Sei sulla pagina 1di 275

Riassunto

del

Manuale
di

diritto penale

Parte Generale
Marinucci- Dolcini
Quarta edizione Giuffrè editore

CAPITOLO 1° – LEGITTIMAZIONE E COMPITI DEL DIRITTO PENALE

Teoria della pena e tipo di Stato

A partire dall'800, il sistema delle sanzioni penali, ha progressivamente attenuato la sua durezza, passando dalla pena
di morte alla pena detentiva.

1
Si fa forte però l'esigenza di dare una legittimazione al ricorso dell'arma della pena da parte dello Stato; e cioè, quali
sono i presupposti e gli scopi che giustificano l'inflizione di un male terribile, quale, la privazione della libertà
personale?
Risposta a questo interrogativo viene dalle TEORIE DELLA PENA, che possono ricondursi a 3 filoni fondamentali:

1. teoria retributiva: la pena statuale si legittima come un male inflitto dallo Stato per compensare (retribuire) il
male che un uomo ha inflitto ad un altro uomo od alla società; questa teoria è assoluta, svincolata dalla
considerazione di un qualsivoglia fine da raggiungere: secondo questa logica si punisce perché sia giusto, non
perché la pena sia utile (nella sua forma più primitiva, trova la sua espressione nella legge del taglione:
"occhio per occhio, dente per dente");

Le teorie relative, cioè quelle incentrate sugli effetti della pena sono le teorie preventive:

2. teoria general- preventiva: essa legittima la pena come mezzo per orientare le scelte di comportamento
della generalità dei suoi destinatari: in primo luogo, facendo leva sugli effetti di intimidazione correlati al
contenuto afflittivo della pena; nel lungo periodo, attraverso l’azione pedagogica della norma penale, si
confida che col tempo si crei nella collettività una spontanea adesione ai valori espressi dalla legge penale;
3. teoria special- preventiva: la pena è uno strumento per prevenire che l’autore di un reato commetta in
futuro altri reati; questa funzione può essere assolta in tre forme:
 nella forma della risocializzazione, aiutando il condannato ad inserirsi o reinserirsi nella società nel
rispetto della legge;
 nella forma della intimidazione, rispetto alle persone per le quali la pena non può essere strumento
di risocializzazione;
 nella forma della neutralizzazione, quando il destinatario della pena non appaia suscettibile né di
risocializzazione né di intimidazione; sicché l'unico obiettivo che la pena può perseguire è quello di
renderlo inoffensivo, o almeno di rendergli più difficile la commissione di nuovi reati.

Tutte queste teorie però non forniscono una legittimazione della pena valida in assoluto, in quanto essa varia in
relazione al tipo di Stato in cui si pone : in uno stato teocratico ogni comportamento immorale o peccaminoso potrà
essere represso come reato e la pena potrà coerentemente legittimarsi sulla falsariga della giustizia divina;
in uno stato totalitario si reprime come reato qualsiasi sintomo di ribellione e conseguentemente si assegna alla pena il compito di
ottenere a qualsiasi prezzo la fedeltà alla legge.

Per dare una legittimazione nel nostro Stato, bisognerà muovere dai lineamenti dello Stato descritti dalla costituzione
italiana, procedendo ad un esame separato dell'uso della pena da parte dei singoli poteri dello Stato, perché tutti
concorrono all'esercizio della potestà punitiva:

 il potere legislativo, al quale compete di selezionare comportamenti penalmente rilevanti dettando comandi
o divieti;
 il potere esecutivo, che deve curare l'esecuzione delle pene inflitte dal giudice;
 il potere giudiziario, al quale è riservato il compito di accertare la violazione delle norme legislative, di
infliggere pene adeguate al caso concreto.

Struttura del reato e tipo di Stato

Così come la legittimazione della pena, anche la struttura del reato è un'entità correlata al tipo di Stato in cui si pone.
La storia del diritto penale è segnata dalla svolta epocale

 da reato= peccato (cioè dalla repressione di comportamenti puniti, in quanto contrastanti con la legge
divina)
 a reato= fatto dannoso per la società ( repressione di comportamenti che ledono o mettono in pericolo
beni individuali o collettivi).

2
Con l'illuminismo si consolida tale separazione, e CESARE BECCARIA afferma che “per affermare e graduare la
responsabilità dell’agente, bisogna distinguere il dolo dalla colpa grave, la grave dalla leggera, e questa dalla
innocenza”.

La secolarizzazione del diritto penale si inserisce in un più vasto movimento volto alla laicizzazione complessiva dello
Stato; lo stato teocratico che cede il passo ad uno stato laico e liberale.
Tale secolarizzazione, nell'800 trova in Italia una più compiuta realizzazione dell'opera di FRANCESCO CARRARA. La
codificazione del 1889, e poi anche quella del 1930, assumono, quale pietra angolare del reato, il fatto dannoso: il
dolo e la colpa sono i limiti della responsabilità dell'autore del fatto.
Suggello dell'impronta oggettistica del diritto penale, è il rango costituzionale del principio di offensività : "non
c'è reato senza offesa ai beni giuridici".

Ma tra la fine dell'800 e l'inizio del 900, mentre la dottrina prevalente concepisce il reato come offesa a un bene
giuridico, un filone dottrinale, LA SCUOLA POSITIVA, traduce in schemi giuridici un nuovo indirizzo criminologico.

Il fenomeno criminale avrebbe le proprie radici nell’ "uomo delinquente", cioè nelle caratteristiche
biologicosomatiche di singoli individui, perlopiù appartenenti alle classi sociali pericolose (la lotta alla criminalità
dunque, si risolverebbe, non contro il reato, ma contro il reo)!
Dunque la legittimazione della pena è quella di difendere la società da persone pericolose, tant'è che il legislatore
potrebbe addirittura fare a meno di compilare un catalogo di reati, limitandosi a individuare i tipi di persone
socialmente pericolose!
Tale concezione ha ovviamente dei risvolti illiberali, perché si affidano al giudice poteri incontrollabili, consentendogli
di applicare misure restrittive della libertà personale, in presenza di dati incerti e manipolabili.

È così che, questa visione di marcata connotazione illiberale del diritto penale, viene scardinata DALL'AFFERMAZIONE
DEI PRINCIPI CARDINE DEL DIRITTO PENALE ILLUMINISTA: "non chi è socialmente pericoloso, bensì solo chi ha
commesso azioni socialmente pericolose ben determinate e nettamente individuate dalla legge, soggiace alla
potestà punitiva dello Stato". Questo è il significato dell'espressione "nullum crimen sine lege".

 La legittimazione del ricorso alla pena DA PARTE DEL LEGISLATORE


Nello stadio della minaccia legislativa, il ricorso alla pena da parte del legislatore italiano si legittima in chiave di
prevenzione generale; l’effetto di prevenzione generale perseguito dal legislatore attraverso la minaccia della pena,
incontra un limite, nella funzione di prevenzione speciale, e più precisamente di rieducazione, che la Costituzione
assegna alla pena all’art. 27 co. 3 “ le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e
devono tendere alla rieducazione del condannato”.

Ciò significa che l'effetto deterrente nei confronti dei consociati non potrà essere indiscriminato: si dovranno evitare
quindi pene che comportino la segregazione a vita del condannato, o che siano tanto severe da non poter essere

3
sentite come giuste dal loro destinatario: da questo punto di vista appare problematica nel nostro ordinamento, la
PENA DELL’ERGASTOLO (art. 22 cp. : “la pena dell'ergastolo è perpetua, ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò
destinati, con l'obbligo del lavoro e con l'isolamento notturno. Il condannato all'ergastolo può essere ammesso
al lavoro all'aperto”), che come pena detentiva a vita preclude il ritorno del condannato nella società.
Il contrasto però di questa tipologia sanzionatoria con il principio costituzionale della rieducazione è

stato temperato, dalla previsione di una serie di istituti, a cominciare dalla liberazione condizionale (articolo 176 3
co. Cp. , che aprono al condannato prospettive di reinserimento nella società.

CRITERI GUIDA per la selezione dei fatti penalmente rilevanti:

 PRINCIPIO DI OFFENSIVITÀ

I consociati possono essere legittimamente dissuasi, attraverso il deterrente della pena, dai comportamenti che
ledano o pongano in pericolo le condizioni di esistenza e di sviluppo della società.

Il principio di offensività dice che "non vi può essere reato senza offesa ad un bene giuridico, cioè ad una situazione
di fatto o giuridica, carica di valore, modificabile e quindi offendibile per effetto di un comportamento dell’uomo";
che il legislatore possa reprimere con la pena solo fatti offensivi di beni giuridici è stato affermato dalla Corte
costituzionale.

La CORTE COSTITUZIONALE ha attribuito al principio di offensività rango costituzionale, come vincolo, oltre che per il
giudice, anche per il legislatore, il quale potrà reprimere con la pena solo fatti offensivi di beni giuridici; la Corte ha
affermato che il principio di offensività opera su due piani:

- sul piano della previsione normativa, sotto forma di precetto rivolto al legislatore di prevedere fattispecie che
esprimano in astratto un contenuto lesivo o comunque la messa in pericolo di un bene (offensività in
astratto)
- e dell'applicazione giurisprudenziale, quale criterio interpretativo affidato al giudice, tenuto ad accertare che
il fatto di reato abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene o l'interesse tutelato (offensività in
concreto).

 PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA

Il ricorso alla pena da parte del legislatore si legittima in relazione non ad ogni offesa ad un bene giuridico, ma solo in
relazione ad offese recate colpevolmente, offese che siano cioè personalmente rimproverabili al suo autore: il
principio di colpevolezza è dotato di rango costituzionale (27 co 1 Cost.: la responsabilità penale è personale).

Il principio di colpevolezza è strettamente correlato alle FUNZIONI DELLA PENA:

- a quella generalpreventiva, perché essendo il fine della comminatoria legale della pena, quello di orientare le
scelte di comportamento dei consociati, gli affetti motivanti così perseguiti possono essere raggiunti solo se il fatto
vietato è frutto di una libera scelta dell’agente, o è da lui evitabile con la dovuta diligenza.

4
- a quella specialpreventiva, perché la rieducazione del condannato "postula almeno la colpa dell’agente in
relazione agli elementi più significativi della fattispecie tipica. Non avrebbe senso la rieducazione di chi, non essendo in
colpa rispetto al fatto, non ha certo bisogno di essere rieducato" così Corte cost. n. 364/88, cit.

 PRINCIPIO DI PROPORZIONE

Il principio di proporzione esprime l’esigenza che i vantaggi per la società, perseguiti attraverso le comminatorie di
pena, siano idealmente messi a confronto coi costi immanenti alla pena stessa.

 Perché si legittimi la previsione di un fatto come reato, è dunque necessario che il fatto si collochi al di sopra
della soglia di gravità: solo offese sufficientemente gravi, arrecate a un bene giuridico sufficientemente
importante, "meritano" il ricorso alla pena (sinonimo di principio di proporzione è il principio di
meritevolezza di pena).
 Inoltre perché il ricorso alla pena sia fonte di un complessivo vantaggio per la società, occorre che la pena, in
relazione a una determinata classe di fatti, sia in grado di produrre un reale effetto di prevenzione generale:
ES. ciò è accaduto in passato per l'aborto: in Italia e all'estero, in paesi nei quali l'interruzione volontaria della gravidanza era penalizzata
indiscriminatamente, gli aborti erano frequentissimi (quindi l'effetto di prevenzione generale era pressoché nullo) e per di più, venivano
praticati nella clandestinità, con i rischi per la salute e per la sessualità della donna.

 Il PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ

Postula che la pena venga usata solo quando nessun altro strumento, sanzionatorio o non, sia in grado di assicurare
al bene giuridico una tutela altrettanto efficace nei confronti di una determinata forma di aggressione.

Oltre che meritata, cioè proporzionata alla gravità del fatto, la pena deve dunque essere anche necessaria: ad essa
cioè si può fare ricorso solo come ultima ratio.

Rimarranno quindi estranee alla sfera del penalmente rilevante non solo i reati bagattellari, ma anche fatti di notevole
gravità, che dunque di per sé meriterebbero la pena, quando l'effetto di dissuasione dei consociati può essere
raggiunto attraverso interventi di politica sociale o attraverso previsione di sanzioni meno invasive rispetto ad una
sanzione penale!
Le sanzioni penali oggi contemplate nel nostro ordinamento, incidono tutte sulla libertà personale: ne segue che la costituzione
impone al legislatore di fare della pena un uso il più possibile limitato, soltanto cioè quale strumento residuale, in assenza di altri
strumenti idonei ad assicurare una pari tutela del bene giuridico

Sia il principio di proporzione che quello di sussidiarietà sono ancorati alla Costituzione:

 il principio di proporzione rappresenta un prius logico del principio della rieducazione del condannato,
enunciato nel 27.3 Cost,
 il principio di sussidiarietà è ricollegabile al principio enunciato nell’art. 13 Cost., ove si riconosce carattere
inviolabile alla libertà personale
(La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra
restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi
eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l'autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti
provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all'autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive
quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto..È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque
sottoposte a restrizioni di libertà. La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva).

5
Il ricorso alla pena DA PARTE DEL LEGISLATORE si legittima nel nostro ordinamento per

§ finalità di prevenzione generale


§ entro i limiti imposti dal principio della rieducazione del condannato,
§ a tutela proporzionata e sussidiaria di beni giuridici, § contro
offese inferte colpevolmente.

 La legittimazione dell'inflizione della pena DA PARTE DEL GIUDICE

Gli scopi che legittimano l'inflizione della pena e la sua commisurazione entro limiti massimi e minimi da parte del
giudice, SI RAVVISANO NELLA COSTITUZIONE, che all'art. 27 co 3 afferma "le pene devono tendere alla rieducazione
del condannato".
Si impone dunque al giudice, di orientare le sue scelte in funzione di tali finalità:

a) tra più tipi di pena, dovrà optare per quella che garantisca che il reo non delinqua nuovamente, intimidendolo
o promuovendone il reinserimento nella società;
b) dovrà valutare il quantum di pena, entro limiti massimi e minimi, stabiliti dal legislatore.

L’inflizione della pena da parte del giudice trova UN ULTERIORE FONDAMENTO GIUSTIFICATIVO nelle esigenze della
prevenzione generale dei reati: far seguire alla previsione legale della pena la sua applicazione in concreto, con la
pronuncia della sentenza di condanna, significa confermare la serietà della minaccia contenuta nella norma
incriminatrice.
La prevenzione generale non può svolgere il suo ruolo nella commisurazione della pena: pene esemplari – eccedendo
la pena meritata dal singolo condannato – si pongono in frontale contrasto con due principi costituzionali:

 col principio di personalità della responsabilità penale (27.1 Cost.), perché una parte della pena applicata al singolo
si fonderebbe non su ciò che lui ha fatto, ma su ciò che potranno fare in futuro altre persone,
 e col principio della dignità dell’uomo (3.1 Cost.: tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla
legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali),
in base al quale l’uomo non può essere degradato a mezzo per il conseguimento di scopi estranei alla sua
persona.

Una volta che il giudice abbia commisurato la pena, può aprirsi un’ulteriore fase in cui lo stesso giudice può disporre
che la pena non venga eseguita ovvero può sostituirla con pene diverse e meno gravose di quella inflitta: questa
possibilità abbraccia una limitata fascia di reati, i cui autori possono essere ammessi alla sospensione condizionale
della pena ovvero alla sostituzione della pena detentiva breve.
In questa fase domina l’idea di prevenzione speciale: il giudice che abbia di fronte l’occasionale autore di un reato
non grave, può decidere di evitargli gli effetti de-socializzanti del carcere, qualora abbia ragione di prevedere che
quel soggetto non commetterà in futuro nuovi reati; secondo la stessa logica, il giudice può sostituire la pena
detentiva breve con una pena non privativa (pena pecuniaria o libertà controllata) o solo parzialmente privativa della
libertà personale (semidetenzione): e quando si tratterà di scegliere fra quei diversi tipi di pena sostitutiva, per
espressa indicazione del legislatore, dovrà scegliere quella più idonea al reinserimento sociale del condannato.

 La legittimazione dell’esecuzione della pena DA PARTE DEL POTERE ESECUTIVO

Che le pene minacciate dal legislatore ed inflitte dal giudice debbano trovare esecuzione è imposto da un’elementare
esigenza di prevenzione generale.

6
L’opera di rieducazione non può essere condotta coattivamente: perché sia fatta salva la dignità dell’uomo (3 Cost.) e
perché la pena risulti rispettosa del principio di umanità (27.3 Cost.), la rieducazione deve assumere la forma
dell’offerta di aiuto.

La rieducazione deve inoltre cedere il passo alla neutralizzazione del condannato, ove questi non sia suscettibile né di
essere reinserito nella società, attraverso l’esecuzione della pena, né appaia sensibile ai suoi effetti di intimidazione-
ammonimento.

L’efficacia del giudicato penale nei giudizi extrapenali:

 nel giudizio civile od amministrativo per le restituzioni ed il risarcimento del danno, promosso nei confronti del
condannato e del responsabile civile che sia stato citato o sia intervenuto nel processo penale, la condanna con sentenza
penale irrevocabile pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all’accertamento del fatto, della
sua illiceità penale ed all’affermazione che l’imputato lo ha commesso (651.1 c.p.p.); e la stessa efficacia ha la sentenza
irrevocabile di condanna pronunciata a norma del 442 – resa cioè nel giudizio abbreviato – salvo che vi si opponga la parte
civile che non abbia accettato il rito abbreviato (651.2 c.p.p.);
 negli altri giudizi civili ed amministrativi la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata in seguito a dibattimento ha
efficacia di giudicato quando si controverte intorno ad un diritto o ad un interesse legittimo il cui riconoscimento dipende
dall’accertamento degli stessi fatti materiali oggetto del giudizio penale, purché la legge civile non ponga limitazioni alla
prova della posizione soggettiva controversa (654 c.p.p.);
 nei giudizi disciplinari la sentenza irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità
disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale ed
all’affermazione che l’imputato lo ha commesso (653.1 bis c.p.p.); la stessa efficacia nel giudizio per responsabilità
disciplinare è stata attribuita anche alla sentenza pronunciata a seguito del patteggiamento, cioè nel caso di applicazione
della pena su richiesta dell’imputato e del p.m. (445.1 c.p.p.).

Accessorietà ed autonomia del diritto penale:

§ vi sono norme incriminatrici in rapporto di accessorietà con gli altri rami dell’ordinamento: disciplinano
materie in parte già giuridicamente preformate dal diritto civile od amministrativo, alle cui regole il giudice
penale dovrà perciò necessariamente fare riferimento; non dovrà solo constatare dei fatti, ma anche
applicare quelle regole giuridiche extrapenali: è il campo occupato dagli elementi normativi della fattispecie
legale (ad es. nel furto l’altruità della cosa indica che la cosa non è di proprietà dell’autore del furto, ed il
relativo accertamento comporta l’applicazione al caso concreto delle regole civilistiche sui modi d’acquisto
del diritto di proprietà);
§ altre norme incriminatrici sono caratterizzate da autonomia rispetto agli altri rami dell’ordinamento, in primo
luogo come autonomia del significato da attribuire ad un dato termine, pur presente in quegli altri rami.

L’autonomia del diritto penale rispetto agli altri rami dell’ordinamento si manifesta anche sotto altri profili: per
soddisfare le peculiari esigenze di tutela espresse da questa o quella norma incriminatrice, se ne amplia in via
interpretativa il raggio d’azione, reprimendo fatti che no troverebbero tutela in altri rami dell’ordinamento.

L’unità dell’ordinamento giuridico si esprime nella coerenza che caratterizza l’ordinamento giuridico, al cui interno
sono inconcepibili contraddizioni insanabili: è inammissibile che uno stesso fatto venga considerato ad un tempo
lecito ed illecito.

Gli istituti che fanno emergere la connessione fra i differenti settori dell’ordinamento e l’unità profonda del
sistema sono le cause di giustificazione: si tratta dei doveri e delle facoltà, derivanti da norme situate in ogni settore
dell’ordinamento, che – rispettivamente – autorizzano od impongono la commissione di un fatto, rendendolo lecito
nell’intero ordinamento.

7
Diritto penale e problemi probatori

La prova della sussistenza degli elementi costitutivi di un reato incombe sull’accusa: è una regola di rango
costituzionale ad imporlo, il principio della presunzione di non colpevolezza sino alla condanna definitiva
(27.2 Cost.: l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva).

Il codice di procedura penale del 1988 ha fissato le regole probatorie sulla cui base, in esito al giudizio, va pronunciata la sentenza di
assoluzione: non solo quando vi è la prova che

• il fatto non sussiste,


• l’imputato non lo ha commesso,
• il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato
• ovvero il reato è stato commesso da persona non imputabile o non punibile per altra ragione (530.1 c.p.p.), ma

anche quando vi è il dubbio che

o il fatto sussiste, o che l’imputato lo ha commesso, o


che il fatto costituisce reato o o che il reato è stato commesso
da persona non imputabile, perché manca, è insufficiente o è
contraddittoria la prova (530.2 c.p.p.).

Il codice del 1988 ha poi statuito che l’in dubio pro reo vale, come regola probatoria, per tutti gli elementi dalla cui
assenza o presenza dipende l’affermazione della responsabilità, comprese le cause di giustificazione e le cause di non
punibilità.

Questo quadro è però esplicitamente contraddetto dal legislatore quando conia le norme incriminatrici che delineano i
reati di sospetto, quei reati al cui interno compare un’anomala regola probatoria, che allevia alla pubblica accusa il
peso di provare la presenza di un elemento costitutivo del reato, trasferendo sull’imputato l’onere di provare l’assenza
di quell’elemento: la Corte Costituzionale ha affermato l’illegittimità costituzionale (col 27.2 Cost.) di queste norme
incriminatrici.

La contraddizione con quell’insieme di regole probatorie è altrettanto frontale, anche se occulta, quando la
giurisprudenza modifica la struttura del reato, sempre per alleviare l’onere probatorio dell’accusa: ricostruisce e
plasma la fisionomia di questo o quell’elemento costitutivo per rendere più agevole la prova della sua sussistenza nel
caso concreto.
È avvenuto anche lo stravolgimento del rapporto di causalità: si tratta di un rapporto fra due elementi del fatto di
reato: l’azione (o l’omissione) e l’evento concreto, che, in base alla legge (40.1), dev’essere conseguenza dell’azione
od omissione.

A volte è impossibile provare la sussistenza di un rapporto di derivazione causale fra una data azione ed un singolo
evento concreto, perché non sono ancora disponibili leggi scientifiche col cui aiuto spiegare se quell’evento concreto è
davvero riconducibile a quella data azione, come alla sua causa; al massimo vi sono indagini epidemiologiche, che
però mostrano solo come quel tipo di azione possa aver aumentato la probabilità del verificarsi di eventi del genere di
quello verificatosi in concreto.

Per aggirare questo ostacolo probatorio, la giurisprudenza stravolge la fisionomia del rapporto di causalità: quel
rapporto non dovrebbe più intercorrere tra azione ed evento, bensì fra azione e pericolo dell’evento, accreditato dalle
indagini epidemiologiche.
Sono note le ragioni politico-criminali di questo stravolgimento da parte della giurisprudenza: si vogliono soddisfare i
bisogni di punizione alimentati dalla moderna società del rischio.

La codificazione penale in Italia

Il primo codice penale in vigore nell’intero territorio del Regno d’Italia – approvato nel 1889 e vigente dal 1890 al
1931 – viene comunemente designato come codice Zanardelli, e presenta i tratti caratteristici del diritto penale
liberale.

8
Al codice Zanardelli succede il codice Rocco, approvato nel 1930 ed entrato in vigore nel 1931: a differenza del
precedente codice, il codice Rocco nasce nel contesto di uno Stato autoritario, ma porta a conservare, nella parte
generale, alcuni principi di garanzia, come i principi di legalità e di irretroattività delle norme incriminatrici, mentre
altri principi, come quello di colpevolezza, vengono ampiamente derogati.

Nel catalogo delle pene ricompare – già anticipata nel 1926 – la pena di morte, prevista sia per delitti politici che per
delitti comuni.

Subito dopo la caduta del Fascismo, e prima ancora dell’edificazione del nuovo Stato repubblicano, il governo
provvisorio abolisce la pena di morte e ripristina la scriminante della reazione agli atti arbitrari, nonché le circostanze
attenuanti generiche.

Si pone mano anche alla progettazione di un nuovo codice penale, destinata però ad esaurirsi in una serie di proposte
mai coronate da successo; la mancata riforma globale del codice penale non esclude comunque che siano stati
profondamente modificati importanti istituti della parte generale e che siano stati realizzati significativi interventi sulla
parte speciale.

- Quanto alla parte generale, momenti di particolare rilievo sono segnati da: una legge del 1974, che modifica
in senso favorevole al reo il trattamento sanzionatorio del concorso di reati, la disciplina della sospensione
condizionale della pena e quella del giudizio di bilanciamento fra circostanze aggravanti ed attenuanti; la
riforma penitenziaria del 1975; una legge del 1981 che, oltre ad operare una vasta depenalizzazione di illeciti
minori, introduce la nuova tipologia sanzionatoria delle pene sostitutive della detenzione breve; una legge del
1990 che elimina la responsabilità oggettiva per le circostanze aggravanti.
- Nella sfera della parte speciale si possono rammentare la riforma della disciplina dell’aborto (1978),
interventi sulla disciplina della criminalità organizzata, comune o con finalità di terrorismo, una serie di
modifiche alla normativa in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, la riforma dei delitti contro
la libertà sessuale (1996) e l’introduzione di nuove norme incriminatrici per la repressione della pedofilia
(1998).

Un impulso spesso decisivo al superamento dei tratti più illiberali della legislazione penale è venuto dalla Corte
Costituzionale, che ha valorizzato in particolare i principi costituzionali di colpevolezza, di riserva di legge e di
eguaglianza, oltre ai diritti di libertà (manifestazione del pensiero, sciopero, riunione ecc.) sanciti dalla Costituzione. La
Corte ha limitato l’irrilevanza dell’errore sulla legge penale ai soli casi in cui l’errore sia inescusabile, ed ha bandito la
responsabilità oggettiva, individuando nella colpa il limite invalicabile per l’attribuzione della responsabilità penale.

Perdurano le istanze di una nuova codificazione penale.

9
Capitolo 2 LE FONTI
LA FUNZIONE DI GARANZIA DEL PRINCIPIO DI LEGALITÀ

1. Il pensiero illuministico all’incredibile atrocità del sistema sanzionatorio penale settecentesco reagì in due
direzioni:
o chiedendo pene più miti
o invocando l’apposizione di limiti alla potestà punitiva dello Stato,
a cominciare dal principio di legalità, cioè dalla riserva alla legge del compito di individuare i reati e le pene, così da
mettere il cittadino al sicuro dagli arbitri del potere esecutivo e potere giudiziario.
Dunque il principio di legalità o di riserva di legge in materia penale, cioè il monopolio del potere legislativo nella
scelta dei fatti da punire e delle relative sanzioni, è frutto del pensiero illuministico.

Si deve a Montesquieu l’enunciazione del principio della separazione dei poteri, a Beccaria si deve il principio di
precisione della legge penale, a Feuerbach la formula nullum crimen, nulla poena sine lege che individua 2
ulteriori corollari della riserva di legge:

1. il divieto di analogia (cioè il divieto di applicare la legge penale a casi che il legislatore non ha espressamente
previsto)
2. e il principio di determinatezza (in base al quale il legislatore può reprimere con la pena solo ciò che può
essere provato nel processo).
Le conquiste del pensiero illuministico vengono dapprima recepite in Francia nella dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino
(1789) e nelle costituzioni del 1791 e del 1793.

Successivamente vengono recepiti in Italia nei codici penali sardo-piemontesi e nel codice civile del 1865 e infine nel codice penale
del 1889.

10
Anche il codice Rocco (1930) permea le influenze del pensiero illuministico ribadendo:

 all’ART 1 CP che : “nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato
dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite. “
Avendo poi affiancato alle pene, le misure di sicurezza, come ulteriore tipo di sanzione, il codice ha esteso anche ad
esse la garanzia del principio di legalità:

 ART. 199 CP : “nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza che non siano espressamente stabilite
dalla legge e fuori dei casi dalla legge stessa preveduti”.
Il codice civile del 1942, nelle disposizioni sulla legge in generale afferma che,

 ALL’ARTICOLO 14 delle PRELEGGI: “Le leggi penali non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati. “
La costituzione del 1948 recepisce il principio di legalità ribadendo

 ALL’ART 25 CO 2 : “nessuno può essere punito se non in forza di una legge”


CO 3 : “nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge”.
Dato il carattere rigido della costituzione repubblicana, il principio di legalità acquista forza vincolante anche nei
confronti del legislatore, il quale:

 non può spogliarsi del monopolio della produzione delle norme penali rinviando ad atti del potere esecutivo
per l’individuazione del precetto è o della sanzione (RISERVA TENDENZIALMENTE ASSOLUTA DI LEGGE
FORMALE);
 è tenuto a formulare le leggi penali in modo chiaro (PRINCIPIO DI PRECISIONE);
 non deve incriminare fatti insuscettibili di essere provati nel processo (PRINCIPIO DI DETERMINATEZZA);
 deve imporre al giudice il divieto di estensione analogica delle norme incriminatrici e, deve a sua volta,
formulare le norme incriminatrici in modo rispettoso del divieto di analogia (PRINCIPIO DI TASSATIVITÀ).

Per comprendere la PORTATA DEL PRINCIPIO DI LEGALITÀ, è necessario risalire alla sua matrice politico
istituzionale , che scaturisce dai principi dello Stato liberale di diritto, in particolare dall’idea che, nel quadro
della separazione dei poteri statuali, il monopolio della potestà punitiva compete al
Parlamento, che è l’unico potere rappresentativo della volontà popolare, essendo il potere esecutivo
espressione della sola maggioranza parlamentare e il potere giudiziario privo di qualsiasi investitura da parte dei

cittadini: ne segue che attribuire al Parlamento il monopolio della produzione delle norme penali
significa assicurare una più forte legittimazione politica alle scelte punitive dello Stato.

LA RISERVA DI LEGGE COME RISERVA DI LEGGE FORMALE DELLO STATO

Decreto –legge, decreto legislativo e norma penale

IL FONDAMENTO POLITICO DELLA RISERVA DI LEGGE in materia penale impone di interpretare la formula “legge” e
l’articolo 25 co 2 cost come LEGGE FORMALE, escludendo i decreti legislativi e decreti legge dalle fonti del diritto penale:
solo il Parlamento, come espressione dell’intero popolo, è in grado di compiere le scelte punitive e nel rispetto della
dialettica tra maggioranza e minoranza.

Opposto è però l’orientamento della prassi parlamentare governativa, in quanto il governo ha fatto ampio ricorso al
decreto legge in materia penale, riscontrando l’approvazione di gran parte della dottrina, la quale dunque, interpreta
la RISERVA DI LEGGE come riserva IN SENSO MATERIALE, comprensiva dunque anche degli atti normativi del potere
esecutivo che hanno “forza di legge”:

11
 per quanto riguarda il DECRETO LEGGE attraverso la legge di conversione i suoi contenuti vengono
incorporati in una legge formale mentre, in caso di mancata conversione, gli effetti del decreto-legge
risulterebbero travolti fin dall’inizio secondo quanto dispone l’articolo 77 cost;
 per quanto riguarda invece il DECRETO LEGISLATIVO, il principio di riserva di legge sarebbe
rispettato con la legge delega attraverso la quale il Parlamento, ai sensi dell’articolo 76 cost, dà
principi e criteri direttivi per l’esecutivo.
Gli argomenti portati dalla dottrina a sostegno della riserva di legge in senso materiale però non appaiono persuasivi
perché:

• il decreto legge non può essere fonte di norme penali in quanto, in caso di mancata conversione, risultano
non più reversibili gli effetti sulla libertà personale prodotti dal decreto legge che preveda nuove
incriminazioni o inasprisca un preesistente trattamento sanzionatorio.
• anche il decreto legislativo non può essere incluso tra le fonti del diritto penale perché la prassi appare
lontanissima dagli standard di rigore, analiticità e chiarezza auspicata dalla dottrina, quali condizioni per la
legittimità della delega, inoltre la determinazione di principi e criteri direttivi può circoscrivere ma non
eliminare la discrezionalità politica del potere esecutivo nell’esercizio della delega.

I decreti governativi in tempo di guerra

L’unica DEROGA alla riserva di legge formale dell’articolo 25 costituzione, è rappresentata dai decreti governativi in
tempo di guerra, che, in base all’articolo 78 costituzione (“Le camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al
governo i poteri necessari”), possono essere fonte di norme penali su delega espressa dal parlamento.

Legge regionale e diritto penale

La legge regionale non può essere fonte di norme incriminatrici. L’articolo 117 cost. stabilisce che “lo Stato ha
legislazione esclusiva in materia di ordinamento penale.”
Questa preclusione d’altra parte, discende già dalla ratio politica del principio di riserva di legge, dal momento che, solo
il Parlamento nazionale riflette la volontà dell’intero popolo, mentre l’assemblea regionale è rappresentativa dei soli
cittadini della regione: dunque il pluralismo di fonte regionale contrasterebbe con l’unità politica dello Stato.
Sono dunque illegittime leggi regionali che:

a. creino un nuovo tipo di reato o abroghino una norma incriminatrice preesistente;


a. ne modifichino la disciplina sanzionatoria;
b. sostituiscano la sanzione penale con una sanzione amministrativa;
c. configurino una nuova causa di estinzione della punibilità o amplino la portata di una causa di estinzione
preesistente.
Un’ECCEZIONE all’incompetenza penale delle Regioni è stabilita dallo Statuto della Regione Trentino-Alto Adige per le
leggi della Regione e delle Province di Trento e di Bolzano: l’art. 23 dello Statuto regionale – che ha rango di legge
costituzionale e quindi può derogare al principio sancito dal 25.2 Cost., dispone che la Regione e le Province usano – a
presidio delle norme contenute nelle rispettive leggi – le sanzioni penali che le leggi dello Stato stabiliscono per le
stesse fattispecie.

L’incompetenza delle regioni a dettare norme penali riguarda soltanto le norme incriminatrici e non le norme
scriminanti, che non sono norme penali.
Un diverso limite si oppone tuttavia alla possibilità per la regione di individuare cause di giustificazione: la legge
regionale non può modificare la disciplina di quelle cause di giustificazione che sono espressione di principi generali
del diritto, dal momento che la potestà legislativa regionale, per le materie di legislazione concorrente, è tenuta al
rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato.

Nel rispetto del principio di riserva di legge in materia penale, la legge regionale può presidiare i propri precetti
soltanto con sanzioni amministrative e nel caso in cui, uno stesso fatto sia represso tanto da una norma penale quanto

12
da una norma sanzionatoria amministrativa di fonte regionale, secondo il disposto dell’articolo 9 della L. 689/81 si
applicherà la sola norma penale.

Diritto dell’unione europea e diritto penale

Fino all’entrata in vigore del trattato di Lisbona, nessuno dei trattati istitutivi della comunità europea attribuiva in
forma espressa a istituzioni comunitarie la potestà di creare norme incriminatrici: gli organi dell’unione europea
dovevano tutelare direttamente gli interessi comunitari soltanto attraverso sanzioni amministrative.
L’unione europea poteva però imporre al legislatore degli stati membri, l’obbligo di emanare norme penali a tutela di
determinati interessi: in particolare, la corte di giustizia, aveva riconosciuto agli strumenti normativi del primo pilastro, in particolare le
direttive, la potestà di imporre agli Stati membri l’obbligo di prevedere sanzioni penali a tutela di interessi rientranti nella competenza comunitaria,
così come anche per gli strumenti normativi di terzo pilastro, quali convenzioni e decisioni -quadro aveva previsto alcuni obblighi di criminalizzazione
espliciti finalizzati all’armonizzazione delle legislazioni penali degli Stati membri, allo scopo di promuovere la cooperazione giudiziaria e di polizia nel
contrasto alle forme più gravi di criminalità transnazionale.

Le novità introdotte dal trattato di Lisbona (che ha abolito la distinzione in pilastri) riguardano oltre che l’articolo 83,
che prevede una competenza da parte dell’unione europea in materia penale solo indiretta, ossia una competenza a
richiedere agli Stati membri l’adozione di norme incriminatrici laddove siano necessarie a tutelare gli interessi
dell’unione stessa o a realizzare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, riguarda in particolare l’articolo 86, che
prefigura l’istituzione di una procura europea, con una competenza penale diretta, ossia una competenza a
introdurre direttamente le norme incriminatrici necessarie a tutelare efficacemente gli interessi finanziari dell’unione
stessa.
Allo stato, non paiono esservi però elementi sufficienti per affermare che l’unione goda di una competenza
penale diretta in materia penale!

In ogni caso, le norme penali eventualmente emanate dalle fonti comunitarie non potrebbero aver peso nel nostro
ordinamento: il principio costituzionale della riserva di legge in materia penale attribuisce infatti al Parlamento
nazionale la competenza a emanare norme incriminatrici. Ciò non toglie tuttavia che l’incidenza del diritto
dell’unione sulla discrezionalità del legislatore italiano sia notevole, soprattutto nel settore complementare. Dal
diritto dell’unione discendono alcuni vincoli per il giudice penale degli Stati membri:

1) in primo luogo, norme di fonte UE dotate di efficacia diretta, contrastanti con le norme penali statali,
possono paralizzarne, in tutto o in parte, l’applicabilità, in forza del principio della prevalenza del diritto
dell’unione sul diritto nazionale:

 Quando tra norme di fonte UE e norma penale l’INCOMPATIBILITÀ è TOTALE, la norma di fonte
unione europea rende inapplicabile la norma penale in tutta la sua estensione;
 Quando invece L’INCOMPATIBILITÀ È PARZIALE, il campo di applicazione della norma penale verrà
limitato: saranno estromesse le ipotesi regolata in modo diverso dalla norma di fonte europea.

2) Un secondo ordine di vincoli discendenti dal diritto dell’unione è relativo al cosiddetto obbligo di
interpretazione conforme alla normativa comunitaria.
il giudice nazionale è infatti tenuto ad interpretare la normativa nazionale che attua gli obblighi di fonte
europea nel senso più conforme alle pretese del diritto dell’unione.
In materia penale, peraltro, il limite invalicabile dei poteri interpretativi del giudice, sarà pur sempre
costituito dal divieto di analogia (il giudice non potrà, neppure in via di interpretazione conforme, attribuire
alla norma penale nazionale un significato che va oltre il suo tenore letterale).
Laddove il giudice nazionale sia in dubbio sul significato da attribuire ad una norma di fonte unione
europea, egli potrà (o dovrà nel caso si tratti di un giudice di ultima istanza) investire in via pregiudiziale della
questione interpretativa la corte di giustizia dell’unione europea.

Inoltre sono numerosi GLI EFFETTI che il diritto penale dell’unione esercita sul diritto penale nazionale:

13
effetti RIDUTTIVI: Le norme di fonte europea possano esplicare un effetto di neutralizzazione di norme incriminatrici
nazionali quando, le stesse, incidono, comprimendola, su una posizione giuridica soggettiva tutelata dal diritto
dell’unione europea.

effetti ESPANSIVI: il diritto dell’unione europea esercita anche effetti espansivi dell’area del penalmente rilevante o
della dimensione afflittiva della sanzione penale: basti pensare alle richieste di penalizzazione di determinate condotte
o di inasprimento di determinate sanzioni, che il legislatore europeo rivolge al legislatore nazionale perché siano
efficacemente tutelati gli interessi dell’unione.

Fonti internazionali pattizie (in particolare, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo) e diritto penale

Premettendo che da nessuna fonte internazionale può discendere direttamente una responsabilità penale a carico
dell’individuo, in virtù del PRINCIPIO DI LEGALITÀ DEI REATI E DELLE PENE di cui all’articolo 25 co 2 cost e del suo
corollario della RISERVA DI LEGGE in materia penale,

(su un piano diverso si colloca il diritto penale internazionale, che è quella branca del diritto internazionale che
prevede una responsabilità penale individuale per i crimini internazionali (genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di
guerra e crimini di aggressione) oggi disciplinati dallo STATUTO DELLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE sottoscritto a
Roma nel 1998.
Non avendo però l’Italia finora provveduto a trasformare le norme incriminatrici previste dallo Statuto in leggi penali
interne, applicabili come tali, anche dei giudici penali italiani, la giurisdizione per tali crimini appartiene
esclusivamente alla corte penale internazionale e ai suoi organi inquirenti con sede all’Aja, rispetto ai quali l’Italia si
è assunta, modificando lo statuto di Roma, meri OBBLIGHI DI COOPERAZIONE.)

Nonostante ciò da numerose fonti internazionali discendono OBBLIGHI a carico sia del legislatore che del giudice
italiano.

 Per quanto riguarda il legislatore, l’articolo 117 co 1 cost, dispone in via generale che la potestà legislativa è
esercitata “nel rispetto degli obblighi internazionali”, oltre che della Costituzione e dei vincoli derivanti
dall’ordinamento comunitario: da ciò deriva che il legislatore italiano, dovrà conformarsi agli obblighi
internazionali e un’eventuale legge emanata in violazione di tali obblighi, sarà di regola costituzionalmente
illegittima per contrasto con l’articolo 117 cost.
 Il giudice, ha il dovere di interpretare le leggi nazionali anche nella materia penale, in maniera conforme alla
lettera e alla ratio degli obblighi internazionali, che vincolano lo Stato italiano.
Ogni qualvolta ciò sia consentito dal tenore letterale della legge italiana, il giudice sarà dunque tenuto ad
optare per un’interpretazione delle leggi interne che si armonizzi con le fonti internazionali, piuttosto che con
interpretazioni che contrastino con gli obblighi da esse scaturenti; laddove poi il contrasto non sia superabile
in via interpretativa, allora il giudice dovrà sollevare questione di legittimità costituzionale della legge interna,
invocando come “norma parametro”, l’articolo 117 co 1 cost e come “norma interposta” la disposizione
internazionale che si assume violata.

Questi principi si applicano anche alla CEDU, dal momento che un’eventuale contrasto tra quest’ultima e la legge
interna, non potrà essere rimosso direttamente dal giudice ordinario attraverso la disapplicazione della legge interna
(come invece accade quando il contrasto concerne il diritto comunitario ) ma dovrà essere dal giudice , sottoposto alla Corte
Costituzionale, alla quale spetterà la risoluzione attraverso la dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge
stessa; il tutto non prima che il giudice abbia verificato se il contrasto possa essere risolto in via interpretativa
attraverso una interpretazione conforme della legge in questione, alla CEDU (non con il dato testuale delle disposizioni ma con la
lettura che di quelle disposizioni ha fornito la corte europea dei diritti dell’uomo con sede a Strasburgo).

Con la sentenza 113/ 2011 la Corte costituzionale ha inoltre aggiunto un NUOVO CASO DI REVISIONE a quelli già
previsti dall’articolo 630 cpp, proprio per le ipotesi in cui ,dopo l’intervento di una sentenza irrevocabile di condanna a
livello nazionale, la corte europea dei diritti dell’uomo abbia riscontrato la violazione di una disposizione convenzionale.
14
Anche i vincoli che discendono dagli obblighi internazionali in materia penale producono EFFETTI RIDUTTIVI O
ESPANSIVI del penalmente rilevante o dell’afflittività della sanzione penale:

 Gli effetti riduttivi possono essere l’esito di un’operazione di interpretazione conforme alle norme
internazionali o di una dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma nazionale per contrasto con
l’articolo 117 co 1 cost , e possono avere ad oggetto sia il precetto penale sia la sanzione ad esso correlata:

 Come esempio di effetto riduttivo che esplica la propria efficacia sul precetto penale, si può fare riferimento alla giurisprudenza della
Corte europea che si è occupata di definire i limiti interni del diritto di critica e di cronaca: nel bilanciamento di questi diritti con il diritto
all’onore e alla reputazione individuale, i giudici di Strasburgo non hanno ancora dato rilievo al requisito della continenza cui
l’orientamento della corte di cassazione subordinava invece l’operatività della scriminante di cui all’articolo 21 cost.
Poiché il diritto di cronaca e di critica ha nel sistema convenzionale, un ambito di applicazione più ampio che nell’ordinamento nazionale,
e il canone dell’interpretazione conforme impone di recepire gli orientamenti della corte EDU, il delitto di diffamazione vede
conseguentemente restringersi la propria sfera applicativa dunque La dichiarazione offensiva dell’altrui reputazione dovrà considerarsi
giustificata anche se oltrepassi i limiti della continenza.
 Numerose sono le ipotesi di effetti riduttivi che incidono sulla sanzione penale: dalla proibizione della tortura di cui all’articolo 3 CEDU
discende ad esempio, il divieto di procedere all’espulsione di cittadini extracomunitari, anche come misura di sicurezza, o come misura
alternativa alla detenzione, nel caso in cui gli stessi corrono il rischio di essere sottoposti nel paese di destinazione a tortura o a
trattamenti inumani o degradanti.

 Quanto agli effetti espansivi del penalmente rilevante, possono discendere dagli obblighi d’incriminazione
di determinate condotte contenuti in norme di diritto internazionale pattizio o ricavati in via interpretativa
dalle Corti dei diritti. (il riferimento a quest’ultimo profilo, la sentenza con cui la corte europea ha condannato la Francia per la
mancanza di una norma incriminatrice realmente idonea a reprimere la riduzione in schiavitù/ servitù e la sottoposizione al lavoro
forzato: mancanza che integrava una violazione dell’articolo 4 CEDU.
I giudici di Strasburgo potrebbero in futuro tra l’altro, a condannare l’Italia per la mancanza di una norma incriminatrice della tortura e
dei trattamenti inumani e degradanti di cui all’articolo 4 CEDU!)

L’INCIDENZA DI QUESTI VINCOLI sull’ordinamento penale interno è diversa a seconda del loro specifico OGGETTO. In
virtù dell’obbligo di interpretazione conforme, il giudice penale, per evitare di esporre lo Stato italiano alla
responsabilità per la violazione degli obblighi pattizi, dovrà in primo luogo interpretare restrittivamente le norme
esimenti (cause di giustificazione, scusanti, cause di non punibilità in senso stretto) che sottraggono classi di fatti alla sanzione
penale: così ad esempio, la causa di giustificazione della legittima difesa di cui all’articolo 52 cp dovrà essere letta in senso restrittivo del giudice
ordinario, così da non consentire l’uccisione del ferimento grave di chi attenti esclusivamente a beni patrimoniali in omaggio alle esigenze di tutela
del diritto alla vita di cui all’articolo 2 CEDU , che consente l’uccisione dell’aggressore soltanto quando là condotta risulti “assolutamente
necessarie” per respingere una “violenza illegittima”, espressione che evoca necessariamente alla persona e che certamente non comprende le vere
aggressioni al patrimonio.

Inoltre è frequente che l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza della corte di Strasburgo, riconosca all’individuo
una protezione più ampia rispetto a quella riconosciuta usualmente dalla giurisprudenza italiana costituzionale e
ordinaria.
In queste ipotesi si determina un innalzamento degli standard di tutela dei diritti fondamentali che dovrà ritenersi
vincolante sia per il legislatore italiano nella previsione di norme incriminatrici, sia per il giudice costituzionale nel
vaglio di legittimità costituzionale delle leggi penali, sia infine per il giudice ordinario nella loro applicazione al caso
concreto.

Per quanto riguarda l’incidenza nell’ordinamento penale interno degli obblighi di incriminazione derivanti da fonti
internazionali pattizie, il principio di legalità dei reati e delle pene di cui all’articolo 25 cost. osta radicalmente a che la
Corte costituzionale possa ovviare alla mancanza di un’incriminazione conforme agli obblighi internazionali,
estendendo la portata di altre norme incriminatrici o addirittura introducendo una nuova figura di reato.
Così ad esempio la corte incostituzionale, né il giudice ordinario sono oggi in grado di porre rimedio alla perdurante violazione, da parte del
legislatore penale italiano, dell’obbligo internazionale di prevedere un’autonoma incriminazione della tortura, secondo quanto espressamente
richiesto dall’articolo 4 della convenzione ONU contro la tortura e le munizioni crudele, inumani e degradanti. In assenza di un intervento legislativo
in tal senso, pertanto, il giudice italiano, in risposta a fatti inquadrabili nell’adozione internazionale di “tortura” dovrà limitarsi a utilizzare le attuali
norme incriminatrici delle percosse e/o delle lesioni personali, della violenza privata abuso d’autorità contro detenuti, le cui modeste pene e vitali
consentono una reazione sanzionatorie certamente troppo blanda rispetto agli standard di tutela pretesi in sede internazionale.

Ciò non esclude che la Corte possa dichiarare la legittimità costituzionale di norme penali “di favore” che, in violazione
di obblighi internazionali di incriminazione, sottraggano determinate classi di fatti alla sanzione penale prevista in via
generale dall’altra legge statale, in particolare attraverso l’indebita previsione di cause di giustificazione, di scusanti o

15
di cause di non punibilità con l’effetto di consentire l’automatica ri-espansione della norma incriminatrice generale già
prevista dal legislatore italiano, in conformità ai propri obblighi internazionali.
Qualora, ad esempio, il legislatore italiano si determinasse in futuro a prevedere un’apposita norma incriminatrice della tortura, prevedendo però
al contempo che il fatto non sia punibile quando costituisca “oggetto di un obbligo legale”, nulla vieterebbe alla Corte costituzionale di dichiarare
l’illegittimità costituzionale di una simile esimente per contrasto, oltre che con l’articolo 13 co 4 cost (secondo il quale deve essere punita ogni
violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizione di libertà) anche con l’articolo 117 co 1 cost in relazione all’articolo 3 della
convenzione Onu contro la tortura, dove espressamente si esclude che la tortura possa mai essere giustificata con riferimento a circostanze
eccezionali di qualsiasi tipo, ovvero sulla base dell’ordine di una autorità superiore.

Consuetudine e diritto penale

Il principio di riserva di legge ex articolo 25 cost. preclude la creazione di norme incriminatrici da parte della
consuetudine (cosiddetta CONSUETUDINE INCRIMINATRICE), ciò in conformità al fondamento politico della riserva di
legge che attribuisce al Parlamento il monopolio delle scelte punitive, a dispetto del carattere impreciso delle norme
consuetudinarie.
La stessa cosa vale per la cosiddetta CONSUETUDINE INTEGRATRICE, cioè per il rinvio della legge alla consuetudine
per l'individuazione di un elemento del reato: in particolare, tra gli obblighi giuridici di impedire un evento la cui violazione fonda la
responsabilità dei reati commessi mediante omissione, non possono essere ricompresi, ad esempio, gli obblighi di fonte consuetudinaria, in quanto
la loro imprecisione dilaterebbe in modo incontrollabile l'arbitrio del giudice nell'individuazione dei presupposti in presenza dei quali sorge l'obbligo
di impedire un evento penalmente rilevante (esempio articolo 40 "non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a
cagionarlo").

La consuetudine non può neppure essere fonte di regole di diligenza, prudenza, perizia, la cui inosservanza integra la colpa. Quelle regole vanno
infatti desunte non come normalmente si fa, magari con la convinzione di agire in conformità alle pretese dell'ordinamento, ma da ciò che si può
esigere dall’agente modello in relazione alle più diverse attività pericolose.

Il principio di gerarchia delle fonti impedisce alla consuetudine di produrre l'abrogazione di norme legislative
incriminatrici, cosiddetta CONSUETUDINE ABROGATRICE: le leggi infatti possono essere abrogate solo da leggi
posteriori.

Le norme consuetudinarie possono essere invece fonte di causa di giustificazione( detta CONSUETUDINE
SCRIMINANTE) , in quanto oggetto della riserva di legge ex art. 25 cost. sono soltanto le norme incriminatrici: così ad
esempio la consuetudine di lanciare fuochi d'artificio a Capodanno, giustifica il fatto penalmente rilevante di disturbare il riposo delle persone
mediante schiamazzi e rumori.
La gerarchia delle fonti impedisce peraltro che, facoltà legittime o doveri di fonte consuetudinaria, apportino deroghe a facoltà o doveri, contenuti in
norme di rango superiore, ampliandone la potata.

Corte costituzionale e legge penale

La riserva di legge ex articolo 25 co 2 cost. esclude che, attraverso il sindacato delle norme incriminatrici, la Corte
Costituzionale possa:

ampliare la gamma dei comportamenti penalmente rilevanti


inasprire il trattamento sanzionatorio di un reato
far rivivere la figura di reato abolita o depenalizzata dal legislatore (una deroga in tal senso è quella in cui la
norma incriminatrice approvata dal legislatore rappresenti l'attuazione di un obbligo costituzionale espresso
di incriminazione: si pensi all'abuso di autorità contro arrestati detenuti e dunque all'ipotesi in cui una norma abolisse
l'incriminazione attuativa dell'obbligo espresso di incriminazione dettato della costituzione!
In ogni caso, la riserva di legge non preclude il controllo di costituzionalità delle norme incriminatrici che produca un
effetto in bonam partem.

RISERVA DI LEGGE E ATTI DEL POTERE ESECUTIVO

Riserva assoluta, relativa o "tendenzialmente assoluta”.

16
Il PRINCIPIO DI RISERVA DI LEGGE PENALE è un tipo di riserva che esprime il divieto di punire una determinata
condotta in assenza di una legge esistente, che non figuri come reato: art 25 co 2 cost.

Individuata nella legge formale dello Stato l’unica fonte di norme incriminatici, si pone il problema di stabilire se
l’esclusione degli atti del potere esecutivo sia totale o parziale, cioè se tale RISERVA sia da intendersi come:
- ASSOLUTA, nel senso che sarebbe riservata alla legge l’individuazione di tutti gli elementi del reato e del relativo
trattamento sanzionatorio;
- RELATIVA, nel senso che la legge potrebbe rinviare a una fonte di rango inferiore per l’individuazione del precetto;
- TENDENZIALMENTE ASSOLUTA, nel senso che la legge potrebbe rinviare alla fonte sublegislativa solo per la
specificazione sul piano tecnico di singoli elementi del reato, già individuati dalla legge. Il problema si pone in termini
diversi a seconda che si tratti:

 dei rapporti tra LEGGE e ATTI NORMATIVI GENERALI E ASTRATTI DEL POTERE ESECUTIVO:
1. ASSOLUTA: un primo orientamento ritiene legittima ogni forma di rinvio da parte della
legge a una fonte subordinata: si considera quindi legittima una norma di fonte legislativa
che si limiti a prevedere una sanzione penale per la violazione di un precetto che,
successivamente all’emanazione della legge, verrà interamente individuato dal
regolamento.
(Una norma penale così strutturata avrebbe quindi come unica fonte la legge, che realizzerebbe la tutela
dell’interesse all’osservanza dei regolamenti: ciò che verrebbe punito è la disobbedienza come tale alle norme
della pubblica amministrazione; questa impostazione però comporta il totale svuotamento della riserva di legge
perché sarebbe l’autorità amministrativa a decidere in ultima analisi, attraverso atti normativi generali e astratti,
quali siano le azioni e le omissioni che devono essere punite.)

2. RELATIVA: un secondo orientamento riconosce che le norme generali e astratte emanate


da fonti subordinate alla legge, sulla base di un rinvio contenuto nella norma legislativa, possano
integrare il precetto, concorrendo a definire la figura del reato, a patto che “sia la legge ad
indicare con sufficiente specificazione i presupposti, i caratteri, il contenuto e i limiti dei
provvedimenti dell’autorità non legislativa, alla trasgressione dei quali deve seguire la
pena.”
(Il criterio della sufficiente specificazione è troppo vago da legittimare qualsiasi apporto degli atti generali e astratti
dell’esecutivo nella configurazione dei reati; cosicché l’intento di salvare la ratio della riserva di legge(garantire il
cittadino dagli arbitri del potere esecutivo) risulta fallito!)
3. TENDENZIALMENTE ASSOLUTA: una terza impostazione ritiene legittimo il rinvio della
legge ad atti generali astratti del potere esecutivo, solo se, quegli atti si limitano a
specificare sul piano tecnico elementi già descritti dal legislatore (proprio in virtù del fatto che il
carattere solo tecnico dell’integrazione non comporterebbe scelte politiche da parte dell’esecutivo!)
(Rapporti di questo tipo si delineano nella disciplina degli stupefacenti dove alcune sostanze sono individuate in
tabelle allegate alla legge frutto di un decreto del ministro del lavoro, della salute delle politiche sociali; sempre
attraverso decreto del ministro del lavoro la legge rinvia alla determinazione quantitativa dei limiti di detenzione
autorizzata: in questo caso la legge demanda al potere esecutivo non più una integrazione di natura tecnica, ma
una vera e propria scelta politico criminale, come tale in contrasto con il principio di riserva di legge in materia
penale)
quando la legge penale rinvia, non ad atti amministrativi generali e astratti da emanare
successivamente, bensì ad atti preesistenti, tale disciplina sarà legittima quando non
permanga in capo all’autorità amministrativa, il potere di modificare l’atto: in tal caso il
rinvio ha carattere recettizio, nel senso che la legge recepisce il contenuto del preesistente atto
amministrativo, facendolo proprio.
Quando invece in capo alla pubblica amministrazione permane il potere di modificare
l’atto preesistente, la norma sarà illegittima, perchè il rinvio deve intendersi come
riferito a quell’atto e alle sue successive modificazioni (cosiddetto rinvio mobile): in
questo caso la legge affida al potere esecutivo il compito di formulare in tutto o in parte, la norma
incriminatrice. Il rinvio risulterà pertanto legittimo in una sola ipotesi cioè quando sia l’atto preesistente, sia le
sue successive modificazioni, abbiano per oggetto la specificazione da parte del potere esecutivo di elementi di
natura tecnica, già individuati dalla norma legislativa..

 dei rapporti tra LEGGE e PROVVEDIMENTI INDIVIDUALI e CONCRETI DELL’ESECUTIVO non


violano la riserva di legge le norme penali che sanzionino l’inottemperanza a classi di provvedimenti della
pubblica amministrazione o dell’autorità giudiziaria.

17
il singolo provvedimento amministrativo, del quale la legge punisce l’inottemperanza, è infatti estraneo al precetto
penale, perché non aggiunge nulla all’astratta previsione legislativa: è solo un accadimento concreto che va ricondotto
nella classe di provvedimenti descritta dalla norma incriminatrice;
Però le norme che puniscono l’inosservanza di classi di provvedimenti amministrativi o giudiziari possono violare la
riserva di legge sotto il profilo del principio di precisione, che tende a porre un limite agli interventi discrezionali del
potere giudiziario nell’individuazione di fatti penalmente rilevanti: ciò accade quando la classe di provvedimenti sia
descritta dalla legge in modo impreciso: è il caso ad esempio nell’articolo 650 codice penale delle classi di provvedimenti emanati
dall’autorità “per ragioni di giustizia di sicurezza pubblica o d’ordine pubblico”.
La genericità di queste formule comporta infatti che ogni singolo giudice debba integrare il precetto in violazione della
riserva di legge, identificando a suo arbitrio quali siano i provvedimenti la cui inosservanza va sanzionata penalmente.

Norme penali in bianco

Si intendono le norme penali il cui precetto è posto, in tutto o in parte, da una norma di fonte inferiore alla legge: la
legge lascia cioè in bianco il contenuto del precetto, che si colora e prende forma solo ad opera della fonte
sublegislativa.
secondo il modello della riserva “tendenzialmente assoluta” è costituzionalmente illegittima una norma il cui precetto,
lasciato in bianco dalla legge, venga posto da un atto generale ed astratto del potere esecutivo, a meno che, l’apporto
di quest’ultimo, abbia carattere puramente tecnico; è invece costituzionalmente legittima una norma che sanzioni
l’inottemperanza di provvedimenti amministrativi individuali e concreti, purché la norma di fonte legislativa individui
con precisione la classe dei provvedimenti di cui reprime l’inosservanza.

LA RISERVA DI LEGGE E POTERE GIUDIZIARIO

La riserva di legge impone al legislatore un triplice ordine di obblighi:

A. PRINCIPIO DI PRECISIONE: vincola il legislatore a formulare le norme penali nella forma più chiara
possibile
B. PRINCIPIO DI DETERMINATEZZA: impone di incriminare solo fatti suscettibili di essere provati nel
processo
C. PRINCIPIO DI TASSATIVITÀ: impone al giudice il divieto di estensione analogica delle norme
incriminatrici, e a sua volta, a formulare le norme incriminatrici in modo rispettoso del divieto di
analogia.

a) IL PRINCIPIO DI PRECISIONE: è garanzia per la libertà e la sicurezza del cittadino, oltre che necessario per
assicurare una serie di esigenze proprie del sistema penale o è infatti condizione indispensabile
per la minaccia legislativa della pena come strumento di prevenzione generale;
o leggi imprecise non consentono di muovere all’agente un rimprovero di colpevolezza; o
solo norme incriminatrici precise assicurano all’imputato il pieno esercizio del diritto di difesa.
TECNICHE DI FORMULAZIONE DELLE NORME PENALI: Le norme penali possono risultare più o meno precise a
seconda delle TECNICHE adottate dal legislatore nella loro formulazione.

§ Il più elevato grado di precisione è assicurato dalla tecnica casistica, cioè dalla descrizione analitica di
specifici comportamenti, oggetti, situazioni
(esempio la norma sulle lesioni personali gravissime articolo 583 co 2 cp).
§ Un rischio di imprecisione è connaturato al ricorso a clausole generali, cioè a formule sintetiche
comprensive di un gran numero di casi, che il legislatore però rinuncia ad enumerare e specificare
(esempio una norma che descriva le lesioni gravissime con una clausola generale del tipo: la lesione è gravissima se, la
persona viene lesa molto seriamente, nel corpo e nella mente!);

18
l’adozione di questa tecnica è infatti legittima a condizione però che i termini sintetici impiegati dal
legislatore, consentono di individuare, in modo sufficientemente certo, le ipotesi riconducibili sotto
la norma incriminatrice
(ad esempio, nella formulazione delle norme incriminatrici dell’omicidio, il legislatore ha legittimamente rinunciato a
descrivere le molteplici condotte attraverso le quali è possibile causare la morte: il termine “cagionare” impiegato dal
legislatore consente di individuare con sufficiente precisione le condotte vietate dal momento che questo termine rinvia non
al libero apprezzamento del giudice bensì a leggi scientifiche universali o statistiche per mezzo delle quali, lo stesso giudice,
potrà affermare o negare la sussistenza del rapporto di causalità tra una data azione e la morte).

§ Una tecnica coerente con i principi di precisione è rappresentata dal ricorso a definizioni legislative:
questa tecnica viene impiegata sia nella parte generale, dove per esempio si definiscono il dolo, la colpa, il
tentativo, l’imputabilità, sia nella parte speciale, dove spesso si definiscono termini ricorrenti in diverse norme
incriminatrici: in quest’ultimo caso, il legislatore utilizza formule quali “agli effetti della legge penale si
considera” ovvero “s’intende” ovvero “si ha”.
§ Il legislatore può anche individuare gli elementi del reato con termini o concetti descrittivi, cioè con
termini che fanno riferimento, descrivendoli, a oggetti della realtà fisica o psichica suscettibili di
essere accertati con i sensi o comunque attraverso l’esperienza.
L’impiego di questi concetti non garantisce però il rispetto del principio di precisione quando il
legislatore esaurisce la descrizione del fatto in un solo termine, dal significato assolutamente
impreciso: in questo caso la norma sarà illegittima per contrasto con l’articolo 25 co 2 cost.!
(dubbi di legittimità investono la norma incriminatrice dell’”incesto,” che da un lato si limita a descrivere il fatto di reato con la
formula “chiunque commette incesto” e dall’altro lascia nell’assoluta incertezza la necessità della congiunzione carnale o se
rilevi invece qualsiasi atto sessuale ai fini della configurazione del reato; così come analoghi dubbi solleva il termine “rissa”: se
rissa sia soltanto una colluttazione corpo a corpo o anche uno scontro a distanza come nel caso di conflitto a fuoco con lancio
di sassi.)

§ Altre volte un elemento del reato è individuato dal legislatore attraverso un concetto normativo,
che fa riferimento ad un’altra norma,
 GIURIDICA (ad esempio altruità, matrimonio avente effetti civili)
 o EXTRA GIURIDICA (ad esempio osceno, atti sessuali, onore, reputazione).

La tecnica degli elementi normativi risulta compatibile con il principio di precisione a una
duplice condizione: il concetto normativo non deve dare adito ad incertezze
 sia riguardo all’individuazione della norma richiamata,
 sia riguardo all’ambito applicativo e al contenuto di tale norma.
Questa duplice esigenza è per lo più rispettata quando la norma richiamata è una NORMA GIURIDICA.
(È il caso ad esempio del concetto di “altruità” con il quale, si individuano le cose passibili di furto e di altri reati contro il patrimonio, sia
perché il concetto di alttruità evoca la nozione civilistica della proprietà, come diritto di volere disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo,
sia perché sono chiari e precisi i criteri normativi, i modi di acquisto del diritto di proprietà, che consentano di stabilire se in concreto la cosa
sia o meno di proprietà dell’agente.)
Quanto agli elementi individuati attraverso il rinvio a NORME EXTRAGIURIDICHE, il principio di precisione è
tendenzialmente rispettato quando il rinvio riguarda

 le norme tecniche
(ad esempio, le regole dell’arte dell’oculista”, “dell’ortopedico”, la cui violazione integra la colpa per “imperizia”,)
mentre sono tendenzialmente imprecisi gli elementi individuati con il richiamo

 alle norme etico-sociali, per il carattere più o meno vago di tali norme.
(Si pensi ,ad esempio, agli “attentati alla morale familiare connessi col mezzo della stampa periodica”: non è chiaro se, con la formula
“morale familiare”, la legge faccia riferimento alla sola morale sessuale, né può essere di aiuto una definizione dottrinale di quel
concetto come “complesso di sentimenti, di tradizioni, di legami che sono il tessuto connettivo dell’ordinamento familiare”.)

La corte costituzionale ha sempre visto il fondamento del principio di precisione nell’articolo 25 cost,

19
come espressione dello sbarramento che la riserva di legge frappone agli interventi del potere
giudiziario, obbligando a questo scopo il legislatore a formulare norme chiare e precise.
Peraltro, la corte per lungo tempo ha sistematicamente rigettato le censure di imprecisione mosse dai
giudici di merito, nei confronti di questa o quella norma incriminatrice, affermando che i termini usati dal
legislatore sono “diffusi e generalmente complessi”, richiamando il cosiddetto “diritto vivente” cioè una
pretesa uniforme interpretazione giurisprudenziale, e manipolando la norma censurata con la
tecnica della “sentenza interpretativa di rigetto” così da conferirle i connotati di precisione che le
facevano difetto.

A partire dagli anni ‘80, la Corte ha invece valorizzato appieno i principi di precisione, non solo sul piano
delle enunciazioni di principio, ma anche dichiarando costituzionalmente illegittime talune norme
sottoposte al suo sindacato.
La corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma che puniva lo straniero destinatario di un

provvedimento di espulsione “che non si adopera per ottenere dalla competente autorità diplomatica o consolare il rilascio
del documento di viaggio occorrente”.

La corte ha posto in rilievo che l’espressione impiegata dal legislatore in mancanza di precisi parametri oggettivi di riferimento,
impedisce di stabilire con precisione quando l’inerzia del soggetto raggiunga la soglia penalmente apprezzabile: per tali ragioni

la corte ha impugnato la norma in quanto essa non è rispettosa del principio di precisione ,rimanendo la sua applicazione
affidata all’arbitrio dell’interprete.

b) IL PRINCIPIO DI DETERMINATEZZA: esprime l’esigenza che le norme penali descrivano fatti suscettibili di
essere accertati e provati nel processo, cioè occorre che la norma rispecchi una fenomenologia empirica
verificabile nel corso del processo sulla base di massime di esperienza o di leggi scientifiche: solo a questa
condizione il giudizio di conformità del caso concreto alla previsione astratta non è abbandonato all’arbitrio
del giudice.
(La corte costituzionale, nella prima sentenza di accoglimento fondata sull’articolo 25 co 2 cost, ha dichiarato illegittima per contrasto con
il principio di determinatezza (perché la formulazione letterale dell’articolo 603 prevedeva un’ipotesi non verificabile nella sua
effettuazione) la norma incriminatrice del plagio, che puniva “chiunque sottopone una persona al proprio potere, in modo da ridurla in
totale stato di soggezione”.
E’, secondo la corte, illegittima , perché non si conoscono, né sono accertabili, i modi con i quali si può effettuare l’azione psichica del
plagio ,né come sia raggiungibile il totale stato di soggezione.

c) IL PRINCIPIO DI TASSATIVITÀ
Un ulteriore sbarramento apposto dalla riserva di legge agli arbitri del giudice penale è il divieto di analogia a
sfavore del reo (cosiddetta analogia in malam partem) , altrimenti designabile come PRINCIPIO DI
TASSATIVITÀ delle norme incriminatrici.
A norma dell’articolo 1 cp “ il giudice non può punire fatti che non siano espressamente preveduti come reato
dalla legge”; secondo l’articolo 14 preleggi, non può applicare leggi penali “oltre i casi ed i tempi in essere
considerati”. La linea di confine tra interpretazione e analogia è dunque segnata dal significato letterale della
legge:
o si tratta di interpretazione estensiva quando il giudice attribuisce alla norma un significato tale da abbracciare
tutti i casi che possono essere ricondotti al suo tenore letterale;
20
o il giudice fuoriesce invece dell’interpretazione quanto riferisce la norma a situazioni non riconducibili
a nessuno dei suoi possibili significati letterali in particolare, violando il divieto di analogia, allorché
estende la norma a casi simili a quelli espressamente contemplati dalla legge sulla base di un
comune ratio di disciplina.
(il divieto di analogia presuppone che il legislatore abbia formulato norme incriminatrici precise. Quel divieto viene svuotato
quando il legislatore, usando termini vaghi ed elastici, consente al giudice di sottrarsi alla legge, riempendo la norma di
qualsiasi contenuto. In molti casi si rimprovera al giudice di applicare per analogia le norme incriminatrici: ci si trova in realtà
in presenza di norme costituzionalmente illegittime per la loro imprecisione!).
Il divieto di analogia opera anche nei casi in cui, si sanzioni penalmente la violazione di un precetto contenuto in
una disposizione extra-penale, appartenente ad un settore dell’ordinamento ai fini extra penali , che ammette il
ricorso all’analogia; l’analogia è invece vietata agli effetti penali.

Il divieto di analogia, o principio di tassatività, vincola non solo il giudice, ma ANCHE IL LEGISLATORE ORDINARIO:
l’efficacia vincolante del divieto di analogia per il legislatore ordinario, si profila soprattutto nei casi in cui, la norma, si
apra “con la descrizione di una serie di condotte, situazioni o oggetti” e si chiuda con le formule del tipo “e altri simili”
“e altri analoghi”: norme del genere, violano il principio di tassatività, quando contengono “elenchi di ipotesi
eterogenea e quando descrivono una sola ipotesi, seguita dal riferimento a casi simili”; in proposito si parla in
dottrina di FATTISPECIE AD ANALOGIA ESPRESSA, perché la formulazione della norma dà via libera ad una
incontrollabile attività creatrice di norme, caso per caso, da parte del singolo giudice.
(Esempi di fattispecie ad analogia espressa, erano forniti dagli articoli 600,601 ,602 l’attore, nel testo originario, si parlava di “schiavitù” e di
“condizione analoga alla schiavitù”: l’individuazione di condizioni analoghe, risultava integralmente rimessa al giudice. Il legislatore però ha
integralmente riformulato tali articoli prevedendo che oggi si intenda :

 per schiavitù “la condotta di chi esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà” mentre
 per servitù si intende “il ridurre o mantenere una persona in stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni lavorative
omosessuali ovvero all’accattonaggio o comunque prestazioni che ne comportino lo sfruttamento”.)
Sono invece costituzionalmente legittime le norme contenenti formule del tipo “e altri simili”, “altri analoghi”, che
siano però precedute dall’elencazione di una serie di ipotesi omogenee, tali da consentire l’individuazione di un
genere, sotto il quale ricondurre sia i casi espressamente menzionati, sia quelli evocati con quelle formule.
(ad esempio, era costituzionalmente illegittima la norma che “puniva la vendita o consegne di chiavi o grimaldelli a persona sconosciuta” (articolo
710, ora abrogato) .
Per i soggetti che potevano commettere questo reato, il legislatore annoverava chiunque esercitasse il mestiere di fabbro o altro simile mestiere
N:B: (il legislatore avrebbe potuto dire chiunque eserciti il mestiere di fabbricante o venditore di strumenti atti a aprire o forzare serrature, e invece,
ha usato una locuzione sintetica, idonea a individuare, con ragionevole precisione, il genere di mestieri, nell’esercizio dei quali, poteva commettersi
tale reato)!

d) ANALOGIA A FAVORE DEL REO


Il divieto di analogia in materia penale opera soltanto quando l’applicazione analogica andrebbe a sfavore
dell’agente (ANALOGIA IN MALAM PARTEM): l’articolo 1 cp e nell’articolo 14 preleggi vietano al giudice di fare
ricorso all’analogia per punire fatti penalmente rilevanti, ovvero per applicare pene più gravi di quelle previste dalla
legge;
ne segue che il divieto di analogia non si estende alle norme che escludono o attenuano la responsabilità (ANALOGIA
IN BONAM PARTEM).
In base all’articolo 14 preleggi, il divieto di analogia interessa non solo le leggi penali, ma anche le leggi , penali e non
penali, che dettano una disciplina eccezionale, cioè che derogano alla normale disciplina apprestata dall’ordinamento
o da un settore dell’ordinamento, anche se la loro estensione analogica andrebbe a favore dell’agente.

Ribadita quindi l’ammissibilità, in linea di principio, dell’applicazione analogica delle norme favorevoli all’agente, va
però detto che

IL RICORSO ALL’ANALOGIA INCONTRA DEI LIMITI:

1. La norma non deve già ricomprendere il caso in esame, neppure se interpretata estensivamente;
2. La lacuna individuata dall’interprete non deve essere “intenzionale”, cioè frutto di una precisa scelta del
legislatore;
3. La norma favorevole non deve avere carattere eccezionale.

21
 Il divieto sancito dall’articolo 14 preleggi, non abbraccia le norme che prevedono LE CAUSE DI
GIUSTIFICAZIONE,
 perché esse non sono norme penali, ma norme con finalità proprie situate in ogni luogo
dell’ordinamento;
 nè sono norme eccezionali, perché anzi sono espressione di altrettanti principi generali
dell’ordinamento.
ad esempio la legittima difesa è espressione del generale principio che considera lecito respingere la violenza con la violenza! (Il
problema dell’estensione analogica delle cause di giustificazione si pone in relazione all’estremo del “pericolo attuale” previsto
dall’articolo 52 codice penale per la legittima difesa: ad esempio il caso della donna maltrattata, che non avendo altre vie d’uscita,
uccide il marito durante il sonno.

 Una parte minoritaria della dottrina ritiene che quel concetto abbracci non solo i pericoli in atto ma anche quelli che
sorgeranno in futuro;
 la maggioranza della dottrina ritiene invece che l’estremo del pericolo attuale ricomprenda esclusivamente pericoli in atto
e dunque solo attraverso un’estensione analogica, la legittima difesa potrebbe operare anche in relazione a pericoli futuri
neutralizzatili solo con una immediata azione difensiva.

 Manca invece una disciplina per le ipotesi in cui l’agente commette il fatto nell’erronea convinzione di
trovarsi in presenza di una cosiddetta QUASI GIUSTIFICANTE O QUASI SCRIMINANTE, cioè di un caso, (ad
esempio l’omicidio del consenziente articolo 579), nel quale l’ordinamento considera l’antigiuridicità del fatto non
esclusa, ma attenuata, ricollegandogli una pena meno severa di quella prevista per il corrispondente reato
comune (di omicidio doloso di cui all’articolo 575!)
 LE CAUSE DI ESCLUSIONE DELLA PUNIBILITÀ non sono applicabili per analogia, per il loro carattere di norme
eccezionali: la regola dell’intero sistema penale è che l’autore di un fatto penalmente rilevante, antigiuridico
e colpevole debba essere punito con le sanzioni previste dalla legge ed è solo un’eccezione che egli resti in
tutto o in parte impunito, per ragioni di opportunità politica (ad esempio l’ambasciatore di uno Stato estero) o di
opportunità politico criminale in senso stretto (l’autore di un tentativo che volontariamente desista da portare a compimento
l’azione) o ancora per ragioni relative alla salvaguardia di interessi antagonisti rispetto alla punizione del reo (ad
esempio chi commette un furto in danno della ristretta cerchia di congiunti).
 Le norme che prevedono CIRCOSTANZE ATTENUANTI non ammettono estensione analogica, essendo il frutto
della precisa scelta politico criminale di attribuire rilevanza attenuante a situazioni ben individuate.

IL PRINCIPIO DI LEGALITÀ DELLE PENE

La riserva di legge abbraccia non soltanto I REATI (nullum crimen sine lege) ma anche le relative SANZIONI

 pene principali,  pene accessorie,


 pene sostitutive delle pene detentive,  misure alternative alla
 pene derivanti dalla conversione della pena pecuniaria, detenzione  effetti penali della
condanna.

Il principio di legalità delle pene vincola:


 l’articolo 1 cp dispone che “nessuno può
essere punito per un fatto che non sia
(nulla poena sine lege), nel senso che la legge deve prevedere il tipo, i contenuti e la misura delle pene,

assumendosi questo termine nell’accezione più ampia comprensiva di : innanzitutto IL GIUDICE:

22
espressamente preveduto come reato dalla legge, né con
pene che non siano da essa stabilite. “

ma vincola anche il LEGISLATORE,

 disponendo all’articolo 25 co 2 cost. che “nessuno


può essere punito se non in forza di una legge.”

23
Per la Corte Costituzionale la RISERVA ha carattere ASSOLUTO, escludendo quindi l'intervento di fonti diverse dalla
legge statale anche per la definizione di aspetti marginali del trattamento sanzionatorio.

Per la dottrina si tratta di RISERVA TENDENZIALMENTE ASSOLUTA, cioè tale da consentire che fonti sublegislative
concorrano all’individuazione della pena nei limiti di una integrazione puramente tecnica: ciò può verificarsi quando la
legge preveda una pena pecuniaria proporzionale, il cui ammontare sia rapportato, ad esempio, al valore dell’ oggetto materiale del reato, e la
determinazione di tale valore, secondo parametri tecnici, venga demandata ad un atto normativo sub-legislativo.

Innanzitutto deve essere la legge a determinare il TIPO delle pene applicabili dal giudice per ciascuna figura di reato:
ciò può avvenire

 sia nella stessa norma incriminatrice (ad es. l’articolo 624 prevede per il delitto di furto la pena della reclusione e della multa),
 sia attraverso clausole generali (la legge 689/81 consente al giudice, nel pronunciare la sentenza di
condanna, di sostituire le pene della reclusione o dell’arresto previste da norme incriminatrice con la
semidetenzione, con la libertà controllata o con la pena pecuniaria sostitutiva).
La legge inoltre deve determinare con precisione il CONTENUTO e la MISURA delle sanzioni penali: il più elevato grado
di precisione verrebbe assicurato da un sistema di pene fisse (ad esempio cinque anni di reclusione …).
Vi sono però nella costituzione alcuni principi (eguaglianza, personalità della responsabilità penale, rieducazione del
condannato) che richiedono l’individualizzazione della pena da parte del giudice, in antitesi ad una rigida e
invariabile predeterminazione legale della misura della pena.
il punto di equilibrio risiede quindi nella predeterminazione legale per ogni figura di reato di una cornice di pena, cioè
di un minimo e di un massimo entro il quale il giudice, utilizzando i criteri indicati dall’articolo 133 cp dovrà scegliere la
pena adeguata a ogni singolo caso concreto.

Conservano una serie di corollari:

1. il principio di legalità si oppone alla previsione di pene indeterminate nel massimo: in assenza di un limite
massimo fissato dalla legge, la determinazione dell’ammontare della pena per le ipotesi più gravi verrebbe
lasciata all’arbitrio del singolo giudice!
2. La cornice edittale deve essere individuata con precisione: il che non sempre accade!
3. La cornice edittale non deve essere troppo ampia: cornici eccessivamente divaricate impongono infatti al
giudice di farsi legislatore del caso concreto, formulando propri autonomi giudizi di disvalore sulla stessa
figura astratta di reato;
4. Il principio di legalità della pena esige che la legge detti criteri vincolanti per il giudice nella commisurazione
della pena, prendendo posizione tra l’altro, sui fini della pena cui deve ispirarsi il giudice nella
commisurazione (prevenzione speciale intimidatrice, rieducazione, prevenzione generale).

PRINCIPIO DI LEGALITÀ NELLE MISURE DI SICUREZZA

LE MISURE DI SICUREZZA (artt. 199 e ss. ) sono sanzioni personali o patrimoniali, applicabili

 in aggiunta alla pena, nei confronti di soggetti imputabili o semimputabili,


 ovvero in luogo della pena, nei confronti di soggetti incapaci d’intendere o di
volere. Anche le misure di sicurezza soggiacciono al principio di legalità:

 l’articolo 199 infatti dispone che “nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza che non siano
espressamente stabilite dalla legge e fuori dei casi dalla legge stessa preveduti”, con la conseguenza che è
vietata al giudice l’applicazione di misure di sicurezza diverse da quelle stabilite dalla legge e per casi non
preveduti dalla legge.
Anche per le misure di sicurezza, il principio di legalità è stato innalzato al rango di principio costituzionale:
 l’articolo 25 cost co3 dispone infatti che “nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi
previsti dalla legge”.
Ne deriva quindi che il LEGISLATORE ordinario non può delegare a fonti subordinate, in particolar modo al potere
esecutivo, la disciplina delle misure di sicurezza, né può dettare una disciplina imprecisa o indeterminata, così da
aprire la porta all’arbitrio del giudice nell’individuazione dei presupposti, della tipologia e dei contenuti delle misure.
24
PRESUPPOSTI PER L’APPLICAZIONE DELLA MISURA DI SICUREZZA

1) Il primo presupposto per l’applicazione delle misure di sicurezza è la commissione di un fatto preveduto dalla
legge come reato o in via di eccezione, di un “quasi reato”: deve essere la legge a prevedere espressamente
l'applicabilità delle misure di sicurezza;
2) Il secondo presupposto è la pericolosità sociale dell’agente, cioè la probabilità che egli commenta nuovi fatti
preveduti dalla legge come reati. Secondo la disciplina attuale, la pericolosità sociale va sempre accertata in
concreto dal giudice.
La disciplina vigente tuttavia si scontra sia
 con il principio di precisione, in quanto per soddisfarlo, il giudizio di pericolosità dovrebbe essere riferito alla
futura commissione di reati ben precisi e non ad un qualsivoglia reato; inoltre la legge dovrebbe individuare una
serie di elementi effettivamente sintomatici della pericolosità sociale e non, limitarsi a un semplice generico
richiamo ai criteri per la commisurazione della pena;
 con il principio di determinatezza: le scienze criminologica infatti denunciano l'assenza di leggi scientifiche o di
massime di esperienza che consentano di affermare nel caso concreto la pericolosità sociale di una persona.
3) La riserva di legge esige inoltre che il legislatore individui il tipo di misure di sicurezza applicabile dal giudice,
nonché i contenuti: spesso tuttavia accade le norme di carattere generale prevedono l'applicazione di misure di sicurezza senza
però precisarne la specie; in questi casi è il giudice che ha libera discrezionalità nella predeterminazione del tipo di misure di sicurezza .
4) A differenza di quanto si è detto per le pene, la riserva di legge tollera misure di sicurezza indeterminate nel
massimo , trattandosi di un carattere connaturato a tale sanzione, in ragione della sua dipendenza dalla
pericolosità sociale dell’agente, cioè da uno stato personale che si protrae nel tempo e del quale non è dato
stabilire a priori se e quando verrà meno.

L'interpretazione nel diritto penale

La fedeltà del giudice alla legge è, innanzitutto, incarnata dal divieto di analogia in malam partem, che vieta al giudice
di ricondurre sotto la norma casi non riconducibili a nessuno dei suoi possibili significati letterali.

Il giudice deve ricorrere nella materia penale a quella particolare interpretazione sistematica denominata
"interpretazione conforme alla Costituzione", che comporta l'adozione di una serie di criteri selettivi dei fatti
penalmente rilevanti: il principio di offensività impone l'espulsione dalla fattispecie legale dei fatti in concreto
inoffensivi del bene giuridico tutelato; il principio di colpevolezza appone come limite alla rilevanza dei fatti offensivi
penalmente rilevanti il rimprovero all'autore di aver realizzato quel fatto almeno per colpa; il principio di precisione
comporta che tra i possibili significati letterali si estromettano quei significati che conferiscono alla norma contorni
inguaribilmente incerti. Il giudice italiano ha l'obbligo di un'interpretazione conforme alla normativa europea della
legge nazionale che la attua, scegliendo tra i possibili significati letterali della legge nazionale quello conforme alle
pretese del diritto dell'Unione Europea. Primeggiano nel diritto penale l'interpretazione sistematica della norma con
altre disposizioni della legge ordinaria, ubicate dentro e fuori il diritto penale, e l'interpretazione a fortiori, che impone
di chiarire i dubbi interpretativi sollevati da una norma alla luce, tra l'altro, di un'altra norma di portata più ampia.

Restare entro la cornice dei "possibili significati letterali" è impossibile quando le norme siano inguaribilmente
imprecise.

Vi sono termini il cui significato va senz'altro cercato nel linguaggio comune.


Non è al solo linguaggio comune tuttavia che si deve ricorrere per dare un significato alla lettera della legge. La varietà
delle materie disciplinate dal diritto penale comporta infatti l'impiego di diverse e complesse terminologie
specialistiche, recepite nel linguaggio giuridico.

25
Capitolo 3 – I limiti all’applicabilità della legge penale

LIMITI TEMPORALI
1. Il principio di irretroattività delle norme penali sfavorevoli all’agente
In uno Stato liberale di diritto, il cittadino deve poter sapere, prima di agire, se dal suo comportamento
potrà derivare una responsabilità penale, e quali siano quindi eventualmente le sanzioni in cui potrà
incorrere: solo a queste condizioni può compiere libere scelte di azione, assumendosi la responsabilità dei
26
suoi comportamenti. (Se invece il giudice o il legislatore potessero disporre ex post della sua libertà
personale, il cittadino sarebbe alla mercè dello Stato!)
Ecco perché i fondatori dei principi dello Stato liberale di diritto hanno arricchito la tutela del cittadino,
introducendo il principio di irretroattività delle norme penali sfavorevoli all’agente.

l rispetto del principio di irretroattività delle norme che contengono nuove incriminazioni è imposto al
giudice

 dall’art. 2 co 1 c.p., il quale dispone che: “nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la
legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato”
 l’art. 2 co 4 vieta inoltre al giudice di applicare retroattivamente una legge successiva sfavorevole
al reo disponendo che “se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono
diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo.”
Queste norme penali non sono modificabili né derogabili dal legislatore ordinario, perché il principio di
irretroattività delle norme penali sfavorevoli al cittadino è stato innalzato al rango di principio
costituzionale: secondo il disposto del 25.2 Cost. nessuno può essere punito se non in forza di una legge che
sia entrata in vigore prima del fatto commesso, e il divieto riguarda sia la punizione di fatti che al tempo
della loro commissione non costituivano reato, sia la punizione più severa di fatti che già costituivano reato.

Anche al di fuori della materia penale opera il principio di irretroattività della legge, vincolando il
giudice; l’art. 11 Preleggi stabilisce infatti che la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha
effetto retroattivo, tuttavia questa disciplina, non essendo coperta da garanzia costituzionale, non
impedisce al legislatore ordinario di emanare leggi con efficacia retroattiva anche in pregiudizio
dei diritti dei cittadini, ove sussista una ragionevole causa giustificatrice.

Il principio di irretroattività, fondato sui caratteri essenziali dello Stato liberale a garanzia del cittadino, ha
altresì decisive ripercussioni sulla configurazione e sul funzionamento del sistema penale: in primo
luogo, il principio di irretroattività al pari del principio di legalità, è condizione indispensabile perché la
minaccia della pena da parte del legislatore funzioni come strumento di prevenzione generale.(se infatti il
fine della esecuzione della pena risiede nella intimidazione di potenziali delinquenti, l’effetto può essere
raggiunto solo se il comportamento vietato viene fissato nella legge prima del fatto.)
In secondo luogo, il principio di irretroattività impone al legislatore – a garanzia dei cittadini – di includere
fra i presupposti dell’applicazione della pena l a colpevolezza dell’agente. (per garantire al cittadino libere
scelte di azione è necessario che non gli venga accollata alcuna responsabilità penale dei fatti a lui noti
imputabili.

La libertà d’azione del cittadino viene rispettata solo se:

 ciò che gli viene addossato è un fatto che, al momento in cui lo ha commesso, egli ha previsto e
voluto (dolo),
 o che avrebbe evitato se avesse impiegato la dovuta diligenza (colpa),
 se conosceva o almeno poteva conoscere la norma penale che vietava la realizzazione del fatto
(errore inescusabile sulla legge penale),
 e se era capace di intendere e di volere (imputabilità).

27
2. Ambito di applicazione: nuove incriminazioni e trattamento penale più severo l'articolo
25 co2 cost vieta al LEGISLATORE di mentre l'articolo 2 co 1 cp vieta al GIUDICE di attribuire efficacia
retroattiva ad una legge che applicare retroattivamente una legge di dare contenga una nuova
incriminazione contenuto .

Si configura una NUOVA INCRIMINAZIONE quando

a) la legge individua una figura di reato integralmente nuova, comprensiva di una classe di fatti che in
base alla disciplina previgente erano tutti penalmente irrilevanti.
b) può essere altresì il risultato dell’ampliamento di figure di reato preesistenti.
Il divieto di retroattività abbraccia non solo le nuove incriminazioni, ma anche quelle leggi che comportino
un trattamento penale più severo per un fatto già preveduto come reato.
Ciò comporta che non possono essere applicate retroattivamente leggi che prevedono pene principali, pene
accessorie ed effetti penali della condanna, più severi di quanto previsto nella legge vigente al tempo del
commesso reato.

3. Principio di irretroattività e misure di sicurezza


Si discute se il principio di irretroattività interessi anche le misure di sicurezza.
Il problema sorge perché a proposito delle misure di sicurezza il 25 co3 Cost. enuncia il principio di legalità,
ma non il principio di irretroattività; inoltre il 200 c.p. stabilisce al

 1° co che “le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione”
 al 2° co che “se la legge del tempo in cui deve eseguirsi la misura di sicurezza è diversa, si applica la legge in
vigore al tempo dell’esecuzione.”
Gli spazi per l’applicazione retroattiva della disciplina relativa alle misure di sicurezza sono molto circoscritti:
l’articolo 200, ai commi uno e due, deve essere letto in senso restrittivo, come si impone per una normativa
che intacca fondamentali garanzie del cittadino.

In DEROGA a quanto previsto in via generale dall’art. 2 cp, in materia di successione di leggi nel tempo, si
ritiene infatti che l’art. 200, disciplini l’ipotesi in cui il fatto fosse previsto come reato già al tempo della sua
commissione, e la legge del tempo già prevedesse l’applicabilità di una misura di sicurezza, ma una legge
successiva abbia disciplinato diversamente le modalità di esecuzione della misura.
In questo caso, l’art. 200 c.p. impone al giudice di cognizione di applicare la legge in vigore al momento in
cui egli dispone la misura, se poi la legge in vigore al momento dell’esecuzione è ancora diversa, il giudice
dell’esecuzione dovrà applicare la nuova legge.

Questa disciplina comporta l’applicabilità retroattiva della legge sopravvenuta che ri-disciplini le modalità
esecutive della misura di sicurezza, anche quando le nuove modalità risultino più gravose per l’agente: ciò
non confligge con i principi costituzionali in materia di misure di sicurezza , che si riducono al principio di
legalità e non contemplano il principio di irretroattività della disciplina sfavorevole al reo.

Dall’interpretazione dell’articolo 200, derivano due corollari:

28
a) Mentre non può applicarsi una misura di sicurezza per un fatto che, al momento della sua
commissione non costituiva reato (PRINCIPIO DI LEGALITA’),
b) Invece, si può applicare una misura di sicurezza per un reato (o quasi reato) per il quale, al
momento della commissione del fatto, non era prevista alcuna misura od era prevista una misura
diversa (PRINCIPIO DI RETROATTIVITÀ).
Infatti il momento di valutazione dell'applicazione della misura non è quello della commissione del fatto,
bensì quello della valutazione della pericolosità del soggetto, fatta proprio al momento applicativo della
misura.
Sicché non vi è alcuna violazione del principio di irretroattività della legge penale (cfr. C. Cost. 19/1974 e
392/1987).

In assenza di una copertura costituzionale, questa regola potrebbe peraltro essere derogata in forma
espressa dal legislatore, il quale potrebbe stabilire che la misura si applichi retroattivamente.
Ci sarebbe quindi il rischio che il legislatore operi una “frode delle etichette”, cioè qualifichi come misura di
sicurezza una sanzione che abbia invece connotati sostanziali di una pena.
Infatti, come è stato recentemente riconosciuto dalla corte costituzionale e dalla corte di cassazione,
l’applicazione retroattiva di misure di sicurezza che, nonostante la diversa “etichette”, hanno
sostanzialmente carattere di vere e proprie pene, è vietata alla luce dell’articolo 117 comma uno
costituzione, degli obblighi internazionali che vincolano lo Stato italiano (articolo 7 CEDU).

4. Principio di irretroattività e diritto processuale penale


Nel DIVIETO DI RETROATTIVITÀ non sono ricomprese le norme che regolano il processo penale, perché tali
norme non interferiscono con le libere scelte di azione del cittadino: per la materia processuale opera di
regola il principio tempus regit actum, cioè il principio secondo il quale gli atti processuali già compiuti conservano
la loro validità anche dopo un mutamento della disciplina legislativa, mentre gli atti da compiere sono
immediatamente disciplinati dalla nuova legge processuale, ancorché collegati ad atti compiuti in precedenza.

L’appartenenza di una norma al diritto penale sostanziale od al diritto processuale è però controversa,
soprattutto quando si tratta di istituti che si collocano ai confini fra i due settori dell’ordinamento: in tali casi
la soluzione non è costituita dall’appartenenza al diritto penale sostanziale o processuale, quanto alla
FUNZIONE assegnata dalla Costituzione al principio di irretroattività.

Problematica è soprattutto l’efficacia nel tempo di una legge che allunghi la durata del tempo necessario per
la prescrizione di un reato: occorre distinguere a seconda che all’entrata in vigore della legge
1) sia già decorso il tempo per la prescrizione del reato: in tal caso un’applicazione
retroattiva della nuova disciplina è inammissibile (decorso il tempo necessario per la
prescrizione, l’agente non è punibile e può fare affidamento a questo stato di cose);
2) la prescrizione non sia ancora maturata: in base alla legge vigente al momento del fatto, la
legge che sancisce l’allungamento dei termini potrebbe trovare applicazione retroattiva
(questa applicazione non urterebbe con il principio di irretroattività, in quanto la ratio di questo
principio è quello di soddisfare le aspettative del cittadino di conoscere preventivamente se e in
quale misura sarà punito e non di fargli sapere per quanto tempo dovrà stare nascosto dopo aver
commesso il fatto, per poter poi tornare tranquillamente alla vita di tutti i giorni!)

Recentemente, un allungamento della durata del tempo di prescrizione per alcuni reati e contravvenzioni è
stato disposto dalla LEGGE CIRIELLI L. 251/2005, che ha attuato una RIFORMA orientata ad una generale
diminuzione dei termini di prescrizione per i delitti e ad un aumento per le contravvenzioni: prevedendo che
29
i termini di prescrizione più lunghi di quelli previgenti non si applichino ai procedimenti e ai processi in
corso. (Tuttavia una scelta opposta sarebbe stata legittima perché non contraria al principio di
irretroattività).

5. Il principio di retroattività delle norme penali favorevoli all’agente


Le ipotesi in cui dopo la commissione del fatto sopravvenga LA LEGGE PENALE PIÙ FAVOREVOLE
ALL’AGENTE sono regolate dall’articolo 2 co 2-4 cp secondo il principio di retroattività della legge penale
più favorevole che riguarda:

1. La legge che abolisce il reato


2. La legge che modifica la disciplina del reato e le disposizioni concernenti il tipo e la misura della
pena, nonché tutte le misure sostanziali che incidono sul trattamento sanzionatorio riservato al
reo.

 In base all’articolo 2 co 2 : nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge
posteriore, non costituisce reato: se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali.

La norma sopravvenuta che abolisce l’incriminazione si applica dunque RETROATTIVAMENTE


 nel caso non sia ancora stata pronunciata sentenza definitiva di condanna : l’agente deve
essere ASSOLTO perché il fatto non è previsto dalla legge come reato,

 nel caso la sentenza di condanna sia passata in giudicato e sia tuttora in corso l’esecuzione
della pena principale, deve essere disposta, da parte del giudice dell’esecuzione, LA
REVOCA della sentenza di condanna e la cessazione dell’esecuzione della pena, nonché
delle pene accessorie.
Restano ferme invece le obbligazioni civili nascenti dal reato (ad esempio quelle che hanno per
oggetto il risarcimento del danno) nonché, secondo la prevalente giurisprudenza della corte di
cassazione, la misura di sicurezza patrimoniale della confisca.

Il principio di retroattività della legge trova applicazione anche nell’ipotesi di SUCCESSIONE DI LEGGI PENALI
modificative della disciplina del reato.
 Secondo l’art. 2 c.p. co 4, “se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono
diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata
sentenza irrevocabile.” (a condizione però che la sentenza di condanna non sia ancora passata in
giudicato)!
 A norma dell’articolo 2 co 3 “se vi è stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede
esclusivamente la pena pecuniaria, la pena detentiva si converte immediatamente nella
corrispondente pena pecuniaria ai sensi dell’articolo 135 (la legge sopravvenuta si applica quindi
retroattivamente senza incontrare il limite del giudicato).
Mentre IL PRINCIPIO DI IRRETROATTIVITÀ delle norme penali favorevoli all’agente È INDEROGABILE, IL
PRINCIPIO DI RETROATTIVITÀ può essere DEROGATO a condizione che ci siano ragionevoli motivi:

 si giustifichi cioè in relazione alla necessità di preservare interessi contrapposti di analogo rilievo
 sia comunque conforme al canone costituzionale di eguaglianza/ ragionevolezza

30
DEROGHE
1. le leggi temporanee e le leggi eccezionali (2 co 4 c.p.), per le quali vale il diverso principio della
incondizionata applicazione della legge del tempo in cui il fatto è stato commesso.
2. Le leggi tributarie, in base al fondamento per cui la riscossione dei tributi è interesse primario dello
Stato
3. Passaggio in giudicato della sentenza di condanna per l’esigenza di salvaguardare la certezza dei
rapporti esauriti
Il RANGO COSTITUZIONALE DEL PRINCIPIO DI IRRETROATTIVITÀ discende

 dal principio di eguaglianza/ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., che vieta qualsiasi discriminazione
irragionevole tra situazioni eguali: si punirebbe più severamente una persona per un fatto che chiunque altro,
dopo l’entrata in vigore della nuova legge, può commettere impunemente o con conseguenze più miti
 ma anche dall’art. 117 co 1 cost, che vincola il legislatore al rispetto degli obblighi internazionali, e tra
questi all’articolo 7 CEDU: secondo quanto affermato dalla Corte europea con la “SENTENZA
SCOPPOLA DEL 2009”, che stabilisce
- il divieto di applicazione retroattiva della legge penale,
- riconosce altresì implicitamente il principio di retroattività della legge più mite, succedutasi dal
momento della commissione del fatto, a quello della sentenza definitiva.
Ciò non toglie, che il principio in esame, resti derogabile, come ha riconosciuto la Corte, escludendo che
possa travolgere il giudicato.

6. L’abolizione del reato art 2 co 2 cp


Il 2° co dell’art. 2 disciplina l’abolizione del reato (ABOLITIO CRIMINIS)

si configura:
 sia nel caso in cui ne vengano ridefiniti i contorni, così da restringerne l’area applicativa
(cosiddetta ABOLIZIONE PARZIALE)
Un’abolizione del reato può derivare dalla restrizione dell’area applicativa di una incriminazione
preesistente :il legislatore fa venire meno la rilevanza penale di una sola parte delle classi di fatti in
precedenza riconducibili ad una determinata figura di reato, conservandola invece per un’altra
parte.
Ciò si verifica quando la figura di reato risultante dalla modifica normativa è speciale rispetto a
quella precedente, perché si riferisce ad una classe di fatti in essa espressamente o tacitamente
già ricompresa, che conserva rilevanza penale.
In particolare i fatti commessi nel vigore della legge precedente, nei limiti in cui rientrano nella
previsione della nuova legge, rimangono punibili a norma dell’articolo 2 co 4 cp, cioè secondo le
disposizioni più favorevoli al reo, mentre gli altri, ad essa non riconducibili e pertanto, oggetto
della parziale abolizione di reato, non costituiscono più reato ai sensi e agli effetti dell’articolo 2
co 2 cp.

31
 sia nel caso di abolizione di determinate classi di comportamenti, che sono divenuti penalmente
irrilevanti a seguito dell’entrata in vigore della nuova disciplina (ABOLIZIONE INTEGRALE DI UNA
FIGURA DI REATO).
Quale ESEMPIO si può menzionare l’istigazione all’aborto, originariamente configurata come delitto all’art.
548 cp, è stata estromessa dall’area del penalmente rilevante per effetto della legge 194/78; ai fini
dell’applicazione dell’art 2 co2 cp è indifferente che l’abolizione del reato comporti la liceizzazione del fatto
oppure il suo trasferimento nel catalogo degli illeciti amministrativi.
N. B. : I termini “abolizione del reato” e “depenalizzazione” non sono sinonimi: non ogni abolizione del reato comporta una
depenalizzazione, cioè la sua trasformazione in illecito amministrativo; è infatti possibile che il reato venga abolito senza essere
contestualmente trasformato in illecito amministrativo, con la conseguente liceizzazione delle classi di fatti ad esso riconducibili.

Va inoltre segnalato che la legge abolitrice del reato può anche essere una cosiddetta

LEGGE INTERMEDIA, che intervenuta dopo la commissione del fatto, risulti poi abrogata al momento del
giudizio: ai sensi dell’articolo 2 co 2, infatti, è sufficiente che il fatto non costituisca reato secondo una legge
posteriore.

È il caso ad ESEMPIO del rifiuto di sottoporsi all'alcoltest, previsto come reato dall'articolo 186 co 7 del codice stradale,
successivamente depenalizzato attraverso una legge intermedia, e infine nuovamente configurato come reato dalla legge 125/2008:
la giurisprudenza ha riconosciuto che, i fatti di rifiuto di sottoporsi all'alcol test prima della depenalizzazione si è verificata
una
ABOLITIO CRIMINIS : da un lato infatti la norma incriminatrice vigente al momento della commissione del fatto non è più applicabile
perché è stata depenalizzata; dall'altro, la norma incriminatrice introdotta dopo la commissione del fatto, che torna a qualificarlo
come reato, non può essere applicata retroattivamente.

L’ABOLITIO CRIMINIS parziale può conseguire a:

A. interventi su DISPOSIZIONI DI CARATTERE SPECIALE: all’abrogazione di una norma incriminatrice e


alla contestuale introduzione di un’altra norma incriminatrice, speciale rispetto a quella abrogata
(ESEMPIO riforma del falso in bilancio che ha sostituito l’originaria figura delittuosa dell’articolo 2621 codice civile con due figure contravvenzionali
nell’ambito di applicazione più circoscritto collocate negli attuali articoli 2621 e 2622 cc, caratterizzate da una pluralità di elementi specializzati.
L’abolizione di reato è limitata alle false comunicazioni sociali che si collocano al di sotto della soglia di punibilità ovvero che non presentano gli
ulteriori elementi specializzati visti dalle nuove incriminazioni).
B. interventi su DISPOSIZIONI DELLA PARTE GENERALE: sarebbe il caso di un’ipotetica ridefinizione in
senso restrittivo del concetto di colpa, e quindi di una modifica dell’articolo 43 codice penale che
limitasse: per esempio, la colpa ai casi di colpa grave: sarebbero parzialmente aboliti tutti i reati colposi limitatamente ai
fatti commessi con colta non grave
La formale abrogazione della norma incriminatrice non sempre tuttavia comporta l’abolizione del reato: può
infatti accadere (ipotesi di cd. ABROGATIO SINE ABOLITIONE ) che le classi di fatti in precedenza
riconducibili alla norma incriminatrice abrogata, conservino rilevanza penale senza soluzione di continuità,
in quanto riconducibili a un’altra norma incriminatrice:

a) già prevista nell’ordinamento e divenuta applicabile solo dopo e per effetto della modifica
legislativa
b) OPPURE introdotta contestualmente alla modifica legislativa stessa (così ad esempio l’abrogazione della
norma che puniva l’omicidio per causa d’onore articolo 587 codice penale non ha comportato una abolizione di reato:
i fatti di omicidio per causa d’onore commessi successivamente all’abrogazione, sono riconducibili sotto la preesistente
norma generale dell’articolo 575 omicidio)

32
7. Abolizione del reato e successione di norme integratrici
È controverso se l’abolizione del reato possa essere la conseguenza di modifiche intervenute
successivamente alla commissione del fatto, che non riguardano direttamente la norma incriminatrice,
rimasta quindi formalmente invariata, bensì una norma giuridica o extra giuridica in vario modo richiamata
dalla norma incriminatrice.

