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Capitolo 1
Il diritto penale
Il diritto penale va subito distinto dalla scienza penale. Il primo è una branca
dell'ordinamento giuridico positivo, ossia una parte del diritto vigente nello
Stato. La seconda non è altro che una disciplina di studio, che si occupa sotto il
profilo scientifico delle materie penalistiche. La materia di insegnamento del
diritto penale, all'Università, deve occuparsi dell'uno e dell'altro aspetto: quello
del diritto penale come diritto positivo; e quello del diritto penale come scienza.
Il diritto positivo ( penale ma non solo) non è qualcosa di oggettivamente
descrivibile secondo il "metodo sperimentale". Ciò implica sempre un certo
margine di soggettività e di valutatività da parte di chi si accinge ad un'opera
di questo genere. Bisogna spiegare ora la differenza tra diritto penale come
branca del diritto positivo e diritto penale come scienza. Questi due tipi di
diritto penale si contamineranno inevitabilmente tra loro, nel senso che la
nostra interpretazione dei dati dell'ordinamento penale sarà condizionata dalla
nostra opinione scientifica sul punto.
Il diritto penale.
Parlando del diritto penale come ramo dell'ordinamento giuridico positivo, ogni
ragionamento o discorso che faremo su di esso nel corso di questa opera dovrà
essere necessariamente ancorato al diritto positivo (ius positum). Si farà
sempre riferimento al diritto vigente oggi in Italia. Le due fonti più importanti in
materia, sono la Costituzione italiana (1947) ed il codice penale c.d.
"Rocco" (1930). Il diritto penale è quella branca del diritto pubblico le cui norme
concernono i reati e le sanzioni penali. In Italia vige il principio di stretta
legalità. Le norme rilevanti per il diritto penale possono essere solamente le
leggi, emanate dal Parlamento. I reati si dividono in delitti e contravvenzioni. Le
sanzioni penali comprendono sia le pene (stricto sensu intese) che le misure di
sicurezza.
Per capire più chiaramente cosa sia il diritto penale è opportuno distinguerlo
dalle altre branche del diritto. Innanzitutto, bisogna distinguerlo dal diritto
civile.
Piano formale: E' dalla sanzione che si può capire se si versi nell'una o nell'altra
ipotesi. Le sanzioni penali infatti sono tassativamente elencate dal codice
penale (art. 22 ss.), e sono, per limitarci alle c.d. "pene principali", l'ergastolo,
la reclusione, la multa (per i delitti); nonchè l'arresto e l'ammenda (per le
Piano formale: Anche qui il criterio distintivo si basa sui nomi diversi delle
sanzioni. Nel diritto amministrativo non sono previste pene detentive, e le pene
pecuniarie non prendono il nome nè di multa nè di ammenda, ma si chiamano
sanzioni amministrative o sanzioni pecuniarie.
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E' bene distinguere il diritto penale dal diritto penitenziario, il quale si occupa
delle regole per le modalità di esecuzione della pena, e che sono disciplinate
dall'ordinamento penitenziario.
Infine, il diritto penale non va confuso con il diritto delle misure di prevenzione.
Si tratta di misure come il rimpatrio con foglio di via obbligatorio, la
sorveglianza speciale della pubblica sicurezza, il divieto ed obbligo di
soggiorno, destinate ad essere applicate a soggetti che si siano dimostrati
pericolosi, ma in assenza della commissione di un reato. Distinzione principale:
presupposto dell'irrogazione di una pena criminale è la realizzazione di un
reato, mentre per l'applicazione di queste misure preventive ciò non occorre.
Queste misure possono essere afflittive (aspetto repressivo più che
preventivo).
Il diritto penale è quella branca del diritto le cui norme concernono i reati e le
sanzioni penali. Andrebbe forse più correttamente denominato, come si è fatto
per secoli, diritto criminale, nel senso che esso si occupa dei crimini e dunque
degli illeciti più gravi in assoluto. Nasce perchè l'ordinamento giuridico deve
necessariamente reagire contro il crimine, cercando di limitarlo al minimo,
proteggendo in tal modo la società civile. La prima istanza che il diritto penale
La scienza penale
Si diceva che la scienza penale è cosa diversa dal diritto penale. La prima è
una disciplina del sapere; la seconda una parte del diritto positivo del nostro
Paese.
E' assai importante per uno studioso del diritto penale occuparsi della storia del
diritto penale, del diritto penale comparato, e della politica criminale. La storia
del diritto penale è quella disciplina che si occupa sia della storia del diritto
penale positivo (es. codificazione penale), sia della storia della stessa scienza
penale. Quanto al diritto penale comparato, essa è quella disciplina che si
occupa sia dello studio del diritto positivo delle altre nazioni, sia della scienza
penale delle altre nazioni, sempre che vi sia comparazione col nostro diritto. Se
manca l'aspetto comparatistico, è più corretto parlare di diritto penale
straniero. La storia del diritto penale ed il diritto penale comparato non sono
che due aspetti della stessa disciplina comparatistica. La comparazione può
essere diacronica (concerne tempi diversi) e si ha la storia del diritto; oppure,
può essere diatopica (concerne luoghi diversi) e si ha il diritto comparato. Se il
ius conditum può anche essere studiato senza un'adeguata conoscenza della
storia del diritto e della comparazione, il ius condendum può essere affrontato
solo attraverso il ricorso alla storia e alla comparazione. Quando si parla di
riforma, è necessario far ricorso alla politica criminale. Questa può essere
definita come quella branca del diritto penale (inteso come scienza penale) che
si occupa in particolare della ricerca dei mezzi più idonei per contrastare il
crimine. Oggi, l'opinione maggioritaria propende per l'inclusione della stessa
politica criminale nell'ambito della scienza penale in genere. Ciò in quanto è
vero che la politica criminale è materia che risente fortemente della natura
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Bisogna ora parlare della criminologia. Questa branca del sapere, appartenente
alle scienze criminali, si occupa del crimine non dal punto di vista dei valori e
delle norme come la scienza penale, ma dal punto di vista dei fenomeni. Essa
studia il crimine come dato da esaminarsi sotto un profilo empirico-conoscitivo.
Si suddivide in tre sottosettori:
- criminologia eziologica, che si occupa delle cause del crimine. Essa si divide
a sua volta in antropologia criminale, che studia la criminalità come fenomeno
individuale, valutando i fattori biologici (biologia criminale) o psicologici
(psicologia criminale) che spingono l'uomo al delitto, ed in sociologia criminale.
I nessi fra le due materie ci sono e sono assai consistenti. Si pensi a tematiche
quali la pena o la colpevolezza o problemi più circoscritti ma non meno
complessi come l'eutanasia. Si tratta di questioni che hanno profondi risvolti
filosofici, ma che hanno anche implicazioni penali di immediato rilievo.
La "materia" penale
Detto cosa sono il diritto penale e la scienza penale, resta da vedere cosa
comprenda la materia penale, intesa come materia di insegnamento
universitario. La materia penale non può che limitarsi alla descrizione sintetica
dei contenuti del nostro diritto positivo; accompagnata da una esposizione
anch'essa sintetica delle principali teorie elaborate dalla scienza penale sui vari
istituti descritti. La presente parte dell'opera concernerà solo la parte generale,
e cioè quegli istituti e quegli argomenti del diritto penale che hanno appunto
carattere generale. Lo stesso codice penale è suddiviso in parte generale e
parte speciale. Per parte generale e in genere della materia penale, si intende
qualcosa di più della semplice parte generale del codice. Parte generale
significa ogni argomento di carattere generale utile alla comprensione della
parte speciale del diritto penale.
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Capitolo 2
Cenni storici
Nell'ambito della storia, è bene distinguere in primo luogo fra storia della
scienza penale e storia della legislazione penale. La prima è la storia del
pensiero penalistico attraverso i secoli. E' la storia del diritto che si trova negli
scritti di dottrina penale: tanto che si può dire che scienza penale e dottrina
penale siano per certi versi veri e propri sinonimi. La dottrina, però, è cosa
diversa dalla legislazione. La storia delle legislazioni penali è la storia delle
leggi scritte in materia penale. Essa ha risentito dello sviluppo della scienza,
ma per di più delle esigenze e delle istanze del potere costituito. Le due cose
vanno comunque tenute distinte. Diversa ancora dalle prime due è la storia del
diritto positivo. Una storia del diritto positivo fatta bene non dovrebbe essere,
dunque, nuda storia delle legislazioni, ma soprattutto dovrebbe essere storia
della giurisprudenza sviluppatasi su tali disposizioni di legge scritta.
L'importante è avere la consapevolezza del fatto che il diritto è il prodotto di
più fattori, e ciò non vale solo per il diritto presente, ma per il diritto passato.
Si legge talvolta negli scritti dedicati alla storia del diritto penale che questo
nascerebbe con l'Illuminismo. Con esso, si affermano alcuni dei principi più
importanti del moderno diritto penale; e, primo fra tutti, si attesta il principio di
legalità. L'enorme edificio del sapere penalistico non si esaurisce in tali pur
notevoli principi. E' fatto anche di regole, di istituti, e di nozioni che si sono
sviluppate nel corso dei secoli sin dal diritto romano. L'omicidio, ad es, non
nasce con l'Illuminismo. Già esisteva prima, e già da secoli aveva ricevuto dalla
dottrina, dalla legislazione e dalla giurisprudenza una serie di progressivi
sviluppi che ne facevano una figura fortemente delineata. Lo stesso si potrebbe
dire del dolo.
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Il Novecento
La storia del diritto penale del novecento è la storia recente del nostro diritto
penale. Esso è il secolo che ha visto importanti conquiste di civiltà da parte del
nostro diritto penale, ma molti nodi erano ancora rimasti sostanzialmente
irrisolti. Visto il perdurare della diatriba tra scuola classica e scuola positiva si
affermò una cosiddetta terza scuola che mirava ad una mediazione tra le due.
Uno dei maggiori esponenti di tale scuola fu Arturo Rocco il quale decise di
tornare a dedicarsi agli istituti più classici della parte generale del diritto, (dolo,
colpa, ecc) ed allo studio delle fattispecie penali, ossia dei reati. Un tale studio
avrebbe dovuto svolgersi appunto da tecnici del diritto, lasciando da parte ogni
taglio critico o filosofico. Il cosiddetto tecnicismo giuridico ebbe decisamente
sopravvento durante il ventennio fascista. Infatti un tale approccio al diritto
penale era l’ideale per l’esaltazione del diritto positivo vigente e cioè per le
leggi emanate durante il fascismo, fra cui il codice Rocco. All’indomani della
caduta del regime fascista cominciarono a manifestarsi le prime convincenti
reazioni ad indirizzo tecnico giuridico. L’entrata in vigore della costituzione del
1948 stimolava i penalisti di casa nostra a ripensare al diritto penale, ed allo
stesso codice Rocco, in termini di compatibilità con la costituzione stessa. Solo
all’inizio degli anni ‘70 verrà riformulata l’intera teoria del reato fondandola sui
principi emergenti della nostra carta costituzionale.
