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Marzo 2013
Trimestrale
Estratto
35
tassonomico è opportuno far precedere qualche parola sul con-
testo in cui il problema si pone, cercando di chiarire quali siano,
almeno a mio avviso, i fattori di ordine istituzionale che fanno
da sfondo alla sua emersione, fattori la cui sostanza getta
un’ombra sulla congruità della sistemazione operata al riguardo
dalle s.u. Ebbene a me sembra che l’esplosione del tema dei
danni contrattuali non patrimoniali non possa essere adeguata-
mente compresa senza prendere in considerazione almeno due
fatti recenti, il cui manifestarsi incide fortemente sul diritto dei
contratti, innovandolo. Un primo fattore sta nell’enorme espan-
sione del mercato, e dunque dello strumento contrattuale, ri-
spetto ad aree che gli erano, ancora qualche decennio orsono,
estranee. Dal momento in cui il mercato, e il contratto con esso,
tende a divenire strumento di regolazione di pressoché tutti gli
aspetti della vita sociale, anzi della vita stessa3, le conseguenze
non patrimoniali dell’inadempimento si moltiplicano e diven-
tano la normalità nell’economia del contratto. Da una parte,
sono sempre più diffusi i contratti destinati a realizzare esigenze
di svago, divertimento, benessere psico-fisico, crescita culturale,
comunicazione, ecc., la cui soddisfazione interessa la sfera della
persona e riflette una valutazione fortemente idiosincratica da
parte del creditore. Dall’altra, anche sotto l’effetto della spinta
alla privatizzazione dei servizi sociali imposta dal tramonto del
welfare state, molti aspetti della persona, a cominciare dallo
stesso diritto alla salute, sono investiti dall’espandersi dell’auto-
nomia privata. Si pensi alla contrattualizzazione delle cure me-
diche (quand’anche prestate nel settore pubblico), o alla commo-
dification della cura della persona (carework), nonché al pene-
trare del contratto nella sfera, prima preclusagli, della famiglia e
addirittura della procreazione4.
sponsabilità contrattuale, a cura di G. Visentini, vol. III, Padova, 2009, 29, 91 s.; con
L. Cruciani, Il danno contrattuale, in Il nuovo contratto, a cura di P.G. Monateri, E.
del Prato, M.R. Marella, A. Somma, C. Costantini, Bologna, 2007, 1065, 1173 s.
3 Il fenomeno è da inquadrarsi nel più ampio contesto del c.d. biocapitali-
smo, su cui si vedano i lavori di Toni Negri e Michael Hardt, fra i quali da ultimo
Commonwealth, Cambridge, Massachusetts, Harvard University Press, 2009, 131 s.
In riferimento all’espansione dell’ambito di competenza del contratto cfr. H. Col-
lins, The Law of Contracts, London, Butterworths, 4th ed., 2003, 106; G. Teubner,
Ein Fall von struktureller Korruption? Die Familienbürgschaft in der Kollision unver-
träglicher Handlungslogiken (BVerfGE 89, 214 ff.), in Kritische Vierteljahresschrift
fuer Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, 1999-2000, 83, 388; C. Beat Graber - G.
Teubner, Art and Money: Constitutional Rights in the Private Sphere, in 18 «Oxford
J. Leg. St.», 1998, 61.
4 Sempre utile il quadro di insieme fornito dal volume di M.E. Ertman e J.C.
Williams, Rethinking Commodification, New York and London, New York Univer-
sity Press, 2005.
36
È dunque necessario che la tutela risarcitoria – anche a
fronte di pregiudizi di carattere non patrimoniale – sia giocata
tendenzialmente dentro la logica del contratto e non secondo
una logica altra, come propongono invece le Sezioni Unite della
Suprema Corte5.
In secondo luogo, la regolare risarcibilità delle conseguenze
non patrimoniali dell’inadempimento è perfettamente coerente
con la politica dell’Unione Europea e, più specificamente, con
l’obiettivo, sistematicamente perseguito dal diritto di matrice
europea e comunitaria, di aumentare la fiducia nei mercati di
tutti gli attori economici, e dei consumatori in primo luogo. Ora,
è del tutto evidente che a questo obiettivo sia funzionale la de-
clamazione del principio della riparazione integrale del danno,
che infatti ricorre in tutti i recenti progetti di unificazione del
diritto dei contratti realizzati sotto la guida – più o meno diretta
– della Commissione UE. Seguendo l’esempio dei principi Uni-
droit, enunciano il principio i PECL e il DCFR6; ad essi fa eco la
giurisprudenza della Corte di Giustizia. Non è casuale, d’altra
parte, che le prime previsioni esplicite in tema di risarcimento
del c.d. danno non patrimoniale da inadempimento, dopo al-
cune sortite, tendenzialmente isolate, della giurisprudenza e
della dottrina, si ritrovino nei principi Unidroit e in alcune diret-
tive comunitarie7. Che si tratti di una tendenza dominante anche
5 Sulle ragioni e le peculiarità della risarcibilità delle conseguenze non patri-
moniali dell’inadempimento rispetto al piano extracontrattuale come individuate
in dottrina prima dell’intervento delle Sezioni Unite rinvio per brevità al mio Le
conseguenze «non patrimoniali» dell’inadempimento. Una tassonomia, cit.
6 V. la versione 2004 dei Principi Unidroit (consultabile all’indirizzo:
http://www.unidroit.org/italian/principles/contracts/principles2004/integralversion-
principles2004-i.pdf), art. 7.4.2. (Riparazione integrale). I Principi di diritto europeo
dei contratti (PECL) enunciano il principio all’art. 9:502 (“Valutazione dei danni in
generale”). Il Common Frame of Reference riproduce letteralmente la disposizione
dei Principi di diritto europeo dei contratti (cfr. Draft Common Frame of Reference,
Outline edition 2009, art. III. - 3:702: “General measure of damages”). In ogni caso,
l’indice più rilevante a riprova dell’effettivo radicamento del principio nel diritto
dell’Unione Europea sta nel suo inserimento nei Principi Aquis, che come noto co-
stituiscono una trattazione di tipo sistematico e organizzato delle principali regole
del diritto UE vigente contenute nelle principali Direttive e nelle pronunce della
Corte di Giustizia. L’art. 8: 402 dei Principi Aquis stabilisce che la condanna risar-
citoria deve porre il creditore “nella condizione in cui si sarebbe venuto a trovare
se l’obbligazione fosse stata esattamente adempiuta”.