1. Se la norma richiamata integra la norma incriminatrice, si potrà parlare di successione di norme


integratrici della norma penale e sarà quindi applicabile la disciplina dell’articolo 2 co 2 cp , in
quanto la modifica si ripercuoterà sulla fisionomia della figura di reato, sulle scelte politico criminali
e sul giudizio di disvalore espresso dal legislatore nella configurazione di reato

2. Se la norma incriminatrice faccia invece riferimento ad un’altra norma (giuridica o extra giuridica)
attraverso un elemento normativo della fattispecie, la norma richiamata non integra la norma
incriminatrice perché non contribuisce a descrivere la figura astratta del reato con la conseguenza,
che la modifica della norma richiamata non si ripercuote sulla fisionomia del reato, sul giudizio di
disvalore, non dà vita a fenomeni anche parziali di abolizione del reato.
Per ragioni analoghe non si verifica alcuna abolitio criminis nell’ipotesi di modifica di norme giuridiche,
etico- sociali o di natura tecnica, richiamate dalla legge penale attraverso elementi normativi extra giuridici
(così ad ESEMPIO la modifica delle norme etico sociali relative al “comune sentimento del pudore”, non comporta alcuna abolizione
del reato del delitto di pubblicazioni e spettacoli osceni, in quanto non incide sulla modifica della fisionomia della figura di reato e
non ha nulla a che vedere con le scelte politico criminali e con il giudizio di disvalore espresso dal legislatore con la sua
configurazione del reato.)

Gli elementi normativi hanno un significato autonomo da quello delle norme che richiamano:
ESEMPIO (le norme del diritto civile richiamate dal concetto normativo di cosa “altrui”, presente ad esempio nella
norma incriminatrice del furto, servono per attribuire ad una cosa mobile la qualifica di cosa altrui, cioè di cosa non di proprietà
dell’autore del furto. Il significato di questa qualifica è indipendente dal contenuto delle norme richiamate: i modi di
acquisto della proprietà potrebbero infatti domani essere disciplinati dal codice civile in modo diverso, senza
però che il concetto di cosa altrui muti in alcun modo il suo significato)

Vere e proprie norme integratrici della norma penale sono le NORME DEFINITORIE, cioè le norme penali o
extra penali, attraverso le quali il legislatore chiarisce il significato di termini usati in una o più disposizioni
incriminatrici, concorrendo a individuare il contenuto del decreto penale: pertanto una modifica della
norma definitoria che restringa l’ambito dell’incriminazione, dà vita ad una parziale abolizione del reato, con
efficacia retroattiva rispetto ai fatti commessi prima della modifica.

Vere e proprie norme integratrici della norma penale sono poi le norme che “colorano” IL PRECETTO le cd.
NORME PENALI IN BIANCO: l’eliminazione di una sostanza da un elenco di stupefacenti contenute in un decreto
ministeriale, determinerà una parziale abolizione dei reati in materia di stupefacenti, con effetto retroattivo per chi
abbia agito prima della modifica del decreto ministeriale.

Un fenomeno di integrazione si verifica anche quando una disposizione legislativa commini una sanzione
penale per la violazione di un precetto contenuto in un’altra disposizione legislativa: ne segue che
l’abrogazione della disposizione contenente il precetto, o una sua riformulazione tale da ridurne
l’estensione, comporterà UN’ABOLIZIONE TOTALE O PARZIALE DEL REATO, riconducibile sotto la disciplina
dell’articolo 2 co 2 cp.
33
8. Successione di norme modificative della disciplina art 2 co 3 e 4 cp
Può darsi che una legge posteriore alla commissione del fatto mantenga inalterata la fisionomia astratta del reato,
cioè non comporti l’abolizione e nemmeno un ampliamento della incriminazione (articolo 2 co 1 e 2 cp ): LA
MODIFICAZIONE PUÒ PERÒ RIGUARDARE SOLTANTO LA DISCIPLINA del reato di una classe di fatti che
l’ordinamento continua a configurare come reato.

 Se la legge posteriore è meno favorevole,  Se viceversa la nuova legge è più


favorevole,
il principio di irretroattività impone che si applichi la legge vigente al momento del fatto
si applicherà quest’ultima, in base al principio della retroattività della legge più favorevole. Il co 4 dell’art
2 cp infatti dispone che “se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori (tra cui anche
eventuali leggi intermedie) sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo,
(LIMITE) salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile “.

La retroattività della legge posteriore più favorevole incontra però UN LIMITE: non deve essere intervenuta una
sentenza irrevocabile di condanna, perché sull’esigenza di un trattamento più mite prevale l’intangibilità della cosa
giudicata.

Per stabilire QUALE LEGGE SIA PIÙ FAVOREVOLE, cioè quella del tempo del commesso reato o quella
posteriore, il giudice non potrà combinare disposizioni dell’una e dell’altra, creando una “terza legge”, in
quanto violerebbe la riserva di legge, ma dovrà APPLICARE INTEGRALMENTE O L’UNA O L’ALTRA:
il giudice cioè per effettuare un giudizio in concreto, caso per caso, confrontando e comparando i risultati
che deriverebbero dalle diverse applicazioni ideali al caso concreto della legge del tempo e delle leggi
posteriori, considerando dunque l’intera disciplina e decidendo per quale sia la legge che contiene la
disciplina più favorevole a caso concreto.

Un’ipotesi particolare di legge posteriore più favorevole è quella in cui dopo la commissione di un reato
punito con pena detentiva (arresto, reclusione, ergastolo) entri in vigore una nuova legge che preveda per
quel reato una sola pena pecuniaria (ammenda o multa).(disciplina integrata ad opera della legge 85/2006,
recante “modifiche al codice penale in materia di reati di opinione”)

§ se la nuova legge entra in vigore prima che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile, la nuova
legge troverà applicazione e verrà quindi inflitta la sola pena pecuniaria
§ se la nuova legge intervenga dopo la pronuncia di una sentenza definitiva di condanna, la regola
era che restasse fermo il giudicato applicandosi quindi l’esecuzione della pena detentiva ma,
proprio in virtù delle modifiche introdotte dalla legge 85/2006 al nuovo 3 ° co dell’art,2 cp “se vi è
stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede esclusivamente la pena pecuniaria,
la pena detentiva inflitta si converte immediatamente nella corrispondente pena pecuniaria, ai sensi
dell’articolo 135 cp “

LA PENA DETENTIVA DUNQUE SI “CONVERTE” NELLA PENA PECUNIARIA secondo un criterio di ragguaglio
fissato dalla stessa legge (€ 250 di pena pecuniaria equivalgono a un giorno di pena detentiva). Competente ad
adottare il provvedimento di “conversione” è il giudice dell’esecuzione, il quale qualora il condannato stia
scontando la pena, sospenderà l’esecuzione, disponendo la liberazione del condannato (disponendo il co 3
che la conversione sia immediata).

34
9. Distinzione tra abolizione del reato e successione di norme modificative della disciplina:
i casi problematici
Non sempre è agevole stabilire se ci si trovi in presenza di una abolitio criminis e di una nuova
incriminazione oppure di una successione di leggi modificative della disciplina. Le ipotesi
maggiormente problematiche sono in particolare due:

1. abrogazione di una norma incriminatrice con contestuale introduzione di un’altra norma


incriminatrice , nella stessa o in una diversa disposizione di legge. È ad esempio il caso
dell’abrogazione della norma incriminatrice delle false comunicazioni sociali
2. abrogazione di una norma incriminatrice, che finché era vigente, escludeva
l’applicabilità di un’altra norma incriminatrice, che continua a essere presente
nell’ordinamento. È ad esempio il caso rispetto all’omicidio doloso, dell’abrogazione dell’omicidio
per causa d’onore.
In tali ipotesi, risulta particolarmente problematico stabilire se vi sia o meno “continuità normativa” , cioè
perdurante rilevanza penale del fatto antecedentemente commesso:

 in caso di risposta affermativa, si  in caso di risposta negativa, troverà escluderà l’abolitio


criminis e il fatto sarà applicazione la disciplina dell’abolitio punito ai sensi dell’art. 2 co 4 cp ,con
le criminis.
disposizioni più favorevoli al reo, tra
quelle succedutesi nel tempo;

Si avrà abolitio criminis, non solo quando i fatti astrattamente configurati nelle due norme siano del tutto
eterogenei, ma anche quando abbiano in comune taluni elementi costitutivi, mentre altri elementi siano
diversi, senza però che tra le norme intercorra un rapporto di specialità.

Se invece, le fattispecie astratte in successione temporale sono omogenee perché in rapporto di specialità,
L’ABOLITIO CRIMINIS :
a) deve essere esclusa, se la nuova fattispecie È GENERALE, in quanto comprende in sé tutte le classi di
fatti in passato riconducibili alla fattispecie speciale
b) è invece solo PARZIALE e quindi limitata alle classi di fatti non riconducibili alla nuova fattispecie, se
questa è speciale: in quanto tale infatti l’abolizione abbraccia solo alcune delle classi di fatti in
precedenza riconducibili alla preveggente fattispecie generale.
Parte della dottrina e della giurisprudenza propugna criteri di accertamento diversi da quello del
CONFRONTO STRUTTURALE tra le fattispecie astratte:

1. criterio della CONTINUITÀ DEL TIPO DI ILLECITO: esclude l’abolitio crimnis allorché si possa fermare
la nuova fattispecie legale copre un’area di illiceità “sostanzialmente omogenea” a quella
precedente per offesa al bene giuridico tutelato
2. criterio DEL FATTO CONCRETO: nega invece l’abolitio crimnis quando, dopo l’abrogazione di una
norma incriminatrice, il fatto concreto oggetto del giudizio risulti riconducibile, sia pur sulla base di
elementi diversi nella fattispecie, ad un’altra norma incriminatrice posteriore, secondo la logica
“prima punibile, dopo punibile, quindi punibile.”
Entrambi i criteri non convincono, in quanto calpestano la fattispecie legale astratta, mettendone in ombra
la funzione selettiva dei fatti penalmente rilevanti, e facendo dipendere la rilevanza penale del fatto da
35
valutazioni che prescindono da quella relativa alla sua conformità al modello legale, che in un sistema retto
dal principio di legalità è l’unica valutazione alla quale l’interprete è vincolato.

10. Ultrattività delle leggi eccezionali e delle leggi temporanee art 2 co 5 cp


Il principio della retroattività della legge penale più favorevole non opera per le leggi eccezionali e per le
leggi temporanee

§ Sia di quella che prevede l’abolizione del § Sia di quella che ne modifica la disciplina
reato co 2 in bonam partem co 3 e 4
L’art. 2 co 5 c.p. stabilisce che “se si tratta di leggi eccezionali o temporanee, non si applicano le disposizioni
dei capoversi precedenti, cioè le disposizioni dei commi 2,3 e 4.”

Le leggi eccezionali e temporanee hanno il carattere della ultrattività, cioè continuano ad essere applicabili
anche dopo la loro abrogazione da parte di una legge più favorevole.

 Per LEGGI ECCEZIONALI ai sensi del 2.4 c.p. si intendono leggi emanate per fronteggiare situazioni
oggettive di carattere straordinario.(calamità, epidemie) la cui disciplina, è legata a tali
situazioni: con il ritorno alla normalità, quindi ,il legislatore potrà abolire il reato previsto dalla
legge eccezionale o mitigarne il trattamento sanzionatorio, ma non come espressione di una diversa
valutazione politico criminale del fatto previsto dalla legge, ma perché è venuta meno la situazione che di fatto
l’aveva originata.
 È la LEGGE TEMPORANEA si intende una legge che contenga la predeterminazione espressa del
periodo di tempo in cui avrà vigore; anche in questo caso si tratta di norme dettate per fronteggiare
situazioni di carattere contingente, con la sola peculiarità rispetto delle leggi eccezionali che è la legge stessa
a fissare un termine per la sua vigenza.

11. Il decreto-legge decaduto o non convertito art 2 co 6


Come sappiamo, il DECRETO-LEGGE, in virtù della riserva di legge formale, non dovrebbe entrare nel novero
delle fonti di norme penali; tuttavia la prassi normativa si muove in senso opposto, ponendo il problema
della EFFICACIA NEL TEMPO DEI DECRETI LEGGE IN MATERIA PENALE.

§ Un decreto-legge convertito in legge che contenga una nuova incriminazione od un trattamento


penale più severo non può avere efficacia retroattiva; lo impone al legislatore l’art 25 co 2 cost e al
giudice l’art 2 co 1 cp.
§ Problemi delicati sorgono in relazione ai decreti-legge decaduti o non convertiti in legge, ove
contengano una abolizione del reato od una disciplina penale più favorevole all’agente.
Il 77.3 Cost. (a differenza di quanto prevedeva l’articolo 2 al co 5 del codice penale del 1930, secondo cui il decreto legge
decaduto o non ratificato perdeva efficacia ex nunc cioè solo allo scadere del termine per la conversione) dispone che “i
decreti-legge non convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione perdono efficacia sin
dall’inizio” ; situazione che di fatto impedisce che si possa delineare in queste ipotesi la successione di leggi
penali.

È necessario distinguere a seconda che si tratti di :

36
• fatti commessi prima dell’emanazione del decreto-legge non convertito (FATTI PREGRESSI), ove il
fatto fosse preveduto come reato dalla legge del tempo, l’abolizione del reato o la disciplina più
favorevole prevista dal decreto-legge non avrà nessun effetto(L’agente sarà punibile in base alla
legge in vigore al tempo del fatto).
• fatti commessi dopo l’emanazione del decreto e prima dello spirare del termine per la sua
conversione (FATTI CONCOMITANTI), il principio di irretroattività impone di applicare la disciplina
più favorevole contenuta nel decreto-legge non convertito , con la conseguenza che se il
decretolegge non convertito prevedeva l’abolizione o una disciplina più favorevole, l’agente o non
sarà punibile o sarà punito in modo più mite!
Questa soluzione è imposta dalla logica del principio di retroattività (art 2 co. 2 ): per effetto della mancata
conversione del decreto-legge, la preesistente norma incriminatrice o la preesistente disciplina meno favorevole,
dovrà considerarsi legge formalmente vigente al momento del fatto, tuttavia quella legge non poteva essere
conosciuto dall’agente e quindi non poteva svolgere nei suoi confronti nessuna funzione di orientamento quindi la sua
applicazione sarebbe contraria alla ratio del principio costituzionale di irretroattività.

12. La dichiarazione di illegittimità costituzionale


Tale dichiarazione non è riconducibile alla disciplina della successione di leggi penali.
Gli effetti della dichiarazione di illegittimità costituzionale sono regolati dal 136 Cost. e dall’art. 30 della
legge 87/1953, dai quali si ricava che a partire dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione
nessun giudice può applicare la legge dichiarata incostituzionale a fatti che si siano verificati in qualsiasi
tempo.
Quando, in applicazione della norma dichiarata incostituzionale, è stata pronunciata sentenza irrevocabile di
condanna, ne cessano l’esecuzione e tutti gli effetti penali; tale principio trova attuazione anche nella
disciplina processuale (a norma del 673 co 1 c.p.p. in caso di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma
incriminatrice, il giudice dell’esecuzione deve revocare la sentenza di condanna od il decreto penale, dichiarando che il fatto non è
previsto dalla legge come reato).

La Corte Costituzionale considera ammissibile il proprio sindacato su norme penali di favore (norme
speciali introdotte nell’ordinamento in deroga a preesistenti norme generali quali cause di giustificazione,
scusanti, cause di non punibilità ecc.).

 Se si tratta di fatti commessi prima della dichiarazione di illegittimità, andrà applicata la norma
penale di favore, e quindi l’agente dovrà essere prosciolto o dovrà essere punito meno
severamente: il principio di irretroattività si oppone infatti all’applicazione della disciplina più
sfavorevole risultante dalla pronuncia della corte costituzionale, in quanto al momento del
fatto, quella disciplina non poteva essere conosciuta dall’agente e quindi non poteva svolgere
nei suoi confronti alcuna funzione di orientamento.
 La disciplina più sfavorevole risultante dalla pronuncia della Corte Costituzionale andrà invece
applicata ai fatti commessi a partire dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione
della Corte.

13. Il tempo del commesso reato


È l’individuazione del tempo in cui è stato commesso il fatto costituente reato, TEMPUS
COMMISSI DELICTI.

37
esempio: tizio colloca una mina in un posto poco frequentato, Caio transita dopo 10 anni e, innescatasi
l'esplosione, viene ucciso.
Il momento della consumazione assume molta importanza per stabilire l'elemento soggettivo, le
circostanze, l'applicazione dell'amnistia o della prescrizione; in assenza di una norma che affronti questo
problema, si individua il tempo del commesso reato:

 per i reati commissivi:


nel momento dell’azione o dell’ultima azione prevista dalla norma incriminatrice,
 per i reati omissivi – propri ed impropri – :
nel momento in cui andava compiuta l’azione doverosa (TEORIA DELLA CONDOTTA o dell’attività)
(posa della mina)
(questa soluzione discende dalla funzione general-preventiva delle norme incriminatrici: è infatti nel
momento in cui agisce o omette di compiere l’azione doverosa, che l’agente si sottrae all’azione motivante e
deterrente delle norme incriminatrice!

La legge invece non può orientare il comportamento del suo destinatario quando, esaurita l’azione o
l’omissione, si verifica, magari dopo un lungo intervallo temporale, l’evento richiesto dalla norma
incriminatrice (TEORIA DELL’EVENTO) ( scoppio della mina)

 Per i REATI PERMANENTI: il reato si considera commesso nel momento in cui il soggetto compie
l’ultimo atto col quale volontariamente mantiene la situazione antigiuridica.
(es. nel caso del sequestro di persona, se durante lo stesso, il legislatore inasprisse il trattamento sanzionatorio di tale
reato e gli autori del sequestro continuassero volontariamente a mantenere in vita la privazione della libertà personale
della vittima, sarebbe applicabile la legge più severa in quanto la legge del tempo del commesso reato.)
 per i REATI ABITUALI: il tempo del commesso reato è quello in cui si realizza l’ultima condotta che
integra il fatto di reato;
(ad es. i maltrattamenti in famiglia. In tal caso si applicherà l’eventuale trattamento sanzionatorio più severo previsto da una legge che
sia entrata in vigore durante la serie di atti di maltrattamento).

Esiste in dottrina una terza teoria:

TEORIA MISTA O DEL FAVOR REI: considera il reato commesso tanto nel momento in cui si è svolta l'attività,
quanto nel momento in cui si è verificato l'evento, a seconda degli effetti favorevoli che derivano al reo.

La dottrina e la giurisprudenza prevalente seguono la teoria della condotta, anche se qualcuno sostiene che
non esiste un criterio valido in assoluto, in quanto la scelta va effettuata avendo riguardo alla ratio dei
diversi istituti.

LIMITI SPAZIALI

38
14. La tendenziale universalità della legge penale italiana

La legge penale esprime una tendenziale adesione al PRINCIPIO DI UNIVERSALITÀ: la legge penale italiana
è applicabile a tutti i fatti, da essa previsti come reato dovunque, da chiunque e contro chiunque
commessi, ad ECCEZIONE di una ristretta gamma di reati, per lo più di limitata gravità (artt. 9 e 10 c.p.):

 le contravvenzioni;  i delitti commessi dallo straniero ai danni di uno


 i delitti puniti con la sola pena pecuniaria; Stato estero o di altro straniero puniti con la  i delitti commessi dallo
straniero ai danni dello reclusione inferiore nel minimo a tre anni.
Stato italiano o del cittadino puniti con la reclusione
inferiore ad un anno,

Quanto ai FATTI COMMESSI ALL’ESTERO, la legge pone talora ostacoli di natura processuale alla
perseguibilità del reato, richiedendo:

o la presenza dell’autore nel territorio dello Stato dopo la commissione del reato (artt. 9 e 10 c.p.),
o la richiesta del Ministro della giustizia (artt. 8, 9 e 10 c.p.), o l’istanza o la querela della persona
offesa (9.2 e 10.1 c.p.) o o la mancata estradizione dell’autore (10.2 n. 3 c.p.); o è inoltre
necessaria la previsione del fatto come reato sia dalla legge italiana, sia dalla legge straniera
(DOPPIA INCRIMINAZIONE).

15. La Nozione di territorio dello Stato

La legge penale italiana si applica ai reati commessi nel territorio dello Stato: dispone l’art. 6 co 1 c.p. che
“chiunque commette un reato nel territorio dello Stato, è punito secondo la legge italiana”
( è indifferente che l’autore del reato sia un cittadino od uno straniero)
La NOZIONE DI TERRITORIO DELLO STATO è fornita dall’art. 4 co 2 c.p., il quale stabilisce che è territorio
dello Stato

il territorio della Repubblica , individuato da confini politici, desunti da convenzioni internazionali, trattati, atti di
annessione ecc. e ogni altro luogo soggetto alla sovranità dello Stato. Appartengono dunque al territorio
dello Stato:

 il suolo dello Stato,


 le acque interne e il lido del mare,
 il sottosuolo (nei limiti della sua concreta utilizzabilità e raggiungibilità),
 il soprasuolo (spazio aereo nazionale, che sovrasta il territorio della Repubblica ed il relativo mare territoriale,
limitatamente allo spazio atmosferico)
 ed il mare territoriale (che, a norma del 2.2 disp. prel. Cod. nav., si estende fino a 12 miglia marine dalle coste
continentali ed insulari della Repubblica; un miglio marino equivali a 1,852 Km.).
 le navi e gli aeromobili italiani, ovunque si trovino, salvo che siano soggetti, secondo il diritto internazionale, ad
una legge territoriale straniera. Pertanto i reati commessi a bordo delle navi e degli aeromobili italiani si considerano
commessi nel territorio dello Stato:
 sia che la nave o l'aereo si trovino in acque internazionali o nello spazio aereo internazionale
 sia che la nave o l'aereo si trovino nell'ambito di un territorio straniero)

39
In base al diritto internazionale, l’estensione della legge penale italiana

è illimitata

 alle navi e aeromobili MILITARI ITALIANI è limitato, cioè è escluso che si trovino
nell’ambito di un territorio

estero, alle navi o aerei CIVILI ITALIANI (commerciali o da si tratta di una finzione giuridica, denominato

riporto) che si trovino in territorio estero quando:

PRINCIPIO DELLA BANDIERA


 la vittima del reato sia persona diversa
dai membri dell’equipaggio;
 il fatto turbi la tranquillità dello Stato estero;
 sia stato richiesto l’intervento
dell’autorità locale

Il codice penale non dice niente a proposito dei reati commessi a bordo di :

 navi/aeromobili STRANIERI MILITARI O CIVILI, commessi in territorio italiano:


dunque si devono considerare commessi in territorio estero

a meno che, non ricorra una delle seguenti condizioni: ( per quanto riguarda sono quelli civili):
 la vittima del reato sia persona diversa dai membri dell’equipaggio;
 il fatto turbi la tranquillità dello Stato italiano;
 sia stato richiesto l’intervento dell’autorità italiana

16. I reati commessi nel territorio dello Stato

L’art. 6 co 2 c.p., accogliendo la TEORIA DELL’UBIQUITÀ, chiarisce che il reato si considera commesso nel
territorio dello Stato, quando l’azione o l’omissione che lo costituisce è ivi avvenuta in tutto od in parte, o
si è ivi verificato l’evento che è la conseguenza dell’azione od omissione.

Dunque, attraverso una finzione giuridica, si applica la legge penale italiana a fatti che non siano stati realizzati in tutti i
loro elementi nel territorio dello Stato, ma basta che, anche un solo frammento del reato ,si sia verificato nel territorio
nazionale!

Quando l'AZIONE o l'OMISSIONE è stata realizzata, almeno in parte, nel territorio dello Stato?

A. L'ordinamento impone che, in riferimento all'AZIONE, si tenga conto soltanto di comportamenti


tipici, cioè di comportamenti che siano riconducibili al tipo di azione descritto nella norma
incriminatrice:
 Nei reati a forma vincolata, cioè nei reati nei quali la legge esige che l’azione sia compiuta con determinate
modalità, tipica è l’azione che corrisponde allo specifico modello di comportamento descritto nella
norma incriminatrice. (Esempio: la truffa: è tipico il comportamento qualificabile come “artifizi o raggiri”).

40
 Quanto ai reati a forma libera, reati nei quali la legge attribuisce rilevanza a qualsiasi comportamento umano che
abbia causato un determinato evento :
o Nei reati dolosi a forma libera: tipica è l’attività che consiste nell’uso del mezzo scelto dall’agente
(così il delitto di omicidio doloso può essere realizzato con le più diverse azioni: ma se Tizio decide di provocare la morte di
Caio a mezzo di un veleno, tipica sarà l’attività con la quale Tizio riempie di veleno la bevanda offerta a Caio, e parte di questa
azione sarà rappresentata dall'inizio del versamento del veleno della bevanda; non sarà invece parte dell'azione il luogo
dell’acquisto del veleno, dunque il luogo del commesso reato , pertanto, il reato si considera commesso in territorio estero se
il veleno è stato acquistato in Italia, ma è stato versato nella bevanda in Francia!)

o Nei reati colposi a forma libera : tipica sarà invece ogni azione che abbia colposamente creato il
pericolo concretizzatosi nell’evento. (Tipica è la condotta del meccanico che, avendo eseguito con imperizia la
riparazione dei freni di un'automobile, li abbia presi inefficienti all'azionamento da parte del conducente, il quale ha così
ucciso un pedone. Se la riparazione è avvenuta in Italia e la morte del pedone invece all'estero, il reato si considera commesso
nel territorio dello Stato, perché la condotta colposa del meccanico si è realizzata in Italia)

B. Quanto ai reati la cui condotta consiste in un’OMISSIONE, il reato si considererà commesso nel
territorio dello Stato, se, ivi doveva essere realizzata l’azione doverosa, che è stata omessa; e
nel caso in cui si dovessero compiere più azioni, se almeno una di tali azioni dovesse essere
compiuta nel territorio dello Stato.
Nei REATI DI EVENTO, sia commissivi che omissivi, la legge penale italiana risulta applicabile quando nel
territorio dello Stato si sia verificato l’evento descritto nella norma incriminatrice: e ciò anche nel caso
in cui l’azione o l’omissione che rispettivamente l’hanno causato o non impedito, siano state compiute
in territorio estero.

Per quanto riguarda i REATI ABITUALI, il reato si considererà commesso nel territorio dello Stato quando ivi
è stato compiuto anche uno solo degli atti la cui reiterazione integra il reato. (Esempio i maltrattamenti in
famiglia)
Quanto ai REATI PERMANENTI, l’applicabilità della legge italiana è assicurata dal compimento in Italia
anche di una sola parte del fatto (Il sequestro di persona: una persona sequestrata all'estero, viene
successivamente trasferita in Italia).

Il codice penale italiano non detta nessuna regola per disciplinare i casi in cui il reato, consumato o tentato,
venga commesso in territorio estero, mentre in Italia siano compiute condotte di partecipazione, materiale
o morale, cioè condotte che abbiano contribuito causalmente alla realizzazione del fatto.
Prevale l’opinione che considera sufficiente a fondare l’applicazione della legge penale italiana, la
commissione nel territorio dello Stato di una qualsiasi condotta di partecipazione.

17. I reati commessi all'estero punibili incondizionatamente secondo la legge italiana ART. 7 cp.

 Riguardo ad alcuni reati, descritti dal art. 7 n. 1-4 e n. 5 pt. 1 c.p. , commessi integralmente
all’estero, dal cittadino o dallo straniero, L’APPLICAZIONE DELLA LEGGE PENALE ITALIANA È DI
REGOLA INCONDIZIONATA.
I reati menzionati nei nn. 1-4 dell’art. 7 c.p. sono reati che offendono preminenti interessi dello
Stato,quali:
o i delitti contro la personalità dello Stato, o i delitti di contraffazione del sigillo dello Stato e
di uso di tale sigillo contraffatto, o i delitti di falsità in monete aventi corso legale nel
territorio dello Stato o in valori di bollo o in carte di pubblico credito italiano,
o nonché i delitti commessi dai pubblici ufficiali a servizio dello Stato, con abuso dei poteri o violazione
dei doveri inerenti alle loro funzioni.

41
 A questo elenco l’art. 7 n. 5 pt. I c.p. aggiunge ogni altro reato per il quale speciali disposizioni di
legge [...] stabiliscono l’applicabilità della legge penale italiana, anche quando il fatto venga
commesso in territorio estero ( è il caso dell'esempio della norma sull'aggiotaggio comune, la quale afferma che
le vene si applicano anche se il fatto è commesso all'estero in danno della valuta nazionale o di titoli pubblici italiani; o
ad esempio la norma sull'abbandono di persone minori e stabilisce, è punito si abbandona all'estero un cittadino
italiano minore di anni 18 a lui affidato, nel territorio dello Stato per ragioni di lavoro).

 In base all’art. 7 n. 5 pt. II c.p. soggiace infine alla legge penale italiana, ancorché commesso
all’estero, ogni altro reato per il quale speciali [...] convenzioni internazionali stabiliscono
l’applicabilità della legge penale italiana (è il caso dei diritti in materia di schiavitù, prostituzione, di
dirottamento aereo, di cattura di ostaggi, di tortura, di pene e i trattamenti crudeli, disumani e degradanti.)

18. I delitti politici commessi all'estero ART. 8

Il legislatore del 1930, ha stabilito che la legge penale italiana è applicabile ai DELITTI POLITICI ( N.B. : non
compreso tra quelli indicati nel numero 1 dell'art 7 cp) COMMESSI ALL’ESTERO dal cittadino o dallo straniero, ai
danni di un interesse politico dello Stato italiano o di un diritto politico di un cittadino italiano (art. 8 c.p.);
l’applicabilità della legge italiana non è però in questo caso incondizionata: è infatti subordinata ad una
scelta di opportunità da parte del potere esecutivo:

 nella forma della richiesta del Ministro della giustizia (art. 8.1 c.p.),
 nonché alla scelta discrezionale della persona offesa,
 nella forma della querela, ove si tratti di reato perseguibile a querela di parte (art. 8.2 c.p.).
La NOZIONE DI DELITTO POLITICO è fornita dal terzo comma dell’art. 8 c.p.: "agli effetti della legge penale, è
delitto politico ogni delitto

o che offende un interesse politico dello Stato, o


ovvero un diritto politico del cittadino.
o È altresì considerato delitto politico il delitto
comune determinato, in tutto o in parte, da
motivi politici.

a. DELITTO OGGETTIVAMENTE POLITICO è quello che offende le componenti essenziali dello Stato:
 la sua indipendenza e sicurezza,
 l’integrità territoriale,
 la forma di governo;
 i delitti che offendono un diritto politico del cittadino (ad esempio gli attentati contro i diritti politici
del cittadino.
Non sono invece oggettivamente politici i delitti

o che offendono il funzionamento degli apparati dello Stato, come la pubblica amministrazione o
l’amministrazione della giustizia (ad esempio i delitti come la corruzione, la concussione, la violenza o minaccia a un
corpo politico, amministrativo o giudiziario, la calunnia, la falsa testimonianza).
(La Corte di cassazione ha sottolineato che la qualificazione di un delitto come politico va letta alla luce dell'articolo 10 Cost.
Secondo il quale l'ordinamento giuridico italiano, si conforma alle norme del diritto internazionale, tra le quali si pone in particolare
la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali: ne consegue che vanno definiti come politici i
delitti di oggettiva gravità commessi in danno di cittadini italiani residenti in Cina, in esecuzione di un preciso piano criminoso,
diretto all'eliminazione fisica degli oppositori al regime senza il rispetto di alcuna garanzia processuale e al solo scopo di contrastare
le tendenze politiche delle vittime.)

42
b. DELITTO SOGGETTIVAMENTE POLITICO si tratta di ipotesi di reato comune,
 alla cui commissione l’agente è stato ideologicamente motivato dall’obiettivo di incidere
sulle componenti essenziali dello Stato,
 sulla struttura dei singoli poteri statuali
 o sui rapporti fra Stato e cittadino (ad esempio provocare il distacco di una parte del territorio dello
Stato, modificare la forma di governo ecc..)
 o determinato "solo in parte" da motivi politici (ad esempio l'omicidio del segretario di un partito
italiano che si trovi in territorio estero può essere animato, oltre che dalle finalità di provocare un colpo di Stato,
anche da personaggi finalità di vendetta) .
La Cassazione ha affermato che siamo in presenza di un reato soggettivamente politico quando ,questi , sia
qualificato da un movente di natura politica, nel senso che l’agente sia stato determinato, in tutto o in parte, a
delinquere al fine di incidere sull'esistenza, costituzione e funzionamento dello Stato, ovvero favorire o contrastare le
tendenze politiche proprie dello Stato, o anche offendere un diritto politico del cittadino, sicchè non è sufficiente ad
escludere la natura politica del delitto comune la circostanza che esso sia stato commesso per motivi in parte o non
prevalentemente politici.

19. I delitti comuni commessi all'estero dal cittadino ART.9

I DELITTI COMUNI PUNITI CON PENA DETENTIVA commessi DAL CITTADINO ALL’ESTERO sono sottoposti
alla legge penale italiana ad una serie di condizioni, graduate secondo la gravità del reato, e prevedendo un
regime particolare quando il reato sia commesso a danno delle Comunità europee, di uno Stato estero o di
un cittadino straniero.
L’applicabilità della legge penale italiana è subordinata a condizione che:
 Per i delitti puniti con L’ERGASTOLO O CON LA RECLUSIONE NON INFERIORE (NEL MINIMO) A 3 ANNI,:  il
cittadino, dopo la commissione del reato sia presente nel territorio dello Stato (9.1 c.p.).

 Per i delitti puniti con la RECLUSIONE INFERIORE (NEL MINIMO) A 3 ANNI,


 il cittadino, dopo la commissione del reato sia presente nel territorio dello Stato
 trattandosi di delitti perseguibili a querela della persona offesa sia stata proposta la querela; 
trattandosi di delitti perseguibili d’ufficio che offendono:
della giustizia (342
 un bene giuridico c.p.p.); individuale pertinente ad un
cittadino italiano:
dev’essere stata
 beni collettivi, istituzionali proposta istanza di o
diffusi:
procedimento da parte dev’esser proposta della persona offesa,
ovvero, in caso di inerzia
richiesta del Ministro della giustizia (9.2 c.p.).
della parte, avanzata richiesta dal Ministro

 Se infine il reato è un DELITTO CHE OFFENDE UN BENE PERTINENTE ALLE COMUNITÀ EUROPEE, AD UNO
STATO ESTERO O AD UN CITTADINO STRANIERO,
l’applicabilità della legge penale italiana è subordinata:
43
 alla presenza del cittadino nel territorio dello Stato;
 alla querela od all’istanza della persona offesa;
 alla richiesta del Ministro della giustizia;

 alla non concessione da parte del Governo italiano dell’estradizione del cittadino o
alla non accettazione da parte del Governo estero dell’estradizione del cittadino
(9.3 Cost.).
Pur in assenza di un’espressa indicazione legislativa, deve ritenersi che l’assoggettamento alla legge penale
italiana di reati comuni commessi all’estero dal cittadino sia sottoposto ALL’ULTERIORE CONDIZIONE

 doppia incriminazione del fatto, vale a dire della previsione del fatto come reato
sia secondo la legge italiana, sia secondo la legge dello Stato straniero nel quale è
stato commesso il reato (esempio non sarà punibile il medico italiano che pratichi all'estero
un trattamento di procreazione assistita in una forma che e penalmente rilevante secondo la legge
italiana, ma non secondo la legge di quello Stato estero: principio della doppia incriminazione
preclude che si possa anche solo iniziare l'azione penale nei confronti del medico).

"La necessità della doppia incriminazione è stata riconosciuta anche dalla corte di cassazione in una decisione
relativa a un delitto commesso all'estero dallo straniero, approdando però all'enunciazione della necessità
della doppia incriminazione come principio di portata generale, facendo leva sul principio di legalità del diritto
penale,
e sul presupposto della conoscibilità del precetto penale, nonché sul legittimo affidamento in ordine alla liceità
penale del fatto, quali premesse inderogabili per la repressione di ogni reato".

20. Delitti comuni commessi dallo straniero all’estero ART.10

L’art. 10 c.p. assoggetta alla legge penale italiana I DELITTI COMUNI COMMESSI DALLO STRANIERO
ALL’ESTERO, entro limiti e sotto condizioni diverse, a seconda che :

1) Il delitto offenda lo Stato od un cittadino italiano: abbraccia tutti i delitti puniti con la reclusione non
inferiore nel minimo ad 1 anno. (10.1 c.p.).
L’esercizio dell’azione penale è peraltro subordinato alle seguenti condizioni:

 la presenza dell’agente nel territorio dello Stato;


 se si tratta di delitti perseguibili a querela della persona offesa:
la proposizione della querela,;
 se si tratta di delitti perseguibili d’ufficio che offendono un bene individuale pertinente ad un
cittadino italiano:
dev’essere stata proposta istanza di procedimento ad opera della persona offesa, o, in caso
d’inerzia della parte, richiesta del Ministro della giustizia;
 se si tratta di delitti perseguibili d’ufficio a danno dello Stato italiano, la perseguibilità è subordinata
alla richiesta del Ministro della giustizia.

2) il delitto è commesso a danno di uno Stato estero o di uno straniero: deve trattarsi di delitti puniti
con la reclusione non inferiore nel minimo a 3 anni (10.2 c.p.). Sono sempre necessarie:

44
 la presenza dell’agente nel territorio dello Stato;
 la richiesta del Ministro della giustizia;
 la non concessione, da parte del Governo italiano, dell’estradizione dello straniero o la non
accettazione dell’estradizione da parte del Governo dello Stato estero.
L’applicabilità della legge penale italiana è subordinata ALL’ULTERIORE CONDIZIONE della doppia
incriminazione del fatto.

21. Il rinnovamento del giudizio ART.11

Un corollario dell'universalità della legge penale italiana è la RISERVA DELLA GIURISDIZIONE ITALIANA su
tutti i fatti assoggettati alla legislazione penale italiana, ai sensi degli artt. 6-10 c.p.

La riserva di giurisdizione è
piena e incondizionata
per i delitti, sia
politici che comuni, commessi
per i reati commessi nel territorio dello Stato: all’estero dal cittadino o dallo straniero, dispone l’art.
11.1 c.p. che nel caso indicato il rinnovamento del giudizio in Italia è nell’art. 6, il cittadino o lo
straniero è giudicato subordinato alla richiesta del Ministro della nello Stato, anche se sia stato
giudicato all’estero. giustizia.

Infatti, secondo il codice penale del 1930, il principio ne bis in idem, non opera nei rapporti
internazionali, con la conseguenza che una persona già giudicata all'estero può essere giudicata per lo
stesso fatto anche in Italia.
Oggi tuttavia, il processo di integrazione europea determina la tendenza al riconoscimento del ne bis in idem
all’interno dell’Unione europea ( ACCORDI DI SCHENGEN), implicando quindi l'impegno da parte degli Stati
membri, a non rinnovare il giudizio, quando lo stesso fatto sia stato giudicato in un altro paese dell'Unione, a
condizione che il provvedimento abbia i caratteri della sentenza definitiva.

22. Il riconoscimento delle sentenze penali straniere ART.12

La riserva di giurisdizione si manifesta anche nella tendenziale irrilevanza delle sentenze penali straniere,
che sono dunque ineseguibili in Italia, almeno per quanto riguarda la pena principale inflitta dal giudice
dello Stato estero.

La possibilità di RICONOSCIMENTO è circoscritta a taluni aspetti secondari della sentenza:

 per stabilire la recidiva od un altro effetto penale della condanna,


 per dichiarare l’abitualità, la professionalità nel reato o la tendenza a delinquere (12.1 n.1 c.p.),
 per applicare una pena accessoria (12.1 n.2 c.p.),
 per applicare una misura di sicurezza personale (12.1 n. 3 c.p.).
Il riconoscimento della sentenza straniera può produrre alcuni effetti di diritto civile (12.1 n. 4 c.p.):

 in primo luogo il riconoscimento può essere operato ai fini delle restituzioni o del risarcimento del

45
danno o ad altri effetti civili (si pensi all'esclusione dalla successione per indegnità, che potrà essere dichiarata dal
giudice italiano, ad esempio nel caso in cui una sentenza straniera abbia accertato che la persona legittimata a
succedere, si è resa responsabile dell'omicidio di colui del quale dovrebbe essere l'erede!)
Tuttavia i Paesi membri del Consiglio d’Europa hanno stipulato una serie di CONVENZIONI, in base alle quali
può essere data esecuzione in Italia alle pene principali inflitte da un giudice straniero; inoltre l’esecuzione
della pena principale, iniziata all’estero, può proseguire in Italia a seguito del trasferimento della persona
condannata.
Inoltre le sentenze penali straniere possono essere riconosciute anche ai fini della confisca disposta dal
giudice straniero per beni che si trovino nel territorio dello Stato, sempre che si tratti di beni che sarebbero
confiscabili se si procedesse secondo la legge italiana; inoltre è confiscabile il valore dei proventi del reato,
cioè una somma di denaro corrispondente al valore del prezzo, del prodotto o del profitto del reato (733 bis c.p.p.).

Nell'ambito dell'unione europea sono state adottate decisioni quadro che impegnano gli Stati membri al reciproco
riconoscimento:

o delle sentenze che irrogano pene detentive o


misure privative della libertà personale o delle
sentenze che dispongono la sospensione
condizionale della pena o un'altra misura sospensiva
o sostitutiva, sottoponendo il destinatario a obblighi
o divieti
o delle sentenze che irrogano sanzioni pecuniarie o
delle sentenze che dispongono la confisca.
Il sistema penale italiano pone una serie di CONDIZIONI perché si possa procedere al riconoscimento di
una sentenza penale straniera:

1. Doppia incriminazione del fatto (cioè il fatto concreto oggetto della domanda di estradizione integra un
reato sia secondo la legge italiana che secondo la legge dello Stato estero).
2. Agli effetti del riconoscimento, previsto dal 12 c.p., non basta che la legge italiana preveda quel
fatto come reato, ma occorre che lo preveda come delitto.
3. Deve esistere un trattato di estradizione con lo Stato estero (12.2 c.p.), anche se non è necessario che
il delitto rientri fra quelli per i quali è prevista l’estradizione;
in mancanza di un trattato di estradizione si può procedere al riconoscimento della sentenza
straniera sulla base della richiesta del Ministro della giustizia (12.2 c.p.).

23. L'estradizione ART.13

L’ESTRADIZIONE è un procedimento attraverso il quale, uno Stato consegna ad un altro Stato una persona
che si trova nel suo territorio, affinché, nello Stato richiedente,

 sia sottoposto a giudizio (ESTRADIZIONE PROCESSUALE)


 od all’esecuzione di una pena già inflittagli (ESTRADIZIONE ESECUTIVA).
Si parla inoltre di:

ESTRADIZIONE ATTIVA: a seconda che si guardi di ESTRADIZIONE PASSIVA: dello Stato che la
all’estradizione dal punto di vista dello Stato che concede.
richiede l’estradizione

46
Il 13.1 c.p. si limita ad enumerare le FONTI che regolano l’estradizione, individuandole :

 nella legge penale  nelle convenzioni e  negli usi internazionali. italiana,


(prevalgono le norme delle convenzioni internazionali in vigore per lo Stato italiano e le norme di diritto internazionale
generale: ciò comporta che le norme di diritto internazionale si applicano in luogo di quelle di diritto interno, anche
emanate successivamente, ove dettino una disciplina diversa.)

LIMITI INVALICABILI sono posti dal diritto italiano con norme di rango costituzionale in ordine
all’estradabilità del cittadino per i reati comuni: l’estradizione del cittadino può essere consentita soltanto
ove sia espressamente prevista dalle convenzioni internazionali (26.1 Cost.), ovvero, come stabilisce il 13.4
c.p., non è ammessa l’estradizione del cittadino, salvo che sia espressamente consentita nelle convenzioni
internazionali.

CONDIZIONE PER L’ESTRADIZIONE, enunciata nel 13.2 c.p., è la doppia incriminazione del fatto , cioè
occorre che il fatto concreto oggetto della domanda di estradizione, integri un reato sia secondo la legge
italiana che secondo la legge dello Stato estero; ai fini della doppia incriminazione il caso concreto va
considerato:

• sia sotto il profilo del fatto,


• sia sotto il profilo dell’antigiuridicità,
 sia sotto il profilo della
colpevolezza.
E' irrilevante che il fatto abbia una diversa qualificazione giuridica nei due ordinamenti, o che sia punito con
pene diverse.

L’estradizione deve ritenersi altresì subordinata alla punibilità, in base alla legge dei due Stati, del fatto
antigiuridico e colpevole.

È irrilevante, ai fini della concedibilità dell’estradizione, la circostanza che nell’ordinamento dello Stato
richiesto il reato sia sottoposto a condizioni di procedibilità non previste nello Stato richiedente.
UN’ULTERIORE CONDIZIONE per l’estradizione, sia attiva che passiva, è fissata dal principio di specialità:
esso (699 e 721 c.p.p.) comporta il divieto per lo Stato che ottiene l’estradizione:

 di sottoporre l’estradato a restrizione della libertà personale a qualsiasi titolo – in esecuzione di una
pena, o di una misura di sicurezza, o di un provvedimento cautelare disposto dal giudice per finalità
processuali – per fatti anteriori e diversi da quello per il quale l’estradizione è stata concessa,
 e comporta il divieto di consegnare l’estradato ad un altro Stato (quest’ultimo limite non vige a proposito
dell’estradizione in Italia dall’estero).
DEROGHE AL PRINCIPIO DI SPECIALITA’ : Il divieto viene meno in 4 casi:

1. quando lo Stato richiedente abbia domandato ed ottenuto una estradizione suppletiva, cioè
l’estensione dell’estradizione per perseguire altri reati anteriormente commessi;
2. quando l’estradato si sia volontariamente trattenuto nel territorio dello Stato che ha ottenuto
l’estradizione per almeno 45 giorni dalla sua definitiva liberazione;
3. quando l’estradato, dopo aver lasciato il territorio dello Stato al quale era stato consegnato, vi
abbia fatto volontariamente ritorno
4. quando l’estradato abbia manifestato il consenso ad essere processato per un reato anteriore e
diverso da quello per il quale è stata concessa l’estradizione. La materia dell’estradizione è infine
governata:
47
a) dai PRINCIPI DI SUSSIDIARIETÀ (705.1 c.p.p.): in base al primo principio, l’estradizione non può
essere concessa, se per lo stesso fatto e nei confronti della persona della quale è domandata
l’estradizione, è in corso un procedimento penale nello Stato italiano;
b) in base al PRINCIPIO DEL NE BIS IN IDEM, l’estradizione è altresì impedita quando per lo stesso
fatto e nei confronti della stessa persona, è stata pronunciata in Italia sentenza irrevocabile. La
Costituzione prevede alcuni LIMITI PERSONALI ALL’ESTRADIZIONE (Il cittadino è estradabile per reati
comuni solo ove l’estradizione sia espressamente prevista nelle convenzioni internazionali (26.1 Cost.)).

1. La Costituzione vieta l’estradizione del cittadino e dello straniero per reati politici (26.2 e 10.4
Cost.).
Una parte della dottrina e della giurisprudenza ritiene che la nozione costituzionale di reato politico coincida con quella
fornita dall’art. 8 c.p.; un secondo indirizzo ritiene che il divieto di estradizione operi solo quando vi sia pericolo di
persecuzione politica o di discriminazione da parte dello Stato che ha richiesto l’estradizione; un terzo orientamento
ritiene che il divieto di estradizione operi solo nei confronti degli autori di reati commessi all’estero finalizzati a far
cessare un regime illiberale, ovvero per affermare un diritto di libertà il cui esercizio è negato in quel regime. La legge
costituzionale 1/1967 consente l’estradizione per i delitti di genocidio.
La Convenzione europea per la repressione del terrorismo rende possibile l’estradizione da parte dell’Italia
per una serie di delitti determinati da motivi politici di terrorismo.

2. Il codice di procedura penale del 1988 ha disposto che non può essere concessa l’estradizione
quando vi è ragione di ritenere che l’imputato od il condannato verrà sottoposto ad atti
persecutori o discriminatori per motivi di razza, di religione, di sesso, di nazionalità, di lingua, di opinioni
politiche o di condizioni personali o sociali ovvero a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o
comunque ad atti che configurano violazione di uno dei diritti fondamentali della persona.
1. È vietata l’estradizione da parte dell’Italia per reati per i quali l’ordinamento dello Stato richiedente
preveda la pena di morte, a nulla rilevando che lo Stato estero fornisca assicurazioni che la pena di
morte non sarà inflitta o, se già inflitta, non sarà eseguita.
Nell'ambito dell'europea, lo strumento della cooperazione inter statuale per la consegna di persone
imputate o condannate non è più quello dell'estradizione, ma è diventato quello del MANDATO
D'ARRESTO EUROPEO, disciplinato dalla legge 69/2005 : ogni Stato membro dell'unione europea si impegna
a dare esecuzione ad un provvedimento giudiziario emesso da un altro Stato membro per l'arresto o la
consegna di una persona ricercata ai fini dell'esercizio dell'azione penale ovvero ai fini dell'esecuzione di una
pena o misure di sicurezza privativa della libertà personale.
Esiste dunque una collaborazione diretta tra le autorità giudiziarie dei paesi dell'unione: sulla consegna di un
imputato o di un condannato all'estero decide la corte d'appello nel cui distretto risiede l'imputato o il
condannato; l'autorità giudiziaria italiana competente ad emettere un mandato d'arresto europeo e il
giudice o il pubblico ministero.
Vige l'eliminazione del requisito della doppia incriminazione, in riferimento ad una lista di 32 categorie di reati
di gravità medio-alta: dunque, non si dà luogo alla consegna del cittadino italiano se il fatto per il quale è
stato emesso un mandato d'arresto europeo non è preveduto come reato dalla legge italiana è il cittadino
italiano ignorava senza colpa che quel fatto costituisce reato secondo la legge dello Stato estero.

DEROGHE: la consegna della persona viene rifiutata in una serie di casi previsti dall'articolo 18 della legge
69/2005 tra cui il caso in cui, il provvedimento ,sia stato emesso per un reato politico: tuttavia la consegna
non può essere rifiutata quando si tratti di delitti di genocidio oppure di reati di terrorismo.

48
LIMITI PERSONALI

24. Le eccezioni all'obbligatorietà della legge penale italiana

Il codice penale prevede la possibilità che alcune categorie di soggetti siano eccezionalmente sottratte
all’applicabilità della legge penale italiana;

l’art. 3.1 c.p. stabilisce che “la legge penale italiana obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano
nel territorio dello Stato, salve le eccezioni stabilite dal diritto pubblico interno o dal diritto internazionale,
designate dalla dottrina col nome di IMMUNITÀ.”  funzionali : a seconda che riguardino
i soli fatti compiuti nell’esercizio della
Si distingue tra immunità: specifica funzione da cui deriva
l’immunità;
 di diritto sostanziale: a seconda che
 extrafunzionali: a seconda che
comportino l’inapplicabilità della
riguardino anche i fatti estranei
sanzione penale (ed eventualmente delle
all’esercizio di quella funzione
sanzioni extra-penali);
 di diritto processuale: a seconda che
comportino l’esenzione dalla
giurisdizione penale (od anche extrapenale);
25. Le immunità di diritto pubblico interno

 Il 90 Cost. dispone che “il PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA non è responsabile degli atti compiuti
nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione.”

Si tratta di un’immunità funzionale di diritto sostanziale che ha natura di causa di giustificazione: rende
leciti, agli effetti penali ed extra-penali, gli atti compiuti dal presidente della Repubblica nell'esercizio delle sue
funzioni.
Tale immunità NON È ASSOLUTA: il presidente della Repubblica può rispondere infatti, per i reati di alto
tradimento e attentato alla costituzione, commessi nell'esercizio delle sue funzioni, per i quali il giudice
competente sarà la Corte Costituzionale.

Il reato di attentato alla Costituzione è quello previsto dal 283 c.p. (cioè la commissione di un fatto diretto a mutare la
Costituzione dello Stato o la forma del governo con mezzi non consentiti dall’ordinamento costituzionale dello Stato), sotto il nome
di alto tradimento vanno ricompresi i delitti contro la personalità dello Stato richiamati dal 77 c.p.m.p., nonché ogni altro
delitto contro la personalità dello Stato che rappresenti il tradimento dei doveri di fedeltà alla Repubblica assunti dal Presidente
all’atto dell’insediamento nella carica.

Non è previsto nessun immunità e, di conseguenza conoscerà di tali reati l'autorità giudiziaria ordinaria,
per:

• i reati commessi prima dell'assunzione della carica


• o al di fuori dell'esercizio delle funzioni;

49
 L'articolo 96 cost., nella versione della legge 1/89, detta un'apposita disciplina a proposito dei
reati commessi DAL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI o DEI MINISTRI NELL'ESERCIZIO
DELLE LORO FUNZIONI (cosiddetti REATI MINISTERIALI): trattasi di un'immunità processuale.
Originariamente competente era la Corte Costituzionale: ma, dopo la riforma costituzionale della
legge sopra citata, competente è la magistratura ordinaria.
Il giudizio è subordinato all'autorizzazione a procedere ,da parte della camera di appartenenza
del ministro, che tra l'altro, può essere negata, qualora, la camera competente, reputi con
valutazione insindacabile, che l'inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato
costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico
nell'esercizio delle funzioni di governo.

 Per i MEMBRI DEL PARLAMENTO la Costituzione prevede un’immunità funzionale di diritto


sostanziale circoscritta alle opinioni espresse ed ai voti dati nell’esercizio delle loro funzioni: il
68.1 Cost. recita infatti che “i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere
delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”: si tratta di una causa di
giustificazione, che rende leciti i fatti penalmente rilevanti, commessi nell'ambito degli atti tipici del
mandato parlamentare nonché, nella divulgazione del contenuto di tali atti.
Ovviamente non sarà invocabile tale immunità, quando le affermazioni offensive di un parlamentare siano contenute in
atti di altri parlamentari, ancorché appartenenti allo stesso gruppo, ma non allo stesso personalmente riconducibili. In
questo senso si è pronunciato la corte costituzionale in relazione ad alcune espressioni proferite dal senatore Bossi
affermando che: "l'uso del turpiloquio, non fa parte del modo di esercizio delle funzioni parlamentari all'interno delle
camere, dunque non possono essere ritenute esercizi della funzione parlamentare quando usate al di fuori delle camere
stesse".
Restano fuori dell’immunità i fatti materiali, le opinioni manifestate nell’ambito dell’attività politica (ad
esempio in un comizio, in un dibattito televisivo, sulla stampa) e gli stessi atti tipici della funzione parlamentare che
siano frutto di reati.

I parlamentari godono anche di una limitata immunità processuale penale extra funzionale: cioè riguarda
non solo i fatti realizzati dal parlamentare nell'esercizio delle sue funzioni, ma tutti i comportamenti anche
svincolati da qualsiasi nesso funzionale e anche precedenti all'assunzione della carica (68.2 e 3 Cost.): nei
loro confronti può essere iniziato

 un procedimento penale
 o l’adozione di misure restrittive della libertà personale a condizione che, la
camera di appartenenza rilasci un'apposita autorizzazione .
In ogni caso però, il parlamentare può però essere privato della libertà personale in esecuzione di una
sentenza definitiva di condanna e nei casi di arresto obbligatorio in flagranza!

 La Costituzione riconosce ai CONSIGLIERI REGIONALI un’immunità di diritto sostanziale analoga per


contenuti ed effetti giuridici a quella dei parlamentari.
Il 122.4 Cost. dice che “i consiglieri regionali non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni
espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni.”
Si tratta di una causa di giustificazione, che rende leciti i fatti penalmente rilevanti, compiuti dal consigliere
regionale nell'esercizio della funzione legislativa, in quella di indirizzo politico o nell'attività di organizzazione del
consiglio

I consiglieri regionali non godono di alcuna immunità processuale.

50
 Anche i GIUDICI DELLA CORTE COSTITUZIONALE ( L. 1/53) fruiscono di un’immunità funzionale di
diritto sostanziale per le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni.
Ha natura di causa di giustificazione e produce quindi l'effetto di escludere ogni forma di responsabilità penale ed
extra penale.

I giudici costituzionali, limitatamente alla durata della carica, godono anche di un’immunità processuale
extrafunzionale: senza autorizzazione della Corte Costituzionale:

• non possono essere privati della libertà personale


• non possono essere sottoposti a procedimento penale
• non possono essere disposte intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, né il sequestro di
corrispondenza.

 I COMPONENTI DEL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA non sono punibili per le
opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni e concernenti l’oggetto della discussione”: si
tratta di un’immunità funzionale di diritto sostanziale.
I membri del Consiglio Superiore della Magistratura vengono esonerati solo dalla responsabilità penale
(“non sono punibili”), e non anche dalla responsabilità civile ed amministrativa: siamo dunque in presenza di
una causa di esclusione della punibilità ( e non di una causa di giustificazione).

Un'immunità processuale temporanea per i reati comuni (cioè reati commessi fuori dell'esercizio delle funzioni)
era prevista dalla legge 124/2008, il cd. LODO ALFANO nei confronti

o del presidente del Consiglio dei Ministri, o del


presidente della Repubblica, o e dei presidenti del
Senato e della Camera dei deputati.
che consisteva nella sospensione automatica dei procedimenti penali e del corso della
prescrizione(anche i processi penali per fatti antecedenti l'assunzione della carica o della funzione) dalla data di
assunzione e fino alla cessazione della carica della funzione dei suddetti organi;

Questa disciplina riproduceva in parte quella contenuta nel cd. Lodo Schifani, dichiarato
costituzionalmente illegittimo dalla corte costituzionale!

Anche il lodo Alfano, infatti, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo in quanto introdotto con
legge ordinaria e quindi, in contrasto con gli articoli 3 e 138 cost.

Con ogni forma di immunità si costituisce infatti un'ECCEZIONE al principio dell'eguale sottoposizione
di tutti I cittadini alla giurisdizione penale, che può essere DEROGATO solo attraverso norme di rango
costituzionale o norme che nella Costituzione trovano il loro fondamento e comunque a tutela di
interessi giudicati meritevoli di protezione!
D'altra parte, nel panorama internazionale ,non esiste una disciplina equivalente a quella prevista dal lodo Alfano:
sono solo 4 le costituzioni di Stati democratici (Francia, Grecia, Portogallo e Israele) che prevedono un'immunità
temporanea per reati comuni, e in ogni caso, riguardano esclusivamente il presidente della Repubblica!

51
26. Le immunità internazionale

 Un’immunità assoluta compete al SOMMO PONTEFICE, la cui persona è definita “sacra e


inviolabile” nell’art. 8 del Trattato del Laterano; il Sommo Pontefice gode di un’immunità di diritto
sostanziale, anche per atti compiuti al di fuori delle funzioni, nonché di una piena immunità di
diritto processuale; tali immunità si estendono a tutti i rami dell’ordinamento.

L’immunità, agli effetti del diritto penale, ha natura di causa personale di esclusione della punibilità
(escludono l'applicabilità della sanzione, ma lasciano persistere l'illiceità del fatto!)

Analoga immunità è riconosciuta alle persone fisiche che operano in qualità di organi degli enti centrali della Chiesa
cattolica

 il CAPO DI STATO ESTERO, i suoi familiari ed il suo seguito, quando si trovino in tempo di pace in
territorio italiano, godono di un’immunità assoluta di diritto sostanziale e processuale, penale ed
extrapenale, che abbraccia anche gli atti compiuti al di fuori dell’esercizio delle funzioni.

 I CAPI ED I MEMBRI DI GOVERNO STRANIERI, I COMPONENTI DELLE MISSIONI SPECIALI inviate in


Italia da uno Stato estero ed I RAPPRESENTANTI DI STATI ESTERI in conferenze internazionali ed in
organizzazioni intergovernative godono di un’immunità di diritto sostanziale, sia agli effetti penali
sia agli effetti extrapenale, quando si trovino nel territorio dello Stato italiano: tale immunità
riguarda però i soli atti compiuti nell’esercizio delle funzioni.

 Gli AGENTI DIPLOMATICI STRANIERI godono dell’immunità dalla giurisdizione penale, civile ed
amministrativa dello Stato italiano, anche per gli atti compiuti al di fuori dell’esercizio delle loro
funzioni; i membri del personale tecnico ed amministrativo della missione diplomatica sono esentati
dalla giurisdizione penale dello Stato italiano, mentre, l’esenzione dalla giurisdizione civile ed
amministrativa è circoscritta agli atti compiuti nell’esercizio delle funzioni.

 I FUNZIONARI e gli IMPIEGATI CONSOLARI STRANIERI godono di un’immunità funzionale di diritto


sostanziale, penale ed extrapenale; sul terreno del diritto penale, l’immunità ha natura di causa
personale di non punibilità.
Per gli atti compiuti al di fuori dell’esercizio delle funzioni i funzionari e gli impiegati consolari non
possono essere arrestati, né assoggettati a custodia cautelare in carcere, a meno che non si tratti di
un crimine grave.
La ratio di tutte queste immunità di diritto internazionale è quella di non turbare i rapporti tra Stati:
non si tratta perciò di cause di giustificazione, ma, sul terreno del diritto penale, di cause personali
di esclusione della punibilità; le immunità quindi non si estendono a chi abbia eventualmente partecipato
alla commissione di un fatto previsto come reato dalla legge italiana; inoltre si potrà reagire per legittima
difesa nei confronti del fatto illecito posto in essere da questi soggetti immuni.

 I MEMBRI DEL PARLAMENTO EUROPEO godono di un’immunità funzionale, penale ed


extrapenale, per le opinioni espresse ed i voti espressi nell’esercizio delle loro funzioni: infatti non
possono essere ricercati, detenuti o perseguiti a motivo delle opinioni o dei voti espressi
nell’esercizio delle loro funzioni.
Per la durata delle sessioni dell’Assemblea, i parlamentari europei godono di un’immunità
processuale extrafunzionale.
52
 Alcuni FUNZIONARI DI ORGANISMI INTERNAZIONALI (es.: il Segretario generale dell’ONU) quando
si trovano in territorio italiano godono di immunità extrafunzionale.

 Gli APPARTENENTI ALLE FORZE ARMATE DI UNO STATO ESTERO che in tempo di pace si trovino nel
territorio dello Stato italiano, sono soggetti alla sola legge dello Stato di appartenenza, quando si
tratti di reati commessi in servizio.
Una disciplina speciale è prevista per gli APPARTENENTI ALLE FORZE ARMATE DEI PAESI PARTECIPANTI
ALLA NATO di stanza in Italia dalla Convenzione di Londra del 19-6-1951: essa prevede la giurisdizione
esclusiva dello Stato di origine per i fatti non punibili in base alla legge italiana e la corrispondente
giurisdizione esclusiva dello Stato italiano per i fatti non punibili secondo la legge dello Stato di origine.

I restanti fatti, previsti come reato sia dalla legge italiana sia dalla legge dello Stato di appartenenza del
militare, sono sottoposti alla giurisdizione concorrente di entrambi gli Stati, con attribuzione di sfere di
giurisdizione prioritarie ad ognuno di essi, modificabili a seguito di rinuncia alla priorità.

27. Il diritto penale internazionale

il diritto penale internazionale ha la sua fonte del diritto internazionale ed è dotato di efficacia vincolante,
senza necessità di mediazione del diritto interno, a causa dell'estrema gravità dei comportamenti
incriminati: si parla in proposito di ”crimini internazionali” (crimini di guerra, crimini contro l'umanità, genocidio e
aggressione).
Il riconoscimento di questo nucleo di illeciti quali offese che attentano ai valori della comunità
internazionale, devono essere penalmente sanzionati a prescindere dai limiti territoriali o dalla nazionalità di
chi li commette.

Le origini del diritto penale internazionale possono collocarsi già nel periodo successivo alla prima guerra
mondiale, ma solo di recente si è verificata una svolta in materia di giustizia penale internazionale, segnata
dall'adozione (attraverso un trattato internazionale ratificato da 100 Stati) e dall'entrata in vigore nel 2002,
dello STATUTO DI ROMA, che ha istituito la CORTE PENALE INTERNAZIONALE (che ha sede all'Aja). La sua
importanza risiede nel fatto che ha operato una sorta di codificazione del diritto penale internazionale
frutto dell'incontro di due entità disomogenee quali il diritto penale e il diritto internazionale.

La corte ha carattere complementare o sussidiario rispetto alle giurisdizioni nazionali, nel senso che, si
attiva solo se lo Stato che sarebbe competente, in base ai criteri di territorialità e di nazionalità, non proceda
nel caso specifico.

Quanto alla COMPETENZA TERRITORIALE, la corte ha giurisdizione sui crimini commessi sul territorio di uno
degli Stati membri o da parte di un loro cittadino , anche se esiste un meccanismo di segnalazione, che
conferisce alla corte penale la possibilità di segnalare crimini commessi in stato di che non siano firmatari
del trattato.

53
CAPITOLO 4 – LA NOZIONE DI REATO E LA DISTINZIONE TRA DELITTI E
CONTRAVVENZIONI

1. La peculiarità delle sanzioni come nota distintiva dei reati Un


fatto costituisce reato solo quando la legge gli ricollega una pena.
È dunque solo in base un criterio nominalistico che i reati si identificano e si distinguono dalle altre categorie di illeciti.
Come ha affermato Giacomo Delitala "è il legislatore, che nella categoria praticamente infinita di atti illeciti, scevera
quelli che devono essere sanzionati penalmente, imprimendo ad essi il carattere di reato";
dunque la qualità di reato non è immanente a questa o quella condotta umana, ma è impressa dall'esterno,
attraverso la minaccia legislativa di una sanzione penale

Tra le SANZIONI PENALI , quelle che assolvono alla funzione di identificare i reati:

 sono le PENE PRINCIPALI,


 cioè l’ergastolo,
 la reclusione,
 la multa,
 l’arresto
 l’ammenda (previste dal 17 c.p.);
 inoltre, per i reati militari, la reclusione militare (22 c.p.m.p.).
Sono ULTERIORI PENE PRINCIPALI per i reati attribuiti alla competenza del giudice di pace

 la permanenza domiciliare
 ed il lavoro di pubblica utilità,
ma non assolvono alla funzione di identificare i reati perché sono sempre previste in alternativa alla
multa o all’ammenda.

Non rappresentano invece un criterio di identificazione dei reati

 né le PENE ACCESSORIE: per definizione "accedono" (cioè si aggiungono, si accompagnano) alla


condanna ad una pena principale.
Le pene accessorie sono conseguenza solo di alcune condanne, e di regola, non sono previste nelle
norme incriminatrici dei singoli reati ma in disposizioni di parte generale, a conferma del fatto che,
54
la funzione di identificazione dei reati spetta alle sole pene principali;
 né le MISURE DI SICUREZZA: "possono essere applicate soltanto alle persone socialmente pericolose
che abbiano commesso un fatto preveduto dalla legge come reato", anche se in casi eccezionali
possono essere applicate anche per un fatto non preveduto come reato: ciò a conferma della
incapacità delle misure di sicurezza di concorrere a identificare i reati!
 né le PENE SOSTITUTIVE DELLA DETENZIONE BREVE (semidetenzione, libertà controllata e pena
pecuniaria sostitutiva): non possono identificare i reati proprio in quanto "sostitutive":
presuppongono infatti l’inflizione di una pena principale (la reclusione o l'arresto non superiore a
due anni) e solo in via eventuale, sono applicate dal giudice in sostituzione della pena detentiva.
Inoltre esse sono previste attraverso una clausola di parte generale e non compaiono mai nella
parte speciale.

2. La distinzione dei reati in delitti e contravvenzioni

La legislazione penale suddivide i reati in 2 categorie (tale bipartizione riguarda solo le pene principali):

DELITTI & CONTRAVVENZIONI

ogni qualvolta la legge commini ogni qualvolta la legge commini

 l'ergastolo,  l'arresto
 la reclusione  l'ammenda
 la multa a norma dell'art.17 co 2 cp. a norma dell'art.17 co 1 cp. sono inoltre delitti i
reati militari puniti con la reclusione a norma dell'articolo 22

La distinzione tra le due categorie non è collegata a pene principali di diverso contenuto, tant'è che, infatti
le pene detentive temporanee e le pene pecuniarie hanno contenuti completamente o largamente
coincidenti: la reclusione e l'arresto consistono entrambe nella privazione della libertà personale; la multa
e l'ammenda consistono in un pagamento allo Stato di una somma di denaro.

La rilevanza della distinzione tra delitti e contravvenzioni riguarda, invece, la diversa disciplina cui vengono
assoggettate le due classi di reati sotto molteplici profili tra cui:

 L'ELEMENTO SOGGETTIVO DEL REATO


 l'articolo 42 co 2. stabilisce che, per i DELITTI è richiesto il DOLO, salvi i casi in cui la legge
espressamente dà rilevanza alla colpa o alla preterintenzione;
 l'articolo 42 co 4. stabilisce che, le CONTRAVVENZIONI, possono essere commesse sia con
DOLO che con COLPA.
Solo eccezionalmente sono previste contravvenzioni che debbono necessariamente essere
commesse con dolo (per esempio alcuni reati societari come le false comunicazioni sociali) oppure con
colpa (ad esempio la rovina di edifici da cui sia derivato pericolo alle persone).

55
 IL TENTATIVO : di regola è configurabile solo per i DELITTI.
L’articolo 56 stabilisce che "chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un
delitto, risponde di delitto tentato".
Alcune leggi speciali possono contemplare contravvenzioni in cui sia rilevante il tentativo (esempio
chiunque espatri senza essere munito di passaporto)

 LA RECIDIVA: la legge cd. Ex Cirielli 251/2005 ha stabilito che, a norma dell'articolo 99 co 1 cp, la
recidiva interessi sono gli autori di DELITTI e dunque, “l'aumento di pena previsto per la recidiva,
può applicarsi soltanto a chi, dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, ne commette
un altro".
Ciò comporta quindi che chi sia stato condannato per una contravvenzione, non potrà essere considerato recidivo
qualora commetta un nuovo reato di qualsiasi natura; chi sia stato condannato per un delitto, anche se si tratti di
delitto doloso, non potrà essere considerato recidivo, qualora successivamente come una contravvenzione!

 LE PENE PRINCIPALI i limiti massimi previsti per le pene detentive dei delitti (reclusione) si quella per le
contravvenzioni (arresto) si estende da 5
estendono da 15 giorni a 24 anni giorni a 3 anni

 LE CAUSE DI ESTINZIONE DEL REATO: ad esempio l'oblazione estingue solo le contravvenzioni;


 LE CAUSE DI ESTINZIONE DELLA PENA: ad esempio, la non menzione della condanna viene revocata
se il condannato commetta successivamente un DELITTO, non una contravvenzione;
 LE CIRCOSTANZE: alcune quali, quelle comuni, aggravanti e attenuanti, sono configurabili sono per i
DELITTI

3. La distinzione tra il reato e gli altri illeciti: reato e illecito civile


La specie delle pene principali elencate nel 17 c.p. rappresenta il criterio per distinguere il reato dall'illecito
civile: quando un fatto costituisce illecito civile, ma non è sanzionato con una delle pene principali, non
costituisce reato.

Uno stesso fatto può costituire sia un reato sia un illecito civile: in tal caso l’ordinamento appresta due tipi
di sanzioni civili, al fine di estendere l'area del danno risarcibile al danno non patrimoniale: il risarcimento (185
c.p.) e la pubblicazione della sentenza di condanna (186 c.p.).

4. Reato e illecito amministrativo


Quando la legge commina la multa (pena pecuniaria per i delitti: art. 18 c.p.) o l’ammenda (pena pecuniaria per le
contravvenzioni: art. 18 c.p.) ci si trova in presenza di un reato, mentre sanzioni pecuniarie non designate
come multa o come ammenda hanno natura di sanzione amministrativa.

L'illecito amministrativo affianca nell'ordinamento giuridico statale l'illecito penale, reprimendo offese a
beni giuridici, selezionate in base ai principi di proporzione e di sussidiarietà: il ricorso alla sanzione
amministrativa in luogo della sanzione penale, è dunque, un importante strumento di deflazione del
sistema penale a disposizione del legislatore, il quale, ha più volte previsto figure di illecito amministrativo in
leggi speciali e ha operato periodici interventi di depenalizzazione, trasferendo tra gli illeciti amministrativi,
illeciti originariamente configurati come reato.
La disciplina generale dell'illecito amministrativo è stata la legge 689/81 che abbraccia sia profili di diritto
sostanziale che di diritto processuale.

56
CAPITOLO 5 ANALISI E SISTEMATICA DEL REATO

1. La parte generale del diritto penale

L'individuazione di un numero chiuso di specifiche figure di reato rappresenta l'espressione di uno stadio
evoluto del diritto penale, sotto un duplice profilo:

o da un lato, attraverso quel numero chiuso, si realizza, come notò il grande criminalità von Liszt "La prima
autolimitazione della potestà punitiva dello Stato" , accordando al cittadino "un'assicurazione scritta, in base
alla quale egli verrà punito soltanto se ne ricorrono i presupposti legali ed entro i limiti stabiliti dalla legge".
o Dall'altro, l'individuazione delle singole figure di reato è un processo in continuo svolgimento, sotto il segno
di una sempre maggiore aderenza delle norme penali alla varietà dei fenomeni socialmente dannosi .

L’evoluzione del diritto penale non s’è esaurita nella formulazione di una tipologia di reati raggruppati nella
parte speciale della legislazione penale: la dottrina ha proceduto ad estrarre dai singoli reati elementi
comuni recepiti e fatti propri dal legislatore nella parte generale delle codificazioni.
Sono nati così ad esempio i reati presenti nel libro primo del codice penale "Dei reati in generale gli come il rapporto di causalità, il
dolo, la colpa, il tentativo, l'imputabilità, il concorso di persone nel reato" eccetera
Si tratta di concetti generali, perché fissano alcuni elementi comuni alla totalità o ad una parte dei tipi di
reato descritti nella parte speciale; sono concetti astratti perché dipendono contenutisticamente dei
singoli reati, ai quali devono essere di volta in volta accostati per acquistare rilevanza giuridica: così ad
esempio non esiste un dolo in sé, ma il dolo di omicidio, di furto ecc..

2. L'esigenza di una scomposizione analitica del reato

Il reato è composto da una serie di elementi, disposti uno di seguito all'altro, in un determinato ordine
logico: il reato è un fatto umano, antigiuridico, colpevole, punibile.

Non si tratta però dell'unico modello di analisi del reato; altri ne vengono proposti da parte della dottrina, e
la preferenza dovrà essere data al modello che meglio rispecchia la fisionomia che il reato possiede nel
nostro ordinamento.

3. Oggettivismo e Soggettivismo: un’alternativa nell’analisi del reato


La scelta a favore di questo o quel metodo di analisi deve essere compiuta ponendosi un quesito
preliminare: l'interprete deve innanzitutto accertare se è stato commesso il fatto, e solo successivamente
domandarsi se l'autore del fatto ha agito con dolo o colpa, se era imputabile ecc, e quindi ne è responsabile?

Il legislatore italiano ha quasi costantemente costruito i tipi di reato assegnando il primato all'oggettivo
rispetto al soggettivo, cioè al fatto rispetto all'autore: nella legislazione italiana il reato è innanzitutto offesa
a uno o più beni giuridici.
Questa concezione del reato è stata accolta dal legislatore, che nella costituzione ha disegnato un modello di
reato che fa perno sul fatto, sull'offesa ai beni giuridici, assegnando invece alla colpevolezza il ruolo,

57
logicamente successivo, di individuare le condizioni che consentono di rimproverare il fatto al suo autore.
Ad ESEMPIO può darsi che esista la sicura prova che Tizio volesse uccidere Caio, ma se non si è innanzitutto accertato che Tizio ha, in
effetti, cagionato la morte di Caio, o per lo meno, ha cercato di ucciderlo con atti idonei e diretti in modo non equivoco a cagionarlo,
non lo si potrà punire né per omicidio doloso consumato, né per omicidio tentato!

Se ad esempio Tizio, avendo premeditato la morte di Caio per avvelenamento, gli mette nel cibo un veleno ad effetto ritardato, e
Caio muore però, non per avvelenamento, ma per un'ischemia intervenuta prima che il veleno facesse effetto, Tizio non risponderà
di omicidio consumato, benché animato da una volontà di uccidere, perché la morte di Caio non è stata conseguenza della sua
azione: potrà rispondere soltanto il tentativo di omicidio.

Oppure nonostante la sicura e dichiarata volontà di uccidere, l’agente non risponderà nemmeno di tentato omicidio quando ad
esempio Tizio, mira al cuore di Caio e preme il grilletto di quella che ritiene essere una vera pistola, mentre è una pistola giocattolo:
il tentativo non si configura perché gli atti di Tizio sono inidonei a cagionare la morte di Caio; oppure Tizio spara con una pistola vera
contro Caio sdraiato sul letto, morto però poco prima per un infarto: il tentativo non sussiste, in quanto l'inesistenza dell'oggetto
materiale del reato di omicidio (cioè un uomo vivo al momento dell'azione) rendeva impossibile il verificarsi dell'evento morte.

4. La sistematica "quadripartita" del reato


Lo schema di analisi del reato (cioè la sua scomposizione in una serie di elementi disposti logicamente l'uno di
seguito all'altro) che meglio rispecchia la fisionomia che ogni reato possiede nel nostro ordinamento, è quello
che individua nel reato 4 elementi:

 un FATTO (umano);
 l’ANTIGIURIDICITÀ del fatto;
 la COLPEVOLEZZA del fatto antigiuridico;
 la PUNIBILITÀ del fatto antigiuridico e colpevole.
Ne segue che: punibile può essere solo un fatto umano
antigiuridico e colpevole; colpevole può essere solo un fatto
umano antigiuridico; antigiuridico può essere solo un fatto
umano.
Il fatto è fondamento e pietra angolare nella struttura del reato.

L’ordine nel quale sono disposti gli elementi del reato secondo la sistematica quadripartita – il fatto, la sua
antigiuridicità, la colpevolezza per il fatto antigiuridico e la punibilità del fatto antigiuridico e colpevole – è un ordine logico che
trova fondamento normativo nell’art. 129 c.p.p. (In ogni stato e grado del processo, il giudice, il quale riconosce che il
fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato
ovvero che il reato è estinto o che manca una condizione di procedibilità, lo dichiara di ufficio con sentenza. Quando ricorre una
causa di estinzione del reato ma dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto
non costituisce reato, o non è previsto dalla legge come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a
procedere con la formula prescritta).

Questo ordine logico e normativo vincola il giudice, soddisfa un interesse del cittadino, si riflette sull'attività
dell'avvocato penalista.
In particolare, il giudice non può escludere la responsabilità argomentando in base alla presenza di una causa di
giustificazione, quando non sussiste nessun fatto penalmente rilevante da giustificarlo, né può escluderla ritenendo
insussistente la capacità di intendere o di volere, senza aver previamente accertato l'esistenza di un fatto antigiuridico
doloso o colposo, non scusato, eccetera…

58
 Il fatto
Il fatto è l’insieme degli elementi oggettivi che individuano e caratterizzano ogni singolo reato come
specifica forma di offesa ad uno o più beni giuridici.
ESEMPIO: il fatto della truffa è ciò che caratterizza questo reato come specifica forma di offesa al patrimonio. la truffa rispetto ad
ogni altro reato contro il patrimonio, è descritta dalla legge come "artifizi o raggiri" che provocano "l'induzione di altri in errore":
l'offesa al patrimonio caratteristica del delitto di truffa, cioè il suo fatto è un danno patrimoniale con altrui profitto, che scaturisce
da una peculiare attività fraudolenta (artifizi o raggiri che inducono taluno in errore, spingendolo a compiere un atto di disposizion

Dunque, compongono il FATTO, tutti e solo quegli elementi oggettivi, che concorrono a descrivere quella
forma di offesa:

 la CONDOTTA, cioè un’azione od un’omissione, cioè il mancato compimento di un’azione


giuridicamente doverosa;
 i PRESUPPOSTI DELLA CONDOTTA, cioè le situazioni – di fatto o di diritto – che devono preesistere
o coesistere con la condotta;
 L’EVENTO o gli eventi, cioè gli accadimenti temporalmente e spazialmente separati dalla condotta
e da questa causati;
 IL RAPPORTO DI CAUSALITÀ TRA CONDOTTA ED EVENTO;
 L’OGGETTO MATERIALE, cioè la persona o la cosa sulla quale incide l’azione o l’omissione o
l’evento;
 LE QUALITÀ o LE RELAZIONI GIURIDICHE o di fatto richieste per il soggetto attivo del reato nei
reati propri, cioè nei reati che possono essere commessi solo da soggetti qualificati;
 L’OFFESA al bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, nella forma del danno od in quella
del pericolo.
Non tutti gli elementi menzionati compaiono in ogni fatto di reato.

Una condotta – nella forma dell’azione o dell’omissione – ed un’offesa – nella forma del danno o del pericolo – sono
presenti in qualsiasi fatto penalmente rilevante, ma vi sono reati in cui il fatto è costituito solo da un’azione o da una
omissione dannosa o pericolosa – reati di mera condotta – mentre nei reati di evento il fatto consta di una condotta,
di uno o più eventi e di un rapporto che collega la condotta all’evento o agli eventi.

Gli ELEMENTI COSTITUTIVI DEL FATTO sono di regola espressamente previsti dalla norma incriminatrice;
talora sono invece sottintesi, nel senso che la loro presenza è tacitamente richiesta dalla norma per la
configurazione del fatto.
Ad ESEMPIO nella truffa è un elemento sottinteso, il compimento di un atto di disposizione patrimoniale da parte della persona
indotta in errore;

Nella grande maggioranza dei casi gli elementi del fatto di reato sono individuati dal legislatore come
elementi positivi, cioè come elementi la cui presenza nel caso concreto è necessaria per la sussistenza del
fatto.
A volte però la legge richiede per l’esistenza del fatto, l’assenza di una qualche situazione di fatto o giuridica:
si parla in questo caso di elementi negativi del fatto.
Ad esempio, risponde di procurato aborto "chiunque cagiona l'interruzione della gravidanza senza il consenso della donna".

Per individuare GLI ELEMENTI DEL FATTO di reato il legislatore può fare uso:

 di concetti descrittivi: quando il legislatore usa termini che fanno riferimento ad oggetti della realtà
fisica o psichica, suscettibili di essere accertati coi sensi o comunque attraverso l’esperienza.
(Esempio nei delitti di omicidio, l'oggetto materiale dell'azione è indicato con il termine un uomo )
59
 di concetti normativi: quando il legislatore fa ricorso ad un concetto che fa riferimento ad una
norma o ad un insieme di norme giuridiche od extragiuridiche.
(Esempio Nel delitto di appropriazione indebita, la condotta viene descritta con il termine "si appropria" per alludere agli
atti che possono essere compiuti soltanto dal titolare del diritto di proprietà

 L’antigiuridicità
Il secondo elemento del reato, L’ANTIGIURIDICITÀ, esprime il rapporto di contraddizione tra il fatto e l’intero
ordinamento giuridico.

Questo rapporto di contraddizione non si configura quando, anche una sola norma, collocata in qualsiasi
luogo dell'ordinamento, facoltizza o rende doverosa la realizzazione del fatto.

Si dà il nome di cause di giustificazione all’insieme delle facoltà e dei doveri derivanti da norme (ubicate in
qualsiasi luogo dell’ordinamento) che autorizzano od impongono la realizzazione di un fatto penalmente
rilevante.
Così ad ESEMPIO nel codice penale compare una norma (articolo 52) che espressamente prevede che un fatto penalmente
rilevante possa essere commesso, nell'esercizio della facoltà della legittima difesa: cioè per la necessità di difendere un diritto
proprio od altrui, contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa.

Se il fatto è commesso:

 in assenza di una causa di giustificazione, il fatto è antigiuridico, e costituirà reato se


concorreranno gli altri estremi del reato (la colpevolezza e la punibilità);
 in presenza di una causa di giustificazione, il fatto è lecito, e quindi non costituisce reato, è lecito
in qualsiasi luogo dell’ordinamento e perciò non assoggettabile a nessun tipo di sanzione: in questo
senso si parla di "efficacia universale" delle case di giustificazione.
(Ad esempio chi cagiona la morte di un uomo per legittima difesa ,non potrà essere assoggettatone appena, ne ha sanzione civilistica del
risarcimento dei danni materiali e morali, né all'eventuale sanzione disciplinare della rimozione dal pubblico impiego)

60
 La colpevolezza
Una volta accertata l'esistenza di un fatto antigiuridico, la legge penale esige che entri in scena un ulteriore elemento
nella struttura del reato: la COLPEVOLEZZA DELL’AGENTE, che designa l’insieme dei criteri dai quali dipende la
possibilità di muovere all’agente un rimprovero per aver commesso il fatto antigiuridico;

nel diritto vigente i CRITERI sui quali si fonda e si gradua il rimprovero “personale” per la commissione del fatto
antigiuridico sono:

 dolo o colpa;
 assenza di scusanti, o normalità delle circostanze concomitanti alla commissione del fatto;
 conoscenza o conoscibilità della norma penale violata;  capacità di intendere e di
volere.
Si tratta di requisiti in parte espressamente fissati dal legislatore, il quale ha introdotto ampie deroghe alle istanze del principio
di colpevolezza (responsabilità oggettiva, irrilevanza dell'errore sulla legge penale, responsabilità del non imputabile); alcune tra
queste deroghe sono state eliminate dalla corte costituzionale in attuazione del principio costituzionale di personalità della
responsabilità penale, ormai acquisito come sinonimo del principio di colpevolezza.

Tutti i requisiti sui quali si fonda la colpevolezza dell'agente vanno riferiti e collegati al singolo fatto antigiuridico da lui
commesso.

a) Il DOLO è rappresentazione e volizione di tutti gli estremi del fatto antigiuridico.


Così ad ESEMPIO, se un cacciatore, durante una battuta di caccia, crede che dietro un cespuglio ci sia un cinghiale, mentre invece vi è un
altro cacciatore, e spara, cagionando la morte di quest'ultimo, il dolo dell'omicidio non si configura ciò che la gente si era rappresentato e
aveva voluto realizzare è un fatto diverso da quello commesso: l'uccisione di un cinghiale!

b) La COLPA consiste nella negligenza, nell’imprudenza, nell’imperizia o nell’inosservanza di norme giuridiche


preventive e deve abbracciare tutti gli elementi del fatto antigiuridico.
Si pensi ad ESEMPIO, al conducente di un autoveicolo che, dopo aver attraversato con il semaforo rosso un incrocio, prosegua nella sua
marcia a velocità moderata e a distanza di 50 m dopo, cagioni la morte di un bambino, uscito di corsa dal cortile. In tal caso, la condotta
dell'agente nella fase dell'attraversamento dell'incrocio è colposa, perché in contrasto con la norma giuridica a contenuto cautelare che
gli imponeva di fermarsi al semaforo; non esiste però un nesso tra la colpa e l'investimento mortale del bambino, verificatosi oltre
l'incrocio, perché la funzione cautelare della norma violata era, non quella di far arrivare l'automobilista qualche minuto più tardi sul
luogo del sinistro, bensì quella di prevenire il verificarsi di scontri o investimenti nella zona dell'incrocio; dunque il conducente non
risponderà di omicidio colposo, ma incorrerà soltanto nelle sanzioni previste dal codice della strada, per l'attraversamento dell'incrocio
con il semaforo rosso.

c) Il DOLO MISTO A COLPA consiste nella rappresentazione e volizione di taluni elementi del fatto e nella
realizzazione per colpa di altri elementi.
Così ad esempio nell'omicidio preterintenzionale, l’agente deve aver compiuto volontariamente atti diretti a percuotere o a ledere un
uomo, causandone per colpa la morte.

d) La colpevolezza esige anche che il fatto antigiuridico, doloso o colposo, sia commesso dall’agente in ASSENZA
DI SCUSANTI, cioè di circostanze anormali, tali, nella valutazione legislativa, da influenzare in modo
irresistibile la volontà dell’agente o le sue capacità psicofisiche e da rendere perciò inesigibile un
comportamento diverso da quello tenuto nel caso concreto.
Così ad ESEMPIO non è punibile chi, come me fra i tanti giuridici dolosi di falsa testimonianza, falsa perizia o interpretazione,
favoreggiamento personale, per esservi hanno costretto dalla necessità di salvare sé medesimo prossimo congiunto da un grave e
inevitabile nocumento nella libertà e nell’onore.(art. 384)

e) La CONOSCENZA o la CONOSCIBILITÀ DELLA NORMA PENALE violata, comporta che l’agente sapesse, o
potesse sapere usando la dovuta diligenza, che il fatto antigiuridico, doloso, colposo o rimproverabile a titolo
di dolo misto a colpa , da lui commesso, era represso da una norma incriminatrice ( art. 5 cp così come
“riformulato” dalla corte costituzionale con la sentenza n. 364/88).
Ad ESEMPIO tale sentenza, ha considerato, non colpevole chi ignori di commettere un fatto vietato da una norma incriminatrice, avendo
ricevuto "assicurazioni erronee" sulla irrilevanza penale del fatto, da parte degli organi amministrativi competenti a vigilare
sull'osservanza delle norme.

61
f) Non è colpevole, e quindi non può esser punito, chi al momento in cui ha commesso il fatto non era
IMPUTABILE (85 c.p.).
E’ imputabile chi è capace

 sia di intendere: cioè di rendersi conto del significato delle conseguenze dei propri atti ,
 sia di volere: cioè di inibire o attivare i propri impulsi.
Si pensi ad ESEMPIO, ad un omicidio commesso da uno psicopatico, affetto da manie di persecuzione, che veda in un condominio l'autore delle
prestazioni di cui si ritiene vittima; a norma dell'articolo 78, non sarà punibile di omicidio doloso, in quanto il fatto antigiuridico di omicidio doloso
non gli è rimproverabile per difetto di imputabilità; potrà peraltro essere sottoposto alla misura di sicurezza se è ritenuto socialmente pericolos

 La punibilità
Quando si è accertato che sussiste un fatto antigiuridico e colpevole, si è ormai prossimi all'affermazione
conclusiva che il fatto costituisce reato.
Ma nel nostro ordinamento le minacce di pena operano "con riserva": si applicano cioè solo in presenza di
una serie di ulteriori condizioni, le quali se non sussistono, rendono inapplicabile la pena e di conseguenza il
fatto non costituisce reato.
Compare dunque, un ulteriore elemento che è LA PUNIBILITÀ: è l’insieme delle condizioni, ulteriori ed
esterne rispetto al fatto antigiuridico e colpevole, che possono fondare od escludere l’opportunità di punirlo.

È controverso se la punibilità debba essere collocata tra gli elementi del reato, o se appartenga ad un diverso ed
ulteriore capitolo del diritto penale, cioè se il nome di reato debba attribuirsi solo a un fatto antigiuridico,
colpevole e punibile o se invece, a integrare il reato, siano sufficienti i primi tre elementi, cioè fatto, antigiuridicità e
colpevolezza.
Marinucci propende per la prima soluzione perché la pena, è ciò che caratterizza il diritto penale rispetto a
qualsiasi altro ramo dell'ordinamento, è ciò che caratterizza il reato rispetto ad ogni altra figura di illecito: è
dunque la stessa fisionomia del reato a reclamare una sistematica che collochi la punibilità tra gli elementi del
reato.
Il reato in astratto è individuato dalla comminatoria legale di una pena: di reato potrà parlarsi in concreto, solo in
presenza di un fatto antigiuridico, colpevole e punibile.

Le scelte del legislatore sull’opportunità di punire un fatto antigiuridico e colpevole possono esprimersi
nell’individuazione di un duplice ordine di condizioni:

• condizioni che fondano la punibilità: quelle che il legislatore designa come CONDIZIONI OBIETTIVE
DI PUNIBILITÀ: si tratta di quegli accadimenti, menzionati in una norma incriminatrice, che esprimono solo
valutazioni di opportunità in ordine all’inflizione della pena.
• condizioni (o cause) che escludono la punibilità: e possono quindi chiamarsi CAUSE DI ESCLUSIONE
DELLA PUNIBILITÀ
 alcune situazioni contestuali alla commissione del fatto che attengono alla posizione personale
dell’agente o ai suoi rapporti con la vittima (cause concomitanti di non punibilità)
(ad ESEMPIO gran parte dei delitti contro il patrimonio a danno di un congiunto);
 alcuni comportamenti dell’agente susseguenti alla commissione del fatto antigiuridico e colpevole (cause
sopravvenute di non punibilità)
(ad ESEMPIO la ritrattazione nei delitti di falso giuramento, falsa testimonianza è falsa perizia o interpretazione) ;

62
 alcuni fatti naturali o giuridici successivi alla commissione del fatto antigiuridico e colpevole, che o sono
del tutto indipendenti da comportamenti dell’agente o comunque non si esauriscono in un
comportamento dell’agente (cause di estinzione del reato)
A volte
(ad ESEMPIO la morte del reo prima della condanna, la prescrizione del reato, l'amnistia propria).
il legislatore rimette al giudice il compito di valutare l’opportunità di una effettiva punizione
dell’autore di un fatto antigiuridico e colpevole.
È il caso ad ESEMPIO dell'oblazione nelle contravvenzioni punite con pene alternative: la non punibilità del contravventore, che
chiede tempestivamente di pagare una somma corrispondente alla metà del massimo dell'ammenda prevista dalla legge per la
contravvenzione commessa, è subordinata alla valutazione discrezionale del giudice in ordine alla gravità del fatto.

Capitolo 6 - IL FATTO 1° elemento del reato


Il Fatto è una specifica forma di offesa a uno o più beni giuridici.

Tale offesa può derivare sia da attività esteriori che aggrediscono il bene (reati commissivi), sia
dall'omissione di azioni giuridicamente imposte per proteggere il bene (reati omissivi).
Queste diverse tipologie di reati comportano che gli elementi del reato, a cominciare dal fatto, possano
presentare una diversa fisionomia.

Con il termine CONDOTTA (o azione) si indica il comportamento umano che costituisce reato; la
condotta, per essere penalmente rilevante, deve corrispondere a quella descritta dalla norma
incriminatrice, deve cioè essere tipica e può essere:
• positiva (azione)
• negativa (omissione) ed in ogni caso deve essere accompagnata “dalla
coscienza e volontà” di colui che la compie;

come afferma infatti l'articolo 42 co 1 : "nessuno può essere punito per una azione o omissione, preveduto
dalla legge come reato, se non la commessa con coscienza è volontà".

L'articolo 42 esige per la configurabilità del reato, la cosiddetta “SUITAS”,


cioè coscienza e volontà di condotta, e quindi, l'esistenza di un nesso
psichico tra l’agente e il fatto.

Tale nesso sussiste tutte le volte in cui


 la condotta è posta in essere volontariamente,
 e anche quando, anche se non sussiste dall'esplicita volontà, il soggetto, con uno sforzo del volere,
poteva evitare la condotta integrante il reato:
pertanto devono attribuirsi alla suitas dell’agente,
 anche gli atti automatici o abituali, che egli avrebbe potuto evitare uno sforzo della volontà.

Non sussiste nesso psichico


A. per gli atti istintivi o riflessi, che sono estranei al volere, perché non appartengono all'uomo
ma al mondo meccanico.

Es.: un incidente stradale mortale è causato per un colpo di sonno del conducente:
• si configura il reato, se si tratta di sonno fisiologico, conseguente ad un pasto abbondante (il soggetto, con la volontà,
poteva evitare di mangiare nel corso di un viaggio): c'è suitas
• non sussiste reato, il sonno è dovuto a cause patologiche, come un improvviso ed imprevedibile malore su cui la gente non
poteva esercitare alcuna volontà: non c'è suitas.

63
B. In caso di forza maggiore, infatti l'articolo 45 afferma "non è punibile chi ha commesso il
fatto per forza maggiore": si intende ogni forza esterna contro la quale, il soggetto, non
può resistere e che lo determinano contro la sua volontà e in modo inevitabile, al
compimento di un'azione.
(Non è un reato perché manca un suo elemento essenziale costitutivo: la colpevolezza) esempio
si pensi all'imbianchino che, spinto da una tromba d'aria, precipita al suolo dall'impalcatura su cui stava
lavorando, uccidendo un passante.

C. Per costringimento: come afferma l'articolo 46 infatti "non è punibile chi ha commesso il
fatto, per esservi stato da altri costretto mediante violenza fisica, alla quale non poteva
resistere, o comunque sottrarsi. In tal caso, il fatto commesso dalla persona costretta,
risponde l'autore della violenza".
In queste ipotesi, l'autore materiale del reato rappresenta solo un mezzo di altro soggetto,
che la legge considera responsabile del reato.
Esempio la sentinella che non ha potuto dare l'allarme, in quanto legata imbavagliata da un gruppo di
sediziosi!

a) se la condotta consiste in UN’AZIONE, si hanno i

IL FATTO NEI “REATI COMMISSIVI”

Elementi del fatto nei reati commissivi (reati caratterizzati dal compimento di azioni vietate dalla legge):

 L’AZIONE: l'offesa ai beni giuridici avviene tramite un'AZIONE (umana, cioè un'attività esteriore).
 nei reati a forma vincolata: tale azione (concreta) sarà penalmente rilevante , solo se
compiuta con quelle determinate modalità descritte dalla norma incriminatrice ;
 nei reati a forma libera: il legislatore, invece, attribuisce rilevanza ad ogni comportamento
umano che abbia causato, con qualsiasi modalità, un determinato evento. (In questi casi,
l'azione concreta personalmente rilevante si concretizza,
• nei reati dolosi, nell'attività consistente nell'uso del mezzo scelto dall'agente per causare
l'evento;
• nei reati colposi, nell'attività, in ogni azione, che abbia colposa mente creato il pericolo
concretizzatosi nell'evento).
Il ricorso alla forma libera o vincolata per individuare l’azione dipende in larga misura dall’importanza del
bene giuridico la cui aggressione è repressa penalmente .
ad es. beni ritenuti di alto rango vengono tutelati da ogni lato si rinuncia a selezionare questa o quella modalità, attribuendo
rilevanza alla causazione pura e semplice dell’evento come per il bene vita e integrità fisica.

Es.art.575 c.p. e art.589 c.p. non richiedono che la morte sia provocata attraverso specifiche forme di comportamento
ma danno rilevanza a qualsiasi condotta che cagioni la morte di un uomo .l’impiego di particolari mezzi come sostanze
venefiche viene valorizzato nell’ambito delle circostanze aggravanti.

Poi ci sono beni di minor rango, ai quali l’ordinamento accorda una tutela soltanto frammentaria e questi
beni vengono protetti solo contro specifiche classi di comportamenti scelte per la loro capacità offensiva ad
Es il bene giuridico patrimonio.

64
In alcuni casi l’agente deve aggredire il bene patrimoniale impiegando violenza fisica o psichica sulla
vittima, come nella rapina propria art.628 c.p. o nell’estorsione art.629 c.p. “chiunque mediante violenza o
minaccia costringendo qualcuno a fare o ad omettere qualcosa, procura a sé un ingiusto profitto con altrui danno”;
nella truffa art.640 c.p. “chiunque con artifizi e raggiri inducendo taluno in errore procura a sé o ad altri un ingiusto profitto
con altrui danno” .
In altri delitti le modalità dell’offesa al patrimonio consistono nell’abuso di situazioni di vulnerabilità della
vittima, come nella circonvenzione di persone incapaci;
altri delitti sono poi caratterizzati dall’usurpazione dell’altrui patrimonio mobiliare, realizzata attraverso la
violazione dell’altrui sfera di custodia, ad es. nel furto art 624 c.p., o compiendo sulla cosa altrui che già si trova
impossesso dell’agente atti riservati al proprietario come la vendita nell’appropriazione indebita art.646 c.p.

Altre volte in un reato a forma vincolata, il legislatore dà rilievo al compimento non di una, ma di più azioni
che devono essere realizzate secondo una determinata successione temporale.
Es. falsità in scrittura privata, la legge richiede la formazione in tutto o in parte di una scrittura privata falsa o in alternativa
l’alterazione di una scrittura privata vera, seguita dall’uso del documento falsificato.
 nei reati di possesso: reati nei quali l'oggetto del divieto è il possesso o la detenzione di questa o quella
cosa, e non il compimento di un'azione (es. delitto di detenzione di monete falsificate); per armonizzare tali
reati con l'idea del reato come offesa creata attraverso un'azione umana, basta il requisito dell'azione
consistente nel procurarsi o nel ricevere la cosa(requisito tacito), perché proprio nel pericolo dell’uso
della cosa risiede la ragione della configurazione di queste ipotesi di reato.

 reati di sospetto: speciale sottogruppo dei reati di possesso; nei reati di sospetto, l'onere della prova
della destinazione o della provenienza lecita della cosa incombe interamente sull'imputato e finché il
giudice versi in dubbio si impone una pronuncia di condanna (contrasto con l'art. 27. 2 Cost: presunzione di
non colpevolezza)
Es. possesso ingiustificato di chiavi e grimaldelli art.707 c.p.

 PRESUPPOSTI DELLA CONDOTTA: in molti reati, la rilevanza penale di una specifica forma di offesa ad un
bene giuridico è subordinata alla condizione che l'azione venga compiuta in presenza di determinate
situazioni di fatto o giuridiche, che devono preesistere all'azione o ne devono accompagnare
l'esecuzione: tali situazioni sono definite "presupposti della condotta".
(Es. in assenza del presupposto gravidanza, non può realizzarsi la condotta consistente nel compiere, senza il consenso della donna,
atti interruttivi della gravidanza).

 EVENTO: spesso la norma incriminatrice richiede il verificarsi di un EVENTO, cioè di un accanimento


temporaneamente e spazialmente separato dall'azione e che da questa dev'essere causato: più
precisamente, trattandosi di un elemento del fatto di reato, il nome di evento spetta soltanto a quella o a
quelle conseguenze dell'azione che sono espressamente o tacitamente previste dalla norma
incriminatrice, e non anche alle eventuali conseguenze, non prese in considerazione dalla singola
norma, ad es. nell’omicidio è preso in considerazione l’evento morte e non anche il dolore sofferto dai familiari della
vittima in quanto non rilevando in senso penalistico non è contemplato nella descrizione del fatto..

L'evento può consistere:


 in una modificazione della realtà fisica o psichica ( distruzione della cosa altrui nel delitto di danneggiamento o
malattia nel corpo e nella mente nella lesione personale)
 in un'alterazione della realtà economico-giuridica ( danno e profitto nella truffa)in un comportamento umano
ecc..

La nozione di evento, come accadimento che deve essere causato dall'azione, è espressamente utilizzata
dal legislatore in una serie di previsioni normative di parte generale: fra l'altro,

65
• nella definizione del rapporto di causalità ("nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge
come reato, se l'evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l'esistenza del reato, non è conseguenza della
sua azione od omissione" art. 40.1 c.p.)
• e nella definizione del delitto doloso ("Il delitto è doloso, o secondo l'intenzione, quando l'evento dannoso
o pericoloso, che è il risultato dell'azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l'esistenza del delitto, è
dall'agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione" art. 43.1 c.p.)

A seconda che il legislatore richieda, o meno, la presenza di un evento, si distingue tra:


 REATI DI EVENTO: es: omicidio, art.575: evento morte di un uomo
 REATI DI MERA CONDOTTA: es. violazione di domicilio

 RAPPORTO DI CAUSALITA’: quando tra gli estremi del fatto compare un evento, l'evento rileva solo
se è stato causato dall'azione: tra l'azione e l'evento deve quindi sussistere un RAPPORTO DI
CAUSALITÀ.
Art. 40. 1 c.p. (rapporto di causalità): "Nessuno può essere punito per un fatto previsto dalla legge come
reato, se l'evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l'esistenza del reato, non è conseguenza della sua
azione od omissione".

Necessario per poter affermare che un dato evento è conseguenza di una data azione vi è lo studio di tre
TEORIE DELLA CAUSALITÀ

1. TEORIA CONDIZIONALISTICA o “CONDICIO SINE QUA NON”:

l'azione A è causa dell'evento B, quando senza l'azione A, tenendo conto di tutte le circostanze del caso
concreto, l'evento B non si sarebbe verificato.

