. Dopo 5 anni, il ministro degli esteri Italiano Gaetano Martino organizza una
conferenza con gli altri membri della CECA e suggerisce di tornare alla strada originaria. La

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commissione scrive due testi: la CEE e l’EURATOM. Nel 1957 si sottoscrivono i due trattati.
Differenze tra le comunità:
- CECA e EURATOM sono settoriali;
- CEE è generale ed è volta alla creazione di un mercato comune.

Le nuove comunità:
- Il Trattato della CEE ha un oggetto di natura economica e commerciale e non ha un aspetto
settoriale, bensì generale. Prevede la progressiva creazione di un mercato comune
caratterizzato dall’eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione di:
o Merci;
o Persone;
o Servizi;
o Capitali
Tra gli Stati membri. Cerca di garantire la libera concorrenza. Obbiettivi ispirati a principi liberisti di
un’economia di mercato aperto.
- La CEEA nasceva con il compito di contribuire, incrementando le industrie nucleari,
all’elevazione del tenore di vita negli Stati membri e allo sviluppo degli scambi con altri
paesi. Ciò comportava quindi lo sviluppo delle ricerche e la diffusione delle cognizioni
tecniche delle questioni nucleari.

Le tre Comunità sono qualificate come sopranazionali. Differenza con le organizzazioni


internazionali:
- Organizzazioni internazionali: gli Stati membri sono rappresentati solo dai propri governi e
non vi è alcuna forma di partecipazione dei popoli. Per questo vengono chiamate anche
“intergovernative”;
- Organizzazioni sopranazionali: c’è la partecipazione del popolo che elegge direttamente il
parlamento.
Entrambe prendono vita mediante la conclusione di un accordo tra gli Stati membri.

Il parziale trasferimento dei poteri legislativi

Van Gend en Loos:


Rappresenta il manifesto del metodo comunitario.
Storia: è un’azienda che importa colla industriale dalla Germania ai paesi bassi e le autorità al
confine le chiedono una tassa dell’8% ad valorem delle merci, violando l’art. 12 della CEE. L’azienda
fa causa per chiedere un risarcimento ma perde in primo grado.
- Paesi bassi: non si può fare il rinvio pregiudiziale poiché non riguarda l’interpretazione o la
validità di un atto ma solo la sua attuazione. La Corte in questo caso afferma la diretta
invocabilità dei diritti e il primato del diritto comunitario su quello interno incompatibile;
- Germania: si affianca ai paesi bassi affermando che i dazi vanno tolti dagli stati e non dalla
Corte.
La Corte:
“Lo scopo del trattato CEE, ovvero l’instaurazione di un mercato comune, implica che esso va al di
là di un accordo che si limitasse a creare obblighi reciproci fra Stati contraenti. Ciò è confermato
dall’instaurazione di organi investiti istituzionalmente di poteri sovrani da esercitarsi nei confronti

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sia degli Stati membri si dei loro cittadini. I cittadini collaborano, attraverso il Parlamento europeo,
delle attività della Comunità stessa. La funzione attribuita alla Corte di giustizia, il cui scopo è
quello di garantire l’uniforme interpretazione del Trattato da parte dei giudici nazionali, costituisce
la riprova del fatto che gli Stati hanno riconosciuto al diritto comunitario un’autorità tale da poter
essere fatto valere dai loro cittadini davanti a detti giudici. La comunità costituisce un ordinamento
giuridico di nuovo genere a favore del quale gli Stati hanno rinunciato ai loro poteri sovrani e che
riconosce come soggetti non solo gli Stati membri ma anche i loro cittadini”.

Primo elemento che viene posto in luce è dato dalla partecipazione dei cittadini alla vita della
comunità mediate il parlamento europeo che viene più accentuata grazie all’elezione diretta del
parlamento. Il metodo di funzionamento del parlamento è denominato “comunitario”. L’elemento
caratterizzante della “sopranazionalità” è rappresentato dal trasferimento parziale di sovranità
dagli Stati membri all’Unione. Tale trasferimento emerge sul piano della podestà legislativa. Gli
organi dell’unione sono investiti “di poteri sovrani da esercitarsi nei confronti sia degli Stati membri
sia dei loro cittadini”.
Oltre alla generalità e all’obbligatorietà, va segnalata la diretta applicabilità del regolamento
all’interno degli Stati membri. Ciò implica che tale atto è idoneo a produrre obblighi e diritti per i
singoli, a essere applicato dai giudici e dalle autorità di ciascuno Stato membro senza necessità di
un atto di esecuzione da parte di tale Stato. È la capacità di raggiungere direttamente le comunità
interne senza obbligo di alcuna mediazione da parte dello Stato. In virtù di questa diretta
applicabilità vanno riconosciuti non solo gli Stati membri, ma anche i loro cittadini. Essi sono
immediatamente destinatari di diritti e obblighi derivanti da norme europee. Il diritto comunitario
prevale sul diritto interno, quindi il giudice nazionale è tenuto ad applicare il primo in caso di
contrasti tra i due.

Il parziale trasferimento dei poteri giudiziari


Al trasferimento parziale dei poteri legislativi segue quello dei poteri giudiziari. Nell’Unione è
presente un articolato sistema giudiziario, nella sede del quale va richiamata la competenza
“pregiudiziale” o di “rinvio”. Ai sensi di tale disposizione, qualora in un processo dinanzi a un
giudice nazionale sorga una questione o un dubbio, affinché il giudice possa decidere, lo stesso
giudice deve sospendere il processo interno e chiedere alla Corte di giustizia dell’Unione europea
di risolvere la suddetta questione. La Corte di giustizia si limita a pronunciare la corretta
interpretazione della norma europea; la decisone del caso compete pur sempre al giudice
nazionale. La sentenza per lui è comunque obbligatoria; di conseguenza la decisione che emetterà
si fonderà sull’interpretazione della norma europea stabilita dalla Corte di giustizia.

L’allargamento dell’Unione europea


Le linee evolutive dei Trattati seguono due direttrici:
1. Evoluzione della membership: chi partecipa e chi no;
2. Funzionamento vero e proprio della comunità: competenze, istituzioni ecc.;
nel primo caso si parla di allargamento, nel secondo di revisione.

ALLARGAMENTO
Il numero degli Stati membri appartenenti all’Unione europea si è progressivamente ampliato fino
agli attuali ventotto.

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- 1957: intorno a Francia e Germania si crea la CECA e la CEE che contava 6 Stati membri, i
quali, all’epoca, contavano il 30% della popolazione europea;
- 1973: Danimarca, Irlanda e Regno Unito. Quest’ultimo importante sia a livello geopolitico
che demografico. Il Regno Unito era contro gli elementi che erano sorti con Van Gend en
Loos che ledono la sovranità dello Stato ai quali non era familiare. Il caso Brexit descrive un
caso di recesso ed è simile al caso del 1974 quando si votò lo stesso referendum e coloro
che volevano rimanere vinsero di poco contro quelli che volevano uscire dall’Unione;
- 1981: Grecia. Aveva iniziato l’adesione anni prima attraverso l’Accordo di associazione, il
quale estende le norme più semplici per un certo periodo di tempo. Aderire al processo di
associazione non è cosa da poco poiché i trattati chiedono molto soprattutto in termini di
rinuncia volontaria di sovranità;
- 1886: Spagna e Portogallo;
- 1995: Austria, Finlandia e Svezia.
Da ciò si deduce che:
- Il processo di adattamento è molto lento;
- Entrano in pochi alla volta;
- Entrano paesi che hanno un sistema valoriale simile a quello occidentale poiché è più facile
per loro rispettare le norme e le regole.
Poi c’è una maxi-adesione:
- 2004: dieci Stati: Cipro, Malta, Repubblica Ceca, Lettonia, Lituania, Estonia, Slovenia,
Slovacchia, Ungheria e Polonia.

L’allargamento dell’Unione europea ha determinato una progressiva estensione del diritto europea
nei nuovi Stati membri.
L’ammissione e il recesso vengono regolati secondo gli art. 49 e 50 del TUE. Il recesso è considerato
senza condizioni ma nell’art. 50 c’è scritto “conformemente alle proprie norme costituzionali”
(Italia -> non si possono fare referendum per materie riguardanti i trattati internazionali, quindi
non possiamo fare come il Regno Unito).

L’Atto unico europeo del 1986


Viene sottoscritto a Lussemburgo nel 1986 ed entrerà in vigore nel 1987. Fa seguito ad un progetto
di Trattato che istituisce l’Unione Europea, approvato dal parlamento nel 1984 e noto come
Trattato Spinelli. Non entrò mai in vigore per non aver ottenuto la ratifica di alcuni Stati membri ma
avrebbe notevolmente modificato le Comunità creando una più ampia e ambiziosa UE.
L’Atto unico europeo produsse qualche significativo risultato:
1. Contemplò l’instaurazione di una cooperazione europea in materia di politica estera;
2. Tentava di dare risposta a quella ineludibile esigenza di democratizzazione che aveva
ispirato il Trattato Spinelli. Si limitò però ad introdurre un procedimento detto ‘di
cooperazione’, che consentiva al Consiglio di adottare un atto anche contro la volontà dello
stesso Parlamento (?);
3. Fissa nel 1992 la data precisa entro la quale la CEE avrebbe dovuto adottare le misure
necessarie per completare il mercato interno. La realizzazione del mercato interno (o
mercato comune o mercato unico) richiedeva la realizzazione di 4 fondamentali libertà di
circolazione:
a. Merci;

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b. Persone;
c. Servizi;
d. Capitali;
4. Istituì nuove politiche europee:
a. La politica di coesione economica e sociale: al fine di ridurre il divario tra le diverse
regioni;
b. La politica di ricerca e sviluppo tecnologico: con l’obbiettivo di rafforzare le basi
scientifiche e tecnologiche dell’industria europea;
c. La politica ambientale: tesa a salvaguardare, proteggere e migliorare la qualità
dell’ambiente.

Il Trattato di Maastricht del 1992


Viene sottoscritto dopo la caduta del muro di Berlino per rafforzare il processo d’integrazione.
Sparita l’Unione Sovietica gli stati vollero creare un’unificazione basata su: unione monetarie ed
economica, immigrazione e asilo e politica estera e difesa dei confini. Il prezzo era una gran
cessione di sovranità.
Esso dà vita ad una più ampia organizzazione, ovvero l’Unione europea, che non sostituisce le tre
Comunità precedenti ma la ricomprende, instaurando delle forme di cooperazione tra gli Stati
membri in due nuove materie: la politica estera e di sicurezza comune (PESC) e la giustizia e affari
interni (GAI), regolate nello stesso Trattato dell’Unione europea. L’UE viene a fondarsi su tre
pilastri:
1. Le tre Comunità europee (CEE, CECA e EURATOM);
2. PESC;
3. GAI.
Dall’entrata in vigore del Trattato di Maastricht coesistono ben quattro Trattati:
- Il Trattato sull’Unione europea: contiene la PESC e la GAI;
- Il Trattato sulla CEE, che verrà ridenominata Comunità Europea;
- Il Trattato sulla Comunità europea dell’energia atomica;
- Il Trattato sulla Comunità europea del carbone e dell’acciaio.
La divisione in tre pilastri comporta che, mentre nel primo operano completamente le istituzioni, i
procedimenti e il carattere “sopranazionale”, negli altri due prevale un metodo intergovernativo
tradizionale, nel quale i protagonisti dei processi decisionali restano gli Stati membri, rappresentati
dai rispettivi governi.
Il Trattato di Maastricht reca fondamentali sviluppi:
- Stabilisce i ritmi e le condizioni per il passaggio ad una moneta unica, l’euro;
- Accresciuta sensibilità per i diritti della persona. Riconosce espressamente i diritti umani
fondamentali risultanti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo del ’50 e dalle
tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri;
- Istituisce una cittadinanza europea consistente in uno status giuridico spettante ad ogni
cittadino di uno Stato membro.
Questa sollecitudine di rilevanza sociale giustifica anche il passaggio dalla CEE alla CE. La “E” di
economica viene meno per evidenziare il passaggio da una entità essenzialmente economica ad
una dimensione più elevata, di carattere sociale e umano.
Altre due innovazioni:

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1. Istituisce una nuova procedura di adozione degli atti delle istituzioni europee, denominata
“codecisione”;
2. Accetta definitivamente che il modello d’integrazione europea può svilupparsi non
uniformemente per tutti gli Stati membri. Questo modello viene chiamato a “cerchi
concentrici” e si sviluppa soprattutto in seguito all’ostilità manifestata del Regno Unito.

Gli sviluppi successivi ed il fallimento della Costituzione europea


I successivi trattati, fino a Lisbona 2007, non hanno inciso come quello di Maastricht sull’Unione
europea. Sono state, tuttavia, apportate innovazioni significative dal Trattato di Amsterdam del
1997, in vigore dal ’99. In esso si accentua la connotazione politico-sociale della costruzione
europea, proclamando i principi di libertà, democrazia e rispetto dei diritti umani. Esso, inoltre,
istituzionalizza il modello dell’Europa a più velocità prevedendo la “cooperazione rafforzata”, volta
a consentire l’impiego delle istituzioni e dei procedimenti dell’Unione per realizzare determinati
sviluppi dell’integrazione europea a opera solo di alcuni Stati membri. Apporta modifiche al
secondo pilastro e realizza la comunitarizzazione del terzo pilastro. Le materie concernenti la
circolazione delle persone, l’asilo, l’immigrazione e i visti vengono sottratte dal Trattato sull’Unione
e passano nell’ambito del Trattato sulla Comunità Europea (Roma 1957). In questo modo sono
sottoposte ai procedimenti e agli atti di tale Trattato.

Modeste innovazioni del Trattato di Nizza del 2001, in vigore dal 2003. Nel Trattato non è stata
inserita la Carta di Nizza dei diritti fondamentali. Non aveva valore giuridicamente obbligatorio e,
dopo alcune modifiche, è stata firmata dai Presidenti del Parlamento europeo nel 2007. Ha
acquisto valore giuridico nel 2009 insieme al Trattato di Lisbona del 2007 (in vigore 2009).
Tra gli sviluppi più recenti va ricordata l’iniziativa che ha condotto alla firma a Roma nel 2004 del
Trattato che adotta una Costituzione europea. È noto che, pur avendo subito numerose ratifiche,
non è mai entrata in vigore. 2005: “pausa di riflessione”; 2007: “il progetto costituzionale è stato
abbandonato”. È stato affidato ad una conferenza intergovernativa il compito di integrare nei
Trattati esistenti le innovazioni della “Costituzione europea”.

Il Trattato di Lisbona del 2007


Il processo delle ventisette ratifiche è stato molto travagliato:
1. Irlanda: era contro l’aborto e solo dopo varie concessioni al paese, con un secondo
referendum si è arrivati alla ratifica;
2. Germania: il trattato non era compatibile con la costituzione tedesca. La ratifica avviene
solo dopo il rafforzamento delle camere tedesche;
3. Repubblica Ceca: vogliono differenziare e poter non riconoscere i matrimoni tra persone
dello stesso sesso. Viene avviato il protocollo ma diventa inutile dopo che il governo di
destra cade a favore del governo di sinistra.
Riduce quasi completamente l’abbandono al metodo comunitario voluto da Maastricht. A
differenza della Costituzione europea, che unificava i due trattati, il Trattato di Lisbona conserva la
separazione in due distinti Trattati:
- TUE (Maastricht 1992);
- TFUE (Roma 1957).
Essi costituiscono i trattati sui quali si fonda l’Unione europea.

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Il Trattato di Lisbona comporta l’abolizione della struttura in tre pilastri. Tendenzialmente si ha una
generalizzazione delle regole proprie dell’originario diritto comunitario. Tuttavia, la politica estera e
di sicurezza comune (PESC) resta intergovernativa.
Viene inoltre modificata la struttura organizzativa dell’unione:
- Viene istituito il Presidente del Consiglio Europeo, eletto dal Consiglio e dall’Alto
rappresentante dell’Unione;
- Vengono aumentati i poteri del parlamento, accrescendo la legittimità democratica della
costituzione europea.

CAPITOLO II

Gli obbiettivi dell’Unione Europea


Gli obbiettivi sono indicati nell’art. 3 del TUE: l’Unione si prefigge di promuovere la pace, i suoi
valori e il benessere dei suoi popoli. I valori sono enunciati dall’art. 2 TUE il cui rispetto è
condizione imprescindibile per l’ingresso dei nuovi Stati membri. il par. 2 dell’art. 3 prevede:
“l’Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in
cui viene assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto
concerne i controlli alle frontiere esterne, asilo, immigrazione e la prevenzione e la lotta contro la
criminalità”.
Questo obbiettivo richiama il settore che, secondo il Trattato di Maastricht, era denominato
“giustizia e affari interni” (GAI), costituente il terzo pilastro dell’Unione Europea e facente ormai
parte del Diritto Comunitario.
Inoltre, l’art. 3 enuncia gli obbiettivi dell’Unione nelle relazioni internazionali, “promuovendo i suoi
valori e interessi, contribuendo alla protezione dei suoi cittadini (…)”. Mostra la volontà dell’Unione
di dare vita ad una politica estera unitaria ponendosi sulla scena internazionale come soggetto
politico.

Valori fondanti dell’Unione europea


Il TUE stabilisce nell’art. 2 i valori sui quali l’Unione si fonda. Tali valori vengono posti a fondamento
dell’Unione europea e sono dichiarati comuni a tutti gli Stati membri (Ius Cogens). C’è la necessità
che gli Stati membri li rispettino. In caso contrario, da un lato, non è possibile per uno Stato essere
ammesso all’Unione, dall’altro, uno Stato membro può essere sottoposto ad una procedura
sanzionatoria. L’art. 2 richiama il rispetto dei diritti umani. Implica un rinvio non solo agli
ordinamenti degli Stati membri, ma anche ai principi affermatisi a livello internazionale, a
cominciare dalla ricordata Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo delle Nazioni Unite.

Art. 12: i parlamenti nazionali contribuiscono attivamente al buon funzionamento dell’Unione:


- Vengono informati dalle istituzioni dell’Unione e ricevono i progetti di atti legislativi;
- Vigilano sul principio di sussidiarietà;
- Partecipano alle procedure di revisione dei trattati (art. 48);
- Vengono informati delle domande di adesione;
- Partecipano alla cooperazione interparlamentare.

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I procedimenti di controllo sul rispetto dei valori


I valori dell’art. 2 hanno valenza sia esterna, nei riguardi degli Stati che si candidano, sia interna,
verso gli Stati membri. il rispetto dell’art. 2 è un requisito essenziale per l’ammissione all’Unione.
Amsterdam, in vista della maxi-adesione del 2004, ha introdotto l’art. 6 per mettere in chiaro
l’importanza del rispetto dei valori fondamentali. Art. 7 volto a controllare che gli Stati una volta
entrati nell’Unione non violino il principio democratico, lo stato di diritto ecc. Prima di Amsterdam
non era necessario scrivere l’importanza di questi valori. Vi è un atteggiamento paternalistico nei
confronti degli Stati appena entrati che storicamente non rispettavano lo stato di diritto e i diritti
fondamentali.