7 V. Principi Unidroit, versione 2004, art. 7.4.2., il quale, al secondo comma,
stabilisce: “(2) Il danno può essere di natura non pecuniaria e comprende, per
esempio, la sofferenza fisica e morale.” Nella versione 2010, si parla di natura “non
patrimoniale” degli interessi lesi.
I Principi di diritto europeo dei contratti prevedono il risarcimento del
danno non patrimoniale da inadempimento all’art. 9:501: “Diritto al risarcimento. Il
creditore insoddisfatto ha diritto al risarcimento della perdita subita a causa del-
37
in Italia è confermato dal tenore di un disegno di legge delega
che pure sancisce la risarcibilità di questo tipo di danno8.
È questo stesso il quadro di riferimento in cui si iscrivono
pure quelle norme di origine comunitaria che estendono il prin-
cipio di non discriminazione alla materia contrattuale sanzio-
nando tutti quei comportamenti che direttamente o indiretta-
mente comportano un trattamento deteriore della controparte
contrattuale in ragione del genere, della razza, ecc. nel corso
dello svolgimento del rapporto o in riferimento all’accesso al
38
contratto stesso9. In questi casi, infatti, il riconoscimento della
risarcibilità del danno non patrimoniale derivante dalla con-
dotta discriminatoria esprime, insieme alla consapevolezza della
molteplicità delle identità di cui gli attori economici sono porta-
tori10, l’esigenza di aprire i mercati a tale varietà di soggetti in
una cornice d’uguaglianza formale al fine di farne dei ‘frequen-
tatori abituali’.
39
contratti dal Maestro: da una parte, la struttura dell’obbliga-
zione, dall’altra, il piano dei rimedi.
Il primo punto di vista si impone non soltanto per la centra-
lità che l’interesse – “anche non patrimoniale” – del creditore as-
sume nella struttura dell’obbligazione ai sensi dell’art. 117411,
ma anche e soprattutto in virtù della dialettica obbligo di presta-
zione/obblighi di protezione che connota, secondo una dottrina
ormai consolidata, la struttura stessa dell’obbligazione12. Dalla
40
casistica conosciuta emerge in modo inequivoco che taluni
danni non patrimoniali da inadempimento fanno capo all’uno
dei due termini della distinzione e taluni all’altro13.
Il secondo asse della tassonomia si identifica nell’analisi
rimediale e mostra che i rimedi presi sul serio inducono uno
sguardo diverso, conducendo ad una differente classificazione
dei pregiudizi derivanti dall’inadempimento rispetto alla solita
dicotomia danno patrimoniale/danno non patrimoniale. Ora, su
entrambi i piani risulta sconfitta quella sorta di feticizzazione
del danno non patrimoniale che la pronuncia delle s.u. del 2008
ha accentuato, ribadendo e precisando i limiti all’applicazione
dell’art. 2059 c.c. con l’aggiunta del requisito della gravità della
lesione14.
lano, 1997, 177; Id., Ritorno all’obbligazione senza prestazione, in «Europa e dir.
priv.», 2009, 679, 681, 702, il quale da ultimo enfatizza per questa via la relaziona-
lità quale vera essenza dell’obbligazione (cfr. C. Castronovo, La relazione come ca-
tegoria essenziale dell’obbligazione e della responsabilità contrattuale, in «Europa e
dir. priv.», 2011, 55, 66).
13 L’adozione di questa prospettiva – cui già avevo fatto ricorso in precedenza
(cfr. Le conseguenze «non patrimoniali» dell’inadempimento. Una tassonomia, cit.,
179 s.) – non conduce peraltro a conclusioni obbligate. Esiti diversi (anche fra
loro) in L. Nivarra, La contrattualizzazione del danno non patrimoniale: un’incom-
piuta, in «Europa e dir. priv.», 2012, 475, 479; S. Mazzamuto - A. Plaia, I rimedi del
diritto privato europeo, Giappichelli, Torino, 2012, 54 s.
14 L’inadeguatezza dell’analisi e delle soluzioni offerte dalla Cassazione nel
2008 non si coglie solo in rapporto al danno non patrimoniale da inadempimento,
ma anche in relazione allo statuto del danno non patrimoniale di fonte extracon-
trattuale e al c.d. danno alla persona. Il giudizio negativo risulta avvalorato dall’ef-
fetto che la decisione delle Sezioni Unite ha avuto sulle sentenze ad essa succes-
sive. Definisce “disorientante” il panorama giurisprudenziale creatosi all’indomani
della sentenza della Cassazione, F. Busnelli, Non c’è quiete dopo la tempesta. Il
danno alla persona alla ricerca di un nuovo statuto risarcitorio, in «Riv. dir. civ.»,
2012, 129, 130-132. Secondo l’A., diverse sono le anomalie dello statuto risarcitorio
del danno alla persona: esso si ispira all’integralità del risarcimento (come nel si-
stema francese), ma non rinuncia all’ambiguo contenitore del danno non patrimo-
niale (di matrice tedesca), servendosi dell’art. 2059 c.c., norma nata con altre fina-
lità; si affida alle tabelle per la liquidazione, ma, allo stesso tempo, non segue la lo-
gica dell’indennizzo. Una valutazione particolarmente critica viene dall’estensore
dell’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite: G. Travaglino, Il futuro del danno
alla persona, in «Danno e resp.», 2011, 113, che vede nella pronuncia della Cassa-
zione del 2008 il punto più basso della storia del danno alla persona. Per T. la sen-
tenza esprime un inarrestabile processo di centralizzazione del danno biologico
entro la galassia del danno non patrimoniale. Allo stesso tempo, il pregiudizio
morale assume contorni indefiniti e il danno esistenziale diviene voce descrittiva di
lesioni a-patrimoniali.
