Sei sulla pagina 1di 34

INTRODUZIONE

1. Principi fondamentali: excursus normativo dalla Costituzione alla


Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.
1.1 Cenni storici sull’evoluzione del pubblico impiego in Italia.
1.2 Cenni storici sull’evoluzione del pubblico impiego in Italia.
1.3 La privatizzazione del pubblico impiego, il Contratto
Collettivo.
1.4 La riforma Madia
2. IL CONTRATTO COLLETTIVO NEL PUBBLICO IMPIEGO

1.5 Individuazione dei soggetti legittimati a negoziare.


1.6 Tipologie delle procedure negoziali nel settore pubblico.
1.7 Il procedimento di stipulazione
1.8 Diritti e doveri delle controparti.
2. Lo sblocco della contrattazione collettiva nel settore
pubblico
3. Conclusioni
INTRODUZIONE

La contrattazione collettiva se punta allo sviluppo, alla competitività e


produttività, deve fare molto più che limitarsi a far crescere i salari. La
crescita della produttività infatti richiede molte altre misure di sostegno, dentro e
fuori i luoghi di lavoro. Ho scelto quindi di approfondire le mie nozioni sulla
contrattazione collettiva perché ha sempre destato il mio interesse inquanto parte
del mio lavoro. La contrattazione collettiva, nata come aziendale, dopo alterne e
fortunose vicende è tornata nella sua sede originaria, riconfermando il proprio
ruolo e rafforzando la propria validità in parallelo con la contrattazione nazionale.
Anche il sindacato ha conservato, fra alterne vicende una lenta inesorabile crisi
non riuscendo più ad interpretare in un mondo in rapida evoluzione, le reali
esigenze dei lavoratori. Da queste brevi premesse risulta evidente la necessità di
approfondire l'argomento, mettendo in rilievo non solo gli aspetti giuridici, ma
anche quelli economici e sociologici, in una visione interdisciplinare che
inquadri la contrattazione nell'ambito dei fenomeni sociali più complessi e
interagenti del mondo produttivo. Ho potuto quindi rendermi conto delle
molteplici criticità che la contrattazione collettiva comporta e delle varie
modifiche e sviluppi che ha subito nel tempo. Argomento molto complesso ed
interessante dove ho trovato molti spunti di riflessione soprattutto alla luce di
quanto la motivazione sia il risultato di molteplici variabili e che la
contrattazione collettiva, ed il contratto che ne deriva, sono certamente il
tentativo di migliorare performance, sviluppo e produttività, ma non può essere
fonte di motivazione, che alla fine è ciò che davvero porta ad un miglioramento
della produttività fornendo quella spinta interiore che porta l'individuo a
raggiungere un obbiettivo. Quindi direi che questo elaborato mi ha permesso di
conoscere meglio quest’ambito e mi ha fatto riflettere su quanto difficile ed
articolata sia la contrattazione collettiva, fornendo le giuste regole, rispettando
diritti e doveri ma nello stesso tempo puntando all’ottimizzazione della
produttività del lavoro pubblico, quindi ad una buona performance, sempre nel
segno dell’efficienza e della trasparenza delle pubbliche amministrazioni. Gli
argomenti trattati quindi verteranno da un excursus sulle fonti e sull'evoluzione
della normativa relativa al rapporto di lavoro nel pubblico impiego, l'efficacia del
CC di lavoro nel pubblico impiego, le fasi della contrattazione pubblica in
particolare come avviene e chi sono gli attori interessati nella contrattazione
stessa.
Il contratto collettivo di lavoro è un contratto di lavoro stipulato tra sindacati,
ovvero le organizzazioni dei lavori dipendenti ed una o più organizzazioni
rappresentative degli interessi dei datori di lavoro. E' quindi il risultato di una
contrattazione collettiva ed al suo interno i rapporti tra datore di lavoro e
dipendente, sono regolati da un punto di vista normativo, economico e
obbligatoria disciplinare.
Possiamo quindi distinguere tre parti:
 Normativa
 Economica
 Obbligatoria
La contrattazione collettiva nel pubblico impiego è disciplinata dalla legge, in
particolar modo dal D.Lgs. 165/2001.
Essa pertanto non è lasciata del tutto nelle mani delle associazioni dei datori di
lavoro e dei sindacati, che sono invece coloro che stabiliscono le regole e le
procedure della contrattazione nel settore privato, svolgendo un ruolo
fondamentale.
Nel pubblico impiego, non diversamente dal settore privato, la contrattazione
collettiva ha una struttura complessa. Anzi, per certi aspetti più complessa di
quella del lavoro privato. In primo luogo perché le funzioni, l’organizzazione, i
comparti e le aree professionali delle varie pubbliche amministrazioni sono molto
numerose e molto diverse tra loro. Basti pensare alla differenza tra
amministrazioni dello Stato, delle regioni, degli enti locali e della miriade di enti
pubblici. Sono di conseguenza altrettanto numerosi e diversi i sindacati: non di
rado “sindacati autonomi” – e, a volte, “sindacati di mestiere” – pur mantenendo i
sindacati confederali, in linea di massima, la “maggiore rappresentatività”.
1. Principi fondamentali: excursus normativo dalla Costituzione alla Carta
dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.
La particolarità della disciplina lavoristica si rinviene senza dubbio nella
coesistenza di fonti eteronome di tipo pubblicistico, con fonti autonome di origine
contrattuale, individuale e collettiva derivanti dall’attività di contrattazione
collettiva1.
Ed invero, la contrattazione collettiva, in senso stretto, è quel complesso di attività
poste in essere dalle parti al fine di (auto)regolamentare i propri interessi, in
ambito lavoristico, che sfocia nella stipulazione del contratto collettivo.
In particolare, l’attività di contrattazione è qualificabile come un processo,
un’attività, nella quale convergono molteplici manifestazioni di volontà; di contro,
il contratto collettivo è un atto che ne rappresenta la sintesi.
Nell’analisi di tale materia, pertanto, non può prescindersi dalla valutazione
contestuale sia dell’aspetto dinamico (fase di contrattazione), sia dell’aspetto
statico (contratto collettivo).
Inoltre, essendo il contratto collettivo basilare nell’ambito lavorativo in qualità di
accordo giuridico vincolante, è necessario, nell’analisi che segue, considerare
congiuntamente sia la fase della contrattazione collettiva, quale attività
prodromica alla stipula, sia il contratto collettivo che ne scaturisce.
Il contratto collettivo, infatti, è, per eccellenza, la fonte regolatrice del rapporto
del lavoro; sia privatistico, sia pubblicistico.
È essenziale l’analisi della materia relativa alla contrattazione collettiva ed al
contratto collettivo con riferimento ai principi costituzionali che regolano la
materia.
La libertà sindacale, oggetto di tutela dell’art. 39 Cost.5, si riflette anche sulla
disciplina della contrattazione collettiva e si combina con la ricostruzione
privatistica, ormai consolidatasi del contratto collettivo, come contratto c.d. di
diritto comune, assoggettato, per definizione, al principio di libertà negoziale.
Da ciò, ne consegue che, in ambito privatistico, differentemente dall’ambito
pubblicistico, la struttura, i contenuti e le forme della contrattazione collettiva
tendono a non essere regolate in via eteronoma esclusivamente da norme di legge,
1
I testi genericamente di riferimento sono M. PERSIANI, G. PROIA, Contratto e rapporto di
lavoro, Padova, 2004, O. MAZZOTTA, Diritto del Lavoro, Milano, 2013.
ma risultano rimesse, salvo limiti predeterminati legislativamente, alla autonomia
delle parti2.
Con riferimento al settore pubblico; all'opposto, sulla scorta dell’art. 97, comma 1,
Cost.7 la materia finisce necessariamente per essere caratterizzata da un
considerevole grado di legificazione del sistema di contrattazione collettiva; ad
ogni modo, dopo un iniziale favore per la contrattazione collettiva quale fonte di
disciplina del rapporto di lavoro pubblico privatizzato, il decreto legislativo n. 150
del 2009 sembra aver trasferito il punto di equilibrio riassegnando alla legge una
posizione di maggiore rilevanza.
È evidente, tuttavia, come un certo grado di formalizzazione è presente anche nel
settore privato nei c.d. accordi interconfederali che, nel corso del tempo, hanno
regolato la contrattazione collettiva e che trovano sistematica disciplina nel Testo
unico sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014.
La Corte Costituzionale ha, in ogni caso, ammesso la presenza di vincoli legali
all’autonomia collettiva, volti a garantire la «compatibilità con obiettivi generali
di politica economica», riconoscendo la legittimità, e giustificando in situazioni
eccezionali ed eminentemente transitorie, allorché sia in gioco la «salvaguardia di
superiori interessi generali», la compressione della libertà tutelata dall’art. 39,
primo comma, Cost.3.
Fondamentale anche il ruolo della concertazione quale metodo di gestione delle
politiche del lavoro e delle relazioni sindacali, affermatosi sin dal 1990 e
rafforzatosi dopo la stipula del Protocollo sulla politica dei redditi del 23 luglio
2003, che si caratterizza per la ricerca continua, da parte dell’esecutivo, del
confronto con le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro e del loro
consenso preventivo circa le decisioni politiche ed economiche che devono essere
adottate in materia.
Sul punto, con riferimento all’art. 39 Cost., la Corte Costituzionale ha individuato
che da un lato le prassi relative alla concertazione non violano la Costituzione ed
in particolare i processi di decisione politica del Governo e la sovranità del
Parlamento allorché la rappresentanza politica resta libera di valutare le proposte

