Teorie assolute della pena: quelle che concepiscono la pena come svincolata dal
raggiungimento di uno scopo, quindi si punisce perché è giusto e la giustizia è
l’affermazione della legge, dell’autorità dello Stato, è qui che si colloca il carattere
retributivo della pena (vedi esempio dell’isola della Metafisica dei costumi di Kant), questa
idea non è oggi quella prevalente come in passato, è più che una finalità della pena è una
sua componente che deriva dalla sua natura, non sta in piedi autonomamente, in questo
caso si parla di risposta al reato che però non è l’unico volto della pena (vedi infra), si
parla di repressione dell’autore del reato, l’idea della retribuzione come carattere della
pena è la più antica riconducibile a quest’ultima perché è la più prossima all’idea di
vendetta, con l’evoluzione del diritto si è giunti all’idea di prevenzione legata alla pena
Teorie relative della pena: quelle che concepiscono la pena come in funzione di uno scopo
che è soprattutto quello preventivo, cioè prevenire fatti socialmente dannosi cioè i reati
detti anche social arms (qui si parla dell’altro volto della pena), si parla di utilità della pena
(la pena costa economicamente e umanamente e quindi deve produrre un beneficio:
questo beneficio è la prevenzione), la prevenzione è di due tipi: generale (si rivolge alla
generalità dei consociati, qui si parla della pena minacciata, comminata [termine per
indicare l’attività del legislatore, mentre il giudice infligge la pena] in astratto dalla legge
per orientare il comportamento delle persone, la prevenzione generale si realizza
attraverso l’intimidazione, che è quella ordinaria e negativa, ossia io legislatore ti minaccio
perché tu per timore non compia un determinato atto a cui seguirebbe una pena, la pena è
una controspinta psicologica all’azione, e attraverso anche l’orientamento culturale,
modalità positiva: lo Stato ottiene un determinato comportamento da parte dei cittadini
facendogli capire che compiere determinati atti è sbagliato, stigmatizza certi atti in
funzione non intimidatoria ma pedagogica per ottenere che quegli atti non vengano
commessi, lo Stato fa leva sulle convinzioni dell’individuo; vedi art. 10 ter D.Lgs. 10 marzo
2000 n 74) e speciale (si realizza attraverso l’esecuzione concreta della pena nei confronti
dell’autore del reato per prevenire che quest’ultimo commetta nuovi reati cioè per evitare
la recidiva, 3 vie per realizzare questo tipo di prevenzione:
rieducazione/risocializzazione/riabilitazione cioè la rieducazione deve servire a
risocializzare la persona incarcerata cioè a riportarla nella comunità delle persone libere
[vedi infra], intimidazione e neutralizzazione/incapacitazione), non sempre la minaccia
della pena sradica il reato, questo vale per fenomeni grossi come la corruzione, come la
criminalità organizzata, in questi ambiti si dovrebbe agire anche attraverso l’orientamento
culturale (modificare la cultura, modificare le abitudini sociali, modificare la mentalità…)
ma non solo, in altri termini per sradicare fenomeni come quelli citati non si può agire solo
attraverso il diritto penale, infatti il diritto penale deve considerarsi come extrema ratio
ossia subentra la pena solo se un reato non è in altro modo eliminabile, per es. la legge
Severino contro la corruzione non ha solo introdotto nuovi reati e inasprito le pene ma ha
anche cercato di realizzare un sistema amministrativo di prevenzione della corruzione, è
nata l’ANAC un’associazione che svolge una serie di attività volte a sconfiggere e
prevenire la corruzione
Vedi legge 354/1975 in materia di ordinamento penitenziario: tale legge rispetta all’art 1
l’art. 27 comma 3 Cost. cioè regola il trattamento del detenuto in modo da rispettare la
funzione di rieducazione della pena rispettando ovviamente la dignità della persona. Vedi
di questa legge anche art. 13-15
Il diritto penale guarda al passato (quando il danno sociale è stato causato) ma guarda
anche al futuro nel senso che la pena deve avere la funzione di evitare la recidiva, un
fenomeno che riguarda chi abbia commesso reati. La recidiva rappresenta in qualche
modo il fallimento della pena. La disciplina della recidiva è stata riformata dalla sentenza
della Corte costituzionale 183/2011 con cui è stato dichiarato incostituzionale parzialmente
l’art. 169-bis della legge ex cirielli secondo cui il recidivo reiterato doveva subire le
conseguenze peggiori rispetto agli altri recidivi e non fosse in nessun modo possibile
mitigare la pena in nessun caso, anche qualora il reo abbia collaborato con la giustizia. La
ratio di questa sentenza è: il legislatore non può per realizzare lo scopo preventivo della
pena comminare pene ingiuste e illimitatamente severe. Ci devono essere dei limiti e uno
di questi è la prevenzione speciale che si realizza anche tramite la rieducazione dell’autore
del reato. II carcere è detta università del crimine e secondo i criminologi è possibile che si
assista al cosiddetto contagio criminale. Chi è propenso per ragioni sociali (Cesare
Lombroso, psichiatra italiano molto famoso: questa propensione è genetica, questa
visione è ora ormai superata) a commettere reati può darsi che venga condizionato in
carcere a commetterne di più gravi. Attualmente la funzione di rieducazione della pena
non è dappertutto realizzato anche perché le carceri sono in gran parte gestiti da polizia
penitenziaria che non hanno ricevuto una formazione in questo senso. La rieducazione
deve essere offerta dallo Stato in conformità alla Costituzione ma poi sta al detenuto
cogliere queste possibilità. Ci sono detenuti che non riescono a cogliere questo aspetto
del carcere e lo vive esclusivamente con avversione perché lo sente soltanto come una
struttura autoritaria volta ad infliggere delle punizioni. Vedendolo in questo modo si
dovrebbe riuscire ad evitare la recidiva e a monte direttamente il reato (la funzione
intimidatoria della pena ha conseguito il suo scopo preventivo), ma questo non è sempre
vero perché la paura di tornare in carcere può soccombere, possono però prevalere altre
paure che ugualmente conducono a non commettere recidiva per esempio la paura di
perdere legami sociali e affettivi. Se né la funzione rieducativa né quella intimidatoria della
pena vengono colte allora non opera altro che quella di neutralizzazione dell’autore del
reato.
