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2
Cfr. M. MEZZACAPO, Ibidem, pagg. 2045 – 2082.
3
Corte Costituzionale, sent. n. 178 del 24 giugno 2015.
presentate dall’esecutivo e resta la sola legittimata ad interpretare la volontà
popolare e a realizzare la sintesi degli interessi generali; dall’altro lato, la Consulta
ha affermato che gli accordi di concertazione non sono riconducibili nell’area
dell’art. 39 Cost. in quanto: in primo luogo, sono diversi dai contratti collettivi sul
piano strutturale in quanto accordi di tipo trilaterali; secondo poi, sul piano
funzionale, sono distanti dal disposto costituzionale in quanto le parti realizzano
uno scambio non solo economico, come nel contratto collettivo, ma anche di tipo
politico4.
Con riferimento ai principi di matrice internazionale ed europea.
L’attività di contrattazione collettiva è una libertà tutelata dalla Convenzione
Europea dei Diritti dell’Uomo all’art. 115.
L’attività di contrattazione collettiva, quale momento preliminare alla stipula del
contratto collettivo, unitamente al diritto di organizzazione sindacale, è
ulteriormente garantita dalla Convenzione OIL15 n. 98, che risale al 1949 6 ed è
stata oggetto di ratifica da parte di 123 Paesi.
In tale documento, il concetto di contrattazione collettiva è stato identificato in
maniera generale dalla convenzione n. 98, come negoziazione volontaria tra datori
di lavoro e lavoratori, per il tramite dei loro rappresentanti, con il fine di regolare i
termini e le condizioni di lavoro attraverso accordi collettivi generalmente
applicabili.
La Convenzione n. 98 è stata poi completata dalla Convenzione n. 154 del 1981,
che è stata oggetto di ratifica da parte di 17 Paesi, e dalla Raccomandazione n.
163, che promuove in maniera espressa la contrattazione collettiva.
4
Corte Costituzionale, sent. n. 34 del 7 febbraio 1985.
5
Art. 11 Convenzione Europea Diritti dell’Uomo:” Ogni persona ha diritto alla libertà di
riunione pacifica e alla libertà d’associazione, ivi compreso il diritto di partecipare alla
costituzione di sindacati e di aderire a essi per la difesa dei propri interessi”.
6
Art. 2 Convenzione OIL n. 98 del 1949: ”I contratti ai quali si applica la presente convenzione
dovranno contenere delle clausole che garantiscano ai lavoratori interessati salari (incluse le
indennità), durata di lavoro e altre condizioni di lavoro non meno favorevoli di quelle stabilite per
un lavoro dello stesso genere nella professione o nell’industria interessate della stessa regione: a)
sia per mezzo di contratti collettivi o per mezzo di un’altra procedura concordata di
contrattazione fra organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori che rappresentano
rispettivamente una proporzione considerevole dei datori di lavoro e dei lavoratori della
professione o dell’industria interessate; b) sia per mezzo di sentenza arbitrale; c) sia per mezzo
della legislazione nazionale.
La Carta Sociale Europea del 1961 all’art. 6 sancisce parimenti il diritto di
contrattazione collettiva.
Proseguendo con la disamina dei principi internazionali in ambito di
contrattazione collettiva, l’art. 27 della Carta di Nizza sancisce che ”ai lavoratori
o ai loro rappresentanti devono essere garantite, ai livelli appropriati,
l'informazione e la consultazione in tempo utile nei casi e alle condizioni previsti
dal diritto dell'Unione e dalle legislazioni e prassi nazionali”; ed inoltre, l’art. 28
statuisce che “i lavoratori e i datori di lavoro, o le rispettive organizzazioni,
hanno, conformemente al diritto dell'Unione e alle legislazioni e prassi nazionali,
il diritto di negoziare e di concludere contratti collettivi, ai livelli appropriati, e di
ricorrere, in caso di conflitti di interessi, ad azioni collettive per la difesa dei loro
interessi, compreso lo sciopero”.
I citati articoli della Carta di Nizza si erigono sui principi statuiti nell'art. 6 della
Carta Sociale Europea7 nonché sulla Carta comunitaria dei diritti sociali
fondamentali dei lavoratori (punti da 12 a 14).
Il diritto di azione collettiva, con specifico riferimento alla contrattazione
collettiva, è stato riconosciuto, come detto, anche dalla Corte europea dei diritti
dell'uomo come uno degli elementi del diritto sindacale sancito dall'articolo 11
della CEDU.
le cui modalità e garanzie sarebbero state via via sempre meglio descritte per legge”.
per alcuni aspetti tuttora in vigore. Si tratta di una disciplina minuziosa
che regola tutta la “vita” dell’impiegato e che costituisce un
ordinamento “speciale” caratterizzato dal riconoscimento di un rapporto di
supremazia, che lega il dipendente all’amministrazione di appartenenza e
nel quale non vi è posto per le fonti contrattuali di natura collettiva o
individuale.
