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COOPERAZIONE GIUDIZIARIA IN MATERIA CIVILE

Da cosa nasce l’esigenza di inserire questa cooperazione? Nasce dalla necessità di andare a regolare quello
che poi è il diritto processuale civile internazionale che si occupa di una serie di aspetti connessi alla
posizione dello straniero, o comunque, va a regolare una serie di aspetti quando il rapporto processuale
presenta elementi di estraneità rispetto all’unico ordinamento nazionale. Rientra sostanzialmente in questo
concetto di diritto processuale civile internazionale la regolamentazione di tutti quegli aspetti connessi alla
individuazione della legge che deve andare a regolare il rapporto giuridico, quindi la legge attraverso cui
disciplinare mobilitazione contrattuale e non; allo stesso tempo, rientrano in questo stesso ambito tutte
quelle disposizioni relative all’individuazione della giurisdizione competente e conoscere determinate
situazioni, e quindi il giudice sta nella posizione di valutare determinati aspetti. E anche l’individuazione dei
limiti alla giurisdizione del giudice individuale. E rientra in questo ambito la regolamentazione delle
modalità attraverso cui dare riconoscimento ai provvedimenti giurisdizionali emessi in un altro stato e
quindi riconoscere ed applicare nel proprio ordinamento nazionale, le sentenze e le decisioni emesse da
altri organi giurisdizionali.

Come l’UE è andata ad intervenire in questi diversi settori. In effetti la cooperazione giudiziaria civile nel
contesto dell’Unione ha visto diverse fasi evolutive: la prima fase è caratterizzata da un approccio di tipo
intergovernativo, cioè la cooperazione era realizzata attraverso l’intervento degli stati membri in quanto tali
e non tanto in quanto parti di una comunità, prevaleva l’aspetto intergovernativo rispetto a quello
comunitativo. Pian piano c’è stata un’evoluzione, si è passata da una sorta di istituzionalizzazione della
cooperazione in materia civile, diventa un obiettivo della comunità, e questo obiettivo si rafforza e si assiste
ad un trasferimento progressivo di ulteriori competenze, anche in materia della comunità, fino ad arrivare
all’attuale disciplina determinata dal trattato di Lisbona.

Come si è sviluppata la cooperazione giudiziaria nell’ambito dell’unione. Partiamo dall’analisi della prima
fase: come anticipato, l’impostazione era soprattutto una cooperazione volta a livello intergovernativo, cioè
tutte le attività e l’adozione di strumenti attraverso cui realizzare la cooperazione si sono sviluppati al di
fuori del sistema dell’unione, utilizzando degli strumenti tipici del diritto internazionale, non atti di diritto
comunitario. Infatti, è una conseguenza del rilievo in base al quale il trattato non prevedeva delle specifiche
competenze delle istituzioni circa la possibilità di adottare atti nell’ambito della cooperazione giudiziaria.
L’unica disposizione del trattato che aveva a che fare con questo tipo di atti era l’articolo 220 del trattato
CE, che si limitava a dettare una norma di principio, nel senso che prevedeva che gli stati avrebbero avviato
tra loro dei negoziati per realizzare delle attività, tra cui la semplificazione delle formalità a cui sono
sottoposte il reciproco riconoscimento e la reciproca esecuzione delle sentenze arbitrarie e decisioni
giudiziarie emesse in altri stati. Quindi in realtà, il trattato non faceva altro che chiedere agli stati di avviare
una fase di collaborazione per rimuovere quello stato di relativi alla previsione di una esecuzione di
sentenze straniere. Sulla base di questo invito previsto dal trattato, gli stati del 68 negoziarono una
convenzione (convenzione di Bruxelles) che conteneva disposizioni relative al riconoscimento di esecuzione
delle sentenze straniere; non si limitava a questo aspetto, ma andava oltre, conteneva disposizioni per
individuare la giurisdizione competente, quindi introduceva una serie di criteri per la risoluzione dei
cosiddetti conflitti di giurisdizione. Quindi per individuare le cause transfrontaliere quale dovesse essere il
giudice competente a conoscere la decisione della controversia. E in quest’ottica,la convenzione di
Bruxelles, ha un carattere doppio, proprio perché persegue queste finalità. Avrà un ruolo importante per lo
sviluppo della cooperazione, fungerà da parametro di riferimento per gli atti successivi che hanno sostituito
la convenzione con regole differenti.

