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Anno XXXI - 1

Marzo 2013
Trimestrale

Estratto

JOVENE EDITORE NAPOLI


Struttura dell’obbligazione e analisi rimediale
nei danni non patrimoniali da inadempimento*
Maria Rosaria Marella

SOMMARIO: 1. Il framework. – 2. Gli assi portanti di una possibile tassonomia. – 3. I


danni non patrimoniali da inadempimento nella cornice della distinzione fra obbli-
ghi di prestazione e obblighi di protezione. – 3.1. La violazione di un obbligo di
protezione. – 3.2. Obblighi di prestazione e diritti fondamentali. – 4. Il piano dei
rimedi. Inadempimento e valori idiosincratici. – 5. Conclusioni.

1. Già prima che le Sezioni Unite della Cassazione intervenis-


sero autorevolmente sulla questione del danno non patrimoniale
da inadempimento1, appariva chiara la necessità di una tassono-
mia che aiutasse a discernere, all’interno di una casistica niente
affatto omogenea, fra profili giuridici che rinviano a ordini di
problemi diversi2. Alla riproposizione in questa sede del modello
* Il presente saggio compare in S. Mazzamuto (cur.), Le tutele contrattuali e il
diritto europeo. Scritti per Adolfo di Majo, Napoli, Jovene, 2012. Per la mia presenza
in quel volume, come per la partecipazione al convegno che lo ha preceduto, non
posso che ringraziare innanzi tutti il professor Adolfo di Majo. Devo infatti a lui
non soltanto la mia permanenza nell’accademia, ma prima ancora l’interesse per il
diritto come materia di indagine. Il suo modo di «fare diritto» mi ha conquistata
sin da quando, nel novembre del 1980, iniziai a frequentare le sue lezioni di diritto
civile. L’approccio antiformalista, critico, ma anche creativo (erano gli anni della
tutela dei diritti, la cui edizione 0 uscirà nel 1982: cfr. A. di Majo, La tutela civile dei
diritti. Edizione per gli studenti, Milano), mi convinse che fare la giurista fosse una
bella impresa intellettuale. Così doveva essere – pensavo – per quel gruppo di gio-
vani assistenti che lo seguiva nelle lezioni: anche in loro l’impegno culturale mili-
tante traspariva come cifra del proprio essere giuristi, insieme ad un qualche anti-
conformismo, già allora raro, e perciò ancor più rimarchevole, in una facoltà di
giurisprudenza. Ancora a distanza di molti anni, in occasione di un dibattito recen-
temente svoltosi nella sua nuova facoltà di Roma Tre (si trattava della presenta-
zione del libro di L. Nivarra, Diritto privato e capitalismo. Regole giuridiche e para-
digmi di mercato, Napoli, 2010), Adolfo di Majo è tornato a mettere a fuoco il ruolo
del giurista come il ruolo di chi, pur nella difficoltà del momento, non si limita a
ricostruire con sapienza tecnica e consapevolezza critica lo status quo, né tanto
meno asseconda la tendenza dominante, ma tenta, scavando nelle pieghe del si-
stema, di trovare quelle soluzioni che, operando interstizialmente, sono in grado di
mitigare o neutralizzare un dato assetto di potere.
Di questa bella lezione credo si debba far tesoro anche nel contesto desolante
dell’università italiana degli ultimi anni ed anche a dispetto, se mi è concesso, di
una certa tendenza, dominante nella civilistica, al conformismo intellettuale (in
questo senso incisivamente S. Rodotà, Editoriale, in questa «Rivista», 2012, 3).
1 Cass. SS.UU. 11 novembre 2008, n. 26972, in «Foro it.», 2009, I, 120 s. e in
«Danno e resp.», 2009, 19.
2 Al tema avevo già destinato alcune riflessioni. In particolare v. Le conse-
guenze «non patrimoniali» dell’inadempimento. Una tassonomia, in Colloqui in ri-
cordo di Michele Giorgianni, a cura di C.A. Graziani, Napoli, 2007, 175-204, cui si
rinvia per ulteriori riferimenti dottrinali e giurisprudenziali; Il risarcimento per
equivalente e il principio della riparazione integrale, in Il risarcimento del danno con-
trattuale. La responsabilità per ritardo e per fatto degli ausiliari, in Trattato della re-

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tassonomico è opportuno far precedere qualche parola sul con-
testo in cui il problema si pone, cercando di chiarire quali siano,
almeno a mio avviso, i fattori di ordine istituzionale che fanno
da sfondo alla sua emersione, fattori la cui sostanza getta
un’ombra sulla congruità della sistemazione operata al riguardo
dalle s.u. Ebbene a me sembra che l’esplosione del tema dei
danni contrattuali non patrimoniali non possa essere adeguata-
mente compresa senza prendere in considerazione almeno due
fatti recenti, il cui manifestarsi incide fortemente sul diritto dei
contratti, innovandolo. Un primo fattore sta nell’enorme espan-
sione del mercato, e dunque dello strumento contrattuale, ri-
spetto ad aree che gli erano, ancora qualche decennio orsono,
estranee. Dal momento in cui il mercato, e il contratto con esso,
tende a divenire strumento di regolazione di pressoché tutti gli
aspetti della vita sociale, anzi della vita stessa3, le conseguenze
non patrimoniali dell’inadempimento si moltiplicano e diven-
tano la normalità nell’economia del contratto. Da una parte,
sono sempre più diffusi i contratti destinati a realizzare esigenze
di svago, divertimento, benessere psico-fisico, crescita culturale,
comunicazione, ecc., la cui soddisfazione interessa la sfera della
persona e riflette una valutazione fortemente idiosincratica da
parte del creditore. Dall’altra, anche sotto l’effetto della spinta
alla privatizzazione dei servizi sociali imposta dal tramonto del
welfare state, molti aspetti della persona, a cominciare dallo
stesso diritto alla salute, sono investiti dall’espandersi dell’auto-
nomia privata. Si pensi alla contrattualizzazione delle cure me-
diche (quand’anche prestate nel settore pubblico), o alla commo-
dification della cura della persona (carework), nonché al pene-
trare del contratto nella sfera, prima preclusagli, della famiglia e
addirittura della procreazione4.
sponsabilità contrattuale, a cura di G. Visentini, vol. III, Padova, 2009, 29, 91 s.; con
L. Cruciani, Il danno contrattuale, in Il nuovo contratto, a cura di P.G. Monateri, E.
del Prato, M.R. Marella, A. Somma, C. Costantini, Bologna, 2007, 1065, 1173 s.
3 Il fenomeno è da inquadrarsi nel più ampio contesto del c.d. biocapitali-
smo, su cui si vedano i lavori di Toni Negri e Michael Hardt, fra i quali da ultimo
Commonwealth, Cambridge, Massachusetts, Harvard University Press, 2009, 131 s.
In riferimento all’espansione dell’ambito di competenza del contratto cfr. H. Col-
lins, The Law of Contracts, London, Butterworths, 4th ed., 2003, 106; G. Teubner,
Ein Fall von struktureller Korruption? Die Familienbürgschaft in der Kollision unver-
träglicher Handlungslogiken (BVerfGE 89, 214 ff.), in Kritische Vierteljahresschrift
fuer Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, 1999-2000, 83, 388; C. Beat Graber - G.
Teubner, Art and Money: Constitutional Rights in the Private Sphere, in 18 «Oxford
J. Leg. St.», 1998, 61.
4 Sempre utile il quadro di insieme fornito dal volume di M.E. Ertman e J.C.
Williams, Rethinking Commodification, New York and London, New York Univer-
sity Press, 2005.

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È dunque necessario che la tutela risarcitoria – anche a
fronte di pregiudizi di carattere non patrimoniale – sia giocata
tendenzialmente dentro la logica del contratto e non secondo
una logica altra, come propongono invece le Sezioni Unite della
Suprema Corte5.
In secondo luogo, la regolare risarcibilità delle conseguenze
non patrimoniali dell’inadempimento è perfettamente coerente
con la politica dell’Unione Europea e, più specificamente, con
l’obiettivo, sistematicamente perseguito dal diritto di matrice
europea e comunitaria, di aumentare la fiducia nei mercati di
tutti gli attori economici, e dei consumatori in primo luogo. Ora,
è del tutto evidente che a questo obiettivo sia funzionale la de-
clamazione del principio della riparazione integrale del danno,
che infatti ricorre in tutti i recenti progetti di unificazione del
diritto dei contratti realizzati sotto la guida – più o meno diretta
– della Commissione UE. Seguendo l’esempio dei principi Uni-
droit, enunciano il principio i PECL e il DCFR6; ad essi fa eco la
giurisprudenza della Corte di Giustizia. Non è casuale, d’altra
parte, che le prime previsioni esplicite in tema di risarcimento
del c.d. danno non patrimoniale da inadempimento, dopo al-
cune sortite, tendenzialmente isolate, della giurisprudenza e
della dottrina, si ritrovino nei principi Unidroit e in alcune diret-
tive comunitarie7. Che si tratti di una tendenza dominante anche
5 Sulle ragioni e le peculiarità della risarcibilità delle conseguenze non patri-
moniali dell’inadempimento rispetto al piano extracontrattuale come individuate
in dottrina prima dell’intervento delle Sezioni Unite rinvio per brevità al mio Le
conseguenze «non patrimoniali» dell’inadempimento. Una tassonomia, cit.
6 V. la versione 2004 dei Principi Unidroit (consultabile all’indirizzo:
http://www.unidroit.org/italian/principles/contracts/principles2004/integralversion-
principles2004-i.pdf), art. 7.4.2. (Riparazione integrale). I Principi di diritto europeo
dei contratti (PECL) enunciano il principio all’art. 9:502 (“Valutazione dei danni in
generale”). Il Common Frame of Reference riproduce letteralmente la disposizione
dei Principi di diritto europeo dei contratti (cfr. Draft Common Frame of Reference,
Outline edition 2009, art. III. - 3:702: “General measure of damages”). In ogni caso,
l’indice più rilevante a riprova dell’effettivo radicamento del principio nel diritto
dell’Unione Europea sta nel suo inserimento nei Principi Aquis, che come noto co-
stituiscono una trattazione di tipo sistematico e organizzato delle principali regole
del diritto UE vigente contenute nelle principali Direttive e nelle pronunce della
Corte di Giustizia. L’art. 8: 402 dei Principi Aquis stabilisce che la condanna risar-
citoria deve porre il creditore “nella condizione in cui si sarebbe venuto a trovare
se l’obbligazione fosse stata esattamente adempiuta”.
7 V. Principi Unidroit, versione 2004, art. 7.4.2., il quale, al secondo comma,
stabilisce: “(2) Il danno può essere di natura non pecuniaria e comprende, per
esempio, la sofferenza fisica e morale.” Nella versione 2010, si parla di natura “non
patrimoniale” degli interessi lesi.
I Principi di diritto europeo dei contratti prevedono il risarcimento del
danno non patrimoniale da inadempimento all’art. 9:501: “Diritto al risarcimento. Il
creditore insoddisfatto ha diritto al risarcimento della perdita subita a causa del-