A partire dagli anni ’70 si registra una controtendenza, un progressivo
avvicinamento tra le discipline di lavoro pubblico e privato: infatti le
organizzazioni sindacali di riferimento, forti delle conquiste ottenute nel
campo del lavoro privato, sancite dall’approvazione dello Statuto dei
lavoratori (Legge 20 maggio 1070, n.300), premono per ottenere un ruolo
rafforzato anche nel comparto del pubblico impiego.
In questo contesto, dopo una serie di tentativi di riforma di ordine
settoriale, viene emanata la Legge 29 marzo 1983, n.93 “Legge
quadro sul pubblico impiego” che introduce per la prima volta gli
accordi collettivi e dunque la contrattazione collettiva nel pubblico
impiego, pur se limitatamente a quella parte della disciplina non
soggetta alla riserva di legge o ad atti unilaterali dell’amministrazione.
Si trattava di un primo, importante, passo verso
l’omogeneizzazione delle due discipline del lavoro, nonostante la
permanenza di differenze significative tra il rapporto pubblico e quello
privato: la “fonte” contratto” si affiancava alla tradizionale fonte “legge” o
“atto normativo o amministrativo unilaterale”; si introduceva il
meccanismo del recepimento degli accordi collettivi mediante
regolamento, e dunque mentre nel lavoro privato il contratto collettivo
stipulato dalle organizzazioni sindacali delle parti contraenti è
immediatamente operativo ed efficace, nel pubblico il contratto diveniva
efficace tra le parti solo allorquando la pubblica amministrazione ne
avesse “recepito” il contenuto in una fonte regolamentare.
9
Aran: Agenzia per la rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni; istituita già dal
D.Lgs 29/1993 ed accresciuta e riconfermata nelle sue funzioni dai DD.Lgs. 165/2001 e 150/2009,
è l’Agenzia tecnica, dotata di personalità giuridica di diritto pubblico e di autonomia organizzativa,
gestionale e contabile, che rappresenta le pubbliche amministrazioni nella contrattazione collettiva
nazionale del lavoro. (fonte www.aranagenzia.it)
prerogative dirigenziali ai sensi degli articoli 5, comma 2, 16 e 17, la
materia del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali). Per
altre materie, invece, materie relative alle sanzioni disciplinari, alla
valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento
accessorio, della mobilità e delle progressioni economiche, la
contrattazione collettiva è consentita negli esclusivi limiti previsti dalle
norme di legge.
Si rovescia il rapporto tra legge e contratto: la deroga che i contratti
collettivi possono operare nei confronti delle disposizioni speciali dettate
per i dipendenti della pubblica amministrazione è consentita solo qualora
ciò sia espressamente previsto dalla legge (Art.2, comma 2, secondo
periodo, come modificato dall’art. 1, comma 1, L. n.15 del 4/3/2009)10.
Per questi motivi si può affermare che è stata operata una riduzione
dell’incidenza della contrattazione collettiva nel settore pubblico. A
ben vedere, però, tale ridimensionamento non è stato previsto in favore di
un allargamento dell’area pubblicistica, ma piuttosto in favore di un
rafforzamento del potere dirigenziale, specialmente in determinate materie
in cui la P.A. agisce con i poteri del privato datore di lavoro. Con tale
legge sono stati disciplinati numerosi aspetti della disciplina del rapporto
d’impiego, così togliendo di fatto spazio alla contrattazione collettiva. La
legge ha provveduto, infatti, a regolare materie quali i meccanismi di
valutazione dei dipendenti, l’incentivazione della produttività del lavoro,
la qualità del lavoro e la responsabilità disciplinare del dipendente,
insomma argomenti che rientrano in astratto nella competenza della
contrattazione collettiva, e che sono stati disciplinati direttamente dalla
legge. Pertanto, nel panorama attuale la contrattazione collettiva relativa al
rapporto di pubblico impiego non trae la sua legittimazione dal principio
di autonomia contrattuale ex art. 1322 c.c., ma bensì dalla disciplina
contemplata dal d.lgs n. 165/2001, così come novellato dalla riforma
Brunetta. Il perno del sistema contrattuale è costituito dal contratto
nazionale di comparto. I comparti sono settori omogenei di
10
S. Cantisani “Evoluzione della normativa sul pubblico impiego dalle origini alla riforma Madia”.
amministrazioni pubbliche, individuati e regolati sulla base di accordi le
cui parti contrattuali sono l’ARAN (agenzia per la rappresentanza
negoziale delle pubbliche amministrazioni) e le confederazioni sindacali.
E’ previsto che le pubbliche amministrazioni possano attivare autonomi
livelli di contrattazione integrativa, dunque anche per strutture periferiche,
a patto che sia rispettato il limite che tale livello di contrattazione sia
destinato ad incentivare l’impegno e la qualità della performance11.
