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GIUSEPPE ZACCARIA (*)

Prof. ord. dell’Università di Padova

L’ABUSO DEL DIRITTO NELLA PROSPETTIVA


DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO

SOMMARIO: 1. Alle origini del dibattito italiano: il saggio di Pietro Rescigno – 2. La distin-
zione di Atienza e Ruiz Manero tra illeciti tipici e atipici – 3. I contributi di Giorgio
Pino in tema di abuso del diritto – 4. Il giuspositivismo ortodosso di Bruno Celano – 5.
Paolo Comanducci: abuso del diritto e attivismo dei giudici – 6. Il dibattito civilistico
sulla crisi della fattispecie

1. – Pur ovviamente datato e in parte costruito su un quadro norma-


tivo oggi superato e spesso radicalmente rinnovato e riscritto, il saggio di
Pietro Rescigno sull’abuso del diritto, nato nel 1963 dalla relazione inau-
gurale dell’anno accademico di Bologna (1), rappresenta a tutt’oggi una
delle più fini analisi del tema, per la sua capacità di individuare con
acutezza le radici ideologiche di una formula e di una categoria contro-
verse e periodicamente riemergenti nella riflessione dottrinale dei giuri-
sti (2), soprattutto di quelli di orientamento antiformalistico, tanto nei
paesi che hanno espressamente previsto per legge il divieto dell’abuso
del diritto, quanto in quelli che non l’hanno previsto.
Già dai due termini che compongono il titolo del saggio emerge chia-
ramente l’intima contraddittorietà e quasi il carattere di ossimoro di una
formulazione, peraltro ormai stabilmente acquisita dalla dottrina, che con-
trappone il diritto, inteso come esercizio di libertà e di volontà, al supe-
ramento di limiti del diritto, ai quali si allude peraltro in modo vago e

(*) Testo, annotato, della relazione presentata al Convegno “L’abuso del diritto: Si-
gnificato e valore di una tecnica argomentativa nei diversi settori dell’ordinamento”, organiz-
zato dal Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Firenze, 11-12 febbraio 2016.
(1) P. RESCIGNO, L’abuso del diritto, in questa Rivista, 1965, I, pp. 205 ss., poi in ID.,
L’abuso del diritto, Bologna 1998, pp. 11-144.
(2) La constatazione è ricorrente nella letteratura sul tema. Cfr., per tutti, G. ALPA,
Appunti sul divieto dell’abuso del diritto in ambito comunitario e sui suoi riflessi negli
ordinamenti degli Stati Membri, in Contratto e impr., 2015, p. 247: “La formula è per sua
natura ambigua, sfuggente, e tuttavia necessaria, né si può bandire, come ha tentato di fare
qualche legislatore, perché è proprio come l’Araba fenice, più si cerca di esorcizzarla, più si
riafferma con vigore”.

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sfuggente (3), dal momento che non è affatto semplice situare sbrigativa-
mente l’abuso nell’area dell’illecito.
Da un esame approfondito delle due principali posizioni ideologiche
sul tema, quella di origine cattolica e quella di origine socialista, l’analisi di
Rescigno fa emergere tutta una serie di distinzioni elaborate dalla dottrina,
come quella tra diritti – funzioni e diritti egoisti (4) o quella tra diritti
causali e non causali (o anche immotivati) (5). Ed è successivamente chia-
rita con efficacia la pre-condizione teorica di ogni discorso sull’abuso del
diritto, l’idea di un “consenso della comunità sociale” rispetto all’esercizio
dei diritti (6), che si trova necessariamente alla base di ogni prospettiva non
ristretta ed angusta di tale figura. Infatti, anche se tale figura nasce non
casualmente nel contesto del formalismo legale francese di origine codici-
stica e come reazione ad alcune sue insensatezze, il riconoscimento del-
l’esistenza di pratiche abusive non può legarsi a prospettive di tipo forma-
listico, ma si salda necessariamente a prospettive che chiamano in causa
aspetti teleologici degli atti giuridici. Sia con riferimento ad atti di auto-
nomia privata, sia con riguardo ad un “cattivo uso” di sfere di competenza
costituzionalmente definite, quando si parla di abuso del diritto si accen-
tua necessariamente il profilo finalistico.
In altre parole, l’apparente paradosso contenuto nella formula “abuso
del diritto”, si può sciogliere, almeno se si considera una delle figure più
rilevanti di abuso, quella di diritto soggettivo, solo in una prospettiva che
guardi al diritto soggettivo non come ad un fine in se stesso, ma come ad
un mezzo per realizzare un interesse più ampio.
Infine, un’originale chiave di lettura della dottrina sull’abuso del di-
ritto è individuata da Rescigno nel tentativo di reagire alla “progressiva
disumanizzazione del rapporto giuridico” (7), favorita dalle costruzioni di
tipo formalistico ispirate a Kelsen. Nel riconoscere che tale dottrina sul-
l’abuso si attaglia più agevolmente alla teoria dell’interesse che alla teoria
della volontà in tema di diritto soggettivo, e dunque nel ribadire la sua
adesione ad una prospettiva solidamente antiformalistica e antiletteralista,
Rescigno suggestivamente conclude che “nei suoi limiti e nella sua voca-