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in Italia è confermato dal tenore di un disegno di legge delega
che pure sancisce la risarcibilità di questo tipo di danno8.
È questo stesso il quadro di riferimento in cui si iscrivono
pure quelle norme di origine comunitaria che estendono il prin-
cipio di non discriminazione alla materia contrattuale sanzio-
nando tutti quei comportamenti che direttamente o indiretta-
mente comportano un trattamento deteriore della controparte
contrattuale in ragione del genere, della razza, ecc. nel corso
dello svolgimento del rapporto o in riferimento all’accesso al

l’inadempimento del debitore quando questi non sia esonerato da responsabilità in


conformità all’art. 8:108. La perdita di cui può essere domandato il risarcimento
comprende: (a) il danno non patrimoniale; e (b) la perdita futura che è ragionevol-
mente prevedibile”.
V. inoltre il Draft Common Frame of Reference, Outline edition, 2009, art. III.
- 3:701: “Right to damages. (1) The creditor is entitled to damages for loss caused
by the debtor’s non-performance of an obligation, unless the non-performance is
excused. (2) The loss for which damages are recoverable includes future loss which
is reasonably likely to occur. (3) “Loss” includes economic and non-economic loss.
“Economic loss” includes loss of income or profit, burdens incurred and a reduc-
tion in the value of property. “Non-economic loss” includes pain and suffering and
impairment of the quality of life”.
L’espressa risarcibilità del danno non patrimoniale da inadempimento viene
affermata anche nei Principi Aquis, all’art. 8: 402, n. 4, secondo cui il risarcimento
di tali danni è dovuto se l’obbligazione inadempiuta sia stata assunta anche in vi-
sta della protezione o del soddisfacimento di interessi non patrimoniali. Cfr. A.
D’Adda, Danno da inadempimento contrattuale e «Diritto privato europeo»: le scelte
dei Principi Aquis, in «Riv. dir. civ.», 2009, I, 573, 596 s. Come noto, ma sul punto
cfr. anche infra, par. 4, l’art. 5 della Direttiva 90/314/CEE del 13 giugno 1990 con-
cernente i viaggi, le vacanze e i circuiti «tutto compreso», è stato interpretato dalla
Corte di Giustizia come base normativa per fondare il risarcimento del danno non
patrimoniale (qualificato come morale) derivante dall’inadempimento del con-
tratto di vendita di un pacchetto turistico (il caso cui si fa riferimento è: Corte di
Giustizia, sentenza 12 marzo 2002, causa C-168/00, Simone Leitner contro TUI
Deutschland GmbH & Co. KG).
8 È del 7 maggio 2010 il Disegno di legge che delega il Governo ad apportare
alcune modifiche al Codice civile, tra le quali spicca l’introduzione del danno non
patrimoniale da inadempimento, la cui risarcibilità viene legata alla categoria de-
gli obblighi di protezione, anch’essa espressamente riconosciuta (v. d.d.l. - Delega al
Governo per le modifiche al codice civile, in materia di disciplina della fiducia e del
contratto autonomo di garanzia, presentato il 7 maggio 2010, il cui art. 4 - Modifi-
che della disciplina del titolo I del libro IV del codice civile, stabilisce: “1. All’art. 1175
del codice civile, dopo il primo comma, è inserito il seguente: «Il debitore e il cre-
ditore devono adottare le misure necessarie per evitare che dall’attuazione del rap-
porto obbligatorio derivi un pregiudizio alla persona o al patrimonio dell’altra
parte». 2. All’art. 1223 del codice civile, dopo il primo comma, è inserito il se-
guente: «Il risarcimento deve comprendere altresì i danni che sono conseguenza
immediata e diretta della lesione di interessi di natura non patrimoniale corrispon-
denti alla prestazione oggetto dell’obbligazione o che sono protetti dagli obblighi
previsti dall’art. 1175, secondo comma»”). Sul legame decisivo tra obblighi di pro-
tezione e risarcimento del danno non patrimoniale da inadempimento, cfr. infra
parr. 2 e 3. Per una critica al d.d.l. Delega – il cui iter parlamentare sembra ora in-
terrotto – cfr. F. Macario - C. Scognamiglio, Il danno non patrimoniale contrattuale,
in «Contr.», 2010, 701, 702.

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contratto stesso9. In questi casi, infatti, il riconoscimento della
risarcibilità del danno non patrimoniale derivante dalla con-
dotta discriminatoria esprime, insieme alla consapevolezza della
molteplicità delle identità di cui gli attori economici sono porta-
tori10, l’esigenza di aprire i mercati a tale varietà di soggetti in
una cornice d’uguaglianza formale al fine di farne dei ‘frequen-
tatori abituali’.

2. Questa cornice di legal policy fa da sfondo ad una riorganiz-


zazione tassonomica della multiforme casistica in oggetto strut-
turata intorno a due assi portanti che ripercorrono, peraltro, le
principali linee di ricerca sviluppate in materia di obbligazioni e
9 Un primo caso è da ravvisarsi nell’art. 4, co. 5, d.lgs. 9 luglio 2003, n. 216
(Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di oc-
cupazione e di condizioni di lavoro), ove si prevede la risarcibilità del danno non
patrimoniale derivante da discriminazione diretta o indiretta a causa della reli-
gione, delle convinzioni personali, degli handicap, dell’età, dell’orientamento ses-
suale. Norma analoga è oggi prevista in tema di discriminazione sulla base del
sesso in materia di lavoro dall’art. 38 d.lgs. 11 aprile 2006, n. 198 (Codice delle pari
opportunità tra uomo e donna, a norma dell’articolo 6 della l. 28 novembre 2005,
n. 246 “semplificazioni e riassetto normativo per l’anno 2005”) che dispone il risar-
cimento del danno non patrimoniale “se richiesto”, oltre alla cessazione del com-
portamento discriminatorio e alla rimozione degli effetti. Per la peculiarità della
funzione assegnata alla tutela risarcitoria, va poi considerata la previsione dell’art.
8.2 della Direttiva che attua il principio della parità di trattamento tra uomini e
donne per quanto riguarda l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura
(2004/113/CE del 13 dicembre 2004, norma oggi riprodotta nell’art. 18 della dir.
2006/54/CE riguardante la discriminazione di genere in materia di occupazione e
impiego, attuata in Italia con il d.lgs. 25 gennaio 2010, n. 5). Scopo sostanziale di
questa disciplina è quello di impedire discriminazioni basate sul sesso in relazione
alla conclusione di contratti aventi ad oggetto servizi assicurativi e altri servizi fi-
nanziari (es. pensioni private) non collegati a un rapporto di lavoro. Nel richiedere
agli Stati Membri di introdurre nei propri ordinamenti misure atte a garantire che
il danno subito dalla persona lesa da discriminazione sia effettivamente risarcito
(“o indennizzato”), la norma prevede che la misura di tutela sia non solo propor-
zionata al pregiudizio ma altresì dissuasiva, il che aggiunge – o per taluni ribadisce
– una funzione sanzionatoria e deterrente alla funzione compensativa comune-
mente attribuita al risarcimento del danno (non patrimoniale). Infatti, almeno ne-
gli ordinamenti che non conoscono i punitive damages, tale complessità di funzioni
trova una compiuta giustificazione proprio in rapporto alle componenti non patri-
moniali del pregiudizio patito da chi subisce un trattamento contrattuale discrimi-
natorio in ragione del proprio genere. Su questi aspetti rinvio a Le conseguenze
«non patrimoniali» dell’inadempimento. Una tassonomia, cit., 180-181.
Per una pronuncia che enfatizza la funzione sanzionatoria – deterrente del
risarcimento del danno non patrimoniale in un caso di molestie sessuali nel rap-
porto di lavoro (equiparate alle discriminazioni), v. Cass. civ., sez. lav., 19 maggio
2010, n. 12318, in «Danno e resp.», 2011, 1043 s. Per una ricognizione delle fatti-
specie di risarcimento del danno non patrimoniale da condotte discriminatorie cfr.
E. Navarretta, Il danno non patrimoniale contrattuale. Profili sistematici di una
nuova disciplina, in «Persona e Mercato - Saggi», 2010, n. 3, 185, 191, nt. 23.
10 Cfr. G. Marini, Distribuzione ed identità nel diritto dei contratti. Note preli-
minari per la costruzione del diritto europeo, in «Riv. crit. dir. priv.», 2010, 63-97.