Si possono distinguere tre fasi della pena (si parla di dinamica della pena, infatti
quest’ultima è considerata un oggetto dinamico e non statico):
-minaccia della pena o meglio la pena viene comminata in via generale e astratta nel
momento in cui viene creata la norma incriminatrice dal potere legislativo, infatti secondo
l’art. 25.2 Cost. nessuno può essere punito se non in forza di una legge (principio di
legalità); il legislatore deve creare le norme del diritto penale tenendo conto innanzitutto
del principio di sussidiarietà (diritto penale e pena come extrema ratio cioè il diritto penale
subentra quando non si è in grado di tutelare il bene giuridico se non con la pena), poi del
principio di proporzione (la pena comminata deve essere proporzionata al reato
commesso), inoltre del principio di offensività (si punisce solo il reato in quanto offesa ad
un bene giuridico, un interesse a cui la Costituzione concede tutela, quindi non c’è reato
quando non c’è offesa ad un bene giuridico) e infine del principio di colpevolezza (è un
principio che si trova affermato nell’art. 27 comma 1 e 3 in combinato disposto, colpevole
può essere una persona capace di intendere e di volere che ha commesso un reato con
dolo o con colpa: questi sono i due fondamentali requisiti per accertare la responsabilità
penale, secondo l’art. 27.1 cost. la responsabilità penale è personale, concetto ribadito
dalla sentenza 368 dell’88 della Corte di Cassazione/Costituzionale?): questi 4
principi/vincoli servono per realizzare la prevenzione generale, la prevenzione generale è
realizzata introducendo il timore della pena ma poi è essenziale che il sistema della
giustizia funzioni per dare credito a questo timore, per fare in modo che si credi reale il
rischio della pena a seguito della commissione dei reati
-la pena viene inflitta/irrogata quando il giudice, accertata la commissione di un reato,
applica la norma incriminatrice, ma ancora prima di ciò opera la polizia “sul campo”; il
giudice nell’infliggere la pena deve individualizzare la sanzione e la quantità di questa
rispettando la cornice edittale (art. 133 cod. pen.), inoltre il giudice deve accertare il
principio di colpevolezza, ossia se il fatto è stato offensivo di un bene giuridico e se la
persona che l’ha commesso è imputabile (art. 85 e ss cod. pen., art. 89 vizio parziale di
mente), inoltre il giudice deve realizzare una risposta proporzionata all’offesa che è stata
realizzata (principio di proporzionalità), ma soprattutto il giudice deve porsi il problema
della rieducazione di chi sta condannando quindi nella cornice edittale il giudice deve
infliggere una pena che possa risocializzare il condannato, è necessario che il giudice si
accerti della quantità necessaria di pena perché vi sia la rieducazione del condannato,
pertanto in questa sede il giudice deve realizzare la prevenzione speciale a differenza del
legislatore che invece deve realizzare quella generale, inoltre il giudice deve fare in modo
che con la pena il condannato non compia la recidiva e lo può fare decidendo di non
ricorrere alla pena detentiva (vedi infra); il giudice potrebbe anche decidere di non punire
(NB non di assolvere) con la pena detentiva ma di ricorrere ad altre tipologie di pena (art.