Se in questa prima fase, la realizzazione degli obiettivi era rimessa alla valutazione degli stati di negoziare
un intervento con diritto internazionale, con il trattato di Maastritch si apre invece quella che possiamo
definire la seconda fase della cooperazione giudiziaria in materia civile. Si comincia a sancire e disciplinare
un obbligo di cooperazione tra gli stati membri, e si riconosce alle istituzioni comunitarie la possibilità di
adottare delle posizioni comuni, azioni comuni e stipulare convenzioni per coordinare le diverse legislazioni
nazionali. In questa fase, si percepisce ancora l’influenza degli stati membri, la caratterizzazione di tipo
intergovernativo non viene ancora eliminata e ancora la corte non ha competenze rilevanti per interpretare
gli atti adottati in questo settore, si sente un’influenza molto forte. Sarà questo trattato a dare vita a quella
che è la terza fase di evoluzione per la cooperazione giudiziaria in materia civile: comincia a limitare il
riferimento ad un approccio intergovernativo, rimettendo la competenza tra quelle della comunità, anche
se la comunitarizzazione non è completa. Per adottare atti nel settore della cooperazione giudiziaria in
materia civile, la competenza viene attribuita alla comunità ma la possibilità di esercitarla è nelle mani degli
stati che devono essere d’accordo per adottare un atto. E, anche la competenza della corte non è piena, per
quanto venga riconosciuta la competenza alla corte a pronunciarsi in via pregiudiziaria, la possibilità di
effettuare è circoscritta alle giurisdizioni internazionali.

La vera svolta in questo processo si ha con il Consiglio Europeo di Tampere, cittadina scandinava che nel 99
ha dato vita a questo consiglio. Gli stati membri all’esito di questa riunione di capi di stato, hanno scelto di
dedicare negli anni seguenti attenzione all’adozione di una serie di iniziative focalizzate su alcune priorità: -
realizzazione di un miglioramento dell’accesso alla giustizia in Europa; -adozione di disposizioni per favorire
il reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie; -realizzazione di una convergenza del diritto civile.
Queste priorità vengono comunemente definite capisaldi del consiglio europeo. Su queste tre esigenze
saranno adottati una serie di atti normativi. Questa svolta realizzata dal consiglio di Tampere è stato l’inizio
della quarta fase di evoluzione della cooperazione giudiziaria e ha visto il suo culmine nel Trattato di Nizza,
trattato che ha realizzato un trasferimento di competenze da parte degli Stati alla comunità, finalizzata a
realizzare queste priorità definite nel consiglio di Tampere. Infatti viene attribuita alla comunità la
possibilità di adottare atti secondo il classico metodo comunitario, co-decisione, atti per realizzare un
ravvicinamento delle legislazioni in materia di cooperazione giudiziaria e l’eliminazione di tutti quegli
ostacoli relativo al riconoscimento delle decisioni giudiziarie. Con un limite, l’attribuzione della competenza
viene effettuata relativamente a quanto funzionale a garantire il corretto funzionamento del mercato,
quindi intanto l’unione e la comunità avrebbe potuto adottare specifiche normative per regolare questi
aspetti in quanto gli interventi erano funzionali a garantire il corretto funzionamento del mercato. Quindi
c’era un legame diretto tra il mercato e la realizzazione degli interventi. Sulla base di queste competenze
sono stati adottati una serie di atti normativi che hanno determinato un importante salto in avanti per
l’adozione di regole comuni, come il reg 44 del 2001, regolamento di Bruxelles, che ha sostituito la
convenzione di Bruxelles e questo regolamento, sostituito ed aggiornato poi, che ha fissato dei concetti e
parametri fondamentali per andare a determinare le norme attraverso cui risolvere i conflitti di
giurisdizione.