2
Cfr. M. MEZZACAPO, Ibidem, pagg. 2045 – 2082.
3
Corte Costituzionale, sent. n. 178 del 24 giugno 2015.
presentate dall’esecutivo e resta la sola legittimata ad interpretare la volontà
popolare e a realizzare la sintesi degli interessi generali; dall’altro lato, la Consulta
ha affermato che gli accordi di concertazione non sono riconducibili nell’area
dell’art. 39 Cost. in quanto: in primo luogo, sono diversi dai contratti collettivi sul
piano strutturale in quanto accordi di tipo trilaterali; secondo poi, sul piano
funzionale, sono distanti dal disposto costituzionale in quanto le parti realizzano
uno scambio non solo economico, come nel contratto collettivo, ma anche di tipo
politico4.
Con riferimento ai principi di matrice internazionale ed europea.
L’attività di contrattazione collettiva è una libertà tutelata dalla Convenzione
Europea dei Diritti dell’Uomo all’art. 115.
L’attività di contrattazione collettiva, quale momento preliminare alla stipula del
contratto collettivo, unitamente al diritto di organizzazione sindacale, è
ulteriormente garantita dalla Convenzione OIL15 n. 98, che risale al 1949 6 ed è
stata oggetto di ratifica da parte di 123 Paesi.
In tale documento, il concetto di contrattazione collettiva è stato identificato in
maniera generale dalla convenzione n. 98, come negoziazione volontaria tra datori
di lavoro e lavoratori, per il tramite dei loro rappresentanti, con il fine di regolare i
termini e le condizioni di lavoro attraverso accordi collettivi generalmente
applicabili.
La Convenzione n. 98 è stata poi completata dalla Convenzione n. 154 del 1981,
che è stata oggetto di ratifica da parte di 17 Paesi, e dalla Raccomandazione n.
163, che promuove in maniera espressa la contrattazione collettiva.

4
Corte Costituzionale, sent. n. 34 del 7 febbraio 1985.

5
Art. 11 Convenzione Europea Diritti dell’Uomo:” Ogni persona ha diritto alla libertà di
riunione pacifica e alla libertà d’associazione, ivi compreso il diritto di partecipare alla
costituzione di sindacati e di aderire a essi per la difesa dei propri interessi”.
6
Art. 2 Convenzione OIL n. 98 del 1949: ”I contratti ai quali si applica la presente convenzione
dovranno contenere delle clausole che garantiscano ai lavoratori interessati salari (incluse le
indennità), durata di lavoro e altre condizioni di lavoro non meno favorevoli di quelle stabilite per
un lavoro dello stesso genere nella professione o nell’industria interessate della stessa regione: a)
sia per mezzo di contratti collettivi o per mezzo di un’altra procedura concordata di
contrattazione fra organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori che rappresentano
rispettivamente una proporzione considerevole dei datori di lavoro e dei lavoratori della
professione o dell’industria interessate; b) sia per mezzo di sentenza arbitrale; c) sia per mezzo
della legislazione nazionale.
La Carta Sociale Europea del 1961 all’art. 6 sancisce parimenti il diritto di
contrattazione collettiva.
Proseguendo con la disamina dei principi internazionali in ambito di
contrattazione collettiva, l’art. 27 della Carta di Nizza sancisce che ”ai lavoratori
o ai loro rappresentanti devono essere garantite, ai livelli appropriati,
l'informazione e la consultazione in tempo utile nei casi e alle condizioni previsti
dal diritto dell'Unione e dalle legislazioni e prassi nazionali”; ed inoltre, l’art. 28
statuisce che “i lavoratori e i datori di lavoro, o le rispettive organizzazioni,
hanno, conformemente al diritto dell'Unione e alle legislazioni e prassi nazionali,
il diritto di negoziare e di concludere contratti collettivi, ai livelli appropriati, e di
ricorrere, in caso di conflitti di interessi, ad azioni collettive per la difesa dei loro
interessi, compreso lo sciopero”.
I citati articoli della Carta di Nizza si erigono sui principi statuiti nell'art. 6 della
Carta Sociale Europea7 nonché sulla Carta comunitaria dei diritti sociali
fondamentali dei lavoratori (punti da 12 a 14).
Il diritto di azione collettiva, con specifico riferimento alla contrattazione
collettiva, è stato riconosciuto, come detto, anche dalla Corte europea dei diritti
dell'uomo come uno degli elementi del diritto sindacale sancito dall'articolo 11
della CEDU.

1.1. Cenni storici sull’evoluzione del pubblico impiego in Italia.


Gli storici, studiosi della pubblica amministrazione italiana nel periodo
successivo all’unificazione, hanno posto in evidenza la peculiarità che per
lungo tempo ha distinto lo status del pubblico dipendente: ovvero
l’assenza di una disciplina organica che contemplasse un nucleo
fondamentale di diritti e doveri in capo a ciascun pubblico dipendente.
In questa fase il numero degli impiegati non è molto elevato, circa 50.000,
in presenza di una forte “piemontizzazione” e di una “osmosi” tra politica
e amministrazione. Vigeva un sistema di reclutamento basato sul concorso
pubblico8, stabilendo una predisposizione iniziale alle mansioni da
7
Art. 6 della Carta Sociale Europea: ”Per garantire l’effettivo esercizio del diritto di negoziazione
collettiva, le Parti s’impegnano:
8
Melis G., Storia dell’amministrazione italiana (1861-1993), Bologna, 1996, pag. 53: “…
l’accesso all’impiego fu generalmente regolato attraverso l’imposizione di un esame di concorso,
svolgere in sede di lavoro, superando la figura originaria di impiegato
pubblico che era adibito ad una serie generica di mansioni.
Nel 1876 l’avvento della sinistra parlamentare, cominciò ad occuparsi
della “questione degli impiegati”, gli impiegati aumentano di numero, si
manifestano i primi movimenti di rivendicazione che, tra le altre cose,
chiedeva uno statuto giuridico. Nel 1889 viene istituita la IV sezione del
consiglio di Stato: si insedia così un giudice per la tutela degli interessi
legittimi, del cittadino e dell’impiegato pubblico.
Bisognerà attendere il 1908 per avere, con il governo Giolitti una prima
organizzazione normativa (la legge n.335, per i profili economici, e la
legge n. 290, per i profili giuridici) che disciplinava il profilo giuridico
degli impiegati pubblici statali e favoriva il dialogo con gli allora nascenti
sindacati.
Seguirono, due momenti precisi diversi nella gestione del pubblico
impiego: il ventennio fascista e la legge 1181 del 1954.
Il governo Mussolini riconfigurò la disciplina giuridica del pubblico
impiego ma senza apportare grandi modifiche allo status quo. Si strutturò
un rigido sistema disciplinatorio, in cui dirigere all’interno
dell’Amministrazione assorbì un’accezione di comando, ponendo al
primo posto l’interesse nazionale. In quest’epoca, parallelamente al
pubblico impiego, nella visione del lavoro subordinato in ambito privato, il
conflitto di classe venne soffocato, gli scioperi vengono considerati come
illecito penale, il contratto collettivo venne inserito nel codice civile, ma le
contrattazioni diventarono una pacifica intesa tra sindacati e datori di
lavoro che avevano come unico scopo il vantaggio della Nazione.
Inoltre, nel settore privato, vennero definite ventidue corporazioni, di
diversa natura lavorativa, e fissato il contratto corporativo per ogni
corporazione che si estendeva a livello nazionale.
Nel 1957, venne introdotto lo Statuto degli impiegati civili dello stato
disciplina più completa ed organica dell’impiego pubblico che lo
differenzia chiaramente dall’impiego privato, composto da 386 articoli e

le cui modalità e garanzie sarebbero state via via sempre meglio descritte per legge”.
per alcuni aspetti tuttora in vigore. Si tratta di una disciplina minuziosa
che regola tutta la “vita” dell’impiegato e che costituisce un
ordinamento “speciale” caratterizzato dal riconoscimento di un rapporto di
supremazia, che lega il dipendente all’amministrazione di appartenenza e
nel quale non vi è posto per le fonti contrattuali di natura collettiva o
individuale.
A partire dagli anni ’70 si registra una controtendenza, un progressivo
avvicinamento tra le discipline di lavoro pubblico e privato: infatti le
organizzazioni sindacali di riferimento, forti delle conquiste ottenute nel
campo del lavoro privato, sancite dall’approvazione dello Statuto dei
lavoratori (Legge 20 maggio 1070, n.300), premono per ottenere un ruolo
rafforzato anche nel comparto del pubblico impiego.
In questo contesto, dopo una serie di tentativi di riforma di ordine
settoriale, viene emanata la Legge 29 marzo 1983, n.93 “Legge
quadro sul pubblico impiego” che introduce per la prima volta gli
accordi collettivi e dunque la contrattazione collettiva nel pubblico
impiego, pur se limitatamente a quella parte della disciplina non
soggetta alla riserva di legge o ad atti unilaterali dell’amministrazione.
Si trattava di un primo, importante, passo verso
l’omogeneizzazione delle due discipline del lavoro, nonostante la
permanenza di differenze significative tra il rapporto pubblico e quello
privato: la “fonte” contratto” si affiancava alla tradizionale fonte “legge” o
“atto normativo o amministrativo unilaterale”; si introduceva il
meccanismo del recepimento degli accordi collettivi mediante
regolamento, e dunque mentre nel lavoro privato il contratto collettivo
stipulato dalle organizzazioni sindacali delle parti contraenti è
immediatamente operativo ed efficace, nel pubblico il contratto diveniva
efficace tra le parti solo allorquando la pubblica amministrazione ne
avesse “recepito” il contenuto in una fonte regolamentare.