(3) Cfr. G. PALOMBELLA, L’abuso del diritto, del potere, del rule of law, in Id., Dopo la
certezza. Il diritto in equilibrio tra giustizia e democrazia, Bari 2006, p. 137.
(4) L’abuso del diritto, cit., p. 35.
(5) Ivi, p. 47.
(6) Ivi, p. 48.
(7) Ivi, p. 129.
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zione, la dottrina dell’abuso finisce allora col testimoniare l’antica miseria


del diritto e la pena del giurista che cerca di riscattarla” (8).
Abbiamo voluto dare inizialmente spazio e rilievo al saggio di Pietro
Rescigno, perché a distanza di un cinquantennio esso ha assunto la dimen-
sione del classico e rappresenta ancora un punto di riferimento esemplare
e obbligato per chiunque si avventuri nell’ampio e complesso panorama
della letteratura successiva. Nel corso di questi decenni, l’attenzione per il
tema dell’abuso del diritto, nonostante essa sia costretta a muoversi su un
terreno difficile e accidentato di cui la migliore dottrina non ha mai celato
la difficoltà, è cresciuta notevolmente, anche se con fasi alterne, sia da
parte del legislatore sia da parte della giurisprudenza, che ne ha operato
nel nostro, come in altri paesi, applicazioni in precedenza inimmaginabi-
li (9). In Italia, in particolare, negli ultimi anni il ricorso a tale principio si è
ulteriormente esteso e rafforzato dal punto di vista dottrinale con una vera
e propria “esplosione” di contributi sul tema (10) e sono recentissime tanto
una nuova normativa riguardante l’abuso del diritto in materia fiscale, con
la disciplina recata dall’art. 5 della l. delega n. 23 dell’11 marzo 2014 e dal
d. legisl. attuativo n. 128 del 5 agosto 2015 (11), quanto un tentativo di
definizione per via giurisprudenziale, con la sentenza sul licenziamento
disciplinare della Cass., sez. lav., 25 gennaio 2016, n. 1248.

(8) L’abuso del diritto, cit., p. 144.


(9) Cfr. ad es. la sentenza della Cass. 18 settembre 2009, n. 20106, sulla quale si
possono vedere i rilievi critici di M. ORLANDI, Contro l’abuso del diritto (in margine a Cass.
18 settembre 2009, n.20106), in questa Rivista, 2010, II, pp. 147-159 , di A. GENTILI, Il
diritto come discorso, Milano 2013, pp. 467-468 e di C. SALVI, Note critiche in tema di abuso
del diritto e di poteri del giudice, in R. crit. d. priv., 2014, p. 33 ss.
(10) Dopo l’importante fascicolo di Diritto privato, III, 1997, dedicato a L’abuso del
diritto, tra i contributi più recenti sul tema, nella vasta letteratura: M. MESSINA, L’abuso del
diritto, Napoli 2004; M.P. MARTINES, Teorie e prassi sull’abuso del diritto, Padova 2006; C.
RESTIVO, Contributo ad una teoria dell’abuso del diritto, Milano 2007; L’abuso del diritto.
Teoria, storia e ambiti disciplinari, a cura di V. VELLUZZI, Pisa 2011; F. LOSURDO, Il divieto
dell’abuso del diritto nell’ordinamento europeo. Storia e giurisprudenza, Torino 2011; M.
BARCELLONA, L’abuso del diritto: dalla funzione sociale alla regolazione teleologicamente
orientata del traffico giuridico, in questa Rivista, 2014, I, pp. 467-499; G. ALPA, Appunti
sul divieto dell’abuso del diritto in ambito comunitario e sui suoi riflessi negli ordinamenti
degli Stati Membri, cit., pp. 245-261; F. BENATTI, Diritti punitivi e abuso del diritto, in
Contratto e impr., 2015, pp. 862-873; F. GALLO, La nuova frontiera dell’abuso del diritto
in materia fiscale, in Rass. trib., 2015, pp. 1316-1339; C. CASTRONOVO, Eclissi del diritto
civile, Milano 2015, p. 106 ss.
(11) Sulla quale è da vedere la puntualissima analisi di GALLO, La nuova frontiera
dell’abuso cit. Sempre in tema di divieto di abuso del diritto fiscale si può anche vedere
A. Contrino, Il divieto di abuso del diritto fiscale: profili evolutivi, (asseriti) fondamenti
giuridici e connotati strutturali, in D. prat. trib., 2009, pp. 463-491.
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Se si considera il problema dell’abuso come problema storico, proprio


perché esso dice molto su come il diritto e le categorie giuridiche vengono
intesi, se si va cioè a vedere che cosa la dottrina e la pratica abbiano
ricompreso e ricomprendano nella formula dell’abuso, osservandone il
periodico emergere e ri-emergere, non si può far a meno di notare che
non è certo un caso se tale formula nasce tra Otto e Novecento entro il
primo affiorare di elementi di crisi del modello codicistico e se essa poi
ritorna oggi con prepotenza, proprio in un momento in cui la crisi di tale
modello può dirsi pienamente consumata e compiuta.
In questa sede, più che analizzare i tecnicismi dogmatici della questio-
ne, si intendono fornire alcune indicazioni per rileggere e discutere questo
tema nell’ottica della filosofia e della teoria del diritto, che nel corso degli
ultimi anni hanno dato alla discussione chiavi di lettura originali del tema.
Parlare di abuso del diritto significa, da quest’ultimo punto di vista, non
solo e non tanto riflettere su questa singolare invenzione di un “rimedio”
rispetto agli inconvenienti e alle aridità di un rispetto rigido e formalistico
del diritto positivo, quanto piuttosto estendere la riflessione ad un intrec-
cio di temi più vasti, quali la certezza e le lacune del diritto, la discrezio-
nalità del giudice, la teoria del diritto soggettivo e le “prerogative” dei
privati, la giustizia nei loro rapporti reciproci, la teoria del ragionamento
giuridico, il rapporto diritto-morale. Temi tutti, questi, che se considerati
in una prospettiva di law in action, consentono di concentrare l’attenzione
del giurista sull’operare dinamico delle norme e sull’intervento discrezio-
nale degli interpreti.