Quanto alla legislazione, nei primi decenni del novecento campeggia ancora il
codice Zanardelli. Il governo fascista poi decise di procedere ad una
ricodificazione del diritto penale, sotto la regia del ministro guardasigilli Alfredo
Rocco, grazie all’apporto tecnico di valenti penalisti come Arturo Rocco,
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Capitolo 3
Il quadro attuale
La scienza
Si diceva poc'anzi che la dottrina italiana, dagli anni Settanta del secolo scorso,
ha incominciato a riscrivere un diritto penale dal nuovo volto, e cioè impostato
sulla Costituzione. Se l'approccio costituzionale ha dato molto alla nostra
scienza penale, non si può dire che questa sia stata l'unica preoccupazione dei
criminalisti di casa nostra.
d) storia del diritto penale: Sergio Vinciguerra ha cominciato, nei primi anni '90,
a ripubblicare i codici italiani preunitari in ristampa anastatica, facendo
precedere la ristampa da interessanti interventi di storici del diritto e di
criminalisti. L'abbandono del metodo tecnico giuridico porta con sè quasi
automaticamente un rifluire dell'interesse dei penalisti verso quei territori di
indagine che i tecnico-giuridici disdegnavano, quali appunto la storia del diritto.
L'attenzione per la riforma penale implica l'utilizzo della storia: infatti non si
può pensare al futuro del diritto penale senza conoscerne il passato.
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La legislazione
Ancora oggi è vigente in Italia il codice Rocco del 1930, formato da 734 articoli,
diviso in tre libri, il primo concernente la parte generale, ed il secondo ed il
terzo la parte speciale. La parte generale è compendiata in 240 articoli, e si
divide in 8 Titoli, concernenti rispettivamente: il I, la legge penale; il II, le pene;
il III, il reato; il IV, il reo e la persona offesa dal reato; il V, la modificazione,
applicazione ed esecuzione della pena; il VI, l'estinzione del reato e della pena;
il VII, le sanzioni civili; l'VIII, le misure amministrative di sicurezza. La parte
speciale copre la parte restante del codice, ed è divisa in due libri (secondo e
terzo). Il secondo libro concerne i delitti, ed è diviso in 14 Titoli, concernenti
rispettivamente: il I, i delitti contro la personalità dello Stato; il II, i delitti
contro la pubblica amministrazione; il III, i delitti contro l'amministrazione della
giustizia; il IV, i delitti contro il sentimento religioso e contro la pietà dei
defunti; il V, i delitti contro l'ordine pubblico; il VI, i delitti contro l'incolumità
pubblica; il VII, i delitti contro la fede pubblica; l'VIII, i delitti contro l'economia
pubblica, l'industria e il commercio; il IX, i delitti contro la moralità pubblica e il
buon costume; il IX bis, i delitti contro il sentimento per gli animali; il X, i delitti
contro l'integrità e la sanità della stirpe; l'XI, i delitti contro la famiglia; il XII, i
delitti contro la persona; il XIII, i delitti contro il patrimonio. Il terzo libro
concerne le contravvenzioni, ed è diviso in 2 Titoli, riguardanti rispettivamente:
il I, le contravvenzioni di polizia; il II, le contravvenzioni concernenti l'attività
sociale della pubblica amministrazione. Si è aggiunto anche un II-bis, dedicato
alle contravvenzioni riguardanti la tutela della riservatezza. Non si deve
credere che il codice esaurisca la materia penale, se il codice contiene qualche
centinaio di reati, la normativa extracodicistica (leggi speciali o
complementari) ne contiene svariate migliaia. Ma se molte sono state le leggi
penali degli ultimi decenni, è anche vero che la riforma vera del nostro diritto
- Progetto Pagliaro (1992): riguarda sia la parte generale che la parte speciale.
Si tratta di uno "Schema di delega legislativa per l'emanazione di un nuovo
codice penale". A causa dell'impostazione di semplice schema di legge-delega,
ma soprattutto per ragioni politico-istituzionali, non ha prodotto alcun risultato
in Parlamento.
- Progetto Grosso (1998): approntato nel settembre 2000 e riveduto nel maggio
2001. Riguarda solo la parte generale. Non manca di senso pratico ed evita
saggiamente inutili barocchismi. Sarà un utile punto di riferimento per la
riforma del codice penale italiano.
La giurisprudenza
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Principi costituzionali
Capitolo 1
Capitolo 2
Il principio di legalità
Principio di legalità: "Nullum crimen, nulla poena, sine praevia et clara lege
poenali" ( Nessun reato, nessuna pena, senza una previa e chiara legge penale
(Feuerbach)). E' il principio, affermatosi soprattutto con l'Illuminismo, in base al
quale nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore
prima della commissione del fatto, legge che chiaramente deve vietare la
commissione di quel fatto e che deve prevedere una pena in caso di
trasgressione del divieto. Si propone come principio garantistico; implica da un
lato la restrizione della libertà dei cittadini, poichè vieta la commissione di
determinate azioni e comporta l'uso di pesanti sanzioni. Il cittadino deve essere
garantito contro gli abusi che lo Stato potrebbe fare del diritto penale, il quale,
usato al di fuori del principio di legalità, si trasformerebbe in puro uso della
Art. 25, comma 2: "Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che
sia entrata in vigore prima del fatto commesso". (rilevanza costituzionale del
principio di legalità)
Art. 1: "Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente
preveduto come reato dalla legge, nè con pene che non siano da essa
stabilite".
Art. 2, comma 1: "Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la
legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato".
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E' anche vero che ad intendere la riserva assoluta in senso troppo rigoroso, si
dovrebbe arrivare alla conclusione di negare anche una minima possibilità di
intervento da parte dell'esecutivo nell'ambito della legislazione penale. E ciò
potrebbe portare seri problemi pratici. Esempio: si pensi a una norma come
l'art.650 c.p., che prevede il reato di "inosservanza dei provvedimenti
dell'autorità": "Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato
dall'Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d'ordine pubblico
o d'igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l'arresto
fino a tre mesi o con l'ammenda fino a euro 206". La norma penale rinvia a
provvedimenti di volta in volta emanati dall'Autorità. Il legislatore non può
specificare in una sola norma tutti i divieti, deve lasciare all'autorità
amministrativa (sindaco, prefetto) la facoltà di prevedere divieti specifici a
seconda delle specifiche esigenze in concreto emergenti; ha operato alcune
scelte fondamentali, capaci di fornire già a livello di fattispecie legale
un'immagine sufficientemente compiuta dell'oggetto del divieto, specificando
che il provvedimento deve essere legalmente dato, e deve essere dettato da
ben specifiche ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o d'ordine pubblico o
d'igiene.
Si deve, ora, considerare il problema della legittimità delle leggi regionali quali
fonti del diritto penale. La risposta non può che essere negativa. Il diritto
penale è diritto penale italiano, sicchè -in conformità con la dottrina
maggioritaria- anche noi riteniamo che non vi debba essere spazio per le leggi
regionali quali fonti del ius criminale. In secondo luogo, occorre considerare
l'impatto della normativa europea sul nostro diritto penale, anche a seguito
dell'approvazione del Trattato di Lisbona del 2007. La nostra Costituzione
attribuisce al solo Parlamento italiano la potestà normativa in materia penale.
b) L'Unione Europea può stabilire norme minime relative alla definizione di reati
e sanzioni in sfere di criminalità aventi dimensione transnazionale in un'ottica
di armonizzazione europea in campo penale.
c) Tali norme minime possono riguardare l'an della sanzione penale, ma anche
la configurazione del precetto, e la specie e la misura della pena.
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Rapporto tra riserva di legge e consuetudine: non trovano posto nel nostro
sistema penale la consuetudine come fonte del diritto penale (perchè
produrrebbe una violazione della riserva di legge), la consuetudine abrogatrice
e quella scriminante.
Resta il problema dei limiti entro i quali le pronunce della Corte costituzionale
possono contribuire a definire l'estensione di una fattispecie penale. Se una
norma penale confligge con la Costituzione, essa non potrà essere disapplicata
direttamente dal giudice, nè da quelli di merito, nè da quello di legittimità
(Cassazione). Il giudice potrà peraltro rimettere la questione di costituzionalità
della norma alla Corte costituzionale, che dovrà decidere sul punto.
Il principio di irretroattività
Il principio di determinatezza
Capitolo 3
Premessa
Il principio di materialità
Il principio di offensività
(1) Accolto dalla stessa Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del
1789. Divenne, nel mondo anglosassone, il manifesto della concezione liberal
del diritto (penale).
Il bene giuridico
1) In Italia, sino alla fine dell'Ottocento, prevalse la concezione del reato come
violazione o lesione di un diritto soggettivo. Si riteneva che si potessero
reprimere con la sanzione penale solo quelle condotte che arrecavano una
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a) Il catalogo dei beni rilevanti quali beni giuridici tutelabili dal diritto penale si
restringe ai soli beni di rango costituzionale.
Limitela Costituzione è del 1948, periodo in cui non erano emersi alcuni beni
che sarebbero poi emersi con forza nelle decadi successive (es. ambiente,
come bene giuridico a sè stante, non è contemplato dalla Costituzione)
b) Includere tra i beni giuridici di rilievo costituzionale non solo quelli espliciti
ma anche quelli impliciti ( es. l'ambiente doveva dirsi implicitamente contenuto
nella Costituzione, che d'altra parte tutela sia il paesaggio (art.9, comma 2), sia
la salute (art. 32), nonchè la vita umana).