L'art. 7 è stato introdotto dal Trattato di Amsterdam col compito di controllare il rispetto dei valori
fondanti dell’Unione. Alla constatazione della violazione può seguire la decisione di sanzioni contro
lo Stato membro, consistenti nella sospensione di alcuni diritti derivati dai Trattati. Tali misure
possono essere modificate o revocate dal Consiglio. Il procedimento presuppone che la violazione
sia già avvenuta. L’art. 7 dichiara:
“Su proposta di 1/3 degli Stati membri, del Parlamento europeo o della Commissione, il Consiglio,
deliberando a maggioranza dei 4/5 e previa approvazione del Parlamento, può constatare che
esiste un evidente rischio di violazione grave da parte di uno degli Stati membri dei valori dell’art.
2”.
Tale procedimento non è soggetto a controllo giudiziario. L’unica competenza esercitabile dalla
Corte di giustizia riguarda gli aspetti “procedurali” e non il merito (es. forme sostanziali).
20 dicembre 2017, la Commissione afferma che c’è il rischio di una grave violazione da parte della
Polonia.
È stato predisposto un altro strumento di carattere preventivo da parte della Commissione che
prevede un preallarme nel caso di “disfunzione sistemica” dello Stato di diritto al fine di individuare
soluzioni prima di ricorrere al procedimento previsto dall’art. 7.

Art. 6: l’Unione riconosce i diritti fondamentali della “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione”,
inglobando i diritti fondamentali all’interno del diritto dell’Unione.

Il caso polacco e il caso ungherese sono due esempi.

I principi democratici
Il Trattato di Lisbona introduce delle disposizioni specificatamente relative ai principi democratici
agli art. 9-12.
Nell’art. 12 viene consolidato ulteriormente il valore democratico dando prerogative secondarie ai
parlamenti nazionali, elencate nello stesso articolo:
- I parlamenti nazionali vengono informati delle domande di adesione;
- Partecipano alle procedure di revisione dei trattati in conformità con l’art. 48. Il Consiglio
europeo può lasciare il progetto com’è dopo averlo revisionato. Se c’è un elevato numero di
stati però si può porre la questione davanti alla Corte di giustizia.
- Partecipano alla cooperazione interparlamentare tra parlamento europeo e parlamenti
nazionali.

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Il parlamento europeo ha rilievo nei riguardi della Commissione mentre ha un potere tenue nei
confronti delle istituzioni formate dai rappresentanti dei governi degli Stati membri (Consiglio
europeo).

Il rispetto dei diritti umani fondamentali


Tra i valori fondanti dell’Unione europea l’art. 2 TUE menziona il rispetto dei diritti umani. A questi
diritti è dedicato l’art. 6. Il par. 3 (ultimo) dichiara: “i diritti fondamentali (…) fanno parte del diritto
dell’Unione in quanto principi generali”.

Va ricordato che in una prima fase la Corte di giustizia aveva rifiutato di tener conto della eventuale
violazione dei diritti umani, garantiti dalle costituzioni degli Stati membri:
- Sentenza Stork 1959: Stork opera nel settore carbo-siderurgico dove l’Alta Autorità assunse
una restrizione quantitativa che compresse i diritti dell’azienda. Questa decisione violava il
diritto di libera iniziativa economica e il diritto di proprietà. Secondo la Corte non c’è
contrasto poiché esso si verifica solo se le norme fanno parte dello stesso ordinamento. In
questo caso una fa parte della Costituzione tedesca e l’altra della CECA. La Corte afferma
che la giurisdizione ce l’ha sul diritto della CECA. Afferma che: “la Corte deve
semplicemente garantire il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione del
Trattato e dei regolamenti di esecuzione, ma non è di regola tenuta a pronunciarsi in merito
alle norme dei diritti nazionali. Ne consegue che anche la censura relativa al fatto che l’Alta
Autorità con la sua decisione avrebbe violato principi fondamentali della Costituzione
tedesca non può essere presa in considerazione dalla Corte”.
Bisogna riconoscere che il Trattato CECA, come quello CEE e CEEA, non conteneva disposizioni
volte a garantire che l’azione comunitaria si svolgesse nel rispetto dei diritti umani fondamentali.
Svolta:
- Sentenza Acciaierie San Michele 1965: sia la C.C. italiana che tedesca sviluppano la teoria
dei contro limiti. Affermano che sono aperti al diritto comunitario ma ci sono principi super
costituzionali difronte a cui anche il diritto comunitario non si piega. La Corte europea
accetta di integrare i diritti umani fondamentali del diritto comunitario per paura che ogni
ordinamento nazionale “lavasse i panni in modo diverso”. In questo modo la corte “lava i
panni come vuole per tutti”;
- Sentenza Handelsgesellschaft: problema simile a Stork. Il giudice dice che la norma viola la
libera iniziativa economica. Non c’è più la CECA ma c’è il diritto comunitario che contiene i
diritti fondamentali. La risposta è opposta a quella Stork;
- Sentenza Nold 1974: la Corte aggiunge: “I Trattati internazionali relativi alla tutela dei diritti
dell’uomo possono del pari fornire elementi di cui occorre tener conto nell’ambito del
diritto comunitario”.

Nel caso in cui viene commessa una violazione nel contesto delle materie appartenenti al diritto
comunitario si può provocare l’apertura di una procedura di infrazione nei confronti dello Stato che
ne sia autore.

Per quanto riguarda la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la Corte ha ribadito
l’appartenenza dei diritti da essa contemplati al diritto dell’unione, affermando che la convenzione:
“non costituisce un atto giuridico formalmente integrato nell’ordinamento giuridico dell’Unione”.

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La Corte ha inoltre escluso che la Convenzione sia direttamente applicabile all’interno degli stati
membri e sia provvista del “primato” sulle norme nazionali incompatibili che caratterizzano il
diritto dell’Unione. La Corte ha affermato che: “i diritti fondamentali garantiti dalla CEDU fanno
parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali. Tuttavia, l’art. 6 TUE non disciplina il
rapporto tra CEDU e gli ordinamenti giuridici nazionali (…). Pertanto, non impone al giudice
nazionale di applicare direttamente le disposizioni di quest’ultima, disapplicando la norma di
diritto nazionale in contrasto con essa”.
Sono nuovi gli altri due paragrafi introdotti da Lisbona 2007. Il primo attribuisce valore
giuridicamente obbligatorio alla Carta di Nizza dei diritti fondamentali del 2000, riproclamata a
Strasburgo nel 2007: “l’Unione riconosce i diritti e i principi sanciti dalla Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione del 2000 e riadattata a Strasburgo nel 2007, che ha lo stesso valore
giuridico dei Trattati”. Quindi la Carta dei diritti fondamentali acquista il medesimo valore giuridico
dei Trattati sui quali si fonda l’Unione.
(appunti in classe) ->
Inizialmente la Corte non accetta di integrare i diritti fondamentali (fino al 1991) ma preferisce
ispirarsi alla CEDU, fino a Maastricht 1991 che cambia l’art. 6 in F. La Corte introduce un elemento
di novità: prima i destinatari unici dei diritti erano le istituzioni. Fino al 1977 i diritti fondamentali
erano parte del diritto dell’Unione.
Caso greco: la Corte si ispira alla CEDU, quindi l’art. 10 non è parte del diritto comunitario
formalmente e la norma non fa parte dell’ordinamento quindi la Corte è flessibile nei confronti dei
diritti CEDU.

Con Maastricht -> art. F (o 2): l’Unione rispetta i diritti fondamentali CEDU in quanto principi
generali. I problemi erano due:
- La CEDU non fa parte dell’Unione;
- Non c’è carta dell’Unione per i diritti ma fa riferimento alla CEDU.
La situazione cambia con Lisbona nel 2007:
- L’Unione riconosce i diritti della Carta di Nizza rifornendosi di un elenco proprio;
- L’Unione aderisce con l’art. 2 alla CEDU per la salvaguardia dei diritti dell’uomo.

I procedimenti di revisione dei Trattati


La revisione è una modifica dei trattati dal lato del loro funzionamento. Il processo di revisione è
regolato dall’art. 48 del TUE e divide i procedimenti in ordinari e speciali/semplificati. L’iniziativa
della procedura di revisione spetta ad ogni singolo Stato membro, al Parlamento europeo e alla
Commissione. Può essere usata la revisione per toccare qualsiasi cosa dei Trattati, tranne:
- Tutela dei diritti fondamentali (ius cogens);
- Funzionamento della Corte di giustizia.
Art. 48 ci dà 3 opzioni:
- Procedura di revisione ordinaria: sono revisioni sistemiche che portano modifiche
importanti dal punto di vista del funzionamento. Il governo di qualsiasi Stato membro, il
Parlamento europeo o la Commissione possono sottoporre al Consiglio progetti intesi a
modificare i Trattati. La Conferenza intergovernativa stabilisce le modifiche da fare ai
trattati di comune accordo ed entrano in vigore dopo essere state ratificate dagli Stati. Se la
decisione è presa a maggioranza semplice viene convocata una convenzione composta dai
rappresentanti dei parlamenti nazionali, del Parlamento europeo e della Commissione. Il

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Consiglio europeo può decidere a maggioranza semplice, previa approvazione del


Parlamento europeo, di non convocare una convenzione qualora l’entità delle modifiche
non lo giustifichi. In questo caso, il Consiglio europeo definisce il mandato per una
conferenza dei rappresentanti dei governi degli Stati membri (CIG). Qualora il Trattato sia
stato ratificato da 4/5 degli Stati dopo 2 anni, la questione viene deferita al Consiglio
europeo per trovare un accordo per gli Stati che mancano (es. protocollo). In questo caso si
parla di Trattato di revisione;
- Semplificata: Il governo di qualsiasi Stato membro, il Parlamento europeo o la Commissione
possono sottoporre al Consiglio europeo progetti intesi a modificare in tutto o in parte le
disposizioni della parte terza del trattato sul funzionamento dell’Unione europea relative
alle politiche e azioni interne dell’Unione. Si salta la convenzione. La CIG recupera influenza
quando votano i governi ma ci vuole comunque la ratifica. Non c’è un Trattato di revisione
ma la corte di giustizia;
- Semplificata 2: è più specifica. La decisione viene presa dal Consiglio europeo che delibera
all’unanimità. Manca il riferimento al processo di ratifica. Entra in vigore senza la ratifica
degli Stati membri.

Ammissione di nuovi membri


All’Unione europea possono aderire nuovi Stati membri. La procedura di ammissione è regolata
dall’art. 49, il quale prevede due fasi, la prima si svolge nel quadro delle istituzioni europee, la
seconda coinvolge gli Stati membri. Secondo il comma 1: “Ogni Stato europeo che rispetti i valori
dell’art. 2 TUE e si impegni a promuoverli può domandare di diventare membro dell’Unione. (...)”.
Essa, inoltre, prescrive due requisiti:
- Natura geografica: lo Stato candidato deve appartenere all’Europa;
- Natura politica: lo Stato deve rispettare e promuovere i valori enunciati dall’art. 2 sui quali
si fonda l’Unione.
L’adesione del nuovo membro è subordinata al consenso di tutti li Stati membri. In materia di
adesione il Parlamento può respingere la domanda dello Stato candidato. Una volta che il Consiglio
abbia deliberato di accogliere la domanda di adesione si svolge la seconda fase che si conclude con
la stipulazione di un accordo tra lo Stato aderente e gli Stati membri contenente le condizioni di
ammissione. L’ingresso dello Stato aderente nell’Unione ha luogo solo al momento in cui entra in
vigore l’accordo. Nella prassi le due fasi tendono a sovrapporsi e a concludersi simultaneamente,
con la decisione del Consiglio di accogliere la domanda del Paese candidato e con l’adozione
dell’accordo di adesione. Il parlamento europea ha stabilito che il testo del progetto di accordo sia
sottoposto alla sua approvazione.

Recesso dell’Unione europea


Il TUE non conteneva alcuna disposizione in merito ad un eventuale diritto di recesso unilaterale
degli Stati membri. Il Trattato di Lisbona, per la prima volta, ha attribuito agli Stati membri un
diritto di recesso volontario, cioè non subordinato più a condizioni sostanziali, ma solo procedurali
e tali da non impedire ad uno Stato membro di ritirarsi dall’Unione. Primo paragrafo importante
poiché afferma che lo Stato può recedere “conformemente alle proprie norme costituzionali”,
motivo per cui il Regno Unito ha dovuto fare, nel 2016, un referendum per la Brexit. Il previsto

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accordo sulle modalità del recesso segna anche il momento di cessazione dell’applicazione dei
Trattati allo Stato interessato. Se non si riesce a concludere un accordo tra lo Stato e l’Unione, i
Trattati cessano ugualmente di essere applicabili due anni (eventualmente prorogabili come nel
caso UK) dopo la notifica della decisione di recedere. Allo spiare dei due anni il recesso produce
pienamente effetto di estinguere lo status di membro dell’Unione. Se lo Stato dovesse in seguito
decidere di rientrare nell’Unione dovrà rispettare l’art. 49 TUE e seguire il procedimento di
ammissione.

CAPITOLO III

Le competenze di attribuzione
Le competenze dell’Unione sono delimitate rispetto a quelle esercitabili dagli Stati membri in base
di ad alcuni principi, i quali segnano lo spartiacque tra le competenze delle istituzioni europee e
quelle che restano nell’ambito degli Stati. Essi riguardano sia la delimitazione delle competenze tra
Unione e gli Stati membri, sia l’esercizio di tali competenze.

Principio di attribuzione
Art. 5 TUE: “L’Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli
Stati membri nei Trattati per realizzare gli obbiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non
attribuita all’Unione nei Trattati appartiene agli Stati membri”. Tale principio viene ribadito in altre
disposizioni, a dimostrazione di quanto gli Stati membri tengano alla sua osservanza. Questo
principio significa che l’Unione dispone esclusivamente di quelle funzioni e di quei poteri che gli
Stati membri hanno convenuto di attribuirle mediante i Trattati istitutivi, ogni altra competenza
resta nelle mani degli Stati. Ove l’Unione agisse al di là delle competenze a essa conferite, gli atti
emanati sarebbero illegittimi, in quanto viziati di incompetenza e soggetti a dichiarazione di nullità
da parte dei giudici dell’Unione.

Le competenze sussidiarie
Il principio delle competenze di attribuzione appare ridimensionato dalla possibilità prevista
dall’art. 352 TFUE di conferire nuovi poteri, detti “competenze sussidiarie”, all’Unione senza una
formale modifica dei Trattati. Il procedimento richiede: la proposta della Commissione,
l’approvazione del Parlamento e il voto unanime del Consiglio. La regola dell’unanimità implica che
l’attribuzione di nuove competenze all’Unione è subordinata al consenso di tutti gli Stati. L’ipotesi
prevista dall’art. 352 è che un determinato scopo rientri già nella competenza dell’Unione, ma che
quest’ultima non sia stata provvista dai Trattati dei poteri d’azione necessari per realizzarlo; per cui
tali poteri vengono attribuiti mediante il procedimento in esame.

I poteri impliciti
Secondo tale teoria, l’Unione europea, doveva ritenersi provvista non solo dei poteri a essa
conferiti espressamente dai Trattati (poteri espliciti), ma anche dei poteri (impliciti) che siano
funzionali ai poteri espliciti; che siano cioè necessari per garantire che i poteri espliciti siano
esercitati nella maniera più efficace. Tali poteri possono essere ricavati direttamente dagli scopi dei
Trattati: l’Unione sarebbe fornita dei poteri impliciti occorrenti per raggiungere tali scopi.
Es.: sentenza 3 marzo 1971:

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la Corte afferma la competenza della Comunità a concludere accordi internazionali in materia di


trasporti per due articoli:
- Art. 210: “… la Comunità può stabilire, nelle relazioni esterne, rapporti contrattuali con gli
Stati terzi per l’intera gamma degli scopi enunciati nella prima parte del Trattato”;
- Art. 216: “'Unione può concludere un accordo con uno o più paesi terzi qualora i trattati lo
prevedano o qualora la conclusione di un accordo sia necessaria per realizzare uno degli
obiettivi fissati dai trattati (…)”.

Categorie di competenza dell’Unione


Il principio di attribuzione non esaurisce la disciplina relativa alle competenze dell’Unione. Occorre
stabilire se il conferimento di tali competenze escluda una competenza degli Stati membri, o, al
contrario, coesista con tale competenza e quali siano la natura e l’intensità dei poteri assegnati
all’Unione nelle materie rientranti nelle proprie competenze. Prima del Trattato di Lisbona
mancava una disciplina organica della materia. Con il Trattato di Lisbona si colma questo vuoto
distinguendo tre categorie di competenze dell’Unione, alle quali vengono dedicati gli art. 2,3,4 e 6
TFUE. Esse sono le competenze esclusive, concorrenti e di sostegno e coordinamento degli Stati
membri. Una posizione a sé occupa la PESC, fondata essenzialmente su metodi di carattere
intergovernativo e nella quale gli Stati membri restano gli attori principali.
L’art. 2 paragrafo 1TFUE definisce le competenze esclusive: “solo l’Unione può legiferare e adottare
atti giuridicamente vincolanti”. L’art. 3 TFUE codifica le materie di competenza esclusiva degli Stati.
Queste sono:
- L’unione doganale;
- Le regole di concorrenza;
- La politica monetaria;
- La politica commerciale comune.
L’art. 2 paragrafo 2 TFUE definisce la competenza concorrente: “l’Unione e gli Stati membri
possono legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti in queste materie. Gli Stati membri
esercitano la loro competenza nella misura in cui l’Unione non ha esercitato la propria”. Quindi gli
Stati membri possono esercitare la propria competenza solo quando l’Unione non abbia esercitato
i suoi poteri. Le materie comprese tra le competenze concorrenti sono descritte nell’art. 4
paragrafo 2 TFUE. La competenza concorrente si presenta come residuale, rientrandovi qualsiasi
materia in cui l’Unione non ha legiferato.

Il principio di sussidiarietà
I Trattati su cui si fonda l’Unione provvedono non solo a delimitare le competenze dell’Unione, ma
anche a stabilire i principi in base ai quali l’Unione esercita le sue competenze. Uno di questi
principi è il principio di sussidiarietà. Ne parla l’art. 5 TUE: “l’esercizio delle competenze
dell’Unione si basa sui principi di sussidiarietà e proporzionalità”. Il primo principio è stato
introdotto dal Trattato di Maastricht del 1992 e l’art. 5 par. 3, TUE dichiara che: “nei settori che non
sono di sua competenza esclusiva l’Unione interviene soltanto s e in quanto gli obbiettivi
dell’azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, ma
possono essere conseguiti meglio a livello di Unione”.
Il principio non riguarda la ripartizione di competenze tra l’Unione e gli Stati membri, ma il loro
esercizio. Il principio di sussidiarietà delimita l’esercizio delle competenze dell’Unione e degli Stati.