All’opposto è giocata proprio sul terreno della tutela contro l’inadempimento
contrattuale l’adesione alla sentenza delle Sezioni Unite di M. Franzoni, Il danno
morale e il danno non patrimoniale da inadempimento, in «Resp. civ.», 2009, 581,
586, 588, per il quale il valore innovativo della pronuncia sta nell’aver stabilito che
gli artt. 1218 e 1223 c.c., lungi dall’operare solo in rapporto al danno patrimoniale,
si riferiscono anche al pregiudizio non patrimoniale, quando l’inadempimento ab-
41
Ed infatti, sul piano della struttura, gli obblighi di prote-
zione non fanno altro che dar voce all’anima tortious del con-
tratto15, istituzionalizzando il bisogno di tutela della parte con-
trattuale come persona all’interno della relazione negoziale. E
ciò in conformità con la Costituzione repubblicana. Se ne trae
che la risarcibilità delle conseguenze non patrimoniali derivanti
dalla violazione di un obbligo di protezione discende dal carat-
tere degli stessi interessi protetti dal contratto (o nel contratto),
senza dover chiamare in causa l’art. 2059, che in queste ipotesi
risulta un medio normativo inutile16. Siamo difatti pienamente
all’interno della logica del contratto. La disciplina del contratto
di trasporto di persone ex art. 1681 c.c. ne costituisce una chiara
riprova.
Sul piano della tutela, la presenza di rimedi (risarcitori)
giocati sulle modalità di quantificazione del danno consente di
riconoscere autonomia alla perdita di utilità investite dalla valu-
tazione idiosincratica del creditore rispetto ai pregiudizi di ca-
rattere non patrimoniale in senso proprio17. La casistica al ri-
guardo è assai eloquente ed è del tutto evidente che il ricorso al-
l’art. 2059 sia sovrabbondante o addirittura improprio di fronte
a pregiudizi di carattere NON non patrimoniale.
Lo scopo di questa tassonomia non è meramente descrit-
tivo, come ovvio. Al contrario essa aspira, sul piano generale, a
fare di una tematica ristretta come quella delle conseguenze non
patrimoniali dell’inadempimento un punto di osservazione da
cui acquisire una visione più complessa della relazione fra mer-
cato, valori personalistici e vita sociale, e sul piano precettivo, a
risolvere alcuni problemi di disciplina, in particolare, il pro-
blema dell’applicabilità a questa casistica del limite della preve-
dibilità del danno ex art. 1225 c.c.
bia leso diritti inviolabili della persona. Ma su questo punto v. rilievi critici infra
nel testo.
15 Cfr. G.K. Gardner, Observations on the Course in Contracts, 1934, inedito,
di cui può leggersi un breve estratto in Du. Kennedy, From the Will Theory to the
Principle of Private Autonomy: Lon Fuller’s «Consideration and Form», in 100:94
«Columbia L. Rev.», 2000, 166.
16 In tal senso, già prima del dibattito suscitato dalle SS.UU. del 2008 A. di
Majo, La responsabilità contrattuale, Giappichelli, Torino, 2007, 148 ss. Considera-
zioni analoghe ora in Conte, Considerazioni critiche sull’applicazione del paradigma
risarcitorio ricavato dall’art. 2059 c.c. anche al danno contrattuale, cit., 710. Ritiene
l’art. 2059 c.c. non applicabile alla materia contrattuale, sulla base dell’argomento
testuale G. Colacino, Inadempimento, danno non patrimoniale e regole di responsa-
bilità, in «Contr. e impr.», 2009, 649, 661.
17 Su questi aspetti, si consenta il rinvio a M.R. Marella, La riparazione del
danno in forma specifica, Padova, 2000, 249 s.
42
3. Non da oggi in talune relazioni contrattuali sono implicati
profili strettamente attinenti alla persona umana e, dunque, di-
ritti inviolabili garantiti dalla Costituzione. L’allargamento del
mercato e quindi dell’area di incidenza del contratto ha moltipli-
cato queste ipotesi e soprattutto ha posto la soddisfazione di ta-
luni diritti fondamentali al centro dell’elemento causale, sicché
la tutela dei diritti costituzionalmente garantiti all’interno delle
relazioni contrattuali può differentemente modularsi seguendo
l’articolazione degli obblighi contrattuali in obblighi di presta-
zione e obblighi di protezione.
43
La stessa ratio si ritrova in una casistica recente (mobbing21,
demansionamento ex art. 2103 c.c.) in cui il rapporto di lavoro
occasionalmente comporta la lesione della dignità e del diritto al
libero svolgimento della personalità del lavoratore (art. 2 Cost.)
ad opera del datore di lavoro22. A tanto si aggiunge l’ipotesi della
violazione dei diritti della personalità del libero professionista,
quali l’onore e la reputazione23, espressamente prevista dal com-
mento ufficiale all’art. 7.4.2, co. 2 dei Principi Unidroit24. La
norma, che prevede la risarcibilità del danno non pecuniario in
44
riferimento, ad es. alla sofferenza fisica e morale, può “trovare
applicazione, nel commercio internazionale, nel caso di con-
tratti conclusi da artisti, da atleti di grande valore e da consu-
lenti assunti da una società o da un’organizzazione”. In realtà
non si tratta di un’ipotesi nuova: nel common law statunitense
un celebre caso del 1970, Shirley McLaine Parker v. Twentieth
Century-Fox Film Corporation25, aveva già messo chiaramente in
luce come l’inadempimento di un contraente possa ledere anche
la reputazione della controparte. Il caso rileva peraltro soprat-
tutto sotto altro profilo, quello della mitigation: essendo stata
cancellata dalla Twentieth Century-Fox una certa produzione ci-
nematografica per la quale era stata scritturata l’attrice Shirley
McLaine, la corte ha ritenuto che la stessa non fosse tenuta a ri-
durre il danno cagionato dall’inadempimento della convenuta
accettando di recitare in un film di qualità artistica inferiore,
ove ciò fosse lesivo della sua reputazione artistica.
È una logica perfettamente in linea con le dinamiche del di-
ritto dei contratti del civil law e del sistema italiano, in partico-
lare. Pertanto, escluso l’onere di ridurre le conseguenze dannose
dell’inadempimento ex art. 1227, co. 2, c.c. ove ciò confligga con
i diritti della persona, resta da chiedersi se la risarcibilità del
danno non patrimoniale in questa serie di casi sia sottoposta al
limite della certezza del danno e a quello della prevedibilità.