2. – Un’analisi filosofico-giuridica del tema dell’abuso che ne consideri


le proposte più recenti non può che muovere dal contributo di Manuel
Atienza e Juan Ruiz Manero, che nel 2000 pubblicarono un fortunato e
ambizioso volumetto dedicato a Ilicitos atipicos (12), la cui prima parte
tratta appunto dell’abuso di diritto. La trattazione di Atienza e Ruiz Ma-
nero si inquadra in una più ampia teoria generale del diritto, presentata dai
medesimi autori qualche anno prima in Las piezas del derecho. Teoria de
los enunciados juridicos (13); e ne sviluppa una parte, relativa alla struttura

(12) Madrid 2000, trad. it. di V. Carnevale, Bologna 2004. Sul volume cfr. la recensione
di C. RESTIVO, in Europ. e d. priv., 2005, pp. 571-584 e gli interventi di L. Nivarra - F. D.
Busnelli - C. Castronovo - B. Celano - G. Corso, in Europ. e d. priv., 2006, pp. 1019-1093.
Degli stessi autori spagnoli è anche da vedere Rules and principles revisited, in Associations,
2000, vol. 4, pp. 147-156.
(13) Barcelona 1996.
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dei sistemi giuridici e alla natura delle norme. L’indagine di Atienza e Ruiz
Manera è esplicitamente finalizzata a costruire una teoria del diritto basata
su una struttura di duplice livello. Fin dalle prime pagine è fondamentale
infatti, nel loro approccio, la distinzione di origine dworkiniana – anche se
originalmente rielaborata dai due autori spagnoli, tra principi e regole: una
distinzione inizialmente ispirata in Dworkin da un intento polemico nei
confronti delle teorie classiche del giuspositivismo, da Austin a Kelsen a
Ross, ma soprattutto nei riguardi di The Concept of Law di Herbert Hart;
teorie che, appunto, avevano in comune la caratteristica di ignorare tale
distinzione e di considerare l’ordinamento giuridico come composto esclu-
sivamente da regole. In tal senso, il contributo degli autori spagnoli si
inquadra a pieno titolo nel ricchissimo dibattito suscitato dalle posizioni
di Dworkin e dalla controversia Hart-Dworkin in seno alla teoria del
diritto contemporanea, una controversia che tocca una delle questioni
filosofico-giuridiche più importanti, quella del rapporto tra diritto e mo-
rale. Dalla distinzione basilare tra principi e regole discende secondo
Atienza e Ruiz Manero quella più specifica tra illeciti tipici e atipici, desi-
gnandosi con i primi le condotte contrarie ad una regola imperativa e con i
secondi le condotte contrarie a principi imperativi. Dunque, il concetto di
illecito atipico si fonda sulla contrarietà non a regole, ma a principi. In altre
parole, mentre le regole possiedono un carattere perentorio, i principi non
hanno carattere perentorio: essi perciò debbono essere bilanciati con altre
ragioni. Proprio a questo livello si apre lo spazio per configurare gli illeciti
atipici che interessano la figura dell’abuso del diritto, trattandosi di atti che
sono bensı̀ conformi a regole di natura permissiva, ma contrari ad un
principio del sistema giuridico applicabile al caso specifico. In definitiva,
le azioni abusive sono prima facie consentite da una regola permissiva, ma
alla fine, considerati i principi che rideterminano la portata della regola
stessa, esse vengono proibite (14). La regola, che inizialmente risulta so-
vrainclusiva, per usare la terminologia di Friedrich Schauer (15), cioè dotata
di un ambito di applicazione più vasto, comprendendo casi che alla luce
della propria giustificazione non dovrebbe comprendere ed essendo perciò
sovradeterminata rispetto allo scopo e alle ragioni per cui il diritto è stato

(14) M. ATIENZA E J. RUIZ MANERO, Abuso del diritto e diritti fondamentali, in L’abuso
del diritto. Teoria, storia e ambiti disciplinari, cit., p. 33.
(15) F. SCHAUER, Playing by the Rules. A Philosophical Examination of Rule-Based
Decision Making in Law and in Life, Oxford 1991, trad. it. Le regole del gioco: un’analisi
filosofica delle decisioni prese secondo le regole nel diritto e nella vita quotidiana, Bologna
2000.
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attribuito, viene autocorretta sulla base delle esigenze, in quel caso speci-
fico di maggior peso, poste dai principi (16). In tal modo viene espressa,
secondo la terminologia filosofico-giuridica in uso nell’ultima parte del
Novecento, l’idea, basilare quando si affronta la tematica dell’abuso del
diritto, secondo cui un uso prima facie formalmente legittimo del diritto,
perché conseguente ad una valutazione giuridica positiva da parte di una
regola permissiva, può essere considerato ad un’analisi sostanziale più
approfondita illegittimo (17). L’analisi di Atienza e Ruiz Manero si conclu-
de con un tentativo di definizione di abuso del diritto – nodo sempre
quanto mai delicato, data l’elusività del tema – volto a ricostruire e so-
prattutto a generalizzare le modalità secondo cui esso opera.