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contratti dal Maestro: da una parte, la struttura dell’obbliga-
zione, dall’altra, il piano dei rimedi.
Il primo punto di vista si impone non soltanto per la centra-
lità che l’interesse – “anche non patrimoniale” – del creditore as-
sume nella struttura dell’obbligazione ai sensi dell’art. 117411,
ma anche e soprattutto in virtù della dialettica obbligo di presta-
zione/obblighi di protezione che connota, secondo una dottrina
ormai consolidata, la struttura stessa dell’obbligazione12. Dalla

11 Il significato di questa disposizione nella teoria delle obbligazioni è chia-


rito da M. Giorgianni, L’obbligazione (La parte generale delle obbligazioni), I, rist.,
Milano, 1968, 38 s.; sul punto, cfr. anche A. di Majo, Delle obbligazioni in generale
Art. 1173-1176, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, Bologna-Roma,
1988, 257. Il ruolo della norma come possibile indice di risarcibilità del danno non
patrimoniale contrattuale è invece discusso. Ritengo che l’interesse non patrimo-
niale del creditore, di per sé, non legittimi la risarcibilità di eventuali conseguenze
non patrimoniali dell’inadempimento, posto che l’interesse leso e i danni risarcibili
si collocano su piani differenti e che la natura non patrimoniale dell’interesse cre-
ditorio non implica necessariamente il carattere non patrimoniale del danno deri-
vante dall’inadempimento (in tal senso cfr. E. Navarretta - D. Poletti, I danni non
patrimoniali nella responsabilità contrattuale, in I danni non patrimoniali. Linea-
menti sistematici e guida alla liquidazione, a cura di E. Navarretta, Milano, 2004,
59, 62; A.M. Benedetti, Chi non adempie, o adempie male, deve risarcire «anche le la-
crime»? Annotazioni sul danno morale da contratto, in «Giur. it.», 2009, 1055; per la
rilevanza dell’art. 1174 c.c. quale base del risarcimento del danno non patrimoniale
da inadempimento cfr., invece, M. Costanza, Danno non patrimoniale e responsabi-
lità contrattuale, in «Riv. crit. dir. priv.», 1987, 127, 128; V. Tomarchio, Il risarci-
mento del danno non patrimoniale da inadempimento. Rassegna monotematica 1, in
«Corr. merito», 2008, 5, 13, e, più di recente, G. Conte, Considerazioni critiche sul-
l’applicazione del paradigma risarcitorio ricavato dall’art. 2059 c.c. anche al danno
contrattuale, in «Contr.», 2010, 707, 711 e nt. 22).
12 Sebbene la dottrina degli Schutzpflichten nasca in ambito tedesco per sop-
perire alle inadeguatezze del sistema di responsabilità civile (cfr. sul punto C.W.
Canaris, Norme di protezione, obblighi del traffico, doveri di protezione, in «Riv. crit.
dir. priv.», 1983, 576 s.), una parte della dottrina italiana vi ha dedicato grande at-
tenzione nel tentativo di assegnare un ruolo strutturale al principio di buona fede
nei rapporti obbligatori, in tal modo superando anche la tendenza – frutto dell’in-
fluenza esercitata di converso dal modello francese – a risolvere operativamente
l’obbligo di protezione presente nella relazione obbligatoria nel concorso fra re-
sponsabilità contrattuale e responsabilità aquiliana. Il successo di questa dottrina,
come noto, ha portato ad una dilatazione dell’area coperta dalla responsabilità da
inadempimento e degli interessi da essa tutelati. Il tema è affrontato da di Majo,
Delle obbligazioni in generale Art. 1173-1176, cit., 121 s. Vi ritorna ora (A. di Majo,
Le obbligazioni nel pensiero di Luigi Mengoni, in «Europa e dir. priv.», 2012, 119,
126-129) ricordando la difesa di Mengoni della teorica degli obblighi di protezione
contro i suoi detrattori (cfr. L. Mengoni, La parte generale delle obbligazioni, in «Riv.
crit. dir. priv.», 1984, 507), per poi rilevare come in Italia oggi tali obblighi possano
vantare un vasto ambito di applicazione, in quanto essi sono agganciati al sin-
tagma della buona fede – correttezza di cui all’art. 1175 c.c. Il diritto tedesco, in-
vece, dopo la riforma del 2001, “sembra limitare il loro ingresso alle trattative con-
trattuali e all’esistenza di un “analogo contatto negoziale” (ähnliche geschäftliche
Kontakte, par. 311 BGB) e cioè al medio del negozio”.
Sul tema vanno ovviamente visti i lavori di C. Castronovo, Obblighi di prote-
zione e tutela del terzo, in «Jus», 1976, 123; Id., La nuova responsabilità civile, Mi-

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casistica conosciuta emerge in modo inequivoco che taluni
danni non patrimoniali da inadempimento fanno capo all’uno
dei due termini della distinzione e taluni all’altro13.
Il secondo asse della tassonomia si identifica nell’analisi
rimediale e mostra che i rimedi presi sul serio inducono uno
sguardo diverso, conducendo ad una differente classificazione
dei pregiudizi derivanti dall’inadempimento rispetto alla solita
dicotomia danno patrimoniale/danno non patrimoniale. Ora, su
entrambi i piani risulta sconfitta quella sorta di feticizzazione
del danno non patrimoniale che la pronuncia delle s.u. del 2008
ha accentuato, ribadendo e precisando i limiti all’applicazione
dell’art. 2059 c.c. con l’aggiunta del requisito della gravità della
lesione14.

lano, 1997, 177; Id., Ritorno all’obbligazione senza prestazione, in «Europa e dir.
priv.», 2009, 679, 681, 702, il quale da ultimo enfatizza per questa via la relaziona-
lità quale vera essenza dell’obbligazione (cfr. C. Castronovo, La relazione come ca-
tegoria essenziale dell’obbligazione e della responsabilità contrattuale, in «Europa e
dir. priv.», 2011, 55, 66).
13 L’adozione di questa prospettiva – cui già avevo fatto ricorso in precedenza
(cfr. Le conseguenze «non patrimoniali» dell’inadempimento. Una tassonomia, cit.,
179 s.) – non conduce peraltro a conclusioni obbligate. Esiti diversi (anche fra
loro) in L. Nivarra, La contrattualizzazione del danno non patrimoniale: un’incom-
piuta, in «Europa e dir. priv.», 2012, 475, 479; S. Mazzamuto - A. Plaia, I rimedi del
diritto privato europeo, Giappichelli, Torino, 2012, 54 s.
14 L’inadeguatezza dell’analisi e delle soluzioni offerte dalla Cassazione nel
2008 non si coglie solo in rapporto al danno non patrimoniale da inadempimento,
ma anche in relazione allo statuto del danno non patrimoniale di fonte extracon-
trattuale e al c.d. danno alla persona. Il giudizio negativo risulta avvalorato dall’ef-
fetto che la decisione delle Sezioni Unite ha avuto sulle sentenze ad essa succes-
sive. Definisce “disorientante” il panorama giurisprudenziale creatosi all’indomani
della sentenza della Cassazione, F. Busnelli, Non c’è quiete dopo la tempesta. Il
danno alla persona alla ricerca di un nuovo statuto risarcitorio, in «Riv. dir. civ.»,
2012, 129, 130-132. Secondo l’A., diverse sono le anomalie dello statuto risarcitorio
del danno alla persona: esso si ispira all’integralità del risarcimento (come nel si-
stema francese), ma non rinuncia all’ambiguo contenitore del danno non patrimo-
niale (di matrice tedesca), servendosi dell’art. 2059 c.c., norma nata con altre fina-
lità; si affida alle tabelle per la liquidazione, ma, allo stesso tempo, non segue la lo-
gica dell’indennizzo. Una valutazione particolarmente critica viene dall’estensore
dell’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite: G. Travaglino, Il futuro del danno
alla persona, in «Danno e resp.», 2011, 113, che vede nella pronuncia della Cassa-
zione del 2008 il punto più basso della storia del danno alla persona. Per T. la sen-
tenza esprime un inarrestabile processo di centralizzazione del danno biologico
entro la galassia del danno non patrimoniale. Allo stesso tempo, il pregiudizio
morale assume contorni indefiniti e il danno esistenziale diviene voce descrittiva di
lesioni a-patrimoniali.
All’opposto è giocata proprio sul terreno della tutela contro l’inadempimento
contrattuale l’adesione alla sentenza delle Sezioni Unite di M. Franzoni, Il danno
morale e il danno non patrimoniale da inadempimento, in «Resp. civ.», 2009, 581,
586, 588, per il quale il valore innovativo della pronuncia sta nell’aver stabilito che
gli artt. 1218 e 1223 c.c., lungi dall’operare solo in rapporto al danno patrimoniale,
si riferiscono anche al pregiudizio non patrimoniale, quando l’inadempimento ab-

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Ed infatti, sul piano della struttura, gli obblighi di prote-
zione non fanno altro che dar voce all’anima tortious del con-
tratto15, istituzionalizzando il bisogno di tutela della parte con-
trattuale come persona all’interno della relazione negoziale. E
ciò in conformità con la Costituzione repubblicana. Se ne trae
che la risarcibilità delle conseguenze non patrimoniali derivanti
dalla violazione di un obbligo di protezione discende dal carat-
tere degli stessi interessi protetti dal contratto (o nel contratto),
senza dover chiamare in causa l’art. 2059, che in queste ipotesi
risulta un medio normativo inutile16. Siamo difatti pienamente
all’interno della logica del contratto. La disciplina del contratto
di trasporto di persone ex art. 1681 c.c. ne costituisce una chiara
riprova.
Sul piano della tutela, la presenza di rimedi (risarcitori)
giocati sulle modalità di quantificazione del danno consente di
riconoscere autonomia alla perdita di utilità investite dalla valu-
tazione idiosincratica del creditore rispetto ai pregiudizi di ca-
rattere non patrimoniale in senso proprio17. La casistica al ri-
guardo è assai eloquente ed è del tutto evidente che il ricorso al-
l’art. 2059 sia sovrabbondante o addirittura improprio di fronte
a pregiudizi di carattere NON non patrimoniale.
Lo scopo di questa tassonomia non è meramente descrit-
tivo, come ovvio. Al contrario essa aspira, sul piano generale, a
fare di una tematica ristretta come quella delle conseguenze non
patrimoniali dell’inadempimento un punto di osservazione da
cui acquisire una visione più complessa della relazione fra mer-
cato, valori personalistici e vita sociale, e sul piano precettivo, a
risolvere alcuni problemi di disciplina, in particolare, il pro-
blema dell’applicabilità a questa casistica del limite della preve-
dibilità del danno ex art. 1225 c.c.
bia leso diritti inviolabili della persona. Ma su questo punto v. rilievi critici infra
nel testo.
15 Cfr. G.K. Gardner, Observations on the Course in Contracts, 1934, inedito,
di cui può leggersi un breve estratto in Du. Kennedy, From the Will Theory to the
Principle of Private Autonomy: Lon Fuller’s «Consideration and Form», in 100:94
«Columbia L. Rev.», 2000, 166.
16 In tal senso, già prima del dibattito suscitato dalle SS.UU. del 2008 A. di
Majo, La responsabilità contrattuale, Giappichelli, Torino, 2007, 148 ss. Considera-
zioni analoghe ora in Conte, Considerazioni critiche sull’applicazione del paradigma
risarcitorio ricavato dall’art. 2059 c.c. anche al danno contrattuale, cit., 710. Ritiene
l’art. 2059 c.c. non applicabile alla materia contrattuale, sulla base dell’argomento
testuale G. Colacino, Inadempimento, danno non patrimoniale e regole di responsa-
bilità, in «Contr. e impr.», 2009, 649, 661.
17 Su questi aspetti, si consenta il rinvio a M.R. Marella, La riparazione del
danno in forma specifica, Padova, 2000, 249 s.