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Il principio si applica anche in materia di PESC. L’art. 5 par. 3, TUE, appare espresso in maniera
restrittiva, rispetto all’intervento dell’Unione, richiedendo le seguenti condizioni:
- L’insufficienza dell’azione statale al fine della realizzazione degli obbiettivi;
- Il “valore aggiunto” insito nell’intervento europeo.
Al tale principio si riferisce anche il protocollo n. 2, introdotto da Lisbona, che viene espressamente
richiamato dallo stesso art. 5, par. 3, TUE. Esso pone obblighi alle istituzioni europee e regola i
poteri di vigilanza sull’applicazione del principio di sussidiarietà attribuiti ai parlamenti nazionali.
Tale principio non si applica alle materie di competenza esclusiva dell’Unione

Il principio di proporzionalità
Il principio di proporzionalità è anch’esso inserito nell’art. 5, TUE, e afferma: “in virtù del principio
di proporzionalità, il contenuto e la forma dell’azione dell’Unione si limitano a quanto necessario
per il conseguimento degli obbiettivi dei Trattati”. Esso non vincola solo l’Unione ma anche gli Stati
membri, con la conseguenza che la sua violazione da parte di quest’ultimi rappresenta una
violazione sottoponibile al giudizio della Corte di giustizia.
Il principio di proporzionalità comporta una valutazione circa la congruità dei mezzi impiegati
rispetto all’obbiettivo perseguito e implica che tali mezzi devono essere limitati a quelli occorrenti
per il raggiungimento dell’obbiettivo in questione ed è teso a porre un argine all’azione
dell’Unione. Opera all’interno del campo di applicazione dei Trattati, comprese le materie nelle
quali l’Unione ha competenza esclusiva.
L’art. 5, par, 4, TUE, fa espresso riferimento non solo al contenuto dell’azione ma anche alla forma,
cioè ai tipi di atti adottabili. Es.: se non è indispensabile un regolamento dovrà emettersi una
direttiva; se non è necessario un atto vincolante dovrà preferirsi una raccomandazione.

Le situazioni puramente interne a singoli Stati membri


Vi è un ultimo limite alla competenza dell’Unione europea nei confronti degli Stati membri, che
risulta dalla giurisprudenza della Corte di giustizia. Ci riferiamo all’impossibilità giuridica, per
l’Unione, di intervenire in situazioni che siano puramente interne ad un singolo Stato membro e
che sfuggano all’ambito di applicazione del diritto dell’Unione. Si tratta di un limite che si ricollega
alo stesso principio delle competenze di attribuzione, in virtù del quale l’Unione può agire solo
nella misura delle competenze conferite dagli Stati membri con i Trattati. In numerosi settori del
diritto dell’Unione quest’ultimo è destinato ad applicarsi soltanto a situazioni “transnazionali”, che
mettano in rapporto, quindi, almeno due Stati membri. Le norme del TFUE vengono in rilievo solo
riguardo:
- A persone che siano cittadini di un Paese membro diverso da quello nel quale esercitano la
libertà di circolazione o di stabilimento, oppure che, per avendo la cittadinanza di quello
stesso Stato, provengano da un altro o abbiano comunque già esercitato tali libertà;
- A persone che si spostino da uno Stato membro all’altro per offrire o ricevere un servizio.
Se non vi sono “spostamenti” tra Paesi dell’Unione gli Stati restano liberi, in principio, di adottare e
applicare la propria normativa relativa alle modalità di vendita di merci, ai rapporti di lavoro ecc.
- Sentenza Uecker e Jacquet, 1997: due donne con cittadinanza di un paese terzo, dopo aver
perso il permesso di soggiorno, chiedono il ricongiungimento coi mariti che hanno
nazionalità tedesca. Poiché i due mariti vengono considerati cittadini “statici” non gli
vengono attribuiti i diritti derivanti dai trattati e il ricongiungimento viene negato;

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- Sentenza Ruiz Zambrano, 2011: la Corte di giustizia ha esteso il riconoscimento di diritti


derivanti dalla cittadinanza europea non solo ai cittadini c.d. dinamici, ovvero che abbiano
esercitato il diritto di libera circolazione, ma anche ai cittadini statici, i quali non hanno mai
esercitato tale diritti e che hanno sempre soggiornato nello Stato membro del quale
possiedono la cittadinanza. In questo caso si trattava di due cittadini colombiani, marito e
moglie, che lavorano in Belgio. Hanno due figli che grazie ad una sorta di ius soli
acquisiscono la cittadinanza belga. Non si spostano mai dal Belgio e per questo sono
considerati cittadini statici. I genitori perdono il lavoro e il permesso di soggiorno e
dovrebbero tornare in Colombia insieme ai figli per il negato rinnovo del permesso di
soggiorno per ricongiungimento. Il motivo per cui la Corte se ne occupa è quello dello
status di cittadini dell’Unione. Infatti, tornando in Colombia perderebbero i diritti di
cittadinanza dell’Unione e in questi casi prevale il diritto dell’Unione su quello
intergovernativo. Quindi, anche riguardo alle persone, in particolare ai lavoratori, è ben
possibile che situazioni interne ricadano nel diritto e nella competenza dell’Unione.
- Sentenza Zhu e Chen, 2004: signora cinese studia legislazione dell’Irlanda. All’interno c’era
regola che consente in mancanza di acquisizione di cittadinanza diversa da Irlandese può
decidere di avere cittadinanza irlandese. Signora vola a Belfast con visto turistico ->
partorisce figlia che non acquisisce cittadinanza cinese ma quella irlandese. Dopo settimane
vanno nel Galles -> le scade il visto turistico e dovrebbe tornarsene in Cina. Ricorre al
giudice contro il diniego di rilascio di soggiorno e ricongiungimento con la figlia che ha
cittadinanza anche europea. Giudice britannico si pone domanda: le norme si applicano?
Dà per scontato che sia applicabili poiché una ha cittadinanza. Ostacolo superiore ->
ricongiungimento riconosciuto per persone a carico: figlia è a carico della madre -> non ci
sono i presupposti. Corte: la figlia è a carico della madre e non il contrario e teoricamente la
corte avrebbe dovuto dire che la norma si applica però l’ascendente deve essere a carico.
Devono tornare in Cina ma la perdono diritti di cittadinanza UE -> PRINCIPI ODELL’EFFETTO
UTILE. Quindi dobbiamo piegare la norma sull’ascendente in carico -> anche se il cittadino è
in carico gli va riconosciuto il diritto di soggiorno.

L’integrazione differenziata
I rapporti tra l’Unione europea e gli Stati membri non hanno sempre il medesimo contenuto e la
medesima portata. L’applicazione del diritto dell’Unione avviene spesso in maniera differenziata
nei diversi Stati membri, nel senso, cioè, che tali Stati non sono sempre integralmente soggetti a
tutta la normativa europea, dando luogo a quel fenomeno denominato “Europa a più velocità”,
modello istituzionalizzato dal Trattato di Amsterdam del 1997 (trattato di revisione). Questo
metodo verrà ampiamente impiegato nel Trattato di Maastricht del 1992. Ciò era avvenuto per il
Protocollo contenente l’Accordo sulla politica sociale, non applicabile al Regno Unito. Ma ancora
più importante è il meccanismo adottato dal Trattato di Maastricht relativamente all’unione
economica e monetaria, consentendo a Regno Unito e a Danimarca di restarne estranei. Un
ulteriore caso di integrazione differenziata può determinarsi in materia PESC. Il Consiglio deve
votare all’unanimità ma lo Stato che motiva la sua astensione con una dichiarazione formale può
sottrarsi agli obblighi derivati dalla decisione del Consiglio, senza impedire che essa impegni
l’Unione.

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Le cooperazioni rafforzate
Il Trattato di Amsterdam 1997 ha introdotto un meccanismo specifico per consentire forme di
sviluppo flessibile o differenziato tra alcuni Stati membri all’interno dell’Unione europea, cioè
consentendo di assumere obblighi più incisivi. Si tratta della c.d. cooperazione rafforzata:
- Lato positivo: consiste in un approfondimento dello sviluppo dell’integrazione;
- Lato negativo: alcuni Stati membri restano estranei a tale sviluppo per diversi motivi (non
sono nelle condizioni o non vogliono).
Lo stesso Trattato di Amsterdam prevedeva direttamente un importante esempio di cooperazione
rafforzata, mediante il Protocollo 1997 sull’integrazione Schengen. Tali accordi sono stati conclusi
da alcuni Stati membri, senza Regno Unito e Irlanda ma con la partecipazione di altri Stati fuori
dall’Unione.
Le cooperazioni rafforzate sono regolate dall’art. 20 TUE e dagli art. 326-334 TFUE.
Significato: promuovere l’inserimento all’interno del sistema dell’Unione europea di forme di più
intenso sviluppo concernenti un limitato numero di Stati membri.
Obbiettivo: consentire ad un gruppo di Stati più avanzati di impiegare le istituzioni e le procedure
dell’Unione per far progredire l’integrazione europea.
L’istituzione della cooperazione rafforzata possono partecipare tutti gli Stati ma solo quelli che
partecipano alla cooperazione rafforzata possono votare sulle decisioni. Gli Stati membri non
partecipanti hanno l’obbligo di non ostacolare la cooperazione rafforzata.
La commissione e il consiglio hanno il compito di assicurare la coerenza delle azioni intraprese
nell’ambito di una cooperazione rafforzata e la coerenza di dette azioni con le politiche
dell’Unione.

Come differenziare le posizioni di alcuni Stati


- Accordo internazionale fuori dall’UE. Es. Schengen prima del Trattato di Amsterdam;
- Escludere alcuni Stati membri. Es. Schengen post Trattato di Amsterdam;
- Clausula di flessibiltà;

CAPITOLO IV

L’attribuzione della cittadinanza europea e il diritto di libera circolazione e di soggiorno


Tra le novità più significative del Trattato di Maastricht 1992 vi fu l’istituzione della cittadinanza
dell’Unione europea, consistente in un nuovo status giuridico del quale è titolare chiunque abbia la
cittadinanza di un paese membro dell’Unione. Tale status è enunciato dall’art. 9 TUE e disciplinato
dagli art. 20-25 TFUE. I diritti dei cittadini trovano ulteriore riconoscimento nella Carta di Nizza dei
diritti fondamentali, che dal 2007 ha lo stesso valore dei trattati.
La libertà di ciascun Stato membro, per quanto riguarda la propria cittadinanza, non può essere
messa in discussione né dalle istituzioni europee, né da alcun altro Stato membro.
Nella sentenza Ruiz Zambrano la corte ha affermato che lo status di cittadino dell’Unione può
essere invocato anche nei confronti del proprio Stato di appartenenza; e che la condizione “statica”
del cittadino che non abbia mai esercitato la libertà di circolazione non va qualificata come
puramente interna al suddetto Stato, potendosi riconoscere i diritti anche al cittadino statico.
Generalmente l’applicabilità dei diritti relativi alla cittadinanza europea ai cittadini che non abbiano
esercitato il diritto di libera circolazione si pone rispetto a domande di soggiorno in uno Stato

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membro di cittadini di Stati terzi parenti del cittadino in questione. La corte ha ribadito che un
diritto di soggiorno deve essere accordato al cittadino di Stato terzo, familiare di un cittadino
dell’Unione, qualora, in conseguenza del rifiuto di un siffatto diritto, il cittadino europeo si vedesse
di fatto obbligato a lasciare il territorio dell’Unione; altrimenti, sarebbe pregiudicato l’effetto utile
dello status di cittadino europeo, poiché sarebbe privato del godimento effettivo del contenuto
essenziale dei diritti conferiti da tale status.
La corte ha sottolineato, inoltre, l’effetto utile della disposizione in esame, l’esigenza, cioè che sia
interpretata e applicata in maniera tale da garantire l’effettivo esercizio del diritto da essa
derivante. E ha di conseguenza riconosciuto che, per garantire il diritto di soggiorno di una bimba,
cittadina dell’Unione, tale diritto va riconosciuto anche alla madre (sentenza Chen 2004).
Nella sentenza Ruiz Zambrano la corte ha riconosciuto il diritto di soggiorno e di lavoro in Belgio al
genitore colombiano di due bambini, cittadini belgi. In questa situazione, a differenza della
sentenza Chen, i bambini non hanno esercitato il diritto di libera circolazione.

Il diritto di elettorato attivo e passivo


Art. 22, TFUE: ogni cittadino dell’Unione residente in uno stato membro di cui non è cittadino ha il
diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali nello Stato membro in cui risiede.
Questo articolo conferisce un diritto di elettorato attivo e passivo ad ogni cittadino europeo nelle
elezioni comunali del paese di residenza (nell’ottica del divieto di discriminazione in base alla
nazionalità). Il diritto di elettorato attivo e passivo al Parlamento europeo si colloca nell’ottica della
partecipazione del cittadino europeo alla vita politica dell’Unione europea ogni cittadino europeo
può votare al Parlamento europeo nel paese di residenza e candidarsi in tale paese alla carica di
parlamentare europeo.
Spagna c. Regno Unito: il diritto di elettorato appare una prerogativa non esclusiva dei cittadini
europei (UK ha candidato cittadini del Commonwealth).

Il diritto di petizione
Art. 24 TFUE + art. 227: ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di petizione dinanzi al parlamento
europeo conformemente all’art. 227. Materia che rientra nel campo di attività dell’Unione e che lo
concerne direttamente.
Per l’esame delle petizioni è stata istituita la Commissione per le petizioni, la qual può chiedere alla
Commissione europea di assisterla. La Commissione per le petizioni redige un atto di natura non
vincolante.

CAPITOLO V
Quadro generale delle istituzioni e degli organi. Il principio dell’equilibrio istituzionale

L’Unione europea dispone di un’ampia e articolata struttura organizzativa, la cui azione è diretta a
perseguire i suoi obbiettivi. Art. 13 TUE, il quadro istituzionale mira “a promuovere i valori,
perseguire gli obbiettivi, servire i suoi interessi, quelli dei cittadini e quelli degli Stati membri”. La
composizione, il funzionamento, le competenze e i poteri degli organi sono ripartiti tra il TUE e il
TFUE.
Le istituzioni descritte nell’art. 13 TUE sono:
- Il parlamento europeo;

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- Il consiglio europeo;
- Il consiglio;
- La commissione europea;
- La Corte di giustizia dell’Unione europea;
- La banca centrale europea;
- La Corte dei conti.
La qualifica di istituzione ha conseguenze giuridiche, poiché alcune disposizioni dei Trattati si
riferiscono espressamente alle istituzioni e non ad altri organi. Per esempio, l’art. 265 TFUE
attribuisce la legittimazione a proporre ricorsi “in carenza” dinanzi alla corte alle “istituzioni
dell’Unione”.
Con il Trattato di Lisbona, il consiglio europeo, formato dai massimi vertici degli Stati membri, è
inserito per la prima volta tra le istituzioni dell’Unione. Nonostante ciò, esso occupa una posizione
a sé, al di sopra rispetto alle altre istituzioni, assumendo le decisioni fondamentali concernenti lo
sviluppo dell’azione europea e dello stesso processo d’integrazione europea.
Tre successive istituzioni:
- Parlamento europeo -> rappresenta i cittadini dell’Unione;
- Il Consiglio -> rappresenta i governi degli Stati membri;
- La commissione -> rappresenta l’interesse unitario dell’Unione.
Vige il principio di equilibrio istituzionale, secondo il quale “ciascuna istituzione esercita le proprie
competenze nel rispetto di quelle delle altre istituzioni”. Questo principio determina l’illegittimità
degli atti adottati in sua violazione.
Le altre istituzioni si caratterizzano per la piena indipendenza trattandosi di:
- Corte di giustizia -> istituzione giudiziaria;
- Banca centrale europea -> autorità monetaria;
- Corte dei conti -> controllo dei conti.
I trattati istituiscono anche degli organi ausiliari. Il parlamento, il consiglio e la commissione sono
assistiti da:
- Comitato economico e sociale: raccoglie le realtà economiche, non ci sono rappresentanti
statali ma delle imprese, sei lavoratori ecc. Il parere è raramente richiesto;
- Comitato delle regioni: rappresenta le realtà locali degli stati membri. ne fanno parte i
rappresentanti delle realtà locali (consiglieri regionali, presidente della regione ecc.). La
funzione consultiva può essere obbligatoria o facoltativa.
Ulteriori organismi hanno solitamente una sede decentrata rispetto a quelle delle istituzioni e sono
creati con atti delle stesse istituzioni, con compiti vari (tecnici, scientifici, consultivi, gestione,
operativi ecc.). Altri organismi sono:
- Alto rappresentante PESC;
- Presidente del consiglio europeo;
- Mediatore europeo.

IL PARLAMENTO EUROPEO
Il Parlamento europeo è l’istituzione rappresentativa dei cittadini dell’Unione europea, l’organo
democratico per eccellenza. L’art. 14 dichiara che “il Parlamento europeo è composto dai
rappresentanti dei cittadini dell’Unione”. Il numero dei parlamentari è variato molte volte in
corrispondenza dell’ampliamento dell’Unione ai nuovi stati. L’art. 14 par. 2 non stabilisce un
numero fisso per ciascun paese ma solo un numero massimo di parlamentari, 750 più il presidente

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e garantisce un minimo di 6 parlamentari per paese ed un massimo di 96. Il numero dei


componenti del parlamento europeo e la loro assegnazione a ciascun stato sono stabiliti dal
Consiglio europeo con una decisione votata all’unanimità.
All’inizio dell’attuale legislatura il Regno Unito faceva ancora parte dell’Unione europea. Il Consiglio
europeo ha stabilito il numero dei parlamentari a 705, accantonandone 46 in vista dell’ingresso di
futuri stati nell’unione e redistribuendone 27 tra gli stati meno rappresentati (3 all’Italia).
Il “criterio degressivamente proporzionale” comporta che il numero dei parlamentari di alcuni stati
non sia in rapporto diretto col numero dei cittadini di ognuno di essi, ma anzi che, mano a mano
che la popolazione si riduce, il criterio proporzionale opera in maniera meno decisiva, così che gli
stati demograficamente maggiori hanno un numero di parlamentari inferiore a quello che
spetterebbe in base a un rigido rapporto proporzionale fra tali parlamentari e la loro popolazione
e, al contrario, gli stati con una popolazione più ridotta hanno un numero di parlamentari più
elevato di quello risultante da tale rapporto proporzionale.
Art. 32: all’interno del parlamento, i parlamentari si aggregano secondo affinità politiche e non
secondo la propria cittadinanza. Lo stato membro è configurato come un vasto collegio elettorale
ai fini della determinazione del numero dei parlamentari da eleggersi in esso. Per formare un
gruppo in parlamento: almeno 25 parlamentari eletti da almeno 1/4 degli stati membri al fine di
impedire che tutti e 25 siano solo di uno stato. Ciò rende il parlamento un’istituzione
squisitamente sopranazionale.
Art. 13 par. 3: “i membri del parlamento europeo sono eletti a suffragio universale diretto, libero e
segreto, per un mandato di 5 anni”. Per ora non si è riusciti a adottare una procedura elettorale
uniforme, essendo gli stati membri liberi di disciplinare come credono l’elezione al parlamento
europeo. Tuttavia, devono essere realizzate alcune convergenze sul metodo elettorale. Consiglio
2018: l’elezione deve avvenire con sistema proporzionale, a scrutino di lista o con voto singolo
trasferibile, così come la facoltà degli stati membri di prevedere una soglia minima non superiore al
5% dei voti validamente espressi. Inoltre, anche i requisiti di elettorato attivo e passivo sono di
competenza degli stati membri. ciò comporta che un parlamentare possa decadere in applicazione
della legislazione nazionale, senza che il parlamento europeo debba neppure pronunciarsi in
proposito. Caso Jean-Marie Le Pen: viene fatto oggetto di procedimento penale per offesa e
percussione a pubblico ufficiale. La sentenza comporta decadenza del seggio come parlamentare
europeo. Le Pen ha impugnato il provvedimento con cui il presidente europeo ha preso atto della
decadenza MA è questione interna e non europea.