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Bisogna parlare ora dei rapporti fra offensività e bene giuridico da un lato, e
harm principle (principio del danno) dall'altro. Si tratta di una tesi che trova le
sue radici nel pensiero di John S. Mill e del suo On Liberty, manifesto delle
dottrine liberal anglosassoni. Mill sosteneva che l'unica buona ragione per
esercitare il potere punitivo era l'obiettivo di impedire il danno ad altri. Lo Stato
non avrebbe potuto legittimamente vietare ai cittadini di recare danno a sè
stessi. Le tesi di Mill si basavano sul principio di autodeterminazione. Ciascuno
è libero di fare ciò che vuole, fino a che le sue azioni restano in una sfera auto-
diretta, ma nel momento in cui un soggetto agisce arrecando danno ad altri, lo
Stato può intervenire per prevenire o reprimere simili comportamenti. La
dottrina dell'harm principle è stata successivamente accolta da molti filosofi e
giuristi come Hart e Feinberg. Secondo quest'ultimo, l'harm principle non solo
giustificherebbe l'intervento del diritto penale, ma anche il c.d. offence
principle cioè quello che si potrebbe tradurre come il principio della molestia. In
sostanza, a certe condizioni, sarebbe giustificato intervenire con il diritto
penale anche per impedire che i cittadini arrechino ad altri gravi forme di
molestie. Egli è molto categorico nel negare legittimazione ad altri due principi
che secondo alcuni potrebbero fondare la pretesa punitiva: ovvero il principio
paternalistico e il principio moralistico. Il paternalismo non giustificherebbe la
repressione penale. Nel caso in cui con una propria azione il cittadino rechi
danno solo a sè stesso, costui non potrà essere punito. Con riferimento al
moralismo giuridico, Feinberg ritiene che non sia giustificabile la repressione
penale di condotte meramente immorali, che non producono danno o grave
molestia ad altri. Queste prospettive liberal di stampo anglosassone sembrano
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Capitolo 4
Il principio di colpevolezza
Nozioni introduttive
In un sistema penale moderno, è del tutto pacifico che nessuno possa essere
chiamato a rispondere per un fatto altrui (commesso da altri). Esempio
estremo: il figlio non può essere punito per il reato commesso dal padre.
Occorre, invece, che il fatto possa essere considerato proprio del soggetto che
si vuole colpire con la sanzione penale. La prima condizione necessaria affinchè
si possa affermare che la responsabilità penale (per fatto proprio) è dunque che
il reo abbia materialmente realizzato il fatto previsto dalla legge come reato.
Così come non è possibile accontentarsi del divieto di responsabilità per fatto
altrui, nemmeno può bastare la materiale realizzazione del fatto, ovvero
l'oggettiva causazione di un certo risultato lesivo (es. la morte di un uomo).
Occorre qualcosa in più, che si identifica in primis in un legame soggettivo tra il
fatto e l'autore; ciò incarna la base del principio di colpevolezza: nullum crimen
sine culpa (nessun crimine senza colpevolezza). Il fatto deve poter essere
considerato proprio del soggetto agente non soltanto perchè da questi
materialmente cagionato, ma anche perchè si tratta di un fatto (proprio)
colpevole. Sembra opportuno prendere in considerazione la norma
costituzionale, in cui il principio di colpevolezza si trova sancito.
l. n.127 del 1958 ha riformulato l'art. 57 c.p., individuando il fatto proprio, di cui
può essere chiamato a rispondere il direttore o il vicedirettore responsabile del
periodico: fatto consistente nell'omissione del controllo, sul contenuto del
periodico, necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano
commessi reati.
Parte Seconda
Capitolo 1
Premessa
Il nostro codice nell'ambito della parte generale e dunque del primo libro, che
si occupa di reati in generale, dedica il primo titolo alla legge in generale. Le
prime disposizioni del nostro codice si occupano dei principi di legalità e di
istituti ad esso legati, quali la disciplina della legge penale nel tempo e nello
spazio.
Capitolo 2
L'art. 2 comma I del c.p. disciplina la tematica della successione di leggi penali
nel tempo.
Il contenuto minimo di tale art. afferma il principio costituzionale di
irretroattività, disponendo che “nessuno può essere punito per un fatto che,
secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato”.
Il suddetto art. 2 comma II afferma che “nessuno può essere punito per un fatto
che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e se vi è stata una
condanna necessitano di esecuzione e gli effetti penali”.
È la cosiddetta abolitio criminis, cioè abolizione del reato: un fatto previsto
dalla legge come reato all’epoca in cui viene realizzato, ma successivamente la
legge muta e non prevede più come reato quello stesso fatto. Questo viene
quindi trasformato in un illecito meramente amministrativo o addirittura
considerato lecito. In questo caso si esprime la piena retroattività della legge
posteriore, quando risulta essere favorevole per il soggetto agente.
L’abolitio criminis travolge anche una sentenza passata in giudicato, e di
conseguenza è indifferente che la nuova legge entri in vigore prima o dopo la
sentenza. Nel caso in cui ci sia un processo ancora in corso, il giudice deve
pronunciare una sentenza di assoluzione, con la formula “perché il fatto non è
più previsto dalla legge come reato”.
Inoltre con legge 85/2006 è stato inserito un nuovo terzo comma dell’art. 2 che
afferma che “se vi è stata una condanna a pena detentiva e la legge posteriore
prevede esclusivamente la pena pecuniaria, la pena detentiva ai sensi dell’art.
135 si converte immediatamente nella corrispondente pena pecuniaria”. Ad
esempio l’art. 299 c.p. prevedeva, per il delitto di vilipendio alla bandiera
nazionale o ad altro emblema dello Stato, la pena della reclusione da uno a tre
anni. In forza dell’art. 6 della legge 85/2006 la pena è ora un’ammenda da €
100 a € 1000.
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Ai sensi dell'art. 2 comma IV “se la legge del tempo in cui fu commesso il reato
e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più
favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata una sentenza irrevocabile”. È
questo il fenomeno della successione di leggi penali nel tempo in senso stretto.
La nuova legge non abolisce l'incriminazione vigente all'epoca del tempo in cui
fu commesso il delitto: il fatto continua ad essere previsto dalla legge come
reato e il giudice deve decidere quale legge, tra quelle che si sono succedute,
è più favorevole al reo e applicarla.
Laddove la nuova legge imponga un trattamento più severo vige il principio di
irretroattività e continua ad applicarsi la vecchia legge più favorevole.
Laddove la nuova normativa preveda un trattamento meno severo verrà
applicata.
Normalmente le leggi da porre a confronto sono due, quella vigente all’epoca
del fatto e quelle entrate in vigore successivamente, a meno che non esistano
una o più leggi intermedi, che potranno essere considerate al fine di
individuare la normativa più favorevole al reo.
La legge più favorevole va individuata in concreto e non può scaturire da una
sorta di mosaico composto da tessere estrapolate da dalle varie leggi in
comparazione, da cui appunto vengano selezionati frammenti di disciplina più
favorevoli al reo. Il giudice deve decidere quale legge, tra quelle che si sono
succedute, è più favorevole al reo e applicarla in toto, e non può creare una
nuova terza legge (divieto di tertia lex).
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Capitolo 3
L'art. 3 comma I c.p. afferma che salvo eccezioni “la legge penale italiana
obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano nel territorio dello
Stato”. L'art. 6 c.p. specifica più chiaramente che “chiunque commette un
reato nel territorio dello Stato è punito secondo la legge italiana”.
Nel nostro sistema risulta accolto, in linea generale, il principio di
territorialità: la nostra legislazione penale si applica, perlomeno
tendenzialmente, ai fatti realizzati in territorio italiano. È indifferente che tali
fatti siano commessi da cittadini italiani o stranieri e che le vittime siano
italiane o straniere.
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Secondo il diritto penale dev'essere punito secondo la legge italiana colui che
commette un reato nel territorio dello Stato. Bisogna considerare a quali
condizioni un reato possa considerarsi commesso nel territorio dello Stato o
comunque assimilato dalla legge al territorio italiano (es. commesso a bordo di
una nave).
Fondamentale l’art. 6 comma II c.p.: tale norma non recepisce né il criterio
della condotta, per cui il reato si considera commesso nel territorio dello Stato
quando in esso è avvenuta l’azione o l’omissione, né il criterio dell’evento, per
il quale il reato si considera commesso nel territorio dello Stato quando in esso
si è verificato l’evento del reato.
Esso recepisce il criterio dell’ubiquità: il reato si considera commesso nel
territorio dello Stato, quando l’azione o l’omissione, che lo costituisce, è ivi
avvenuta in tutto o in parte, ovvero si è ivi verificato l’evento della
conseguenza dell’azione od omissione.
Quindi ad esempio se Tizio si trova in Italia e spara Caio che si trova in Austria
appena al di là del confine uccidendolo, oppure Tizio si trova in Austria e spara
a Caio che si trova in Italia appena al di qua del confine uccidendolo, in
entrambi i casi il reato, in virtù della teoria dell’ubiquità, va considerato
commesso nel territorio dello Stato. Inoltre taluni atti preparatori di un reato, di
per sé irrilevante ai fini della configurabilità del tentativo punibile, vengono
commessi sul territorio italiano, sono sufficienti a determinare l’applicabilità
della legge penale italiana, qualora il restante processo esecutivo si sia
Qualora venga commesso all'estero un delitto politico, che non sia un delitto
contro la personalità dello Stato italiano rientrante nell'ambito dell'art. 7 c.p., il
soggetto agente è punito secondo la legge italiana, sia che si tratti di un
cittadino italiano sia di uno straniero. Per procedere occorre la richiesta del
Ministro della Giustizia e se si tratta di delitto punibile a querela della persona
offesa occorre altresì che la querela sia stata proposta.
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Capitolo 4
Cenni introduttivi.
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Criteri interpretativi.
L'art 12 delle preleggi del c.c. afferma che "nell'applicare la legge non si può ad
essa attribuire senso diverso da quello fatto palese dal significato proprio delle
parole secondo la connessione di esse e dall'intenzione del legislatore". Per
quanto riguarda l'interpretazione di norme di diritto penale sono stabiliti alcuni
criteri:
1) lessicale-semantico
2) storico
3) logico-sistematico
4) teleologico.
Criterio lessicale-semantico
La norma dev'essere interpretata sulla base del significato che essa ha oggi e
non quello d'origine poiché i costumi e le esigenze sociali cambiano nel tempo.
Poi in riferimento al principio di legalità e di tassatività l'interprete deve dare
un grosso peso al senso delle parole del legislatore. Si tratta comunque di un
criterio che spesso lascia in sospeso l'interpretazione della norma. Ad esempio
nel caso di atti sessuali di cui all'art 609bis c.p. quali sono gli atti da
ricomprendere anche il bacio?
Criterio storico
Esso utilizza la storia dell'istituto regolato dal legislatore e ricostruisce il
percorso storico seguito dal legislatore nel disciplinare una certa materia.
Tornando all'esempio precedente, l'espressione "atti sessuali" è recente, poiché
non era presente nel codice Rocco, e va ad unificare le due nozioni, usate nel
vecchio codice, di congiunzione carnale e di atti di libidine. Questo criterio
maggiore precisione di definizione ma non risolve il problema riguardante il
bacio.
Criterio logico-sistematico.
Secondo tale criterio bisogna interpretare una norma alla luce del contesto e
del sistema nel quale è inserita. Anche le norme speciali devono essere
interpretate secondo quelle generali. Così omicidio colposo e omicidio
volontario acquistano senso alla luce della lettura delle nozioni di dolo e di
colpa. Anche questo criterio non porta alla soluzione del nostro caso.
