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LEZIONE 23/09/2021

La disputa che ha dato origine a questa sentenza (Van Gend & Loos) nasce in Olanda ed è un ricorso fatto da una
società per l’import-export che voleva importare materiale dalla Germania, e c’erano stati dei dazi richiesti
dall’amministrazione finanziaria olandese che la società si rifiuta di pagare invocando l’articolo 12 del Trattato C.E.E.;
si tratta di una questione abbastanza limitata nella sua portata, qui siamo all’inizio della giurisprudenza della Corte di
Giustizia, siamo alla definizione di questo Trattato stipulato pochi anni prima (Trattato C.E.E.), che va a stabilire il
mercato comune, e un elemento costitutivo del mercato comune è l’abolizione dei dazi tra gli Stati. Prima di questo
Trattato era normale che ci fossero dei dazi tra gli Stati; quindi, chiunque volesse commerciare doveva pagare dei
dazi per la merce; tale Trattato impone l’abolizione dei dazi ma anche il divieto di incrementare i dazi esistenti per un
periodo transitorio.

I trattati sono soggetti a continue revisioni, quindi tutti i trattati (Maastricht, Amsterdam) sono revisioni di trattati
precedenti, in particolare dei tre trattati che erano stati stipulati alla fine degli anni ‘50. Qui ci troviamo di fronte ad
una questione di diritto internazionale classico perché si tratta di un trattato tra Stati (in base alla visione di
Schumann gli Stati hanno lavorato per molti anni per stipulare anni dopo i trattati. Rimane di quella visione anche
l’idea di un Trattato, nella dichiarazione di Schumann si fa riferimento alla necessità di stipulare un trattato) perché
la Società olandese pretende di non pagare un dazio sulla base del trattato; quindi, vi è una questione relativa al
diritto o meno della società di invocare l’articolo 12 del Trattato.

Questa sentenza è così importante perché va oltre il diritto internazionale, dà vita a quell’idea contenuta nella
dichiarazione di Schumann per la quale era necessario, al fine di inseguire la pace ecc, creare una nuova
organizzazione che presiedesse ai rapporti tra gli Stati europei, da sempre di conflitto, in modo tale da rendere
impossibile ed impensabile, dice Schumann, una guerra tra gli Stati. Quindi siamo di fronte ad un obiettivo molto
chiaro (la pace, la fine dei conflitti delle guerre), una strategia per realizzare tale obiettivo e la costituzione di un
mercato comune come strumento per creare una solidarietà di fatto tra gli Stati, in modo da consentire il
superamento dei conflitti. All’origine di quella che è oggi l’UE troviamo non la stipulazione di una costituzione o la
formazione di uno Stato, ma qualcosa di diverso e più limitato, che è appunto la stipulazione di un trattato e in
particolare l’idea per la quale (e questa è l’idea proprio di Schumann) se questi Stati iniziano a relazionarsi sulla base
di scambi di merci e servizi, attraverso anche la libera circolazione dei lavoratori e dei professionisti, libertà di
mercato contenute nel trattato C.E.E. originario (prima stesura), attraverso queste relazioni gli Stati inizieranno a non
vedersi più solo come nemici, ma anche a cooperare e a comprendere l’interesse ad interagire piuttosto che ad
iniziare guerre e conflitti, e questo creerà le basi per ulteriori gradi di cooperazione. Quindi tutto quello che oggi
vediamo in Europa (progetti dell’UE per combattere il climate change ecc), vediamo una UE che intraprende attività
che non hanno più solo a che fare con le libertà di mercato, ma cos'è che fa uno Stato (moneta, competenze
straordinarie in una situazione di pandemia, sovvenzioni di enorme portata agli Stati per sostenere le finanze degli
stati per affrontare la pandemia). Tutte queste attività non hanno a che fare direttamente con le libertà di mercato,
ma sono il risultato di quelle idee di Schumann e altri di iniziare con le libertà di mercato e piano piano aggiungere
nuove competenze e ampliare la sfera di azione dell’UE. Oggi vediamo il piano Schuman che si sta realizzando.
Questa maggiore integrazione graduale tra gli Stati è stata molto complessa e complicata, ci sono stati attriti e
conflitti, non è successa in modo automatico.

Questa sentenza io la sto analizzando con grande attenzione perché qui ci sono tutti gli elementi che poi troverete
nella giurisprudenza successiva e anche delle corti costituzionali nazionali. L’Europa del diritto (o il diritto europeo)
non sono costituiti solo dalla Corte di giustizia. È stato costituito da diversi attori, già c’è una Corte Suprema olandese
che usa questo meccanismo della questione pregiudiziale, appunto interpretativa, che praticamente è un
meccanismo che consente, che dà la facoltà (a volte c’è persino l’obbligo) di porre questioni pregiudiziali alla Corte di
Giustizia senza le quali la Corte di Giustizia non si può pronunciare. Abbiamo visto anche la connessione tra gli Stati
che partecipano in questa procedura giudiziale, perché partecipano? Perché qui siamo proprio nel quadro del diritto
internazionale, siamo nel pieno, perché quando furono sottoscritti i Trattati, alla fine degli anni ’50, fu istituita la
Corte di Giustizia, la Commissione, il Consiglio ecc, ma quando si iscrisse la procedura di fronte alla Corte, l’idea era
che le questioni che la Corte poteva risolvere non fossero solo tra le parti, ma che qualunque questione tra le parti
dovesse coinvolgere anche gli altri Stati, quindi anch’essi avevano diritto a partecipare alla procedura per dire quello
che pensavano degli aspetti giuridici e della questione; la Commissione CEE partecipava, perché era proprio quell’alta
autorità, comune, che poi oggi viene chiamata Commissione europea.