Le funzioni del Parlamento europeo


1. Funzione principale di carattere normativo e legislativo, esercitata insieme a consiglio e
commissione a seconda dello spazio di manovra;
2. Funzione di controllo:
a. Censura: è il mezzo più incisivo di controllo del parlamento europeo sulla
commissione. La mozione di censura ha il potere di provocare le dimissioni
dell’intera commissione (simile alla mozione di sfiducia tra parlamento nazionale e
governo. Differenza: la presenza del consiglio in Europa distorce il paragone in
quanto, il governo, a differenza della commissione, siede in consiglio). La mozione di
censura è disciplinata dall’art. 234 e dice che:

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i. La decisione deve essere sostenuta da un’ampia maggioranza (2/3 dei voti


espressi);
ii. Deve essere votata dopo una riflessione di 3 giorni dal suo deposito;
iii. Deve esserci massima trasparenza, la votazione è pubblica.
L’approvazione comporta le dimissioni collettive della commissione. Non è ammessa
contro singoli commissari. La caduta implica la nomina di una nuova commissione, il
cui mandato è limitato alla restante durata del mandato di quella censurata.
Sebbene sia stata presentata, non è mai stata approvata. Fu votata contro la
commissione presieduta da Santer senza ottenere la maggioranza. Sotto la
pressione politica, la commissione Santer si dimise collegialmente;
b. Interrogazioni e audizioni. Art. 230: la commissione può assistere a tutte le sedute
ed essere ascoltata a sua richiesta + risponde alle interrogazioni presentate dal
Parlamento europeo. L’audizione spetta a consiglio e consiglio europeo che sono
ascoltati dal parlamento. Le audizioni spettano a consiglio, parlamento e consiglio
europeo. Le interrogazioni sono molto più invasive riguardando solo la commissione
e, nella prassi, consiglio e consiglio europeo. C’è botta e risposta, chi è interrogato
viene sollecitato dall’interrogatore, a differenza delle audizioni;
c. Inchiesta: art. 226: le commissioni di inchiesta indagano su certe questioni e
cessano di esistere dopo aver depositato la relazione, la quale viene dibattuta in
parlamento. Tratta prevalentemente di denunce di infrazione e di cattiva
amministrazione. Essa, secondo il principio di leale cooperazione, deve essere
presentata a tutti gli stati e a tutte le istituzioni;
d. Esame di petizioni: art. 227: ogni cittadino ha il diritto di presentare una petizione
all’interno del parlamento europeo in una materia che rientra nel campo di attività
dell’Unione. Ogni volta che vengono soddisfatte le condizioni di ammissibilità, la
commissione petizione deve esaminare il singolo caso. Esso dà vita ad un atto con
natura non vincolante. La petizione colma la possibilità di portare un caso di
violazione del diritto dell’unione da parte di uno stato davanti alla corte di giustizia;
e. Nomina del mediatore: art. 228. Il mediatore è un organo individuale con il compito
di promuovere la buona amministrazione nell’Unione intervenendo per riparare i
casi di cattiva amministrazione. È nominato dal parlamento europeo dopo ogni
elezione dello stesso parlamento. Inoltre, esercita le sue funzioni in piena
indipendenza dagli altri organi e organismi. È abilitato a ricevere le denunce da
qualsiasi persona residente o avente sede sociale in uno stato membro. Può attivarsi
anche d’ufficio o su denuncia presentata da un membro del parlamento. L’oggetto
della denuncia è un caso di cattiva amministrazione nell’azione dell’Unione,
escludendo i comportamenti imputabili a stati membri. “Il mediatore procede poi
alle indagini che ritiene giustificate. […] Qualora il mediatore incontri un caso di
cattiva amministrazione, egli ne investe l’istituzione interessata, che dispone di tre
mesi per comunicargli il suo parere. Il mediatore trasmette poi una relazione al
parlamento europeo e all’istituzione, all’organo e all’organismo interessati”.

LA COMMISSIONE
È un organo tipicamente sopranazionale tenuto ad operare nell’esclusivo interesse dell’Unione, in
posizione di piena indipendenza rispetto sia agli Stati membri sia di qualsiasi ente o potere. È

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formata da individui indipendenti, i quali si caratterizzano per la loro competenza (commissione =


governo di tecnocrati).
Art. 17: la commissione è composta, compreso il presidente e l’Alto rappresentante PESC, da un
numero di membri pari al numero degli stati membri.
Gli obblighi dei commissari sono passabili di un controllo giudiziario e di sanzioni in caso di
violazioni. Art. 245: la commissione o il consiglio possono chiedere alla Corte di Giustizia, qualora
un commissario violi i propri obblighi, di pronunciare le dimissioni d’ufficio o, se ha cessato le sue
funzioni, la decadenza dal diritto a pensione o da altri vantaggi sostitutivi.

Nomina, cessazione e organizzazione della Commissione


Art. 17 TUE. Nomina:
1. Nomina del Presidente. La nomina ha come riferimento i risultati elettorali del parlamento
europeo, con il quale si apre la nomina in esame. Ciò induce a prefigurare il candidato
Presidente come politicamente coerente con la maggioranza parlamentare. Deve essere
una persona in grado di ottenere la fiducia del parlamento e di costituire una commissione
anch’essa in grado di ottenere la fiducia del parlamento. La proposta del presidente avviene
da parte del consiglio europeo a maggioranza qualificata. Il candidato è soggetto ad
elezione del parlamento europeo a maggioranza dei suoi membri. In mancanza della sua
elezione il consiglio europeo dovrà cambiare candidato;
2. Per gli altri membri della commissione, le proposte vengono da ciascuno degli stati membri.
Sulla base di queste proposte il consiglio redige l’elenco dei candidati insieme al presidente
eletto, il quale partecipa così alla formazione del parlamento;
3. I candidati compaiono dinanzi alle commissioni parlamentari competenti per formulare una
dichiarazione e rispondere alle domande;
4. Il presidente, poi, presenta al parlamento il collegio dei commissari e il suo programma e il
parlamento approva l’intera commissione.
Perché viene citato l’alto rappresentante nell’azione di nomina della commissione: esso concilia
l’azione esterna con le altre politiche. In più è sia un organo chiave nella PESC sia il vicepresidente
della commissione nell’idea che garantisca la coerenza nell’azione esterna dell’unione.

Il presidente ha il compito di definire gli orientamenti della Commissione e di deciderne


l’organizzazione.

Cessazione anticipata
La cessazione anticipata può avvenire per dimissioni volontarie o d’ufficio:
- D’ufficio: sono pronunciate dalla corte qual ora il commissario abbia commesso una colpa
grave. Cosa si intende per colpa grave -> art. 247 e 245: la colpa grave sta nell’art. 247 e non
nel 245, quindi è diverso dalla violazione degli obblighi. Se la colpa è grave, quindi, non avrà
a che fare con i suoi obblighi ma è un atto provato. Va fatto dimissionare per poi essere
processato;
[ricorda: “ovvero” = “oppure” e non “ossia”; la corte usa “può” per liberarsi del vincolo
decisionale]
- Qual ora le dimissioni riguardino il presidente o l’alto rappresentante essi sono sostituiti per
il resto del mandato secondo la normale procedura di nomina;

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- Se le dimissioni sono da parte di un altro membro della commissione, egli è sostituito, per il
resto del mandato, con un membro della stessa nazionalità da parte del consiglio di
comune accordo con il presidente della commissione. Lo stesso consiglio può decidere di
non procedere alla sostituzione, specie se la restante durata del mandato è breve (art. 246);
- Dimissioni volontarie dell’intera commissione (art. 246): i membri restano in carica,
curando gli affari di ordinaria amministrazione, fino alla loro sostituzione, che viene
effettuata con la procedura di nomina (art. 17).
Con la mozione di sfiducia l’alto rappresentante non si dimette in automatico e rimane in carica. Se
è stato apprezzato in quanto vicepresidente si può ipotizzare che il nuovo presidente lo lasci come
vice.

Le funzioni della commissione europea


Art. 17: vigila sull’applicazione dei trattati e sull’applicazione del diritto dell’unione. Da esecuzione
al bilancio e assicura la rappresentanza esterna dell’unione. Funzioni principali:
- Proposta: art. 293. Il ruolo della commissione non si esaurisce dopo che la commissione
formula la proposta. La commissione, prima della proposta, fa una consultazione, che può
richiedere anni, al fine di inserire nell’atto tutti gli interessi di coloro che sono
effettivamente interessati all’atto. In questo modo la proposta arriva particolarmente
condivisa con un gran peso politico difficile da smontare. Le proposte le fa la commissione
in via esclusiva, per questo sono molto pesanti. Se la proposta non è della commissione, la
maggioranza diventa dei 3/4 del parlamento ed è difficile adottarla, mentre se viene dalla
commissione la maggioranza è qualificata. Secondo l’art. 293, il consiglio può modificare la
proposta del consiglio solo all’unanimità. Se il consiglio vuole modificare la proposta deve
chiedere alla commissione, che è l’unico organo che può mettere mano alla proposta. In
conclusione, il trilogo parlamento, consiglio e commissione discutono sull’approvazione
della proposta e se c’è qualcosa da modificare;
- Controllo: procedura di infrazione. Art. 105. Tale funzione si svolge nell’ambito della
concorrenza per controllare che ne vengano rispettate le regole e per prendere decisioni
che possono adottare sanzioni nei confronti di coloro che non rispettano le regole.

IL CONSIGLIO EUROPEO
È nato nella prassi della diplomazia intergovernativa dei c.d. Vertici al fine di affrontare problemi e
assumere importanti decisioni politiche sul cammino dell’integrazione europea. Tale prassi fu
formalizzata col Vertice di Parigi del 1974, nel quale i capi di stato (o governo per la Francia)
espressero la decisione di riunirsi tre volte l’anno e ogni colta che fosse necessario come Consiglio
delle Comunità. Si diffuse il nome di Consiglio europeo con la duplice funzione di:
- Dibattere questioni di principale importanza a livello comunitario e di operare scelte a
riguardo;
- Programmazione nel campo della politica estera.
Con Maastricht 1992 fu formalmente inserito nell’Unione europea e con Lisbona 2007 ha ricevuto
la qualifica di istituzione. Esso resta caratterizzato per il suo senso intergovernativo, in quanto le
grandi decisioni relative agli sviluppi dell’integrazione europea sono assunte al livello di tale
Consiglio e sono poi attuate dalle altre istituzioni. L’art. 15 definisce la composizione del Consiglio:
- Capi di stato degli stati membri;

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- Presidente del Consiglio europeo;


- Presidente della commissione;
- Alto rappresentante PESC.
In relazione alle esigenze, ciascun membro del Consiglio europeo può farsi assistere da un ministro
e il presidente della commissione da un membro della stessa.
Il Trattato di Lisbona istituì la figura del Presidente del Consiglio europeo. Si tratta di un organo
individuale eletto dal Consiglio europeo per un mandato di due anni e mezzo, rinnovabile una sola
volta. Con la stessa procedura il Consiglio europeo può porre fine al suo mandato in caso di
impedimento o colpa grave. Non è previsto il coinvolgimento di altre istituzioni come il
parlamento. Il presidente del consiglio europeo svolge il ruolo di coordinamento, preparazione e
mediazione all’interno del consiglio europeo. Svolge anche una funzione di rappresentanza
esterna, fatto salvo alle funzioni dell’Alto rappresentante.
Art. 15 par. 3: il consiglio europeo si riunisce due volte a semestre su convocazione del presidente,
il quale può convocare anche riunioni straordinarie.
Art. 15 par. 4: il consiglio europeo si pronuncia per consenso, salvo nei casi in cui i trattati
dispongono diversamente. Il presidente redige l’atto con cui si chiude la riunione. Alle votazioni
non partecipano né il presidente né il presidente della commissione.

Il presidente del Consiglio europeo ha il compito di:


- Presiedere i lavori;
- Assicurare la continuità dei lavori;
- Presentare al Parlamento la relazione dopo ogni riunione;
- Rappresentanza esterna in materia di PESC (senza le attribuzioni dell’Alto rappresentante

Funzioni del Consiglio europeo


Art. 15 par. 1: il consiglio europeo dà impulsi allo sviluppo dell’unione e ne definisce gli
ordinamenti politici e le priorità generali. Non esercita funzioni legislative.
Questo articolo mette in luce la natura eminentemente politica del ruolo del consiglio europeo,
natura che si riflette su atti che non possono avere natura legislativa o giuridica. Sul piano politico
possono avere notevole rilevanza, potendo contenere direttive o orientamenti rivolti alla
commissione e al consiglio e intesi a promuovere loro iniziative formali.
Il Consiglio europeo svolge un ruolo di primo piano nell’azione esterna dell’Unione e nell’ambito
della PESC. Art. 20 par. 1 e art. 26 par. 1 danno al Consiglio il compito di individuare gli interessi
strategici dell’Unione e di fissare obbiettivi. In questo senso il Consiglio europeo adotta anche atti
formali, provvisti di effetti giuridici obbligatori. Le posizioni assunte dal Consiglio europeo
producono effetti ulteriori “a cascata” nei confronti delle altre istituzioni e di conseguenza degli
Stati membri. Art. 42: assegna al Consiglio europeo il potere di “decidere in merito alla definizione
di una difesa comune dell’Unione. Il suo atto, quindi, è una raccomandazione di per sé non
vincolante.
Il consiglio europeo può adottare all’unanimità atti giuridicamente vincolanti coi quali, su iniziativa
dello stato membro interessato, modifica lo status nei confronti dell’Unione di un paese o di un
territorio straniero.
prima del Trattato di Lisbona non era consentito alcun controllo giudiziario sull’operato del
Consiglio europeo. Col Trattato di Lisbona è stata prevista la possibilità di impugnare dinanzi alla
Corte di giustizia atti del Consiglio europeo ritenuti illegittimi, purché destinati a produrre effetti

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giuridici nei confronti di terzi. L’ipotesi si restringe dato che la Corte di giustizia non ha competenza
in materie riguardanti la PESC. Gli unici atti impugnabili possono riguardare per esempio revisioni
semplificate dei Trattati.
Il Consiglio europeo ha svolto frequentemente un ruolo positivo assumendo politiche
fondamentali, come quella sull’allargamento sulla moneta unica, sull’avvio dei processi di revisione
dei Trattati ecc. Tuttavia, ha determinato una erosione dei poteri di tutte le istituzioni europee a
esso subordinate.

IL CONSIGLIO
Il consiglio è un organo tipicamente intergovernativo. Esso è composto dagli Stati membri
rappresentati dai rispettivi esecutivi. Mentre il Parlamento europeo esprime gli interessi dei
cittadini europei, il Consiglio esprime gli interessi particolari dei singoli Stati membri, interessi che
raggiungono la loro sintesi negli atti adottati dal Consiglio. Essi sono considerati atti organici,
imputabili giuridicamente allo stesso Consiglio, non ai singoli Stati membri.
Art. 16: ogni stato membro vi è rappresentato a livello ministeriale con una persona abilitata a
impegnare il governo di detto Stato e a votare. La composizione è quindi variabile, poiché esso è
formato dai ministri competenti ratione materiae in corrispondenza agli argomenti di vola in volta
posti al suo ordine del giorno. Il Consiglio ha stabilito 10 formazioni, idonee a coprire il complesso
delle materie di competenza dell’Unione europea. Inoltre, lo stesso art. 16 prevede due formazioni
del Consiglio:
1. Consiglio “Affari generali”: assicura la coerenza dei lavori, prepara le riunioni del Consiglio
europeo e ne assicura il collegamento col presidente del consiglio europeo e la
commissione;
2. Consiglio “Affari Esteri”: elabora l’azione esterna dell’Unione secondo le linee strategiche
definite dal Consiglio europeo e assicura la coerenza dell’azione dell’Unione.
La presidenza del Consiglio (eccezione “Affari esteri”) è determinata dal Consiglio europeo con
votazione a maggioranza qualificata secondo un sistema di rotazione paritaria, cioè assicurando a
tutti gli Stati membri tale presidenza. La presidenza è svolta da ciascun Stato membro per 6 mesi.
Viene predeterminato un gruppo di 3 Stati membri tenendo conto della loro diversità e degli
equilibri geografici nell’Unione, per un periodo di 18 mesi. Ciascun membro esercita la presidenza
mentre gli altri due lo assistono in tutti i suoi compiti sulla base di un programma comune. La
presidenza del Consiglio “affari esteri” è presieduta dall’Alto rappresentante.
Il consiglio è assistito da un Segretariato generale sotto la responsabilità di un Segretario generale,
nominato dal Consiglio a maggioranza qualificata, mentre l’organizzazione è votata a maggioranza
semplice. Il Consiglio si riunisce per iniziativa dello stesso presidente, di uno stato membro o della
commissione.
Ruolo significativo è svolto dal COREPER (Comitato dei rappresentanti permanenti). È un organo
intergovernativo, essendo formato da delegati dei governi degli Stati membri e svolge un ruolo
importante ai fini dell’adozione degli atti da parte del Consiglio. La proposta della Commissione
viene trasmessa al COREPER ed è posta in discussione:
- Posizione unanime: iscritta al punto A dell’ordine del giorno del Consiglio, il quale si limita
ad approvarla senza riaprire la discussione;

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- Non si raggiunge una posizione unanime: iscritta al punto B dell’ordine del giorno e viene
esaminata e discussa in Consiglio.
Il COREPER diventa il reale interlocutore della Commissione.

La votazione del consiglio


Art. 16: il Consiglio delibera a maggioranza qualificata, salvo nei casi in cui i Trattati dispongono
diversamente. La regola generale è quindi la maggioranza qualificata.
Disciplina in vigore: per maggioranza qualificata si intende il 55% dei membri del consiglio, con un
minimo di 15, rappresentanti Stati membri che totalizzano il 65% della popolazione dell’Unione. La
minoranza di blocco deve comprendere almeno 4 membri del Consiglio; in caso contrario la
maggioranza qualificata si considera raggiunta.
Tale disciplina è integrata dall’art. 238, che eleva la maggioranza al 72% dei membri rappresentanti
il 65% della popolazione, quando il Consiglio non delibera su proposta della Commissione o
dell’Alto rappresentante PESC.

Le funzioni del Consiglio


Art. 16: esercita insieme al parlamento la funzione legislativa e la funzione di bilancio. Inoltre,
esercita funzioni di definizione delle politiche e di coordinamento alle condizioni stabilite nei
Trattati.
1. Prima parte: ruolo che si pone come paritario tra Consiglio e Parlamento e che ne designa
una posizione condivisa di autorità legislativa e di bilancio;
2. Seconda parte: espressione alquanto generica e può specificarsi solo in rapporto alle
singole disposizioni dei Trattati.
Il Consiglio non emana solo atti Legislativi, ma anche:
- Di indirizzo;
- Di assistenza;
- Di consulenza.
Atti giuridicamente non vincolanti.
Il Consiglio detiene potere decisionale anche nella PESC, anche se non si tratta di un potere
legislativo. Esso adotta decisioni per un intervento operativo, che stabiliscono gli obbiettivi, la
portata e i mezzi di cui l’Unione deve disporre. Tali decisioni “vincolano gli stati membri nelle loro
prese di posizione e nella conduzione della loro azione”.
Il Consiglio interviene con varie modalità nella nomina di altre istituzioni o organi:
- Commissione;
- Comitato esecutivo della BCE;
- Comitato economico e sociale;
- Comitato delle regioni.
Inoltre, fissa anche stipendi, indennità e pensioni.