Criterio teleologico
Il giudice potrebbe dire che l'aggettivo nudi indicato si estende ai casi in cui i
vestiti indossati dal soggetto siano completamente trasparenti. In questo caso
si ha una interpretazione estensiva della norma. La differenza rispetto
all'analogia è che le parole usate dal legislatore, in questo caso, non possono
essere estese nel loro significato a tal punto da ricomprendere il caso non
regolato dalla legge. In questo caso non si applica la norma ma se ne crea per
così dire un'altra. Nell'ipotesi dell' interpretazione estensiva si ritiene che le
parole usate dal legislatore possono essere estese nel loro significato fino a
ricomprendere il caso non regolato e pertanto si applica una norma già
esistente. Spesso comunque i nostri giudici approfittano della contiguità tra
queste due diverse figure per spacciare un'ipotesi vietata di analogia per casi
di interpretazione estensiva permessa. Proprio per questo, alcuni sostengono
che anche l'interpretazione estensiva debba essere vietata nel diritto penale.
Nel nostro sistema la creazione del diritto penale dovrebbe essere di esclusivo
monopolio del legislatore ma il giudice, che dovrebbe essere un applicatore
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Parte Terza
Il reato
Capitolo 1
Nozioni generali
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Delitti e contravvenzioni.
Bipartizione e tripartizione
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Tipicità: essa è anche detta "conformità al tipo" del reato e si sostanzia nel
fatto tipico.
Si pensi all'omicidio doloso. in questo caso la norma (art.575 c.p.) descrive un
fatto consistente nel cagionare la morte di un uomo. Questo fatto si dice tipico
perché appunto è conforme al tipo di fatto descritto nella norma.
Quindi la tipicità è l'insieme degli elementi fattuali, descritti dal legislatore
nell'ambito della singola disposizione incriminatrice. La tipicità rappresenta la
realizzazione normativa, a livello di singola fattispecie, dei principi
costituzionali di determinatezza e frammentarietà da un lato e di offensività
dall'altro.
La determinatezza e la frammentarietà si manifestano soprattutto nella
descrizione della condotta tipica costitutiva del reato, mentre l'offensività si
concretizza nell'evento o comunque nel risultato finale della condotta tipica da
Tizio che per odio accoltella Caio e Mevio che, distratto per un attimo dal
passaggio di una bella ragazza, investe Sempronio con l'automobile. È ovvio
che tali fattispecie debbano essere collocate in due norme distinte e che di
conseguenza ci sia un' abissale differenza di pena tra l'una (dai 6 mesi ai 5 anni
per l'omicidio colposo) e l'altra(da un minimo di 21 anni per l'omicidio doloso).
Se anche il dolo e la colpa contribuiscono alla definizione del fatto tipico se ne
deduce che anche all'interno della tipicità possiamo distinguere tra elemento
oggettivo ed elemento soggettivo: nel tipo dell'omicidio doloso si potrà ad
esempio distinguere tra causazione della morte di un uomo(elemento
oggettivo) e dolo relativo (elemento soggettivo).
Dunque la bipartizione può giocare un ruolo all'interno della sistematica
tripartita, nel senso che nell'ambito della tipicità si può e si deve distinguere tra
elemento oggettivo e elemento soggettivo.
52
Vi sono numerose categorie di reati che presentano tra loro differenze che non
bisogna trarre dal comportamento concreto dell'agente ma dalla
conformazione della fattispecie legale nella sua tipicità.
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52
Sezione 1
La tipicità
Capitolo 1
La tipicità: Premessa
La tipicità non è altro che l'insieme degli elementi fattuali descritti dal
legislatore nell'ambito di una singola disposizione incriminatrice. La tipicità è il
primo degli elementi del reato. Essa, o conformità al tipo, è sostanzialmente
questione più di parte speciale che di parte generale. Tutti i reati sono costituiti
più o meno dagli stessi elementi, i quali presentano connotati di carattere
generale in quanto comuni a tutte o a gran parte delle fattispecie. Tutte le
fattispecie hanno un soggetto attivo; tutte hanno una condotta; molte
fattispecie hanno un evento. Ecco perché la descrizione di questi elementi della
tipicità è questione di parte generale. Elementi della conformità al tipo:
1) il soggetto attivo
2) la condotta
3) l'evento
4) il nesso causale
Capitolo 2
Il soggetto attivo
Il soggetto attivo del reato (ovvero autore, reo, agente, colpevole) è il primo
degli elementi costitutivi della tipicità, che designa colui il quale realizza gli
estremi in una fattispecie di reato. Il soggetto attivo dev'essere una persona
umana.In rapporto al reo, è stato elaborato il concetto di capacità penale.
Questa è posseduta da ogni individuo, a prescindere dalle sue caratteristiche
Le immunità
L'art.3 c.p., oltre a sancire il principio di obbligatorietà della legge penale ("La
legge penale italiana obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano nel
territorio dello Stato") fa "salve le eccezioni stabilite dal diritto pubblico interno
o internazionale": queste eccezioni danno luogo alle c.d.immunità.
Si distingue tra immunità di diritto pubblico interno ed immunità di
diritto internazionale, a seconda della fonte normativa da cui l'immunità
deriva. Vengono ulteriormente classificate, a seconda del loro contenuto, in due
categorie: le c.d. Immunità funzionali e le c.d. Immunità extrafunzionali.
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- Giudici della Corte Costituzionale, membri dei Consigli regionali, membri del
Consiglio superiore della Magistratura.
In altri casi, il fatto realizzato dal soggetto immune non si può considerare
lecito: esso è a tutti gli effetti un reato, ma il reo non viene punito per
l’esistenza di una causa personale di non punibilità.
In base all’art. 17, infine, il datore di lavoro non può delegare le fondamentali
attività di valutazione di tutti i rischi a cui sono esposti i lavoratori di
elaborazione di un documento con il quale si crea una sorta di mappa dei rischi
stessi, così come non può delegare la designazione del responsabile del
servizio di prevenzione e protezione dai rischi, il quale deve essere persona con
capacità e requisiti professionali adeguati alla natura dei rischi presenti sul
luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative.
Vi sono poi ulteriori ipotesi in cui l’obbligo per legge non è delegabile. Nel caso
ad esempio dell’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi da parte
di una società a responsabilità limitata, si deve individuare il soggetto che
avrebbe dovuto presentarla in base alla normativa tributaria: una volta chiarito
che l’obbligo fa capo a tizio, nella sua qualità di amministratore e legale
rappresentante della società, questi non potrebbe difendersi dicendo di aver
delegato il compito di redigere e di presentare la dichiarazione ad altri soggetti.
In casi del genere, da un lato la legge consente di selezionare con precisione il
responsabile, e, dall’altro, l’obbligo di presentazione della dichiarazione nonna
è delegabile ad altri con un atto di autonomia negoziale.
Può una persona giuridica essere soggetto attivo del reato? Tradizionalmente,
al quesito si rispondeva in modo negativo, citando un noto brocardo: societas
delinquere non potest (=un ente non può delinquere):
Sul piano del diritto vigente, si vuole richiamare il disposto dell’art. 197 c.p.: sì
InnaA determinate persone giuridiche è previsto, al più, l’obbligo civile del
pagamento di una somma pari all’ammontare della pena pecuniaria inflitta alla
persona fisica che ne ha la rappresentanza o l’amministrazione, in caso di
insolvibilità di quest’ultima, se ne deduce che gli enti collettivi in genere non
possono essere destinatari di una sanzione penale.
Capitolo 3
La condotta
- la condotta deve essere umana, e cioè un animale non potrebbe mai essere
sanzionato ad opera del diritto penale;
- nessuno può essere punito per un mero atteggiamento interiore, o per uno
stato mentale che non sia estrinsecato in contegno esterno. Il comportamento
umano è soltanto quello che incide in qualche modo sul mondo esteriore.
Anche questa caratteristica essenziale della condotta è comune sia all'azione
che all'omissione, anche se, soprattutto rispetto ai reati omissivi propri,
possono esservi talora alcune tensioni con il suddetto principio;
L'azione
L'omissione
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Teoria del c.d. aliud agere: l'aspetto fisico e materiale dell'omissione andrebbe
colto nell'"azione diversa" che il soggetto effettivamente realizza, e che è
difforme rispetto a quella comandata. A questa teoria sono state mosse
obiezioni ritenute decisive. E' assai arduo individuare la pretesa azione diversa
da quella dovuta, giacchè nel periodo in cui il soggetto dovrebbe attivarsi per
ottemperare al comando legale, e non lo fa, ben può compiere un'infinità di
atti.
Esempio: se una mamma non allatta il proprio neonato, e questo muore, vi sarà
un'omissione penalmente rilevante, che dà luogo a responsabilità per omicidio.
In base a questa teoria, in un caso simile ciò che conta non sarebbe il mancato
allattamento realizzato dalla mamma, ma ad es. il fatto che nel tempo in cui
essa avrebbe dovuto allattare, invece aveva fatto la pasta per la pizza: ognuno
può capire che la pizza con la morte del bambino non ha nulla a che fare, se
non solo indirettamente ed accidentalmente.
Tre esempi: Tizia, mamma del lattante Caio, omette di allattare Caio,
producendone la morte: qui, è la stessa legge civile ad obbligare la madre ad
impedire che suo figlio muoia di fame. Tizio e Caia, genitori del bimbo
Sempronio, escono a cena e stipulano un contratto con la baby-sitter Mevia,
perché accudisca Sempronio durante la serata; Mevia si distrae e Sempronio
muore: qui è il contratto che attribuisce a Mevia l’obbligo di impedire l’evento.
Tizio, accanito fumatore, getta un cerino accidentalmente ancora acceso dietro
di sé, e dopo qualche minuto si accorge che sta prendendo fuoco il bosco;
omette peraltro di intervenire, direttamente o no, per spegnere le fiamme: qui
è il fare pericoloso precedente, anche se accidentale, che fa nascere in capo a
Tizio un obbligo di impedimento dell’evento. Le teorie che limitano a queste
ipotesi l’operatività dell’equivalenza fra azione ed omissione si dicono teorie
formali. Da qualche decennio a questa parte, si è superata da taluno la teoria
formale, accedendo a concezioni di tipo sostanziale, basate sulla c.d. dottrina
del garante.
Sia la teoria formale che quella sostanziale menzionate hanno pregi e difetti. La
prima è maggiormente in linea con il principio di legalità, ma rischia talora di
non cogliere la particolare esigenza del caso concreto. La seconda è più a
rischio di violazione del principio di legalità, ma si presta a cogliere meglio le
esigenze sostanziali del caso concreto.
Reati a forma libera: (es. omicidio volontario) non vi è una precisazione legale
di particolari modalità di condotta: quest’ultima è descritta dalla norma in
modo tale che rilevi il comportamento consistente nel cagionare, con qualsiasi
mezzo, la morte di un uomo.