Essa in realtà è dietro questa idea di nuova organizzazione che nasce giuridicamente con la Sentenza Van Gend &
Loos.
Qui abbiamo un importante passaggio della sentenza in cui c’è la Commissione della CEE che fa un’osservazione di
fronte alla Corte (c’è l’obbligo di pubblicità di tutta la procedura seguita dalla Corte); dal punto di vista della
procedura tutte le osservazioni delle parti (es. Stato olandese che ha la propria Corte Suprema che pone la questione
pregiudiziale, l’avvocato dello Stato olandese che difende lo Stato olandese come Stato di fronte alla Corte, gli
avvocati degli altri Stati. Stati fondatori UE erano 6, e 7 i giudici ) (p.s. Quando la Corte di Giustizia decide, questa è
una cosa che rimane così, non si conosce esattamente il modo in cui si forma una maggioranza all’interno della
Corte, ma ne parleremo più avanti). Quindi c’è la posizione della Commissione che viene riportata nel testo ufficiale ,
in cui essa assume che l’efficacia delle norme del Trattato negli ordinamenti interni degli Stati membri non possa
essere determinata dalla legge di ciascuno di essi vigenti, bensì ai sensi del Trattato; quindi, si tratterebbe senza
dubbio di un problema vertente sull’interpretazione del Trattato stesso.

Ciò che sta esponendo la Commissione è questo principio che poi troveremo diffuso in tutta la giurisprudenza della
Corte, in base al quale non è possibile consentire ad ogni Stato autonomamente di decidere sull’interpretazione
delle norme dei trattati, perché se così si facesse non ci sarebbe uniformità nell’applicazione del trattato. Questa è
l’origine di un principio che poi si svilupperà in tutta la giurisprudenza della CdG (corte di giustizia) successiva a
questa decisione. La corte ancora afferma che la violazione dell’articolo 12 è in contrasto con i principi della
comunità e non solo la comunità ma anche i singoli vanno tutelati; occorre tutelare i singoli. Questo concetto è
ripetuto dall’analisi della struttura giuridica del trattato e dell’ordinamento giuridico che esso ha instaurato. La
Commissione utilizza il termine “ordinamento giuridico instaurato”; quindi, già implica che siamo in una situazione in
cui non c’è semplicemente diritto internazionale bensì un nuovo ordinamento instaurato. Cosa
significa? “Gli Stati membri non hanno inteso soltanto assumere impegni reciproci, ma istituire un diritto
comunitario e in secondo luogo non hanno voluto sottrarre i giudici nazionali dal controllo sull’applicazione di tale
diritto”. Questo è molto importante perché sostanzialmente la Commissione sta dicendo che c'è un ordinamento
giuridico instaurato; quindi, siamo di fronte a qualcosa di nuovo, e perché qualcosa di nuovo? Perché gli Stati
membri non hanno solamente assunto obblighi reciproci, ma hanno inteso istituire un diritto comunitario. Qui nasce
il c.d. diritto europeo, che a quei tempi si chiamava diritto comunitario perché poi l’UE da Comunità Europea è stata
denominata Unione Europea. Hanno inteso istituire un diritto comunitario, quindi non c’è più il diritto internazionale
che unicamente rileva, ma ciò che rileva è il diritto comunitario che va applicato in modo effettivo ed uniforme
(principio dell’uniforme applicazione del diritto dell’UE). Non è che i giudici hanno creato questa nuova
organizzazione, in realtà la Commissione CEE aveva elaborato questo linguaggio relativo ad un diritto comunitario; in
cosa consiste? Secondo gli argomenti della Commissione l’efficacia del diritto comunitario nell’ordinamento interno
di ciascuno Stato Membro non può essere determinata dall’ordinamento stesso, interno, bensì unicamente dal
diritto comunitario (principio di efficacia del diritto comunitario, in base al quale l’efficacia del diritto comunitario
nell’ordinamento interno è determinata non dal diritto interno ma unicamente dal diritto comunitario e i giudici
nazionali devono applicare unicamente le norme di tale diritto). “In caso di contrasto il giudice nazionale deve
applicare il diritto comunitario a preferenza delle leggi nazionali, anche di emanazione posteriore”.
La Commissione dice tutto ciò perché vuole osservare come la circostanza che una norma comunitaria sia
formalmente diretta agli Stati non costituisca motivo sufficiente per negare ai singoli che vi abbiano interesse la
facoltà di chiedere l’intervento del giudice nazionale per ottenerne l’osservanza. Questi passaggi sono un modo per
superare l'idea tipica del diritto internazionale classico per la quale i Trattati vincola unicamente gli Stati. Per cui i
singoli non hanno diritti soggettivi che possono far valere; la posizione del singolo è integralmente correlata al
comportamento degli Stati (diritto internazionale classico) e qui la Commissione va contro questa concezione,
dicendo che c’è un diritto comunitario che va applicato in modo uniforme, i singoli vanno protetti e gli Stati non si
sono solo impegnati reciprocamente, ma si è formato un nuovo ordinamento per il quale i singoli hanno diritti
soggettivi che possono vantare e che le Corti devono difendere.