166 e ss cod pen), perché vi sono casi in cui la prevenzione speciale si realizzi meglio
senza incarcerare l’individuo; insomma al giudice è concesso trovare alternative alla pena
detentiva: sospensione condizionale della pena (quando la pena detentiva non supera i 2
anni e viene accertata la non recidività allora il giudice può ricorre a questo istituto,
solamente che se l’individuo entro un certo periodo stabilito commette un altro reato la
sospensione è revocata altrimenti no, la logica di ciò serve per evitare che la persona entri
in carcere perché come già detto quest’ultimo è l’università del crimine e non mandare in
carcere una persona che ha commesso un reato minore potrebbe solo giovargli e giovare
alla società quindi lo Stato non vuole mostrarsi debole ma tenta solo di non infliggere pene
detentive di breve durata perché consapevole del carattere distruttivo della pena e del
carcere; affiancati alla sospensione condizionale della pena vi sono una serie di obblighi
ex art. 165 cod. pen, inoltre oltre alla pena viene sospeso anche il processo), pene
sostitutive (legge 689 dell’81) come pena pecuniaria, libertà condizionata e semi
detenzione
-la pena viene eseguita dal potere esecutivo quando la sentenza di condanna passa in
giudicato cioè quando diventa definitiva cioè non può più essere impugnata, più
precisamente viene eseguita dal DAP (dipartimento dell’amministrazione della pena), un
ramo del Ministero della Giustizia, e dal pm (ad esso compete accertarsi che la sentenza
di condanna venga eseguita; all’interno di questa fase abbiamo anche la presenza della
polizia penitenziaria; anche in questa sede si realizza la prevenzione speciale, questa è la
sede dove l’imputato inizia a subire propriamente la pena, prima no, prima l’imputato è
presunto innocente e non può essere sottoposto a nessun tipo di pena anche se subire il
processo penale è già una pena, nel caso in cui una persona venga condannata
ingiustamente vi è uno strumento di impugnazione straordinario che è la revisione
Queste tre fasi segnano il passaggio di competenza da un potere dello Stato all’altro. Tutti
gli “attori” compresi in queste fasi realizzano la giustizia penale.
È essenziale che il legislatore cerchi sempre pene alternative al carcere e una di queste
alternative potrebbe essere la pena pecuniaria, che però in italia subisce un tasso di
ineffettività molto alto (nel 2011 il riscosso non supera il 2,6 %, in altri termini lo stato
perde circa 600 milioni di euro). In questo senso c’è un fallimento della prevenzione
generale che dovrebbe fornire la pena pecuniaria. Nessuno di un minimo informato teme
la pena pecuniaria. Una pena pecuniaria è data dalla confisca, la quale offre una
prevenzione nei confronti per esempio della criminalità organizzata.
L’ergastolo nasce come pena perpetua e fissa cioè non esiste né un minimo né un
massimo edittale (art. 22 cod. pen.), mentre la reclusione non può eccedere il limite di 30
anni e l’arresto quello di 3 anni. L’ergastolo è previsto solamente per alcuni reati e al
verificarsi di certe circostanze (art. 576-77 cod. pen.) per es. quando c’è sequestro di
persona a scopo terroristico e di eversione e la morte del sequestrato (art. 289-bis cod.
pen.: norma introdotta dopo il sequestro di aldo moro da parte delle brigate rosse che poi
lo uccisero), inoltre è previsto in alcuni casi di delitti contro la persona e contro il
patrimonio. L’ambito della pena dell’ergastolo ha subito un ampliamento quando è stata
abolita la pena di morte infatti nei casi in cui era prevista la pena di morte dalla sua
abolizione viene applicato l’ergastolo. Art. 442.2 cod. pen.: qualora si proceda col rito
abbreviato (art. 438 cod. proc. pen., il rito abbreviato è un istituto insieme al
patteggiamento alternativo al processo ordinario e sono consentiti solo in certi casi per es.
non si può patteggiare in caso di ergastolo, infatti il patteggiamento si riferisce a reati non
particolarmente gravi, col rito abbreviato ci si accorda per abbreviare il processo
consultando soltanto gli atti raccolti durante le indagini e non le prove prodotte) in caso di
condanna la pena dell’ergastolo è sostituita dalla reclusione fino a 30 anni, infatti il rito
abbreviato prevede un premio in termini di sconto di pena: vedi queste cose sul manuale
al § 9 del cap 13.
Perché l’ergastolo è una pena che si pone in contrasto con i principi costituzionali? Perché
non permette la risocializzazione del condannato, essendo una pena perpetua e fissa. Si
potrebbe dire che l’ergastolo sia incostituzionale (art. 27.3 Cost.) e anche contro l’art. 3
Cedu (art. 117.3 Cost.). La Corte costituzionale si è già espressa due volte sull’ergastolo
ossia nel 74 e nel 94 ma in entrambi i casi ha “salvato” la pena dell’ergastolo sostenendo
che questa non è sempre e necessariamente una pena perpetua perché ci sono istituti
che consentono al condannato l’ergastolo di tornare in libertà, la corte ha fatto riferimento
in particolare nella prima sentenza alla libertà condizionale, istituto previsto dall’art. 176
cod. pen. In caso di ergastolo la liberazione condizionale può essere chiesta se il
condannato ha scontato almeno 26 anni di pena, ovviamente la liberazione condizionale
può essere chiesta anche in caso di reclusione se il condannato ha scontato almeno 30
mesi di pena e comunque almeno metà della pena qualora il rimanente da scontare non
superi i 5 anni. Vedi anche art. 177 cod. pen.: per l’ergastolano se entro 5 anni non
interviene una causa di revoca cioè il soggetto non commette un altro reato la pena è
estinta. Questa norma è volta a consentire a tutti una possibilità di risocializzazione, anche
a chi sia condannato all’ergastolo. In questo modo quindi l’ergastolo non può essere
dichiarato incostituzionale.