Sia nei reati a forma libera, che in quelli a forma vincolata, è peraltro indubbio
che la condotta appare connotata da un suo autonomo disvalore. Nel reato,
infatti, non rileva solo il risultato finale (l’evento), ma anche il modo in cui il
bene è stato aggredito. Occorre rivolgere l’attenzione non solo alla lesione del
bene giuridico, ma anche alle modalità di lesione. ( Il reato è illecito di modalità
di lesione) Il disvalore della condotta e il disvalore dell’evento sono entrambi da
considerare nella valutazione del disvalore complessivo sotteso alla
realizzazione di un fatto di reato.
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L'art. 42, comma 1, c.p. recita: " Nessuno può essere punito per un'azione od
omissione preveduta dalla legge come reato, se non l'ha commessa con
coscienza e volontà". Noi riteniamo che la coscienza e volontà dell'azione
debba riferirsi già al concetto di azione (condotta), e dunque sistematicamente
afferire all'elemento oggettivo della tipicità. Questo articolo detterebbe i
requisiti minimi del concetto di azione, sotto il profilo dell'appartenenza
dell'azione stessa al soggetto che l'ha commessa. La condotta deve essere una
condotta umana. Ma oltre che provenire dall'uomo essa dev'essere attribuibile
ad un essere umano, in quanto sua. Ecco perchè si parla di suitas della
condotta. Una condotta non cosciente e volontaria nel senso dell'art. 42,
comma 1, c.p., non sarebbe da considerare propria dell'agente. La suitas deve
essere già considerata requisito della condotta. Anche l'elemento soggettivo
del reato si occupa del problema del rapporto di appartenenza della condotta
dell'autore. Nell'ambito del dolo, il soggetto deve volere la condotta, sicchè il
rapporto subiettivo fra autore e azione deve essere di carattere psicologico.
Capitolo 4
L'evento
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Capitolo 5
Il nesso causale
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Sezione II
L’antigiuridicità
Capitolo 1
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Capitolo 2
La legittima difesa
Il fondamento
Art. 52 c.p.: “Non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato
costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il
pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata
all’offesa”. Una delle scriminanti più classiche, denominata un tempo
moderamen inculpatae tutelae ( limite della difesa incolpevole) e descritta
dalla massima latina vim vi repellere licet ( è lecito respingere la forza con la
forza).
Quale il fondamento della scriminante in parola? In questo caso si ha
un’aggressione da parte di un soggetto nei confronti di un altro. L’ordinamento
tratta con maggiore favore l’interesse dell’aggredito, rispetto all’interesse
dell’aggressore. La ratio della legittima difesa è da ravvisarsi nell’interesse
prevalente. Col passare dei secoli lo Stato ha incrementato le sue capacità di
protezione dei cittadini. Forze di polizia organizzate, numeri telefonici quali il
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L’offesa
Offesa:
1) deve derivare da una condotta umana, o comunque riconducibile ad una
persona. Anche contro un animale si può agire in stato di legittima difesa, ma
solo se la bestia è vigilata o custodita da qualcuno. Autore dell’aggressione può
essere anche un pazzo non imputabile o una persona non punibile perchè
immune.
Offesa ingiusta: si deve intendere offesa antigiuridica, non giustificata da
alcuna scriminante.
2. Deve essere diretta ad un diritto proprio od altrui.
3. Il pericolo per l’interesse aggredito deve essere attuale. Il codice Rocco
ha migliorato la dizione del codice del 1889, che parlava di pericolo imminente,
generando qualche confusione. Se la legge non richiedesse l’attualità del
pericolo, ci si potrebbe anche difendere da aggressori solo futuri o potenziali: il
che sarebbe inopportuno. Quando finisce l’attualità del pericolo? Esempio: il
ladro Caio penetra nel fondo di Tizio e gli ruba due galline; Tizio esce di casa,
intima a Caio di mollare la refurtiva, e Caio ubbidisce e scappa; a questo punto,
Tizio non potrebbe più agire in stato di legittima difesa, per la mancanza
dell’attualità del pericolo. Nell’ipotesi fatta il bene giuridico, a seguito
dell’abbandono della refurtiva da parte di Caio, non sarebbe più soggetto a
minaccia.
4. Si deve trattare di un pericolo e non di un danno già realizzato. Se i
cittadini potessero reagire a danno avvenuto, la loro sarebbe vendetta o
ritorsione e non legittima difesa.
5. L’offesa deve essere ingiusta. Non sarebbe ingiusta, ad esempio, l’offesa
del poliziotto Tizio che cerca di arrestare il malvivente Caio: qui la difesa di Caio
non sarebbe certo legittima, per mancanza dell’ingiustizia dell’offesa.
6. Si pone poi il problema della legittima difesa del provocatore. Esempio:
Tizio insulta brutalmente Caio; quest’ultimo reagisce cercando di pugnalare
Tizio; Tizio estrae la pistola e uccide Caio. La reazione di Caio è spropositata ed
imprevedibile rispetto alla provocazione di Tizio. Ecco che sussiste l’ingiustizia
dell’offesa, che è proprio dovuta alla sproporzione fra insulto e tentata
pugnalata.
La difesa
Reazione difensiva:
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Legittima difesa a tutela di beni: è il primo luogo da ribadire che non basta
il pericolo di aggressione ad un bene patrimoniale. Il pericolo per tale bene
rappresenta l’incipit dell’episodio. La norma postula che non vi sia desistenza
da parte del ladro; a nostro giudizio, questo significa che il difensore avrà
l’onere di intimare in qualche forma al ladro di desistere in modo che a questi
sia data la possibilità di scegliere fra la rinuncia all’azione illecita ed una
escalation criminosa. Occorre che il ladro non si dia per vinto, trasmodando dal
pericolo di offesa verso il patrimonio al pericolo di offesa verso la persona. E’ a
questo che allude il legislatore quando parla di pericolo di aggressione. Ad
interpretare diversamente la locuzione osta sia il criterio letterale che quello
sistematico. Quanto al primo, appare semanticamente molto più appropriato
parlare di aggressione nei confronti dell’incolumità fisica, piuttosto che nei
confronti del patrimonio. Quanto al secondo, da un lato, non si capisce che
progressione ci sia dal pericolo di un’offesa al bene patrimonio ad un pericolo
di aggressione allo stesso bene. L’interpretazione più corretta è quella secondo
cui per aggressione si intende qui un’aggressione fisica. Riteniamo che si
dovrebbe optare per l’interpretazione più in sintonia con la Costituzione e
l’ammettere una difesa armata del mero patrimonio sarebbe di difficile
compatibilità con quanto prescrive la nostra Costituzione. In caso di presenza di
un ladro all’interno del domicilio, il padrone di casa non è obbligato a subire il
furto; potrà legittimamente intimare al malvivente di andarsene, anche se, fin
dall’inizio, egli si renda conto che l’intimazione al ladro potrà suscitare una
reazione violenta di questo. Secondo alcune opinioni estreme, in questi casi, il
derubando si dovrebbe astenere dall’agire in tal modo, in quanto subire il furto
sarebbe per lui un ottimo commodus discessus. La nuova norma chiarisce che
in casi consimili il padrone di casa può legittimamente reagire, ma non
utilizzando mezzi violenti; prima, dovrà intimare al ladro di desistere; e solo se
questi insisterà, e si mostrerà addirittura pericoloso per la sua incolumità, potrà
far uso dell’arma. Meglio sarebbe stato introdurre una scusante in caso di
eccesso di difesa causato da panico o terrore, il che avrebbe maggiormente
avvicinato la nostra legislazione sul tema a quella più diffusa a livello europeo.
Capitolo 3
Lo stato di necessità
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L'azione necessitata
Essa deve essere necessaria per salvare sé o altri dal pericolo. Questa
necessità va interpretata ancor più rigorosamente rispetto a quella di cui alla
legittima difesa.
Mentre nella legittima difesa colui contro cui si commette il fatto è un
aggressore, qui è un terzo innocente. Il pericolo non deve essere altrimenti
evitabile. Se è possibile trovare un'alternativa alla realizzazione del reato, la si
deve comunque percorrere.
In questa prospettiva si inquadra quella giurisprudenza che non accorda lo
stato di necessità, ad esempio a chi sfrattato da casa e senza soldi, occupa una
casa altrui. In questo caso si effettua spesso una valutazione in astratto,
mentre l'esistenza di una possibilità alternativa andrebbe valutata in concreto.
Infine per potersi applicare l’esimente il fatto commesso deve essere
proporzionato al pericolo anche il criterio della proporzione andrà valutato con
maggior rigore nello stato di necessità rispetto alla legittima difesa.
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Capitolo 4
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Capitolo 5
L'esercizio di un diritto
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I limiti scriminanti
Limiti interni e limiti esterni del diritto scriminante
I limiti interni sono limiti promananti dalla norma che lo configura. Coincidono
con la portata e l’ambito del diritto considerato in sé e per sé, ossia al di fuori
del rapporto con altre norme.
Limiti esterni: promanano da norme diverse da quella attributiva del diritto,
e che tutelano interessi differenti. Vanno ricavati non soltanto dalla legge
ordinaria che li attribuisce, ma anche dall’ordinamento complessivamente
inteso, compresa la legge penale.
Quanto invece ai diritti che trovano un diretto riconoscimento nella
Costituzione, non è possibile che norme di rango inferiore nella gerarchia delle
fonti, ne vengano a limitare l'operatività. Un limite in tal senso può derivare
soltanto da altre norme costituzionali. In tal caso è indispensabile operare un
delicato giudizio di bilanciamento tra i contrapposti interessi in gioco.
Capitolo 6
L’adempimento di un dovere
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Capitolo 7
Presupposti oggettivi
1. necessità di respingere una violenza all’Autorità: alla violenza fisica si
estende anche la coercizione psichica o minaccia, qualora sia seria e
particolarmente grave;
2. necessità di vincere una resistenza all’Autorità : la resistenza può essere
attiva o passiva. Per la resistenza passiva è comunque necessario la
sussistenza di un concreto rapporto di proporzionalità.
3. necessità di impedire la consumazione dei delitti di strage, naufragio,
sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario,
rapina a mano armata e sequestro di persona (introdotto con riforma nel
1975);
4. necessità di una proporzione tra interesse leso ed il bene che
l’adempimento dell’ufficio è diretto a soddisfare; ovvero l’uso delle armi non
leda un interesse di rango superiore rispetto al diverso interesse tutelando.
La violenza o la resistenza debbono essere attuali e l’utilizzo del mezzo di
coazione fisica debba essere necessario, individuando quindi l’utilizzo delle
armi unicamente come extrema ratio.
Sezione III
La colpevolezza
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Capitolo 2
Il dolo e l’errore
Dolo generico: sono quelli in cui l’oggetto del dolo coincide con il fatto tipico
oggettivo.