La Commissione continua dicendo che l’articolo 12 è una norma esplicita, che impone agli Stati membri un obbligo
concreto di non aumentare i dazi, è una norma completa e autonoma, non ha bisogno di un ulteriore provvedimento
di diritto comunitario per divenire applicabile. In sostanza la Commissione sta dicendo che siamo di fronte ad una
norma, parte di diritto comunitario, che può essere invocata dagli individui di fronte alle corti, le corti devono
proteggere gli individui e gli stati devono rispettare tale norma. L’attuazione del trattato non è più rimessa alla
discrezionalità degli Stati ma c’è una vincolatività correlata alla soggettività dell’individuo che vede riconosciuti i
propri diritti da vantare di fronte agli Stati Membri.

La Corte ad un certo punto nella procedura indica la propria decisione, cioè quella su cui noi dobbiamo riflettere. La
posizione olandese è importante perché il governo olandese ovviamente è in disaccordo con la commissione, perché
dice che la questione, se una determinata disposizione del Trattato abbia effetto interno, può essere risolta in senso
affermativo solo qualora entrambi gli elementi essenziali, ossia l’intenzione delle parti contraenti e il contenuto della
disposizione stessa, lo consentano (diritto internazionale classico). Il governo olandese è interessato
istituzionalmente ad applicare i dazi, e dice che quando è stato stipulato tale Trattato C.E.E. ha inteso
semplicemente, unicamente, sottoscrivere un’obbligazione reciproca tra gli Stati, e ciò che conta e’ l’intenzione delle
parti nello scrivere tale norma (articolo 18). Il governo olandese afferma che l’intenzione degli Stati nello stipulare
l’articolo 12 era semplicemente nel senso di farlo a condizione che ciascuno Stato volesse adempiere a tale obbligo,
quindi vi era un’intenzione molto limitata, per cui l’articolo 12 non avrebbe efficacia immediata, nel senso di
attribuire ai cittadini degli Stati Membri un diritto soggettivo.

