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LE SANZIONI
PREMESSA
Il vigente ordinamento penale organizza la risposta statuale ai fenomeni di devianza criminale secondo tre
linee di intervento, che si articolano rispettivamente nella comminatoria delle pene, delle misure di sicurezza e
delle misure di prevenzione.
Misure di sicurezza e misure di prevenzione condividono con la pena l’effetto di aggressione alla sfera della
libertà individuale e della integrità patrimoniale del soggetto colpito; al pari di quella, sono oggi applicate
mediante procedimenti di carattere giurisdizionale, di rigorosa competenza del giudice penale; si dirigono
contro atteggiamenti, situazioni, comportamenti individuali, giudicati incompatibili con l’ordinamento di vita
della comunità.
SEZIONE PRIMA
LE PENE
PENE PRINCIPALI
Il c.p. vigente distingue le pene in principali e accessorie. Le pene principali sono inflitte dal giudice con la
sentenza di condanna, quelle accessorie “conseguono di diritto alla condanna, come effetti penali di essa”.
Le pene principali possono essere detentive o pecuniarie. Sono pene detentive l'ergastolo, la
reclusione e l'arresto, sono pene pecuniarie la multa e l'ammenda. L'ergastolo, la reclusione e la multa sono
le pene previste per i delitti mentre l'arresto e l'ammenda sono le pene previste per le contravvenzioni.
Le pene detentive brevi possono essere sostituite dalle sanzioni sostitutive delle pene previste e
disciplinate dalla legge n. 689 del 1981 nonchè, in fase d'esecuzione della pena, dalle misure alternative
alla detenzione.
Il catalogo delle pene principali, contenuto nell’art. 17 c.p., originariamente, si apriva con la menzione della
pena di morte, che, abolita dal codice Zanardelli, era stata reintrodotta nel c.p. del 1930, in coerenza con le
scelte politico-criminali ispirate a una strategia di estrema prevenzione mediante intimidazione. Con l’art. 1
d.lgs.lgt. 224/1944, la pena di morte venne nuovamente soppressa per i delitti preveduti dal c.p., stabilendosi,
nel contempo, che nei casi per cui essa era prevista, si applicasse, in suo luogo, la pena dell’ergastolo. Con l’art.
1 co. 1 e 3 d.lgs. 21/1948, la pena di morte venne eliminata anche dalle leggi penali speciali, diverse da quelle
militari di guerra, nelle quali restava in vigore: ciò in attuazione dell’art. 27 co. 3 Cost. che, nel ripudiare in
modo generalizzato, il ricorso alla pena di morte, aveva tuttavia fatti salvi i casi in cui essa era prevista nelle
leggi militari di guerra; anche questa residua ipotesi di ammissibilità della pena di morte è stata infine
eliminata, a seguito della legge 589/1994.
Nell’insieme, l’impianto sanzionatorio del c.p. appare fondato essenzialmente sulla pena detentiva che –
talvolta congiunta, talaltra (raramente) in alternativa con la pena pecuniaria – costituisce, almeno per i delitti
dolosi, praticamente la regola.
LE PENE ACCESSORIE
Il c.p. vigente distingue le pene in principali e accessorie. Le pene principali sono inflitte dal giudice con la
sentenza di condanna, quelle accessorie “conseguono di diritto alla condanna, come effetti penali di essa”.
In via generale, le pene accessorie, corrispondono a misure interdittive o sospensive dell’esercizio di diritti,
potestà, uffici, o a misure incapacitanti. La funzione delle pene accessorie è ovviamente configurata in dottrina
secondo prospettive influenzate dai diversi punti di vista sugli scopi della sanzione penale.
La sola caratteristica comune a tutte le pene accessorie è la loro complementarietà rispetto alla pena
principale. Le pene accessorie possono essere perpetue o temporanee. In questo secondo caso, la loro durata,
quando non è stabilita espressamente dalla legge, corrisponde alla durata della pena principale.
Da notare che, secondo l’opinione prevalente della dottrina, il catalogo delle pene accessorie contenuto
nell’art. 19 c.p. non può essere considerato come una elencazione tassativa; e, di fatto, le leggi speciali
contemplano non pochi casi di pene accessorie non ricomprese nell’art. 19 c.p.
Le pene accessorie previste per i delitti sono: a) L’interdizione dai pubblici uffici; b) L’interdizione da
una professione o da un’arte; c) L’interdizione legale; d) L’interdizione dagli uffici direttivi delle persone
giuridiche e delle imprese; e) L’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione; f) L’estinzione del
rapporto di impiego o di lavoro; g) La decadenza o la sospensione della responsabilità genitoriale.
a) L’interdizione dai pubblici uffici priva il condannato dal diritto di elettorato, attivo e passivo, e di
ogni altro diritto politico; di ogni altro pubblico ufficio e di ogni incarico, non obbligatorio, di pubblico
servizio; di gradi, titoli, e dignità accademiche, decorazioni e, in genere, diritti onorifici e della capacità di
assumerli.