11
“Evoluzione della normativa del pubblico impiego dalle origini alla Riforma Madia”, S.Cantisani.
la scelta di tornare alla regola sistematica della derogabilità è coerente,
oltre che con l’accordo fra Governo e sindacati del 30.11.2016, con un
assetto improntato ad un principio di delegificazione organica, in virtù del
quale alla contrattazione collettiva viene assegnato un ruolo cruciale
nella disciplina di istituti necessari per una gestione moderna ed
equilibrata delle risorse umane nelle pubbliche amministrazioni: ciò
significa fare della delegificazione mediante contrattazione un punto di
fondo del nuovo testo unico sul lavoro pubblico. Questa scelta, al di là
delle norme in cui viene racchiusa la “delegificazione organica”, dovrebbe
essere conseguentemente fatta operare per tutto il lavoro pubblico
“contrattualizzato”, chiudendo la “parentesi” aperta nel 2009, e riprendendo
a dettare regole idonee a favorire reali negoziazioni in tutti i comparti e a
tutti i livelli, sostenendo, in particolare, le concrete capacità dei diversi
“attori” pubblici12.
12
“la Riforma Madia del lavoro pubblico” L. Zoppoli; Il libro dell’anno del diritto 2018.
1) le responsabilità giuridiche attinenti ai singoli operatori
nell'espletamento di procedure amministrative;
2) gli organi, gli uffici, i modi di conferimento della titolarità dei
medesimi;
3) i principi fondamentali di organizzazione degli uffici;
4) i procedimenti di selezione per l'accesso al lavoro e di avviamento al
lavoro;
5) i ruoli e le dotazioni organiche nonché la loro consistenza
complessiva; 4 Cfr. Cass., sez. lav., 12 gennaio 2012 n. 240;
6) la garanzia della libertà di insegnamento e l'autonomia professionale
nello svolgimento dell'attività didattica, scientifica e di ricerca;
7) la disciplina della responsabilità e delle incompatibilità tra l'impiego
pubblico ed altre attività e i casi di divieto di cumulo di impieghi e
incarichi pubblici.
L’art. 40, comma 4 del d.lgs. n. 165/01 dispone che le pubbliche
amministrazioni adempiano agli obblighi assunti con i contratti collettivi
nazionali o integrativi dalla data della sottoscrizione definitiva e ne
assicurino l'osservanza nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti.
Le procedure negoziali collettive nel sistema di lavoro pubblico non sono rimesse
alla codeterminazione delle parti, se non nei limiti delle previsioni devolutive
della legge.
A livello nazionale, la procedura di contrattazione è stata oggetto di una continua
e tormentata revisione legislativa, soprattutto con riferimento al quantum di
autonomia concesso alle parti contraenti nella distribuzione delle risorse
finanziarie già predeterminate; si è poi assestata, a seguito della
«riforma Brunetta», su una disciplina che rafforza il controllo “interno” di fonte
governativa e conferma quello “esterno” della Corte dei Conti.
Una volta approvata l’ipotesi di accordo con la maggioranza del 50%+1, è
necessario che l’Aran acquisisca innanzitutto i pareri favorevoli dei Comitati di
settore designati dal Governo; poi, viene trasmessa la quantificazione dei relativi
16
Cfr. P CAMPANELLA, Rappresentatività sindacale. fattispecie ed effetti, Milano,
2000, con un’analisi puntuale e completa del tema. Più di recente, si v. A. ALAIMO, La
contrattazione collettiva nel settore pubblico tra vincoli, controlli e “blocchi”: dalla
“riforma Brunetta alla “manovra finanziaria 2010, cit..
costi alla Corte dei conti, per ottenerne una certificazione positiva, esplicita o
tacita (per decorrenza del termine prescritto di 15 giorni), della loro attendibilità e
piena compatibilità con gli strumenti di programmazione e di bilancio, senza la
quale non può procedere alla sottoscrizione definitiva, ma deve riaprire la
trattativa, in vista di una nuova ipotesi di accordo (art. 47, D. Lgs. n. 165/2001).
Per quanto attiene il livello integrativo, invece, la procedura è stata ancor più
rimaneggiata, con una crescente diffidenza nei confronti della stessa, fondata sul
ritenuto rischio di una deriva travalicante i limiti di competenza e spesa, fino a
rendere comprensibile, se pur non necessariamente giustificabile, la rigida
“stretta” apportata dalla «riforma Brunetta».
Per quanto la sua regolazione sia rimessa esplicitamente ai contratti collettivi
nazionali (art. 40, co. 3-bis, e 43, co. 5, D. Lgs. n. 165/2001), la legge interviene a
modularla distintamente a seconda della natura e della dimensione delle
amministrazioni pubbliche, ma sempre in vista di una previa attività di controllo
interna e/o esterna sulla compatibilità economico-finanziaria dei testi negoziali
(art. 40-bis, co. 1 e 2, D. Lgs. n. 165/2001)17.
Alla luce della complessità e dell’articolatezza della procedura negoziale come
costruita prima dell’intervento della «riforma Brunetta», era possibile, se non
addirittura frequente, giungere ad una fase di stasi, di blocco della negoziazione,
comportante un rinvio sine die dei rinnovi: a tali inconvenienti la riforma ha
reagito con il rimedio costituito dal concedere alla controparte pubblica una
facoltà di regolazione provvisoria da esercitare con riguardo ai comparti, pure in
presenza della riserva esclusiva prevista a favore della contrattazione collettiva 18.