Come noto, il requisito della certezza non trova riscontro nel co-
dice civile, ma è criterio ricorrente in giurisprudenza e nell’ela-
borazione dottrinale26. Nel sistema dei Principi Unidroit, la ri-
sarcibilità del danno contrattuale non patrimoniale riconosciuta
nel 2° comma dell’art.7.4.2 è da intendersi soggetta, secondo il
commento ufficiale, al criterio della certezza e “alle altre condi-
zioni necessarie per il diritto al risarcimento”. Ora, il rigore con
cui il danno non patrimoniale è in questo contesto ricondotto in
tutto e per tutto alla disciplina del danno contrattuale tout court
si spiega con la priorità che i principi Unidroit assegnano al-
l’obiettivo di consolidare la fiducia nei mercati – evidentemente
soddisfatto dalla declamazione del principio della riparazione
integrale del danno – rispetto a quello di garantire l’effettività
della tutela dei diritti della persona nei contratti del commercio
internazionale.
25 California Supreme Court, 1970, 3 Cal.3d 176, 89 Cal. Rptr. 737, 474 P. 2d
689.
26 Sul punto, sia consentito rinviare a Marella, Il risarcimento per equivalente
e il principio della riparazione integrale, cit., 35 s.
45
Ove però sia quest’ultimo l’obiettivo che ascriviamo alla ri-
sarcibilità del danno non patrimoniale da inadempimento, il li-
mite della prevedibilità del danno non può ritenersi applicabile
in quanto in contrasto con lo scopo perseguito e con il rango co-
stituzionale degli interessi protetti. Il discorso vale soprattutto
nelle ipotesi esaminate in questa Fallgruppe, in cui è possibile e,
a mio avviso, opportuno valorizzare l’anima tortious del con-
tratto fino in fondo, cogliendo il senso profondo di quella storia
dottrinaria che muovendo dalla teoria del concorso di responsa-
bilità – contrattuale e extracontrattuale – attraverso successivi
passaggi è poi approdata al riconoscimento degli obblighi di
protezione all’interno del rapporto obbligatorio.
In questa logica può ben cogliersi pure il carattere dissua-
sivo della previsione del risarcimento del danno non patrimo-
niale dovuto in conseguenza di un comportamento discrimina-
torio, senza per questo disconoscere la matrice contrattuale
della responsabilità.
46
tenere il consenso informato del paziente29 è da ritenersi pari or-
dinato rispetto a quello di prestare le cure, rappresentando
quella modalità di esecuzione della prestazione necessaria a ga-
rantirne la congruità (l’esattezza secondo la lettera dell’art. 1218
c.c.) e ha ad oggetto un altro diritto inviolabile, il diritto all’au-
todeterminazione di cui all’art. 2 Cost.30.
Superfluo osservare che siamo pienamente all’interno della
logica del contratto.
Trascorrendo dal piano descrittivo al piano normativo, oc-
corre affrontare la questione dell’applicabilità dell’art. 1225 c.c.
a questi casi. Ebbene, benché anche in questa Fallgruppe siano
in gioco valori costituzionali, il diritto alla salute, in primo
luogo, essi sono direttamente dedotti in obbligazione, in quanto
interessi alla cui soddisfazione è finalizzata la prestazione. Que-
sto implica anche che gli eventuali danni non patrimoniali con-
seguenza di medical malpractice siano di norma largamente pre-
vedibili in quanto investiti dalla preventiva ed esplicita valuta-
zione delle parti, proprio in virtù del consenso informato. Ne
consegue che l’esigenza di una allocazione certa del rischio fra
le parti, propria del contratto come tale, trova un ‘naturale’ bi-
lanciamento con la garanzia dei diritti fondamentali, consen-
tendo al contratto di sottrarsi per quanto possibile all’effetto di
commodification che una visione pancontrattualista porta inevi-
tabilmente con sé, per svolgere invece la funzione di strumento
di equità nelle relazioni giuridiche.
ba) Lo schema ora discusso si ritrova nei contratti aventi ad
oggetto l’istruzione, l’educazione artistica, l’assistenza alla per-
sona, ma anche la disciplina di taluni profili delle relazioni fami-
liari e persino la procreazione (maternità surrogata, ecc.), ove
47
siano considerati leciti. Anche in questi casi ci troviamo di fronte
a contratti nei quali la realizzazione di diritti e posizioni costitu-
zionalmente protette è direttamente dedotto in obbligazione e
costituisce l’oggetto dell’obbligo principale di prestazione.
Come già abbiamo accennato, l’espansione del mercato a
aree del sociale prima preclusegli è in taluni casi salutata come
promessa di libertà, come occasione per dilatare la sfera di au-
todeterminazione degli individui, come veicolo di nuove oppor-
tunità nelle relazioni sociali. In definitiva, come un’ulteriore
tappa lungo il cammino che porta il diritto moderno dallo status
al contratto31. In questa corrente si colloca quella critica, soprat-
tutto femminista, che ha individuato nella crescente contrattua-
lizzazione delle relazioni familiari e nell’affermazione della li-
bertà contrattuale in materia di procreazione strumenti utili per
rovesciare la gerarchizzazione della famiglia e consentire l’affer-
mazione di famiglie non convenzionali (omosessuali, ad es.)32.
Per altro verso, questo scenario si complica (e il giudizio si
fa più controverso) ove l’ampliamento del mercato si traduca
nella contrattualizzazione forzata di servizi e diritti precedente-
mente garantiti dallo Stato sociale: si pensi alla tendenza alla
privatizzazione dell’università, alla crescente commodification,
nelle forme più varie, dell’arte e delle cultura. L’egemonia del
contratto viene allora letta in chiave negativa, a cominciare dalla
sua tendenza a fagocitare quella che Teubner ha chiamato la po-
lycontexturality, cioè la coesistenza di molte e diverse razionalità
all’interno dello stesso sistema del diritto privato, con l’esito di
imporre su ogni settore del sociale un’unica logica, quella dello
scambio33.