Si tratta di un’obiezione molto forte che dal punto di vista del diritto internazionale è molto solida, nessuno avrebbe
potuto dire che il governo olandese stesse proponendo un’interpretazione fuori dalla realtà, perché corrisponde al
diritto internazionale classico, per il quale gli Stati concludono trattati perché sanno che nello scrivere determinate
norme e nel vincolarsi ad adempiere determinati obblighi mai potrebbero essere forzati ad adempiere in un senso
che vada oltre l’intenzione delle parti. “Il governo olandese assume che il Trattato C.E.E. non differisce da un trattato
internazionale classico per quanto riguarda i requisiti per la sua efficacia immediata; sarebbero decisive le intenzioni
delle parti all’interno del Trattato”. La posizione del governo olandese ruota all’interno del diritto internazionale
classico infatti tale governo sottolinea come le conseguenze che ci sarebbero ove fosse accolta l’interpretazione per
la quale l’articolo 12 vincola gli Stati comunque, al di là delle intenzioni che gli Stati avevano e di quanto è scritto,
significherebbe sconvolgere l’equilibrio voluto dagli autori del Trattato, quindi siamo di fronte ad un trattato
internazionale che è come un contratto tra le parti contraenti, cioè vincola le parti secondo quello che esse hanno
inteso. Nelle relazioni esterne tra Stati sono gli Stati e ciascuno Stato che decide quali norme contrattare con l’altro
Stato e in che misura adeguarsi a tale norma (equilibrio = concetto chiave nelle relazioni diplomatiche di diritto
internazionale tra Stati, che stipulano un Trattato perché ad un certo punto raggiungono l’equilibrio di forze e
posizioni): ciò che sta dicendo il governo olandese è “se voi obbligate noi Stati a fare ciò che noi non avevamo inteso
fare, voi stravolgete l’equilibrio, che è il cuore del trattato, equilibrio di cui decidono solo gli Stati”. La Corte
costituzionale tedesca si rifà a tale affermazione quando prende posizione rispetto ai principi relativi alle norme di
diritto europeo / comunitario. Un argomento fondamentale che la Corte Costituzionale tedesca utilizza è proprio
quello che l’UE è basata su un trattato internazionale; quindi, sono gli Stati a decidere di stipulare i trattati, quali
norme scrivere, quale sia il significato ecc.
Il governo belga afferma che l’articolo 12 non va annoverato tra le norme aventi efficacia interna immediata; quindi,
conferma la posizione del governo olandese. “Esso non conterrebbe disposizioni immediatamente applicabili di cui i
singoli possano esigere l’osservanza, bensì presupporrebbe ulteriori interventi dei vari Governi intesi a realizzare le
finalità stabilite dal Trattato”. Troviamo di nuovo la posizione classica del diritto internazionale, perché mai gli Stati
hanno inteso conferire diritti soggettivi ai singoli, bensì stipulare una norma che contenga un obbligo che consiste
nella possibilità per gli Stati di adoperare ulteriori interventi attraverso i quali poi quella norma viene veramente
attuata. In sostanza gli stati possono fare quello che credono, anche incrementare i dazi, perché questa era
l’intenzione delle parti, e addirittura “non sarebbe possibile richiedere l’intervento dei giudici nazionali per ottenere
l’adempimento di tale obbligo”. Qui siamo proprio di fronte ad una netta posizione per la quale l’articolo 12 non ha
alcuna efficacia interna nell’ordinamento costituzionale nazionale e il governo tedesco ritiene che tale articolo non
sia direttamente applicabile, ribadendo la stessa posizione del governo belga e olandese. Qui si tratta di un obbligo la
cui esecuzione è rimessa alla potestà normativa degli organi nazionali. Il governo tedesco ribadisce che i dazi
doganali da applicarsi ai cittadini di uno stato membro non sarebbero stabiliti dal trattato CEE ma da provvedimenti
adottati dagli Stati Membri. È una questione rimessa alla potestà normativa nazionale. L’obbligo imposto dall’articolo
12 sussiste solo nei confronti degli altri stati membri: si ribadisce la posizione degli altri Stati.
La Corte ha due questioni da risolvere: la competenza della corte, direttamente connessa al fatto che si deve capire
se la Corte di Giustizia possa o meno pronunciarsi su una questione di questo tipo. Tutti gli argomenti degli Stati
rendono quasi impossibile alla corte di pronunciarsi, perché vi è una posizione degli stati che sancisce come siano gli
stati a decidere sull’interpretazione delle norme di un trattato, non la corte. Il governo olandese e il governo belga
contestano che la corte sia competente, sostengono che la domanda non verte sull’interpretazione del trattato su
cui la Corte ha giurisdizione, bensì sulla sua applicazione nell’ambito del diritto costituzionale olandese: questi stati
dicono che è una questione di diritto internazionale, da decidere sulla base del diritto costituzionale nazionale. Il
fatto che una costituzione dica che l’ordinamento costituzionale nazionale si adegua agli obblighi internazionali non
significa che ci sia un obbligo di adeguarsi a qualunque norma di trattato internazionale o consuetudinario, perché
dipende da cosa si intende per diritto internazionale; la concezione di cui stiamo parlando del diritto internazionale
suggerisce che gli obblighi derivanti da norme di trattato internazionale hanno un contenuto che le parti
intendevano dargli. Questi due governi dicono che qui siamo di fronte ad una questione che la Corte di Giustizia non
è competente a giudicare perché la competenza appartiene esclusivamente ai giudici nazionali, che la eserciteranno
sulla base del diritto costituzionale nazionale. Siamo di fronte ad un’obiezione relativa al difetto di competenza. La
corte rigetta questa obiezione e ritiene di essere competente, perché nella specie non si chiede alla corte di
applicare il trattato in base al diritto olandese, ma di pronunciarsi sull’interpretazione dell’articolo 12. La corte dice
che stiamo trattando una questione relativa all’interpretazione di una norma sulla cui abbiamo piena giurisdizione e
di cui essa è pienamente competente. La corte respinge l’eccezione di incompetenza sostenendo che manca di
giuridico fondamento; rigetta le argomentazioni di diritto internazionale poste dagli stati, ecco perché questa è una
decisione storica. Quello che la corte afferma non è vero, perché le posizioni degli stati hanno fondamento giuridico
del diritto internazionale, ma la corte qui sta utilizzando un diverso tipo di argomenti, che poi sviluppa nel merito,
cioè nella sua decisione.

