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Marco Mocella - Livelli e tipologie della contrattazione collettiva

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da
copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e
per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633).

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Indice

1 I DIVERSI LIVELLI DELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA: IL LIVELLO NAZIONALE .............................................. 3


2 LA CONTRATTAZIONE DI SECONDO LIVELLO ...................................................................................................... 5
3 LA CONTRATTAZIONE DECENTRATA .................................................................................................................. 7

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1 I diversi livelli della contrattazione collettiva: il livello


nazionale

La contrattazione collettiva può svolgersi con varie modalità e su diversi livelli.

Al vertice vi sono gli accordi interconfederali, che regolano istituti di portata generale o

comuni ai diversi settori produttivi. In passato, gli accordi interconfederali hanno regolato talora

materie non ancora disciplinate dalla legge, come i licenziamenti individuali e collettivi, la scala

mobile dei salari, i contratti con finalità formative e le rappresentanze sindacali unitarie all’interno

dei luoghi di lavoro. È significativo infatti che, nella perdurante mancanza di una disciplina legale,

le modalità di costi- tuzione delle rappresentanze unitarie del personale (cd. r.s.u.) siano state

regolate da un accordo interconfederale del 1 dicembre 1993, con il quale sono state definite le

loro modalità di costituzione e funzionamento, ora in via di aggiornamento.

Il livello di negoziazione sindacale più diffuso è comunque quello del contratto collettivo di

categoria a livello nazionale, che coinvolge gli organismi centrali dei sindacati interessati e mira

ad individuare una piattaforma comune a tutti i lavoratori di una certa categoria

(metalmeccanici, chimici, tessili, ecc.), indipendentemente dall’impresa di appartenenza e dal

luogo di lavoro.

Il contratto collettivo nazionale ha mantenuto nel tempo la funzione di principale punto di

riferimento nella regolamentazione dei rapporti individuali di lavoro, ma ha svolto altresì importanti

funzioni di innovazione, nei casi in cui la contrattazione sindacale ha determinato notevoli

cambiamenti (poi recepiti dal legislatore) in numerosi aspetti dell’organizzazione del rapporto di

lavoro quali, ad esempio, l’orario di lavoro, la tutela della salute, il diritto allo studio.

La contrattazione collettiva nazionale è stato il metodo dominante di regolazione del

lavoro nell’era fordista caratterizzata da una forza lavoro altamente omogenea, i cui interessi si

prestavano a essere rappresentati e mediati collettivamente dalle organizzazioni sindacali. In tale

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contesto organizzativo, mentre la regolazione legislativa era prevalentemente rivolta alla garanzia

dei diritti fonda- mentali, alla negoziazione collettiva veniva demandata una funzione normativa

che tenesse conto delle differenze fra settori, zone geografiche, figure professionali e anche

singole imprese, al fine di assicurare ai lavoratori tutele adeguate e crescenti all’interno di un

sistema contrattuale stabile fondato sulla centralità riconosciuta al contratto nazionale di

categoria.

Questo assetto ha mostrato evidenti profili di inadeguatezza a fronte del progredire della

crisi economica, della necessità di affrontare nuovi modelli di organizzazione del lavoro e del

rarefarsi della rappresentanza sindacale in molti contesti produttivi, che hanno determinato la

perdita di centralità della contrattazione nazionale e un progressivo decentramento delle fonti di

produzione normativa.

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2 La contrattazione di secondo livello

La contrattazione a livello aziendale, dal canto suo, ha svolto ruoli significativamente

differenti nel corso del tempo. L’efficacia della contrattazione aziendale si è manifestata nelle aree

e nei settori in cui era maggiore il radicamento sindacale permettendo di ottenere localmente

condizioni migliori. Così, nel periodo della massima forza del movimento sindacale, la

contrattazione aziendale, ha determinato per i lavoratori sensibili miglioramenti rispetto ai

trattamenti previsti dai contratti nazionali. Inoltre, si è assistito un progressivo allargamento delle

materie oggetto di contrattazione decentrata, che hanno riguardato le mansioni e gli

inquadramenti, l’ambiente di lavoro, i diritti di informazione sindacale.