Ci sono poi anche altri istituti che consentono all’ergastolano di godere di periodi di libertà
più o meno lunghi dopo aver scontato un certo numero di anni di pena (20 anni), per
esempio la semilibertà, volti ad un graduale reinserimento sociale del condannato. La
semilibertà consente al condannato di partecipare ad attività lavorative, di istruzione e altre
volte al reinserimento nella società del soggetto: vedi art. 48 e 50.5 legge sull’ordinamento
penitenziario.
Dopo 10 anni di pena l’ergastolano può essere ammesso a permessi premio (art. 30-ter
legge sull’ordinamento penitenziario) ossia permessi di massimo di 15 giorni ciascuno, per
un massimo complessivo di 45 giorni all’anno, quindi all’anno possono essere concessi al
massimo 3 permessi premio.
Un altro istituto: liberazione anticipata (art. 54 legge sull’ordinamento penitenziario).
Questa consiste nella detrazione di 3 mesi all’anno. Per l’ergastolano questo istituto non
rappresenta l’avvicinamento al fine pena ma l’avvicinamento alla possibilità di accedere ai
vari istituti suddetti:
-libertà condizionale -> 21 anni con la liberazione anticipata
-semilibertà -> 16 anni
-permessi premio -> 8 anni
Ovviamente il presupposto di questi istituti è un comportamento tale da parte del
condannato a far pensare che possa non rappresentare più una minaccia per la società.
Tutti questi istituti sono volti a “premiare” il detenuto per aver partecipato al percorso
rieducativo che il carcere ha offerto e sono volti a preparare il detenuto ad essere
reinserito nella società in modo che possa comportarsi come un cittadino rispettoso delle
leggi. E’ una sorta di scommessa che lo stato fa, in particolare un magistrato di
sorveglianza. Quello di sorveglianza è un tribunale ad hoc, cioè specializzato a decidere
sulla concessione di questi istituti. I magistrati di sorveglianza sono affiancati da vari
esperti, quali psicologi, avvocati, criminologi ecc.
La cedu ha fatto un ragionamento analogo a quello della corte costituzionale italiana,
perché ha affermato che l’ergastolo non è in contrasto con i principi sanciti in costituzione
perché ci sono delle norme che permettono al condannato di acquistare una parziale
libertà se non la totale libertà dopo aver scontato un certo numero di anni in carcere: due
sono le sentenze importanti Hutchinson v. UK (2017) e Vinter v. UK (2013).
Ergastolo ostativo (art. 4-bis legge sull’ordinamento penitenziario): partecipanti alla
criminalità organizzata e terroristi possono accedere agli istituti suddetti solo se c’è un
certo pentimento e se c’è anche la collaborazione con la giustizia. Ci vuole qualcosa in più
rispetto da parte di questi ultimi. Pertanto per essi l’ergastolo assume sul serio il volto di
una pena fissa e perpetua per un’esigenze di tutela della sicurezza e dell’ordine pubblici.
La corte cost non ha dichiarato illegittimo l’ergastolo ostativo. Ma quest’ultimo è un tema
caldo tuttora cioè se l’ergastolo ostativo sia o meno in contrasto con la costituzione.
La reclusione e l’arresto (p. 640 e ss del manuale, Giustizia.it)
Il 90% della popolazione penitenziaria è condannata a reclusione o arresto. A settembre
2017 in Italia abbiamo un totale di circa 58mila detenuti quando le carceri ne potrebbero
contenere circa 51mila. Questo dato è legato all’edilizia penitenziaria, cioè il dap ha
calcolato quanti posti sono disponibili nelle carceri. Pertanto il carcere è una risorsa
limitata. Quando ad ogni detenuto non sono garantiti almeno 3 mq di spazio vitale,
secondo la giurisprudenza della corte europea dei diritti dell’uomo con riferimento all’art. 3
della cedu e all’art. 27.3 cost. (umanità della pena, divieto di trattamenti degradanti e
violanti la dignità umana ecc.), si ha sovraffollamento, che è una condizione detentiva
inumana e quindi vietata. Vedi sentenza del 2009 Sulejmanovich v italia e torreggiani v
italia sul problema del sovraffollamento in carcere. Questi due detenuti si sono rivolti alla
corte edu perché a causa del sovraffollamento si sono visti violare dei diritti civili che sono
garantiti in costituzione e dallo stesso ordinamento europeo. Con la legge sull’indulto del
2006 le carceri si sono svuotate. Nel 2010 la popolazione penitenziaria ha raggiunto la
quota di ca 68 mila, circa 18 mila in rispetto alla capienza massima. La corte edu è stata
interpellata anche da detenuti contro la Croazia. La corte edu ha detto che lo spazio vitale
per ogni detenuto è essenziale per una questione di garanzia dei diritti civili di ognuno ma
le condizioni diverse dallo spazio possono legittimare che quest’ultimo possa diminuire,
ossia 3mq per detenuto è orientativamente lo spazio minimo indispensabile ma non è
categorico. In sostanza bisogna sempre fare una riflessione complessiva. Una politica
penitenziaria assennata potrebbe contenere i seguenti punti:
-aumentare i posti nelle carceri
-ridurre il numero dei detenuti però in questo senso si dovrebbe rinunciare alla pena
detentiva, si avrebbe un fenomeno di depenalizzazione però è raro che questo tipo di
provvedimento possa seriamente far fronte al sovraffollamento perché spesso vengono
depenalizzati reati per cui normalmente non si finisce in carcere (reati cosiddetti
bagatellari)
-modernizzare, ed eventualmente chiudere o ridestinare se modernizzare non è possibile,
le strutture penitenziarie esistenti in modo da far fronte al sovraffollamento
-custodia cautelare: si può applicare solo a soggetti imputati per reati gravi, recentemente
è stata aumentata la gravità dei reati per cui è possibile la custodia cautelare e quindi si è
avuta una grossa riduzione dei detenuti; si sono ideate misure cautelari alternative come
gli arresti domiciliari
Gli stranieri nelle carceri italiane sono il 34% (circa 20mila) quindi sostanzialmente ogni 3
persone detenute 1 è straniera.