Passiamo al merito→ Gli stati hanno unanimemente preso una posizione secondo la quale chiunque avrebbe chiuso
la questione dicendo che si trattava di una questione di diritto internazionale, rigettando l’interpretazione suggerita
dalla corte suprema olandese per la quale si potrebbe invocare direttamente l’articolo 12. La Corte
avrebbe potuto chiudere l’intera questione. La novità radicale è che la corte ha deciso di adottare un’interpretazione
difforme, indicata nel merito: «la prima questione consiste nello stabilire se l’articolo 12 del Trattato abbia efficacia
immediata negli ordinamenti interni degli Stati Membri, attribuendo ai singoli dei diritti soggettivi che il giudice ha il
dovere di tutelare». Il punto decisivo di tale sentenza è la ‘dottrina degli effetti diretti’, principio cardine del diritto
UE; quando dobbiamo spiegarlo, la spiegazione la troviamo in questa ricostruzione; quindi, arriveremo ad una
definizione di ‘effetti diretti’ dietro la quale vi sono tutti i passaggi di cui stiamo parlando, che fanno capire cosa si
intende per effetti diretti, ossia il primo principio costituzionale su cui si basa tutto il diritto UE. Quindi qui la
questione è: l’articolo 12 ha efficacia o meno negli ordinamenti interni degli Stati Membri? Attribuisce o no ai singoli
diritti soggettivi che il giudice deve tutelare? Questa è la questione degli effetti diretti. Non è una questione astratta.
Si tratta di una questione molto specifica relativa alla titolarità o meno degli individui del diritto soggettivo di
invocare una norma di trattato. La corte riformula la questione in questi termini. La argomenta così: «per accertare
se le disposizioni di un trattato internazionale abbiano tale valore, si deve avere riguardo allo spirito, alla struttura e
al tenore di esso». La corte inizia ad usare argomenti che sono diversi da quelli classici del diritto internazionale e che
avrebbero portato la corte ad escludere la competenza e rigettare la questione nel merito; essa subito parla dello
scopo del trattato, dell'instaurazione di un mercato comune il cui funzionamento incide direttamente sui soggetti
della Comunità, implica che esso va al di là di un accordo che si limiti a creare obblighi reciproci fra gli Stati
contraenti. Quindi la corte dice che gli stati hanno concluso un trattato diverso dagli altri, perché lo scopo di questo è
instaurare un mercato comune il cui funzionamento incida sui soggetti della comunità→ non sono menzionati solo i
governi e gli Stati, bensì anche i popoli, attraverso l’instaurazione di organi investiti istituzionalmente di poteri
sovrani da esercitarsi nei confronti sia degli Stati Membri sia dei loro cittadini. Qui la corte sta parlando della
costituzione di un nuovo ordinamento incentrato su poteri sovrani trasferiti dagli stati alle comunità europee. I
cittadini degli Stati Membri collaborano alle attività della comunità. La corte dice che non siamo più di fronte ad un
trattato classico di diritto internazionale, ma di fronte ad una nuova organizzazione basata sul trasferimento di
sovranità; quindi, gli stati hanno riconosciuto al diritto comunitario, e non più internazionale, un’autorità sovrana
che può essere fatta valere dai cittadini di fronte ai giudici.
La comunità costituisce un ordinamento giuridico di nuovo genere nel campo del diritto internazionale. La corte
parla di un ordinamento giuridico di nuovo genere, in cui gli Stati Membri hanno rinunciato in settori limitati ai loro
poteri sovrani e sono riconosciuti come soggetti non solo gli stati ma anche i cittadini. Si ha il passaggio storico su cui
si fonda tutto il diritto UE. La corte parla di un ordinamento giuridico di nuovo genere e gli stati hanno concluso un
trattato che non è più classico ma che vede gli individui come soggetti di diritto, e i giudici obbligati a rispettare tali
diritti.
La Corte dice che la norma prevede l‘obbligo di non incrementare i dazi, e tale obbligo importa un diritto soggettivo
degli individui a non pagare dazi incrementati. I diritti che gli individui vantano sono diritti che possono essere
desunti dalla norma nel modo in cui la Corte lo ritiene corretto. L’articolo 9 del trattato CEE sancisce il principio
fondamentale del divieto di dazi e tasse. Una volta a regime il mercato comune significa che non ci sono più dazi da
pagare. Qualunque merce non è più soggetta a dazi. Questo costituisce uno dei fondamenti della comunità. L’articolo
12 pone divieto un chiaro e incondizionato che si concreta in un obbligo di non fare (la definizione di principio di
effetti diretti dice “una norma CHIARA E INCONDIZIONATA”, cioè chiara nel prevedere un diritto per i singoli e
incondizionata perché non ha bisogno di alcun provvedimento da parte degli stati perché il diritto possa
concretizzarsi). Tale norma è la definizione classica del principio degli effetti diretti. C’è l’idea di nuovo ordine
costituzionale, stabilito dalla corte e confermato e ampliato con altre sue sentenze. L’obbligo è quello di non fare,
non incrementare i dazi tra stati, quindi qui la corte stabilisce una definizione di norma avente efficacia diretta.
Questo nuovo ordine nel campo internazionale di cui parla la Corte di giustizia è stato poi definito dalla dottrina
come un ordine costituzionale, e in sostanza si è detto che la Corte sta dicendo che siamo di fronte ad un nuovo
ordinamento costituzionale; di qui la differenza rispetto all’ordinamento internazionalista di cui si parla nel diritto
internazionale, che è un ordinamento da comprendere sulla base di quello che abbiamo detto riguardo ai Trattati.