3. – A partire da queste acquisizioni degli autori spagnoli si sviluppa la


riflessione successiva da parte della letteratura filosofico-giuridica italiana,
all’interno della quale vanno almeno segnalati i contributi di Giorgio Pino,
Bruno Celano e Paolo Comanducci, giusfilosofi significativamente tutti,
anche se con toni diversi, di area analitica (forse accomunati, ma non
vorremmo peccare di malizia, dalla preoccupazione di censurare una teoria
di originaria ispirazione analitica, ma considerata nei suoi esiti come ete-
rodossa).
Il primo nodo affrontato è quello di individuare, soprattutto nel caso
di assenza di norme espressamente regolatrici dell’abuso, i criteri in base ai
quali si possa valutare se la condotta del titolare del diritto sia o meno
abusiva (18). Giorgio Pino, che ha dato i contributi più ampi sul tema (19),
ha percorso efficacemente questa strada, volta a costruire una tassonomia
dei criteri effettivamente utilizzati in dottrina e giurisprudenza per indivi-
duare le ipotesi di abuso del diritto. Pino ha accuratamente distinto tra
criteri intenzionali soggettivi, criteri economici, criteri morali, criteri me-
todologici adottati dalle teorie dell’abuso per valutare la condotta abusiva.

(16) Questa tesi è vicina alla prospettiva di R. ALEXY, Concetto e validità del diritto,
Torino 1997, p. 73 ss.
(17) Cfr. A. GENTILI, L’abuso del diritto come argomento, in L’abuso del diritto. Teoria,
storia e ambiti disciplinari, a cura di V. Velluzzi, Pisa 2011, pp. 149 e 167, poi anche con il
medesimo titolo in questa Rivista, I, 2012, p. 297-331.
(18) G. PINO, L’esercizio del diritto soggettivo e i suoi limiti. Note a margine della
dottrina dell’abuso del diritto, in Ragion pratica, 24, giugno 2005, p. 169.
(19) G. PINO, Il diritto e il suo rovescio. Appunti sulla dottrina dell’abuso del diritto, in
R. crit. d. priv., 2004, 1, pp. 25-60; L’esercizio del diritto soggettivo e i suoi limiti. Note a
margine della dottrina dell’abuso del diritto, cit., pp. 161-180; L’abuso del diritto tra teoria e
dogmatica (Precauzioni per l’uso), in Eguaglianza, ragionevolezza e logica giuridica, a cura di
G. MANIACI, Milano 2006, pp. 115-175.
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Va da sé che ciascuno di tali criteri presenta aspetti problematici, tali da


ingenerare legittimi dubbi sulla possibilità di giungere a risultati univoca-
mente persuasivi; ed è anche evidente che in sede argomentativa è possi-
bile ricorrere a più criteri simultaneamente.
Tutto ciò consente a Pino di trarre la conclusione che la caratteristica
principale del divieto di abuso del diritto consista nell’attribuire un note-
vole grado di discrezionalità agli interpreti (20). Più esattamente, tale teoria
“sembra determinare un doppio grado di discrezionalità: il primo livello
riguarda la scelta del criterio di valutazione tra i vari astrattamente dispo-
nibili ..., il secondo riguarda la sua applicazione al caso concreto” (21).

4. – Riprendendo criticamente il tema degli illeciti atipici sviluppato


dalla teoria di Atienza e Ruiz Manero, Bruno Celano affronta nella sua
analisi (22) uno dei caposaldi teorici sui quali è costruito l’edificio concet-
tuale degli autori spagnoli, la controversa distinzione tra regole e principi.
In realtà – questa una delle principali obiezioni mosse da Celano – la
costruzione di una teoria del diritto come quella di Atienza e Ruiz Manero,
che attribuisca uno spazio ed un ruolo adeguati ad entrambi i tipi di
norma, sia le regole sia i principi, si rivela come illusoria piuttosto che
come fondata sulla realtà, dal momento che, nella sostanza, per stabilire se
un comportamento sia lecito o illecito essa guarda sempre e soltanto ai
principi, finendo cosı̀ per togliere completamente alle regole il carattere di
perentorietà. Nella loro prospettiva ci sarebbe spazio solo per i principi,
non per le regole (23). In altre parole, se si generalizzasse il criterio che
Atienza e Ruiz Manero adottano per gli illeciti atipici, e dunque per norme
di natura permissiva, e si pretendesse di estenderlo a tutte le regole impe-
rative in senso stretto, la distinzione tra illeciti tipici ed atipici si rivele-
rebbe priva di qualsiasi peso e perciò la teoria di Atienza e Ruiz Manera
fragorosamente cadrebbe. La posizione di Celano insomma nega recisa-
mente, in buona sostanza, la natura di “rimedio eccezionale” propria
dell’abuso, con l’obiettivo prescrittivo di ricondurre la teoria del diritto
non ai principi, ma alle regole imperative in senso stretto, ossia per dirla in
breve all’ortodossia giuspositivistica (in tal senso egli coglie lucidamente