Così, lo stesso art. 2, co. 3, terzo periodo, D. Lgs. n. 165/2001, dopo aver previsto
che «l’attribuzione dei trattamenti economici può avvenire esclusivamente
mediante contratti collettivi», fa salvi «i casi previsti dal comma 3 ter […]
dell’art. 40 e le ipotesi di tutela delle retribuzioni di cui all’art. 47 bis».
17
Cfr. A. VISCOMI, Lost in transition: la contrattazione integrativa nelle pubbliche
amministrazioni tra riforme incompiute e crisi emergenti, in LPA, 2013, p. 249 e ss.
18
Per un’analisi più dettagliata dei profili in commento, si v. A. ALAIMO, La contrattazione
collettiva pubblica, cit., ; G. NATULLO, P. SARACINI, Vincoli e ruoli della contrattazione
integrativa, in L. ZOPPOLI, Ideologia e tecnica, cit., p. 61 e ss.; V. TALAMO, La riforma
del sistema di relazioni, cit.; A. VISCOMI, La contrattazione collettiva nazionale, in L.
ZOPPOLI, Ideologia e tecnica, cit., p. 41 e ss.
Con riferimento al livello nazionale, l’art. 47-bis sancisce che, qualora sia decorso
un periodo di sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge finanziaria di
autorizzazione alla spesa da sostenersi per il rinnovo dei contratti di comparto e di
area, «gli incrementi previsti per il trattamento stipendiale possono essere erogati
in via provvisoria previa deliberazione dei rispettivi comitati di settore, sentite le
organizzazioni sindacali rappresentative, salvo conguaglio all’atto della
stipulazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro».
Inoltre, con riferimento al livello integrativo, l’art. 40. D. Lg.s, n. 165/2001, al suo
co. 3-bis, sancisce che una volta scaduto il termine fissato dal contratto nazionale
per lo svolgimento del negoziato decentrato, entrambe «le parti riassumono le
rispettive prerogative e libertà di iniziativa e decisione». Poi, però, al successivo
co. 3-ter, prevede che, qualora non sia concluso l’accordo, l’amministrazione
interessata non può procedere da sola in via definitiva, ma solo «provvedere in via
provvisoria, sulle materie oggetto del mancato accordo, fino alla successiva
sottoscrizione».
Ciò che emerge, dunque, è la possibilità di un contrasto fra l’uno e l’altro comma
circa lo scenario dischiuso dallo stallo negoziale, risolvibile solo distinguendo il
rispettivo ambito applicativo: il comma 3-bis si riferirebbe così al trattamento
normativo, modificabile definitivamente; il co. 3-ter, invece, riguarderebbe il
trattamento economico, rivedibile solo provvisoriamente.
L’effetto è stato quello di perturbare notevolmente la mobilitazione sindacale,
potendo scegliere di “sedarla” tramite il ricorso al parte della richiesta, oppure
stimolandola, alimentando l’aspettativa della parte residua19.
19
Cfr., S. MAINARDI, Legge 15/2009 e decreti di attuazione: il rapporto fra fonte legislativa
e contrattazione collettiva nazionale e integrativa, in G. ZILIO GRANDI (a cura di), Il lavoro
negli Enti locali: verso la riforma Brunetta, Torino, 2009, p. 1 e ss.
b) i comitati di settore;
c) le organizzazioni sindacali;
d) la Corte dei Conti in sede di controllo.
a) L’ARAN.
Le pubbliche amministrazioni, secondo quanto disposto dall’art. 46,
comma 1 del d.lgs. n. 165/01, sono legalmente rappresentate dall'Agenzia
per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN)
agli effetti della contrattazione collettiva nazionale. La norma delinea un
regime del tutto obbligato, che non consente alcuna deviazione dallo
schema procedimentale previsto.
La rappresentanza obbligatoria dell’ARAN riguarda solo la contrattazione
nazionale di comparto, mentre a livello decentrato/integrativo l’ARAN è
chiamata unicamente a compiti di assistenza. L'ARAN ha personalità
giuridica di diritto pubblico (art.
46, comma 10 del d.lgs. n. 165/01), che si esprime con i poteri di
autonormazione e di autorganizzazione e con la sottoposizione alla
normativa pubblicistica in materia di bilanci e controlli.
b) I comitati di settore.