1.2. La privatizzazione del pubblico impiego, il Contratto


Collettivo.
Nell’ottica di una riorganizzazione della pubblica amministrazione ispirata
alla logica del new Public Management, di stampo anglosassone, si
introducono dagli anni 90, sempre più repentinamente, anche, nel settore
pubblico, i principi di efficienza propri del modello di gestione del settore
privato, al fine di ridurre le dimensioni, di decentrare, di accrescere la
flessibilità e la specializzazione delle amministrazioni pubbliche, ponendo
in primo piano l’esigenza dell’orientamento ai risultati, e dalla
rivisitazione dei rapporti con il cittadino che diventa “cliente”.
In questo contesto ricordiamo:
 La legge delega del 23 ottobre 1992, n.491, con la quale si delega il
Governo a ricondurre i rapporti di lavoro con le amministrazioni
nell’ambito del diritto civile e a prevederne la regolazione mediante
contratti collettivi e individuali, completando il disegno con la
devoluzione al giudice del lavoro delle controversie relative ai pubblici
dipendenti. Si supera quindi il precedente meccanismo di “recepimento”
dell’accordo mediante regolamento ma restano comunque fuori
dall’ambito contrattuale alcune materie o perché coperte da riserva di
legge (organizzazione degli uffici e accesso ai medesimi) o in quanto
strettamente connesse alla natura pubblica del datore di lavoro
(responsabilità disciplinare, incompatibilità e divieto di cumulo di
impieghi e incarichi).
 Decreto Legislativo 3 febbraio 1993, n.29.
La normativa così emanata riafferma la regolamentazione dei rapporti di
lavoro e di impiego tramite contratti collettivi ed individuali con
l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di garantire ai propri
dipendenti “parità di trattamento contrattuale e comunque trattamenti non
inferiori o quelli previsti dai rispettivi contratti collettivi” (art.49,
comma2). Inoltre riconosce al datore di lavoro pubblico, nelle materie
soggette alla disciplina del codice civile, i poteri del privato datore di
lavoro, con la possibilità di adottare “tutte le misure inerenti
all'organizzazione ed alla gestione dei rapporti di lavoro” (art.4, comma1).
• Legge 15 marzo 1997, n.59 (c.d. legge Bassanini). Normativa che
diede inizio ad una riforma del sistema amministrativo, volta a creare
amministrazioni più snelle, ed a un federalismo amministrativo.
Si è quindi resa necessaria un’opera di riordino e coordinamento
normativo delle disposizioni sin qui emanate che sono confluite nel Testo
Unico sul pubblico impiego:
• Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n.165 “NORME GENERALI
SULL'ORDINAMENTO DEL LAVORO ALLE DIPENDENZE
DELLE
AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE” che ha natura sostanzialmente
compilativa e che costituisce ad oggi il testo di riferimento in materia di
impiego pubblico. Si tratta di un corpus normativo che riconosce alla
contrattazione collettiva un ruolo unificante delle distinte discipline del
lavoro pubblico e privato: l’art. 2 “Fonti” del Testo unico, infatti, prevede
espressamente che “Eventuali disposizioni di legge, regolamento o
statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui
applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a
categorie di essi, possono essere derogate da successivi contratti o accordi
collettivi e, per la parte derogata non sono ulteriormente applicabili, salvo
che la legge disponga espressamente in senso contrario” con ciò
ricollocando
diversamente rispetto al modello di cui al D.Lgs. n. 29/1993, l’intervento
della legge rispetto all’autonomia collettiva.
Pur tuttavia il processo di riunificazione così descritto assume carattere di
specificità stante la natura pubblica del datore di lavoro che è obbligato in
quanto tale a perseguire fini di pubblico interesse e la cui azione è
vincolata ai principi stabiliti da norme di legge e, in primis, da quelle
costituzionali. Si pensi al sistema di accesso agli impieghi pubblici (art. 35
del Testo unico d’ora in poi Tupi) che, in virtù dell’art.97 della
Costituzione, è sottratto alle regole della privatizzazione e richiede
procedure selettive e cioè procedure amministrative di diritto pubblico
suscettibili di ricorso al giudice ammnistrativo, fatto salvo il caso delle
chiamate numeriche per le assunzioni obbligatorie previste dalla legge
sulle assunzioni obbligatorie dei disabili (Legge n.68/1999).
La flessibilità correlata al processo di privatizzazione del pubblico
impiego consente in tal modo di superare le rigidità che avevano
caratterizzato in precedenza la gestione del personale il cui inquadramento
era ancorato al sistema della pianta organica, alle qualifiche funzionali ed
al “mansionario”: si introduce il concetto di mansioni “equivalenti”, si
sostituisce alla pianta organica la “dotazione organica”, si assegna il
personale direttamente al dirigente responsabile della struttura al quale, ai
sensi dell’art.5 del Tupi, spetta assumere, in via esclusiva, nell’ambito
delle leggi e degli atti organizzativi che disciplinano gli aspetti
organizzativi, le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le
misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro “con la capacità e i
poteri del privato datore di lavoro”. Si assiste, quindi, rispetto all’assetto
determinato dalla Legge quadro n.93 del 1983 a un vero e proprio
rovesciamento di fronte: alla pubblica amministrazione si riconosce, cioè,
la capacità di diritto privato sia quando determina unilateralmente,
attraverso i poteri datoriali dei dirigenti, il funzionamento delle strutture,
sia quando si vincola negoziando, rappresentata dall’ARAN9, il contenuto
degli accordi/contratti collettivi nazionali, o sottoscrivendo direttamente
con i sindacati i contratti collettivi integrativi. In questo senso appare
superato l’impianto normativo costruito dalla citata Legge quadro che
disconosceva la natura negoziale della contrattazione collettiva
subordinandone l’efficacia al recepimento della stessa in forma
regolamentare.
• Decreto Legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 (Riforma Brunetta).
La scelta operata dal legislatore è quella di ridimensionare il ruolo della
contrattazione collettiva dalla quale sono escluse una serie di materie
(le materie che attengono all’organizzazione degli uffici, quelle oggetto di
partecipazione sindacale ai sensi dell'articolo 9, quelle afferenti alle

9
Aran: Agenzia per la rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni; istituita già dal
D.Lgs 29/1993 ed accresciuta e riconfermata nelle sue funzioni dai DD.Lgs. 165/2001 e 150/2009,
è l’Agenzia tecnica, dotata di personalità giuridica di diritto pubblico e di autonomia organizzativa,
gestionale e contabile, che rappresenta le pubbliche amministrazioni nella contrattazione collettiva
nazionale del lavoro. (fonte www.aranagenzia.it)
prerogative dirigenziali ai sensi degli articoli 5, comma 2, 16 e 17, la
materia del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali). Per
altre materie, invece, materie relative alle sanzioni disciplinari, alla
valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento
accessorio, della mobilità e delle progressioni economiche, la
contrattazione collettiva è consentita negli esclusivi limiti previsti dalle
norme di legge.
Si rovescia il rapporto tra legge e contratto: la deroga che i contratti
collettivi possono operare nei confronti delle disposizioni speciali dettate
per i dipendenti della pubblica amministrazione è consentita solo qualora
ciò sia espressamente previsto dalla legge (Art.2, comma 2, secondo
periodo, come modificato dall’art. 1, comma 1, L. n.15 del 4/3/2009)10.
Per questi motivi si può affermare che è stata operata una riduzione
dell’incidenza della contrattazione collettiva nel settore pubblico. A
ben vedere, però, tale ridimensionamento non è stato previsto in favore di
un allargamento dell’area pubblicistica, ma piuttosto in favore di un
rafforzamento del potere dirigenziale, specialmente in determinate materie
in cui la P.A. agisce con i poteri del privato datore di lavoro. Con tale
legge sono stati disciplinati numerosi aspetti della disciplina del rapporto
d’impiego, così togliendo di fatto spazio alla contrattazione collettiva. La
legge ha provveduto, infatti, a regolare materie quali i meccanismi di
valutazione dei dipendenti, l’incentivazione della produttività del lavoro,
la qualità del lavoro e la responsabilità disciplinare del dipendente,
insomma argomenti che rientrano in astratto nella competenza della
contrattazione collettiva, e che sono stati disciplinati direttamente dalla
legge. Pertanto, nel panorama attuale la contrattazione collettiva relativa al
rapporto di pubblico impiego non trae la sua legittimazione dal principio
di autonomia contrattuale ex art. 1322 c.c., ma bensì dalla disciplina
contemplata dal d.lgs n. 165/2001, così come novellato dalla riforma
Brunetta. Il perno del sistema contrattuale è costituito dal contratto
nazionale di comparto. I comparti sono settori omogenei di

10
S. Cantisani “Evoluzione della normativa sul pubblico impiego dalle origini alla riforma Madia”.
amministrazioni pubbliche, individuati e regolati sulla base di accordi le
cui parti contrattuali sono l’ARAN (agenzia per la rappresentanza
negoziale delle pubbliche amministrazioni) e le confederazioni sindacali.
E’ previsto che le pubbliche amministrazioni possano attivare autonomi
livelli di contrattazione integrativa, dunque anche per strutture periferiche,
a patto che sia rispettato il limite che tale livello di contrattazione sia
destinato ad incentivare l’impegno e la qualità della performance11.

