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IL DIRITTO PENALE TRA ESSERE E VALORE

Funzione della pena e sistematica teleologica

Parte prima – Funzione della pena e sistematica teleologica

La funzione sistematica della politica criminale


Il diritto penale si caratterizza rispetto agli altri rami dell’ordinamento giuridico almeno per tre peculiarità:

1) Per il tendenziale formalismo al quale si ispira la costruzione del sistema e l’interpretazione delle
norme, in quanto, essendo lo strumento di intervento statuale che maggiormente incide sulla
libertà individuale, deve rispondere ad esigenze di certezza. Non è un caso se le prime grandi opere
sistematiche di diritto penale si ebbero alla fine del 700, quando si consolidò il pensiero giuridico
illuminista.
2) Per la particolare attenzione dedicata alla definizione dei titoli di responsabilità, orientata nel senso
di un’accentuazione della componente soggettiva (la regola per l’attribuibilità di un fatto è data
dalla presenza del dolo);
3) Per il tipo di sanzioni previste dal diritto penale, principalmente dalla previsione della pena
criminale (sia essa detentiva o pecuniaria). Essa costituisce la forma attraverso la quale si realizza
l’intervento dello stato finalizzato al controllo di fatti ritenuti socialmente dannosi e si sostanzia in
una considerevole limitazione della libertà personale, anche per quanto riguarda la pena
pecuniaria, in quanto determina un abbassamento del tenore di vita e una riduzione delle
possibilità di azione.

Alla pena va dedicata una cura particolare proprio in quanto con essa si può incidere sui diritti fondamentali
dell’individuo: in primo luogo, perché una chiara opzione in termini di funzione della pena obbliga ad una
costruzione sistematica coerente con quella. In merito, il Codice Rocco all’art. 1 enuncia il principio di
legalità di reati e pene (“nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come
reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite”), principio disatteso nelle singole scelte di
parte speciale, sia con la previsione di fattispecie carenti sul piano della determinatezza/tassatività, sia per
l’introduzione di figure di reato poste a presidio di assetti di potere autoritario; ben più complicato sarebbe
stato disattendere al principio stabilito nell’art. 27, co. 3, Cost. (“le pene non possono consistere in
trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”). Un ruolo
decisivo è stato svolto dalla Corte costituzionale nella sentenza 23-24 marzo 1988 n. 364 la quale ha
dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art 5 – Nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della
legge penale- << nella parte in cui non esclude dall’inescusabilità della ignoranza della legge penale
l’ignoranza inevitabile>>.

Codice esplicato: ART 5. IGNORANZA DELLA LEGGE PENALE: la norma in esame (sia pure con i
temperamenti introdotti dalla Corte costituzionale, con sent. 346/1988) coglie il principio di origine
romanistica secondo cui ignorantia legis non excusat. // la situazione delineata dalla norma è quella
dell'errore sul precetto derivante da ignoranza o erronea interpretazione della legge penale (l’agente
rappresenta, vuole realizzare un fatto configurate reato, nell’erroneo convincimento che non abbia
rilevanza penale). Alla luce della segnalata censura della Corte costituzionale, peraltro, l'ignoranza della
legge penale scusa l'autore dell'illecito qualora sia inevitabile quindi incolpevole, facendo venire meno
l'elemento soggettivo del reato, anche se contravvenzionale. Tale condizione deve ritenersi sussistente per
il cittadino comune, soprattutto se sfornito di specifiche competenze, allorché egli abbia assolto il dovere di
conoscenza con l'ordinaria diligenza attraverso la corretta utilizzazione dei mezzi di informazione, di
indagine e di ricerca dei quali disponga. Per quanti, invece, svolgono professionalmente una determinata
attività, tale dovere particolarmente rigoroso, tanto che essi rispondono all'illecito anche in virtù di un
culpa levis nello svolgimento dell'indagine giuridica. In tal caso i fini dell'affermazione della scusabilità
dell'ignoranza, occorre che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo
pacifico orientamento giurisprudenziale l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza
dell'interpretazione e, conseguentemente della leicità del comportamento futuro.