L’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza


L’Alto rappresentante PESC costituisce un organo “ibrido” per il suo doppio ruolo:
- Presidente del Consiglio “Affari esteri”;
- Vicepresidente della Commissione.
Ciò porta ad una duplicità nei rapporti con le istituzioni:
- Governative (Consiglio europeo e Consiglio):

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o Il Consiglio europeo decide la sua nomina + la fine del suo mandato;


o È il “mandatario” del Consiglio;
- Sopranazionale (Commissione): la sua nomina è subordinata all’approvazione del
Parlamento europeo, il quale ha anche il potere di impedire la nomina di un determinato
candidato. Inoltre, resta soggetto all’eventuale mozione di censura da parte del Parlamento
europeo che, con questa procedura, determina le dimissioni collettive dei membri della
Commissione.
Art. 234: in caso l’Alto rappresentante si dimette dalle funzioni in seno alla Commissione. Pur
lasciando la commissione, quindi, resterebbe nelle altre funzioni che gli competono, in specie nella
qualità di mandatario del Consiglio.

Funzioni
Art. 18: vigila sulla coerenza dell’azione esterna dell’UE. In seno alla Commissione, è incaricato
delle responsabilità che incombono a tale istituzione nel settore delle relazioni esterne e nel
coordinamento degli altri aspetti dell’azione esterna dell’Unione.
Al di là dei suoi due ruoli principali, numerose disposizioni nei Trattati stabiliscono le sue funzioni
nell’ambito generale dell’azione esterna dell’Unione e nella PESC.
Sul piano generale l’Alto rappresentante assiste il Consiglio e la Commissione nel loro compito di
garantire la coerenza tra i vari settori dell’azione esterna. Esso svolge una funzione di PROPOSTA
nei confronti del Consiglio e di attuazione delle decisioni dello stesso Consiglio + nel Consiglio
europeo si rappresentanza dell’Unione nei rapporti con i terzi e di consultazione.
In particolare, sul piano operativo, svolge funzioni importanti sul piano operativo e nell’attuazione
delle missioni implicanti l’impiego di mezzi civili e militari (operazioni Petersberg => azioni di
disarmo, missioni umanitarie e di soccorso, consulenza e assistenza, prevenzione dei conflitti e
mantenimento della pace). Tali missioni sono decise dal Consiglio e spetta poi all’Alto
rappresentante provvedere a coordinare gli aspetti civili e militari delle stesse missioni.
Col Trattato di Lisbona fu introdotto un Servizio europeo per l’azione esterna posto sotto la
direzione dell’Alto rappresentante. Esso assiste innanzitutto l’Alto rappresentante nell’esecuzione
delle sue funzioni di guida della PESC, nelle funzioni svolte nella veste di Presidente del Consiglio
“Affari esteri” e in quella di vicepresidente della Commissione. Collabora, inoltre, con i servizi
diplomatici degli stati membri.

LA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA


Art. 19: la Corte di giustizia dell’Unione europea comprende:
- La Corte di giustizia;
- Il Tribunale;
- I tribunali specializzati.
Essa si identifica con l’intero ordinamento giudiziario dell’Unione, al quale compete di assicurare il
rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei Trattati. Essi non escludono il
contributo dei giudici nazionali i quali, in conformità del principio di leale cooperazione, sono
tenuti a garantire l’esecuzione degli obblighi derivanti dai Trattati.
La Corte di giustizia era, originariamente, l’unica istituzione giudiziaria dell’Unione.
successivamente fu istituito un secondo organo giudiziario, il Tribunale di primo grado, con alcune
limitate competenze, che sono progressivamente aumentate. Esso è formalmente inserito nei
Trattati col Trattato di Maastricht del 1992. Il Tribunale rispondeva a due esigenze:

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1. Decongestionava la Corte di giustizia rispetto a una massa smisurata di ricorsi;


2. Garantiva il doppio grado di giurisdizione, col diritto di impugnare le sentenze del Tribunale
dinanzi alla Corte di giustizia. Tuttavia, ci sono comunque importanti competenze riservate
solo alla Corte, nel cui ambito essa è giudice unico.
La creazione del Tribunale si è rilevata una misura insufficiente, anche per il progressivo
allargamento dell’Unione a nuovi stati. Al fine di alleggerire il peso del contenzioso della Corte non
solo sono state aumentate le competenze del Tribunale, ma col Trattato di Nizza del 2001 sono
stati previsti dei “tribunali specializzati” al fine di affiancare il Tribunale. Contro le sue decisioni
poteva essere proposta impugnazione, per motivi di diritto, al Tribunale, il quale diventava giudice
di secondo grado. Le decisioni del Tribunale potevano essere eccezionalmente oggetto di riesame
da parte della Corte di giustizia, ove sussistessero rischi per la coerenza del diritto dell’Unione. in
questa ipotesi, la Corte si configurava come un terzo grado di giurisdizione.
Oltre che nei Trattati, la disciplina delle istituzioni giudiziarie si trova anche nello Statuto della
Corte di giustizia. Lo Statuto è stabilito con un protocollo separato, il quale ha lo stesso valore
giuridico dei Trattati.
La Corte di giustizia è composta da un giudice per ogni Stato membro. I giudici vengono nominati
dagli stati di comune accordo per sei anni con mandato rinnovabile. La nomina dei giudici è
preceduta da un parere sulla loro adeguatezza fornito da un comitato di sette personalità che
incarnano l’apice della conoscenza del diritto dell’Unione. Dopo che il candidato fa l’esame, il
comitato fornisce pareri di adeguatezza non vincolanti. Se il parere è negativo la candidatura cade.
Nel comitato è presente una personalità scelta da Parlamento europeo che rappresenta una figura
politica vicino alla maggioranza. La composizione del comitato è scelta dal Consiglio.
I giudici designano tra loro il presidente e il vicepresidente per tre anni rinnovabili.
La Corte è assistita da 11 avvocati generali, con il compito di rappresentare l’interesse al rispetto
del diritto. In passato l’avvocato generale presentava sempre le sue conclusioni. Oggi, lo Statuto
stabilisce in quali casi lo deve presentare e la Corte può ometterlo se la causa non solleva nuove
questioni.
I giudici godono dell’immunità dalla giurisdizione, la quale si estende oltre la cessazione delle
funzioni per quanto concerne gli atti compiuti in veste ufficiale. Può essere tolta solo dalla Corte di
giustizia, riunita in riunione plenaria.
La Corte si riunisce in sezioni (3-5 giudici) o in grande sezione (15 giudici). Eccezionalmente in
seduta plenaria.
Il Tribunale è formato da un giudice per stato membro con meccanismo di nomina uguale ai giudici
della Corte. I membri dei tribunali specializzati sono nominati dal Consiglio all’unanimità.
Art. 19. La Corte si pronuncia in tre casi:
- Ricorsi presentati da uno stato membro a una persona fisica/giuridica (procedura
d’infrazione;
- In via pregiudiziale;
- Altri casi previsti dai Trattati.

Principali competenze CGUE:


1. Procedure di infrazione: serve a chiedere alla corte se uno stato ha violato o meno il diritto
dell’unione;
2. Azione di annullamento;
3. Rinvio pregiudiziale.

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Il riparto di competenze tra la Corte di giustizia e il Tribunale


La Corte e il Tribunale non si pongono su un piano gerarchico. Le loro competenze sono fissate in
base alle norme dei Trattati integrate dallo Statuto della Corte di giustizia (Protocollo n.3). Alla luce
di tali norme, alcune competenze sono attribuite al Tribunale e le sue sentenze possono essere
oggetto di ricorso alla Corte di giustizia. Altre competenze sono riservate alla Corte di giustizia, non
sussistendo in questi casi il doppio grado di giudizio. Le competenze non menzionate dall’art. 256
ricadono nella competenza della Corte, che si pronuncia in unico grado di giudizio.

Procedura d’infrazione
La Corte di giustizia ha la competenza esclusiva relativa al controllo sul rispetto del diritto
dell’Unione da parte degli stati membri. essa può essere esercitata su iniziativa della Commissione
oppure di uno stato membro. La procedura è chiamata “procedura d’infrazione”. Presenta varianti
a seconda che sia promossa dalla Commissione o da uno Stato membro:
- Precontenzioso:
o Commissione: l’attribuzione del potere d’iniziativa alla Commissione è coerente con
il ruolo di guardiano dei Trattati. Essa non implica un dovere giuridico di
intraprendere un’azione contro uno stato. La stessa corte ha ribadito che la
Commissione gode di un ampio potere discrezionale. Non coinvolge la Corte di
giustizia e si esaurisce nel dialogo tra Commissione e Stato membro. Questa fase ha
lo scopo di dare allo stato membro l’opportunità di conformarsi agli obblighi e di
sviluppare una difesa utile contro gli addebiti formulati dalla Commissione. Tale fase
inizia con l’invio di una lettera di messa in mora (o di diffida) con la quale la
Commissione contesta allo stato ‘esistenza di una sua violazione di un obbligo
derivante dal diritto dell’Unione. in essa sono indicati gli elementi in base ai quali la
Commissione reputa che sussista l’infrazione. Inoltre, lo stato viene invitato a
comunicare le proprie osservazioni entro un certo termine. Il contenuto della lettera
non è modificabile. Qualora le osservazioni dello stato siano ritenute insufficienti, la
Commissione emette un parere motivato. In esso precisa in maniera rigida e
formale gli addebiti contestati e gli elementi implicanti l’infrazione. L’art. 258 non
stabilisce il termine ma, la Corte di giustizia, ha affermato che deve trattarsi di un
termine ragionevole. Esistono specifiche ipotesi nelle quali non è contemplato lo
svolgimento della fase precontenziosa e la Commissione può aderire direttamente
la Corte di giustizia. A parte questi casi straordinari, solo dopo la scadenza del
termine fissato dalla Commissione essa può adire alla Corte. La commissione ha un
potere pienamente discrezionale in merito alla presentazione o meno del ricorso
alla Corte e alla determinazione del momento in cui presentarlo. A questo fine può
emettere una lettera di diffida complementare o un parere motivato
supplementare. Qualora la Commissione adisca alla Corte il processo deve
necessariamente concludersi con il giudizio sull’inadempimento dello stato;
o Stato membro: il ricorso per infrazione può essere proposto anche da un altro Stato
membro. Esso è tenuto a rivolgersi alla sola Corte, e non ad altri procedimenti. Il
ricorso può riguardare l’intero diritto dell’Unione. Contempla anch’essa una fase
precontenziosa con il coinvolgimento della Commissione, la quale emette un parere

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motivato dopo che gli Stati interessati siano posti in condizione di presentare le loro
osservazioni. Qualora la Commissione non abbia formulato il parere nel termine di
tre mesi, lo Stato può fare ricorso direttamente alla Corte. Il ricorso è proponibile
anche qualora il parere emesso sia favorevole allo Stato convenuto ed esprima
l’inesistenza della violazione.
- Contenzioso: qualora la Corte giudichi lo Stato responsabile della violazione, essa emana
una sentenza non di condanna ma dichiarativa dell’inadempimento. La sentenza è
obbligatoria per lo stato in questione, il quale è tenuto a eseguirla adottando i
provvedimenti necessari. La norma non stabilisce alcun termine ma vanno adottati al più
presto. L’obbligo di esecuzione grava su tutti gli organi dello stato. Anche i giudici, quindi,
dovranno astenersi dall’applicare una legge nazionale giudicata in conflitto con una norma
dell’Unione. Qualora lo stato membro non dia esecuzione alla sentenza:
o Prima: doppia condanna = lo stato subiva una prima sentenza di accertamento della
violazione di una disposizione e una seconda sentenza di violazione dell’obbligo di
eseguire la prima sentenza;
o Maastricht ’92: stabilisce che la Commissione possa non solo aprire un
procedimento di infrazione per fare dichiarare che lo stato ha violato l’obbligo di
eseguire la precedenza sentenza, ma possa chiedere alla Corte di condannare lo
Stato al pagamento di una sanzione monetaria;
o Lisbona ’07: non è più richiesta la previa emanazione da parte della Commissione.

Competenza in via pregiudiziale


Art. 267: il rinvio pregiudiziale è un potente strumento di cooperazione tra giudice nazionale e
Corte di giustizia. Tale competenza viene esercitata riguardo a una questione che sorga in un
processo nazionale, relativa all’interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione o alla
validità di un atto dell’Unione, la cui soluzione sia necessaria affinché il giudice nazionale possa
decidere la causa. In questi casi l’art. 267 prevede che il giudice nazionale sospenda il processo e
rinvii all’esame della Corte la questione relativa al diritto dell’Unione. Una volta emanata la
sentenza della Corte viene riassunto il processo e il giudice nazionale decide il caso con propria
sentenza.
È con questa competenza che la Corte ha emanato non solo il maggior numero di sentenza, ma
anche quelle più significative, con le quali ha costruito e sviluppato il diritto dell’Unione.
L’attribuzione di questa competenza alla Corte si fonda sull’osservazione che il giudice nazionale è il
giudice comune e naturale del diritto dell’Unione, poiché questo è rivolto essenzialmente ai
cittadini. La competenza in via pregiudiziale ha due obbiettivi:
- Scongiurare il rischio che il carattere uniforme del diritto sia pregiudicato da interpretazioni
difformi dei giudici nazionali;
- Evitare che questi giudici applichino atti dell’Unione che presentano vizi implicanti la loro
illegittimità.

La questione pregiudiziale può avere come oggetto:


- L’interpretazione dei Trattati e degli atti dell’Unione;
- La validità di tali atti.
Se la questione si pone dinanzi a:

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- Giudice non di ultimo grado: ha la facoltà di rinviarla alla Corte. Eccezione:


o Se è certo che l’atto è illegittimo. L’atto è invalido solo se dichiarato dalla Corte,
quindi per quanto sia palese è solo la Corte a poter invalidare un atto;
- Giudice di ultimo grado: è tenuto a rivolgersi alla Corte. Eccezioni:
o Questione materialmente identica e affrontata da un giudice prima;
o Giurisprudenza costante: inutile chiedere se c’è contrasto tra norma interna e
dell’Unione -> principio già consolidato;
o Acte clair: se l’atto è chiaro e non ci sono dubbi.

Oggetto della competenza pregiudiziale


Distinguere due oggetti della competenza:
- Interpretativa: riguarda qualsiasi disposizione del diritto dell’Unione, cioè il suo intero
ordinamento giuridico. Può esercitarsi su norme dei Trattati, sugli accordi, sui principi
generali e sugli atti delle altre istituzioni. Oggetto della competenza interpretativa non può
essere una normativa nazionale, ma ti posso dire l’interpretazione della norma europea in
contrasto con quella interna.
Sentenza Corsten 2000: la Corte aggiunge una formula ostativa: l’interpretazione della
norma dell’Unione osta o meno NON alla norma interna che ha proposto il giudice, ma una
norma come quella che ha proposto il giudice nazionale. Quindi il riferimento non è alla
norma specifica ma ad una norma uguale a quella che ha proposto il giudice nazionale. La
Corte sta praticamente rispondendo. In questo modo si poteva arrivare alla Corte senza
usare la procedura d’infrazione;
- Di validità: riguarda esclusivamente gli atti dell’Unione produttivi di effetti giuridici, non
anche pareri e raccomandazioni.
Criteri di ammissibilità che richiede la corte:
- Nell’ordinanza devono esserci elementi sufficienti per capire quali qual è la controversia. La
Corte vuole sapere gli effetti pratici delle sue sentenze per assicurare a tutti i diritti in caso
di controversie;
- Rilevanza: bisogna avere se ciò che è richiesto nel rinvio abbia applicazione pratica,
altrimenti la Corte non risponde perché in concreto non ha applicazione.
La Corte poi emette una sentenza che vincola solo il giudice che ha posto la domanda ma che di
fatto vale erga omnes: nella sentenza pregiudiziale si devono precisare gli effetti (retroattivi o
meno) altrimenti si distruggono i rapporti giuridici costruiti anni prima. La Corte precisa, infatti, se
l’annullamento ha efficacia al momento della dichiarazione o se ha effetto retroattivo.

Annullamento
Il controllo sulla condotta delle istituzioni e degli organi dell’Unione europea si realizza
principalmente nella competenza di legittimità sugli atti dell’Unione, volta a verificare che tali atti
siano immuni da vizi che ne comportino l’invalidità. La competenza sussiste sia al Tribunale che alla
Corte di giustizia. A tali giudici i soggetti legittimati possono sottoporre un ricorso per ottenere
l’annullamento dell’atto
Chi richiede l’azione:
- Istituzione: è competente sempre la corte e l’annullamento ha un grado unico (es.
parlamento vs consiglio: controversia di natura interistituzionale;

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- Stato membro: ci potrebbe essere secondo grado di giudizio.


Problema: quali sono gli atti impugnabili. Art. 263 par. 1:
1. L’impugnabilità presuppone che l’atto sia giuridicamente esistente. In caso contrario
sarebbe irricevibile in quanto privo di oggetto;
2. L’atto deve essere imputabile all’Unione europea. L’art. 263 menziona Parlamento,
Consiglio europeo, Consiglio, Commissione e BCE;
3. Sono impugnabili solo se siano suscettibili di determinare effetti giuridici;
4. PESC: la Corte può annullare atti dell’Unione per violazione dell’art. 40 e decisioni
comportanti misure restrittive verso persone fisiche o giuridiche;
5. L’impugnabilità richiede che esso sia un atto legislativo produttivo di effetti giuridici
obbligatori.
Sono considerati impugnabili tutti gli atti dell’Unione idonei a produrre effetti obbligatori e giuridici
verso terzi.
Due considerazioni:
- La Corte non può annullare un atto di uno stato membro, tranne per un caso: atti di revoca
e di nomina del governatore della BCE;
- Un atto dell’Unione è impugnabile se ha effetti giuridici su terzi: l’atto vincolante per i terzi
è impugnabile perché se non lo fosse non ci sarebbe alcun effetto pregiudizievole da
rimuovere e non avrebbe senso.
Motivi per cui un atto può essere impugnato:
- Violazione delle forme sostanziali: si concretizza nella violazione delle regole giuridiche
concernenti il procedimento di adozione dell’atto (es. mancata consultazione di
un’istituzione);
- Incompetenza: madre di tutti i vizi di illegittimità. Consiste nell’assenza del potere di
emanare l’atto in questione. Può essere:
o Assoluta: l’Unione non ha il potere di adottare l’atto;
o Relativa: l’istituzione non ha il potere di adottare l’atto.
Questi due vizi sono talmente gravi da poter essere rilevati d’ufficio dalla Corte di giustizia.
- Violazione dei Trattati: ipotesi di atti di diritto derivato che non sono conformi ad altri atti di
diritto da rispettare;
- Sviamento del potere: si configura quando l’organo ha il potere di emanare l’atto, ma
quest’ultimo è adottato per un fine diverso da quello in vista del quale il potere è stato
attribuito. Variante. Sviamento di procedura: quando una certa procedura viene utilizzata
per uno scopo diverso sa quello per il quale è stata istituita.