1.3. La riforma Madia


Su questo delicato aspetto c’è una chiara inversione di tendenza rispetto
alla riforma del 2009. Il novellato art. 2, co. 2, del d.lgs. n. 165/2001,
prevede che «le disposizioni di legge, regolamento o statuto, che
introducano o che abbiano introdotto discipline dei rapporti di lavoro la
cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche,
o a categorie di essi, possono essere derogate, nelle materie affidate alla
contrattazione collettiva ai sensi dell’articolo 40, comma 1, e nel rispetto
dei principi stabiliti dal presente decreto, da successivi contratti o accordi
collettivi nazionali e per la parte derogata non sono ulteriormente
applicabili». In tal modo, non solo viene superata la formulazione
introdotta con la Legge n. 15/2009, secondo cui le normative unilaterali
potevano essere derogate da parte dei contratti solo ove ciò fosse
«espressamente previsto dalla legge», ma si va anche al di là del testo
originario del decreto del 2001, dove la derogabilità era prevista facendo
salva «la legge (che) disponesse espressamente in senso contrario». Non
è però neanche ora escluso, secondo i principi generali, che una legge
successiva deroghi al nuovo disposto del d.lgs. n. 165/2001. Viene poi
esplicitamente affermato che l’effetto derogatorio delle previsioni
contrattuali rispetto a quelle delle fonti legislative (o regolamentari) non
riguarda solo le leggi successive all’entrata in vigore del d.lgs. n.
75/2017, ma anche quelle precedenti (in particolare, quelle emanate a
partire dal 2009). Sicuramente, in riferimento al rapporto legge/contratto,

11
“Evoluzione della normativa del pubblico impiego dalle origini alla Riforma Madia”, S.Cantisani.
la scelta di tornare alla regola sistematica della derogabilità è coerente,
oltre che con l’accordo fra Governo e sindacati del 30.11.2016, con un
assetto improntato ad un principio di delegificazione organica, in virtù del
quale alla contrattazione collettiva viene assegnato un ruolo cruciale
nella disciplina di istituti necessari per una gestione moderna ed
equilibrata delle risorse umane nelle pubbliche amministrazioni: ciò
significa fare della delegificazione mediante contrattazione un punto di
fondo del nuovo testo unico sul lavoro pubblico. Questa scelta, al di là
delle norme in cui viene racchiusa la “delegificazione organica”, dovrebbe
essere conseguentemente fatta operare per tutto il lavoro pubblico
“contrattualizzato”, chiudendo la “parentesi” aperta nel 2009, e riprendendo
a dettare regole idonee a favorire reali negoziazioni in tutti i comparti e a
tutti i livelli, sostenendo, in particolare, le concrete capacità dei diversi
“attori” pubblici12.

2. Il contratto collettivo nel pubblico impiego.


Il Contratto Collettivo nel pubblico impiego è, quindi, disciplinato, ad
oggi, dal titolo terzo del D.Lgs, n.165/1 (articoli 40-50). L’art. 40, comma
1 del D.Lgs. n. 165/01, nel testo risultante dalle modifiche apportate dal
d.lgs. 25 maggio 2017, n. 75, dispone che la contrattazione collettiva
disciplina il rapporto di lavoro e le relazioni sindacali. La norma amplia
nuovamente il raggio d’azione della contrattazione collettiva, non più
chiamata solo a determinare “i diritti e gli obblighi pertinenti al rapporto
di lavoro” (come nel testo risultante dalla “riforma Brunetta”), ma a
disciplinare tutte le materie del rapporto di lavoro. Sono, invece,
esplicitamente escluse dalla regolamentazione collettiva le materie relative
agli atti macro- organizzativi pubblicistici, nonché a taluni profili
gestionali, come le prerogative dirigenziali, il conferimento e la revoca
degli incarichi dirigenziali. Sono, altresì, escluse dall’area negoziale le
materie di cui all'art. 2, comma 1, lett. c), della legge 23 ottobre 1992, n.
421, che sono le seguenti:

12
“la Riforma Madia del lavoro pubblico” L. Zoppoli; Il libro dell’anno del diritto 2018.
1) le responsabilità giuridiche attinenti ai singoli operatori
nell'espletamento di procedure amministrative;
2) gli organi, gli uffici, i modi di conferimento della titolarità dei
medesimi;
3) i principi fondamentali di organizzazione degli uffici;
4) i procedimenti di selezione per l'accesso al lavoro e di avviamento al
lavoro;
5) i ruoli e le dotazioni organiche nonché la loro consistenza
complessiva; 4 Cfr. Cass., sez. lav., 12 gennaio 2012 n. 240;
6) la garanzia della libertà di insegnamento e l'autonomia professionale
nello svolgimento dell'attività didattica, scientifica e di ricerca;
7) la disciplina della responsabilità e delle incompatibilità tra l'impiego
pubblico ed altre attività e i casi di divieto di cumulo di impieghi e
incarichi pubblici.
L’art. 40, comma 4 del d.lgs. n. 165/01 dispone che le pubbliche
amministrazioni adempiano agli obblighi assunti con i contratti collettivi
nazionali o integrativi dalla data della sottoscrizione definitiva e ne
assicurino l'osservanza nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti.