A questa situazione di fatto ha fatto da supporto, nella nostra esperienza giuridica, il tendenziale
formalismo dell'indirizzo tecnico-giuridico, inaugurato con la prolusione sassarese di Arturo Rocco nel 1910.
Questo indirizzo fornito una giustificazione teorica alla totale espulsione della teoria del sistema penale
della problematica delle sanzioni, la cui forte caratterizzazione risultava poco armonizzabili con la purezza di
categorie dommatiche: << il metodo tecnico-giuridico vuol ricondurre alla loro purezza giuridica i concetti
giuridico-penali, spogliandoli da tutto un ordine di rilievi, valutazioni, apprezzamenti sostanziali>>.

si prese a identificare la scienza del diritto penale con la dommatica finendo così con il collegare e
condizionare la sua autonomia ad un integralistico formalismo nei concetti e nel sistema stesso. Enrico ferri
poteva affermare che << parlare di una logica giuridica e di un metodo giuridico è un errore elementare, per
quanto espressione comune>>. Tutta la problematica delle sanzioni diveniva oggetto in tal modo di una
disciplina opposta a dommatica e sistematica, e di sottordinato livello scientifico; ciò alla lunga finiva con il
comportare discrasie sul piano teoretico e disfunzioni sul piano pratico. Non era infatti possibile rimuovere
il dato essenziale che, per una concezione socio statuale libera da ipoteche di estrazione teologico-
metafisica, fondate su assunti irrazionali di tipo fideistico, il diritto penale nasce proprio da esigenze di
politica criminale: consentire una pacifica coesistenza tra i consociati. Pertanto, alla teoria della pena, non
poteva essere negato un ruolo centrale nella costruzione del sistema e nell’interpretazione delle norme,
senza i rischi dell’incompletezza e dell’inefficienza.

Dobbiamo ora soffermarci sulle matrici ideologiche che fanno da sfondo all’ordinamento. Il concetto di
ideologia, quale piano complessivo per la regolazione dei rapporti sociopolitici, fu elaborato all’inizio del XIX
secolo. L’ideologia necessita, per l’effettiva realizzazione delle sue finalità, di regole concrete, applicabili e
praticabili; a tal fine, l’impianto normativo del diritto costituisce lo strumento essenziale. Il diritto, quindi,
non nasce in uno spazio tecnico isolato, ma trae origine da rapporti esistenziali sulla base di dati della realtà
fenomenica, tra cui l’ideologia in quanto progetto programmatico di conformazione sociopolitica. In una
società aperta, il diritto si trova di fronte ad una pluralità di ideologie differenziate, che però non escludono
la possibilità di interazione: il diritto esplica dunque una funzione integratrice, ma anche critica, dal
momento che nella creazione di istituti e norme può accadere che vangano determinate modificazioni e
limitazioni dei contenuti concettuali e finalistici dei portati ideologici puri. Diverso è invece il problema
dell’aporia, che va considerata espressione dell’errore, o ideologico, di chi sollecita la soluzione aporetica
o , di chi, la traduca scorrettamente in norma giuridica. L’influenza dell’ideologia è fortissima nell’ambito
del diritto penale, poiché dall’ideologia sociopolitica sono immediatamente influenzate le scelte
fondamentali di politica criminale, nonché ciò che concerne il significato e le finalità delle sanzioni criminali.
Nei rapporti di diritto penale il soggetto viene ad essere normalmente implicato negli aspetti fondamentali
del suo essere: libertà e , quindi, personalità. Si tratta di interventi nella sfera individuale parecchio
differenziabili l’uno dall’altro. Da ciò consegue che la comprensione sia del sistema nel suo complesso, sia di
singoli istituti, passa anche attraverso la costruzione della matrice ideologica.