Dolo specifico: l’oggetto del dolo investe elementi (di solito uno) che non
appartengono al fatto oggettivo tipico (esempio: per la truffa si richiede il
conseguimento del profitto; si distingue dal furto che è commesso al fine di
arricchirsi e ha dolo specifico).
La distinzione opera a seconda della diversa tipicità astratta. Di solito il
legislatore evidenzia l’impiego del dolo specifico attraverso locuzioni del tipo:
“al fine di..”, “allo scopo di..” ecc.. anche se simili formule possono talora trarre
in inganno.
Dolo generico: la finalità dell’agente si obiettivizza nel fatto tipico trovando
perfetto riscontro in esso.
Dolo specifico: la finalità non trova riscontro in un elemento oggettivo del
fatto e dunque resta nel limbo delle intenzioni. Rischio di un diritto penale
dell’autore o dell’intenzione, invece di essere un diritto penale del fatto e delle
intenzioni.
La nozione di dolo generico non va confusa con il “dolo generale”, che viene
utilizzato per ascrivere a titolo di dolo un fatto che in realtà non può dirsi
pienamente voluto dal soggetto agente.
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Errore sul precetto: non rileva a beneficio del reo, dal momento che si
risolve in una ignoranza della legge penale che, in base all’art. 5 c.p., non
scusa salvo si tratti di ignoranza inevitabile (comporta una esclusione della
colpevolezza).
Il soggetto volendo esattamente realizzare il fatto posto in essere,
vuole per ciò stesso ledere quel bene giuridico tutelato, pur non
percependone l’illiceità.
La colpa
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Principio dell’affidamento
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La colpa incosciente (la forma più frequente) si ha quando l’evento non solo
non è voluto ma nemmeno previsto dall’agente.
La colpa cosciente (con previsione) si ha quando l’agente non voglia
commettere il reato, ovvero realizzare l’evento, ma tuttavia lo “rappresenta” e
lo prevede come possibile conseguenza della sua condotta.
La colpa cosciente è una circostanza aggravante comune ex art. 61 nr.
3 (“Aggravano il reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze
aggravanti speciali….”).
La colpa con previsione pone delicati problemi applicativi in considerazione del
dolo eventuale.
Art. 133 il giudice, nel procedere alla commisurazione della pena, deve tener
conto fra l’altro della gravità del reato, desunta da una pluralità di indici,
tra i quali vi è il “grado della colpa”:
• si tratta di stabilire quanto la condotta imprudente, negligente o imperita
diverga da quella osservante la regola cautelare;
• tenere presenti le cause soggettive per le quali l’agente in concreto non
ha rispettato il dovere oggettivo di diligenza;
• effettivo atteggiamento psicologico dell’agente (eventuale previsione
appunto).
Capitolo 4
La preterintenzione
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52
Anche alcune norme di parte generale in tema di concorso di persone nel reato
debbono essere tenute in considerazione nella prospettiva del tema della
responsabilità oggettiva.
Art. 116 (responsabilità del concorrente per reato diverso e più grave
di quello voluto): è intervenuta una sentenza della Corte Costituzionale nr. 42
del 1965.
Art. 117 un soggetto (c.d. extraneus) può rispondere di un reato diverso e più
grave di quello da lui voluto in dipendenza di una qualifica soggettiva del
soggetto intreaneus, a lui sconosciuta.
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La riforma dei reati sessuali del 1996, ha posto in evidenza l’art. 609 sexies: si
esclude la possibilità di invocare a propria scusa l’ignoranza dell’età
della persona offesa. Il legislatore ha riconfermato (l’art. 539 a suo tempo
abrogato) una norma palesemente incostituzionale per violazione del principio
di colpevolezza. Esempio: caso limite di un diciottenne che ha rapporti con una
tredicenne consenziente non si è scusati se si commettono abusi su minori
danni 14, anche se consenzienti e ignorando l’età per propria colpa. La norma
comunque, quantomeno nella parte in cui non scusa il soggetto indotto in
errore dal minore, è incostituzionale ma ancora la Corte non si è pronunciata.
Capitolo 5
Capitolo 6
L’imputabilità
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Il sordomutismo
Art. 96 “non è imputabile il sordomuto che, nel momento in cui ha commesso il
fatto, non aveva per causa della sua infermità la capacità di intendere e di
volere.
La legge non prevede alcuna presunzione di inferiorità psichica del sordomuto:
la capacità di intendere e di volere va verificata in concreto, caso per caso.
Oggi si parla letteralmente di sordo.
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Articolario importante
Art. 91 - Ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza maggiore
Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva la
capacità d'intendere o di volere, a cagione di piena ubriachezza derivata da
caso fortuito o da forza maggiore.
Se l'ubriachezza non era piena, ma era tuttavia tale da scemare grandemente,
senza escluderla, la capacità di intendere o di volere, la pena è diminuita.
Art. 92 - Ubriachezza volontaria o colposa ovvero preordinata
L'ubriachezza non derivata da caso fortuito o da forza maggiore non esclude
ne diminuisce l'imputabilità.
Se l'ubriachezza era preordinata al fine di commettere il reato, o di
prepararsi una scusa, la pena è aumentata.
Art. 93 - Fatto commesso sotto l'azione di sostanze stupefacenti
Le disposizioni dei due articoli precedenti si applicano anche quando il fatto
è stato commesso sotto l'azione di sostanze stupefacenti.
Art. 94 - Ubriachezza abituale
Quando il reato è commesso in stato di ubriachezza, e questa è abituale, la
pena è aumentata.
Agli effetti della legge penale, è considerato ubriaco abituale chi è dedito
all'uso di bevande alcooliche e in stato frequente di ubriachezza.
L'aggravamento di pena stabilito nella prima parte di questo articolo si applica
anche quando il reato è commesso sotto l'azione di sostanze stupefacenti da
chi è dedito all'uso di tali sostanze.
Art. 95 - Cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti
Per i fatti commessi in stato di cronica intossicazione prodotta da alcool ovvero
da sostanze stupefacenti, si applicano le disposizioni contenute negli articoli 88
e 89.
Art. 96 – Sordomutismo
Non è imputabile il sordomuto che, nel momento in cui ha commesso il fatto,
non aveva, per causa della sua infermità la capacità d'intendere o di volere.
Se la capacità d'intendere o di volere era grandemente scemata, ma non
esclusa, la pena è diminuita.
Capitolo 7
Parte Quarta
Capitolo 1
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Capitolo 2
Nozione di circostanza
Non vi è una definizione codicistica: il codice contiene una serie di
disposizioni di parte generale (artt. 59 e ss) che dettano una analitica disciplina
in materia di circostanze del reato.
La circostanza è un elemento accessorio, rispetto al reato compiuto in
tutti i suoi elementi essenziali.
Gli elementi costitutivi sono necessari ed indispensabili per la realizzazione
del reato.
Le circostanze rappresentano elementi accidentali ed eventuali. Se ricorrono il
reato assume quella particolare forma di manifestazione che va sotto il nome di
reato circostanziato.
La loro caratteristica fondamentale si coglie sul piano degli effetti giuridici:
incidono in maniera qualitativa e quantitativa sulla pena edittale,
comportandone una modificazione attenuante o aggravante.
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Cumulo materiale
In caso di concorso omogeneo di più circostanze, “l’aumento o la diminuzione
di pena si opera sulla quantità di essa risultante dall’aumento o dalla
diminuzione precedente” (art. 63 c. 2).
In caso poi di concorso omogeneo tra circostanze a effetto comune e
circostanze che comportano una pena di specie diversa (c.d. pena autonoma),
ovvero di circostanze ad effetto speciale, il codice prevede la regola apposita:
“quando per una circostanza la legge stabilisce una pena di specie diversa da
quella ordinaria del reato, o si tratta di circostanza ad effetto speciale,
l’aumento o la diminuzione per le altre circostanze non opera sulla pena
ordinaria del reato ma sulla pena stabilita per la circostanza anzidetta” (art. 63
c.3)
Cumulo giuridico
Se vi è concorso omogeneo ma le circostanze sono di specie diverse ovvero ad
effetto speciale, si applica soltanto:
• quella più grave tra le aggravanti;
• quella meno grave tra le attenuanti.
La recidiva
È la ricaduta nel reato, definita dal codice ex art. 99 comma 1.
L'istituto della recidiva è completamente innovato dalla legge che ha sostituito
completamente l'articolo 99 c.p..
Con la nuova formulazione dell'art. 99 c.p. la recidiva è applicabile solo per
i delitti non colposi, laddove nella precedente formulazione la recidiva era
applicabile ai reati in genere.
Può evincersi dalla lettura della norma la distinzione tra:
Recidiva facoltativa, può essere:
• semplice;
• aggravata (nelle sua ipotesi tripartita al secondo comma);
• reiterata al IV comma. Il quinto comma fissa un aumento di pena nella
misura stabilita non inferiore ad un terzo.
Recidiva obbligatoria: impone l'aumento di pena per i delitti descritti nelle 8
ipotesi previste dall'art. 407 comma secondo lett a) del codice di rito.
Infine l'ultimo comma dell'art. 99 fissa il limite invalicabile all'aumento della
pena.
Art. 101 “agli effetti della legge penale, sono considerati reati della
stessa indole non soltanto quelli che violano una stessa disposizione
di legge, ma anche quelli che, pur essendo preveduti da disposizioni
diverse di questo codice, ovvero da leggi diverse, nondimeno per la
natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li determinarono
presentano, nei casi concreti, caratteri fondamentali comuni”.
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Non è più un istituto facoltativo, in seguito alla riforma del 1974, ma con la ex
Cirielli sono stati reintrodotti casi di obbligatorietà della applicazione
dell’incremento di pena:
1. per reati particolarmente gravi, quali quelli citati dall’art.407 cpp.
2. Incremento minimo per recidivi aggravati di un terzo della pena.
Recidiva:
L’articolo 99 c.p. prende in considerazione una delle circostanze legate alla
persona del colpevole. La norma prevede la cd. recidiva ovvero il fatto che il
reo “dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, ne commette un
altro […]”.
Per la recidiva, il Codice prevede un aumento della pena in quanto tale
circostanza evidenzia un possibile nesso con concetto di capacità a delinquere
(art. 133 c.p.).
L’articolo 99 c.p. prevede tre ipotesi di recidiva:
1) semplice (art. 99 primo comma c.p.)quando, il reo, dopo una condanna
irrevocabile per un reato ne commette un altro. Il Codice prevede un
aumento di pena di 1/3 della sanzione da infliggere per il nuovo reato;
2) aggravata (art. 101 c.p.)quando il nuovo reato commesso dal reo è
della stessa indole di quello precedente (recidiva specifica), quando è
stato commesso entro cinque anni dalla condanna precedente
(infraquinquennale) o se è stato realizzato durante o dopo l’esecuzione
della pena o nel tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente
all’esecuzione della pena stessa. Il Codice prevede un aumento di pena
fino a un terzo e, aumento fino alla metà, se concorrono più circostanze;
ovviamente non devono essere violazioni della stessa fattispecie penale, ma è
sufficiente che abbiano caratteri fondamentali comuni.