La quinta fase di questo percorso si ha con il Trattato di Lisbona che con l’art. 81 del TFUE realizza un
ulteriore espansione delle competenze delle istituzione dell’Unione, prevedendo l’attribuzione di una
competenza orizzontale; perché se prima la possibilità di esercitare competenze nell’ambito della
cooperazione era legata alla necessità di salvaguardare il mercato, con il trattato di Lisbona e la
formulazione dell’art. 81, che ha ripreso gli articoli 61 e 65 Ce, non vi è più questo legame con il mercato,
quindi si attribuisce alle istituzioni una competenza esplicita a intervenire in materia di cooperazione a
prescindere dalla garanzia del funzionamento del mercato, una delle possibili ragioni che spinge il
legislatore dell’unione a provocare un intervento in materia. L’unico limite è che può essere esercitato per
disciplinare le questioni transfrontaliere; quindi, l’unione può intervenire e adottare atti che vanno ad
incidere sulle norme procedurali di ciascuno stato membro, ma solo se le controversie siano
transfrontaliere, non può regolare i sistemi procedurali degli stati membri. Questo perché vige un
importante limite, legata al rispetto del principio dell’autonomia procedurale degli stati membri.

Per quanto sia vero che gli stati hanno un’autonomia nel proprio ordinamento, incontra dei limiti in
conseguenza dell’appartenenza all’UE e all’applicazione di alcuni principi del diritto dell’unione. Un primo
limite, di carattere strutturale, si rinviene nell’articolo 19 del TUE comma 2. È la norma che nel trattato è
dedicata a regolare la composizione del funzionamento della Corte di giustizia. C’è anche la previsione (par
1 comma 2) che prevede che gli stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare la
tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’unione. Conseguenza del fatto che i
giudizi nazionali sono giudici comuni del diritto dell’unione. Se vi è un obbligo specifico per gli stati di
predisporre di rimedi giurisdizionali effettivi per dare attuazione al diritto dell’unione, è vero pure che
quell’autonomia riconosciuta agli stati nell’organizzazione del proprio ordinamento processuale interno
incontra un limite in questa specifica previsione, perché gli stati sono liberi ma obbligati ad organizzare il
proprio ordinamento processuale interno per dare effettività al diritto dell’unione. Ma non è l’unico limite,
altri limiti derivano dall’applicazione di alcuni principi generali di elaborazione, derivanti dall’attività della
corte. Tra questi, il principio di equivalenza dei rimedi giurisdizionali, il principio di non discriminazione
applicato alla materia processuale. Come si ritiene che in base al principio di non discriminazione situazioni
paragonabili non possono essere trattate in maniera differente e viceversa, in egual misura si ritiene che
l’ordinamento interno per dare tutela a diritto di derivazione comunitaria deve prevedere che i rimedi
sostanzialmente equivalenti a quelli che per diritto comparabili l’ordinamento interno prevede a livello
procedurale. Si va a imporre agli stati l’obbligo di mettere a disposizione dei cittadini, per far valere i diritti
di derivazione europea, rimedi giurisdizionali che non devono essere meno favorevoli rispetto a quelli
previsti per far valere analoghi diritti di derivazione nazionale. Per arrivare a tutto questo, è necessaria la
comparabilità, possibilità di assimilare i diritti tra loro.

Quello di equivalenza non è l’unico principio generale idoneo a limitare l’autonomia procedurale degli stati;
trova applicazione infatti il principio di effettività, in cui si richiede che i rimedi giurisdizionali elaborati dallo
stato debbano essere tali da non rendere impossibile o difficile conseguire il riconoscimento del diritto.
Garantire la possibilità di conservare l’effetto utile del rimedio giurisdizionale. L’utilizzo di questo principio
ha condizionato l’attività degli stati membri, incidendo sulla loro autonomia procedurale. È un principio che
può essere messo in relazione a diverse finalità.

Valutando e valorizzando il principio di effettività la Corte ha riconosciuto la possibilità di andare a


disapplicare la normativa interna che andava a limitare la materiale dell’azione restitutoria.

Il principio è utilizzato per rendere esperibile nell’ordinamento giudiziario nazionale un rimedio


assolutamente sconosciuto a quell’ordinamento.