L’interdizione dai pubblici uffici può essere perpetua o temporanea. Quella perpetua consegue di diritto
alla condanna all’ergastolo o alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni, e alla dichiarazione di
abitualità o professionalità nel delitto e di tendenza a delinquere. L’interdizione temporanea ha una durata
non inferiore a un anno e non superiore a cinque. Essa consegue alla condanna alla reclusione per un tempo
non inferiore a tre anni (in questo caso ha la durata di cinque anni) e alla condanna per delitti commessi con
l’abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla pubblica funzione o al pubblico servizio, sempre che
non si tratti di condanna per delitto colposo.
b) L’interdizione da una professione o da un’arte priva il condannato della capacità di esercitare,
durante l’interdizione, una professione, arte, industria, o un commercio o mestiere, per cu è richiesto uno
speciale permesso, o una speciale abilitazione, autorizzazione o licenza dell’Autorità, e ne comporta la
decadenza. Non può avere durata inferiore a un mese, né superiore a cinque anni, salvi i casi espressamente
stabiliti dalla legge. Consegue alle condanne per delitti commessi con abuso di una professione, arte, mestiere,
etc. o con violazione dei relativi dovere.
c) L’interdizione legale priva il condannato della capacità di agire. Consegue alle condanne all’ergastolo
e alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni, sempre che non si tratti di condanna per delitto
colposo. L’interdizione legale produce anche la sospensione, per la durata della pena, dell’esercizio della
responsabilità genitoriale, salvo che il giudice disponga altrimenti.
d) L’interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese
priva il condannato della capacità di esercitare, durante l’interdizione, l’ufficio di amministratore, sindaco,
liquidatore e direttore generale, nonché ogni altro ufficio con potere di rappresentanza della persona giuridica
dell’imprenditore. Consegue “ad ogni condanna alla reclusione non inferiore a sei mesi per delitti commessi
con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti all’ufficio”. In mancanza di espressa determinazione
normativa, la durata dell’interdizione è pari a quella della pena principale. L’interdizione dagli uffici direttivi
non si applica nel caso di condanna per delitto colposo alla reclusione inferiore a tre anni e nel caso di
inflizione della sola pecuniaria.
e) L’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione comporta il divieto di concludere
contratti con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio.
Consegue alla commissione dei delitti contro la P.A. e non può avere durata inferiore a un anno né superiore a
tre anni.
f) L’estinzione del rapporto di lavoro o di impiego comporta l’estinzione del rapporto di lavoro o di
impiego per il dipendente di amministrazioni o enti pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione
pubblica. Consegue alla condanna alla reclusione non inferiore a tre anni per i delitti contro la P.A.
g) La decadenza o la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale comporta la
sospensione dall’esercizio di essa per un periodo di tempo pari al doppio della pena inflitta, la privazione di
ogni diritto che al genitore spetti sui beni del figlio in forza della potestà, nonché l’incapacità di esercitare,
durante la sospensione, qualsiasi diritto che al genitore spetti sui beni del figlio. Consegue alla condanna
all’ergastolo e alla condanna per una serie di reati, quali l’incesto, i delitti contro lo stato di famiglia le
mutilazioni genitali femminili, i delitti contro la personalità individuale, tra i quali la riduzione in schiavitù, la
pornografia minorile e la prostituzione minorile, i delitti contro la libertà sessuale.
La sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale può essere disposta anche nel caso di
condanna alla reclusione non inferiore a cinque anni (art. 32 co. 3 c.p.).
Le pene accessorie previste per le contravvenzioni sono: a) la sospensione dall’esercizio di una
professione o da un’arte; b) la sospensione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese.
a) La sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte. Consegue ad ogni condanna per
contravvenzione, commessa con abuso della professione, arte, etc., ovvero con violazione dei relativi doveri,
quando la pena principale inflitta non è inferiore a un anno di arresto; la sospensione non può essere di durata
inferiore a tre mesi, né superiore a tre anni.
b) La sospensione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese ha contenuto
identico a quello della corrispondente misura interdittiva. Consegue ad ogni condanna all’arresto per
contravvenzioni commesse con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti all’ufficio; non può avere
durata inferiore a quindici giorni o superiore a due anni.
Pena accessoria comune ai delitti e alle contravvenzioni è la pubblicazione della sentenza di
condanna. Consegue alla condanna nei casi stabiliti dalla legge. Questa pena accessoria è disposta in
sentenza e consiste nella pubblicazione della sentenza di condanna nel sito internet del Ministero della
Giustizia; la pubblicazione è eseguita d’ufficio, ma a spese del condannato. La sentenza di condanna
all’ergastolo, oltre che pubblicata nei modi anzidetti, sia anche pubblicata mediante affissione nel Comune ove
è stata pronunziata, in quello ove il delitto fu commesso ed in quello ove il condannato aveva l’ultima
residenza.
LE PENE SOSTITUTIVE
La legge 689/81 prevede che il giudice, nell’atto in cui emette una sentenza di condanna, possa irrogare
una sanzione sostitutiva, in luogo della pena detentiva breve (reclusione, arresto) comminata per il reato.
L’applicabilità delle sanzioni sostitutive è circoscritta dalla misura della pena determinata, in concreto, dal
giudice. Nella originaria previsione della legge 689/1981, per essere sostituibile, la pena irrogata non doveva
superare i sei mesi di reclusione. Questo limite è stato notevolmente ampliato. Secondo la normativa vigente,
il giudice, quando ritiene di dovere determinare la pena detentiva entro il limite di sei mesi, può sostituirla con
una qualsiasi delle sanzioni sostitutive; quando si tratti di una pena superiore a sei mesi ma non superiore a
un anno, può sostituirla con la semidetenzione o con la libertà controllata; mentre, quando ritenga di irrogare
una pena superiore a un anno e non superiore a due anni, ha a disposizione la sola misura della
semidetenzione. Questi limiti di dilatano fino al triplo nelle ipotesi di reato continuato e di concorso di reati.