Perché questo nuovo ordinamento (new legal order) è costituzionale? Perché gli individui sono soggetti di diritto,
mentre nell’ordinamento internazionale gli Stati sono soggetti di diritto; vedendo l’ordinamento costituzionale
italiano c’è la Costituzione, le leggi dello Stato ecc. che presiedono all’emanazione delle leggi ecc.
In quanto cittadini dello Stato, le norme scritte nella Costituzione hanno rilevanza rispetto a pretese ed azioni legali.
C’è tutta una serie di procedure ma nessuno dubita del fatto che la Costituzione sia una fonte suprema del diritto per
cui i cittadini dello stato hanno diritto ad invocare le norme di essa. Poi ci sono tutta una serie di procedure e principi
che si applicano alle modalità con cui si possono invocare, ma nessuno dubita del fatto che le norme specifiche della
Costituzione e i principi fondamentali prevedono degli obblighi e dei diritti azionabili direttamente in capo ai
cittadini, a differenza dell’ordinamento internazionale, che concepisce unicamente gli Stati come soggetti di diritto.
Nel momento in cui la Corte sostiene che gli individui possano invocare norme contenute nei trattati di fronte alle
corti nazionali, effettivamente la corte sta introducendo questa idea di un nuovo ordinamento nel campo del diritto
internazionale che è diverso dal diritto internazionale, in quanto la soggettività degli individui rende questo
ordinamento costituzionale. Ma perché costituzionale? Nella sentenza Van Gend & Loos la Corte dice esplicitamente
che il nuovo ordinamento riconosce anche i cittadini come soggetti di diritto internazionale, quindi c’è questa
soggettività allargata (PASSAGGIO MOLTO IMPORTANTE); si tratta di una concezione particolare all’interno delle
concezioni costituzionaliste perché è una concezione di tipo federalista, perché l’idea dietro a questa nozione di
nuovo ordinamento giuridico dove c’è uno Stato federale, quindi potere centrale normativo, poi ci sono i land
(autonomie statali / regionali) e c’è una distribuzione di competenze tra stato centrale e autonomie; la corte ha in
mente proprio questa struttura in cui all’UE sono attribuiti alcuni poteri sovrani limitati, che l’UE può esercitare, e
rispetto a questi poteri l’UE agisce come potere costituzionale centrale, rispetto al quale gli Stati nazionali poi
mantengono la propria autonomia che riguarda tutti i poteri sovrani non trasferiti. Quindi qui Van Gend è
considerata una sentenza ispirata dalla concezione federalista rispetto a quella internazionalista, perché l’idea che
c’è dietro Van Gend è quella di un’attribuzione di poteri sovrani limitati all’UE (ad esempio il mercato comune, ossia
una serie di poteri relativi alla determinazione delle libertà di movimento che sono attribuiti all’UE e rispetto alle
quali poi c’è una certa posizione rispetto alla sovranità nazionale). La Van Gend & Loos introduce l’idea per la
quale il Trattato instaura un ordinamento costituzionale di tipo federativo, e infatti gli individui sono titolari di diritti
soggettivi che derivano dalle norme del trattato e che invocano contro gli Stati Membri. Questo è giustificato dal
fatto che questi diritti rientrano nell’ambito di quei poteri sovrani trasferiti dagli stati nazionali all’UE; per questo
motivo gli individui possono invocare questi diritti dinanzi alle corti nazionali, ed esse devono implementare, tutelare
e proteggere i diritti soggettivi degli individui. È un sistema simile a quello dello stato federale. I cittadini tedeschi
possono invocare una norma contenuta nella carta di fronte alle corti nazionali, le quali hanno l’obbligo di tutelare i
diritti degli individui e così analogicamente i cittadini degli Stati Membri hanno il diritto di invocare diritti previsti da
norme chiare e incondizionate di fronte alle corti e i giudici nazionali hanno l’obbligo di tutelare queste posizioni
giuridiche soggettive. Questo è il progetto costituzionale che c’è dietro a questa sentenza, che taglia nettamente i
ponti con l’idea internazionalista e quindi non solo la corte ritiene di essere competente, ma nel merito ritiene che
appunto lo stato olandese sia obbligato a non incrementare i dazi, e quindi nella causa che viene decisa la corte
decide la questione pregiudiziale relativamente alla controversia, relativamente alle decisioni della corte di giustizia,
proteggendo gli individui che hanno riconosciuto il loro diritto di non pagare i dazi allo stato olandese.

La corte introduce in modo molto creativo questo sistema, vedendo un movimento di pensiero che fa capo a questa
sentenza, importante perché i giudici stanno introducendo un nuovo ordinamento e un nuovo diritto collegato al
nuovo ordinamento. Attenzione perché qui la Corte limita questa idea di nuovo ordinamento ai poteri sovrani
trasferiti, in particolare al mercato comune e quindi alle libertà economiche. C’è un preciso ambito all’interno del
quale la corte ritiene che questa teoria di nuovo ordinamento debba operare. La corte non sta istituendo un nuovo
ordinamento costituzionale di tipo federalista che comprenda qualunque tipo di sovranità e poteri sovrani
esercitabili da un soggetto sovrano quale lo stato federale, ma il ragionamento della corte è limitato ai soli poteri
sovrani trasferiti, e questo è un aspetto fondamentale che ritornerà nella giurisprudenza delle corti costituzionali
nazionali. Vedremo come all’espansione di questi poteri corrisponde una giurisprudenza in cui le corti costituzionali
nazionali hanno preso posizione rispetto a questa giurisprudenza della Corte; qui si tratta di delineare un
ordinamento federalista costituzionale che non era intenzioni degli stati sovrani istituire. Dalla posizione degli stati
rispetto di fronte alla corte si legge questa idea forte da parte degli stati di non aver avuto alcuna intenzione di
fondare un ordinamento che riconosce come soggetti non solo gli Stati Membri ma anche i loro cittadini. Vi è
l’introduzione di un nuovo ordinamento di diritto di nuovo genere in cui la Corte si pone non come corte
internazionalista ma come corte costituzionale, che decide riguardo a questioni relative all’ordinamento
costituzionale posto da sé stessa in questa sentenza. C’è proprio una trasformazione radicale di tipo di ordinamento
ma anche di natura e funzioni da parte della corte stessa. La Corte è una corte istituita da un trattato internazionale
e come tale è percepita dagli stati come corte che opera solo nei limiti del diritto internazionale, mentre qui la corte
agisce come corte che interpreta le norme di un ordinamento costituzionale federalista, quindi diventa una sorte di
corte costituzionale. C’è un’anomalia in tutto ciò perché siamo di fronte ad un ordinamento costituzionale di tipo
federalista che non è stato costituito sulla base della costituzione: manca la costituzione e ciò è proprio tutto. Siamo
di fronte ad un paradosso, ossia che la Corte di giustizia introduce l’idea di un nuovo ordinamento costituzionale
senza che ci sia una costituzione, e quindi un processo costituente, e quindi un popolo che è dietro la lettura della
costituzione e la creazione dell’ordinamento costituzionale federalista. Qui c’è un problema di fondo che poi
vedremo come si sviluppa.