È considerata CAUSA ogni condizione dell'evento, cioè ogni antecedente senza il quale, l'evento,
non si sarebbe verificato .

Tale teoria muove dalla premessa che ogni evento è la conseguenza di molti fattori causali, che sono tutti
egualmente necessari affinché l'evento si verifichi: causa dell'evento è ogni azione che non può essere
eliminata mentalmente, sulla base di leggi scientifiche, senza che l'evento concreto venga meno (
procedimento di eliminazione mentale):
• Se eliminando mentalmente la condotta in considerazione l'evento rimane, tale condotta non è causa
dell'evento;
• se eliminando mentalmente la condotta viene meno anche l'evento, esso è causa della condotta, quindi
sussiste il nesso causale.

Basta che l’azione di Tizio sia uno degli antecedenti necessari senza i quali l’evento non si sarebbe verificato, perché quell’azione
possa considerarsi causa dell’evento.
Es. Tizio colpisce Caio con uno schiaffo, quest’ultimo è affetto da un grave vizio cardiaco e muore per lo spavento, sia lo schiaffo sia
la malattia sono antecedenti necessari(condizioni) per la morte decisivo è che senza lo schiaffo di tizio Caio non sarebbe morto .

Questa teoria trova applicazione in due casi:


§ Causalità ipotetica: ad es nel caso del medico che pratichi un iniezione mortale per alleviare le sofferenze a
un malato terminale provocando la morte.
L’evento morte non si sarebbe verificato il giorno x all’ora y, e quindi sussiste il rapporto di
causalità in quanto bisogna avere riguardo all’evento concreto individuato attraverso tutte
le modalità della sua verificazione, comprese le modalità spazio temporali (morte di tizio per
66
assunzione di certa quantità di morfina in un certo ospedale a una certa ora di un certo giorno) e tenendo
conto del decorso causale effettivo cioè di ciò che si è verificato.

§ Causalità addizionale: sussiste il rapp. di causalità tra l’azione di tizio che ha somministrato a Caio
una dose di veleno sufficiente ad uccidere e la morte di Caio, se anche Sempronio ha
autonomamente versato, all’insaputa di Tizio, una dose mortale dello stesso veleno nella medesima
bevanda. eliminando mentalmente l’azione di tizio caio sarebbe morto egualmente.
Non si possono eliminare mentalmente ne l’azione di Tizio, né quella di Sempronio, senza che l’
evento concreto venga meno, quindi sia l’azione di Tizio che di Sempronio sono cause dell’evento
morte.

La formula ”eliminazione mentale” deve essere riempita di contenuti attraverso desunti di leggi scientifiche,
ovvero enunciati che esprimono successioni regolari di accadimenti, che sono frutto dell’osservazione
sistematica della realtà fisica o psichica, e il procedimento da seguire per l’utilizzazione delle leggi
scientifiche è la “SUSSUNZIONE DEL CASO CONCRETO”.
Se il giudice si trova davanti a una pluralità di possibili spiegazioni causali dell’evento, deve dare la
preferenza a quella che si attaglia meglio al caso concreto.

Es. caduta di una valanga: innescata da fattori naturali o dall’opera dell’uomo?


STORIA: la giurisprudenza italiana ha fatto per lungo tempo a meno di leggi scientifiche ai fini
dell’accertamento del rapporto di causalità, basandosi sulla mera intuizione del giudice.

Negli anni 90 sotto l’impulso di uno studioso della causalità, Federico Sella, una sentenza della Cass. così
recitava: “un antecedente può essere configurato come condizione necessaria di un evento, a patto che,
esso rientri tra antecedenti, che sulla base di leggi scientifiche, portano ad eventi tipo di quello verificatosi in
concreto.
Il problema del grado di probabilità richiesto affinche’ la condotta possa considerarsi condizione
necessaria dell’evento, è stato risolto DALLA CASSAZIONE CON TRE SENTENZE:

”il giudice può accertare il rapp. di c. in quanto abbia accertato, con probabilità vicino alla certezza, che
quella condotta è stata causa necessaria dell’evento.
La sentenza più importante è stata quella pronunciata dalle sez. unite della Cass. del 2002 dove ribadisce la
necessità di fare uso di leggi scientifiche, esclude che quando l’azione abbia aumentato il rischio del
verificarsi dell’evento possa esservi un rapporto di c. e afferma che, anche probabilità statistiche medio
basse, sarebbero sufficienti qualora risulti la sicura non incidenza nel caso di specie di altri fattori causali in
grado di spiegare nel caso concreto il verificarsi dell’evento, a tale requisito si aggiunge la probabilità logica
che consentirebbe di raggiungere la certezza processuale.
Es. il caso di Annamaria Franzoni;
La sentenza Franzese: Tizio, sieropositivo, ha un rapporto non protetto con Caia, che risulta infetta.
La probabilità statistica che attraverso un solo rapporto sessuale si trasmetta il virus è bassa, ma la probabilità logica è alta, in
quanto è possibile escludere con certezza, il verificarsi di decorsi causali alternativi.

CRITICHE A QUESTA TEORIA: si compensa l’assenza di una vera prova, e il considerare causa dell’evento una
condotta che ha soltanto aumentato il rischi del verificarsi dell’evento.
Se il giudice si trova nell’impossibilità di spiegare l’evento in base a leggi scientifiche, deve escludere il
rapporto di causalità.

67
….Riepilogando,

I COROLLARI DELLA TEORIA CONDIZIONALISTICA:


1) il concorso di fattori causali preesistenti , simultanei o sopravvenuti non esclude il rapporto di
causalità quando l’azione è condizione necessaria dell’evento.
2) il rapporto di causalità non è escluso nemmeno se il fattore causale ulteriore rispetto all’azione
dell’uomo consiste in un fatto illecito di un terzo
3) il rapporto di causalità è escluso quando si inserisce una seria causale autonoma da sola sufficiente a
causare l’evento.

Questa teoria porta ad un'eccessiva estensione del concetto di causa e di conseguenza di responsabilità
(per es. il feritore di una persona, successivamente deceduta per un incidente fortuito avvenuto durante il tragitto in ospedale,
dovrebbe rispondere di omicidio consumato e non solo di lesioni, perché senza il ferimento, la vittima non sarebbe salita
sull'ambulanza e non sarebbe stata coinvolta nell'incidente stradale mortale!)

Per rimediare all'eccessiva estensione del concetto di causa, è stata elaborata un'altra teoria:

2. TEORIA DELLA CAUSALITÀ ADEGUATA

l'azione A è causa dell'evento B quando, senza l'azione A, l'evento B non si sarebbe verificato, e l'evento B
rappresenta una conseguenza prevedibile (normale) dell'azione A.

Secondo questa teoria è considerata CAUSA dell'evento solo la condizione che è la più idonea a
produrlo. Affinché sussista rapporto di causalità giuridicamente rilevante, occorre che la gente abbia
determinato l'evento, con un'azione adeguata produrlo.

Per accertare il rapporto di causalità, tale teoria impone di compiere una prognosi postuma, e
quindi il giudice deve compiere un viaggio nel passato, riportandosi idealmente al momento in cui il
soggetto ha agito, e formulare un giudizio ex ante chiedendosi gli improbabili sviluppi causali
dell’azione e mettere in confronto il decorso causale effettivamente verificatosi, con quelli che
erano prevedibili.
Es di causalità adeguata: il pedone investito da un automobilista è morto per dissanguamento investimento da parte di un
auto sopravvenuta in quanto quei decorsi causali erano non improbabili.
È esclusa quando tra l'azione e l'evento intervengono fattori causali anormali, imprevedibili .

Anche questa teoria è stata criticata perché limita eccessivamente il campo della responsabilità penale:
infatti si considerano non causati dall'uomo gli effetti che, al momento dell'azione, si presentavano
improbabili, cioè gli effetti straordinari o atipici dell'azione stessa.

Per rimediare a tali limiti è stata quindi elaborata un'altra teoria:

3. TEORIA DELLA CAUSALITÀ UMANA

68
l'azione A è causa dell'evento B quando senza l'azione A l'evento B non si sarebbe verificato e inoltre il
verificarsi dell'evento B non è dovuto al concorso di fattori eccezionali.

Secondo questa teoria, esiste una sfera d'azione che l'uomo può dominare in virtù dei suoi poteri
conoscitivi e volitivi: per cui solo i risultati che rientrano in questa sfera possono considerarsi
causati dall'uomo, perché egli, anche se non li ha voluti, era comunque in grado di impedirli!
Ciò che sfugge alla signoria dell'uomo è il fatto eccezionale, cioè quel fatto che ha una probabilità
minima di verificarsi, quindi per l'esistenza del rapporto di causalità è necessario che l'uomo abbia
posto in essere una condizione dell'evento, e che quest'ultimo, non sia il risultato di fattori
eccezionali!

Il rapporto di causalità si considera escluso quando tra l'azione e l'evento intervengono fattori causali
rarissimi (che hanno una insignificante probabilità di verificarsi).
Solo gli sviluppi causali che l’uomo può dominare con i suoi poteri volitivi possono essere considerati opera
dell’uomo, e tra gli sviluppi dominabili non possono essere compresi fattori causali rarissimi.

Le tre teorie tuttavia non risolvono il problema causale, nell'ipotesi in cui, non si conosce in anticipo che una
certa condotta è causa di un certo evento.
Queste critiche vengono superate attraverso un'altra teoria:

4. La SUSSUNZIONE SOTTO LEGGI SCIENTIFICHE

l'esame del nesso della causalità deve essere effettuato in due fasi:
1) si accerta se una condotta, in base ad una legge scientifica, possa essere causa di un
evento;
2) occorre verificare, in forza dell'accertata legge scientifica chiamata
"legge di copertura", se nel caso concreto, questo rapporto causale,
assuma rilievo per il diritto penale.

Le leggi di copertura sono leggi scientifiche e si distinguono in:

 leggi universali: consentano di affermare  leggi statistiche: consentano di affermare


che, al verificarsi di un evento si che, al verificarsi di un evento, consegue,
accompagna sempre il verificarsi di un altro con un alto grado di probabilità, il verificarsi
evento; di un altro evento.
Di recente dottrina e giurisprudenza hanno quindi ripreso la teoria condizionalistica, apportandovi alcuni
CORRETTIVI, individuando, quale criterio di accertamento del nesso causale fra condotta ed evento, quello
della sussunzione sotto leggi scientifiche di copertura, in omaggio ai principi di legalità e di tassatività.
Sulla scorta di tali considerazioni, ne deriva che è causa di un evento penalmente rilevante, il fatto umano
che, valutato alla stregua di leggi scientifiche di copertura, risulti capace di produrre l'evento stesso che, senza di
esso, non si sarebbe verificato.

5. TEORIA DELL’IMPUTAZIONE OGGETTIVA DELL’EVENTO

L’evento causato dall’azione potrebbe essere imputato oggettivamente all’agente, a condizione che:
69
 l’agente abbia con la sua azione , in violazione di una regola di prudenza o di diligenza, creato o
aumentato il rischio del verificarsi di un evento, del tipo di quello che si è verificato,
 e che l’evento sia la concretizzazione del rischio che la regola cautelare violata mirava ad
evitare o ridurre.

Tale teoria dà ulteriore risposta rispetto alla teoria della causalità, al quesito se l’evento possa essere opera
dell’agente, cioè se l’evento è a lui imputabile.

L'accoglimento della TEORIA CONDIZIONALISTICA nell'art. 41 c.p.

Art. 41 c.p. (concorso di cause).


Comma 1 "Il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute (anche se indipendenti
dall'azione od omissione del colpevole), non esclude il rapporto di causalità fra l'azione od omissione e
l'evento".

Comma 2 " Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole
sufficienti a determinare l'evento. In tal caso, se l'azione od omissione precedentemente commessa
costituisce di per sé un reato, si applica la pena per questo stabilita".

Comma 3 "Le disposizioni precedenti si applicano anche quando la causa preesistente o simultanea o
sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui".

Al 1° comma, per la sussistenza del rapporto di causalità basta che l'agente abbia posto in essere uno solo
degli antecedenti necessari dell'evento; dal terzo comma notiamo che un'azione che sia condizione
necessaria dell'evento ne resta causa anche se tra i fattori causali si annoveri un fatto illecito altrui.

Al 2° comma si nota che nel caso di cause sopravvenute che sono state da sole sufficienti a determinare
l'evento, è evidente che tra l'azione e l'evento si è inserita una serie causale autonoma, la quale fa sì che
quella azione tra presenti non una condizione necessaria dell'evento, ma solo un suo antecedente
temporale; comunque, quella azione solo temporalmente precedente l'evento, può di per sé costituire un
reato (infatti, l'art. 42. 2 c.p. afferma che "se l'azione od omissione precedentemente commessa costituisce per sé un reato, si
applica la pena per questo stabilita).
Sul tema la Cassazione ha avuto modo di precisare che il rapporto di causalità tra l'azione e l'evento o
può escludersi ,solo se si verifichi una causa autonoma e successiva, che si inserisca nel processo
causale in modo eccezionale, atipico, imprevedibile;
o mentre non può essere escluso il nesso causale quando la causa successiva abbia solo accelerato la
produzione dell'evento, destinato comunque a compiersi sulla base di una valutazione dotata di un
alto grado di credibilità razionale o di probabilità logica.

In definitiva la teoria condizionalistica non ha bisogno di correttivi.

OGGETTO MATERIALE: in alcune figure di reato l'azione o l'evento devono incidere su una persona o su una
cosa (oggetto del reato quindi).

LE QUALITA’ O LE RELAZIONI DEL SOGGETTO ATTIVO NEI REATI PROPRI:


70
 il reato comune è il reato che può essere commesso da chiunque.
 Il reato proprio è invece il reato che può essere commesso soltanto da chi possegga determinate
qualità o si trovi in determinate relazioni con altre persone.
Quindi, tale reato può essere commesso solo dal soggetto che si trovi in una posizione che riflette un particolare
rapporto con il bene giuridico, il quale può essere attaccato direttamente solo da chi appartenga a una cerchia
determinata di soggetti.

Nell'ambito del concorso di persone (ovviamente nei reati propri):

- il soggetto privo della qualifica richiesta dalla norma incriminatrice che ha agevolato o istigato alla
commissione del reato proprio(estraneo) la persona qualificata (intraneo), concorre oggettivamente nel
reato proprio, perché ha contribuito all'offesa del bene giuridico tutelato dalla norma;

- si può avere concorso doloso all'offesa che caratterizza il reato proprio solo se l'istigatore o
l'agevolatore sia a conoscenza di tutti gli elementi del fatto, a cominciare dalla qualità del soggetto
attivo. Le qualità o le relazioni del soggetto attivo possono essere di fatto o relazioni giuridiche
ad es. l’aborto auto-procuratesi rispetto alla donna è una qualità di fatto, e l’abuso d’ufficio realizzato dal p.u. è una qualità
giuridica.

 L’OFFESA: l'offesa al bene o ai beni tutelati può assumere la forma della lesione o del pericolo (per
l'integrità del bene o dei beni).
La lesione (danno) si concretizza in una distruzione, alterazione in peggio, diminuzione di valore del
bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice; il pericolo esprime invece la probabilità della
lesione, una lesione quindi solo potenziale del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice.

L’offesa può essere un elemento del fatto di reato


 espresso : oltraggio al pubblico ufficiale, ingiuria , diffamazione,atti osceni , strage
 sottinteso: calunnia, falsa testimonianza si pone in pericolo il bene corretta decisione del giudice, frode
processuale, falsità materialein atti .
Altre volte all’interno del modello di reato vi è un elemento costitutivo che rappresenta l’equivalente
fenomenico dell’offesa al bene giuridico.
Es. omicidio, l’evento morte esprime la lesione al bene giuridico vita umana.

L’offesa al bene giuridico è un CRITERIO al quale il giudice si deve attenere al fine dell’espulsione dal tipo
legale di comportamenti inoffensivi, oltre alla lettera della legge.

Il bene giuridico:
• beni individuali  beni strumentali, l’insieme dei beni ambientali
• beni collettivi(istituzionali e collettivi) sono strumentali al bene finale vita, salute.
• beni finali

- reati di danno , l’offesa si concretizza nella lesione, sono quelli dove il legislatore reprime fatti che
compromettono l'integrità dei beni, la distruzione, l’alterazione in peggio, la perdita di valore del bene.

- reati di pericolo sono quelli dove il legislatore reprime fatti che minacciano l’esistenza o il godimento
del bene (es.: delitti di incendio, inondazione ecc.: tali reati, come si vede, sono di pericolo in quanto mettono in pericolo la vita o
la integrità fisica di un numero indeterminato di persone) vi è una tutela anticipata.

71
o I reati di pericolo concreto sono quelli in cui, il giudice deve accertare se nel singolo caso concreto, il
bene giuridico ha corso un effettivo pericolo, e tale accertamento
- è doveroso quando il pericolo è elemento espresso del fatto di reato,
- e quando è elemento implicito da ricostruire in via interpretativa ;

il giudice deve fare un viaggio nel passato riportandosi al momento ideale in cui si è verificata l’azione,
utilizzare il massimo delle conoscenze (leggi scientifiche )disponibili al momento del giudizio e le conoscenze
ulteriori del singolo agente che gli consentiranno di dire se quella data azione era probabile il verificarsi
della lesione del bene .e infine deve tenere conto di tutte le circostanze presenti al momento in cui si è
compiuta l’azione.
Alla stregua di tali criteri il giudice stabilirà se il bene giuridico nel singolo caso concreto ha corso il pericolo
di essere leso (prognosi in concreto a base totale).
Es. procedimento penale per strage. uno scienziato animato da sentimenti personali mette una sostanza mortale nell’impianto di
aereazione del palazzo dove i due lavorano,, di trenta piani, sede di uffici e e laboratori .
Il giudice ai fini dell’accertamento del pericolo per la pubblica incolumità, non deve tenere conto della
convinzione soggettiva dell’agente, di aver messo una sostanza in grado di provocare la morte, ma deve
interpellare un perito, che utilizzando leggi scientifiche , disponibili al momento del giudizio, stabilirà se
quella sostanza ,rappresentava davvero una minaccia per la vita o la salute delle persone.
Es. atti osceni in luogo esposto al pubblico .l’offesa si configura quando tali atti sono visibili ai terzi.

o i reati di pericolo astratto (presunto) sono invece quelli dove il legislatore, sulla base di leggi di
esperienza, ha provveduto che una classe di comportamenti è, nella generalità dei casi, fonte di
pericolo per uno o più beni giuridici (quindi, in questi casi, il pericolo non è elemento del fatto di reato e la sua
sussistenza nel caso concreto non deve essere accertata dal giudice).
Es. codice della strada vita l’attraversamento con il rosso, in tal caso il giudice non deve accertare il pericolo, rileva invece il semplice
comportamento .

o Reati di pericolo imperniati sul superamento di una soglia quantitativa, oltre la quale il fatto
viene ritenuto pericoloso per il bene giuridico tutelato.
Es. scarico di acque reflue industriali(principio di necessaria offensività elaborato dalla corte cost);detenzione di sostanze
stupefacenti in dose superiore a quella giornaliera.

b) se la condotta consiste in un’omissione, si hanno

IL FATTO NEI “REATI OMISSIVI”

72
Elementi del fatto

 OMISSIONE: Sono reati caratterizzati dall'omissione delle azioni imposte dalla legge per proteggere
beni giuridici;
è quindi rilevante solo il mancato compimento di azioni imposte da comandi contenute in norme
giuridiche;
inoltre occorre l’effettiva capacità di compiere l’azione richiestagli: ES. non si può muovere alcun addebito
al medico che non può recarsi da un ammalato perché l'unica strada è interrotta da una frana!

L'omissione si verifica quando l'atto non può più essere materialmente compiuto perché:
 mancano le condizioni di fatto che lo richiedevano;
 è passato il periodo di tempo o è scaduto il termine entro cui la legge voleva che si agisse.

Dobbiamo distinguere tra reati :

 REATI OMISSIVI PROPRI (o, di mera omissione):


sono quelli dove il legislatore reprime il mancato compimento di un'azione giuridicamente
doverosa, indipendentemente dal verificarsi o meno di un evento come conseguenza dell'omissione,
dunque è un reato di pura condotta.
Tali reati sono configurati direttamente da singole norme incriminatrici che descrivono sia l'azione
doverosa la cui omissione è penalmente rilevante, sia i presupposti, in presenza dei quali, sorge
l'obbligo giuridico di agire (es. delitto di omissione di soccorso, art. 593 c.p.).
Va sottolineato che l'obbligo giuridico di agire presuppone il potere materiale di compiere
l'azione doverosa, dunque non sussiste reato tutte le volte in cui il soggetto abbia compiuto “ un
serio sforzo di adempiere all’obbligo di agire” e l’insuccesso dipenda da circostanze esterne. Es.
omissione di soccorso l’offesa consiste nel mantenimento di una situazione preesistente(bene tutelato come
elemento sottinteso del fatto),omissioni di atti d’ufficio, omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale.

 REATI OMISSIVI IMPROPRI (o, commissivi mediante omissione):


sono quelli dove la legge incrimina il mancato compimento di un'azione giuridicamente doverosa
imposta per impedire il verificarsi di un evento( è un reato do evento; in questi casi l'evento è
elemento costitutivo del fatto.
Ovviamente l'obbligo di impedire l'evento presuppone il relativo potere.
Agli effetti della legge penale, rileva solo il mancato compimento di un'azione impeditiva
dell'evento imposta da una norma giuridica che stabilisce:(art. 40. 2 c.p.);

- quali siano i presupposti in presenza dei quali sorge l'obbligo di impedire l'evento -
e quali siano gli eventi il cui il verificarsi dev'essere impedito.
Es. un bambino corre il pericolo di affogare in una piscina sotto gli occhi del bagnino che risponderà di omicidio, e di un
amico( che risponde di omissione di soccorso) entrambi esperti nuotatori il padre invece essendo nell’impossibilità
(materiale) di nuotare perché non sa non risponde del mancato impedimento dell’evento .

La disciplina del reato omissivo improprio è prevista dall'articolo 40 co 2, il quale dispone che:
Art. 40. 2 c.p.: "Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo".

(tale articolo, come notiamo, espressamente subordina la rilevanza penale dell'omesso impedimento di un evento, alla presenza di

73
un obbligo giuridico di impedirlo: un obbligo che fa del suo destinatario il garante dell'integrità di uno o più beni giuridici,
impegnandolo a neutralizzare i pericoli innescati da comportamenti di terzi o dalla forza della natura).
Il reato omissivo improprio si realizza quando l’agente, con la sua omissione, provoca un evento che non si
sarebbe dovuto verificare.

Quindi l'articolo 40 determina L'EQUIVALENZA NORMATIVA tra il non impedire e il cagionare l'evento.

Inoltre l'art.40 ha una FUNZIONE ESTENSIVA, in quanto la punibilità dei reati omissivi impropri, nasce dalla
combinazione tra l'art. 40 e le singole norme di parte speciale che prevedono e puniscono i reati commissivi.
Così ad esempio dal combinato disposto dell'articolo 575 con l'articolo 40 2 co, deriva che risponde di omicidio non solo chi
con un'azione cagioni la morte di una persona, ma anche chi, avendo l'obbligo di impedire che quella persona morisse, non l'ho fatto
(esempio: l'infermiere che doveva praticare un'iniezione e non l'ha fatto, facendo così morire il paziente affidato alle sue cure)

L'estensione della punibilità operata dall'articolo 40 trova però dei LIMITI.


In particolare non sono convertibili in reati omissivi impropri:

I reati che la norma incriminatrice di parte speciale caratterizza già con riferimento ad una condotta omissiva
(cosiddetti reati omissivi propri);
I cd. reati di mano propria (che presuppongono un atto positivo a carattere personale: esempio l’ incesto) nei quali, il
reo deve porre in essere positivamente il comportamento che integra gli estremi del reato a mezzo della sua
persona;
I cd. reati abituali, presuppongono una determinata condotta di vita, risultante da una reiterazione di
comportamenti positivi: è il caso dello sfruttamento della prostituzione.

 In generale non possono essere convertiti le fattispecie di reati, la cui condotta è caratterizzata da
note descrittive, necessariamente attinenti ad un comportamento positivo (es furto, rapina).

 Sono convertibili le fattispecie di reati causalmente orientati o a forma libera, per la cui sussistenza
basta che una condotta sia idonea a cagionare l'evento tipico: in particolare si fa riferimento ai reati
contro la vita e l'incolumità individuale (omicidio) nonché contro l'incolumità pubblica (strage, incendio),
trattandosi di fattispecie finalizzate alla protezione della persona umana sia come individualità
singola che come membro della collettività, nei cui confronti è giustificata la creazione di garanti che
rispondono penalmente per il mancato impedimento di eventi lesivi.

FONTI dell’obbligo giuridico di impedire l’evento:

 Dalla legge
 Dal contratto
 Da un ordine dell’autorità giudiziaria ( sentenza, ordinanza)
 Dalla consuetudine
 Dalla volontaria assunzione (cd. negotiorum gestio)

La dottrina moderna ha criticato tale soluzione, affermando che l’obbligo giuridico di impedire l’evento
deriva dalla cd. POSIZIONE DI GARANZIA: si tratta di un vincolo di tutela, tra un soggetto garante ed un bene
giuridico, determinato dall’incapacità del titolare di proteggerlo autonomamente.

Sono due le posizioni di garanzia giuridicamente rilevanti:

- OBBLIGHI DI PROTEZIONE: quando ampia di pericoli.

74
l'obbligo giuridico consiste nella tutela di uno o hanno lo scopo di proteggere determinati più beni nei
confronti di una gamma più o meno interessi da tutti i pericoli che possono
minacciarne l'integrità, a prescindere dalla fonte
da cui derivano
(es, l'obbligo dei genitori di proteggere i figli minori); (es.
nei rapporti tra coniugi, discende dall'art. 343 c.c. un di tutti i beni che possono essere messi a
obbligo reciproco di assistenza materiale: notiamo, quindi, repentaglio da quella fonte di pericolo (si parla sia
un obbligo di protezione reciproca verso una gamma più o
dei pericoli creati da forze della natura, sia dei pericoli
meno ampia di pericoli);
connessi allo svolgimento di attività umane) hanno lo
scopo di neutralizzare determinate fonti di pericolo,
per garantire l'integrità di tutti gli interessi che possono
- OBBLIGHI DI CONTROLLO: sono quelli aventi per essere minacciati
oggetto la neutralizzazione dei pericoli derivanti (es. l'obbligo del proprietario dell'edificio pericolante, di evitare
eventi dannosi per qualsiasi soggetto).
da una determinata fonte, in funzione della (es. l'obbligo di neutralizzare i pericoli per la incolumità
tutela pubblica derivanti da inondazioni incombe sui diversi organi
in cui si articola il servizio della Protezione Civile).
L'individuazione dei garanti nelle società commerciali.
(Garanti: coloro che devono tutelare beni giuridici impedendo determinati eventi. Hanno quindi l'obbligo
giuridico di impedire un evento, ex art. 40. 2 c.p.).

Nelle imprese strutturate in forma societaria possiamo individuare due fondamentali categorie di doveri di

garanzia e quindi di garanti:


-
quelli finalizzati alla protezione/tutela del patrimonio sociale, relativi quindi alla amministrazione

dell'impresa (obbligo di protezione ex art. 40. 2 c.p.);


-
quelli finalizzati al controllo delle fonti di pericolo immanenti all'esercizio dell'attività d'impresa,
relativi quindi alla gestione tecnica, operativa e commerciale dell'impresa sociale (obbligo di controllo ex
art. 40. 2 c.p.).

Dai doveri di protezione del patrimonio sociale discende l'obbligo di impedire la commissione dei reati
fallimentari e societari (evento) da parte del direttore generale e dell'institore: titolari di questo obbligo di

protezione sono i membri del consiglio di amministrazione della società.

Anche gli obblighi di controllo - correlati alla gestione tecnica, operativa e commerciale dell'impresa -

incombono sulle persone fisiche che occupano i vertici dell'organizzazione: ad essi la legge affida il compito
(dovere) di organizzare la struttura e l'attività d'impresa in modo adeguato alla salvaguardia degli

interessi dei singoli e della collettività che possono essere messi in pericolo dall'attività d'impresa.
IL NESSO TRA OMISSIONE ED EVENTO

Nei reati omissivi impropri ,l'evento è elemento costitutivo del fatto e il nesso tra omissione ed evento
consiste non già nella causazione dell'evento, bensì nel suo mancato impedimento (art. 40. 2 c.p.).
75
 nei reati commissivi: il rapporto di causalità è una relazione reale tra accadimenti: si configura
quando l'azione è un antecedente storico che non può essere eliminato mentalmente senza che
l'evento venga meno;
 nei reati omissivi: il rapporto di causalità tra omissione ed evento è ipotetico: sussiste quando
l'azione doverosa che è stata omessa, se fosse stata compiuta, avrebbe impedito il verificarsi
dell'evento, nel senso che, aggiungendola mentalmente, l'evento non si sarebbe verificato.
L'accertamento del rapporto di causalità tra omissione ed evento richiede una duplice indagine.
1. In primo luogo, si tratta di accertare l'effettivo rapporto di causalità tra un dato
antecedente e un dato evento concreto.
2. In secondo luogo, si deve compiere un 'giudizio controfattuale' (giudizio ipotetico o
prognostico: "l'omissione è causa dell'evento, quando non può essere mentalmente sostituita
dall'azione doverosa, senza che l'evento venga meno") modellato secondo la peculiare struttura del
reato omissivo improprio: bisogna chiedersi cioè se, aggiungendo mentalmente l'azione
doverosa che è stata omessa, ne sarebbe seguita una serie di modificazioni della realtà che
avrebbero bloccato il processo causale sfociato nell'evento.

Quando l'evento è il risultato di un processo causale innescato da fattori meccanici o naturali, per stabilire
se l'azione doverosa che è stata omessa avrebbe o meno impedito l'evento, si dovrà fare ricorso a leggi
scientifiche: l'effetto impeditivo dell'evento andrà cioè accertato sulla base di una legge scientifica dalla
quale risulti che una data azione, in quelle concrete circostanze, avrebbe interrotto il processo causale - e
quindi impedito il verificarsi dell'evento - con un grado di probabilità ai limiti della certezza.

Quando invece l'impedimento dell'evento a cui è obbligato il garante dipende dalla condotta di terze
persone, l'accertamento del nesso tra commissione e l'evento non potrà basarsi su inesistenti leggi
scientifiche: si farà riferimento invece a massime di esperienza al fine di accertare la probabilità che si
verifichi quella serie di condotte, l'una dopo l'altra, dal cui susseguirsi di eventi che non si verifichi l'evento
da impedire.

Nel caso in cui, l'obbligo di impedire l'evento ricada su persone che devono intervenire in tempi diversi, il
nesso di causalità tra la condotta omissiva o commissiva del titolare di una posizione di garanzia, non viene
meno per effetto del successivo mancato intervento da parte di un altro soggetto, configurandosi un
concorso di cause ai sensi dell'art. 41 co 1.
Recentemente la Corte di Cassazione ha riconosciuto una sostanziale affinità, sul piano dell'accertamento
del nesso causale tra reato omissivo ed omissivo, sostenendo che “sarebbero applicabili identici criteri di
verifica visto che, l'unico vero distinguo, si individua nel fatto che, si ricorre a un giudizio controfattuale
meramente ipotetico, anziché fondato su dati della realtà.”

Struttura oggettiva e “ suitas”

 nei reati omissivi propri, la violazione delle regole di diligenza può riferirsi al mancato
riconoscimento della situazione tipica che si poteva in concreto riconoscere
 nei reati commissivi mediante omissione, si discute se l'obbligo di garanzia e di diligenza
coincidano o meno (ad es. il bagnino che non soccorre il bagnante perché non ne ha sentito le grida per il frastuono
provocato da un autocarro fermatosi vicino a lui, ha omesso di attivarsi ma non è stato negligente).

76
Nel reato omissivo ovviamente la Suitas ( coscienza e volontà) non va riferita all'omissione, ma al
comportamento che il soggetto ha tenuto nel momento in cui doveva adempiere all'obbligo: -
se tale comportamento è cosciente volontario, lo sarà anche l'omissione; - analogamente
accadrà se il comportamento è incosciente ed involontario.

C) Ulteriori classificazioni dei reati secondo la struttura del fatto ( in base


all’evento).

Abbiamo già analizzato: reati commissivi/omissivi, reati a forma libera/vincolata, reati di danno/di pericolo,
reati comuni/propri. - reati di evento: sono quelli dove il fatto
consta non solo di un'azione o di un'omissione,
- reati di condotta: sono quelli dove il ma anche di uno o più eventi,
fatto si esaurisce  conseguenza dell'azione (reati commissivi
 nel compimento di una o più azioni (reati di evento)
di mera azione)  o dell'omissione (reati omissivi impropri o
 ovvero nel mancato compimento di commissivi mediante omissione). Quindi, solo nei
un'azione doverosa (reati di mera omissione o reati di evento sorge il problema del nesso di
reati omissivi propri): in questi reati è irrilevante causalità.
che all'azione o all'omissione descritta dalla
norma incriminatrice consegua il verificarsi di uno {Un reato si dice consumato quando nel caso
o più eventi, nel senso che le eventuali concreto si sono verificati tutti gli estremi del
conseguenze dell'azione o dell'omissione non fatto descritti dalla norma incriminatrice; finché il
sono elementi costitutivi del reato non è giunto consumazione potranno
fatto; eventualmente ricorrere gli estremi di un
tentativo.}

- reati istantanei: reati nei quali, una


volta verificatasi la consumazione del reato, è - reati permanenti: reati (es. sequestro di
irrilevante che la situazione antigiuridica si persona art. 605 c.p.) nei quali il protrarsi nel
protragga nel tempo; tempo della situazione antigiuridica creata dalla
77
condotta è rilevante poiché, in questa classe di sia quella entrata in vigore nel corso della fase
reati, il reato non si esaurisce finché perdura la consumativa (infatti, per esempio, se durante il
situazione antigiuridica. sequestro di persona il legislatore inasprisce il
Nei reati permanenti, il termine della prescrizione trattamento sanzionatorio di tale reato, all'agente
decorre dal giorno in cui è cessata la permanenza; è applicabile la nuova legge più severa); ai fini
la legittima difesa è possibile per tutto il tempo dell'applicabilità della legge penale italiana, il
per cui perdura la situazione antigiuridica; il reato permanente si considera commesso nel
concorso di persone può avvenire anche dopo territorio dello Stato anche quando la fase
l'inizio della fase consumativa; legge del tempo consumativa è iniziata all'estero ed è proseguita
del commesso reato è sia quella vigente all'inizio, nel territorio dello Stato.

- reati abituali: si intende un reato il cui fatto esige la ripetizione, anche a notevole distanza di
tempo, di una serie di azioni od omissioni: quindi, un singolo atto del tipo descritto dalla norma
incriminatrice non integrerà la figura legale del reato in questione (es. delitto di maltrattamenti in famiglia
art. 572 c.p.). Legge del tempo del commesso reato è la legge in vigore nel momento in cui è stato
commesso anche l'ultimo degli atti che integrano il fatto costitutivo del reato abituale.
Ai fini dell'applicabilità della legge penale italiana, il reato si considera commesso nel territorio dello Stato
anche quando uno solo degli atti la cui reiterazione integra il reato è stato compiuto nel territorio dello
Stato. Il concorso di persone in un reato abituale si configura solo se il partecipe abbia contribuito
causalmente alla realizzazione del numero minimo di condotte necessario per l'integrazione del fatto
costitutivo del reato abituale.

- reati necessariamente plurisoggettivi: sono quei reati il cui fatto richiede come elemento
costitutivo il compimento di una pluralità di condotte da parte di una pluralità di persone.
Reati necessariamente plurisoggettivi in senso stretto (propri) sono quelli dove la norma incriminatrice
assoggetta a pena tutti i soggetti che intervengono nel reato (es. bigamia, rissa, associazione per
delinquere...); reati necessariamente plurisoggettivi in senso ampio (impropri) sono quelli dove la norma
incriminatrice assoggetta a pena soltanto alcune delle condotte che costituiscono il fatto di reato (es.
l'estorsione, dove il concorrente necessario è il soggetto passivo del reato).

78
Capitolo 7 - L'antigiuridicità e le cause di giustificazione

1.1 La nozione di antigiuridicità

L’ANTIGIURIDICITÀ è il concetto con il quale si esprime “il rapporto di contraddizione” tra il fatto e l'intero
ordinamento giuridico.
L'ANTIGIURIDICITÀ consiste nel contrasto tra il fatto, conforme ad una fattispecie incriminatrice e l’intero
ordinamento giuridico .
Nella struttura del reato, l'antigiuridicità si sostanzia nella mancanza delle "cause di giustificazione". Nella
dottrina più recente si fa strada la tesi secondo cui, l'antigiuridicità è oggettiva, in quanto si risolve in un
giudizio di conformità tra un fatto obiettivo e l'ordinamento giuridico nel suo complesso.

Si parla inoltre di antigiuridicità speciale, quando tra i requisiti del fatto tipico sono indicati elementi, la cui
definizione si desume da norme diverse da quelle incriminatrici;
cioè contengono CLAUSOLE DI ILLICEITÀ ESPRESSA: termini come "ingiusto", "indebitamente ", "arbitrariamente" ecc.,
che non contribuiscono a descrivere il fatto penalmente rilevante, ma danno espresso (e pleonastico) rilievo alle cause
di giustificazione previste dall'ordinamento, la cui presenza nel caso concreto, rende lecita la commissione del fatto
penalmente rilevante.

LE CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE
Le cause di giustificazione vanno inquadrate nella più ampia categoria delle CIRCOSTANZE DI ESCLUSIONE DELLA
PENA; infatti si suddividono in:

 CAUSA DI GIUSTIFICAZIONE: sono vere e proprie cause di esclusione della antigiuridicità; esse rendono il
fatto lecito ab origine
 SCUSANTI: incidono solo sull'elemento soggettivo, facendo cioè venir meno la colpevolezza;
 LE CAUSE DI NON PUNIBILITÀ: sono situazioni in cui il legislatore, pur in presenza di un fatto antigiuridico e
colpevole (quindi sono situazioni che non escludono il reato), per motivi di opportunità preferisce non applicare la
pena (es. le immunità).

Le CAUSE OGGETTIVE DI ESCLUSIONE DEL REATO chiamate anche CAUSA DI GIUSTIFICAZIONE o


SCRIMINANTI o ESIMENTI, sono particolari situazioni previste dalla legge, in presenza delle quali, un fatto che
di regola costituirebbe reato, non è considerato tale, in quanto, è la legge stessa che lo autorizza; sono cioè
l’insieme delle facoltà o dei doveri derivanti da norme, situate in ogni luogo dell'ordinamento, che autorizzano o

79
impongono la realizzazione di questo o quel fatto penalmente rilevante, al fine di salvaguardare un bene che
l'ordinamento ritiene preminente; sono facoltà o doveri che hanno per oggetto la commissione di un fatto
penalmente rilevante: rendono lecito il sacrificio di un bene giuridico, incorporato nella commissione del
fatto, per salvaguardare un bene che l'ordinamento ritiene preminente.
Sembra si profili un conflitto che è solo apparente di norme (norme antinomiche) che va risolto secondo l’unità
dell’ordinamento giuridico, assegnando la prevalenza alla norma che facoltizza o impone la realizzazione del fatto! 
Se è commesso in assenza di ogni causa di giustificazione:
il fatto (penalmente rilevante) è antigiuridico, e costituirà reato, se concorreranno gli altri estremi del reato
(colpevolezza e punibilità).
 Se invece è commesso in presenza di una causa di giustificazione:
il fatto (penalmente rilevante) è lecito, e quindi non punibile, né assoggettabile a misure cautelari
processuali, perché non costituisce reato, difettando l'estremo dell'antigiuridicità del fatto.
ES. art 52. Legittima difesa: un fatto penalmente rilevante può esser commesso da chi agisce per la necessità di difendere un diritto proprio o altrui,
contro il pericolo attuale di un offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa.
Art 198 c.p.p. il testimone deve dire il vero nel rispondere alle domande che gli sono rivolte, nell’adempimento di tale dovere può integrare un fatto
di diffamazione.
Il militare che esegue il dovere di difendere la patria in guerra dalle forze nemiche può integrare un fatto di omicidio colposo.
Art 21 Cost. riconosce il diritto di manifestare il proprio pensiero , nell’esercizio di tale diritto, il giornalista che eserciti il diritto di cronaca, può
integrare i fatto di diffamazione.

Le cause di giustificazione o scrimanti hanno efficacia universale: il fatto, cioè, sarà lecito in qualsiasi settore
dell'ordinamento, e quindi non potrà essere assoggettato a nessun tipo di sanzione (penale, civile, amministrativa).
ES. “chi cagiona la morte di un uomo per legittima difesa non potrà essere assoggettato né a pena, né alla sanzione civilistica del risarcimento dei
danni materiali e morali”.
ES.art.530 c.p. stabilise che “il giudice deve pronunciare sentenza di assoluzione, non solo quando il fatto non sussiste, ma anche quando, pur
sussistendo, vi è la prova che è stato commesso in presenza di una causa di giustificazione.”

Le norme che prevedono cause di giustificazione (norme che quindi rendono lecita la realizzazione di fatti penalmente rilevanti
per l'esercizio di un dovere o di una facoltà) non sono:

 norme penali e quindi non sono soggette né alla riserva di legge ex art. 25. 2 Cost, né al divieto di analogia ex
Art. 14 Preleggi.
 norme eccezionali: tali norme non "fanno eccezione a regole generali", ma
sono

 espressione di principi generali dell'ordinamento, e quindi non 'eccettuano' le norme penali che incriminano
questo o quel fatto, bensì entrano con esse in conflitto apparente, prevalendo nel conflitto in tutto
l'ordinamento.

L'applicazione delle cause di giustificazione articolo 59

Dispone infatti l'art. 59. 1 c.p. che : "Le circostanze che escludono la pena (dunque, fra l'altro, le cause di giustificazione) sono
valutate a favore dell'agente, anche se da lui non conosciute, o per errore ritenute inesistenti"
(così, per ESEMPIO, il soldato che in guerra uccide un nemico, commette un fatto di omicidio, giustificato dall'adempimento di un dovere e il fatto
resta lecito anche se egli credeva erroneamente di sparare contro un odiato commilitone o superiore).
Si desume quindi che le scriminanti rilevano oggettivamente (si tratta di un giudizio di liceità a carattere oggettivo)
cioè "in virtù della loro esistenza", a prescindere dalla consapevolezza che l’agente ne abbia.

L'erronea supposizione della presenza di cause di giustificazione ART. 59 co 4

Tale ipotesi è disciplinata dall'art. 59.4 c.p.: "Se l'agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della
pena (dunque, fra l'altro, cause di giustificazione), queste sono sempre valutate a suo favore (quindi non è punibile).

80
Tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è previsto dalla legge
come delitto colposo".
Questa è la norma che legittima nel nostro ordinamento le cosiddette "esimenti putative", quelle cioè che non
esistono nella realtà, ma solo nella mente di chi agisce: esempio il gioielliere spara contro il burlone che finge una rapina.
Le esimenti putative anziché escludere l'antigiuridicità escluso la colpevolezza. Sono cause soggettive di esclusione
della colpevolezza, alla pari dell'errore .

L'art. 119. 2 c.p. dispone che: "Le circostanze oggettive che escludono la pena (e quindi, fra l'altro, le cause di
giustificazione) hanno effetto per tutti coloro che sono concorsi nel reato".
(ES.un cittadino che aiuti un agente di polizia ad arrestare una perssona colta in flagranza di un delitto colposo, il fatto dell’agente di polizia
giudiziaria integra gli estremi di un sequestro di persona , giustificato come esercizio di una facoltà legittima sia nei confronti dell’agente sia nei
confronti del cittadino che lo aiuta.)
Fanno eccezione a tale regola le cause di giustificazione personali, quelle che si riferiscono a cerchie limitate di
soggetti.
(Es. l’uso legittimo delle armi giustifica il pubblico ufficiale e il privato che legalmente richiesto gli presti assistenza, ma non qualsiasi altro cittadino
che spontaneamente cooperi con il pubblico ufficiale nell’uso della forza; l’esecuzione di un ordine illegittimo vincolante giustifica il militare o
l’appartenente alla polizia di stato che ha eseguito l’ordine, ferma restando la responsabilità di chi ha emanato l’ordine, ma non giustifica il terzo che
abbia cooperato nell’esecuzione dell’ordine.)

L'eccesso nelle cause di giustificazione. ART.55 CP

Se il fatto è commesso in presenza di una causa di giustificazione, ma la condotta dell'agente eccede i limiti
segnati dalla norma scriminante, si parla di "ECCESSO NELLE CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE".

La Cassazione ha affermato che “l’assenza dei presupposti della scriminate della legittima difesa , in specie nel
bisogno di rimuovere il pericolo di un’aggressione mediante una reazione proporzionata e adeguata, impedisce di
ravvisare l’eccesso colposo che si ravvisa nell’erronea valutazione di detto pericolo e dell’adeguatezza dei mezzi
usati.”
(ES.: Tizio, aggredito da Caio che alza la mano per schiaffeggiarlo, si trova in una situazione di pericolo attuale di un'offesa ingiusta ad
un suo diritto (la sua integrità fisica): Tizio per respingere tale pericolo non si limita a neutralizzare l'aggressore colpendolo
anticipatamente con un pugno, ma afferra un bastone e lo colpisce al capo uccidendolo.
Come notiamo, il fatto è antigiuridico perché travalica i limiti della legittima difesa (art. 52 c.p.)
(manca infatti il requisito della proporzione tra difesa e offesa), ma per poter porre quel fatto a carico dell'agente bisogna
accertare se l'eccesso sia rimproverabile all'agente per colpa o per dolo; se invece l'eccesso è incolpevole, sarà esclusa qualsiasi
forma di responsabilità penale.)

 Il codice penale disciplina espressamente L'ECCESSO COLPOSO all'art. 55 c.p.: "Quando, nel
commettere alcuno dei fatti previsti dagli artt. 51, 52, 53, 54, si eccedano colposamente i limiti
stabiliti dalla legge o dall'ordine dell'Autorità ovvero imposti dalla necessità, si applicano le
disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è previsto dalla legge come delitto colposo".
Si configura ogni qualvolta esistono i presupposti di fatto delle cause di giustificazione, ma il
soggetto ne travalica i limiti.
L'eccesso colposo si risolve in un abuso del diritto determinato da errore, può essere solo colposo, non
essendo concepibile un errore doloso.

è ciò che differenzia tale ipotesi da quella prevista dall'articolo 59, dove la causa di giustificazione
invece non sussiste ed è solo l’agente che, per errore, la ritiene esistente!

La COLPA dell'agente può riguardare:


81
a) un'erronea valutazione della situazione scriminante
(ES. l'agente ha creduto di vedere nelle mani dell'aggressore un coltello che non c'era, incorrendo in un errore nel quale non sarebbe
caduto, al suo posto, nessuna persona ragionevole: l'errore ha dunque carattere colposo e l'ordinamento addebita il fatto all'agente a
titolo di omicidio colposo);
b) la fase esecutiva della condotta, in particolare in un cattivo controllo dei mezzi esecutivi, che comporta un
risultato più grave di quello voluto dall'agente, e che sarebbe stato lecito provocare
(ES. l'agente estrae un'arma allo scopo di intimorire l'aggressore che stava per percuoterlo, ma nel maneggiarla maldestramente fa
partire un colpo che determina la morte dell'aggressore: l'agente risponderà, anche in questo caso, di omicidio colposo);

 Si tratta di ECCESSO DOLOSO (non riconducibile all'art. 55 c.p.) quando “l'agente si sia rappresentato
esattamente la situazione scriminante, abbia pienamente controllato i mezzi esecutivi e abbia
consapevolmente e volontariamente realizzato un fatto antigiuridico che, come lui sapeva, eccede i
limiti della causa di giustificazione”
(ES. è il caso di chi, aggredito da una persona che voglia solo percuoterlo, si renda conto che il pericolo che corre è solo quello di una
percossa o al più una lesione e impugni un'arma, uccidendo deliberatamente l'aggressore: in tal caso l'agente risponderà di omicidio doloso
consumato). se l'errore ha per oggetto la norma scriminante, sussiste la responsabilità per DOLO (ipotesi non prevista
dall'art. 55 c.p.)
(ES. se l'agente cagiona la morte dell'aggressore ben rendendosi conto che è in pericolo soltanto la sua integrità fisica, ma ritenendo per errore che
la norma sulla legittima difesa non contempli il limite della proporzione, risponderà non di eccesso colposo in legittima difesa, ma di omicidio
doloso).

Cioè quando pur perseguendo quel fine siano stati volutamente superati certi limiti: l’eccesso doloso
comporta responsabilità a titolo di dolo per il reato commesso

 Nel caso invece, di ECCESSO INCOLPEVOLE cioè quando “l'errore in cui è incorso l'agente (vuoi nella fase di
rappresentazione della situazione scriminante, vuoi nella fase esecutiva della condotta) non sia dovuto a colpa, perché
non sarebbe stato evitato da parte di un uomo ragionevole che si fosse trovato ad agire nelle stesse
circostanze di tempo e di luogo” non sorgerà nessuna responsabilità penale.
(ES. è esente da responsabilità penale chi, aggredito da un energumeno disarmato che gli torce un braccio a rischio di spezzarlo, afferra
una pistola e mira alle gambe dell'aggressore, ma questi inopinatamente si abbassa, viene colpito al ventre e muore).

2. Le singole cause di giustificazione

1. il consenso dell'avente diritto (art. 50 c.p.)


2. l'esercizio di un diritto (art. 51 c.p.)
3. l'adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica O imposto da un ordine della pubblica autorità
(art. 51 c.p.)
4. la legittima difesa (art. 52 c.p.)
5. l'uso legittimo delle armi (art. 53 c.p.)
6. lo stato di necessità (art. 54 c.p.):non è una causa di giustificazione bensì una scusante.

1) Il CONSENSO DELL'AVENTE DIRITTO ART. 50 CP


Art. 50 c.p.: "Non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può
validamente disporne".

FONDAMENTO di questa scriminante è la mancanza dell'interesse a punire da parte dello Stato, in quanto,
con la rinunzia del titolare, viene meno lo stesso interesse da proteggere.
Tale scriminante si applica solo a quei reati in cui né il dissenso, né il consenso assurgono a elementi
costitutivi del reato; in tal caso infatti, il consenso fa venire meno non solo l'antigiuridicità, ma lo stesso fatto

82
tipico.
Si tratta di una causa di giustificazione a portata limitata, dal momento che possono essere giustificati solo
i fatti penalmente rilevanti che ledono o pongono in pericolo DIRITTI INDIVIDUALI che le norme penali
proteggono nell'esclusivo interesse del titolare.
Si tratta quindi dei DIRITTI DISPONIBILI da parte del titolare, nel senso che il titolare può disporne secondo la
sua volontà, consentendo a terzi la facoltà legittima di lederli o porli in pericolo: quindi il fatto penalmente
rilevante sarà dunque lecito!

Linea di massima, debbono ritenersi INDISPONIBILI:

 i diritti tutelati in quanto appartenenti alla collettività,


 i beni dell'individuo che sono tutelati indipendentemente dalla sua volontà perché riconosciuti di
interesse pubblico. gli interessi dello Stato,
 i diritti in materia familiare
 il diritto alla vita della singola persona

Sono DISPONIBILI:

 i diritti patrimoniali, a meno che l'integrità del bene che forma oggetto del diritto patrimoniale
soddisfi anche un interesse pubblico (es. l'edificio privato sottoposto a vincolo storico-artistico);
 i diritti personalissimi: diritto all'onore, alla libertà sessuale, alla libertà di domicilio, alla
riservatezza e segretezza di fatti o dati relativi alla persona, alla libertà morale e personale.
 L'integrità fisica (parzialmente disponibile) :
 è illimitatamente disponibile è disponibile entro i limiti fissati dall'art. 5 c.c., se l'atto
quando l'atto di disposizione del di disposizione del corpo va a svantaggio della salute
corpo va a vantaggio della salute del disponente (gli atti di disposizione del proprio corpo sono
(come nel caso del consenso alla esportazione vietati quando cagionino una diminuzione permanente della
di un organo malato); integrità fisica).
Il limite della diminuzione permanente della integrità fisica
non sarà superato quando il consenso riguardi
l'asportazione di parti del corpo (sangue, midollo spinale)
autoriproducibili; il limite in questione sarà invece superato,
e il consenso sarà inefficace, quando riguardi un organo non
autoriproducibile,
anche se si tratta di un organo doppio (vi è stata però una deroga al
tale limite con la legge che ha reso lecita la donazione di un rene e la legge
che ha reso lecito il trapianto di parte del fegato).
Infine, "gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati
quando siano contrari alla legge, all'ordine pubblico o al
buoncostume"

Natura giuridica e requisiti del consenso

Il consenso andrebbe qualificato come atto giuridico in senso stretto, cioè come un permesso col quale si
attribuisce al destinatario un potere di agire che non crea alcun vincolo obbligatorio a carico dell'avente
diritto e non trasferisce alcun diritto in capo all’agente: da ciò deriva la sua revocabilità in ogni tempo.

Legittimato a prestare il consenso è il titolare del diritto, o il suo rappresentante legale o volontario ( è
comunque necessaria la capacità naturale di chi presta il consenso). Il consenso:

83
 può essere manifestato in qualsiasi forma, espressa o tacita
 non può essere sottoposto a condizioni o a termini o a limitazioni;
 deve essere immune da vizi: errore, violenza o dolo (da ciò deriva la necessità, soprattutto nei casi di
trattamento medico chirurgico, che chi presta il consenso sia perfettamente informato consapevole di ciò che
acconsente)
 deve essere lecito: cioè non deve essere contrario a norme imperative, all'ordine pubblico o al
buon costume
 deve essere attuale, cioè deve esistere al momento del fatto ed è sempre revocabile.

Si ha consenso putativo quando, colui che agisce, ritiene esistente il consenso della persona titolare del
diritto.
La giurisprudenza tende a considerare irrilevante il consenso presunto, che si ha quando non sia prestato
alcun consenso ma l’agente operi nell’esclusivo interesse del titolare del diritto.
ES. chi commetta un fatto di violazione di domicilio entrando nell’abitazione del vicino assente da casa, forzando la porta chiusa per bloccare la
fuoriuscita dell’acqua da un rubinetto si applica la normativa civilistica della negitiorum gestio, e il fatto quindi è giustificato dall’esercizio della
facoltà di gestire utilmente gli affari di un terzo.

2) L'ESERCIZIO DI UN DIRITTO
Art. 51 c.p. " L'esercizio di un DIRITTO esclude la punibilità".

Il suo FONDAMENTO risiede nel principio di non contraddizione: se l'ordinamento riconosce al soggetto la possibilità di
agire in un certo modo, è evidente che la sua condotta non può costituire un fatto illecito .
La punibilità è esclusa in quanto l'esigenza di coerenza e unità dell'ordinamento impone di considerare lecito un
comportamento che, pur essendo riconducibile al tipo di un reato, è al tempo stesso espressamente facoltizzato da
una diversa norma dell'ordinamento.

ELEMENTI COSTITUTIVI di tale scriminante sono:

 esistenza di un diritto
 fonte del diritto scriminante
 titolarità del diritto
 limiti all'esercizio del diritto
L'espressione ”DIRITTO” comprende

o non solo i diritti soggettivi in senso stretto, o ma anche qualunque facoltà legittima di
agire, riconosciuta dall'ordinamento (es. la
libertà di manifestazione del pensiero ex art. 21 Cost

FONTI
La fonte del diritto scriminante, secondo la dottrina prevalente può essere la più varia (legge, regolamento,
provvedimento giurisdizionale, contratto), perché le cause di giustificazione, non soggiacciono al principio della riserva
di legge statale.

Facoltà di agire rilevanti ex art. 51 c.p. possono derivare :


84
 da norme costituzionali (diritto di  da norme di fonte
sciopero, libertà di manifestazione del  comunitaria, da leggi
pensiero ecc.),  regionali, da una
 da norme di legge ordinaria, consuetudine.

Tra le FONTI del diritto scriminante non può annoverarsi

 il provvedimento amministrativo:
- se il provvedimento autorizza un’attività - se invece una norma minaccia una pena
vietata dalla legge penale, trattandosi di un nei confronti di chi svolga una
provvedimento illegittimo il giudice è determinata attività, in assenza di un
provvedimento amministrativo ad es.
tenuto a disapplicarlo pronunciando
opere edilizie in assenza di concessione, chi
sentenza di condanna.
svolga quelle determinate attività in
presenza di autorizzazione è giustificato
e non realizza alcun fatto penalmente
rilevante, il provvedimento non gli
attribuisce alcuna facoltà legittima di
agire , ma rileva solo come elemento
negativo del fatto.

85
Il diritto deve essere esercitato dal suo titolare.
Se si tratta di un diritto non personale è ammesso l'esercizio per il tramite di un rappresentante, al quale si estenderà la
scriminante in esame.

Limiti del diritto scriminante: per stabilire se un fatto penalmente rilevante è lecito perché commesso nell'esercizio di
un diritto (ex art. 51 c.p.), è necessario accertare previamente se tra le facoltà costitutive di tale diritto rientri proprio la
specifica azione od omissione realizzata dall'agente.
ES. tra le facoltà ricomprese nella libertà di manifestazione del pensiero rientra il diritto di cronaca giudiziaria in capo al giornalista: sarà quindi lecita
la narrazione fedele da parte del giornalista del contenuto delle dichiarazioni rese dai testimoni, imputati, periti nel corso di un procedimento
penale, anche se ciò comporta una lesione dell'altrui reputazione, integrando gli estremi di un fatto di diffamazione (art. 595 c.p.).

L’esercizio del diritto può essere effettuato entro i limiti posti dall'ordinamento, che possono essere:

 limiti intrinseci: sono quelli desumibili dalla natura o dal fondamento del diritto esercitato (per esempio il potere di
distruggere la cosa propria incontra come limiti intrinseci quelli fissati dal codice penale (arti 423 co 2) secondo cui è punito chi incendia
la cosa propria se dal fatto deriva pericolo per l'incolumità pubblica).
 I limiti estrinseci si ricavano dal complesso dell'ordinamento giuridico (compreso quello penale) e consistono nel
salvaguardare i diritti o interessi che abbiano valore uguale o addirittura maggiore di quello del cui esercizio si discute.
Così ad esempio un diritto che trova la sua fonte in una legge ordinaria non può mai ledere il diritto tutelato a livello costituzionale; allo
stesso modo i diritti garantiti dalla stessa costituzione trovano un limite negli altri diritti costituzionalmente garantiti.
La rilevanza oggettiva delle cause di giustificazione stabilita dall'art. 59.1 c.p. comporta che, il fatto resta lecito, in
quanto realizzato nell'esercizio di un diritto, qualunque sia il fine, magari eticamente riprovevole, che ha in concreto
animato il soggetto nell'esercizio del suo diritto
(es. gettare discredito su un avversario politico in piena campagna elettorale).

Tuttavia in talune ipotesi la legge attribuisce il diritto, a condizione che, l'agente non sia animato da una certa finalità
illecita. Ad es. gli atti emulativi nel diritto di proprietà..

Ipotesi di diritti scriminanti:

la libertà di manifestazione del pensiero: questo diritto di libertà comprende


 sia la manifestazione di opinioni: il diritto ex art. 21 Cost copre anche manifestazioni di opinioni non
argomentate nè motivate, e magari formalmente scorrette (lesive, offensive dell'altrui reputazione).
 sia la narrazione di vicende e fatti: la giurisprudenza ritiene che gli eventuali contenuti offensivi della
reputazione siano giustificati solo in quanto rispondono a verità che deve essere oggettiva (è inoltre
necessario un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti riferiti dal giornalista e la correttezza del
linguaggio usato in relazione alle modalità espositive della notizia c.d. continenza).

il diritto di sciopero: in seguito agli interventi della Corte Costituzionale, conservano rilevanza penale
soltanto lo sciopero per fini non contrattuali e la coazione alla pubblica autorità mediante sciopero,
limitatamente all'ipotesi in cui siano diretti a sovvertire l'ordinamento costituzionale. L’art 340 c.p.
reprime l’interruzione di un servizio di pubblica necessità.

3) L'ADEMPIMENTO DI UN DOVERE ART. 51 CP


La RATIO della esimente si individuata nel principio di non contraddizione: l'ordinamento non può infatti
imporre un certo comportamento e allo stesso tempo vietarlo.
Ha in comune con l'esimente dell'esercizio del diritto il fatto di consistere in un comportamento ammesso
dalla legge; tuttavia mentre l'esercizio del diritto suppone una possibilità di scelta di agire o meno,
l'adempimento del dovere presuppone che il comportamento sia imposto al soggetto

86
FONTI

A. L'adempimento di un dovere IMPOSTO DA UNA NORMA GIURIDICA.


B. L'adempimento di un dovere IMPOSTO DA UN ORDINE DELLA PUBBLICA AUTORITÀ

L'adempimento di un dovere IMPOSTO DA UNA NORMA GIURIDICA

Art. 51 c.p.: "L'adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica... esclude la punibilità".

Le norme giuridiche che impongono un dovere scriminante possono promanare

§ dalla legge o
§ atti aventi forza di legge,
§ ma anche da fonti sub-legislative (es. regolamento).
Si può per altro profilare un conflitto di doveri, quando lo stesso ordinamento

 vieta sotto minaccia di pena, la realizzazione  e al tempo stesso, ne impone la di un


fatto, realizzazione.
Tale conflitto va risolto individuando il dovere prevalente e l’adempimento di tale dovere renderà lecita la
realizzazione del dovere soccombente.
ES. art.605 c.p. sequestro di persona che vieta di privare taluno della libertà personale e l’art 380 c.p.p. che impone all’ufficiale di polizia giudiziaria il
dovere di privare della libertà personale chi è colto in flagranza di un delitto doloso di una certa gravità procedendo al suo arresto.

CASO WELBY, è stato ritenuto giustificato un fatto di omicidio del consenziente commesso a seguito di un esplicito
rifiuto di cure da parte del paziente, in quanto secondo il Tribunale di Roma il medico aveva adempito un dovere
discendente dall’art. 32 della Cost. nessuno è obbligato a trattamenti sanitari contro la propria volontà..

Spesso il dovere prevalente viene individuato attraverso IL CRITERIO DELLA SPECIALITÀ e, quando non sussiste un
rapporto di specialità tra le norme in conflitto, la prevalenza spetterà al dovere, il cui adempimento soddisfa un
interesse di rango superiore.
Es. tra l’art. 380 c.p.p , che è speciale rispetto all’art. 605 c.p. in quanto ricomprende tutti gli elementi del reato costitutivi del
sequestro di persona e in più elementi specializzanti sulla qualità del soggetto attivo , l’ufficiale di polizia giudiziaria.
Tra il divieto di diffamazione art. 595.c.p e l’obbligo del testimone di riferire fatti di cui è a conoscenza prevale il secondo , quello
della corretta decisione giudiziale.

L'adempimento di un dovere imposto da un ordine della pubblica autorità


Secondo il disposto dell'art. 51 c.p., un dovere il cui adempimento rende lecita la realizzazione di fatti penalmente
rilevanti può derivare, oltre che da una norma giuridica, anche da "un ordine legittimo della pubblica autorità", in
quanto l’esecuzione dell’ordine legittimo è l’esecuzione di una norma giuridica.

Tale ordine deve essere LEGITTIMO

 sia formalmente e lo sarà quando concorrono 3 requisiti:


 la competenza dell'organo ad emanarlo
 la competenza del destinatario ad eseguirlo,
 il rispetto delle procedure e formalità di legge previste per la sua emissione
es. l’ordine di custodia cautelare in carcere è formalmente illegittimo quando è emanato dal gip, rivolto ad ufficiale di polizia giudiziaria e adottato
nelle forme dell’ordinanza;

87
 sia sostanzialmente cioè quando esistono i presupposti richiesti dalla legge per la sua emanazione.
Es .l’ordine di custodia cautelare è sostanzialmente legittimo quando sussistono gravi indizi di colpevolezza, vi è pericolo di inquinamento
delle prove, e ogni misura diversa dalla custodia cautelare risulti inadeguata .

La RESPONSABILITÀ di chi emana e di chi esegue un ordine illegittimo co. 2 e 3

 Art. 51. 2 c.p. " Se l'ordine è illegittimo, la responsabilità del reato ricade sempre sul pubblico ufficiale che
lo ha impartito “..
 Art. 51. 3 c.p. ma "risponde del reato altresì chi ha eseguito l'ordine”
TRANNE CHE in 2 casi
1. quando per errore sul fatto abbia ritenuto di obbedire a un ordine legittimo
ad esempio un soldato, credendo che sussista ancora lo stato d'assedio in una città, obbedisce all'ordine del
suo ufficiale di sparare contro alcuni passanti; non risponderà del reato a causa dell'errore sul fatto

2. ordini illegittimi insindacabili Art. 51 Co 4 c.p. "Non è punibile chi esegue l'ordine
illegittimo, quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità
dell'azione".
Si fa qui riferimento ai rapporti di subordinazione di natura militare o assimilati (es.:
agenti di polizia, pompieri ecc.):
Tali soggetti hanno il dovere di eseguire gli ordini emanati dai superiori, PURCHÉ NON SI TRATTI:

di un ordine formalmente illegittimo; di un ordine manifestamente criminoso (cioè non deve trattarsi di un
ordine "manifestamente rivolto contro le istituzioni dello Stato o la cui esecuzione costituisce manifestamente
reato"; di un ordine del cui carattere criminoso il subordinato sia personalmente a conoscenza.
In questi tre casi, l'inferiore non è più vincolato alla pronta obbedienza ma ha il diritto-dovere di opporre un rifiuto.

In tutti gli altri casi, l'esecuzione degli ordini da parte del militare o dell'appartenente alla polizia di Stato non potrà
ritenersi antigiuridico, costituendo l'oggetto di uno specifico dovere dell'agente:
e tale dovere opererà come causa di giustificazione, fondata sulla prevalenza dell'interesse ad un pronto
adempimento degli ordini dei superiori rispetto agli interessi tutelati dalle norme incriminatrici di volta in volta violate.

Si tratta di una causa di giustificazione 'personale', nel senso che la liceità riguarda la condotta del solo subordinato e
non si estende né a chi ha emanato l'ordine, né al terzo che spontaneamente cooperi alla commissione del fatto da
parte del subordinato.

4) LA LEGITTIMA DIFESA ART. 52 CP


Art. 52. 1 c.p. "Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere
un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta, sempre che la difesa sia
proporzionata all'offesa".
E’ una DEROGA all’uso del monopolio della forza da parte del potere statale.

Notiamo, quindi, che l'ordinamento attribuisce al cittadino la facoltà legittima di autotutelare i propri
diritti, o di terzi, quando corrano il pericolo di essere ingiustamente offesi da terzi e lo Stato non sia in
grado di assicurare una tempestiva ed efficace tutela attraverso i suoi organi.

88
I presupposti della legittima difesa

§ La NOZIONE DI PERICOLO coincide con quella dei reati di pericolo concreto.


Il giudice deve compiere una prognosi postuma in concreto: deve cioè accertare se al momento
del fatto - tenendo conto di tutte le circostanze esistenti in quel momento - vi era la probabilità del verificarsi di
un'offesa a un diritto dell'agente o di un terzo, probabilità che andrà accertata utilizzando tutte le leggi
scientifiche o le massime di esperienza disponibili al momento del giudizio
ad es. un gruppo di persone si avventa contro una ragazza che percorre una strada di periferia e le strappa i vestiti di dosso
per poi passare a uno stupro di gruppo , hanno operato un pericolo in concreto della libertà sessuale della donna; ma se si
limitassero a fare pesanti apprezzamenti, e quest’ultima supponendo erroneamente che a questi ne segue uno stupro,
estrare un’arma ferendo uno dei supposti aggressori, non ha agito nello stato di legittima difesa!

§ La FONTE DEL PERICOLO: deve scaturire da una condotta umana, si tratti di un'azione o di un'omissione.
Quanto all'OMISSIONE potrà rilevare:

o l'omesso impedimento di un
evento lesivo (Art. 40. 2 c.p.): il
mancato attivarsi, per es., da
parte di chi aveva l'obbligo di
controllare una fonte di
pericolo per impedire il
prodursi di eventi lesivi
(es., sarà lecito costringere con la
minaccia o con la forza il casellante ad
azionare i meccanismi necessari per
abbassare le sbarre e quindi sarà
giustificata la commissione di un fatto
di violenza privata);
o le omissioni costitutive di reati
omissivi propri
(es. omissione di soccorso) quando si violi il dovere
giuridico di rimuovere un pericolo
incombente su un diritto individuale
(per esempio, se un automobilista, trovandosi in
presenza di un ferito, si astenga dal prestargli
l'assistenza, cioè trasportarlo in ospedale, sarà lecito
costringerlo con minacce o con la forza al soccorso).

89
Perché la legittima difesa sia possibile è necessario il requisito dell'antigiuridicità dell'offesa: non ci si potrà quindi
difendere di fronte a pericoli creati (da terzi) nell'esercizio di una facoltà legittima o nell'adempimento di un dovere
giuridico.
La legittima difesa è invocabile anche

 contro condotte realizzate senza dolo o senza colpa, 
LA NECESSITÀ
 ovvero realizzate da un soggetto non imputabile (infermo) o non punibile.
"l'agente dev'essere stato costretto dalla necessità di

§ L'ATTUALITÀ DEL PERICOLO il


pericolo non è attuale quando:
 è ormai passato,  si tratti di un pericolo futuro:
 o perchè si è tradotto in non è dunque consentita la difesa danno, preventiva nei
confronti di pericoli
 o perché è stato che non sono ancora sorti, ma che si definitivamente profileranno solo a
distanza di neutralizzato tempo.
 o si è altrimenti dissolto.

La formula "PERICOLO ATTUALE" abbraccia invece sicuramente due classi di ipotesi.

A. In primo luogo, quelli in cui la verificazione dell'offesa sia temporalmente imminente.


B. In secondo luogo, è attuale il pericolo perdurante, cioè quando l'offesa è già in atto, ma
ancora non si è esaurita.
Nel caso il pericolo non sia nè imminente, nè perdurante, ma sia necessario agire subito “ora o mai più” come nei reati
abituali nel caso dei maltrattamenti in famiglia, in tal caso la giurisprudenza nega la scriminante della legittima difesa, in
quanto ci si può tutelare denunciando alla polizia.

§ L'OFFESA INGIUSTA A UN DIRITTO PROPRIO O ALTRUI.


OGGETTO del pericolo rilevante ex art. 52.1 c.p. deve essere un'offesa ingiusta ad un diritto dell'agente o di
un terzo.
L'espressione diritto abbraccia qualsiasi interesse individuale espressamente tutelato dall'ordinamento: diritti
della personalità, diritti patrimoniali ecc..
Titolare del diritto patrimoniale può essere non solo una persona fisica, ma anche una persona giuridica
privata o pubblica.
Es.i beni collettivi nonsono suscettibili di legittima difesa, come per es.i beni a titolarità diffusa(ambiente , fede pubblica)né i beni
istituzionali(pubblica amministrazione).
L’offesa deve essere ingiusta, quindi antigiuridica ed è irrilevante il carattere punibile o colpevole della condotta che
ha creato il pericolo. la legittima difesa è invocabile anche contro condotte realizzate senza dolo e senza colpa.

I requisiti della difesa


difendersi".
Ciò significa che: il pericolo non poteva
essere neutralizzato
né da una condotta alternativa lecita,
né da una condotta meno lesiva di
quella tenuta in concreto.
A) Quindi, bisogna che l'agente non
avesse altra via per sventare il pericolo, e
non avesse la possibilità di difendere il

90
bene senza commettere un fatto penalmente Oltre che necessaria, la difesa dev'essere
rilevante. "proporzionata all'offesa". In questo modo,
La difesa non è necessaria quando sia possibile l'art. 52. 1 c.p. impone una valutazione
un commodus discessus, quando cioè la persona comparativa tra il bene dell'aggredito
minacciata nei propri diritti possa sottrarsi al esposto a pericolo e il bene dell'aggressore
pericolo senza esporre a rischio la sua integrità sacrificato dalla azione difensiva.
fisica (es. tramite la fuga). Ciò che si richiede non è la prevalenza del
bene difeso rispetto a quello sacrificato, né
B) Quando non ci sia la possibilità di l'equivalenza tra i due beni: l'aggredito può
neutralizzare il pericolo attraverso una condotta ledere un bene anche di rango superiore,
alternativa lecita, può accadere che il pericolo
sempre che il divario di valore tra i due beni
possa essere sventato attraverso una serie di
non sia eccessivo.
fatti penalmente rilevanti tutti egualmente
efficaci. In tal caso la condotta difensiva adottata (Così, per ESEMPIO, la donna che sta per subire uno
in concreto, debba essere la meno lesiva tra stupro può ben difendere la propria libertà sessuale
anche a costo di uccidere l'aggressore: ciò in quanto la
quelle praticabili.
libertà sessuale e sì bene di rango inferiore, ma non
eccessivamente inferiore rispetto al bene della vita. Per
contro, colui che sta per subire un furto non può
impedirlo uccidendo il ladro, poiché il divario di valore
tra il bene patrimonio e il bene vita è così rilevante da
rendere sproporzionata la difesa del primo bene a
sacrificio del secondo).
LA PROPORZIONE

La legittima difesa nel domicilio e negli esercizi commerciali

La legge 13 febbraio 2006 n. 59 ha inserito i commi 2 e 3 all'art. 52 c.p. dedicati ad ampliare i limiti della legittima
difesa per i casi in cui il fatto venga posto in essere nel domicilio, o in altri luoghi di privata dimora, o, ancora, nei
luoghi in cui venga esercitata una attività commerciale, professionale o imprenditoriale.

- co2 : "Nei casi previsti dall'articolo 614, primo comma e secondo comma, sussiste il rapporto di proporzione
di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un'arma
legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:

a) la propria o l'altrui incolumità; b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza


(volontaria intenzione dell'attività criminosa da parte del
reo) e vi è pericolo d'aggressione.

- co 3 : "La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all'interno
di ogni altro luogo ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale".

L’applicazione di tale disciplina presuppone che vi sia stata una violazione di domicilio, il delitto di violazione di
domicilio deve essere stato consumando non rilevando un tentativo.

L'aspetto più rilevante della disciplina contenuta nell'art 52 co. 2 e 3 c.p. riguarda il requisito della proporzione. La
legge stabilisce infatti una presunzione assoluta di proporzione tra il bene messo in pericolo e il bene leso dalla
reazione difensiva.
E questa presunzione assoluta di proporzione opera anche quando chi si difende usa un'arma.
Ne segue che il fatto posto in essere in difesa della propria o dell'altrui incolumità è giustificato, qualunque sia l'entità
del pericolo per l'incolumità, anche se chi si difende con un'arma o altro mezzo provoca la morte dell'aggressore.
Anche nel quadro di questa nuova disciplina permane, d'altra parte,
il limite della necessità della difesa: per l'aggressore.
 bisogna cioè, primo luogo, che la persona
non possa difendere il bene
minacciato attraverso un
comportamento penalmente Un ulteriore limite è rappresentato dal venir irrilevante, ma
egualmente efficace meno del pericolo inizialmente creato:
91
per la difesa; bisogna che il potenziale ladro non abbia
 se non esiste un'alternativa lecita,
desistito dall'esecuzione del
reato. bisogna che la difesa venga
L’altro requisito è che
l’arma usata per la realizzata nella
forma meno lesiva difesa sia
legittimamente detenuta.

( Abitazione: è il luogo dove normalmente la persona conduce vita domestica.


Luogo di privata dimora: è il luogo in cui si svolge qualsiasi attività della vita privata che debba esplicarsi fuori dalle ingerenze
altrui, camera d'albergo, studio professionale, cabina del vagone letto o della nave ecc.;
Appartenenze: sono i luoghi aventi natura accessoria rispetto a quelli di privata dimora in quanto ne migliorano il godimento o
il servizio: garage, cantine, fienili ecc.]

5) L'USO LEGITTIMO DELLE ARMI ART. 53


Art. 53 co 1 c.p. 1° PARTE "Ferme le disposizioni degli artt. 51 e 52 (tale clausola di riserva implica che tale esimente abbiano
non è punibile il
natura sussidiario, essendo invocabile solo qualora difettino i presupposti della legittima difesa e dell'adempimento del dovere)
pubblico ufficiale che, al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso ovvero ordina di far uso delle armi o di un
altro mezzo di coercizione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una
resistenza all'Autorità"…..

Si tratta di una ESIMENTE PROPRIA nel senso che possono invocarla solo i PUBBLICI UFFICIALI, tra i cui doveri
istituzionali rientra l'uso della coercizione fisica diretta con armi o con altri mezzi, definita forza pubblica.
Essa ricomprende: gli ufficiali e gli agenti della Polizia di Stato, dell'Arma dei Carabinieri della Guardia di Finanza.

Condizioni per l'applicazione

E’ necessario che il pubblico ufficiale agisca "al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio". Questa
previsione, oltre a determinare la gamma dei soggetti legittimati all'uso delle armi, esprime la necessità
che l'uso delle armi sia oggettivamente rivolto a raggiungere lo scopo per il quale è concesso e avvenga
entro i limiti, anche temporali, in cui il pubblico ufficiale esercita le sue funzioni; sono invece irrilevanti le
motivazioni personali dell'agente, che eventualmente coesistano nel caso concreto con il fine
istituzionale.
ES. l’ufficiale che è fuori servizio non agisce per adempiere un dovere del proprio ufficio

necessità: l'uso delle armi dev'essere necessario.


Quindi:
a) l'uso delle armi non è consentito quando il pubblico ufficiale può respingere la violenza o vincere la
resistenza all'Autorità con mezzi diversi da quelli di coazione fisica (es. dialogando);
b) tra i diversi mezzi di coazione, tutti egualmente efficaci, l'agente deve scegliere il meno lesivo, e tale
necessita deve esser ispirata da un atto di…

….violenza: dev'essere in atto una violenza o una resistenza nei confronti dell'Autorità.

92
L'ipotesi della violenza ricorre quando taluno, per impedire o ostacolare l'attività pubblica, faccia uso di
qualsiasi forma di energia fisica (es. un lancio di pietre) che cada sulle persone, ledendone l'integrità o la salute,
ovvero sulle cose, distruggendole o rendendole in tutto o in parte inservibili.
Di resistenza si parla in relazione alle sole ipotesi di resistenza attiva, cioè quelle in cui la resistenza non si
limita all'inerte impedimento fisico dell'attività pubblica né consiste nel mero allontanamento dal luogo in cui
la pubblica autorità abbia intimato difermarsi:
- es. resistenza attiva: una "marcia" - resistenza passiva è per es quella
compatta per superare uno sbarramento dell’ord. Penitenziario quando si
posto dalla polizia a protezione di un autorizza il personale a far uso della
edificio ove si stia svolgendo una forza fisica.
riunione tra rappresentanti di vari Stati.

proporzione: si tratta di stabilire caso per caso se l'interesse pubblico che la coazione amministrativa mira ad
affermare, sia prevalente rispetto all'interesse individuale sacrificato; il limite della proporzione si ricava
dall’interpretazione della Cost. all’art.97 (principio di imparzialità) al quale la pubblica amm. deve ispirare la
sua attività, e quindi di conseguenza, agli agenti di polizia, di tenere conto di tutti gli interessi in gioco.

93
L'uso delle armi per impedire la consumazione di gravissimi delitti

art. 53. 1 c.p. 2° PARTE prevede la non punibilità dell'agente quando vi sia costretto dalla necessità "di impedire la
consumazione dei delitti di strage, di naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio
volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona".

La RATIO di questa nuova scriminante è di imporre alla forza pubblica l'uso della coercizione fisica, fino al limite delle
armi, come strumento di tutela di una varietà di beni - incolumità pubblica, vita, patrimonio e libertà morale, libertà
personale - offesi da alcune tipologie di delitto doloso.
Non vi è l’esigenza di respingere una resistenza all’autorità!

Questa figura di uso legittimo delle armi sottostà ad UN TRIPLICE LIMITE:

1. necessità: l'uso delle armi dev'essere necessario, quindi non è consentito quando si possa impedire la
consumazione di quei delitti con mezzi diversi (es., intavolando una trattativa con i rapitori di una banca o con gli autori di un
sequestro di persona) e tra i diversi mezzi di coazione, tutti egualmente efficaci, l'agente deve scegliere il meno
lesivo;
2. proporzionalità: la legittimità della coazione fisica è subordinata al bilanciamento di tutti gli interessi in
gioco: su di un piatto dev'essere posto il bene messo in pericolo da chi sta tentando di realizzare uno dei
delitti contemplati dalla norma, mentre nell'altro piatto vanno collocati, oltre al bene della vita o dell'integrità
fisica di chi sta commettendo uno di questi delitti, (anche) i beni della vita dei singoli o della molteplicità di
persone innocenti che possono essere lesi dall'uso delle armi ( quindi, es. non si può sparare al sequestratore se si pone in
pericolo la vita del sequestrato);

3. momento: (il momento in cui può essere impedita la consumazione) è quello in cui (esauriti gli atti preparatori e iniziata
l'esecuzione del reato) già sussistono gli estremi del tentativo .

Le ipotesi di uso legittimo delle armi previste dalle leggi speciali

Si tratta delle leggi speciali alle quali fa rinvio l'art. 53 co 3 c.p. : "La legge determina gli altri casi nei quali è autorizzato
l'uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica".

La legge 4 marzo 1958 n. 100 in materia di REPRESSIONE DEL CONTRABBANDO afferma:


“i militari, gli agenti e gli ufficiali di polizia giudiziaria addetti alla repressione del contrabbando nelle zone di frontiera,
possono fare uso delle armi quando :

§ il contrabbandiere sia palesemente armato,


§ o il contrabbando sia compiuto di notte,
§ o i contrabbandieri agiscano in gruppo di almeno tre persone,
§ o anche quando il contrabbandiere si dia alla fuga a meno che non abbandoni il carico”
In tutti questi casi, tali soggetti possono fare inoltre uso delle armi contro gli autoveicoli, quando il conducente non
ottemperi all'intimazione di fermo e non vi sia la possibilità di raggiungerlo.
NB: ( vi è l'autorizzazione di un'attività pericolosa per la vita dei conducenti o di terzi che invece non è consentita nelle
ipotesi disciplinate in via generale dall'art. 53)!

Altre ipotesi speciali di uso legittimo delle armi riguardano: la vigilanza interna ed esterna degli istituti penitenziari e i
passaggi abusivi di frontiera.

6) LO STATO DI NECESSITÀ ART. 54 CP


Art. 54 c.p.:

94
co 1 "Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvar sé od altri dal pericolo
attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre
che il fatto sia proporzionato al pericolo".

Co 2 "Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo".

Co 3 "La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessità è determinato
dall'altrui minaccia; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l'ha costretta a
commetterlo".

FONDAMENTO dello stato di necessità è il principio di bilanciamento degli interessi: poiché uno degli interessi è
destinato a soccombere, l'ordinamento non esprimere alcuna preferenza, purché l'interesse sacrificato sia di rango
inferiore o almeno equivalente rispetto a quello salvato.

Presupposti dell'azione di salvataggio:

 SITUAZIONE DI PERICOLO:
 pericolo attuale e non volontariamente causato art. 54 co 1 e 2 (pericolo imminente e perdurante)
(es non potrà invocare tale scriminante ,l'autista, che investe un pedone per aver violato le norme della circolazione stradale);

 danno grave alla persona deve essere oggetto del pericolo (ad es. la vita l’integrità fisica, libertà
personale o sessuale, anche beni collettivi come l’incolumità pubblica) (ad esclusione di beni individuali che non
hanno carattere personalissimo come ad es i beni patrimoniali o istituzionali).
ES. la c.d. necessità abitativa invocata da autori di invasione di ediefici è stata ricondotta dalla giurisprudenza come scusante
in quanto l’occupazione di un alloggio quando l’agente sia costretto dalla necessità di salvare se stesso o un membro della famiglia dal pericolo di un
danno grave alla salute connesso al permanere in un abitazione malsana perché per es. pericolante , ciò che veniva in rilievo non era il diritto
all’abitazione ma all’integrità fisica. Requisiti dell'azione di salvataggio:

 AZIONE LESIVA NECESSITATA:


 necessità dell'azione: ciò comporta l'assenza di alternative lecite o meno lesive egualmente efficaci
per neutralizzare il pericolo;
 inevitabilità del pericolo richiede che il pericolo non sia altrimenti evitabile: ciò vuol dire che deve
trattarsi di un pericolo evitabile solo attraverso una condotta penalmente rilevante
 proporzionalità tra fatto e pericolo: il fatto penalmente rilevante sia proporzionato al pericolo
sventato con la commissione del fatto: secondo una valutazione comparativa, tra il bene personale
esposto a pericolo, e il bene dell'innocente sacrificato dall'azione di salvataggio.
Ciò che si richiede non è necessariamente la prevalenza del bene salvato rispetto a quello
sacrificato, né la equivalenza dei due beni: quindi si può sacrificare un bene anche di rango superiore
rispetto al bene in pericolo che viene salvato, sempreché il divario di valore tra i due beni non sia
eccessivo (quindi, es. la proporzione può sussistere anche nel fatto di chi uccide per salvare il bene della libertà personale)
 La costrizione : il soggetto deve essere costretto dalla necessità di commettere il fatto
penalmente rilevante.
Vi sono due letture del termine costrizione:
- oggettiva impossibilità di salvare il bene in pericolo senza sacrificare il bene di un terzo
innocente:v iene messo in risalto un mero bilanciamento di beni in conflitto che porterebbe
ad inquadrare lo stato di necessità tra le CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE.
-
esclusione o restrizione della libertà di agire, causata da un effettivo turbamento
psicologico in chi commette il fatto.
Tale definizione porta invece ad inquadrare lo stato di necessità tra le SCUSANTI, cioè tra le
ipotesi nelle quali la ragione della non punizione sta nell'assenza di colpevolezza di chi abbia
agito sotto l'influenza di una pressione psicologica che, per il legislatore, rendeva inesigibile
un comportamento rispettoso della legge penale.
Prevale, comunque, tale seconda lettura che, appunto, nella lettura del requisito della costrizione dà risalto al
turbamento motivazionale dell'agente.
95
Da tale ricostruzione, deriva un importante conseguenza in tema di “SOCCORSO DI NECESSITÀ”, cioè nei casi in cui
l'agente commetta un fatto penalmente rilevante per salvare "ALTRI" dal pericolo attuale di un danno grave alla
persona: potrà essere scusato il soccorso del terzo solo in quanto, la rappresentazione del pericolo che incombeva su
di lui, abbia prodotto un effettivo turbamento del processo motivazionale dell'agente, il che, potrà accadere quando il
terzo sia

 il coniuge,
 il figlio
 o un altro prossimo congiunto,
 o altre persone vicine all'agente, come il convivente, il fidanzato, l'amico fraterno ecc..
Dall'inquadramento dello stato di necessità tra le scusanti, oltre alla necessaria conoscenza del pericolo e al
conseguente effetto di costrizione psicologica, deriva ancora la possibilità di esercitare la legittima difesa contro chi
agisce in stato di necessità (trattandosi di un fatto ingiusto e solo scusato).
Inoltre lo stato di necessità potrà essere applicato ai concorrenti nella realizzazione del fatto di reato, solo se si
accerti ,in relazione ad ogni singolo concorrente, la consapevolezza del pericolo e l'effetto di coazione psicologica.

Lo stato di necessità non è una causa di giustificazione bensì una scusante.

 Causa di giustificazione: facoltà legittima, il cui esercizio rende lecita la commissione di un fatto penalmente
rilevante. In essa è la legge ad imporre un determinato comportamento (appunto,penalmente rilevante).
 Scusante: ipotesi in cui l'ordinamento ritiene che non si possa muovere un rimprovero a chi ha commesso un
fatto antigiuridico (commesso cioè in assenza di scriminanti) avendo agito sotto la pressione psicologica (turbamento
motivazionale) di una circostanza che rendeva inesigibile l'astensione da quel fatto.

Il particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo.

La legge esclude che possa essere applicato lo stato di necessità a chi ha un "particolare dovere giuridico di esporsi al
pericolo" (es. vigili del fuoco, bagnini, guardie del corpo...), sempre a condizione che, l'agente si trovi ad affrontare un mero
pericolo, e non la prospettiva di una morte certa.
( Ad esempio quindi non potrà invocare la scriminante il comandante della nave che, per mettersi in salvo sull'unica scialuppa rimasta, sacrifichi la
vita di un passeggero;
oppure il delinquente che, nel corso di una rapina, si faccia scudo di un passante per sottrarsi ai colpi esplosi dei poliziotti.)

DIFFERENZA TRA LEGITTIMA DIFESA E STATO DI NECESSITA’:

§ Ha un imputazione oggettiva la legittima difesa in quanto causa di giustificazione.


§ Ha un imputazione soggettiva lo stato di necessità in quanto scusante(vi è un effettivo turbamento
motivazionale dell’agente).

Capitolo 8 – La colpevolezza
1. La colpevolezza: nozione, fondamento e rilevanza costituzionale
Perché sia legittimo il ricorso alla sanzione penale, non basta che sia commesso un fatto (un’offesa ad uno o a più beni
giuridici), né basta che la realizzazione del fatto sia antigiuridica (cioè, non autorizzata od imposta da un’altra norma
giuridica): occorre anche che la commissione del fatto antigiuridico possa essere personalmente rimproverata
all’autore, occorre cioè che questo gli appartenga psicologicamente: occorre che sussista non solo un nesso causale
tra condotta ed evento, ma anche un nesso psichico tra l’agente e il fatto criminoso, affinché quest'ultimo possa
96
considerarsi opera di costui; si parla in proposito di PRINCIPIO DI SOGGETTIVITÀ DEL FATTO, espresso dall'antico
brocardo “ nullum crimen, nulla poena sine culpa” .
I criteri sui quali si può fondare quel rimprovero personale sono compendiati,

- nel linguaggio della dottrina, sotto la formula “COLPEVOLEZZA”,


- e nel linguaggio della Costituzione sotto la forma “RESPONSABILITÀ PERSONALE” (27.1 Cost.).

Nella sentenza 24 marzo 1988 n. 364, la giurisprudenza della Corte Costituzionale ha segnato una svolta storica: la Corte ha
riconosciuto espressamente che “RESPONSABILITÀ PENALE”, a norma del 27.1 Cost., è sinonimo di “RESPONSABILITÀ PER
UN FATTO PROPRIO COLPEVOLE”: la colpevolezza cioè riguarda l'atteggiamento psichico antidoveroso nei confronti del
singolo fatto, dovendosi rimproverare all’agente un fatto compiuto con un certo grado di partecipazione psichica.

 Nella sentenza La Corte ha messo in risalto l’esigenza di interpretare l’espressione “responsabilità personale”
alla luce della FUNZIONE RIEDUCATIVA assegnata alla pena dal 27.3 Cost.: Collegando il 1° al 3° co. dell'art. 27
cost. si
scopre che, comunque si intenda la funzione rieducativa della pena, essa presuppone almeno la colpa dell’agente in relazione agli
elementi più significativi della fattispecie tipica. Dunque non avrebbe senso la rieducazione di chi,
non essendo almeno in colpa (rispetto al fatto), non ha bisogno di essere rieducato!
Di conseguenza la dottrina desume l'illegittimità dell'ipotesi di responsabilità per fatto altrui, cioè quella in cui un
soggetto chiamato a rispondere penalmente di un fatto commesso da altra persona, senza aver dato alcun contributo
causale al suo verificarsi!

 Vi è poi un collegamento stabilito dalla Corte tra il principio di personalità della responsabilità penale ed i

PRINCIPI DI LEGALITÀ ED IRRETROATTIVITÀ DELLA LEGGE PENALE, sanciti nel 25.2 Cost.
Nelle leggi penali il soggetto deve poter trovare in ogni momento cosa gli è lecito e cosa gli è vietato; a questo fine sono necessarie
leggi precise, chiare, contenenti riconoscibili direttive di comportamento.

Il principio di colpevolezza (ovvero di personalità della responsabilità penale) si contrappone

- alla RESPONSABILITÀ OGGETTIVA (responsabilità per un fatto proprio, ma realizzato senza dolo e senza colpa,
quindi incolpevole): nella quale, l'imputazione avviene sulla base del “rapporto di causalità” tra la condotta posta in
essere da un soggetto ed un evento, senza che l'elemento psicologico abbia rilievo, senza cioè che sia provata la
sussistenza della colpevolezza (dolo o colpa);
- alla responsabilità penale di chi abbia commesso il fatto volontariamente o colposamente, ma ignorando
senza colpa l’illiceità penale del fatto;
- alla responsabilità penale accollata a chi abbia agito in situazioni anormali, tali da rendere inesigibile un
comportamento diverso da quello tenuto dall’agente, - ovvero all’incapace di intendere o di volere.
La Corte Costituzionale ha dichiarato (nella sentenza 364/88) l’art. 5 c.p. costituzionalmente illegittimo, nella
parte in cui “non esclude dall’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile”:
conseguentemente “nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale dovuta a colpa”, nel senso
che la responsabilità non si profila quando l'agente, anche usando la dovuta diligenza, non poteva sapere che il fatto
doloso o colposo da lui realizzato, era previsto dalla norma incriminatrice.

Nella sentenza 13 dicembre 1988 n. 1085, la corte ha poi affermato che il principio ispiratore della responsabilità
oggettiva contrasta con il "principio costituzionale di personalità della responsabilità penale": "perché l'articolo 27 1
° co. sia rispettato è indispensabile “che tutti e ciascuno degli elementi che concorrono a contrassegnare il disvalore
della fattispecie, siano soggettivamente collegati all’agente, siano, cioè, investiti dal dolo o dalla colpa.”

La corte costituzionale, dopo il 1988, non ha avuto occasione di pronunciarsi sugli altri due elementi costitutivi della colpevolezza:
97
sulle circostanze anormali concomitanti all'azione e sulla capacità di intendere di volere, quale presupposto indefettibili della
responsabilità penale: peraltro la maggioranza della dottrina sostiene tale inclusione di questi due elementi della colpevolezza.

Nella nostra Costituzione la responsabilità personale (27.1 Cost.) è responsabilità per il fatto commesso (25.2 Cost.):
tutti i criteri sui quali si fonda la colpevolezza dell’agente vanno cioè riferiti e strettamente collegati al singolo fatto
antigiuridico da lui commesso. (Così la rappresentazione e la volizione, necessarie per l'esistenza del dolo devono avere ad oggetto tutti gli
estremi del fatto antigiuridico; la negligenza, imprudenza, imperizia, necessaria per l'esistenza della colpa, devono abbracciare l'intero fatto
antigiuridico, ecc.).
Si porrebbe in contrasto con la Costituzione il legislatore se, nel configurare taluno o tutti i criteri che fondano e graduano la
colpevolezza, si riferisse non già al fatto, nel momento della sua commissione, ma al complesso dei comportamenti antecedenti al
fatto attraverso i quali il soggetto avrebbe colpevolmente plasmato la propria personalità (colpevolezza per la condotta di vita), o si
riferisse al carattere dell’agente (colpevolezza per il carattere).

La colpevolezza può essere intesa:

 in senso psicologico: è il nesso psichico tra l’agente e la condotta che cagiona l'evento.
Il fatto è quindi colpevole quando l’agente lo ha voluto (dolo) oppure quando, pur non avendolo voluto,
avrebbe potuto prevederlo ed evitarlo usando la diligenza (colpa)
 in senso normativo: la colpevolezza si risolve in un giudizio di rimproverabilità per l'atteggiamento
antidoveroso della volontà dell’agente: in questo caso è graduabile in rapporto alla maggiore o minore
antidoverosità della volontà.

Con la formula “colpevolezza” si designa dunque l’insieme dei CRITERI dai quali dipende la possibilità di muovere
all’agente un rimprovero per aver commesso il fatto antigiuridico. Nel diritto vigente tali criteri sono:

 DOLO O COLPA;
 ASSENZA DI SCUSANTI;
 CONOSCENZA O CONOSCIBILITÀ DELLA NORMA PENALE VIOLATA;  CAPACITÀ DI INTENDERE E DI
VOLERE.

Dolo e colpa: rilevanza nei delitti e nelle contravvenzioni

Il criterio di attribuzione della responsabilità richiesto dal legislatore per i DELITTI

 di regola è il DOLO, la forma più grave di responsabilità,


 mentre solo in via di eccezione espressa è la COLPA

Il 42.2 stabilisce infatti che “nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto, se
non l’ha commesso con dolo, salvi i casi di delitto [...] colposo espressamente preveduti dalla legge.”

indifferentemente È diversa invece la disciplina riservata di regola alle CONTRAVVENZIONI, che possono essere
commesse

 sia con DOLO,

 sia per COLPA ( basta cioè la colpa)!

il 42.4 stabilisce infatti che “nelle contravvenzioni ciascuno risponde della propria azione od omissione cosciente
e volontaria, sia essa dolosa o colposa.”

98
 Solo eccezionalmente sono previste contravvenzioni che devono essere necessariamente commesse con
DOLO , come gran parte dei reati societari, o contravvenzioni che devono necessariamente

essere commesse per colpa (ES.: la rovina di edifici o di altre costruzioni da cui sia derivato pericolo alle persone, 676.2).

A questa ipotesi eccezionali fa riferimento l'articolo 43 co 2, quando afferma che

“il dolo e la colpa non sono richiesti solo in astratto per la configurazione di una certa contravvenzione, ma
anche in ogni altro caso in cui l'accertamento che in concreto una data contravvenzione è stata commessa
dolosamente o colposamente, possa produrre un qualsiasi effetto giuridico”.
Tale accertamento inoltre rileva ai fini della commisurazione della pena in quanto, il carattere doloso o colposo
rende la contravvenzione più o meno grave.

Il nostro codice configura 3 distinti atteggiamenti psicologici, attraverso i quali, l'autore del reato può
rapportarsi al reato stesso:

ELEMENTO SOGGETTIVO:

 dolo
 colpa
 preterintenzione

IL DOLO ART.43
La realizzazione con dolo di un fatto antigiuridico comporta la forma più grave di responsabilità penale: il dolo è la
principale forma tipica della volontà colpevole.

Il dolo è il normale criterio di imputazione soggettiva in quanto l'articolo 42 stabilisce che:

"nessuno può essere punito per un fatto previsto dalla legge come delitto se non l'ha commesso con dolo".

Gli altri criteri di imputazione soggettiva (colpa e preterintenzione) operano invece solo nei casi espressamente
previsti dalla legge.

Sotto il profilo oggettivo, la condotta nel delitto doloso, è data da un'azione cosciente e volontaria, diretta alla
realizzazione dell'evento e legata a quest'ultimo da un nesso di causalità.
99
Ciò che caratterizza il delitto omissivo doloso è comunque la direzione dell'azione verso l'evento che è previsto e voluto dall’agente.

Articolo 43 co 1

Elemento psicologico del reato : " il delitto è doloso, o secondo l'intenzione, quando l'evento dannoso o pericoloso, che
è il risultato dell'azione od omissione, e da cui la legge fa dipendere l'esistenza del delitto, è previsto e voluto
dall’agente come conseguenza della propria azione od omissione."

Per quanto riguarda la STRUTTURA DEL DOLO vi sono due teorie e dunque si richiede un DUPLICE COEFFICIENTE
PSICOLOGICO:

 Teoria della rappresentazione: il dolo  Teoria della volontà: (oggi dominante) il dolo consiste nella coscienza
e volontà della consiste nella coscienza e volontà sia nella condotta e nella previsione dell'evento. condotta
sia dell'evento.

la rappresentazione la volizione del fatto antigiuridico


Si rimprovera al soggetto di aver avuto ben chiaro il fatto antigiuridico e di non essersi lasciato trattenere da quella
rappresentazione ammonitrice: ad ESEMPIO il soggetto si è reso conto che accendendo il fuoco avrebbe provocato un incendio, ma non è
stato frenato da questa rappresentazione e dunque ha realizzato il fatto costitutivo del delitto di incendio!
IL DOLO È ESCLUSO quando: per DIFETTO DI RAPPRESENTAZIONE DEL FATTO: l’art.47 esclude il dolo quando “per una falsa

rappresentazione  della realtà o per la difettosa interpretazione di una norma giuridica l’agente è caduto in un errore sul
fatto che costituisce il reato.”
La rilevanza dell'errore sul fatto discende proprio dalla impossibilità che il soggetto venga trattenuto dall'agire, se non si rende conto che quella
piccola fiamma può propagarsi prendendo le dimensioni di un incendio, non si renderà conto a sua volta, di commettere un fatto di incendio.

 L’AGENTE, pur rappresentandosi la realizzazione del fatto, non si renda conto del suo carattere antigiuridico,
perché RITENGA DI AGIRE IN PRESENZA DI UNA CAUSA DI GIUSTIFICAZIONE: il 59.4 stabilisce infatti che “se
l’agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di
lui.
Tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è previsto dalla legge
come delitto colposo.” E’ la cd. CAUSA DI GIUSTIFICAZIONE PUTATIVA

La rilevanza dell'erronea supposizione di agire in presenza di una causa di giustificazione discende dal fatto che non potrà essere
trattenuto dal commettere scientemente perfino un fatto di omicidio, chi per errore, ritenga di trovarsi in presenza di un
aggressore che sta per ucciderlo, e risulti inevitabile l'autotutela della sua vita anche a costo della vita altrui.

Ad ESEMPIO l’agente può ritenere erroneamente, che una persona che gli si avvicina di notte, in una strada buia, si accinga non a chiedergli
un'informazione, bensì ad aggredirlo mettendo a repentaglio la sua vita. Ritenendo perciò di trovarsi nella necessità di difendere la propria
vita, egli colpirà il presunto aggressore cagionandogli lesioni gravissime: queste non saranno giustificate, non ricorrendo gli estremi della
legittima difesa, ma l'erronea supposizione di trovarsi in una situazione, che se fosse esistita realmente, avrebbe integrato gli estremi di quella
causa di giustificazione escluderà il dolo, in quanto ciò che il soggetto si è rappresentato e ha voluto, è un fatto diverso da quello reale che
l'ordinamento considera lecito.

N.B. Altra cosa è invece l'ipotesi in cui l'agente



supponga l'esistenza di una causa di giustificazione non contemplata dall'ordinamento

ovvero ritenga erroneamente che una causa di giustificazione abbia limiti più ampi di quelli previsti dall'ordinamento.

Queste ultime ipotesi, estranee all'art. 59. 4 c.p., sono invece riconducibili alla disciplina dell'art. 5 c.p., trattandosi di errori sulla legge
penale, che rileveranno se e in quanto scusabili, cioè evitabili con la dovuta diligenza.

100
LA SUSSISTENZA DEL DOLO passa attraverso DUE MOMENTI:

1. Momento rappresentativo: occorre che l’agente abbia la visione anticipata di tutti gli elementi del fatto che
costituisce reato.
2. Momento volitivo: occorre che la volontà dell’agente sia rivolta all'effettiva realizzazione della condotta e
dell’evento conseguente ad essa.

1) Il momento rappresentativo del dolo e l'errore sul fatto Il


momento rappresentativo del dolo esige :

 la conoscenza effettiva di tutti gli elementi del fatto concreto che integra una specifica figura di reato, e non
meramente potenziale
(una conoscenza potenziale può rilevare solo per la sussistenza della colpa, quando l’agente non si rende conto di quello
che fa , ma potrebbe rendersene conto usando la diligenza doverosa);
 e tale conoscenza deve sussistere nel momento in cui il soggetto inizia l’esecuzione dell’azione tipica :non è
necessario che la rappresentazione del fatto sia presente nella mente del soggetto per tutto il tempo
dell’azione.
(Ad ESEMPIO ai fini del dolo di violenza sessuale su persona in condizioni di inferiorità fisica o psichica, è necessario che l’agente sappia di
indurre al rapporto sessuale una persona minorata, ma non è necessario che abbia sempre presente quello stato della vittima durante il
compimento degli atti sessuali )
Il momento rappresentativo del dolo si considera di regola integrato anche

 nei casi di dubbio, perché chi agisce in stato di dubbio ha un’esatta rappresentazione di quel dato della realtà,
sia pure coesistente con una falsa rappresentazione di quel dato ( ES. chi sottragga una cosa mobile altrui, essendo
indubbio se si tratta di una cosa propria o altrui).
Il dubbio risulta invece incompatibile col dolo, nei casi in cui – eccezionalmente – la legge richiede una conoscenza
piena e certa dell’esistenza di un elemento del fatto
(È il caso ad ESEMPIO dei delitti di calunnia e autocalunnia, nei quali si richiede, rispettivamente, che l’agente incolpi di un reato” taluno che egli sa
innocente”, ovvero incolpi se stesso di un reato “che egli sa non avvenuto”).