Nelle ipotesi in cui ha facoltà di determinare il tipo di sanzione sostitutiva da applicare, il giudice, dovrà
scegliere “quella più idonea al reinserimento sociale del condannato”.
Per quanto riguarda invece le esclusioni soggettive, le sanzioni sostitutive non possono essere applicate
a coloro che siano stati già condannati, con una o più sentenze, complessivamente ad una pena superiore ai
due anni di reclusione ed abbiano commesso il reato nei cinque anni dalla condanna precedente; inoltre, se la
pena detentiva è stata irrogata per un fatto commesso nell’ultimo decennio, essa non può essere sostituita: a) a
coloro che siano stati condannati due volte per reati della stessa indole; b) a coloro nei cui riguardi una pena
sostitutiva precedentemente inflitta sia stata convertita in pena detentiva ovvero sia stato revocato il regime di
semilibertà; c) infine a chi abbia commesso il reato durante il tempo in cui era sottoposto alla misura di
sicurezza della libertà vigilata o alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale.
Le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi sono: la semidetenzione, la libertà controllata e la
pena pecuniaria.
1)La semidetenzione, sanzione con cui il giudice può sostituire le pene detentive superiori ad un
anno e non superiori a due anni, comporta l’obbligo di trascorrere almeno dieci ore al giorno negli istituti
di pena e una serie di limitazioni.
2)La libertà controllata, sanzione con cui il giudice può sostituire le pene detentive superiori a sei
mesi ma non superiori a un anno, comporta: il divieto di allontanarsi dal comune di residenza, se non
previa autorizzazione per i soli motivi di studio, lavoro, famiglia o salute; l’obbligo di presentarsi almeno una
volta al giorno negli uffici di pubblica sicurezza o presso il comando dell’Arma dei Carabinieri territorialmente
competente; nonché le ulteriori limitazioni previste per la semidetenzione con riguardo alle armi ed esplosivi,
all’espatrio, etc.
3)La pena pecuniaria può sostituire le pene detentive non superiori a sei mesi. La legge 134/2003 ha
profondamente innovato il meccanismo per la determinazione della pena sostitutiva da applicare, adottando
per la prima volta nel nostro ordinamento il modello dei tassi giornalieri: nell’operare la sostituzione, il
giudice, tenendo conto della condizione economica complessiva dell’imputato e del suo nucleo familiare,
determina l’entità della quota giornaliera compresa tra un minimo di €250 ed un massimo di €2500, che
viene poi moltiplicata per il numero dei giorni di pena detentiva da sostituire.
Un giorno di detenzione equivale invece, rispettivamente, a un giorno di semidetenzione e a due giorni di
libertà controllata. Il giudice, cioè, nel sostituire la pena detentiva, irrogherà la semidetenzione per una durata
uguale a quella della reclusione o dell’arresto, preventivamente determinata; la libertà controllata per un
tempo doppio, rispetto alla durata della corrispondente pena detentiva sostitutiva.
L’inosservanza delle prescrizioni imposte al condannato ha come conseguenza la conversione della
restante parte di pena sostitutiva nella pena detentiva sostituita.
Lo stesso effetto produce la revoca della pena sostitutiva, che ha luogo in due casi: a) quando
sopraggiunge una delle condanne, per fatti commessi anteriormente alla sostituzione della pena, che
avrebbero impedito l’applicazione della pena sostitutiva; b) la condanna a una pena detentiva, per un fatto
commesso successivamente alla irrogazione della pena sostitutiva.
Le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi si applicano sia di ufficio che su istanza dell’imputato.
L’originaria disciplina di questa seconda ipotesi, comunemente definita “patteggiamento”, era contenuta
negli artt. 77 ss. legge 689/1981, e limitava l’operatività dell’istituto ai casi in cui il giudice riteneva di poter
irrogare le sanzioni sostitutive della libertà controllata o della pena pecuniaria; in questi casi, al
“patteggiamento” conseguiva l’estinzione del reato. Gli artt. 77, 78, 79 e 80 della legge 689/1981 sono stati
però espressamente abrogati dall’art. 234 delle disposizioni di attuazione e coordinamento del nuovo c.p.p.;
restando in tal modo l’originaria disciplina del “patteggiamento” assorbita nell’istituto della “applicazione
della pena su richiesta delle parti”, corrispondente a uno degli speciali riti previsti dal c.p.p.
Il potere di disporre la sostituzione incontra tuttavia un limite nell’art. 58 co. 2 legge 689/1981, il quale
dispone che il giudice non può disporre la sostituzione “quando presume che le prescrizioni non saranno
adempiute dal condannato”. L’art. 58 co. 3 legge 689/1981 richiede, infine, che il giudice indichi
specificamente i motivi che giustificano la scelta del tipo di pena irrogata.
Salva l’efficacia di cause che ne escludano o ne sospendano l’esecuzione, alla inflizione giudiziale della pena
segue, di regola, la sua esecuzione.