L’art. 41, comma 1 del d.lgs. n. 165/01 dispone che le pubbliche
amministrazioni esercitano il potere di indirizzo nei confronti dell'ARAN
e le altre competenze relative alle procedure di contrattazione collettiva
nazionale attraverso le loro istanze associative o rappresentative, le quali
danno vita a tal fine a comitati di settore. Dalla lettera della norma può
dedursi che la costituzione di comitati di settore sia presupposto necessario
affinché l’amministrazione possa esercitare il potere d’indirizzo nei
confronti dell’ARAN e, quindi, elemento indispensabile per lo
svolgimento dell’intera procedura contrattuale. I commi 2 e 3 del citato
art. 41 prevedono i seguenti comitati di settore:
• nell'ambito della Conferenza delle Regioni, per le amministrazioni
regionali e per le amministrazioni del Servizio sanitario nazionale;
• nell’ambito dell'Associazione nazionale dei comuni d'Italia - ANCI e
dell'Unione delle province d'Italia - UPI e dell'Unioncamere, per gli enti
locali, le camere di commercio e i segretari comunali e provinciali;
• il Presidente del Consiglio dei Ministri tramite il Ministro per la
pubblica amministrazione e l'innovazione, di concerto con il Ministro
dell'economia e finanze, per tutte le altre amministrazioni. Oltre agli
atti di indirizzo i comitati di settore svolgono l’altra importante funzione di
esprimere il parere sull’ipotesi di accordo raggiunta tra l’ARAN e le
organizzazioni sindacali.
c) Le organizzazioni sindacali.
L’art. 43 del d.lgs n. 165/01 disciplina la rappresentatività sindacale ai fini
della contrattazione collettiva nel settore pubblico. Il comma 1 di tale
disposizione prevede che l'ARAN ammetta alla contrattazione collettiva
nazionale le organizzazioni sindacali, che abbiano nel comparto o nell'area
una rappresentatività non inferiore al cinque per cento, considerando a tal
fine la media tra il dato associativo e il dato
elettorale. La combinazione tra dato associativo e dato elettorale, ha la
finalità di conciliare rappresentatività e pluralismo: in altri termini, essa è
idonea a favorire un’effettiva aggregazione della rappresentanza,
rispettando altresì il principio del pluralismo sindacale. Per quanto
concerne la contrattazione collettiva integrativa, l’art. 40, comma 3-bis del
d.lgs. n. 165/01 rimette ai contratti collettivi nazionali la determinazione
dei soggetti legittimati alla contrattazione collettiva integrativa.
d) La Corte dei Conti.
In sede di controllo L’art. 47 del d.lgs. n. 165/01 assegna alla Corte dei
Conti il controllo della compatibilità economico finanziaria dei contratti
collettivi nazionali. L’intervento della Corte dei Conti, atipico rispetto al
modello di contrattazione collettiva del settore privato, costituisce una
peculiarità ineliminabile della contrattazione collettiva pubblica, che, a
differenza di quella privata, impegna danaro pubblico ed è sottoposta a
vincoli di spesa.
Il procedimento relativo alla contrattazione collettiva nazionale è disciplinato
dall’art. 47 del d.lgs. n. 165/01. Lo svolgimento della contrattazione vera e propria
è anticipato da una fase “precontrattuale”, in cui il Governo individua le risorse
finanziarie destinate alla contrattazione collettiva e i comitati di settore,
deliberando gli atti di indirizzo da inviare all’ARAN. L’art. 47, comma 1 prevede,
infatti, che gli indirizzi per la contrattazione collettiva nazionale siano emanati dai
comitati di settore prima di ogni rinnovo contrattuale e sottoposti al Governo, che,
in non oltre venti giorni, può esprimere le sue valutazioni sulla compatibilità con
le linee di politica economica e finanziaria nazionale. Trascorso inutilmente il
citato termine l’atto di indirizzo può essere inviato all’ARAN.
L’ARAN, una volta ricevuti gli atti di indirizzo, convoca le organizzazioni
sindacali di comparto maggiormente rappresentative, ai sensi dell’art. 43 del d.lgs.
n. 165/01, e dà avvio alle trattative sindacali. Le trattative si concludono con
un’ipotesi di accordo contrattuale, che l’ARAN deve inviare entro dieci giorni
dalla data di sottoscrizione al Governo e ai comitati di settore per il rilascio del
parere favorevole, da considerarsi, ai sensi dell’art. 41, comma 1 del d.lgs. n.
165/01, definitivo, nel senso che non richiede la ratifica da parte delle istanze
associative o rappresentative del comparto. Dopo aver acquisito il parere
favorevole dei comitati di settore, l’ARAN, in base alla previsione dell’art. 47,
comma 5 del d.lgs. n. 165/01, trasmette la quantificazione dei costi contrattuali
alla Corte dei Conti ai fini della certificazione di compatibilità con gli strumenti di
programmazione e di bilancio. La Corte dei Conti delibera entro quindici giorni
dalla predetta trasmissione, decorsi i quali la certificazione si intende effettuata
positivamente. Il comma 7 dell’art. 47 prevede, invece, che nel caso di
certificazione negativa le parti contraenti non possono procedere alla
sottoscrizione definitiva dell’ipotesi di accordo. In tale evenienza il Presidente
dell'ARAN, d’intesa con il competente comitato di settore, provvede alla
riapertura delle trattative e alla sottoscrizione di una nuova ipotesi di accordo,
adeguando i costi contrattuali ai fini della certificazione.