Lo stretto rapporto che lega opzioni ideologiche ed ordinamento giuridico, ha finito per segnare una vera e
propria svolta nella dommatica giuridico-penale. Questa corrente dottrinale si ricollega all’elaborazione
programmatica svolta da Roxin in Kriminalpolitik und Strasfrechtssystem del 1970. Tende a restringere il
tradizionale diaframma tra politica criminale e sistematica scolpito nella proverbiale espressione Lisztiana
<< IL DIRITTO PENALE E’ L’INSORMONTABILE LIMITE DELLA POLITICA CRIMINALE>>.

La prospettiva dell'integrazione tra politica criminale e dommatica deve realizzarsi nella costruzione della
teoria del reato. Pertanto: le tre categorie fondamentali – tipicità, antigiuridicità e colpevolezza – vanno fin
da principio considerate, sviluppate e sistematizzate dall’angolo visuale della lor funzione politico-criminale.
Nell’elaborazione sistematica di Roxin il fatto serve a soddisfare esigenze di determinatezza e tassatività,
garantite dal principio di legalità; l’antigiuridicità è il luogo di risoluzione dei conflitti sociali che sorgono
dalla collisione di interessi individuali e/o superindividuali; la colpevolezza integra il presupposto ed il limite
garantistico per l’esercizio della pretesa punitiva. I referenti teleologici delle tre funzioni politico-criminali
possono riconoscersi singolarmente nella tutela della libertà (fatto), nella soluzione dei conflitti sociali
(antigiuridicità) e nell’esplicazione delle finalità di prevenzione (colpevolezza/responsabilità). Uno stretto
collegamento tra norme giuridiche e realtà sociale è la premessa per la costruzione di un sistema che aspiri
ad esprimere una “logica” afferrabile dai destinatari e persegua prospettive di praticabilità. Pertanto,
compito del sistema diviene la ricerca di valutazioni <<adeguate alla materia>> ordinandole nelle loro
connessioni strutturali e normative. Seguendo quest’ordine, a un buon diritto si può affermare che la
dommatica penalistica si sia affrancata da quel carattere quasi esoterico che ormai la contrassegnava.
Questo radicale cambiamento va visto come una decisa inversione di tendenza nei confronti di una
dommatica che, concepiva il suo compito unicamente nel dominio tecnicistico e nell’elaborazione di tipo
concettualistico della materia del diritto.

Il riferimento a prospettive di politica criminale deve essere inteso verso scelte di origine normativa che, in
concreto, siano espressione dei princìpi di stato sociale di diritto, che significa non solo reale impegno ad
assicurare garanzie sul piano della tutela dei diritti dell’individuo, ma anche eguale impegno nella tutela di
interessi superindividuali, quale istanza di tipo solidaristico. Un'esemplare costruzione di un sistema penale,
caratterizzato da un armonico equilibrio tra garanzie formali e sostanziali, è data dalle molteplici proposte
legislative elaborate da un gruppo di docenti tedeschi e svizzeri facenti capo all’Alternativ-Entwurf. In
questo ambito, la politica criminale assume anche la funzione, garantistica, di delimitazione dell’intervento
punitivo statuale, venendosi a ribaltare la concezione lisztiana del diritto penale come insuperabile barriera
garantistica della politica criminale: con l’ingresso di prospettive di razionalità ed efficienza, il sistema
penale è costretto a liberarsi di presupposti, quale ad esempio al concezione retributiva della pena, che
imponevano pericolosi automatismi nell’inflizione delle sanzioni, per privilegiare affidabilità e funzionalità
del controllo sociale, senza rinunciare al postulato garantistico di acquisizioni tradizionali come il rispetto di
regole di proporzione connesso all’originaria impostazione retribuzionistica. Tutto ciò dà vita ad una
scambievole limitazione che finisce con ampliare il campo delle garanzie, sia formali che sostanziali: il diritto
penale con il suo impianto sistematico resta il limite invalicabile della politica criminale, ma la politica
criminale con la considerazione di quanto richiesto consentito da esigenze di efficienza, diviene il limite del
diritto penale che risulta condizionato nella sua azione concreta dal rispetto di quel tipo di esigenze.