Attraverso la Van Gend la corte trasforma il trattato in una sorta di atto/trattato costituzionale: non vi è una
costituzione scritta e deliberata nei modi normali, ma una costituzione che si basa sul trattato interpretato in senso
costituzionale dalla corte. Su questi aspetti si tornerà quando parleremo delle sentenze delle corti costituzionali
nazionali, che a differenza della Corte di giustizia sono corti istituite da costituzioni. Nasce il problema di capire in che
misura questa trasformazione di un trattato in costituzione abbia senso dal punto di vista dell’ordinamento
costituzionale nazionale.
Una conseguenza fondamentale è che gli stati sono assoggettati al trattato, interpretato dalla Corte di giustizia.
Quello che la Corte intendeva era delimitare un ambito all’interno del quale le norme del trattato sono invocabili
dagli individui contro gli stati, quindi essi sono obbligati a fare tutto quello che è scritto nei trattati attraverso questo
meccanismo di invocabilità da parte del singolo delle norme.
La giurisprudenza successiva della Corte è una giurisprudenza (che già nella sentenza successiva, la quale introduce
un secondo principio discrezionale fondante del nuovo ordinamento) che poi delineerà la posizione gerarchica di
queste norme di trattato rispetto alle norme nazionali.
Il primo passo significa che siamo di fronte ad ordinamento costituzionale di tipo quasi federalista, in cui mancano le
connotazioni tipiche della fondazione dello stato costituzionale di tipo federalista, rispetto al quale ad esempio gli
individui interessati a trasferirsi da un paese all’altro hanno questa forza di poter invocare norme dei trattati di
fronte alle corti, le quali devono proteggere i lavoratori che si trasferiscono, e quindi la conseguenza è che questo
mercato comune che si basa sulla libera circolazione delle merci, persone, beni e servizi ha una forza giuridica
straordinaria perché è un mercato comune concepito all’interno di un ordinamento costituzionale. Gli stati sono
soggetti ai trattati e questo è il passaggio che crea qualcosa di nuovo a livello globale. Qui la Corte ha, con questa
idea di trattato costituzionale, innovato rispetto al pensiero giuridico del diritto internazionale / costituzionale
nazionale. Questa innovazione inizia negli anni ’60 e continua ancora oggi.

DOMANDA: Ma la riluttanza degli stati avrebbe dovuto significare avere il potere di non consentire alla corte di
proseguire su questa strada? ci sono molte risposte e molte teorie relative a come sia stato possibile alla corte
ridisegnare il diritto in modo da costringere gli stati ad assoggettarsi a qualcosa cui non volevano assoggettarsi. Non
c’è unanimità di vedute. Storicamente è successo che gli stati avrebbero potuto uscire dal sistema della corte, ma
questo non è successo perché gli stati nonostante avessero concluso trattati senza avere l’intenzione di obbligarsi,
hanno deciso di rimanere all’interno dell’UE, anzi ci sono stati altri 22 stati che hanno aderito a questo nuovo
ordinamento particolare che non vede la scrittura di una costituzione al fondamento della creazione di questo
ordinamento costituzionale. Quando parleremo di istituzioni politiche si ritornerà su questa questione e verrà
presentata una delle teorie che spiega perché gli stati abbiano deciso di rimanere nell’UE nonostante questa
giurisprudenza della corte, la quale si è evoluta confermando e ampliando questo argomento di nuovo ordinamento.
Va comunque considerato che siamo nel dopoguerra, in una situazione in cui c’era una forte idea di voler far sì che
non ci fossero più le condizioni di conflitto con conseguente interesse degli stati a creare qualcosa che andasse oltre
il diritto che è sempre esistito. Questa è una possibile spiegazione, sta di fatto che gli stati sulla base della sentenza
Van Gend & Loos e delle sentenze successive si vedono assoggettati a norme e principi sviluppati dalla corte rispetto
ai quali originariamente non avevano alcuna intenzione di assoggettarsi; vi è un cambiamento che spiazza tutti. Qui il
diritto è il cuore dell’interpretazione europea perché attraverso la creazione del nuovo ordinamento giuridico, la
corte ha creato le condizioni per una traiettoria non concepibile né concepita dagli stati.

DOMANDA: In merito al mercato libero, essendo l’idea principale dell’UE quella di creare un mercato libero e quindi
uno spostamento libero di beni, servizi e persone, e di stabilire una moneta unica, e ciò ha presentato un mezzo per
creare questo mercato libero: il fatto che non tutti gli Stati membri abbiano aderito a tale moneta, ciò non ha
rappresentato un limite al mercato libero? e poi perché l’UE ha accettato questa condizione? Al momento noi stiamo
parlando solo di mercato, la moneta è stata introdotta qualche decennio più tardi quindi siamo in periodi storici
completamente diversi. In realtà l’adesione all’euro è stata un atto di trasferimento di sovranità deciso da alcuni
stati, non da tutti, e si tratta dello stesso principio di cui stiamo parlando adesso. Se gli stati hanno deciso di non
aderire all’euro è un ulteriore ampliamento dei poteri dell’UE che solo alcuni stati hanno accolto, quindi questo
rientra in un discorso di competenze di cui parleremo più tardi, ora atteniamoci a parlare degli anni ‘60.