2.1 Individuazione dei soggetti legittimati a negoziare.


L’individuazione dei soggetti della contrattazione collettiva nel settore pubblico
non segue il modello del reciproco riconoscimento delle parti, ma è
predeterminata dal legislatore.
Il D. Lgs. n. 165/2001 prevede quali soggetti della contrattazione collettiva, da un
lato, l’Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni
(ARAN), dall’altro, le organizzazioni sindacali dei lavoratori dotate di
rappresentatività.
In particolare, è a carico dell’Aran l’obbligo, non solo di convocare tutte le parti
sindacali legittimate ai rispettivi livelli, quando questi debbono essere attivati ai
sensi di legge o da contratto; ma anche di condurre le trattative secondo buona
fede, salvo esporsi al rischio di un ricorso giudiziale: per l’Aran, quello ex art. 414
c.p.c., con eventuale previo utilizzo dell’art. 700 c.p.c.; per le pubbliche
amministrazioni anche quello ex art. 28 Stat. Lav.
A livello nazionale, dall’altro lato del tavolo, siedono le confederazioni sindacali
rappresentative, per gli accordi relativi alle aree dirigenziali e ai comparti o
ad istituti comuni; e le organizzazioni sindacali rappresentative con le rispettive
confederazioni, per i contratti di area dirigenziale e di comparto (art. 43, commi 1,
2, 4)13.
L’innovazione rispetto alle disposizioni dello Statuto dei lavoratori, applicabile al
settore privato (art. 19, lett. a, il quale prevede una rappresentatività presunta in
via originaria come “maggiore” a capo delle confederazioni e derivata per ciò che
concerne le federazioni), è duplice: la rappresentatività è effettiva in capo alle
organizzazioni sindacali, e derivata con riguardo alle confederazioni cui esse siano
eventualmente aderenti.
Così, le organizzazioni sindacali accedono ai tavoli di area dirigenziale e di
comparto in forza di una formula composita associativa/elettorale (art. 43, co. 1,
D. Lgs. n. 165/2001), destinata a rilevare anche in sede di calcolo della
maggioranza del 50+1% delle sigle sindacali firmatarie, richiesta per la stessa
validità ed efficacia generalizzata del contratto nazionale (art. 43, co. 3).
Le confederazioni intervengono, invece, negli accordi relativi alle aree dirigenziali
e ai comparti o ad istituti comuni se vi siano associate organizzazioni sindacali
rappresentative in almeno due aree o comparti (art. 43, co. 4, D. Lg.s n.
165/2001); nonché, come già notato, ai contratti di area dirigenziale e di
comparto, se vi siano affiliate organizzazioni sindacali rappresentative in
quell’area o comparto (art. 43, co. 2).
Tale individuazione dei soggetti a livello nazionale è rimasta essenzialmente la
stessa, anche se la pratica negoziale concreta ha segnato sostanzialmente un
ridimensionamento dell’autonomia “tecnica” dell’Aran, affiancata in sede di
contrattazione collettiva dai c.d. “comitati di settore”, ora previsti nel numero
massimo di quattro, con il potere di formulare atti di indirizzo sulle trattative e di
esprimere pareri sulle ipotesi di accordo14.
13
Cfr., P. CAMPANELLA, M.T. CARINCI, L’attuazione della legge delega “Bassanini”,
cit., p. 65; F. CARINCI, Adelante Pedro, con judicio: dall’accordo interconfederale 28
giugno 2011 al protocollo d’intesa 31 maggio 2013 (passando per la riformulazione
“costituzionale” dell’articolo 19, lettera b, st.), in DRI, 2013, p. 3 e ss.
14
Cfr. F. CARINCI, Il secondo tempo della riforma Brunetta: il d. lgs. 27 ottobre 2009, n.
150, LPA, 2010, 6, p. 1067 e ss.; F. CARINCI, S. MAINARDI, La terza riforma del lavoro
pubblico, cit., p. LVII e ss.; G. D’AURIA, La «riforma Brunetta» del lavoro pubblico, in
Nell’ambito di tali comitati, riveste un ruolo precipuo e determinante proprio il
Governo, in forza della previsione contenuta nell’art. 41, D. Lgs. n. 165/2001,
secondo cui è il Presidente del Consiglio ad intervenire in tale unità negoziali per
tutte le amministrazioni diverse dalle Regioni e dalle autonomie locali, tramite il
Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, di concerto con il
Ministro dell’economia e delle finanze; al fine di proteggere le specificità delle
differenti amministrazioni e delle diverse categorie di personale, gli indirizzi
essenziali per lo svolgimento della contrattazione sono emanati sentiti i Ministri
responsabili, le conferenze e le istanze rappresentative di volta in volta interessate.
Le Regioni, invece, possiedono un proprio autonomo comitato, creato nell’ambito
della propria Conferenza, con riguardo anche al personale dipendente dal servizio
sanitario nazionale (con la partecipazione, però, di almeno un rappresentante
governativo, designato dal Ministro del lavoro).
Le autonomie locali, infine, costituiscono le loro unità nell’ambito dell’Anci e
dell’Upi, con l’aggiunta dell’Unioncamere, operante anche rispetto ai segretari
comunali e provinciali; i loro atti di indirizzo, comunque, devono essere
previamente trasmessi al Governo, per una valutazione circa la loro compatibilità
con la politica economica finanziaria nazionale15.
Con riferimento alla contrattazione del livello integrativo, invece, i soggetti titolati
a partecipare alle negoziazioni sono previsti dai contratti collettivi nazionali (art.
40, co. 3-bis e 42, co. 5, D. Lgs. n. 165/01), con alcune precisazioni previste dalla
legge: da un lato, infatti, le amministrazioni possono farsi rappresentare dall’Aran
(art. 46, co. 2, D. Lgs. n. 16572001) e, se si stratta di Regioni a statuto speciale o
provincie autonome, possono avvalersi di proprie agenzie tecniche (art. 46, co. 13,
D. Lgs. 165/2001); dall’altro, le RSU elette con voto segreto e metodo
proporzionale (art. 42, co. 4, D. Lgs. n. 165/2001), sembrano investite del potere
negoziale, con l’eventuale integrazione dei rappresentanti delle organizzazioni
sindacali firmatarie del contratto nazionale, se ed in quanto prevista dagli appositi

Giornale Dir. Amm., 2010, 1, p. 5 e ss.;


M. D’ONGHIA, ult. op. cit., p. 394-395.
15
Sul punto, si v. le considerazioni svolte da M. DELFINO, Comitati di settore e
rappresentanza negoziale delle amministrazioni pubbliche, in L. ZOPPOLI (a cura di),
Ideologia e tecnica nella riforma del lavoro pubblico, Napoli, 2009, p. 191 e ss.; M.
D’ONGHIA, ult. op. cit., p. 367 e ss.
accordi regolanti l’istituto (art. 42, co. 7, D. Lgs. n. 165/2001).
L’art. 5, co. 3, dell’accordo collettivo quadro per la costituzione delle
rappresentanze sindacali unitarie per il personale dei comparti delle pubbliche
amministrazioni prevede che «nella contrattazione collettiva integrativa i poteri e
le competenze contrattuali vengono esercitate dalle RSU e dai rappresentanti delle
organizzazioni sindacali di categoria firmatarie del relativo CCNL di comparto»,
senza alcuna precisazione, peraltro, rispetto al “peso” delle RSU e delle singole
organizzazioni sindacali ai fini dell’approvazione dei testi negoziali 16.
Tale previsione in materia di RSU anticipa quanto previsto nel settore privato
dagli accordi interconfederali, per il passaggio al metodo proporzionale puro, con
conseguente abbandono del criterio del terzo riservato; ma non senza un
significativo distinguo: nel settore pubblico c’è la compresenza di RSA e RSU,
mentre in quello privato c’è la temporanea esistenza alternativa di RSA e RSU,
ma in vista di una definitiva presenza esclusiva delle RSU.

2.2. Tipologie delle procedure negoziali nel settore pubblico.

Le procedure negoziali collettive nel sistema di lavoro pubblico non sono rimesse
alla codeterminazione delle parti, se non nei limiti delle previsioni devolutive
della legge.
A livello nazionale, la procedura di contrattazione è stata oggetto di una continua
e tormentata revisione legislativa, soprattutto con riferimento al quantum di
autonomia concesso alle parti contraenti nella distribuzione delle risorse
finanziarie già predeterminate; si è poi assestata, a seguito della
«riforma Brunetta», su una disciplina che rafforza il controllo “interno” di fonte
governativa e conferma quello “esterno” della Corte dei Conti.
Una volta approvata l’ipotesi di accordo con la maggioranza del 50%+1, è
necessario che l’Aran acquisisca innanzitutto i pareri favorevoli dei Comitati di
settore designati dal Governo; poi, viene trasmessa la quantificazione dei relativi

16
Cfr. P CAMPANELLA, Rappresentatività sindacale. fattispecie ed effetti, Milano,
2000, con un’analisi puntuale e completa del tema. Più di recente, si v. A. ALAIMO, La
contrattazione collettiva nel settore pubblico tra vincoli, controlli e “blocchi”: dalla
“riforma Brunetta alla “manovra finanziaria 2010, cit..
costi alla Corte dei conti, per ottenerne una certificazione positiva, esplicita o
tacita (per decorrenza del termine prescritto di 15 giorni), della loro attendibilità e
piena compatibilità con gli strumenti di programmazione e di bilancio, senza la
quale non può procedere alla sottoscrizione definitiva, ma deve riaprire la
trattativa, in vista di una nuova ipotesi di accordo (art. 47, D. Lgs. n. 165/2001).
Per quanto attiene il livello integrativo, invece, la procedura è stata ancor più
rimaneggiata, con una crescente diffidenza nei confronti della stessa, fondata sul
ritenuto rischio di una deriva travalicante i limiti di competenza e spesa, fino a
rendere comprensibile, se pur non necessariamente giustificabile, la rigida
“stretta” apportata dalla «riforma Brunetta».
Per quanto la sua regolazione sia rimessa esplicitamente ai contratti collettivi
nazionali (art. 40, co. 3-bis, e 43, co. 5, D. Lgs. n. 165/2001), la legge interviene a
modularla distintamente a seconda della natura e della dimensione delle
amministrazioni pubbliche, ma sempre in vista di una previa attività di controllo
interna e/o esterna sulla compatibilità economico-finanziaria dei testi negoziali
(art. 40-bis, co. 1 e 2, D. Lgs. n. 165/2001)17.
Alla luce della complessità e dell’articolatezza della procedura negoziale come
costruita prima dell’intervento della «riforma Brunetta», era possibile, se non
addirittura frequente, giungere ad una fase di stasi, di blocco della negoziazione,
comportante un rinvio sine die dei rinnovi: a tali inconvenienti la riforma ha
reagito con il rimedio costituito dal concedere alla controparte pubblica una
facoltà di regolazione provvisoria da esercitare con riguardo ai comparti, pure in
presenza della riserva esclusiva prevista a favore della contrattazione collettiva 18.
Così, lo stesso art. 2, co. 3, terzo periodo, D. Lgs. n. 165/2001, dopo aver previsto
che «l’attribuzione dei trattamenti economici può avvenire esclusivamente
mediante contratti collettivi», fa salvi «i casi previsti dal comma 3 ter […]
dell’art. 40 e le ipotesi di tutela delle retribuzioni di cui all’art. 47 bis».
17
Cfr. A. VISCOMI, Lost in transition: la contrattazione integrativa nelle pubbliche
amministrazioni tra riforme incompiute e crisi emergenti, in LPA, 2013, p. 249 e ss.