PREMESSA
L’applicazione della pena in concreto – vale a dire la sua comminatoria giudiziale e la sua effettiva
esecuzione – costituisce la più importante conseguenza giuridica del reato. Considerata dal punto di vista degli
scopi della sanzione penale, la concreta inflizione della pena concorre alla funzione di prevenzione generale,
che si esprime soprattutto nella fase della comminatoria edittale della sanzione, in quanto ne riafferma la
validità e l’efficacia agli occhi dei consociati. È però del tutto naturale che sia l’assenza, in concreto, o il venir
meno, nel tempo, delle originarie esigenze di prevenzione generale, sia il prevalere di contrapposte esigenze di
carattere special preventivo, abbiano l’efficacia di escludere la stessa applicazione della pena, pur essendo
presenti tutti i requisiti per la sua applicabilità. Per le stesse ragioni, può farsi luogo alla sospensione della
pena, all’estinzione dell’efficacia della comminatoria giudiziale; o, infine, alla modificazione dell’entità della
pena o alla anticipata cessazione della sua esecuzione.
LA NON PUNIBILITA’ PER PARTICOLARE TENUITA’ DEL FATTO (art. 131-bis c.p.)
L’art. 131-bis c.p., introdotto dal d.lgs. 28/2015, consente al giudice di chiarare non punibile il fatto quando
la sua “speciale tenuità” non giustifichi l’attivazione dell’istanza punitiva penale.
Questa ipotesi viene configurata come una causa di non punibilità, evidenziando come la valutazione sulla
quale si fonda presupponga l’esistenza di un fatto dotato di tutti i requisiti che lo rendono astrattamente
punibile. Ciò significa dunque che il fatto presenta un contenuto realmente offensivo del bene giuridico
tutelato; tuttavia, l’intensità dell’offesa risulta così tenue da rendere sproporzionata la sanzione penale,
persino nella sua dimensione minima.
Si tratta quindi di uno strumento di depenalizzazione in concreto, che consente di adeguare la risposta
dell’ordinamento ai peculiari contenuti (minimamente) offensivi del fatto.
L’ambito applicativo dell’art. 131-bis c.p. è delimitato dalla pena edittale prevista per il reato: la non
punibilità per speciale tenuità del fatto può infatti riguardare esclusivamente i reati puniti con “la pena
detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero con la pena pecuniaria, sola o
congiunta alla predetta pena”. Nel caso di tentativo si farà riferimento alla pena per il delitto tentato. Per
espressa previsione legislativa non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge
prevede una pena di specie diversa e di quelle ad effetto speciale.
I requisiti del fatto, idonei a produrre l’esito di non punibilità sono: la particolare tenuità dell’offesa e
la non abitualità del comportamento.
Quanto al primo requisito esso viene accertato tenendo conto delle modalità della condotta e della esiguità
del danno e del pericolo. Nel secondo comma vengono poi elencate una serie di esclusioni dall’applicazione
dell’art. 131-bis c.p., in corrispondenza di fatti caratterizzati da un disvalore di azione e/o di evento ritenuto
sempre incompatibile con un giudizio di tenuità.
Quanto al requisito della non abitualità del comportamento, il comma terzo contiene una elencazione di
casi in cui il comportamento è da ritenersi “abituale” e cioè quando:
a) L’autore è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza;
b) L’autore ha commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, è di
particolare tenuità;
c) Si tratta di reati che hanno ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.
PREMESSA
Misure di sicurezza e misure di prevenzione, pur assolvendo a funzioni parzialmente assimilabili in quanto
entrambe dirette alla prevenzione dal pericolo della commissione di fatti di reato, si distinguono sotto il
profilo strutturale in quanto, mentre le misure di sicurezza presuppongono la commissione di un fatto di
reato o di un c.d. quasi reato, le misure di prevenzione prescindono da tale presupposto e sono applicate sulla
base di indizi di pericolosità contemplati da specifiche norme di legge.
MISURE DI SICUREZZA
Il nostro ordinamento prevede e disciplina la possibilità di applicare come conseguenza della commissione
di un fatto previsto dalla legge come reato o quasi reato determinate misure di sicurezza per prevenire
l’ulteriore commissione di reati da parte del soggetto (funzione special preventiva).
Le misure di sicurezza sono previste e disciplinate dagli artt. 199 e ss c.p., nonchè dall'art. 25 Cost. che
estende espressamente alle misure di sicurezza il principio della riserva di legge.
Dispone l’art. 199 c.p.: “Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza che non siano espressamente
stabilite dalla legge e fuori dei casi dalla legge stessa preveduti”. Questa regola è costituzionalmente presidiata
dall’art. 25 co. 3 Cost., a norma del quale “nessuno può essere sottoposto a misura di sicurezza se non nei
casi previsti dalla legge”. Secondo quanto affermato anche dalla Corte costituzionale (sent. 157/1972), il
principio di legalità delle misure di sicurezza include l’esigenza della tassatività della relativa previsione
normativa, anche se, avendo come referente non la descrizione di un fatto, ma gli elementi di una fattispecie di
pericolosità, si presenta necessariamente più elastica e meno puntuale, rispetto alla corrispondente
prescrizione in materia di fatti costituenti reato.
In qualche misura controversa è l’applicabilità alle misure di sicurezza anche della regola della retroattività.