Vi sono elementi del fatto, la cui conoscenza può essere acquisita attraverso i sensi: si tratta degli elementi descrittivi,
cioè degli elementi del fatto individuati attraverso concetti descrittivi (come i concetti di uomo, madre, minore di anni 10).

Altri elementi del fatto – gli elementi normativi – sono invece individuati attraverso concetti che esprimono qualità
giuridiche o sociali di un dato della realtà: la loro conoscenza non può essere raggiunta solo attraverso i sensi, ma
richiede la mediazione di una norma, giuridica o sociale (basta la conoscenza propria del profano, ossia del comune cittadino) (come
ad esempio i concetti di cosa altrui, atto osceno).
(ESEMPIO ai fini del dolo di furto basta che l’agente sappia che la cosa che sfila dalla tasca di altri non è sua, essendo irrilevante che abbia una
conoscenza da esperto del concetto di proprietà.
Così come ,agisce con dolo di bigamia, chi sapendo di essere già sposato all'estero, contrae un altro matrimonio dinanzi al sindaco, a nulla rilevando
la mancata conoscenza delle norme che disciplinano gli effetti in Italia di un matrimonio celebrato all'estero).
LA RAPPRESENTAZIONE DEL FATTO necessaria per la sussistenza del dolo DIFETTA QUANDO : l’agente versa in un
errore sul fatto (47), quando cioè non si rappresenti la presenza di almeno uno degli elementi del fatto come
conseguenza

 di un’errata percezione sensoriale (errore di fatto), che impedisce all’agente di rappresentarsi il fatto concreto
che in effetti ha poi realizzato.
ESEMPIO: un cacciatore crede di vedere agitarsi dietro un cespuglio un cinghiale, mentre si tratta di un altro cacciatore. Con un colpo di
fucile cagiona la morte di un uomo, ma quello che si è rappresentato è un fatto diverso, quale l'uccisione di un animale!

L'errore sul fatto dovuto ad una erronea percezione della realtà esclude il momento rappresentativo del dolo, ma può residuare una
responsabilità per colpa, se all’agente si può muovere il rimprovero di non aver impiegato la diligenza che
avrebbe impiegato al suo posto un agente modello, che gli avrebbe consentito di rendersi conto di

101
commettere quel fatto che in effetti ha realizzato; l'articolo 47 .1 infatti stabilisce che "se si tratta di errore
determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto
colposo".
 o di un’errata interpretazione di norme giuridiche o sociali (errore di diritto), cioè dall’erronea
interpretazione di norme diverse dalla norma incriminatrice, da quest’ultima richiamate attraverso un
elemento normativo.
Il 47.3 stabilisce che “l’errore su una legge diversa dalla legge penale esclude la punibilità, quando ha
cagionato un errore sul fatto che costituisce il reato.”

ESEMPIO: si pensi alle molte norme che delineando delitti contro il patrimonio, richiedono che oggetto dell'azione delittuosa sia una cosa altrui:
l'elemento normativo “altrui” significa che, la cosa non deve essere di proprietà dell’agente; l’agente però, può ritenere che la cosa mobile di cui si è
impossessato sottraendola al detentore sia di sua proprietà, e non altrui, e quindi può rendersi conto di commettere un fatto di furto, se pervenga
all'errata convinzione di aver solo dato in prestito la cosa al detentore, conservandone la proprietà.
L'errore su un elemento normativo del fatto può derivare anche da un'errata percezione sensoriale.
Si pensi all'ipotesi del viaggiatore che, in aeroporto, prelevi dai nastri trasportatori una valigia altrui scambiandola per la propria del tutto simile. In
tal caso l'errore sull'elemento normativo del fatto "altruità della cosa" ha i connotati dell'errore di fatto.

La prevalente giurisprudenza, svuotando di contenuto la previsione dell'articolo 47 co 3, ritiene che gli errori di
interpretazione di norme giuridiche siano altrettanti errori sulla legge penale, riconducibili alla disciplina dell'articolo
5 cp , e non possono mai cagionare un errore sul fatto, con la conseguenza che, l'errore su una legge diversa dalla
legge penale, essendo assimilato all'errore sulla legge penale, rileverebbe solo se è inevitabile, cioè non dovuto a

colpa.
Esiste tuttavia un diverso orientamento giurisprudenziale, che riconosce un autonomo spazio applicativo alla
disciplina dell'articolo 47 c. 3.
Una pronuncia della corte di cassazione ha infatti ritenuto che “tra le norme incorporate nel processo penale, non
vadano annoverate quelle che siano destinate in origine a regolare i rapporti giuridici di carattere non penale.”
L'orientamento prevalente però non solo contrasta con la legge, perché si traduce in una sostanziale abrogazione
dell'articolo 47 co 3. il quale parla di "errore su una legge diversa dalla legge penale", ma è concettualmente errato.
Una cosa è ignorare che è vietato sottrarre le cose mobili altrui o appropriarsene, altra cosa è rendersi conto che nel caso concreto,
il bene che l'agente ha sottratto era altrui e non di sua proprietà!

1. Il primo tipo di errore è incontestabilmente un errore sulla legge penale, cioè un errore sui precetti "non rubare" o "non
ovviarvi della cosa mobile altrui";
2. il secondo tipo di errore è un errore sul fatto che costituisce il reato descritto e vietato dal precetto: il soggetto può
sapere che è vietato rubare, ma per effetto di un errore di interpretazione delle norme civilistiche che decidono se una data cosa
è propria o altrui, non si rende conto che la cosa sottratta appartiene ad altri.

L'art. 5 Cp afferma che: "nessuno può invocare a propria scusa l'ignoranza della legge penale".
La norma è stata oggetto di attenzione da parte della dottrina, la quale si è chiesta se, oltre agli elementi

costitutivi del reato, l’agente dovesse conoscere anche l'antigiuridicità del fatto.
La maggior parte della dottrina e della giurisprudenza concludevano sull'argomento in termini negativi,
per evitare un'interpretazione contrastante con l'art. 5.
La Corte costituzionale, con SENTENZA 364/88 ha evidenziato la centralità del principio di colpevolezza
(articolo 42) come fondamento della responsabilità penale e della misura della pena.

102
Presupposto della responsabilità penale è la conoscibilità da parte del soggetto agente dell'effettivo
contenuto della norma.
In sintesi la corte costituzionale ha affermato che: "per aversi dolo occorre che il soggetto agente abbia

 la rappresentazione e volontà degli elementi significativi della fattispecie tipica…..


 …..la consapevolezza che il fatto che sta per commettere, è un illecito penalmente sanzionato.”
Non occorre invece, che l’agente conosca quale sia la norma penale e quale sia la pena specifica. La
stessa corte però ha omesso di precisare quali siano i criteri in base ai quali accertare la
inevitabilitàscusabilità dell'ignoranza!

2) Il momento volitivo del dolo


Il dolo non s’esaurisce nella rappresentazione del fatto: come s’evince dal 61 n. 3, l’aver agito nonostante la previsione dell’evento
è perfettamente compatibile con la struttura della colpa, e ne rappresenta solo una forma aggravata (colpa cosciente, o con
previsione dell’evento): perché sia in DOLO, il soggetto deve aver voluto la realizzazione del fatto antigiuridico che s’era
preventivamente rappresentato, cioè deve aver deciso di realizzarlo in tutti i suoi elementi.

Il MOMENTO VOLITIVO del dolo consiste innanzitutto nella risoluzione di realizzare l’azione, e questa risoluzione
dev’essere presente nel momento in cui il soggetto agisce, rappresentandosi tutti gli estremi del fatto descritto dalla
norma incriminatrice.

La risoluzione può essere:

 la conseguenza immediata di un improvviso impulso ad agire (si parla in questo caso di DOLO D’IMPETO,
che si manifesta nei casi in cui la spinta ad agire ha radici affettive, come l’ira o la gelosia)
 o può esser presa e tenuta ferma fino al compimento dell’azione per un apprezzabile lasso di tempo senza
soluzione di continuità: si parla allora di DOLO DI PROPOSITO, che per alcuni reati ( quali omicidio e lesioni)
viene designato dal legislatore come premeditazione, ed integra una circostanza aggravante. Nel nostro
ordinamento non vi è spazio dunque per le figure:

 del dolo antecedente: (non vi è dolo di omicidio se Tizio decide di uccidere Caio all’ora x, ma ne provoca
involontariamente la morte prima di quell'ora, pulendo sbadatamente il fucile)
 del dolo susseguente: (non vi è dolo di ricettazione nel caso in cui una persona acquisti una cosa, ma si renda conto
della sua provenienza illecita solo dopo l’acquisto)
 del dolo generale : (non vi è dolo di omicidio nel caso in cui Tizio, ritenendo di aver già realizzato il fatto con una certa
azione, compie una seconda azione con la quale soltanto lo realizza, come nel caso in cui Tizio impicca Caio, che ritiene di
aver già ucciso, per simulare un suicidio e ne provoca la morte solo in questo modo, cioè quando l'evento morte, pur
rappresentando e voluto dal soggetto agente ,non fosse stato la conseguenza del decorso causale posto in essere
dall'azione dolosa iniziale).

L'intensità del dolo

il dolo può avere una diversa intensità: l'aumentare di questa, determina una maggiore gravità del reato e quindi della
commisurazione della pena. L'intensità del dolo muta con il mutare del grado di partecipazione nella coscienza e
volontà al reato.

I fattori dai quali dipende l'intensità del dolo sono:

 La durata del proposito criminoso (il dolo è quindi più intenso nel dolo di proposito e meno nel dolo
d'impeto);

103
 La consapevolezza dell'antigiuridicità del fatto che rende il dolo più intenso rispetto ad un fatto commesso in
assenza di tale consapevolezza,
 La volontà è più intensa nel dolo intenzionale o diretto, in quanto, il risultato è direttamente preso di mira dal
soggetto, ed è meno intensa nel dolo indiretto, in quanto, il risultato è solo accettato come conseguenza
eventuale della sua azione.

I gradi del dolo: dolo intenzionale, dolo diretto e dolo eventuale

Il momento volitivo del dolo si estende a tutti gli elementi oggettivi conosciuti dall’agente, che servono da base per la
decisione di agire e può assumere 3 FORME, che rappresentano altrettanti GRADI DI INTENSITÀ DEL DOLO:

 DOLO INTENZIONALE: si configura quando l'evento conseguito risponde a quello voluto e rappresentato
dall'agente.
(ad ESEMPIO spara e uccide, avendo di mira la morte di quell'uomo).
Non è necessario che la realizzazione del fatto rappresenti lo scopo ultimo perseguito dall'agente, potendo
essere anche uno scopo intermedio
(ad ESEMPIO si provoca intenzionalmente la morte della guardia del corpo di un uomo politico all'ulteriore scopo di procedere al
sequestro di quest'ultimo).
Del pari, non è necessario che la causazione dell’evento perseguito dall’agente sia probabile: basta la
possibilità di successo.
Vi è perciò dolo intenzionale di omicidio anche se la persona uccisa si trovava ad una distanza ai limiti della portata balistica dell'arma
impiegata dall'agente!

DI REGOLA, la legge non richiede ai fini della A VOLTE la legge esige il dolo intenzionale, o meglio,
responsabilità dolosa che il fatto sia stato realizzato esige che l’agente sia animato da particolari finalità in
intenzionalmente, bastando le altre meno intense relazione a questo od a quell’evento; cioè l’evento
forme di dolo (diretto od eventuale): la presenza del dolo deve realizzarsi per l’esistenza del reato.
intenzionale rileverà soltanto ai fini della commisurazione della (Così nel delitto di abuso d'ufficio articolo 323, la legge punisce il
pena, sotto il profilo dell'intensità del dolo. pubblico ufficiale che nello svolgimento delle funzioni, in violazione
di norme di legge pure omettendo di astenersi in presenza di un
interesse proprio o di un prossimo congiunto, intenzionalmente
procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero
arreca ad altri un danno ingiusto)

Nei reati a dolo specifico il legislatore richiede che l’agente commetta il fatto avendo di mira un risultato ulteriore, il cui realizzarsi
non è necessario per la consumazione del reato
(ES.: nel sequestro di persona a scopo di estorsione, (chiunque sequestra una persona allo scopo di conseguire per sé o per altri un
ingiusto profitto come prezzo per la liberazione), è richiesto che l’agente deve avere di mira il conseguimento di un riscatto, ma il
reato è consumato anche se il riscatto non viene conseguito!)
Nei reati a dolo generico le finalità perseguite dall’agente con la commissione del fatto sono irrilevanti per l’esistenza del dolo
(ES.: omicidio doloso il dolo di omicidio consiste e si esaurisce nella rappresentazione e volizione di cagionare la morte di un uomo, e
le eventuali finalità perseguite dall’agente, potranno rilevare solo ai fini della commisurazione della pena);

 DOLO DIRETTO si configura quando l’agente non persegue la realizzazione del fatto, ma si rappresenta come
certa o come probabile al limite della certezza, l’esistenza di presupposti della condotta ovvero il verificarsi
dell’evento come conseguenza dell’azione, cioè quando l'evento è la conseguenza accessoria,
necessariamente o probabilmente connessa, alla realizzazione del fatto principale.
ESEMPIO:
dolo diretto in relazione a un presupposto della condotta: articolo 348 ricettazione: si pensi all'antiquario che sappia per certo che un
quadro è stato sottratto da una collezione, e con questa piena consapevolezza decide di acquistare il quadro .
dolo diretto relativo all'evento : si pensi al caso dell'armatore, che per conseguire un indennizzo da parte di una compagnia di
assicurazione, faccio collocare su una propria nave una bomba pronta ad esplodere durante una traversata: la morte di uno dei membri
dell'equipaggio non rappresenta il fine perseguito dall'agente, ma è presente nella mente di questi come una conseguenza pressoché
certa della sua azione. Tanto basta per integrare il dolo di omicidio nella forma del dolo diretto

104
ECCEZIONALMENTE
DI REGOLA, non è necessario che l’agente persegua la legge richiede una conoscenza piena e certa
come scopo la realizzazione del fatto, non è richiesto dell’esistenza di un elemento del fatto.
che si rappresenti la realizzazione del fatto come È il caso ad ESEMPIO dei diritti di calunnia e autocalunnia nei quali si
certa: basta, di regola, il dolo eventuale. richiede rispettivamente, che l’agente incolpi di un reato talno che
egli sa innocente oppure se stesso. Ne segue l'insufficienza del dolo
eventuale rispetto agli elementi dell'innocenza della persona

incolpata e dell'inesistenza del reato di cui ci si autoaccusa.

 DOLO EVENTUALE: si ha quando il soggetto si rappresenta come seriamente possibile (non come certa)
l’esistenza di presupposti della condotta od il verificarsi dell’evento come conseguenza dell’azione e, pur di
non rinunciare all’azione ed ai vantaggi che se ne ripromette, accetta che il fatto possa verificarsi (“agisco costi
quel che costi!”).
"Sia presente o meno quella circostanza, avvenga questo o quest'altro, io agisco comunque"
(notiamo che il dolo eventuale è caratterizzato dall'accettazione del rischio del verificarsi del fatto).

ES. di dolo eventuale relativo ad un presupposto della condotta: sussiste il dolo eventuale di furto, rispetto all'elemento dell'attività della cosa, in un
caso in cui l'agente dubiti di aver trasferito per contratto a Tizio la proprietà della cosa, ma, essendo fortemente interessato a rientrarne in possesso,
decida comunque di sottrarre la cosa a Tizio, accettando l'eventualità che la cosa sia altrui.
Secondo esempio di dolo eventuale relativo all'evento: esiste il dolo eventuale di omicidio se l'agente, animato dalla finalità di creare panico nella
collettività, colloca in una piazza una bomba programmata per deflagrare a tarda notte: a quell'ora la presenza di passanti è possibile (non certa), ma
la decisione dell'agente di collocare e far scoppiare la bomba è stata presa accettando l'eventualità che l'esplosione provochi la morte di un
eventuale passante: piuttosto di rinunciare all'azione terroristica, l'agente non è arretrato di fronte alla prospettiva della morte del passante.

Perché sussista il dolo eventuale, ciò che l’agente deve accettare è proprio l'evento: e cioè il verificarsi della morte che deve essere
stato accettato e messo in conto dall'agente, pur di non rinunciare all'azione che anche ai suoi occhi, aveva la seria possibilità di
provocarlo.

L'esatta definizione del dolo eventuale delinea i confini della responsabilità penale. Ciò accade per i fatti che sono previsti nella sola
forma del delitto doloso: ad esempio i fatti di danneggiamento, che si possono benissimo realizzare anche per colpa, ma che la legge punisce solo
se commessi con dolo!
Questa funzione di limite della responsabilità penale sta alla base dello stravolgimento della categoria del dolo eventuale operata
dalla prassi giurisprudenziale nei casi in cui, non esiste una corrispondente ipotesi colposa: la giurisprudenza tende infatti a
considerare rappresentati e accettati dall'agente fatti che al momento l’agente poteva e doveva rappresentarsi ma che non ha
fatto.Si rimprovera quindi, a titolo di dolo, un fatto che l'agente ha realizzato per colpa, ma che non può fondare alcuna
responsabilità penale, perché il fatto non è preveduto dalla legge come delitto colposo.

Quando il fatto è punito sia se commesso con dolo ,sia se commesso con colpa, il dolo eventuale rappresenta la
linea di confine che separa l'area della responsabilità per dolo da quella della responsabilità per colpa.

Il dolo eventuale va nettamente distinto dalla COLPA COSCIENTE (o colpa con previsione dell'evento).

I due criteri d'imputazione della responsabilità (dolo eventuale, colpa cosciente) hanno in comune 
l'elemento della previsione dell'evento

ma presentano tratti ulteriori profondamente diversi:


 nella colpa cosciente l'agente si rappresenta il possibile verificarsi dell'evento, ma ritiene per colpa che
non si realizzerà nel caso concreto, e ciò in quanto, per leggerezza, sottovaluta la probabilità del suo
verificarsi ovvero sopravvaluta le proprie capacità di evitarlo;
 nel dolo eventuale l'agente ritiene seriamente possibile la realizzazione del fatto ed agisce accettando
tale eventualità.
ESEMPIO: un camionista effettua un sorpasso vedendo approssimarsi in direzione opposta un'autovettura e prevedendo la possibilità di una

105
collisione, effettua comunque il sorpasso causando la morte dell'automobilista: il camionista risponderà di “omicidio colposo aggravato
"dall'aver agito nonostante la previsione dell'evento" se ha ritenuto per colpa che la collisione non si sarebbe verificata, oppure perchè ha
sopravvalutato la sua capacità di evitare il sinistro aumentando la velocità del veicolo da lui condotto.
Risponderà invece di omicidio doloso un latitante che, fermato ad un posto di blocco, dopo aver fatto finta di arrestare la propria auto, acceleri
speronando l'automezzo della polizia e provocando la morte di un poliziotto che si trovava all'interno di quella auto. Si potrà ipotizzare un dolo
eventuale qualora vi siano prove che il bandito, pur di sfuggire al blocco, ha accettato perfino la morte del poliziotto.

CASI GIURISPRUDENZIALI
La giurisprudenza affronta con particolare frequenza il problema del confine tra dolo eventuale e colpa cosciente nei casi di
lesione o morte conseguenti al contagio da HIV derivante dai rapporti sessuali non protetti.
Così ad esempio si è ritenuto che si trattasse di omicidio colposo aggravato dalla colpa cosciente nel caso in cui l'imputato
sieropositivo, anche in base al suo modesto livello culturale, aveva maturato la convinzione, poggiante sulla considerazione che
il suo stato di salute non aveva negli anni subito processo peggiorativo e correva tutto sommato di buona salute, che niente di
male avrebbe potuto succedere alla moglie.
Viceversa la corte di cassazione ha ritenuto sussistente il dolo eventuale nel caso in cui invece l'infezione era stata trasmessa da
una donna pienamente consapevole sia della malattia da cui era affetta, sia della possibilità di trasmetterla, al proprio compagno
(né la donna poteva avere dubbi in ordine all'esito letale dell'infezione da HIV, dal momento che il marito era morto
di AIDS). Questo quadro probatorio ha consentito al giudice di legittimità di affermare che la gente non solo si era
concretamente rappresentato il rischio del verificarsi dell'evento, ma lo aveva accettato, nel senso che si era determinato ad agire
anche a costo di cagionare quell'evento.

La premeditazione
prevista come circostanza aggravante speciale nei delitti di omicidio e lesione personale, esprime una maggiore
intensità del dolo dell'agente.
Consiste in una decisione in cui:
 si è mantenuto costante il proposito criminoso (criterio ideologico)
 per un certo lasso di tempo (criterio cronologico)

In giurisprudenza si afferma che ELEMENTI COSTITUTIVI DELLA PREMEDITAZIONE sono


 un'apprezzabile intervallo temporale tra l'insorgenza del proposito criminoso e l'attuazione di esso , tale
da consentire una ponderata riflessione circa l'opportunità del recesso
 e la ferma risoluzione criminosa perdurante senza soluzione di continuità nell'animo dell’agente fino alla
commissione del crimine. La premeditazione va distinta:

 dalla dolo di proposito: dove è minore intensità del proposito criminoso


 dal dolo d'impeto: dove l'attuazione del proposito criminoso è quasi immediata.

Oggetto del dolo

La rappresentazione e la volizione devono avere per oggetto non già gli elementi descritti in astratto dalla norma incriminatrice,

bensì il fatto concreto che corrisponde alla figura legale del fatto incriminato: l'agente, quindi, può anche ignorare
l'esistenza della norma che descrive il fatto da lui realizzato, ovvero può interpretarla erroneamente: ciò rileverà
eventualmente come ipotesi di “ignoranza o errore sulla legge penale” ex art. 5 cp..

106
Ciò che è necessario e sufficiente per l'esistenza del dolo è che l'agente voglia consapevolmente realizzare un fatto
concreto che corrisponda alla previsione di quella norma, ossia un fatto tipico.

ESEMPIO : non rileva ai fini del dolo che l'agente ignori che nel nostro paese è vietata la bigamia: perché sussista il reato di bigamia rileva soltanto
che l’agente decida di sposarsi sapendo di essere già sposato!

 Nei REATI A DOLO GENERICO, oggetto della rappresentazione e della volizione è solo il fatto concreto che
integra gli estremi del fatto descritto dalla norma incriminatrice: eventi ulteriori, perseguiti dall'agente come
conseguenza del fatto tipico, sono al di fuori dell'oggetto del dolo e al massimo rileveranno come motivi che
aggravano o attenuano la pena
(ESEMPIO: nell'omicidio doloso è necessario, ma anche sufficiente, che l’agente abbia scientemente voluto cagionare la morte di un
uomo; non rileva che l'uomo sia stato ucciso per motivi abietti o di particolare valore morale quei motivi eventualmente aggraveranno o
attenueranno la pena ai sensi dell'articolo 61 co 1)

 Nei REATI A DOLO SPECIFICO oggetto del dolo è sia il fatto concreto corrispondente a quello descritto dalla
norma incriminatrice, sia l'evento, che l'agente deve perseguire come scopo e la cui realizzazione è
irrilevante per la consumazione del reato
(ESEMPIO nel sequestro di persona a scopo di estorsione, l'agente deve rappresentarsi e volere la privazione della libertà personale della
vittima, perseguendo quale scopo del sequestro il conseguimento di un riscatto come prezzo della liberazione: il riscatto è irrilevante
però per la consumazione del reato!)

Il dolo nei reati omissivi

La peculiarità del fatto nei REATI OMISSIVI sia propri che impropri, si riflette nella configurazione del dolo, sotto il
profilo dell'oggetto della rappresentazione dell'abolizione .

 Nei reati omissivi PROPRI, quanto al MOMENTO RAPPRESENTATIVO (del dolo).

1) Il soggetto che ha l'obbligo di agire deve innanzitutto essere a conoscenza, anche in forma dubitativa, dei
presupposti di fatto dai quali scaturire il dovere di agire (ciò vale sia per i reati omissivi propri, sia per quelli
omissivi impropri).
Es.: il dolo di omissione di soccorso (reato omissivo proprio) esige infatti che il soggetto si renda conto di trovarsi di fronte ad un fanciullo minore di
anni dieci o ad una persona incapace di provvedere a se stessa, che siano stati abbandonati o smarriti, ovvero ad un corpo che sia o sembri in
animato, o, ancora, ad una persona ferita o altrimenti in pericolo.

2) In secondo luogo, il soggetto deve sapere qual è l'azione da compiere.


ES. chi si imbatte nel minore o nell'incapace deve sapere che deve avvertire la pubblica Autorità.
Ai fini della sussistenza del dolo, non è invece necessario che il soggetto sappia che il mancato compimento dell'azione
doverosa è penalmente rilevante in quanto ciò rileverà solo ai fini dell'art. 5.

 Nei reati omissivi IMPROPRI, che esigono anche il verificarsi di un evento come conseguenza dell'omissione, il
garante deve inoltre rendersi conto che il compimento dell'azione per lui doverosa potrebbe impedire il
verificarsi dell'evento, neutralizzando così il decorso causale che potrebbe produrlo
(ES.: il ferroviere deve cioè aver chiaro che, azionando correttamente lo scambio, eviterà la collisione pericolosa per la pubblica
incolumità).

Quanto al MOMENTO VOLITIVO del dolo, è necessario che il soggetto decida di non compiere l'azione doverosa.
Inoltre il momento volitivo esige che il soggetto abbia posto a base di quella decisione l'intenzione di non impedire
l'evento o la certezza o l'accettazione dell'eventualità del verificarsi di un evento che sarebbe stato impedito dal
compimento dell'azione doverosa.

L'accertamento del dolo . Il dolus in re ipsa

107
Per quanto riguarda l'accertamento del dolo, i fatti psichici che lo compongono (rappresentazione e volizione) non
possono essere accertati mediante i sensi, ma possono essere solo desunti da dati esteriori, con l'aiuto di massime di
esperienza (art. 133 c.p.): queste, vanno utilizzate tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto, relative alla
modalità dell'azione, alla condotta susseguente al reato, alla personalità dell'agente, all'interesse che egli ha, al
compimento dell'azione ecc..
L'errore, sia sul fatto che sulle cause di giustificazione, esclude il dolo anche se inescusabile, anche cioè se un uomo
diligente lo avrebbe evitato nelle circostanze del caso concreto: l'errore dovuto a colpa lascia sussistere una
responsabilità per colpa sempre che il fatto sia previsto dalla legge anche nella forma del delitto colposo - artt. 47 e 59.
4 c.p..

Accertare la sussistenza del dolo vuol dire desumere il comportamento psicologico del soggetto che agisce con dolo.
In pratica possono riscontrarsi:

 comportamenti che per la qualità con le quali si manifestano rendono possibile una più rapida deduzione del
dolo;
 comportamenti dai quali, invece è più difficile dedurre la sussistenza del dolo;
per i primi gli autori parlano di presunzione di dolo.

Preordinazione dei mezzi: esprime la preparazione delle modalità dell'azione e dei mezzi per commettere il delitto:
(è il caso di chi dopo aver a lungo meditato su come ammazzare il rivale, lo uccide appena lo incontra col primo oggetto che trova) la
preordinazione può essere sintomo della premeditazione.

Dolo-movente-rappresentazione del modo di verificarsi del l'evento


Ai finì della sussistenza del dolo è irrilevante:

1. il movente del reato: è il motivo per cui il soggetto compie il fatto che costituisce reato. Tuttavia se la legge fa
dipendere l'esistenza di un reato dal movente che ha spinto l'azione, tale movente assurgere a elemento
costitutivo e perché il reato sussista, il dolo deve riguardare il fine preso in considerazione dalla norma (=dolo
specifico).
2. La rappresentazione del modo in cui si verifica l'evento voluto dall’agente: (Tizio decide di uccidere Carlo
facendolo cadere in un burrone, ritenendo che egli si fracasserò sulle rocce. Tizio risponderà di omicidio
doloso anche se Caio muore per un infarto durante la caduta).

LA COLPA
La realizzazione per COLPA di un fatto antigiuridico comporta una responsabilità assai meno grave rispetto alla
realizzazione dolosa dello stesso fatto; infatti, la colpa rappresenta un criterio della attribuzione della responsabilità
che ha una struttura del tutto diversa da quella del dolo.

108
Infatti la punibilità a titolo di colpa rappresenta per i delitti un'eccezione:
Art. 42 cp.: “ nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto, se non l'ha commesso con
dolo, salvo i casi di delitto colposo espressamente preveduti dalla legge”.
Inoltre essa deve essere espressa, nel senso che va esclusa in mancanza di una esplicita previsione.

Art. 43 c.p. "Il delitto è colposo, o contro l'intenzione quando,


l'evento anche se preveduto non è voluto dall'agente e si
verifica :
a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per
inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline".

La colpa consta di 2 REQUISITI:


- uno negativo, cioè l'assenza di dolo: il fatto dev'essere stato realizzato involontariamente;
cioè la condotta è attribuibile al volere del soggetto, ma manca la volontà dell'evento (che appunto caratterizza il dolo)
;
l'eventuale presenza della previsione dell'evento, compare nella definizione legislativa della colpa, solo per evocare l'ipotesi
aggravata della colpa con previsione, che dà vita ad una circostanza aggravante dei delitti colposi!

- uno positivo: ovvero la presenza di ciò che la legge descrive come "negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero
inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline".

FONDAMENTO DELLA COLPA

secondo la dottrina dominante, il fondamento politico criminale della colpa è ravvisato nella specifica esigenza di
conferire una tutela rafforzata ad alcuni beni giuridici considerati dall'ordinamento di particolare rilievo: quindi il
legislatore penale contrassegna con una nota di disvalore penalmente rilevante, le condotte caratterizzate da un
atteggiamento di trascuratezza per i beni in questione.

Il fondamento della colpa risiede, dunque, nella:


§ prevedibilità : si sostanzia nella possibilità per l'agente di rappresentarsi nella mente l'evento dannoso, come
conseguenza di una certa azione od omissione.
Tale prevedibilità è intesa in senso oggettivo, cioè riferita alla migliore scienza ed esperienza di quel
particolare momento e di quel determinato campo di attività.
§ Evitabilità: consiste nello scongiurare l'evento, la cui verificazione è stata prevista.

Sotto il profilo oggettivo, la condotta consiste nella violazione delle regole di diligenza che enunciano la prevedibilità
ed evitabilità del pericolo, a cui determinati beni sarebbero esposti in caso di sua trasgressione.

Di conseguenza contenuto delle regole di diligenza sarà:


o obbligo di informarsi: così ad esempio, il collaudatore deve prima di porsi alla guida, informarsi sulle caratteristiche del
nuovo tipo di veicolo da collaudare,
o obbligo di agire con cautela: così ad esempio chi guida veicoli che trasportano esplosivi deve usare la massima cautela; o
obbligo di astenersi del tutto dall'agire: così il pilota di un aereo, non deve partire se non ha una sufficiente
visibilità.

Dunque, la colpa si fonda sul contrasto, tra la condotta concreta dell'agente e il modello di condotta imposta da
regole di diligenza, prudenza o perizia.

La colpa, dunque, può consistere:

109
- nella NEGLIGENZA: cioè nell'omesso compimento di un'azione doverosa;
- nell'IMPRUDENZA: cioè nella violazione di un divieto assoluto di agire o del divieto di agire con particolari modalità;
- nell'IMPERIZIA: cioè in una carenza di cognizioni o di abilità esecutive nello svolgimento di attività tecniche
professionali.

Tratto comune delle regole di diligenza, prudenza e perizia, qualunque sia la loro fonte, è una finalità preventiva o
cautelare: la finalità cioè di evitare che dalla condotta dell'agente, possano derivare eventi dannosi o pericolosi
prevedibili; tale finalità preventiva deve avere carattere esclusivo: non si può fondare un rimprovero di colpa rispetto
alla morte di un uomo conseguente a una percossa, la violazione di norme che reprimono le percosse dolose, posto
che, tali norme hanno come finalità la tutela dell’integrità fisica, e dunque non può esser loro attribuito uno scopo
esclusivo di tutela preventiva della vita!

Struttura soggettiva del reato colposo

In presenza di una condotta che viola una regola di diligenza obiettiva, il giudizio di colpevolezza si formula accertando
se, dal soggetto, poteva esigersi la concreta osservanza della regola di diligenza alla stregua delle capacità personali
dell'agente (cosiddetta misura soggettiva della colpa).

 NELLA COLPA GENERICA:


il parametro di valutazione è il soggetto di normale diligenza e capacità, che opera nelle stesse condizioni
dell’agente, nei limiti in cui l'evento era prevedibile ed evitabile.
Parte della dottrina tiene conto anche delle migliori conoscenze o maggiori capacità del singolo:
così ad esempio chi conosce la pericolosità di un incrocio, perché abita vicino e lo attraversa tutti i giorni, è tenuto ad una maggiore
attenzione e diligenza nell'impegnarlo (speciale conoscenza); invece non è richiesto al pilota automobilistico, quando guidi fuori dalle
piste, di fare uso, oltre che della comune diligenza richiesta a qualunque guidatore, anche delle sue particolari capacità.
Ciò che rileva infatti sono le capacità intellettuali o fisiche del singolo agente, in quanto il giudizio di
rimproverabilità, deve necessariamente essere personale, e non può prescindere da eventuale mancanza di
intelligenza o di conoscenza, incapacità o difetti fisici: ad esempio non può ritenersi in colpa la vecchia contadina che per la
prima volta si reca in città, e ignorando che le porte della metropolitana riaprono domani a mente, di appoggiare il nipote procurandogli
lesioni; viceversa sarà in colpa se, conoscendo tale particolare, se n'è dimenticata o non si è preoccupata di adeguare ad esso la propria
condotta.
La colpa generica è quella che il codice penale designa come colpa per negligenza o imprudenza o imperizia, la cui
individuazione grava sul giudice, il quale farà riferimento e confronterà il comportamento del singolo agente con il
comportamento che in quelle stesse circostanze, di tempo e di luogo, avrebbe tenuto un uomo ideale, preso come
modello di riferimento (si valuterà perciò la correttezza o meno del comportamento concreto del singolo agente con quello che,
nelle stesse circostanze, avrebbe tenuto il modello di agente che svolga quella stessa attività).

 NELLA COLPA SPECIFICA:


E’ connessa alla violazione di specifiche norme poste dalle leggi, regolamenti o discipline.
La violazione della regola cautelare è sufficiente all'affermazione della colpevolezza dell'agente, perché la
norma cautelare specifica fissa ciò che è esperibile dall'agente, sempre a condizione che la violazione sia
rimproverabile all’agente, perché in caso contrario si dovrà escludere la colpevolezza!

Dunque le regole di diligenza, prudenza e perizia sono 'CODIFICATE', cioè contenute in norme giuridiche, di
fonte pubblica o privata.
Rientrano nel concetto di “leggi” soltanto le leggi che impongono o vietano una data condotta, all'esclusivo
scopo di neutralizzare, o ridurre, il pericolo che da quella condotta possano derivare eventi dannosi o
pericolosi, rilevanti ai sensi di una fattispecie di reato colposo: si comanda o si vieta di tenere la condotta A, al solo
scopo di prevenire che si verifichi l'evento B, come conseguenza della condotta realizzata in contrasto con quel comando
o divieto.

I rapporti tra colpa specifica e colpa generica.


Va premessa la distinzione tra regole cautelari codificate a contenuto rigido e a contenuto elastico
110
 Norme giuridiche a contenuto rigido: impongono al destinatario una regola di condotta fissata in
modo
preciso (ES. arrestarsi al segnale di stop);
 Norme giuridiche a contenuto elastico: fanno dipendere l'individuazione della regola di condotta dalle
circostanze del caso concreto, nel senso che è sulla base di quelle circostanze che andrà individuata la
condotta che avrebbe tenuto l'agente modello (ES. la velocità sarà prudenziale o eccessiva a seconda delle condizioni
ambientali).

Si pone il quesito se l'inosservanza di una regola cautelare codificata a contenuto rigido sia sufficiente a fondare la
colpa.
La risposta è che l'inosservanza dà vita a colpa, a meno che siano presenti circostanze concrete tali da rendere il
rispetto della norma fonte di un aumento del rischio della realizzazione di un fatto che integra un reato colposo.
In questa evenienza l'inosservanza della norma giuridica è irrilevante, perché la vera regola di diligenza da osservare
non è quella prescritta dalla norma giuridica, bensì quella che l'agente modello avrebbe rispettato nelle circostanze
concrete per evitare che quel maggior rischio si traducesse in un evento lesivo.

Il grado della colpa

Il GRADO DELLA COLPA (cioè il divario tra la condotta concreta e il modello di condotta che l'agente doveva rispettare ) è
irrilevante ai fini della realizzazione per colpa di questa o quella figura di reato colposo, è invece rilevante ai fini della
commisurazione della pena.
(Ad ESEMPIO in un omicidio colposo sarà elevato il grado della colpa, se il datore di lavoro ha completamente omesso di adottare le misure di
sicurezza imposte dalla legge a protezione dei lavoratori. Sarà invece minimo il grado della colpa nel caso ad esempio dell'automobilista che abbia
investito e ucciso un pedone avendo superato di un solo kilometro all’ora il limite massimo di velocità nei centri urbani).

Vi sono figure di reato la cui integrazione esige un elevato grado di colpa: è il caso ad esempio della bancarotta semplice cui all'articolo 217 co 1 n. 3
l. fall. per la quale la legge richiede che "l'imprenditore abbia compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento".

 Una forma più grave di responsabilità per colpa si configura, per i delitti, nei casi di COLPA COSCIENTE o
con previsione, cioè nei casi in cui l'agente, per leggerezza, sottovaluta le probabilità del verificarsi
dell'evento che ha previsto ovvero sopravvaluta le proprie capacità di evitarlo.
L'articolo 61 n. 3 prevede come circostanza aggravante "l'aver, nei delitti colposi, agito nonostante la
previsione dell'evento".
N.B. Ciò che in questo caso fonda l'aggravamento di pena, non è un più elevato di colpa, bensì il fatto che agli
occhi del legislatore, l'agire, nonostante la previsione dell'evento, è più riprovevole dell'agire senza
interrogarsi sui rischi connessi ad una determinata condotta.

Tale specie di colpa si distingue dal dolo eventuale, in cui il soggetto agisce con la certezza che l'evento dannoso
o pericoloso non si verificherà, cioè l’agente accetta il rischio del verificarsi dell'evento dannoso e agisce a costo di
determinarlo (ad esempio Caio spinge la propria auto ad alta velocità confidando nella propria abilità di guida, ma cagiona la morte di un
pedone).

 COLPA INCOSCIENTE o senza previsione: si ha quando l’agente agisce con imprudenza o negligenza o
imperizia o violando norme cautelari, ma non prevede di causare con il proprio comportamento un evento
antigiuridico.
È questa la specie di colpa più ricorrente nei delitti colposi!

111
Una particolare forma di colpa è la colpa professionale, cioè quella del professionista che compie un illecito penale
nell'esercizio della sua attività.
Infatti si è posto il problema di stabilire se il reato colposo, cagionato da un soggetto nell'esercizio della sua
professione (cd. colpa professionale) debba essere valutato secondo le regole generali dettate dall'articolo 43 in
tema di colpa (e cioè nel senso che egli deve essere chiamato a rispondere di qualsiasi negligenza, imprudenza, imperizia o per
colpa specifica), oppure se anche in campo penale debba trovare applicazione il dettato dell'articolo 2236 cc (per il
quale il professionista deve essere chiamato a rispondere solo per colpa grave, con esclusione quindi, di ogni responsabilità per
fatti commessi con colpa media o lieve).
La dottrina è sostanzialmente concorde nel ritenere che, per valutare la sussistenza o meno della colpa professionale, si
debba fare riferimento in particolare al parametro dell'imperizia; i criteri per valutare il grado di imperizia richiesto

professionista però originano diversi contrasti: l'orientamento prevalente sostiene che l'accertamento della colpa

professionale in particolare quella del sanitario, vada fatto con larghezze e comprensione, in considerazione della peculiarità
dell'arte medica, ma sempre nell'ambito dei criteri dettati dall'articolo 43 cp e non in base a quelli dettati dall'articolo 2236 del cc.

In materia di colpa medica nelle attività di equipè, dell'evento lesivo cagionato al paziente, risponde ogni componente
dell'equipè che non osservi le regole di diligenza e perizia connesse alle specifiche ed effettive mansioni svolte e che
venga peraltro meno al dovere di conoscere e valutare le attività degli altri medici, in modo da porre rimedio ad
eventuali errori che, pur posti in essere da altri, siano evidenti per un professionista medio.

I reati colposi di evento


(Colposa dev'essere sia la condotta sia l'evento che ne è derivato)

Il legislatore all'art. 43 c.p. ha assunto come prototipo dei reati colposi il reato colposo di evento: ha infatti stabilito
che "il delitto è colposo... quando l'evento... si verifica a causa di negligenza, imprudenza o imperizia, ovvero per
inosservanza di leggi... "
In questa classe di reati, le regole di diligenza, prudenza e perizia sono rivolte al futuro, sono cioè finalizzate a prevenire
che dalla condotta dell'agente derivi un evento offensivo di beni giuridici.

La condotta colposa
Nei reati colposi di evento, il dovere di diligenza, prudenza o perizia ha un duplice contenuto, vincolante al momento
in cui si inizia o si continua ad agire:
a) Riconoscere il pericolo o i pericoli del realizzarsi del fatto antigiuridico attraverso i sensi e attraverso
l'applicazione al caso concreto, delle regole di esperienza o giuridiche note all'agente modello;
b) Neutralizzare o ridurre il pericolo o i pericoli che si realizzi il fatto antigiuridico; l'adempimento di questo
dovere può comportare la totale astensione dall'agire o dalla prosecuzione dell'agire (ad ESEMPIO l'automobilista
che incontra sul proprio percorso un semaforo rosso deve arrestare la propria corsa oppure moderare la velocità quando la strada
ghiacciata!)

a) + b) Il carattere colposo della condotta può derivare:


 dal mancato riconoscimento del pericolo di  di fronte ad un pericolo riconosciuto, dalla
realizzazione del fatto che l'agente modello mancata adozione dei comportamenti sarebbe stato in
grado di riconoscere nel necessari per neutralizzare o ridurre il momento in cui l'agente concreto ha
112
iniziato pericolo che in quel momento e in quelle o continuato ad agire; circostanze avrebbe tenuto
l'agente modello.

Il principio di affidamento

Vi sono molte attività pericolose che vengono svolte da una pluralità di persone in stretta collaborazione (lavoro in
equipe: es. l'equipe composta dal medico-chirurgo, dall'anestesista, dagli infermieri ecc.): all'interno di un tale sistema opera il
PRINCIPIO DI AFFIDAMENTO: ciascuno degli agenti può cioè confidare che il comportamento dell'altro sia conforme
alle regole di diligenza, prudenza e perizia.

Il fondamento del principio di affidamento va cercato negli stessi criteri che servono alla individuazione delle regole di
diligenza: chi svolge una determinata attività garantisce obbiettivamente di essere in grado di agire come il modello di
agente che svolga la stessa attività, cosicché gli altri consociati possono regolare il loro comportamento contando sul
fatto che chi svolge quella attività si uniformerà al suo doveroso standard di diligenza.
(ES. il chirurgo può fare affidamento nelle informazioni che gli fornisce l'anestesista durante l'operazione).

1. Un primo limite all'operatività del principio di affidamento è che le circostanze del caso concreto lascino
riconoscere la possibilità di un altrui comportamento colposamente pericoloso.
(Per ES., il chirurgo dovrà personalmente verificare l'attendibilità delle informazioni fornitegli dall'anestesista se precedenti esperienze
negative ovvero incertezze o imprecisioni manifestate durante l'operazione conducano a ritenere inaffidabile l'operato dall'anestesista.
Di conseguenza: non potrà considerarsi colposa la condotta del chirurgo che si sia affidato alle informazioni scorrette ricevute
dall'anestesista; sarà colposa nei soli casi in cui in concreto vi fossero segnali che rendevano inaffidabili le indicazioni dall'anestesista).

2. Il principio di affidamento incontra un secondo limite nei casi in cui, ai sensi dell'art. 40.2 c.p., l'agente abbia
l'obbligo giuridico di impedire effetti lesivi dell'altrui vita o integrità fisica, il cui rispetto comporti, come
dovere di diligenza, il controllo e la vigilanza dell'operato altrui: non potrà infatti fare affidamento sul
corretto comportamento altrui ,quando, la diligenza da rispettare gli imponeva proprio di controllare che
quel comportamento non fosse pericolosamente colposo.

Il principio di affidamento opera anche rispetto ai reati dolosi commessi da altri: non solo possiamo confidare che gli
altri consociati non agiranno colposamente, ma siamo anche autorizzati a confidare che non agiranno dolosamente.
Ciò per una duplice ragione:
1) La prima ragione discende dalla peculiarità del nostro sistema penale, che solo in via di eccezione prevede
delitti di "agevolazione colposa di un fatto doloso" contenuti nel codice penale comune e nei codici penali
militari di pace e di guerra: in questa ipotesi eccezionali, la commissione di quei delitti viene rimproverata
sulla base della colpa per non aver previsto quello che astrattamente prevedibile.
La ratio di questa ipotesi è riconducibile al rango dei beni in gioco, che per la loro grande importanza, la legge
protegge non solo dagli assalti di chi li offende dolosamente, ma anche dalla negligenza o imprudenza della
ristretta cerchia di “garanti” che, non adempiendo ai loro doveri di protezione, ne agevolano per colpa l'altrui
aggressione dolosa.
2) La seconda ragione della più ampia estensione del principio di affidamento che autorizza a confidare di regola
che altri consociati non commetteranno reati dolosi, discende da una semplice considerazione: in astratto è
senz'altro prevedibile che coltelli, martelli, eccetera quando vengano venduti a terzi, potranno essere
utilizzati come strumenti per commettere omicidi dolosi; solo perché ciò è astrattamente prevedibile non è
consentito proibirne la vendita solo perché si offrirebbe ad altri l'occasione per commettere delitti dolosi! È
più persuasiva quindi una autonoma responsabilità per colpa nell'aver favorito con la propria condotta,
l'altrui riconoscibile inclinazione o propensione a commettere un fatto doloso, in presenza di indizi concreti
che rendono riconoscibile quella inclinazione o propensione.

IL NESSO TRA COLPA ED EVENTO

Nei reati (colposi) di evento è ovviamente necessario che vi sia nesso tra colpa ed evento (infatti nei reati

113
colposi di evento, la colpa deve abbracciare sia l'azione sia l'evento), richiesto dalla stessa definizione
legislativa del delitto colposo all'articolo 43 co.1 , che afferma che

"l'evento è il risultato dell'azione o dell'omissione deve verificarsi a causa di negligenza, imprudenza o imperizia,
ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline".

Il NESSO che deve intercorrere tra COLPA ed EVENTO è duplice:


1. L'evento concreto deve essere realizzazione del pericolo che la norma cautelare violata mirava a
prevenire, cioè l'evento verificatosi nella realtà deve rientrare tra quegli eventi che la norma violata mirava a
prevenire: in altri termini, l'evento deve essere il risultato di una delle serie di sviluppi causali il cui prevedibile
avverarsi rendeva colposa la condotta dell'agente
(ad ESEMPIO la regola di diligenza che impone all'automobilista di avvedersi del semaforo rosso e di fermarsi alla finalità di evitare
la collisione con altri veicoli o peggio, l'investimento di pedoni. Manca perciò il nesso tra colpa ed evento se l'automobilista, avendo attraversato
l'incrocio con il semaforo rosso e proseguendo la sua corsa, investe e uccide un predone che, 100 m oltre l'incrocio, ha improvvisamente
attraversato la strada. La funzione della norma è quella di prevenire incidenti
lesivi o mortali nell'area dell'incrocio e non quella di fare arrivare più tardi il veicolo nel luogo in cui si è poi verificato
La colpa nei reati omissivi impropri

La responsabilità per omesso impedimento di eventi costitutivi di delitti colposi si configura (solo) nei confronti di chi
è destinatario di obblighi di protezione o di controllo dei pericoli che possono incombere sui più diversi beni.
(ESEMPIO: il medico psichiatra operante in una struttura sanitaria è titolare sia di un obbligo di protezione dell'incolumità del paziente a lui affidato,
sia di un obbligo di controllo del paziente in relazione ai danni che può produrre a terzi: lo psichiatra potrà pertanto rispondere del suicidio del
paziente, così come i fatti lesivi della vita o dell'integrità fisica di terzi posti in essere dall'infermo.)

Nei REATI OMISSIVI IMPROPRI, la colpa può consistere:


 nell'inottemperanza del dovere di attivarsi per riconoscere la presenza di pericoli che i garanti hanno il
dovere di sventare, ovvero;
 nel mancato compimento delle azioni necessarie per neutralizzare o ridurre quei pericoli.
(ES. il bagnino risponderà per colpa della morte per annegamento di un bagnante se per disattenzione non si è reso conto che un
bagnante era in difficoltà ovvero se, resosi conto del pericolo, è stato imperito nel prestare il soccorso o corrente).

Comunque, nei reati omissivi impropri l'evento non può essere addebitato a colpa se il soggetto non poteva evitarlo
nemmeno compiendo le azioni che la diligenza o la perizia gli imponevano di compiere.
(ES. il bagnino non risponderà dalla morte del bagnante se l'annegamento è avvenuto da tale distanza dalla riva da precludere ogni efficace azione di
salvataggio).

I reati colposi di mera condotta

Si tratta di reati colposi nei quali il fatto si esaurisce nella realizzazione di una condotta, in presenza di dati presupposti,
senza che debba verificarsi un evento.
In questo tipo di reati, le regole di diligenza che l'agente deve rispettare sono finalizzate non già a prevenire eventi
futuri, bensì ad assicurare che l'agente assuma le informazioni necessarie ovvero compia i controlli necessari nel
momento in cui esegue l'azione.
(ES. la legge punisce chi somministra per colpa medicinali diversi da quelli descritti dal medico).

Dalla “RESPONSABILITÀ OGGETTIVA” alla “RESPONSABILITÀ per DOLO MISTO A COLPA”

La responsabilità oggettiva: nozione e incompatibilità con il principio costituzionale di personalità della


responsabilità penale art. 27 Cost.

114
Il codice penale del 1930 prevede una serie di ipotesi di RESPONSABILITÀ OGGETTIVA, cioè ipotesi nelle quali elementi
del fatto di reato o l'intero fatto di reato viene addossato all’agente senza che sia necessario accertare la presenza del
dolo o, almeno, della colpa: la responsabilità si fonda sull’oggettiva esistenza di questo o quell'elemento, ovvero
sulla sua mera oggettiva causazione.

Si tratta però di una disciplina in contrasto con la Costituzione.


Il principio di colpevolezza ha il rango di principio costituzionale: lo ha affermato la Corte costituzionale in due
SENTENZE DEL 1988, la seconda delle quali, ha in particolare messo in risalto che

"dal 1° co dell'art. 27 Cost. risulta indispensabile il collegamento (almeno nella forma della colpa) tra soggetto agente e
fatto";
"perché esso sia pienamente rispettato e la responsabilità penale sia autenticamente personale, è indispensabile che
tutti e ciascuno degli elementi che concorrono a contrassegnare il disvalore della fattispecie siano soggettivamente
collegati all'agente, siano, cioè, investiti dal dolo o dalla colpa".

Secondo la Corte, pertanto, la RESPONSABILITÀ OGGETTIVA, cioè la responsabilità senza dolo e senza colpa, 
contrasta con “il principio costituzionale di personalità della responsabilità penale" art. 27.
 contrasta anche con “il principio della funzione rieducativa della pena” art. 27 co 3, in quanto, non avrebbe
senso irrogare una sanzione penale, ad un soggetto cui non può essere mosso alcun rimprovero neppure di
semplice leggerezza!

A dispetto della portata generale di questa enunciazione di principio, la Corte costituzionale ha potuto dichiarare
l'illegittimità costituzionale della sola disposizione sottoposta al suo giudizio, vale a dire della disciplina dettata dall'art.
626 co.1 n.1 c.p., per il furto d'uso, che attribuiva rilevanza obiettiva alla mancata restituzione della cosa sottratta, anche se
dovuta a caso fortuito o forza maggiore.

Ne segue che, la previsione della responsabilità oggettiva è tuttora formalmente presente nell'ordinamento,
 sia in una norma di parte generale (art. 42.3 c.p.),
 sia in numerose disposizioni, di parte generale e speciale, che ne individuano singole ipotesi.

La CORTE COSTITUZIONALE, in una sentenza relativa all'articolo 609 sexies c.p. ha affermato che "il giudice
deve verificare la praticabilità di una interpretazione secundum Costitutionem (in conformità alla costituzione, deve
cioè leggerle e applicarle come se già contenessero il limite della colpa) perché il principio di colpevolezza, quale delineato
dalle sentenze n.364 e n. 1085 dell'88 , si pone non soltanto quale vincolo per il legislatore nella conformazione degli
istituti più realistici e delle singole norme incriminatrici, ma anche come canone ermeneutico per il giudice, nella
lettura e nell'applicazione delle disposizioni vigenti".

La CASSAZIONE A SEZIONI UNITE ha successivamente precisato che "si deve ammettere la possibilità di
concepire e praticare una colpa in attività illecite, la quale non solo è riconosciuta in numerosi ordinamenti
positivi, ma è anche ammessa da tempo da gran parte della dottrina italiana, che ha evidenziato come, le norme
cautelari di condotta, valgono tanto per chi agisce legittimamente, quanto per chi opera illegittimamente. “
Infine le Sezioni unite hanno precisato che la colpa da introdurre in via interpretativa in quest'ipotesi è la
"normale colpa", in quanto, anche in ambito illecito, occorre pur sempre che il fatto costitutivo del reato colposo sia
una conseguenza in concreto prevedibile ed evitabile dell'inosservanza di regola cautelare.

La Corte Costituzionale distingue:

 RESPONSABILITÀ OGGETTIVA PURA:  RESPONSABILITÀ OGGETTIVA SPURIA O


prescinde del tutto dall'elemento soggettivo MISTA A DOLO O COLPA: in cui, alla base 115
e il fatto è attribuito esclusivamente sulla dell'attribuzione del fatto vi è sempre una
base del rapporto di causalità fattispecie dolosa o colposa
L’aberratio delicti art. 83 I cd. Reati aggravati dall'evento
La preterintenzione
la responsabilità del partecipe Le condizioni obiettive di punibilità art. 44
per il reato diverso da quello voluto art. 116 regime delle circostanze art. 59

Ne deriva che nel nostro ordinamento devono ritenersi inammissibili tutte le ipotesi di responsabilità oggettiva pura,
mentre possono ritenersi legittime quelle ipotesi in cui, uno o più elementi non essenziali del fatto, non siano coperti
dal dolo o dalla colpa dell’agente.

Poiché anche il regime delle circostanze è stato successivamente ricondotto al principio di colpevolezza con la legge
19/90, attualmente l'unica figura di responsabilità oggettiva costituzionalmente legittima è quella delle condizioni
obiettive di punibilità, mentre tutti gli altri casi che la dottrina riconduceva o riconduce alla responsabilità oggettiva
vanno interpretate e risolte in chiave soggettivistica, nel senso cioè di esigere almeno la colpa dell’agente.

In particolare, si tratta di 3 gruppi di ipotesi:

 RESPONSABILITÀ OGGETTIVA IN RELAZIONE ALL'EVENTO:

Un primo gruppo di ipotesi, in cui è l'evento l'elemento del fatto, che la logica della responsabilità oggettiva vorrebbe
sottrarre all'oggetto del dolo e della colpa, è rappresentato dai DELITTI AGGRAVATI DALL'EVENTO: figure delittuose per
le quali la legge prevede un aggravamento della pena, al verificarsi di una conseguenza naturalistica del reato, già
integrato in tutti i suoi elementi costitutivi, che sono puniti con una pena più grave quando dal fatto consegue
l'evento morte o lesione personale .
(ad ESEMPIO l'uso dei mezzi di correzione, i maltrattamenti in famiglia, la rissa, l'abbandono di persone minori o incapaci)

Alla luce del principio costituzionale di colpevolezza, la maggiore pena collegata al verificarsi dell'evento, potrà essere
applicata soltanto se l'evento era uno sviluppo prevedibile, con la diligenza esigibile da un uomo ragionevole, del fatto
concreto volontariamente realizzato dall’agente.
(Si pensi ad ESEMPIO a Tizio, direttore di un collegio scolastico, che sorprende un alunno mentre cerca di sottrarre la merenda a un altro convittore,
abusando dei mezzi di disciplina, infligge una punizione sproporzionata vietandogli di mangiare per l'intera giornata.
L'alunno, affetto da una grave forma di diabete, muore come conseguenza della mancata alimentazione:
• se Tizio era stato avvertito dalla famiglia della patologia di cui soffriva l'alunno, risponderà di abuso dei mezzi di disciplina, aggravato
dall'evento morte (egli può essere rimproverato per colpa, in quanto avrebbe potuto prevedere che quella punizione avrebbe potuto
avere effetti anche mortali);
• risponderà invece di abuso dei mezzi di disciplina semplice, se non era stato informato della patologia che affliggeva l'alunno: in questo
caso l'evento morte non è addebitabile a colpa dell’agente.)

In giurisprudenza convivono diversi orientamenti a proposito del CRITERIO DI IMPUTAZIONE DELL'EVENTO


AGGRAVANTE:
a) da un lato infatti continuano a prevalere scelte interpretative, che portano ad attribuire l'evento secondo lo
schema della responsabilità oggettiva, a volte occultato dietro lo schermo della colpa per l'inosservanza di
leggi, dove la legge violata, sarebbe la stessa norma incriminatrice della figura semplice di reato;
b) dall'altro invece non mancano pronunce nelle quali, in ossequio al principio costituzionale di colpevolezza, si
richiede invece la prevedibilità in concreto dell'evento aggravante.
(Ad ESEMPIO, in una sentenza in tema di maltrattamenti in famiglia aggravati dalla morte della vittima, la CORTE DI CASSAZIONE
ha affermato che "quando si tratta di accertare la sussistenza di un delitto aggravato dall'evento morte, si pone il problema della

116
compatibilità con il principio di colpevolezza, per cui l'evento ulteriore accollato all'agente deve necessariamente ancorarsi a un
coefficiente di prevedibilità concreta (deve cioè postularsi la sua colpevolezza), altrimenti si rischia di incorrere nel divieto della responsabilità
oggettiva statuito dall'articolo 27 cost.).

In base alla logica della responsabilità oggettiva, l'evento viene posto a carico dell'agente sulla sola base del rapporto
di causalità anche nei casi di DELITTO PRETERINTENZIONALE articolo 43 co.1.,
cioè nei casi in cui "dall'azione od all'omissione deriva un evento dannoso o pericoloso, più grave di quello voluto
dall’agente"

L'unica figura di reato che il legislatore ha espressamente qualificato come "preterintenzionale" è


 l'omicidio, di cui all'articolo 584,
 e seppur in mancanza di un'espressa qualificazione legislativa, ha la struttura del delitto preterintenzionale anche la
figura di aborto preterintenzionale prevista dalla legge 194/78, ad opera dell’art. 18 della L. 19/90

- Ad avviso del legislatore, la preterintenzione, darebbe vita non ad un'ipotesi di responsabilità oggettiva, ma
di responsabilità colpevole.
- Altra parte della giurisprudenza ritiene invece che nel delitto preterintenzionale, l'evento più grave sia posto a
carico dell'agente solo sulla base del rapporto di causalità con l'azione o l'omissione dell’agente, ritenendo quindi, che
si tratti di responsabilità oggettiva.

In definitiva solo attraverso un'interpretazione secondo costituzione si può rimodellare il delitto preterintenzionale
secondo lo schema della responsabilità colpevole, subordinando l'applicazione della norma incriminatrice alla
possibilità di rimproverare a colpa dell'agente la causazione dell'evento: “chi con atti diretti a cagionare percosse o
lesioni, ha provocato la morte di un uomo, risponderà di omicidio preterintenzionale, solo se, un uomo ragionevole
poteva rappresentarsi la circostanza concreta che ha fatto degenerare le percosse o lesioni nella morte della vittima.”
Dunque nelle ipotesi di RESPONSABILITÀ OGGETTIVA IN RELAZIONE ALL'EVENTO, reinterpretate alla luce
dell'insegnamento della Corte costituzionale e delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, può dirsi che il rimprovero
al quale si espone l'agente è di aver agito con dolo misto a colpa:
o il dolo (cioè la rappresentazione e la volizione) riguarda la condotta; o la colpa riguarda invece
l'evento come conseguenza in concreto imprevedibile e inevitabile della condotta.

 RESPONSABILITÀ OGGETTIVA IN RELAZIONE AD ELEMENTI DIVERSI DALL'EVENTO;

La responsabilità oggettiva si configura anche quando ,elementi del fatto ,diversi dall'evento, vengono posti a carico
dell'agente, benché rispetto ad essi non vi sia, né dolo, né colpa, e dunque solo perché oggettivamente esistenti.

 Si pensi in primo luogo alla disciplina degli reati contro la libertà sessuale in danno di un minore di anni 14:
secondo quanto dispone l'art. 609 sexies c.p., "il colpevole non può invocare a propria scusa l'ignoranza
dell'età della persona offesa".
 In base al tenore dell'articolo, tale errore lascerebbe sussistere la responsabilità dell'agente per tale
delitto;
 Interpretando in conformità alla Costituzione, la responsabilità dell'agente potrà essere affermata
solo quando l'ignoranza dell'età dell'offeso, o l'erronea supposizione di un'età superiore agli anni
14, sia dovuta a colpa dell'agente.

In relazione all'ipotesi di cui all'articolo 609 sexies, la corte costituzionale ha affermato la necessità di interpretare
secondo costituzione le norme che prevedono ipotesi di responsabilità oggettiva, e in particolare, di interpretarle
secondo il principio costituzionale di colpevolezza.

 Una ulteriore ipotesi di responsabilità oggettiva, nella quale un elemento del fatto giace al di fuori del dolo,
è configurata dall'art. 82.1 c.p.

117
Si tratta della cosiddetta ABERRATIO ICTUS MONOLESIVA, cioè dell'ipotesi in cui "per errore nell'uso dei
mezzi di esecuzione del reato o per un'altra causa è cagionata offesa alla persona diversa da quella alla quale
l'offesa era diretta".
(Si pensi ad ESEMPIO a un teppista il quale, da un cavalcavia lancia un sasso con l'intento di ferire un motociclista, e per errore, ferisce
invece un operaio sulla strada.)

In presenza di una divergenza tra ciò che il soggetto ha voluto e ciò che ha realizzato, la legge fa ricorso ad una
finzione, considerando realizzata dolosamente l'offesa cagionata a danno di una persona diversa da quella presa di
mira.
Dispone infatti l'art. 82.1 c.p.: "Il colpevole risponde come se avesse commesso il reato in danno della persona che
voleva offendere".

 Diversa è l'ipotesi dell’error in persona, nel quale la persona offesa è quella contro cui, materialmente, si
dirigeva l'azione che si volevo offendere, e ciò che diverge tra volizione e realizzazione, attiene solo all'identità della
persona offesa : si tratta di un vero e proprio omicidio doloso.
(Tizio vede approssimarsi una persona credendo che si tratti di Caio spara per ucciderlo: non si tratta però di Caio ma di Sempronio!
È irrilevante che la vittima sia persona diversa perché nell'oggetto del dolo di omicidio non compare l'identità della persona offesa).

 Nell’aberratio ictus monolesiva invece si voleva offendere un determinato uomo, mentre invece si è offeso
un altro uomo, che non si voleva offendere.
In tal caso si tratta di una responsabilità oggettiva, che solo sulla base di una finzione, l'ordinamento pone a carico dell'agente
a titolo di dolo.

L'art 82.2 c.p. contempla poi l'ipotesi in cui "oltre alla persona diversa, sia offesa anche quella alla quale l'offesa era
diretta" (c.d ABERRATIO ICTUS PLURILESIVA), disponendo che "il colpevole soggiace alla pena prevista per il reato più
grave aumentata fino alla metà".
Ad ESEMPIO Tizio vuole uccidere Caio, sparando numerosi colpi di pistola contro di lui lo uccide, ma una delle pallottole ferisce Sempronio, che è
comparso improvvisamente sulla scena.
• Tizio risponde dell'omicidio di Caio secondo la responsabilità dolosa ;
• Tizio risponde del ferimento di Sempronio secondo una responsabilità oggettiva, e cioè risponderà solo per il fatto di aver
causato delle lesioni!

Interpretando l'art. 82 c.p. secondo Costituzione, in tutti i casi di aberratio ictus (monolesiva o plurilesiva) l'agente
risponderà soltanto se l'offesa alla persona diversa sia dovuta a colpa, in quanto cioè una persona ragionevole si
sarebbe accorta, in quelle circostanze concrete, che l'offesa da lui progettata si sarebbe potuta verificare nei confronti
di una persona diversa ( aberratio monolesiva) o anche di una persona diversa dalla vittima designata ( aberratio
plurilesiva) .

Quindi del ferimento dell'operaio sulla strada, l’agente:


 risponderà per le lesioni inferte se era riconoscibile a un osservatore modello la sua presenza sulla scena; 
non ne risponderà, invece, se l'operaio è sbucato improvvisamente sulla scena

In conclusione, anche nelle ipotesi di responsabilità oggettiva in relazione ad elementi del fatto diversi dall'evento,
reinterpretate alla luce dell'insegnamento della Corte costituzionale e delle Sezioni Unite della Corte di cassazione,
può dirsi che il rimprovero al quale si espone l'agente è di aver agito con dolo misto a colpa: con dolo rispetto a tutti
gli elementi del fatto, ad eccezione di quello da lui non conosciuto, del quale gli si rimprovera di averne per colpa
ignorato la presenza nel fatto concreto.

 RESPONSABILITÀ OGGETTIVA IN RELAZIONE ALL'INTERO FATTO DI REATO.

Nel codice Penale sono presenti due disposizioni che accollano all'agente l'intero fatto di reato, secondo lo schema
della responsabilità oggettiva:

118
 si tratta dell'articolo 116, reato diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, a norma del quale
"qualora il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde, se
l'evento è conseguenza della sua azione o omissione".

Secondo il tenore letterale della norma, risponde a titolo di concorso doloso chi, volendo concorrere in un
determinato reato, abbia fornito invece un contributo causale alla commissione di un reato, che per decisione
di un altro compartecipe, è risultato diverso da quello da lui voluto.

Ad ESEMPIO Tizio paga il sicario Caio perché penetri nella casa di Mevio e lo uccida: Caio, non trovando la vittima designata ma scorgendo un
prezioso quadro lo sottrae e se ne impossessa. Caio commette un furto, ai sensi dell'articolo 116, del furto risponde anche Tizio, benché il reato
commesso sia diverso da quello da lui voluto (un omicidio).

Sull'articolo 116 si è da tempo pronunciata la Corte costituzionale affermando che “il reato diverso deve potere
rappresentarsi alla psiche dell'agente come uno sviluppo logicamente prevedibile di quello voluto" e, in questa
prevedibilità logica la Corte, ha identificato un "COEFFICIENTE DI COLPEVOLEZZA”:

ad ESEMPIO :Se Tizio istiga Caio a commettere una rapina consegnandogli una pistola giocattolo, ma poi Caio sostituisce la pistola giocattolo con
un'arma vera uccidendo la vittima, secondo la lettura dell'art 116, Tizio risponderà di concorso in omicidio doloso, anche se il reato diverso non era
da lui concretamente prevedibile.

Una volta riconosciuto il rilievo costituzionale del principio di colpevolezza come ha fatto la Corte costituzionale, con le
sentenze del 1988 e del 2007, le incertezze interpretative vanno superate, come infatti riconosce un orientamento
giurisprudenziale secondo cui, il reato doloso diverso sarà addebitabile a chi non lo ha voluto, solo se era in colpa, e
cioè solo se una persona ragionevole, sulla base delle circostanze concrete conosciute o conoscibili, poteva
prevedere che sarebbe stato commesso un reato diverso.

Per tornare all'ESEMPIO della rapina, Tizio, non poteva prevedere la sostituzione dell'arma giocattolo con un'arma vera da parte di Caio e quindi,
non risponderà di concorso in omicidio doloso perché, il reato diverso da quello da lui voluto, non era concretamente prevedibile!

 Articolo 117: concorso di persone nel reato proprio.


La norma introduce una DEROGA alla disciplina generale del concorso di persone nel reato, per i casi in cui, in
assenza della qualità richiesta dalla norma che configura il reato proprio , il fatto integrerebbe un diverso reato:
si tratta di responsabilità oggettiva, in quanto, l'elemento del fatto di reato "qualifica del soggetto attivo" è sottratto
all'oggetto del dolo, né la legge richiede che l'ignoranza o l'errore dell’agente, sia determinato da colpa: la
responsabilità ex articolo 117 si fonda sul mero contributo causale alla realizzazione del fatto di reato.
Letto invece secondo la Costituzione, l'articolo 117 impone di ritenere l'estraneo responsabile di concorso nel reato
proprio solo se,l’ ignoranza o l'errore sulla qualifica soggettiva del concorrente, sia dovuta a colpa.
ESEMPIO: chi istiga il possessore di una somma di denaro ad appropriarsene a profitto proprio o dell'istigatore, ignorando che l'istigato è un pubblico
ufficiale che possiede quel denaro in ragione dell'ufficio, risponderà non di concorso nel reato da lui voluto, cioè di appropriazione indebita, ma per
effetto dell'articolo 117, di concorso in peculato, solo se un uomo ragionevole al suo posto si sarebbe reso conto che, colui verso il quale rivolgeva
l'istigazione, era un pubblico funzionario!

Alcune ipotesi di responsabilità per colpa (non di responsabilità oggettiva)


Lo schema della responsabilità oggettiva era talora adottato nel codice del 1930 non solo per l'evento, per altri elementi essenziali del fatto e per
l'intero fatto, ma anche per le circostanze aggravanti.

Il legislatore ha però successivamente armonizzato tale disciplina con il principio di colpevolezza, richiedendo la presenza almeno della colpa:
secondo il disposto dell'art. 59.2 c.p., nella versione della legge n. 19/1990,

"le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell'agente solo se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per
errore determinato da colpa".

 Alcuni reati come i REATI DI STAMPA all’originaria responsabilità oggettiva del direttore è stata sostituita una responsabilità a titolo di
colpa per l’omesso controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati.
La norma prevede dunque una vera e propria responsabilità per colpa, ma bisogna accertare se nel caso concreto avrebbe potuto, con
la dovuta diligenza, impedire che, col mezzo della pubblicazione venisse commesso un reato, invece la responsabilità è esclusa quando il
direttore , titolare di una posizione di garanzia, ha fatto quanto in suo potere per prevenire la diffusione di notizie non rispondenti al
vero, prescrivendo e imponendo regole e controlli per impedire la diffusione di notizie non rispondenti al vero.

119
 La formula "a titolo di colpa" compare anche nell'art. 83 c.p. a proposito della c.d. ABERRATIO DELICTI, cioè l'ipotesi in cui "per errore
nell'uso dei mezzi di esecuzione o per un'altra causa, si cagiona un evento diverso da quello voluto".
La formula legislativa "a titolo di colpa" ha indotto parte della dottrina, a sostenere che la responsabilità per il reato non voluto, non sia
propriamente colposa: si tratterebbe di una responsabilità fuggitiva, equiparata ai reati colposi solo ai fini della disciplina.
Tale interpretazione però non rispecchia le intenzioni del legislatore, né è conforme al principio costituzionale di colpevolezza.
Ne segue che non si tratta di un'ipotesi di responsabilità oggettiva, ma di un'ipotesi di RESPONSABILITÀ PER COLPA.
 La fattispecie dell’art.583 c.p. MORTE O LESIONI COME CONSEGUENZA DI ALTRO DELITTO, il fondamento della responsabilità si rinviene
nell’art.83 c.p. in quanto, la morte o la lesione di una persona che conseguano alla commissione di un fatto preveduto come delitto
doloso, saranno infatti poste a carico dell’agente solo se cagionate per colpa , ovvero, se si tratta di conseguenze in concreto prevedibili
da un uomo ragionevole, ad es. in un caso di scippo la vittima decede a causa di una grava malattia cardiaca insospettabile che ha
ingigantito gli effetti della reazione emotiva al furto, si applica l’art 83 c.p. enon l’art. 583 c.p Cass. A sez. Unite.
L’interpretazione conforme al principio di colpevolezza è quella che richiede anche nella fattispecie dell’art 586 c.p. una responsabilità per colpa in
concreto, ossia ancorata ad una violazione di regole cautelari di condotta e ad un coefficiente di prevedibilità ed evitabilità in concreto e non in
astratto del rischio connesso alla carica di pericolosità per i beni della vita e dell’incolumità personale, intrinseca nella consumazione del reato
doloso di base.

 L’art 586 c.p. abbraccia le ipotesi in cui ,la morte o le lesioni ,siano conseguenza di un delitto doloso diverso da quelli che prevedono la
morte o la lesioni come evento aggravante.
ad es si applica alla cessione di sostanze stupefacenti segiuta dalla morte del tossicodipendente.
Le condizioni obiettive di punibilità operano indipendentemente dal dolo e dalla colpa, ma ciò non contrasta con il principio di colpevolezza, perché
sono elementi estranei al fatto di reato
(ad es la flagranza o il pubblico scandalo nell’incesto) e la corte costituzionale ha sottolineato che gli elementi estranei alla materia del divieto
( come le condizioni estrinseche di punibilità) si sottraggono alla regola della rimproverabilità ( art 27 Cost.).

Spesso si profila una irragionevole SPROPORZIONE TRA MISURA della pena prevista da alcune norme E GRADO DELLA COLPEVOLEZZA : infatti
si punisce con la pena prevista per un delitto doloso una persona alla quale può essere mosso soltanto un rimprovero di colpa. Queste
norme si candidano ad essere costituzionalmente illegittime!

delitti aggravati dell’evento e omicidio preterintenzionale reati contro la libertà sessule in


danno di minori di anni 14 e (aberratio ictus) reato diverso di quello voluto da taluno dei
concorrenti e concorso di persone nel reato proprio,

B) ASSENZA DI SCUSANTI
Per considerare colpevole l'agente non basta che abbia commesso un fatto antigiuridico con dolo o con colpa: un
rimprovero di colpevolezza non può muoversi quando, l'agente ha commesso il fatto in presenza di SCUSANTI, cioè
di circostanze anormali che, nella valutazione legislativa, hanno influito in modo irresistibile sulla sua volontà o sulle
sue capacità psicofisiche.
Il tratto comune di queste ipotesi viene espresso con il concetto di INESIGIBILITÀ, nel senso che, da chi ha agito sotto
la pressione di quelle circostanze anormali, non si poteva esigere un comportamento diverso!
Le scusanti hanno CARATTERE TASSATIVO e le lacune non possono essere colmate da parte del giudice in quanto, solo
il legislatore può farlo!

Le principali scusanti dei reati dolosi

1) LA PROVOCAZIONE (giustifica i delitti contro l'onore), art. 599 c.p. "Non è punibile chi ha commesso i fatti dolosi di ingiuria e
diffamazione nello stato d'ira determinato da un fatto un giusto altrui, e subito dopo di esso";

2) è scusato chi commette FATTI ANTIGIURIDICI DOLOSI DI FALSA TESTIMONIANZA, FALSA PERIZIA O
INTERPRETAZIONE, FAVOREGGIAMENTO PERSONALE ECC. "Per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo
o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore” (art. 384.1 c.p.)

3) non è colpevole chi agisce in STATO DI NECESSITÀ determinato da forza della natura (art. 54. 1 c.p.) o dalla altrui
minaccia (art. 54. 3 c.p.), essendo costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno
grave
alla persona (es. è scusato chi, in un cinema invaso dalle fiamme, spinto dall'istinto di conservazione, travolge e uccide, magari scientemente e
volontariamente, un altro spettatore).

120
Le scusanti dei reati colposi

Si tratta di una gamma tassativa di CIRCOSTANZE, sia interne che esterne all'agente, concomitanti all'azione o
all'omissione, che viola una regola di diligenza, valutabili come scusanti di quella violazione sulla base delle
disposizioni sul caso fortuito (art. 45 c.p.), sulla forza maggiore (art. 45 c.p.), sul costringimento fisico (art. 46 c.p.) e
sulla coscienza e volontà dell'azione o dell'omissione (art. 42.1 c.p.).

a) il CASO FORTUITO, circostanza 'interna' (come l'insorgenza di un malore rapido e improvviso che colpisca chi è alla guida di
un'auto, il cui quadro clinico può essere il più diverso: un malore il cui il cui sbocco comportamentale può essere il compimento
di una manovra di guida in aperto contrasto con una regola oggettiva di diligenza.)
In casi del genere, la violazione delle regole di diligenza è incontestabile, com'è incontestabile che la violazione è stata
realizzata in circostanze anormali imprevedibili (fortuito è appunto) che la scusano, avendola resa fisicamente
necessitata.

b) la COSCIENZA E VOLONTÀ DELL'AZIONE O DELL'OMISSIONE, circostanze 'interne' come le reazioni da terrore o


spavento, che paralizzano le normali funzioni di controllo della coscienza e volontà.

c) Circostanze anormali “esterne” sono LA FORZA MAGGIORE E IL COSTRINGIMENTO FISICO.


Così, ad esempio, il bagnino realizzerà certamente un'omissione in contrasto con il dovere oggettivo di diligenza, se avrà tralasciato la necessaria
azione di salvataggio di un bagnante in pericolo, pur essendo normalmente riconoscibile la necessità e il modo di compiere quell'azione, e pur
trattandosi di un'attività normalmente realizzabile senza difficoltà; tuttavia, non risponderà di omicidio colposo, se l'omissione dell'azione di
salvataggio, realizzata in violazione del dovere oggettivo di diligenza, era eccezionalmente necessitata dal punto di vista psicofisico, anche per il
bagnino-modello, per l'influenza esercitata dalla presenza concomitante di situazioni di caso fortuito (un improvviso deliquio) o di costringimento
fisico (si trovava legato e imbavagliato da rapinatori) o di forza maggiore (era stato ferito agli occhi da un ombrellone scagliato da un forte colpo di
vento) o di arresto dei poteri di controllo della coscienza e volontà (un terrore irrefrenabile aveva paralizzato il bagnino alla vista del grave malore
che aveva colpito il figlioletto.)

e) STATO DI NECESSITÀ determinato dall'altrui minaccia (art. 54. 3 c.p.) trova applicazione anche per i reati colposi
oltre che dolosi!
LE CAUSE SOGGETTIVE DI ESCLUSIONE DEL REATO
Sono cause soggettive di esclusione del reato quelle che eliminano il reato:

 Escludendo il nesso psichico richiesto dal 1° co dell'art 42, cioè la cosiddetta "suitas"
 rientrano in questa ipotesi: incoscienza indipendente dalla volontà, forza maggiore, costringendo
fisico.
 Escludendo l'elemento soggettivo del reato, la cd colpevolezza, cioè il dolo o la colpa 
rientrano in questa ipotesi il caso fortuito e l'errore.

Il caso fortuito art 45 cp

il caso fortuito è un avvenimento imprevisto e imprevedibile, che si inserisce d'improvviso nell'azione del soggetto e che
non può essere ricondotto, nemmeno a titolo di colpa, all'attività psichica dell’agente;

si tratta quindi di un fattore causale sopravvenuto, concomitante o preesistente alla condotta dell'agente e
indipendente da essa.
In tale ipotesi è dunque da escludere il nesso causale tra azione ed evento; la presenza del caso fortuito esclude la
punibilità (= applicazione della sanzione) e esclude la configurabilità del reato, perché difetta uno dei suoi elementi
costitutivi essenziali, cioè la colpevolezza (dolo o colpa).
Esempio: un automobilista percorre una strada cittadina a velocità moderatissima e contro il suo veicolo va ad urtare
un ciclista, il quale proviene a tutta velocità: le eventuali lesioni subite dal ciclista non possono essere ricondotte a
colpa dell'automobilista, ma al caso fortuito.

121
Distinzione tra caso fortuito e forza maggiore
entrambe escludono l'elemento soggettivo del reato (cioè la colpevolezza), però:

 nel caso fortuito: avviene l'improvviso inserimento di un fattore imprevedibile nella condotta dell'agente, che
rende fatale il determinarsi dell'evento;
 nella forza maggiore: l'evento deriva da un fatto naturale di un altro uomo, alla cui azione il soggetto non si può
sottrarre.
Quindi:

 il carattere del caso fortuito è l'imprevedibilità


 il carattere della forza maggiore è l'irresistibilità

La cd. Inesigibilità
alcuni autori affermano che sia il dolo che la colpa sono esclusi quando l’agente si è trovato in condizioni tali da non
potersi esigere o pretendere un comportamento conforme al precetto penale, dunque un contegno diverso da quello
tenuto.
Per esempio: il caso dell'alpinista che, sorpreso dalla tormenta, abbandona il proprio compagno per salvarsi; o il caso del medico condotto che,
sfinito per una giornata di lavoro, rifiuta di recarsi a tarda sera a far visita ad un ammalato.

La teoria dell’inesigibilità è criticata dalla maggior parte degli autori per la mancanza completa di fondamento
normativo: infatti la giurisprudenza ha criticato che tale principio non trova una collocazione al di fuori dello spazio
delle cause di giustificazione e delle cause di esclusione della colpevolezza; dunque non è consentito al giudice di
cercare cause ultralegali di esclusione della punibilità attraverso l'analogia iuris.
L'errore e la sua rilevanza in diritto penale

L'ERRORE può essere definito come "una falsa rappresentazione della realtà".

§ Va tenuto distinto DALL'IGNORANZA, che è invece assolutamente alza di conoscenza.


Tuttavia, essendo l'errore causato dall'ignoranza di un qualcosa che doveva essere conosciuto, la dottrina dominante
ritiene che errore e ignoranza, agli effetti pratici, coincidono.

§ Diverso è il DUBBIO definibile quale incertezza, conflitto tra due o più rappresentazioni della realtà; fin
quando dura tale incertezza, il soggetto non ha l'esatta conoscenza della realtà e dunque, solo dopo che il
dubbio sia stato risolto, si potrà accertare se il soggetto fosse o meno in errore.

In relazione alle CONSEGUENZE che l'errore produce, si distingue:

 errore proprio: è quello che fa ritenere al soggetto di agire nel rispetto della legge, mentre in realtà la viola;
 errore impropria: viceversa, fa ritenere al soggetto di commettere un illecito, mentre in realtà il suo
comportamento non viola nessuna norma penale.

A seconda del MOMENTO in cui l'errore interviene si distingue tra:

 errore inabilità: è quello che interviene nella fase esecutiva del reato, dando luogo alle ipotesi di
"aberratio".
 errore motivo: è quello che interviene nella fase ideativa del reato, incidendo in tal modo nel processo
formativo della volontà; questo a sua volta si distingue in relazione all'ASPETTO su cui cade:

• errore sul fatto: ha ad oggetto una situazione di fatto, una realtà fenomenica;
122
• errore sul diritto (detto anche errore sul precetto): ha ad oggetto una norma giuridica

In relazione alla CAUSA che lo ha determinato si distingue tra:

 errore di fatto: è quello in cui, la falsa rappresentazione della realtà, fenomenica o giuridica, trova la sua
causa in una falsa rappresentazione di una situazione di fatto;
 errore di diritto: è quello in cui la falsa rappresentazione della realtà, fenomenico giuridica, trova la sua causa
in una falsa rappresentazione di una norma giuridica

Si potrà quindi avere:


 errore di fatto sul diritto: quando la
 errore di fatto sul fatto: quando la falsa falsa rappresentazione della realtà
rappresentazione della realtà fenomenica, dipende giuridica, dipende da una falsa
da falsa rappresentazione di una situazione di rappresentazione della situazione di
fatto; fatto;
 errore di diritto sul fatto: quando la falsa  errore di diritto sul fatto, quando
rappresentazione della situazione di fatto, dipende posso rappresentazione della realtà
da una falsa rappresentazione di una norma giuridica,
giuridica; dipende da una falsa rappresentazione di una
norma

Errore proprio sul diritto: l'errore sul legge penale (art. 5, come precisato dalla sentenza 364/88
della corte costituzionale)

Articolo 5 “ignoranza della legge penale”

“nessuno può invocare a propria scusa l'ignoranza della legge penale.”

la norma in esame è stato oggetto di profonde critiche da parte della dottrina. essa, infatti, nella sua formulazione
originaria escludeva in via assoluta dell'ignoranza (cioè assenza di rappresentazione della realtà) o l'errore (cioè la divergenza tra
la rappresentazione soggettiva e la realtà oggettiva) in relazione alla legge penale potessero essere causa di esclusione della
responsabilità penale.

Senonché la consapevolezza del disvalore penale della propria condotta è apparsa in contrasto con i commi uno e tre
dell'articolo 27 della costituzione: infatti dal principio di personalità della responsabilità penale co 1 e dalla funzione
rieducativa della pena co3 , deve desumersi che, l'ordinamento non ha ragione di punire un soggetto, il quale, pur
avendo posto in essere un fatto di per sé rispondente ad una fattispecie tipica di reato, non possa essere rimproverato
neppure di leggerezza.

Le istanze dottrinali e giurisprudenziali sono state avvertite dalla corte costituzionale che con la sentenza 364/1988
ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'articolo 5 "nella parte in cui non esclude dalla inescusabile
dell'ignoranza della legge penale ignoranza inevitabile", cioè HA DICHIARATO SCUSABILE ,e quindi causa di
esclusione del reato , L'ERRORE INEVITABILE.

Con questa pronunciata la corte ha arricchito il sistema di imputazione soggettiva dell'illecito penale: infatti, affinché
il soggetto possa considerarsi colpevole è ora necessario un elemento ulteriore costituito dalla possibilità di
conoscenza della norma penale. Secondo il ragionamento seguito dalla corte, il generale principio di solidarietà
sancita dall'articolo due della costituzione, pone a carico di ciascun consociato in dovere strumentale di informazione
e conoscenza della legge penale. Tale obbligo sarà particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono
professionalmente una determinata attività i quali quindi risponderanno dell'illecito anche nel caso di colpa lieve. Ne
consegue che il soggetto sarà responsabile ogniqualvolta l'ignoranza della legge penale deriva dalla violazione del
dovere di informazione; non sarà così qualora un adempiendo al proprio dovere di informazione, il soggetto non

123
acquisisca la consapevolezza della illiceità di un comportamento e si tratta perciò di ignoranza inevitabile, cioè
insuperabile da chiunque altro si fosse trovato nella situazione in cui l'agente modello ha operato (per esempio può
ritenersi scusabile l’ignoranza dell'extracomunitario che il quale, l’ ambulante vende gli accendini, senza sapere di
porre in essere per reati finanziari)

E’ INVOCABILE L'INEVITABILITÀ DELL'IGNORANZA, QUINDI L'IGNORANZA È SCUSABILE

 da parte di soggetti dotati di particolari conoscenze giuridiche, quando la disciplina normativa presenta
rilevanti connotati di equivocità.
 da parte del comune cittadino sfornito di specifiche competenze, che abbia assolto comunque al dovere di
conoscenza con l'ordinaria diligenza ma non abbia potuto evitare l'ignoranza.
L'INEVITABILITÀ DELL'ERRORE NON SI CONFIGURA, QUINDI L’IGNORANZA NON È SCUSABILE NEL CASO DI:

• realizzazione di fatti che la coscienza sociale considerati antigiuridici (i reati contro la persona, contro il
patrimonio, contro la famiglia)
• non sarà scusabile l’ignoranza quando l’agente versi in uno stato di dubbio( la corte costituzionale distingue
il dubbio soggettivamente invincibile, in presenza del quale il soggetto deve astenersi dall'azione e il dubbio
oggettivamente irrisolvibile ,in presenza del quale il soggetto non potrà essere assoggettato ad alcun
rimprovero) in quanto dovrà risolverlo e nel caso in cui non vi riesca deve astenersi dall'agire.
• non sarà invocabile ignoranza da chi, professionalmente inserito in un determinato campo di attività, non si
informi delle norme che disciplinano il campo stesso e che possono essere agevolmente acquisite alla
conoscenza del soggetto.

Errore di fatto sul fatto (articolo 47, commi 1 e 2)


Co 1: "l'errore sul fatto, che costituisce reato, esclude la punibilità dell’agente (a titolo di dolo).

Co 2: ”Se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è previsto dalla legge come
delitto colposo."

L'ERRORE, PUÒ ESSERE DEFINITO COME UNA FALSA RAPPRESENTAZIONE DELLA REALTÀ:
 se si tratta della realtà materiale, esterna al soggetto è ERRORE DI FATTO;
 se invece è costituito da un'errata la presentazione di una situazione normativa è ERRORE DI
DIRITTO; ad esempio credo che la piantina che sto coltivando sia ornamentale, invece si tratta di droga
(errore di fatto); so che le pasticche che detengo sono exstasi, ma non sapevo che fossero inserite
nell'elenco delle sostanze stupefacenti la cui detenzione è vietata (errore di diritto).
L'errore qui disciplinato è l'errore che incide sul processo formativo della volontà (errore motivo), Va tenuto distinto
da quello incidente sull'esecuzione del reato cioè quello inabilità, che dà vita al reato aberrante articoli 82 e 83.

L'errore sul fatto esclude sempre il dolo, perché tale forma dell'elemento soggettivo (dolo), oltre alla volontà della
condotta dell'evento, esige l'esatta rappresentazione della situazione di fatto nella quale il soggetto si muove.

ESEMPIO: Tizio apre una lettera che gli è stata consegnata per errore, in quanto diretta ad un suo omonimo: siamo in
presenza di errore scusabile quindi Tizio non risponde del reato di violazione di corrispondenza.

ESEMPIO: Tizio spara contro un'ombra e ammazza un uomo: in tal caso, l'errore è inescusabile, in quanto dovuto a
negligenza di Tizio, che pertanto risponde di omicidio colposo.

L'errore di fatto che esclude la punibilità (a titolo di dolo) è quello essenziale, cioè che cade su uno degli elementi
essenziali per la sussistenza del reato.
Sono invece irrilevanti:

 l'errore sull'oggetto (credo che la bicicletta che rubo sia di Tizio e invece è di Caio: il furto si realizza
ugualmente)

124
 l'errore sulla persona (colpisco alle spalle una persona credendola un mio nemico, mentre non lo è: ricorre
sempre il reato di percosse)
 l'errore sul nesso causale (credo di uccidere Caio facendolo precipitare da una scogliera e invece muore
d'infarto per lo spavento)
La disciplina di tale tipo di errore è molto semplice:

o esso esclude sempre il dolo, e se scusabile (cioè quando nessun rimprovero neanche di semplice
leggerezza può essere mosso all’agente caduto in errore), esclude anche la colpa;
o viceversa, se inescusabile, cioè frutto di negligenza ,trascuratezza ossia di colpa, lascia sussistere la
responsabilità a titolo di colpa ovviamente a condizione che il fatto sia punito come reato colposo.
Quindi l'errore di fatto esclude la punibilità di un reato a titolo di dolo però, come prevede l'art 47 c 1,
se il fatto è punito anche a titolo di colpa, e questa sussiste, si risponderà di reato colposo.
es: un cacciatore vede agitarsi un cespuglio e ritiene che dietro vi sia una lepre, mentre vi è un uomo accovacciato (errore di fatto determinato da
falsa percezione della realtà), sparando uccide l'uomo; egli non risponderà di omicidio doloso (perché il dolo è escluso dall'errore) ma
eventualmente risponderà di omicidio colposo (per la negligenza del suo comportamento).

Errore sugli elementi specializzati della fattispecie art. 47 co 2


L’art. 47 c2 dispone: "l'errore sul fatto che costituisce un determinato reato, non esclude la punibilità per un reato
diverso".

ESEMPIO: Tizio ignorando di possedere la qualifica di pubblico ufficiale, si appropria di una somma di denaro di cui ha
la disponibilità in ragione del suo ufficio: egli non risponderà il reato di peculato ma di reato di appropriazione
indebita).

Errore di diritto sul fatto cd. ERRORE SU NORMA EXTRA PENALE art. 47 co 3
L’articolo 47 co3 dispone: "l'errore su una legge diversa dalla legge penale esclude la responsabilità quando ha
cagionato un errore sul fatto che costituisce reato".

La dottrina, escludendo la rilevanza dell'errore su norma penale, salvo le ipotesi di errore è inescusabile di cui
all'articolo cinque del codice, riferendosi all’ errore su norme extrapenali distingue :

∞ norme integratrici del precetto penale: sono quelle che danno maggiore concretezza al precetto penale
precisandolo (il presupposto di pubblico ufficiale nel reato di peculato); oppure sono integratrici quelle
norme che integrano le norme penali in bianco (esempio elenco delle sostanze stupefacenti contenuta in un
decreto ministeriale, il cui traffico costituisce reato). PER QUESTE NON VI SAREBBE L'EFFICACIA SCUSANTE
DELL'ERRORE .l'errore è irrilevante in quanto errore su legge penale e quindi è inescusabile
∞ norme non integratrici : sono tutte le altre norme extrapenali. PER QUESTE L'ERRORE HA L’EFFETTO DI
ESCLUDERE LA COLPEVOLEZZA . l'errore è rilevante per escludere la colpevolezza.
alcuni autori recentemente, hanno sottolineato che oltre alle difficoltà di distinguere i due tipi di norme integratrici e
non, la teoria appena citata porta ad una interpretazione abrogatrice del terzo comma dell'articolo 47, in quanto ogni
norma extrapenale richiamata ,esplicitamente o implicitamente da una norma penale, finisce con il costituire una sua
integrazione.

Sicché si è ritenuto di individuare il contenuto del terzo comma come finalizzato alla disciplina dell’"errore sugli
elementi normativi" della fattispecie penale. sono elementi informativi, quelli che trovano la loro esplicazione di leggi
125
diverse da quelle penali (esempio: per l’altruità della cosa le norme civilistiche sul diritto di proprietà) e che
costituiscono presupposto normativo di qualificazione dell'elemento del fatto.

Altra dottrina invece, partendo dall'osservazione della equivocità della formulazione dell'articolo 47, il quale è
intitolato nella rubrica "errore di fatto" ma in realtà nel suo seno disciplina l'errore sul fatto osserva che la
contrapposizione dovrebbe sussistere tra "errore sul fatto" ed errore sul divieto

 errore sul divieto: il soggetto si rappresenta, vuole e realizza un fatto materiale identico a quello vietato
dalla norma penale ma che egli, per errore su questa, crede non sia vietato e quindi non costituisca reato. In
questo caso l'errore sul divieto non è idoneo a escludere il dolo, operando il disposto dell'articolo 5: IN TAL
CASO L'ERRORE NON SCUSA PERCHÉ NON ESCLUDE IL DOLO
 errore sul fatto: il soggetto, ché può avere un'esatta conoscenza della norma penale, erede di realizzare un
fatto diverso da quello vietato dalla norma penale. L'errore sul fatto far venire meno la colpevolezza
operando il disposto dell'articolo 47 .IN TAL CASO L'ERRORE HA EFFICACIA SCUSANTE PERCHÉ ESCLUDE IL
DOLO.
Chiamata ad esprimersi sul tema, LA CASSAZIONE ha sostenuto che per legge extrapenale si intende una norma
destinata esclusivamente a regolare i rapporti giuridici di carattere non penale ,né richiamati esplicitamente o
implicitamente dalla norma penale, in quanto tale legge, inserendosi nel precetto a integrazione della fattispecie
criminosa, concorre a formare l'obiettività giuridica del reato, con la conseguenza che l'errore che ricade su di essa
non può avere efficacia scusante al pari dell'errore sulla legge penale vera e propria.

Errore determinato dall'altrui inganno art. 48

l'errore sul fatto può derivare anche dall'altrui inganno: l'articolo 48 prevede infatti che
"le disposizioni dell'articolo 47 si applicano anche se l'errore sul fatto che costituisce reato, è determinato dall'altrui
inganno; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona ingannata, risponde chi l'ha determinata a commetterlo".

Secondo l'orientamento consolidato in giurisprudenza, l'articolo 48 disciplinare ebbe un'ipotesi di RESPONSABILITÀ


DELL'AUTORE MEDIATO.
In tale categoria rientrerebbero tutte le ipotesi in cui taluno si ferma, al fine di commettere un reato, di un soggetto
non imputabile o non punibile per altra causa: in tali casi, l'autore materiale è esente da responsabilità; cioè del fatto
commesso dall'autore immediato, risponde l'autore immediato, cioè colui che volontariamente l’ha indotto in errore.

La dottrina oggi dominante critica l'orientamento riconduce la fattispecie alla disciplina del concorso di persone nel
reato: è infatti ormai prevalente l'opinione che, anche i soggetti non imputabili o non punibili, possono essere
computati ai fini della configurabilità di un concorso nel reato.

L'errore improprio art. 47

Può cadere sul diritto o sul fatto, ma in ogni caso, il fatto commesso a seguito di errore improprio non è reato anche
se, può essere in certi aspetti penalmente rilevante.

Le DUE IPOTESI riconducibili alla figura dell'errore improprio sono: il reato putativo e il reato impossibile,
disciplinate entrambe dall'articolo 49

1. IL REATO PUTATIVO: art 49 co 1


"Non è punibile chi commette un fatto non costituente reato, nella supposizione erronea che esso costituisca
reato".

126
Esso esiste solo nella mente della gente e non nella realtà, dunque non costituisce reato, e quindi soggetto
che lo compie non è punibile.
La convinzione che un fatto costituisca reato può dipendere
 da un errore di diritto: REATO PUTATIVO PER ERRORE DI DIRITTO: è quello di chi crede
erroneamente, che il fatto da lui commesso, è punito da una norma penale (per esempio nel caso in
cui la norma che prevedeva quel fatto è stata abrogata).

 o da un errore di fatto: REATO PUTATIVO PER ERRORE DI FATTO:


1) il soggetto crede di commettere un reato, mentre in realtà, manca uno degli elementi
essenziali richiesti per la sua sussistenza: è il caso di chi ruba una cosa propria, credendola
altrui;
2) il soggetto crede di commettere un reato, mentre agisce in presenza di una causa di
giustificazione: è il caso di chi crede di rubare, mentre in realtà sussiste il consenso dell'avente
diritto (reato putativo per errore su scriminante)
3) il soggetto crede erroneamente di avere uno dei requisiti richiesti per commettere un
reato
proprio: è il caso di chi ritenendosi imprenditore, crede di commettere bancarotta

2. REATO IMPOSSIBILE art. 49 co 2

"La punibilità è esclusa quando, per l'inidoneità dell'azione per l'inesistenza dell'oggetto di essa, è impossibile l'evento
dannoso o pericoloso".
Il reato impossibile quindi si verifica un'ipotesi:

 nel caso di inidoneità dell'azione: Tizio intende uccidere Caio con una pistola giocattolo, 
nell'ipotesi in cui manchi l'oggetto dell'azione, cioè l'oggetto materiale del reato.
Parte della dottrina ritiene che la previsione del reato impossibile è inutile, in quanto ripetitiva di quanto già affermato
in materia di tentativo.
Il reato impossibile non sarebbe altro che un tentativo inidoneo.

Altra dottrina afferma l'autonomia del reato impossibile in quanto si tratta di un'applicazione del " principio di
offensività".
Secondo tale principio il reato deve effettivamente ledere o mettere in pericolo il bene tutelato dalla norma, altrimenti
l'azione non è offensiva e quindi non può costituire reato.

Il reato impossibile, come dispone l'articolo 49 al 2° comma si verifica in due ipotesi:

1. Nel caso di inidoneità dell'azione: cioè quando l'azione è inidonea a ledere il bene protetto, in quanto
assolutamente inadeguata e inefficiente per la realizzazione del proposito criminoso. (Esempio chi ruba una
ciliegia da un albero, non è punibile ai sensi dell'articolo 624: furto, in quanto, avendo posto in essere La
condotta descritta dalla norma, essere in concreto non è idonea al ledere il bene giuridico "patrimonio"
protetto dalla norma).
L'inidoneità dell'azione nel reato impossibile deve essere accertata attraverso un'indagine che dimostri se
effettivamente è stata prodotta una violazione dell'interesse tutelato.
Quindi di fronte ad una condotta dell'agente che non ha prodotto l'evento lesivo o pericoloso, bisogna
valutare con un giudizio prognostico concreto ed ex ante (cioè ponendosi idealmente nella situazione che l’agente
si era rappresentato prima dell'azione) l'idoneità dell'azione:

 se l'esito è negativo: si tratta di reato impossibile 


se l'esito è positivo: si tratta di reato tentato.

Fiandaca-Musco ritengono che per accertare se il bene tutelato dalla norma abbia corso un pericolo reale non è

127
sufficiente il giudizio prognostico effettuato dall'articolo 56 dovendo tenere conto, non solo delle circostanze
conosciute o conoscibili dall’ agente al momento dell'azione, ma di tutte le circostanze presenti nella situazione
concreta qualunque sia il momento in cui vengono conosciute quindi non solo nel momento dell'azione. Si ha
dunque, reato impossibile quando l'azione non ha mai posto in pericolo il bene protetto.

2. Nell'ipotesi in cui manca l'oggetto dell'azione: cioè manca l'oggetto su cui cade l'attività materiale del reato.
Seconda parte della dottrina, per accertare l'inesistenza dell'oggetto, bisogna considerare come si
prospettava la situazione nel momento in cui l'agente si era accinto ad attuare il suo piano criminoso.
 Se in tale momento la presenza dell'oggetto appariva improbabile si avrà "reato impossibile"
 in tutti gli altri casi, invece il fatto sarà punito
(ad esempio come per tentato omicidio che gli spara contro il letto vuoto, dove però, solitamente dorme
la vittima mancata).
Altra dottrina invece distingue:
 inesistenza assoluta: si ha quando l'oggetto non è mai esistito in natura o si è estinto: in tal caso è escluso a
priori il pericolo di consumazione del delitto è si ha quindi reato impossibile
 inesistenza relativa: si ha quando l'oggetto esiste in natura non manca nel luogo in cui cade la condotta
criminosa: in tal caso se al momento della condotta l'esistenza dell'oggetto appariva verosimile si ha il
tentativo punibile.

In riferimento al tentato furto : se il portafoglio nella tasca della vittima manca,l'orientamento dominante
e la giurisprudenza ritengono punibile l'agente se al momento dell'inizio dell'azione (ex ante e in
concreto) era verosimile l'esistenza del portafoglio.
Fiandaca-Musco sostengono che il giudizio sull'esistenza dell'oggetto andrebbe fatto ex post e in concreto:
si ha la non punibilità

Esempi

 risponderà di tentativo colui che cerca di propinare acqua zuccherata in dose letale a chi sa di essere
diabetico senza però riuscirvi;
 viceversa sarà reato impossibile il fatto di chi spara ignorando che il fucile era a salve.
Il reato impossibile rappresenta un quid iuris rispetto alla tentativo inidoneo, che è appunto, soltanto il tentativo di un
reato impossibile.

Effetti del reato impossibile

articolo 49 co 3 : "se concorrono nel fatto di elementi costitutivi di un reato diverso, si applica la pena stabilita per il
reato effettivamente commesso"
es: chi ha cercato di rubare una cosa che non era nel luogo, ma ha arrecato danni, risponderà di danneggiamento

Se si verifica un delitto impossibile, il giudice ha la facoltà di ordinare l'imputato prosciolto sia sottoposto alla misura di
sicurezza della libertà vigilata, perché il fatto può dimostrare che l'autore è un individuo socialmente pericoloso; tale
cosa, secondo alcuni, costituisce uno dei due casi in cui si può applicare una misura di sicurezza senza che sussista un
reato.
Alcuni autori ritengono che un fatto o è previsto come reato, e come tale comportamento elezione di una pena,
oppure non costituisce reato.

Il reato impossibile pertanto, non sarebbe reato: l'applicazione delle misure di sicurezza è giustificata in quanto
costituisce una misura di carattere amministrativo.
128
REATO ABERRANTE
Diversamente dall'errore di cui agli articoli 47,48 49 del codice penale, che vizia la volontà nel suo momento
formativo, dando vita al cosiddetto errore motivo o vizio, nella fattispecie di reato aberrante la volontà si forma
correttamente, ma tuttavia, per un errore nell'uso dei mezzi di esecuzione (per esempio il proiettile, deviando ha
colpito un soggetto anziché un altro) o per altra causa (nel momento in cui la gente preme il grilletto la persona presa
di mira cade e viene colpito un altro soggetto).

• si commette un reato diverso da quello voluto, dando vita alla cosiddetto ABERRATIO DELICTI , di cui
all'articolo 83
• ovvero cagiona un’offesa a una persona diversa da quella voluta , dando vita all’ ABERRATIO ICTUS, di cui
all'articolo 82.

Nei casi di aberratio, l'errore incide sulla mera esecuzione del fatto costituente reato ,cosiddetto errore inabilità:

o esempio: tizio vuole sparare a Caio, ma sbagliando nella mira colpisce Sempronio che era al fianco della vittima designata;
in ciò si distingue dall'errore che cade sul momento formativo della volontà disciplinata dall'articolo 47 il cosiddetto errore vizio:

o esempio: tizio spara a Caio scambiandolo per Sempronio a cui assomiglia.