Chi può fare ricorso:


- Ricorrenti privilegiati: possono impugnare l’atto anche se non li riguarda specificatamente,
senza allegare un loro interesse ad agire. Essi sono:
o Parlamento;
o Consiglio;
o Commissione;
o Stati membri;
- Ricorrenti non privilegiati: possono impugnare solo un atto che leda le proprie prerogative
o i loro interessi individuali. Essi sono:

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o Corte dei conti;


o BCE;
o Comitato delle regioni;
- Persone fisiche e giuridiche: qualsiasi persona può proporre un ricorso contro:
o Atti adottati nei suoi confronti;
o Atti che riguardano direttamente e individualmente: scopo: consentire
l’impugnazione di atti a portata generale anche se in realtà non lo sono. Es.:
regolamento, che è a portata generale ma è scritto come se fosse per un singolo
soggetto. Ha la forma dell’atto a portata generale ma non lo è. È una decisione che
riguarda una singola persona o impresa;
o Atti regolamentari che la riguardano direttamente. Non sono regolamenti ma atti
non legislativi di integrazione di atti di base (es. atti di delega).

Termine di tempo: i ricorsi devono essere proposti nel termine di due mesi dalla pubblicazione
dell’atto.
La sentenza di annullamento fa sparire l’atto impugnato o anche solo un pezzo (es. quando ci sono
norme contrarie ai trattati, a meno che non siano essenziali per l’esistenza dell’atto). La Corte
precisa gli effetti dell’atto annullato, che devono essere considerati definitici. La sentenza ha effetto
retroattivo: è come se non fosse mai esistito. A volte può convenire che non retroagisca e che l’atto
venga annullato dal momento in cui è fatta la sentenza.

Il ricorso in carenza
Il ricorso in carenza è previsto dall’art. 265 TFUE. In questo caso il ricorso è diretto a fare constatare
una omissione da parte di una istituzione, organo o organismo dell’Unione nell’adozione di un atto
che questi hanno l’obbligo di emanare. Tale ricorso è diretto a sindacare la legittimità del
comportamento delle istituzioni europee.
La mancata emanazione dell’atto deve avvenire “in violazione dei Trattati”, deve rappresentare,
cioè, la violazione di un preciso obbligo giuridico dell’istituzione di emanare l’atto. Il ricorso in
carenza costituisce pure il mezzo appropriato per fare accertare la mancata adozione, da parte di
un’istituzione, dei provvedimenti che l’esecuzione di una sentenza comporta. Tale circostanza
induce a ritenere impugnabili omissioni delle istituzioni rispetto a qualsiasi tipo di atto, anche se
non vincolante e pure se non definitivo, sempre che l’istituzione sia tenuta a adottarlo.
I soggetti legittimati a proporre il ricordo sono divisi tra privilegiati e non privilegiati:
- Privilegiati: Stati membri e istituzioni
- Non privilegiati: persone fisiche o giuridiche. Tale ricorso è limitato:
o È escluso per le raccomandazioni e i pareri e riguarda la mancata adozione solo di
atti suscettibili di produrre effetti giuridicamente vincolanti;
o I singoli devono essere i destinatari dell’atto che l’istituzione ha omesso di adottare.

Eccezione di invalidità

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Art. 277: “nell'eventualità di una controversia che metta in causa un atto di portata generale adottato da
un'istituzione, organo o organismo dell'Unione, ciascuna parte può, anche dopo lo spirare del termine
previsto all'articolo 263, sesto comma, valersi dei motivi previsti all'articolo 263, secondo comma, per
invocare dinanzi alla Corte di giustizia dell'Unione europea l'inapplicabilità dell'atto stesso”.
Tale articolo consente di contestare un atto illegittimo anche una volta che sia scaduto il termine
per la sua impugnazione e risulta molto utile per i singoli, i quali, di regola, non sono legittimati a
impugnare atti legislativi di portata generale, come i regolamenti.

CAPITOLO VI: PROCEDIMENTI INTERISTITUZIONALI

La proposta della Commissione


La procedura legislativa ordinaria ha inizio con la proposta della Commissione. Art. 17: un atto
dell’Unione può essere adottato solo su proposta della Commissione, salvo che i Trattati non
dispongano diversamente”. Sono molto rari i casi in cui un atto dell’Unione può essere adottato
senza una proposta della Commissione.
La Commissione è priva del potere di iniziativa nella PESC e negli atti adottati dalla BCE.
Il potere di iniziativa della Commissione può essere sollevato dal Parlamento europeo, dal
Consiglio, da un milione di cittadini e lo stesso Consiglio europeo può indicare temi sui quali
formulare delle proposte. La proposta della Commissione viene preparata non solo a seguito delle
riflessioni della stessa Commissione, ma anche con la consultazione di esperti degli Stati membri e
tiene conto delle sollecitazioni e delle segnalazioni dei gruppi di interesse.
Il potere esclusivo di proposta della Commissione si rafforza con l’art. 293, il quale afferma che il
Consiglio può modificare il testo proposto dalla Commissione solo votando all’unanimità,
potendolo invece respingere con la sola mancata formazione della maggioranza. Inoltre, finché il
Consiglio non ha deliberato, la Commissione può modificare la proposta al fine di renderla più
accettabile dalle istituzioni. Tale potere prevede anche il potere di ritirarla, impedendo l’adozione
dell’atto nella materia oggetto della originaria proposta.

La preiniziativa può essere su fatta da:


- Parlamento europeo;
- Consiglio;
- 1 mln di cittadini.

La procedura legislativa ordinaria


La procedura legislativa ordinaria consiste nell’adozione congiunta di un regolamento, direttiva o
decisione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio su proposta della Commissione.
Art. 294: procedura di codecisione. In questa procedura si realizza una pari potestà legislativa fra
Parlamento europeo e Consiglio. La procedura parte con la proposta della Commissione, la quale è
inviata simultaneamente sia a Parlamento che a Consiglio. Si svolgono quindi:
- Prima lettura: il Parlamento adotta la sua posizione e la comunica al Consiglio:
o Se il Consiglio l’approva l’atto viene adottato;
o In caso contrario il Consiglio adotta la sua posizione e la invia al Parlamento con le
proprie motivazioni;
- Seconda lettura, entro tre mesi:

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o Il Parlamento approva la posizione del Consiglio e l’atto viene adottato;


o Il Parlamento non si pronuncia (silenzio-assenso);
o Il Parlamento respinge a maggioranza dei suoi membri e l’atto non è adottato;
o Il Parlamento propone emendamenti alla posizione del Consiglio. Il testo emendato
viene trasmesso a Consiglio e Commissione che formula un parere. Entro tre mesi:
 Il Consiglio approva gli emendamenti a maggioranza qualificata e l’atto viene
adottato;
 Se il Consiglio non approva il Presidente del consiglio, entro sei settimane,
convoca un comitato di conciliazione. Tale comitato deve cercare di giungere
ad un accordo su un testo comune approvato a maggioranza qualificata dei
membri del Consiglio e a maggioranza dei rappresentanti del Parlamento.
Alla ricerca di un comune accordo contribuisce anche la Commissione. In
questa fase viene meno la regola dell’unanimità del Consiglio per la modifica
della proposta, posto che il Consiglio voti a maggioranza qualificata. Entro sei
settimane il comitato di conciliazione:
 Non approva un progetto comune, l’atto si considera non adottato;
 Se è approvato, Terza lettura;
- Terza lettura: entro sei settimane il Parlamento (a maggioranza dei voti espressi) e il
Consiglio (a maggioranza qualificata) possono adottare l’atto. In mancanza di decisione,
anche di una sola istituzione, l’atto non è adottato.
I termini di tre mesi e di sei settimane possono essere prorogati rispettivamente di un mese e di
una settimana su iniziativa del Parlamento e del Consiglio.
Nell’ipotesi in cui l’iniziativa non parte dalla Commissione, essa non è esclusa dalla procedura
poiché Parlamento e Consiglio le trasmettono il progetto. La Commissione può formulare pareri
durante la procedura e partecipare al comitato di conciliazione.

Varianti legislativa ordinaria:


1. Art. 91: deliberano previa consultazione del Comitato economico e sociale in materia di
trasporti;
2. Art. 133: deliberano previa consultazione della BCE in materie riguardanti l’euro;
3. Art. 281: lo Statuto della Corte di giustizia è stabilito con un protocollo separato. Il
Parlamento europeo e il Consiglio possono modificare le disposizioni dello Statuto su
richiesta sella Corte di giustizia e previa consultazione della Commissione o su richiesta
della Commissione e previa consultazione della Corte di giustizia

La procedura legislativa speciale


Art. 289: c’è la possibilità di procedure legislative differenti dalla codecisione dell’art. 294, esse
sono considerate “speciali”. L’adozione di un regolamento, decisone o direttiva da parte del
Parlamento con la partecipazione del Consiglio, o viceversa, costituisce una procedura legislativa
speciale. Il rapporto tra le due istituzioni viene a sbilanciarsi a favore di una o dell’altra istituzione.
In realtà è il Consiglio che assume potere decisionale, mentre si affievolisce la posizione del
Parlamento, il cui intervento si esprime con un parere o con l’approvazione. È rara l’ipotesi
opposta.
La consultazione del Parlamento è prescritta come obbligatoria e che i conseguenti pareri sono
“obbligatori”. Il parere obbligatorio comporta che il Consiglio è giuridicamente vincolato a chiedere

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al Parlamento europeo il parere sul progetto di atto prima di assumere la propria decisione.
L’obbligo riguarda solo la consultazione, ma esso resta del tutto libero di accettare o meno il
parere. In caso di mancata consultazione: “violazione delle forme sostanziali”. Il Parlamento deve
essere consultato anche nel caso in cui l’originaria proposta sia stata sostanzialmente modificata. Il
Consiglio può emanare l’atto in assenza del parere del Parlamento qualora quest’ultimo ritardi
eccessivamente nel darlo, usando il suo potere consultivo come arma di pressione verso il
Consiglio, al fine di indurlo a conformarsi alla propria posizione o di impedire l’adozione dell’atto.
Ciò andrebbe in contrasto col principio di leale cooperazione, che è stato esteso anche alle
istituzioni.
L’altra forma di partecipazione è l’approvazione. Essa sostituisce il “parere conforme” dell’Atto
unico europeo del 1986. L’approvazione precede la decisione del Consiglio ed è vincolante per
l’adozione dell’atto. Il Parlamento non ha il potere di modificare il contenuto dell’atto in quanto
estraneo alla sua elaborazione.

Varianti:
1. Primo caso:
o Art. 113: previa consultazione del Parlamento e del Comitato economico e sociale in
caso di disposizioni riguardanti imposte economiche;
o Art. 127: previa consultazione del Parlamento e della BCE in caso di disposizioni
sulla politica monetaria;
o Art. 192: previa consultazione di Parlamento, Comitato economico e sociale e
Comitato delle regioni in caso di disposizioni aventi natura fiscale;
2. Secondo caso: previa approvazione del Parlamento europeo, il Consiglio, all’unanimità, può
istituire una Procura europea per il controllo dei reati che ledono gli interessi finanziari
dell’Unione (Eurojust);
3. Terzo caso: il Parlamento ha più potere del Consiglio. Previa consultazione della
Commissione e con approvazione del Consiglio, il Parlamento stabilisce, di sua iniziativa, lo
statuto e le condizioni generali per l’esercizio delle funzioni dei suoi membri.

La competenza esclusiva o concorrente dell’Unione europea nella conclusione di accordi


internazionali
La materia ricade sotto la regolamentazione del diritto internazionale generale, codificato in
particolare dalle Convenzioni di Vienna sul diritto dei trattati e sul diritto dei trattati conclusi tra
stati e organizzazioni internazionali. Vige il principio del parallelismo delle competenze, in virtù del
quale, ogni qual volta la Comunità avesse il potere di adottare una normativa al proprio interno,
essa era provvista anche del potere di concludere accordi sul piano esterno.

Alla competenza dell’Unione a concludere accordi fa riferimento anche l’art. 3 par. 2, TFUE, relativo
alle competenze esclusive dell’Unione, in contrapposizione con le competenze concorrenti. Ciò non
implica che la competenza a concludere accordi sia sempre esclusiva. Va osservato che spesso le
norme del Trattato sul funzionamento dichiarano espressamente che la competenza dell’Unione
non esclude quella degli Stati membri. In casi previsti dai Trattati la competenza a concludere
accordi non appartiene in via esclusiva all’Unione, ma ha natura concorrente con quella degli Stati
membri. In altri termini, dove la competenza interna dell’Unione sia esclusiva, altrettanto sarà la
competenza a concludere accordi internazionali, salva la possibilità che la stessa Unione autorizzi

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gli Stati membri a concludere accordi. Nelle altre materie, di competenza concorrente, il potere
dell’Unione di concludere accordi internazionali consiste con quello degli Stati membri.

La procedura di stipulazione degli accordi dell’Unione europea e i loro effetti giuridici. Il parere
della Corte di giustizia
Per quanto prevede la conclusione di accordi internazionali, l’art. 218 prevede il procedimento
generale. Tale procedimento inizia con una raccomandazione della Commissione o dell’Alto
rappresentante, rivolta al Consiglio affinché autorizzi l’avvio di negoziati. Se accoglie la
raccomandazione, adotta una decisione che autorizza l’avvio dei negoziati e designa il negoziatore
o il capo della squadra di negoziato. Il negoziatore agisce sotto il controllo dello stesso Consiglio, il
quale può impartirgli direttive e designare un comitato speciale, che deve essere consultato nella
conduzione dei negoziati. Inizialmente non era prevista alcuna partecipazione del Parlamento
europeo. Ora esso è immediatamente e pienamente informato in tutte le fasi della procedura di
stipulazione. Inoltre, il regolamento interno del Parlamento dispone che esso venga
esaustivamente informato dalla Commissione sulla proposta del mandato a negoziare e che esso
possa chiedere al Consiglio di non autorizzare l’apertura dei negoziati finché non si sia pronunciata
su tale proposta. Il Parlamento deve essere regolarmente ed esaurientemente informato dalla
Commissione e dal Consiglio sull’andamento dei negoziati per la loro intera durata. La decisione di
concludere l’accordo spetta al Consiglio nel quale si concentra la competenza a stipulare in nome
dell’Unione. Sia la firma che la decisione di concludere l’accordo sono adottate su proposta del
negoziatore. La conclusione può avvenire in forma semplificata, mediante la semplice firma da
parte della persona delegata dal consiglio, o in forma solenne, con una decisione o un regolamento
del Consiglio. Quando si esegue la forma solenne la firma può essere accompagnata da una
decisione di applicazione provvisoria dell’accordo. Una volta eseguita la determinazione del
Consiglio, alla controparte è comunicato che sono state adempiute le formalità necessarie. La sua
entrata in vigore avviene secondo le norme di diritto internazionale.
Per quanto riguarda il sistema di votazione del Consiglio, questo delibera a maggioranza
qualificata. Delibera all’unanimità per l’emanazione quando l’accordo riguarda un settore per il
quale è richiesta l’unanimità (emanazione di atti sul piano interno, accordi di associazione).
Il ruolo del Parlamento si esprime, a seconda dei casi, con la sua preventiva approvazione o
consultazione. Esso resta estraneo al procedimento quando gli accordi riguardano esclusivamente
la PESC. La sua approvazione è richiesta nei seguenti casi:
- Accordi di associazione;
- Adesione alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo;
- Procedure di cooperazione;
- Ripercussioni finanziarie notevoli per l’Unione;
- Settori ai quali si applica la procedure legislativa ordinaria e speciale qualora sia necessaria
l’approvazione dello stesso Parlamento.
Negli altri casi l’accordo è subordinato alla consultazione obbligatoria del Parlamento, il quale deve
formulare il suo parere entro il termine stabilito, altrimenti il Consiglio potrà deliberare anche in
assenza del parere. L’approvazione e il parere vanno richiesti e formulati anteriormente alla
determinazione del Consiglio di concludere l’accordo. In materia PESC non è prevista né
l’approvazione né il parere. La Corte di giustizia ha affermato che l’art. 218 istituisce una simmetria
fra la procedura di adozione degli atti dell’Unione a livello interno e di conclusione degli accordi

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internazionali. Pertanto, se la materia rientra nella PESC, l’adozione di un atto interno e la


conclusione dell’accordo escludono l’intervento del Parlamento.
Una parziale competenza a stipulare accordi può riconoscersi alla Commissione e all’Alto
rappresentante. La competenza della Commissione, nella conclusione con altre organizzazioni di
accordi di contenuto essenzialmente amministrativo e organizzativo, va condivisa e coordinata con
quella dell’Alto rappresentante, che dovrebbe prevalere in materia di PESC.
Il parere richiesto alla Corte di giustizia riguarda la compatibilità tra il contenuto dell’accordo e
quello dei Trattati.

Principi relativi al bilancio


La formazione del bilancio deve conformarsi a taluni principi:
- Il principio dell’unità del bilancio: in esso devono essere comprese tutte le entrate e le
spese. Eccezioni:
o Spese derivanti da operazioni militari e di difesa;
o Spese derivanti l’attuazione di una cooperazione rafforzata. Le spese, in questo caso
sono a carico degli Stati che ne fanno parte;
- Il principio dell’universalità del bilancio: l’insieme delle entrate deve coprire
indistintamente l'insieme delle spese, senza possibilità di destinare determinate entrate alla
copertura si talune spese specifiche;
- Il principio dell’annualità: l’esercizio finanziario inizia il 1° gennaio e finisce il 31 dicembre;
- Il principio di specializzazione: le risorse del bilancio sono affisate alla gestione soltanto per
gli scopi previsti dal bilancio stesso e precisati in modo sufficientemente dettagliato nelle
linee di bilancio;
- Il principio del pareggio: le entrate devono essere uguali alle uscite;
- Il principio della buona gestione finanziaria: vi si devono attenere in particolare la
Commissione e gli Stati membri.