20
E.Ghera “Diritto del lavoro. Il rapporto di lavoro”, Bari, 2006.
“diritto quesito”21.
Il termine finale apposto ad un contratto aziendale o collettivo attiene
all'impegno (programmatico più che giuridico) di astensione da ulteriori
rivendicazioni fino alla data concordata, in applicazione del contratto
stesso22.
Vale il principio della libertà di forma ed il contenuto, così come l’ambito
territoriale di efficacia, è liberamente determinato dai contraenti nei limiti
dell’ordinamento e della legge (art. 1322 c.c.): durata massima della
giornata lavorativa, riposo settimanale e ferie annuali retribuite (art. 36 co.
2 e 3 Cost.), tutela della donna (art. 37), mezzi adeguati alle esigenze di
vita in caso di infortunio, malattia (salvo superamento del periodo di
comporto), invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria (art. 38 co.
2).
E’ inderogabile ope legis (imperativo, artt. 1339, 1418, 1419 c.c.): ad esso
risultano applicabili le norme codicistiche sui contratti e sul lavoro (artt.
1321, 2077 e 2113 c.c.), lo Statuto dei lavoratori e le leggi in materia di
licenziamenti.
Pur perseguendo interessi privati ed emanato da soggetti privati, il
CCNL è equiparabile, di fatto, ad una legge ordinaria.
Il contratto collettivo deve essere interpretato, tenendo conto dei rapporti
gerarchici, con sola possibilità di deroga in melius, o, in mancanza,
secondo il criterio della successione temporale tra le fonti: la comune
volontà delle parti va ricercata riferendosi all'elemento letterale delle
clausole, al comportamento complessivo delle parti (anche nelle trattative
e successivamente alla conclusione del CCNL), al contesto contrattuale,
ovvero alle dichiarazioni a verbale fatte dalle parti nel testo del CCNL,
con la finalità di chiarire il significato e la portata della clausola.
Peraltro, si prevede che le parti contraenti si incontrino per definire
consensualmente il significato delle clausole controverse (art.
61 D.Lgs “Brunetta” n. 150/2009).
21
“Diritti quesiti”: costituiscono una serie di diritti o situazioni soggettive che sono divenute
immutabili nel tempo: non sono toccati da eventuali modificazioni legislative.
22
G.Giugni, “Diritto sindacale”, Bari, 2006.
Le disposizioni dei contratti collettivi, in altri termini, non si incorporano
nel contenuto dei contratti individuali, dando luogo a diritti quesiti
sottratti al potere dispositivo delle organizzazioni sindacali, ma operano
dall'esterno sui singoli rapporti di lavoro come fonte eteronoma di
regolamento, concorrente con la fonte individuale: nell'ipotesi di
successione fra contratti collettivi, le disposizioni anteriori non sono
suscettibili di essere conservate.
Il D.Lgs n. 150/09 ha riformato diversi aspetti della contrattazione
collettiva nel settore pubblico: tra questi, misurazione, valutazione e
trasparenza della performance (artt. 2/16), merito e premi (artt.
17/31), ordinamento alle dipendenze delle P.A. (artt. 32 ss.), rinnovo,
revoca e sanzioni per l’incarico dirigenziale (art. 41), mobilità
intercompartimentale (art. 48), trattamento economico accessorio “di
risultato” collegato al raggiungimento degli obiettivi connessi all'incarico
(art. 52), controlli sulle assenze.
A tale ultimo riguardo, costituisce illecito disciplinare l’omesso invio
telematico del certificato medico all’INPS: configurabili responsabilità
anche per il concorrente, sanzionate con pene detentive e pecuniarie, con
l’ulteriore risarcimento del danno patrimoniale e all’immagine (art. 55-
quinquies D.Lgs 165/2001).
Si prevede, altresì, che le fasce orarie di reperibilità per le visite siano
stabilite con Decreto Ministeriale e l’obbligo, per i pubblici dipendenti
contrattualizzati ed a diretto contatto con i cittadini-utenti, di farsi
riconoscere attraverso l’uso di cartellini identificativi o targhe presso la
postazione (art. 69 D.Lgs n. 150). Tale norma, invece, non si applica ai
magistrati e agli avvocati dello Stato, ai professori universitari, al
personale appartenente alle forze armate e alle forze di polizia, al corpo
nazionale dei vigili del fuoco, al personale delle carriere diplomatica e
prefettizia.
Sul piano negoziale, per effetto della riforma del rapporto di pubblico
impiego, le P.A. attivano autonomi livelli di contrattazione collettiva
integrativa, nel rispetto dei vincoli di bilancio risultanti dagli strumenti di
programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione,
assicurando adeguati livelli di efficienza e produttività dei servizi pubblici.
In riferimento alla vexata quaestio delle mansioni, va subito affermato che
il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è
stato assunto o alle mansioni equivalenti nell’ambito dell’area di
inquadramento ovvero a quelle, corrispondenti alla qualifica superiore, che
abbia successivamente acquisito per effetto delle procedure selettive.