Il sistema penale a cui facciamo riferimento non aspira ad una validità assoluta, metastorica, ma fonda la
sua validità sul coerente collegamento con la struttura ideologico-politica generale entro la quale è stato
elaborato ed in funzione della quale deve operare. prendendo come riferimento la costituzione italiana, è
agevole rinvenire agganci normativi su cui ponderare le funzioni politico-criminali di tutela della libertà, di
soluzione di conflitti sociali e di esplicazione di istanze di prevenzione. Tuttavia, le funzioni di soluzione di
conflitti e di realizzazione di finalità di prevenzione necessitano di ulteriori specificazioni ai fini di un
armonico inserimento nel contesto normativo fondamentale. La tutela della libertà trova esplicito
riferimento in materia penale negli artt. 13, 25 co.2 e 3, 111 cost, che nel loro contenuto minimo
garantiscono l'individuo relativamente alla restrizione della libertà personale. in realtà in presenza di un
ordinamento connotato autoritariamente, la definizione dei comportamenti da sanzionare penalmente si
caratterizza per una tendenziale indeterminatezza che affiora frequentemente nel codice Rocco, anche se
non ottiene un’espressa legalizzazione, come nel caso della modifica, d'ispirazione nazionalistica,
introdotta nel 1935, del par 2 del cp tedesco: questa introduceva il principio dell'applicabilità del
procedimento analogico anche in materia di fattispecie incriminatrici. per quel che concerne la finalità della
soluzione dei conflitti sociali si deve precisare che questa, nel nostro contesto ordinamentale, deve
realizzarsi secondo prospettive personalistico-solidaristico: indicate in particolare negli articoli 2 e 3 cost.
più volte nella costituzione si affronta il problema del conflitto tra diritti costituzionalmente garantiti e la
soluzione tiene sempre conto sia della tutela della persona che del soddisfacimento di esigenze super
individuali. Esemplare è la disciplina costituzionale dell'iniziativa privata:

L’art 41 co. 1 e 2 cost. stabilisce al primo comma che l'iniziativa privata è libera; nel secondo comma si
precisa essa non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla
libertà, alla dignità umana.

altri esempi si rinvengono in tema di disciplina della proprietà privata e il diritto alla salute:

L’art 42 co 2 cost dopo aver riconosciuto e garantito la proprietà privata stabilisce al terzo comma che essa
può essere nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale.

L’art 32 co 2 cost dopo aver disposto la riserva di legge relativa ai trattamenti sanitari coattivi, prescrive che
la legge non può in nessun caso violare i limiti posti dal rispetto della persona umana.

questo orientamento assiologico è confermato sostanzialmente dalle indicazioni concrete di soluzione dei
conflitti che propone Roxin.

L'individuazione delle funzioni politico-criminali connesse alle tre categorie del reato, secondo la lezione
roxiniana, e la precisazione, in termini normativi, dell'ambito e delle modalità della loro incidenza nel
processo di elaborazione dommatica consentono, indubbiamente, un'affidabile (ri)costruzione del sistema
del diritto penale. A tal fine ci sembra risultare limitante una troppo netta separazione tra le tre categorie
del reato. in effetti, sia pur in via di estrema sintesi, le tre categorie di riferimento coagiscono all'interno
delle varie categorie. Tutela della libertà, soluzione di conflitti sociali e realizzazione delle finalità preventive
della sanzione penale, hanno un'incidenza diretta, quand'anche differenziata, sia sul fatto, che
sull’antigiuridicità, consapevolezza, secondo la proposta di Roxin. il criterio politico-criminale che reca
un'impronta più evidente nella costruzione sistematica è quello legato alla funzione della pena: e
dall'individuazione della pena che possibile ricostruire immediatamente il << volto>> bel singolo sistema
preso in considerazione. il sistema penale viene ad essere condizionato non solo sul piano assiologico ma
anche all'interno di una logica squisitamente “tecnica” di (ri)costruzione degli istituti, è debitore nei
confronti delle scelte funzionali legati alla sanzione penale, che finiscono per offrire un filtro molto efficace
per la verifica della conformità delle singole opzioni dogmatiche rispetto all'assetto normativo complessivo.

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