Approvazione del bilancio


L’approvazione del bilancio è disciplinata dall’art. 314, il quale consacra Parlamento e Consiglio
come rami del bilancio. L’approvazione avviene secondo legislativa speciale e ha il seguente
procedimento:
1. Entro il 1° luglio ciascuna istituzione elabora uno stato di previsione delle spese per il
successivo anno finanziario. La Commissione raggruppa tali previsioni in un progetto di
bilancio, comprendente una previsione delle entrate e delle spese;
2. Tale progetto viene proposto entro il 1° settembre al Parlamento e al Consiglio da parte
della Commissione, che può modificarlo fino all’eventuale convocazione di un comitato di
conciliazione;
3. Il primo esame è fatto dal Consiglio che, entro il 1° ottobre comunica la sua posizione al
Parlamento. Entro 42 giorni il Parlamento:
a. Può approvare la posizione del Consiglio e in questo caso il bilancio viene adottato;
b. Non delibera entro 42 giorni -> silenzio-assenso;
c. Emerge un dissenso del Parlamento. In questo caso il progetto emendato viene
trasmesso al Consiglio il quale, entro 10 giorni, può:
i. Approvare tutti gli emendamenti del Parlamento e il bilancio viene adottato;

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ii. Non approva gli emendamenti. In questo caso viene convocato un comitato
di conciliazione formato dai rappresentanti del Consiglio e del Parlamento
con la partecipazione della Commissione e col compito di giungere, entro 21
giorni, a un accordo su un progetto comune, approvato a maggioranza
qualificata dal Consiglio e a maggioranza semplice dai rappresentanti del
Parlamento.
1. Non perviene un accordo: il progetto è respinto e la commissione
deve sottoporre un nuovo progetto di bilancio;
2. Se si raggiunge un accordo, il Parlamento e il Consiglio dispongono di
14 giorni per approvare il progetto comune.
Entro questi 14 giorni vi sono varie possibilità:
1. Sia Parlamento che Consiglio approvano il progetto: il bilancio è definitivamente adottato;
2. Respinto sia dal Parlamento che dal Consiglio, oppure respinto da una istituzione e
approvato dall’altra, il progetto non è respinto e la Commissione deve presentarne uno
nuovo;
3. Se il Consiglio rigetta il progetto ma il Parlamento lo approva, la posizione di eguale autorità
viene alterata a favore del Parlamento. Quest’ultimo, entro 14 giorni dal rigetto del
Consiglio, può decidere di confermare tutti gli emendamenti originariamente adottati
rispetto alla posizione del Consiglio, oppure solo alcuni. Il bilancio è definitivamente
adottato secondo le determinazioni del Parlamento.
Una volta che il bilancio viene definitivamente adottato, è formalmente il Presidente del
Parlamento europeo che constata tale adozione.
Ove il bilancio sia respinto, le spese vengono erogate secondo il regime dei dodicesimi: le spese
effettuate mensilmente non possono superare un dodicesimo dei crediti aperti nel bilancio
dell’esercizio precedente, né un dodicesimo di quelli previsti nel progetto di bilancio non adottato.
La Commissione esegue il bilancio sotto il controllo finanziario della Corte dei conti.

Atti non legislativi


- Tutti quelli che si consumano all’interno di una singola istituzione;
- I procedimenti PESC;
- I procedimenti delegati e di esecuzione;
- I procedimenti “organizzativi”.

Accordi misti
Il quadro in merito alla distinzione tra le ipotesi di competenza esclusiva o concorrente dell’Unione
nella conclusione di accordi non è sempre nitido. Ci sono materie che, per esempio, sono
comprese solo parzialmente nella competenza dell’Unione e lasciando per il resto competenza agli
Stati membri. In casi del genere è prevista la prassi di stipulare accordi “misti”, i quali sono
negoziati e sottoscritti sia dall’Unione che dagli Stati membri e richiedono non solo una decisione
dell’Unione, ma anche la ratifica degli Stati membri. Tale procedura è stata voluta dagli stessi Stati
membri al fine di non consentire all’Unione di gestire da sola le relazioni eterne, preoccupati di
salvaguardare le proprie prerogative di fronte alla tendenza a un continuo ampliamento delle
competenze esclusive dell’Unione. Questa prassi è stata riconosciuta anche dalla stessa Corte di
giustizia. Due effetti:

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- Positivo: consente di eliminare il problema di determinare in quale misura l’accordo rientri


nella competenza dell’Unione o degli Stati membri. Assicura, inoltre, la valida stipulazione
dell’accordo, scongiurando il rischio che la volontà di impegnarsi sul piano internazionale
sia manifestata da un soggetto privo di competenza;
- Negativo: determina alcune difficoltà e inconvenienti:
o La necessità della ratifica degli Stati membri, oltre alla decisione del Consiglio, per la
conclusione dell’accordo può implicare notevoli ritardi. Per rimediare gli accordi
misti prevedono la loro applicazione in via provvisoria;
o Definire in quale misura i diritti e gli obblighi nascenti dall’accordo si ripartiscano tra
l’Unione e gli Stati membri. In questo caso, Unione e Stati membri devono
specificare per quali materie assumono tali diritti e obblighi.
È frequente che il Consiglio autorizzi gli Stati membri a firmare o a ratificare, nell’interesse
dell’Unione, convenzioni rientranti nella competenza della stessa, ma alle quali non può
partecipare, perché aperte solo a Stati (es. Convenzione dell’Aja 1996 o dell’OIL 2011). In questi
casi gli effetti giuridici restano formalmente a carico degli Stati membri.

CAPITOLO VII: LE FONTI DELL’ORDINAMENTO DELL’UNIONE EUROPEA

Caratteri generali
L’ordinamento giuridico è riconducibile a una pluralità di fonti:
- Primarie:
o TUE e TFUE. Hanno il medesimo valore giuridico;
o Protocolli e allegati ai Trattati poiché ne costituiscono “parte integrante”;
o Accordi di adesione con nuovi membri;
- Secondarie (o di diritto derivato): atti obbligatori che le istituzioni hanno il potere di
emanare:
o Regolamenti;
o Direttive;
o Decisioni;
essi danno vita alla c.d. legislazione dell’Unione.
- Atti atipici: decisioni sulla conclusione di accordi internazionali.

fra Trattati e fonti di diritto derivato sussiste un rapporto gerarchico poiché le seconde sono
subordinate ai primi.

I Trattati
Essi sono, da un punto di vista formale, accordi internazionali soggetti alle regole di diritto
internazionale generali concernenti la conclusione, la validità, l’efficacia e l’interpretazione. È
frequente l’affermazione secondo la quale i Trattati rappresentando la “costituzione” dell’Unione.
non si distinguono dagli altri trattati internazionali e non si sottraggono alle norme di diritto
internazionale generale in materia.
Il carattere costituzionale dei Trattati è accentuato perché, come ha affermato la Corte nella
sentenza Van Gend en Loos, essi hanno dato vita a un ente sopranazionale a favore del quale gli

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Stati hanno rinunciato ai loro poteri sovrani e il cui ordinamento giuridico riconosce come soggetti
non solo gli Stati membri ma anche i loro cittadini.

L’efficacia diretta delle disposizioni dei Trattati


Dalla configurazione, già enunciata dalla sentenza Van Gend en Loos, dei Trattati come istitutivi di
un ordinamento giuridico che riconosce quali soggetti anche gli individui discende che le loro
disposizioni sono idonee ad attribuire a questi ultimi diritti soggettivi. Qualora tali disposizioni
abbiano un contenuto chiaro, preciso e incondizionato esse sono munite di efficacia diretta. Ciò
implica che le suddette disposizioni attribuiscano agli individui diritti che essi possono esercitare
nell’ambito dell’ordinamento degli Stati membri e per la cui tutela possono agire in via giudiziaria
dinanzi ai tribunali statali. Tale attribuzione fu riconosciuta per la prima volta nella sentenza Van
Gend en Loos. In quel caso si poneva la questione se l’art. 12 della CEE attribuisse ai singoli dei
diritti soggettivi che il giudice nazionale avesse il dovere di tutelare. La Corte in questo caso rilevò
che la norma era chiara e incondizionata e quindi dotata di efficacia diretta. L’efficacia diretta
rappresenta non solo un mezzo per rafforzare la tutela dei singoli, ma anche una ulteriore garanzia
di rispetto del diritto dell’Unione.
Essa va distinta dalla diretta applicabilità, la quale esprime il carattere di essere applicabile
all’interno degli Stati membri senza bisogno di alcun atto statale, dipendendo dal suo carattere
autosufficiente, cioè contenuto chiaro, preciso e incondizionato. L’efficacia diretta pone in evidenza
il profilo soggettivo, concernente la sua azione immediata dinanzi ai giudici nazionali.

Diritto primario
Natura: parere della Corte di giustizia nella sentenza Les Verts: legittimità attiva del Parlamento
europeo di impugnare gli atti: qui i Trattati sono definiti come la carta costituzionale di base.

Gli atti dell’Unione europea e i loro requisiti


L’art. 288 elenca e definisce 5 categorie di diritto derivato:
- Regolamenti;
- Direttive;
- Decisioni;
- Raccomandazioni;
- Pareri.
Solo i primi te costituiscono propriamente fonti di diritto dell’Unione poiché sono obbligatori. Gli
altri due non sono vincolanti. Essi sono anche considerati atti “tipici”. Il TFUE stabilisce alcune
regole e requisiti concernenti i tre atti obbligatori:
- Il regolamento ha portata generale ed è obbligatorio e direttamente applicabile in ciascuno
degli Stati membri;
- La direttiva vincola lo Stato membro a cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da
raggiungere;
- La decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi. Se designa i destinatari è obbligatoria
soltanto nei confronti di questi.
L’identificazione dell’atto va fatta in considerazione del suo contenuto e dei suoi caratteri
sostanziali. Tale opera di identificazione determina conseguenze pratico-giuridiche di estrema
importanza (l’impugnazione, per esempio).

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Regolamenti
Il regolamento ha tre caratteristiche principali:
1. Portata generale: implica che esso sia rivolto a una serie indeterminata di destinatari,
conferendo a essi diritti o obblighi. Tale caratteristica lo differenzia dalla decisione, la quale
è rivolta verso specifici destinatari predeterminati. La Corte ha riconosciuto che un atto
rappresenta un regolamento, sebbene sia possibile determinare il numero dei destinatari,
purché avvenga in base a elementi oggettivi e non individuali (es. se atto che congela il
conto ad un individuo per attività terroristiche è regolamento perché nessuno può
finanziarlo privatamente, ha quindi portata generale). La portata generale non va intesa
come implicante necessariamente la sua applicazione in tutti gli stati, è possibile che sia
emanato con riguardo ad un solo stato o che abbia una sfera territoriale limitata;
2. Obbligatorietà in tutti i suoi elementi: si differenzia dalla direttiva, la quale ha
un’obbligatorietà limitata al risultato da raggiungere, mentre gli stati membri conservano la
libertà di stabilire i mezzi per raggiungere tale risultato;
3. Diretta applicabilità: è un aspetto essenziale della sopranazionalità che caratterizza l’intero
fenomeno dell’integrazione europea. I regolamenti esprimono la capacità dell’Unione
europea di produrre una normativa che raggiunge direttamente i consociati, creando per
essi diritti e obblighi giuridici, e s’impone a qualsiasi autorità giuridica. In questo modo il
diritto dell’Unione viene ad integrarsi con quello degli Stati membri. L’applicabilità diretta
comporta che i regolamenti acquistano efficacia giuridica all’interno degli Stati membri al
momento stesso in cui essi entrano in vigore. Ciò esclude la necessità di qualsiasi atto
statale di adattamento per due motivi:
a. Andrebbe in contrasto con la diretta applicabilità dei regolamenti, spostando
l’entrata in vigore del regolamento al momento in cui l’atto statale viene pubblicato;
b. La riproduzione del regolamento in un atto legislativo statale finisce per celare la
natura europea della norma, camuffandola in legge statale.
L’applicabilità diretta dei regolamenti non significa soltanto che essi penetrano negli
ordinamenti degli Stati membri senza bisogno di alcun atto di adattamento, ma anche che
essi sono idonei a creare diritti a favore dei singoli e obblighi a loro carico. Sono produttivi
di effetti diretti sia nei rapporti orizzontali (tra privati) sia nei rapporti verticali (tra privato e
stato).
Differenza tra:
- Diretta applicabilità: opera in relazione all’atto essendo riconosciuta solo dai regolamenti e
fatta solo in essi;
- Effetto diretto: non è una caratteristica dell’atto ma della norma contenuta nell’atto. Se
l’atto è direttamene applicabile le norme mi aspetto che siano dotate di effetto diretto.
Questa differenza ha alcuni effetti pratici: se nel regolamento c’è una norma non dotata di effetto
diretto, significa che necessita di una minima attività di attuazione da parte dello Stato. Se l’atto
non è direttamente applicabile è possibile che le norme non abbiano effetto diretto. La natura
della norma risolve i problemi ed è questo che interessa alla Corte: la norma deve essere chiara,
precisa e incondizionata, quindi, alla Corte non interessa distinguere tra effetto diretto e
applicabilità diretta, ma bisogna leggere la norma.

Direttive

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La direttiva può essere destinata a tutti o a taluni Stati membri, ma è sempre rivolta a Stati, non ai
singoli. Essa ha un’efficacia parzialmente obbligatoria poiché vincola gli Stati destinatari solo per i
risultati da raggiungere, mentre riconosce una certa libertà di tali Stati in merito alla scelta dei
mezzi e delle forme necessarie per conseguire il risultato. In questa maniera, la direttiva appare
come un atto meno intrusivo nella realtà giuridica degli Stati membri rispetto ad un regolamento.
A differenza di quest’ultimo, non è direttamente applicabile, ma acquista efficacia all’interno degli
Stati destinatari in via mediata, grazie ad atti statali che provvedono a dare attuazione alla direttiva
e a integrare il suo contenuto normativo, dato che, quest’ultimo, è incompleto, limitandosi a
prescrivere l’obbligo e non la forma e i mezzi. Le direttive stabiliscono il termine entro il quale gli
Stati debbono darvi attuazione. Esso può variare da pochi mesi ad alcuni anni, in rapporto a diversi
fattori. L’obbligo a carico dei destinatari consiste nel divieto di adottare misure che abbiano il
risultato di rendere più difficile l’attuazione della direttiva.
Una volta che il termine sia scaduto senza che lo Stato abbia attuato correttamente la direttiva,
esso è responsabile della violazione dell’art. 288 e può essere esperita una procedura di infrazione
ai sensi dell’art. 258 o 259.
Qualora una direttiva abbia contenuto sufficientemente chiaro e preciso, preveda un obbligo
incondizionato e sia diretta a conferire ai singoli un diritto, essa ha efficacia diretta, cioè è
suscettibile di creare in capo ai singoli diritti da essi esercitabili ed eventualmente invocabili in
giudizio davanti ai giudici nazionali.
Sentenza van Duyn, 1974: l’efficacia diretta della direttiva è ricollegata alla stessa obbligatorietà
dell’atto, che sarebbe ristretta ove si escludesse a priori la possibilità di invocarla in giudizio. Se il
regolamento ha effetto diretto, anche gli altri atti dell’art. 288 possono avere effetti analoghi a
certe condizioni. L’efficacia diretta richiede che la direttiva:
- Abbia un contenuto autosufficiente, completo e tale, quindi, da essere applicabile da
giudice nazionale anche in assenza di una legge statale di attuazione;
- Abbia un obbligo incondizionato, cioè che:
o Non richiede ulteriori atti di esecuzione;
o Il termine per l’attuazione della direttiva sia scaduto e lo Stato non l’abbia trasposta
nel proprio ordinamento, o l’abbia trasposta in modo inadeguato.
Prima della scadenza la possibilità che la direttiva produca effetti diretti per i singoli è esclusa. La
Corte ha confermato l’efficacia diretta delle direttive e ne ha ulteriormente chiarito il fondamento
mettendo in evidenza la necessità che il termine per l’attuazione della direttiva sia scaduto.
Dato che essa costituisce una garanzia per i singoli e una sanzione per lo Stato, crea l’obbligo di
eseguirla solo per quest’ultimo e non nei confronti dei singoli e dei privati. L’efficacia diretta è
quindi verticale e non orizzontale.
Sentenza Marshall, 1986: caso di pensionamento discriminato in base al genere (60 donne e 65
uomini). Il datore di lavoro è un privato quindi la direttiva che vieta la discriminazione in base al
genere non è applicabile. Il divieto di effetti diretti orizzontali produce conseguenze
insoddisfacenti. La Corte di giustizia non ne è indifferente ed ha ampliato l’applicazione di una
direttiva non eseguita attraverso la dilatazione della nozione di “Stato”, comprendendo tutti quegli
enti e organismi che esercitino un potere pubblico. Inoltre, ha affermato che i giudici, in base
all’obbligo di leale cooperazione, devono interpretare il diritto interno in maniera conforme
all’obbligo prescritto dalla direttiva. L’interpretazione del giudice va a piegare il diritto interno
adattandolo alla prescrizione della direttiva. Il giudice formalmente non applica la direttiva, ma il
diritto interno e questo crea diritti e obblighi anche nei rapporti tra privati. Es.: se il giudice

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nazionale deve applicare una norma che ha 5 significati non in linea con la direttiva, ne crea un
sesto da applicare al caso concreto. Il lavoro interpretativo del giudice diventa un vero e proprio
lavoro creativo.

Decisioni
La decisione è qualificata come obbligatoria in tutti i suoi elementi e si differenzia dalla direttiva in
quanto quest’ultima è vincolante solo per quanto riguarda il risultato da raggiungere. Art. 288, par.
4: è obbligatoria soltanto nei confronti dei destinatari designati. Se sono prive di destinatari hanno
carattere generale. Gli specifici destinatari possono essere sia Stati membri sia persone fisiche o
giuridiche. Nel caso di quest’ultime, le decisioni assumono caratteri affini a provvedimenti
amministrativi di diritto interno e comportano un obbligo solitamente pecuniario. Nel caso in cui
designano specifici destinatari aiutano a distinguerle dai regolamenti.
Le decisioni che non designano i destinatari restano obbligatorie in tutti i loro elementi. Queste
comprendevano diverse categorie, come: la composizione delle istituzioni e degli organi, l’avvio di
negoziati per la conclusione di accordi dell’Unione e la designazione dei negoziatori e la decisone
di concludere l’accordo.
L’art. 288 omette qualsiasi indicazione in merito all’eventuale diretta applicabilità della decisione.
Considerato che essa è obbligatoria in tutti i suoi elementi, in caso sia indirizzata ad uno Stato,
dipenderà dal suo contenuto stabilire se richieda o meno l’emanazione di atti statali di esecuzione.
Dato il suo carattere tendenzialmente completo, si presuppone che essa sia direttamente
applicabile all’interno dello Stato destinatario. Non hanno bisogno di atti statali le decisioni rivolte
a persone fisiche o giuridiche. Inoltre, il loro carattere è sia verticale che orizzontale.

Raccomandazioni e pareri
L’art. 288, par. 5 contempla le raccomandazioni e i pareri limitandosi ad affermare che non sono
vincolanti.
- La raccomandazione: è una manifestazione di volontà, con la quale l’istituzione che la
emana chiede al destinatario, in maniera non vincolante, di tenere la condotta
raccomandata. Tutte le istituzioni sono competenti di adottare raccomandazioni nei casi
specifici previsti dai trattati. Solo Consiglio e Commissione hanno il potere generale di
adottare tali atti. I destinatari possono essere istituzioni, Stati e persone fisiche o giuridiche;
- Il parere: è una manifestazione di giudizio o opinione che la Commissione, o altre
istituzioni, possono emanare in una data materia o nei confronti di specifici destinatari. C’è
tuttavia la possibilità che sotto il nomen iuris di parere si celi una decisione. Ciò ha una
specifica rilevanza per quanto riguarda l’impugnabilità dell’atto dinanzi alla corte (parere
non si può, decisione si).