18
Per un’analisi più dettagliata dei profili in commento, si v. A. ALAIMO, La contrattazione
collettiva pubblica, cit., ; G. NATULLO, P. SARACINI, Vincoli e ruoli della contrattazione
integrativa, in L. ZOPPOLI, Ideologia e tecnica, cit., p. 61 e ss.; V. TALAMO, La riforma
del sistema di relazioni, cit.; A. VISCOMI, La contrattazione collettiva nazionale, in L.
ZOPPOLI, Ideologia e tecnica, cit., p. 41 e ss.
Con riferimento al livello nazionale, l’art. 47-bis sancisce che, qualora sia decorso
un periodo di sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge finanziaria di
autorizzazione alla spesa da sostenersi per il rinnovo dei contratti di comparto e di
area, «gli incrementi previsti per il trattamento stipendiale possono essere erogati
in via provvisoria previa deliberazione dei rispettivi comitati di settore, sentite le
organizzazioni sindacali rappresentative, salvo conguaglio all’atto della
stipulazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro».
Inoltre, con riferimento al livello integrativo, l’art. 40. D. Lg.s, n. 165/2001, al suo
co. 3-bis, sancisce che una volta scaduto il termine fissato dal contratto nazionale
per lo svolgimento del negoziato decentrato, entrambe «le parti riassumono le
rispettive prerogative e libertà di iniziativa e decisione». Poi, però, al successivo
co. 3-ter, prevede che, qualora non sia concluso l’accordo, l’amministrazione
interessata non può procedere da sola in via definitiva, ma solo «provvedere in via
provvisoria, sulle materie oggetto del mancato accordo, fino alla successiva
sottoscrizione».
Ciò che emerge, dunque, è la possibilità di un contrasto fra l’uno e l’altro comma
circa lo scenario dischiuso dallo stallo negoziale, risolvibile solo distinguendo il
rispettivo ambito applicativo: il comma 3-bis si riferirebbe così al trattamento
normativo, modificabile definitivamente; il co. 3-ter, invece, riguarderebbe il
trattamento economico, rivedibile solo provvisoriamente.
L’effetto è stato quello di perturbare notevolmente la mobilitazione sindacale,
potendo scegliere di “sedarla” tramite il ricorso al parte della richiesta, oppure
stimolandola, alimentando l’aspettativa della parte residua19.

2.3. Il procedimento di stipulazione


Il procedimento, che porta alla stipulazione dei contratti collettivi
nazionali di lavoro del settore pubblico, vede la presenza di quattro
soggetti:
a) l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche
amministrazioni (ARAN);

19
Cfr., S. MAINARDI, Legge 15/2009 e decreti di attuazione: il rapporto fra fonte legislativa
e contrattazione collettiva nazionale e integrativa, in G. ZILIO GRANDI (a cura di), Il lavoro
negli Enti locali: verso la riforma Brunetta, Torino, 2009, p. 1 e ss.
b) i comitati di settore;
c) le organizzazioni sindacali;
d) la Corte dei Conti in sede di controllo.
a) L’ARAN.
Le pubbliche amministrazioni, secondo quanto disposto dall’art. 46,
comma 1 del d.lgs. n. 165/01, sono legalmente rappresentate dall'Agenzia
per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN)
agli effetti della contrattazione collettiva nazionale. La norma delinea un
regime del tutto obbligato, che non consente alcuna deviazione dallo
schema procedimentale previsto.
La rappresentanza obbligatoria dell’ARAN riguarda solo la contrattazione
nazionale di comparto, mentre a livello decentrato/integrativo l’ARAN è
chiamata unicamente a compiti di assistenza. L'ARAN ha personalità
giuridica di diritto pubblico (art.
46, comma 10 del d.lgs. n. 165/01), che si esprime con i poteri di
autonormazione e di autorganizzazione e con la sottoposizione alla
normativa pubblicistica in materia di bilanci e controlli.
b) I comitati di settore.
L’art. 41, comma 1 del d.lgs. n. 165/01 dispone che le pubbliche
amministrazioni esercitano il potere di indirizzo nei confronti dell'ARAN
e le altre competenze relative alle procedure di contrattazione collettiva
nazionale attraverso le loro istanze associative o rappresentative, le quali
danno vita a tal fine a comitati di settore. Dalla lettera della norma può
dedursi che la costituzione di comitati di settore sia presupposto necessario
affinché l’amministrazione possa esercitare il potere d’indirizzo nei
confronti dell’ARAN e, quindi, elemento indispensabile per lo
svolgimento dell’intera procedura contrattuale. I commi 2 e 3 del citato
art. 41 prevedono i seguenti comitati di settore:
• nell'ambito della Conferenza delle Regioni, per le amministrazioni
regionali e per le amministrazioni del Servizio sanitario nazionale;
• nell’ambito dell'Associazione nazionale dei comuni d'Italia - ANCI e
dell'Unione delle province d'Italia - UPI e dell'Unioncamere, per gli enti
locali, le camere di commercio e i segretari comunali e provinciali;
• il Presidente del Consiglio dei Ministri tramite il Ministro per la
pubblica amministrazione e l'innovazione, di concerto con il Ministro
dell'economia e finanze, per tutte le altre amministrazioni. Oltre agli
atti di indirizzo i comitati di settore svolgono l’altra importante funzione di
esprimere il parere sull’ipotesi di accordo raggiunta tra l’ARAN e le
organizzazioni sindacali.
c) Le organizzazioni sindacali.
L’art. 43 del d.lgs n. 165/01 disciplina la rappresentatività sindacale ai fini
della contrattazione collettiva nel settore pubblico. Il comma 1 di tale
disposizione prevede che l'ARAN ammetta alla contrattazione collettiva
nazionale le organizzazioni sindacali, che abbiano nel comparto o nell'area
una rappresentatività non inferiore al cinque per cento, considerando a tal
fine la media tra il dato associativo e il dato
elettorale. La combinazione tra dato associativo e dato elettorale, ha la
finalità di conciliare rappresentatività e pluralismo: in altri termini, essa è
idonea a favorire un’effettiva aggregazione della rappresentanza,
rispettando altresì il principio del pluralismo sindacale. Per quanto
concerne la contrattazione collettiva integrativa, l’art. 40, comma 3-bis del
d.lgs. n. 165/01 rimette ai contratti collettivi nazionali la determinazione
dei soggetti legittimati alla contrattazione collettiva integrativa.
d) La Corte dei Conti.
In sede di controllo L’art. 47 del d.lgs. n. 165/01 assegna alla Corte dei
Conti il controllo della compatibilità economico finanziaria dei contratti
collettivi nazionali. L’intervento della Corte dei Conti, atipico rispetto al
modello di contrattazione collettiva del settore privato, costituisce una
peculiarità ineliminabile della contrattazione collettiva pubblica, che, a
differenza di quella privata, impegna danaro pubblico ed è sottoposta a
vincoli di spesa.
Il procedimento relativo alla contrattazione collettiva nazionale è disciplinato
dall’art. 47 del d.lgs. n. 165/01. Lo svolgimento della contrattazione vera e propria
è anticipato da una fase “precontrattuale”, in cui il Governo individua le risorse
finanziarie destinate alla contrattazione collettiva e i comitati di settore,
deliberando gli atti di indirizzo da inviare all’ARAN. L’art. 47, comma 1 prevede,
infatti, che gli indirizzi per la contrattazione collettiva nazionale siano emanati dai
comitati di settore prima di ogni rinnovo contrattuale e sottoposti al Governo, che,
in non oltre venti giorni, può esprimere le sue valutazioni sulla compatibilità con
le linee di politica economica e finanziaria nazionale. Trascorso inutilmente il
citato termine l’atto di indirizzo può essere inviato all’ARAN.
L’ARAN, una volta ricevuti gli atti di indirizzo, convoca le organizzazioni
sindacali di comparto maggiormente rappresentative, ai sensi dell’art. 43 del d.lgs.
n. 165/01, e dà avvio alle trattative sindacali. Le trattative si concludono con
un’ipotesi di accordo contrattuale, che l’ARAN deve inviare entro dieci giorni
dalla data di sottoscrizione al Governo e ai comitati di settore per il rilascio del
parere favorevole, da considerarsi, ai sensi dell’art. 41, comma 1 del d.lgs. n.
165/01, definitivo, nel senso che non richiede la ratifica da parte delle istanze
associative o rappresentative del comparto. Dopo aver acquisito il parere
favorevole dei comitati di settore, l’ARAN, in base alla previsione dell’art. 47,
comma 5 del d.lgs. n. 165/01, trasmette la quantificazione dei costi contrattuali
alla Corte dei Conti ai fini della certificazione di compatibilità con gli strumenti di
programmazione e di bilancio. La Corte dei Conti delibera entro quindici giorni
dalla predetta trasmissione, decorsi i quali la certificazione si intende effettuata
positivamente. Il comma 7 dell’art. 47 prevede, invece, che nel caso di
certificazione negativa le parti contraenti non possono procedere alla
sottoscrizione definitiva dell’ipotesi di accordo. In tale evenienza il Presidente
dell'ARAN, d’intesa con il competente comitato di settore, provvede alla
riapertura delle trattative e alla sottoscrizione di una nuova ipotesi di accordo,
adeguando i costi contrattuali ai fini della certificazione.