Non tutti quelli che commettono reati finiscono in carcere anche se la legge lo prevede,
per esempio è difficile trovare in carcere soggetti che hanno commesso i cosiddetti white
collar crimes cioè i reati d’impresa, commessi cioè da imprenditori, professionisti. La
maggior parte dei detenuti è rappresentata da coloro che hanno commesso reati comuni
(furto, rapina, traffico di droga, di armi, spaccio ecc.), reati gravi (omicidio, violenza
sessuale ecc.) e coloro che hanno partecipato ad attività della criminalità organizzata ed
attività terroristiche.
Al posto di andare in carcere sono disposte delle alternative come la libertà vigilata e gli
arresti domiciliari, misure che possono essere applicate solo se ci sono determinate
garanzie.
La maggior parte dei detenuti in Italia non è andato molto avanti negli studi, infatti sono
solo circa 600 i laureati, quasi 20 mila tra quelli che hanno le elementari e le medie, circa
4000 quelli che hanno le superiori.
I detenuti presenti con figli sono circa 25mila, meno della metà del totale. La maggior parte
ha tra 1 e 3 figli, circa 2000 4 figli, 800 5 figli, 300 6 figli, molto pochi quelli con più di 6 figli.
Per regione: Campania, Sicilia, Puglia, Calabria, Lombardia queste sono le regioni italiane
da cui la maggior parte dei detenuti vengono. Le regioni meridionali sono quelle più afflitte
dal problema della criminalità organizzata, dalla poca occupazione (lecita) ecc. mentre in
Lombardia essendoci ricchezza spesso vi è attrazione di criminali soprattutto quelli facenti
parte della criminalità organizzata.
La maggior parte dei detenuti è rappresentata da soggetti che hanno commesso reati
contro la persona (tot circa 23 mila) e???
Sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi e misure alternative alla detenzione
Oltre ai detenuti ci sono delle persone soggette a limitazione di libertà personale più o
meno stretta, in conseguenza di una sentenza di condanna. Il sistema penale è composto
da persone dentro al carcere e persone che stanno scontando una pena invece al di fuori
del carcere. I due istituti (cap. 13) in questo senso sono le sanzioni sostitutive delle pene
detentive (§6) e le misure alternative alla detenzione (§10). Entrambe in senso atecnico
possono essere misure alternative alla detenzione. Le une e le altre possono essere poste
in essere solamente quando ricorrono pene di breve durata (2 anni per le prime, 3-4 anni
per le seconde). Chi deve scontare una pena detentiva breve può non entrare proprio in
carcere (sanzioni sostitutive delle pene detentive) oppure godere di una serie di benefici
(uscita dal carcere per vari motivi) anche stando in carcere (misure alternative alla
detenzione). Quindi l’avvocato penalista sa quando il suo assistito viene condannato ad
una pena detentiva breve che esistono strumenti che possono evitare l’ingresso in
carcere. Questi istituti esistono perché il sistema è rivolto alla rieducazione dell’individuo e
ritiene che in alcune circostanze sia meglio evitare l’ingresso in carcere (scuola del
crimine), è in questo senso un sistema costituzionalmente orientato (art. 27.3 Cost.).
Questi istituti non sono previsti nel codice penale, sono istituti che sono stati introdotti
dopo gli anni 70 per realizzare lo scopo rieducativo della pena, di rango costituzionale,
dalla legge 354/1975 (legge sull’ordinamento penitenziario) le seconde mentre le prime
dalla legge 689/1981 (depenalizzazione, perché questa è una legge che ha operato una
grande trasformazione da illeciti penali a illeciti amministrativi, e pene sostitutive). Da un
punto di vista processuale la differenza fondamentale riguarda il momento processuale in
cui vengono applicate. Le pene sostitutive sono disposte dal giudice di cognizione (è il
giudice che accerta il fatto e afferma la responsabilità penale e quindi infligge la pena) e
vengono in essere contestualmente alla sentenza di condanna, così avviene anche per la
sospensione condizionale della pena (è disciplinata dal codice penale, art. 163 e ss cod.
pen., ed è un istituto molto diffuso in italia, si ha l’estinzione del reato se nel tempo
prestabilito non si commettono altri reati). Le misure alternative alla detenzione invece
sono disposte dal giudice di sorveglianza (tribunale di sorveglianza) dopo il passaggio in
giudicato della sentenza di condanna (la sentenza passa in giudicato nei casi previsti
dall’art. 648 c.p.p.). E’ fondamentale ma rischia di sfuggire che le pene sostitutive operano
nel processo di cognizione nel momento della pronuncia di condanna, mentre le misure
alternative alla detenzione operano dopo quando c’è una sentenza di condanna che è
diventata definitiva.