L'articolo 82 disciplina 2 DIVERSI TIPI di ABERRATIO:

1. quella monolesiva al primo comma (Tizio spara a Caio ma uccide Sempronio che si trovava vicino)
2. quella plurilesiva al secondo comma (Tizio spara a Caio, lo ferisce e con lo stesso proiettile uccide Sempronio).

Per quanto riguarda il primo comma, quindi L’ABERRATIO MONO-LESIVA, l’agente risponde di un unico reato per la
violazione più grave in cui viene assorbito il reato meno grave.

a) Ad esempio se tizio spara a Caio ma colpisce e uccide Sempronio, che si trova vicino alla vittima designata,
risponderà di omicidio in danno di Sempronio nella cui previsione rimane assorbito il tentato omicidio in
danno di Caio.
b) se invece, sparando per uccidere Caio, ferisce Sempronio, tizio risponderà di tentato omicidio in danno di
Caio in cui rimane assorbito il reato delle lesioni patite da Sempronio.

Dunque l’agente risponde di un unico reato doloso come se l'avesse commesso nei confronti della persona designata,
in quanto la volontà dell’agente era diretta a realizzare una determinata offesa prescindendo dal fatto che poi questa
sia stata diretta ad un'altra persona diversa in quanto ciò che rileva per la cassazione è l'originario elemento
soggettivo, appunto il dolo: l'accertamento del dolo dovrà essere quindi effettuato con riferimento alla persona nei cui
confronti l'offesa era diretta (vittima designata ) e non a quella cui la stessa è stata cagionata.

129
<l'articolo 82 afferma che per quanto riguarda le circostanze in caso di errore sulla persona dello stesso si applica
l'articolo 60: cioè se tizio voleva uccidere Caio ma per errore determina la morte di Sempronio che era suo padre, non
potrà vedersi contestare l'aggravante del parricidio; ovvero se la gente colpisce per errore, non il provocatore ma una
persona diversa, beneficierà egualmente dell'attenuante di cui all'articolo 62 n.2.

A favore dell'agente operano anche le sccriminanti articoli 50-55: ad esempio se un gioielliere, aggredito da un
rapinatore, gli spara contro, ma per errore di mira colpisce un cliente, egualmente potrà beneficiare della scriminante
legittima difesa.
Il secondo comma dell'articolo 82 disciplina la cosiddetta ABERRATIO ICTUS PLURI-LESIVA, cioè quando si cagiona
un'offesa alla persona voluta e un'ulteriore offesa alla persona diversa :
(Tizio spara Carlo ferendolo, ma la pallottola colpisce anche Sempronio).

• L’agente risponde a titolo di dolo dell'evento voluto nei confronti della vittima designata E
• a titolo di responsabilità oggettiva per l’evento non voluto nei confronti delle persone offese per errore.
La pena stabilita dal codice penale è quella prevista per il reato più grave aumentata fino alla metà.

Secondo Fiandaca-Musco l'applicazione in ogni caso del secondo comma dell'articolo 82 si risolve in una palese violazione del
divieto di analogia in malam partem: perché tale comma è una norma sfavorevole dell'imputato, in quanto laddove essa non vi
fosse, il soggetto che ha cagionato più vittime dovrebbe rispondere ai sensi del 1° e del 3° co dell'art. 82, di concorso formale del
reato doloso (consumato o tentato) contro la vittima predestinata con eventuali delitti colposi a danno delle vittime ulteriori: la
pena dunque verrebbe necessariamente a essere inferiore a quella determinata ai sensi di tale 2° co.

Circa la natura giuridica dell’ABERRATIO ICTUS PLURILESIVA vi sono orientamenti discordanti in dottrina e
giurisprudenza:

 secondo la dottrina dominante si tratterebbe di reato unico, in quanto l'ulteriore evento attribuito al titolo di
responsabilità oggettiva, non potrebbe integrare un altro autonomo reato. Di conseguenza non vi sarebbe
alcuna inscindibilità dei fatti riuniti.
 secondo altri si configurerebbe invece una pluralità di reati, integranti un'ipotesi di concorso formale di reati
con applicazione di una disciplina sanzionatoria unitaria. La cassazione ha aderito all'ipotesi di concorso
formale di reati "con una medesima azione si realizza un'offesa dolosa è un'offesa colposa a beni giuridici
omogenei di due diversi soggetti passivi"; da ciò consegue l'eventuale applicabilità dell’amnistia ai singoli
reati che compongono la fattispecie in esame.

ART. 83 EVENTO DIVERSO DA QUELLO VOLUTO DALL’AGENTE


dovuto errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato o per un'altra causa
 il colpevole risponde a titolo di colpa dell'evento non voluto, quando il fatto preveduto dalla legge come
delitto colposo.

 Se il colpevole ha cagionato anche l'evento voluto, si applicano le regole sul concorso di reati

- ad esempio: tizio spara verso Caio per ucciderlo, ma mancandolo provoca un incendio: Tizio risponderà di
incendio colposo
- se invece il proiettile rompe una vetrina, tizio risponderà di danneggiamento, in quanto tale delitto è punito
dalla legge solo a titolo di dolo

Si agisce per commettere un reato ma se ne realizza uno diverso.

130
(è diverso l’evento quando non vi è omogeneità tra il bene giuridico che si voleva ledere e quello concretamente leso).

Seconda parte della dottrina per attribuire la responsabilità del reato sarà necessario dimostrare la sussistenza
di una colpa generica secondo i criteri di cui all'articolo 43.
secondo altri, il reato si configura indipendentemente dalla sussistenza concreta di una colpa, è responsabilità
oggettiva, purché sussista il nesso di causalità tra condotta ed evento.
Secondo l'orientamento prevalente, invece, nel caso dell'articolo 83 si ha in caso di colpa specifica, ricorrente tutte le
volte in cui l'evento si verifica in conseguenza della violazione di norma giuridica: la norma violata in tal caso è la legge
penale che l’agente voleva infrangere mirando a compiere il reato doloso non realizzatosi.

il secondo comma disciplina la cosiddetta ABERRATIO ICTUS PLURILESIVA, che si realizza quando viene consumato
oltre al reato diverso anche quello voluto: ad esempio tizio sparando verso Caio lo ferisce e provoca un incendio.
In tal caso l’agente risponde

 a titolo di dolo dell'evento voluto e


 a titolo di colpa per l'evento o gli eventi non voluti per
l'applicazione della pena si farà ricorso alle norme sul concorso di
reati.

 Parte della dottrina sostiene che si debbano applicare le norme sul concorso anche quando il primo reato
sia rimasto allo stadio di tentativo: così se il soggetto, tentando di ammazzare suo rivale, sbaglia mira e
colpisce materie infiammabili provocando l'incendio, risponderà di tentato omicidio e incendio colposo.
 Diverso avviso è invece la giurisprudenza, secondo la quale non trova applicazione la disciplina del
concorso di reati quando l'evento voluto sia configurabile come delitto tentato.
per errore nell'esecuzione sia stato cagionato l'evento diverso accanto all'evento voluto dall'articolo 83 e non l'articolo
82 se l'evento verificatosi costituisce una progressione naturale e prevedibile di quello voluto o di entità è più grave di
questo, l'evento maggiore va addebitato alla gente titolo di dolo, alternativo o eventuale a seconda dei casi.

3. IL TERZO TIPO DI ABERRATIO È L’ABERRATIO CAUSAE O ITINERIS CAUSARUM

ricorre quando per errore nella fase consultiva, la successione causale si sia svolta in maniera diversa da quella
prevista dall’agente.
È il caso di chi, volendo ammazzare un soggetto facendolo annegare, lo scaraventa nel fiume, ma il soggetto non
muore per annegamento, ma perché batte la testa contro un sasso.

il soggetto risponderà sempre di omicidio doloso

Si tratta di una fattispecie non esplicitamente disciplinata dal codice e frutto di una creazione dottrinale e
giurisprudenziale.

o Nei reati a condotta libera è irrilevante, per cui l’agente è responsabile del fatto commesso, perché poco
importa come l'evento si sia realizzato;
o è invece rilevante nei reati a condotta vincolata, se l'evento non si verifica a seguito di quella condotta la
gente non è punibile, cioè può comportare la non punibilità per la realizzazione di un fatto atipico (il
soggetto autore di una truffa consegue l'indebito profitto pur non essendo la vittima caduta negli artifici e
raggiri posti in essere). diversa è invece l'ipotesi nella quale il soggetto, credendo, con una propria azione di
aver causato un evento, lo determina in conseguenza di una successiva azione: il caso di chi spara ad una
persona che credendo erroneamente morta, la seppellisce viva, per cui essa muore in seguito per
soffocamento.

131
C) CONOSCENZA O CONOSCIBILITÀ DELLA NORMA PENALE VIOLATA
Il principio di colpevolezza richiede altresì che, al momento della commissione del fatto, l'agente sapesse o almeno
potesse sapere che quel fatto era previsto dalla legge come reato.

Con la sentenza 364/1988, la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 5 c.p. ("Nessuno
può invocare a propria scusa l'ignoranza della legge penale") "nella parte in cui non esclude dalla inescusabilità
dell'ignoranza della legge penale l'ignoranza inevitabile".

Quindi, oggi vige la regola secondo cui "nessuno può invocare a propria scusa l'ignoranza della legge penale dovuta a
colpa", nel senso che la responsabilità non si profila quando l'agente, anche usando la dovuta diligenza, non poteva
sapere che il fatto doloso o colposo da lui realizzato era previsto da una norma incriminatrice.

Se invece l'agente, usando la dovuta diligenza, poteva rendersi conto che quel fatto violava una norma incriminatrice
- cioè l'ignoranza della legge penale era evitabile -:

 risponderà a titolo di dolo, se ha commesso il fatto con dolo e il fatto è previsto dalla legge come reato
doloso;
 risponderà a titolo di colpa se ha commesso il fatto per colpa e si tratta di un fatto previsto dalla legge come
reato colposo.
In definitiva: la Corte Costituzionale ha attribuito rilevanza SCUSANTE all'ignoranza inevitabile della legge penale.

 In tali casi PUÒ ESSERE SCUSATO chi ignori l'esistenza della norma incriminatrice o chi ne dia
(comunque) una interpretazione erronea
 invece, NON PUÒ ESSERE SCUSATO chi, al momento della commissione del fatto, versi in una situazione
di dubbio sull'esistenza o sui contenuti della norma penale (in tal caso, il soggetto è tenuto ad astenersi dall'azione).
L'art. 5 c.p. fa quindi riferimento sia all'ignoranza, sia all'errata interpretazione di essa (errore).

Nella sentenza n. 364/1988 la Corte costituzionale “HA CONSIDERATO NON COLPEVOLE chi ignori di commettere un
fatto vietato da una norma incriminatrice

 avendo ricevuto 'assicurazioni erronee' sulla liceità del fatto da parte


degli organi amministrativi competenti a vigilare sull'osservanza delle
norme, ovvero nel caso di precedenti varie assoluzioni dell'agente per
fatti dello stesso tipo perché ritenuti penalmente irrilevanti,
 oppure nel caso in cui il testo legislativo sia assolutamente oscuro, 
oppure nel caso di "non colpevole carenza di socializzazione
dell'agente".

132
D) CAPACITÀ DI INTENDERE E DI VOLERE
Ulteriore condizione perché un fatto possa essere oggetto di un rimprovero 'personale' è che l'autore, al momento della
commissione del fatto, fosse IMPUTABILE, cioè capace di intendere e di volere:

- capacità di intendere: capacità di comprendere il significato sociale e le conseguenze dei propri atti;
- capacità di volere: capacità di autodeterminarsi liberamente.

Art. 85 c.p.: "Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha
commesso, non era imputabile, e cioè in grado di rendersi conto del valore sociale dell'atto che compie e di
determinarsi in modo autonomo.
L'imputabilità è lo status di un soggetto che lo rende punibile per un reato commesso.

E’ discusso in dottrina quale sia il rapporto tra IMPUTABILITÀ e COLPEVOLEZZA:

 secondo alcuni autori il giudizio sulla colpevolezza è completamente autonomo da quello sulla capacità di
intendere e volere, cioè l'imputabilità non è presupposto della colpevolezza, in quanto gli stati psichici del
dolo e della colpa sono riscontrabili anche nei minori o negli infermi di mente!;

 secondo altra parte della dottrina l'imputabilità è un presupposto della colpevolezza, intesa in senso
normativo, cioè come atteggiamento doveroso della volontà. (La responsabilità di un soggetto postula la
capacità di comprendere il significato del proprio comportamento e il potere di controllare i propri impulsi
ad agire; per potersi rimproverare la volontà di non essere stata diversa, occorre che essa si sia formata in un
soggetto capace di intendere e volere: ciò non è possibile in un minore o in un infermo di mente).

La giurisprudenza dominante pone in rilievo che L'IMPUTABILITÀ, quale capacità di intendere e di volere e LA
COLPEVOLEZZA, quale coscienza e volontà del fatto illecito esprimono concetti diversi ed operano anche su piani
diversi sebbene, l'imputabilità quale componente naturalistica della responsabilità, deve essere accertata con priorità
rispetto alla colpevolezza.
Dunque posto che la colpevolezza è inconcepibile senza l'imputabilità, si pone il problema ulteriore di valutare se sia o
meno configurabile il reato.

o secondo alcuni autori l'assenza di imputabilità esclude il reato, in quanto lo priva dell'elemento della
colpevolezza, sicché il fatto posto in essere dal non imputabile costituisce un mero torto oggettivo;

o secondo altri invece, elemento soggettivo essenziale del reato non è la colpevolezza ma l'appartenenza
psichica del fatto all’agente, sicchè l’inimputabilità, pur escludendo la colpevolezza, non esclude il reato e
costituisce semplicemente una causa personale di esenzione da pena.

La capacità di intendere e di volere va quindi tenuta distinta dalla cosiddetta suitas , cioè dalla coscienza e volontà
dell'azione od omissione (articolo 42): l'imputabilità attiene ad un modo di essere della persona riferendosi alla sua maturità
psichica e alla sua sanità mentale; la sanitas invece concerne il rapporto tra il volere del soggetto e un determinato
atto, consentendo di verificare l’attribuibilità o meno di un determinato comportamento alla volontà dell'agente.
Ciò spiega perché anche il soggetto imputabile può agire senza coscienza e volontà, come ad esempio nei casi di forza
maggiore o di costringimento fisico.

- LA SUITAS è quel coefficiente che consente di riferire la condotta al suo autore e quindi di ritenerla umana;
indica la volontà concreta dell'atto considerata al momento della sua attuazione ;
- L’IMPUTABILITA’ presuppone già accertata l'appartenenza della condotta all’agente e si identifica nella
capacità di quest'ultimo di intendere correttamente il valore del comportamento che si accinge a porre in
essere : integra uno status, un modo di essere del soggetto nel momento in cui pone in essere una condotta.

133
FONDAMENTO DELL’IMPUTABILITA’, cioè le ragioni per cui il codice penale richiede la capacità di intendere e di volere
del soggetto ai fini della determinazione della pena si concretizzano in diverse teorie:

 TEORIA DEL LIBERO ARBITRIO: al momento risultano superate le teorie che giustificavano la non
punibilità degli incapaci sul presupposto che essi non sono liberi di scegliere volontariamente e
coscientemente la propria condotta

 TEORIA DELLA RESPONSABILITÀ UMANA che invece ha maggior seguito: affinché un uomo possa essere
chiamato a rispondere dei propri atti di fronte alla legge penale, è necessario che sia in grado di
rendersi conto del valore sociale degli atti che compie; infatti ripugna alla coscienza sociale che la
pena, in quanto sofferenza, sia inflitta a bambini e dementi e in genere a chiunque non sia compus sui
(padrone di sé).

In ragione di ciò lo Stato, allorché costoro violino leggi penali, è portato a scusarli, poiché attribuisce il fatto alle loro
condizioni psichiche particolari!

Le principali situazioni che possono incidere sulla capacità di intendere o di volere sono:

1. IL VIZIO DI MENTE
Art. 88 c.p. (vizio totale di mente): "Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto,era, per infermità in tale
stato di mente da escludere la capacità di intendere di volere".
Art. 89 c.p. (vizio parziale di mente): " Chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di
mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità di intendere e di volere, risponde del reato commesso; ma la pena
è diminuita" (in misura non eccedente 1/3).

Come emerge dal tenore letterale degli artt. 88 e 89 c.p., al centro della disciplina del vizio di mente, si colloca il
concetto di infermità, che ricomprende sia malattie di tipo psichico, sia malattie di tipo fisico, purché tali da incidere
sulle capacità intellettive e volitive della persona.
Al giudice si chiede in primo luogo di accertare la presenza di un'infermità , attraverso una perizia psichiatrica (che sarà
necessaria a stabilire la maggior o minor ampiezza dell'infermità).
e in secondo luogo stabilire l'influenza che nel caso concreto quell'infermità ha avuto sulla capacità di intendere o di
volere dell'agente.

§ La persona riconosciuta affetta da vizio totale di mente al momento del fatto viene prosciolta per difetto
di colpevolezza e quindi non viene sottoposta a pena; peraltro, ove sia ritenuta socialmente pericolosa, e
il fatto commesso integri un delitto doloso punito con la reclusione superiore nel massimo a due anni, l'agente verrà
sottoposto a una misura di sicurezza (ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario o libertà vigilata).
§ In caso di vizio parziale di mente, l'agente viene invece sottoposto ad una pena diminuita "in misura non
eccedente 1/3"; ove il soggetto sia ritenuto socialmente pericoloso, viene inoltre ricoverato in una casa di
cura e di custodia e il ricovero verrà di regola eseguito dopo che sia stata scontata la pena.
Se peraltro si tratta di un reato per il quale la legge prevede una pena detentiva inferiore nel minimo a
cinque anni, in luogo della casa di cura e custodia il giudice potrà disporre la libertà vigilata.

2. IL SORDOMUTISMO
Art. 96 c.p.: "Non è imputabile il sordomuto che, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva, per causa della sua
infermità, la capacità di intendere o di volere.
Se la capacità di intendere o di volere era grandemente scemata ma non esclusa, la pena è diminuita" ( e ,se ritenuto socialmente
pericoloso, potrà essere sottoposto a misure di sicurezza (ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, assegnazione ad una casa di
cura e di custodia o libertà vigilata alle stesse condizioni illustrate a proposito del vizio di mente).

Nel silenzio della legge, la disciplina dell'art. 96 c.p. è riferibile ad ogni forma di sordomutismo, congenito o acquisito.
Esulano invece dalla sfera applicativa di tale disciplina il solo mutismo e la sola sordità, che potranno assumere rilievo
ex artt. 88 e 89 c.p..

134
Il legislatore fa obbligo al giudice di accertare caso per caso se il sordomuto sia capace di intendere e di volere nel
momento della commissione del fatto.

3. LA MINORE ETÀ
Il codice penale delinea tre fasce di età, rilevanti ai fini dell'imputabilità:

1) al di sotto dei 14 anni; 2) tra i 14 e i 18; 3) al di sopra dei 18.

1) ART. 97 C.P. (MINORE DI ANNI 14): "Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto
i 14 anni".
Il minore di anni 14 è considerato sempre non imputabile: presunzione assoluta di incapacità di intendere e di
volere.
Nei suoi confronti potrà però essere applicata una misura di sicurezza, (libertà vigilata o riformatorio giudiziario) ove abbia commesso un
fatto punito dalla legge come delitto e sia riconosciuto socialmente pericoloso .

2) ART. 98 C.P. (MINORE DI ANNI 18): "È imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto aveva compiuto i 14 anni,
ma non ancora i 18, se aveva capacità di intendere e di volere; ma la pena è diminuita".
In questo caso, la legge subordina la dichiarazione di imputabilità all'accertamento caso per caso della capacità di
intendere e di volere del minore al momento del fatto: tale accertamento viene desunto dalle condizioni personali,
familiari, sociali e ambientali del minorenne.
Se il minore di età compresa tra i 14 e i 18 anni viene riconosciuto imputabile, gli verrà inflitta una pena per il reato da
lui commesso, diminuita al massimo di 1/3.
Le misure di sicurezza prima enunciate (libertà vigilata o riformatorio giudiziario) si applicano sia che il soggetto sia ritenuto
imputabile, sia che venga ritenuto non imputabile.

3) il soggetto che al momento del fatto abbia compiuto I 18 ANNI, si considera imputabile (ovviamente in tal caso,
l'imputabilità potrà essere esclusa solo per una causa diversa dall'età: sia essa vizio di mente, sordomutismo ecc.).

4. L'AZIONE DI SOSTANZE ALCOLICHE O STUPEFACENTI.

 Art. 91 c.p. Ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza maggiore: "Non è imputabile chi, nel momento in
cui ha commesso il fatto, non aveva la capacità di intendere o di volere, a cagione di piena ubriachezza derivata da caso
fortuito o da forza maggiore. Se l'ubriachezza non era piena, ma era tuttavia tale da scemare grandemente, senza
escluderla, la capacità di intendere o di volere, la pena è diminuita".
In assenza, comunque, della prova del carattere accidentale dell'ubriachezza, la giurisprudenza applica senz'altro la
disciplina dell'ubriachezza colposa.
Nei confronti di chi venga prosciolto o condannato a pena diminuita ex art. 91 c.p. non può essere disposta alcuna
misura di sicurezza.

 Art. 92 c.p. Ubriachezza volontaria o colposa si ha quando l'assunzione di alcol è sorretta dall'intenzione di
ubriacarsi;

si ha quando il soggetto assume alcol in misura


superiore alla sua capacità di 'reggerlo',
imprudentemente ignorando o sottovalutando gli
effetti inebrianti che l'alcol produrrà su di lui.

135
L'una e l'altra forma di ubriachezza "non esclude né diminuisce l'imputabilità".
Infatti, a norma dell'art.92. 1 c.p.,” il soggetto che si renda autore di fatti penalmente rilevanti sarà assoggettato a
pena per i fatti dolosi o colposi commessi in stato di ubriachezza.”
La natura dolosa o colposa della responsabilità dipenderà dalla presenza del dolo o della
(Gli art. 91 e 92 si applicano anche quando il fatto è stato commesso sotto l'azione di sostanze stupefacenti, Art. 93)

 Art. 94 c.p. Ubriachezza abituale


Co 1 "Quando il reato è commesso in stato di ubriachezza, e questa è abituale, la pena è aumentata" (aggravamento dalla pena
nella misura massima di 1/3); co 2 "Agli effetti della legge penale, è considerato ubriaco abituale chi è dedito all'uso di bevande
alcoliche e in stato frequente di ubriachezza; co 3 "L'aggravamento di pena stabilito nella prima parte di questo articolo si
applica anche quando il reato è commesso sotto l'azione di sostanze stupefacenti da chi è dedito all'uso di tali sostanze".

 Art. 95 c.p. Cronica intossicazione da alcol o da sostanze stupefacenti.


"Per i fatti commessi in stato di cronica intossicazione prodotta da alcol ovvero da sostanze stupefacenti, si applicano le
disposizioni contenute negli artt. 88 (vizio totale di mente) e 89 (vizio parziale di mente)".
Cronica intossicazione: è un'alterazione patologica permanente (irreversibile) che incide sul sistema nervoso e si
traduce in una vera e propria malattia psichica;

DIFFERENZE tra
- STATO DI UBRIACHEZZA ABITUALE o ASSUNZIONE ABITUALE DI SOSTANZE STUPEFACENTI: postula il carattere transeunte dei
fenomeni tossici che sono (appunto) assenti negli intervalli di astinenza, durante i quali il soggetto riacquista la capacità di
intendere e di volere;
- INTOSSICAZIONE CRONICA i fenomeni tossici sono stabili, persistendo anche dopo l'eliminazione dell'alcol assunto, sicché la
capacità del soggetto può essere permanentemente esclusa o grandemente scemata.

 (artt.: 87, 92. 2 c.p.) Incapacità di intendere o di volere preordinata dall'agente cioè le ipotesi in cui il
soggetto si mette in stato di incapacità "al fine di commettere il reato o di prepararsi una scusa".

- art. 87 c.p. "L'art. 85 non si applica a chi si è messo in stato di incapacità di intendere o di volere alla fine di commettere il reato,
o di prepararsi una scusa".
- art. 92. 2 c.p. "Se l'ubriachezza era preordinata al fine di commettere il reato, o di prepararsi una scusa la pena è aumentata ".

Finalità che animano l'agente


- il fine di commettere il reato: presuppone che l'agente abbia bisogno, o ritenga di aver bisogno, di perdere la
capacità di intendere o di volere per commettere un reato che in condizioni normali non commetterebbe;
- il fine di prepararsi una scusa: manifesta chiaramente l'idea dell'agente che sarà scusato se commetterà il
reato in stato di incapacità (art. 85 c.p.).

Il reato commesso dall'agente dev'essere proprio quello che l'agente si proponeva di commettere nel momento in cui
si è posto in stato di incapacità.
Quindi, ove l'incapacità (preordinata) sia dovuta all'alcool o stupefacenti, la diversità del reato commesso rispetto a
quello programmato non escluderà l'imputabilità: l'agente risponderà ex art. 92. 1
("l'ubriachezza non derivata da caso fortuito o da forza maggiore non esclude né diminuisce l'imputabilità"), ma non
sarà applicabile la circostanza aggravante ex art. 92. 2 c.p.
("se l'ubriachezza era preordinata al fine di commettere il reato, o di prepararsi una scusa, la pena è aumentata").
Invece, se viene commesso un reato diverso, nel caso in cui l'incapacità preordinata sia dovuta a cause diverse
dall'alcool o dalle sostanze stupefacenti, il soggetto andrà prosciolto ex art. 85 c.p.

L'irrilevanza degli stati emotivi e passionali.

Art. 90 c.p. "Gli stati emotivi o passionali non escludono né diminuiscono l'imputabilità".

136
Nonostante ciò, comunque, gli stati emotivi o passionali incideranno sulla imputabilità, escludendola o
diminuendola, quando abbiano causato un vero e proprio squilibrio mentale, anche transitorio, che abbia carattere
patologico in forma tale da integrare un vizio totale o parziale di mente (es., la morbosa gelosia, quando dia vita ad un
vero e proprio stato delirante).

Capitolo 9 - La punibilità
PUNIBILITÀ: consiste nell’opportunità di sottoporre a pena l’autore del fatto antigiuridico e colpevole quindi, nell’
insieme delle condizioni ulteriori ed esterne rispetto al fatto antigiuridico e colpevole, che possono fondare o escludere
l'opportunità di punirlo.
137
Le ragioni che possono rendere inopportuna la punizione possono essere diverse:

 ragioni politico criminali in senso stretto: si pensi ad esempio alla desistenza volontaria che comporta l'inapplicabilità della
pena prevista per il delitto tentato, nei confronti di chi lo abbia già commesso, avendo iniziato con atti idonei esecuzione dell'azione
tipica, ma volontariamente desista dall'portarlo a compimento; la ratio sta nell'esigenza di incentivare l'abbandono del progetto
criminoso, offrendo un "ponte d'oro" al delinquente che torna sui suoi passi.
 ragioni politiche di clemenza: si pensi all'amnistia ,disposta dal legislatore in particolari contingenze per consentire che gli autori
di reati di lieve entità possono rimanere nella società civile
 ragioni di politica internazionale
 ragioni di salvaguardia dell'unità della famiglia: la gran parte dei delitti contro il patrimonio commessi ai danni di una
ristretta cerchia di familiari infatti non viene punita, per evitare che la pubblicità del processo e l'imposizione di una pena producano
danni irreversibili all'integrità familiare.
Per il sorgere della punibilità occorrono 3 elementi:

 commissione di un reato;
 assenza di cause personali di esclusione della pena (immunità, non imputabilità)
 presenza di eventuali condizioni obiettive di punibilità

Dobbiamo distinguere tra CONDIZIONI (CAUSE):

a) che fondano la punibilità (condizioni obiettive di punibilità);


b) che escludono la punibilità.

A. CONDIZIONI OBIETTIVE DI PUNIBILITÀ


(CONDIZIONE: è un evento futuro o concomitante alla condotta illecita dell'agente, ma estraneo ad essa, che ha
carattere di incertezza circa il suo verificarsi e da cui dipende la punibilità di un reato).

Art. 44 c.p. "Quando, per la punibilità del reato, la legge richiede il verificarsi di una condizione, il colpevole risponde
del reato, anche se l'evento, da cui dipende il verificarsi della condizione, non è da lui voluto".

Si tratta di quegli accadimenti, menzionati in una norma incriminatrice, che non contribuiscono in alcun modo a
descrivere l'offesa al bene giuridico tutelato dalla norma, ma esprimo solo valutazioni di opportunità in ordine
all'inflizione della pena.
Il codice non definisce le condizioni obiettive di punibilità, ma si limita a fissare due caratteri di esse:

1. debbono consistere in un avvenimento del mondo esterno, che non deve necessariamente essere voluto
dall’agente
2. debbono essere estranee alla condotta illecita

L'articolo 44 afferma che esse sono “costituite da eventi concomitanti o successivi alla condotta illecita e a questa
normalmente estranei.”

• Secondo alcuni la condizione obiettiva di punibilità è un elemento del reato, quindi, se non si realizza,
difetta un suo elemento costitutivo;
• secondo altri (Fianadaca-Musco), la condizione obiettiva di punibilità non fa parte della struttura del
reato, il quale si deve già presupporre perfetto e il sopraggiungere della condizione, rende punibile il
fatto, cioè semplicemente applicabile la pena.

Il passaggio in giudicato della sentenza di condanna comporta una TRASFORMAZIONE DELLA PUNIBILITÀ.

 Prima della sentenza infatti, la pena applicabile è quella che la legge stabilisce in astratto per il reato
 Dopo la sentenza la pena che va applicata è quella che il giudice ha irrogato all'autore del reato. Si
distingue infatti tra:
138
 punibilità in astratto: sorge quando sussistono tutti gli elementi richiesti dalla legge per l'inflizione della pena
(commissione del reato, assenza di cause personali di estinzione della pena, eventuali condizioni obiettive di punibilità)
 punibilità in concreto: sorge con il passaggio in giudicato della sentenza di condanna

Dunque le cause che escludono la punibilità sono :

 sia le cause di estinzione del reato, che  sia le cause di estinzione della pena, che estinguono la
punibilità in astratto e cioè estinguono la punibilità in concreto della escludono l'applicazione della
pena prima pena, cioè la pena da applicare nel caso della sentenza definitiva di condanna; concreto
per effetto di una sentenza operano antecedentemente all'intervento di una definitiva di condanna;
sentenza di condanna, incidendo sulla punibilità in presuppongono l'emanazione di una sentenza di astratto,
perché estinguono la potestà statale di condanna determinando l'estinzione della applicare la pena minacciata.
punibilità in concreto e bloccando così l'esecuzione Sono fatti giuridici che annullano o della sanzione
inflitta dal giudice.
cancellano la punibilità di un fatto Operano quando non si verifica l'effettiva costitutivo di reato,
realizzazione della medesima.

Il numero delle condizioni obiettive di punibilità previste nel nostro ordinamento è molto limitato:
(un es. è offerto dalla sorpresa in flagranza, possesso ingiustificato di chiavi e grimaldelli,
mentre nella bancarotta fraudolenta condizione per la punibilità è la dichiarazione di fallimento da parte dell’imprenditore e quindi integra il fatto
costitutivo del reato.)
Si ha un ampliamento ingiustificato della gamma delle condizioni obiettive di punibilità da parte della dottrina, la quale
ha coniato il nome di

§ "CONDIZIONI INTRINSECHE O IMPROPRIE DI PUNIBILITÀ":


esse approfondiscono una lesione già implicita nella commissione del fatto che costituisce reato, comportando un
aggravamento o una progressione dell'offesa;
alludono ad eventi che rendono attuale l'offesa al bene giuridico protetto dalla norma o ne rappresentano
una progressione (ad esempio il pericolo per la pubblica incolumità menzionato in molte norme incriminatrici dei delitti contro la
pubblica incolumità, come l'incendio di una cosa propria).
Questa formula maschera autentici elementi costitutivi del fatto: in riferimento all'esempio dell'incendio, il pericolo per la pubblica
incolumità esprime, in effetti, l'offesa al bene tutelato dalla norma.
Lo scopo di questa nuova categoria è quello di assoggettare taluni elementi costitutivi del fatto, alla disciplina delle
condizioni obiettive di punibilità e quindi sottrarli all'oggetto del dolo o della colpa

§ Differiscono dalle CONDIZIONI OBIETTIVE DI PUNIBILITÀ ESTRINSECHE, che sono invece estranee all'offensività del
fatto e si limitano a riflettere valutazioni contingenti del legislatore, dettate da mere ragioni di opportunità punitiva;

Condizioni obiettive di punibilità e principio di colpevolezza, ex articolo 27 Cost.

Le condizioni obiettive di punibilità sono del tutto svincolate dal dolo e dalla colpa: operano cioè anche se l'agente
non si è rappresentato né ha voluto l'accadimento che integra la condizione, ed anche se l'agente non se lo poteva
rappresentare, né lo poteva evitare impiegando la dovuta diligenza.

L'opinione della dottrina è stata per lungo tempo quella secondo cui, l'elemento psicologico del dolo o della colpa è
irrilevante nelle condizioni obiettive di punibilità, quindi la dottrina parla di responsabilità oggettiva.

139
A seguito della sentenza 364/88 non viene posto un divieto assoluto circa l'imputazione a titolo di responsabilità
oggettiva; però oggi la dottrina dominante accorda rilevanza al principio di colpevolezza articolo 27 cost. In tema di
condizioni obiettive di punibilità, per cui, per la loro imputazione, è necessaria almeno la colpa.

Esempio di condizione obiettiva di punibilità è il pubblico scandalo nel delitto di incesto


(art. 564. 1 c.p. "Chiunque, in modo che ne derivi pubblico scandalo, commette incesto con un discendente o un ascendente, o con
un affine in linea retta, ovvero con una sorella o un fratello, è punito con la reclusione da 1 a 5 anni")
il pubblico scandalo è condizione obiettiva di punibilità, la cui previsione si giustifica per l'esigenza di non dare pubblicità,
attraverso il processo penale, a fatti incresciosi, finché la loro conoscenza rimanga circoscritta all'interno della cerchia familiare.

B. CAUSE DI ESCLUSIONE DELLA PUNIBILITÀ

 Cause concomitanti di non punibilità: ineriscono alla posizione personale dell'agente o ai suoi rapporti
con la vittima.
Possono trarsi, in primo luogo, dall'art. 649 c.p. che dichiara "non punibile" chi ha commesso la gran parte dei delitti contro il patrimonio
in danno di un familiare.
Es. coniuge non legalmente separato; in secondo luogo, possono trarsi dalle immunità di diritto internazionale che riguardano il Sommo
Pontefice, i capi di Stato e di Governo, i membri del Parlamento europeo ecc..

Al pari delle condizioni obiettive di punibilità, le cause concomitanti di esclusione della punibilità sono del tutto
svincolate dal dolo e dalla colpa:
operano a favore dell'agente se - mentre, se oggettivamente non esistono,
- obiettivamente esistenti, rendendo non a nulla varrà che l'agente abbia
punibile il fatto antigiuridico e colpevole erroneamente supposto che fossero
da lui realizzato; presenti nel caso concreto, l’art.59 c.4 c.p.
non si applica(le condizioni di esclusione della pena
favorevoli all’agente) come avviene invece nelle cause
di giustificazione e nelle scusanti , dunque
sottostanno alla regola di imputazione
oggettiva stabilita nell'articolo 44 cp, in
quanto le cause concomitanti di esclusione
della punibilità sono condizioni di punibilità
"rovesciate"

Es. Tizio si appropria di una ccosa mobile che si trova già in suo possesso non sarà punibile per appropriazione indebita anche se ignorava che la
cosa fosse di proprietà del fratello.
Risponderà di appropriazione indebita se riteneva per errore fosse del fratello mentre era di Caio.

 Cause sopravvenute di non punibilità: si tratta di una serie di disposizioni che premiano con l'impunità
chi, avendo commesso un fatto antigiuridico e colpevole, realizzi successivamente una condotta tale o da
impedire che la situazione di pericolo già creata si traduca nella lesione del bene giuridico o da reintegrare ex
post il bene offeso
(es. desistenza volontaria: causa sopravvenuta di non punibilità che interessa chi abbia già commesso un fatto antigiuridico e
colpevole di tentativo). Es. desistenza volontaria; ritrattazione nei delitti di false informazione al pubblico ministero; anche l’adempimento
dell’obbligazione al quale provveda prima della condanna chi abbia già commesso un fatto antigiuridico e colpevole di insolvenza fraudolenta.

Nella recente legislazione si segnala poi, animata da finalità deflattive e di riconciliazione tra autore e vittima del reato,
la tendenza ad attribuire sempre maggiore rilievo, quale causa sopravvenuta di non punibilità, a condotte riparatorie: i
reati attribuiti alla competenza del giudice di pace non sono punibili se l'imputato dimostra di aver proceduto

140
"prima dell'udienza di comparizione, alla riparazione del danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il
risarcimento, e di avere eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato"; ciò sempre che il giudice valuti le
attività risarcitorie e riparatorie "idonee a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione" (art.
35 d.lgs. n.274/2000/).

Le cause personali e le cause sopravvenute di non punibil ità, vanno ricomprese nella disciplina dettata dall'art. 119
c.p.
in ordine alle "CIRCOSTANZE SOGGETTIVE DI ESCLUSIONE DELLA PENA":

 Art. 119.1 c.p.: "Le circostanze soggettive che escludono la pena per taluno di coloro che sono concorsi nel
reato hanno effetto soltanto riguardo alla persona a cui si riferiscono".
 Art. 119.2 c.p.: "Le circostanze oggettive che escludono la pena hanno effetto per tutti coloro che sono
concorsi
nel reato"

 Cause di estinzione del reato: sono ulteriori cause di esclusione della punibilità.
Sono istituti che prendono vita in modo del tutto indipendente da comportamenti dell'agente e che comunque
non si esauriscono in un comportamento dell'agente: in particolare, sono integrati da accadimenti naturali
(morte del reo, decorso del tempo necessario per la prescrizione) o da vicende giuridiche (leggi di amnistia, provvedimenti
di ammissione all'oblazione, provvedimenti di concessione del perdono giudiziale per i minori) che, intervenuti dopo la
commissione del fatto antigiuridico e colpevole e prima della condanna definitiva, comportano
l'inapplicabilità di qualsiasi sanzione penale prevista per quello specifico reato.
Quando interviene una causa di estinzione del reato, non possono applicarsi
o le pene principali, o gli effetti penali della condanna o le pene accessorie, o le misure di
sicurezza.
L'effetto estintivo riguarda le sole sanzioni penali: non coinvolge invece le eventuali obbligazioni civili derivanti da reato
(es. obblighi di restituzione e/o di risarcimento del danno).

CAUSE DI ESTINZIONE DEL REATO

1) morte del reo (avvenuta prima della condanna)


2) amnistia (propria)
3) prescrizione del reato
4) oblazione
5) perdono giudiziale
6) sospensione condizionale della pena
7) remissione della querela (atto col quale il querelante manifesta la volontà di revocare il diritto di querela già esercitato)

141
1. La morte del reo avvenuta prima della condanna art. 150 cp
Art. 150 c.p. "La morte del reo, avvenuta prima della condanna, estingue il reato".
La morte del reo estingue tutti gli effetti penali del reato. il giudice può
pronunciare il proscioglimento nel merito dell'imputato defunto, ove ritenga o il
fatto non sussistente, o non costituente reato, o o che l'imputato lo abbia
commesso,
essendo tali formule di proscioglimento più favorevoli della declaratoria di estinzione del reato.
La ratio di tale norma è da rinvenire nel principio di stretta personalità della pena, per cui, con la morte del reo, viene
meno per lo Stato, l'interesse di punire o di eseguire la pena.

La CORTE COSTITUZIONALE ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art 188 c.p ,nella parte in cui non

prevedeva la non trasmissibilità agli eredi dell’obbligo di rimborsare le spese del processo penale.

2. L'amnistia art. 151 c.p.


Si distingue tra:

§ AMNISTIA PROPRIA, che riguarda i reati per i quali non è ancora intervenuta una sentenza penale
irrevocabile di condanna e dunque, impedisce l'accertamento del reato e l'inflizione della pena; È CAUSA
DI ESTINZIONE DEL REATO consiste in un provvedimento generale di clemenza, con il quale, lo Stato rinuncia
all'applicazione della pena in relazione a fatti costituenti reato e commessi in un determinato periodo di
tempo, comunque anteriore all'entrata in vigore dello stesso provvedimento che concede il beneficio.
§ AMNISTIA IMPROPRIA, che riguarda i reati per i quali è stata già pronunciata sentenza penale irrevocabile di
condanna, e dunque impedisce l'esecuzione della pena o ne paralizza la prosecuzione.
È UNA CAUSA DI ESTINZIONE DELLA PENA (non del reato) perché interviene dopo la condanna in quanto viene meno la
possibilità di eseguire in tutto o in parte la pena inflitta dal giudice.
L'amnistia è adottata con legge deliberata a maggioranza dei 2/3 dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo
articolo e nella votazione finale dell'intero testo: è quindi necessaria una amplissima maggioranza nel Parlamento e
nel paese;

LE FIGURE DI REATO interessate dall'amnistia vengono individuate dalla legge con riferimento al massimo della pena
edittale; tuttavia, possono essere previste esclusioni oggettive, cioè per tipi di reato.
Salvo diversa previsione, il co.5 dell'art. 151 prevede che “il provvedimento non si applica ai recidivi, quando si tratta
di recidiva aggravata o reiterata o obbligatoria, né ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza”.

LIMITI TEMPORALI: non può applicarsi ai reati commessi successivamente alla presentazione del disegno di legge.
Rimane quindi aperta al legislatore ordinario, la possibilità di fissare un limite temporale ancora più arretrato prevedendo ad
esempio che l'amnistia si applichi ai reati commessi non oltre sei mesi prima della presentazione del disegno di legge. (l'amnistia
cancella il reato e la pena; l'indulto cancella la pena).

È possibile rinunciare all'amnistia, in quanto la legge deve consentire all'imputato che lo chiede, di dimostrare la
propria innocenza.
La rinuncia è un atto formale che richiede una dichiarazione al giudice resa in forma scritta o orale. È un atto personale
dell'imputato, il quale potrà compierlo a mezzo di procuratore speciale a ciò autorizzato.
La corte costituzionale ha affermato che la rinuncia consente l'applicabilità della sanzione penale a carico
del rinunciante che risulti colpevole in seguito alla prosecuzione e definizione del giudizio. La dichiarazione
di rinuncia, una volta posta in essere, è irrevocabile.

3. Prescrizione del reato art. 157 cp


La disciplina della prescrizione del reato è stata profondamente riformata dalla LEGGE “EX CIRIELLI”.
142
infatti mentre il vecchio disposto dell’articolo 157 associava a ciascun termine di prescrizione uno scaglione nel quale
la sanzione di riferimento era determinata in modo generico (nello scaglione dei delitti prescrivibili in 10 anni
rientravano tutti quelli aventi una sanzione massima compresa fra cinque ed oltre nove anni),ora con il nuovo sistema,
ciascuna fattispecie di reato ha un proprio termine base di prescrizione, coincidente con la pena edittale massima
stabilita dalla legge, determinando un minimo temporale pari a

 6 anni in caso di delitto


 4 anni in caso di contravvenzione ( onde evitare che i reati bagattellari fossero associati a termini di prescrizione eccessivamente
bassi)
La disciplina è cambiata anche per il caso di reato circostanziato: infatti mentre col sistema precedente si doveva
avere riguardo in presenza di circostanze aggravanti all’aumento massimo di pena, e in presenza di attenuanti alla
diminuzione minima di pena, con il nuovo metodo di calcolo non si tiene conto delle circostanze eccetto che si tratti di
aggravanti autonome o ad effetto speciale.

 Sono circostanze autonome quelle la cui sussistenza comporta l’applicazione di una pena di specie diversa da
quella ordinaria del reato
 Sono circostanze ad effetto speciale quelle che comportano un aumento di pena di un terzo
In presenza di tali situazioni circostanziali, si tiene conto dell’aumento massimo di pena previsto per l’aggravante.

Ulteriore elemento di novità è rappresentato dal caso in cui si configuri nel fatto, un concorso eterogeneo di
circostanze .
Mentre infatti la previgente disciplina consentiva di applicare le regole sul concorso di circostanze di cui
all’articolo 69 (era cioè il giudice che discrezionalmente valutava le circostanze determinando il tempo prescrizionale applicabile al caso
concreto con la conseguente possibilità di incidere non solo sulla gravità ma sull’esistenza stessa del reato) il nuovo articolo 157
esclude espressamente l’applicabilità delle regole di cui all’articolo 69 ,rinviando ai termini suesposti ,riguardo
alla determinazione del tempo necessario a prescrivere in presenza di situazioni circostanziali.

Il 6° comma dell’articolo 157 dispone che, per alcune figure criminose di particolare gravità fra le quali:
 Tratta di persone
 Associazione per delinquere di stampo mafioso
 Sequestro di persona a scopo estorsivo
 Delitti con finalità di terrorismo
 Omicidio colposo aggravato
 Delitti colposi di danno
Il tempo necessario a estinguere il reato per prescrizione sia doppio rispetto a quello ricavabile dai criteri anzidetti.

Il 7° co dell’articolo 157 prevede che la prescrizione sia espressamente rinunciabile dall’imputato ma solamente dopo
che la prescrizione sia maturata, in quanto solo da quel momento l’interessato può valutarne gli effetti.
L’8° co dell’articolo 157 dispone che la prescrizione non estingue i reati per i quali la legge prevede la pena
dell’ergastolo:

- la legge 251/2005 ha puntualizzato che l’imprescrittibilità sussiste non solo nel caso in cui l’ergastolo sia previsto
per la fattispecie base (esempio per la devastazione di cui all’articolo 285), ma anche nel caso in cui la punibilità con
l’ergastolo sia l’effetto dell’applicazione di circostanze aggravanti (si pensi all’omicidio aggravato dalla premeditazione)
, il vecchio articolo 157 invece prevedeva che eventuali attenuanti potessero neutralizzare l’imprescrittibilità.

Dies a quo (articolo 158 modificato dalla legge 251/2005)

Ai sensi dell’articolo 158, il termine della prescrizione decorre:

per il reato consumato: dal giorno della consumazione per il


reato tentato dal giorno in cui è cessata l’attività del colpevole per il
reato permanente: dal giorno in cui è cessata la permanenza
quando la legge fa dipendere la punibilità del reato dal verificarsi di una condizione :il termine decorre dal
giorno in cui la condizione si è verificata.

143
Nei reati punibili a querela, istanza o richiesta: il termine decorre dal giorno del commesso reato
L’innovazione disciplinare introdotta dalla legge Cirielli concerne il termine iniziale della prescrizione relativo al reato
continuato infatti mentre in precedenza il dies a quo era fissato nel giorno di cessazione della continuazione cioè il
giorno della consumazione dell’ultimo dei reati avvinti dal vincolo, in virtù della modifica, il termine di prescrizione
anche nel caso di più reati in continuazione fra loro, inizia a decorrere dalla consumazione dei singoli episodi criminosi.

In caso di incertezza del tempo del commesso delitto, il termine di ricorrenza della prescrizione va computato nel
modo più vantaggioso per l'imputato, ma solo quando non sia possibile eliminare tale incertezza.

Sospensione della prescrizione (articolo 159 , sostituito dalla legge 251/2005)

Si ha nel caso in cui una particolare disposizione di legge preveda la sospensione

 del procedimento o
 del processo penale o
 dei termini di custodia cautelare o
 negli altri casi di autorizzazione a procedere
 di deferimento della questione ad altro giudizio
 di sospensione del procedimento o
 del processo penale per ragioni di impedimento delle parti e dei difensori o su richiesta dell'imputato o del suo

difensore Interruzione della prescrizione (articolo 160 modificato dalla legge 251/2005) l'articolo 160

elenca alcuni atti del procedimento penale idonei a produrre l'interruzione della prescrizione:

o sentenza di condanna o decreto di condanna o richiesta di rinvio a giudizio


o decreto di citazione a giudizio o citazione a giudizio disposta dal PM (per i
reati di competenza del giudice di pace) o decreto di convocazione delle parti
(emesso dal giudice di pace)
La prescrizione interrotta comincia nuovamente a decorrere a partire dal giorno dell'interruzione. In presenza di più
atti interruttivi, la prescrizione decorre dall'ultimo di essi, pur se in nessun caso i termini stabiliti dall'articolo 157
possono essere prolungati oltre ai termini di cui all'articolo 161 secondo comma, fatta eccezione per i reati di cui
all'articolo 51 comma 3 bis e quater del codice di procedura penale.
Mentre prima della riforma le eventuali interruzioni non potevano allungare di oltre la metà i termini di base
sanciti dall'articolo 157, con la riforma del 2005 il legislatore ha operato distinzioni funzionali a seconda che il fatto
riguardi determinati “tipi di autore”.
In particolare si è disposto che, salvo il caso in cui si proceda per uno dei gravi delitti di cui all'articolo 51 (per i quali
l'articolo 157 ha sancito il raddoppio dei termini base di prescrizione),

 se il procedimento riguarda soggetti incensurati, il tempo necessario a prescrivere può essere incrementato
fino ad 1/4 della sanzione edittale massima;
 nel caso invece il procedimento riguardi i recidivi o recidiva aggravata, l'incremento non può
superare la metà, o recidiva reiterata, l'incremento non può superare i 2/3;
 nel caso di delinquenti abituali o professionali, il tempo necessario a prescrivere può essere incrementato
fino al doppio
Effetti della sospensione e dell'interruzione (articolo 161 modificata dalla legge 251/2005

ai sensi del primo comma dell'articolo 161, la sospensione e l'interruzione della prescrizione hanno effetto per tutti
coloro che hanno commesso il reato.

Il precedente disposto dell'articolo 161 prevedeva che quando per più reati connessi si procedesse congiuntamente, la
sospensione o la interruzione della prescrizione per taluno di essi, non avesse effetto anche per gli altri

144
Limiti di applicabilità dei nuovi termini di prescrizione: disciplina transitoria (articolo 10 legge 251/2005)

• Se i nuovi termini di prescrizione risultano più lunghi di quelli precedenti, le nuove regole di prescrizione non
si applicano ai procedimenti di processi in corso, mentre in relazione alle altre norme della legge trovano
applicazione i principi generali in materia di successione di leggi di cui all'articolo 2 cp.
• Se invece in virtù delle nuove disposizioni, in termini di prescrizione risultano più brevi, le stesse si applicano
ai procedimenti nei processi pendenti alla data di entrata in vigore della legge di riforma.

4. L'oblazione art. 162 bis con tale istituto si tende a deflazionare il carico di lavoro nelle aule di giustizia,
consentendo una rapida definizione dei procedimenti relativi ai reati di minore gravità.

Consiste nel pagamento di una somma di denaro corrispondente alla metà del massimo dell'ammenda stabilita
dalla legge per la contravvenzione commessa, oltre le spese del procedimento (che ha l'effetto di degradare il reato in
illecito amministrativo e quindi estinguerlo) prima dell'apertura del dibattimento o prima del decreto di condanna.

A seguito della novella introdotta dall'articolo 162 bis, oggi l'oblazione è causa di estinzione del reato tanto

 per le contravvenzioni punite con la sola pena dell'ammenda ( art. 162 cp) OBLAZIONE ORDINARIA
l'oblazione ha luogo a richiesta dell'interessato (ha il diritto ad esservi ammesso) e consiste nel pagamento di una
somma di denaro corrispondente alla terza parte del massimo della pena edittale.
 per le contravvenzioni punite alternativamente con arresto o ammenda ( art. 162 bis) OBLAZIONE
SPECIALE E’ nella facoltà del giudice ammettere o meno l'imputato che abbia fatto domanda all'oblazione,
infatti egli può respingere con ordinanza la domanda quando ritenga il fatto grave.
In alcune specifiche ipotesi inoltre l'oblazione viene esclusa per legge:
• in caso di recidiva reiterata
• se l'imputato è stato dichiarato contravventore abituale oppure delinquente o contravventore professionale
• quando permangono conseguenze dannose o pericolose del reato, eliminabili da parte del contravventore

5. Il perdono giudiziale per i minori di anni 18 art. 169 cp


Il perdono giudiziale estingue la punibilità in astratto, cioè costituisce causa di estinzione del reato.

È disposto discrezionalmente dal giudice - sulla base della prognosi che il soggetto "si asterrà dal commettere ulteriori
reati" - e può consistere

 nell'astensione dal rinvio a giudizio (atto col quale il PM sollecita il giudice dell'udienza preliminare alla
emanazione del decreto che dispone il giudizio)
 ovvero nell'astensione dalla pronuncia della condanna, nel caso in cui il giudizio si sia già instaurato.
L'estinzione del reato consegue immediatamente al passaggio in giudicato della sentenza che nell'uno e
nell'altro caso applica il perdono giudiziale.
Alla base dell'istituto stanno evidenti CONSIDERAZIONI DI PREVENZIONE SPECIALE: nei confronti di un minore, che per
la prima volta e in modo del tutto occasionale si renda autore di un illecito non grave, si rinuncia a punire (o
addirittura si rinuncia al processo) in ragione degli effetti criminogeni che potrebbero derivargli dalla pena e dallo
stesso processo.

Il perdono giudiziale presuppone l'accertamento che l'agente abbia commesso un fatto antigiuridico e colpevole: al
giudice si richiede anzi di quantificare la pena che andrebbe inflitta nel caso concreto, dovendo tale pena collocarsi
al di sotto del tetto massimo di due anni di pena detentiva o di € 1549 di pena pecuniaria.

L'applicabilità del perdono giudiziale è sottoposta inoltre ad alcuni limiti soggettivi per il minore:
145
a) non deve aver riportato precedenti condanne a pena detentiva per delitto, né deve trattarsi di delinquente
o contravventore abituale o professionale; b) il reato non deve esser grave
c) non deve aver già fruito del perdono giudiziale: dispone infatti l'art. 169 co 4 c.p. che "il perdono giudiziale non può
essere conceduto più di una volta".

6. Sospensione condizionale (dell’esecuzione) della pena


Vi sono casi in cui l'autorità giudiziaria, inflitta una certa pena, ne sospende l'esecuzione a condizione che, entro
un certo periodo di tempo (5 anni per i delitti e 2 anni per le contravvenzioni) (Il termine di decorrenza comincia dal
passaggio in giudicato della sentenza che concede il beneficio) il colpevole non commette un nuovo reato!

 In tale ipotesi se l'illecito viene commesso, il reo sconterà insieme la vecchia e la nuova pena,
 se invece nel tempo statuito non verrà commesso un altro reato, quello acclarato sarà "estinto" con tutti gli
effetti
È uno strumento di lotta alla pena detentiva breve.
(DEROGA: si spiega solo con esigenze di deflazione penitenziaria

 2 anni e mezzo per i giovani adulti di età compresa tra 18 e 21,


 e gli ultrasettantenni, 3 anni per chi al momento del fatto era imputabile ma non aveva compiuto gli anni 18; )

L’effetto della sospensione condizionale è quello di sospendere l’esecuzione delle pene, sia principali che
accessorie, inflitte con sentenza di condanna; l’effetto estintivo è solo condizionato ed eventuale, in quanto si
produce solo nel caso in cui il condannato superi la prova alla quale viene sottoposto nel periodo fissato dalla legge.

Non è una vera causa di estinzione del reato.


È espressione dell’idea che nei confronti del delinquente primario che abbia commesso un reato non grave può
risultare opportuna una pronuncia condizionata all’esecuzione della pena, dal momento che i danni prodotti
dall’esecuzione potrebbero risultare superiori ai benefici, per la società e per il singolo”.

L’applicazione è riservata dal giudice ( anche d’appello) anche d’ufficio.

Vi sono due forme di sospensione condizionale: ordinaria e speciale ( detta breve).

Presupposti:

§ il tipo e l’ammontare della pena inflitta: pena della reclusione o dell’arresto di ammontare non superiore a
due anni
§ precedenti penali del condannato preclusioni soggettive :precedente condanna a pena detentiva per delitto,
chi è stato dichiarato delinquente abituale o professionale, chi ha fruito una prima volta della sospensione
condizionale della pena, a meno che la pena inflitta in occasione della nuova condanna , cumulata con quella
precedentemente inflitta rientri nei limiti massimi fissati
§ previsione dei suoi futuri comportamenti: il giudice deve formulare una prognosi favorevole al futuro
comportamento del reo ritenendo che si asterrà dal commettere ulteriori reati.

Condizioni per la concessione del beneficio quelle per cui:

a) il reo non sia stato già condannato a pena detentiva per un delitto e non sia delinquente abituale
professionale o per tendenza
b) non deve essere aggiunta alcuna misura di sicurezza e non si tratti di condanna per il reato elettorale
c) La pena inflitta per il reato commesso sia compresa nei limiti fissati dall'articolo 163: in particolare in seguito
alla modifica introdotta dalla legge 145/2004 il giudice può ordinare l'esecuzione della pena detentiva
rimanga sospesa anche in caso di condanna a pena pecuniaria congiunta a pena detentiva non superiore a
146
due anni, quando la pena nel complesso, ragguagliata sia superiore a due anni;
per i minori di 18 anni, infra ventunenni e ultrasessantenni pur se in queste ultime ipotesi i limiti
invalicabili di pena sono rispettivamente tre anni e due anni e mezzo.
il giudice può sospendere l'esecuzione della pena inflitta se si tratta di pena pecuniaria, per il termine di
un anno, se la pena non sia superiore ad un anno e sia stato riparato interamente il danno prima della
pronuncia della sentenza di primo grado attraverso il risarcimento e se il reo si sia adoperato
efficacemente per attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato da lui eliminabili.
La sospensione non può essere concessa più di una volta eccetto il caso in cui la precedente sospensione
dell'esecuzione di una condanna comportasse una pena non superiore ad un anno.

Obblighi del condannato

a seguito delle modifiche operate sull'articolo 165 dalla legge 145/2004 la sospensione condizionale della pena può
essere subordinata:

 all'adempimento dell'obbligo delle restituzioni


 al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno
 alla pubblicazione della sentenza a titolo di riparazione del danno
 all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato
 alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato non
superiore alla durata della pena sospesa
Le disposizioni sono compatibili col sistema sanzionatorio del giudice di pace
La sospensione condizionale della pena è subordinata all'adempimento di tali obblighi per persona che ha già
usufruito di sospensione.

Revoca

È soggetta a revoca obbligatoria :

 se è stata concessa per più di 2 volte e la pena inflitta cumulata con quella irrogata con la precedente
condanna supera i limiti fissati dall’art 163 c.p., la revoca è possibile in ogni momento.
 Se il condannato entro 5 anni dal passaggio in giudicato della sent. di condanna per delitto o due anni se si
tratta di contravvenzione non adempie agli obblighi stabiliti dal giudice, commette un delitto, commette una
contravvenzione, riporta una nuova condanna.
La revoca è facoltativa

 se i limiti non vengono superati, il giudice può scegliere se revocare o concederla.


La sentenza di patteggiamento costituisce titolo idoneo per la revoca della sospensione condizionale
precedentemente concessa.

6. Art. 169 bis cp. Sospensione condizionale della pena sostitutiva

in forza dell'articolo 57 della legge 689/81 anche per le pene sostitutive


• semidetenzione
• libertà controllata
• pena pecuniaria

il giudice può concedere la sospensione condizionale della pena sempre che ne ricorrano i requisiti oggettivi e
soggettivi

147
LE CAUSE DI ESTINZIONE DELLA PENA

1. Amnistia (impropria) ( vedi sopra)


2. Indulto
3. Grazia
4. Prescrizione della pena
5. Liberazione condizionale
6. Riabilitazione
7. Non menzione della condanna nel certificato del Casellario Giudiziale

2) Indulto (o condono) art. 174 cp


È un atto di clemenza generale che opera sulla pena principale (e non sul reato) che è in tutto o in parte condannata o
commutata in altre specie di pena. È possibile distinguere:

§ indulto proprio: quando interviene durante l’esecuzione della pena rispetto ad una sentenza irrevocabile; §
indulto improprio: quando è applicato dal giudice di cognizione con la sentenza.
L’indulto estingue la pena ma non estingue le pene accessorie, a meno che il decreto non prevede diversamente.
Non estingue gli effetti penali della condanna

Il titolare del potere di indulto è il Parlamento che deve deliberare a maggioranza dei due terzi dei componenti di
ciascuna camera.
L’efficacia è circoscritta ai reati commessi fino al giorno precedente all’emanazione del decreto.
Nel concorso di reati si applica una sola volta, dopo cumulate le pene.

Con la legge 207 del 2003 è stato approvato il cd “indultino” ( consente di trascorrere fuori dal carcere la parte residuo di
pena) , con cui si è disposta la sospensione condizionata dell’esecuzione della parte residua della pena detentiva ,nel
limite massimo di due anni (avere cioè una parte residua di pena non superiore ai due anni) ,per quanti abbiano scontato almeno la
metà della stessa.

148
Il provvedimento introdotto con l. agosto 2003 n.207 “sospensione condizionata dell’esecuzione della pena
detentiva nel limite massimo di due anni” è stato assimilato da parte della CORTE COSTITUZIONALE alle
misure alternative e non all’indulto, sottolineando che è caratterizzata da un “automatismo” che contrasta con i
principi di proporzionalità e individualizzazione della pena: in considerazione di ciò ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale della legge medesima, nella parte in cui, non prevede che il giudice di sorveglianza possa negare la
sospensione

condizionata dell’esecuzione della pena detentiva al condannato quando ritiene il beneficio non adeguato alle
finalità previste dall’art 27 cost.

Il giudice di sorveglianza ( magistrato) può negare la sospensione condizionale della pena

 quando ritenga che il beneficio non sia adeguato alle finalità rieducative.

La norma prevede esclusioni


o oggettive, funzionali alla gravità del reato (violenza sessuale, pornografia, sequestro, associazione a delinquere eccetera) o

soggettive, come per chi sia delinquente abituale, professionale o per tendenza.
La sospensione dell’esecuzione della pena può essere revocata
 se chi ne ha usufruito non ottempera alle prescrizioni o commette, entro cinque anni, un delitto non colposo
per il quale riporti una condanna a pena detentiva superiore a sei mesi. In mancanza di tali evenienze,
decorsi cinque anni dalla sospensione, la pena oggetto della condanna si estingue.
All’indulto si è anche fatto ricorso attraverso l’approvazione di un’altra legge la 241 del 2006 con l’intento di porre un
freno ai disagi connessi alla sovraffollamento carcerario.

È concesso indulto per tutti i reati commessi fino al 2 maggio 2006, nella misura non superiore a tre anni per le pene
detentive e non superiore a € 10.000 per quelle pecuniarie sole o congiunte a pene detentive.

L’INDULTO SI APPLICA:

 ai recidivi,
 ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza
L’INDULTO NON SI APPLICA:

 all’ergastolano, in quanto essendo l’ergastolo una pena detentiva perpetua non è condonabile “in
parte” cioè, non può subire la detrazione di un periodo predeterminato, poiché la durata complessiva,
essendo stabilita fino alla morte del reo, non è determinabile a priori; essa può solo essere condannata
in tutto o commutata in altra specie di pena stabilita dalla legge
 ad un gruppo di fattispecie criminose particolarmente allarmanti: associazione sovversiva, terroristica, di
stampo mafioso, la riduzione in schiavitù e molte figure criminose come lo sfruttamento sessuale dei
minori e anche delitti contro il patrimonio quali usura, riciclaggio e sequestro a fini estorsivi.

L’indulto è revocato di diritto

 se chi ne ha usufruito commette, entro 5 anni dalla data di entrata in vigore della legge istitutiva, un delitto
non colposo per il quale riporti condanna a pena detentiva superiore a 2 anni.

3) Grazia
È un provvedimento di clemenza del capo dello Stato:
149
 particolare, in quanto è individuale, cioè si rivolge a uno o più condannati singoli,
 presuppone una sentenza irrevocabile di condanna
 è rimesso alla discrezionalità del Presidente della Repubblica (E’ necessaria la controfirma del Ministro della
giustizia solo per la validità formale dell’atto del Presidente della Repubblica , non per l’assenso perchè non dispone di
un potere di veto);
 opera solo sulla pena principale, condonandola in tutto o in parte (può estendersi alle pene accessorie solo se il
singolo decreto presidenziale disponga in tal senso, mentre non estingue gli effetti penali della condanna).
Oltre che con domanda da parte del condannato, può essere concessa anche in assenza, ma in tal caso il
condannato ha l’obbligo (non il diritto) di scontare la pena!

4) Prescrizione della pena


è una rinuncia dello Stato a far valere la propria pretesa punitiva portando all'estinzione della punibilità in concreto;
può verificarsi solo dopo una sentenza o decreto irrevocabile di condanna non eseguiti.
Ha per oggetto solo le pene principali .è sempre esclusa per l'ergastolo

Tempo necessario:

o la pena della reclusione si prescrive in un tempo pari al doppio della pena inflitta e comunque non superiore a
30 anni e non inferiore a 10 o La pena della multa si
prescrive con il decorso di 10 anni o La pena dell'arresto o
dell'ammenda si prescrive dopo 5 anni
Dies a quo
La prescrizione della pena decorre dal giorno del giudicato di condanna.

Esclusi dal beneficio

 i recidivi aggravati e reiterati,


 i delinquenti abituali, professionali, per tendenza

150
5) Liberazione condizionale
Si apparenta alle misure alternative alla detenzione. la sua peculiarità è quella di applicarsi alle sole pene di lunga
durata; è ammessa nei confronti di chi ha scontato almeno 30 mesi e comunque almeno metà della pena inflittagli,
è esclusa alle pene detentive di ammontare inferiore ai cinque anni. È “un opportuno correttivo per le pene di lunga
durata”.

Più precisamente si tratta di una causa sospensiva dell’esecuzione di una parte della pena principale inflitta cui segue
l’estinzione della pena nel caso e solo nel caso in cui il liberato condizionalmente superi la prova alla quale è
sottoposto ovvero se nel periodo di durata della pena residua o entro 5 anni dal provvedimento di liberazione
condizionale , trattandosi di condannato all’ergastolo, non commette un nuovo delitto né una contravvenzione
della stessa indole, né viola gli obblighi inerenti alla libertà vigilata, che il giudice può ordinare all’atto
dell’ammissione alla liberazione condizionale.

Condizioni necessarie per essere ammesso alla sospensione condizionale :

a) l’ammontare della pena già scontata che deve essere :


o ergastolo almeno 26 anni o reclusione o arresto almeno
30 mesi o metà della pena inflittagli o per il recidivo le condizioni
sono più gravose
b) l’ammontare della pena residua non deve superare i 5 anni
c) aver adempiuto alle obbligazioni civili derivanti dal reato
d) il condannato durante il tempo di esecuzione della pena abbia tenuto un comportamento tale da far
ritenere sicuro il suo ravvedimento.

Una volta che il tribunale di sorveglianza abbia disposto la liberazione condizionale si aprono due possibilità:

 estinzione della pena, vengono revocate anche le misure di sicurezza personali che erano state ordinate
con sentenza di condanna
 revoca della liberazione condizionale da parte del tribunale di sorveglianza ,
 se la persona liberata commette un delitto o una contravvenzione della stessa indole, 
ovvero trasgredisce agli obblighi inerenti alla libertà vigilata.
in tal caso viene disposta l’esecuzione di tutta o parte della pena residua dal tribunale di
sorveglianza, che terrà conto sia della qualità e gravità dei comportamenti che hanno portato alla
revoca , sia del tempo trascorso in libertà vigilata osservando le relative prescrizioni.

6) Riabilitazione
Occupa una posizione particolare l’effetto estintivo interessa le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della
condanna, salvo che la legge disponga diversamente, non le pene principali.

La funzione principale è il reinserimento sociale del condannato, e può essere adottato solo a seguito di richiesta
dell’interessato, ma presuppone che siano decorsi almeno 3 anni dal giorno in cui la pena principale sia stata eseguita
o si sia in altro modo estinta.

Per ottenere la riabilitazione occorre che:


 il condannato abbia dato prova effettiva costante di buona condotta
 abbia adempiuto le obbligazioni civili derivanti da reato
 non sia stato sottoposto a misura di sicurezza diversa dall'espulsione dello straniero dallo Stato o dalla
confisca
 sia decorso un termine prefissato dall'esecuzione o dall'estinzione della pena principale.
Tale requisito è stato oggetto di riforma "pro reo" ad opera della legge 145/2004. La
riabilitazione è concessa quando siano decorsi almeno:

• 3 anni dal giorno in cui la pena principale sia stata eseguita o ci sia in altro modo estinta
• 8 anni nel caso in cui si tratti di recidivo
• 10 anni se si tratta di delinquenti abituali professionali o per tendenza
Un ulteriore innovazione disciplinare è il fatto che in presenza delle condizioni di ammissibilità, qualora sia stata
concessa la sospensione condizionale annuale della pena prevista dal quarto comma dell'art. 163, la riabilitazione è
concessa allo scadere del termine di un anno, mentre nelle altre ipotesi di sospensione il termine decorre dallo stesso
momento dal quale decorre il termine di sospensione della pena. Concessione e revoca

è rimessa al tribunale di sorveglianza; tuttavia se si verificano le condizioni previste, costituisce un diritto del
condannato è la verità giudiziaria ha l'obbligo di accordarla.
Ai sensi dell'articolo 180, la sentenza di riabilitazione è revocata di diritto dal giudice o in mancanza del tribunale di
sorveglianza, se la persona riabilitata commette:

 entro 7 anni un delitto non colposo, per il quale sia inflitta la pena della reclusione per un tempo minimo di 2
anni o un'altra pena più grave.

7) Non menzione della condanna nel Certificato del casellario giudiziale


Il casellario giudiziale ricostruisce la storia personale del condannato nei suoi rapporti con la giustizia penale;

Tale istituto ha la funzione di favorire la risocializzazione del condannato mediante l'eliminazione del pregiudizio
che può subire il suo buon nome nell'annotazione della condanna sul certificato del casellario giudiziale. È un
potere concesso discrezionalmente al giudice che per concederla avrà riguardo alle circostanze indicate dall'articolo
133.
E’ dunque importante ai fini della commisurazione della pena , nel giudizio sulla capacità a delinquere dell’agente, ai fini della produzione degli
effetti penali della condanna.

La concessione del beneficio è ammissibile a condizione che:

 si tratti di prima condanna  La pena inflitta sia: o se detentiva, non superiore a 2 anni; o se
pecuniaria, non superiore ai 3 anni di pena detentiva, nel caso in cui venga ragguagliata o se si tratta di pena
congiunta, la pena detentiva deve essere inferiore ai 2 anni e quella pecuniaria non superiore ai 30 mesi, se
ragguagliata.
L'Istituto può essere revocato se il condannato commette successivamente un delitto.

155

152
DISPOSIZIONI COMUNI alle cause di estinzione (del reato e della pena)
 l'estinzione del reato o della pena ha effetto strettamente personale;
 nel caso di concorso di una causa che estingue il reato con una che estingue la pena, prevale l'estinzione del
reato
 se intervengono in tempi diversi più cause di estinzione, la causa antecedente estingue il reato o la pena,
mentre le successive agiscono sugli effetti residui;
 se intervengono contemporaneamente più cause, i relativi effetti si sommano.

Capitolo 10 - Tentativo e concorso di persone


IL TENTATIVO

Art. 56. 1 c.p. (delitto tentato)

co 1 "Chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto tentato, se
l'azione non si compie o l'evento non si verifica".

La definizione legislativa contenuta nell'art. 56 c.p. mostra che il legislatore ha circoscritto la funzione estensiva della
norma sul tentativo ai soli delitti.
Dall'art. 42. 2 c.p. si ricava che il delitto tentato deve essere necessariamente commesso con dolo.
- IL FONDAMENTO POLITICO CRIMINALE della punibilità del tentativo viene individuato nell'esigenza di
prevenire la messa in pericolo dei beni protetti, nella manifestazione di volontà criminosa da parte
dell’agente, oppure in entrambe.
- SUL PIANO SOSTANZIALE, il tentativo costituisce un "minus" rispetto al delitto consumato:
infatti mentre con quest'ultimo si ha una lesione effettiva dell'interesse protetto dalla norma incriminatrice,
nel tentativo si ha una lesione potenziale, cioè la messa in pericolo di tale interesse: ciò giustifica sotto il
profilo sanzionatorio, un trattamento meno severo del tentativo rispetto al delitto consumato
- SUL PIANO NORMATIVO, il tentativo rappresenta un titolo autonomo di reato rispetto al delitto consumato,
e non una circostanza attenuante: esso costituisce un reato diverso e perfetto, dotato dell'elemento
oggettivo, della antigiuridicità e dell'elemento soggettivo.
Trattandosi di una figura autonoma di reato, il tentativo ha una propria cornice edittale di pena, che il giudice deve
individuare preliminarmente rispetto alla commisurazione della pena, da operarsi poi all'interno di quella cornice: in
particolare, la pena per il delitto tentato spazierà da un minimo pari alla pena minima prevista per il delitto
consumato diminuita di due terzi e un massimo pari alla pena massima prevista per il delitto consumato diminuita di
un terzo: cioè a partire dal delitto consumato cioè si deve operare la diminuizione massima sulla pena minima e la diminuzione
minima sulla pena massima.

Co 2 "Il colpevole del delitto tentato è punito: con la reclusione non inferiore a dodici anni, se la pena stabilita è
l'ergastolo; e, negli altri casi, con la pena stabilita per il delitto, diminuita da 1/3 a 2/3".

Solo in via di ECCEZIONE ESPRESSA il tentativo di singole figure delittuose può essere punito con la stessa pena del
corrispondente delitto consumato come in materia di contrabbando!

L'articolo 56 cp ha una FUNZIONE ESTENSIVA dell'ordinamento penale in quanto, per effetto della combinazione di
tale norma di parte generale con le singole disposizioni di parte speciale (per esempio furto articolo 624, omicidio articolo 575)
risultano penalmente rilevanti tante fattispecie di delitto tentato quante sono le fattispecie di delitto consumato.
Quindi sarà punibile non solo chi “uccide” o “ruba”, ma anche “chi tenta di uccidere” e “chi tenta di rubare” (tentato
omicidio, tentato furto).
Elementi del tentativo
La mancata consumazione del delitto può presentarsi in due forme:
1. talvolta non è portata a termine l'intera condotta che era diretta a commettere il delitto
(per es il ladro sorpreso da terzi che si dà alla fuga. In questo caso ricorre il tentativo incompiuto: il codice lo descrive
con le parole "se l'azione non si compie");
2. Altre volte l’agente ha posto in essere l'intera condotta, ma l'evento richiesto per l'esistenza del reato,
non si è verificato. Es Tizio spara contro Caio un colpo di fucile che va a vuoto. Si ha il tentativo compiuto: il codice parla di
"se l'evento non si compie").
La distinzione tra tentativo compiuto e incompiuto risalente al codice Zanardelli, conserva attualmente una
I requisiti del tentativorilevanza esclusivamente definitoria , visto che le due ipotesi, nel codice Rocco, sono
equiparate sotto il profilo sanzionatorio.
157

154
1. l'intenzione di commettere un determinato delitto: tale intenzione dev’esser manifestata all’esterno con il
compimento di atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere il delitto.
Il delitto tentato è solo un delitto doloso, quindi, il tentativo è punibile solo a titolo di dolo (e non di colpa).
Il dolo nel tentativo, deve essere quello del reato consumato
(quindi se sparo verso Tizio, volendo solo tentare l'omicidio, non risponderò di tentato omicidio, ma eventualmente di altro reato, per
esempio minaccia grave).
Infatti , connotandosi la colpa per l'assenza di volontà delittuosa, costituirebbe una contraddizione
ammettere che il tentativo possa coesistere con la mancanza dell'intenzione di commettere il reato! Il
tentativo è inammissibile nei delitti colposi perché, in essi, manca l'intenzione di commettere un fatto
previsto dalla norma incriminatrice, e quindi è incompatibile con l'idoneità e l'univocità degli atti in cui si
sostanza il delitto tentato.

2. il compimento di atti idonei diretti in modo non equivoco alla commissione del delitto stesso, e cioè:
• La IDONEITÀ degli atti;
• la UNIVOCITÀ degli atti,
• il mancato COMPIERSI DELL'AZIONE o il mancato VERIFICARSI DELL'EVENTO.

 IDONEITA’: La definizione dell'art. 56 c.p. denota che si può parlare di tentativo soltanto se gli atti compiuti
dall'agente sono "idonei" a commettere un delitto, cioè se creano la probabilità della consumazione del
reato, e quindi creano un pericolo per il bene tutelato dalla norma incriminatrice di parte speciale.
Sono idonei quegli atti adeguati alla commissione di un delitto, che si inseriscono nel piano criminoso come
conditio sine qua non, condizione tale da farlo procedere verso la sua realizzazione.

L'idoneità va riferita al solo agli atti, e non ai mezzi per attuarli, perché questi ultimi, di per sé, non possono essere in
astratto idonei o non idonei (es. un bicchiere di acqua zuccherata non è idoneo ad avvelenare un soggetto; può però esserlo se il soggetto è
diabetico!)

Inoltre non basta che il legislatore abbia richiesto che gli atti compiuti dall'agente siano potenzialmente in grado di
apportare la lesione del bene giuridico, ma deve stabilire preliminarmente quali fra gli atti compiuti dall'agente, se
idonei, possono rilevare ai fini del tentativo: deve cioè individuare un momento nell'iter criminis, a partire dal
quale, può configurarsi il tentativo di un determinato delitto.

Il giudizio di idoneità va valutato:


 in concreto, cioè tenendo conto di tutte le circostanze concrete , conosciute dall’agente nel
momento in cui ha agito.
 ex-ante: bisogna riportarsi al momento in cui l'azione stava per essere compiuta, tenendo conto di
tutte le circostanze conosciute e conoscibili dal reo, accertando la capacità di ogni singolo atto a
realizzare il fine delittuoso dell’agente.
Quindi un atto è idoneo quando, ex ante presentava probabilità di riuscita.
L'idoneità non può essere valutata a posteriori, ex post, cioè a cose fatte, perché altrimenti, il tentativo sarebbe
inidoneo, e quindi non punibile, non essendosi realizzato il delitto voluto.

Il legislatore del 1930 ha voluto anticipare gli atti punibili a titolo di tentativo già alla fase degli ATTI PREPARATORI ,
ma l’ art 56 c.p. richiede che gli atti debbano essere “diretti in modo non equivoco a commettere un delitto” e l’art
115 c.p. sancisce la normale irrilevanza penale degli atti preparatori come l’accordo o l’istigazione che abbiano per
oggetto la commissione di un reato che poi non venga commesso;
Sembrava assurdo in caso come quello dell’ex deputato Tito Zaniboni che non potesse rispondere di tentato omicidio perché non era
cominciata l’esecuzione chi munito di fucile di precisione, si disponeva a prendere di mira la vittima!

Sono quindi irrilevanti a titolo di tentativo gli atti preparatori, cioè gli atti che abbiano un carattere strumentale
rispetto alla realizzazione, non ancora iniziata, di una figura di reato: tali atti potranno rilevare solo se integrano una
figura di reato a sé stante.
Quindi l'inizio dell'attività punibile si concretizza nella commissione dei soli ATTI ESECUTIVI, cioè degli atti tipici, che
corrispondono almeno ad una parte dello specifico modello di comportamento descritto dalla norma incriminatrice di

156
parte speciale.

L'art. 115 c.p. considera “non punibili sia l'accordo, sia l'istigazione che abbiano per oggetto la commissione di un
delitto, che poi non venga commesso.”
- Per quanto riguarda i reati a forma vincolata, esecutivi sono gli atti che corrispondono allo specifico modello di comportamento descritto
dalla norma incriminatrice;
- per quanto riguarda i reati a forma libera, esecutiva è, invece, l'attività che consiste nell'uso del mezzo scelto dall'agente ( ad es il veleno
nell’omocodio doloso)

Ma l’irrilevanza degli atti preparatori ai fini del tentativo, non sempre comporta la loro irrilevanza penale: infatti
lo stesso art 115 c.p prevede “la possibilità per il giudice di applicare una misura di sicurezza in caso di accordo per
commettere un delitto.”
L’ordinamento prevede come reati a sé stanti, una molteplicità di atti preparatori di altri reati : istigazione a delinquere,
cospirazione politica mediante accordo, istigazione alla corruzione.

Dunque i REATI ESECUTIVI sono la regola,


ma in via d’eccezione, il legislatore può anticipare la rilevanza penale degli ATTI PREPARATORI, superando un duplice
banco di prova di legittimità costituzionale: possono essere tutelati a uno stadio così anticipato solo i beni
indispensabili per l’integrità delle istituzioni e la sopravvivenza stessa della società (incolumità e salute pubblica); in
ossequio al principio costituzionale di proporzione e offensività possono essere incriminati solo gli atti tipicamente
pericolosi per quei beni di altissimo rango.
Quanto meno grave è l’offesa, tanto più elevato deve essere il rango del bene.

L’orientamento della Corte di Cassazione è a favore degli atti preparatori nel tentativo.

La Corte Costituzionale è contraria, in quanto afferma che, gli atti diretti in modo non equivoco a commettere un delitto
possono essere esclusivamente atti esecutivi.
Tale tesi è stata accolta in due importanti sentenze della Cassazione:
SENTENZA CRISTELLO del 2008 afferma che “ai fini dell’art 56 c.p , è necessario il passaggio della condotta dalla fase preparatoria
a quella esecutiva”;
SENTENZA gennaio 2010 N° 9411 dove si afferma che “la normativa del tentativo è contraddistinta in due elementi essenziali:
la direzione non equivoca degli atti e la loro idoneità”.

A norma dell’art 56 cp “ l’inizio dell’attività punibile coincide con l’inizio dell’esecuzione della fattispecie delittuosa”:
bisogna accertare
 che gli atti compiuti dall’agente rappresentino “L’INIZIO DELL’ESECUZIONE” di un determinato delitto, ma
bisogna compiere un ulteriore indagine per accertare
 se quegli atti fossero “IDONEI” a commettere il delitto, se cioè, avevano creato la probabilità della
consumazione del reato, e quindi, la messa in pericolo del bene tutelato dalla norma incriminatrice del
corrispondente reato consumato.

In altri ORDINAMENTI come quello TEDESCO, si punisce la semplice volontà di realizzare una
determinata figura delittuosa.

Gli atti sono idonei se creano la probabilità della consumazione del reato.

157
Per chiarire la STRUTTURA DEL GIUDIZIO DI IDONEITÀ degli atti va precisato:

1. qual è il TERMINE DI RELAZIONE del giudizio di probabilità;


2. a quale MOMENTO ci si deve riportare per formulare il giudizio;
3. quali sono i CRITERI che il giudice deve utilizzare per formulare il giudizio;
4. quale deve essere LA BASE del giudizio.

1) L'idoneità come giudizio di probabilità ha quale necessario TERMINE DI RELAZIONE la consumazione del delitto.
§ Nei reati di mera condotta (che si esauriscono in un azione o in più azioni), l’idoneità va rapportata al
completamento dell’azione o dalle azioni richieste dalla legge per la consumazione del reato.
Ad es: delitto di furto se taluno viene colto mentre infila la mano in una borsetta di una passeggera, ci si dovrà domandare se
era probabile che qualche cosa venisse sottratta dalla borsetta e che di quella cosa l’autore o un suo complice riuscisse a
impossessarsi definitivamente infilandosela in tasca e scendendo dall’autobus.
§ Nei reati di evento l’idoneità degli atti andrà valutata in relazione al verificarsi dell’evento o degli
eventi. Ad es. omicidio doloso art 575 c.p. si tratta di valutare la probabilità che l’atto di spianare l’arma contro la vittima
designata sia seguito non solo dal completamento dell’azione ma anche dalla serie causale innescata dall’azione e
dall’evento morte.

2) Il giudizio di idoneità va formulato ex ante: il giudice deve cioè fare un 'viaggio nel passato', riportandosi
idealmente al MOMENTO dell'inizio dell'esecuzione del delitto.

3) Quanto ai CRITERI per accertare la probabilità della consumazione, il giudice dovrà


 utilizzare il massimo delle conoscenze disponibili al momento in cui compie l'accertamento,
comprensive delle eventuali conoscenze ulteriori del singolo agente.
 il giudice dovrà far ricorso alle leggi scientifiche note al momento dell'accertamento ,quando si tratti di
accertare la probabilità del verificarsi di un evento sulla base di un processo causale innescato da
fattori meccanici o naturali,
 farà invece ricorso a massime d'esperienza, quando si tratta di accertare la probabilità del
completamento dell'azione o del verificarsi di eventi incarnati da un comportamento umano.

4) La BASE del giudizio di probabilità è rappresentata non dai soli mezzi impiegati dall'agente, ma anche dalle
circostanze concrete in cui quei mezzi sono stati impiegati.
Es un pugno non è idoneo a uccidere, ma, se chi da un pugno, è un esperto di pugilato e la persona che lo riceve è un anziano ammalato,
è letale.
Infine, si afferma che l'idoneità va valutata tenendo conto
§ non soltanto delle circostanze conosciute o conoscibili dall'agente al momento della condotta: prognosi
a base parziale,
§ ma di tutte le circostanze realmente esistenti in quel momento, ma accertate solo successivamente:
prognosi a base totale.

La logica che sta alla base di questa disciplina risiede nel principio di offensività: non si può punire chi non ha almeno
esposto a pericolo un bene giuridico.
La mancata esposizione a pericolo può derivare da fattori imperativi non conoscibili ex ante, come l'inesistenza
dell'oggetto materiale (es. sparo contro qualcuno che era morto poco prima) ovvero un ostacolo inopinato all'efficacia causale
dell'azione (per inidoneità dell’azione) ( ad es sparo contro una persona che è impossibile sia raggiunta dal proiettile in quanto si trova
dietro un vetro corazzato).

158
Art. 49 c.p. reato impossibile "La punibilità è esclusa quando per la inidoneità dell'azione o per la inesistenza dell'oggetto
di essa, è impossibile l'evento dannoso o pericoloso. il giudice può ordinare che l’imputato prosciolto sia sottoposto a
misura di sicurezza (prognosi a base parziale).

 UNIVOCITA’: Il requisito dell’unicità degli atti, elaborato da Francesco Carrara, esprime una caratteristica
oggettiva della condotta. Gli atti devono di per sé rilevare che l’agente ha iniziato a commettere un determinato
delitto.
Atti diretti in modo non equivoco: sono quegli atti che, di per sé o in relazione al concreto piano
criminoso, esprimono la direzione dell'atto verso il delitto avuto di mira dall'agente;
sono quegli atti che per il grado di sviluppo raggiunto dalla condotta criminosa, fanno prevedere come
verosimile la realizzazione del delitto volut; sono atti che, riguardati nel contesto in cui sono inseriti,
possiedono la capacità a denotare il proposito criminoso perseguito.

Il dolo nel delitto tentato

L’art 42 cp recita “nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto (tentato) se non l’ha
commesso con dolo” , dunque nel tentativo non c’è spazio per la colpa!

Nel tentativo l’oggetto del dolo è la realizzazione del corrispondente delitto consumato. La
forma del dolo è la stessa dei reati consumati.

COMPATIBILITÀ DEL DOLO EVENTUALE CON LA STRUTTURA DEL TENTATIVO


La corte di cassazione si è espressa in senso affermativo nel 1983, mentre una parte della giurisprudenza ha adottato una soluzione
negativa fondandosi sull’assunto che “il requisito dell’unicità degli atti è incompatibile con con lo stato di dubbio caratteristico del
dolo eventuale”, in quanto, non potrebbe compiere atti diretti in modo non equivoco a commettere un delitto
“chi agisca con uno scopo diverso dalla realizzazione del fatto delittuoso limitandosi ad accettare l’eventualità che il fatto non si

verifichi”.
ma visto che l’univocità è un requisito oggettivo degli atti e non riguarda la sfera del dolo, non si può desumere l’incompatibilità tra
tentativo e dolo eventuale.
Infatti taluno può rispondere di tentato omicidio a titolo di dolo eventuale chi, fuggendo dal luogo in cui ha commesso una rapina spari in direzione
degli inseguitori per farli desistere dall’inseguimento, dunque spari non al fine di uccidere ma di sottrarsi alla cattura, accettando però
l’eventualità, che una pallottola raggiunga e uccida una delle guardie giurate”

Ciò che l’agente deve voler realizzare per la sussistenza del dolo di tentativo è un fatto concreto che integri un modello di fatto
descritto da una norma incriminatrice di parte speciale.

Può succedere invece che l’agente realizza un fatto concreto che non corrisponde a un modello legale di reato,
supponendo erroneamente che costituisca reato.
Il fatto costituisce reato solo nella mente dell’agente: REATO PUTATIVO PER ERRORE DI FATTO: ad es acquisto di una
supponendoche provenga da delitto.

159
Reato putativo di diritto penale. Suppongo erroneamente di commettere un reato .
Art 49 c.p. reato supposto erroneamente e reato impossibile ”non è punibile chi commette un fatto non costituente
reato, nella supposizione erronea che esso costituisca reato”.

Il tentativo nei reati omissivi

- il tentativo nei reati omissivi IMPROPRI: l'inizio dell'omissione punibile ex art. 56 c.p. si ha quando il
mancato compimento dell'azione aumenta il pericolo che il garante ha l'obbligo giuridico di neutralizzare per
impedire che si verifichi l'evento.
Affinchè il garante risponda di TENTATIVO è necessario che l’evento non si verifichi, ad es. l’infermiera risponde di tentato
omicidio se la terza persona somministra in tempo utile medicine indispensabili per la vita del paziente e che l’infermiera ha omesso di
somministrare.
Ma anche nel caso in cui l’evento si verifica, il garante può rispondere di TENTATIVO quando. ad esempio. l’evento è è
conseguenza non già dell’omissione, bensì di una serie causale autonoma, ad es l’infermiera risponderà di omicidio nel caso in
cui il paziente muoia per inopinato shock emorragico provocato dalla rottura di un aneurisma situato nell’aorta addominale.

- il tentativo nei reati omissivi PROPRI: il tentativo secondo la giurisprudenza prevalente in questo caso
non si configura, in quanto, l’elemento caratteristico dei reati omissivi propri, è il mancato compimento di un
azione, entro un termine fissato dalla legge ( es omissione di soccorso , avviso immediato all’autorità ), quindi  prima della
scadenza del termine, non si configurerebbe un tentativo,  scaduto il termine, il reato è consumato.

Quindi vi è uno spazio molto ridotto per la configurabilità del tentativo, che può individuarsi in ipotesi in cui il
soggetto non sfrutti il primo momento utile per adempiere all’obbligo di agire, ma conserva una chance ulteriore per
adempiere a quell'obbligo.
 Se l'agente sfrutta questa chance e lo fa per una libera scelta, rimarrà integrato un fatto antigiuridico e
colpevole di tentativo, ma il soggetto non sarà punibile per aver volontariamente desistito dal portar a
compimento l'omissione (art. 56. 3 c.p.);
 risponderà invece di tentativo, se la desistenza è stata frutto di una coazione esterna (quindi, non volontaria).

Si ha desistenza, quando l’agente smette di omettere e compie l’azione doverosa che impedisce il verificarsi dell'evento:
es. la madre che ha omesso di nutrire il neonato riprende a farlo.
Si avrà recesso attivo, quando non è più possibile impedire l'evento con l'azione doverosa omessa, ma occorre ricorrere
ad un'azione diversa: Es. la madre dovrà portare il figlio dell'ospedale per le cure necessarie a salvarlo.

La PENA nel tentativo

Art. 56 2° co. : “ Il colpevole del delitto tentato è punito:


 con la reclusione non inferiore ad anni 12 se la pena stabilita per il reato consumato è l'ergastolo; 
negli altri casi, con la pena stabilita per il delitto, diminuita da 1/3 a 2/3.”

La desistenza volontaria dal delitto tentato.

Art. 56. 3 c.p. "Se il colpevole volontariamente desiste dall'azione, soggiace solamente alla pena per gli atti compiuti
qualora questi costituiscono per sè un reato diverso".

160
Es. Tizio entra in una casa per commettere un furto: se non prosegue per sua scelta l'esecuzione del furto, non sarà punibile per tale delitto; gli atti
compiuti integreranno una violazione di domicilio e un danneggiamento e l'agente verrà punito con le pene previste per questi due reati.

Dunque si ha desistenza quando l’agente, dopo aver iniziato l'esecuzione del delitto, muta proposito e interrompe la sua
attività criminosa.
È stato integrato un fatto antigiuridico e colpevole di tentativo e l’effetto della desistenza è quello di non renderlo
punibile: di regola comporta l'impunità; tuttavia, se gli atti compiuti costituiscono un reato diverso, l’agente
risponde di quel diverso reato.

La desistenza è un ESIMENTE CHE ESCLUDE L'ANTIGIURIDICITÀ DEL FATTO, sicché “la sua applicabilità presuppone,
come ha affermato la corte di cassazione, che l'azione sia penalmente rilevante e sia quindi pervenuta alla fase del
tentativo punibile.”

La desistenza consta di 2 REQUISITI:


A. condotta di desistenza
- Nei reati commissivi: desistere significa non completare l'azione esecutiva iniziata, ma non ancora portata a
compimento, quindi ha carattere negativo;
- nei reati omissivi : desistere significa compiere l'azione doverosa inizialmente omessa, quando vi sia ancora la
possibilità di un adempimento tempestivo , quindi ha carattere positivo.

B. Volontarietà: la desistenza deve essere volontaria.


• È volontaria quando si possa dire che l'agente ha ragionato in questi termini: "potrei continuare,
ma non voglio";
• la desistenza non è volontaria quando l'agente ha detto a se stesso: "vorrei continuare, ma non
posso".

La volontarietà della desistenza presuppone dunque la soggettiva convinzione dell'agente di poter completare l'attività
esecutiva iniziata.
Non è volontaria la desistenza da una attività estorsiva allorchè le telecamere installate in prossimità dell’esercizio commerciale in
danno del cui titolare doveva essere realizzata l’estorsione, rendeva estremamente rischioso il proseguimento dell’attività!

161
Il RECESSO ATTIVO dal delitto tentato

Si parla di recesso attivo dal delitto tentato quando l'agente, dopo aver completato l'azione o l'omissione, impedisca
volontariamente l'evento, dunque presuppone un tentativo compiuto, perché l’agente, dopo aver realizzato l'azione
tipica, volontariamente impedisce il verificarsi dell'evento.

162
Art. 56. 4 c.p. "Se (il colpevole) volontariamente impedisce l'evento, soggiace alla pena stabilita per il delitto tentato,
diminuita da 1/3 alla metà".

Il recesso attivo o “pentimento operoso” ha dunque natura di CIRCOSTANZA ATTENUANTE: crea un'attenuazione della
pena (è però necessario che l'agente sia riuscito ad impedire l'evento), ma non importa la totale impunità (come la
desistenza)

Il recesso
§ ha carattere solo positivo, in quanto esige una nuova attività;
§ deve essere sempre volontario;
§ è configurabile solo nei delitti in cui, tra la realizzazione della condotta del verificarsi dell'evento, intercorre un
certo lasso di tempo (cd. Delitti materiali).

Il recesso attivo non va confuso con il ravvedimento post delictum ex articolo 62 n. 6 : quest'ultimo infatti si ha, dopo il
verificarsi dell'evento, cioè quando il colpevole, dopo la consumazione del reato, si attiva per eliminare o attenuare gli
effetti dannosi pericolosi.
Dunque esso costituisce una circostanza attenuante e la pena può essere diminuita fino ad 1/3.

Reati a consumazione anticipata NON AMMETTONO IL TENTATIVO

Sono reati che, pur integrando gli estremi di un tentativo, possono essere configurati dal legislatore come
un’autonoma figura di delitto.
Infatti, così come in via d'eccezione, gli atti preparatori di un delitto sono talora previsti dal legislatore come reati a sé
stanti, altrettanto IN VIA D'ECCEZIONE, un comportamento che integrerebbe gli estremi del tentativo, può essere
configurato dal legislatore come una figura autonoma di delitto: si tratta dei REATI A CONSUMAZIONE ANTICIPATA.

 In tale categoria rientrano i DELITTI DI ATTENTATO, caratterizzati da una condotta che il legislatore designa
con la formula "chi dunque attenta a...", "chi dunque commetta un fatto diretto a...". I delitti di attentato
presentano entrambi i requisiti strutturali del tentativo:
§ l'inizio dell'esecuzione e
§ l'idoneità degli atti esecutivi (quindi, i delitti di attentato non ammettono il tentativo). In
essi però, la punizione è piu severa rispetto a quella del tentativo.

 REATI A DOLO SPECIFICO, sono caratterizzati dalla presenza di una finalità la cui realizzazione non è
necessaria per la consumazione del reato e sono identificate con formule del tipo “al fine di..”
L’oggetto del dolo può essere un evento offensivo di beni giuridici o un evento non dannoso o pericoloso (furto)..

(Il principio di offensività reclama per tutti i reati, la creazione di un pericolo per il bene giuridico tutelato dalla legge e quindi, esige
l’oggettiva idoneità degli atti compiuti dall’agente a cagionare l’evento dannoso o pericoloso preso di mira.)

Tali reati non posseggono l’altro requisito del tentativo cioè l’inizio dell’esecuzione dell’attività diretta a conseguire lo
scopo indicato da una norma (se io ho distrutto una cosa mia fraudolentemente non è necessario che io abbia denunciato il fraudolento
infortunio alla mia compagnia di assicurazione).
La struttura del reato a dolo specifico è simile ma non identica al tentativo, in quanto la legge attribuisce rilevanza
penale ad atti che sono meramente preparatori di un tentativo (tentativo di estorsione mediante sequestro di persona e tentativo
di truffa ai danni dell’assicurazione mediante distruzione della cosa assicurata).
Anche i reati a dolo specifico non ammettono il tentativo perché gli atti preparatori sono elevati a reati a sè stanti.

IL CONCORSO DI PERSONE NEL REATO

163
Il reato può essere commesso sia da un solo soggetto,sia da una pluralità di soggetti: in questa seconda ipotesi si parla di
"CONCORSO DI PERSONE NEL REATO".

Possiamo avere 2 tipi di concorso di persone:


 concorso necessario: si verifica per quei reati che devono necessariamente essere commessi da due o più
persone: ad esempio l'associazione per delinquere, la rissa. Tali reati sono anche denominati "reati plurisoggettivi”.

Quindi la pluralità di soggetti è elemento necessario.


Sono definiti reati plurisoggettivi, si distinguono in:
 propri: tutti i coagenti sono assoggettati a pena, in quanto l'obbligo giuridico, la cui violazione costituisce
reato, incombe su ciascuno di essi (rissa, associazione a delinquere).
 impropri: in cui, solo uno o alcuni dei coagenti, sono punibili, in quanto solo su alcuni cade l'obbligo giuridico
di non tenere il comportamento incriminato (esempio nell'usura, solo chi presta il denaro è punibile).

Secondo la dottrina prevalente al concorso necessario si applicano le norme sul concorso eventuale di persone, in
quanto compatibili.
Inoltre secondo la dottrina i reati plurisoggettivi si distinguono in:
 collettivi: le attività dei vari soggetti si svolgono tutte nella stessa direzione tendendo allo stesso risultato
(es, partecipazione a insurrezione armata contro i poteri dello Stato).

 Reciproci: le condotte criminose collaborano alla realizzazione dell'evento essendovi identità di scopi. Si
distinguono a loro volta in

 omogenei: la condotta di un soggetto è della stessa specie di quella dell'altro soggetto (reati di
associazione).

 Non omogenei: le condotte sono di natura diversa (determinazione in altri dello stato di ubriachezza).

Bilaterali: le condotte muovono l'una contro l'altra (es. rissa)

 concorso eventuale: ricorre per la maggior parte dei reati che possono essere commessi indifferentemente
da una o più persone, e per le quali il concorso dunque costituisce una eventualità.

Nel nostro ordinamento, la disciplina del concorso eventuale è dettata dall'art. 110, il quale, ispirandosi al principio
della pari responsabilità dei concorrenti, stabilisce che "quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna
di esse soggiace alla pena per questo stabilita".

Tale norma svolge una FUNZIONE ESTENSIVA dell'ordinamento penale: infatti consente di punire, oltre ai concorrenti
che pongono in essere la condotta tipica prevista dalla norma incriminatrice, anche quelli che pongono in essere
azioni atipiche, che in base alla sola norma incriminatrice, non sarebbero punibili (ad esempio l'attività di istigazione al furto
senza partecipazione alla sottrazione e all'impossessamento della cosa): sono quindi riconducibili alla fattispecie concorsuale, tutte
le condotte dotate di efficacia eziologica nei confronti dell'evento lesivo.

In passato era controverso se, nel reato commesso da più persone, si sarebbe dovuta ravvisare una pluralità di
reati autonomi oppure un reato unico con la caratteristica della pluralità di soggetti attivi; oggi la dottrina dominante
invece ritiene che si tratti di un reato unico con una pluralità di soggetti attivi.

164
Sono differenti le forme del concorso criminoso:
§ partecipazione materiale o fisica, che si verifica nella fase dell'esecuzione del reato, nella quale si individuano le
seguenti figure:
• l'autore in senso stretto e chi compie un'azione che da sola è conforme a quella descritta dalla norma
incriminatrice
• il coautore è chi, insieme ad altri, esegue in tutto o in parte, l'azione tipica
• il partecipe è chi pone in essere un'azione che, di per sé, non realizza la fattispecie criminosa (per
esempio il mandante di un omicidio).

§ partecipazione psichica, che si manifesta nella fase della ideazione del reato, all'interno della quale si individuano
due differenti figure:
o determinatore , è colui che fa sorgere in altri, un proposito criminoso, che prima non esisteva (ad esempio
il mandante)
o istigatore è il compartecipe che si limita a rafforzare in un'altra persona un proposito criminoso già
esistente.

Il concorso di persone nel reato consta di 4 ELEMENTI COSTITUTIVI:

a) pluralità di persone;
b) realizzazione di un fatto di reato;
c) contributo causale della condotta atipica alla realizzazione del fatto;
d) consapevolezza e volontà di contribuire causalmente alla realizzazione del fatto.

a) PLURALITÀ DI PERSONE

Nel novero dei concorrenti rientrano anche le persone non imputabili (incapace di intendere o di volere) o non
punibili (cause personali di esclusione della punibilità ad es. immunità di diritto internazionale , speciale rapporti di parentela nei
delitti contro il patrimonio).
In passato invece si è seguita la teoria del "autore mediato", che prevedeva non configurabile il concorso di
persone, qualora il reato fosse stato commesso da persona incapace o comunque non colpevole che avesse agito
quale strumento di altro soggetto: in tali casi, autore dell'illecito era considerato solo colui che aveva indotto al
crimine cioè il cosiddetto autore mediato.
Attualmente invece prevale la teoria opposta e dunque, il concorso di persone sussiste anche se taluno dei
concorrenti siano incapaci o abbiano agito senza dolo.
L’irrilevanza dell’imputabilità o della punibilità per la sussistenza del concorso di persone discende dagli art. 111 e 112, che
prevedono circostanze aggravanti nei confronti di chi ha determinato a commettere il fatto persone non imputabili o non punibili e in
particolare l’art. 112 stabilisce che “alcune circostanze aggravanti si applicano anche se taluno dei partecipanti al fatto non è imputabile
o non è punibile”.
Art. 3 c.p. "Chi ha determinato a commettere un reato una persona non imputabile o non punibile, risponde del reato da questa
commesso, e la pena è aumentata."
Art. 112 co 4 c.p. "Talune circostanze aggravanti si applicano anche se taluno dei partecipi al fatto non è imputabile o non è punibile".
Art. 86 c.p. "Se taluno mette altri nello stato di incapacità di intendere o di volere, al fine di fargli commettere un reato, del reato
commesso dalla persona resa incapace risponde chi ha cagionato lo stato di incapacità".

b) REALIZZAZIONE DI UN FATTO DI REATO (CONSUMATO O TENTATO).

Per la sussistenza del concorso di persone occorre che sia realizzato, nella forma tentata o consumata, il fatto di reato
descritto da una norma incriminatrice di parte speciale.

165
L'art. 115 c.p. sancisce ” la non punibilità dell'accordo per commettere un reato, quando il reato oggetto dell'accordo
o dell'istigazione non è stato commesso, salvo che la legge disponga altrimenti” : prima che sia integrato il fatto, il
comportamento atipico è irrilevante, salvi i casi in cui l'accordo o l'istigazione sono puniti di per sé.

Secondo l’idea dell’accessorietà il comportamento atipico rileva se ed in quanto accede a un fatto principale tipico
(Francesco Carrara).
Accessorietà minima = ai fini del concorso rileva un fatto principale tipico
Accessorietà limitata = il fatto principale deve essere, oltre che tipico, antigiuridico Accessorietà
estrema = il fatto principale oltre ad essere tipico e antigiuridico, colpevole, iperaccessorietà =
non solo tipico, antigiuridico, colpevole ma anche punibile.