DOMANDA: Gli stati sovrani sono più forti del nuovo ordinamento comunitario? La Corte sta facendo un azzardo
sperano che gli stati si adeguino alla nuova interpretazione? La storia è nel senso che negli ultimi decenni la
giurisprudenza della corte è stata ampiamente applicata. Se la forza è nel senso di chi prevale nell’interpretazione
del diritto, la corte si è dimostrata molto forte rispetto agli stati. Sottolineo il fatto della forza della corte di giustizia.

Nel processo di integrazione europea l’idea di una costituzione è nata dopo, non prima, cioè una volta che la
giurisprudenza della corte ha sviluppato i proprio argomenti, poi si è posta la questione di scrivere una costituzione,
per varie ragioni. Tale tentativo è fallito perché c’è un qualcosa di strutturale che manca nell’UE, che è un popolo
europeo che possa corrispondere alle caratteristiche di un popolo italiano/tedesco/spagnolo; quindi, manca una
caratteristica fondamentale che possa consentire la scrittura di una costituzione, ossia creare un ordinamento che
non agisce in modo limitato rispetto a competenze specifiche sovrane, ma che ampli tali competenze e che indichi
tali valori che fondano l’intero ordinamento. È una questione di conflittualità che è rimasta a livello di giurisprudenza
della corte. Più questa giurisprudenza della corte è stata attuata, più gli stati che non hanno immediatamente reagito
poi a un certo punto hanno iniziato a reagire, facendo notare la presenza di limiti. Poi li vedremo. Quindi in questo
senso si è parlato di costituzione. In senso astratto non è che la costituzione sia una necessità o una opportunità
politica necessariamente condivisa da tutti gli attori politico-sociali-giuridici: dipende da tantissimi fattori, c’è anche
chi si oppone all’esistenza di una costituzione europea perché ritiene che la costituzione non possa che essere
associata allo stato, quindi che non sia possibile una costituzione oltre lo stato.

DOMANDA: Ma non avrebbero gli stati potuto accorgersi del fatto che le norme scritte nei trattati sarebbero state
interpretate in senso diverso? Bisogna riflettere sul fatto che siamo di fronte a due interpretazioni opposte: da un
lato quella degli stati e dall’altro quella della corte. Nessuno poteva prevedere che la corte avrebbe deciso così. La
risposta quindi è nel senso che gli stati non avrebbero potuto prevedere questo tipo di comportamento della corte,
la quale ha sviluppato una serie di argomenti imprevedibili, ecco perché si parla di creatività della corte. La capacità
di prevedere è molto limitata, perché è il criterio interpretativo che prevale su quanto scritto. E’ la corte che ha
introdotto questa nuova interpretazione spiazzando gli stati. La letteratura relativa al nuovo ordinamento si è
sviluppata dopo la sentenza della corte. C’erano internazionalisti che scrivevano della necessità di creare un
ordinamento internazionale tale da tutelare gli individui. La corte ha deciso in modo innovativo e ha cambiato il
destino dell’interpretazione di questi trattati perché al tempo della sottoscrizione dei trattati gli stati c’erano un
sacco di regimi di libero mercato ma assoggettati a disciplina internazionalista, quindi non era prevedibile che la
corte arrivasse a concettualizzare un tipo ordinamento non internazionalista con tutti questi dettagli relativi alla
posizione degli individui come soggetti di diritto, anche perché questo è in contraddizione con la letteratura classica
del diritto costituzionale. La corte può avere a mente solo gli individui che hanno pretese economiche di mercato,
non vi è una cittadinanza organica e infatti tutte queste questioni saranno affrontate dalle corti costituzionali
nazionali ma non c’era questa prevedibilità. Anche se ci fosse stata gli stati avrebbero comunque ritenuto di essere
nel pieno controllo della procedura. Nelle sentenze successive gli stati cedono e scompaiono, accettando questi
argomenti del nuovo ordinamento costituzionale, soprattutto ad opera delle corti nazionali.

La concezione internazionalista rimane come una concezione che vuole spiegare ciò che sta succedendo.
Se gli individui hanno il diritto di invocare diritti contenuti in norme contenute nei trattati si pongono problemi; ma
se un individuo invoca una norma di trattato, se c’è una norma nazionale che indipendentemente dai trattati dice
l’esatto contrario, quale norma prevale? La corte nello stabilire il principio degli effetti diretti di una direttiva apre
una serie di problemi, quindi corte è intervenuta per capire che succede se una norma di trattato viene contraddetta
da una legislazione nazionale che stabilisce l’esatto contrario: quale norma prevale? Si applica il diritto costituzionale
nazionale, che stabilisce determinate norme o si applica la norma europea, nel senso di avere una posizione
gerarchica superiore rispetto alle norme nazionali? E’ necessario risolvere questo problema di conflitti tra norme. La
corte lo ha risolto. Una volta che la corte stabilisce l’esistenza di un ordinamento di tipo costituzionale in cui i
soggetti sono titolari di diritti, qui si apre il problema di capire il rapporto tra le norme dei trattati e le norme
nazionali, quali norme prevalgono. Può il giudice considerare prevalente la norma europea rispetto alla norma
nazionale che contraddice quella europea? E’ un’altra questione affrontata dalla corte in altre sentenze, che ha
costruito un c.d. sistema di principi costituzionali sulla base del quale la relazione tra norme dei trattati e le norme
nazionali viene delineata in un certo senso.

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