3) reiterata (art. 99 quarto comma c.p.) quando il nuovo reato è commesso
da chi è già recidivo. In questi casi, l’Ordinamento, prevede l’applicazione di
un aumento della pena fino alla metà se si tratta di recidiva semplice o fino a
due terzi se si tratta di recidiva aggravata specifica o infraquienquennale e da
uno a due terzi se commesso durante o dopo l’esecuzione della pena o nel
tempo in cui il condannato si è sottratto volontariamente alla giustizia.
Molte modifiche sono state apportate all’articolo 99 del codice penale. In
particolare, dopo la L. 251/2005 (cd. Legge ex Cirielli) si è introdotto
nell’Ordinamento una rigorosa risposta sanzionatoria a carico di chi ricade nel
crimine.
Capitolo 3
Il tentativo
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Tentativo e circostanze
Il semplice delitto tentato può assumere la forma di manifestazione
“circostanziata” allorquando le circostanze (non solo comuni ma
anche speciali) si siano compiutamente già realizzate a prescindere
dal fatto che il reato non sia giunto a consumazione (es. il tentato
omicidio può essere attenuato dalla provocazione e lo stato d’ira del soggetto
agente).
La circostanza dev’essere presente in tutti i suoi elementi strutturali e porsi
quale elemento accessorio rispetto al fatto del compimento di atti idonei diretti
in modo non equivoco a commettere un delitto.
La legge contempla il delitto tentato ma nulla dice in ordine a circostanze
“tentate”: per cui, qualora le circostanze non siano pienamente o affatto
compiute, non sono ammesse.
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Il reato impossibile
Art. 49 comma 2La punibilità è esclusa “quando, per l’inidoneità
dell’azione o per la inesistenza dell’oggetto di essa, è impossibile
l’evento dannoso o pericoloso”.
Concezione realistica del reato
• dal punto di vista letterale l’art. 49 comma 2 parla di inidoneità
dell’azione, mentre nel tentativo l’idoneità ha per oggetto gli atti;
• dal punto di vista sistematico l’art. 49 ult. comma prevede in caso di
reato impossibile l’applicabilità di una misura di sicurezza;
Secondo la concezione realistica, la punibilità andrebbe esclusa, ex art 49
comma 2, non solo in caso di tentativo inidoneo, ma anche e più in generale
ogniqualvolta, pur essendosi realizzati integralmente gli elementi che
compongono la fattispecie criminosa (ovvero pur in presenza di un fatto tipico
giunto a consumazione), non sia in concreto riscontrabile una effettiva lesione
del bene giuridico protetto.
Tale teoria necessita una doppia verifica:
• presenza di un fatto tipico;
• concreta lesione/messa in pericolo del bene giuridico protetto.
Principio di necessaria lesività dell’illecito penale
L’art. 49 sul reato impossibile equivale alla disciplina del tentativo: dire che la
punibilità è esclusa quando è impossibile l’evento pericoloso o dannoso a causa
Il reato putativo
Quando un soggetto agisce nella convinzione di commettere un reato,
mentre in realtà il suo comportamento è penalmente irrilevante.
Art. 49 comma 1 “non è punibile chi commette un fatto non costituente
reato, nella supposizione erronea che esso costituisca reato”.
Rispetto dei principi di materialità e offensività.
Capitolo 4
La fattispecie concorsuale
Art. 110 “quando più persone concorrono nel medesimo reato,
ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita, salve le
disposizioni degli articoli seguenti.”
L’art. 110 si combina di volta in volta con altre norme, creando una nuova ed
autonoma fattispecie tipica di reato concorsuale.
Si determina una estensione della sfera del penalmente rilevante, in quanto
questa nuova fattispecie concorsuale, come meglio si vedrà tra poco, consente
di ritenere punibili comportamenti che non potrebbero essere ricondotti alla
corrispondente fattispecie monosoggettiva.
Il modello unitario
È stato adottato dal legislatore per la disciplina del concorso di
persone nel reato: si prescinde dallo specifico ruolo rivestito da ciascuno dei
concorrenti, i quali soggiacciono indistintamente alla pena edittale
stabilita dalla fattispecie monosoggettiva di riferimento.
La differenza di ruolo e di apporto, psichico o materiale, può incidere sulla pena
da comminare a ciascun concorrente solo attraverso la commisurazione in
senso stretto (art. 133).
Il modello unitario comporta la necessità di rimettere in maniera ampia al
giudice il compito di definire i contorni della partecipazione penalmente
rilevante e di una verifica sul ruolo dei singoli concorrenti.
Art. 114 comma 1 “il giudice qualora ritenga che l’opera prestata da
taluna delle persone che sono concorse nel reato a norma degli art.
110 e 113 abbia avuto minima importanza nella preparazione o
esecuzione del reato, può diminuire la pena”.
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Il contributo rilevante
Al fine di individuare la soglia minima per l’applicazione dell’art. 110 sono
stati elaborati vari criteri che creino delle distinzioni tra diverse figure
astratte di concorrenti e tra diverse forme di concorso.
Concorso materiale
Concorre materialmente al reato colui che personalmente:
• compie uno o più atti tipici del reato stesso;
oppure
• apporta un contributo materiale nella fase preparatoria oppure nella fase
esecutiva del reato.
Si distingue:
1. autore, chi realizza l’intera azione esecutiva con una condotta che di per sé
è tipica della fattispecie monosoggettiva;
2. coautore, colui che realizza insieme ad altri soggetti la condotta suddetta;
3. complice, o ausiliatore, è il concorrente la cui condotta di per sé non
integra gli estremi della fattispecie monosoggettiva ma rientra nella tipicità
di quella plurisoggettiva, apportatore di aiuto materiale nelle fasi
preparatorie o esecutive;
Concorso morale
Concorre moralmente nel reato colui che dà una spinta psicologica
alla realizzazione di un reato che materialmente è posto in essere da
altri soggetti.
Si distingue:
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L’agente provocatore
È colui che contribuisce in qualche misura alla realizzazione di uno o
più reati, insieme ad altro soggetto/i: con il proposito tuttavia di assicurare
questi ultimi alla giustizia.
Si tratta in genere di agenti o ufficiali di polizia giudiziari, appositamente
autorizzati in rispetto di particolari normative (quale ad esempio il DPR
309/90).
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Sistema del cumulo giuridico per il concorso formale di reati: si applica infatti
una pena calcolata sulla base della pena da irrogare per il reato (in concreto)
più grave e con un aumento che non deriva dalla sommatoria aritmetica delle
pene relative alle ulteriori fattispecie, bensì da una commisurazione effettuata
nell’ambito di una quota prefissa dalla legge.
L’art. 81 pone anche dei limiti massimi: “nei casi preveduti da questo
articolo, la pena non può essere superiore a quella che sarebbe
applicabile a norma degli articoli precedenti”.
È stato riformato nel 1974 l’articolo, prima era improntato al cumulo materiale,
che faceva la somma aritmetica delle pene.
Il reato complesso
Detto anche reato composto o reato complesso in senso stretto , è
previsto e disciplinato dall’art. 84 comma 1 “le disposizioni degli articoli
precedenti (ossia quelle in tema di concorso di reati) non si applicano
quando la legge considera come elementi costitutivi o come
circostanze aggravanti di un solo reato fatti che costituirebbero, per
se stessi, reato.”
La legge unifica in una sola fattispecie di reato più fatti, i quali individualmente,
integrerebbero a loro volta un reato. Per cui questi fatti diventano:
• degli elementi costitutivi di reato;
• oppure delle circostanze aggravanti di un reato.
La regola è quindi che deve trovare applicazione soltanto la disposizione che
prevede il reato complesso (esempio sequestro di persona a scopo di
estorsione con morte del sequestrato rispetto al delitto di omicidio volontario).
Il reato complesso non è altro che una ipotesi di concorso apparente
di norme: una soltanto è la norma da applicare.
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norme a più fattispecieIl reato è uno solo, ma può essere realizzato con
pluralità di condotte tra loro alternative.
disposizione a più normesono una pluralità di fattispecie astratte di reato,
promananti da una unica disposizione
Parte Quinta
Capitolo 1
Nozioni introduttive
Funzione retributiva
Introdotta dalla Scuola Classica: la pena, nella prospettiva della
retribuzione, serve a castigare un soggetto per ciò che ha commesso.
Si tratta di infliggere un male ad un uomo per il fatto che lui ha inflitto del male
ad altri.
Agisce non al fine di evitare reati futuri ma di punire reati già
commessi.
È chiaro che siamo vicini alla legge del taglione e alla vendetta.
Il diritto penale nasce proprio per sostituire la vendetta privata. È lo stesso
sentimento di giustizia diffuso fra la gente che richiede l’inflizione di un male
per compensare un altro male arrecato.
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Capitolo 2
Le pene principali
DELITTI
CONTRAVVENZIONI
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Capitolo 3
Le pene accessorie
Capitolo 4
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Capitolo 5
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causa estintiva del reato: interviene nel lasso temporale che va dalla
realizzazione del reato sino a che non sia passata in giudicato la condanna e
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Effetti del reato o della pena che sopravvivono alle cause estintive
Art. 2 comma 2 Abolitio criminis: “nessuno può essere punito per un
fatto che, secondo legge posteriore, non costituisce reato; e, se vi è
stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali”.
La depenalizzazione di un reato (o le dichiarazioni di illegittimità) comporta la
più drastica ed integrale estinzione (da intendere effettiva cancellazione) di
quel complesso di effetti giuridici normalmente ricondotti alle nozioni di
punibilità astratta ovvero di punibilità in concreto.
Il reato estinto invece (non oggetto di abolitio) conserva , alla luce di
specifiche disposizioni normative, dei limitati effetti residui.
Art. 170 comma 1 “quando un reato è il presupposto di un altro reato,
la causa che lo estingue non si estende all’altro reato” ult. comma
“l’estinzione di taluno fra più reati connessi non esclude, per gli altri
l’aggravamento di pena derivante dalla connessione”.
Art. 106 comma 1 “agli effetti della recidiva e della dichiarazione di
abitualità o di professionalità del reato si tiene conto altresì delle
condanne per le quali è intervenuta una causa di estinzione del reato
o della pena”, tranne che la causa estingua gli effetti penali (comma 2).
La prescrizione
Modifica degli artt. 157 - 158 c.p.