42
3. Non da oggi in talune relazioni contrattuali sono implicati
profili strettamente attinenti alla persona umana e, dunque, di-
ritti inviolabili garantiti dalla Costituzione. L’allargamento del
mercato e quindi dell’area di incidenza del contratto ha moltipli-
cato queste ipotesi e soprattutto ha posto la soddisfazione di ta-
luni diritti fondamentali al centro dell’elemento causale, sicché
la tutela dei diritti costituzionalmente garantiti all’interno delle
relazioni contrattuali può differentemente modularsi seguendo
l’articolazione degli obblighi contrattuali in obblighi di presta-
zione e obblighi di protezione.

3.1. a) Un primo gruppo di casi, il cui nucleo originario è costi-


tuito dalle classiche ipotesi del contratto di trasporto di persone
e del contratto di lavoro subordinato, ruota intorno alla fattispe-
cie della violazione di un obbligo di protezione. Tanto nel caso
del trasporto quanto in quello del lavoro subordinato, siamo di
fronte a obblighi di protezione di fonte legale (rispettivamente
l’art. 1681 e l’art. 2087 c.c.18) aventi ad oggetto diritti inviolabili
garantiti dalla Costituzione come l’integrità fisica e la persona-
lità morale della controparte19. Obblighi legali di protezione
sono ravvisabili altresì nelle disposizioni di legge volte a colpire
comportamenti discriminatori posti in essere ai danni della con-
troparte nell’esecuzione del contratto20. In questi casi è la stessa
legge a prevedere la risarcibilità del danno non patrimoniale, la
quale sarebbe comunque desumibile dal valore costituzionale
degli interessi lesi (uguaglianza, dignità).

18 Per una panoramica, cfr. M. Franzoni, Il rapporto di lavoro e il danno non


patrimoniale, in «Resp. civ.», 2010, 645, 649. Secondo l’A., la portata generale attri-
buibile all’art. 2087 c.c. ha consentito di tutelare la personalità morale del lavora-
tore ben prima che si arrivasse alla rilettura costituzionale dell’art. 2059 c.c.
19 Taluni inadempimenti datoriali che ledono diritti inviolabili del lavoratore,
ma non trovano la loro fonte in una violazione dell’art. 2087 c.c. Si pensi all’ob-
bligo gravante sul datore di versare i contributi previdenziali per il lavoratore: esso
è sancito – oltreché in apposite leggi speciali – negli artt. 2115, co. 2 e 2116 c.c. Eb-
bene, l’omissione contributiva del datore, oltre a costituire un reato, determina in
capo al lavoratore sia un danno patrimoniale che non patrimoniale. In ordine a
questo secondo profilo, in un caso di mancato accredito contributivo che aveva de-
terminato il differimento della data della pensione, la Cassazione stabilito ha che
l’inadempimento datoriale costituisce lesione di interessi costituzionalmente pro-
tetti, tra cui quello a realizzare liberamente una propria, legittima, opzione di vita,
determinando un danno non patrimoniale (definito esistenziale), risarcito in una
somma pari a 30.000 Euro per un ritardo di 8 anni rispetto alla data prevista per
la pensione (v. Cass. civ., sez. lav., 10 febbraio 2010, n. 3023, in www.cortedicassa-
zione.it) In tema cfr. anche D. Mesiti, Il danno da omissione contributiva, in «La-
voro nella giur.», 2010, 693.
20 Per una ricognizione di tali ipotesi cfr. supra nt. 9.

43
La stessa ratio si ritrova in una casistica recente (mobbing21,
demansionamento ex art. 2103 c.c.) in cui il rapporto di lavoro
occasionalmente comporta la lesione della dignità e del diritto al
libero svolgimento della personalità del lavoratore (art. 2 Cost.)
ad opera del datore di lavoro22. A tanto si aggiunge l’ipotesi della
violazione dei diritti della personalità del libero professionista,
quali l’onore e la reputazione23, espressamente prevista dal com-
mento ufficiale all’art. 7.4.2, co. 2 dei Principi Unidroit24. La
norma, che prevede la risarcibilità del danno non pecuniario in

21 Una ricostruzione delle pronunce recenti in materia di mobbing, nel qua-


dro della giurisprudenza sulla responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c.,
si trova, tra i tanti, in A. Cocchi, Art. 2087 c.c.: Orientamenti giurisprudenziali sulla
lesione della dignità del lavoratore, in «Resp. civ. e prev.», 2012, 41, 49 s..
22 Cfr. V. Ciccarelli - I. Sardella, Il danno non patrimoniale da contratto, in
«Danno e resp.», 2011, 33 s. Proprio in tema di danno da demansionamento, gli
AA. registrano una non piena conformità delle pronunce di merito rispetto al dic-
tum delle Sezioni Unite del 2008, secondo cui in questo caso il lavoratore subisce
una lesione dei suoi diritti inviolabili previsti all’art. 2 e 4 Cost., da risarcire anche
in ambito contrattuale. Se alcuni giudici si sono allineati all’orientamento della
Cassazione (v. Trib. Reggio Calabria 15 luglio 2009, ivi, che costruisce il demansio-
namento come fonte di un pregiudizio alla dignità professionale), altri giudici
hanno invece fatto riferimento alla figura del danno alla vita di relazione (v. Trib.
Ravenna 23 marzo 2009, ivi, che qualifica il pregiudizio da demansionamento
come danno esistenziale). Per una pronuncia che in tema di demansionamento
tenta di tracciare la distinzione tra meri pregiudizi – come tali non risarcibili – e
danni che ledono interessi oggetto di copertura costituzionale, in base all’insegna-
mento delle Sezioni Unite del 2008, v. Cass. civ., 12 maggio 2009, n. 10864, in «Riv.
giur. lav.», 2010, 101; v. inoltre Cass. civ., sez. lav., 14 aprile 2011, n. 8527 e Cass.
civ., sez. lav., 4 marzo 2011, n. 5237 in «Danno e resp.», 2012, 41, nota di F. Mal-
zani, Tollerabilità della lesione alla dignità professionale e demansionamento. Per
un’agile messa a punto v. L. Faltoni, Risarcibilità del danno da demansionamento, in
«Nuova giur. civ. comm.», 2011, 1024; G. Aiello, Il danno non patrimoniale da de-
mansionamento: regole di risarcibilità e onere della prova, in «Resp. civ. e prev.»,
2010, 317.
23 Pregiudizi risarcibili all’onore e alla reputazione del professionista ricor-
rono ad es. nel caso in cui la banca lo segnali per errore alla centrale rischi, a causa
della mancata copertura di un assegno, che invece era stato sequestrato a seguito
di denuncia di smarrimento (v. Trib. Brindisi 2 marzo 2011, n. 28, in «Nuova giur.
civ. comm.», 2012, I, 1. I giudici affermano comunque che la compromissione del-
l’onore e della reputazione riguardano il debitore come persona, indipendente-
mente dallo svolgimento di un’attività commerciale, che però, nella specie, era
stata chiusa proprio in conseguenza del precluso accesso al credito). In tema v.
Cass. civ. 1 aprile 2009, n. 7958 e Cass. civ. 24 maggio 2010, n. 12626, in «Obbl. e
contr.», 2011, 737, con nota di F. Grasselli, Errata segnalazione in «Centrale rischi»
e risarcimento dei danni. Secondo l’A., in questi casi, dall’illegittima segnalazione in
centrale rischi deriva un danno all’immagine, alla reputazione sociale e professio-
nale, al libero esercizio della propria attività d’impresa, tutti interessi, questi, pro-
tetti in Costituzione come diritti inviolabili dell’uomo e risarcibili a seguito di ina-
dempimento da parte della banca degli obblighi di protezione nei confronti del
correntista.
24 Principi dei contratti commerciali internazionali, a cura dell’Unidroit,
Roma, 1995, 216.

44
riferimento, ad es. alla sofferenza fisica e morale, può “trovare
applicazione, nel commercio internazionale, nel caso di con-
tratti conclusi da artisti, da atleti di grande valore e da consu-
lenti assunti da una società o da un’organizzazione”. In realtà
non si tratta di un’ipotesi nuova: nel common law statunitense
un celebre caso del 1970, Shirley McLaine Parker v. Twentieth
Century-Fox Film Corporation25, aveva già messo chiaramente in
luce come l’inadempimento di un contraente possa ledere anche
la reputazione della controparte. Il caso rileva peraltro soprat-
tutto sotto altro profilo, quello della mitigation: essendo stata
cancellata dalla Twentieth Century-Fox una certa produzione ci-
nematografica per la quale era stata scritturata l’attrice Shirley
McLaine, la corte ha ritenuto che la stessa non fosse tenuta a ri-
durre il danno cagionato dall’inadempimento della convenuta
accettando di recitare in un film di qualità artistica inferiore,
ove ciò fosse lesivo della sua reputazione artistica.
È una logica perfettamente in linea con le dinamiche del di-
ritto dei contratti del civil law e del sistema italiano, in partico-
lare. Pertanto, escluso l’onere di ridurre le conseguenze dannose
dell’inadempimento ex art. 1227, co. 2, c.c. ove ciò confligga con
i diritti della persona, resta da chiedersi se la risarcibilità del
danno non patrimoniale in questa serie di casi sia sottoposta al
limite della certezza del danno e a quello della prevedibilità.
Come noto, il requisito della certezza non trova riscontro nel co-
dice civile, ma è criterio ricorrente in giurisprudenza e nell’ela-
borazione dottrinale26. Nel sistema dei Principi Unidroit, la ri-
sarcibilità del danno contrattuale non patrimoniale riconosciuta
nel 2° comma dell’art.7.4.2 è da intendersi soggetta, secondo il
commento ufficiale, al criterio della certezza e “alle altre condi-
zioni necessarie per il diritto al risarcimento”. Ora, il rigore con
cui il danno non patrimoniale è in questo contesto ricondotto in
tutto e per tutto alla disciplina del danno contrattuale tout court
si spiega con la priorità che i principi Unidroit assegnano al-
l’obiettivo di consolidare la fiducia nei mercati – evidentemente
soddisfatto dalla declamazione del principio della riparazione
integrale del danno – rispetto a quello di garantire l’effettività
della tutela dei diritti della persona nei contratti del commercio
internazionale.
25 California Supreme Court, 1970, 3 Cal.3d 176, 89 Cal. Rptr. 737, 474 P. 2d
689.
26 Sul punto, sia consentito rinviare a Marella, Il risarcimento per equivalente
e il principio della riparazione integrale, cit., 35 s.