Il risultato in tal modo consolidatosi ha contribuito alla costruzione di un sistema contrattuale

stabile, fondato sulla centralità riconosciuta al contratto nazionale di categoria e sul

decentramento controllato delle funzioni de- mandate alla contrattazione aziendale, limitate a

materie ed istituti diversi e non ripetitivi rispetto a quelli propri del livello superiore. I mutamenti

economici e l’esigenza di affrontare le nuove sfide della competitività hanno favorito il

superamento di questo assetto, avvenuto in parte già nell’accordo quadro del 22 gennaio 2009,

per favorire il riordino e la semplificazione delle procedure, la revisione della durata delle intese ed

una più marcata con- vergenza tra il lavoro privato e quello pubblico. L’accordo del 2009 ha

costituito pertanto un primo aggiornamento del protocollo del 1993 perché, pur avendo ribadito la

funzione meramente integra- tiva della contrattazione decentrata rispetto al contratto nazionale,

ne ha previsto la derogabilità a livello aziendale o territoriale per fronteggiare crisi o per favorire

l’insediamento di nuove attività produttive. Si è inteso così intaccare il principio di non duplicità,

legittimando di fatto accordi derogatori che consentano lo sganciamento dal contratto

nazionale.

Non per caso, sull’accordo quadro del 2009 si è manifestato un forte dissenso tra le sigle

sindacali, tanto che in dottrina si è dubitato della sua stessa natura di atto riconducibile

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all’autonomia collettiva, proprio perché basato sul tentativo di imporre soluzioni eteronome fra

soggetti privati. La diffusione di accordi separati all’interno di realtà aziendali significative che

hanno determinato notevoli ricadute sul piano del contenzioso giudiziale, tanto da indurre le

organizzazioni sindacali a ricercare soluzioni più largamente condivise e funzionali a recuperare

l’unità sindacale, come avvenuto con gli accordi interconfederali del 28 giugno 2011, del 31

maggio 2013 e con il testo unico sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014.

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3 La contrattazione decentrata

Espressione della tendenza al decentramento contrattuale è costituita dagli accordi

collettivi Fiat, maturati in un contesto particolare a seguito del dissenso di un’organizzazione

sindacale nel biennio 2010-2011, e culminati nella sottoscrizione, per tutti gli stabilimenti del gruppo,

del contratto collettivo del 13 12 2011. In particolare, il contratto collettivo del 13 dicembre 2011,

pur avendo come destinatario un unico “gruppo” industriale, è stato definito dalle parti stipulanti

un contratto specifico “di primo livello”, in quanto ha regolato organicamente ogni aspetto del

rapporto di lavoro, applicabile a tutto il personale del gruppo in sostituzione della precedente

disciplina del contratto nazionale di categoria, in seguito al recesso dell’azienda dal sistema di

rappresentanza confindustriale. Con tale vicenda, si è realizzato non solo un modello negoziale

derogatorio del contratto nazionale di categoria quanto piuttosto un sistema parallelo di relazioni

sindacali del tutto autonomo, svincolato dal più generale comparto metal- meccanico perché

riferito all’intero settore automobilistico italiano. Tale soluzione, peraltro favorita dal carattere

monopolistico della Fiat in tale comparto produttivo, ha sicuramente influito su talune scelte

legislative, come l’art. 8, l. n. 148/2011 e l’art. 51, d.lgs. n. 81/2015, che hanno riconosciuto una

sostanziale fungibilità fra i diversi livelli della contrattazione collettiva. Nell’art. 51, d.lgs. 81/2015, si

delinea in particolare un modello contrattuale che tende a porre sullo stesso piano gli accordi

nazionali con quelli territoriali e aziendali senza necessità di alcuna delega da parte del livello

superiore, sul presupposto di una loro piena fungibilità.

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