Riguardata da questa prospettiva, la declamazione genera-
lizzata del principio dell’integrale riparazione del danno con-
ferma la sua funzione prioritaria, che è quella di incrementare la
48
fiducia nei mercati, rafforzando in tal modo la logica pervasiva
della contrattualizzazione di tutto quanto, solo sino a qualche
decennio orsono, veniva identificato con ‘ciò che il danaro non
può comprare’. Proprio nei settori in oggetto, infatti, la tutela
contrattuale incentrata sul principio dell’integrale riparazione
del danno si rivela tendenzialmente ineffettiva: le conseguenze
dell’inadempimento in questo genere di contratti (si pensi al-
l’inadempimento della prestazione educativa) sono prevalente-
mente incommensurabili, cioè in principio non corrispondenti
ad alcun valore di mercato. Si tratta di pregiudizi che verranno
normalmente qualificati in termini di danni non patrimoniali,
ma lo strumento risarcitorio, dati la crucialità dei beni dedotti
in contratto, da una parte, e il carattere postumo della tutela ri-
sarcitoria, dall’altra, non sarà comunque adeguato.
Tuttavia la vocazione colonizzatrice del mercato non può
certo trovare un argine, e neppure una risposta adeguata, nel ri-
torno alla ‘purezza’ del danno non patrimoniale, cui le Sezioni
Unite della Suprema Corte invitano, proponendone la riconqui-
sta attraverso una lettura restrittiva e ‘decontrattualizzante’ del-
l’art. 2059 c.c. Sul piano redistributivo questa strategia, che die-
tro l’intento del rinnovato rigore sistematico mostra una certa
coloritura moralistica, si rivela infatti svantaggiosa proprio per
gli utenti, i consumatori, gli attori più deboli sulla scena econo-
mica, coloro i quali subiscono la contrattualizzazione della vita,
anziché esserne fautori34.
In questo quadro, va piuttosto preso atto dell’insufficienza
dello strumento risarcitorio, andando oltre la tentazione di feti-
cizzare, a sua volta, l’apertura della disciplina del danno da ina-
dempimento ex art. 1218 e s. c.c. ai pregiudizi d’ordine non pa-
trimoniale. La possibilità di una redistribuzione di potere con-
trattuale fra le parti passa innanzitutto per l’opportunità di
azionare un’efficace tutela specifica. Viene dunque in gioco
l’eventualità di rendere effettivo il principio dell’adempimento in
forma specifica35, dando ampio risalto alle previsioni di cui agli
artt. 1453 e 2058 c.c.36. La centralità degli interessi in gioco rac-
34 Sugli effetti distributivi delle regole di diritto privato resta fondamentale
Du. Kennedy, The Stakes of Law, or Hale and Foucault!, in 15 «Legal Studies Fo-
rum», 1991, 327.
35 Cfr. A. di Majo, La responsabilità contrattuale, cit., 89 ss.; Id., La tutela ci-
vile dei diritti, 4ª ed., Milano, 2003, 319 s.; Id., La tutela civile dei diritti, 1ª ed., Mi-
lano, 1987, 275 s.
36 Il rapporto fra i quali è come noto controverso: cfr. Castronovo, La nuova
responsabilità civile, cit., 504 s.; A. di Majo, La responsabilità contrattuale, Torino,
49
comanderebbe peraltro anche un ricorso mirato alla tutela d’ur-
genza ex art. 700 c.p.c. per garantire la salvaguardia di quei di-
ritti di rilevanza costituzionale che possono essere compromessi
dall’inadempimento, ma anche da una tutela tardiva e mera-
mente pecuniaria. Si pensi ancora all’istruzione, o alla fornitura
di servizi essenziali la cui interruzione mette a rischio beni pri-
mari, a cominciare dalla stessa dignità umana37.
Infine, il problema dell’incommensurabilità38 dei beni de-
dotti in contratto in questo gruppo di casi – ma, in realtà, non
solo in questo – consiglia un ricorso più sistematico alla clausola
penale, per consentire alle parti – al creditore, in particolare –
una determinazione ex ante del valore che attribuiscono agli in-
teressi in gioco, e dei rischi connessi alla loro eventuale compro-
missione, con tutti i vantaggi che una corretta valutazione del
danno comporta anche in riferimento al comportamento delle
parti in sede di esecuzione del contratto39.
2007, 102, nt. 24; Marella, La riparazione in natura o in forma specifica, cit., 175,
191 s.
37 Il legame tra il principio di dignità nella sua accezione sociale e i servizi di
interesse generale è emerso nella giurisprudenza europea e, in particolare, nel
caso: Commissione Europea dei Diritti dell’Uomo, Decisione 9 maggio 1990, Van
Volsem c. Belgio, ricorso n. 14641/89. La ricorrente, una cittadina belga, lamentava
di essere stata sottoposta ad un trattamento umiliante e degradante, vietato ai
sensi dell’art. 3 CEDU, quando, per non aver potuto pagare la bolletta, le era stata
tagliata l’elettricità, costringendo lei e il suo bambino a vivere al freddo, al buio e
senza acqua calda. Nella specie, si configura una chiara lesione della dignità so-
ciale della parte debole ad opera delle condizioni del contratto di somministra-
zione di energia elettrica, eppure, la Commissione ha rigettato il ricorso, con una
decisione assai criticata (cfr. S.F. Sudre, La première décision “quart-monde” de la
Commission européenne des droits de l’homme, une “bavure” dans une jurisprudence
dynamique, in «Revue universelle des droits de l’homme», 1990, 349). Alla luce del-
l’attuale ridimensionamento del welfare state e della crescente contrattualizzazione
dei rapporti sociali, il principio della dignità sociale, applicato in una serie di fatti-
specie contrattuali “strategiche” – locazione, assicurazione sulla salute e per l’assi-
stenza di lungo periodo, accesso al credito – fa emergere la dimensione relazionale
del diritto privato e conduce ad esiti di maggiore giustizia sociale. Per un’analisi
dettagliata di questa casistica sia consentito il rinvio a M.R. Marella, Il fondamento
sociale della dignità umana. Un modello costituzionale per il diritto europeo dei con-
tratti, in «Riv. crit. dir. priv.», 2007, 67, spec. 97 s.
38 Cfr. per tutti C. Sunstein, Incommensurability and Valuation in Law, in 92
«Mich. L. Rev.», 1994, 779, 843 s.