45
Ove però sia quest’ultimo l’obiettivo che ascriviamo alla ri-
sarcibilità del danno non patrimoniale da inadempimento, il li-
mite della prevedibilità del danno non può ritenersi applicabile
in quanto in contrasto con lo scopo perseguito e con il rango co-
stituzionale degli interessi protetti. Il discorso vale soprattutto
nelle ipotesi esaminate in questa Fallgruppe, in cui è possibile e,
a mio avviso, opportuno valorizzare l’anima tortious del con-
tratto fino in fondo, cogliendo il senso profondo di quella storia
dottrinaria che muovendo dalla teoria del concorso di responsa-
bilità – contrattuale e extracontrattuale – attraverso successivi
passaggi è poi approdata al riconoscimento degli obblighi di
protezione all’interno del rapporto obbligatorio.
In questa logica può ben cogliersi pure il carattere dissua-
sivo della previsione del risarcimento del danno non patrimo-
niale dovuto in conseguenza di un comportamento discrimina-
torio, senza per questo disconoscere la matrice contrattuale
della responsabilità.

3.2. b) Una parte importante della casistica è originata dalla


contrattualizzazione del rapporto medico-paziente. Come noto,
si tratta di un’evoluzione giurisprudenziale27 che ha investito an-
che la relazione fra malato e operatore sanitario che si instaura
all’interno delle strutture pubbliche e che ha conosciuto un’ulte-
riore espansione con il ricorso alla dottrina del contratto con ef-
fetti protettivi nei confronti dei terzi, in virtù della quale il me-
dico risponde contrattualmente anche nei confronti di chi non è
parte, per esempio nei confronti del neonato, sulla base della re-
lazione negoziale che lo vincola alla partoriente28. Anche in que-
sto caso un diritto inviolabile, il diritto alla salute, è implicato in
un rapporto contrattuale; qui però, a differenza di quanto ac-
cade nei casi visti in precedenza, esso costituisce l’interesse di-
rettamente dedotto in obbligazione, oggetto dell’obbligo princi-
pale di prestazione. L’ulteriore obbligo gravante sul medico di ot-
27 Per una ricostruzione della vicenda cfr. M. Paradiso, La responsabilità me-
dica: dal torto al contratto, in «Riv. dir. civ.», 2001, I, 325; Id., La responsabilità me-
dica tra conferme giurisprudenziali e nuove aperture, in «Danno e resp.», 2009, 703.
28 Sul ricorso al contratto con effetti protettivi nei confronti dei terzi nell’am-
bito di una attenta ricognizione della giurisprudenza sulla responsabilità medica,
cfr. F. Agnino, La responsabilità medica: lo stato dell’arte della giurisprudenza tra en-
forcement del paziente ed oggettivazione della responsabilità sanitaria, in «Corr.
giur.», 2011, 628, spec. 631-632. In tema di wrongful birth, v. Cass. civ. 10 novem-
bre 2010, n. 22837, e Cass. civ. 2 febbraio 2010, n. 2354, in «Danno e resp.», 2011,
382, con nota di R. Simone, Nascite dannose: tra inadempimento (contrattuale) e
nesso causale (extracontrattuale).

46
tenere il consenso informato del paziente29 è da ritenersi pari or-
dinato rispetto a quello di prestare le cure, rappresentando
quella modalità di esecuzione della prestazione necessaria a ga-
rantirne la congruità (l’esattezza secondo la lettera dell’art. 1218
c.c.) e ha ad oggetto un altro diritto inviolabile, il diritto all’au-
todeterminazione di cui all’art. 2 Cost.30.
Superfluo osservare che siamo pienamente all’interno della
logica del contratto.
Trascorrendo dal piano descrittivo al piano normativo, oc-
corre affrontare la questione dell’applicabilità dell’art. 1225 c.c.
a questi casi. Ebbene, benché anche in questa Fallgruppe siano
in gioco valori costituzionali, il diritto alla salute, in primo
luogo, essi sono direttamente dedotti in obbligazione, in quanto
interessi alla cui soddisfazione è finalizzata la prestazione. Que-
sto implica anche che gli eventuali danni non patrimoniali con-
seguenza di medical malpractice siano di norma largamente pre-
vedibili in quanto investiti dalla preventiva ed esplicita valuta-
zione delle parti, proprio in virtù del consenso informato. Ne
consegue che l’esigenza di una allocazione certa del rischio fra
le parti, propria del contratto come tale, trova un ‘naturale’ bi-
lanciamento con la garanzia dei diritti fondamentali, consen-
tendo al contratto di sottrarsi per quanto possibile all’effetto di
commodification che una visione pancontrattualista porta inevi-
tabilmente con sé, per svolgere invece la funzione di strumento
di equità nelle relazioni giuridiche.
ba) Lo schema ora discusso si ritrova nei contratti aventi ad
oggetto l’istruzione, l’educazione artistica, l’assistenza alla per-
sona, ma anche la disciplina di taluni profili delle relazioni fami-
liari e persino la procreazione (maternità surrogata, ecc.), ove

29 In tema, la giurisprudenza è copiosa: Trib. Bari 13 ottobre 2009, n. 3032,


in Banca dati Dejure; Cass. civ. 9 febbraio 2010, n. 2847, in «Obbl. e contr.», 2010,
653, con nota di C. Pirro, Sulla mancata acquisizione del consenso informato da
parte del medico; Cass. civ. 20 aprile 2010, n. 9315, in Banca dati Dejure; Cass. civ.
19 maggio 2011, n. 11005, in «Danno e resp.», 2012, 515, con nota di V. Montani,
Violazione del consenso informato e nesso di causalità. V. poi App. Firenze 6 agosto
2010, in «Nuova giur. civ. comm.», 2011, I, 29, con nota di G. Ponzanelli e R.
Breda, Ansia, inadempimento contrattuale e il rimedio del danno contrattuale. Si
tratta di un caso riconducibile alla violazione di obblighi informativi da parte del
medico circa l’esito di esami cui l’attore era stato sottoposto, con conseguente con-
danna a risarcire il pregiudizio consistente nello stato di ansia prodottasi nel pa-
ziente per l’impossibilità di “estrinsecare con normalità gli aspetti della persona e
della vita di relazione”.
30 Sul tema cfr. M. Graziadei, Il consenso informato e i suoi limiti, in I diritti
in medicina - Trattato di Biodiritto, a cura di L. Lenti, E. Palermo Fabris, P. Zatti,
vol. III, Milano, 2011, 191-287.

47
siano considerati leciti. Anche in questi casi ci troviamo di fronte
a contratti nei quali la realizzazione di diritti e posizioni costitu-
zionalmente protette è direttamente dedotto in obbligazione e
costituisce l’oggetto dell’obbligo principale di prestazione.
Come già abbiamo accennato, l’espansione del mercato a
aree del sociale prima preclusegli è in taluni casi salutata come
promessa di libertà, come occasione per dilatare la sfera di au-
todeterminazione degli individui, come veicolo di nuove oppor-
tunità nelle relazioni sociali. In definitiva, come un’ulteriore
tappa lungo il cammino che porta il diritto moderno dallo status
al contratto31. In questa corrente si colloca quella critica, soprat-
tutto femminista, che ha individuato nella crescente contrattua-
lizzazione delle relazioni familiari e nell’affermazione della li-
bertà contrattuale in materia di procreazione strumenti utili per
rovesciare la gerarchizzazione della famiglia e consentire l’affer-
mazione di famiglie non convenzionali (omosessuali, ad es.)32.
Per altro verso, questo scenario si complica (e il giudizio si
fa più controverso) ove l’ampliamento del mercato si traduca
nella contrattualizzazione forzata di servizi e diritti precedente-
mente garantiti dallo Stato sociale: si pensi alla tendenza alla
privatizzazione dell’università, alla crescente commodification,
nelle forme più varie, dell’arte e delle cultura. L’egemonia del
contratto viene allora letta in chiave negativa, a cominciare dalla
sua tendenza a fagocitare quella che Teubner ha chiamato la po-
lycontexturality, cioè la coesistenza di molte e diverse razionalità
all’interno dello stesso sistema del diritto privato, con l’esito di
imporre su ogni settore del sociale un’unica logica, quella dello
scambio33.
Riguardata da questa prospettiva, la declamazione genera-
lizzata del principio dell’integrale riparazione del danno con-
ferma la sua funzione prioritaria, che è quella di incrementare la

31 Secondo la celebre formula coniata da Henry Sumner Maine, Ancient Law.


Its Connection with the Early History of Society and Its Relation with Modern Ideas,
London, Spottiswoode and Co. 1861, 304 s. (trad. it.: Dallo “status” al contratto, in
Il diritto privato nella società moderna, a cura di S. Rodotà, Bologna, 1971, 211 ss.);
Collins, The Law of Contracts, cit., 106.
32 Cfr. ad es. M. Ertman, The Business of Intimacy. Bridging the Private - Pri-
vate Distinction, in Feminism Confronts Homo Economicus: Gender, Law and So-
ciety, M. Albertson Fineman - T. Dougherty (eds.), Ithaca-London, Cornell Univer-
sity Press 2005, 467, 473.
33 Cfr. G. Teubner, After Privatisation? - The Many Autonomies of Private Law,
in From Dissonance to Sense: Welfare State Expectations, Privatisation and Private
Law, T. Wilhelmsson - S. Hurri (eds.), Ashgate Publishing Ltd, Aldershot 1999, 51;
Id., La matrice anonima, in «Riv. crit. dir. priv.», 2006, 9.