Tali pene non vengono facilmente concesse ai condannati ex art. 4-bis l. sull’o.p.
Le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi
La legge 689 dell’81 agli art 53 e ss ne prevede 3 che sono:
-la semidetenzione (il giudice concede al detenuto di passare in carcere solo 10h che
normalmente sono quelle notturne, oggi in italia sono solo 7 i condannati soggetti a
semidetenzione quindi è un istituto quasi per niente applicato nella prassi giuridica) art 55,
2 anni
-la libertà controllata art 56, 1 anno
Il detenuto è in libertà ma rimane sotto osservazione: ciò comporta il ritiro della patente,
del passaporto ecc., l’obbligo di presentarsi ogni tot presso degli uffici appositi. Oggi i
detenuti in libertà controllata sono solo 171.
-la pena pecuniaria sostitutiva
Nella prassi è quella che ha funzionato maggiormente. Di solito c’è un minimo (250) e un
massimo (2500), in base ai mezzi economici del soggetto condannato, i quali vanno
moltiplicati per i giorni di detenzione a cui l’individuo è stato condannato (art. 135 cod pen).
E’ un parametro molto, troppo alto. Pena sostitutiva ad una pena di massimo 6 mesi.
Esistono almeno altre due pene sostitutive non enunciate dalla legge suddetta:
-espulsione a titolo di sanzione sostitutive o di misura alternativa alla detenzione dello
straniero extracomunitario (art. 16 del testo unico sull’immigrazione); solitamente
l’espulsione dello straniero extracomunitario è riconosciuta come una sanzione di tipo
amministrativo affiancata alla sanzione penale del reato di clandestinità (pagamento di
un’ammenda compresa tra i 5 e i 10 mila euro)
-lavoro di pubblica utilità per i reati di guida in stato di ebbrezza (quando l’etilometro dà un
coefficiente di tasso alcolemico superiore al consentito per due volte il reato viene ad
esistenza) e di guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti ovviamente quando il
conducente non ha causato un incidente (in questo caso non ci sono soglie come per
l’alcol) (art. 186 c 9 bis e 187 c 8 bis cod. strada); oggi vi sono poco più di 7 mila
condannati che svolgono lavori di pubblica utilità; il lavoro di pubblica utilità si ottengono
come i benefici l’estinzione del reato, revoca la confisca del veicolo obbligatoria per i casi
più gravi di guida in stato alterato e dimezza il periodo di sospensione della patente di
guida
Un legislatore assennato dovrebbe valutare l’efficienza del sistema penale alla luce del
dato statistico e agire di conseguenza.
Le misure alternative alla detenzione
Se ne può parlare sia in un senso tecnico (quelle previste dalla l 354/1975 art 47 e ss, l
sull’ordinamento penitenziario) sia in un senso atecnico (in generale ci si riferisce alle
alternative al carcere). La legge cit è fondamentale perché in modo organico e sistematico
ha cercato di realizzare lo scopo rieducativo, non in senso morale, della pena in forza
dell’art. 27.3 Cost. E’ una legge che sta a cavallo tra il codice penale e la procedura
penale. L’art 1 della legge cit cerca di dare al carcere il volto di un luogo il detenuto non
perde i propri diritti e la propria umanità ma cerca di intraprendere un percorso perlopiù
rieducativo in modo che il soggetto una volta rimesso in libertà non torni a delinquere.
Qualora i diritti del detenuto vengano violati, egli può rivolgersi al tribunale di sorveglianza
(art. 35-bis e 35-ter c.p.). L’art 35-ter non solo richiama una norma internazionale ma la
richiama come interpretata dalla Corte Edu. A titolo di risarcimento del danno il giudice di
sorveglianza può concedere uno sconto di pena di 1 g ogni 10 per tutta la durata del
pregiudizio, quando questo non è possibile il detenuto riceve un risarcimento del danno
pari a 8 euro per ogni giorno in cui è stato subito il pregiudizio dal detenuto.
Le leggi Gozzini del 1986, Simeone del 1998 e Orlando del 2017 hanno riformato le
misure alternative alla detenzione.