Es: tizio che istigato da Caio, comunicando con più persone ha offeso la reputazione di Mevio.
Ci si chiede se, la rilevanza della condotta di istigazione, dipenda dal solo fatto di diffamazione commesso da Tizio, o dipende dall’ulteriore accertamento
che, Tizio non abbia mai diffamato Mevio nell’esercizio di una facoltà legittima, in quanto si trattasse di una critica politica ,oppure dipende
dall’ulteriore condizione che Tizio abbia commesso colpevolmente quella diffamazione perchè ad esempio si trovava in uno stato d’ira determinato da
un comportamento ingiusto di Mevio, e subito dopo di esso dipenda ancora dalla punibilità di Tizio che ad esempio potrebbe essere esclusa qualora si
tratti dell’ambasciatore di uno stato estero.

Secondo il nostro ordinamento è sufficiente che la condotta atipica acceda a un fatto tipico (ACCESSORIETÀ MINIMA)
mentre non rileva né l’antigiuridicità , né la colpevolezza, né la punibilità del fatto commesso da altri.

Applicazione art 119 c.p. antigiuridicità:

co1 "Le circostanze soggettive le quali escludono la pena per taluno di coloro che sono concorsi nel reato hanno
effetto soltanto riguardo alla persona a cui si riferiscono" (circostanze soggettive di esclusione della pena sono: le cause di esclusione
della punibilità, cioè l'immunità, le cause di giustificazione personali, cioè l'uso legittimo delle armi ex art. 33 c.p., cause di esclusione della
colpevolezza)
co 2 "Le circostanze oggettive che escludono la pena (scriminanti) hanno effetto per tutti coloro che sono concorsi nel
reato" ad eccezione delle cause di giustificazione personali: come l’uso legittimo delle armi.

L’art 119 c.p. si applica anche nella sfera della colpevolezza: infatti se il fatto tipico è commesso da persona non
imputabile, rimane ferma la responsabilità di chi lo ha istigato, anche se lo stato di incapacità dell’autore è stato
cagionato proprio allo scopo di fargli commettere il reato.
Se chi commette il fatto agisce senza dolo, per difetto del momento rappresentativo, risponderà chi lo ha istigato.
L’irrilevanza della colpevolezza dell’autore del fatto, emerge anche sul terreno delle scusanti: art.54 “non è punibile
chi commette un fatto nello stato di necessità determinato dall’altrui minaccia, ma in tal caso del fatto commesso
dalla persona minacciata risponde chi l’ha costretto a commetterlo”.

L’art 119 c.p. si applica anche alle cause personali di non punibilità.

L’esecuzione frazionata del fatto

la realizzazione del fatto tipico può avvenire ad opera di più persone, ciascuna delle quali , d’accordo con l’altra, realizza
una “parte del fatto”: coloro che eseguono congiuntamente una parte del fatto si designano come coautori. Non rileva
il contesto temporale affinchè vi sia esecuzione frazionata di un unico fatto, ma è necessario che i soggetti agiscano
sulla base di un accordo.

Nel nostro codice manca una previsione espressa dell’esecuzione frazionata di un fatto tipico, ma è pacifico che l’ipotesi
è riconducibile alla disciplina generale del concorso di persone nel reato.
Secondo Francesco Carrara : ”l’autore principale è quel solo, che esegue l’atto fisico in cui consiste la consumazione del
delitto.”
Se il fatto viene commesso da più soggetti, più sono gli autori principali; tutti gli altri sono delinquenti accessori.

166
c) CONTRIBUTO CAUSALE DELLA CONDOTTA ATIPICA ALLA REALIZZAZIONE DEL FATTO

Non vi può essere concorso di persone se la condotta atipica non ha esercitato un'influenza causale nel fatto concreto
tipico realizzato da altri: è quindi necessario il collegamento causale tra la condotta atipica e il fatto concreto tipico
realizzato da altri: la necessità di tale collegamento emerge dall’art.116 c.p.

co 1 "Qualora il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde, se
l'evento è conseguenza della sua azione od omissione".
co 2 "Se il reato commesso è più grave di quello voluto, la pena è diminuita riguardo a chi volle il reato meno grave" e
all’art 112 c.p. parla di chi ha determinato altri a commettere un reato.

Vi sono due forme di collegamento causale tra la condotta del partecipe e fatto principale:

 Il concorso materiale: si ha quando una condotta (atipica di aiuto) è stata condizione necessaria per
l'esecuzione del reato da parte di altri. Il concorso materiale può consistere:
a) in una condotta in astratto sostituibile (es. la consegna di una pistola: la può fare
chiunque);
b) in una condotta in astratto insostituibile (es. la comunicazione di un determinato
Tale tipo di condotta (insostituibile) può comportare una pena maggiore di quella
codice segreto).
che in astratto poteva essere rimpiazzata.
Sul terreno causale tutte le condotte sono equivalenti.
L’indagine sul contributo causale va compiuta in relazione alle modalità concrete di realizzazione del fatto.
(es. se un soggetto ha fornito la chiave di una cassaforte ad un altro soggetto per commettere un furto, che avrebbe potuto essere commesso
utilizzando strumenti da scasso,
- se la cassaforte è stata aperta con la chiave, la condotta di chi ha fornito la chiave, ha contribuito causalmente alla realizzazione del fatto di furto,
perchè senza di essa il fatto non si sarebbe verificato con quelle modalità; - se invece la chiave è stata inutilizzata, mancherà un contributo
causale.)

Il nostro ordinamento , secondo Francesco Carrara , non punisce il tentativo di partecipazione, cioè il fatto di chi cerca
senza riuscirvi di dare un contributo ad un reato commesso da altri: si può , al limite essere complici di un tentativo!

 Il concorso morale : si ha quando un soggetto, con comportamenti esteriori (consigli, minacce, doni ecc.)
o fa nascere in altri, il proposito di commettere il fatto, che poi viene commesso (determinatore )
o ovvero rafforza un proposito già esistente, ma non ancora consolidato (istigatore).

Nel concorso morale il nesso causale tra condotta atipica e fatto principale si articola in un duplice passaggio:

a) l'istigazione deve far nascere o rafforzare in capo all'istigato il proposito di commettere un determinato reato;
b) tale reato deve essere poi effettivamente commesso.

L’art 115 c.p. afferma che “l’istigazione deve essere accolta e in seguito, la persona che ha accolto l’istigazione deve
commettere il reato oggetto dell’istigazione.”

L'influenza causale dell'istigazione va accertata in concreto secondo lo schema della "condicio sine qua non": si tratta
cioè di accertare (con leggi psicologiche) che, in assenza della condotta istigatoria, l'autore non avrebbe realizzato il
fatto di reato con quelle specifiche modalità.
Si deve quindi escludere la configurabilità di un concorso di persone nell'ipotesi in cui l'autore fosse già fermamente
risoluto a commettere il reato!
167
Rientra invece nello schema del concorso morale l'accordo, che rappresenta la comune decisione di commettere un
reato.

NON INTEGRA ALCUNA FORMA DI CONCORSO MORALE :


 La mera presenza sul luogo del reato, a meno che non sia stata accompagnata da una chiara manifestazione
esteriore di adesione al comportamento delittuoso, e l'autore ne abbia tratto motivo di rafforzamento del
suo proposito. es chi assiste al pestaggio di un immigrato e gridi “è ora di dare una lezione”. Ai fini del concorso nel reato , l’adesione
deve essere espressa per l’influenza sul comportamento dell’agente.
 la connivenza, cioè la consapevolezza che altri sta per commettere o sta commettendo un reato, senza che si
faccia nulla per impedirlo
N.B. Potrà delinearsi un concorso nel reato soltanto nella forma del concorso omissivo, cioè quando chi non
impedisce la commissione del reato e aveva l'obbligo giuridico di impedirla.

d) CONSAPEVOLEZZA E VOLONTÀ DI CONTRIBUIRE CAUSALMENTE ALLA REALIZZAZIONE DEL FATTO ( elemento


soggettivo)

Posto che il reato commesso in concorso è sempre un reato doloso, occorre precisare che tale dolo risulta dalla
somma di due precise volontà, e cioè:
o La volontà di realizzare il reato (cd. dolo del fatto tipico monosoggettivo):
 se tale dolo è generico, non sorgono problemi in quanto esso dovrà sussistere in tutti partecipi e
avrà per tutti lo stesso contenuto (più concorrenti in un omicidio vogliono tutti allo stesso modo la morte della vittima)
 se il dolo e specifico, è sufficiente che anche uno solo, e non necessariamente l'autore materiale del
fatto, voglia anche il fine ulteriore e particolare richiesto dalla norma incriminatrice (risponderanno di
furto in concorso, tutti quei soggetti che, hanno sottratto un bene, anche se è uno solo di essi agiva per procurarsi l'ingiusto
profitto, e tale profitto era a lui solo destinato per volontà comune)

o La volontà di realizzarlo insieme ad altri (cd. Dolo di concorso) : sia dottrina e giurisprudenza sono concordi nel
ritenere non necessario il cd. previo concerto, e cioè che i soggetti si siano preventivamente accordati per
commettere il fatto.
È invece sufficiente anche un accordo improvviso, che intervenga durante l'esecuzione del reato, purché sia
presente la volontà e la consapevolezza di cooperare con altri alla realizzazione del fatto

 secondo la giurisprudenza, non occorre la reciproca consapevolezza dell'altrui contributo

La responsabilità del partecipe dipende, oltre che dall'aver apportato un contributo causale alla realizzazione del fatto
da parte dell'autore, anche dalla presenza del dolo che deve abbracciare, sia il fatto principale realizzato dall’autore,
sia il contributo causale recato dalla condotta atipica.
Così l’istigatore deve essersi rappresentato e aver voluto influenzare le scelte di comportamento della persona istigata, orientandola
alla commissione del fatto poi effettivamente commesso.
Es. Tizio istigato da Caio cerca di uccidere Mevio. Spara ma non ci riesce…affichè Caio possa rispondere di concorso nel tentato omicidio, è necessario
che abbia preveduto e voluto la morte di Mevio.

Ciò che il partecipe deve contribuire a realizzare è un fatto che può anche arrestarsi allo stadio del tentativo: ma ciò che
egli deve rappresentarsi e volere, ai fini del dolo di partecipazione, è l'apporto di un contributo causale alla
realizzazione, da parte di altri, di un fatto di reato consumato.

Quanto alle peculiarità del fatto concreto che devono essere oggetto di rappresentazione da parte del concorrente
atipico, ciò che è necessario, ma anche sufficiente è che il concorrente si rappresenti la commissione di un fatto
concreto conforme a quello descritto dalla norma incriminatrice: è invece irrilevante che i partecipe conosca le
concrete modalità con cui l'autore eseguirà il reato.

168
Quanto all'identità della vittima, il dolo del partecipe sussiste anche se, per errore dell'autore, viene commesso il fatto a
danno di una persona diversa da quella che il partecipe voleva offendere (Art. 60 c.p.).
Se invece l'autore, per una sua autonoma scelta, decide di uccidere persona diversa da quella commissionata, il
mandante non risponde di concorso in omicidio, perché la scelta autonoma dell'autore ha spezzato il legame causale con
la condotta del mandante.

AI FINI DEL DOLO DEL CONCORSO DI PERSONE nel reato è sufficiente il dolo di partecipazione in capo al concorrente
atipico, mentre l’autore può anche ignorare l’altrui contributo materiale alla realizzazione del fatto,
quindi non è necessario UN PREVIO ACCORDO, né UNA RECIPROCA CONSAPEVOLEZZA DELL’ALTRUI ATTIVITÀ; (Se per
es tizio custode di un abitazione, agevola Caio per commettere un furto, ma Caio ignori tale agevolazione , la presenza del dolo in capo a Tizio è
sufficiente affinchè si configuri il concorso doloso nel fatto penalmente rilevante commesso da caio. )
questi potranno rilevare soltanto ai fini della COMMISURAZIONE DELLA PENA…in quanto il reato commesso da più
persone in esecuzione di un programma presenta caratteri di particolare gravità sul piano oggettivo per la maggiore
carica lesiva e sul piano soggettivo l’accordo comporta un grado più elevato di intensità del dolo.

Per quanto riguarda l'ammissibilità di un concorso a titolo diverso fra i vari partecipi:
 nel concorso doloso in delitto colposo, la configurabilità è ammessa da chi ritiene autonoma la
posizione di ciascun concorrente, mentre è negata da chi ritiene necessariamente
interdipendenti le posizioni dei concorrenti e quindi, esclude la possibilità di imputare il medesimo
fatto a titoli soggettivi diversi;
(es Tizio, notando che Caio e Sempronio, suoi nemici, stanno maneggiandone diligentemente alcune armi ritenute scariche, ne
sostituisce una con un'altra carica, provocando la morte di uno dei due)!
 nel concorso colposo in delitto doloso la configurabilità deve escludersi per la mancanza di una
norma che, in ossequio al principio sancito dall'articolo 42 lo preveda.

Agente provocatore è colui che , appartenente alle forze dell’ordine o privato cittadino, istighi taluno a commettere un reato,
volendo far scoprire e assicurare alla giustizia la persona provocata, prima che il reato giunga a consumazione.
E’ colui che spinge altre persone a commettere dei reati al fine di farli scoprire e punire (spesso si tratta di appartenenti alle forze di polizia)!

Non è punibile per l’assenza del dolo di partecipazione in capo all'agente provocatore.

Infatti, ciò che il partecipe deve rappresentarsi e volere è UN CONTRIBUTO ALLA REALIZZAZIONE da parte di altri di un
reato consumato, mentre ciò che si rappresenta e vuole l'agente provocatore è un TENTATIVO: lo scopo perseguito
dall'agente provocatore è che la consumazione del reato venga impedita dall'intervento di fattori esterni, come le
forze di polizia.

Quanto alla posizione del soggetto provocato che ha commesso il reato oggetto della provocazione , si sono prospettate
in dottrina due soluzioni:
 impunità per ragioni processuali
 o una punizione attenuata, ricorrendo gli estremi delle attenuanti generiche, quando la provocazione abbia
condizionato, in modo rilevante, la libertà di autodeterminazione del soggetto provocato.
es dell’infiltrato: chi s’inserisce in un organizzazione criminale compiendo fatti di reato per acquisire elementi di prova a carico dei membri
dell’organizzazione criminale.
L’impunità non è fondata sull’assenza del dolo, ma sulla liceità dei fatto commesso nell’adempimento di un dovere…

 Secondo dottrina dominante è esente da responsabilità per mancanza di dolo, in quanto agisce con la precisa
convinzione che l'evento non si sarebbe verificato.
 Secondo giurisprudenza non è esente da punibilità/responsabilità, a meno che non si tratti di intervento
marginale e indiretto, consistente in un'attività di osservazione e controllo delle azioni illecite, che devono
essere esclusivamente opera altrui.

169
DEROGA alla necessità del dolo di partecipazione:

La responsabilità del partecipe per un reato diverso da quello voluto, cd. “CONCORSO ANOMALO” O
“ABERRATIO DELICTI CONCORSUALE”

Art. 116 c.p.

Co 1 "Qualora il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde, se
l'evento è conseguenza della sua azione od omissione".
Si nota da questo articolo che viene addossato al concorrente a titolo di dolo un fatto di reato che egli non ha voluto, avendo solo
contribuito causalmente alla sua realizzazione.

Co 2 "Se il reato commesso è più grave di quello voluto, la pena è diminuita riguardo a chi volle il reato meno grave".
Es: quando si era convenuto di commettere un furto e invece l'esecutore materiale realizza una rapina.
Si tratta di una circostanza attenuante obbligatoria, applicata al concorrente che voleva un reato meno grave di quello
concretamente realizzato.

L'articolo 116 rappresenta

- secondo la dottrina prevalente UN'IPOTESI DI RESPONSABILITÀ OGGETTIVA, in quanto consente di porre a carico
del concorrente nolente (che non vuole), il reato non voluto sulla base del semplice nesso di causalità fra

l'evento e la sua azione od omissione.


- La corte Costituzionale chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dell'articolo 116 in relazione all'articolo 27

della costituzione, HA ESCLUSO CHE ESSO CONFIGURI UN'IPOTESI DI RESPONSABILITÀ OGGETTIVA, in quanto oltre al
nesso di causalità materiale, occorre anche un nesso di causalità psichica consistente nel fatto che il reato

diverso costituisca uno sviluppo logicamente prevedibile di quello voluto.


- Secondo la giurisprudenza più diffusa, il nesso di causalità psichica va inteso come prevedibilità in concreto, cioè

come possibilità di rappresentarsi l'evento diverso sulla base di tutte le circostanze del singolo caso.

Dunque, a seguito dell'interpretazione della Corte, L'ARTICOLO 116 NON È IPOTESI DI RESPONSABILITÀ
OGGETTIVA, ma si tratta di una RESPONSABILITÀ ANOMALA in quanto il concorrente nolente, risponde del fatto a
titolo di dolo, pur ricorrendo gli estremi di una responsabilità colposa.

Tali conclusioni sono state accolte dalla Cassazione la quale ha affermato che “la norma in esame trova applicazione
quando l'imputato, anche se non ha previsto la commissione di un reato diverso da parte dei concorrenti,
avrebbe potuto rappresentarsene l'eventualità, se in base alle circostanze del caso concreto, avesse usato la
dovuta diligenza”, cioè il partecipe si espone al rimprovero di aver contribuito per colpa, in quanto un uomo ragionevole, al
posto dell'agente, poteva prevedere che si sarebbe realizzato quel diverso reato, in luogo di quello voluto dal partecipe!

L'articolo 116 è considerato come una particolare ipotesi di ABERRATIO DELICTI, però vi sono differenze:

170
• reato diverso articolo 116:
o l'evento diverso deve essere voluto
da uno dei concorrenti
o si richiede la prevedibilità
dell'evento

• aberratio delicti articolo 83:


o l'evento diverso è realizzato per un errore sull'uso dei
mezzi di esecuzione del reato non si richiede la
prevedibilità dell'evento

171
Il concorso di persone nel reato proprio

Può configurarsi il concorso di un 'estraneo' in un REATO PROPRIO, cioè in un reato che può essere commesso soltanto
da chi possegga determinate qualità o si trovi in determinate relazioni con altre persone.

- In primo luogo l'estraneo deve contribuire causalmente alla realizzazione del fatto costitutivo del reato proprio
(nella forma consumata o tentata) mediante concorso materiale o morale.
Si discute se possa operarsi un'inversione di ruoli tra l'intraneo e l'estraneo: se cioè possa essere l'estraneo a
commettere il fatto tipico, relegando l'intraneo al ruolo di mero partecipe.
La risposta è negativa, perché autore di un reato proprio può essere soltanto l'intraneo: lo impone il principio di
legalità.

- In secondo luogo, il dolo del partecipe esige la consapevolezza e la volontà di contribuire alla realizzazione del
fatto costitutivo del reato proprio e quindi esige anche la consapevolezza della qualità rivestita dall'intraneo, che è
elemento costitutivo del fatto di reato proprio.

A questa regola DEROGA l'art. 117 c.p., nel senso che non è necessario che l'estraneo conosca la qualifica soggettiva
dell'intraneo, limitatamente alle ipotesi in cui, la qualità dell'autore determini (solo) un mutamento del titolo del
reato: in altri termini, la deroga riguarda le ipotesi in cui, accanto alla figura del reato proprio, esista una
corrispondente figura di reato comune.

Dispone infatti l'art. 117 c.p. che:


"se (le condizioni o qualità personali del colpevole o per i rapporti tra colpevole e offeso) cambia il titolo del reato per
uno di coloro che ha concorso, anche gli altri rispondono dello stesso reato.

Si accolla così una responsabilità a titolo di dolo ad un soggetto che ha agito senza dolo - l'estraneo non si è
rappresentato l'elemento del fatto di reato 'qualifica del soggetto attivo' - e che l'art. 117 c.p. non richiede versasse in
colpa: si delinea così un'ipotesi di RESPONSABILITÀ OGGETTIVA, che, alla luce del principio costituzionale di
colpevolezza, tale responsabilità va ora rimodellata come RESPONSABILITÀ PER COLPA, nel senso che si configura solo
a condizione che la mancata rappresentazione della qualifica soggettiva sia stata determinata da colpa.

 La norma prevede i reati propri non esclusivi, cioè quei reati per la cui sussistenza è necessario che il soggetto
agente rivesta una particolare qualifica, ma anche se realizzati in assenza di tale qualifica sono penalmente
rilevanti integrando gli estremi di un reato comune.
Es: reato di peculato: può essere commesso solo da un pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio, ma se viene dato da un
qualunque cittadino consente di identificare il delitto di appropriazione indebita.

 Diversi sono invece i reati propri esclusivi: essi sono privi di rilevanza penale se realizzati da una persona che
non riveste una particolare qualifica soggettiva.
Es: delitto di incesto: ricorre quando si compie una congiunzione carnale tra persone legate da vincoli di parentela; se la congiunzione si
realizza tra persone non legate da questi vincoli (e con il consenso di entrambi) il fatto è privo di rilevanza penale.
Dunque deriva che, nei reati propri esclusivi, non si può parlare di "mutamento del titolo del reato", quindi non trova
applicazione la norma in esame, ma i principi generali in materia di responsabilità penale.

Ultimo comma: “ Se questo reato è più grave, il giudice può diminuire la pena nei confronti di coloro per i quali non
sussistono condizioni, qualità e rapporti appena detti" …..prevede una circostanza attenuante facoltativa.
Infatti al soggetto dotato

 di particolare qualifica soggettiva, es. pubblico ufficiale (intraneus) sarà applicata per intero la pena 
non dotato di questa qualità (extraneus) è possibile diminuire la pena.

172
Il concorso di persone nei reati necessariamente plurisoggettivi.

Il codice penale dà rilevanza anche alla condotta atipica di chi istiga o agevola la commissione di un reato
necessariamente plurisoggettivo
(es. risponderà di concorso in bigamia chi, sapendo che una persona è già legata ad un matrimonio avente effetti civili, la istiga con successo a
contrarre un ulteriore matrimonio, pure avente effetti civili).

Il concorso mediante omissione

Un concorso di persone può realizzarsi anche in forma omissiva: quindi, anche con un comportamento omissivo si può
contribuire alla realizzazione di un reato da parte di altri.
Sono però necessari due requisiti:
1) in capo ad un soggetto deve sussistere l'obbligo giuridico di impedire la commissione del reato da parte di
altri: in assenza di un tale obbligo non c'è partecipazione nel reato, bensì una mera connivenza o un
altrettanto irrilevante adesione morale
(es. un furto che non viene impedito dalla guardia giurata, la quale volontariamente non inserisce il sistema di allarme per consentire che
altri ripuliscano la gioielleria affidata alla sua protezione);
2) l'omissione dev'essere condizione necessaria per la commissione del reato da parte dell'autore: bisogna cioè
accertare se l'azione doverosa che si è omesso di compiere avrebbe impedito la realizzazione del fatto
concreto da parte dell'autore.

Il trattamento sanzionatorio dei concorrenti nel reato.

Art. 110 c.p. "Quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo
stabilita".

Ciò significa, ovviamente, che non tutti i concorrenti dovranno essere puniti in concreto con la stessa pena, ma
significa che la pena per i singoli concorrenti andrà graduata all'interno di una medesima cornice edittale.

Una volta determinata la pena- base per il singolo concorrente in base all'art. 133 c.p., il giudice deve verificare se nel
caso concreto siano presenti gli estremi di una o più circostanze del reato (aggravanti e attenuanti previste per il concorso
di persone negli artt. 111, 112, 114 c.p.).

Circostanze aggravanti art. 112 cp.:

§ il concorrente ha avuto un ruolo di spicco nella preparazione o nell'esecuzione del reato, promuovendo,
organizzando o dirigendo l'attività degli altri concorrenti;
§ il concorrente ha sfruttato la propria posizione di supremazia ovvero un altrui situazione di debolezza
(es.chi determina a commettere il reato una persona soggetta alla sua autorità, vigilanza; chi determina a commettere il reato un soggetto
incapace di intendere o di volere, ovvero un soggetto non imputabile o non punibile);
§ sono concorse nel reato cinque o più persone, ciò che comporta una maggior probabilità di riuscita nella
realizzazione del fatto.
§ nei confronti di chi ha determinato a commettere il reato un minore di anni 18 o una persona in stato di
infermità o di deficienza psichica
§ per chi si è avvalso di persona non imputabile o non punibile , la pena è aumentata fino alla metà.

173
Circostanze attenuanti:

l'ipotesi di chi è stato determinato a commettere il reato o a cooperare nel reato


 da parte di un soggetto che eserciti su di lui un'autorità, direzione o vigilanza;
 avendo un'età compresa tra 14 e 18 anni ed essendo incapace di intendere e di volere; 
trovandosi in stato di infermità o di deficienza psichica.

L'art. 114 c.p. prevede, inoltre, che il giudice possa diminuire la pena "qualora ritenga che l'opera prestata da taluna
delle persone che sono concorse nel reato abbia avuto minima importanza nella preparazione o nell'esecuzione del
reato"
È il caso cioè di chi, pur avendo recato un contributo causale alla realizzazione del fatto, abbia svolto un ruolo
soltanto marginale o trascurabile nell'economia complessiva del reato, il che si verifica, tra l'altro, allorché l'azione del
partecipe poteva essere agevolmente sostituita con l'azione di altre persone o con una diversa distribuzione dei
compiti.

Art. 118 c.p.: "Le circostanze che aggravano o diminuiscono le pene concernenti i motivi a delinquere, del dolo, il grado
della colpa e le circostanze inerenti alla persona del colpevole sono valutate soltanto riguardo alla persona cui si
riferiscono"

 Circostanze soggettive: si applicano solo riguardo alle persone cui si riferiscono


 Circostanze oggettive: si applica l'articolo 59 cp (circostanze non conosciute o erroneamente supposte). Esse
possono essere:
 attenuanti: si applicano automaticamente a favore di tutti i concorrenti
 aggravanti: si applicano solo se conosciute o conoscibili in applicazione del principio di
colpevolezza.

Art. 59 c.p.: “le circostanze attenuanti sono valutate a favore di tutti i concorrenti per il solo fatto della loro oggettiva
esistenza;
le circostanze aggravanti saranno invece poste a carico del concorrente a condizione che fossero da lui conosciute,
ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa.”

Ne segue, tra l'altro, che l'attenuante del recesso attivo del delitto tentato risulta applicabile a tutti i concorrenti,
anche a chi non ha dato un volontario contributo all'impedimento dell'evento; l'aggravante prevista per chi ha
determinato a commettere il reato una persona soggetta alla sua autorità, direzione o vigilanza risulta applicabile
anche al partecipe, purché sapesse o potesse sapere con la dovuta diligenza che un altro concorrente ha sfruttato
quel rapporto di supremazia.

La Corte di Casazione h a adottato una soluzione peculiare a proposito della circostanza attenuante del risarcimento
del danno limitatamente ai reati dolosi, affermando che “l’estensione dell’attenuante al concorrente che non
abbia provveduto in prima persona al risarcimento del danno , è ammissibile se quest’ultimo abbia rimborsato il
complice più diligente o abbia avanzato una seria concreta offerta al danneggiato , di integrale risarcimento.
N ei reati colposi affinchè possa applicarsi l’attenuante dell’art 62 c.p. , deve essere effettuato personalmente
dall’imputato tutte le volte che mostri la volontà di farlo proprio.?!

174
Desistenza volontaria e recesso attivo nel concorso di persone

Se l'autore desiste volontariamente dal portare a compimento l'azione, non sarà punibile in forza di una causa di non
punibilità, il cui carattere personale escludere che possa essere estesa ai partecipi.

Dal momento che la responsabilità del partecipe presuppone che la sua condotta atipica abbia contribuito causalmente
alla realizzazione del fatto principale, ne consegue che per la configurazione della desistenza sarà sufficiente che il
partecipe abbia neutralizzato gli effetti della sua azione (es. abbia ripreso l'arma che aveva consegnato all'autore): l'eventuale
successiva condotta autonoma che porti l'autore a realizzare comunque il reato (es. acquistando una nuova pistola), sarà priva
di ogni collegamento causale con la condotta del partecipe e potrà fondare una responsabilità del solo autore.
Ad integrare la desistenza volontaria è necessario e sufficiente che il partecipi elimini le conseguenze del suo
apporto causale, rendendolo irrilevante rispetto al reato eventualmente portato a consumazione da altri.
L'impedimento del reato ad opera del partecipe è invece ovviamente necessario per integrare un recesso attivo.

La cooperazione nel delitto colposo

Art. 113 c.p.


1 ° co "Nel delitto colposo, quando l'evento è stato cagionato dalla cooperazione di più persone ciascuna di queste
soggiace alle pene stabilite per il delitto stesso.” HA FUNZIONE INCRIMINATRICE.

2° co “la pena è aumentata per chi ha determinato altri a cooperare nel delitto, quando concorrono le condizioni
stabilite nell’art.111 e dell’art. 112 co 3 e 4” (ad es un minore o persone ad esso soggette). Disciplina IL TRATTAMENTO
SANZIONATORIO.

Si tratta di un concorso improprio di persone in cui manca la volontà dei soggetti di cooperare nel reato. La prova di ciò
è fornita dallo stesso articolo 113 che parla di cooperazione e non di concorso

La funzione incriminatrice di tale articolo riguarda i delitti colposi di evento a forma vincolata (ad es. l’art.452 c.p.
punisce chi cagiona per colpa un epidemia mediante diffusione di germi patogeni , tale norma abbraccia solo la
condotta di chi per colpa diffonde germipatogeni mentre non ricomprende la condotta di chi abbia agevolato
colposamente l’attività di diffusione ,come chi ha fornito lo strumento difettoso , in forza dell’art 113 c.p. invece
risponde in quanto a sua condotta acquista rilevanza penale.

i delitti colposi di mera condotta (ad es si pensi all’ipotesi colposa di commercio di sostanze alimentari adulterate o
contraffatte, integra tale reato cchi pone in commercio cose delle quali ignori per colpa che sono state da altri corrotte
in modo pericoloso per la salute pubblica art. 452 co.2 e 442 c.p. secondo tale art giace fuori da tale incriminazione la
condotta del commerciante all’ingrosso di dolciumi che per negligenza o imperizia ad es nn ha verificato che la cella
frigorifera funzionasse correttamente per le consegne, invece tale condotta viene punita secondo l’art.113.c.1.) . (non
riguarda invece i delitti colposi di evento a forma libera come per es. nell’omicidio colposo art. 589 c.p. chi cagiona per
colpa un evento penalmente rilevante aggiungendo per colpa il proprio contributo causale a quello di altre persone
risponde ai sensi della norma incriminatrice di parte speciale senza che l’art 113 svolga nessun ruolo).

175
ELEMENTI STRUTTURALI della cooperazione nel delitto colposo (sono comuni a quelli nel delitto doloso):
- pluralità di persone;
- realizzazione di un fatto di reato (deve essere un reato consumato: infatti non è configurabile il tentativo dei delitti colposi);
- contributo causale della condotta atipica alla realizzazione del fatto; - carattere colposo della condotta di
partecipazione.
Quest'ultimo elemento deve necessariamente sussistere affinché ricorra ipotesi di cooperazione nel reato colpolso.
Qualora esso manchi non vi sarà più "cooperazione" ma "concorso di fatti colposi indipendenti" da cui derivano tanti reati colposi
quanti sono gli agenti (es: due automobilisti che si scontrano provocando lesioni reciproche per aver entrambi contravvenuto alle norme del
codice della strada)

È peculiare il carattere colposo della condotta per violazione di una regola di diligenza , prudenza e perizia , mentre la
responsabilità del partecipe non dipende dal carattere colposo o meno del fatto realizzato dall’autore.

Trattamento sanzionatorio nella cooperazione del delitto colposo trovano applicazione le circostanze aggravanti
previste nell’art 111 c.p. (determinazione di persona non imputabile o non punibile) e art. 112 ( determinazione di chi è soggetto all’altrui
autorità).
Per la cooperazione nel delitto colposo può trovare applicazione la circostanza attenuante del contributo di minima
importanza da parte del singolo concorrente… ma è precluso espressamente al giudice applicare tale attenuante in
presenza di condizioni di vulnerabilità dell’autore del fatto previste dall’art 112 co.1 nn.3 e 4 c.p.

Il concorso di persone nelle contravvenzioni

L'art 113, nel disciplinare la cooperazione nel delitto colposo, esclude dal suo ambito applicativo l'ipotesi di concorso
col posto nelle contravvenzioni, mentre l’art. 42 c.p. “nelle contravvenzioni ciascuno risponde della propria azione
colposa o dolosa” , fa intendere che la responsabilità per colpa per i delitti esige una previsione espressa, previsione
non necessaria per i delitti.?!

La dottrina prevalente però ritiene, che questa ipotesi sia compresa nell'ampia formula dell'articolo 110, il quale
parla genericamente di reato senza distinguere tra delitti e contravvenzioni : art 110 pena per coloro che
concorrono nel reato: "quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per
questo stabilita".

176
Concorso di persone nel reato e reato associativo
L’ Associazione per delinquere è un autonomo specifico delitto disciplinato dall'articolo 416 ed è un'organizzazione
strutturata, composta da almeno tre persone che postula l'esistenza di un apparato, adeguato al programma
criminoso da realizzare.

Il concorso di persone vede invece intese tra i concorrenti diretti alla commissione di uno o più reati determinati con la
consumazione del quale l'accordo si esaurisce con tale differenza dunque rispetto ai reati associativi dove l'accordo è
stabilmente indirizzato all'attuazione di un determinato e più vasto programma delittuoso.

Il reato associativo implica che per i reati commessi dagli associati rispondono a titolo di concorso morale anche i capi
dell'associazione stessa quando abbiano determinato di obiettivi dell'associazione.

Per la cassazione occorre accertare anche loro volontà di rapporto causale alla commissione del singolo delitto sia pure sotto
forma di istigazione e di agevolazione causalmente rilevante rispetto al reato commesso da altri associati. Il

criterio più accreditato distingue tra

 atti di essenza dell'associazione: i quali sono atti preparatori autonomi e distinti rispetto agli atti diretti alla realizzazione
dei singoli obiettivi criminosi consumativi solo del delitto associativo

 attività esecutive che riguardano solo i reati fine, e imputabili solo ai soggetti che hanno fornito un contributo
causale al singolo reato (FIANDACA-MUSCO)

Il concorso eventuale nel reato associativo: in particolare la cd. “CONTIGUITÀ ALLA MAFIA”

La configurabilità del concorso eventuale è ammessa nella maggior parte dei reati propri soggettivi, ma è discussa nel reato
associativo in genere e nell'associazione mafiosa in particolare interi reati, il concorso eventuale potrebbe ravvisarsi
nei casi di cosiddetta contiguità, cioè nei casi in cui, il soggetto agente, pur agevolando l’associazione resterebbe ad essa
estraneo, verificandosi soltanto e episodiche e occasionali coincidenze tra i suoi scopi e quelli dell'associazione.

Si pensi al caso di chi si serve dell'associazione criminosa per perseguire i suoi scopi personali, come all'ipotesi del proprietario
di un immobile che si rivolge mafioso della zona per liberarlo dall'inquilino, o al caso del politico che si serve
dell'associazione raccogliere consensi elettorali.

Le sezioni unite della corte di cassazione affermano che è configurabile il concorso eventuale nel reato di associazione per
delinquere di stampo mafioso.
Esse hanno la diversità dei ruoli tra il partecipe all'associazione e il concorrente eventuale materiale:

177
 il partecipe dell'associazione è colui senza il cui apporto quotidiano o comunque assiduo, l'associazione non raggiunge i suoi
scopi o no li raggiunge con la dovuta speditezza
 il concorrente eventuale materiale è colui che non vuole far parte dell'associazione e che l'associazione non chiama a far
parte, ma al quale si rivolge nei momenti di emergenza della vita associativa
Dunque è configurabile il concorso esterno nel reato associativo in capo alla persona che fornisce un contributo
concreto, specifico, consapevole e volontario, a carattere indifferentemente occasionale o continuativo, purché tale
contributo abbia una rilevanza causale ai fini della conservazione o del rafforzamento dell'associazione, rivelandosi in tal
senso, condizione necessaria per la concreta realizzazione del fatto criminoso collettivo, risultando poi le condotte dei
soggetti agenti utili per l'intera associazione e non solo per qualche suo componente, come nell'ipotesi di mero
favoreggiamento personale.

Capitolo 11 CONCORSO “APPARENTE DI NORME” E “CONCORSO DI REATI”

Il problema
Uno dei problemi più controversi della teoria e della prassi del diritto penale riguarda i casi in cui con una sola azione
od omissione ovvero con una pluralità di azioni o omissioni si integrino gli estremi di più figure legali di reato, ubicate
in qualsivoglia legge penale.

Lo scopo di tutta la materia del concorso di reati è quello di limitare l’entità della pena da applicare a chi deve essere
giudicato per più reati.

La soluzione del problema passa attraverso un chiarimento di fondo: si tratta cioè di stabilire in quale rapporto si
trovino fra loro le norme che prevedono quelle figure di reato.
 Può darsi che la natura di quel rapporto comporti l'applicazione di una soltanto di tali norme,
escludendo l'applicazione delle altre, in quanto la violazione è sostanzialmente unica: nel qual caso si
parlerà di
CONCORSO APPARENTE DI NORME.

 Può darsi invece che tutte quelle norme reclamino la loro applicazione, e allora si avrà un CONCORSO
DI REATI

178
IL CONCORSO APPARENTE DI NORME
Il CONCORSO APPARENTE DI NORME è un fenomeno che ricorre quando due o più norme sembrano applicabili in
astratto allo stesso fatto costituente reato, mentre in concreto solo una di esse è applicabile, perché l'applicazione di
una, esclude l'altra!

Il CONCORSO APPARENTE DI NORME può profilarsi in 2 casi:

1. quando un UNICO FATTO CONCRETO (un'azione od omissione) sia riconducibile ad una pluralità di norme
incriminatrici, una sola delle quali è applicabile;
2. quando si realizzino PIÙ FATTI CONCRETI CRONOLOGICAMENTE SEPARATI (più azioni od omissioni), ciascuno
dei quali sia riconducibile ad una norma incriminatrice, e una sola di tali norme sia applicabile: con la
conseguente impunità o del fatto antecedente o del fatto susseguente a quello che viene punito.

FONDAMENTO di tutti i criteri destinati ad evitare la contemporanea applicazione di più norme ad uno stesso fatto è il
principio del NE BIS IN IDEM, il quale esclude che per uno stesso ed unico fatto, una persona possa essere chiamata a
rispondere di titoli diversi di reato.

Discusso è in dottrina, quanti e quali siano I CRITERI per dirimere il conflitto apparente di norme e, quindi, per realizzare
il principio del ne bis in idem sostanziale. In astratto, sono 3 I CRITERI possibili:

• IL CRITERIO DI SPECIALITÀ
• IL CRITERIO DI SUSSIDIARIETÀ
• IL CRITERIO DI CONSUNZIONE

1. UNICITÀ DEL FATTO CONCRETO

a) LA SPECIALITÀ (1° criterio per individuare un concorso apparente di norme)


A prima vista l'unico criterio per individuare un concorso apparente di norme è quello del RAPPORTO DI SPECIALITÀ tra
le norme incriminatrici :

art 15 c.p. Materia regolata da più leggi penali o da più disposizioni della medesima legge penale:

"Quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la STESSA MATERIA, la legge o la
disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti
stabilito"

Da questa disposizione consegue, con tutta evidenza, che


 quando tra due norme incriminatrici sussiste un rapporto di specialità si ha un concorso apparente di norme

179
(e non un concorso di reati) e al fatto concreto è applicabile la sola norma speciale.

 Qualora tra le norme incriminatrici non intercorra un rapporto di specialità, si avrebbe sempre concorso di
reati, con la conseguente applicazione o
 delle sanzioni previste per ogni singolo reato sommate l'una all'altra 
ovvero della pena prevista per il reato più grave aumentata fino al triplo.

In realtà, anche in assenza di un rapporto di specialità tra norme, il legislatore, nella parte speciale del codice e delle
leggi speciali, ha espressamente utilizzato altri criteri che individuano ipotesi di concorso apparente di norme, cioè
ipotesi nelle quali una sola è la norma da applicare quando, o con una sola azione o con più azioni, sono stati integrati
gli estremi di più figure di reato: clausole di riserva del tipo “se il fatto non costituisce altro reato” oppure “fuori dei casi
indicati nell’art x…..”

Il criterio di specialità presuppone che fra due norme esista un rapporto di genere a specie, e comporta, la priorità
della norma speciale su quella generale.

Una NORMA È SPECIALE, rispetto ad un'altra, quando descrive un fatto che presenta tutti gli elementi del fatto
contemplato dall'altra, la norma generale, e inoltre uno o più elementi particolari e specifici, cd. specializzanti'.
Specializzante può essere:
 un elemento che specifica un elemento del fatto previsto dalla norma generale: specialità per specificazione;
 un elemento che si aggiunge a quelli espressamente previsti nella norma generale: specialità per aggiunta.

Va sottolineato che l'elemento specializzante può rilevare, oltre che come elemento costitutivo,
ad es. tra i delitti di associazione per delinquere e l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti o psicotrope ( artt. 416 c.p e 74 del dpr n 309 del
1990); omicidio doloso comune e infanticidio ( art 575 c.p. e 578 c.p.),
anche come circostanza aggravante o attenuante di un dato reato, ad es il delitto
di furto art 624 c.p. e le circostanze aggravanti art 625 c.p. e attenuanti 625 bis c.p.

Occorre che le due disposizioni appaiano come due cerchi concentrici di diametro diverso, per cui, quello più grande, contiene in sé
quello minore ,ed inoltre abbia un settore residuo destinato ad accogliere i requisiti aggiuntivi della specialità.

È discusso cosa si debba intendere per "STESSA MATERIA" contenuta nella norma in esame .

• La giurisprudenza mirava a restringere l’area del concorso apparente di norme, a vantaggio del concorso di
reati, interpretandola come “ stesso bene giuridico tutelato dalle norme in concorso” cioè “sinonimo di
stesso bene giuridico della norma generale”
La tesi finisce col restringere l'ambito applicativo della norma, escludendo la possibilità di invocare il
principio di specialità in relazione alle norme considerate in un rapporto di genere a specie, limitando
l’applicabilità del criterio di specialità alle sole ipotesi in cui, la norma speciale tuteli lo stesso bene giuridico
protetto
( es il reato di rapina e quello di violenza privata posti rispettivamente a tutela del patrimonio e della libertà morale).

• pecca invece per eccesso, la tesi che considera "stessa materia" il medesimo fatto concreto (si parla di
SPECIALITÀ IN CONCRETO); anche se il fatto astrattamente contemplato dalle due norme a raffronto appare
del tutto diverso; cioè indicante l’esigenza che uno stesso fatto sia riconducibile sia alla norma generale che
speciale;

e in effetti, la Cassazione a sezioni unite si è pronunciata contro la formula “STESSA MATERIA” come
comprensiva del bene giuridico tutelato e ha richiesto un confronto strutturale tra le fattispecie astratte,
mediante la comparazione di elementi costitutivi che concorrono a definire le fattispecie stesse.

180
La regola dell’ art 15 c.p. espressamente prevede ECCEZIONI “ salvo che la legge stabilisca altrimenti”.

Alla regola della prevalenza della norma speciale potrà derogarsi soltanto nel senso della congiunta applicabilità di
entrambe le norme concorrenti, si avrà pertanto un CONCORSO FORMALE DI REATI, non un concorso apparente di
norme ( es. pena prevista per il reato più grave aumentata fino al triplo).
Es .false attestazioni o certificazioni (ord. Del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amm.) recita ”fermo restando quanto previsto dal codice
penale” (clausola di riserva) significa che comporta il concorso ,tra questo reato e quello di truffa aggravata, ai sensi dell’art.640 c.p .

A. Il criterio di specialità è inteso in senso assai ampio dai fautori della TEORIA MONISTICA. Secondo
questa teoria, l'unico criterio di cui l'interprete si può valere per accertare il concorso apparente
di norme è quello contenuto nell'articolo 15 c p, che la dottrina estende fino a ricomprendere una
NOZIONE PIÙ AMPIA DI LEGGE SPECIALE facendola rientrare nelle ipotesi di:

 ”specialità in concreto”: allude ad un rapporto tra norme che pur descrivendo modelli legali di
reato tra i quali non intercorre un rapporto strutturale di specialità, ricomprendono entrambe un
medesimo fatto concreto in ragione delle particolari modalità con le quali quel fatto è stato
realizzato.
Es. la falsificazione di un atto pubblico che venga in concreto utilizzato come mezzo per commettere una truffa.
Tale nozione è fallace in quanto non si può far dipendere da un fatto concreto il rapporto di specialità.

 “ specialità reciproca (o bilaterale)”: cioè quella in cui nessuna norma è speciale o generale, ma
ciascuna è ad un tempo generale e speciale, perché entrambe presentano, accanto ad un nucleo
di elementi comuni, elementi specifici ed elementi generici
I criteri stabiliti da tale nozione per stabilire il rapporto di specialità (più elementi specializzanti ) sono impraticabili!

B. la dottrina dominante invece aderisce alla TEORIA PLURALISTICA: secondo questa teoria nel nostro
ordinamento il concorso apparente di norme va accertato mediante il ricorso a tali criteri:
§ di
specialità, §
di
sussidiarietà
§ della consunzione.

Partendo da tale presupposto, la dottrina poi indica l'ambito di applicazione del criterio di specialità
circoscrivendolo alle sole ipotesi in cui, da un raffronto astratto tra le norme in concorso, emerga che, tutti gli
elementi costitutivi di una fattispecie (generale) siano contenuti in un'altra fattispecie (speciale), la quale a
sua volta contiene ulteriori SPECIALIZZANTI (cioè elementi particolari e specifici).

Accanto al criteri “logico-formale della specialità” la dottrina individua altri 2 criteri di natura “valoristica”

b) LA SUSSIDIARIETÀ come 2° criterio per individuare un concorso apparente di norme.

181
È un criterio valido in tutti i rami del diritto. Il legislatore, per evitare di lasciare prive di disciplina, ipotesi particolari non
espressamente previste dalle norme primarie, le ha accomunate tutte in una o più norme di chiusura del sistema, che
hanno la funzione di applicarsi in via sussidiaria, cioè quando non possono trovare applicazione le norme primarie.

La norma sussidiaria è caratterizzata dal fatto di contenere l'espressa previsione della sua applicabilità SOLO in caso di
inapplicabilità di un'altra norma primaria (cd. CLAUSOLA ESPRESSA DI RISERVA DI APPLICABILITÀ).

La sussidiarietà si riferisce a norme che prevedono un “grado diverso di offesa” di uno stesso bene, per cui l'offesa
maggiore contiene in sé quella minore; cioè fra le norme sussiste un rapporto di rango: la norma di minor rango, come
norma sussidiaria, cede il passo alla norma principale.
Tale rapporto di rango tra le norme concorrenti si nota dalla sanzione più grave comminata nella norma principale.
Il principio di sussidiarietà si risolve nel senso che la norma primaria prevale sempre sulla sussidiaria

Il rapporto di sussidiarietà sussiste con clausole del tipo “qualora il fatto non costituisca più grave reato , se il fatto non
è preveduto come più grave reato da altra disposizione di legge”, “fuori del caso indicato nell’art x, fuori dei casi di
concorso nel reato x”.…che connotano espressamente una norma come sussidiaria.

Es. l’art 351 cp “ qualora il fatto non costituisca un più grave delitto(violazione della pubblica custodia di cose) rinvia all’art 255 c.p. che punisce la
soppressione di documenti concernenti la sicurezza dello stato.
Es. provoco un incendio dando fuoco ad un edificio adibito ad azienda industriale .il fatto concreto integra gli estremi di un sabotaggio art 508
c.p. che consiste nel danneggiare edifici adibiti ad azienda agricola o industriale , ma contiene la clausola salvo che il fatto non costituisca più grave
reato …e quindi viene applicato l’art 423 c.p. incendio.

Tale sussidiarietà può essere:


 Espressa: quando è lo stesso legislatore che con apposita clausola di riserva, subordina l'applicazione di una
norma, alla mancata applicazione di un'altra (es quanto previsto per il reato di percosse.)
 Tacita: quando viene desunta dall'interprete mediante un raffronto tra le norme in concorso.
Ricorre quando due norme incriminatrici alla quali sia riconducibile il fatto concreto, si pongono tra di loro in
un rapporto di rango, individuando due figure di reato di diversa gravità, delle quali una offenda, oltre al bene
offeso dall’altra, uno ulteriore ovvero rappresenti uno stadio di offesa più intensa allo stesso bene giuridico.
Es. art 422 c.p. strage e art 423 c.p. incendio.
Una norma è dunque sussidiaria rispetto ad un'altra (norma principale), quando quest'ultima, tutela accanto al bene
giuridico protetto dalla prima norma, uno o più beni ulteriori ovvero reprime un grado di offesa più grave allo stesso
bene.

Dunque se il fatto concreto, oltre ad integrare gli estremi del reato descritto dalla norma contenente la clausola di
riserva, realizza anche gli estremi dell’altro reato, troverà applicazione soltanto la norma alla quale fa rinvio la clausola
di riserva, in quanto il rango più elevato è messo in evidenza dalla più severa ivi comminata.
Es. art 250 c.p. commercio col nemico e 248 somministrazione al nemico di provvigioni riguardo a un cittadino che in tempo di guerra
somministra a un rappresentante di uno stato nemico merci che possono essere usate a danno dello stato italiano .nell’art 250 è presente la formula
“fuori dei casi previsti dall’ art 248 c.p. e quindi quest’ultima sarà applicata in via esclusiva in quanto prevale in realizzazione all’offesa più grave
ovvero gli interessi dello stato in tempo di guerra.

Il rapporto di sussidiarietà intercorre anche fra norme che descrivano stadi diversi di offesa allo stesso bene giuridico,
come nei rapporti tra reati di pericolo concreto e corrispondenti reati di danno.
Es. una persona preposta al controllo di un passaggio a livello, la quale ometta per colpa di abbassare le sbarre nel tempo prescritto dai
regolamenti ferroviari nell’imminenza del passaggio di un treno ha creato il pericolo di un disastro ferroviario che poi si verifica e risponderà di
disastro ferroviario colposo art 449 c.p. non di pericolo colposo di disastro ferroviario art 450 c.p. in quanto descrive un grado di offesa più intensa..
Tra le misure cautelari volte all’ integrità fisica e l’omicidio colposo, si profila un concorso formale di reati quindi non
vi è rapporto di sussidiarietà tacita!

Infine il principio di sussidiarietà, a differenza di quello di specialità, non ha carattere generale, ma trova applicazione
solo nei rapporti tra norme incriminatrici, con esclusione, quindi, delle scriminanti.

182
c) LA CONSUNZIONE come 3° criterio per individuare un concorso apparente di norme.

Individua i casi in cui, la commissione di un reato è strettamente funzionale ad un altro e più grave reato, la cui
previsione “consuma” e “assorbe” in sé, l'intero disvalore del fatto concreto.

Esprime la relazione tra due norme, di cui una ha portata maggiore rispetto all'altra, e comporta che, la norma più
ampia include quella di minore portata, includendone il disvalore giuridico ( es il reato di violenza sessuale che assorbe la
contestuale ingiuria rivolta la vittima della stessa.)
Il criterio di consunzione è disciplinato dall'art. 84 c p che dispone che

” le disposizioni relative al concorso di reati non si applicano quando, il legislatore ha proceduto ad un'unificazione
normativa di fatti che integrerebbero autonomi reati.
Nel determinare la pena per il reato complesso, non possono essere superati i limiti di quegli articoli 78 e 79"

Trova applicazione nei casi di:

 REATO PROGRESSIVO: quando l’agente da una condotta iniziale che realizza un tipo di reato, pone in essere
un nuovo reato, che presuppone il primo (es. passaggio dal sequestro di persona alla riduzione in schiavitù).

 REATO COMPLESSO: quel reato i cui elementi costitutivi o le cui circostanze aggravanti, costituirebbero di per
sé reato (es. rapina che assorbe i reati di furto e di violenza privata).

LA RATIO di tale disciplina è escludere che al colpevole, venga applicato il regime del concorso di reati in modo
ingiustificato.
Evoca l’idea che la commissione di un reato che sia strettamente funzionale ad un altro e più grave reato, comporta
l’assorbimento del primo reato ,nel reato più grave .
Il reato complesso viene integrato quando, nel singolo fatto concreto sia presente il nesso strumentale e funzionale
che è alla base dell’unificazione legislativa di quei reati.
Es. furto in abitazione art 624 bis è integrato sia dal furto semplice che dalla violazione del domicilio solo nei casi in cui l’agente fin dal momento
in cui si introduce nell’abitazione altrui agisce allo scopo di rubare,in effetti l’assorbimento è stato escluso quando vi è stata introduzione abusiva per
prendere oggetti irrilevanti o fatti penalmente diversi ( violenza sessuale).
Es. rapina aggravata dal sequestro di persona..la giurisprudenza ha escluso la consumazione del sequestro di persona nella rapina aggravata
quando la libertà personale venga protratta per consentire all’agente di allontanarsi dal luogo del reato.

183
Il principio della consunzione trova applicazione anche quando in mancanza di una disciplina astratta di reato
complesso , la commissione di un reato sia in concreto più strettamente funzionale alla commissione di un altro e
più grave reato “REATO EVENTUALMENTE COMPLESSO”.

Es. il delitto di simulazione di reato viene assorbito nel delitto di calunnia se, la simulazione delle tracce di un reato
inesistente, sia diretta unicamente a rendere più attendibile la falsa incolpazione; vi sarà concorso di reato se i due
fatti sono espressione di attività indipendenti e distinte.

La Cassazione ha affermato “quando la simulazione oggettiva di un reato, sia diretta a prospettare una falsa
incolpazione dello stesso in danno di una persona determinata, si realizza un reato progressivo , ove il disvalore
della simulazione è assorbito da quello della calunnia e resta escluso il concorso tra i due delitti.”

La figura del “reato eventualmente complesso” non è espressamente prevista nel nostro ordinamento , ma vi è
il NESSO TELEOLOGICO che ricorre quando, un reato sia commesso per eseguirne un altro .. dunque il giudice
quando escluda la sussistenza del reato eventualmente complesso ovvero la consunzione del
”reato mezzo” nel “reato fine”, ravvisando un concorso di reati dovrà ritenere il “reato mezzo” aggravato.

La riunione di più reati in uno solo può assumere due distinte forme:

§ REATO COMPLESSO SPECIALE: in esso i singoli reati rientrano tutti come elementi costitutivi, dando luogo a
un nuovo titolo di reato. Esempio: la rapina articolo 628, è composta da reato di furto articolo 624, più violenza privata articolo
610;
§ REATO AGGRAVATO O CIRCOSTANZIATO - COMPLESSO: i singoli reati che formano il reato complesso vi
rientrano l'uno come elemento costitutivo e l'altro come circostanza aggravante, lasciando inalterato il titolo
del reato base. Esempio omicidio aggravato.

La disciplina legislativa del reato complesso è un'ipotesi di reato unico, inquadrabile nella figura di concorso apparente
di norme: la condotta che configura la fattispecie complessa integra anche il reato semplice inerzia incorporato, anche
se trova completa applicazione la norma che disciplina il reato complesso.

Il trattamento sanzionatorio può essere fissato dal legislatore:


 con una penna autonoma
 facendo riferimento alle pene previste per i singoli reati che lo costituiscono in questo caso non possono
essere fissati limiti previsti dagli articoli 78 e 79 (cumulo materiale temperato)

Inoltre bisogna precisare che l'eventuale CAUSA ESTINTIVA di un reato, non si estende al reato complesso (esempio:
l’amnistia è applicabile al furto ma non alla rapina, della quale il furto è elemento costitutivo)

184
La dottrina ha delineato la figura del REATO COMPLESSO IN SENSO LATO: questo è costituito da un fatto previsto
dalla legge come reato, cui si aggiungono elementi ulteriori penalmente indifferenti. esempio: la violenza sessuale
comprende la violenza privata, ed è presente l'elemento ulteriore, della congiunzione sessuale, elemento che da
solo non costituisce reato.
In tali tipi di reato quindi, il reato minore rimane assorbito nel maggiore e perciò non è punibile separatamente.

Secondo parte della dottrina di reato complesso in senso lato non trova il suo FONDAMENTO nell'articolo 84, ma nel
principio generalissimo di specialità ex articolo 15, in quanto la fattispecie del reato più grave che ne contiene uno
meno grave e speciale rispetto a quella che prevede il reato meno grave.
Tale continenza può assumere due aspetti:
 continenza esplicita: quando il reato incluso è indicato dalla legge con il relativo nomen iuris (esempio articolo
630 sequestro di persona a scopo di estorsione, presenta come elemento costitutivo del sequestro di persona di cui all'articolo 605)
oppure quando la descrizione legale del reato incorporante, comprende la descrizione del reato incorporato
(esempio articolo 336 violenza o minaccia a pubblico ufficiale)
 continenza implicita: quando l'inclusione del reato minore nel maggiore non si desume dalla dizione della
norma incriminatrice, ma dalla natura intrinseca fatto in essa configurato: non è possibile quindi uccidere
senza percuotere o ferire!
I reati di questa specie vengono denominati REATI PROGRESSIVI

Rientrano nei PRINCIPI DI CONSUNZIONE

REATO PROGRESSIVO è quello in cui: la commissione  secondo una parte della dottrina
di un reato maggiore implica, necessariamente o
eventualmente, la commissione di un reato minore (si
pensi ai rapporti tra riduzione in schiavitù reato maggiore, e PROGRESSIONE CRIMINOSA è quella in cui si ha il
sequestro di persona reato minore) presuppone la passaggio contestuale da un reato ad un altro più
realizzazione di un unico fatto; postula una grave, contenente il primo, per effetto di risoluzioni
risoluzione criminosa unitaria (il soggetto agente decide di criminose successive (si pensi al caso di chi uccide una persona
ridurre in schiavitù il soggetto passivo, e non può fare ciò senza dopo averle causato lesioni).
averlo in precedenza sequestrato)
Presuppone la realizzazione di più fatti posti in
In questo caso si applica un'unica pena, cioè quella
essere continuativamente; postula una
prevista per il reato maggiore secondo la disciplina
dettata dall'articolo 84 in quanto la norma giuridica pluralità di risoluzioni criminose (il soggetto agente
violata e unica (quella maggiore) e unico è il dolo prima decide di causare lesioni poi di uccidere)
I n questo caso si applica un'unica pena, la violazione
più grave, invocando l'operatività del principio
dell'assorbimento
 antefatto e post-fatto non punibile: cioè quelle attività che precedono o seguono un certo reato, le
quali anche se configurano autonomi illeciti penali sono assorbite nell'illecito maggiore
(es la detenzione di strumenti atti allo scasso resta assorbita nel furto con scasso).

185
 Progressione criminosa: quando un soggetto compie aggressioni di crescente gravità nei confronti di
uno stesso bene-interesse
(es il soggetto che prima percuote una persona e poi decide di ucciderla).
Anche in tali casi, il reo dovrà rispondere solo del reato più grave, rimanendo in esso assorbito il reato
minore.
 Per altra parte della dottrina

o ante- fatto e post-fatto non trovano alcun riscontro nel diritto vigente, per cui ad essi, andrebbe applicata
la disciplina sul concorso di reati.
o Per quanto riguarda la progressione criminosa, invece riscontra un’unicità di reato in forza di
un'applicazione analogica della disciplina del concorso apparente di norme.

Per quanto riguarda la posizione della giurisprudenza in merito al CONCORSO APPARENTE DI NORME, essa
accetta il criterio della specialità, anche se comunque non mancano pronunce che si rifanno ai criteri di
sussidiarietà e consunzione.

Una volta che l'interprete ha accertato una ricorrenza di un concorso apparente di norme in forza di criteri citati,
bisogna individuare la norma da applicare.

 La soluzione è agevole nei casi di specialità in astratto e in senso univoco quindi si applica la norma di
natura speciale.
 La soluzione è più incerta quando si fa uso del criterio di specialità in concreto bilaterale o dei criteri di
sussidiarietà o consunzione: alcuni autori suggeriscono di scegliere la norma più adatta al caso
2. PLURALITÀ DI FATTI concreto; altri quella che prevede un trattamento più severo; altri quella che tutela
beni di qualità CONCRETI: LE IPOTESI DI ANTEFATTO E DI POST-FATTO NON PUNIBILE.
superiori.
Il principio di specialità trova applicazione anche tra norme penali e norme amministrative. Per cui quando uno
stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una che prevede una sanzione amministrativa si applica la
disposizione speciale.
Davanti ad un unico fatto concreto riconducibile sotto due o più norme incriminatrici, l'alternativa che si profila è quella
dell'applicabilità
 di tutte le norme incriminatrici (concorso formale di reati)
 ovvero di una sola di quelle norme (concorso apparente di norme), che
prevale
 perché è speciale
 o perché principale
 o perché contiene e consuma l'altra con le altre.

L'alternativa fra concorso di reati e concorso apparente di norme si prospetta anche quando vengono commessi più
fatti concreti cronologicamente separati, ciascuno dei quali integra gli estremi di una figura di reato.

In questa eventualità, a far propendere per il CONCORSO APPARENTE DI NORME (cioè per l'applicabilità di una sola
norma) è lo stesso legislatore, sancendo espressamente
 ora l'inapplicabilità della norma o delle norme violate con i fatti concreti cronologicamente antecedenti (c.d.
antefatto non punibile),
 ora invece l'inapplicabilità della norma o delle norme violate con i fatti concreti cronologicamente posteriori
(c.d. post-fatto non punibile)
a) Previsioni espresse di un ANTEFATTO NON PUNIBILE possono trovarsi nella sfera delle falsità in moneta:
l'art. 461 c.p. punisce chiunque fabbrica filigrane (reclusione da uno a cinque anni più multa); l'art. 460 c.p. punisce chi falsifica

186
carta filigranata (reclusione da due a sei anni più multa): si tratta in entrambi i casi di attività preparatorie di ulteriori più gravi
reati.

Le due disposizioni citate si applicano soltanto "se il fatto non costituisce più grave reato".
Quindi: se chi ha fabbricato le filigrane successivamente se ne avvale per commettere una contraffazione di carta filigranata,
risponderà soltanto di quest'ultimo più grave delitto.
Se poi, dopo avere contraffatto la carta filigranata, adopera quella carta per contraffare monete, integrando così un più grave reato,
anche la contraffazione di carta filigranata assumerà i connotati dell'antefatto non punibile.

La logica sottostante a queste ipotesi espresse di antefatto non punibile è quella della sussidiarietà: tra più norme che
prevedono stadi e gradi diversi di offesa dello stesso bene giuridico prevale, come norma principale, e trova
applicazione in via esclusiva, la norma che descrive lo stadio più avanzato e il grado più intenso di offesa al bene,
escludendo l'applicabilità della nuova sussidiaria ai fatti concreti antecedenti.
Vi sono peraltro ipotesi tacite di antefatto non punibile. In questo caso la non punibilità dell’antefatto discende dalla
considerazione che si tratta di uno stadio anteriore e meno grave di offesa ad un bene meno importante ,
ricompreso nel bene offeso dal fatto susseguente ”progressione criminosa” ad es tra lesioni dolose e omicidio doloso.

b) Previsioni espresse di POST-FATTO NON PUNIBILE: si tratta in primo luogo dei casi in cui il legislatore sancisce la
punibilità di questo o quel fatto "fuori dei casi di concorso in un fatto delittuoso antecedente".
Es.: la norma sulla ricettazione (art. 648 c.p.) è applicabile "fuori dei casi di concorso nel reato antecedente" .
Ne segue che se, ad esempio, tra l'uno realizza come autore o partecipe, un furto, o una truffa, o un'estorsione... e
successivamente occulta il denaro proveniente da quel delitto per metterlo al sicuro, risponderà solo del primo delitto,
mentre la condotta di ricettazione (occultamento di denaro) avrà il ruolo di post-fatto non punibile.
Es. tra favoreggiamento personale art 378 c.p. e favoreggiamento reale art 379 c.p. che per espressa indicazione legislativa si
applicano fuori dei casi del concorso nel reato antecedente, ad es. se qualcuno commette come autore o partecipe un determinato
delitto e successivamente aiuta il complice a sottrarsi alle investigazioni o alle ricerche dell’autorità risponderà soltanto del primo
delitto , mentre la condotta di favoreggiamento personale assumerà il ruolo di post fatto non punibile. Si delinea dunque in questo
caso un concorso apparente di norme.

Altre volte il legislatore sancisce la punibilità di un determinato fatto "fuori dei casi preveduti dagli articoli precedenti o
dall'articolo precedente" (altra ipotesi di post-fatto non punibile).
E cioè a condizione che l’agente non sia autore o partecipe nella realizzazione del fatto o dei fatti preveduti in
quell’articolo o in quegli articoli.
Ad es. disciplina delle falsità in monete: nei confronti di colui che prima contraffà come autore o partecipe monete aventi corso
legale nello Stato e successivamente le mette in circolazione , quest’ultima condotta assume dunque i connotati del postfatto non
punibile e tra le previsioni dell’art 453 e 455 si delinea un concorso apparente.

Alla base delle norme che sanciscono la non punibilità di questo o quel fatto nei confronti di chi come autore o
partecipe abbia realizzato un reato cronologicamente precedente, sta la logica riconducibile all’idea di consumazione ,
in quanto la repressione del fatto antecedente esaurisce il disvalore complessivo e il relativo bisogno di punizione ,
posto che il fatto successivo rappresenta uno normale sviluppo della condotta precedente , attraverso i quali l’agente o
consegue i vantaggi perseguiti attraverso il primo fatto.

Comunque, le riserve "fuori dei casi di concorso nel reato antecedente" o "fuori dei casi preveduti nell'articolo o negli
articoli precedenti", che comportano la non punibilità del reato susseguente, operano tutte le volte in cui quest'ultimo
reato rappresenta un normale sviluppo della condotta precedente, con il quale l'agente consegue o sfrutta i vantaggi
derivanti dal primo reato.

Le IPOTESI DI POST FATTO NON PUNIBILE non si esauriscono in quelle espressamente individuate ma vi sono quelle
TACITAMENTE PREVISTE , che comportano la non punibilità del reato susseguente, tutte le volte in cui quest’ultimo
reato rappresenta un normale sviluppo della condotta precedente, con il quale l’agente consegue o consolida i
vantaggi derivanti dal primo reato.

187
Ad es. sarà punito a titolo di furto l’agente che comportandosi da proprietario successivamente vende la cosa sottratta e non
saranno applicabili né l’appropriazione indebita…
Es .sarà punito in concorso con i reati precedenti di furto il fatto con il quale l’autore non si limiti all’offesa già prodotta di furto ma
offenda un ulteriore bene giuridico di un terzo o della stessa vittima ad es. risponderà anche di truffa se poi venderà il dipinto
facendo credere con false attestazioni che proviene da legittimo acquisto e tra truffa e furto si delineerà un concorso materiale di
reati.

LE C.D. NORME A PIÙ FATTISPECIE

Accade che una sola disposizione di legge preveda una serie di fatti, ai quali ricollega la stessa pena: si tratta, in tal
caso, di una norma che prevede un unico reato e che descrive i diversi gradi di offesa ad uno stesso bene giuridico,
oppure modalità diverse di offesa a quel bene.
La molteplicità dei fatti eventualmente commessi dall’agente non sarà peraltro priva di qualsiasi rilevanza; fermo
restando l’unicità del reato , il giudice terrà conto del numero o della gravità dei fatti concreti nella commisurazione
della pena, all’interno della cornice edittale, e ove la legge lo disponga espressamente, la pluralità di fatti concreti
potrà integrare una circostanza aggravante.
Es. è il caso della bancarotta fraudolenta , della bancarotta semplice e del ricorso abusivo al credito, l’art 219 c.p. dispone che le pene stabilite negli
articoli suddetti sono aumentati se il colpevole ha commesso più fatti tra quelli previsti per ciascuno degli art indicati.
Es. di unificazione legislativa di più fatti offensivi di uno stesso bene giuridico:
in materia di stupefacenti. prostituzione, violazione della corrispondenza, turbamento di funzioni religiose.

CONCORSO DI REATI
Di fronte ad un comportamento umano che prima facie realizzi gli estremi di più figure legali di reato, per stabilire che
si è in presenza di un concorso di reati non basta escludere che si tratti di un concorso apparente di norme: bisogna
ulteriormente verificare se davvero ci si trova in presenza di più reati.
Di concorso di reati potrà parlarsi solo quando si sciolga l'alternativa 'unità-pluralità di reati' a favore del secondo
termine.
Per sciogliere tale alternativa non basta guardare alla presenza o meno di una molteplicità di atti sul piano fenomenico-
naturalistico; la soluzione va, invece, cercata sul terreno normativo, cioè attraverso l'esame e l'interpretazione delle
norme incriminatrici.

 In primo luogo, può accadere che la figura di reato descritta dalla norma incriminatrice esiga il compimento di
più azioni, che dunque daranno vita ad un UNICO REATO.
Ad es falsità in scrittura privata art 485 c.p. . la legge richiede la formazione di una scrittura privata falsa, seguita dall’uso del documento falsificato. Di
reati con più azioni si può parlare dei REATI ABITUALI (es. maltrattamenti in famiglia).

 Vi sono inoltre figure legali di reato che non devono, ma possono essere integrate attraverso una pluralità di
atti: con la conseguenza che anche in questo secondo caso si è in presenza di un UNICO REATO.
Es. si ha un unico fatto di partecipazione ad una rissa, sia che l’agente si limiti a compiere un solo atto di colluttazione fisica sia che compia una serie
di atti violenti.
Possono essere integrati con più atti i REATI PERMANENTI (es. sequestro di persona).

188
 Un unico reato si ha infine nel caso in cui più azioni, ciascuna integrante il modello legale di un medesimo
reato, vengano poste in essere contestualmente (cioè l'una immediatamente dopo l'altra o comunque a breve
intervallo di tempo) e con un'unica persona offesa.
Es furto in abitazione art 624 bis. Le azioni si sono susseguite senza soluzioni di continuità e si sono realizzate offendendo un unico
soggetto.

Si ha invece una pluralità di reati quando manchi il requisito


 della contestualità delle azioni 
o della unicità della persona offesa.

Il concorso di reati: “cumulo giuridico” e “cumulo materiale” delle pene

Constatato che ci si trova di fronte ad una pluralità di reati, bisogna distinguere a seconda che:
- i reati siano stati commessi "con una sola azione od omissione" (concorso formale di reati); - i
reati siano stati commessi "con più azioni od omissioni" (concorso materiale di reati).

concorso materiale concorso formale se i


reati sono stati commessi se i reati sono stati commessi con più
azioni od omissioni con una sola azione od omissione

OMOGENEO ETEROGENEO OMOGENEO ETEROGENEO


È violata più volte Sono violate più volte È violata più volte Sono violate più volte
la stessa norma penale diverse norme pena la stessa norma penale diverse norme penali

Art 81 c.p. CONCORSO FORMALE di reati: la struttura

Una sola azione o omissione

 IL CONCORSO FORMALE COMMISSIVO

o è omogeneo se quell'unica azione viola più volte la stessa norma incriminatrice, o


è eterogeneo se quell'unica azione viola due o più norme incriminatrici.

N.B. Un'unica azione può constare, oltre che di un unico atto, anche di una pluralità di atti, purchè siano diretti ad un
unico scopo e siano realizzati in un unico contesto; in tal caso, ciò che consente di parlare di 'unica azione' è l'unicità
del contesto spazio-temporale in cui vengono compiuti.

 Per stabilire se ci si trovi in presenza di un concorso formale omogeneo, e non di un unico reato, il criterio
fondamentale è quello della molteplicità delle offese al bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice.
Es di concorso formale omogeneo: il conducente di un autoveicolo cagiona per colpa la morte o la lesione di più conducenti realizzando così un
concorso formale di omicidio colposo o lesione personale .

189
Il concorso formale di reati di omicidio colposo e di lesioni colpose sono oggetto di previsioni legislative espresse art 589 e 590 c.p.
che mentre mettono in chiara luce la sussistenza di un concorso formale, introducono una deroga nella forma di un tetto massimo di
pena alla normale disciplina del cumulo giuridico delle pene dettata dall’art 81 c.p.
Altri esempi: si avranno più ingiurie quando, tizio nello stesso contesto spazio temporale, rivolge una o più contumelie all’indirizzo di varie persone ;
più reati di corruzione di minorenni, se vengono compiuti atti sessuali in presenza di più minori di anni 14; si avrà una pluralità di furti, nel caso di chi,
con l’aiuto di complici nello stesso spazio temporale rubi più automibili;

 Ciò che caratterizza, invece, il concorso formale eterogeneo di reati è un'unica azione con la quale un soggetto
integra due (o più) distinte figure di reato.
Es di concorso formale etrogeneo: tra delitto di violenza sessuale e delitto di incesto, quando tizio, commette una violenza sessuale ai danni della
figlia eche ne derivi pubblico scandalo; concorso formale eterogeneo tra il reato di sfruttamento della prostituzione e quello di concussione, se un
agente di polizia abusando delle sue qualità e delle sue funzioni, costringe una prostituta a corrispondergli del denaro in cambio della sua
protezione.

 CONCORSO FORMALE DI REATI OMISSIVI: l'art. 81 c.p. contempla anche l'ipotesi di "una sola omissione"

 con la quale si integra più volte lo stesso reato (concorso formale omogeneo) 
o si integrano più reati diversi (concorso formale eterogeneo).

reati omissivi IMPROPRI: Reato omissivo PROPRI:


• concorso formale omogeneo di omicidio  concorso formale omogeneo nei delitti di
colposo mediante omissione: se il datore di lavoro omissione di soccorso: nel caso in cui taluno pur ha omesso
colposamente di predisporre misure di vedendo in un parcp un bambino di tre anni piangente e sicurezza che, se attuate, avrebbero
impedito che i due una donna gravemente ferita scientemente decide di non operai cadessero dall’impalcatura . avvertire l’autorità
per la custodia del bambino e

• concorso formale eterogeneo fra il delitto di l’ambulanza per la donna ferita incendio colposo e omicidio colposo: nel
Concorso formale eterogeneo tra il delitto di un incendio sviluppatesi in un deposito di carburanti, omissione di
caso di 
soccorso e il delitto di omessa che sia sfociato nella morte di un operaio. Risponderà dei denuncia di reato da parte del
pubblico due reati il preposto che abbia, per incuria, omesso di ufficiale: quando un poliziotto scorga una donna ferita eseguire i
controlli doverosi sul funzionamento di
apparati anti incendio. con un pugnale ancora nella spalla omette di prestare
soccorso.

IL TRATTAMENTO SANZIONATORIO

Nel concorso formale di reati il trattamento sanzionatorio è più mite: l'ordinamento adotta il CUMULO GIURIDICO
delle pene e in particolare prevede che si applichi la pena che dovrebbe infliggersi per il reato più grave aumentata sino
al triplo.
Un primo problema prospettato da questa disciplina riguarda l'individuazione della violazione più grave, rispetto alla
quale va fissata la pena-base, da aumentarsi poi fino al triplo (art 81 c.p.), in quanto è controverso se essa debba
individuarsi 'in astratto' o 'in concreto'.
 Secondo il primo orientamento (accertamento IN ASTRATTO), prevalente in giurisprudenza, violazione più
grave sarebbe quel reato per il quale la legge prevede il massimo di pena più elevato, e, in caso di pene
massime identiche, quello per il quale la legge prevede il minimo più elevato.
 Secondo l'altro orientamento (accertamento IN CONCRETO), prevalente in dottrina, violazione più grave
sarebbe invece quella per la quale il giudice, alla luce di tutte le circostanze del caso concreto, infliggerebbe la
pena più elevata: con la conseguenza che violazione più grave potrebbe risultare anche quel reato che il
legislatore sanziona con pene edittali meno elevate nel massimo e nel minimo.

190
Almeno per la fase dell'esecuzione della pena, il legislatore prende espressa posizione a favore della determinazione in
concreto del reato più grave.

Una volta individuato il reato più grave e quantificata la relativa pena, che fungerà da pena-base per la formazione
della pena complessiva secondo lo schema del cumulo giuridico, il giudice deve procedere all'aumento previsto
dall'art. 81.
A tale scopo, dovrà indicare, il quantum di pena per ciascuno dei reati meno gravi.
Es. concorso formale tra falsità in testamento olografo ( reclusione da un anno a sei anni) e truffa ( reclusione da seii mesi e un giorno
a quattro anni), la pena sarà: 4 anni pena base della truffa + un anno di reclusione per l’altro reato.

Il giudice può operare un AUMENTO MINIMO


 che per le pene detentive equivale a 1 giorno, 
per le pene pecuniarie è pari a 1 euro.

il minimo è elevato in caso di recidiva reiterata ( legge ex Cirielli 251/2005), cioè l’incremento sanzionatorio non potrà
esser comunque inferiore ad un limite minimo, pari ad 1/3 della pena stabilita per il reato più grave.
L'aumento di pena deve essere contenuto, però, entro un doppio limite massimo: la pena finale non può superare né
il triplo della pena-base, né, in ogni caso, l'ammontare della pena che verrebbe applicata se si procedesse al cumulo
materiale, cioè alla somma delle pene commisurate per ciascuno dei reati in concorso.

Per quanto riguarda il cumulo giuridico, nel caso di concorso fra reati puniti con pene eterogenee è applicabile -
sia per pene diverse per specie (arresto e reclusione)
- sia per pene diverse per genere (pena pecuniaria e reclusione) per assimilazione ovvero ai fini dell’aumento di
pena, bisogna commutare la pena pecuniaria in pena detentiva secondo il criterio fissato dall’art 135 c.p. (250
euro equivalgono a un giorno di reclusione o arresto):

ma tale criterio è stato criticato: bisogna in tal caso applicare la disciplina del cumulo materiale e quindi l’art 81
c.p. resta comunque operante : il cumulo giuridico ,non va operato “per assimilazione”, ma per addizione cioè il
giudice per determinare la pena complessiva deve aggiungere alla pena detentiva quantificata per il reato più
grave una pena pecuniaria per il reato-satellite la cui misura non potrà superare il limite del triplo della pena-base
imposto dall’art 81 c.p. (l’art 135 c.p. servirà solo per verificare il rispetto di tale limite).
Es calcoliamo la pena con il cumulo per addizione.

CONCORSO MATERIALE di reati : La struttura


Il concorso materiale di reati si caratterizza per la presenza di un pluralità di azioni o di omissioni e rileva l’esistenza di
una cesura temporale
- tra le plurime violazioni della stessa norma (concorso materiale omogeneo) -
o tra le violazioni di diverse disposizioni di legge (concorso materiale
eterogeneo).

CONCORSO MATERIALE DI REATI COMMISSIVI CONCORSO MATERIALE DI REATI OMISSIVI


es. nel reato di furto: tizio dopo aver commesso un furto Es. di delitti di lesioni colpose mediante omissione e di omicidio
nell’abitazione di Caio ritorna il giorno successivo completando la colposo mediante omissione nel caso del datore di lavoro che
razzia dei beni. nel reato di tentativo di omicidio: tizio spara a caio nel omettendo di far riparare un dispositivo di sicurezza di una
tentativo di ucciderlo i colpi vanno a vuoto e ritenta alcuni giorni macchina cagioni una lesione personale ad un operaio ..e nei non
dopo senza successo. provvedendo ancora a riparare giorni dopo vengono feriti altri

191
operai.

IL TRATTAMENTO SANZIONATORIO

La scelta tra il regime del cumulo materiale , quello del cumulo giuridico e quello dell’assorbimento (l’applicazione della
sola pena prevista per il reato più grave) viene fatta sulla base di considerazioni politico-criminali che riflettono anche la
visione complessiva che ispira l’azione dello Stato in un determinato momento storico.

E’ un trattamento sanzionatorio più severo; il concorso materiale è assoggettato al


CUMULO MATERIALE (si applicano di regola le pene previste per ogni singolo reato, sommate l'una all'altra )
TEMPERATO (ex artt. 78 c.p. e seguenti) dalla fissazione di limiti massimi per ciascuna specie di pena: la pena
complessiva non può essere superiore al quintuplo della più grave delle pene concorrenti.

Ciò significa che, al responsabile di più reati in concorso materiale fra loro, puniti con pene della stessa specie, il
giudice applicherà di regola la SOMMA ARITMETICA delle pene stabilite per ciascun reato. es. furto 2 anni + truffa 1
anno di reclusione + violenza privata 6 mesi TOTALE 3 anni e 6 mesi di reclusione.

 Se si tratta invece di reati puniti con pene di specie diversa (reclusione e arresto, multa e ammenda) o di
genere diverso (reclusione e multa, reclusione e ammenda, arresto e multa, etc.), le varie pene si applicano
"TUTTE INDISTINTAMENTE" E "PER INTERO"
NB: Le pene detentive di specie diversa (reclusione e arresto) concorrenti fra loro non si applicano però per intero se la
durata complessiva delle varie pene supererebbe gli anni 30.

Il cumulo materiale delle pene va eseguito sia nel caso in cui una persona venga condannata per più reati
 con una sola sentenza o decreto
 con più sentenze o più decreti di condanna.
 Sia nel caso in cui, dopo una prima condanna, venga giudicata per un altro reato commesso anteriormente o
posteriormente

IL REATO CONTINUATO
Art 81 co 2 c.p. si realizza quando “taluno con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso,
commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge".

LA RATIO dell’istituto risiede nell’attenuazione delle pesanti conseguenze derivanti dal cumulo materiale delle pene.

Siamo quindi in presenza di una pluralità di reati, e più precisamente di un concorso materiale di reati, unificati dal
"medesimo disegno criminoso" che sta alla base della loro commissione.
Infatti la figura del reato continuato costituisce una delle principali DEROGHE alla norma sul concorso di reati, fondata
sulla minore pericolosità sociale di colui il quale delinque per un unico impulso criminoso ed in vista di un unico scopo,

192
raggiunto il quale, cesserà dal suo comportamento illecito, rispetto a chi, invece, commette più reati autonomi l'uno
dall'altro.
FONDAMENTO politico criminale: il trattamento sanzionatorio più mite riservato al reato continuato riflette la minore
riprovevolezza di chi cede ai motivi a delinquere una sola volta, quando cioè concepisce il disegno criminoso: È UN
ISTITUTO DEL FAVOR REI.

TRATTAMENTO SANZIONATORIO: l'agente soggiace alla "pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave
aumentata sino al triplo"…
…e comunque in misura mai superiore a quella che sarebbe applicabile in base al cumulo materiale, essendo la
continuazione un istituto di favor rei!

Mentre nel concorso formale l'elemento unificante è l'unicità dell'azione od omissione, nel reato continuato
l'elemento aggregante è l'unicità del disegno criminoso all'interno del quale si pongono le varie azioni.

Perché possa applicarsi l'articolo 81 sono necessari:


 una pluralità di azioni o omissioni
 più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge 
l'identità del disegno ( programma) criminoso :
 programma (consapevole decisione di realizzare ogni singolo reato come nel dolo) che deve
formarsi nella mente dell'agente, prima dell'inizio dell'esecuzione del primo dei reati in concorso:
in altri termini, il disegno criminoso rappresenta l'ideazione di più reati, accompagnata dalla
deliberazione generica di realizzarli, alla quale seguirà di volta in volta, la concreta decisione di
commettere il singolo reato.
 unità del disegno criminoso:
 non viene meno quando le modalità esecutive di uno dei reati programmati mutino a causa
dell'evolversi degli eventi;
 viene meno per quei tipi di reato che, non essendo stati preventivati inizialmente, sono il
risultato di decisioni assunte solo nel corso dell'esecuzione del programma
es io ho programmato una serie di furti ma nell’esecuzione di uno incontro la resistenza della vittima che vinco
usando violenza per sottrarre la cosa. Commetto quindi il reato di rapina non legato dalla continuazione con i furti
commessi in precedenza o successivamente.
N.B. L'unità del disegno criminoso non viene interrotta dall'intervento di una sentenza definitiva di condanna in
relazione ad una parte dei reati in concorso, dopo la quale l'agente realizza uno o più fra gli altri reati programmati

Le difficoltà della prova spiegano la tendenza dei giudici di merito a presumere l'esistenza di un medesimo disegno
criminoso tutte le volte in cui, si procede contro taluno per una pluralità di reati commessi in tempi diversi; tale
tendenza si ribalta però quando si chiede l'applicazione della disciplina del reato continuato a reati commessi dopo
che sia intervenuta una sentenza irrevocabile di condanna, relativa ad uno o più dei reati oggetto della
programmazione.

Secondo la giurisprudenza prevalente, "l'unicità del disegno criminoso" si ha quando, il soggetto ha precedentemente
predisposto:

a) il desiderio di realizzare: fattore intellettivo, cioè il progetto di compiere una serie di azioni delittuose della
stessa specie (non va confuso con la generica intenzione di commettere reati in conseguenza di una precisa
scelta di vita fondata sulla devianza)

193
b) deliberato nelle idee essenziali: il fattore volitivo
c) per conseguire un determinato fine: fattore finalistico; quest'ultimo potrà poi essere perseguito mediante
una deliberazione specifica per ogni singola azione.

La cassazione ha affermato che l'unicità del disegno criminoso può essere riconosciuta anche tra reati non
omogenei in quanto, la continuazione dei reati, ha fondamento prevalentemente psicologico, essendo
sufficiente che i diversi reati siano unificati dalla presenza di un elemento finalistico, ossia dall'unicità dello scopo
che l'agente si è prefissato, rinvenibile anche dal contesto logico temporale di commissione dei reati.

C'è identità del disegno criminoso NONOSTANTE: 


l'intervenuto arresto
 La denuncia per uno dei fatti in continuazione
 il passaggio in giudicato della sentenza
 La diversità dei soggetti passivi

non c'è identità del disegno criminoso


 Quando fra l'uno e l'altro fatto criminoso, siano intervenute circostanze, che abbiano indotto il reo a
modificare il progetto originario in relazione ai mezzi usati.

I reati oggetto del medesimo disegno criminoso

Le disposizioni di legge la cui violazione dà vita al reato continuato , devono necessariamente prevedere
 reati dolosi ( commissivi o omissivi ): ciò perché il disegno criminoso ha come REQUISITO una
rappresentazione preventiva di tutti gli elementi costitutivi dei vari reati, nonché la deliberazione di
commetterli.
In quanto frutto di 'programmazione', il reato continuato risulta quindi incompatibile sia con con la
RESPONSABILITÀ OGGETTIVA che con LA COLPA: in relazione a quest’ ultima, la Cassazione ha sostenuto
che non è configurabile l'unicità del disegno criminoso nei reati colposi nei quali, l'evento non è voluto
dall’agente, cosicché la condotta genericamente voluta, non può considerarsi diretta a realizzare l'evento,
come può invece verificarsi nel caso in cui, l'agente realizzi il reato colposo, agendo nonostante la previsione
dell'evento.
La corte di legittimità ha comunque individuato un' ECCEZIONE nel caso in cui, il reato colposo sia stato posto
in essere nonostante la previsione dell'evento (cd. colpa con previsione), con conseguente contestabilità
dell'aggravante di cui all'articolo 61 n. 3 cp.

 Reati permanenti, cioè anche quando la consumazione dei reati sia intervallata da eventi interruttivi costituiti
da fasi di detenzione o da condanna.
L'istituto è quindi applicabile anche quando il nuovo fatto da giudicare sia commesso dopo una condanna
per altro reato: esempio un padre, dopo avere patito la violenza sessuale della figlia, decide di uccidere i violentatori. Dopo avere
commesso l'omicidio del primo, viene arrestato e condannato. Uscito dal carcere dopo molti anni, commette il secondo omicidio

194
originariamente programmato. In tal caso, i due delitti potranno ritenersi avvinti dal vincolo della continuazione in quanto ciò che rileva,
non è la vicinanza cronologica fra i fatti che manca in tal caso, ma l'identità del disegno criminoso che invece li lega.
In passato si era ritenuto inapplicabile l'articolo 81 co 2 quando per il primo fatto fosse intervenuta
sentenza passata in giudicato;
Recenti orientamenti invece ritengono applicabile la continuazione sempre che esista l'identità del disegno
criminoso tra i fatti, e non sia stato necessario per commettere l'ultimo reato, una nuova deliberazione del
programma criminoso.

Disciplina del reato continuato

I reati legati dal vincolo della continuazione devono considerarsi unificati (cioè, come UN SOLO REATO)

 ai fini della determinazione della pena principale: il legislatore ha disposto l’assoggettamento dei vai reati ad
un'unica pena formata secondo il meccanismo del cumulo giuridico: art. 81. 2 c.
 ai fini della decorrenza del termine per la prescrizione del reato (per il reato continuato, il termine della
prescrizione decorre dal giorno in cui è cessata la continuazione, cioè dal giorno in cui è stato commesso
l'ultimo dei reati abbracciati dal disegno criminoso),
 ai fini dell'applicabilità della sospensione condizionale della pena: può essere applicata solo quando il reato
unitariamente considerato consente il beneficio
 nonché ad altri limitati effetti per i quali la considerazione unitaria del reato continuato torna a favore
dell'agente, secondo la logica propria della continuazione.

Al di fuori di questi istituti, i reati uniti dal vincolo della continuazione conservano invece la loro autonomia: si
considerano cioè come REATI DISTINTI
 ai fini dell'amnistia
 dell'indulto
 delle pene accessorie  delle misure d'urgenza.

Sia ai fini della dichiarazione la abitualità e professionalità del reato, che ai fini dell'applicazione delle pene accessorie
DOTTRINA e GIURISPRUDENZA ritengono che il reato continuato vada considerato UNITARIAMENTE.
La giurisprudenza ha ulteriormente precisato che, in caso di intervenuta condanna, tra reati avvinti dal vincolo della
continuazione, la pena accessoria vada determinata con riferimento alla pena base e non a quello complessiva.

Le circostanze in caso di reato continuato


La valutazione delle circostanze va differenziata a seconda che esse ineriscano alle singole azioni o a tutto l'episodio
unificato.
le circostanze attinenti alle singole azioni devono essere valutate per determinare la pena base di ciascun reato, al fine
di stabilire qual è la più grave delle violazioni su cui poi sarà operato l'aumento previsto per la continuazione.

195
Giurisprudenza e dottrina non concordavano sul CRITERIO DA ADOTTARE PER ACCERTARE LA VIOLAZIONE PIÙ
GRAVE, discutendo se bisognava fare riferimento:

 alla pena in astratto: cioè quella comminata dalla norma incriminatrice


 alla pena in concreto: cioè quella risultante dall'applicazione di indici quali: mezzi, tempo, oggetto, luogo
dell'azione, intensità del dolo, grado della colpa, gravità del danno o pericolo eccetera

La cassazione è intervenuta in merito stabilendo che "ai fini della determinazione della pena per il reato continuato
Una volta individuata la violazione più grave e determinata la pena, si terrà poi conto delle circostanze che ineriscono
bisognerà avere riguardo alla violazione più grave considerata in astratto" a tutti gli episodi unificati nella
continuazione: esempio, se Tizio, profittando di una zona senza luce, rapina prima Caio cagionandogli un

danno patrimoniale grave, poi Sempronio minacciandolo con la pistola, e poi Nevio cagionandogli un danno lievissimo; si dovrà prima stabilire tra la
rapina a Caio, Sempronio e Nevio qual è la più grave tenendo conto delle circostanze che hanno accompagnato ciascuna di esse, e una volta fissato
l'aumento per la continuazione sulla pena- base per essa previsto, si terrà conto dell'aggravante del luogo buio che ha accompagnato la commissione
di tutti gli episodi di rapina unificati nella continuazione.

Reato continuato e associazione a delinquere

Quanto ai rapporti tra concorso di persone nel reato continuato e l'associazione per delinquere, in quest’ultima
l'accordo per dar vita alla costituzione del rapporto associativo ha carattere permanente e programmatico,

essendo volta alla realizzazione di una serie indeterminata di delitti, senza che sia necessaria la loro individuazione
fin dal momento del sorgere del rapporto associativo.

Quello che invece determina il concorso di più persone nel reato continuato ha carattere precario e
contingente, esaurendosi appena i reati programmati e individuati al momento dell'accordo sono realizzati.

Per quanto riguarda il problema dell'applicabilità della continuazione tra il reato di associazione per
delinquere e i reati scopo dell'associazione stessa, la dottrina prevalente ritiene che la disciplina della continuazione
non elimini
la molteplicità dei delitti che essa comprende, affermando che quando in relazione a tutti i delitti scopo
dell'associazione o ad una parte di essi, sia ravvisabile un medesimo disegno criminoso, vi sarà concorso del
diritto soggettivo correlato continuato relativo ai delitti scopo; se poi il medesimo disegno criminoso ricomprende sia
i
delitti scopo che la stessa struttura organizzativa, vi sarà un unico reato continuato per comprenderà
associazione e singoli delitti scopo.

In senso contrario si schierano coloro che sostengono l'unità ontologica del reato continuato, ritengono che in tale
caso mancherebbe oggettivamente la pluralità dei diritti da realizzare, e invece requisito fondamentale della figura

prevista dall'art. 416 e quindi, negano che sia possibile associazione per delinquere in relazione a delitti scopo
unificati col vincolo della continuazione.

196
IL REATO PERMANENTE

Sono permanenti quei reati nei quali l'offesa al bene giuridico si protrae nel tempo, per effetto della persistente
condotta del soggetto.

Per la loro sussistenza, dunque ,occorrono due PRESUPPOSTI:

• che la situazione dannosa o pericolosa (offesa al bene giuridico) derivante dalla condotta del reo, abbia
carattere continuativo;
• che il protrarsi di essa sia dovuto alla condotta volontaria del soggetto che quindi, può porvi fine in ogni
momento.
Esempio: il sequestro di persona, l'associazione per delinquere, la bancarotta armata, la riduzione in schiavitù, la renitenza di leva,
l'invasione dei terreni non è reato permanente il reato di bigamia perché in tal caso non è nella possibilità del reo, fare cessare gli effetti
duraturi del reato, in quanto non è più nelle sue possibilità di far venire meno gli effetti di uno dei due matrimoni contratti

Il reato permanente è un reato unico: si perfeziona nel momento in cui si realizza il minimum di mantenimento della
situazione offensiva, necessario per la sussistenza del reato (non nel momento in cui si instaura la situazione offensiva!)
Prima di tale momento si avrà al massimo il tentativo: esempio si ha sequestro di persona, solo se la vittima, è stata privata della libertà
per un tempo apprezzabile.

Secondo la concezione bifasica (che attualmente trova poco seguito in dottrina) la realizzazione del reato permanente
comprenderebbe DUE FASI:

1) La fase realizzativa del fatto (il sequestro della persona), in cui la condotta sarebbe sempre positiva,
2) La fase di mantenimento degli effetti (il mancato rilascio del sequestrato), caratterizzata da una condotta negativa.
Questa concezione è però criticabile soprattutto perché non sempre nella presunta seconda fase, il reo rimane inerte
(si pensi al sequestrante che vigila per non far fuggire sequestrato);
analogamente, esistono alcuni reati permanenti, come la renitenza di leva, che presuppongono una omissione nella
loro prima fase!

La permanenza della situazione penalmente antigiuridica o cessare per fatto:

A. dell’agente (e in tal caso, eccezionalmente e in concorso con altre circostanze, il fatto è valutato a favore dell’agente art. 630) B.
di terzi
C. dello stesso soggetto passivo del reato
D. per altre cause (compresa la morte della vittima
La giurisprudenza ammette che la permanenza possa protrarsi pure durante il corso dell'azione penale: in tal caso, la cessazione di
essa, si verifica solo per effetto della sentenza di primo grado o del decreto di condanna divenuta esecutivo.

REATO ABITUALE
E’ il reato che risulta dalla reiterazione nel tempo di più condotte identiche e omogenee. Può consistere nel:

197
REATO ABITUALE PROPRIO : la ripetizione di condotte che, prese isolatamente, non costituirebbero reato: ad
esempio i maltrattamenti in famiglia, realizzabili anche mediante la reiterazione abituale di condotte non consistenti reato se considerate
singolarmente

REATO ABITUALE IMPROPRIO: la ripetizione di condotte, che già di per sé, costituiscono reato: ad esempio, la relazione
incestuosa (il singolo episodio incestuoso già costituisce reato d'incesto).

La consumazione del reato abituale richiede un numero minimo di fatti, sufficiente a integrare quel "sistema di
comportamenti", in cui si concreta tale reato e la cui valutazione è affidata alla discrezionalità del giudice. il reato
abituale non va confuso con l’abitualità nel reato, che non attiene al reato, ma al soggetto attivo di esso.

È da escludere la necessità di un dolo unitario: deve quindi ritenersi sufficiente la coscienza e la volontà delle singole
condotte, accompagnata dalla consapevolezza che ogni ulteriore condotta, si aggiunge alle precedenti, dando vita con
queste, ad un "sistema di comportamenti offensivi" (ad esempio vessazioni, maltrattamenti).

DIFFERENZE
REATO CONTINUATO: ricorre una pluralità di azioni o omissioni, che darebbero vita a più reati, se la legge non
collegasse le une alle altre violazioni nel vincolo della comune intenzione.

nel reato permanente c'è un’ azione o omissione unica che si protrae nel tempo

REATO ABITUALE: si hanno due o più momenti discontinui della condotta, legati dal legislatore in un'unica figura.

Reato permanente ha un processo esecutivo che si svolge senza soluzione di continuità

REATO ISTANTANEO CON EFFETTI PERMANENTI: si consuma istantaneamente, ma il danno da esso prodotto perdura
(esempio bigamia, falso documentale)

REATO COMPOSTO ricorrono più reati diversi

Reato abituale: si ha la ripetizione di più azioni della stessa specie

DELITTI AGGRAVATI DALL'EVENTO: questi, a differenza del reato composto, non sono formati da due reati ma da uno
solo, in quanto, l'evento che li caratterizza, non costituisce un reato a se, mancando l'elemento soggettivo.

Capitolo 12 - LE CIRCOSTANZE AGGRAVANTI ED ATTENUANTI

Nella struttura del reato si distinguono:

198
 elementi essenziali, i quali non possono mai mancare,
 elementi accidentali o accessori , chiamate CIRCOSTANZE, situazioni inerenti al reato o alla persona del
colpevole, che incidono sulla gravità del reato e determinano una variazione qualitativa e/o quantitativa della
pena adeguata al fatto commesso.
La loro presenza trasforma il reato da semplice in "circostanziato".

Le circostanze possono essere:


 tipiche (o definite), espressamente individuate dalla legge nei loro elementi costitutivi (articolo 61 e 62 cp)
 indefinite (o innominati), la cui individuazione è rimessa alla discrezionalità del giudice: esse sono per esempio
le attenuanti generiche (articolo 62 bis) e quelle previste da singole norme che dispongono una diminuzione di
pena, se il fatto è di lieve entità, o l'aggravamento nei casi più gravi.

Si caratterizzano per un triplice ordine di REQUISITI:

1. Non sono elementi costitutivi del reato ma elementi che “stanno intorno” (circum stant) ad un reato già
perfetto.
Infatti gli art 61 e 62 c.p. elencano le circostanze aggravanti ed attenuanti COMUNI, specificando che
“le varie situazioni aggravano o attenuano il reato, quando non ne sono elmenti costitutivi.“
2. specificano un elemento del reato o ne aggiungono uno nuovo: il reato circostanziato è speciale rispetto al
reato semplice, infatti presuppone l’esistenza, nel caso concreto, di tutti gli elementi del reato semplice ( o
specifica uno di tali elementi o ne aggiunge un elemento ulteriore.)
3. l’effetto della circostanza è quello dell’aggravamento o dell’attenuazione della pena, commisurata dal giudice
per il reato semplice.
Di regola, l’aumento o la diminuizione si opera sulla Quantità di pena che il giudice applicherebbe al colpevole, qualora non
concorresse la circostanza che la fa aumentare o diminuire.

L’identificazione delle circostanze

Le circostanze sono elementi accidentali del reato, non necessari per la sua esistenza, ma che incidono sulla sua gravità
ovvero rilevano quali indici della capacità a delinquere del soggetto, influendo sull'entità o sul tipo di pena.

In particolare, possono determinare un inasprimento (circostanze aggravanti) o una mitigazione (circostanze attenuanti) del
trattamento sanzionatorio previsto per il reato semplice, cui accedono, allo scopo di adeguare la pena al reale disvalore del fatto
commesso. In quest'ottica, il giudice può avvalersi, oltre che delle circostanze tipiche, nelle cosiddette attenuanti generiche articolo
62 bis, consistenti in situazioni non espressamente previsto dalla legge, ma idonee a giustificare una diminuzione della pena.

Il problema dell'IDENTIFICAZIONE DELLE CIRCOSTANZE DEL REATO è carico di implicazioni: è importante infatti stabilire
se un determinato elemento, debba considerarsi elemento costitutivo del reato o circostanza, attesa la diversa
disciplina giuridica riservata agli elementi costitutivi del reato e alle circostanze!

Innanzitutto , infatti, può dirsi che, 


la rilevanza:
degli elementi costitutivi è indefettibile, mentre le circostanze del reato possono in un certo senso scomparire quando
concorrono circostanze eterogenee (cioè aggravanti ed attenuanti), in base alle quali, il giudice deve procedere al loro
bilanciamento: e tale giudizio può concludersi nel senso della prevalenza delle une sulle altre!
 Criteri di imputazione della responsabilità:
se si tratta di elemento costitutivo di un autonoma figura di delitto doloso, dovrà essere abbracciato dal dolo; se invece si
tratta di una circostanzaa aggravante, sarà sufficiente la colpa (art 59.2 c.p.”le circostanze che aggravano la pena sono valutate a
carico dell’agente soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa.”)
 Il momento consumativo del reato per la decorrenza dei termini di prescrizione:
se si tratta di elemento costitutivo del reato, il momento consumativo coinciderà o meno con la situazione descritta in

199
una certa norma, solo se quella situazione integra un elemento costitutivo del reato; ciò
non si verifica se si tratta di una circostanza.
 Il concorso di persone e l’applicabilità della legge penale italiana, se si verifica l’elemento „dubbio“ come circostanza, potrà
trovare applicazione dell’art 118 c.p., che esclude la comunicabilità di talune circostanze ai concorrenti nel reato; mentre se vi ravvisa un
elemento costitutivo di un autonoma figura di reato, troverà applicazione la disciplina generale del concorso di persone in quel diverso
reato, ed eventualmente, la disciplina dell’art 116 c.p. (reato diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti) o l’art 117 (mutamento del
titolo del reato per taluno dei concorrenti.)

Se l’elementodubbio si verifica nel territorio dello stato, mentre gli altri elementi del reato si verificano o si realizzano all’estero , la legge
italiana può trovare applicazione solo se, quella situazione viene inquadrata come elemnento costitutivo del reato,integrando una
parte dell’azione o l’evento.

A. Nella maggior parte dei casi, la natura circostanziale di tali elementi risulta in maniera univoca dalla stessa
FORMULAZIONE LEGISLATIVA.

B. Quando però le indicazioni testuali non esistono o sono insufficienti, è necessario ricorrere ad ALTRI CRITERI
ESEGETICI E LOGICI.
Tra i vari criteri formulati dalla dottrina, quello che trova maggiore seguito è quello che considera circostanze
solo "quegli elementi che sono una specificazione, un particolare modo d'essere, una variante di intensità di
corrispondenti elementi generali della fattispecie incriminatrice semplice".
Gli elementi circostanziati debbono cioè, essere in rapporto di "species" a "genus“, con i corrispondenti
elementi della fattispecie semplice, in modo da costituirne una specificazione.
In particolare si osserva che la specialità è condizione necessaria, non anche sufficiente ai fini della
qualificazione di un dato elemento come circostanziali, in quanto anche una figura autonoma di reato, può
risultare speciale rispetto a un'altra;
C. e per tale motivo, che ancora oggi, possono soccorrere i cosiddetti CRITERI AUSILIARI, come il nomen iuris dato
dal legislatore, i precedenti storici, la rubrica legislativa.

I CRITERI DISCRETIVI
Nel silenzio della legge spetta all’interprete il compito di individuare i criteri discretivi tra elementi costitutivi e
circostanze del reato.
.
Va ribadito che di CIRCOSTANZE DEL REATO può parlarsi, solo, in presenza di un rapporto di specialità con la figura del
reato semplice, ed è una condizione necessaria ma non sufficiente per individuare una circostanza del reato

CRITERIO FORMALE DI IDENTIFICAZIONE DELLE CIRCOSTANZA

1. l’espressa qualificazione di un elemento come circostanza, operata dal legislatore nella rubrica o nel testo di
una data disposizione.
Ad es. art. 339 c.p.nella rubrica recita “circostanze aggravanti” con riferimento ai delitti di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o
resistenza a un pubblico ufficiale.