(20) G. PINO, Il diritto e il suo rovescio. Appunti sulla dottrina dell’abuso del diritto cit.,
p. 55.
(21) Ivi, p. 56.
(22) B. CELANO, Principi, regole, autorità, in Europ. e d. priv., 2006, pp. 1061-1086.
(23) Principi, regole, autorità, cit., p. 1080.
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come l’argomento dell’abuso possa comportare un risultato eversivo della


teoria giuspositivistica).
Non vi sono ragioni valide – questa la conclusione della sua implaca-
bile critica alla teoria dell’abuso – per spodestare la regola e per invertire la
qualificazione deontica del comportamento che ne costituisce l’oggetto
con una vera e propria eccezione (24). Ma su un punto ulteriore, e certa-
mente fondamentale, Celano richiama vigorosamente l’attenzione, sul fatto
che nella teoria dell’abuso un ruolo rilevante sia giocato da principi che
non sono soltanto principi giuridici, ma anche principi morali (dal momen-
to che tracciare una distinzione ed un confine tra tali principi è molto
difficile). In effetti il grande tema sotteso alla questione dell’abuso è –
come abbiamo detto – quello, classicissimo, del rapporto tra diritto e
morale: l’idea stessa di abuso del diritto è frutto, alla sua origine, di idee
morali. Ed è utile ancora ricordare – come già si è avuto modo di dire –
che proprio da una cultura giuridica squisitamente codicistica come quella
francese nasce questa sensibilità per le esigenze di ordine morale nei
rapporti giuridici.
Solo che la soluzione suggerita (almeno implicitamente) da Celano
appare insoddisfacente. È vero, egli riconosce, nei testi costituzionali e
negli ordinamenti odierni vengono espressi un gran numero di principi
e valori diversi, indefiniti, confliggenti e incommensurabili (25). Ed è al-
trettanto vero che resta insoluto il problema di stabilire a chi, a fronte di
un sistema giuridico non unitario, incoerente e incompleto, spetti il com-
pito di operare il bilanciamento tra i principi e di decidere i criteri cui
conformare tale attività.
Tuttavia la soluzione prospettata da Celano, basata sul presupposto
del carattere nomodinamico del diritto e sulla necessità che la sua produ-
zione e applicazione siano disciplinate da norme giuridiche, nel suo rigido
giuspositivismo chiude ad ogni “allentamento” del sistema. Se procedu-
ralmente il diritto non prevede l’abuso, esso non dovrà essere riconosciuto
come tale; ci si può, peraltro, domandare se respingendo un riconoscimen-
to dell’abuso caso per caso, una sua stabile definizione categoriale data per
legge risolverebbe la questione o non solleverebbe piuttosto inevitabilmen-
te problemi interpretativi. Avrà pure un qualche significato – verrebbe
inoltre da osservare – il fatto che tanto nei paesi in cui il divieto dell’abuso
del diritto è previsto esplicitamente dalla legge, quanto in quelli in cui esso

(24) Ivi, p. 1072.


(25) Ivi, p. 1082.
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è creazione della dottrina e della giurisprudenza, si sia avvertita la necessità


di contemplarlo, proprio perché vi è un’identità di funzione (derogatoria)
che ne sorregge l’esigenza. Non per nulla maestri del diritto di sicura fede
formalistica e tutti interni alla tradizione positivistica come Vittorio Polac-
co e Luigi Carraro proprio per non compromettere la certezza del diritto
individuarono nel sistema dei “polmoni” in grado di consentire atti pro-
duttivi di un risultato diverso rispetto a quello previsto dal legislatore. In
particolare Luigi Carraro, sia pur nelle vesti di un recupero dell’antica
prudentia iuris, fin dalla monografia del 1943 Negozio in frode alla legge e
ancor più nella prolusione del 1949 Il valore attuale della massima “fraus
omnia corrumpit”, riconosceva con forza che la necessità di impedire che
alcuno tragga giovamento dalla propria frode non significa affatto l’abban-
dono del formalismo (26). Per non dire delle clausole generali, che garan-
tendo elasticità all’interprete rappresentano un dato ineliminabile di qua-
lunque esperienza giuridica (27), e che negli ultimi tempi hanno conosciuto
una significativa estensione. La tematica delle clausole generali o quella
dell’abuso non sono risolubili ricorrendo esclusivamente alla logica: ma
per il loro indiscutibile aggancio alla pratica giuridica è assai difficile
liquidare tali tematiche come extra-giuridiche. Esse mostrano piuttosto
un nucleo che ha a che fare con l’idea stessa di giuridicità. In effetti se,
come sostiene Celano, la perentorietà delle norme imperative fosse davve-
ro assoluta non si vede perché si dovrebbe parlare di abuso del diritto:
sarebbe formula davvero pleonastica. In una prospettiva giuspositivistica
molto rigida e restrittiva l’abuso non esiste. Il problema è – per dirla
ancora una volta con la terminologia degli autori spagnoli – che non sono
solo le norme permissive ad essere incoerenti e incomplete, lo sono –
eccome! – anche le norme imperative. È insomma l’intero materiale giu-

