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LA POLITICA DELL’IMMIGRAZIONE

Il secondo articolo del TFUE stabilisce la possibilità per i cittadini europei di circolare “senza frontiere
interne”. Alla libera circolazione garantita dall’articolo, si accostano strumenti idonei a combattere la
criminalità e a facilitare la collaborazione tra le autorità amministrative e giudiziarie. L’articolo n.67,
congiuntamente al secondo e inerente alle stesse tematiche, si pone come obiettivo l’eliminazione dei
controlli alle frontiere interne, lo sviluppo di una politica comune riguardante l’asilo e l’immigrazione,
l’adozione di misure di prevenzione contro il razzismo e la xenofobia e il contrasto alla tratta degli esseri
umani. Tutti questi obiettivi sono perseguiti rispettando l’insieme delle regole dei diritti fondamentali
dell’UE. Ad esempio, l’articolo 80 del TFUE prevede che le politiche inerenti l’asilo, le frontiere e
l’immigrazione siano regolate dal principio di solidarietà e di equa ripartizione di responsabilità tra gli stati
membri dell’UE.

L’accordo Shengen del 1990 al quale inizialmente aderirono soltanto Francia, Germania e gli stati membri
del Benelux vantò nel 1997 l’adesione di tutti gli stati allora membri della Comunità Europea, tranne UK e
Irlanda e gli stati terzi di Islanda, Norvegia e Svizzera. Tale convenzione stabilì principi uniformi per il
controllo delle frontiere esterne e indicò le direttive da seguire per l’ingresso nei paesi dell’UE per i cittadini
non europei che volessero soggiornare per un periodo minore o uguale a 3 mesi. L’ingresso a tali cittadini è
consentito se: - questi ultimi sono in possesso di carta d’identità valida per l’espatrio con una validità
residua di almeno sei mesi; - in possesso di un visto d’ingresso; - non si tratti di persone segnalate per
crimini o atti non conformi alla legge.

Le misure necessarie per l’abolizione dei controlli alle frontiere dovevano essere adottato entro l’aprile del
2004; a tal proposito il consiglio europeo straordinario di Tampere (1999) attraverso i capisaldi di Tampere
affermò la necessità di garantire l’equo trattamento dei cittadini degli paesi terzi che legalmente
soggiornassero in uno stato membro, assicurando loro diritti e doveri analoghi a quelli che spettano ai
cittadini dell’UE e combattendo, contemporaneamente, l’immigrazione clandestina. Nel 2004 il Programma
Aia assicurò ufficialmente gli spazi di libertà, uguaglianza e giustizia. Nel 2008 il Consiglio Europeo espresse
la volontà di realizzare una politica comune con il Patto sull’Immigrazione e l’Asilo. Quest’ultimo stabiliva: -
la necessità di organizzare l’immigrazione legale tenendo conto delle priorità, delle esigenze e delle
capacità d’accoglienza stabilite da ciascuno stato membro e favorire l’integrazione; - di combattere
l’immigrazione clandestina, in particolare assicurando il ritorno nel loro paese di origine o in un paese di
transito, degli stranieri in posizione irregolare; - il rafforzare l’efficacia dei controlli alle frontiere; - la
costruzione di un’ Europa dell’asilo; - la creazione di un partenariato globale con i paesi di origine e di
transito che favorisse le sinergie tra le migrazioni e lo sviluppo. Tali orientamenti trovarono una più precisa
enunciazione nel successivo Programma di Stoccolma del 2009.

L’ARMONIZZAZIONE DEI CONTROLLI DELLE FRONTIERE ESTERNE

L’articolo 77 del TFUE rende l’Unione competente e in grado di sviluppare una politica volta a garantire la
sorveglianza e il controllo delle persone riguardo l’attraversamento delle frontiere esterne. Il codice
Shengen delle frontiere stabilì l’adattamento di misure e di controlli di frontiere da parte di tutte le autorità
degli stati membri. In particolare, con l’istituzione Frontex del 2004 (l’agenzia delle frontiere esterne) si è
iniziato a coordinare l’attività di controllo degli stati membri, organizzando operazioni comuni e fornendo
una cooperazione operativa.

IL REGIME APPLICABILE AI CITTADINI DI STATI TERZI

LA NORMATIVA SULL’INGRESSO

L’obiettivo di una politica comune da dover essere adottata da tutti gli stati membri dell’Unione in materia
di immigrazione si basa prima di tutto su un livello di integrazione più forte.
L’UE regola le condizioni per le quali è concesso l’ingresso di cittadini di stati terzi alle frontiere esterne
degli stati membri per soggiorni di lunga durata. In particolare, l’UE:

- si preoccupa di analizzare l’elenco dei paesi terzi per cui i cittadini devono essere in possesso di un visto
d’ingresso;

- predispone un modello ottimale di Visto, stabilito in base a determinati requisiti del cittadino (se entra nel
paese come studente, lavoratore, lavoratore altamente qualificato, familiare di un immigrato e così via).