Gli atti atipici


L’art. 288 non esaurisce la gamma degli atti adottati dall’Unione europea. Gli atti diversi da quelli
contemplati dalla citata disposizione sono denominati come “atipici” e rappresentano un elemento
di incertezza giuridica. L’art. 296 dispone che, in presenza di un atto legislativo, le istituzioni si
astengano dall’adottare atti non previsti nel settore interessato. Tali atti possono essere
raggruppati in tre categorie:

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1. Atti, espressamente previsti da disposizioni dei Trattati, che hanno la medesima


denominazione di uno di quelli tipici contemplati dall’art. 288, ma caratteri giuridici
differenti. Es.: i regolamenti interni delle varie istituzioni e organi. Essi non hanno nulla in
comune con i regolamenti dell’art. 288 e hanno una rilevanza meramente interna all’organo
che li adotta;
2. Atti espressamente previsti da disposizioni dei Trattati aventi denominazioni e caratteri
diversi da quelli tipici. La materia dell’unione monetaria offre esempi di atti del Consiglio,
volti ad accertare se gli Stati membri soddisfino le condizioni per il passaggio all’adozione
della materia unica. Altro atto atipico è quello del Presidente del Parlamento europeo con il
quale consta che il bilancio è definitivamente adottato;
3. Atti non contemplati da alcuna disposizione dei Trattati ma nati dalla prassi. Es.: le
numerose risoluzioni che le istituzioni europee sono solite emanare in varie materie e che
hanno un valore solo politico, così come le conclusioni spesso adottate dal Consiglio. Non è
da escludere che atti del genere possano produrre effetti giuridici.
Va specificato che la precisa definizione degli eventuali effetti giuridici degli atti atipici risultanti
dalla prassi è fatta dal giudice europeo, il quale tiene conto della volontà dell’istituzione che emana
l’atto, ma anche del potere del quale è espressione e dei principi giuridici sui quali si fonda.

Gli atti in matria di PESC


Tale tipologia di atti non può avere carattere di atti legislativi e ne va esclusa anche la sua efficacia
diretta verso i singoli. Tuttavia, non va esclusa la sua obbligatorietà nei confronti degli Stati membri
o delle istituzioni. Al vertice degli atti dell’Unione in questa materia si pongono le determinazioni
del Consiglio europeo, il quale
“individua gli interessi strategici dell’Unione, fissa gli obbiettivi e definisce gli orientamenti della
PESC”.

Inoltre, definisce le linee strategiche della politica dell’Unione dinanzi a eventuali sviluppi
internazionali.
L’oggetto di tali atti può riguardare gli atti dell’Unione con un Paese o con una regione, o un tema
particolare (terrorismo, pirateria ecc.). Gli atti del genere del Consiglio europeo possono avere
valore politico, come le conclusioni emanate a seguito delle sue riunioni, ma possono anche
produrre effetti obbligatori. Infatti, le decisioni del Consiglio europeo
“fissano la rispettiva durata e i mezzi che l’Unione e gli Stati membri devono mettere a
disposizione”.
L’obbligo di mettere a disposizione i mezzi necessari incombe, quindi, sia sulle istituzioni che sugli
Stati membri.
Il Consiglio prende decisioni per la definizione e l’attuazione della PESC
“in base agli orientamenti generali e alle linee strategiche definiti dal Consiglio europeo”.
Pertanto, tali orientamenti del Consiglio europeo vincolano giuridicamente il Consiglio.
Esistono quindi due tipi di atto in questa materia:
1. Decisioni che definiscono posizioni dell’Unione, obbligatorie per gli Stati membri;
2. Decisioni che definiscono le modalità di attuazione delle decisioni relative ad azioni o
posizioni dell’Unione e che sono gerarchicamente subordinate a queste ultime decisioni.

Accordi internazionali

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Art. 216: l’Unione può concludere accordi con uno o più paesi terzi o con organizzazioni
internazionali qualora i Trattati lo permettano. Tali accordi vincolano le istituzioni e gli Stati
membri.
Art. 3: l’Unione ha competenza esclusiva nella conclusione di accordi internazionali allorché tale
conclusione sia prevista in un atto legislativo dell’Unione o necessaria per consentirle di esercitare
le proprie competenze a livello interno.

Si trovano in una posizione intermedia fra i Trattati e gli atti di diritto derivato. Essi sono
subordinati ai Trattati non avendo la forza giuridica necessaria per modificarli. Possono, infatti,
essere stipulati solo se e quando sia stata assicurata la loro compatibilità con gli stessi Trattati. La
loro contrarietà ne determina l’illegittimità. Il diritto derivato, invece, è subordinato agli accordi, i
quali “vincolano le istituzioni dell’Unione” le quali devono astenersi dall’adottare atti che ne siano
in contrasto.
Anche gli accordi dell’Unione entrano a far parte autonomamente dell’ordinamento dell’Unione,
producendo effetti diretti per i singoli e cioè creando diritti che i singoli possono direttamente
esercitare. Tale efficacia diretta è riconoscibile solo se le norme dell’accordo abbiano un contenuto
chiaro, incondizionato e preciso, che non richieda l’emanazione di alcun atto ulteriore.
Es.: effetto diretto verticale nella sentenza Bresciani: la Corte ha riconosciuto il diritto dei singoli di
far valere in giudizio i propri diritti derivanti da una disposizione della Convenzione di Yaoundé nel
1963 tra CEE e gli Stati africani, che prescriveva il divieto di tasse di effetto equivalente ai dazi
doganali. La ditta Bresciani importava pelli bovine dalla Francia e dal Senegal. Quando la dogana in
italiana chiese una visita sanitaria, la ditta fece causa e la Corte riconobbe l’effetto diretto alle
norme contenute in questo accordo internazionale concluso dall’UE.

Sentenza Bresciani, 1976, è un esempio di effetto interno delle norme degli accordi internazionali:
la ditta importava pelli bovine dalla Francia e dal Senegal. Arrivata in Italia le viene chiesta una
visita sanitaria ma ciò andava contro alla Convenzione di Yaoundé. Fa causa alla Corte di giustizia,
la quale riconosce l’effetto diretto delle norme contenute all’interno degli accordi internazionali

Accordi conclusi tra gli Stati membri


Oltre agli accordi internazionali, occorre soffermarsi anche sugli accordi conclusi da Stati membri.
Rispetto agli accordi stipulati prima della loro partecipazione all’Unione, va osservato che, se
incompatibili coi Trattati, vengono abrogati dalle norme di quest’ultimi. Nel caso in cui venissero
conclusi successivamente, anche su di essi è destinato a prevalere il diritto dell’Unione. Quando gli
Stati membri possono concludere accordi, nulla vieta che tale accordo sia stipulato anche in seno
al Consiglio. È possibile che gli Stati membri adottino “atti degli Stati membri riuniti in sede di
Consiglio”, i quali non hanno la natura giuridica di atti dell’Unione, imputabili al Consiglio, ma
restano imputabili collettivamente agli Stati membri e rappresentano accordi fra tali Stati conclusi
in forma semplificata. La Corte ha negato la loro natura comunitaria, escludendo la propria
competenza a sindacarne la legittimità.

Accordi tra Stati membri e stati terzi


Uno Stato membro può sottrarsi agli obblighi derivanti dai Trattati relativi all’Unione europea nella
misura in cui ciò sia necessario per adempire gli obblighi prescritti da un accordo (convenzione),
concluso precedentemente all’istituzione della CEE, con uno Stato terzo. Tuttavia, lo Stato membro

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deve ricercare tutti i mezzi per eliminare l’incompatibilità con i Trattati dell’Unione, cercando di
rinegoziare con lo Stato terzo l’accordo in questione e, in caso, denunciandolo, provocando così
l’estinzione della sua efficacia.

Il diritto internazionale generale


Anche il diritto internazionale generale dev’essere ricompreso nell’ambito dell’ordinamento
dell’Unione. Esso viene in rilievo nei rapporti tra l’Unione europea e gli Stati terzi e le altre
organizzazioni internazionali. L’Unione, essendo soggetto di diritto internazionale, è tenuta a
rispettare gli obblighi e può esercitare i diritti derivanti dal diritto internazionale consuetudinario.
La Corte di giustizia non ha mancato a riferirsi alle norme di diritto internazionale:
- Sentenza Racke, 1998: viene applicata la regola secondo la quale un mutamento
fondamentale delle circostanze può determinare la sospensione o l’estinzione di un accordo
al fine di valutare la legittimità di un regolamento del Consiglio comportante la sospensione
di un Accordo di cooperazione tra Unione e Repubblica socialista federale di Iugoslavia, a
seguito della situazione di violenza creatasi in quest’ultima. La Corte ha dichiarato che le
competenze dell’Unione devono essere esercitate nel rispetto del diritto internazionale, e
per via del mutamento fondamentale avvenuto in Iugoslavia, l’Unione estingue l’accordo
con quest’ultimo paese;
- Sentenza Front Polisario, 2016: la Corte ha applicato il principio di autodeterminazione dei
popoli al popolo del Sahara occidentale, rappresentato dal Front Polisario, principio
comportante il diritto all’indipendenza e già riconosciuto dalla Corte internazionale di
giustizia. Di conseguenza la Corte di giustizia ha dichiarato che l’accordo col Marocco non si
estendeva al Sahara occidentale, controllato dal Marocco.

CAPITOLO IX: I RAPPORTI TRA L’ORDINAMENTO DELL’UNIONE EUROPEA E QUELLO ITALIANO

Il trasferimento di poteri sovrani


Il tema dei rapporti fra l’ordinamento dell’Unione europea e quello italiano ha sollevato numerosi
e delicati problemi, che hanno visto un originario e vivace contrasto tra l’atteggiamento della Corte
costituzionale italiana e quello della Corte di giustizia, sino a giungere a una sostanziale armonia
nelle conclusioni.
Il primo problema nasceva dal fatto che i Trattati istitutivi delle Comunità europee comportano un
parziale trasferimento dei poteri sovrani, in particolare di competenze legislative e giudiziarie. Essi
introducono negli ordinamenti degli Stati delle fonti di diritto estranee istituiscono un sistema
giurisdizionale capace di limitare anche i poteri del giudice nazionale. La consapevolezza della
profonda incidenza dei Trattati ha indotto numerosi Stati a dare esecuzione a tali Trattati con legge
costituzionale per rendere compatibile il trasferimento dei poteri. In Italia l’autorizzazione alla
ratifica e l’ordine di esecuzione dei Trattati sono stati dati con legge ordinaria, non costituzionale,
essendoci una forte opposizione all’integrazione europea (P.C.I.).
Si è posta ben presto dinanzi alla Corte costituzionale la questione della legittimità costituzionale di
tali leggi.
1. 1964, sentenza Costa vs Enel: la Corte ha dichiarato che le leggi di autorizzazione alla
ratifica e di esecuzione dei Trattati trovano un fondamento nell’art. 11, nel quale viene
dichiarato che “l’Italia consente (…) alle limitazioni di sovranità necessarie ad un

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ordinamento che assicuri la pace e la giustizia”. Nata ovviamente per favorire la


partecipazione dell’Italia all’ONU e per consentire al legislatore ordinario di effettuare
limitazioni di sovranità. Si poneva un ulteriore problema concernente la prevalenza del
diritto comunitario o di quello interno, nell’ipotesi di contrasto tra le norme dei due
ordinamenti. Il problema riguardava le norme europee direttamente applicabili, poiché solo
per ese può porsi la questione se il giudice nazionale debba applicare la norma europea o
quella nazionale. Per le altre disposizioni in principio il contrasto richiede un intervento del
legislatore italiano, mentre il giudice comune non può dare la preferenza alle disposizioni
europee;
2. 1964 pt. 2: essendo stati resi esecutivi i Trattati europei con legge ordinaria, le disposizioni
del diritto comunitario non avevano un’efficacia superiore a quella della legge ordinaria.
Avendo pari efficacia, le ipotesi di contrasto andavano risolte in base ai principi della
successione delle leggi nel tempo, con la conseguenza che una legge italiana successiva
conservava la sua efficacia e poteva modificare o abrogare le disposizioni comunitarie
contrastanti. La Corte di giustizia rispose affermando il primato del diritto comunitario
(direttamente applicabile) sulle norme interne contrastanti e l’invalidità di tali norme.
Secondo la Corte di giustizia a seguito dell’originario trasferimento di sovranità da parte
degli Stati membri, il diritto comunitario si integra negli ordinamenti degli Stati membri in
una posizione gerarchicamente superiore. C’era un netto dissidio tra le due Corti:
a. Costituzionale: pari efficacia delle disposizioni comunitarie e quelle interne, con
conseguente applicazione della legge interna successiva in caso di incompatibilità;
b. Di giustizia: inefficacia della legge interna posteriore e primato del diritto
comunitario, con applicazione di quest’ultimo.
La corte ha compiuto progressivamente un avvicinamento verso l’integrazione europea;
3. 1975, società industrie chimiche: la Corte costituzionale afferma la prevalenza del diritto
comunitario rispetto a quello interno. Motivazione: viola l’art. 11 della costituzione. Quindi
la norma interna non viola il diritto dell’Unione, ma indirettamente l’art. 11. In questo
modo il diritto dell’Unione viene interposto tra l’art. 11 e la legislazione ordinaria, la quale
deve obbedire al diritto comunitario per non violare l’art. 11. Di conseguenza il giudice, di
fronte a leggi incompatibili con regolamenti, è tenuto a sollevare la questione della loro
legittimità costituzionale. Spetta quindi alla stessa Corte costituzionale pronunciarsi sulla
questione, dichiarando l’incostituzionalità delle leggi;
4. 1978, Simmenthal: la Corte di giustizia non approvò la posizione della Corte costituzionale,
poiché essa implicava la necessità di una pronuncia di quest’ultima affinché fosse eliminata
la legge interna incompatibile e ciò pregiudicava l’efficacia diretta del regolamento e la sua
entrata in vigore simultanea in tutti gli Stati membri. la Corte di giustizia affermò che il
giudice nazionale ha l’obbligo di disapplicare qualsiasi disposizione contrastane della
legislazione nazionale per garantire l’efficacia delle norme comunitarie, senza dover
chiedere qualsiasi procedimento costituzionale. In questa maniera viene rimosso il potere
centrale della Corte costituzionale, ovvero il sindacato diffuso di costituzionalità che serve a
verificare se una norma è o meno contro la costituzione. Se il giudice nazionale disapplica la
norma viene meno questo potere;
5. 1984, sentenza Granital: la Corte costituzionale dichiara che l’art. 11 implica che il giudice
nazionale possa disapplicare la norma interna. Pertanto, non dovrà più sollevare una
questione di legittimità nazionale ma deve provvedere ad assicurare l’applicazione del

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diritto comunitario. In questo modo il primato del diritto non ne dichiara solo la prevalenza
ma anche la diretta disapplicazione di quello interno.

I controlimiti
Nel caso di contrasto tra le norme nazionali e il diritto dell’Unione direttamente applicabile è
compito del giudice comune disapplicare le suddette norme in base alla limitazione di sovranità
fondata sull’art. 11, giovandosi del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia.
La Corte costituzionale ha elaborato la teoria dei controlimiti: dei principi nazionali che vanno
necessariamente salvaguardati e che limitano la prevalenza del diritto dell’Unione. essi consistono
nei principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale e nei diritti inalienabili della
persona umana. Ove una disposizione o un atto dell’Unione violino un principio supremo o un
diritto umano fondamentale, il giudice comune deve sottoporre alla Corte costituzionale la
questione di legittimità costituzionale della legge italiana di esecuzione dei Trattati europei.
L’eventuale pronuncia di incostituzionalità avrebbe come oggetto la legge italiana di esecuzione
non nella sua interezza, ma solo nella misura in cui consentisse a specifiche disposizioni di spiegare
i propri effetti nell’ordinamento italiano.
Il giudice nazionale fa rinvio pregiudiziale di validità per il sospetto che la norma comunitaria violi i
diritti fondamentali. Diversi scenari:
- La Corte di giustizia dà ragione al giudice e toglie di mezzo la norma comunitaria;
- La Corte di giustizia mi dà torto:
o Le do ragione e applico la norma comunitaria;
o Faccio il rinvio alla Corte costituzionale:
 Dà ragione alla Corte di giustizia: applico norma comunitaria;
 Dà ragione a me: applica i controlimiti e caccia la norma comunitaria, ma
l’Italia diventa responsabile di aver violato il diritto comunitario.
C’è anche il caso in cui dopo il rinvio pregiudiziale la Corte di giustizia, per l’art. 264, …

Caso Taricco: nel 2015 la Corte di giustizia nella sentenza c.d. Taricco, sollecitata da un giudice
italiano che si trovava a dover giudicare su alcuni casi di frodi IVA su un commercio di bottiglie di
champagne, aveva ritenuto che la legislazione italiana in materia di prescrizione impedisse di
tutelare in maniera adeguata gli interessi finanziari dell’Unione europea, che in parte venivano lesi
nei casi di specie (l’IVA, infatti, finanzia in gran parte il bilancio italiano, ma in piccola parte anche il
bilancio dell’UE).
La Corte di giustizia aveva stabilito che siccome le regole italiane sulla prescrizione conducevano a
una impunità di fatto nei casi in questione, quelle regole andavano disapplicate al ricorrere di
determinate condizioni. Quella sentenza aveva generato però parecchi problemi: le circostanze
della disapplicazione erano infatti indicate in maniera tale da lasciare un margine di interpretazione
assai ampio per il giudice del caso concreto, che era chiamato a valutare se l’applicazione delle
norme sulla prescrizione conducesse all’impunità in “un numero considerevole di casi di frode
grave”.
Sulla base di queste preoccupazioni, nei giorni e nelle settimane e mesi immediatamente
successivi, diversi altri giudici italiani avevano sollecitato l’intervento della Corte costituzionale,
ritenendo che l’applicazione della sentenza della Corte di giustizia (ovvero… la disapplicazione della
normativa sulla prescrizione) avrebbe violato il principio di legalità in materia penale in sue varie
declinazioni, e ritenendo che quel principio fosse compreso tra quei principi supremi che denotato

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l’identità costituzionale italiana, e che quindi possono e devono prevalere rispetto a qualunque
altra norma.
Alla Corte costituzionale veniva in sostanza richiesta la “autorizzazione” a disobbedire la Corte di
giustizia.
La Corte costituzionale, con una decisione abbastanza sorprendente, ha deciso a inizio 2017 di
chiamare nuovamente in causa la Corte di giustizia, per far presente e sottolineare gli effetti che
l’applicazione della giurisprudenza Taricco comportava in Italia, facendo chiaramente intendere che
tali effetti non potevano essere tollerati dall’ordinamento costituzionale italiano. Con una sentenza
non meno sorprendente, la Corte di giustizia ha oggi sostanzialmente teso una mano alla Corte
costituzionale italiana, ampiamente sconfessando le posizioni da essa espresse poco più di un anno
prima.

Altro caso di competenza esclusiva della Corte costituzionale è quello della “ribellione del
legislatore”, nella quale la legge ordinaria è deliberatamente diretta a “impedire o pregiudicare
l’osservanza del Trattato”. In questa ipotesi la Corte deve riferire al legislatore che non può farlo
poiché ha aderito a dei trattati internazionali coperti dall’art. 11.

La Corte di giustizia afferma che il giudice comune non può avere l’obbligo di fare il rinvio alla Corte
costituzionale perché, in questo modo, verrebbe svuotato il significato del rinvio pregiudiziale. Così
da obbligatorio diventa opportuno fare tale rinvio.

L’attuazione del diritto dell’Unione europea comporta anche un delicato problema di riparto di
competenze tra Stato e regioni. Frequentemente le materie oggetto di atti dell’Unione ricadono
nella competenza legislativa delle regioni. Tale fenomeno è stato intensificato con la riforma del
titolo V della parte seconda della Costituzione, la quale ha ampliato notevolmente la sfera di
competenza delle regioni. In questi casi, la podestà legislativa statale e regionale va eseguita
rispettando gli obblighi comunitari, usando anche l’art. 11.

Downloaded by Viola Gozzani (gozzaniviola@gmail.com)

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