48
fiducia nei mercati, rafforzando in tal modo la logica pervasiva
della contrattualizzazione di tutto quanto, solo sino a qualche
decennio orsono, veniva identificato con ‘ciò che il danaro non
può comprare’. Proprio nei settori in oggetto, infatti, la tutela
contrattuale incentrata sul principio dell’integrale riparazione
del danno si rivela tendenzialmente ineffettiva: le conseguenze
dell’inadempimento in questo genere di contratti (si pensi al-
l’inadempimento della prestazione educativa) sono prevalente-
mente incommensurabili, cioè in principio non corrispondenti
ad alcun valore di mercato. Si tratta di pregiudizi che verranno
normalmente qualificati in termini di danni non patrimoniali,
ma lo strumento risarcitorio, dati la crucialità dei beni dedotti
in contratto, da una parte, e il carattere postumo della tutela ri-
sarcitoria, dall’altra, non sarà comunque adeguato.
Tuttavia la vocazione colonizzatrice del mercato non può
certo trovare un argine, e neppure una risposta adeguata, nel ri-
torno alla ‘purezza’ del danno non patrimoniale, cui le Sezioni
Unite della Suprema Corte invitano, proponendone la riconqui-
sta attraverso una lettura restrittiva e ‘decontrattualizzante’ del-
l’art. 2059 c.c. Sul piano redistributivo questa strategia, che die-
tro l’intento del rinnovato rigore sistematico mostra una certa
coloritura moralistica, si rivela infatti svantaggiosa proprio per
gli utenti, i consumatori, gli attori più deboli sulla scena econo-
mica, coloro i quali subiscono la contrattualizzazione della vita,
anziché esserne fautori34.
In questo quadro, va piuttosto preso atto dell’insufficienza
dello strumento risarcitorio, andando oltre la tentazione di feti-
cizzare, a sua volta, l’apertura della disciplina del danno da ina-
dempimento ex art. 1218 e s. c.c. ai pregiudizi d’ordine non pa-
trimoniale. La possibilità di una redistribuzione di potere con-
trattuale fra le parti passa innanzitutto per l’opportunità di
azionare un’efficace tutela specifica. Viene dunque in gioco
l’eventualità di rendere effettivo il principio dell’adempimento in
forma specifica35, dando ampio risalto alle previsioni di cui agli
artt. 1453 e 2058 c.c.36. La centralità degli interessi in gioco rac-
34 Sugli effetti distributivi delle regole di diritto privato resta fondamentale
Du. Kennedy, The Stakes of Law, or Hale and Foucault!, in 15 «Legal Studies Fo-
rum», 1991, 327.
35 Cfr. A. di Majo, La responsabilità contrattuale, cit., 89 ss.; Id., La tutela ci-
vile dei diritti, 4ª ed., Milano, 2003, 319 s.; Id., La tutela civile dei diritti, 1ª ed., Mi-
lano, 1987, 275 s.
36 Il rapporto fra i quali è come noto controverso: cfr. Castronovo, La nuova
responsabilità civile, cit., 504 s.; A. di Majo, La responsabilità contrattuale, Torino,

49
comanderebbe peraltro anche un ricorso mirato alla tutela d’ur-
genza ex art. 700 c.p.c. per garantire la salvaguardia di quei di-
ritti di rilevanza costituzionale che possono essere compromessi
dall’inadempimento, ma anche da una tutela tardiva e mera-
mente pecuniaria. Si pensi ancora all’istruzione, o alla fornitura
di servizi essenziali la cui interruzione mette a rischio beni pri-
mari, a cominciare dalla stessa dignità umana37.
Infine, il problema dell’incommensurabilità38 dei beni de-
dotti in contratto in questo gruppo di casi – ma, in realtà, non
solo in questo – consiglia un ricorso più sistematico alla clausola
penale, per consentire alle parti – al creditore, in particolare –
una determinazione ex ante del valore che attribuiscono agli in-
teressi in gioco, e dei rischi connessi alla loro eventuale compro-
missione, con tutti i vantaggi che una corretta valutazione del
danno comporta anche in riferimento al comportamento delle
parti in sede di esecuzione del contratto39.

2007, 102, nt. 24; Marella, La riparazione in natura o in forma specifica, cit., 175,
191 s.
37 Il legame tra il principio di dignità nella sua accezione sociale e i servizi di
interesse generale è emerso nella giurisprudenza europea e, in particolare, nel
caso: Commissione Europea dei Diritti dell’Uomo, Decisione 9 maggio 1990, Van
Volsem c. Belgio, ricorso n. 14641/89. La ricorrente, una cittadina belga, lamentava
di essere stata sottoposta ad un trattamento umiliante e degradante, vietato ai
sensi dell’art. 3 CEDU, quando, per non aver potuto pagare la bolletta, le era stata
tagliata l’elettricità, costringendo lei e il suo bambino a vivere al freddo, al buio e
senza acqua calda. Nella specie, si configura una chiara lesione della dignità so-
ciale della parte debole ad opera delle condizioni del contratto di somministra-
zione di energia elettrica, eppure, la Commissione ha rigettato il ricorso, con una
decisione assai criticata (cfr. S.F. Sudre, La première décision “quart-monde” de la
Commission européenne des droits de l’homme, une “bavure” dans une jurisprudence
dynamique, in «Revue universelle des droits de l’homme», 1990, 349). Alla luce del-
l’attuale ridimensionamento del welfare state e della crescente contrattualizzazione
dei rapporti sociali, il principio della dignità sociale, applicato in una serie di fatti-
specie contrattuali “strategiche” – locazione, assicurazione sulla salute e per l’assi-
stenza di lungo periodo, accesso al credito – fa emergere la dimensione relazionale
del diritto privato e conduce ad esiti di maggiore giustizia sociale. Per un’analisi
dettagliata di questa casistica sia consentito il rinvio a M.R. Marella, Il fondamento
sociale della dignità umana. Un modello costituzionale per il diritto europeo dei con-
tratti, in «Riv. crit. dir. priv.», 2007, 67, spec. 97 s.
38 Cfr. per tutti C. Sunstein, Incommensurability and Valuation in Law, in 92
«Mich. L. Rev.», 1994, 779, 843 s.
39 Ci si può chiedere se la stipula di una clausola penale soddisfi l’esigenza di
una tutela effettiva senza mortificare il carattere incommensurabile e la rilevanza
extramercato degli interessi dedotti in contratto: in pratica si tratta di capire se la
previa valutazione del danno fornita dalle parti possa costituire la misura ed in-
sieme il limite della protezione di interessi che hanno dignità costituzionale. Su
questi aspetti, cfr. sia consentito rinviare ancora al mio Le conseguenze «non patri-
moniali» dell’inadempimento. Una tassonomia, cit., 199.

50
4. c) Un ultimo gruppo di casi si individua attraverso la pro-
spettiva rimediale, prendendo i rimedi sul serio. In particolare,
dando risalto alla dialettica risarcimento per equivalente/risarci-
mento in forma specifica ed al modo in cui essa può fornire una
diversa configurazione della dicotomia danno patrimoniale/
danno non patrimoniale. Prendere i rimedi sul serio in questa
sede significa mettere all’opera la celebre massima del common
law secondo cui Remedies precede rights e dunque far precedere
alla qualificazione giuridica del danno da risarcire (se non patri-
moniale o invece patrimoniale) un attento lavoro sulla tutela ri-
sarcitoria e sulle possibili diverse modalità di quantificazione
del danno, per giungere alla corretta stima dello stesso e dunque
ad una tutela effettiva del soggetto leso dall’inadempimento. La
casistica più direttamente interessata da questo approccio si in-
dividua attraverso la presenza di pregiudizi che, pur non ve-
dendo coinvolti diritti e valori di rilevanza costituzionale, non
sono di immediata valutazione alla stregua dei comuni parame-
tri di mercato per il fatto di compromettere interessi soggetti ad
una stima eminentemente idiosincratica e soggettiva da parte
del loro titolare.
Ci riferiamo all’ingente numero di casi noto col nome di
“danno da vacanza rovinata”, cui si aggiunge una casistica al-
quanto variegata, riguardante contratti aventi ad oggetto lo
svago, l’intrattenimento, la crescita culturale, la comunicazione,
la cura dell’immagine, più in generale il benessere personale40.
40 Si tratta di una casistica che prima della svolta giurisprudenziale del 2008
le corti decidevano sulla scorta della categoria del danno esistenziale. Per un ipo-
tesi di danno esistenziale derivante dai disagi patiti a causa della tardiva attiva-
zione della linea telefonica prima della pronuncia delle Sezioni Unite del 2008 v.
G.d.P. Roma 11 luglio 2003, in «Danno e resp.», 2004, 85. Ancora di recente, si
veda G.d.P. Grosseto 8 giugno 2012, pronuncia reperibile al sito http://www.perso-
naedanno.it/index.php?option=com_content&view=article&id=39454&catid=49&Ite-
mid=318&mese=07&anno=2012. Il giudice decide un caso di mancata attivazione
della linea telefonica, condannando la compagnia a risarcire all’attrice un danno
espressamente definito esistenziale e consistente nel peggioramento della qualità
della sua vita per aver dovuto, ripetutamente e senza effetto, sollecitare la società
convenuta ad adempiere. La pronuncia mostra di non seguire affatto l’insegna-
mento della Cassazione.
In questo ambito rientrano poi le sentenze che, sempre prima del revirement
del 2008, condannano il gestore al risarcimento dei pregiudizi derivanti da un
black out elettrico, che, nel 2003, tenne l’Italia al buio per un’intera domenica. Agli
utenti viene riconosciuto un pregiudizio non patrimoniale consistente nel non aver
potuto dedicarsi a tutte quelle attività di svago e riposo domenicale che costitui-
scono la normale aspettativa di ogni essere umano e che sono protette dall’art. 2
della Costituzione. In tal senso v. G.d.P. Casoria 13 luglio 2005, in «Danno e resp.»,
2006, 54; G.d.P. Roma 16 marzo 2004, in «Giudice di pace», 2005, I, 43; G.d.P.
Chiaravalle Centrale 7 aprile 2004, in www.diritto.it-Rivistagiuridicaonline; G.d.P.