Le tre figure principali di misure alternative alla detenzione sono (p 696 e ss del manuale):
-l’affidamento in prova al servizio sociale (+ di 13 mila soggetti)
-la semilibertà (812 soggetti)
-la detenzione domiciliare (+ di 10 mila soggetti)
Le misure alternative alla detenzione nascono a fine 900 che vengono concesse a
detenuti, i quali hanno pertanto il permesso di uscire dal carcere ad un certo punto
dell’esecuzione della pena, dopo un certo numero di anni. Sono uno strumento che
permette una graduale risocializzazione del soggetto, un graduale reinserimento nella
comunità dei liberi. La legge simeone ha fatto sì che le misure alternative possano operare
sia nella fase iniziale della pena (se detentiva breve) ma comunque dopo il passaggio in
giudicato della sentenza, quindi ha impedito l’ingresso in carcere per molti condannati, sia
nella fase finale di quest’ultima. Quindi le misure alternative alla detenzione hanno due
funzioni:
-evitare l’ingresso in carcere (fase iniziale della pena), si parla di condannati dallo stato di
libertà
-risocializzare il detenuto gradualmente (fase finale della pena), si parla di condannati
dallo stato di detenzione
Nella prassi le misure alternative alla detenzione funzionano meglio nella fase iniziale della
pena, ossia per evitare l’ingresso in carcere.
Strumenti come le misure alternative alla detenzione sono nobili per il fine che hanno
ossia quello di risocializzare il detenuto, ma soprattutto sono fondamentali per evitare il
collasso del sistema sanzionatorio penale.
L’art 656.5 cpp (introdotto dalla legge simeone) si riferisce all’esecuzione delle pene
detentive: quando la sentenza di condanna viene emessa e passa in giudicato il pm deve
emettere un ordine di carcerazione. Se la pena è detentiva e non è superiore a 3 anni (4 in
alcuni casi, 6 quando il reato è legato alla tossicodipendenza) l’ordine di carcerazione
viene bloccato automaticamente e viene notificato al soggetto un ordine di chiedere entro
30 gg una delle misure alternative alla detenzione per evitarsi l’ingresso in carcere.
La sospensione condizionale della pena
E’ un istituto giuridico molto importante. E’ regolato agli art. 163-168 cod. pen.
Questo istituto e le pene sostitutive delle pene detentive sono accomunati perché il giudice
può in questo modo evitare l’entrata in carcere pur comunque emettendo una sentenza di
condanna. Questo istituto può essere posto in essere quando la pena non eccede i 2 anni.
La sospensione condizionale della pena è molto diffusa rispetto ai suddetti istituti. Nel
2012 le condanne a pena sospesa sfioravano il 43% delle condanne iscritte nel casellario
giudiziale. Chi ottiene una pena al di sotto dei 2 se la fedina penale pulita ha gran
probabilità di non andare in carcere. E’ l’istituto più vecchio per la battaglia contro la pena
detentiva breve: viene istituito nel 1804. Il limite si è alzato nel tempo, si è partiti da 6 mesi.
Esiste anche la sospensione della pena pecuniaria, una volta questo non era possibile
perché non pagando si andava in carcere. Oggi è possibile sospendere la pena pecuniaria
per insolvenza del condannato.
La sospensione condizionale della pena non può essere concessa più di 2 volte, a
condizione che residui un quantum di pena minore o uguale a 2 anni sommando la
seconda pena sospesa con la prima sospesa. Ciò vale anche quando si tratta di pena
pecuniaria. Questa è la regola più importante riguardo a questo istituto (art. 164 cod pen).
Nella prassi succede che spesso il giudice non compie la valutazione appropriata e quindi
in un certo numero di casi la sospensione della pena può essere disposta anche più di 2
volte, cosa illegittima che può comportare una revoca della sospensione condizionale della
pena.
La giurisprudenza consolida che la sospensione condizionale della pena può essere
disposta d’ufficio dal giudice senza che venga chiesta dall’avvocato.
Nel 2004 riforma di questo istituto: qualora la pena pecuniaria sia congiunta a quella
detentiva, quest’ultima è comunque sospendibile purchè minore di 2 anni ma l’altra no se
la pena detentiva è uguale a 2 anni.
La sospensione è di 5 anni se la condanna è per delitto, 2 anni se invece è per
contravvenzione. E’ un periodo di prova, un beneficio, si capisce dalla parola condizionale:
il giudice sospende la esecuzione della pena a condizione che il reo non commetta altri
reati.
La sospensione condizionale della pena viene disposto se si può fare una prognosi
favorevole al superamento con successo del periodo di prova.
Quest’istituto nasce in francia, in belgio, è presente in europa ma anche negli stati uniti
(cosiddetta probation).
E’ possibile anche la sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato
quando la pena è pecuniaria oppure detentiva fino a 4 anni (istituto introdotto nel 2014 in
italia, art. 168-bis). E’ un istituto analogo alla sospensione condizionale della pena e opera
a differenza di questo a monte del processo, mentre la sospensione condizionale della
pena opera a valle.
Se il reato viene commesso da un minore la soglia per la sospensione è più alta: 3 anni.
Se il reato viene commesso da un giovane adulto (18-21 anni) oppure da una persona che
abbia dai 70 anni in su compiuti la soglia per la sospensione è di 2 anni e mezzo.
Presupposto oggettivo per la sospensione condizionale della pena: gli anni della pena.