39 Ci si può chiedere se la stipula di una clausola penale soddisfi l’esigenza di
una tutela effettiva senza mortificare il carattere incommensurabile e la rilevanza
extramercato degli interessi dedotti in contratto: in pratica si tratta di capire se la
previa valutazione del danno fornita dalle parti possa costituire la misura ed in-
sieme il limite della protezione di interessi che hanno dignità costituzionale. Su
questi aspetti, cfr. sia consentito rinviare ancora al mio Le conseguenze «non patri-
moniali» dell’inadempimento. Una tassonomia, cit., 199.
50
4. c) Un ultimo gruppo di casi si individua attraverso la pro-
spettiva rimediale, prendendo i rimedi sul serio. In particolare,
dando risalto alla dialettica risarcimento per equivalente/risarci-
mento in forma specifica ed al modo in cui essa può fornire una
diversa configurazione della dicotomia danno patrimoniale/
danno non patrimoniale. Prendere i rimedi sul serio in questa
sede significa mettere all’opera la celebre massima del common
law secondo cui Remedies precede rights e dunque far precedere
alla qualificazione giuridica del danno da risarcire (se non patri-
moniale o invece patrimoniale) un attento lavoro sulla tutela ri-
sarcitoria e sulle possibili diverse modalità di quantificazione
del danno, per giungere alla corretta stima dello stesso e dunque
ad una tutela effettiva del soggetto leso dall’inadempimento. La
casistica più direttamente interessata da questo approccio si in-
dividua attraverso la presenza di pregiudizi che, pur non ve-
dendo coinvolti diritti e valori di rilevanza costituzionale, non
sono di immediata valutazione alla stregua dei comuni parame-
tri di mercato per il fatto di compromettere interessi soggetti ad
una stima eminentemente idiosincratica e soggettiva da parte
del loro titolare.
Ci riferiamo all’ingente numero di casi noto col nome di
“danno da vacanza rovinata”, cui si aggiunge una casistica al-
quanto variegata, riguardante contratti aventi ad oggetto lo
svago, l’intrattenimento, la crescita culturale, la comunicazione,
la cura dell’immagine, più in generale il benessere personale40.
40 Si tratta di una casistica che prima della svolta giurisprudenziale del 2008
le corti decidevano sulla scorta della categoria del danno esistenziale. Per un ipo-
tesi di danno esistenziale derivante dai disagi patiti a causa della tardiva attiva-
zione della linea telefonica prima della pronuncia delle Sezioni Unite del 2008 v.
G.d.P. Roma 11 luglio 2003, in «Danno e resp.», 2004, 85. Ancora di recente, si
veda G.d.P. Grosseto 8 giugno 2012, pronuncia reperibile al sito http://www.perso-
naedanno.it/index.php?option=com_content&view=article&id=39454&catid=49&Ite-
mid=318&mese=07&anno=2012. Il giudice decide un caso di mancata attivazione
della linea telefonica, condannando la compagnia a risarcire all’attrice un danno
espressamente definito esistenziale e consistente nel peggioramento della qualità
della sua vita per aver dovuto, ripetutamente e senza effetto, sollecitare la società
convenuta ad adempiere. La pronuncia mostra di non seguire affatto l’insegna-
mento della Cassazione.
In questo ambito rientrano poi le sentenze che, sempre prima del revirement
del 2008, condannano il gestore al risarcimento dei pregiudizi derivanti da un
black out elettrico, che, nel 2003, tenne l’Italia al buio per un’intera domenica. Agli
utenti viene riconosciuto un pregiudizio non patrimoniale consistente nel non aver
potuto dedicarsi a tutte quelle attività di svago e riposo domenicale che costitui-
scono la normale aspettativa di ogni essere umano e che sono protette dall’art. 2
della Costituzione. In tal senso v. G.d.P. Casoria 13 luglio 2005, in «Danno e resp.»,
2006, 54; G.d.P. Roma 16 marzo 2004, in «Giudice di pace», 2005, I, 43; G.d.P.
Chiaravalle Centrale 7 aprile 2004, in www.diritto.it-Rivistagiuridicaonline; G.d.P.
51
Caso emblematico la mancata riuscita del film delle nozze41,
dove è evidente la natura idiosincratica – e, se si vuole, incom-
mensurabile – della perdita legata all’unicità e alla irripetibilità
dell’evento di cui la ripresa cinematografica doveva conservare
memoria, eppure non se ne riesce a scorgere il carattere di
danno non patrimoniale, se esso deve corrispondere alla lesione
di beni o valori estranei al mercato ed in nessun modo commer-
ciabili. Qui siamo evidentemente in un’altra sfera, una sfera in
cui la realizzazione di profili personalistici non appartiene ne-
cessariamente ad una dimensione esterna al mercato: al contra-
rio, essa alimenta spesso un cospicuo business, ma la soddisfa-
zione degli interessi in gioco risponde ad una stima soggettiva
molto più che ad uno standard di mercato42. Alla tutela risarcito-
ria spetta dunque il compito di dare adeguato riconoscimento a
quest’ordine di pregiudizi, in un quadro sistematico reso più
ostico dalla giurisprudenza inaugurata dalla Suprema Corte con
le sentenze gemelle del 200343, quando l’estrema ricchezza della
casistica sino ad allora ricondotta all’art. 2043 c.c. da un diritto
giurisprudenziale giudicato poi eccessivamente creativo e bor-
52
derline, è stata imbrigliata dentro la (restaurata?44) bipolarità
danno patrimoniale/danno non patrimoniale, così oscurando
proprio la specificità di quei danni che potremmo ironicamente
definire diversamente patrimoniali.
La persistenza di quest’ordine altro di pregiudizi traspare
tuttavia già dalla disciplina in materia di contratto di viaggio e
‘vendita’ di pacchetti vacanza. A cominciare dalla previsione
contenuta nella Convenzione internazionale sul contratto di
viaggio (art. 13 CCV, Bruxelles, 23 aprile 1970)45 – in cui si parla
di “qualunque pregiudizio” (nel testo originale scandendo i pos-
sibili danni risarcibili in personal injury, damage to property e
any other damage) – passando per le espressioni “ogni ulteriore
danno” e “danno diverso dal danno alla persona” (a proposito di
una possibile limitazione pattizia) contenute rispettivamente ne-
gli abrogati artt. 92 e 95 del Codice del consumo, sino ad arri-
vare alla formulazione esplicita dell’art. 47 del d.lgs. 23 maggio
2011, n. 79 (Codice del Turismo) – che sin dall’intitolazione
(Danno da vacanza rovinata) dà rilievo al “danno correlato al
tempo di vacanza inutilmente trascorso ed all’irripetibilità del-
l’occasione perduta” cioè a poste di danno chiaramente idiosin-
cratiche – il linguaggio usato avverte della differenza esistente
rispetto ad altri ‘nuovi’ danni alla persona oggetto di interventi
ugualmente recenti (si compari a quella ora riportata la defini-
zione di “danno non patrimoniale” ricorrente nella normativa
che prescrive il risarcimento del danno da discriminazione)46.