Questa che abbiamo visto non è l’unica possibile chiave di lettura. Può essere inteso come strumento teso a
garantire l’esperimento del rinvio pregiudiziale. Questa possibilità si è palesata con riferimento a quelle
norme di ordinamento nazionale che avrebbero potuto limitare l’autonomia del giudice nazionale
all’effettuazione del rinvio pregiudiziario. Per esempio, nel nostro ordinamento processuale vige un
principio che nell’ambito del procedimento civile lega la possibilità del giudice di emettere la sentenza
limitatamente a quanto richiesto dalle parti, il così detto principio di corrispondenza tra inchiesto e
pronunciato. Questo principio applicato in maniera stringente potrebbe avere degli effetti limitativi della
facoltà per il giudice di emettere. Il giudice è limitato a formulare i quesiti sollecitati dalle parti in un
procedimento nazionale oppure può autonomamente formulare i quesiti o altri quesiti? È vincolato a
sottoporre alla corte i quesiti vincolati dalle parti? La corte nel caso collegio nazionale dei geometri, ha
proprio sottolineato che disposizioni processuali nazionali non possono andare a intaccare quella facoltà
del giudice nazionale derivante dall’articolo 266 del TFUE, di andare a valutare egli in autonomia i quesiti da
sottoporre alla Corte. Ma lo stesso approccio si è rivenuto anche con riferimento a quelle norme
processuali nazionali. L’applicazione di questa norma, potrebbe avere l’effetto di privare la sezione
semplice del Consiglio di Stato di effettuare il rinvio pregiudiziale laddove eventualmente dovesse ritenere
non corretto il principio di diritto definito in contrasto con uno o più diritti dell’unione. In questo caso però,
la norma processuale interna che vincola la sezione semplice al rispetto della adonanza penale, avrebbe
l’effetto di limitare la facoltà del giudice nazionale ad effettuare un rinvio pregiudiziario. Anche qui la corte
ha sottolineato come l’applicazione del principio di effettività, ha l’effetto di limitare la autonomia degli
Stati, può condurre a disapplicare queste normative processuali che avrebbero l’effetto di contrazione del

Una terza possibile chiave di lettura del principio di effettività, è quella che mette in luce quale possibile
strumento, addirittura di armonizzazione. Ad esempio, rendendo esperibile l’utilizzazione di forme di tutele
che l’applicazione stringente delle disposizioni non avrebbero reso applicabili. Per esempio, la normativa
spagnola in materia di contratti di consumatori prevede la impossibilità di una modifica del petitum
giurisdizionale, se una causa viene introdotta dal consumatore per invocare la nullità di un contratto, la
risoluzione di quel contratto, nel corso del giudizio se non richiesto non è possibile procedere ad una
modifica del petitum e quindi modificare la richiesta giudiziaria richiedendo non più la risoluzione del
contratto, quindi lo scioglimento del contratto, ma una modifica delle condizioni (riduzione del prezzo). Ma,
potrebbe anche verificarsi che introdotta la causa con un determinato petitum, quindi con l’idea di
richiedere la risoluzione del contratto, nel corso dell’istruttoria avendo degli elementi tali da non poter
giustificare la risoluzione del contratto ma eventualmente riconoscere al consumatore semplicemente la
possibilità di richiedere una notifica delle condizioni contrattuali; che però, risulterebbero precluse al
consumatore.

In una causa, la corte ha concluso come normative procedurali interne, non devono avere l’effetto di
pregiudicare al consumatore la possibilità di rivocare altri diritti.

Quest’ottica il principio di effettività viene utilizzato come strumento per garantire a livello europeo la
stessa tutela.

Un principio rilevante per l’incidenza della possibile autonomia procedurale degli stati membri. In questa
accezione, oggi all’esito del trattato di Lisbona e del riconoscimento alla carta dei diritti fondamentale,
anche la carta stessa può avere un importante incidenza sulla delimitazione dell’autonomia degli stati,
elemento idoneo ad andare a determinare l’intensità della tutela offerta. Attraverso questi principi
generali, il diritto dell’unione è andato a realizzare una sorta di armonizzazione indiretta delle norme
procedurali nazionali degli stati, quindi è vero che in questo settore la competenza è stata limitata ma
comunque un’incidenza da parte del diritto dell’unione è stata comunque esercitata, attraverso questi
principi che hanno condizionato l’organizzazione dei sistemi procedurali nazionali.