Nel silenzio della Costituzione, la disciplina applicabile è quella dell’art. 200 c.p., ove si dispone che le
misure di sicurezza “sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione” e non da quella
vigente al momento della commissione del fatto di reato. Da ciò non pare potersi derivare, tout court, la
retroattività delle misure di sicurezza. L’applicabilità di una misura di sicurezza, infatti, implica sempre e
comunque la commissione di un fatto preveduto dalla legge come reato (ovvero rilevante come “quasi-reato”:
art. 202 co. 2 c.p.). Di conseguenza, questa non può certo applicarsi per un fatto che, al tempo della sua
commissione, non costituiva reato o “quasi-reato”. È invece in qualche misura controverso se possa essere
applicata “retroattivamente” una misura di sicurezza introdotta dalla legge posteriormente alla commissione
del reato o del quasi-reato, per altro già previsti come tali al momento del fatto. Si sostiene che la garanzia
sottesa all’art. 25 Cost. deve indurre ad escludere non solo l’applicabilità di una misura di sicurezza per un
fatto che, al momento della commissione, non costituisce reato, o quasi reato, ma anche l’applicabilità di una
misura di sicurezza non prevista al tempo del fatto, o diversa da quella originariamente prevista.
L’art. 202 co. 1 c.p. stabilisce che le misure di sicurezza possono essere applicate soltanto alle persone
socialmente pericolose, che abbiano commesso un fatto preveduto dalla legge come reato. Non si richiede,
ovviamente, come necessaria la colpevolezza del soggetto essendo le misure di sicurezza, applicabili, in
determinati casi, anche ai non imputabili.
Il co. 2 dell’art 202 c.p. prevede, tuttavia, la possibilità che la legge penale determini altri casi “nei quali
a persone socialmente pericolose possono essere applicate misure di sicurezza per un fatto non preveduto
dalla legge come reato”. Le ipotesi presenti nel sistema sono il reato impossibile (art. 49 c.p.) e l’accordo
criminoso e l’istigazione a commettere un delitto, non seguiti dalla commissione del delitto (art. 115 c.p.).
Presupposti per l’applicazione delle misure di sicurezza è che il soggetto abbia commesso un fatto
preveduto dalla legge come reato o un “quasi reato” (artt. 49 e 115 c.p.) ed appaia socialmente pericoloso.
L’art. 203 co. 1 c.p., definisce come “socialmente pericolosa” la persona, anche se non imputabile o non
punibile, “quando è probabile che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reato”.
Nel sistema originario del c.p., si distingueva fra pericolosità da accertare in concreto, che costituiva la
regola, e pericolosità presunta dalla legge. Tale situazione è stata radicalmente innovata dall’art. 31 legge
663/1986, che, nell’abrogare l’art. 204 c.p., ha espressamente stabilito che tutte le misure di sicurezza
personali “sono ordinate previo accertamento che colui il quale ha commesso il fatto è persona socialmente
pericolosa”.
Occorre tenere conto che l’art. 220 co. 2 c.p.p. esclude l’ammissibilità, nel processo, di perizie “per stabilire
l’abitualità o la professionalità nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere e personalità dell’imputato e in
genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche”.
Solo, dunque, nelle ipotesi di infermità o semi-infermità mentale, si apre la possibilità di un reale
accertamento della pericolosità; in tutti gli altri casi, essa dovrebbe essere desunta esclusivamente dagli atti e
dall’osservazione processuale, che non permettono, ovviamente, se non in via intuitiva, una prognosi
attendibile.
I destinatari delle misure di sicurezza si possono distinguere in tre categorie:
a) I delinquenti imputabili socialmente pericolosi;
b) I delinquenti c.d. semi-imputabili, socialmente pericolosi;
c) I soggetti non imputabili, socialmente pericolosi.
Alle prime due categorie di soggetti si applicano congiuntamente pena e misure di sicurezza; alla terza, la
sola misura di sicurezza.
L’abitualità nel reato (art. 103 c.p.) corrisponde alla situazione di chi, dopo essere stato condannato per
due delitti non colposi, riporti un’altra condanna per delitto non colposo, “se il giudice, tenuto conto della
specie e gravità dei reati, del tempo entro il quale sono stati commessi, della condotta e del genere di vita del
colpevole e delle altre circostanze indicate nel capoverso dell’art. 133 c.p., ritiene che il colpevole sia dedito al
delitto”.
La professionalità nel reato (art. 105 c.p.) corrisponde alla situazione di chi, trovandosi nelle
condizioni richieste per la dichiarazione di abitualità nel reato, riporta condanna per un altro reato, “se il
giudice, tenuto conto della specie e gravità dei reati, del tempo entro il quale sono stati commessi, della
condotta e del genere di vita del colpevole e delle altre circostanze indicate nel capoverso dell’art. 133 c.p.,
ritiene che il colpevole viva abitualmente, anche in parte soltanto, dei proventi del reato”.
Quanto alla figura del delinquente per tendenza, essa, al contrario delle altre due tipologie della
pericolosità, prescinde del tutto dalla condizione di recidivo: può essere dichiarato delinquente per tendenza,
infatti, colui che commette un delitto non colposo contro la vita o l’incolumità individuale, quando la
commissione di tale delitto, “per sé e unitariamente alle circostanze indicate nell’art. 133 cpv. c.p., riveli una
speciale inclinazione al delitto, che trova la sua causa nell’indole particolarmente malvagia del colpevole” (art.
108 c.p.).
La dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato o di tendenza a delinquere si estingue per effetto
della riabilitazione.
Le misure di sicurezza si applicano anche gli stranieri che si trovano nel territorio dello Stato;
l’applicazione delle misure di sicurezza allo straniero, per altro, non ne impedisce l’espulsione dal territorio
dello Stato. Le misure di sicurezza possono applicarsi anche per fatti commessi all’estero, quando si proceda, o
si rinnovi il giudizio, nello Stato (art. 201 c.p.).
Le misure di sicurezza sono applicate, di regola, con la sentenza di condanna o di proscioglimento (nel caso
di non imputabili). Talune misure di sicurezza possono essere applicate provvisoriamente, anche prima della
sentenza definitiva, naturalmente previo accertamento della pericolosità.
A parte queste ipotesi, l’esecuzione delle misure di sicurezza, quando la misura di sicurezza si
aggiunge a una pena, è sempre successiva all’esecuzione della pena.
L’esecuzione delle misure di sicurezza detentive ha luogo in istituti particolari, a ciò destinati, o in
speciali sezioni, annesse ad altri istituti.
La durata delle misure di sicurezza è predeterminata, all’atto dell’applicazione, solo nella misura minima.
Alla scadenza del termine minimo di durata, il giudice procede al riesame della pericolosità, che può condurre
alla revoca della misura, ovvero alla sua proroga per un nuovo periodo minimo di durata, al termine del quale
si procederà a un nuovo riesame; e così via fino a che il giudizio sulla pericolosità non risulti negativo (art. 208
c.p.). Ed invero, le misure di sicurezza non possono essere revocate se le persone ad esse sottoposte non hanno
cessato di essere pericolose. Tuttavia, “quando vi sia ragione di ritenere che il pericolo sia cessato”, il riesame
della pericolosità può essere compiuto anche prima della scadenza (art. 208 c.p.). In ogni casi, si prevede che
le misure detentive, “non possono durare oltre il tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato
commesso, avuto riguardo alla previsione edittale massima
Se la persona sottoposta a misura di sicurezza si sottrae all’esecuzione della medesima, il periodo minimo
di durata della misura ricomincia a decorrere dall’inizio, a meno che non si tratti di ricovero in ospedale
psichiatrico giudiziario o in una casa di cura e custodia. Il fatto, tuttavia, non costituisce evasione.
Le misure di sicurezza si suddividono in personali e patrimoniali. Quelle personali si distinguono a loro
volta in detentive e non detentive.
Sono misure di sicurezza personali detentive: 1) la colonia agricola o casa di lavoro (artt. 216-218
cp); 2) la casa di cura e di custodia (artt. 219 -221 cp); 3) l'ospedale psichiatrico giudiziario (art 222 cp).
a) L’assegnazione a una colonia agricola o a una casa di lavoro è la misura di sicurezza destinata
ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza e a coloro che, essendo già stati sottoposti a misure di
sicurezza, commettono un nuovo delitto non colposo che costituisca ulteriore manifestazione dell’abitualità,
della professionalità o della tendenza a delinquere; vi sono assoggettate, inoltre, le persone, condannate o
prosciolte, negli altri casi indicati espressamente dalla legge (art. 216 c.p.). Ha la durata minima di un anno,
elevata a due per i delinquenti abituali, a tre per i delinquenti professionali, a quattro per i delinquenti per
tendenza (art. 217 c.p.).
b) Il ricovero in una casa di cura e custodia è la misura di sicurezza destinata ai condannati a una
pena diminuita per infermità psichica, per intossicazione cronica da alcool e da sostanze stupefacenti, ovvero
per sordomutismo, e agli ubriachi abituali. Ha durata minima variabile da sei mesi a cinque anni. Nei casi
meno gravi può essere sostituita con la libertà vigilata; non può concorrere con altre misure di sicurezza
detentive (artt. 219, 221 c.p.).
c) Il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario è la misura di sicurezza destinata ai soggetti
prosciolti per infermità psichica, per intossicazione cronica da alcool o da sostanze stupefacenti, o per
sordomutismo, salvo ipotesi di lieve entità. La durata minima del ricovero non può essere inferiore a due anni;
il minimo è però di cinque anni, se per il fatto commesso la legge stabilisce la pena della reclusione non
inferiore nel minimo a dieci anni; di dieci anni, se per il fatto commesso la pena prevista è l’ergastolo. Se la
persona ricoverata deve scontare una pena restrittiva della libertà personale, l’esecuzione di questa è differita
fino a che perdura il ricovero. Il ricovero in ospedale psichiatrico si applica anche a minori degli anni
quattordici e ai maggiori degli anni quattordici, minori dei diciotto, se ricorrono determinate condizioni.
La Corte Costituzionale è intervenuta in materia dichiarando l'incostituzionalità della norma nella parte in
cui non ha escluso la sua applicabilità ai minori di anni diciotto (sent. 324/1998) e nella parte in cui ha escluso
ogni margine di discrezionalità in ordine alla misura da applicare da parte del Giudice (sent. 253/2003).
d) Il riformatorio giudiziario è la misura di sicurezza speciale per i minori imputabili e non imputabili,
ritenuti pericolosi. È sempre applicata ai minori degli anni diciotto che siano stati dichiarati delinquenti
abituali, professionali o per tendenza. Al compimento del diciottesimo anno il soggetto è assegnato a una
colonia agricola o a una casa di lavoro. La misura non può avere una durata inferiore a un anno; il limite è
elevato a tre anni per i delitti puniti con l’ergastolo (artt. 223, 224 c.p.). Al di fuori di quest’ultima ipotesi, può
essere sostituita con la libertà vigilata.