(26) L. CARRARO, Negozio in frode alla legge, Padova 1943; ID., Il valore attuale della
massima “Fraus omnia corrumpit”, in F. it., 1949, c. 782 ss. Su questa consapevolezza da
parte di Carraro del fatto che morale e diritto non operano su piani contrapposti, cfr. la
nostra relazione al Convegno di presentazione del volume Le prolusioni dei civilisti, in La
cultura del diritto civile. Studi della Società italiana degli studiosi di diritto civile, Napoli,
2012, in Contratto e impr., 2016, 31 ss.
(27) P. RESCIGNO, Appunti sulle clausole generali, in R. d. comm., 1988, I, pp. 1 ss., ma
cfr. anche V. VELLUZZI, le clausole generali. Semantica e politica del diritto, Milano 2010; R.
GUASTINI, Interpretare e argomentare, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano 2011, pp. 57 ss.; L.
MENGONI, Spunti per una teoria delle clausole generali, in Id., Metodo e teoria giuridica, a
cura di C. CASTRONOVO - A. ALBANESE - A. NICOLUSSI, Milano 2011, pp. 165-178; U.
BRECCIA, Clausole generali e ruolo del giudice, in Id., Immagini del diritto privato, I, Teoria
generale, fonti, diritti, Torino 2013, pp. 193 ss.; S. PATTI, L’interpretazione delle clausole
generali, in questa Rivista, 2013, pp. 263-296.
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ridico a denunciare incoerenza, indeterminatezza e presenza di valori e


principi confliggenti. Ma nel diritto contemporaneo la connessione tra
morale e diritto costituzionalizzato, come ha ben visto Ronald Dwor-
kin (28), non è occasionale e contingente, bensı̀ strutturale: essa non può
perciò essere semplicemente ignorata. È l’approccio giuspositivistico, dun-
que, che di fronte alla realtà giuridica contemporanea non funziona più e
denuncia la sua insufficienza e l’incapacità, anche con riferimento all’ar-
gomento dell’abuso, di offrirne un resoconto realistico.

5. – Più recente è l’intervento su questi temi di Paolo Comanducci (29).


Il filosofo del diritto genovese sottolinea efficacemente un altro aspetto
della prospettiva teorica di Atienza e Ruiz Manero, che risulta a suo avviso
insoddisfacente. Tale teoria – egli afferma – favorisce l’attivismo interpre-
tativo dei giudici, genera una maggiore indeterminatezza del diritto e
finisce per occultare la discrezionalità delle attività interpretative dei giu-
dici, specie quando fanno uso di principi (30).
In breve, l’analisi di Comanducci si concentra sul rapporto tra abuso
del diritto e interpretazione giuridica, sostenendo che “tutta l’attività in-
terpretativa (in senso ampio) realizzata dal giudice – o dalla dogmatica –
per determinare se un’azione sia stata o no un esercizio abusivo di un
diritto è segnata da una molteplicità di decisioni discrezionali” (31). Dal
punto di vista del metodo, la posizione di Comanducci è, con tutta evi-
denza, contraria ad ogni pratica che aumenti l’indeterminatezza del siste-
ma giuridico e abbassi il livello di certezza del diritto. Vorremmo tuttavia
osservare che – come già ebbe modo di rilevare Herbert Hart – la flessi-
bilità non è necessariamente in contrasto con la certezza del diritto, ma al
contrario essa può essere utile per garantire un tasso di certezza non
astratto e irrealistico. L’esigenza che la flessibilità esprime è quella “di
lasciare aperte questioni che possono essere ben valutate e sistemate sol-
tanto quando sorgono in un caso concreto” (32). Ciò che le tesi di Coman-
ducci non considerano è il caso in cui il legislatore, all’atto di emanare la

(28) Su quest’aspetto centrale della teoria dworkiniana, cfr. il nostro Rileggendo la


Jurisprudence normativa di Ronald Dworkin:una valutazione complessiva, in Rivista di filo-
sofia del diritto, III, 1/2014, pp. 41-59.
(29) P. COMANDUCCI, Abuso del diritto e interpretazione giuridica, in L’abuso del diritto.
Teoria, storia e ambiti disciplinari, cit., pp. 19-30.
(30) Ivi, p. 24.
(31) Ivi, p. 27.
(32) H.L.A. HART, Il concetto di diritto, a cura di M. A. CATTANEO, Torino, 2002,
p. 153.
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legge, non effettui affatto un bilanciamento delle ragioni rilevanti o lo


effettui in modo insoddisfacente. Che altro fare in tali circostanze se
non affidarsi all’intervento dei giudici? Il che, però, non deve affatto
significare che tale intervento si risolva in una decisione basata su credenze
personali e intuizioni morali. Centocinquant’anni di metodologia e di
dogmatica giuridica hanno consentito di elaborare criteri e forme di con-
trollo che circoscrivono anche se certo non annullano i margini di insu-
perabile discrezionalità degli interpreti.
La verità è che un certo grado di indeterminatezza è ovviamente
sempre presente negli ordinamenti giuridici e che determinare l’indeter-
minato è una caratteristica della funzione giudiziale (33). Dal ricorso a
criteri di buona fede e correttezza nell’esecuzione e nell’interpretazione
dei contratti a clausole di lealtà nel processo, a criteri di buon costume e di
offesa al pudore in diritto penale, solo per fare qualche esempio, per non
dire dell’affermarsi negli ultimi decenni nel diritto europeo e in particolare
nella giurisprudenza della Corte di giustizia di concetti indeterminati di
matrice comunitaria (34): sono testimonianze dell’impossibilità di un siste-
ma giuridico di funzionare rinunciando a questo potere discrezionale delle
corti e operando soltanto come un sistema di regole generali. In altre
parole, il riferimento a parametri normativi di chiara origine sostanziali-
stica ma necessariamente “aperti” è ineliminabile dal diritto e dalla stessa
legislazione, come già aveva mirabilmente mostrato Josef Esser nel suo
Grundsatz und Norm (35).
Non stupisce pertanto che lo stesso concetto di abuso sia spesso
ampiamente indeterminato, proprio per consentire alla sensibilità del giu-
rista di manifestarsi ed esprimersi più agevolmente, anzi – spingendo ancor
più in là il ragionamento – si potrebbe sostenere che la previsione legale
dell’abuso abbia senso solo se strutturalmente indeterminata (36).