L’attribuzione di competenze specifiche alle istituzioni ha consentito di dar atto ad un ulteriore fase di
armonizzazione che, a differenza di quella realizzata per il tramite di questi principi generali del diritto,
potrebbe essere definita come un’armonizzazione specifica/diretta e, in quest’ottica, vanno letti tutti quegli
atti aventi una diretta incidenza sulle regole processuali. Per cui, abbiamo già menzionato il regolamento di
Bruxelles, anche attività endoprocessuali (nel corso del processo) come il regolamento che va a disciplinare
l’assunzione dei mezzi di prova all’estero. Quindi, nell’ambito di un processo interno potrebbe realizzarsi la
necessità di raccogliere dei mezzi in un altro stato membro. Meccanismo del diritto internazionale delle
erogatorie, che prevedeva un coinvolgimento delle autorità ministeriali e una collaborazione degli
omologhi di un altro stato membro in un processo macchinoso. Con il regolamento adottato a livello
europeo, si va a prevedere un sistema più semplice: con l’individuazione di sistemi di collaborazione fra
organi giurisdizionali e la possibilità di procedere a raccogliere queste prove all’estero. In altri casi, gli
interventi del legislatore europeo sono andati a disciplinare delle fasi preordinate al processo vero e
proprio, extraprocessuali.

A questa regolamentazione di singoli aspetti endoprocessuali poi si affianca un intervento specifico per
disciplinare alcuni procedimenti peculiari, quindi l’introduzione di veri e propri procedimenti uniformi a
livello europeo, ad esempio per ottenere un decreto ingiuntivo europeo oppure per ottenere un titolo
esecutivo per tempi non contestati. Interventi attraverso i quali il legislatore europeo ha predisposto dei
procedimenti giurisdizionali che si affiancano a quelli già esistenti nazionali.
Le regole dettate dal regolamento di Bruxelles per la disciplina dei conflitti di giurisdizione.

Adottato nel 2001 va a sostituire la convenzione di Bruxelles, andando a aggiornare alcuni criteri contenuti
nella convenzione. La cosa importante da rilevare è che detta una normativa uniforme per quanto riguarda
il diritto internazionale privato per gli stati membri, una normativa che va completamente a sostituire a
quelle norme di diritto internazionale privato eventualmente vigenti negli stati membri. Il che significa che,
relativamente all’ambito dell’applicazione del regolamento, le disposizioni attraverso cui andare a
disciplinare i conflitti di giurisdizione o il riconoscimento dei provvedimenti giuridizionali, sono le norme
contenute nel regolamento. Qual è l’ambito applicativo del regolamento? Questo regolamento si applica
alle controversie rientranti nella materia civile e commerciale. Il regolamento non contempla una
definizione in materia civile commerciale, per individuare cosa si intenda per materia civile commerciale
non possiamo far riferimento all’ordinamento di ciascun stato membro perché sarebbe caotico. Per cui
bisogna individuare una nozione autonoma: è stata la corte a dare delle indicazioni in materia consentendo
di ritenere rientrante nella materia civile commerciale quelle situazioni che non contemplino l’esercizio di
un’attività dello stato e quindi attività che sia ascrivibile ad un’operazione economicamente rilevante.
Fermo restando comunque che il regolamento medesimo opera una limitazione del proprio campo di
applicazione, escludendo una serie di materie; per esempio il regolamento esclude l’applicabilità di tutte
quelle questioni relative allo stato oppure ai fallimenti, alla sicurezza sociale, alle obbligazioni alimentari, i
testamenti. Perché il regolamento opera queste esclusioni? In alcuni casi, perché si tratta di materie
ritenute sensibili dagli stati e quindi non hanno voluto operare una completa cessione di sovranità, non
hanno voluto autolimitarsi alle disposizioni. In molti altri casi la ragione va vista nella specificità della
materia, e quindi nella constatazione che per quelle materie sono stati adottati atti specifici.