53
Questa evidenza è tuttavia oscurata dal nuovo corso inau-
gurato, o meglio puntualizzato, dalle Sezioni Unite del 2008:
nell’intento di adeguarsi ad esso accade che le corti di merito ri-
conoscano la risarcibilità di quest’ordine di danni sulla base del
richiamo all’art. 2059 e all’art. 2 Cost.47, cadendo così nel para-
dosso di attribuire dignità costituzionale allo svago, laddove l’in-
tento della Suprema Corte era proprio all’opposto quello di re-
stringere il novero dei danni risarcibili attraverso il riferimento
alla Costituzione48.
modificato dalla l. 15 luglio 2011, n. 111; con riferimento alla giurisdizione del giu-
dice di pace, che tratta la maggior parte delle controversie sul danno da vacanza
rovinata, dispone l’introduzione dell’obbligo di pagare il contributo unificato anche
per cause prima esenti l’art. 13 t.u. delle Spese di giustizia – d.P.R. 30 maggio 2002,
n. 115, i cui importi sono stati aumentati con la l. 12 novembre 2011, n. 183 re-
cante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato”).
47 Il ricorso da parte delle corti all’art. 2 Cost. in riferimento al diritto alla va-
canza è ricorrente nella fase antecedente alla pronuncia delle Sezioni Unite del
2008 (per una ricostruzione della giurisprudenza in questa prima fase, cfr. E. Gue-
rinoni, Il danno da “vacanza rovinata”, in «Contr.», 1999, 39, 40; M. Riguzzi, Il
danno da vacanza rovinata, in «Dir. turismo», 2003, 7). Dopo tale data, questa ten-
denza trova senz’altro conferma, ma non mancano casi in cui l’utilizzo dell’art. 2
Cost. serve a limitare le ipotesi di risarcimento del danno da vacanza rovinata. V.
Trib. Torre Annunziata, sez. Torre del Greco, 5 maggio 2009, in «Giur. it.», 2010,
104. Nella specie, la pretesa risarcitoria dei turisti viene respinta, in quanto i disagi
sopportati dalla coppia nel viaggio di nozze non superano il filtro della gravità
della lesione e della serietà del pregiudizio, dovendo invece essere tollerati in virtù
del principio di solidarietà previsto all’art. 2 Cost. La Cassazione, in alcune occa-
sioni, ha inoltre stabilito che questo tipo di danno trova il suo titolo, non nella ge-
nerale previsione dell’art. 2 Cost., ma nella “vacanza rovinata” come disciplinata
dalla legge (v. Cass. civ. 4 marzo 2010, n. 5189, in Banca dati Sistema Leggi d’Italia;
Cass. civ. 13 aprile 2010, n. 8724, in Banca dati DeJure).
Per contro alcune pronunce (Trib. Salluzzo 25 febbraio 2009, in Banca dati
DeJure; Trib. Salerno 24 gennaio 2011, in Banca dati Sistema Leggi d’Italia) ricor-
rono all’art. 2059 c.c. ed alla riserva di legge in esso contenuta per fondare la risar-
cibilità del danno da vacanza rovinata rispettivamente sull’art. 95 del Codice del
consumo e sull’art. 14 del d.lgs. 17 marzo 1995, n. 111.
48 Considerazioni analoghe possono essere riferite al caso del film delle
nozze e ad altre ipotesi di inadempimento contrattuale legate i festeggiamenti nu-
ziali, di cui né la dottrina che se ne è occupata, né la giurisprudenza riconoscono
il carattere idiosincratico e – come si è detto – ‘diversamente apatrimoniale’ degli
interessi coinvolti. Si pensi al caso della società di catering, condannata al risarci-
mento del danno non patrimoniale causato agli sposi per la pessima realizzazione
del banchetto in virtù del richiamo all’art. 2 Cost. (Trib. Roma 13 luglio 2009, in
www.altalex.com e in «Giur. merito», 2009, 2764). Si consideri, ancora, il caso (ipo-
tetico, a quanto consta) della cattiva confezione dell’abito da sposa, su cui riflette
L. Nocco, La giurisprudenza delle corti superiori e le novità legislative in tema di
danno alla persona, in «Danno e resp.», 2011, 6 - Speciale, 8. L’A., in una prospet-
tiva diversa da quella del testo, segue l’impostazione di E. Navarretta, Il danno non
patrimoniale contrattuale, in «Contr.», 2010, 728, 730, e ritiene che in questo caso
la rilevanza dell’interesse non patrimoniale e quindi il suo risarcimento, anche se
si tratta di un interesse privo di rilievo costituzionale, si debba desumere da fattori
oggettivi, come il corrispettivo particolarmente elevato e il valore sociale general-
mente riconosciuto a questo tipo di prestazioni.
54
Siamo qui invece, lo si ripete, di fronte alla lesione di inte-
ressi di valore idiosincratico la cui soddisfazione è direttamente
dedotta in obbligazione49. Sul piano della disciplina del risarci-
mento se ne deve dedurre l’applicabilità del limite della prevedi-
bilità del danno e dell’intera disciplina ex artt. 1223 s. c.c.