Sono misure di sicurezza personali non detentive: 1) la libertà vigilata (artt. 228-232 cp); 2) il
divieto di soggiorno (art. 233 cp); 3) il divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcoliche (art.
234 cp); 4) l'espulsione dello straniero dalla Stato.
a) La libertà vigilata non può avere durata inferiore a un anno e consiste nell’affidamento del soggetto
all’autorità di pubblica sicurezza, con il corredo di una serie di prescrizioni e limitazioni imposte al
condannato al fine di “evitare le occasioni di nuovi reati” (art. 228 c.p.). La libertà vigilata può conseguire alla
condanna alla reclusione per un tempo superiore a un anno; quando si tratti di condanna alla reclusione per
non meno di dieci anni, la libertà vigilata non può avere durata inferiore a tre anni. Consegue, inoltre, alla
liberazione condizionale e ad altre ipotesi stabilite dalla legge: in particolare, è la misura di sicurezza
applicabile al “quasi-reato” (art. 229 n. 2 c.p.). È la misura di sicurezza applicabile in ogni altro caso in cui la
legge, nel prevedere l’applicabilità di una misura di sicurezza, non ne determina la specie (art. 215 co. 4 c.p.).
In caso di trasgressione agli obblighi imposti con la libertà vigilata, il giudice può aggiungere ad essa la
cauzione di buona condotta; ma, in rapporto alla gravità della trasgressione – o quando la cauzione imposta
non venga prestata –, si può far luogo all’assegnazione a una colonia agricola o casa di lavoro; ovvero, se si
tratta di minori, a un riformatorio giudiziario.
b) Il divieto di soggiorno in uno o più Comuni o in una o più Province è applicato ai colpevoli di
un delitto contro la personalità dello Stato o contro l’ordine pubblico, ovvero di un delitto commesso per
motivi politici, o “occasionato da particolari condizioni sociali o morali esistenti in un determinato luogo” (art.
233 co.1 c.p.). Non può avere durata inferiore a un anno; in caso di trasgressione, il termine minimo riprende a
decorrere dall’inizio; può inoltre essere disposta la libertà vigilata.
c) Il divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcoliche si aggiunge alla
condanna per ubriachezza abituale o per reati commessi in stato di ubriachezza, sempre che questa sia
abituale. In caso di trasgressione del divieto, può essere ordinata la libertà vigilata o la prestazione di una
cauzione di buona condotta.
d) Espulsione od allontanamento dello straniero dallo Stato si applica, oltre che nei casi
espressamente preveduti dalla legge, quando lo straniero sia condannato alla reclusione per un tempo
superiore ai due anni ovvero nel caso di condanna ad una pena restrittiva della libertà personale per taluno dei
delitti contro la personalità dello Stato.
Le misure di sicurezza patrimoniali sono: la cauzione di buona condotta e la confisca
a) La cauzione di buona condotta consiste nel deposito presso la Cassa delle ammende di una
determinata somma di denaro (o nella prestazione di una corrispondente garanzia ipotecaria o fideiussoria)
per un periodo da uno a cinque anni. Alla fine del periodo, la somma data in cauzione viene restituita (ovvero
la garanzia si estingue), se il soggetto non ha commesso alcun delitto, o contravvenzione punibile con l’arresto.
Se la cauzione imposta non viene versata, la misura è sostituita con la libertà vigilata (artt. 237-239 c.p.).
b) La confisca consiste nell’espropriazione e devoluzione, a favore dello Stato, “delle cose che servirono o
furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto”. La confisca è una
misura facoltativa: sarà infatti il giudice a stabilire, nel caso concreto, se il provvedimento ablativo è
necessario al fine di impedire che la disponibilità, della cosa da parte del reo possa rappresentare un incentivo
alla commissione di nuovi reati. È invece obbligatoria la confisca delle cose che costituiscono “il prezzo del
reato”, dei beni e degli strumenti informatici o telematici che risultino essere stati in tutto o in parte utilizzati
per la commissione di una serie di reati informatici espressamente indicati nella norma; delle cose, la
fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione delle quali costituisce reato, anche se non è stata
pronunciata condanna.
Negli ultimi anni il legislatore da un lato ha ampliato l’area delle ipotesi di confisca obbligatoria, ad
esempio ha reso obbligatoria la confisca per tutte le cose che servirono o furono destinate a commettere il
reato di associazione di tipo mafioso, dall’altro ha introdotto l’istituto della confisca c.d. per equivalente
(o di valore): essa consente, nell’ipotesi in cui non sia possibile confiscare i beni costituenti il profitto o il
prezzo del reato, di agire sui beni di cui il reo abbia la disponibilità per un valore corrispondente a quello del
suddetto profitto o prezzo. Questa misura, volta ad ampliare gli spazi applicativi della confisca, mutandone
però in parte anche i caratteri originari, non ha tuttavia portata generale.
Tra le molte ipotesi codicistiche possono ricordarsi: i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica
amministrazione (art. 322-ter c.p.); i delitti contro l’ambiente (art. 452-undecies c.p.); i delitti di truffa e frode
informatica (art. 640-quater c.p.); i delitti di riciclaggio, autoriciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di
provenienza illecita (art. 648-quater c.p.).