2.4. Diritti e doveri delle parti contraenti.

Il lavoro del dipendente delle pubbliche amministrazioni è un rapporto di


lavoro subordinato, strettamente personale, bilaterale e di subordinazione
gerarchica, avente oggetto la prestazione di un’attività rivolta al
conseguimento dei fini dell’ente pubblico. E’ disciplinato da varie fonti
normative in sequenza gerarchica: Carta Costituzionale, legge, codice
civile, contratto collettivo, contratto individuale.
Il CCNL è il contratto stipulato a livello nazionale, ai sensi degli artt. 39
e 40 Cost., tra ARAN) e le organizzazioni sindacali dei lavoratori e regola
il sistema di relazioni a livello nazionale, territoriale e aziendale. Il
contratto collettivo nazionale ha forza di legge tra le parti ed il campo di
applicazione è stabilito dalle parti contraenti: è vincolante, cioè, per gli
aderenti alle associazioni stipulanti (art. 1372 c.c.), eppure è efficace erga
omnes, quindi anche verso i dipendenti non iscritti al sindacato e dalla
adesione del datore di lavoro ai medesimi contratti20.
Il CCNL costituisce la base per determinare il minimo contrattuale dovuto
(art. 36 Cost.).
L’Accordo Interconfederale 23-07-1993 aveva fissato in quattro anni la
durata (normativa) dei contratti e previsto una sessione intermedia ogni
due anni per il rinnovo della parte economica. Con l’Accordo 22- 01-2009,
esteso al pubblico impiego, la vigenza dei contratti collettivi nazionali è
stata portata a tre anni sia per la parte normativa che per quella economica
(art. 63 D.Lgs n. 150/2009).
Considerato il rilievo costituzionale della prestazione lavorativa, il CCNL
è ultra-attivo nell’aspetto economico ovvero, anche dopo la scadenza,
conservano efficacia le clausole attinenti alla retribuzione ed è prevista,
inoltre, l’indennità di vacanza contrattuale al fine di preservare la
retribuzione dagli effetti dell’inflazione.
Le clausole retributive, cioè, andrebbero intese come risultato negoziale
stabile sino al delinearsi di fatti incompatibili con il perdurare del CCNL
ovvero di un nuovo CCNL. Il principio sarebbe la conservazione del
diritto ad un’esistenza libera e dignitosa.
Peraltro, la tutela fornita al lavoratore nel ricevere quella parte di
retribuzione per prestazioni già effettuate è giuridicamente qualificabile

20
E.Ghera “Diritto del lavoro. Il rapporto di lavoro”, Bari, 2006.
“diritto quesito”21.
Il termine finale apposto ad un contratto aziendale o collettivo attiene
all'impegno (programmatico più che giuridico) di astensione da ulteriori
rivendicazioni fino alla data concordata, in applicazione del contratto
stesso22.
Vale il principio della libertà di forma ed il contenuto, così come l’ambito
territoriale di efficacia, è liberamente determinato dai contraenti nei limiti
dell’ordinamento e della legge (art. 1322 c.c.): durata massima della
giornata lavorativa, riposo settimanale e ferie annuali retribuite (art. 36 co.
2 e 3 Cost.), tutela della donna (art. 37), mezzi adeguati alle esigenze di
vita in caso di infortunio, malattia (salvo superamento del periodo di
comporto), invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria (art. 38 co.
2).
E’ inderogabile ope legis (imperativo, artt. 1339, 1418, 1419 c.c.): ad esso
risultano applicabili le norme codicistiche sui contratti e sul lavoro (artt.
1321, 2077 e 2113 c.c.), lo Statuto dei lavoratori e le leggi in materia di
licenziamenti.
Pur perseguendo interessi privati ed emanato da soggetti privati, il
CCNL è equiparabile, di fatto, ad una legge ordinaria.
Il contratto collettivo deve essere interpretato, tenendo conto dei rapporti
gerarchici, con sola possibilità di deroga in melius, o, in mancanza,
secondo il criterio della successione temporale tra le fonti: la comune
volontà delle parti va ricercata riferendosi all'elemento letterale delle
clausole, al comportamento complessivo delle parti (anche nelle trattative
e successivamente alla conclusione del CCNL), al contesto contrattuale,
ovvero alle dichiarazioni a verbale fatte dalle parti nel testo del CCNL,
con la finalità di chiarire il significato e la portata della clausola.
Peraltro, si prevede che le parti contraenti si incontrino per definire
consensualmente il significato delle clausole controverse (art.
61 D.Lgs “Brunetta” n. 150/2009).