51
Caso emblematico la mancata riuscita del film delle nozze41,
dove è evidente la natura idiosincratica – e, se si vuole, incom-
mensurabile – della perdita legata all’unicità e alla irripetibilità
dell’evento di cui la ripresa cinematografica doveva conservare
memoria, eppure non se ne riesce a scorgere il carattere di
danno non patrimoniale, se esso deve corrispondere alla lesione
di beni o valori estranei al mercato ed in nessun modo commer-
ciabili. Qui siamo evidentemente in un’altra sfera, una sfera in
cui la realizzazione di profili personalistici non appartiene ne-
cessariamente ad una dimensione esterna al mercato: al contra-
rio, essa alimenta spesso un cospicuo business, ma la soddisfa-
zione degli interessi in gioco risponde ad una stima soggettiva
molto più che ad uno standard di mercato42. Alla tutela risarcito-
ria spetta dunque il compito di dare adeguato riconoscimento a
quest’ordine di pregiudizi, in un quadro sistematico reso più
ostico dalla giurisprudenza inaugurata dalla Suprema Corte con
le sentenze gemelle del 200343, quando l’estrema ricchezza della
casistica sino ad allora ricondotta all’art. 2043 c.c. da un diritto
giurisprudenziale giudicato poi eccessivamente creativo e bor-

Maddaloni 28 dicembre 2004, in www.avvocatideiconsumatori.it. In questo ambito


sembrerebbe doversi registrare un cambio di orientamento. Sul punto v. Cass. civ.
ord. 18 dicembre 2009, n. 26777, in http://www.consiglioaperto.blogspot.it/2010/02/
danno-da-black-out-elettrico-cassciv. html. La pronuncia respinge una richiesta di
risarcimento del danno non patrimoniale c.d. “da black out”, applicando al caso
l’insegnamento delle Sezioni Unite del 2008: i giudici escludono espressamente che
tale pregiudizio possa qualificarsi come danno esistenziale e affermano che la pre-
tesa risarcitoria non specifica quale sarebbe l’interesse costituzionale leso in questa
fattispecie.
41 Pret. Salerno, sez. Eboli, 17 febbraio 1997, in «Giust. civ.», 1998, 2037, con
nota di G. Sapio, Lesione della sfera psico-affettivo-emotiva e responsabilità contrat-
tuale.
42 La questione è molto chiara a Michele Giorgianni (L’obbligazione, cit., 33)
a partire dal caso di scuola scelto per discuterne (caso che ricorda da vicino quello
recente del DVD delle nozze): un signore di campagna ingaggia un gruppo musi-
cale cittadino per una festa di famiglia, ma i musicisti non si presentano all’ora sta-
bilita e per il creditore diventa impossibile rimpiazzarli, dato il luogo in cui la fe-
sta si svolge. È facile comprendere come in questo caso il riferimento alla non pa-
trimonialità del danno abbia direttamente a che vedere con la sua non immediata
traducibilità in termini pecuniari, piuttosto che con la qualificazione dogmatica
che oggi comunemente si desume dalla contrapposizione con la categoria del
danno patrimoniale. Infatti qui Giorgianni parla di valutabilità pecuniaria o meno
del danno o direttamente di “pecuniarietà del danno”, il che non rinvia ad una qua-
lificazione riferita alla ‘natura’ dell’interesse violato, ma semmai alla sua commen-
surabilità alla stregua dei valori correnti di mercato.
43 Cass., sez. III, 31 maggio 2003, n. 8827 e n. 8828, in «Danno e resp.», 2003,
819. Qui infatti, a dispetto del riconoscimento formale della categoria del danno
esistenziale se ne opera in realtà un forte ridimensionamento attraverso il filtro
dell’art. 2059 c.c.

52
derline, è stata imbrigliata dentro la (restaurata?44) bipolarità
danno patrimoniale/danno non patrimoniale, così oscurando
proprio la specificità di quei danni che potremmo ironicamente
definire diversamente patrimoniali.
La persistenza di quest’ordine altro di pregiudizi traspare
tuttavia già dalla disciplina in materia di contratto di viaggio e
‘vendita’ di pacchetti vacanza. A cominciare dalla previsione
contenuta nella Convenzione internazionale sul contratto di
viaggio (art. 13 CCV, Bruxelles, 23 aprile 1970)45 – in cui si parla
di “qualunque pregiudizio” (nel testo originale scandendo i pos-
sibili danni risarcibili in personal injury, damage to property e
any other damage) – passando per le espressioni “ogni ulteriore
danno” e “danno diverso dal danno alla persona” (a proposito di
una possibile limitazione pattizia) contenute rispettivamente ne-
gli abrogati artt. 92 e 95 del Codice del consumo, sino ad arri-
vare alla formulazione esplicita dell’art. 47 del d.lgs. 23 maggio
2011, n. 79 (Codice del Turismo) – che sin dall’intitolazione
(Danno da vacanza rovinata) dà rilievo al “danno correlato al
tempo di vacanza inutilmente trascorso ed all’irripetibilità del-
l’occasione perduta” cioè a poste di danno chiaramente idiosin-
cratiche – il linguaggio usato avverte della differenza esistente
rispetto ad altri ‘nuovi’ danni alla persona oggetto di interventi
ugualmente recenti (si compari a quella ora riportata la defini-
zione di “danno non patrimoniale” ricorrente nella normativa
che prescrive il risarcimento del danno da discriminazione)46.

44 È infatti opportuno ricordare che la persuasività della ricostruzione bina-


ria del sistema del danno nel nostro diritto era già stata messa in discussione con
successo da Renato Scognamiglio nel celebre saggio Il danno morale (Contributo
alla teoria del danno extracontrattuale), in «Riv. dir. civ.», 1957, 275.
45 Convenzione ratificata e resa esecutiva in Italia dalla l. 27 dicembre 1977,
n. 1084, ora abrogata a seguito dell’entrata in vigore del Codice del turismo.
46 Per una prima ricognizione sulla nuova disciplina, cfr. ex multis G. De Cri-
stofaro, La disciplina dei contratti aventi ad oggetto «Pacchetti turistici» nel «Codice
del Turismo» (d.lgs. 23 maggio 2011, n. 79): profili di novità e questioni problemati-
che (Seconda parte), in «Studium Juris», 2011, 1282. In riferimento alla tutela risar-
citoria cfr. F. Romeo, Il “nuovo” danno da vacanza rovinata: primi rilievi sull’art. 47
del codice del turismo, in «Resp. civ.», 2011, 565, 566, il quale propone una lettura
restrittiva della norma, confinando la risarcibilità alle ipotesi di violazioni di non
scarsa importanza del tour operator e giudicando irrilevanti le valutazioni sogget-
tive del turista sulle modalità di erogazione di alcuni servizi accessori. Ci sembra
tuttavia uno sforzo interpretativo in larga parte inutile, dal momento che i recenti
interventi legislativi volti ad aggravare il costo del ricorso alla tutela giurisdizionale
costituiscono ben altro freno alla proposizione di cause ‘bagatellari’: in virtù di esse
l’effetto di filtro si realizzerà a monte rispetto alle regole di risarcimento del danno,
con una sensibile contrazione dell’accesso alla giustizia (v. art. 37, co. 6, d.l. 6 lu-
glio 2011, n. 98 “Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria” così come

53
Questa evidenza è tuttavia oscurata dal nuovo corso inau-
gurato, o meglio puntualizzato, dalle Sezioni Unite del 2008:
nell’intento di adeguarsi ad esso accade che le corti di merito ri-
conoscano la risarcibilità di quest’ordine di danni sulla base del
richiamo all’art. 2059 e all’art. 2 Cost.47, cadendo così nel para-
dosso di attribuire dignità costituzionale allo svago, laddove l’in-
tento della Suprema Corte era proprio all’opposto quello di re-
stringere il novero dei danni risarcibili attraverso il riferimento
alla Costituzione48.

modificato dalla l. 15 luglio 2011, n. 111; con riferimento alla giurisdizione del giu-
dice di pace, che tratta la maggior parte delle controversie sul danno da vacanza
rovinata, dispone l’introduzione dell’obbligo di pagare il contributo unificato anche
per cause prima esenti l’art. 13 t.u. delle Spese di giustizia – d.P.R. 30 maggio 2002,
n. 115, i cui importi sono stati aumentati con la l. 12 novembre 2011, n. 183 re-
cante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato”).
47 Il ricorso da parte delle corti all’art. 2 Cost. in riferimento al diritto alla va-
canza è ricorrente nella fase antecedente alla pronuncia delle Sezioni Unite del
2008 (per una ricostruzione della giurisprudenza in questa prima fase, cfr. E. Gue-
rinoni, Il danno da “vacanza rovinata”, in «Contr.», 1999, 39, 40; M. Riguzzi, Il
danno da vacanza rovinata, in «Dir. turismo», 2003, 7). Dopo tale data, questa ten-
denza trova senz’altro conferma, ma non mancano casi in cui l’utilizzo dell’art. 2
Cost. serve a limitare le ipotesi di risarcimento del danno da vacanza rovinata. V.
Trib. Torre Annunziata, sez. Torre del Greco, 5 maggio 2009, in «Giur. it.», 2010,
104. Nella specie, la pretesa risarcitoria dei turisti viene respinta, in quanto i disagi
sopportati dalla coppia nel viaggio di nozze non superano il filtro della gravità
della lesione e della serietà del pregiudizio, dovendo invece essere tollerati in virtù
del principio di solidarietà previsto all’art. 2 Cost. La Cassazione, in alcune occa-
sioni, ha inoltre stabilito che questo tipo di danno trova il suo titolo, non nella ge-
nerale previsione dell’art. 2 Cost., ma nella “vacanza rovinata” come disciplinata
dalla legge (v. Cass. civ. 4 marzo 2010, n. 5189, in Banca dati Sistema Leggi d’Italia;
Cass. civ. 13 aprile 2010, n. 8724, in Banca dati DeJure).
Per contro alcune pronunce (Trib. Salluzzo 25 febbraio 2009, in Banca dati
DeJure; Trib. Salerno 24 gennaio 2011, in Banca dati Sistema Leggi d’Italia) ricor-
rono all’art. 2059 c.c. ed alla riserva di legge in esso contenuta per fondare la risar-
cibilità del danno da vacanza rovinata rispettivamente sull’art. 95 del Codice del
consumo e sull’art. 14 del d.lgs. 17 marzo 1995, n. 111.
48 Considerazioni analoghe possono essere riferite al caso del film delle
nozze e ad altre ipotesi di inadempimento contrattuale legate i festeggiamenti nu-
ziali, di cui né la dottrina che se ne è occupata, né la giurisprudenza riconoscono
il carattere idiosincratico e – come si è detto – ‘diversamente apatrimoniale’ degli
interessi coinvolti. Si pensi al caso della società di catering, condannata al risarci-
mento del danno non patrimoniale causato agli sposi per la pessima realizzazione
del banchetto in virtù del richiamo all’art. 2 Cost. (Trib. Roma 13 luglio 2009, in
www.altalex.com e in «Giur. merito», 2009, 2764). Si consideri, ancora, il caso (ipo-
tetico, a quanto consta) della cattiva confezione dell’abito da sposa, su cui riflette
L. Nocco, La giurisprudenza delle corti superiori e le novità legislative in tema di
danno alla persona, in «Danno e resp.», 2011, 6 - Speciale, 8. L’A., in una prospet-
tiva diversa da quella del testo, segue l’impostazione di E. Navarretta, Il danno non
patrimoniale contrattuale, in «Contr.», 2010, 728, 730, e ritiene che in questo caso
la rilevanza dell’interesse non patrimoniale e quindi il suo risarcimento, anche se
si tratta di un interesse privo di rilievo costituzionale, si debba desumere da fattori
oggettivi, come il corrispettivo particolarmente elevato e il valore sociale general-
mente riconosciuto a questo tipo di prestazioni.