(33) Cfr. T. ENDICOTT, La generalità del diritto, trad. it. di V. BORTOLOTTI, Modena
2013, p. 45.
(34) In argomento, cfr. C. CARUSO, Ai confini dell’abuso del diritto: l’Hate Speech nella
giurisprudenza della corte europea dei diritti dell’uomo, in Lo strumento costituzionale del-
l’ordine pubblico europeo. Atti del Convegno internazionale di studi, Bologna 5 marzo 2010,
a cura di L.MEZZETTI e A. MORRONE, Torino 2011, pp. 339-352.
(35) J. ESSER, Grundsatz und Norm in der richterlichen Fortbildung des Privatrechts, 4.
Aufl., Tübingen 1990.
(36) Cfr. A. GENTILI, L’abuso del diritto come argomento, in L’abuso del diritto. Teoria,
storia e ambiti disciplinari, cit., p. 174.
saggi 755

6. – Merita infine qualche considerazione un dibattito di teoria del


diritto che assai recentemente si è acceso non tra filosofi del diritto ma tra
illustri civilisti. Ne sono stati protagonisti, Natalino Irti, Nicolò Lipari e
Antonino Cataudella.
Muoviamo anzitutto da Natalino Irti. In una serie di brevi ma pene-
tranti contributi (37) Irti affronta con lucida spietatezza quello che ritiene
uno dei fattori costitutivi della crisi profonda del funzionamento del di-
ritto: il venir meno della calcolabilità del diritto, che aveva rappresentato
uno strumento fondamentale della razionalità economica e del capitalismo
occidentale, e la conseguente crisi di quello che lo stesso Irti suggestiva-
mente definisce “un vecchio utensile, che ci era caro per educazione
mentale e tradizione di studi” (38): la fattispecie.
Se infatti la fattispecie, contenendo “la figura anticipatoria di ciò che
accadrà” (39), costituiva uno dei modi essenziali con cui il diritto preten-
deva di dominare l’imprevedibile, di impossessarsi del futuro affidandosi
ad un calcolo di probabilità degli eventi da regolare, due fenomeni tra loro
rigorosamente intrecciati, determinano ad avviso di Irti la crisi, per non
dire la morte, della fattispecie. Da un lato “lo spostarsi dei criteri di
decisione giudiziaria al di sopra della legge” (40), ossia sostanzialmente
dalle norme ordinarie alle norme costituzionali. Queste ultime sono norme
senza fattispecie, che enunciano principi e tutelano interessi e beni collet-
tivi. Dall’altro la risalita “dal diritto ai valori, cioè a criteri supremi, che si
celano o si calano nelle norme costituzionali” (41).
Di conseguenza, il fatto non è più ricondotto entro il modello tipico
della fattispecie e si argomenta direttamente con valori. Anzi, istituendo
una contrapposizione radicale, Irti segnala l’incompatibilità assoluta tra “il
pensare e decidere per fattispecie” (42), per sua indole sobrio, oggettivo e
impersonale, e il “pensare e decidere per valori”, che realizza immediata-
mente valori, senza più alcuna mediazione, e si pone di fronte alle “situa-
zioni di vita” con un intuizionismo che alla fine porta soltanto ad un’ap-
provazione o a una disapprovazione. Posizione, questa, della quale, se
appare fondata l’analisi, forse lo è meno la conclusione, che non a caso

(37) N. IRTI, La crisi della fattispecie, in R. d. proc. civ., 2014, pp. 36-44; Calcolabilità
weberiana e crisi della fattispecie, in questa Rivista, 2014, pp. 987-991; Un diritto incalcola-
bile, in questa Rivista, 2015, pp. 11-22.
(38) La crisi della fattispecie, cit., p.44.
(39) Un diritto incalcolabile, cit., p. 13.
(40) La crisi della fattispecie, cit., p. 41.
(41) Ibidem.
(42) Un diritto incalcolabile, cit., p. 19.
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ricorre a La tirannia dei valori di Carl Schmitt individuando nella nuda


decisione l’espressione del giudizio di valore.
In altri termini, Irti segnala con ragione come il focus dell’esperienza
giuridica si sia progressivamente spostato sulla decisione delle controversie
e sulla scelta giudiziale. Ma ciò che è difficile immaginare, nel contesto
contemporaneo di sgretolamento e disintegrazione della piramide gerar-
chica delle fonti (43), è il ripristino dell’antica semplicità di un mondo
giuridico che muove dalla decisione normativa e giunge alla decisione
giudiziale. Il giudizio sussuntivo del “mondo di ieri” non tiene più, di
fronte alla necessità dell’interprete di reperire e scegliere nel confuso ed
eterogeneo materiale giuridico la fonte da cui estrarre la regola per risol-
vere il caso; come pure non tiene, nel mondo globale di oggi, la razionalità
tecno-economica del precedente capitalismo, sı̀ che né il diritto, né l’eco-
nomia appaiono come calcolabili.
Ma non è detto che l’impegno volto a coniugare principi e regole da
parte dell’interprete, certo più faticoso e problematico, si riduca di perciò
stesso ad intuizionismo arbitrario, slegato da qualunque correttezza e le-
galità metodologica.
Da premesse ben diverse da quelle di Irti muove Nicolò Lipari in un
recentissimo e meditato saggio su I civilisti e la certezza del diritto (44), che
tuttavia fa registrare qualche limitato aspetto di convergenza con l’analisi
di Irti.
Dopo aver riconosciuto anch’egli che l’affermarsi del sistema costitu-
zionale rompe il paradigma antico della fattispecie, definita come “uno dei
fondamenti essenziali della tradizione civilistica” e come “uno strumento
cardine della dogmatica” (45), Lipari afferma che le norme costituzionali
determinano “uno spostamento del criterio di valutazione della prescritti-
vità legale al valore degli interessi” (46), cui necessariamente consegue una
centralità del “principio di ragionevolezza come criterio principe nell’istru-
mentario del giurista” (47).
Nel caso specifico dell’abuso del diritto l’unico fatto certo, secondo
Lipari, è che il giudice “fonda il principio giuridico, quale che sia la
motivazione prescelta, su indici che egli ricava dalla coscienza sociale,