Nel caso in cui la rubrica di una disposizione parli di circostanze, ma descrive ipotesi non speciali rispetto a un
reato semplice, ci si troverà in presenza di un’autonoma figura di reato, in quanto difetta una condizione
necessaria perché possa parlarsi di reato circostanziato.
Es: l’art 583 c.p. circostanze aggravanti. Una parte della dottrina ritiene che lesioni gravi e gravissime entrino a far parte di figure
autonomedi reato in quanto l’aggravamento della pena scatterebbe anche in assenza di una malattia, che è l’elemento costitutivo della
figura del delitto di lesioni personali semplici art 582 c.p.

200
Un altro dato formale che si accompagna all’espressa qualificazione di un dato elemento come circostanza aggravante
o attenuante nel testo di una norma, è rappresentato dal riferimento alla disciplina del giudizio di bilanciamento delle
circostanze, operato al fine di apportarvi UNA DEROGA.

Es. art 280 co 5 c.p. a norma del quale, la gran parte delle circostanze attenuanti concorrenti con le aggravanti speciali, previste nello stesso articolo
280 per il delitto di attentato per finalità terroristiche o di eversione, non possono essere ritenute equivalenti rispetto alle aggravanti, e la
diminuzione di pena per quelle attenuanti, andrà operata sulla quantità di pena risultante dall'aumento conseguente alle predette aggravanti.
Analoga deroga alla disciplina dell'articolo 69 è stabilita dall'art. 628 co 4, in relazione ad alcune circostanze aggravanti della rapina (violenza o
minaccia posta in essere da chi fa parte di un'associazione mafiosa, fatto commesso in un luogo di privata dimora, fatto commesso in un mezzo di
trasporto, fatto commesso nei confronti di chi stia fruendo o abbia appena fruito dei servizi di istituti di credito)

La presenza nel testo della legge, di formule del tipo, “la pena è aumentata o è diminuita “ non accompaganta da
ulteriori indicazioni , devono necessariamente essere correlate agli articoli 64 e 65 cp, che disciplinano la misura
dell'aumento o della diminuzione della pena conseguente ad una circostanza aggravante o attenuante, per la quale la
legge non dispone diversamente; tali disposizioni sono le uniche in grado di stabilire la misura dell'aumento o della
diminuzione di pena, salvando quelle clausole dall'illegittimità costituzionale per violazione del principio di legalità
della pena.
Es. l’omissione di soccorso art 593 c.p. in base al quale,se dall’omissione deriva una lesione personale, la pena è aumentata…
deve essere correlata dagli art 64 c.p. (aumento di pena nel caso di una sola circostanza aggravante) o dall’art 65 (aumento di pena nel caso di una
sola circostanza attenuante).

2. Vi è poi un criterio formale a favore della natura di elemento costitutivo di un autonoma figura reato,
rappresentato dalla presenza di un apposito nomen iuris nella rubrica della norma.
Es. furto in abitazione e furto con strappo: la designazione con nomi ad hoc inseriti nella rubrica di tale, esprimono in modo non equivoco,
la scelta del legislatore, di dar vita a nuove figure di reato autonome rispetto al furto!

Delitti aggravati dall'evento

Non sempre i criteri enunciati consentono di stabilire se ci si trovi in presenza di un reato circostanziato ovvero di una figura
autonoma di reato: di qui l'esigenza di chiarire se, nei casi dubbi, il sistema imponga di dare la preferenza all'una o all'altra soluzione.

I maggiori problemi si pongono nella sfera dei DELITTI AGGRAVATI DALL'EVENTO: spesso è controverso se l'evento
aggravante debba essere considerato circostanza del reato ovvero elemento costitutivo di un'autonoma figura di reato,
la cui peculiarità starebbe nel fatto che l'evento, doveva essere imputato all‘agente, almeno secondo l'originaria
intenzione del legislatore del 1930, a titolo di responsabilità oggettiva;
in seguito alla sentenza della corte costituzionale 1085/88 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di tale forma
di responsabilità, essa deve essere attribuita almeno a colpa dell‘agente

Il sistema del codice sembra orientato, in linea di principio, nel senso dell'inquadramento dell'evento come elemento
costitutivo di autonome figure delittuose.

Il legislatore inquadrava i delitti aggravati dell’evento come autonome figure di reato, poi ha previsto all’art 42.3 c.p. la
responsabilità obiettiva , una forma eccezionale di responsabilità penale (la legge determina i casi nei quali l’evento è
posto altrimenti a carico dell’agente come conseguenza della sua azione o omissione), mentre un mondo a sé era
quello regolato dall’art 59 c.p. delle circostanze aggravanti.

Delitti aggravati dell’evento: caratterizzati da un fatti-base punito per la sua oggettiva pericolosità nei confronti di un
dato bene giuridico, mentre l’evento aggravante esprime la traduzione di quel pericolo nella lesione dello stesso bene.
Ci sono fatti pericolosi per l’integrità fisica e per la vita repressi come reati -base come l’abuso di mezzi di correzione.

Circostanze aggravanti: solo eccezionalmente si riferiscono ad un evento che rappresenta in questo caso lo stesso
evento costitutivo del reato base es. truffa.

201
In alcuni casi il legislatore attenua questa differenza ad es. in alcune sporadiche ipotesi nelle quali etichetta
espressamente o implicitamente come circostanze aggravanti eventi che pure esprimono il danno di pericolo
immanente al reato base , condanna conseguente ad alcuni delitti contro l’amministrazione della giustizia o le lesioni e
la morte conseguenti all’omissione di soccorso .

Con la riforma del 1974 è stato riconfermato l’art 69 c.p. concorso di circostanze attenuanti e aggravanti e le
circostanze eterogenee concorrenti tra loro si possono bilanciare , per es le circostanze per le quali la legge stabilisce
una pena di specie diversa da quella prevista per il reato base o determina la misura della pena in modo indipendente
da quella del reato base è proprio così che viene determinata la pena normalmente per i delitti aggravati
dall’evento..qualificare un evento come circostanza aggravante significa trarlo nel giudizio di bilanciamento aprendo la
strada alla scomparsa di quell’evento ai fini della pena ogni volta che il giudice ritiene equivalenti o addirittura
prevalenti le (autentiche) circostanze attenuanti presenti nel caso concreto.

Prima della riforma i delitti aggravati dall’evento non erano inquadrati fra i reati circostanziati, ma ciò dopo fu il frutto
della prassi che cercò di mitigare l’asprezza di alcune previsioni di pena contenute nel codice penale vigente ma gli
esiti di questo orientamento sono inaccettabili in quanto in alcune ipotesi di rissa seguita da morte se si inquadri
l’evento morte tra le circostanze del reato se una qualsiasi attenuante viene considerata equivalente o prevalente
rispetto a quella aggravante la cornice edittale di pena 3-5 mesi di reclusione passa a 5-309 euro di multa..avviene una
bagatellizzazione di un reato offensivo del bene della vita è con tutta evidenza incompatibile con ogni esigenza di
proporzione tra gravità del reato e misura della pena , mentre la dottrina auspica si una mitigazione dell’attuale
dosaggio sanzionatorio ma ad interventi del legislatore non ad arbitrari interventi giurisprudenziali.

LA CLASSIFICAZIONE DELLE CIRCOSTANZE

 COMUNI  A EFFICACIA COMUNE  DEFINITE


 SPECIALI  A EFFICACIA SPECIALE:  INDEFINITE
 AGGRAVANTI (circ. autonome,  OGGETTIVE
 ATTENUANTI circ. indipendenti,  SOGGETTIVE circ. a effetto speciale)

 circostanze comuni: sono quelle previste per un numero indeterminato di reati, cioè per tutti i reati con i quali
non siano incompatibili: sono descritti nell’art, 61 , 62 e 62 bis, in talune leggi speciali e per il concorso di
persone negli art 111, 112, 114.
 circostanze speciali: sono quelle previste per uno o più reati determinati. Quelli che s’individuano mediante il
criterio formale (la presenza nel testo della legge di formule quali „la pena è aumentata o diminuita..“).

 circostanze aggravanti: sono quelle che comportano un inasprimento della pena commisurata dal giudice per
il reato semplice;
 circostanze attenuanti: sono quelle che comportano una mitigazione della pena commisurata dal giudice per il
reato semplice
L'aumento o la diminuzione della pena possono essere quantitativi o qualitativi:
- sono di tipo quantitativo quando, ad es., alla pena inflitta per il reato semplice deve aggiungersi, per
effetto della circostanza, un quantum di pena della stessa specie ovvero la legge prevede per il reato
circostanziato un'apposita cornice edittale di pena;

202
- la modificazione della pena è di tipo qualitativo quando, per effetto della circostanza, cambia la specie
della pena.
Quest'ultimo è il caso di quelle circostanze aggravanti che comportano il passaggio dalla reclusione all'ergastolo, es. le
circostanze aggravanti dell'omicidio doloso.

 circostanze a efficacia comune: sono quelle che comportano un aumento o una diminuzione fino ad 1/3 della
pena che dovrebbe essere inflitta per il reato semplice, quando la legge non ne precisa l'ammontare!
Es. sono circostanze ad efficacia comune:
- le aggravanti comuni di cui all’art 61 c.p. e le attenuanti comuni di cui all’art 62 c.p. delle quali la legge si limita a dire che aggravano
o attenuano il reato, senza specificare la misura dell’aumento o della diminuizione della pena.
- le attenuanti generiche art. 62 bis e una circostanza aggravante ad efficacia comune (la recidiva semplice per la quale l’art 99 c.p.
prevede un aumento di pena nella misura fissa di un terzo.) 
circostanze a efficacia speciale:
a) "circostanze autonome": sono quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa
rispetto a quella prevista per il reato semplice (es.: le circostanze aggravanti dell'omicidio doloso che
comportano la pena dell'ergastolo, in luogo di quella della reclusione)
b) "circostanze indipendenti": sono quelle per le quali la legge prevede una cornice di pena
diversa da quella prevista per il reato semplice . Ad es. le aggravanti del furto, previste nell’art 625 c.p.
c) "circostanze a effetto speciale": sono quelle che importano un aumento o una diminuzione
della pena superiore ad 1/3 . Ad es la recidiva aggravata: aumento fino alla metà o della metà. Recidiva reiterata :
aumenti della metà o dei 2/3.
Alla circostanza attenuante dei „casi di minore gravità“ di violenza sessuale, per i quali l’art 609 bis dispone che „la pena è diminuita in misura non
eccedente i 2/3.“
La categoria delle circosanze a efficacia speciale ha rilevanza ex lege ai fini del concorso omogeneo di circostanze, in quanto
soggiacciono ad una disciplina ad hoc, per il caso in cui il reato sia corredato in concreto, da un apluralità di circostanze tutte
attenuante o tutte aggravanti,delle quali almeno una, rientri nella categoria delle circostanze a efficacia speciale.

 circostanze definite: (o tipiche) sono quelle i cui elementi costitutivi sono compiutamente descritti dalla legge;
attenuanti e aggravanti di cui all’art 61 e 62 c.p.
 circostanze indefinite: (o discrezionali) sono quelle la cui individuazione, in assenza di ogni tipizzazione
legislativa o comunque di una compiuta tipizzazione legislativa, è rimessa alla discrezionalità del giudice.
Ad es le attenuanti generiche art 62 bis., lieve entità del fatto (circostanza attenuante dei delitti contro la personalità dello Stato), la
particolare tenuità del fatto (circostanza attenuante della ricettazione), casi di minore gravità (nella violenza sessuale)

 circostanze oggettive art. 70 co 1 n.1 c.p.: sono quelle che concernono


- “ la natura, - il tempo, pericolo,
- la specie, - il luogo e ogni altra modalità - ovvero le condizioni o le qualità
- i mezzi, dell'azione, personali dell'offeso";
- l'oggetto, - la gravità del danno o del

Es l’aver adoperato sevizie o l’aver agito con crudeltà verso le persone; l’aver cagionato nei delitti contro il patrimonio un danno patrimoniale di
rilevante gravità o un danno di speciale tenuità; l’aver commesso il fatto contro un pubblico ufficiale.

 circostanze soggettive Art. 70 co1 n.2 c.p.: sono quelle che concernono
- “ l'intensità del dolo o il grado della colpa, - i rapporti fra il colpevole e l'offeso,
- le condizioni e le qualità personali del colpevole, - ovvero che sono inerenti alla persona del colpevole
(riguardano la imputabilità e la recidiva) ".

203
Es. l’aver agito per motivi abbiettio futili, per motivi di particolare valore morale o sociale , l’avere nei delitti colposi agito nonostante la previsione
dell’evento, l’aver commesso il fattocon abuso di autorità o di relazioni domestiche ovvero con abuso di relazioni d’ufficio di prestazione d’opera, di
coabitazione o di ospitalità.

Questa distinzione era originariamente funzionale alla valutazione delle circostanze nell’ambito del concorso di
persone nel reato.
Prima della RIFORMA DELLA LEGGE N. 19 DEL 1990 , l'articolo 118 stabiliva che “si estendevano ai concorrenti le
circostanze oggettive aggravanti e attenuanti, nonché le circostanze soggettive aggravanti, quando avevano agevolato
l'esecuzione del reato.“
L'attuale formulazione dell'art. 118 c.p., si limita ad elencare „alcune circostanze“ (per esempio quelle concernenti i motivi a
delinquere , l’intensità del solo , il grado della colpa e le circostanze inerenti alla persona a cui si riferiscono), non facendo alcun riferimento
alla categoria delle circostanze oggettive e soggettive.
Quindi l'unica rilevanza normativa della disciplina dettata dall'art 70 c.p. riguarda l’inclusione della recidiva e delle
cause che diminuiscono o aumentano l’imputabilità come circostanze inerenti alla persona del colpevole tra le
circostanze del reato.

L'imputazione delle circostanze

Art. 59 c.p. circostanze non conosciute o erroneamente supposte

comma 1 "Le circostanze che attenuano o escludono (scriminanti) la pena sono valutate a favore dell'agente anche se da lui non
conosciute, o da lui per errore ritenute inesistenti" (rilevanza oggettiva delle circostanze attenuanti);

comma 2 " le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell'agente soltanto se da lui conosciute ovvero
ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa"
(le circostanze aggravanti possono essere poste a carico dell'agente solo se gli si può muovere almeno un rimprovero per colpa);
comma 3 "se l'agente ritiene per errore che esistano circostanze aggravanti o attenuanti, queste non sono valutate contro o
a favore di lui"
(irrilevanza delle circostanze aggravanti e attenuanti erroneamente supposte dall'agente).

comma 4 "se l'agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena (scriminanti), queste sono sempre
valutate a favore di lui. Tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è
previsto dalla legge come delitto colposo".

La disciplina originariamente prevista nel codice del 1930

204
Secondo l'originario dettato dell'articolo 59 cp. Le circostanze sia aggravanti, si attenuanti, rilevavano obiettivamente:
cioè la valutazione delle circostanze era ispirata ad un criterio rigorosamente oggettivo per cui, le circostanze si
applicavano per il solo fatto di esistere, anche se non conosciute dall‘agente o per errore ritenute inesistenti.
Es.: Tizio, animato da odio nei confronti di Caio, si introduce nell'abitazione di quest'ultimo e la devasta, distruggendo tra l'altro un rarissimo vaso
antico.
Secondo la formulazione del vecchio testo dell'articolo 59, Ezio si sarebbe visto applicare la circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante
entità (articolo 61 n. 7 ) anche se, essendo uomo di modestissimo cultura, ignorava, né poteva sospettare l'ingente valore di quell'oggetto!

La disclipina vigente

Per effetto della legge 19 /90 , la disciplina dell'imputazione delle circostanze ha conosciuto importanti modificazioni,
in quanto quest'ultima, ha subordinato l'applicazione delle aggravanti ad una conoscenza della loro sussistenza da
parte del soggetto agente, armonizzando l'imputazione delle circostanze aggravanti, al principio di colpevolezza
indicato dalla corte costituzionale con la sentenza 364/88;

 Le CIRCOSTANZE AGGRAVANTI sono imputate all'agente solo se da questi ritenute esistenti ovvero ignorate o
ritenute inesistenti colposamente.
Se dunque non è possibile muovere al soggetto agente un rimprovero almeno di colpa, non gli si può imputare
una circostanza aggravante : “soltanto se erano da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute
inesistenti per errore determinato la colpa“ articolo 59 c 2.

 Al contrario, LE CIRCOSTANZE ATTENUANTI sono sempre applicabili, anche se non conosciute o ritenute per
errore inesistenti, quindi imputate all'autore del reato in quanto oggettivamente esistenti (secondo una
disciplina chiaramente ispirata al cd. Favor rei)

Es.il danneggiamento di un prezioso vaso antico: l’aggravante del danno patrimoniale di rilevante entità potrà essere applicata solo se, l’agente
sapeva o poteva rendersene conto, che si trattava di un vaso di partolare pregio!

Quindi la conoscibilità è una condizione necessaria e sufficiente per l’applicazione delle circostanze aggravanti, sia in
relazione ai reati dolosi sia in relazione ai reati colposi.

Ci sono delle circostanze aggravanti che rilevano solo se i dati di fatto che la integrano sono conosciuti dall’agente.
Es. l’aggravante del nesso teleologico o conseguenziale , cioè l’aver commesso il reato per eseguirne od occultarne un altro ovvero
per conseguire o assicurare a sé o ad altri. Il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero la impunità di un altro reato;
è applicabile solo se l’agente commette questo o quel reato, nella consapevolezza che si tratta di un “mezzo“ per consegiure uno dei
fini indicati dalla norma. Ciò vale anche per l’aggravante dell’aver adoperato sevizie.

L’errore sulla persona dell’offeso

ART. 60 CP.: ERRORE SULLA PERSONA DELL’OFFESO (rileva anche se si tratta di errore o ignoranza dovuti a colpa, che
potevano cioè essere evitati con la dovuta diligenza)

L'errore può consistere:


- nell'identità della persona offesa (es.: l'agente crede di uccidere Tizio, mentre in realtà si tratta di Caio);
- l'agente si rappresenta esattamente l'identità della persona offesa, ma ignori i rapporti che intercorrono tra lui e la
vittima (es. Tizio vuole uccidere e uccide Caio, e solo successivamente viene a sapere che Caio era suo padre).
- in un errore sui mezzi di esecuzione del reato (ex art. 82 c.p. aberratio ictus) (es. l'agente vuole uccidere Tizio ma per errore di
mira uccide Caio);

205
 CIRCOSTANZE AGGRAVANTI: art. 60 co 1 c.p.“nel caso di errore sulla persona offesa da un reato, non sono
poste a carico dell’agente le circostanze aggravanti che riguardano le condizioni o qualità della persona
offesa, o i rapporti tra offeso e colpevole“.

Es.: l’agente crede che la persona che vuole uccidere ,e uccide effettivamente, sia Tizio, mentre in realtà si tratta di Caio, suo padre ; non si applicherà
l’aggravante dell’omicidio commesso contro l’ascendente, a norma dell’art 577 c.p. Trattandosi di una circostanza aggravante relativa ai rapporti tra
colpevole e offeso!
Oppure si pensi a chi ingiuri una persona credendo fosse Tizio, invece si tratta di Caio, un pubblico ufficiale: l’aggravante dell’aver commesso il fatto
contro un p.u., non si applica, in quanto circostanza che riguarda le condizioni o qualità della persona offesa.

 CIRSOTANZE ATTENUANTI: art. 60 co. 2 c.p. "Sono invece valutate a favore dell'agente le circostanze
attenuanti, erroneamente supposte, che concernono le condizioni, le qualità o i rapporti predetti".
Contempla l'ipotesi in cui, a seguito di un errore sulla persona offesa, l'agente supponga di trovarsi in presenza di una situazione che
integrerebbe una circostanza attenuante relativa alle qualità o condizioni personali dell'offeso ovvero ai rapporti tra colpevole ed
offeso.
In DEROGA alla generale irrilevanza del 'putativo' nella sfera delle circostanze, la circostanza attenuante
erroneamente supposta viene valutata a favore dell'agente.

Es Tizio percuote Caio, ritenendo erroneamente che si tratti di Mevio, autore dell’immotivato spintone che ha fatto ruzzolare Tizio per una scala;
Tizio beneficierà dell’attenuante della provocazione per aver“ reagito in stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui “,anche se la circostanza
della provocazione , circostanza relativa ai rapporti tra colpevole ed offeso,esisteva in relazione non alla vittima, bensì a una persona diversa.

 Art. 60 co. 3: "Le disposizioni di questo art. non si applicano, se si tratta di circostanza che riguardano l'età o
altre condizioni o qualità fisiche o psichiche, della persona offesa".
Per questo gruppo di reati opererà l’art 59 c.p. e cioè,
 le attenuanti si applicheranno solo se oggettivamente esistenti
 le aggravanti possono essere poste a carico dell’agente, solo a condizione che, l’errore in cui è
caduto l’agente, sia dovuto a colpa.

Per effetto del RINVIO ESPRESSO contenuto NELL'ART. 82 (aberratio ictus) OFFESA DI PERSONA DIVERSA DA QUELLA
ALLA QUALE L’OFFESA ERA DIRETTA l'articolo 60 è ad esso applicabile.
“Quando per errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato, o per un'altra causa, è cagionata offesa a persona
diversa da quella alla quale l'offesa era diretta, il colpevole risponde come se avesse commesso il reato in danno della
persona che voleva offendere“ .
Es. Tizio, volendo uccidere Caio, uccide invece Sempronio, suo padre, per un errore di mira determinato da colpa. Non
si applicherà l'aggravante dell'articolo 577 n. 1 (ergastolo)!

L'applicazione degli aumenti o delle diminuzione di pena

A. ART. 63 co. 1 c.p. UNA SOLA CIRCOSTANZA se è presente nel caso concreto una sola circostanza
aggravante o attenuante, l'art. 63.1 c.p. impone al giudice di procedere come segue: "Quando la legge
dispone che la pena sia aumentata o diminuita entro limiti determinati, l'aumento o la diminuzione si opera
sulla quantità di essa, che il giudice applicherebbe al colpevole, qualora non concorresse la circostanza che
fa aumentare o diminuire".

La determinazione della pena dovrà perciò avvenire con un giudizio bifasico:


1) nella prima fase, il giudice quantificherà la pena per il reato semplice (secondo i criteri di commisurazione
indicati dall'art. 133 c.p.);

206
2) nella seconda fase, procederà all'aumento o alla diminuzione di pena conseguente alla circostanza.
Queste due fasi dovranno emergere nella sentenza, dove dovrà essere indicata, sia la pena per il reato semplice, sia la
misura dell'aumento o della diminuzione, operati per effetto della circostanza, aggravante o attenuante.
Però, bisogna specificare che le circostanze per loro stessa natura, attribuiscono particolare rilevanza a connotazioni
del reato o della personalità del suo autore, già di per sé riconducibili a questo o quel criterio di commisurazione della
pena ,ex articolo 133.
Dunque ,la circostanza aggravante o attenuante, in ragione del rapporto di specialità che intercorre con il
corrispondente criterio di commisurazione della pena ex art. 133 c.p., mette "fuori gioco" tale criterio: nel senso che
tale criterio potrà essere applicato, solo per aspetti diversi da quelli isolati dal legislatore, e assunti ad oggetto della
circostanza.
Es. l'aggravante della bigamia specifica il generale criterio di commisurazione della pena delle modalità dell'azione già all'articolo 556 co 2; dunque il
giudice dovrà tenere conto solo delle "modalità dell'azione diverse dall'induzione in errore"!

Il giudice non potrà fare una doppia valutazione dello stesso elemento, sia nella determinazione della pena-base, cioè
della pena che applicherebbe per il reato semplice, sia ai fini dell'aumento o della diminuzione di quella pena.

Nel caso in cui la norma di legge che prevede la singola circostanza non specifichi la misura dell'aumento della
diminuzione di pena, essa sarà operata dal giudice, attraverso la scomposizione della fattispecie astratta della
circostanza in una scala di sotto fattispecie, individuando il suo grado di intensità:

Per effetto dell'aumento determinato da una sola circostanza aggravante


 la pena per il reato semplice dovrà essere aumentata o diminuita
 fino a un terzo nel caso di circostanza a efficacia comune
 oltre un terzo nel caso di circostanza a effetto speciale

 la pena della reclusione da applicarsi non può superare gli anni 30; 
alla pena dell'ergastolo è sostituita la reclusione da 20 a 24 anni;

Se la cicostanza presente nel caso concreto è o autonoma (cioè prevede una specie di pena diversa da quella
prevista per il reato semplice , individuando un apposita cornice edittale )
o o indipendente (cioè quelle in cui la legge prevede una cornice di pena diversa da quella prevista per il reato
semplice)
il giudice sceglierà la pena all’interno del nuovo spazio edittale, utilizzando i criteri di commisurazione della pena di
cui all’art 133 c.p. ; quindi il giudizio non sarà bifasico, ma il giudice valuterà complessivamente sia la gravità del
reato, che la capacità a delinquere del colpevole .

B. ART 63 co 2 c.p IL CONCORSO OMOGENEO DI CIRCOSTANZE


se concorrono più circostanze tutte aggravanti o tutte attenuanti, e per ciascuna di esse è previsto un
aumento o, rispettivamente, una diminuzione di pena fino ad 1/3,
"l'aumento o la diminuzione di pena si opera nella quantità di essa risultante dall'aumento, o dalla diminuzione
precedente".
In altre parole, una volta calcolato l'aumento o la diminuzione di pena, per una sola circostanza, sulla pena
così determinata, il giudice effettuerà l'ulteriore aumento o l'ulteriore diminuzione, e così via.

La pena risultante dagli aumenti o dalle diminuizioni conseguenti al concorso di più circostanze a efficacia comune
soggiace ad una serie di LIMITI , fissati rispettivamente dagli art 66 e 67 c.p

 se concorrono PIÙ AGGRAVANTI , la pena non può superare


 il triplo massimo stabilito dalla legge per il reato
 gli anni 30 se si tratta di reclusione ,
 gli anni 5 se si tratta di arresto,

207
 i 10.329 € se si tratta di multa e i 2.065 € se si tratta di ammenda.
 Se concorrono PIÙ ATTENUANTI , la pena non potrà essere inferiore: 
a 10 anni, in caso di pena punita con l'ergastolo
 a 1/4 della pena, in caso di più attenuanti a efficacia comune

Nel caso una circostanza a efficacia speciale concorra con una o più circostanza a efficacia comune ( tutte aggravanti o tutte
attenuanti) secondo l’art 63 co. 3 , il giudice applicherà per prima la circostanza a efficacia speciale e sulla pena così
determinata, procederà successivamente all’aumento o alla diminuizione, fino a un terzo, per la circostanza a efficacia
comune.

L’art 63 ai commi 4 e 5 , disciplina l’ipotesi in cui concorrano più circostanze a efficacia speciale, tutte aggravanti o tutte
attenuanti.
In tali ipotesi, vige il principio di sussidarietà, quindi :
se si tratta di circostanze aggravanti si applica solo la pena stabilita per la circostanz più grave; se si tratta di
circostanze attenuanti si applica solo la pena meno grave stabilita per le predette circostanze. Non si tratta di un
assorbimento totale, perchè la legge attribuisce al giudice la facoltà, caso per caso, di aumentare fino a 1/3 la pena
così determinata.

C. IL CONCORSO ETEROGENEO DI CIRCOSTANZE


Si ha quando un reato sia corredato, in concreto, da due o più circostanze, una o alcune delle quali aggravanti
e l'altra, o le altre attenuanti.
In tal caso il giudice deve procedere al bilanciamento delle circostanze concorrenti, che può avere un
triplice esito:
1) “la prevalenza“ delle attenuanti sulle aggravanti: in tal caso il giudice applica soltanto le relative
diminuzione di pena, non tenendo conto delle aggravanti;
2) “la prevalenza“ delle aggravanti sulle attenuanti: in tal caso il giudice non tiene conto delle
attenuanti e opera solo gli aumenti di pena per le aggravanti;
3) “l'equivalenza“ delle une con le altre : in tal caso il giudice applicherà la pena che avrebbe inflitto se
non fosse stata presente alcuna circostanza.

La legge non fornisce nessun CRITERIO per orientare il giudice nella valutazione comparativa delle circostanze
concorrenti l':
 È pacifico che tale criterio non possa essere fornito dal numero delle circostanze da bilanciare in quanto le
circostanze non vanno "scontate", ma "pesate".
 Secondo giurisprudenza, il giudizio di bilanciamento comporterebbe una valutazione complessiva della
gravità del reato e della capacità a delinquere dell‘agente: ma anche tale criterio non è praticabile in quanto
il bilanciamento va operato solo fra circostanze;
 Secondo la dottrina il giudizio di bilanciamento comporterebbe il riferimento alla intensità delle circostanze
(se ad es. una circostanza aggravante è presente nel caso concreto, così da meritare l'aumento di pena nella misura massima, tale
circostanza prevale su un'attenuante, che di per sé meriterebbe una diminuzione nella misura minima): tale criterio può però
soccorrere solo in alcuni limitati casi, nello specifico quelli in cui concorrano due circostanze a efficacia
comune;

DI REGOLA quindi il bilanciamento risulta affidato alla "libera e incontrollata discrezionalità del giudice", alla sua
"capacità di intuizione": da qui, le critiche mosse dalla dottrina al legislatore, che ha cercato di "umanizzare" il sistema
penale, attraverso una delega in bianco alla discrezionalità del giudice.
Gli effetti del giudizio di bilanciamento si producono, oltre che sulla pena da infliggere in concreto, anche su altri
istituti, la cui applicabilità è correlata alla misura della pena inflitta: è il caso ad esempio dell'amnistia impropria o
dell'indulto, nonché delle pene accessorie.

208
Per contro, il bilanciamento non influisce su istituti che non si ricollegano al quantum di pena inflitta: ad esempio la
perseguibilità d'ufficio prevista per l'ipotesi aggravata da un determinato delitto, resta ferma anche se tale circostanza aggravante viene divisa del
diritto di bilanciamento, per la prevalenza o l'equivalenza riconosciuta ad un'attenuante.

Il giudizio di bilanciamento alla luce dell’art 69 co. 4 c.p riformato dalla legge Cirielli (giudizio di prevalenza ede
quivalenza) si applica anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole e a qualsiasi altra circostanza
per la quale la legge stabilisca una pena di specie diversa, o determini la misura della pena in modo
indipendente da quella ordinaria del reato.
Vi sono delle ECCEZIONI.
Circostanza inerenti alla persona del colpevole: una disciplina speciale è dettata per 3 circostanze aggravanti.
a) Recidiva reiterata
b) Determinazione al reato di persona non imoutabile o non punibile
c) L’aver determinato al reato un minore di anni 18 o una persona in stato di infermità o
deficienza pschica ovvero l’essersi avvalso di una di tali persone per commettere un delitto
per il quale è previsto l’arresto in flagranza
QUANDO SIA PREVISTA UNA DI TALI AGGRAVANTI ,l’art 69 co.4 c.p. stabilisce il divieto delle circostanze
attenuanti, secondo la Cass. I l divieto opera solo quando il giudice applichi l’aggravante.

ART. 68 c.p. Il concorso apparente di circostanze

Si profila quando “una determinata situazione (circostanza) è riconducibile sotto più norme che prevedono (quelle)
circostanze del reato, con la conseguenza che sarà applicabile una sola di esse“ (art. 68 c.p.).

Vi sono 2 ipotesi di concorso apparente di circostanze:


1) Una data circostanza è in rapporto di specialità rispetto ad un'altra: in tal caso, il giudice applicherà la sola
circostanza speciale (art. 15 c.p.);
2) Non sussistendo tra le due norme un rapporto di specialità, una circostanza aggravante o attenuante
"comprende in sé" un'altra aggravante o un'altra attenuante: in casi di questo tipo si applica soltanto la
circostanza che importa il maggior aumento di pena (se si tratta di circostanza aggravante), o soltanto la
circostanza che importa la maggiore diminuzione di pena (se si tratta di circostanza attenuante).
es. si pensi alla circostanza aggravante dell'articolo 577 co 1 n. 1 l'aver commesso un fatto di omicidio doloso contro l'ascendente o il
discendente e a quella dell'articolo 61 n. 11 l'aver commesso il fatto un abuso di relazioni domestiche o con abuso di relazioni di
coabitazione.
La presenza di una situazione che integra la seconda circostanza è in concreto strettamente funzionale all'uccisione dell'ascendente del
discendente; l'aggravante dell'articolo 577 è una "circostanza eventualmente complessa" rispetto all'aggravante comune dell'articolo 61; è
una circostanza che comprende in sé quest'ultimo aggravante.

ART. 61 c.p. LE CIRCOSTANZE AGGRAVANTI COMUNI previste nel codice penale

Sono quelle che possono accompagnarsi ad un numero indeterminato di reati, ossia a tutti quei reati con i quali non
siano incompatibili:
1. L’aver agito per motivi abietti o futili
2. L’avere commesso il reato per eseguire od occultarne un altro, ovvero per conseguire o assicurare a sè il profitto o il
prezzo , ovvero l’impunità di un altro reato

209
3. L’aver, nei delitti colposi, agito nonostante la previsione dell‘evento
4. L’avere adoperato sevizie , o l’avere agito con crudeltà verso le persone
5. L’avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la
pubblica o la privata difesa
6. L’avere il colpevole commesso il reato durante il tempo in cui si è sottratto volontariamente alla esecuzione di un
mandato o di un ordine di arresto o di cattura o di carcerazione, spedito per un precedente reato
7. L’avere, nei delitto contro il patrimonio , o che comunque offendono il patrimonio, ovvero nei delitti determinatidi lucro,
cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di rilevante gravità
8. L’avere aggravato o tentato di aggravare le conseguenze del delitto commesso
9. L'avere commesso il fatto con abuso dei poteri, o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o un pubblico
servizio, ovvero alla qualità di ministro di un culto.
10. L'avere commesso il fatto contro un pubblico ufficiale o una persona incaricata di un pubblico servizio, o rivestita della
qualità di ministro del culto cattolico o di un culto ammesso nello Stato, ovvero contro un agente diplomatico o consolare
di uno Stato estero, nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni del servizio.
11. L’avere commesso il fatto con abuso di autorità o di relazione domestiche , ovvero con abuso di relazioni d’ufficio, di
prestazioni d’opera, di coabitazione o di ospitalità
11. ter: L’avere commesso un delitto contro la persona ai danni di un soggetto minore o nelle adiacenze di istruzione o di
formazione
11. quater : L’avere il colpevole commesso un delitto non colposo durante il periodo in cui era ammesso ad una misura
akternativa alla detenzione in carcere.

1) "L'aver agito per motivi abietti - cioè ignobili - o futili", cioè sproporzionati rispetto al reato al quale ha dato
origine. Per 'motivo' si intende la causa psichica della condotta, cioè l'impulso che induce il soggetto ad agire o
ad omettere di agire.è un aggravante non appliacabile a chi sia affetto da vizio parziale di mente se l’impulso
ad agire trova la propria origine nella anomalia pschica del soggetto.trattandosi di una circostanza soggettiva
concernenete i motivi a delinquere nel quadro del concorso di perssone è applicabile ai sensi dell’art 118 c.p.
soltanto alla persona animata da quel motivo.

2) "L'aver commesso il reato per eseguirne (reato-fine aggravante teleologica) od occultarne un


altro(aggravante consequenziale), ovvero per conseguire o assicurare a sé o ad altri il profitto o il prezzo,
ovvero l'impunità di un altro reato"; per la configurazione di tali aggravanti è sufficiente che l’agente
commetta il reato per no degli scopi suddetti non rileva che poi il soggetto non commetta il reato-fine o non
consegua lo scopo che si è prefisso.

3) "L'aver, nei delitti colposi, agito nonostante la previsione dell'evento" ("colpa cosciente ");
L’agente si rappresenta come seriamente possibile il verificarsi dell’evento ma ritiene per colpa che quell’evento non si
realizzerà nel caso concreto e ciò in quanto per leggerezza sottovaluta laprobabilità del suo verificarsi ovvero
sopravvaluta le proprie o altrui capacità.
È apllicabile nei delitti.nelle contarvvenzioni il giudice terrà conto sotto il profilo del grado della colpa.è applicabile
anche nei casi di eccesso colposo nelle acuse di giustificazione quando l’agente si rende conto che la sua difesa
potrebbe provocare un evento lesivo sproporzionato all’aggressione e ritenga per leggerezza che quella previsione non
avverrà.;all’ipotesi di erronea supposizione di commettere un fatto in presenza di una causa di giustificazione ad es
quando l’agente abbia previsto la possibilità dell’inesistenza di un aggressione da cui difendersi ma per leggerezza
abbia concluso che l’aggressione era reale.trattandosi di circostanza soggettiva concernente il grado della colpa nel
concrso di persone è valutata soltanto nei confronti della persona a cui si riferisce.

4) "L'aver adoperato sevizie, o l'aver agito con crudeltà verso le persone"; 'sevizia' è ogni sofferenza fisica
inferta alla vittima che non è necessaria per la commissione del reato, ma esprime una scelta da parte
dell'agente8 tortura , lento dissanguamento). Agisce "con crudeltà verso le persone" chi infligge alla vittime o
a un terzo una sofferenza morale, rivelatrice di mancanza di umanità.

210
5) "L'avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona tali da ostacolare la pubblica o la privata
difesa";situzioni nelle quali la vittima non può aadeguatamnete difendersi (minorata difesa), dovuta a una
circostanza di tempo(pubblica calamità, mancanza di energia elettrica..) circostanza di luogo (assenza di tutti
gli abitanti del palazzo a ferragosto)circostanza di persona(uno stato di particolare inferiorità della
vittima(ubriachezza, età giovane)
6) "L'avere il colpevole commesso il reato durante il tempo in cui si è sottratto volontariamente alla
esecuzione di un mandato o di un ordine di arresto o di cattura o di carcerazione, spedito per un precedente
reato"; precisandosi che l'agente deve sottarsi volontariamente al l'esecuzione dei provvedimenti restrittivi,
l'aggravante risulta applicabile solo se l'agente sia a conoscenza di essere ricercato, un accertamento che va
fatto dal giudice xaso per caso.

7) "L'avere, nei delitti contro il patrimonio, o che comunque offendano il patrimonio, ovvero nei delitti
determinati da motivi di lucro, cagionato alla persona offesa del reato un danno patrimoniale di rilevante
gravità"; si applica ai delitti(tre tipi) e non alle contarvvenzioni.la rilevante gravità del danno va valutata
secondo un criterio oggettivo offerto dal avlore intrinseco della cosa e va valutato al momento consumativo
del reato, non è applicabile al delitto tentato e quindi al danno potenziale.

8) "L'aver aggravato o tentato di aggravare le conseguenze del delitto commesso";

9) "L'aver commesso il fatto con abuso dei poteri, o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione
o un pubblico servizio, ovvero alla qualità di ministro di un culto";
L’abuso di poteri o la violszioni die doveri devono essere inerentia quella qualifica;vi deve eessere almeno un nesso
occasionale, cioè l’esecuzione del reato deve essere resa possibile o quanto meno agevolata dalle attribuzioni
dell’agente; devono essere realizati consapevolmenete( questa è una deroga alla disciplina generale dell’imputazione
delle circostanze aggravanti dell’art 59 c.p. e tale circostanza non è applicabile a quei reati dove l’abuso di poteri o la
violazione die doveri inerentia una pubblica funzione è elemento costitutivo del fatto ad es. Il pubblico u. nel delitto di
concussione.

10) "L'avere commesso il fatto contro un pubblico ufficiale o una persona incaricata di un pubblico servizio, o
rivestita della qualità di ministro del culto cittadino o di un culto ammesso nello Stato, ovvero contro un
agente diplomatico o consolare di uno Stato estero, nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni o
del servizio"; è necessario che venga commesso in un momento in cui la vittima sta esercitando le proprie
funzioni o per una causa inerente alle sue funzioni.tale aggr esige la consapevolezza da parte dellìagente della
qualità personale del soggetto passivo in deroga all’ar 59 c.p. e l’aggressione o deveeessere lementocostitutivo
di un autonoma figura di reato ad es come nell’oltraggio a p.u.

11) "L'aver commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni
d'ufficio, di prestazioni d'opera, di coabitazione o di ospitalità";da rilievo a situazioni di particolare
vulnerabilità del bene giuridico derivanti da relazioni interpersonali che possono facilitare la commissione di
un reato

11 ter) "L'aver commesso un delitto contro la persona ai danni di un soggetto minore all'interno o nelle adiacenze di
istituti di istruzione o di formazione";
È una circostanza che non si applica ai casi di violenza sessuale aggravata su minori di cuiiall’art 69 ter per i quali è
prevista un apposita aggravante di tenore identica a quella in esame.

11 quater) "L'avere il colpevole commesso un delitto non colposo durante il periodo in cui era ammesso ad
una misura alternativa alla detenzione in carcere".
Non è applicabile al delitto di evasione in quanto trovandosi in uno stato di detenzione presso il proprio domicilio se ne
allontani in qnt lo stato di detenzione è elemento costitutivo del fatto di evaione .l’aggravante è applicabile nel caso in

211
cui dopo l’allontanamento dal domicilio , il domicilio il condannato commetta un reato diverso dall’evasione come ad
es una rapina.

L’aggravante della clandestinità è stata ritenuta illegittima dalla corte costituzionale, in quanto comportava a parità di
condizioni, un trattamento discriminatorio dello straniero irregolare in violazione dell’art 3 della costituzione.

CIRCOSTANZE AGGRAVANTI COMUNI previste in leggi speciali:

con il limite dell’incompatibilità alle altre circostanz e aggravanti comuni.


 Misure urgenti per la tutela dell’ordine democratico e della sicurezza pubblica: per i reati commessi per
finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico punibili con pena diversa dall’ergastolo la pena è
aumentata della metà salvo che la circostanza sia elemento costitutivo del reato
 Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenzaa e buon andamento della
attività amministrativa prevede che pr i delitti punibili con pena iversa dall’ergastolo commessi avvalendosi
delle condizioi previste nell’art416 bis c.p.(associazione di tipo mafioso) la pena è aumentata da un terzo alla
metà.
 In materia di discriminazione razziale o etnica la pena è aumentata fino alla metà
 Ratifica ed esecuzione delle convenzioni delle nazioni unite per il crimine transnazionale per i reati puniti con
la pena della reclusione non inferiore a a 4 anni la pena è aumentata da un terzo alla metà
Sono circostanze a effetto speciale che in caso di concorso con circostanze attenuanti non partecopano al giudizio di
bilanciamento.

ART. 62 C.P. CIRCOSTANZE ATTENUANTI COMUNI

1. L‘aver agito per motivi di particolare valore morale o sociale


2. L’aver agito nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui
3. L’aver agito per suggestione di una folla in tumulto quando non si tratti di riunioni o assembramenti vietati dalla legge o
dall’autorità e il colpevole nonè delinquente o contravventore abituale o professionale o delinquente per tendenza
4. L’avere nei delitti contro il patrimonio cagionato un danno patrimoniale di speciale tenuità ovvero nei delitti determnati
da motivi di lucro , l’avere agito per consegiure o l’avere comunque conseguito un lucro speciale tenuità quando anche
l’evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità."
5. "L'essere concorso a determinare l'evento, insieme con l'azione o l'omissione del colpevole, il fatto doloso della persona
offesa"
6. "L'avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di esso, e, quando sia possibile,
mediante le restituzioni; o l'essersi, prima del giudizio, adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere le
conseguenze dannose o pericolose del reato";

1) "L'aver agito per motivi di particolare valore morale o sociale"; per 'motivi di particolare valore morale' si
debbono intendere motivi che ricevono un apprezzamento pienamente positivo nell'intero gruppo sociale o in una
parte di esso; quanto poi ai 'motivi di particolare valore morale', si tratta di motivi rispondenti, in un certo momento
storico, agli obiettivi proprio della società nel suo insieme;

212
2) "L'avere agito in stato d'ira, determinato da un fatto ingiusto altrui"; questa circostanza attenuante,
normalmente designata come 'provocazione', dà rilievo a uno stato emotivo che incide, indebolendola, sulla volontà di
commettere il fatto di reato e quindi comporta una minore intensità del dolo. Per 'stato d'ira' si intende un'edizione
che genera impulsi aggressivi non contenibili con i normali freni inibitori. Da sottolineare che tra lo stato d'ira e la
commissione di reato deve intercorrere un rapporto di causalità;

3) "L'avere agito per suggestione di una folla in tumulto, quando non si tratta di riunioni o assembramenti
vietati dalla legge o dall'Autorità, e il colpevole non è delinquente o contravventore abituale o professionale, o
delinquente per tendenza"

4) "L'avere, nei delitti contro il patrimonio cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di
speciale tenuità, ovvero, nei delitti determinati da motivi di lucro, l'avere agito per conseguire o l'avere comunque
conseguito un lucro di speciale tenuità, quando anche l'evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità "; la
'speciale tenuità' del danno patrimoniale deve essere valutata in primo luogo secondo un criterio oggettivo, offerto dal
valore intrinseco della cosa, indipendentemente dalle condizioni economiche della persona offesa. Delle condizioni
economiche della vittima si terrà conto, invece, nei casi in cui il danno patrimoniale sia oggettivamente modesto, ma
non risulti tale nel caso concreto perché la vittima è persona in condizioni economiche particolarmente disagiate;
5) "L'essere concorso a determinare l'evento, insieme con l'azione o l'omissione del colpevole, il fatto doloso
della persona offesa"; agli occhi del legislatore, il reato risulta meno grave quando alla sua realizzazione abbia
contribuito volontariamente con una propria condotta la vittima del reato.
Per integrare questa circostanza attenuante occorre, in primo luogo, che la persona offesa, con la sua condotta, abbia
contribuito a realizzare il fatto di reato. In secondo luogo, va chiarito che anche la formula 'doloso' con la quale la legge
qualifica il "fatto della persona offesa" non può essere presa alla lettera: la legge fa riferimento in questo caso al
carattere volontario della condotta della vittima.

6) "L'avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di esso, e, quando sia
possibile, mediante le restituzioni; o l'essersi, prima del giudizio, adoperato spontaneamente ed efficacemente per
elidere le conseguenze dannose o pericolose del reato";

ART. 62 bis LE CIRCOSTANZE ATTENUANTI GENERICHE

Sono quelle la cui individuazione è rimessa alla discrezionalità del giudice; si tratta di "circostanze diverse da quelle
previste dall'art. 62 c.p.", che , il giudice può prendere in considerazione qualora le ritenga tali da giustificare una
diminuzione di pena.

La norma in esame è stata oggetto di riforma ad opera della LEGGE CIRIELLI 251/05 e successivamente del DECRETO
SICUREZZA 125/08.
1. Il primo comma afferma che: "il giudice, indipendentemente dalle circostanze previste dall'articolo 62, può
prendere in considerazione altre circostanze diverse, qualora le ritenga tali da giustificare una diminuzione
della pena. Esse sono in ogni caso considerate come una sola circostanza che concorrerà con una o più
circostanze indicate dall'articolo 62.
2. Ai sensi del secondo comma: viene imposto al giudice, chiamato a valutare l'applicabilità delle attenuanti
generiche, di non tener conto dei criteri da cui desumere la gravità del reato previsti dall'articolo 133 (in
particolare l'intensità del dolo, la capacità a delinquere) nel caso in cui colui che deve essere condannato, appartenga
alla categoria dei cosiddetti recidivi speciali, intendendosi colui che abbia, già da recidivo, commesso taluno
dei gravi delitti elencati nell'articolo 407 del codice di procedura penale, purché siano punibili con la
reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni (omicidio, strage, banda armata, sequestro di persona a fini estorsivi).

Dunque viene imposto al giudice, chiamato a valutare l'applicabilità delle attenuanti generiche, di non tenere conto dei
criteri da cui desumere la gravità del reato. Il divieto di valutare positivamente questi criteri, per un verso introduce

213
una sorta di presunzione negativa, ma porta anche a considerare quali unici criteri valutabili in relazione a questi
soggetti le modalità dell'azione e la gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato.

Si ritiene quindi che se il giudice ritenga in questi casi, di applicare le attenuanti generiche, debba procedere ad una
motivazione rafforzata, concernente la sussistenza di elementi di valutazione positiva tale da prevalere su quelli
presuntivamente negativi.

L'intento del legislatore è stato quello di rendere più difficoltosa l'applicabilità delle attenuanti generiche, attraverso
una riduzione dei margini di discrezionalità del giudice attraverso un indiretto inasprimento del trattamento
sanzionatorio a carico di soggetti particolarmente pericolosi.

Allo stesso tempo però è parso irragionevole sottrarre all'organo giudicante importanti strumenti valutativi
potenzialmente idonei anche a penalizzare i soggetti indicati nella previsione .cioè la riforma appare censurabile perché
preclude parametri di valutazione utili per adeguare la sanzione al caso concreto e alle caratteristiche della persona.

Non è infatti comprensibile il fatto che debba escludersi a priori la possibilità di valutare in un recidivo speciale la
sussistenza di un dolo meno grave o di motivi a delinquere relativamente positivi;
3. il terzo comma è stato inserito dal decreto sicurezza numero 125 del 2008 il quale dispone che:
"in ogni caso, l'assenza di precedenti condanne (l'incensuratezza) per altri reati a carico del condannato non
può essere, per ciò solo, posta a fondamento della concessione delle circostanze di cui al primo comma".

La previsione mira ad imporre al giudice un percorso giustificativo nella sua decisione impedendogli l'applicazione
automatica dell'istituto, largamente diffuso nella prassi, fondate sulla incensuratezza del reo.
Quindi questa continua a essere l'elemento suscettibile di riesame da parte del giudice che dovrà tenerne conto
insieme alla capacità a delinquere dell'imputato e agli altri elementi di cui all'articolo 133 nell'ambito di una valutazione
complessiva degli elementi presi in considerazione e sui quali deve essere parametrata la decisione sulla concessione
delle attenuanti generiche.

Quindi entrambi i correttivi, quello della ex CIRIELLI 251 / 2005 e quello del DECRETO SICUREZZA hanno l'obiettivo di
impedire che la minaccia della sanzione penale effettuata in sede di redazione della fattispecie criminosa ad opera del
legislatore perda di effettività ,vanificando il duplice ruolo di orientamento delle scelte del cittadino e di disincentivo al
crimine rivestito dalle norme penali, obiettivo perseguito dal legislatore con previsioni finalizzate a porre un freno
all'indiscriminata benevolenza giudiziaria nel concedere in modo quasi automatico taluni benefici.

Quindi se il giudice ritiene di concedere o negare le attenuanti generiche, deve dare ragione del corretto esercizio di
questo potere con un'adeguata motivazione che giustifichi la riduzione della pena sulla base di indicazioni che non siano
vaghe e generiche.

Il giudice, però, non potrà considerare come attenuanti generiche situazioni che siano incompatibili con il tenore di
una norma che prevede una circostanza attenuante tipica.

Le attenuanti generiche dovranno essere applicate secondo lo schema del giudizio bifasico. Inoltre, le attenuanti
generiche, in caso di concorso con circostanze aggravanti, entrano nel giudizio di bilanciamento.
La concessione delle attenuanti generiche è del tutto svilcolata da una valutazione complessiva della gravità del reato e
della capacità a delinquere dell‘agente . conseguendo all’individuazione nel caso concreto di un singolo dato
attenuante.
Entrano nel giudizio di bilanciamento delle circostanze etrogenee, in caso di concorso con circostanze aggravanti. E
possono concorrere con una o più circostanze elencate nell’art 62 c.p. circ att. Comuni e anche con quelle diverse da
tale articolo.

Nella recidiva reiterata (è obbligatoria) la concessione delle att. Generuche soggiace a DUE LIMITI:
1) Non può fondarsi sull’intensità del dolo

214
2) Il giudice non la può concedere in ragione di un grado particolarmente basso di capacità a delinquere nè in
relazione a uno die singoli criteri elencati nell’art 133 (motivi a delinquere e carattere del reo)
Con il decreto sicurezza si è escluso che solo perchè un soggetto sia incensurato , automaticamente si possa aapplicare
l’attenuante generica .

Con sentenza n 183 del 2011 la corte costituzionale ha dichiarando parzialmente illeggittimo l’art. 62 bis nella
parte in cui nonprevedeva e lasciava al giudice valutare e aapprezzare la condotta tenuta dal colpevole nel periodo
successivo alla commissione del reato del recidivo, in quanto in contrasto con il principio di ragionevolezza e di
rieducazione del condannato art 27 cost.
La concessione delle attenuanti generiche non potrà più essere motivata soltanto con l’assenza di precedenti
condanne , la motivazione dovrà fare riferimento anche ad altri elementi che agli occhi del giudice meritano una
attenuazione della pena.

Le circostanze aggravanti e attenuanti inerenti alla persona del colpevole

215
La capacità a delinquere (cosiddetta capacità criminale)
Consiste nella disposizione o inclinazione dell'individuo a commettere fatti contrari alla legge penale: serve a
graduare la responsabilità per calcolare, quindi, la pena da applicare per il reato commesso.

Varie teorie sono state elaborate sul concetto di capacità criminale:



parte della dottrina, incentra l'indagine sul passato, ossia sul reato commesso;

altra parte identifica la capacità a delinquere, nell'inclinazione dell'individuo a commettere reati e, quindi
la probabilità che, in futuro ponga in essere, azioni criminose.

Ai sensi dell'art. 133 co 2, la capacità a delinquere del soggetto va desunta da una serie di elementi, dei quali,

taluni si riferiscono al reato commesso, altri invece ne prescindono. Tali elementi sono:

i motivi a delinquere: il movente cioè è la causa psichica della condotta umana, ossia l'impulso, l‘istinto o
il sentimento che ha spinto l'individuo ad agire;

il carattere del reo: l‘art 133 fa riferimento al carattere, nella sua accezione più ampia, comprensiva di
tutte le componenti della personalità;

i precedenti del reo, e in genere, la sua vita anteatta: vengono in rilievo tutti i precedenti giudiziari, cioè
le condanne penali riportate, ma anche fatti criminosi soggetti all'amnistia, le assoluzioni per prescrizione,
per mancanza o remissione di querela, e in generale, tutti gli aspetti che offrono utili indicazioni sulla
capacità criminale dell'individuo.

Il comportamento contemporaneo e successivo al reato: ad esempio deve ritenersi indice di particolare
capacità criminale, l'aver commesso il delitto con indifferenza o cinismo;
così come sono anche significativi comportamento posteriore e la condotta processuale;

l'ambiente: l'ambiente di vita, esercita una notevole influenza sulla personalità del soggetto, e quindi,
sulla sua inclinazione al delitto.

La pericolosità è quindi un modo di essere del soggetto, da cui si deduce la probabilità o meno, che egli commetta

nuovi reati; è socialmente pericolosa la persona, anche se non imputabile o non punibile, che ha commesso un

reato o un "quasi reato", quando è probabile che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati.

Dunque la PERICOLOSITÀ SOCIALE va intesa come una forma meno intensa di capacità a delinquere, ossia come
una rilevante attitudine di una persona a commettere un reato;

la CAPACITÀ A DELINQUERE è rivolta verso il futuro, concretandosi in un giudizio sulla possibilità che l'individuo,
commetta in avvenire, fatti delittuosi.

216
La pericolosità risulta cardine del sistema delle misure di sicurezza; influisce sulla qualità e sulla misura della pena;

esercita un ruolo decisivo ai fini della concessione della sospensione condizionale della pena, del perdono

giudiziale, della liberazione condizionale.

Nel nostro ordinamento la pericolosità deve essere accertata di volta in volta dal giudice: la legge 663/86 ha

abrogato l’art. 204, eliminando tutte le cd. Ipotesi di "pericolosità presunta".

FORME SPECIFICHE DI PERICOLOSITÀ CRIMINALE:

§ La recidiva
§ l'abitualità criminosa
§ La professionalità nel reato
§ La tendenza a delinquere

 LA RECIDIVA art. 99 cp (totalmente riformulato dalla L. 251/2005, nota come legge Cirielli)

La recidiva è la condizione personale di chi, dopo essere stato condannato con sentenza passata in giudicato, per un
delitto non colposo, ne commette un altro.

La recidiva è una circostanza aggravante soggettiva, inerente alla persona del colpevole (non si comunica ai
concorrenti nel reato ai sensi dell’art. 118).
Al pari di ogni altra circostanza, la recidiva partecipa al giudizio di bilanciamento, ma non può soccombere alle
circostanze attenuanti concorrenti: iIl giudice cioè dovrà considerare la recidiva reiterata prevalente, o al massimo,
equivalente rispetto alle attenuanti.

Consta di DUE ELEMENTI:

 Commissione di un delitto non colposo dopo che il soggetto è stato condannato con sentenza definitiva per
un precedente delitto non colposo. art. 99 co. 1 ; la LEGGE CIRIELLI 251/05 , ha irrigidito e inasprito il
trattamento della recidiva: ha estromesso dalla sfera applicativa dell’istituto, i delitti colposi e le
contravvenzioni, anche se commesse con dolo.

217
Per il configurarsi della recidiva non basta che si commetta un delitto non colposo dopo averne commesso un altro:
 è necessario che la commissione del primo delitto, sia stata accertata con una sentenza di condanna passata
in giudicato,
 e tale giudicato si sia formato prima della commissione del nuovo delitto
 Non è necessario che alla condanna sia seguita l'esecuzione, totale o parziale, della pena:
infatti l’art 99 richiede che il soggetto sia stato condannato, e quindi dà rilievo anche alle sentenze di applicazione della
pena su richiesta delle parti ( cd sentenze di patteggiamento), alle condanne per le quali è intervenuta l’amnstia impropria ,
l’indulto o la grazia, nonchè alle condanne riportate all’estero e riconosciute in italia.

 Il nuovo delitto deve inoltre denotare sia una maggior colpevolezza (il soggetto deve cioè apparire
particolarmente riprovevole per essersi dimostrato insensibile all'ammonimento derivante dalla precedente
condanna), sia una accentuata capacità a delinquere (il che non si verifica, secondo la Corte di Cassazione,
quando il nuovo reato tragga origine da situazioni contingenti ed eccezionali, ovvero sia stato commesso dopo un lungo
intervallo di tempo dal reato precedente, o abbia natura radicalmente diversa da quest'ultimo).
Perché la commissione del nuovo delitto, possa denotare nel caso concreto, insensibilità all'ammonimento derivante
dalla precedente condanna, è necessario che l'agente sia a conoscenza di quella condanna.

L’accertamento della maggiore colpevolezza è rimasto affidato alla discrezionalità del giudice, anche in seguito alla
riforma del 2005, cd. Aacoltatività della recidiva tuttavia il giudice è giuridicamente vincolato a determinati criteri
(soggetto riprovevole e insensibile all’ammonimento derivante dalla precedente condanna + maggior colpevolezza e
accentuata capacità a delinquere).

Secondo la Corte di Cassazione, Il giudice deve verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito, sia effettivo
sintomo di riprovevolezza e pericolosità, tenendo conto della natura dei reati, qualità dei comportamenti, margine di
offensività delle condotte.

L'ipotesi di recidiva obbligatoria sono ora previste soltanto nell'articolo 99 al 5° co, limitatamente ad una gamma di
delitti di particolare gravità.

Esistono tre tipologie di recidiva:

 RECIDIVA SEMPLICE Art. 99 co 1 c.p si ha quando, dopo aver riportato condanna per un reato,
l'agente ne commette un altro, di qualsiasi specie e gravità, a oltre 5 anni dalla condanna precedente.
In tal caso il giudice, qualora ravvisi nel caso concreto il secondo requisito della recidiva, sulla pena che infliggerebbe
per il reato semplice, opera un aumento fino ad 1/3.

 RECIDIVA AGGRAVATA Art. 99 co2 cp.


comporta l'aumento fino alla metà della pena che il giudice infliggerebbe per il reato semplice, in tre ipotesi
• recidiva specifica: se il nuovo delitto non colposo è della stessa indole (caratteri fondamentali comuni) di quello
precedente;
• recidiva infraquinquennale: se il nuovo reato è stato commesso nei cinque anni dalla condanna precedente.
• recidiva vera e finta: se il nuovo reato è stato commesso durante o dopo l'esecuzione della pena, ovvero
durante il tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente alla esecuzione della pena.

Si parla di
 recidiva monoaggravata, se ricorre una sola delle circostanze enunciate (art. 101 cp. : include „reati della stessa
indol, che sono non soltanto quelli che violano una stessa disposizione di legge, ma anche quelli che, pur essendo
preveduti da disposizioni diverse , per la natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li determinano, presentano
caratteri comuni.“)
 recidiva pluriaggravata, ove concorrano più circostanze: l'aumento di pena può essere fino alla metà.

218
 RECIDIVA REITERATA Art. 99 co. 3 cp.
si ha quando chi è già recidivo, commette un nuovo delitto non colposo.
La misura dell'aumento di pena varia a seconda della forma di recidiva ritenuta nella precedente condanna:
 se si tratta di recidiva semplice, l'aumento è della metà;  se si tratta di recidiva aggravata,
l'aumento è di 2/3.

Il presupposto è una precedente condanna,con la quale il soggetto sia stato sottoposto all’aumento di pena; per esser
considerato recidivo, deve esserlo stato in concreto!

Ai fini della recidiva reitarata, vale anche una precedente condanna nella quale l’aumento sia stato neutralizato
nell’ambito del giudizio di bilanciamento delle circostanze, in quanto il giudice abbia ritenuto equivalenti o prevalenti
sulla recidiva una o più circostanze attenuanti.

Ai fini della recidiva reiterata, così come anche per la recidiva pluriaggravata ,il giudice deve accertare, nel caso
concreto, la sussistenza di un accentuata colpevolezza e capacità a delinquere : dunque gli aumenti di pena hanno
CARATTTERE FACOLTATIVO, infatti, esaminando l’art 99 c.p , solo al comma 5, è previsto che l’aumneto di pena per la
recidiva sia obbligatorio per delitti particolarmente gravi (previste dall’art. 407 co 2 C.p.p.), come l’associazione
mafiosa, strage,omicidio, banda armata, rapina aggravata, estorsione aggravata…

A ciascuna delle forme di recidiva facoltativa contemplata nei primi 4 commi dell'articolo 99 (semplice, aggravata
monoaggravata e pluriaggravata-, reiterata) il 5° co affianca altrettante forme di recidiva obbligatoria, sottoposte di
regola, agli stessi aumenti di pena previsti per le corrispondenti ipotesi di recidiva facoltativa (fino alla metà); una
DEROGA è stabilita solo per la recidiva obbligatoria monoaggravata, per la quale l'aumento di pena spazia da 1/3 alla
1/2.
( In tali casi l'aumento di pena è obbligatorio, a prescindere dal tipo di recidiva, e, in caso di recidiva aggravata, è
disposto un minimum di incremento sanzionatorio, pari a un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto)
EFFETTI DELLA RECIDIVA

Il principale effetto è l’aumento della pena principale, che il giudice infligerebbe per il reato semplice, che sono
dopo la riforma del 2005, presenti in misura fissa ( 1/3 , 1/2) a parte l’ipotesi di recidiva monoaggravata è discrezionale
(fino alla metà, a norma dell'articolo 99 co 2 cp; per i delitti di cui all’art. 407 cpp, l’aumento varia da un terzo alla metà
Tale aumento è sottoposto ad un limite massimo, segnato dal "cumulo delle pene risultante dalle condanne
precedenti alla commissione del nuovo delitto non colposo".
Es. Tizio ha riportato una prima condanna a sei mesi di reclusione e una seconda condanna di tre anni: l’aumento della pena non può superare i
sei mesi della prima condanna e non potrà applicarsi l’aumento di un terzo della seconda condanna ,che sarebbe pari a 1 anno di reclusione. Di
conseguenza si infligeranno3 anni e 6 mesi di reclusione.

La corte di Cassazione ha stabilito che, qualora il giudice abbia escluso la recidiva, avendo accertato che la

reiterazione dell’illecito non è in concreto sintomo di un accentuata riprovevolezza e pericolosità, così come non va

operato l’aumento di pena , nemmeno si producono gli ulteriori effetti che la legge ricollega alla recidiva.

219
Inoltre chi sia stato condannato con l’aggravante della recidiva, non può fruire della forma di detenzione domiciliare,

a favore di cului che, al momento dell’inizio dell’esecuzione della pena o dopo l’inizio della stessa, abbia compiuto i

70 anni di età.

In caso di recidiva aggravata o reiterata non si applicano l'amnistia, l'indulto e la prescrizione della pena;

mentre la prescrizione del reato, la liberazione condizionale e la riabilitazione sono sottoposte a condizioni più

restrittive di quelle ordinarie.

La recidiva reiterata è sottoposta a un trattamento meno favorevole: nel diritto processuale penale il recidivo è

escluso dal patteggiamento, non può essere ammesso alla sospensione dell’ordine di esecuzione della pena

detentiva; nel diritto penitenziario non possono essere concessi permessi- premio, detenzione domiciliare

esemilibertà,l’affidamento in prova al servizio sociale.

Altre circostanze inerenti alla persona del colpevole : L'IMPUTABILITÀ

si tratta sia di circostanze attenuanti, sia di circostanze aggravanti che comportano una diminuzione o un aumento
fino a 1/3 della pena che dovrebbe essere inflitta per il reato semplice. Anche esse partecipano al giudizio di
bilanciamento.

E‘ prevista una circostanza attenuante per chi, nel momento in cui ha commesso il fatto:
§ era affetto da vizio parziale di mente;
§ era affetto da sordomutismo, quando il sordomutismo comporti una capacità di intendere o di volere
grandemente scemata;
§ aveva un'età compresa tra i 14 e 18 anni, ed è stato riconosciuto imputabile;
§ si trovava in stato di ubriachezza o sotto l'azione di sostanze stupefacenti derivante da caso fortuito o da forza
maggiore, e tali da scemare grandemente la capacità di intendere o di volere;
§ era affetto da cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti tali da scemare grandemente la
capacità di intendere o di volere;
§ è prevista una circostanza aggravante per chi, nel momento in cui ha commesso il fatto:
§ si trovava in stato di ubriachezza ovvero sotto l'azione di stupefacenti preordinate al fine di commettere il reato
o di prepararsi una scusa;
§ si trovava in stato di ubriachezza abituale o era dedito all'uso di sostanze stupefacenti.

220
 ABITUALITÀ CRIMINOSA artt. 102 e 103
è la condizione personale di chi, con la sua persistente attività criminosa, dimostra di avere acquisito una notevole
attitudine a commettere reati.

Il legislatore ha previsto due specie di abitualità:

 abitualità presunta (articolo 102) che si ha quando il reo:


- è stato condannato alla reclusione in misura superiore complessivamente a 5 anni per 3 delitti non
colposi della stessa indole, commessi non contestualmente entro 10 anni
- riporta un'altra condanna per un delitto non colposo della stessa indole e commesso entro i 10 anni
successivi all'ultimo dei delitti precedenti. La pronunzia ha natura dichiarativa
 Abitualità ritenuta dal giudice (articolo 103) che si ha quando:
- il reo è stato condannato per due delitti non colposi
- riporta un'altra condanna per delitto non colposo
- il giudice, tenuto conto della specie e gravità dei reati, del tempo entro il quale sono stati commessi, della
condotta e del genere di vita del reo e delle altre circostanze indicate dall'articolo 133, ritiene che il colpevole
è "dedito al delitto".
La pronunzia ha natura costitutiva
Conseguenze della dichiarazione di abitualità sono

221
• applicazione della misura di sicurezza dell'assegnazione a una colonia agricola o casa di lavoro per la durata minima di due
anni
• interdizione perpetua dai pubblici uffici
• divieto della sospensione condizionale della pena
• inapplicabilità dell'amnistia e indulto del decreto non dispone diversamente
• esclusione della prescrizione delle pene per i delitti
• incremento del termine stabilito per ottenere la riabilitazione  espiazione della pena in stabilimenti speciali.

 LA PROFESSIONALITÀ NEL REATO art. 105


l'art. 105 richiede per l'esistenza della professionalità che il reo:

 riporti una condanna, trovandosi già nella condizione richiesta per la dichiarazione di abitualità
 viva abitualmente dei proventi del reato (esempio ricettatore di professione)

 LA TENDENZA A DELINQUERE
è “la speciale inclinazione al delitto che trovi la sua causa nell'indole particolarmente malvagio del colpevole”.
Condizioni oggettive per la sua dichiarazione sono che:

§ il reo abbia commesso un delitto doloso o preterintenzionale


§ che si tratti di delitto che offenda la vita o l'incolumità individuale
§ che tale delitto rilevi la “tendenza a delinquere”
Tale tendenza può essere dichiarata solo con sentenza di condanna, alla quale conseguono, l'applicazione della misura
di sicurezza dell'assegnazione a una colonia agricola o a casa di lavoro, per la durata minima di 4 anni, nonché gli altri
effetti propri della dichiarazione di abitualità o professionalità.

222
Capitolo 13 Le pene: tipologia, commisurazione, esecuzione, estinzione

Concetto di pena

La pena è la sanzione che consegue alla violazione di un precetto penale.

"E‘ la sofferenza (privazione o diminuzione di un bel individuale, in special modo la libertà di movimento) comminata dalla legge
penale e irrogata dall'Autorità giudiziaria, mediante processo, a colui che viola un comando della legge medesima".

La pena ha come carattere essenziale l'afflittività: essa cioè tende a infliggere al soggetto una vera e propria
sofferenza; inoltre è esclusivamente punitiva, cioè non porta ad una riparazione o risarcimento per la violazione
compiuta.
In quanto inflitta dallo Stato, essa è una sanzione pubblica, che si differenzia dalle altre sanzioni pubbliche per 2
caratteri: è applicata dall'autorità giudiziaria e con le forme e le garanzie del processo penale.

Il principale problema teorico che pone la pena criminale è quello relativo al suo FONDAMENTO: ci
si chiede, perché sia necessario ricorrere ad una sanzione, non risarcitoria, ma afflittiva?
a tale domanda rispondono LE TEORIE DELLA PENA (capitolo 1)

Secondo la dottrina moderna, ad ogni fase della dinamica della pena corrisponde una sua funzione che è :
 quella della prevenzione generale, e cioè dell'intimidazione, nella fase edittale
 quello della retribuzione e della emenda, nella fase giudiziale
 quello della intimidazione e della rieducazione, nella fase dell'esecuzione

L'articolo 27 Cost. conferma che la FUNZIONE DELLA PENA è soprattutto, nella fase in cui è irrogata ed eseguita,
quella della emenda e della rieducazione del condannato: infatti l'articolo sull'esposto dispone che : "Le pene non
possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato".
La funzione rieducativa della pena emerge anche nella fase esecutiva della pena (si pensi all'organizzazione del lavoro
nell'interno dello stabilimento penale, alla remunerazione corrisposta ai reclusi per il lavoro compiuto, al sistema progressivo di esecuzione penale
che implica una graduale attenzione delle limitazioni imposte dal detenuto, man mano che il suo miglioramento si manifesta)

Decisive nella definizione della funzione della pena sono state le sentenze della corte costituzionale 364/88 e 313/90,
nel far rispettare il principio di proporzione, tra qualità e quantità della sanzione da una parte, e offesa dall'altra.

I caratteri della pena

§ La pena è personalissima: essa colpisce solo l'autore del reato secondo quanto prescritto dall'art. 27 cost.
Secondo cui: "La responsabilità penale è personale".
§ Legalità della pena, cioè la sua applicazione è disciplinata dalla legge, per cui:
• la pena è inflitta solo nei casi stabiliti dalla legge (nulla poena sine lege)
• l'applicazione della pena è devoluta all'autorità giudiziaria, la quale la infligge con la garanzia del procedimento
penale
• La pena inflitta può essere revocata solo nei casi stabiliti dalla legge, cioè solo in virtù di un a norma di legge o
dell'esercizio di una prerogativa sovrana (amnistia, indulto, Grazia).
§ La pena è inderogabile, cioè una volta minacciata per un determinato fatto, è sempre applicata all'autore
della violenza; tuttavia notevoli deroghe si hanno con gli istituti della liberazione condizionale, del perdono giudiziale,
nonché riguardo ai minori.

223
§ La pena è proporzionata al reato: esistono tuttavia delle deroghe: o è
previsto l'aumento di pena per i recidivi
o l'obbligo per il giudice di tenere conto, nel corso dell'applicazione della pena, non solo della gravità del reato, ma
anche della criminalità virtuale del soggetto.

All'interno della categoria delle PENE, nella legislazione italiana si possono individuare 4 sottocategorie:

1) pene principali;
2) pene sostitutive di pene detentive;
3) pene derivanti dalla conversione di pene pecuniarie; 4) pene accessorie.

A queste classi di pene, si aggiunge una serie di altre conseguenze giuridiche della condanna, che
il legislatore designa non come pene, bensì come effetti penali della condanna.

1) Le PENE PRINCIPALI art. 17 c.p.

Le pene principali si caratterizzano per essere inflitte dal giudice con la sentenza di condanna, art.
20 c.p.” le pene principali sono inflitte dal giudice con sentenza di condanna”.
Le pene principali, ad eccezione di quelle previste per i reati di competenza del giudice di pace, assolvono alla funzione di
identificare i reati, distinguendoli da ogni altra categoria di illeciti

TIPOLOGIA

"Le pene principali stabilite per i DELITTI sono: Le pene principali stabilite per le CONTRAVVENZIONI
[pena di morte] eliminata anche nel diritto penale di guerra nel sono:
1994 dalla L. 589 (art. 27. 4 Cost)  L'arresto;
§ L'ergastolo;  L'ammenda".
§ La reclusione; §
La multa.

A queste pene principali si aggiungeva la ULTERIORI PENE PRINCIPALI sono:


per i reati militari, la reclusione militare


per i reati attribuiti alla competenza del giudice di pace,
la permanenza domiciliare (da eseguirsi nei giorni di sabato e domenica, per un periodo non inferiore a 6

giorni, nè superiore a 45) e il lavoro di pubblica utilità (non retribuito in favore della collettività,
nella provincia di residenza, con modalità e tempi non pregiudizievoli dell'esigenza di lavoro, studio, famiglia e
salute del condannato, per un periodo non inferiore a 10 giorni nè superiore a 6 mesi.

224
QUANTO AL BENE SUL QUALE INCIDONO, si distingue tra:

- Pene principali DETENTIVE o (RESTRITTIVE DELLA LIBERTÀ PERSONALE): ergastolo, reclusione, arresto,
reclusione militare;
- Pene principali PECUNIARIE: multa, ammenda;
- Pene limitative della libertà personale: permanenza domiciliare, lavoro di pubblica utilità;

- PENE DETENTIVE :  possono essere sostituite

L’ERGASTOLO
E‘ una pena detentiva prevista per alcuni delitti
 contro la personalità dello Stato,
 contro l'incolumità pubblica e
 contro la vita;

Art. 22 c.p. : ”la pena dell’ergastolo è perpetua , ed è scontata in uno degli istituti a ciò destinati, con l’obbligo del
lavoro e con l’isolamento notturno. Il condannato all’ergastolo può essere ammesso al lavoro all’aperto.“

Il suo ambito di applicazione si è dilatato per effetto della progressiva sostituzione alla pena di morte.
In caso di concorso di reati, l'ergastolo si applica anche quando concorrono più delitti, per ciascuno dei quali deve
infliggersi la pena della reclusione non inferiore a 24 anni.
Art 73.2 c.p. concorso di reati che importano pene detentive temporranee o pene pecuniarie della stessa specie : ”l’ergastolo si
applica anche quando concorrono più delitti, per ciascuno dei quali deve infliggersi la pena non inferiore a 24 anni”.

Di regola, "la pena dell'ergastolo è perpetua": tuttavia, l'art. 176.3 c.p.. prevede la possibilità di essere ammesso alla
liberazione condizionale ”il condannato all’ergastolo può essere ammesso alla liberazione condizionale, quando abbia
almeno scontato 26 anni di pena“. (DEROGA ALLA PERPETUITÀ).

L’ ordinamento penitenziario riconosce che tale termine può essere ulteriormente abbreviato (45 giorni per ogni
semestre di pena scontata), come riconoscimento della partecipazione prestata dal condannato all’opera di rieducazione.
D'altro canto, la riforma penitenziaria del 1986 ha consentito che il condannato all'ergastolo possa essere ammesso,
dopo l'espiazione di 10 anni di pena, ai permessi premio, nonché, dopo 20 anni, alla semilibertà.

Nel computo di tali termini si tiene conto delle eventuali riduzioni di pena, se tali riduzioni sono accordate per l’intero
periodo dell’esecuzione il condannato per es. potrà aspirare alla liberazione condizionale dopo aver scontato 21 anni e
essere ammesso alla semilibertà dopo dopo 16 anni e 20 giorni e ai permessi premio dopo 8 anni e 10 giorni.. Ma se,
la condanna all’ergastolo è pronunciata per i delitti di sequestro di persona a scopo di terrorismo o eversione o a
scopo di estorsione, che abbiano cagionato la morte della vittima, il termine per l’ammissione alla semilibertà è elevato
a 26 anni effettivi, secondo l’ord. Penitenziario.

Si sottolinea il carattere obbligatorio del lavoro.


Tuttavia, il condannato può esser ammesso al lavoro all’aperto, ma tale possibilità, può essere concessa ai condannati
per i delitti più gravi, solo se, sono stati acquisiti elementi tali, da escludere l'attualità di collegamenti con la criminalità
organizzata o eversiva.
Il lavoro all’esterno fuori dell’istituto di pena, può essere ammesso solo dopo che abbia scontato almeno 10 anni di
pena.
La pena dell'ergastolo viene scontata in "case di reclusione".

225
PROBLEMI DI LEGITTIMITA‘ COSTITUZIONALE
L'ergastolo è da tempo oggetto di seri dubbi di legittimità costituzionale: identificandosi il concetto costituzionale di
rieducazione con la restituzione al condannato dell'idoneità a vivere nell'ambiente sociale, una pena che, per il suo
carattere di perpetuità, escluderebbe a priori il ritorno del condannato nella società sembra urtare contro il principio
sancito nell'art. 27.3 Cost. Ddella rieducazione).
La Corte costituzionale ha però ripetutamente respinto questioni di legittimità di questo tenore, affermando la
legittimità dell'ergastolo in relazione all'art. 27.3 Cost. sulla base di un duplice ordine di considerazioni:

• da un lato, negando che "funzione e fine della pena sia il solo riadattamento dei delinquenti",

• dall'altro rilevando che l'istituto della liberazione condizionale consente il reinserimento dell'ergastolano nel
consorzio civile.

E con sentenza 168/94 ha ribadito il proprio orientamento affermando che la pena dell’ergasolo, attualmente, non
riveste più i caratteri della perpetuità, e ha dichiarato l’illegittimità degli art 17 e 22 c.p. “nella parte in cui non
escludono l’applicabilità della pena dell’ergastolo al minore imputabile“.

Anche parte della dottrina ha sollevato questione di legittimità costiituzionale in relazione al carattre fisso dell’ergastolo, che si
porrebbe in contrasto con i principi di eguaglianza , colpevolezza e rieducazione.
Tale dubbio di legittimità secondo la Corte può essere superato a condizione che, per la natura dell’illecito sanzionato e per la
natura della sanzione prevista, quest’ultima appaia ragionevolmente proporzionata rispetto all’intera gamma di comportamenti,
riconducibile allo specifico tipo di reato.

LA RECLUSIONE E L‘ ARRESTO

Art 23 c.p. Reclusione: ”la pena della reclusione si estende da 15 giorni a 24 anni, ed è scontata in uno degli istituti a ciò
destinati con l’obbligo del lavoro e con l’isolamento notturno.
Il condannato alla reclusione che ha scontato almeno 1 anno della pena, può essere ammesso al lavoro all’aperto”.

Art. 25 c.p. Arresto : “la pena dell’arresto si estende da cinque giorni a tre anni, ed è scontata in uno degli istituti a ciò
destinatio in sezioni speciali con l’obbligo del lavoro e con l’isolamento notturno.
Il condannato all’arresto può essere addetto a lavori anche diversi da quelli organizzati nell’istituto, avuto riguardo alle
sue attitudini e alle sue precedenti occupazioni.“

Gli art 23 e 25 c.p. fissano limiti invalicabili al giudice, in sede di commisurazione della pena, che possono essere
derogate solo per espressa deroga prevista dal legislatore .
Nei casi espressamente determinati dalla legge, il giudice può superare il tetto massimo di pena, ma
la reclusione non può comunque eccedere i 30 anni e l'arresto i 6 anni.

La reclusione (per i delitti) e l'arresto (per le contravvenzioni):


pene detentive temporanee; le differenze sono marginali e sono di contenuto.
La reclusione "si estende da 15 giorni a 24 anni"; l'arresto "si estende da 5
giorni a 3 anni".

Va sottolineato che tali minimi e massimi non vincolano il legislatore, che rimane libero di prevedere minimi più bassi
o massimi più elevati per singole figure di reato.

226
Art. 132 co. 2 c.p. Potere discrezionale del giudice nell’applicazione della pena:
limiti: ”nell’aumeto o nella diminuizione della pena non si possono oltrepassare i limiti stabiliti per ciascuna specie di pena, salvi i casi
espressamente determinati dalla legge”

Art. 64 co. 2 c.p. Aumento di pena nel caso di una sola circostanza aggravante ”la pena della reclusione per effetto dell’aumento non
può superare i 30 anni.“

Art. 66 co. 1 c.p. Limiti agli aumenti di pena nel caso di concorso di più circostanze aggravanti ”se concorrono più circostanze
aggravanti, la pena da applicare per effetto degli aumenti non può superare il triplo del massimo stabilito dalla legge per il reato ,
salvo che si tratti delle circostanze aggravanti o attenuanti, né comunque eccedere gli anni 30 se si tratta di reclusione, gli anni 5 se si tratta di
arresto“.

Art 78 co.1 e 2. c.p. Limiti degli aumenti delle pene principali ” Nel caso di concorso di reati che importano pene detentive
temporanee o pecuniarie della stessa specie, la pena da applicare a norma dello stesso articolo, non può essere superiore al quintuplo
della più grave delle pene concorrenti, né comunque eccedere 30 per la reclusione ,6 anni per l’arresto, nel caso di reati che
comportino pene detentive di specie diversa, la durata delle pene da applicare non può superare gli anni 30.“

PENE LIMITATIVE DELLA LIBERTA‘ PERSONALE:

Nel 2000 con la L. 274 , il legislatore ha attribuito al giudice di pace la competenza relativa ad una serie di reati previsti
nel codice penale o in leggi speciali (es. guida in stato di ebbrezza, percosse, ingiuria, diffamazione ecc.), anche in materia di
immigrazione:
per tali reati sono previste pene pecuniarie o pene limitative della libertà personale, sulla base di criteri di ragguaglio ,
che tengono conto della sanzione originaria delle singole fattispecie.
Duplice è l'obiettivo perseguito dal legislatore attraverso la previsione di una competenza penale del giudice di pace:
alleggerire il carico gravante sull'autorità giudiziaria ordinaria e ridurre lo spazio delle pene detentive in relazione a reati
magari numericamente frequenti, ma di gravità modesta.

Per raggiungere il secondo obiettivo si sono modificate, con una clausola di parte generale, le pene edittali per
questi reati, prevedendo pene pecuniarie o pene limitative della libertà personale - la permanenza domiciliare e il
lavoro di pubblica utilità - in luogo delle originarie pene della reclusione e dell'arresto, che quindi vanno aggiunte
all’art 17 c.p., applicabili indifferentemente ai delitti e alle contravvenzioni.

PERMANENZA DOMICILIARE: "comporta l'obbligo di rimanere presso la propria abitazione o in altro luogo di privata
dimora ovvero in un luogo di cura, assistenza o accoglimento".
È una pena che si esegue normalmente nei giorni di sabato o domenica, ma su richiesta del condannato può essere
scontata continuativamente e ha una durata compresa tra 6 e 45 giorni; all'obbligo di rimanere presso l'abitazione
può aggiungersi il divieto di accedere a specifici luoghi, nei giorni in cui il condannato non è obbligato alla permanenza
domiciliare.

LAVORO DI PUBBLICA UTILITÀ: (art. 54 d.lgs. 274/2000) "Tale pena è applicabile solo su richiesta dell'imputato e
consiste nella prestazione di attività non retributiva, a favore della collettività,da svolgere presso lo Stato, le regioni, le
province, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato.“

227
Tale richiesta dà vita a un processo di irrogazione bifasico, che comporta, oltre alle funzioni proprie del giudice di
cognizione, anche ampi poteri in tema di modalità esecutive della sanzione.
Il giudice “se ritiene di poter applicare”, ha potere discrezionale limitato ad una prognosi di effettiva prestazione del
lavoro di pubblica utilità.

Questi due nuovi tipi di pena sono espressione di autonomia, in quanto dalla violazione degli obblighi ad essi inerenti,
vi si prevede una nuova fattispecie di reato: la riviviscenza della pena principale. Tuttavia nella prassi del giudice di
pace, trova applicazione la pena pecuniaria.

- PENE PECUNIARIE

A seguito dei correttivi d’importo effettuati dalla L. 94/2009, cd. Pacchetto Sicurezza…

Art. 24 c.p. MULTA : è la pena pecuniaria per i delitti

“la pena della multa consiste nel pagamento allo Stato di una somma non inferiore a 50 né superiore a 50.000 euro. Per
i delitti determinati da motivo di lucro, se la legge stabilisce soltanto la pena della reclusione , il giudice può aggiungere la
multa da 50 a 25.000 euro ”.

Art 26 c.p. AMMENDA: è la pena pecuniaria per le contravvenzioni


”consiste nel pagamento allo Stato di una somma non inferiore a 20 ne superiore a 10.000 euro”.

Con la depenalizzazione, peraltro, si è fatto sempre più ricorso alla sanzione pecuniaria amministrativa. La
funzione delle pena pecuniaria è conforme all’art. 27 co.3 c.p. ( rieducazione), nella forma dell’intimidazione
/ammonimento (ad es anche con la possibilità di aumentare la multa o l’ammenda sino al triplo).

Si tratta di limiti invalicabili dal GIUDICE in sede di commisurazione della pena: il minimo ed il massimo possono essere
derogati dal giudice nei soli casi "espressamente determinati dalla legge".
Il giudice può aumentare la multa e l'ammenda stabilite dalla legge sino al triplo, quando, per le condizioni
economiche del reo, ritenga che la misura massima sia inefficace.

228
Il LEGISLATORE invece non è vincolato ai minimi e massimi, in quanto può, in una legge speciale, punire un delitto con
una multa inferiore o superiore ai limiti prima visti.

Multa ed ammenda possono essere pagate in rate mensili: tale facilitazione può essere accordata dal giudice "in
relazione alle condizioni economiche del condannato".

Il rateizzo può essere accordato a chi,


 si trova in temporanee difficoltà di pagamento,
 al non abbiente
 e a chi si trova in totale impossibilità di pagare in unica soluzione,
 ma anche in situazioni in cui, il mancato frazionamento renderebbe la pena eccessivamente gravosa.

la scelta del giudice deve basarsi su una valutazione relativa, che coinvolge le condizioni economiche del soggetto e
l’ammontare della pena inflitta.

Per espressa indicazione legislativa, le rate hanno cadenza mensile: il loro numero deve essere compreso fra 3 e 30 e
l'ammontare di ciascuna rata non può essere inferiore a € 15.
Nel caso in cui l’ammontare della multa o dell’ammenda sia inferiore a 45 euro, è escluso il rateizzo. In
ogni tempo, il condannato può estinguere la pena, con un unico pagamento.

Nell’ordinamento sono presenti


 pene pecuniarie fisse (indicate nella norma incriminatrice)
 e pene pecuniarie proporzionali
 proprie: il triplo, il doppio;
 improprie: la base fissa + un coefficiente di moltiplicazione (es. ammenda di 50 euro per ogni lavoratore e per
ogni giornata di lavoro).

La conversione delle pene pecuniarie

Se il condannato non è in grado di pagare la somma di denaro dovuta a titolo di multa o di ammenda, la condanna
rischia di risultare pronunciata invano.
L'ordinamento italiano, quindi, prevede l'istituto della conversione della pena pecuniaria.
La pena pecuniaria può essere convertita con la "LIBERTÀ CONTROLLATA" o il "LAVORO SOSTITUTIVO ".

A norma dell'art. 102 co. 3 della L. 689/1981,


 € 25 di pena pecuniaria si convertono, su richiesta del condannato, in un giorno di lavoro sostitutivo,  €
38 di pena pecuniaria si convertono in un giorno di libertà controllata.

L'art. 103 della stessa legge fissa limiti massimi di durata per le sanzioni da conversione.
La durata della libertà controllata non può eccedere
 1 anno e 6 mesi (se la pena convertita è quella della multa),
 i 9 mesi (se la pena convertita è quella dell'ammenda);

229
la durata del lavoro sostitutivo non può in ogni caso
superare

§ i 60 giorni.

Il provvedimento di conversione della pena pecuniaria è adottato dal magistrato di sorveglianza.

In caso di violazione delle prescrizioni inerenti alla libertà controllata o al lavoro sostitutivo, si ha una conversione di
secondo grado: la parte residua di tali pene vine convertita ulteriormente in un eguale periodo di reclusione o di
arresto.

LAVORO SOSTITUTIVO

A norma dell'art. 105 l. 689/1981, "Il lavoro sostitutivo consiste nella prestazione di un'attività non retribuita, a favore
della collettività, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, o presso enti, organizzazioni o corpi di
assistenza, di istruzione, di Protezione civile e di tutela dell'ambiente naturale o di incremento del patrimonio forestale,
previa stipulazione, ove occorre, di speciali convenzioni da parte del Ministero della giustizia, che può delegare il
magistrato di sorveglianza.
Tale attività si svolge nell'ambito della provincia in cui il condannato ha la residenza, per una giornata lavorativa per
settimana, salvo che il condannato chieda di essere ammesso ad una maggiore frequenza settimanale".

Caratteristica di tale prestazione è la gratuità e subordinazione dell’ammissione alla richiesta dell’interessato.


È previsto
• come pena principale per i reati di competenza del giudice di pace.
• Come obbligo al quale può essere subordinata la sospensione condizionale della pena
• Come sanzione sostitutiva della pena detentiva e pecuniaria per per i reati in materia di stupefacenti
commessi da persona tossicodipendente
• Come sanzione amministrativa accessoria in caso di condanna alla pena della reclusione per un delitto colposo
commesso con violazione delle norme del codice della strada.

Per i reati di competenza del giudice di pace, la conversione della pena pecuniaria è peculiare, in quanto accanto al
lavoro sostitutivo, come pena da conversione, è prevista la permanenza domiciliare.
Conversione di secondo grado: se in sede di conversione viene applicato il lavoro sostitutivo e il condannato non
ottemepera ai relativi obblighi, la parte residua di lavoro sostitutivo si converte in permanenza domiciliare.

Il ragguaglio tra pene pecuniarie e pene detentive.

A norma dell'art. 135 c.p., "quando, per qualsiasi effetto giuridico, si deve eseguire ragguaglio fra pene pecuniarie e
pene detentive, il computo ha luogo calcolando € 250, o frazione di € 250, di pena pecuniaria per un giorno di pena
detentiva".

È mutata la gamma di ipotesi per cui, per un qualsiasi effetto giuridico, si deve eseguire un ragguaglio tra pene
pecuniarie e pene detentive.
L‘attuale sistema non utilizza il criterio di ragguaglio, dettato dall’art 135 c.p., infatti dalla pena pecuniaria si
passa alla libertà controlllata o al lavoro sostitutivo , mentre alla pena detentiva si può giungere soltanto

230
attraverso un secondo grado di conversione, da operarsi sulla libertà controollata o sul lavoro sostitutivo.

È stata introdotta però la conversione della pena detentiva con la pena pecuniaria per la quale si tiene conto del
criterio di cui all’art 135 c.p..
Dell’art 135 c.p. si tiene conto, infine, per decidere dell’applicabilità ella sospensione condizionale della pena e della
non menzione della condanna, nel certificato del casellario giudiziale.

Per la successione di norme penali, si tiene conto dell’art 135 c.p. , qualora dopo una sentenza di condanna definitiva a
pena detentiva, intervenga una legge che sanzioni quel reato con la sola pena pecuniaria (art. 2 co.3 cp.)

2) LE PENE SOSTITUTIVE DELLE PENE DETENTIVE

La legge 689/81 prevede che, in alcuni casi, il giudice, in caso di condanna, possa commutare la pena detentiva, da lui
irrogata, in altra sanzione non detentiva; nello specifico, tale decisione può esser mossa da una precisa RATIO:
 la pena detentiva, quando è breve, e inidonea al perseguimento delle sue finalità, rieducativa e punitiva;
 non è opportuno punire con la privazione della libertà fatti che, pur costituendo reato, destano modesto
allarme sociale, e i cui autori, sono facilmente recuperabili alla vita sociale, senza ricorrere alla detenzione

231
 la carcerazione, in special modo per chi vi è assoggettato per la prima volta, può risultare particolarmente
desocializzante per le pericolose influenze tipiche dell'ambiente carcerario.

Dunque, per combattere gli effetti dannosi della pena detentiva breve, si è attribuita al giudice la facoltà di:
 sospendere , per un certo lasso di tempo l’esecuzione della pena inflitta, senza sottoporre il condannato a
obblighi o divieti, né a controlli di sorta (sospensione condizionale della pena)
 creare istituti sospensivi dell’esecuzione della pena detentiva breve, accompagnati da forme più o meno
intense di controllo in libertà (affidamento in prova al servizio sociale), al quale sono state affiancato altre
tipologie di misure alternative alla detenzione quali la detenzione domiciliare e semilibertà.
 sostituire la pena detentiva con una pena pecuniaria.

CONDIZIONI PER LA SOSTITUZIONE sono due le condizioni in cui è subordinata la


sostituzione della pena detentiva breve:
a) occorre che il trattamento sanzionatorio ritenuto dal giudice concretamente irrogabile, rientri entro certi LIMITI
QUANTITATIVI disposti dall' art. 53 co. 1 L. 689/1981

"Il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna, quando ritiene di dover determinare la durata della pena detentiva

 entro il limite di 2 anni, può sostituire tale pena con quella della SEMIDETENZIONE;
 entro il limite di 1 anno, può sostituirla anche con la LIBERTÀ CONTROLLATA;
 entro il limite di 6 mesi, può sostituirla altresì con la PENA PECUNIARIA (multa e ammenda) della specie
corrispondente".

Il legislatore, ha abrogato l'art. 60 della legge 689/81, rubricato "esclusioni oggettive", il quale forniva

un'elencazione di reati sottratti a tale meccanismo sanzionatorio "alternativo" (a prescindere cioè, dalle
concrete valutazioni dell'organo giudicante).
Oggi quindi rientrano figure criminose di grave allarme sociale quali, la corruzione, l'evasione e l'usura, la quale
cosa induce a qualche dubbio sull'opportunità di tale opzione normativa!

Diversi limiti sono previsti per le ipotesi di concorso di reati : infatti nel caso di concorso formale di reato e di reato
continuato, i limiti sono triplicati, in quanto,
 la semidetenzione può sostituire pene detentive fino a 6 anni;
 la libertà controllata: pene detentive fino a 3 anni;
 la pena pecuniaria: pene detentive fino ad 1 anno e mezzo;

e condizione per la sostituzione è che che la pena che il giudice ritiene di dover infliggere per il reato più grave, rientri
tra i limiti dell’art 53 co. 1.

b) Occorre inoltre che il colpevole si trovi in una PARTICOLARE SITUAZIONE SOGGETTIVA specificata dall’art. 59
della L. 689/81
La pena detentiva non può essere sostituita nei confronti di coloro che:

232
 essendo stati condannati a pena detentiva complessiva superiore a 3 anni, hanno commesso il reato
nei cinque anni dall'ultima condanna
(esempio 1°reato: condanna 1 anno, 2° reato: condanna a 6 mesi, ecc. fino a 3 anni e l'ultima è stata entro i cinque anni)
 sono stati condannati più di due volte per reati della stessa indole;
 hanno già goduto della sostituzione o gli è stata revocata
 hanno commesso un reato, mentre si trovavano sottoposti a libertà vigilata o sorveglianza speciale.

Nel processo minorile , il giudice quando ritiene di dover applicare una pena detentiva non superiore ai 2 anni, può
sostituirla con la semidetenzione o la libertà controllata, tenuto conto della personalità e delle esigenze di lavoro o

di studio del minore.

In presenza delle condizioni oggettive e soggettive citate, l'applicazione della sanzione sostitutiva rientra nei poteri
discrezionali del giudice, il quale:
 valuterà tutti i criteri indicati dall'articolo 133
 valuterà la possibilità che il condannato adempia alle prescrizioni impostegli
 sceglierà tra le pena, quella più idonea al reinserimento sociale del condannato

Riguardo al COMPUTO DELLE PENE, ai sensi dell'ultimo co. Dell'art57 della stessa legge,

1 gg di pena detentiva equivale a

1 gg di semidetenzione e a 2 gg di libertà controllata

A proposito del potere discrezionale del giudice nella sostituire della pena detentiva, l'art. 58 co. 1 della suddetta
legge dispone che "il giudice, nei limiti fissati dalla legge e tenuto conto dei criteri

indicati nell'art. 133 c.p (natura , specie mezzi, oggetto, tempoluogo, gravità del danno o del pericolo, intensità del
dolo,motivi a delinquere, precedenti , condotta contemporanea o susseguenteal reatocondizioni di vita individuale, familiare e
sociale del reo) , può sostituire la pena detentiva, e tra le pene sostitutive, sceglie quella più idonea al reinserimento
sociale del condannato".
Vi sono due momenti distinti, fra il momento in cui il giudice deve decidere se sostituire la pena (finalità di
intimidazione ammonimento e non di desocializzazione art 133 c.p) e il momento in cui deve decidere come
sostituirla. Tra i criteri sui quali il giudice può fondarsi, non possono annoverarsi considerazioni di prevenzione
generale.

È precluso al giudice la sostituzione della pena detentiva quando, vi sia motivo di ritenere che le prescrizioni
inerenti alla sanzione sostitutuva, rimarrebbero inadempiute.

La Corte di Cassazione prevede la subordinazione della sostituzione ad una prognosi positiva circa
l’adempimento delle prescrizioni, alla stregua dei criteri indicati nell’art 133 c.p., ma la prognosi di inadempimento si
riferisce solo alle pene sostitutive di quella detentiva, accompagnate da prescrizioni, ossia alla semidetenzione e

233
alla libertà controllata, e non alla pena pecuniaria sostitutiva, che non prevede alcuna particolare prescrizione; ma
il giudice deve specificamente indicare i motivi che giustificano la scelta del tipo di pena irrogata.

Procedimento per l’applicazione delle pene sostitutive

La determinazione delle modalità di esecuzione della semidetenzione e della libertà controllata è rimesso al giudice di
sorveglianza del luogo di residenza del condannato.
Esse sono inflitte dal giudice nella sentenza di condanna ( alla quale equivale anche la sentenza di patteggiamento): il
giudice di cognizione determina la pena detentiva adeguata al caso concreto e, contestualmente, ne dispone la
sostituzione.
L'esecuzione della semidetenzione e della libertà controllata:
1. è sospesa in caso di:
• notifica di un ordine di carcerazione o di consegna
• arresto in flagranza
• fermo o cattura del condannato
• applicazione provvisoria di una misura di sicurezza.
Riprende a decorrere dal giorno successivo a quello della cessazione dell'esecuzione della pena detentiva

2. può essere sospesa:


 per motivi di particolare rilievo, attinenti al lavoro, allo studio, alla famiglia del condannato, per non
più di 7 giorni per ciascun mese di pena,

3. si converte:
per la parte restante di pena, nella pena detentiva sostituita, quando il condannato non adempie anche ad una sola
delle prescrizioni impostegli;
4. è revocata :
 se sono state violate una o più prescrizioni inerenti alla pena sostitutiva,
 nonché in una serie di casi in cui sopravvenga una nuova condanna a pena detentiva per un altro reato,
commesso prima o dopo la condanna, con la quale è stata applicata la pena sostitutiva.

NB. Nei fatti concreti, vengono preferite le misure di sicurezza alle sanzioni sostitutive.

SEMIDETENZIONE
misura privativa pro tempore della libertà personale, che comporta:
 "in ogni caso l'obbligo di trascorrere almeno 10 ore al giorno" in un apposito istituto penitenziario.

A ciò si aggiungono alcune componenti accessorie:

 la sospensione della patente di guida,


 il ritiro del passaporto e la sospensione della validità degli altri documenti validi per l'espatrio,
 il divieto assoluto di detenere armi, munizioni ed esplosivi,

234
 l'obbligo di conservare e di esibire a richiesta della polizia l'ordinanza che determina le modalità di esecuzione
della pena.

LIBERTÀ CONTROLLATA
limitazione della libertà di circolazione del soggetto, che comporta
 "il divieto di allontanarsi dal comune di residenza" , salvo autorizzazione concessa per motivi di lavoro, studio,
famiglia o salute;
 "l'obbligo di presentarsi almeno una volta al giorno presso il locale ufficio di pubblica sicurezza" (comando
dell'Arma dei carabinieri territorialmente competente);
 oltre agli stessi obblighi e divieti ricompresi tra le componenti accessorie della semidetenzione.

Effetti dell’applicazione della sanzione sostitutiva

A norma dell’art. 57 L 689/81 “per ogni effetto giuridico la semidetenzione e la libertà controllata si considerano come
pena detentiva della specie corrispondente a quella della pena sostituita, ad eccezione della pena pecuniaria che si
considera sempre come tale, anche se sostitutiva della pena detentiva”.

Altra misura altrenativa alla detenzione è l’espulsione dello straniero, così come anche il lavoro di pubblica utilità, che il giudice può
applicare in alternativa alla detenzione o alla pena pecuniaria, quando si tratti ad es. di reati di droga di lieve entità, nei confronti di
tossicodipendenti.

LA PENA PECUNIARIA
Il giudice, nel determinare l'ammontare della pena pecuniaria in funzione sostitutiva, individua il valore giornaliero
al quale può essere assoggettato l'imputato (il valore non può essere inferiore a € 250 e non può superare i € 2500) e lo
moltiplica per i giorni di pena detentiva.
Nel procedere a tale determinazione, dovrà tenere conto della condizione economica complessiva dell'imputato e
del suo nucleo familiare.
La pena pecuniaria convertita può essere rateizzata secondo le modalità di cui all'articolo 133 ter Cp. .

Le pene sostitutive vanno tenute distinte dalle misure alternative alla detenzione, in quanto, pur perseguendo la

medesima finalità, quale è quella di limitare il più possibile lo strumento della carcerazione, sono applicate in un

momento antecedente. Infatti:


Le pene sostitutive sono irrogate dal giudice al momento della sentenza, laddove sussistano i requisiti richiesti dalla
legge (entità della pena da infliggere in concreto e tipo di reato per il quale si viene condannati);

235
 Le misure alternative sono invece una modalità di espiazione una condanna già in atto, e possono essere disposte
solo dal magistrato di sorveglianza.

PENE ACCESSORIE

Le pene accessorie si caratterizzano per potersi applicare solo in aggiunta ad una pena principale.

L‘art 19 c.p. ne fornisce un elenco che non ha carattere tassativo.

per i delitti: per le contravvenzioni:


Interdizione dai pubblici uffici Sospensione dall’esercizio di una professione o di un arte
Interdizione da una professione o un arte Sospensione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e
Interdizione legale delle imprese
Interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle
imprese

Comune ai delitti e alle contravvenzione è la pubblicazione della sentenza di condanna.

La maggioranza delle pene accessorie ha contenuto interdittivo (hanno funzione primaria di prevenzione generale e
speciale): comportano cioè il divieto di svolgere determinate attività, di rivestire determinati uffici, di esercitare facoltà
o diritti o, ancora, comportano la cessazione di taluni rapporti (es. interdizione dai pubblici uffici, interdizione da una professione o
da un'arte, interdizione legale ecc..).

Le pene accessorie, di regola, conseguono di diritto alla condanna, senza che sia necessaria un'espressa dichiarazione
in sentenza.

236
Oltre che ad una sentenza di condanna, le pene accessorie possono conseguire anche ad una sentenza di
patteggiamento, purché la pena principale irrogata sia una pena detentiva superiore a 2 anni.

Alcune pene accessorie comportano un margine di dicrezionalità per il giudice in relazione all’applicazione , alla sua
durata e alle modalità esecutive.

Se la pena accessoria è integralmente predeterminata dalla legge, in mancanza di statuizione espressa nella sentenza
di condanna, può essere applicata dal giudice dell’esecuzione, su richiesta del pubblico ministero.

Nel caso in cui con la sentenza di condanna o con la sentenza di patteggiamento, sia applicata la sospensione
condizionale della pena, oltre all'esecuzione della pena principale, è sospesa anche l'esecuzione della pena accessoria.

Durata

Le pene accessorie possono essere perpetue o temporanee.