54
Siamo qui invece, lo si ripete, di fronte alla lesione di inte-
ressi di valore idiosincratico la cui soddisfazione è direttamente
dedotta in obbligazione49. Sul piano della disciplina del risarci-
mento se ne deve dedurre l’applicabilità del limite della prevedi-
bilità del danno e dell’intera disciplina ex artt. 1223 s. c.c.
Purtroppo la rigidità della dicotomia danno patrimoniale/
danno non patrimoniale riproposta dal nuovo corso giurispru-
denziale non aiuta a cogliere la specificità, anzi allontana la so-
luzione del problema. Per contro l’approccio rimediale, nel mo-
mento in cui è in grado di dare parola alla valutazione sogget-
tiva del creditore attraverso modalità altre di quantificazione del
danno, ad es. consentendo la commisurazione del risarcimento
a forme di svago o di relax alternative alla vacanza rovinata o ad
altra occasione di gratificazione personale analogamente fru-
strata dall’inadempimento (si pensi al costo di un bene immate-
riale ‘di rimpiazzo’ come un abbonamento teatrale o una serie di
trattamenti in una Spa, ecc.), sospinge ai margini l’indagine
sulla natura del danno e al tempo stesso garantisce l’effettività
della tutela, nel senso che assicura la soddisfazione in concreto
49 Di recente, tenta di attribuire al risarcimento del danno da vacanza rovi-
nata una dimensione più chiaramente contrattuale, cercando di ricalibrare l’inse-
gnamento delle Sezioni Unite del 2008, Cass. civ., sez. III, 11 maggio 2012, n. 7256,
in Banca dati Sistema Leggi d’Italia. In questa pronuncia vengono affrontate diverse
questioni che si pongono con riferimento a questo tipo di pregiudizio. In primo
luogo, i giudici si richiamano ai precedenti in materia (v. Cass. civ. 4 marzo 2010,
n. 5189, cit.; Cass. civ. 13 aprile 2010, n. 8724, cit.) ed affermano che la risarcibilità
di tale danno è prevista dalla legge, richiamando espressamente l’art. 47 del Codice
del Turismo. In seconda battuta, la Corte precisa il modo in cui devono essere in-
tesi in sede contrattuale, con riferimento al danno da vacanza rovinata, il requisito
della gravità del pregiudizio, e quello per cui l’offesa deve superare la soglia mi-
nima di tolleranza. I giudici riconoscono che questi limiti hanno un’intrinseca na-
tura extracontrattuale, mentre, così come sono, non hanno senso in ambito con-
trattuale, non essendo menzionati dalla normativa, né essendo desumibili dalla
giurisprudenza della Corte di Giustizia. Il Collegio riconduce tali filtri al principio
di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., con un’operazione in questo caso più mirata ad
una traduzione in ambito contrattuale. Secondo i giudici, in riferimento al diritto
alla vacanza dedotto in contratto, la necessità che la lesione dell’interesse sia grave
e che sia superata la soglia minima di tolleranza trova fondamento nella regola di
correttezza e buona fede oggettiva, che traduce, nel contesto del rapporto obbliga-
torio, i doveri inderogabili di solidarietà. Ne consegue che la richiesta di risarci-
mento di danni da vacanza rovinata a fronte di disagi minimi contrasta con la
buona fede e costituisce un abuso della tutela accordata al consumatore. Senonché
una volta giudicato il danno risarcibile (la gravità della lesione è per l’appunto as-
sunto come indice della risarcibilità nella sentenza del 2008, ma non nella deci-
sione in oggetto), sono integrati gli estremi per la tutela e non si vede come la re-
gola della buona fede possa interferire con essi. Francamente il tentativo di ‘con-
trattualizzare’ la sistemazione offerta dalle SS.UU. del 2008 lascia perplessi. Di
certo quest’ultima sortita della cassazione non contribuisce a fare chiarezza sul
punto.

55
dell’interesse creditorio a prescindere dalla sua aderenza, ovvero
dalla sua estraneità, ad astratti parametri di mercato.

5. La risarcibilità dei danni non patrimoniali cagionati dal-


l’inadempimento è divenuta regola in conseguenza dell’espan-
sione del mercato e dell’occupazione da parte di questo di settori
della vita individuale e collettiva che in precedenza erano sot-
tratti alla sua ‘giurisdizione’.
Ora, l’enorme ampliamento del numero e della tipologia
delle relazioni sociali che sono oggi organizzate dal mercato è
fenomeno che può piacere o meno, e certamente il giurista gioca
il suo ruolo nell’assecondarlo ovvero nel tentare di contrastarlo.
Ma è sua responsabilità anche leggere con qualche accuratezza
le possibili interazioni fra i processi di commodification e il di-
ritto evitando di cadere in contrapposizioni ideologiche. E mi ri-
ferisco qui non soltanto alla dicotomia danno patrimoniale/
danno non patrimoniale, cui, come ho cercato di spiegare, l’ap-
proccio rimediale lancia un’importante sfida. Si tratta altresì di
sottoporre a critica la stessa opposizione mercato/non-mercato.
E questo non solo da un punto di vista generale (marxiano, ma
anche femminista50) e ai fini di una più nitida comprensione
della realtà, ma anche dall’angolo visuale più ristretto del priva-
tista, allo scopo di non fermarsi alla constatazione della coloniz-
zazione della vita da parte del mercato e di cogliere piuttosto
quanto si muove nella direzione opposta, ossia quanto l’espan-
sione del mercato comporti il filtrare di razionalità ‘altre’ all’in-
terno della sua struttura giuridica principe, il contratto. Sono di-
scorsi noti a chi ad es. si è occupato di contrattualizzazione
delle relazioni familiari, ovvero di contratti concernenti la ripro-
duzione umana, come ad es. il contratto di maternità surrogata,
in cui l’esigenza di dar conto della materia regolata dall’atto di
autonomia si ritiene debba prevalere sul linguaggio (e sul rego-

50 Sul primo versante, una lettura marxiana dell’attuale fase del capitalismo
come quella che propongono Hardt, Negri e altri non consente di distinguere una
sfera di non-mercato, al contrario la vita, le intelligenze, gli affetti sono parte del
processo di valorizzazione nel c.d. capitalismo cognitivo e non è configurabile la
tradizionale distinzione fra ambito della produzione e ambito della riproduzione.
Cfr. M. Hardt - A. Negri, Impero, Milano, 2001, 38 s., C. Vercellone, Capitalismo co-
gnitivo, Roma, 2006. La distinzione produzione/riproduzione era peraltro già stata
messa efficacemente in discussione in Italia dal femminismo socialista a cavallo
fra gli anni sessanta e gli anni settanta (si consenta il rinvio a M.R. Marella, Il di-
ritto delle relazioni familiari fra stratificazioni e ‘resistenze’. Il lavoro domestico e la
specialità del diritto di famiglia, in «Riv. crit. dir. priv.», 2010, 233 s., spec. 245 s.).

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lamento) neutro e astratto dello scambio. Il riconoscimento dei
danni non patrimoniali da inadempimento può essere giocato in
questo senso, valorizzando la possibilità di trarne effetti redistri-
butivi fonte di empowerment per quei gruppi di contraenti che si
presentano strutturalmente più deboli (questo può verificarsi in
molte ipotesi di privatizzazione di servizi pubblici essenziali),
ovvero cogliendo l’opportunità di dar riconoscimento al valore
d’uso del bene o servizio oggetto della prestazione ove questo si
presenti diverso dal suo valore di scambio, così da introdurre un
diversivo nel processo di astrazione della merce. Si tratta in en-
trambi i casi di strategie che il giurista può mettere in campo –
al livello che gli compete e con gli strumenti che gli sono propri
– per resistere alle dinamiche di potere dominanti. Questo mi
pare sia lo spirito di quanto Adolfo di Majo afferma a proposito
del ruolo del giurista, uno spirito che peraltro si ritrova in certe
sue elaborazioni in tema di tutela dei diritti (si pensi all’esten-
sione della tutela proprietaria oltre i confini della proprietà51) e
di diritto delle obbligazioni (per es. il tentativo di dare centralità
al principio dell’adempimento specifico rispetto alla mera tutela
pecuniaria52).
Per contro, le preoccupazioni di chi mette in guardia contro
un riconoscimento ‘automatico’ e privo di filtri dei danni non
patrimoniali da inadempimento, paventando l’attivazione di di-
namiche di mercato difensive, come l’aumento dei premi assicu-
rativi e l’esternalizzazione dei costi del risarcimento sulle con-
troparti contrattuali53, sono certamente fondate, ma non pos-
sono trovare una risposta nell’estensione tout court alla materia
contrattuale dei limiti imposti dall’art. 2059 c.c. secondo la cor-
rente lettura giurisprudenziale. Questa soluzione è un rimedio
assai peggiore del male semplicemente perché ignora la realtà
dei traffici così come essa si configura in questa fase del capita-
lismo.

51 Si veda in particolare la prima edizione de La tutela civile dei diritti, Mi-


lano, 1987, 119 s., spec. 124-125, nonché Id., La tutela civile dei diritti, 4ª ed., Mi-
lano, 94-95.
52 Cfr. A. di Majo, La responsabilità contrattuale, loc. ult. cit.
53 Cfr. Busnelli, Non c’è quiete dopo la tempesta. Il danno alla persona alla ri-
cerca di un nuovo statuto risarcitorio, cit., 132.

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