L’esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di
appartenenza non ha effetto ai fini dell’inquadramento del lavoratore o
dell’assegnazione di incarichi di direzione. Ciò anche in ossequio degli
artt. 97 (rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e
responsabilità dei funzionari) e 98 Cost. (il pubblico impiego non può
essere ridotto alla logica del rapporto di scambio).
Tuttavia, per il periodo di effettiva e temporanea prestazione delle
mansioni superiori, il dipendente ha diritto al trattamento economico
previsto per la corrispondente qualifica (d.lgs 29-10-1998 n. 387, d.lgs 3-
02-1993 n. 29) (6), diversamente da quanto si sosteneva in precedenza.
Attualmente, il CCNL-tipo si articola in vari punti: campo di applicazione;
durata, decorrenza, tempi e procedure di applicazione del contratto; codice
disciplinare (o di comportamento); rapporto tra procedimento disciplinare
e procedimento penale; sospensione cautelare in caso di procedimento
penale; stipendi tabellari; effetti dei nuovi stipendi; incrementi delle
risorse decentrate; integrazione della disciplina della progressione
economica orizzontale all’interno della categoria; clausola di rinvio.
Va tenuto presente che gli atti compiuti dalla persona fisica preposta
all’organo vengono imputati direttamente all’Ente cui fa riferimento
l’organo (rapporto organico).
Le conseguenti responsabilità del dipendente pubblico possono essere di
tipo penale, civile, amministrativo (contabile) e disciplinare.
In tale ultimo caso, va precisato che il tipo e l’entità delle sanzioni
disciplinari sono determinati nel rispetto del principio di gradualità e
proporzionalità in relazione alla gravità della mancanza (art. 55 D.Lgs. n.
165/2001), secondo criteri generali (elemento soggettivo psicologico,
rilevanza degli obblighi violati, responsabilità connesse alla posizione di
lavoro occupata, grado di danno o di pericolo causato, circostanze
aggravanti o attenuanti, recidiva) e cioè: rimprovero, trattenuta di ore di
retribuzione, sospensione del servizio con privazione retributiva per più
giorni, licenziamento disciplinare (falsa attestazione della presenza in
servizio, falsità documentali o dichiarative, assenza priva di valida
giustificazione, reiterazione di gravi condotte aggressive, moleste,
minacciose, ingiuriose, condanna penale definitiva) anche senza preavviso.
In caso di condotte pregiudizievoli per la P.A., la sanzione è la
sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da tre giorni a
tre mesi (art. 55 sexies) ovvero il collocamento in disponibilità. Il mancato
esercizio o la decadenza dell’azione disciplinare comporta, per il
soggetto che avrebbe dovuto agire, la sanzione della sospensione dal
servizio con privazione della retribuzione fino a tre mesi e di quella di
risultato.
Il procedimento disciplinare (art. 69 D.Lgs n. 150/09) prevede la
contestazione scritta dell’addebito, da parte del responsabile con qualifica
dirigenziale della struttura (l’ufficio competente viene individuato da
ciascuna P.A. secondo il proprio ordinamento), non oltre venti giorni
dalla notizia e la convocazione per il contraddittorio con un preavviso di
almeno dieci giorni. Il dipendente può inviare una memoria scritta o
formulare motivata istanza di rinvio.
Il procedimento disciplinare è proseguito e concluso anche in pendenza del
procedimento penale: se quest’ultimo si risolve con sentenza irrevocabile
di assoluzione, su istanza di parte entro sei mesi, viene riaperto il
procedimento disciplinare.
La contrattazione collettiva non può istituire procedure di impugnazione
dei provvedimenti disciplinari (art. 68): si possono, invece, disciplinare
procedure di conciliazione non obbligatoria, fuori
dei casi per i quali è prevista la sanzione disciplinare del licenziamento23.
23
Altalex.com : “Diritto del lavoro e della previdenza”, Pubblico impiego e contrattazione Collettiva .
A.M.Basso.
3. Lo sblocco della contrattazione collettiva nel settore pubblico.
La contrattazione collettiva del lavoro pubblico è rimasta ferma dal 2010
al 2015: il blocco delle procedure contrattuali e negoziali fu disposto per
ragioni di contenimento della spesa pubblica dall’art. 9, comma 17 della
legge 30 luglio 2010, n. 122 per il triennio 2010-2012
e confermato con d.p.r. 4 settembre 2013, n. 122 per il biennio 2013-
2014 e con la legge 23 dicembre 2014, n. 190 per l’anno 2015. La
Corte Costituzionale, con la sentenza n. 178 del 24 giugno 2015, ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale sopravvenuta di tale apparato
normativo, in quanto il carattere sistematico del blocco della
contrattazione collettiva sconfina in un bilanciamento irragionevole tra
libertà sindacale (art. 39, comma 1 Cost.) ed esigenze di controllo della
spesa (art. 81, comma 1 Cost.), ed ha apertamente invitato il legislatore a
rimuovere la compressione protratta nel tempo della sovranità contrattuale
e a ristabilire l’originario equilibrio tra le fonti, che aveva caratterizzato
l’avvio del processo di privatizzazione del lavoro pubblico. Il 13 luglio
2016 è stato sottoscritto il contratto collettivo nazionale quadro per la
definizione dei comparti di contrattazione per il triennio 2016-2018, che,
in adesione ai dettami del d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, ha ridotto il
numero dei comparti di contrattazione, individuandone quattro:
1) Funzioni centrali;
2) Funzioni locali;
3) Istruzione e ricerca (in cui rientra il personale tecnico amministrativo
delle Università);
4) Sanità.