In quest'ultimo caso la loro durata può essere


 espressamente determinata dalla legge
 ovvero, in assenza di una previsione espressa, è pari a quella della pena principale inflitta, secondo il c.d. principio di
equivalenza (art 37 c.p.)

Se la pena principale inflitta è la multa o l’ammenda, la durata della pena accessoria temporaanea si determina
ragguagliando la pena pecuniaria alla corrispondente pena detentiva, secondo i criteri di cui all’art 135 c.p.
( 250 euro di pena pecuniaria equivalgonoa 1 gg di pena detentiva).

Tuttavia, in nessun caso essa può oltrepassare il limite minimo e massimo stabiliti per ciascuna specie di pena
accessoria ( es. interdizione dai pubblici uffici: limite minimo di un anno e un massimo di 5 anni).

La pena accessoria esplica i suoi effetti una volta terminata l’esecuzione della condanna; infatti l’art 139 c.p.
recita ” nel computo delle pene accessorie tempranee, non si tiene conto del tempo in cui il condannato sconta la
pena detentiva o è sottoposto a misure di sicurezza detentiva, né del tempo in cui egli si è sottratto
volontariamnente all’esecuzione della pena o della misura di sicurezza”.
Eccezione:
interdizione legale e sospensione della potestà di genitori, in quanto si eseguono durante l‘esecuzione della pena
principale.

Se si ha concorso di reati, dai quali conseguono pene accessorie temporanee, l’art 79 c.p. fissa dei limiti:
§ 10 anni per l’interdizionee dai pubblici Uffici
§ 5 anni per la sospensione dell’esercizio di una professione .

Inosservanza delle pene accessorie

Per garantire l'effettività agli obblighi ed ai divieti che ineriscono alle pene accessorie, il legislatore ha creato
l'autonoma figura delittuosa della "inosservanza di pene accessorie", punendo con la reclusione da 2 a 6 mesi chi viola
queste ultime.

Pene accessorie e delitto tentato

237
Un quesito molto dibattuto in dottrina e giurisprudenza verte sull'applicabilità delle pene accessorie, quando siano
previste con riferimento ad un determinato titolo di reato, anche in caso di condanna per delitto tentato.
(Es. tentata violenza sessuale aggravata dalla qualità di genitore articolo 609 ter co. 1 n. 5 cp.

238
Per il quale si pone il problema se, sia applicabile la pena accessoria della perdita della potestà del genitore prevista dall'articolo 609 !)

Secondo la Corte di Cassazione, le pene accessorie possono conseguire sia alla condanna per delitto
consumato, sia alla condanna per delitto tentato, in quanto il delitto tentato è un modo di essere , una particolare

forma di manifestazione delle figure primarie.


“Quando la legge indica una specie di reato per farne dipendere determinati effetti giuridici, l'indicazione deve
infatti riferirsi alla specie tipo, la figura generale del reato, che ne comprende le diverse gradazioni, in tutta la
manifestazione del disegno criminoso, dal tentativo punibile al conseguimento del fine.“

Le singole pene accessorie

 Interdizione dai pubblici uffici (articolo 28 e 29) può essere:


 PERPETUA: consegue di diritto alla:

 Condanna all’ergastolo
 Condanna alla reclusione per un periodo superiore ai 5 anni
 Dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato o tendenza a delinquere

comporta la perdita :

 dei diritti elettorali e di ogni altro diritto politico,  titoli, decorazioni,


 degli uffici di tutore e curatore,  degli stipendi,
 dei gradi,  delle pensioni e assegni a carico di enti ,
 delle dignità accademiche,
salvo che traggano origine del rapporto di lavoro o si tratti di pensioni di guerra.

Per l’applicazione dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici si tiene conto della pena alla quale l’imputato è stato
condannato, cioè quella concretamente comminata, dopo il computo di tutte le attenuanti previste dalla legge, senza
distinzione di merito o di rito.

 TEMPORANEA : consegue di diritto alla


 condanna superiore a 3 anni
 e alla condanna per un delitto realizzato con abuso di poteri
 o con violazione dei doveri inerenti una pubblica funzione o un pubblico servizio.
produce

§ gli stessi effetti di quella perpetua, ma per una durata che va da un minimo di 1 anno a un massimo di 5.

Nel caso in cui il reato del codice penale preveda genericamente tale pena accessoria, senza indicazione di durata, va
intesa come interdizione temporanea, con durata uguale a quella della pena principale inflitta, e comunque non
inferiore ad 1 anno.

239
 Interdizione da una professione o un’arte (articolo 30)
consegue di diritto

 alle condanne per delitto commesso con abuso di una professione  o


con abuso di pubblico ufficio.

Comporta la perdita

 della capacità di esercitare professioni


 arti
 mestieri
 industrie o commerci per cui è richiesta una licenza, un’autorizzazione , un permesso dell’autorità

per un periodo che va da un minimo di 1 mese a un massimo di 5 anni.

 Sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte (articolo 35) consegue


di diritto

 ad ogni condanna per contravvenzione, commessa con abuso della professione o arte, per
la quale è stabilita la pena dell’arresto non inferiore ad 1 anno.

comporta la perdita

 della capacità di esercitare professioni


 arti
 mestieri
 industrie o commerci per cui è richiesta una licenza, un’autorizzazione , un permesso dell’autorità; per
un periodo che va da un minimo di 15 giorni a un massimo di 2 anni

 Interdizione legale (articolo 32)


Consegue di diritto

 alla condanna all’ergastolo


 alla reclusione per un tempo superiore ai 5 anni.

Comporta

 l’incapacità propria dell’interdizione giudiziale (tuttavia non impedisce ai detenuti e agli internati l’esercizio personale dei
diritti che la legge assicura loro), per ciò che concerne la disponibilità e l’amministrazione dei beni, nonchè la
rappresentanza negli atti ad esse relativi.

 decadenza dalla potestà di genitori.

È eseguita contemporanemente alla pena principale.

240
 Interdizione e sospensione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle
imprese (articolo32 bis)
Consegue di diritto

 ad ogni condanna alla reclusione superiore ai 6 mesi, per delitti commessi con abuso dei poteri o violazione dei
doveri inerenti all’ufficio.

Comporta la perdita:

 della capacità di esercitare l’ufficio di amministratore,


 sindaco,
 liquidatore e direttore generale,
 di ogni altro ufficio un potere di rappresentanza della
persona giuridica o dell’imprenditore,
 di dirigente preposto alla redazione dei documenti
contabili societari.

non può avere una durata inferiore a 15 giorni nè superiore


a 2 ann

241
 Incapacità di contrarre con la pubblica amministrazione
(articolo 32 ter e quater modificato dalla legge 300/2000)
consegue di diritto

 alla condanna per delitti commessi in danno o in vantaggio di un’attività imprenditoriale.

Presupposto per l’applicazione sono una seri di ipotesi tassative elenacate nell’art 32 quater:
 Associazione a delinquere di tipo mafioso
 Delitti contro la p.a.: concussione e corruzione
 Delitti contro l’economia (aggiotaggio)
 Delitti contro il patrimonio (usura)

Comporta

 il divieto di contrarre con la pubblica amministrazione e concludere contratti con essa,


salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio.

Ha una durata che va da un minimo di 1 anno a un massimo di 3 ( o comunque, la durata si stabilisce in base al
principio di equivalenza dell’art 37 c.p.).

 Estinzione del rapporto di lavoro o d’impiego (articolo 32 quinquies, introdotto dalla legge
97/2001)
Comporta

 la condanna alla reclusione per un tempo superiore a 3 anni e


 l’estinzione del rapporto di lavoro o di impiego, nei confronti dei dipendenti di
amministrazioni o enti pubblici o di enti a prevalente partecipazione.

 Decadenza dalla potestà dei genitori e sospensione dal suo esercizio (articolo 34) consegue
di diritto alla condanna
 ergastolo;
 Incesto
 Alterazione di stato
 Mutilazione genitali femminili
 Delitti in materia di schiavitù
 Reati sessuali

Comporta

 la perdita dei poteri e diritti che la legge riconosce al genitore, sul figlio;
 la sospensione dall’esercizio di essa, per un periodo di tempo pari al doppio della pena inflitta, con la
conseguente incapacità di esercitare qualsiasi diritto sui beni del figlio;
quando è concessa la sospensione condizionale della pena, gli atti del procedimento vengono trasmessi al tribunale
dei minorenni, che assume i provvedimenti più opportuni nell’interesse dei minori.

La SOSPENSIONE della potestà consegue:


 per un tempo pari al doppio della pena alla condanna per delitti commessi con abuso della potestà di
genitori, e in seguito alla condanna alla reclusione per un tempo superiore ai 5. comporta

 una privazione solo temporanea di tali diritti e poteri;

 Pubblicazione della sentenza penale di condanna (articolo 36)


Salvo che il giudice disponga altrimenti,deve essere ordinata dal giudice ed è fatta mediante inserzione della
sentenza per estratto e per una sola volta, su uno o più giornali, designati dal giudice stesso, a spese del condannato.
Per effetto della riforma del processo civile 69/2009, la pubblicazione della sentenza può essere effettuata sul
sito Internet del Ministero della Giustizia, fino a un tempo massimo di 30 giorni; in mancanza di tale specificazione la
durata è di 15 giorni.

La pubblicazione va ordinata:

• Sempre, in caso di condanna all’ergastolo


• Nei casi tassativamente previsti dalla legge, nelle altre ipotesi di condanna

La condanna all’ergastolo è pubblicata mediante affissione all’albo del comune

 dove è stata pronunciata


 dove il delitto fu commesso
 dove il condannato aveva all’ultima residenza.

Effetti penali della condanna

Sono “ulteriori conseguenze sanzionatorie automatiche di una sentenza definitiva di condanna, incidenti sulla sfera
giuridico-penale del condannato, e la cui operatività è subordinata
• alla commissione di un nuovo reato da parte del condannato
• e all'instaurarsi di un nuovo procedimento penale”

Le pene accessorie sono una species del genus effetti penali della condanna; ma
vi sono delle differenze, in quanto
 gli effetti penali della condanna, hanno una particolare resistenza alle cause estintive della pena, superiore a
quella delle pene accessorie.
(ad es la sospensione condizionale della pena si estende alle pene accessorie, mentre lascia sussistere gli effetti penali della condanna;
l’indulto può estinguere le pene accessorie, ma non gli altri effetti penali della condanna ,
l’amnstia improrpria che intervenga dopo la pronuncia di condanna, fa cessare l’esecuzione della condanna e le pene accessorie, ma
lascia sopravvivere gli effetti penali.)
La Corte di cassazione a sezioni unite afferma che, gli effetti penali della condanna si caratterizzano per essere
”effetti penali della condanna, non effetti della condanna penale”:
§ conseguenza soltanto di una sentenza irrevocabile di condanna;
§ conseguenza che deriva direttamente dalla sentenza di condanna e non da poteri discrezionali della pubblica
amministrazione, ancorchè aventi la condanna, come necessario presupposto per la natura sanzionatoria
236
dell’effetto.

243
Le pene accessorie conseguono alla condanna in modo certo e indefettibile, mentre gli effetti penali della condanna,
danno vita a uno status che si tradurrà in un effettivo pregiudizio per il condannato solo in via eventuale , a
condizione cioè che nei suoi confronti si apra un nuovo pocedimento penale per un altro reato.

Più precisamente , in alcuni casi, lo status di condannato, comporta una preclusione all’applicabilità della sospensione condizionale della pena , del
perdono giudiziale e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.
Essi sono revocati di diritto quando sopravvenga una nuova condanna: la revoca rappresenta un effetto penale della seconda condanna.
Precedenti condanne precludono al soggetto la sostituzione della pena detentiva.
Quanto alla recidiva, solo quella obbligatoria viene considerata effetto penale della condanna, in quanto, le altre sono facoltative.
Tutte le forme di recidiva escludono la detenzione domiciliare per l’ultrasettantenne.
Recidiva aggravata e reiterata: precludono l’applicazione dell’amnstia e dell’indulto; impediscono la prescrizione, rendono più gravose le condizioni
per l’ammissione alla liberazione condizionale e alla riabilitazione Più severo è il trattamento riguardo alla recidiva reiterata .
Per colui che viene dichiarato delinquente abituale si producono una serie di effetti penali della condanna.

La commisurazione della pena

Tranne qualche rarissima eccezione, di regola, la pena per i singoli reati è indicata tra un massimo e un minimo
( cornice edittale) : spetta poi al giudice, caso per caso, determinare la pena da infliggere; egli gode di un potere
discrezionale, pur se è tenuto a indicare, nella motivazione del provvedimento di condanna, le ragioni della sua
concreta determinazione.
La sua discrezionalità non è illimitata, dal momento che è lo stesso legislatore a fissare i criteri per la determinazione
della pena.

Alla pena finale si arriva dunque attraverso un complesso processo, che vede protagonista il giudice: a
tale processo si dà il nome, in dottrina, di commisurazione della pena, distinguendosi tra:

 “commisurazione in senso stretto“: che riguarda la determinazione della specie e dell’ammontare della pena
all’interno della cornice edittale

 “commisurazione in senso lato“: che abbraccia tutti gli ulteriori momenti (come quello dell'applicazione delle pene
sostitutive o delle misure alternative), in cui il potere discrezionale del giudice, concorre a determinare la pena da
eseguirsi in concreto.

La Corte di Cass ha affermato che il potere discrezionale si ravvisa in un apprezzamento (il giudizio è risultato
di un intuizione derivante da una valutazione globale dei fatti accertati, e della personalità del reo), di fatto, non
censurabile in sede di legittimità ovvero insindacabile in Cassazione se è congruamente e logicamente
motivato.

Motivazione sulla specie e sulla misura della pena

In tema di determinazione della pena , quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale , tanto più ha il
doveredi dare ragione del corretto eserciziodel proprio potere discrezionale.
La tendenza giurisprudenziale è nel senso di svuotare di contenuto l’obbligo di motivazione, con l’utilizzo di
formule del tipo “pena congrua“, “pena adeguata“, “pena equa“, ma la Corte di cassazione ha affermato che esse
soddisfano l’obbligo posto dall’art 132 c.p, escludendo quindi, che il poter discrezionale degeneri in arbitrio.

Sporadicamente la Corte di cassazione afferma la necesssità di motivazioni specifiche.


La stessa Corte attribuisce contenuti diversi all’obbligo di motivazione: ad es quando la pena viene applicata nel
minimo, sono sufficienti le tradizionali formule quali ” appare congrua..” quando la pena viene applicata in
misura intermedia (sia in misura superiore al medio edittale), si riconosce all’imputato l’interesse a chiedere una
particolare motivazione “la specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata.“
245
Criteri per la determinazione della pena: art. 133 cp.

La disciplina dell’art. 133, integra , sotto il profilo sostanziale, la disciplina dei poteri discrezionali del giudice
nell’applicazione della pena, dettata dall’art. 132 cp.

Art. 133 cp. enumera una serie di “criteri fattuali “di commisurazione della pena; tace invece, sui “criteri
finalistici“, cioè sui fini della pena, nel momento dell’irrogazione; secondo la Corte Costituzionale “sono la rieducazione del
condannato, entro i limiti della colpevolezza, per il singolo fatto concreto, nel rispetto della dignità della persona del condannato
e del divieto di responsabilità per fatto altrui.“

“Nell'esercizio del suo potere discrezionale di determinazione in concreto la pena , il giudice, deve tenere conto della 
1° co. GRAVITÀ DEL REATO, che va desunta:
• dalle modalità dell'azione,
• dalla gravità del danno o del pericolo cagionati alla persona offesa dal reato,
 dall'intensità del dolo o dal grado della colpa".

 2° co. CAPACITA‘ A DELINQUERE DEL REO (esprime l’attitudine del soggettoa cpmmettere nuovi reati) che va
desunta:
o dai motivi a delinquere e dal carattre del reo, o dai
precedenti penali e giudiziari, o e in genere, dalla condotta
contemporanea o susseguente al reato, o dalle condizioni di vita
individuale, familiare e sociale del reo”.

Il giudice quindi deve tener conto di componenti oggettive e soggettive!

Vengono innanzitutto in considerazione le modalità dell'azione, delle quali il giudice


dovrà valutare la pericolosità e la
riprovevolezza, in relazione alla gamma di condotte riconducibili alla norma
incriminatrice.

Quanto alla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato, va sottolineato che la formula legislativa si
riferisce soltanto alla gravità dell'offesa (danno o pericolo), prodotta al bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, e non
anche ad altre conseguenze dannose della condotta, né all'entità del danno in senso civilistico.

Richiamando l'intensità del dolo, l'articolo invita il giudice a prendere in considerazione:

a) il ruolo che la rappresentazione dell'evento ha avuto nella determinazione ad agire o ad omettere;

b) il grado di complessità della deliberazione che ha portato alla condotta illecita, valutato in primo luogo in base al lasso di tempo

in cui si è perfezionato il processo volitivo;

c) la consapevolezza, da parte dell'agente, dell'antigiuridicità e/o dell'antisocialità del fatto.

Il giudizio sul grado della colpa verterà invece, innanzitutto, sulla misura in cui il soggetto si è discostato dal modello di
comportamento richiesto, in generale, dall'ordinamento, per quel determinato tipo di attività.

246
Le peculiarità della commisurazione delle pene pecuniarie.

In relazione alle pene pecuniarie, la funzione rieducativa assume in via esclusiva la forma
dell'intimidazioneammonimento. La disciplina della commisurazione della pena pecuniaria non si esaurisce però negli
artt. 132 e 133
c.p., ma, a seguito di una riforma realizzata nel 1981, si completa con il disposto dell'art. 133 bis c.p., che, in aggiunta
ai generali criteri della gravità del reato e delle capacità a a delinquere dell'agente, fa spazio alle condizioni
economiche del reo tra i criteri fattuali di commisurazione.

Art. 133 bis c.p.


co 1: "Nella determinazione dell'ammontare della multa o dell'ammenda il giudice deve tenere conto, oltre che dei
criteri indicati dall' art. 133 c.p., anche delle condizioni economiche del reo".

L'articolo non fornisce alcuna definizione delle condizioni economiche del reo, rinunciando ad individuare gli elementi
che concorrono a costituirle.
Nessun dubbio, d'altra parte, che il giudice debba innanzitutto riferirsi al reddito del soggetto al tempo della
condanna.
Il giudice dovrà, inoltre, prendere in considerazione il patrimonio del reo.

Tra le componenti passive delle condizioni economiche del reo, il giudice dovrà tener conto delle obbligazioni

pecuniarie gravanti sul soggetto, in particolare degli obblighi derivanti da reato, degli obblighi di alimenti nei
confronti dei famigliari, dei debiti d'imposta e dei debiti che il soggetto abbia assunto per esigenze essenziali,
proprie o del suo nucleo famigliare.

La Cassazione ha affermato che


 “l’imputato, tratto a giudizio per rispondere di un reato punibile con pena pecuniaria, deve svolgere ogni
difesa in relazione al possibile aumento fino al triplo del massimo della pena edittale ,
 all’accusa spetta l’onere di fornire prova della particolarmente elevata consistenza patrimoniale del reo
 e al giudice l’obbligo di svolgere un ponderato apprezzamento della detta situazione economicopatrimoniale,
dando adeguata e congrua motivazione delle scelte al riguardo operate, nonche degli elemnti sui quali ha
fondato il proprio convincimento“.

L’accertamento di tali condizioni si basa sulle dichiarazioni del soggetto, sotto la propria responsabilità.

l’art 133 bis co. 2 c.p. dispone che : “il giudice può aumentare la multa o l’ammenda stabilite dalla legge sino al
triplo o diminuirle sino ad un terzo quando, per le condizioni economiche del reo, ritenga che
la misura massima sia inefficace (la pena non comporterebbe un apprezzabile sacrificio)
ovvero che la misura minima sia eccessivamente gravosa (comporterebbe un sacrificio intollerabile)

La Corte di Cassazione ha affermato che : l’onere della prova per ottenere la diminuzione grava
sull’imputato, che deve allegare la documentazione ; mentre grava sull’accusa, l’onere della prova della
consistenza patrimoniale del reo.

247
NB. : NATURA GIURIDICA degli aumenti e delle diminuzioni: non sono una circostante ( aggravante o
attenuante), ma un criterio atipico di adeguamento della pena, pertanto non partecipano al giudizio di
bilanciamento delle circostanze ( art. 69 cp.).

L'art. 133 ter ha previsto la possibilità per il giudice, con la sentenza di condanna o con il decreto penale, di disporre
che la multa o l'ammenda venga pagata in rate mensili, da un minimo di 3 a un massimo di 30 rate, ciascuna delle
quali non può essere inferiore a € 15.

Applicazione degli aumenti e delle diminuzioni di pena


La concreta determinazione della pena avviene nel seguente modo:
§ il giudice determina innanzitutto la pena base, fissandola tra il minimo e il massimo della pena edittale prevista
per quel determinato reato;
§ su tale pena base, opera gli aumenti o le diminuzioni, conseguenti all'esistenza di circostanze;
§ sulla pena così aumentata, calcola poi l'ulteriore aumento per l'eventuale recidiva;
§ eventualmente calcola l'aumento conseguente alla continuazione;
§ sulla pena complessivamente ottenuta, infine calcola l'aumento o la diminuzione previsti dall'articolo 133 bis.

 Se la legge non determina l'aumento o la diminuzione della pena, queste, vengono calcolate in questo
modo:
- se si tratta di aggravanti, la pena è aumentata fino a 1/3; -
se si tratta di attenuanti, la pena è diminuita fino a 1/3.

 se concorrono più aggravanti o più attenuanti, ogni aumento o ogni diminuzione si opera sulla quantità di
pena risultante dall'aumento o dalla diminuzione precedente;

 se poi, per una circostanza, la legge stabilisce una pena di specie diversa oppure si tratta di circostanze ad
effetto speciale, l'aumento o la diminuzione per le altre circostanze, non si opera sulla pena ordinaria del
reato, ma su quella stabilita per la circostanza anzidetta; nel caso in cui concorrono più circostanze di
questo genere, si applica soltanto rispettivamente la pena stabilita per la circostanza aggravante più grave
o la pena meno grave stabilita tra quelle previste per le più circostanze attenuanti, ma il giudice può
rispettivamente aumentarla o diminuirla fino a un terzo.

La conversione delle pene pecuniarie

L'articolo 136, modificato dalla legge 689/ 81 , prescrive attualmente che


"le pene della multa e dell'ammenda, non eseguite per insolvibilità del condannato, si convertono a norma di legge, in
libertà controllata o lavoro sostitutivo".

Tale articolo era stato infatti originariamente dichiarato incostituzionale, in quanto prevedeva, la conversione della
pena pecuniaria nella corrispondente pena detentiva, creando un evidente disparità di trattamento tra chi aveva
denaro e chi no, violando l’art. 3 Cost .
L'inosservanza ,di anche una sola di tali prescrizioni inerenti la libertà controllata o il lavoro sostitutivo, comporta la
riconversione della parte di libertà controllata o di lavoro sostitutivo non ancora eseguita, in un eguale periodo di
reclusione o di arresto, a seconda della specie della pena pecuniaria originariamente inflitta.

248
La commisurazione della pena nei "procedimenti speciali".

IL PATTEGGIAMENTO
L’applicazione della pena è su richiesta delle parti ; si applica tale procedimento, in tutti i procedimenti dove si
applica una pena sostitutiva o reati punibili in concreto con la pena pecuniaria, anche congiuntamente a pena
detentiva .

Le parti possono possono chiedere l’applicazione della pena detetntiva:


 Patteggiamneto allargato fino a 5 anni
 Patteggiamneto ordinario di due anni

Il procedimento di applicazione:
Pena+evntuali aggravanti e attenuanti = somma.
Si diminuisce fino a un terzo, non si può eccedere un terzo.

Si può chiedere anche l’applicazione di una specie di pena e l’ammontare.

Ruolo del giudice: non ha funzione di accertamento, ma si basa sugli atti.


Verifica solo la correttezza:
- Della qualificazione giuridica del fatto dell’applicazione della circostanza
- Della loro comparazione
- Deve inoltre valuatre la congruità della pena indicata dalle parti rigettando la richiesta in ipotesi di sfavorevole
valutazione e se ritiene la richiesta di rigettare la richiesta può disporre che si proceda al rito ordinario.

GIUDIZIO ABBREVIATO
riduzione di un terzo della pena.
Rappresenta un premio per l’imputato per aver rinunciato al dibattimento

PROCESSO PER DECRETO


riguarda i reato puniti con la pena pecuniaria, che possono essere diminuiti fino alla metà, a discrezione del pubblico
ministero.

Il più vistoso stravolgimento dei meccanismi di commisurazione della pena, si verifica nell'applicazione della pena su
richiesta delle parti (patteggiamento ex Art. 444 c.p.p.).
Su un ammontare di pena prescelto all'interno della cornice edittale, si operano gli aumenti o le diminuzioni derivanti
dalle eventuali circostanze aggravanti o attenuanti: la pena così determinata dev'essere ulteriormente diminuita "fino
ad 1/3" ex Art. 444. 1 c.p.p.
Tale riduzione è il corrispettivo per il consenso, da parte dell'imputato, ad un rito più rapido e meno garantito di
quello ordinario.
Il giudice dovrà "valutare la congruità della pena indicata dalle parti, rigettando la richiesta in ipotesi di sfavorevole
valutazione".
Qualora l'accordo tra l'imputato e il PM abbia portato ad un trattamento sanzionatorio incoerente rispetto agli scopi
che la Costituzione attribuisce alla pena, il giudice potrà rigettare la richiesta avanzata dalle parti e disporre che si
proceda secondo il rito ordinario.

249
Ordinamento penitenziario:

Leggi importanti in tema di riforma dell’ordinamento Penitenziario sono:

Legge Gozzini 10 ottobre 1986 n. 663, ha introdotto come pene detentive alternative:
 la detenzione domiciliare e due forme di permessi ( uno ispirato a esigenze di umanizzazzione
della pena nel caso di immanente pericolo di vita di un familiare e l’altro permessi premio per
consentire di coltivare interessi culturali….)

Legge Simeone 27 maggio 1998 n. 165 riguarda


- la sospensione dell’esecuzione della pena detentiva fino a tre anni per 30 giorni, affichè il
condannato possa proporre istanza di ammissione a una pena alternativa.
- L’espressa previsione di affidamento in prova, prescindendo dall’osservazione della personalità in
istituto nei confronti di tutti i condannati,
- ampliamento dell’applicazione della detenzione domiciliare.

Legge ex Cirielli 5 dicembre 2005 n 251


- restrizioni all’accesso a istituti di favore previste per il recidivo specie il reiterato
- e ulteriori restrizioni a carico di stranieri “clandestini“ (nei cui confronti non opera la sospensione
dell’esecuzione della pena detentiva),
- e per gli autori di reati sessuali, ( l’accesso alle misure alternative è subordinato alla valutazione
dei risultati dell’osservazione scientifica della personalita condotta per un anno all’interno di un
istituto penitenziaario) .

NEL 2000 è stato emanato un NUOVO REGOLAMETO SULL’ORD. PENITENZIARIO sempre orientato secondo l’art
27 cost.

LE MISURE ALTERNATIVE ALLA DETENZIONE


(Altri strumenti di lotta alla pena detentiva breve)

Il principio per cui la pena deve tendere al reinserimento e alla rieducazione del condannato ha portato
all’introduzione nel nostro ordinamento delle misure alternative alla detenzione che dovrebbero abituare
il condannato al reinserimento nella vita sociale, agevolando l’opera di risocializzazione;
Tali misure possono incidere solo sulla fase esecutiva della pena definitiva detentiva!

Non sono tipi autonomi di pena ma modalità di esecuzione della pena detentiva; infatti non sono disposte dal
giudice di cognizione, ma dal Tribunale di Sorveglianza in un momento successivo alla condanna, in quanto il
p.m. , deve sospendere l’esecuzione della condanna per 30 giorni, proprio per permettre di proporre istanza di
ammissione a una misura alternativa.

Inoltre la L. 94/2009 ”pacchetto sicurezza”, ha previsto che l’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio e
le misure alternative alla detenzione, possono essere concesse ai detenuti e internati solo nei casi in cui, essi collaborino
con la giustizia, e purché siano stati acquisiti elementi tali, da escludere l’attualità dei collegamenti con la criminalità
organizzata, terroristica o eversiva.
Infatti è precluso l’accesso alle misure alternative

 per una certa gammi di reati gravi, che mantengono collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva; 
al recidivo reiterato.

250
Legge BOSSI-FINI 189/2002 nei confronti dello straniero privo di permesso di soggiorno che deve scontare una
pena non superiore a 2 anni, può essere concessa la pena alternativa dell’espulsione.

Sono le seguenti:

a. L'affidamento in prova al servizio sociale

È regolato dall’art. 47 dell’Ordinamento Penitenziario consiste nell’affidamento in prova del condannato a


pena non superiore ai 3 anni, ad un centro di servizio sociale fuori dall’istituto.
Viene concesso quando il tribunale di sorveglianza ritenga che il provvedimento "contribuisca alla rieducazione del reo
e assicuri la prevenzione del pericolo che egli commette altri reati"
Per tale concessione,non è più indispensabile che il condannato trascorra prima un periodo in carcere per
l’osservazione della sua personalità, in quanto la legge Simeone ha stabilito che, anche in assenza di tale osservazione
possa essere disposta!
Il servizio sociale controlla il comportamento del soggetto e lo aiuta al reinserimento nella vita sociale.

L’esito positivo del periodo di prova estingue la pena detentiva e ogni altro effetto penale.
Il tribunale di sorveglianza, qualora l’interessato si trovi in disagiate condizioni economiche, può dichiarare estinta
anche la pena pecuniaria che non sia stata già riscossa .
Non si estingue anche l’eventuale misura di sicurezza inflitta in sede di condanna.

Un comportamento del condannato "contrario alla legge o alle prescrizioni" che gli sono state imposte può
comportare la revoca, ma non produce necessariamente tale effetto: la revoca dovrà essere disposta solo se la
violazione commessa dal condannato appaia "incompatibile con la prosecuzione della prova": in tal caso, il periodo
trascorso in affidamento non è computato come pena, per cui, la pena detentiva ancora da scontare prima
dell’affidamento va interamente seguita!

È applicabile solo a chi risiede nel territorio dello Stato

All’affidato in prova al servizio sociale, che abbia dato prova di un suo concreto recupero sociale, può essere concessa
la detrazione di pena, consistente in 45 giorni di pena detratta, per ciascun semestre di pena scontata. L’affidamento
in prova al servizio sociale non può essere concesso più di una volta al condannato al quale sia stata applicata la
recidiva reiterata.
L’affidamento è precluso per il condannato che sia stato riconosciuto colpevole del delitto di evasione

Forme speciali di affidamento sono sono previste per i soggetti affetti da AIDS conclamata o da grave deficienza
immunitaria, tossicodipendenti e alcooldipendenti ( limite di sei anni di pena detentiva).

b. La detenzione domiciliare

Introdotta dalla legge Gozzini legge 354/75,e sottoposta poi ad ulteriori modifiche, da parte della ex Cirielli ,
comporta che l'espiazione della pena detentiva (reclusione non superiore a 4 anni e arresto) possono essere espiati

• nella propria abitazione o


• in altro luogo di privata dimora o
• in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienze,

QUANDO si tratta di:


 donna incinta o madre di prole di età inferiore a 10 anni con lei convivente
251
 padre, esercente la potestà, di prole di età inferiore ai 10 anni con lui convivente, quando la madre sia
deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole
 persone in condizioni di salute particolarmente gravi che richiedono costanti contatti con i presìdi sanitari
territoriali
 persona di età superiore a sessant’anni, se inabile anche parzialmente
 persona minore di 21 anni per esigenze di salute, studio, lavoro e famiglia
 madre o padre condannati che convivono con un figlio portatore di handicap totalmente invalidante
 al recidivo reiterato solo se la pena detentiva sia inferiore ai tre anni
 indipendentemente dalle condizioni esposte, la detenzione domiciliare può essere applicata per l’espiazione
della pena detentiva inflitta inferiore a due anni anche se costituente parte residua di maggior pena, quando
non ricorrano i presupposti per l’affidamento in prova al servizio sociale e sempre ché tale misura sia idonea
ad evitare il pericolo che il condannato commette altri reati

TALE MISURA È PRECLUSA:


 per il condannato riconosciuto colpevole del delitto di
evasione
 per coloro che sono stati condannati per reati più gravi 
nei casi di recidiva reiterata

Ulteriore elemento di novità introdotta dalla cosiddetta legge Cirielli è che la pena della reclusione per qualunque
reato possa essere espiata nella propria abitazione o in altro luogo pubblico di cura assistenze ed accoglienza.

 quando si tratta di persone che abbia compiuto i sessant’anni di età, purché non sia stato dichiarato
delinquente abituale professionale o per tendenza ne sia stato mai condannato con l’aggravante della
recidiva.

L’allontanamento che si protragga per più di 12 ore è punito ai sensi dell’articolo 385 come EVASIONE.

La detenzione domiciliare SPECIALE prevede che


 le condannate madri di prole di età inferiore ai 10 anni, (se non sussiste un concreto pericolo di
commissione di ulteriori delitti e se vi è la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli), possono essere
ammesse alla detenzione domiciliare al fine di provvedere alle cure e l’assistenza dei figli, dopo l’espiazione
di almeno un terzo della pena o dopo l’espiazione di almeno 15 anni nel caso di condanna all’ergastolo.
La detenzione domiciliare speciale è revocata se il comportamento è incompatibile con la prosecuzione della misura.
La condannata che rimane assente dal proprio domicilio, senza giustificato motivo, per meno di 12 ore può essere
soggetta alla revoca;
se l’assenza si protrae per un tempo maggiore ( più di 12 ore), la condannata è punita ai sensi dell’art. 385 per il delitto
di evasione, che comporta la revoca del beneficio

Esecuzione della pena detentiva PRESSO IL DOMICILIO:

E‘ simile alla detenzione domiciliare quanto ai contenuti; è stata introdotta dalla legge Svuota carceri 26 nov. 2010
n. 199. modificata con il Pacchetto Severino (alla base di tale istituto stanno esigenze di deflazione penitenziaria).

che ha innalzato a 18 mesi l’ammontare massimo di pena eseguibile presso il domicilio; tale
istituto è desstinato a rimanere in vigore fino al 13 dicembre 2013.

252
La misura è applicabile
• a condannati a pena detentiva che siano in attesa di esecuzione della pena
• o che stiano scontando la pena in carcere,

in presenza di una serie di condizioni: tra l'altro, che

 la pena da eseguire (o la pena residua) non sia superiore a 18 mesi,


 che non vi sia pericolo di fuga
 e che esista un domicilio idoneo ed effettivo.

c. La semilibertà

Comporta che il condannato trascorra la maggior parte della giornata all'interno di un istituto di pena, salvo uscirne il
tempo necessario "per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale".

L'art. 50.4 ord. penit. Che "L'ammissione al regime di semilibertà è disposto in relazione ai progressi compiuti nel corso
del trattamento, quando vi sono le condizioni per un graduale reinserimento del soggetto nella società".

La prospettiva dell'ammissione alla semilibertà può agire come stimolo per il condannato al rispetto delle regole della 'buona
condotta carceraria', garantendo così l'ordine all'interno dell'istituzione penitenziaria; nel contempo incentiva il detenuto ad
assumere un atteggiamento costruttivo nei confronti della 'proposta rieducativa' che l'ordinamento gli rivolge.

Sono ammessi a godere del regime i condannati alla reclusione in misura superiore a sei mesi:
 che abbia espiato almeno metà della pena, mentre per il condannato all'ergastolo richiede l'espiazione di
almeno vent'anni di pena.

IN VIA DI ECCEZIONE, la semilibertà può essere applicata fin dall'inizio quando si tratti di

 condannato alla pena dell'arresto o alla pena della reclusione non superiore a sei mesi.

Anche il regime di semilibertà può essere REVOCATO

o "quando il soggetto non si appalesi idoneo al trattamento” o e


quando rimane assente dall’istituto per più di 12 ore o non vi faccia ritorno.

La legge Cirielli ha disposto che, la semilibertà possa essere concessa ai recidivi reiterati, solo dopo che abbiano
scontato 2/3 della pena o ¾ di essa e comunque non più di una volta!
Non può essere concessa inoltre, a chi è stato riconosciuto colpevole del delitto di evasione

d. La liberazione anticipata

Comporta una detrazione di 45 giorni per ogni semestre di pena scontata a beneficio del condannato a pena detentiva,
che abbia "dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione": oltre a ridurre la durata della pena da espiare, tale
istituto produce l'effetto di anticipare i tempi previsti dalla legge, perché il condannato possa essere ammesso ai
permessi-premio, alla semilibertà e alla liberazione condizionale.
Anche in questo caso, può essere disposta LA REVOCA nel caso in cui la condotta del reo sia incompatibile con il
mantenimento della misura.

253
L'esecuzione della pena detentiva per gli esponenti della criminalità organizzata

Se l'evoluzione della pena detentiva nel nostro ordinamento può dirsi segnata da un cospicuo sforzo di attuazione
dell'idea rieducativa, bisogna però sottolineare che, per una limitata fascia di destinatari, è andato
progressivamente individuandosi anche un modello di pena detentiva prevalentemente ispirato ad una logica di
neutralizzazione.

L'insieme della normativa penitenziaria risulta così suddiviso in due sotto-insiemi:


1. il primo, riguardante essenzialmente i condannati per reati di criminalità 'comune', si è progressivamente
avvicinato al modello proposto dall'art. 27.3 Cost.;
2. il secondo sottoinsieme, formatosi per effetto della legislazione dell'emergenza sul tipo del condannato
per reati di criminalità 'organizzata', muove invece dalla considerazione che, il condannato per reati di
criminalità organizzata, che mantenga collegamenti con le organizzazioni criminali, è naturalmente
incapace di essere aiutato dallo Stato, nel corso dell'esecuzione della pena, a reinserirsi nella società nel
rispetto della legge.

Questa disciplina differenziata dell'esecuzione della pena detentiva è stata introdotta, a partire dagli anni '90, dalla
c.d. legislazione d'emergenza: si è così delineato, in primo luogo, un sistema di preclusioni, che impediscono (o
ritardano) l'accesso di determinate categorie di condannati all'ordinario sistema di 'benefici' penitenziari. (Art 4 bis
ord. penit.)

Ipotesi di rinvio dell'esecuzione della pena

Il codice penale prevede una serie tassativa di ipotesi nelle quali, eccezionalmente, il giudice
 deve rinviare l'esecuzione della pena (RINVIO OBBLIGATORIO)
 ovvero può rinviarla (RINVIO FACOLTATIVO)

IL RINVIO OBBLIGATORIO dell'esecuzione della pena: riguarda i casi di:


a. donna incinta, senza limiti inerenti al periodo di gestazione;
b. madre di infante di età inferiore ad 1 anno;
c. la persona affetta da AIDS conclamata, da grave deficienza immunitaria o da altra malattia particolarmente
grave, per effetto della quale le sue condizioni di salute risultino incompatibili con lo stato di detenzione,
quando la persona si trovi in una fase della malattia tale da non rispondere più ai trattamenti disponibili e alle
terapie curative.

Non opera il rinvio, o, se già concesso deve esser revocato, nel caso di :

§ interruzione di gravidanza
§ il figlio muoia o venga abbandonato
§ la madre è dichiarata decaduta dalla potestà sul figlio
§ sussiste il concreto pericolo della commissioni di delitti

254
IL RINVIO FACOLTATIVO dell'esecuzione della pena: affidata alla discrezionalità del giudice, è previsto nell'ipotesi in
cui:
a. è stata presentata domanda di grazia;
b. la pena detentiva deve essere eseguita contro chi si trova in condizioni di grave infermità fisica;
c. la pena detentiva deve essere eseguita nei confronti della madre di prole di età inferiore a 3 anni.

In tutte queste ipotesi il provvedimento di rinvio non può essere adottato, ovvero deve essere revocato se già è stato
adottato, qualora sussista il concreto pericolo della commissione di delitti.

Rinvio dell'esecuzione della pena e detenzione domiciliare. Art. 146 e 147 cp.
In tutti i casi in cui può essere disposto il rinvio dell'esecuzione della pena, il tribunale di sorveglianza può ammettere
il condannato alla misura alternativa della detenzione domiciliare, durante la quale prosegue l'esecuzione della pena.

L'infermità psichica sopravvenuta alla condanna. Art. 148 cp.


Altra ipotesi di rinvio (o di sospensione) dell'esecuzione della pena si può avere quando "prima dell'esecuzione di una
pena restrittiva della libertà personale o durante l'esecuzione, sopravviene al condannato una infermità psichica".

Allora "il giudice, qualora ritenga che l'infermità sia tale da impedire l'esecuzione della pena, ordina che questa sia
differita o sospesa e che il condannato sia ricoverato in un ospedale psichiatrico giudiziario ovvero in una casa di cura e
di custodia. [...].
Il provvedimento di ricovero è revocato, e il condannato è sottoposto all'esecuzione della pena, quando sono venute
meno le ragioni che hanno determinato tale provvedimento".

La NATURA DEL PROVVEDIMENTO DI CUI ALL’ART. 148 CP. È stata profondamente innovata ad opera della Corte
costituzionale.
La corte ha dichiarato l’illeggittimità dell’art. 148 cp., nella parte in cui, prevede che il giudice, nel disporre il ricovero
del condannato ( ecc…), ordini la sospensione della pena; tale disciplina, secondo la Corte, viola il principio
costituzionale di uguaglianza, comportando un irragionevole disparità di trattamento tra il condannato e l'imputato
colpito da infermità mentale sopravvenuta, a beneficio del quale, la giurisprudenza prevalente, ammetteva lo
scomputo del periodo di ricovero, dei termini massimi di custodia preventiva.
Con tale decisione la corte, ha finalmente imposto lo scomputo del periodo di internamento, imponendo cioè che il
periodo trascorso dal condannato, nell'ospedale psichiatrico giudiziario ( ecc….), valga come esecuzione della pena,
detraendosi dalla durata complessiva della pena.
Con la conseguenza che oggi, deve affermarsi che l’art. 148 cp., non prevede più un rinvio dell’esecuzione della pena,
bensì un mutamento del suo regime esecutivo.

255
Capitolo 14 Le misure di sicurezza

Nozione e natura giuridica

Le misure di sicurezza costituiscono una delle più significative novità introdotte dalla codificazione del 1930 come
mezzi di prevenzione individuale della delinquenza: cioè tendono a difendere l'ordinamento contro il pericolo che
determinate persone possono commettere reati.

Problematica è la classificazione della loro NATURA GIURIDICA, in quanto ci si chiede se appartengano al diritto
amministrativo o al diritto penale: tuttavia la dottrina moderna (tra cui Fiandaca) ritiene che siano SANZIONI PENALI,
in quanto presuppongono un fatto costituente reato, sono disciplinato dal codice penale, e come le pene, sono mezzi
di lotta contro il reato e conseguenze giuridiche della commissione di un reato.

Differiscono dalle pene soltanto perché in esse, l’emenda ha funzione prevalente e la loro durata è predeterminata
solo nel minimo.

Dunque le MISURE DI SICUREZZA sono sanzioni penali imperniate sull’idea di pericolosità:

A. PERICOLOSITÀ DELLE PERSONE: quindi il codice le definisce misure di sicurezza personali, incidono sulla libertà
personale e si rivolgono

256
 sia a soggetti imputabili o semi imputabili pericolosi (in tal caso la misura di sicurezza si
cumula con la pena);
sia a soggetti non imputabili pericolosi (in tal caso la misura si applica in via esclusiva)

Esse si distinguono ( ai sensi dell’art. 215 cp.) a loro volta in:
 misure personale detentive : consistenti nell'assegnazione ad una casa di cura e di custodia, ricovero in un ospedale
psichiatrico giudiziario, ricovero in un riformatorio giudiziario;
 non detentive : libertà vigilata, divieto di soggiorno in uno o più comuni o in una o più province, divieto di frequentare
osterie e pubblici spacci di bevande alcooliche, espulsione dello straniero dallo Stato.

B. PERICOLOSITÀ DELLE COSE: quindi misure di sicurezza patrimoniali incidono


sul patrimonio : cauzione di buona condotta e confisca.

Art. 215 co.4 c.p. disciplina i casi in cui la legge dispone la misura di sicurezza senza indicarne la specie:
in tal caso il giudice disporrà la libertà vigilata, a meno che, trattandosi di un condannato per delitto, ritenga di disporre
l’assegnazione a una colonia agricola o a una casa di lavoro.

A. Le misure di sicurezza personali

Cenni storici

L'introduzione delle misure di sicurezza è stata presentata dalla dottrina come il risultato di un compromesso tra le
varie scuole del diritto penale:
§ secondo i sostenitori della Scuola classica, la pena doveva svolgere solo una funzione retributiva,
§ mentre la funzione di prevenzione sostenuta dalla scuola moderna e positiva poteva essere assolta da una
nuova tipologia di sanzione, imperniata sul pericolo della commissione di nuovi reati.

Sotto l'apparenza di questo dibattito di scuole, in realtà, esisteva una motivazione politico criminale, in quanto si
mirava ad aggiungere alla pena un'ulteriore e più penetrante strumento di contrasto della criminalità dei pluri-recidivi,
rispetto alla quale la sola norma della pena, si era dimostrata inefficace: infatti nei confronti di questi soggetti si
trattava di predisporre una sanzione svincolata dai limiti garantisti propri della pena (quali i limiti di durata imposti dal
principio di legalità, il divieto di applicazione retroattiva e l'ancoraggio dell'ammontare della pena alla colpevolezza individuale). In
effetti, le misure di sicurezza personali, correlate non alla colpevolezza, ma alla pericolosità, si affiancano alla pena
come un ulteriore pena a tempo indeterminato, suscettibile di applicazione retroattiva.
257
In definitiva le misure di sicurezza detentive riservate agli imputabili, hanno assunto nella prassi, i connotati di
un ulteriore pena detentiva, che si cumula a tempo indeterminato con la reclusione o con l'arresto (cd. Sistema
del doppio binario).
Da qui le critiche mosse alla misure di sicurezza detentive da parte di chi ha parlato, in proposito, di
"frode delle etichette", sottolineando che, chi era stato privato della libertà personale a titolo di pena, entrava in un
altro stabilimento penitenziario con la stessa fisionomia a titolo di misure di sicurezza.

Dubbi di legittimità costituzionale delle misure di sicurezza detentive

La Costituzione sottopone le misure di sicurezza al principio di legalità, ovvero solo il legislatore può individuare i casi
nei quali può essere applicata una misura di sicurezza (art. 25 co. 3 cost.).

La costituzione attribuisce alla pena una preminente finalità di prevenzione speciale: dunque non è sul piano delle
funzioni (prevenzione speciale per le pene) che può rilevarsi la differenza tra pene e misure di sicurezza, ma sulla diversità dei
contenuti : può legittimarsi la presenza di misure di sicurezza detentive, finalizzate al pari delle pene alla prevenzione
speciale, in quanto, e solo in quanto, le misure abbiano contenuti specifici e diversi!

Se la misura di sicurezza risulta essere una variante solo nominalistica delle pene come nella realtà nel nostro
ordinamento , si riduce a strumento per aggirare i principi propri delle pene, come il principio di legalità, in relazione
alla durata delle pene, come il principio di colpevolezza e irretroattività.
In tal modo, le misure di sicurezza detentive risultano incompatibili con la costituzione; infatti vi sono stati numerosi
interventi per la delegittimazione di ogni misura di sicurezza detentiva, che assumerà i caratteri di una pena detentiva
mascherata.

I presupposti per l’applicazione delle misure di sicurezza

A norma dell’ art. 202


Co. 1 c.p.: "Le misure di sicurezza possono essere applicate soltanto alle PERSONE SOCIALMENTE PERICOLOSE, che
abbiano commesso un fatto preveduto dalla legge come REATO" co. 2 c.p.: "La legge penale determina i casi nei quali
a persone socialmente pericolose possono essere applicate misure di sicurezza per un fatto non preveduto dalla legge
come reato".

Dunque I PRESUPPOSTI sono:

1. REATO (O QUASI REATO)


Si richiede la commissione di un reato per l’applicabilità della misura di sicurezza (dunque si è limitato l’arbitrio del
giudice!)

E controverso cosa si debba intendere per "reato".


È pacifico che, se si tratta di una misura di sicurezza da applicare a un soggetto imputabile o semiimputabile, la
formula legislativa del reato evoca tutti i suoi elementi costitutivi: fatto, antigiuridicità, colpevolezza e punibilità. Il
problema sorge nel caso di misure di sicurezza da applicare a un non imputabile: in questo caso infatti oggetto di
controversia è il dolo: in quanto le misure di sicurezza dell’ospedale pschiatrico giudiziario e del riformatore
giudiziario richiedono che sia stato commesso un delitto doloso, ma è dubbio se il dolo ,che deve sorreggere la
realizzazione del fatto, abbia una struttura coincidente con quella del dolo dell’imputabile…. la risposta è
affermativa, in quanto, il dolo si configura in tutti i suoi elementi, anche in capo all’incapace di intendere e di volere.
Il ricovero in un ospedale pschiatrico giudiziario o riformatorio giuridico, può essere disposto solo in presenza di un
fatto tipico, antigiuridico e punibile, commesso con dolo, da parte di chi versi in una delle situazioni patologiche
indicate dall’art 222 c.p. ovvero da un minore non imputabile o in base a una valutazione in concreto del giudice.

258
In alcuni casi, in via d'eccezione, la legge DEROGA alla regola fissata nell'articolo 202 co. 1 cp. , secondo la quale,
la misura di sicurezza è applicabile soltanto se è stato commesso un fatto preveduto come reato.
Tali casi devono tuttavia essere espressamente previsti dalla legge, e sono quelli in cui è stato commesso un
"QUASI REATO", attualmente si tratta del:
§ reato impossibile,
§ dell'accordo per commettere un delitto, che poi non viene commesso;
§ dell'istigazione a commettere un reato, se l'istigazione viene accolta, ma il reato non viene commesso; §
dell'istigazione a commettere un delitto, se l'istigazione non viene accolta.

2. PERICOLOSITÀ SOCIALE

Art. 203 c.p. “Agli effetti della legge penale, è socialmente pericolosa, la persona, anche se non imputabile o non
punibile, la quale ha commesso taluno dei fatti indicati nell’art. precedente , quando è probabile che commetta nuovi
fatti preveduti come reati dalla legge.”

La pericolosità sociale è dunque la probabilità


 che il soggetto commetta in futuro nuovi reati,
 ovvero nell'ipotesi di quasi reato, che commetta reati.

Il pericolo può riguardare qualsiasi reato e non soltanto reati della stessa indole di quello già commesso.

Nell’originaria disciplina dell’art. 204 cp. la pericolosità sociale andava DI REGOLA accertata dal giudice, ma poteva
anche essere presunta ex lege dalla legge.
Oggi non è più così, in quanto, con la legge Gozzini, che ha abrogato l’art. 204 cp. , si è stabilito che
“ le misure di sicurezza personali sono ordinate previo accertamento che colui che ha commesso il fatto è persona
socialmente pericolosa”
Dunque , non esistono ipotesi di pericolosità presunta ma va accertata in concreto dal giudice.

La pericolosità sociale deve essere accertata sia


 in relazione al momento del giudizio di cognizione : spetta dunque al giudice che ordina la misura
 nel momento in cui la misura deve essere eseguita, per accertarne la sua persistenza: spetta dunque al
magistrato di sorveglianza.

Sempre la legge Gozzini ha stabilito che il magistrato di sorveglianza, nel provvedere al riesame della pericolosità,
può revocare la misura di sicurezza anche prima che sia decorsa la misura minima, qualora accerti il venire meno
della pericolosità.
I criteri in base ai quali stabilire la pericolosità sociale si desumono dall’art 133 c.p. bisogna quindi tenere conto:
 sia delle caratteristiche del reato (le modalità con le quali è realizzato, la gravità del danno o del pericolo cagionato al
bene giuridico protetto dalla norma violata, l'intensità del dolo o il grado della colpa)
 sia di quelle dell'autore (come le condizioni di vita individuale, familiare e sociale e la condotta antecedente,
contemporanea e susseguente reato).

Il giudice deve provvedere da solo, senza l’assistenza di un perito: del perito si può avvalere solo per stabilire se il soggetto
era capace di intendere o di volere!

Applicazione

Art. 200 c.p. "Le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione. Se la legge del
tempo in cui deve eseguirsi la misura di sicurezza è diversa, si applica la legge in vigore al tempo dell'esecuzione".
259
Le misure di sicurezza personali sono applicate di regola dal giudice di cognizione, nella sentenza di condanna o di
proscioglimento.
Misure di sicurezza personali o patrimoniali possono altresì essere applicate nell'ambito di una sentenza di
patteggiamento, qualora sia inflitta una pena detentiva superiore a due anni, sola o congiunta a pena pecuniaria; al di
sotto di tale limite, è applicabile soltanto la misura di sicurezza patrimoniale della confisca.
Quando una persona ha commesso più fatti di reato, per i quali siano applicabili più misure di sicurezza della
medesima specie, è ordinata una sola misura di sicurezza.
Se invece le misure di sicurezza sono di specie diversa, il giudice deciderà discrezionalmente, a seconda della minore o
maggiore pericolosità della persona, se applicare una sola misura o più misure.

Vale anche nel caso in cui il giudice o i giudici di cognizione abbiano disposto in separati, procedimenti più misure
di sicurezza nei confronti dello stesso soggetto, in tal caso il magistrato di sorveglianza provvederà all’unificazione
delle misure…

Esecuzione

Bisogna distinguere a seconda che le misure di sicurezza personali vengano disposte


 con sentenza di condanna: (riguarda le misure disposte nei confronti dell'imputabile o del seme imputabile)
 se la misura di sicurezza è aggiunta a una pena detentiva, la legge stabilisce che la misura (detentiva o non
detentiva) vada eseguita "dopo che la pena è stata scontata o altrimenti estinta" articolo 211 co1. Cp.
UN'ECCEZIONE a questa regola, è prevista per il caso in cui, la misura da applicare, sia la casa di cura e di custodia: "in
tal caso il giudice, può disporre che il ricovero venga eseguito prima che sia iniziata o abbia termine l’esecuzione della
pena restrittiva della libertà personale".
 Se invece la misura di sicurezza personale si aggiunge a una pena non detentiva, la misura andrà
eseguita non appena la sentenza di condanna sia divenuta definitiva. Articolo 211 co 2 cp.

 con sentenza di proscioglimento: la loro esecuzione deve avvenire una volta che la sentenza sia passata in
giudicato, a meno che, trattandosi di una delle misure contemplate dall'articolo 206 co 1, non venga disposta
l'applicazione provvisoria.
Può accadere infine, che, nei confronti dello stesso soggetto, siano disposte una misura di sicurezza
detentiva e una misura di sicurezza temporanea non detentiva: in questo caso si eseguirà prima la
misura detentiva e poi quella non detentiva.
In tutti i casi comunque l'effettiva esecuzione è subordinata a un nuovo accertamento della pericolosità da parte del
magistrato di sorveglianza.

L’art 212 cp. Disciplina le ipotesi di casi di sospensione o trasformazione della misura di sicurezza nel caso in cui, nel
corso dell'esecuzione di una misura personale o della cauzione di buona condotta sopravvenga un'infermità psichica.

 Se la persona sottoposta a una misura di sicurezza detentiva è colpita da un infermità psichica, il giudice ne
ordina il ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario ovvero in una casa di cura e di custodia.
Quando sia cessata l’infermità, il giudice accertato che la persona è socialmente pericolosa ordina che sia assegnata ad
una colonia agricola o a una casa di lavoro o a un riformatorio giudiziario, se non crede di sottoporla a libertà vigilata.
 Se l’infermità psichica colpisce una persona sottoposta a misura di sicurezza non detentiva o a cauzione di
buona condotta e l’infermo viene ricoverato in un ospedale psichiatrico civile, cessa l’esecuzione di dette
misure.
Nondimeno , se si tratta di persona sottoposta a misura di sicurezza personale non detentiva, il giudice ,
cessata l’infermità, procede a nuovo accertamento ed applica una misura di sicurezza personale non
detentiva qualora la persona risulti pericolosa.

260
Altre ipotesi di sospensione dell'esecuzione delle misure di sicurezza sono indicate dagli articoli 146 e 147 cp.
( se la misure di sicurezza deve essere eseguita nei confronti dell’autore di un delitto consumato o tentato commesso con violenza
contro le persone ovvero con l’uso di armi e vi sia concreto pericolo che il soggetto commetta nuovamente uno dei delitti indicati, il
giudice può ordinare il ricovero in una casa di cura o in altro luogo di cura, comunque adeguato alla situazione o alla patologia
della persona.
Eccezione al rinvio : art 220 c.p.: il giudice tenuto conto delle particolari di infermità pschica del condannato, può disporre che il
ricovero venga eseguito prima che sia iniziata o abbia termine la esecuzione della pena restrittiva della libertà personale…)

La durata non soggiace ad alcun limite massimo, dovendosi protrarre finché permanga la pericolosità sociale del
soggetto, è invece sottoposta ad un limite minimo, che può variare anche all'interno delle varie tipologie di misure.

Una volta decorso il periodo minimo di durata, il giudice deve procedere al riesame della pericolosità.
§ Qualora ritenga che la pericolosità sia cessata, disporrà la REVOCA della misura di sicurezza
§ qualora invece ritenga che la persona è ancora pericolosa, fisserà un nuovo termine per UN'ULTERIORE
RIESAME, potendo peraltro in ogni tempo, procedere a nuovi accertamenti, qualora vi sia ragione di ritenere
che il pericolo sia cessato.

Inoltre, il magistrato di sorveglianza ha un potere di REVOCA ANTICIPATA della misura ,cioè il potere di revocarla
anche prima che sia decorso il periodo minimo di durata.

Inosservanza

Nel caso in cui l’internato si sottragga volontariamente all’esecuzione delle misure di sicurezza della colonia agricola o
casa di lavoro o del riformatorio giudiziario
 allontanandosi arbitrariamente dall’istituto
 o non rientrandovi al termine della licenza che gli è stata concessa, la sanzione è la medesima:
cioè ricomincia a decorrere il periodo minimo di durata della misura di sicurezza a partire dal giorno in cui a
questa è data nuovamente esecuzione; tale sanzione si applica a condizione che il Magistrato di Sorveglianza
accerti nuovamente la pericolosità sociale di chi si è sottratto volontariamente alla misura di sicurezza.

In considerazione delle patologie di cui soffrono alcuni soggetti invece, nessuna sanzione è prevista per chi si
sottragga volontariamente all’esecuzione delle misure dell’ospedale pschiatrico giudiziario o della casa di cura e di
custodia.

L’inosservanza delle misure di sicurezza personali non detentive è disciplinato in modo autonomo per ciascuna
misura, ma di regola la sanzione consiste nell’aggiunta di una nuova misura o nella sostituzione della misura
con un'altra più grave.
Disciplina peculiare è prevista per la trasgressione da parte dello straniero della misura dell’espulsione dallo Stato,
che integra un autonoma figura di reato.

Le singole misure di sicurezza personali

1. assegnazione a una colonia agricola o a una casa di lavoro


2. assegnazione a una casa di cura e di custodia
3. ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario
4. ricovero dei minori in un riformatorio giudiziario
4. libertà vigilata
5. divieto di soggiorno in uno o più comuni o in una o più province
6. divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcoliche

261
7. espulsione dello straniero e l’allontanamento del cittadino di uno Stato membro dell’UE dal territorio dello Stato

1. L'assegnazione a una colonia agricola o una casa di lavoro


Misura di sicurezza riservata a soggetti imputabili condannati a pena detentiva (art. 218 c.p.): la colonia agricola o
casa di lavoro è un'unica misura di sicurezza con differenti modalità esecutive (la colonia agricola e la casa di lavoro sono distinte
in base al tipo di attività che dovrebbe essere svolta da coloro che vi sono sottoposti).
I criteri di sceltadovrebbero essere offerti dalle condizioni e attitudini della persona a cui il provvedimento si riferisce,
la scelta dovrebbe quindi dipendere in gran parte dal lavoro svolto in precedenza, ma in realtà si tratta di una scelta
impraticabile …
Questa misura di sicurezza, che deve essere eseguita dopo che la pena è stata scontata o si è altrimenti estinta,
rappresenta nella sostanza un prolungamento della pena detentiva.
Si è obiettato che la colonia agricola e la casa di lavoro avessero i caratteri della pena , ma la Corte Costituzionale ha
salvato la disciplina della colonia agricola e della casa di lavoro era compatibile con la Costituzione anche applicabile
agli inabile al lavoro.
Destinatari di questa misura di sicurezza sono:
a) coloro che sono stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza;
b) coloro che, essendo già stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza e non essendo più
sottoposti a una misura di sicurezza, commettono un nuovo delitto non colposo, che sia ulteriore manifestazione
della abitualità, della professionalità o della tendenza a delinquere;
c) le persone condannate o prosciolte negli altri casi indicati espressamente dalla legge.

Art 102 c.p. “ è dichiarato delinquente abituale chi , dopo essere stato condannato alla reclusione in misura superiore
complessivamente a cinque anni per tre delitti non colposi , della stessa indole, e commessi entro i dieci anni, e non
contestualmente , riporta un'altra condanna per un delitto ,non colposo della stessa indole e commesso entro i dieci
anni successivi all’ultimo dei delitti precedenti.
Nei dieci anni indicati nella disposizione precedente non si computa il tempo in cui il condannato ha scontato pene
detentive o è stato sottoposto a misure di sicurezza detentive.”

La dichiarazione di abitualità nel delitto presuppone la presenza in capo soggetto di talune precedenti condanne: -
La condanna alla reclusione complessivamente superiore a cinque anni per tre delitti non colposi della stessa indole,
commessi non contestualmente e entro 10 anni;
- La condanna per due delitti non colposi

Il giudice deve accertare se, tenuto conto della specie e della gravità dei reti, del tempo entro il quale sono stati
commessi, della condotta e del genere di vita del colpevole e delle altre circostanze indicate nel capoverso dell’art
133 c.p., il colpevole sia dedito al delitto; è un giudizio in concreto sulla pericolosità del condannato che si sostanzia
in una inclinazione deliberata al delitto.
Al delinquente abituale si applicano anche una serie una serie di effetti penali della condanna.

Quanto alla professionalità nel delitto (art. 105 cp.) , la relativa dichiarazione può essere pronunciata nei confronti di
chi, "trovandosi nelle condizioni richieste per la dichiarazione di abitualità, riporta condanna per un altro reato",
qualora, "avuto riguardo alla natura dei reati, alla condotta e al genere di vita del colpevole, debba ritenersi che egli
viva abitualmente, anche in parte soltanto, dei proventi del reato"; ai fini della dichiarazione di delinquente
professionale non è necessario che il soggetto sia stato dichiarato in precedenza delinquente abituale , ma è
sufficiente la sussistenza dei presupposti che avrebbero consentito quella dichiarazione .
Quanto alla forma di pericolosità il giudice è tenuto ad accertare che si tratta di un vero e proprio regime di vita, nel
senso che l’imputato trae sostentamento in tutto o in parte dalla reiterazione di azioni criminose.

Infine, può essere dichiarato delinquente per tendenza chi commette un delitto non colposo contro la vita o
l'incolumità individuale, qualora egli "riveli una speciale inclinazione al delitto, che trovi sua causa nell'indole
particolarmente malvagia del colpevole".
L ’inclinazione non deve essere originata da un vizio di mente totale o parziale.

262
E’ difficile per il giudice accertare una sorta di follia morale, per questo si spiega la scarsità delle pronunce
giurisprudenziali.
La colonia agricola o casa di lavoro può inoltre essere applicata a coloro che già in passato erano stati dichiarati
delinquenti abituali, professionali o per tendenza: la misura viene nuovamente disposta se il soggetto commette un
ulteriore delitto non colposo nel quale il giudice ravvisi una nuova espressione della pericolosità dell'agente.

Ulteriori casi espressamente indicati dalla legge nei quali può applicarsi la misura di sicurezza in esame riguardano:
o persona sottoposta a misura di sicurezza detentiva che sia stata colpita da un infermità psichica , qualora al
momento della cessazione dell’infermità , sia ancora socialmente pericolosa
o il minore sottoposto al ricovero in riformatorio giudiziario quando la misura deve applicarsi o deve eseguirsi
dopo che il soggetto ha raggiunto i 18 anni di età: tale provvedimento verrà adottato qualora il giudice non
ritenga abituale , professionale, o per tendenza , che abbia raggiunto i 18 anni di età dopo che sia stata
applicata o eseguita la misura del riformatorio giudiziario
o colui che , sottoposto a libertà vigilata, abbia commesso gravi o ripetute trasgressioni degli obblighi inerenti
a quella misura .

La durata minima della colonia agricola o casa di lavoro è di


• 2 anni per i delinquenti abituali,
• 3 anni per i delinquenti professionali
• 4 anni per i delinquenti per tendenza;
• per le altre ipotesi la durata minima è un anno.

2. L'assegnazione a una casa di cura e di custodia (art. 219 ss. c.p.): misura di sicurezza per soggetti
semiimputabili socialmente pericolosi, da eseguirsi in aggiunta alla pena detentiva e, di regola, dopo che
tale pena sia stata scontata o si sia altrimenti estinta, sempre che il giudice tenuto conto delle particolari
condizioni di infermità psichica del condannato , disponga che il ricovero venga eseguito prima che sia
iniziata o abbia termine l’esecuzione della pena..; finalità di questa misura è la cura e il trattamento dello
stato di pericolosità e delle cause che sono all'origine della "diminuzione" della capacità di intendere e di
volere.

In realtà, l'istituzione della casa di cura e di custodia non è mai venuta ad esistenza: si tratta di fatto di una mera
sezione, o reparto, degli ospedali psichiatrici giudiziari, dei quali condivide le gravi disfunzioni.
Inoltre il regime della casa di cura e di custodia è praticamente indifferenziato per le varie categorie di ricoverati.
In ultima analisi, la componente curativa è relegata in secondo piano, cosicché anche la casa di cura e di custodia
rappresenta un mero duplicato del carcere, finalizzato a soddisfare esigenze di neutralizzazione e di difesa sociale.

Destinatari di tale misura sono


 soggetti semi-imputabili, cioè soggetti la cui capacità di intendere o di volere al momento del fatto era " grandemente
scemata": i condannati per delitto non colposo a pena diminuita per cagione di a) infermità psichica;
b) cronica intossicazione da alcol o da sostanze stupefacenti;
c) sordomutismo.
Va esclusa per i disturbi mentali di carattere occasionale e transitorio determinati da infermità fisica.
Richiedendo per l’applicabilità di tale misura che l’autore del reato sia stato condannato a una pena diminuita per una
delle situazioni patologiche la legge esclude che la misura possa essere disposta quando concorrendo l’attenuante
relativa alla semi-imputabilità dell’agente una o più circostanze aggravanti il giudice ritenga le aggravanti in sede di
giudizio di bilanciamento prevalenti rispetto all’attenuante con la conseguenza che il soggetto non venga condannato
a pena diminuita.
Tale misura non può essere applicata nei confronti di minori di età compresa fra i 14 e i 18 anni che al momento del
affitto si trovino in una delle situazioni patologiche.. in quanto la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima
l’applicazione al minore della misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario essendo la casa di
cura una sezione di esso e comportando un trattamento incompatibile con l’età minorile.

263
Il giudice però sostituisce alla misura in questione la misura della libertà vigilata, a meno che si tratti di condannati a
pena diminuita per intossicazione cronica da alcol o da stupefacenti.

La legge prevede come durata minima del ricovero in una casa di cura e di custodia:
a) un anno, quando la pena stabilita dalla legge non è inferiore nel minimo a 5 anni di reclusione;
b) tre anni, quando la pena è quella dell'ergastolo o quella della reclusione non inferiore nel minimo a 10 anni;
c) sei mesi, se si tratta di un altro reato punito con pena detentiva (delitto doloso punito con la reclusione inferiore nel minimo a
cinque anni , delitto colposo o contravvenzione punita con l’arresto).

Destinatari della casa di cura e di custodia sono inoltre di ubriachi abituali e le persone dedite all'uso di sostanze
stupefacenti, che siano stati condannati alla reclusione per un delitto commesso in stato di ubriachezza ovvero sotto
l'azione di una sostanza stupefacente, qualora siano in concreto ritenuti socialmente pericolosi.

3. Il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario (art. 222 c.p.): misura di sicurezza che mira al trattamento della
pericolosità sociale e alla cura delle infermità di chi, avendo commesso un fatto previsto dalla legge come
delitto doloso, punito in astratto con la reclusione superiore nel massimo a due anni sia stato prosciolto per
vizio totale di mente determinato da infermità psichica, ovvero per intossicazione cronica da alcool o da
sostanze stupefacenti, ovvero per sordomutismo: è inoltre necessario che il soggetto sia stato ritenuto
socialmente pericoloso.
Nelle intenzioni del legislatore, l'internamento coattivo nell'ospedale psichiatrico giudiziario è finalizzato alla
prevenzione di futuri reati, ma dovrebbe avere contenuti eminentemente terapeutici. La realtà degli ospedali
psichiatrici giudiziari è però molto lontana dal disegno legislativo. Ancora una volta, si tratta di istituzioni totali che si
differenziano solo marginalmente dal carcere.
Svolta di disciplina dell’ospedale psichiatrico giudiziario è stata impressa dalla Corte Costituzionale con sentenza 18
luglio 2003 n, 253 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art 222 c.p. nella parte in cui non consente al
giudice , nei casi ivi previsti di adottare , in luogo del ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario , una diversa
misura di sicurezza , prevista dalla legge, idonea ad assicurare adeguate cure all’infermo di mente e a far fronte alla
sua pericolosità sociale , la diversa misura consisterebbe nella libertà vigilata., i quanto le prescrizioni dovranno
assumere contenuto terapeutico.. i giudici di merito dopo tale sentenza hanno per lo più disposto in luogo
dell’ospedale psichiatrico, la libertà vigilata spesso accompagnata dalla prescrizione del ricovero in strutture sanitarie
pubbliche o private , ovvero in comunità terapeutiche ..tuttavia la prescrizione di previsioni di controlli giornalieri da
parte dell’autorità di pubblica sicurezza, imposte per esigenze di tutela della collettività hanno finito per lo snaturare
la libertà vigilata facendola assumere la veste di misura para-detentiva .infatti non sono mancate soluzioni diverse dal
ricorso alla libertà vigilata ..

Destinatari di tale misura sono soggetti la cui capacità di intendere o di volere era totalmente esclusa al momento della
commissione del fatto.
Tenendo conto che non rientrano in tale concetto di infermità i disturbi occasionali.
L’o.p.g non è applicabile ai minori.
L’applicazione di tale misura presuppone che il soggetto abbia commesso un delitto doloso , punito in astratto con la
reclusione superiore nel massimo a due anni: e il dolo che deve sorreggere la realizzazione del fatto ha una struttura
coincidente con quella del dolo dell’imputabile .
L’o.p.g. nm si applica quando sia stato commesso un fatto preveduto dalla legge come delitto doloso punito con la
reclusione non superiore nel massimo a due anni ovvero punito con la sola pena della multa, o un fatto preveduto
dalla legge come delitto colposo o come contravvenzione.

Quanto alla pericolosità sociale dell’infermo di mente il legislatore del 1090 stabiliva una rigida presunzione ovvero il
soggetto psicologicamente disturbato autore di un delitto doloso di una certa gravità fosse sempre socialmente
pericoloso, la Corte si è pronunciata affermando per tutte le misure di sicurezza l’accertamento dell’esistenza e della
persistenza nel caso concreto della probabilità che il soggetto commetta nuovi reati, ma il giudice dovrebbe

264
selezionare fattispecie “qualificate “ di pericolosità sociale al non imputabile , limitare la propria prognosi a una
gamma di reati identici o affini a quello già commesso, come espressione della propria patologia.
La durata minima del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario è di regola pari a due anni; è di cinque anni, se si
tratta di delitto doloso punito con la reclusione non inferiore nel minimo a 10 anni; è di 10 anni, nel caso di fatti
delittuosi puniti con la pena dell'ergastolo.

4. Il ricovero dei minori in un riformatorio giudiziario (art. 223 c.p.): misura di sicurezza detentiva indirizzata ai
minori socialmente pericolosi; la misura si esegue ora attraverso l'affidamento coattivo del minore ad una
comunità educativa che non può ospitare più di dieci minori, alcuni dei quali non sottoposti a procedimento
penale. Al minore possono essere imposte prescrizioni inerenti allo studio, al lavoro o ad altre attività utili per
la sua rieducazione.

Destinatari della misura in esame, in quanto riconosciuti in concreto pericolosi, sono: a)


i minori degli anni 14 e i minori degli anni 18 ritenuti dal giudice non imputabili;
b) i minori di età compresa tra anni 14 e 18, riconosciuti imputabili dal giudice e condannati a pena diminuita;
c) i minori degli anni 18 dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza.

Tale misura si applica solo in relazione ad una ristrettissima gamma di gravi delitti dolosi cui la struttura del solo
coincide con quella del dolo dell’imputabile: delitti puniti con pena massima di almeno nove anni, violenza sessuale,
nonché alcune ipotesi di furto aggravato, rapina, estorsione e alcuni delitti in materia di armi e in materia di
stupefacenti.
Se non ricorrono tali delitti dolosi si applica la libertà vigilata.
Significativa restrizione dell’area applicativa del riformatorio giudiziario è stato prodotta dalla riforma del 1988
attraverso la ridefinizione della pericolosità sociale e del minore che impone al giudice di ritenere sussistente la
pericolosità sociale del minore solo quando , per le specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità
dell’imputato , sussiste in concreto il pericolo che questi commetta delitti con uso di armi e o di altri mezzi di violenza
personale o diretti contro la sicurezza collettiva o l’ordine costituzionale ovvero gravi delitti di criminalità organizzata.
Si tratta di un giudizio di pericolosità mirato su una gamma molto ristretta di reati di particolarmente gravi
particolarmente che mentre rende meno imprecisa questa nozione di pericolosità a confronto con quella delineata
nell’art 203 c.p contribuisce anche a spiegare il numero esiguo dei casi nei quali viene applicato il riformatorio g.

Tale misura ha durata minima pari ad un anno. Qualora il minore raggiunga i 18 anni prima dell'inizio dell'esecuzione o
durante l'esecuzione della misura, al riformatorio giudiziario è sostituita la libertà vigilata, salvo che il giudice ritenga di
ordinare l'assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro.

5. La libertà vigilata (art. 228 c.p.): misura di sicurezza personale non detentiva, che comporta sia l'imposizione di
una serie di prescrizioni limitative della libertà, sul cui rispetto vigila l'autorità di pubblica sicurezza, sia
interventi di sostegno e di assistenza affidati al servizio sociale. Duplice funzione della misura: non solo quella
di evitare al soggetto socialmente pericoloso "le occasioni di nuovi reati", ma anche quella di promuovere il
reinserimento sociale del soggetto.
Il codice penale distingue tra casi in cui può essere ordinata la libertà vigilata e casi in cui la misura deve essere
ordinata, richiedendo solo nei primi l'accertamento in concreto della pericolosità sociale del soggetto.

Nei confronti dei condannati alla reclusione, la libertà vigilata può essere disposta a condizione che la pena inflitta sia
superiore ad un anno; nel caso in cui la misura della pena inflitta sia pari o superiore a 10 anni, cambia soltanto la
durata minima, che passa da un anno a tre anni.
Accanto ai condannati alla reclusione, la legge individua una vasta gamma di ulteriori potenziali destinatari della
libertà vigilata. Tra gli altri, si tratta:
a) dell'autore di uno dei c.d. quasi reati;
b) del contravventore abituale o professionale, che, "non essendo più sottoposto a misure di sicurezza, commette un
nuovo reato, il quale sia nuova manifestazione di abitualità o di professionalità";
c) di colui che, essendo stato sottoposto alla colonia agricola o casa di lavoro, venga dimesso da tale istituto:
permanendo la pericolosità sociale, ma in grado tale da non giustificare la proroga della misura di sicurezza
265
detentiva, il soggetto può essere posto in libertà vigilata, oppure sottoposto alla misura di sicurezza patrimoniale
della cauzione di buona condotta;
d) del condannato a pena detentiva ammesso alla liberazione condizionale: anche in questo caso la misura viene
disposta qualora il giudice ritenga il soggetto socialmente pericoloso ( in tal caso opererebbe come misura sostitutiva
della pena detentiva e come tale non sarebbe subordinata all’accertamento della pericolosità sociale dell’agente)

La durata minima della misura è di regola un anno.


Questa regola viene però derogata in una serie di ipotesi. In primo luogo, per il condannato alla reclusione per un
tempo non inferiore a 10 anni, nonché per il condannato all'ergastolo che non debba scontare in tutto o in parte la
pena per effetto di indulto o grazia, la durata minima è di tre anni.
Per il condannato ammesso alla liberazione condizionale, la libertà vigilata si protrae per tutta la durata della pena
inflitta.
In caso di violazione degli obblighi inerenti alla libertà vigilata, il legislatore prevede che il giudice possa aggiungere
alla libertà vigilata la misura di sicurezza patrimoniale della cauzione di buona condotta.

Qualora la violazione sia particolarmente grave o ripetuta, ovvero non venga prestata la cauzione, il giudice può
sostituire la libertà vigilata con un'altra, più gravosa misura di sicurezza: l'assegnazione ad una colona agricola o ad
una casa di lavoro, ovvero, se si tratta di minori, il ricovero in un riformatorio giudiziario.

6. Il divieto di soggiorno in uno o più comuni o in una o più province (art. 223 c.p.):
misura di sicurezza personale non detentiva che comporta il divieto di soggiornare in determinati comuni o
province, intendendosi con il termine 'soggiornare' il fermarsi o il trattener si in quei luoghi anche per un
brevissimo lasso di tempo e anche occasionalmente.
Destinatari di questa misura, se socialmente pericolosi, sono coloro che siano stati condannati per alcune categorie di
delitti tassativamente indicati dalla legge: delitti contro la personalità dello Stato, delitti contro l'ordine pubblico,
delitti commessi per motivi politici, delitti occasionati da particolari condizioni sociali o morali esistenti in un
determinato luogo.
La misura può essere applicata qualunque sia l'entità della pena inflitta e ha una durata minima di un anno. Il caso
di trasgressione del divieto, ricomincia a decorrere il termine minimo di durata della misura; ove la violazione sia
grave o ripetuta, il giudice può inoltre disporre la libertà vigilata.

7. Il divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcooliche (art. 234 c.p.):
Misura di sicurezza personale non detentiva, finalizzata a combattere i fenomeni di criminalità legati
all'alcolismo, il divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcoliche consiste nel divieto di recarsi
sistematicamente, e non solo sporadicamente, in tali luoghi; con la locuzione 'pubblici spacci di bevande alcoliche' si fa
riferimento a quegli esercizi in cui si vendono e si consumano vino, liquori o birra. Destinatario di questa misura, se
socialmente pericoloso, è chi venga condannato per un reato commesso in stato di ubriachezza, ore si tratti di
ubriachezza abituale.
Durata minima è di un anno e in caso di trasgressione del divieto il giudice può ordinare in aggiunta a questa misura di
sicurezza , l’applicazione della libertà vigilata o la prestazione di una causazione di buona condotta.

8. L'espulsione dello straniero dallo Stato e l’allontanamento del cittadino di uno Stato membro dell’UE dal
territorio dello Stato (art. 235 c.p.):

Misura di sicurezza personale non detentiva che comporta l'allontanamento coattivo dal territorio dello Stato e
presuppone che il soggetto sia stato condannato alla reclusione per un tempo superiore a due anni. La misura di
sicurezza dell'espulsione dello straniero può essere disposta nei confronti di chi sia stato condannato ad una pena
detentiva di qualsiasi ammontare per un delitto doloso per il quale la legge stabilisce la reclusione superiore nel
massimo a tre anni, ovvero per un delitto colposo, punito in astratto con la reclusione non inferiore nel massimo a

266
cinque anni. Può essere disposta anche nei confronti di chi venga condannato per un delitto in materia di sostanze
stupefacenti.
Autorità competente ad eseguire questa misura è in ogni caso il questore, il quale provvede mediante
accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica.
La trasgressione all'ordine di espulsione configura un'autonoma fattispecie delittuosa, punita con la reclusione da uno a
quattro anni.

B. Le misure di sicurezza patrimoniali


Le misure di sicurezza patrimoniali si caratterizzano per la loro incidenza sul patrimonio. Due sono le misure di
sicurezza patrimoniali previste dal codice penale: la cauzione di buona condotta e la confisca.

Le singole misure di sicurezza patrimoniali:

1. LA CAUZIONE DI BUONA CONDOTTA (art. 237 ss. c.p.): si esegue mediante il deposito di una somma di
denaro (da 103 a 2.065 euro) presso la Cassa delle ammende, ovvero mediante la prestazione di una garanzia
ipotecaria o di una fideiussione solidale avente ad oggetto una somma equivalente. Finalità di questa misura è
quella di distogliere il soggetto dal commettere nuovi reati, prospettandogli, come deterrente, il danno
patrimoniale conseguente alla penalità della somma depositata ovvero all'esecuzione della garanzia prestata.
267
La somma di denaro depositata deve essere restituita, l'ipoteca deve essere cancellata e la fideiussione si
distingue se, durante l'esecuzione della misura di sicurezza, il soggetto non commette alcun delitto, né alcuna
contravvenzione punita con l'arresto.
Destinatari di questa misura, che è prevista sempre in alternativa o in aggiunta alla libertà vigilata, sono: a) colui che,
essendo stato assegnato ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro, venga dimesso da tale istituto: permanendo la
pericolosità sociale, ma in grado tale da non giustificare la proroga della misura di sicurezza detentiva, il soggetto può
essere sottoposto alla cauzione di buona condotta, oppure alla libertà vigilata; b) chi, sottoposto a libertà vigilata,
abbia violato gli obblighi che gli sono stati imposti; c) chi abbia trasgredito il divieto di frequentare osterie e pubblici
spacci di bevande alcoliche; d) chi abbia riportato condanna per esercizio di gioco d'azzardo, a condizione che si tratti
di un contravventore abituale o professionale: in questo caso, la cauzione di buona condotta si aggiunge alla libertà
vigilata.
Tale misura ha durata minima di 1 anno e massima di 5 anni.
Se colui nei confronti del quale è disposta questa misura di sicurezza non deposita la somma né presta le garanzie, il
giudice sostituisce alla cauzione la misura di sicurezza personale della libertà vigilata.

2. LA CONFISCA Art 240 cp


Co 1 (Facoltativa): ”nel caso di condanna il giudice può ordinare la confisca delle cose che servirono o furono destinate
a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto”.

Co 2 (Obbligatoria): ӏ sempre ordinata la confisca:

 delle cose che costituiscono il prezzo del reato


 delle cose, la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione e l’alienazione delle cose delle quali costituisce reato,
anche se non è stata pronunciata condanna.
Le disposizioni della prima parte e del n.1 del capoverso precedente non si applicano se la cosa appartiene a persona
estranea al reato.

Le disposizioni della prima parte e del n.2 non si applica se la cosa appartiene a persona estranea al reato e la
fabbricazione ,l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione possono essere consentiti mediante autorizzazione
amministrativa”.

Consiste nell’espropriazione ad opera dello Stato di cose attinenti a un reato o di per se criminose .

E’ qualificata dal legislatore come misura di sicurezza patrimoniale , coerentemente con la finalità della confisca :
prevenire la commissione di nuovi reati , mediante l’espropriazione , a favore dello Stato di cose che, provenendo da
illeciti penali o comunque collegati alla loro esecuzione , mantengono viva l’idea e l’attrattiva del reato.

Infatti il presupposto della confisca è la pericolosità sociale della cosa, da intendersi come probabilità che, ora lasciata
nella disponibilità del reo , la cosa costituisca per lui un incentivo alla commissione di ulteriori illeciti.

CONFISCA OBBLIGATORIA --> la pericolosità sociale della cosa è presunta dalla legge.
CONFISCA FACOLTATIVA La pericolosità sociale va accertata in concreto dal giudice, che formulerà il giudizio in
relazione alla persona che possiede la cosa.

Da un espresso richiamo all’art. 207 c.p si evince che ha durata perpetua: alla revoca delle misure di sicurezza
personali coerente con la ratio di questa misura di sicurezza , mentre la pericolosità sociale può cessare , legittimando
la revoca di una misura applicata su quale presupposto, la pericolosità della cosa è immanente a quest’ultima , non
potendo cessare fintanto chè la cosa rimanga nelle mani di quella persona.

CONFISCA FACOLTATIVA 1° co. art 240 c.p.

268
Il potere discrezionale del giudice va esercitato in vista di una finalità di prevenzione speciale , si tratterà di accertare
in concreto la necessità di sottrarre al reo quelle cose connesse al reato in quanto potrebbero costituire stimolo alla
perpetrazione di nuovi reati.

OGGETTO: sono” le cose che servirebbero a commettere il reato”: s’intendono quelle effettivamente utilizzate dal
reo, mentre per “cose che furono destinate a commettere il reato”: quelle che erano state predisposte per la
commissione del reato ma che in concreto, per una qualsiasi ragione, non sono state utilizzate.

È circoscritta ai soli reati dolosi e si evince da espressioni quali “servirono”, “furono destinati”. prodotto del
reato Cose materiali create attraverso l’attività penalmente rilevante ( es. monete falsificate con il procedimento

di contraffazione).

profitto del reatoCose che rappresentano l’utilità economica direttamente o indirettamente conseguita con la
commissione del reato.

È subordinata a 2 condizioni:

1. procedimento penale concluso con una sentenza o un decreto penale di condanna ( non ricorre tale condizione
quando è intervenuta una causa di estinzione del reato perché in tal caso viene pronunciata sentenza di proscioglimento)

2. la cosa non deve appartenere a persona estranea al reato.

CONFISCA OBBLIGATORIA 1 co art 240 cp

Sono 2 ipotesi:

1. La confisca che ha per oggetto le cose che costituiscono il prezzo del reato.
Si tratta di cose che sono state date per istigare o determinare il soggetto a commettere il reato in veste di
autore o di partecipe.
Riflette una presunzione di pericolosità sociale delle cose , infatti se quelle cose rimangono nella
disponibilità dell’istigato , gli renderebbero tangibile l’idea che il delitto paga e quindi potrebbero costituire
un incentivo alla commissione di nuovi reati.
È preclusa se la cosa che costituisce prezzo del reato appartiene a persona estranea al reato.
Riguarda le cose la cui fabbricazione , uso, porto, detenzione o alienazione è prevista dalla legge come reato ( ad es.
prodotti alimentari confezionati con componenti vietate dalla legge).
La dottrina parla di cose intrinsecamente criminose.si distingue tra: cose il cui possesso ,uso, costituiscono sempre
reato (divieto assoluto) e cose il cui possesso può essere autorizzato in via amministrativa ( divieto relativo) e in tal caso la
confisca deve essere disposta se in concreto mancava l’autorizzazione ovvero non erano state rispettate le condizioni
alle quali l’autorizzazione era stata subordinata ( ad es. era stata autorizzata la detenzione in casa delle armi ma viene trasferita in altro
luogo senza regolare denuncia alla autorità di p.s.).

Sia in caso di divieto assoluto che relativo la c. delle cose intrinsecamente criminose deve essere disposta anche in
assenza di sentenza di condanna ( anche nel caso in cui l’agente sia assolto per difetto di dolo).
Se la cosa appartiene a persona estranea al reato la C. è applicabile solo in caso di divieto assoluto.
Nel caso di divieto relativo è preclusa perché non è necessario che l’autorizzazione amministrativa sia stata
effettivamente rilasciata ma basta l’astratta possibilità del suo rilascio.
L’irrilevanza di un effettiva autorizzazione discende dal linguaggio della legge che parla di cose apparentemente a
persona estranea e la cui fabbricazione e uso possono essere consentiti mediante autorizzazione amministrativa.

Confisca per equivalente

È stata introdotta in relazione ad alcuni specifiche ipotesi di reato e ha per oggetto somme di denaro , beni o altre
utilità di cui il colpevole ha disponibilità per un valore corrispondente al prezzo, al profitto o al prodotto del reato.

269
È stata prevista per il reato di usura, delitti del pubblico ufficiale contro la pubblica amministrazione, truffa, truffa
aggravata., frode informatica.

La Cassazione ha elaborato i fondamentali principi che regolano tale ipotesi speciale di confisca , precisando che è
finalizzata a privare in ogni modo l’autore del reato dei vantaggi derivanti dalla sua attività criminosa , è destinata ad
operare nei casi in cui la confisca “ diretta” dei proventi del reato non sia possibile ad es. perché occultati o consumati.

Per garantire il recupero dell’intera somma “equivalente” nel caso di concorso di persone nel reato la confisca può
essere applicata per l’intero importo, nei confronti di uno dei qualsiasi concorrenti , anche se il profitto o il prezzo del
reato non sia transitato nel suo patrimonio .

Natura: mancando un rapporto di pertinenza tra reato e beni confiscati , e implicando il venir meno del presupposto
della pericolosità sociale della cosa confiscata, si configura più come una misura dal carattere preminentemente
sanzionatorio, che come misura di sicurezza discende il divieto di applicazione retroattiva.

Capitolo 15 RESPONSABILITA’ DA REATO DEGLI ENTI

La ratio della responsabilità


I paesi europei continentali prevedono oggi, in larga maggioranza, la diretta responsabilità delle imprese: per lo più
responsabilità penale, autonoma rispetto a quella delle persone fisiche che agiscano per l'impresa.

Per fronteggiare la criminalità delle imprese è stata introdotta la responsabilità diretta delle persona giuridiche
autonoma e solo eventualmente cumulabile con quella delle persone fisiche perché spesso non sono identificabili gli
autori dei reati.

I reati ascrivibili all'ente.

Nel nostro ordinamento la responsabilità da reato delle persone giuridiche è stata introdotta dal d.lgs. 8 giugno 2001
n. 231.

Questa forma di responsabilità riguarda attualmente una serie di delitti, tra i quali:

270
 delitti contro la Pubblica Amministrazione quali la corruzione, la concussione e l'indebita percezione di erogazioni
pubbliche;
 la truffa in danno dello Stato o di un ente pubblico per il conseguimento di erogazioni pubbliche;  i delitti di falsità in
monete;
 la contraffazione di marchi o brevetti e i delitti in materia di diritto d'autore;
 la frode in commercio e gli altri delitti contro l'industria e commercio;
 i delitti informatici; i delitti commessi con finalità di terrorismo o di eversione;
 l'omicidio colposo e le lesioni colpose gravi o gravissime commessi con violazione delle norme sulla tutela della salute e
della sicurezza sul lavoro;
 le pratiche di mutilazione di organi genitali femminili;
 i delitti in materia di schiavitù, di prostituzione minorile e di pornografia minorile;
 il sequestro di persona a scopo di estorsione;
 l'associazione per delinquere, l'associazione mafiosa, l'associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e alcuni gravi
delitti, anche a carattere transnazionale, che si ambientano nella criminalità organizzata;  la ricettazione, il riciclaggio
e l'impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita;  i reati societari e l'abuso di mercato; i reati ambientali.
La responsabilità dell'ente sorge anche se il reato ha la forma del tentativo. In tal caso le sanzioni pecuniarie
interdittive sono ridotte da un terzo alla metà.

Si applica alla responsabilità dell’ente una particolare causa sopravvenuta di non punibilità, modellata in parte sulla
desistenza volontaria, in parte sul recesso attivo del delitto tentato “l’ente non risponde quando volontariamente
impedisce il compimento dell’azione o la realizzazione dell’evento”..anche il recesso attivo comporta dunque la non
punibilità dell’ente anziché la mera riduzione di pena prevista dal codice penale all’art. 56 c..p..

La natura amministrativa della responsabilità dell'ente.

Dal 2001 in poi anche il nostro ordinamento ha dunque fatto spazio al principio societas delinquere potest; la
responsabilità dell'ente è penale, amministrativa ovvero incarna un terzo modello di responsabilità?

L'inquadramento come responsabilità penale si lascerebbe preferire, secondo una parte della dottrina, per un triplice
ordine di ragioni:

a) le garanzie di diritto sostanziale fornite all'ente sono quelle proprie del diritto penale: legalità e irretroattività
della disciplina sfavorevole (l’ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto costituente reato se la sua
responsabilità amministrativa in relazione a quel reato e le relative sanzioni non sono espressamente previste da una
legge entrata in vigore prima della commissione del fatto), nonché retroattività della disciplina favorevole (l’ente
non può essere ritenuto responsabile per un atto che secondo una legge posteriore non costituisce più reato o in
relazione al quale non è più prevista la responsabilità amministrativa dell’ente e se vi è stata condanna cessano
l’esecuzione e gli effetti giuridici) ;
se la legge del tempo in cui fu commesso il fatto e le successive sono diverse di applicano le disposizioni più
favorevoli, salvo che sia intervenuta sentenza irrevocabile;
b) la responsabilità per fatto proprio colpevole fonda anche la responsabilità dell'ente, la cui colpevolezza è
modellata sulle peculiarità di un soggetto operante come 'organizzazione';
c) competente a giudicare della responsabilità dell'ente, assicurandogli le stesse garanzie difensive previste per
la persona fisica, è lo stesso giudice penale che giudica della sussistenza del reato.
Si obietta che legalità e irretroattività della disciplina sfavorevole sono principi che già regolano gli illeciti
amministrativi delle persone fisiche e che la colpevolezza è già richiesta per la responsabilità amministrativa delle
persone fisiche, che il giudice penale è già competente a conoscere del reato dell’illecito amministrativo della persona
fisica quando tra i due illeciti vi sia connessione obiettiva.

Quindi contro la responsabilità penale per il fatto in cui il reato sia commesso da un soggetto in posizione apicale il d.

271
lgs 231/2001 accolla all’ente l’onere della prova ( l’ente non risponde se prova) di aver adottato efficaci modelli di
organizzazione e gestione idonei a evitare reati e di aver affidato ad un organismo dell’ente dotato di poteri autonomi
il compito di un efficiente vigilanza sul funzionamento dei modelli di organizzazione ..
se davvero la responsabilità dell’ente avesse natura penale tale disposizione sarebbe costituzionalmente illegittima in
quanto in contrasto con a presunzione di non colpevolezza che accolla all’accusa l’onere della prova della
responsabilità penale..l’inversione dell’onere della prova non trova nessun ostacolo di principio nemmeno di rango
costituzionale nell’inquadramento della responsabilità come responsabilità amministrativa.

Parla, invece, in modo assorbente nel senso della responsabilità amministrativa dell'ente il nome delle sanzioni
comminate dalla legge. Si sa che un fatto costituisce reato solo quando la legge gli ricollega una sanzione che il
legislatore designa con il nome di una delle pene principali. Ora, nessuna delle sanzioni applicabili all'ente è designata
dalla legge con il nome di una pena principale: anzi, quelle sanzioni sono espressamente designate come sanzioni
amministrative e la sanzione pecuniaria, lungi dall'essere chiamata multa o ammenda, è etichettata espressamente
come "sanzione amministrativa pecuniaria".

Infine, in giurisprudenza sembra prevalere un orientamento secondo il quale la responsabilità da reato dell'ente non
avrebbe natura né penale, né amministrativa: si tratterebbe di un "tertium genus nascente dall'ibridazione della
responsabilità amministrativa con principi e concetti propri della sfera penale".

Cerchia degli enti responsabili da reato:

Secondo il dlgs 231/2001 si attribuisce responsabilità amministrativa a

 enti forniti di responsabilità giuridica


 società e associazioni anche prive di personalità giuridica
 società con partecipazione pubblica mista o totale
 l’ente pubblico economico cui è affidata la gestione dello smaltimento dei rifiuti
 enti stranieri nel cui vantaggio o interesse sia stato commesso un reato sul territorio del nostro stato

Quanto ai criteri di attribuzione della responsabilità da reato all'ente:


Quanto ai criteri di attribuzione della responsabilità da reato all'ente, il primo criterio è che il reato sia stato
commesso nel suo interesse o a suo vantaggio da soggetti 'in posizione apicale' o da soggetti 'sottoposti alla direzione
o vigilanza' di uno dei soggetti a apicali: criterio ovviamente inapplicabile quando quei soggetti abbiano agito
"nell'interesse esclusivo proprio o di terzi".

Il secondo criterio è la rimproverabilità all'ente di una colpa d'organizzazione: cioè la mancata adozione o l'inefficace
attuazione di un modello di organizzazione e di gestione idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi
ovvero il mancato affidamento del compito di vigilare sul funzionamento e sull'osservanza dei modelli a un organismo
autonomo dell'ente.

Sono 'in posizione apicale' le persone con funzioni di rappresentanza, amministrazione, direzione dell'ente o di una
sua unità organizzativa con autonomia finanziaria e funzionale, nonché le persone che esercitano, anche di fatto, la
gestione o il controllo dell'ente.

272
Problemi probatori

È sul terreno probatorio che la disciplina italiana opera una distinzione tra i reati commessi da soggetti in posizione
apicale e i reati commessi da soggetti sottoposti all'altrui azione.

Nel primo caso l'onere di provare l'assenza di una colpa d'organizzazione grava sull'ente: nel dubbio, all'ente andranno
inflitte le sanzioni previste dalla legge. L'onere sarà tuttavia assolto nell'eventualità che l'ente provi che, pur essendo
efficace il modello di organizzazione ed efficiente l'organismo di controllo, l'ente non era comunque in grado di
impedire la commissione del reato da parte dei soggetti in posizione apicale, perché costoro hanno agito " eludendo
fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione". In quest'ultima eventualità l'esonero dell'ente non è
totale: l'art. 6.5 c.p. dispone infatti che " è comunque disposta la confisca del profitto che l'ente ha tratto dal reato
anche nella forma per equivalente".

Il dubbio non nuoce all'ente quando, invece, si tratti di reati commessi da soggetti sottoposti all'altrui direzione o
vigilanza: la legge non opera, in tal caso, nessuna inversione dell'onere della prova.
Graverà perciò sull'accusa l'onere di provare il difettoso funzionamento del modello di organizzazione e/o
dell'organismo di controllo.

Il "dolo" dell'ente: la politica di impresa finalizzata alla commissione del reato

Come si è anticipato, la colpa d'organizzazione è il criterio minimale sul quale si fonda la responsabilità da reato
dell'ente, nel senso che basta la colpa. È ben possibile, per contro, che il reato sia l'espressione di una politica di
impresa finalizzata alla commissione del reato: in tal caso la responsabilità troverà il proprio fondamento in una sorta
di dolo dell'ente.

Talora è la stessa legge a prevedere espressamente questa forma di responsabilità: per i delitti con finalità di
terrorismo o eversione, quando "l'ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o
prevalente di consentire o agevolare la commissione" del delitto represso dall'art. 583 bis c.p.; per le ipotesi
delittuose di associazione per delinquere con carattere transnazionale, ancora una volta, l'ente o una sua unità
organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione di
quei reati.

In tutti questi casi la sanzione comminata è la dissoluzione dell'ente, nella forma della interdizione definitiva
dall'esercizio dell'attività.
Ma non sono gli unici casi. Ogni altro reato può essere infatti l'espressione di una politica dell'impresa finalizzata alla
sua commissione, e in tale eventualità l'ente, sarà del pari sanzionato con l'interdizione definitiva dall'esercizio
dell'attività. Ciò accadrà quando "l'ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o
prevalente di consentire o agevolare la commissione" di questo o quel reato.

L'autonomia della responsabilità dell'ente

Il d.lgs. 231/2001 sancisce, all'art. 8, l'autonomia della responsabilità dell'ente rispetto alla responsabilità dell'autore: il
cumulo delle due responsabilità è solo eventuale.
La più importante e frequente ragione dell'autonoma responsabilità dell'ente risiede nella complessità dei processi
produttivi e gestionali che, coinvolgendo una pluralità di persone, molto spesso impediscono di identificare il singolo
autore o gli autori del fatto di reato; a ciò si aggiunga il fenomeno patologico della "irresponsabilità individuale
organizzata".

Si configura un autonoma responsabilità dell'ente: quando l'autore del reato non è stato identificato, quando l'autore
del reato non è imputabile, quando il reato si estingue per una causa diversa dall'amnistia.

273
Essendo l'autonoma responsabilità dell'ente responsabilità da reato, va accertata la sussistenza di tutti gli elementi
oggettivi e soggettivi del reato che gli viene ascritto, per colpa d'organizzazione o per una politica criminale di impresa.

Le sanzioni comminate all'ente sono:

a) la sanzione pecuniaria, commisurata secondo lo schema delle quote. Il numero viene determinato dal giudice in base
alla gravità del fatto, al grado della responsabilità dell'ente e all'attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto o
per prevenirne la reiterazione e il cui importo dipende dalle condizioni economiche e patrimoniali dell'ente;

b) le sanzioni interdittive temporanee (interdizione dall'esercizio dell'attività; sospensione o revoca di autorizzazioni, licenze o
concessioni; divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione; esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o revoca di quelli già
concessi; divieto di pubblicizzare beni o servizi), la cui scelta da parte del giudice va operata sulla stessa base dei criteri che regolano la
determinazione del numero delle quote delle pene pecuniarie (gravità del fatto, ecc.), sempreche ricorra una delle seguenti condizioni:
reiterazione degli illeciti, profitto di rilevante entità tratto dall'ente se il reato è commesso da soggetti apicali, gravi carenze
organizzative se il reato è commesso da soggetti sottoposti all'altrui azione;

c) le sanzioni interdittive definitive (interdizione definitiva dall'esercizio dell'attività, applicabile quando l'ente che ha
tratto un profitto di rilevante entità è stato già condannato almeno tre volte, negli ultimi sette anni,all'interdizione temporanea,
ovvero quando l'ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o
agevolare la commissione dei reati ascrivibili all'ente; divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione o divieto di
pubblicizzare beni o servizi, applicabile quando l'ente è già stato condannato alla stessa sanzione almeno tre volte negli ultimi sette
anni);

d) la confisca del prezzo o del profitto del reato, che è sempre disposta con la sentenza di condanna, salvi i diritti dei terzi in
buona fede: quando non è possibile aggredire il profitto o il prezzo, la confisca avrà per oggetto somme di denaro, beni o altra utilità
di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato;

e) la pubblicazione della sentenza di condanna: il giudice può disporla quando nei confronti dell'ente viene applicata
una sanzione interdittiva.

La prescrizione dell'illecito dell'ente

La disciplina della prescrizione dell'illecito dell'ente è modellata sulla falsariga di quella prevista per gli illeciti civili:
cinque anni dalla consumazione del reato, e inizio di un nuovo periodo di prescrizione dopo ogni atto interruttivo.

Accenni al dolus eventualis

Formula di Frank: per appurare se si sia in presenza di dolo eventuale o di colpa con previsione, allorquando l'agente si
sia rappresentato la possibilità del verificarsi di un evento non desiderato, si dovrebbe accertare se egli, prevedendo
come sicuro il verificarsi dell'evento stesso, avrebbe agito ugualmente o si sarebbe astenuto dall'azione. Il dolo
eventuale è presente se l'agente si è detto: "le cose possono stare, o andare in questo modo o altrimenti, in ogni caso
io agisco" (si ha dolo eventuale quando l'agente e determinato ad agire a quel costo).

Colpa cosciente è in colui che, se avesse avuto certa cognizione dell'esistenza del presupposto si sarebbe astenuto
dalla condotta; dolo eventuale è in chi avrebbe agito ugualmente.

Teoria del Kaufmann: non si può configurare dolo eventuale se l'agente, nella scelta dei mezzi e delle modalità di
esecuzione, adegua la propria condotta al proposito di evitare l'evento collaterale, perché dolo e volontà di evitare
determinati risultati si escludono a vicenda. Secondo la prassi corrente sia ha colpa con previsione quando l'agente si
rappresenti la possibilità della causazione dell'evento e in una fase successiva perviene alla rimozione del dubbio ed ha
agito con la sicura fiducia che l'evento non si sarebbe verificato, contando nelle circostanze esterne, sulla sua abilità

274
professionale, su contromisure atte ad evitare l'evento. L'accettazione del rischio di cagionare l'evento è quindi il
fattore caratteristico del dolo eventuale. Nel dolo eventuale oltre all'accettazione del rischio, vi è pure l'accettazione,
sia pure in forma eventuale, del danno, della lesione, in quanto essa rappresenta il possibile prezzo del risultato
desiderato.

In conclusione per distinguere dolo eventuale e colpa con previsione è necessario appurare se il rischio è stato
accettato per pura imprudenza, leggerezza, trascuratezza, indolenza od, invece, a seguito di un bilanciamento, di una
valutazione di interessi, quale "prezzo" per il raggiungimento di uno specifico risultato intenzionalmente perseguito,
cui l'agente ha consapevolmente, deliberatamente ritenuto valesse la pena di sacrificare altro bene, associando
mentalmente l'eventuale sacrificio al risultato desiderato

275

Potrebbero piacerti anche