(43) Su cui il nostro La comprensione del diritto, Roma-Bari 2012, pp. 4 ss.
(44) N. LIPARI, I civilisti e la certezza del diritto, in “Ars interpretandi. Rivista di
ermeneutica giuridica”, IV, 2015, n. 2, pp. 55-76.
(45) I civilisti e la certezza, cit., p. 61.
(46) Ivi, pp. 61-62.
(47) Ivi, p. 63.
saggi 757

peraltro alla luce di parametri non definiti” (48). Posizione, questa, nella
quale si riconosce che il richiamo all’abuso si risolve necessariamente in un
profilo di ponderazione degli interessi in gioco, ma si apre anche alla
necessità di spostare il processo applicativo del diritto sul terreno dell’ar-
gomentazione. La certezza, infatti, non è più pensabile come la caratteri-
stica propria di un oggetto predeterminato, di un catalogo finito e preco-
stituito di norme, ma va ripensata e continuamente ri-composta come il
risultato di operazioni interpretative, di una pratica sociale di natura argo-
mentativa, volta a governare il mondo dell’incertezza, che è fatto di scelte e
di valori (49).
Merita infine un cenno l’intervento autorevole di Antonino Cataudella,
Nota breve sulla fattispecie (50), che dopo aver richiamato suoi precedenti
scritti in argomento (51), critica con vigore il discorso di Irti sulla fattispe-
cie, sollevando dubbi consistenti sull’idoneità degli argomenti da lui ad-
dotti a sostenere la scomparsa della fattispecie (52).
Più in dettaglio, Cataudella riconosce che il discorso di Irti potrebbe
trovare spazio solo con riguardo alle norme costituzionali alle quali si
riconosca diretta operatività nell’ordinamento giuridico (53), ma non con
riguardo ad altre, numerose norme costituzionali (dall’art. 1 al 3 al 4
comma 1, al 9), non caratterizzate da diretta operatività. E negando che
la positivizzazione di valori presupponga necessariamente l’esistenza di un
ordinamento superiore di valori sostanziali, che giustificherebbe e sorreg-
gerebbe l’ordinamento giuridico, al modo della teoria giusnaturalistica –
con l’effetto peraltro di creare, aggiungiamo noi, un inaccettabile dualismo
all’interno del mondo giuridico – Cataudella conclude che la tesi di Irti per
cui “le norme si applicano”, mentre “i valori si realizzano” possieda un
tono assertivo più che argomentativo (54).
Ci avviamo verso la conclusione, osservando che non è un caso se la
nuova recentissima fortuna della tematica dell’abuso del diritto ha ride-
stato l’interesse di alcuni tra i più acuti studiosi di diritto positivo. Cogliere
tempestivamente come nelle nuove forme che questa antica discussione è

(48) Ivi, pp. 65-66.


(49) V. al riguardo N. LIPARI, Le fonti del diritto, Milano 2008, pp. 194-195.
(50) A. CATAUDELLA, Nota breve sulla fattispecie, in questa Rivista, 2/2015, pp. 245-252.
Dello stesso A. cfr. L’uso abusivo di principi, in questa Rivista, 4/2014, pp. 747-775.
(51) A. CATAUDELLA, Note sul concetto di fattispecie giuridica, in R. trim. d. proc. civ.,
1962, pp. 433 ss.; voce Fattispecie, in Enc. dir., XVI, Milano 1967, pp. 927 ss.
(52) CATAUDELLA, Nota breve sulla fattispecie, cit., p. 251.
(53) Ivi, p. 248.
(54) Ivi, p. 250.
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venuta assumendo siano sottesi la controversa tematica del rapporto tra


principi e norme, e in definitiva il rapporto tra diritto e morale, che per
effetto del costituzionalismo contemporaneo è divenuto non fattore epi-
sodico, ma strutturale nel diritto del nostro tempo, testimonia indiretta-
mente non tanto la fondatezza delle soluzioni, quanto quella dei problemi
sollevati dai filosofi del diritto, a partire dal volume di Atienza e Ruiz
Manero sopra commentato. L’acutizzarsi di profondi fattori di crisi e di
alterazione in alcuni degli elementi di base che reggevano l’intera impal-
catura del diritto moderno non ci deve indurre a fare tabula rasa di cate-
gorie e criteri (tra cui, appunto, l’abuso del diritto) elaborati con un lungo
e raffinato lavoro della riflessione giuridica. Siamo d’accordo con Natalino
Irti: “Il nostro lavoro non si interrompe, ma continua in un nuovo oriz-
zonte” (55).

(55) N. IRTI, La crisi della fattispecie, cit., p. 44.

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