Purtroppo la rigidità della dicotomia danno patrimoniale/
danno non patrimoniale riproposta dal nuovo corso giurispru-
denziale non aiuta a cogliere la specificità, anzi allontana la so-
luzione del problema. Per contro l’approccio rimediale, nel mo-
mento in cui è in grado di dare parola alla valutazione sogget-
tiva del creditore attraverso modalità altre di quantificazione del
danno, ad es. consentendo la commisurazione del risarcimento
a forme di svago o di relax alternative alla vacanza rovinata o ad
altra occasione di gratificazione personale analogamente fru-
strata dall’inadempimento (si pensi al costo di un bene immate-
riale ‘di rimpiazzo’ come un abbonamento teatrale o una serie di
trattamenti in una Spa, ecc.), sospinge ai margini l’indagine
sulla natura del danno e al tempo stesso garantisce l’effettività
della tutela, nel senso che assicura la soddisfazione in concreto
49 Di recente, tenta di attribuire al risarcimento del danno da vacanza rovi-
nata una dimensione più chiaramente contrattuale, cercando di ricalibrare l’inse-
gnamento delle Sezioni Unite del 2008, Cass. civ., sez. III, 11 maggio 2012, n. 7256,
in Banca dati Sistema Leggi d’Italia. In questa pronuncia vengono affrontate diverse
questioni che si pongono con riferimento a questo tipo di pregiudizio. In primo
luogo, i giudici si richiamano ai precedenti in materia (v. Cass. civ. 4 marzo 2010,
n. 5189, cit.; Cass. civ. 13 aprile 2010, n. 8724, cit.) ed affermano che la risarcibilità
di tale danno è prevista dalla legge, richiamando espressamente l’art. 47 del Codice
del Turismo. In seconda battuta, la Corte precisa il modo in cui devono essere in-
tesi in sede contrattuale, con riferimento al danno da vacanza rovinata, il requisito
della gravità del pregiudizio, e quello per cui l’offesa deve superare la soglia mi-
nima di tolleranza. I giudici riconoscono che questi limiti hanno un’intrinseca na-
tura extracontrattuale, mentre, così come sono, non hanno senso in ambito con-
trattuale, non essendo menzionati dalla normativa, né essendo desumibili dalla
giurisprudenza della Corte di Giustizia. Il Collegio riconduce tali filtri al principio
di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., con un’operazione in questo caso più mirata ad
una traduzione in ambito contrattuale. Secondo i giudici, in riferimento al diritto
alla vacanza dedotto in contratto, la necessità che la lesione dell’interesse sia grave
e che sia superata la soglia minima di tolleranza trova fondamento nella regola di
correttezza e buona fede oggettiva, che traduce, nel contesto del rapporto obbliga-
torio, i doveri inderogabili di solidarietà. Ne consegue che la richiesta di risarci-
mento di danni da vacanza rovinata a fronte di disagi minimi contrasta con la
buona fede e costituisce un abuso della tutela accordata al consumatore. Senonché
una volta giudicato il danno risarcibile (la gravità della lesione è per l’appunto as-
sunto come indice della risarcibilità nella sentenza del 2008, ma non nella deci-
sione in oggetto), sono integrati gli estremi per la tutela e non si vede come la re-
gola della buona fede possa interferire con essi. Francamente il tentativo di ‘con-
trattualizzare’ la sistemazione offerta dalle SS.UU. del 2008 lascia perplessi. Di
certo quest’ultima sortita della cassazione non contribuisce a fare chiarezza sul
punto.
55
dell’interesse creditorio a prescindere dalla sua aderenza, ovvero
dalla sua estraneità, ad astratti parametri di mercato.
50 Sul primo versante, una lettura marxiana dell’attuale fase del capitalismo
come quella che propongono Hardt, Negri e altri non consente di distinguere una
sfera di non-mercato, al contrario la vita, le intelligenze, gli affetti sono parte del
processo di valorizzazione nel c.d. capitalismo cognitivo e non è configurabile la
tradizionale distinzione fra ambito della produzione e ambito della riproduzione.
Cfr. M. Hardt - A. Negri, Impero, Milano, 2001, 38 s., C. Vercellone, Capitalismo co-
gnitivo, Roma, 2006. La distinzione produzione/riproduzione era peraltro già stata
messa efficacemente in discussione in Italia dal femminismo socialista a cavallo
fra gli anni sessanta e gli anni settanta (si consenta il rinvio a M.R. Marella, Il di-
ritto delle relazioni familiari fra stratificazioni e ‘resistenze’. Il lavoro domestico e la
specialità del diritto di famiglia, in «Riv. crit. dir. priv.», 2010, 233 s., spec. 245 s.).
56
lamento) neutro e astratto dello scambio. Il riconoscimento dei
danni non patrimoniali da inadempimento può essere giocato in
questo senso, valorizzando la possibilità di trarne effetti redistri-
butivi fonte di empowerment per quei gruppi di contraenti che si
presentano strutturalmente più deboli (questo può verificarsi in
molte ipotesi di privatizzazione di servizi pubblici essenziali),
ovvero cogliendo l’opportunità di dar riconoscimento al valore
d’uso del bene o servizio oggetto della prestazione ove questo si
presenti diverso dal suo valore di scambio, così da introdurre un
diversivo nel processo di astrazione della merce. Si tratta in en-
trambi i casi di strategie che il giurista può mettere in campo –
al livello che gli compete e con gli strumenti che gli sono propri
– per resistere alle dinamiche di potere dominanti. Questo mi
pare sia lo spirito di quanto Adolfo di Majo afferma a proposito
del ruolo del giurista, uno spirito che peraltro si ritrova in certe
sue elaborazioni in tema di tutela dei diritti (si pensi all’esten-
sione della tutela proprietaria oltre i confini della proprietà51) e
di diritto delle obbligazioni (per es. il tentativo di dare centralità
al principio dell’adempimento specifico rispetto alla mera tutela
pecuniaria52).
Per contro, le preoccupazioni di chi mette in guardia contro
un riconoscimento ‘automatico’ e privo di filtri dei danni non
patrimoniali da inadempimento, paventando l’attivazione di di-
namiche di mercato difensive, come l’aumento dei premi assicu-
rativi e l’esternalizzazione dei costi del risarcimento sulle con-
troparti contrattuali53, sono certamente fondate, ma non pos-
sono trovare una risposta nell’estensione tout court alla materia
contrattuale dei limiti imposti dall’art. 2059 c.c. secondo la cor-
rente lettura giurisprudenziale. Questa soluzione è un rimedio
assai peggiore del male semplicemente perché ignora la realtà
dei traffici così come essa si configura in questa fase del capita-
lismo.
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