Quanto, invece, alla legislazione speciale, la confisca per equivalente è prevista, tra l’altro: per i reati
societari (art. 2641 c.c.); per i reati tributari (d.lgs. 74/2000); per i reati di abuso di informazioni privilegiate e
di manipolazione del mercato (art. 187 d.l. 58/1998).
Nella ricerca di nuovi e più efficaci strumenti di contrasto alla criminalità organizzata, il legislatore ha
inoltre introdotto una ulteriore figura di confisca c.d. allargata. Essa consente che, nel caso di condanna
per una serie di gravi delitti, si proceda alla confisca obbligatoria “del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui
il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica,
risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito”.
MISURE DI PREVENZIONE
Le misure di prevenzione sono state introdotte nel nostro sistema penale dalla legge 1423/1956 che ha
sottratto alla competenza esclusiva dell'autorità di polizia il compito di applicarle sottoponendo le medesime
al controllo dell'autorità giudiziaria, nonchè, in taluni casi, all'applicazione diretta da parte della stessa.
La legge 1423/1956 ha, successivamente, subito numerose modifiche. Tutta la materia delle misure di
prevenzione risulta oggi disciplinata in maniera organica dal d.lgs. 159/2011.
L’applicazione delle misure di prevenzione prescinde, in via di principio, dall’accertamento dell’effettiva
commissione di un reato, ma si ricollega ad una peculiare connotazione di pericolosità criminale, che
l’ordinamento desuma da una condotta di vita del soggetto colpito, tale da fondare un giudizio di rilevante
probabilità che egli abbia commesso, stia commettendo o possa commettere, in un prossimo futuro,
determinati reati.
Le misure di prevenzione possono applicarsi:
a) A coloro che “debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi”;
b) A coloro che “per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che
vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose”;
c) A coloro che “per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti
alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la
sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica”.
Le persone così individuate ricevono dal questore avviso orale dei sospetti a loro carico e l’invito a tenere
una condotta conforme alla legge; di ciò è redatto processo verbale al solo fine di dare all’avviso data certa.
Trascorsi non meno di sessanta giorni e non più di tre anni, se la persona avvisata non ha cambiato condotta e
risulta pericolosa per la sicurezza pubblica, il questore può avanzare al Tribunale motivata proposta per
l’applicazione nei suoi riguardi della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza. Questa viene
disposta dal Tribunale, che determina le prescrizioni a cui il proposto dovrà attenersi. La sorveglianza speciale
non può avere durata inferiore a un anno, né superiore a cinque anni. Alla sorveglianza speciale possono
aggiungersi il divieto di soggiorno in uno o più comuni o in una o più province, quando le
circostanze del caso lo richiedono, e l’obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di abituale dimora.
L’inottemperanza degli obblighi imposti con il decreto che dispone la misura costituisce contravvenzione
punibile con l’arresto, quando concerna la sola sorveglianza speciale; delitto punito con la reclusione da uno a
cinque anni, se concerne la sorveglianza con obbligo o divieto di soggiorno.
È invece di esclusiva competenza del questore il rimpatrio con foglio di vita obbligatorio:
provvedimento che può essere adottato qualora le persone sospette si trovino fuori dei luoghi di residenza e
siano dall’autorità di pubblica sicurezza ritenute pericolose per la sicurezza pubblica. Il foglio di via obbliga i
soggetti a rientrare nel luogo di residenza, con divieto di ritornare nel comune da cui vengono allontanati,
senza preventiva autorizzazione, ovvero per un periodo non superiore a tre anni. La relativa contravvenzione,
è punita con l’arresto da uno a sei mesi.
Con la legge 575/1965 (“Disposizioni contro la mafia”), fu stabilita l’applicabilità delle misure di
sorveglianza speciale, dell’obbligo e del divieto di soggiorno, nei confronti dei soggetti “indiziati” di
appartenere ad associazioni mafiose.
La legge 646/1982 (più nota come legge Rognoni-La Torre) ne estese l’applicabilità “ai soggetti indiziati di
appartenere alla camorra o ad altre associazioni, comunque localmente denominate, che perseguono finalità o
agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso”.
La parte maggiormente innovativa della legge 646/1982 è tuttavia costituita dalla introduzione di misure di
carattere patrimoniale, che si affiancano a quelle personali, già previste, con l’obiettivo di combattere
l’accumulazione e lo sfruttamento degli ingenti capitali connessi con lo svolgimento delle attività illecite
proprie delle società mafiose e camorristiche.
Le misure patrimoniali previste sono il sequestro e la confisca. Il sequestro è disposto dal Tribunale
investito della proposta, quale provvedimento di natura provvisoria e cautelare, in base al sospetto che i beni
ricadenti nella disponibilità, diretta o indiretta, dell’”indiziato” siano il frutto di attività illecite o ne
costituiscano il reimpiego; la confisca viene disposta all’esito di un procedimento giurisdizionale ad hoc,
quando “la persona, nei cui confronti è instaurato il procedimento, non possa giustificare la legittima
provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la
disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul
reddito, o alla propria attività economica, nonché dei beni che risultino essere frutto di attività illecite o ne
costituiscano il reimpiego”.