Sull’ingresso da parte di familiari di uno straniero che risiede regolarmente in uno stato membro è stata
adottata la normativa 2003/86/CE che riconosce il diritto allo straniero di farsi raggiungere dai propri
familiari a patto che quest’ultimo sia in possesso di permesso di soggiorno dalla durata di almeno 12 mesi e
abbia garanzie e prospettive per un soggiorno stabile. In aggiunta a tale direttiva, ogni stato membro può
aggiungere in maniera autonoma ulteriori richieste, come la prova essere in possesso di un alloggio sicuro,
di un’assicurazione sanitaria o di risorse economiche regolari e sufficienti.

Il fatto che in aggiunta alla direttiva ogni stato membro può decidere autonomamente se richiedere o meno
ulteriori requisiti allo straniero comporta che il flusso migratori sia generalmente orientato verso specifici
stati membri dove il raggiungimento familiare risulta essere perseguito in maniera più semplice.

Dopo un periodo di soggiorno maggiore dei 5 anni, il familiare ha diritto ad un permesso di soggiorno
indipendente rispetto a quello posseduto dal ricongiunto.

LA NORMATIVA SUL SOGGIORNO

L’UE ha la competenza di stabilire le condizioni di soggiorno per cittadini provenienti da stati terzi nonché la
possibilità di regolare le norme sul rilascio di visti e di titoli di soggiorno di lunga durata a prescindere dallo
scopo.

Ai soggiornanti che permangono più di 5 anni in maniera regolare viene riconosciuta la stessa condizione
propria di quella dei cittadini europei che risiedono in uno stato membro diverso da quello di
appartenenza: a quest’ultimi viene assicurata la parità di trattamento così come ai nazionali (in particolare
riguardo il lavoro e l’istruzione) e viene garantita l’espulsione soltanto di fronte a minacce effettive e gravi.

L’UE stabilisce anche i diritti a cui il cittadino membro di uno stato terzo deve sottostare una volta iniziato il
suo soggiorno in uno stato membro e in caso di spostamento da uno stato membro all’altro: l’abolizione
delle frontiere interne non implica per un cittadino di uno stato terzo di potersi spostare liberamente in uno
stato membro dell’unione diverso rispetto a quello che gli ha consentito l’ingresso. Tale restrizione cade per
i soggiornanti di oltre 5 anni se si trasferiscono per comprovate esigenze, in particolare per lavoro o studio.

LA NORMATIVA SUL TRATTAMENTO DEI LAVORATORI DI STATI TERZI

L’art. 153 del TFUE definisce la possibilità del Consiglio di regolare le condizioni lavorative dei cittadini di
paesi terzi che soggiornano legalmente nel territorio dell’Unione Europea. Attualmente soltanto in materia
di sicurezza è stata fatta una realizzazione importante, in quanto i cittadini di paesi terzi che soggiornano in
uno stato membro in maniera regolare e che sono regolarmente impiegati sottostanno alle stesse regole
nei cittadini nazionali ma godono anche delle stesse garanzie e sicurezze.

LA NORMATIVA SUL RIMPATRIO

L’art. 79 del TFUE prevede che il Consiglio adotti specifiche misure sui soggiorni irregolari, in particolare
circa l’allontanamento e il rimpatrio. L’adottamento di tali misure deve ad ogni modo essere conforme al
Protocollo n.7 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e l’art.13 del Patto dell’ONU sui diritti civili e
politici, per i quali è richiesta la possibilità allo straniero di far valere le proprie ragioni in opposizione alla
sua espulsione. Ulteriori limitazioni circa l’espulsione di uno straniero da uno stato membro derivano dalla
lista dei diritti a tutela dell’uomo enunciati dalla Carta (ad.es, l’espulsione è vietata se viene violato uno dei
diritti dell’uomo legato alla vita privata e/o familiare o se prevede che lo straniero sia diretto in uno stato
dove le sue condizioni psicofisiche possano essere a rischio secondo quelli che sono i casi descritti dalla
Convenzione).

Nel 2008 è stata approvata una direttiva sul rimpatrio che stabilisce alcune norme comuni in materia di
rimpatrio di cittadini di stati terzi che si trovano in condizioni che descrivono un soggiorno irregolare. La
direttiva prevede che:

- tutti i cittadini devono essere lasciati liberi dallo stato di rimpatriare entro un certo limite di tempo
(soltanto in rischio di fuga vengono adottare particolare misure restrittive e di controllo)

- se il cittadino non si allontana volontariamente, lo stato membro può decidere di adattare le misure più
appropriate, incluso il trattenimento dello straniero in un centro di permanenza temporanea, per il tempo
necessario al compimento delle modalità di rimpatrio.

- come garanzia per lo straniero, la direttiva prevede l’obbligo di traduzione in forma scritta e orale della
decisione in una lingua comprensibile allo straniero e il diritto per quest’ultimo di poter sfruttare di mezzi
appositi per pratiche di ricorso effettive.

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