Quindi presupposto dell’applicazione del regolamento è in primis il fatto che la controversia sia rientrante
nella materia civile commerciale, che la questione non rientri espressamente nelle materie escluse dal
campo di applicazione del regolamento e, terzo requisito, che la questione abbia carattere transfrontaliero.
Come si capisce se una questione ha carattere transfrontaliero? Il regolamento sia applicabile laddove nel
momento dell’installazione del processo, una delle parti abbia residenza o domicilio nelle parti di un altro
stato membro diverso da quello del giudice. Paradossalmente il carattere transfrontaliero deriva dalla
valutazione della residenza delle parti. Definito l’ambito applicativo del regolamento, in concreto, cosa
prevede il regolamento? Il regolamento è in primis strutturato in modo tale da risolvere i conflitti di
giurisdizione, conviene una serie di regole per individuare un giudice competente a riconoscere un
eventuale controversia. Quali sono questi criteri? Il criterio generale previsto dall’articolo 4 del
regolamento, prevede che debba utilizzarsi il criterio della residenza abituale del convenuto. Quindi il
convenuto deve essere chiamato a giudizio davanti al giudice del luogo in cui egli ha la propria residenza
abituale e, per le persone giuridiche, vi è l’assimilazione della sede a domicilio. L’utilizzazione di questo
criterio, potrebbe però trascurare alcuni aspetti, cioè il fatto che in alcuni casi potrebbe esserci un
collegamento stretto con qualche altro luogo per poter individuare il giudice nella migliore condizione per
valutare la controversia, ed è per questo che il regolamento Bruxelles 1 prevede dei criteri speciali di
attribuzione: questi criteri sono alternativi, che si affiancano al criterio generale della persona convenuta.
L’attore che avvia un processo potrà scegliere se applicare il foro generale del contenuto o scegliere uno dei
criteri speciali previste per alcune materie. Quali sono questi criteri speciali? Il regolamento ne contempla 7,
ma i principali sono quelli previsti per la materia contrattuale. Si ritiene criterio alternativo rispetto a quello
generale, possa essere quello del luogo di esecuzione dell’obbligazione principale dedotta nel contratto.
Possono sorgere una serie di problematiche: come fare a capire qual è il luogo. La corte dice che deve farsi
riferimento al luogo della consegna principale, quindi verranno in rilievo una serie di elementi…
nell’eventualità in cui possa essere possibile tra i diversi luoghi individuare quello della consegna principale
si riconosce la facoltà di scelta; quindi tutti i luoghi delle consegne saranno luoghi utilizzabili per la
individuazione dei giudici. Un altro criterio importante è quello relativo alla materia legata agli illeciti civili: il
principio utilizzato è quello in cui è avvenuto l’evento dannoso. Anche in questo caso potrebbe realizzarsi
una pluralità di eventi: il giudice potrà essere quello in cui si è verificato il danno iniziale; ma talvolta
potrebbe verificarsi anche l’ipotesi in cui il fatto dannoso si realizza in un determinato luogo ma in effetti si
realizza lontano. La corte dice che in questo caso entrambi i giudici sono in grado di valutare
adeguatamente le conseguenze di una determinata attività, quindi potrà essere rimessa alla scelta della
corte per quale giudice optare. Ma, aldilà di questi criteri speciali, il regolamento di Bruxelles 1bis prevede
delle competenze imperative per tutelare dei particolari soggetti: nella specie si tratta di contraenti di parti
deboli, parti che in ragione della propria particolare collocazione nei rapporti della controparte, si trovano
in una situazione strutturale di inferiorità. Quali possono essere questi soggetti? Il consumatore per
esempio, non ha potere di condizionare la controparte. Anche il lavoratore subordinato nei confronti del
datore di lavoro, meritevoli di un ulteriore tutela. Questa necessità viene contemplata che prevede delle
competenze imperative, che differiscono dalle competenze speciali, la cui realizzazione prevede una libera
scelta delle parti, perché in questo caso per queste parti deboli la possibilità di scelta è limitata soltanto alla
parte debole, solo lei potrà scegliere se ricorrere al criterio generale delle persone fisiche, se utilizzare un
criterio speciale ecc. mentre la controparte sarà vincolata ad applicare le norme specifiche previste dalla
tutela delle parti deboli. Quali sono queste norme? Con riferimento ai consumatori, il regolamento istituisce
il Foro del consumatore che, nella conoscenza comune, implica la possibilità del consumatore di rivolgersi al
giudice del luogo dove il consumatore ha il suo domicilio abituale. Perché in questo modo si va ad
avvicinare il giudice al consumatore, consentendogli una minore dispendio di costi. Lo stesso concetto
avviene associato al lavoratore subordinato nei confronti del datore di lavoro. In questo caso il criterio è
quello del domicilio del lavoratore, ovvero la possibilità del lavoratore di rivolgersi al giudice del luogo in cui
prestava il lavoro o dal quale partiva per prestare la propria attività lavorativa. Nel caso del lavoratore con
più sedi, la competenza sarà quella del giudice nella sede in cui era addetto il lavoratore. Mentre la causa
del datore di lavoro nei confronti del lavoratore, era vincolata dal criterio di domicilio abituale del
lavoratore. A queste si aggiungono competenze esclusive: le cause relative agli immobili, il criterio da
utilizzare e si sostituisce è quello del luogo in cui si trova l’immobile. Altro criterio è la volontà delle parti.

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