21
“Diritti quesiti”: costituiscono una serie di diritti o situazioni soggettive che sono divenute
immutabili nel tempo: non sono toccati da eventuali modificazioni legislative.
22
G.Giugni, “Diritto sindacale”, Bari, 2006.
Le disposizioni dei contratti collettivi, in altri termini, non si incorporano
nel contenuto dei contratti individuali, dando luogo a diritti quesiti
sottratti al potere dispositivo delle organizzazioni sindacali, ma operano
dall'esterno sui singoli rapporti di lavoro come fonte eteronoma di
regolamento, concorrente con la fonte individuale: nell'ipotesi di
successione fra contratti collettivi, le disposizioni anteriori non sono
suscettibili di essere conservate.
Il D.Lgs n. 150/09 ha riformato diversi aspetti della contrattazione
collettiva nel settore pubblico: tra questi, misurazione, valutazione e
trasparenza della performance (artt. 2/16), merito e premi (artt.
17/31), ordinamento alle dipendenze delle P.A. (artt. 32 ss.), rinnovo,
revoca e sanzioni per l’incarico dirigenziale (art. 41), mobilità
intercompartimentale (art. 48), trattamento economico accessorio “di
risultato” collegato al raggiungimento degli obiettivi connessi all'incarico
(art. 52), controlli sulle assenze.
A tale ultimo riguardo, costituisce illecito disciplinare l’omesso invio
telematico del certificato medico all’INPS: configurabili responsabilità
anche per il concorrente, sanzionate con pene detentive e pecuniarie, con
l’ulteriore risarcimento del danno patrimoniale e all’immagine (art. 55-
quinquies D.Lgs 165/2001).
Si prevede, altresì, che le fasce orarie di reperibilità per le visite siano
stabilite con Decreto Ministeriale e l’obbligo, per i pubblici dipendenti
contrattualizzati ed a diretto contatto con i cittadini-utenti, di farsi
riconoscere attraverso l’uso di cartellini identificativi o targhe presso la
postazione (art. 69 D.Lgs n. 150). Tale norma, invece, non si applica ai
magistrati e agli avvocati dello Stato, ai professori universitari, al
personale appartenente alle forze armate e alle forze di polizia, al corpo
nazionale dei vigili del fuoco, al personale delle carriere diplomatica e
prefettizia.
Sul piano negoziale, per effetto della riforma del rapporto di pubblico
impiego, le P.A. attivano autonomi livelli di contrattazione collettiva
integrativa, nel rispetto dei vincoli di bilancio risultanti dagli strumenti di
programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione,
assicurando adeguati livelli di efficienza e produttività dei servizi pubblici.
In riferimento alla vexata quaestio delle mansioni, va subito affermato che
il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è
stato assunto o alle mansioni equivalenti nell’ambito dell’area di
inquadramento ovvero a quelle, corrispondenti alla qualifica superiore, che
abbia successivamente acquisito per effetto delle procedure selettive.
L’esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di
appartenenza non ha effetto ai fini dell’inquadramento del lavoratore o
dell’assegnazione di incarichi di direzione. Ciò anche in ossequio degli
artt. 97 (rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e
responsabilità dei funzionari) e 98 Cost. (il pubblico impiego non può
essere ridotto alla logica del rapporto di scambio).
Tuttavia, per il periodo di effettiva e temporanea prestazione delle
mansioni superiori, il dipendente ha diritto al trattamento economico
previsto per la corrispondente qualifica (d.lgs 29-10-1998 n. 387, d.lgs 3-
02-1993 n. 29) (6), diversamente da quanto si sosteneva in precedenza.
Attualmente, il CCNL-tipo si articola in vari punti: campo di applicazione;
durata, decorrenza, tempi e procedure di applicazione del contratto; codice
disciplinare (o di comportamento); rapporto tra procedimento disciplinare
e procedimento penale; sospensione cautelare in caso di procedimento
penale; stipendi tabellari; effetti dei nuovi stipendi; incrementi delle
risorse decentrate; integrazione della disciplina della progressione
economica orizzontale all’interno della categoria; clausola di rinvio.
Va tenuto presente che gli atti compiuti dalla persona fisica preposta
all’organo vengono imputati direttamente all’Ente cui fa riferimento
l’organo (rapporto organico).
Le conseguenti responsabilità del dipendente pubblico possono essere di
tipo penale, civile, amministrativo (contabile) e disciplinare.
In tale ultimo caso, va precisato che il tipo e l’entità delle sanzioni
disciplinari sono determinati nel rispetto del principio di gradualità e
proporzionalità in relazione alla gravità della mancanza (art. 55 D.Lgs. n.
165/2001), secondo criteri generali (elemento soggettivo psicologico,
rilevanza degli obblighi violati, responsabilità connesse alla posizione di
lavoro occupata, grado di danno o di pericolo causato, circostanze
aggravanti o attenuanti, recidiva) e cioè: rimprovero, trattenuta di ore di
retribuzione, sospensione del servizio con privazione retributiva per più
giorni, licenziamento disciplinare (falsa attestazione della presenza in
servizio, falsità documentali o dichiarative, assenza priva di valida
giustificazione, reiterazione di gravi condotte aggressive, moleste,
minacciose, ingiuriose, condanna penale definitiva) anche senza preavviso.
In caso di condotte pregiudizievoli per la P.A., la sanzione è la
sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da tre giorni a
tre mesi (art. 55 sexies) ovvero il collocamento in disponibilità. Il mancato
esercizio o la decadenza dell’azione disciplinare comporta, per il
soggetto che avrebbe dovuto agire, la sanzione della sospensione dal
servizio con privazione della retribuzione fino a tre mesi e di quella di
risultato.
Il procedimento disciplinare (art. 69 D.Lgs n. 150/09) prevede la
contestazione scritta dell’addebito, da parte del responsabile con qualifica
dirigenziale della struttura (l’ufficio competente viene individuato da
ciascuna P.A. secondo il proprio ordinamento), non oltre venti giorni
dalla notizia e la convocazione per il contraddittorio con un preavviso di
almeno dieci giorni. Il dipendente può inviare una memoria scritta o
formulare motivata istanza di rinvio.
Il procedimento disciplinare è proseguito e concluso anche in pendenza del
procedimento penale: se quest’ultimo si risolve con sentenza irrevocabile
di assoluzione, su istanza di parte entro sei mesi, viene riaperto il
procedimento disciplinare.
La contrattazione collettiva non può istituire procedure di impugnazione
dei provvedimenti disciplinari (art. 68): si possono, invece, disciplinare
procedure di conciliazione non obbligatoria, fuori
dei casi per i quali è prevista la sanzione disciplinare del licenziamento23.
23
Altalex.com : “Diritto del lavoro e della previdenza”, Pubblico impiego e contrattazione Collettiva .
A.M.Basso.
3. Lo sblocco della contrattazione collettiva nel settore pubblico.
La contrattazione collettiva del lavoro pubblico è rimasta ferma dal 2010
al 2015: il blocco delle procedure contrattuali e negoziali fu disposto per
ragioni di contenimento della spesa pubblica dall’art. 9, comma 17 della
legge 30 luglio 2010, n. 122 per il triennio 2010-2012
e confermato con d.p.r. 4 settembre 2013, n. 122 per il biennio 2013-
2014 e con la legge 23 dicembre 2014, n. 190 per l’anno 2015. La
Corte Costituzionale, con la sentenza n. 178 del 24 giugno 2015, ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale sopravvenuta di tale apparato
normativo, in quanto il carattere sistematico del blocco della
contrattazione collettiva sconfina in un bilanciamento irragionevole tra
libertà sindacale (art. 39, comma 1 Cost.) ed esigenze di controllo della
spesa (art. 81, comma 1 Cost.), ed ha apertamente invitato il legislatore a
rimuovere la compressione protratta nel tempo della sovranità contrattuale
e a ristabilire l’originario equilibrio tra le fonti, che aveva caratterizzato
l’avvio del processo di privatizzazione del lavoro pubblico. Il 13 luglio
2016 è stato sottoscritto il contratto collettivo nazionale quadro per la
definizione dei comparti di contrattazione per il triennio 2016-2018, che,
in adesione ai dettami del d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, ha ridotto il
numero dei comparti di contrattazione, individuandone quattro:
1) Funzioni centrali;
2) Funzioni locali;
3) Istruzione e ricerca (in cui rientra il personale tecnico amministrativo
delle Università);
4) Sanità.
I comparti sono così passati dai dieci del precedente contratto collettivo
quadro dell’11 giugno 2007 a quattro: quelli delle Funzioni centrali e della
Sanità mantengono la stessa configurazione dei comparti preesistenti;
quelli delle Funzioni locali e dell’Istruzione e ricerca sono, invece, il
risultato dell’aggregazione di vari precedenti comparti, avente l’obiettivo
di perseguire una maggiore uniformità di regole e un più penetrante
controllo della spesa. Nel corso dell’anno 2017 è, quindi, ripartita la
negoziazione e nei primi mesi del 2018 sono stati sottoscritti i contratti
collettivi nazionali relativi alla tornata 2016-2018: quello del comparto
Istruzione e ricerca reca la data del 19 aprile 2018. L’ultimo contratto
collettivo del comparto Università era quello relativo al biennio
economico 2008-2009, risalente al 12 marzo 2009. Il personale tecnico
amministrativo delle Università è confluito nel comparto Istruzione e
ricerca, il cui CCNL della tornata 2016-2018 si compone di una parte
comune e quattro sezioni, tra cui la sezione Università e Aziende
ospedaliero-universitarie (articoli 42- 67)

3 Conclusioni.
Tutte le politiche salariali del secolo scorso (e anche la stessa scala
mobile) erano agganciate al recupero dell’inflazione. Ma attualmente
l’inflazione si è talmente abbassata da dare luogo a fenomeni di deflazione
e non può più essere usata per definire la crescita dei salari
Nel modello dell’accordo del 23 luglio 1993, il contratto nazionale
sostitutiva la scala mobile, dovendo anticipare l’inflazione maturanda, per
cui la crescita salariale, definita tramite il CCNL, assumeva carattere solo
nominale limitandosi al mero recupero del potere d’acquisto dei salari.
Diversamente, la contrattazione aziendale era incaricata di redistribuire la
produttività maturata, permettendo ai salari di crescere anche in termini
reali. Il salario reale è tenuto quindi a crescere nella stessa misura della
produttività. Naturalmente proprio queste caratteristiche segnano
l’obsolescenza di quel modello
contrattuale che ha un senso solo ad alti livelli di inflazione e in situazione
di produttività crescente. Se l’inflazione è piatta e il sistema produttivo
stagnante, il salario è destinato a non crescere più, né in termini nominali,
né in termini reali, perché a livello nazionale non c’è più nulla da
recuperare e a livello decentrato non esiste più nulla da redistribuire.
Più in generale, la regola aurea per cui i salari reali debbono crescere nella
stessa misura della produttività non basta più, perché la crescita zero della
produttività lima il potere di acquisto dei salari, ha effetti recessivi e
blocca la spinta all’innovazione del sistema produttivo, producendo
stagnazione nei consumi e incidendo sullo sviluppo della produzione e
sull’ampliamento dell’occupazione.
Il sistema è bloccato e non si intravedono strade, anche per il mancato
decollo della contrattazione aziendale, che la Commissione Giugni –
costituita proprio per monitorare il Protocollo del 1993 – aveva
considerato snodo decisivo per assicurare dinamismo e crescita del
sistema (vedi grafico 1).

(Grafico 1, fonte: elaborazione dati Aran su dati Istat)


Il settore pubblico si comporta in modo diverso rispetto alla contrattazione
aziendale del settore privato, in quanto redistribuisce risorse che non crea
e che vengono appostate attraverso decisioni
politiche (con la legge di bilancio, gli atti di indirizzo definiti
propedeuticamente all’avvio delle trattative in sede Aran, o storni di
bilancio definiti a livello locale per le amministrazioni più ricche).
Inoltre, come pure si è messo in evidenza, finisce spesso per congelarle in
voci di spesa fisse o continuative, ovvero le cede senza reali contropartite
in termini di recuperi di efficienza. La contrattazione collettiva pubblica è
quindi alla faticosa ricerca di una identità. Ma mentre è chiaro a tutti che
una fase si è conclusa, non pare altrettanto chiara la direzione da
assumere13.

Bibliografia:
• Melis G., “Storia dell’amministrazione italiana” (1861-1993),
Bologna 2006.
• V.Maio, “L’origine del sindacato”, videolezioni, slide Unitelma
Sapienza.
• www.aranagenzia.it .
• S. Cantisani, “Evoluzione della normativa sul pubblico impiego, dalle
origini alla riforma Madia”
• L.Zoppoli, “La riforma Madia del lavoro pubblico”; il libro
dell’anno del diritto 2018.
• L. Busico, Tesi Università di Pisa “La contrattazione collettiva nel
pubblico impiego privatizzato”.
• E.Ghera, “Diritto del lavoro, il rapporto di lavoro” Bari 2006.
• G.Giugni, “Diritto sindacale”.
• A.M.Basso, “Diritto del lavoro e della previdenza – pubblico
impiego e contrattazione collettiva”.
• P.Mastrogiuseppe (Aran); V.Talamo (Dipartimentodella Funzione
pubblica, Presidenza del consiglio dei Ministri), rivista
quadrimestrale dell’Inaipp “Contrattazione collettiva nel lavoro pubblico e
concertazione sociale”.

Potrebbero piacerti anche