Quanto alle eccezioni si fissa il termine massimo di 3 anni per i reati quando la
legge stabilisce pene diverse da quelle detentive . Discussa è l’opportunità che
tale ipotesi debba essere limitata ai reati di competenza del Giudice di Pace
che può irrogare sanzioni diverse da quelle detentive, quali, ad esempio, il
lavoro di pubblica utilità.
Altresì, la norma codifica un principio stabilito dalla Corte Costituzionale con la
sentenza n. 275 del 31/05/1990 che dichiarò l'illegittimità dell'art. 157 c.p.
nella parte in cui non prevedeva la rinunciabilità da parte dell'imputato alla
prescrizione.
Infine si stabilisce l’imprescrittibilità dei reati puniti con la pena dell'ergastolo,
anche per effetto dell'applicazione delle circostanze aggravanti.
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La remissione di querela
È una causa di estinzione del reato (art. 152 comma 1) in rapporto ai delitti
procedibili a querela della persona offesa. È una causa di improcedibilità
sopravvenuta che si colloca su di un versante processuale.
Comunque ci sono casi in cui la querela non può essere ritirata (in materia
esempio di reati sessuali) e nei casi in cui ne è possibile la revoca occorre
l’accettazione del querelato.
L’amnistia
È un provvedimento generale ed astratto ed insieme alla grazia e
all’indulto, è un atto c.d. di clemenza.
Lo stato rinuncia a punire certi reati.
Art. 151 comma 1, può essere propria ed impropria:
• propria, quando interviene prima della sentenza definitiva di condanna.
Estingue il reato ed ha efficacia estintiva completa;
• impropria, quando è successiva alla condanna medesima. Estingue la
pena ed ha efficacia estintiva più ridotta, facendo cessare l’esecuzione
della condanna e delle pene accessorie ma non gli effetti penali.
Unitamente all’indulto è prevista ex art. 79 della Cost. con legge
deliberata a 2/3 dei componenti di ciascuna Camera in ogni suo
articolo e nella votazione finale.
L’indulto
È un provvedimento generale ed astratto, c.d. atto di clemenza. È causa
estintiva della pena.
Ex art. 174condona in tutto o in parte la pena (principale) inflitta o la
commuta in altra specie di pena stabilita dalla legge. Non estingue né le
pene accessorie (salvo che il provvedimento non disponga altrimenti) né gli
altri effetti penali della condanna.
L’indulto non presuppone una condanna irrevocabile.
Ove sussista un concorso di reati, per l’applicazione dell’indulto, occorre prima
cumulare le pene secondo le regole generali e poi calcolare l’indulto.
▲ può essere posto a condizioni e obblighi;
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La grazia
È un provvedimento di clemenza ma particolare, riferito ad una
specifica persona.Ex art. 87 della Cost. è prerogativa del Presidente della
Repubblica. È causa estintiva della pena e presuppone una sentenza di
condanna passata in giudicato. Come l’indulto, la grazia condona in tutto
o in parte la pena principale inflitta o la commuta in altra specie di
pena stabilita dalla legge. Non estingue le pene accessorie né gli effetti
penali della condanna.
Può essere revocata di diritto quando il condannato entro i termini di cui sub 1.
1. commetta un delitto o contravvenzione della stessa indole;
2. riporti altra condanna per un delitto commesso anteriormente tale che la
pena, cumulata a quella precedentemente sospesa, superi il limiti
massimi entro cui il beneficio è concedibile .
Il giudice può revocare la sospensione condizionale qualora nei casi sub b),
sebbene la pena comunque non superi i limiti massimi de quibus, esercitando
un potere discrezionale e tenendo conto dell’indole e della gravità del reato
commesso.
Scopo della sospensione condizionale: evitare l’effetto
criminogenetico delle condanne di breve durata.
Art. 164 ult. comma “la sospensione condizionale della pena non può
essere concessa per più di una volta. Tuttavia il giudice nell’infliggere
una nuova condanna può disporne la sospensione condizionale
qualora la pena da infliggere, cumulata con quella irrogata con la
precedente condanna anche per delitto, non superi i limiti ex art.
163”.
La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma in
esame (art. 164 ult. comma) nella parte in cui non consente la concessione del
beneficio a chi abbia già riportato precedente condanna a pena detentiva per
delitto non sospesa e sempre che la pena da infliggere non superi i limiti ex
art. 163.
In ogni caso non può essere concessa per più di due volte.
L’oblazione
Rappresenta una causa estintiva del reato attraverso il pagamento di
una somma. Può essere:
• obbligatoria (art. 162), riguarda le contravvenzioni per le quali è
prevista la sola ammenda. Il pagamento di una somma pari ad 1/3 del
massimo edittale della pena, oltre alle spese del procedimento ed
entro un certo termine (prima dell’apertura del dibattimento ovvero
prima del decreto penale di condanna) estingue il reato. Non è
prevista alcuna valutazione del giudice.
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La liberazione condizionale
L’esecuzione di una parte della pena resta sospesa per un periodo di
tempo determinato dalla legge: se il condannato rimesso in libertà
non commette un altro reato, la pena si estingue (artt. 176 e 177).
Il condannato deve:
• aver dimostrato buona condotta durante l’esecuzione della pena;
• aver scontato almeno la metà della pena inflitta, comunque non meno di
30 mesi (diventano 4 anni e 9 mesi in caso di recidiva aggravata o
reiterata);
• la pena residua non deve essere maggiore di 5 anni;
• aver adempiuto alle obbligazioni civili nascenti dal reato o dimostrarne
l’effettiva impossibilità all’adempimento;
• in caso di ergastolo, deve aver scontato almeno 26 anni;
La riabilitazione
Elimina alcune conseguenze penali della condanna che
compromettono la piena capacità di agire.
Art. 178 “la riabilitazione estingue le pene accessorie ed ogni effetto
penale della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti”.
Nella prospettiva degli effetti penali della condanna, la riabilitazione impedisce
che, del reato per cui vi è stata condanna, si tenga conto ai fini della recidiva.
Resta preclusa la possibilità di beneficiare della sospensione condizionale della
pena, del perdono, del beneficio della non menzione della condanna nel
certificato del casellario giudiziario.
Degno di nota è il recupero, da parte del condannato, delle facoltà perdute in
conseguenza della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici.
Il perdono giudiziale
• astensione dal giudizio;
• astensione dalla pronuncia di condanna.
Si applica solo ai minori di 18 anni ed in presenza di determinate
condizioni (art. 169).
Il minore non deve già essere stato condannato a pena detentiva per delitto,
ancorché sia avvenuta riabilitazione, né dev’essere delinquente o
contravventore abituale o professionale. La Corte costituzionale ha dichiarato
illegittimo l’art. 169 nella parte in cui non consente che il perdono non possa
essere concesso più di una volta; si ammette quindi una seconda concessione
in rapporto ad un reato commesso in epoca precedente alla prima sentenza di
perdono e sempre che il cumulo non superi il limite massimo consentito.
Il limite della pena è di 2 anni e 3 milioni di lire. Il giudice deve esprimere un
giudizio prognostico favorevole.
Il perdono giudiziale estingue immediatamente il reato e non è
revocabile.
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il patteggiamento
Detto anche “applicazione della pena su richiesta delle parti”, l’imputato
e il p.m. possono richiedere l’applicazione, nella specie e nella misura indicata,
di una:
• sanzione sostitutiva;
• pena pecuniaria, diminuita fino ad 1/3;
• pena detentiva, quando questa, tenuto conto delle circostanze e
diminuita fino ad 1/3, non supera i 5 anni, soli o congiunti a pena
pecuniaria.
Le parti possono concordare, entro i limiti suddetti, la pena con uno “sconto”
fino ad 1/3 rispetto al quantum che si ritiene debba essere comminato in
concreto.
effetti della sentenza di patteggiamento (art. 445 cpp):
• pena ridotta;
• non si devono pagare le spese processuali;
• non c’è applicazione delle pene accessorie e misure di sicurezza.
La sentenza conduce all’estinzione del reato.
Si estingue ogni effetto penale qualora le pene inflitte siano inferiori di una
certa misura ex art. 445 comma 2.
Capitolo 6
Natura giuridica
Le misure di sicurezza sono sanzioni penali, irrogate solo all’esito di
un procedimento giurisdizionale, così come le pene.
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I presupposti di applicabilità
Sono di regola 2:
1. la realizzazione di un fatto previsto dalla legge come reato (presupposto
oggettivo);
2. la pericolosità sociale del reo accertata (presupposto soggettivo).
La pericolosità viene intesa come probabilità di ricadere nel crimine.
Il giudice deve operare in concreto un giudizio prognostico circa la probabilità
di recidiva.
Si parla anche della commissione di un quasi reato.
Possono essere oggetto di misura di sicurezza:
• coloro che ex art. 49 ult. comma hanno commesso un c.d. reato
impossibile;
La durata
Art. 207 comma 1 “le misure di sicurezza non possono essere revocate
se le persone ad esse sottoposte non hanno cessato di essere
socialmente pericolose”.
La durata è indeterminata (salvo eccezioni art. 237 comma 3), dura fintantoché
persiste la pericolosità sociale.
Il delinquente abituale
È un soggetto che, quanto al passato, ha ripetutamente commesso
atti criminosi, così da acquisire una sorta di familiarità o consuetudine
al delitto; e che quanto al futuro denota una spiccata pericolosità
sociale.
Art. 102 abitualità presunta dalla legge: “è dichiarato delinquente abituale
chi:
• presupposto: condanna alla reclusione in misura superiore
complessivamente a 5 anni per 3 delitti non colposi della stessa indole,
commessi entro 10 anni;
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Il delinquente professionale
L’art. 105, che disciplina la professionalità nel reato, prevede che possa
essere dichiarato delinquente professionale chi:
• si trovi nelle condizioni richieste per la dichiarazione di abitualità;
• è necessaria una ulteriore condanna;
• “viva abitualmente, anche solo in parte, dei proventi del reato”.
Capitolo 7
Previste dagli artt. 185 ss. c.p. sono le sanzioni civili a seguito di reato, si tratta
di vere e proprie obbligazioni civili e possono essere suddivise in due gruppi:
1. obbligazioni nei confronti delle vittime del reato (obbligo di restituzione e
risarcimento);
2. obbligazioni verso lo Stato (spese per il mantenimento in carcere e le
spese processuali).
Le garanzie: cenni
A garanzia dell’adempimento delle obbligazioni civili nascenti da
reato, il codice penale contempla una serie di istituti:
• sequestro conservativo penale dei beni mobili e/o immobili dell’imputato,
nonché delle somme o cose al medesimo dovute; può essere evitato se
l’imputato offre idonea cauzione;
• azione revocatoria degli atti in frode a titolo oneroso o gratuito, anteriori
o posteriori rispetto all’azione;
• prelievo sulla remunerazione, per il lavoro prestato dal condannato in
carcere.