I comparti sono così passati dai dieci del precedente contratto collettivo
quadro dell’11 giugno 2007 a quattro: quelli delle Funzioni centrali e della
Sanità mantengono la stessa configurazione dei comparti preesistenti;
quelli delle Funzioni locali e dell’Istruzione e ricerca sono, invece, il
risultato dell’aggregazione di vari precedenti comparti, avente l’obiettivo
di perseguire una maggiore uniformità di regole e un più penetrante
controllo della spesa. Nel corso dell’anno 2017 è, quindi, ripartita la
negoziazione e nei primi mesi del 2018 sono stati sottoscritti i contratti
collettivi nazionali relativi alla tornata 2016-2018: quello del comparto
Istruzione e ricerca reca la data del 19 aprile 2018. L’ultimo contratto
collettivo del comparto Università era quello relativo al biennio
economico 2008-2009, risalente al 12 marzo 2009. Il personale tecnico
amministrativo delle Università è confluito nel comparto Istruzione e
ricerca, il cui CCNL della tornata 2016-2018 si compone di una parte
comune e quattro sezioni, tra cui la sezione Università e Aziende
ospedaliero-universitarie (articoli 42- 67)
3 Conclusioni.
Tutte le politiche salariali del secolo scorso (e anche la stessa scala
mobile) erano agganciate al recupero dell’inflazione. Ma attualmente
l’inflazione si è talmente abbassata da dare luogo a fenomeni di deflazione
e non può più essere usata per definire la crescita dei salari
Nel modello dell’accordo del 23 luglio 1993, il contratto nazionale
sostitutiva la scala mobile, dovendo anticipare l’inflazione maturanda, per
cui la crescita salariale, definita tramite il CCNL, assumeva carattere solo
nominale limitandosi al mero recupero del potere d’acquisto dei salari.
Diversamente, la contrattazione aziendale era incaricata di redistribuire la
produttività maturata, permettendo ai salari di crescere anche in termini
reali. Il salario reale è tenuto quindi a crescere nella stessa misura della
produttività. Naturalmente proprio queste caratteristiche segnano
l’obsolescenza di quel modello
contrattuale che ha un senso solo ad alti livelli di inflazione e in situazione
di produttività crescente. Se l’inflazione è piatta e il sistema produttivo
stagnante, il salario è destinato a non crescere più, né in termini nominali,
né in termini reali, perché a livello nazionale non c’è più nulla da
recuperare e a livello decentrato non esiste più nulla da redistribuire.
Più in generale, la regola aurea per cui i salari reali debbono crescere nella
stessa misura della produttività non basta più, perché la crescita zero della
produttività lima il potere di acquisto dei salari, ha effetti recessivi e
blocca la spinta all’innovazione del sistema produttivo, producendo
stagnazione nei consumi e incidendo sullo sviluppo della produzione e
sull’ampliamento dell’occupazione.
Il sistema è bloccato e non si intravedono strade, anche per il mancato
decollo della contrattazione aziendale, che la Commissione Giugni –
costituita proprio per monitorare il Protocollo del 1993 – aveva
considerato snodo decisivo per assicurare dinamismo e crescita del
sistema (vedi grafico 1).
Bibliografia:
• Melis G., “Storia dell’amministrazione italiana” (1861-1993),
Bologna 2006.
• V.Maio, “L’origine del sindacato”, videolezioni, slide Unitelma
Sapienza.
• www.aranagenzia.it .
• S. Cantisani, “Evoluzione della normativa sul pubblico impiego, dalle
origini alla riforma Madia”
• L.Zoppoli, “La riforma Madia del lavoro pubblico”; il libro
dell’anno del diritto 2018.
• L. Busico, Tesi Università di Pisa “La contrattazione collettiva nel
pubblico impiego privatizzato”.
• E.Ghera, “Diritto del lavoro, il rapporto di lavoro” Bari 2006.
• G.Giugni, “Diritto sindacale”.
• A.M.Basso, “Diritto del lavoro e della previdenza – pubblico
impiego e contrattazione collettiva”.
• P.Mastrogiuseppe (Aran); V.Talamo (Dipartimentodella Funzione
pubblica, Presidenza del consiglio dei Ministri), rivista
quadrimestrale dell’Inaipp “Contrattazione collettiva nel lavoro pubblico e
concertazione sociale”.