Presupposto soggettivo per la sospensione condizionale della pena (vedi supra, art 164
cod pen): il giudice deve essere convinto, dopo essersene accertato, del fatto che il
condannato potrà superare con successo il periodo di prova cioè astenendosi dal
commettere ulteriori reati (cd prognosi di non recidività). La disposizione della sospensione
condizionale della pena è rimessa all’apprezzamento del giudice.
Se questi presupposti non sono soddisfatti e nei casi ex art 164 cod pen la sospensione
condizionale della pena non può essere disposta.
La sospensione della pena è incompatibile con le varie misure di sicurezza perché sono
troppo diverse.
Se durante il periodo di prova il reo compie un altro reato dovrà subire la pena che è stata
sospesa + quella a cui è stato condannato per il reato appena commesso.
L’art. 165 può subordinare alla sospensione condizionale della pena all’adempimento di
determinate condotte che sono obblighi, per es il risarcimento del danno, ciò vuol dire che
se non risarcisci il danno la sospensione viene revocata. Questo articolo in più delinea una
serie di obblighi per il giudice (per es in alcuni casi il giudice deve obbligatoriamente
subordinare la sospensione a doveri per il condannato: c 3, c 4 art. 165), che però di fatto
spesso non vengono adempiuti (50% pene sospese ma nel 98% dei casi l’art. 165 non
viene rispettato).
La sospensione della pena è di fatto un’alternativa alla pena detentiva ed è una non pena.
Pertanto la vittima del reato avverte un senso di impunità.
Per evitare ciò si dovrebbe alzare la cornice edittale per ogni reato.
C’è stata in passato una polemica su questo argomento, mossa proprio dalle vittime di
reati, in particolare le vittime di incidenti stradali.
Nel 2015 è stato aggiunto un comma all’art. 165, il c 6 (l 69/2015).
E’ un istituto fondamentale ma di cui si abusa e si usa male perché viene
automaticamente applicato, ma non si rispetta la legge in modo che possa davvero
apparire agli occhi della società e della vittima soprattutto come una riparazione dell’offesa
subita.
La sospensione condizionale della pena può essere applicata anche alle pene sostitutive
alla pena detentiva.
Effetti di questo istituto: art. 166.
Estinzione del reato: art. 167 (vedi reati della stessa indole art. 101)
Revoca della sospensione condizionale della pena: art. 168 cod. pen.
La sospensione condizionale della pena, la sospensione del procedimento penale con
messa alla prova dell’imputato e le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi sono
strumenti con cui il sistema sanzionatorio penale combatte le pene detentive brevi.
Insieme ad essi operano in questo senso anche lo strumento ex art. 131-bis c.p., ossia
l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, per cui si applica una pena
detentiva fino a 5 anni, e anche le misure alternative alla detenzione dopo la legge
simeone (vedi supra).
Legge-delega Orlando (n. 103/2017)
Legge 103/2017, cosiddetta legge Orlando, legge-delega in materia penale: modifiche al
cp, al cpp e all’op.
L’art 1 di questa legge ha introdotto un nuovo istituto che è l’estinzione del reato per
condotte riparatorie (art. 162-ter). Questo istituto si collega al diritto civile. La disciplina di
questo istituto va letta insieme a quella dell’istituto della remissione, istituto già presente
nel nostro ordinamento. L’estinzione del reato si verifica anche quando la querela non
viene ritirata qualora il danneggiante abbia cercato in qualche modo risarcito il danno.
Danno che deve essere necessariamente procedibile a querela.
Tale legge ha aumentato le pene per lo scambio politico-mafioso, per il furto, per
l’estorsione.
La legge Orlando inoltre vuole ampliare la sfera dei reati punibili con querela favorire le
condotte riparatorie: questo provvedimento si collega all’introduzione dell’estinzione del
reato per condotte riparatorie (vedi supra).
Nel c. 85 inizia la delega penitenziaria. Fermo restando che non si cambia la situazione
per quanto riguarda la vita dei detenuti in carcere duro (41 bis), la legge Orlando vuole
facilitare il ricorso da parte di questi ultimi alle misure alternative alla detenzione e quindi si
propone di modificare la disciplina di esse. La delega pone però un limite a questo: i reati
per i casi di eccezionale gravità e pericolosità e in particolare i delitti di mafia e terrorismo
anche internazionale (lett. b c. 85). Inoltre si prevede una revisione dell’accesso alle
misure alternative alla detenzione prevedendo che il limite di pena sia elevato in ogni caso
a 4 anni (lett. c). Inoltre vuole eliminare le preclusioni e gli automatismi che impediscono o
ritardano sia per i recidivi sia per gli autori di categorie determinate di reati
l’individualizzazione del trattamento rieducativo e la differenziazione dei percorsi
penitenziari in relazione al reato o ai reati commessi (lett. e c.85). Lett. n c 85: vuole
consacrare il diritto all’affettività delle persone detenute e internate. Vedi lett p n. 8 c. 85: si
devono rafforzare i contatti col mondo esterno in funzione del reinserimento sociale. Lett r
c 85.
Questa legge contiene una serie di deleghe generiche fin troppo ampia e non dovrebbe
essere così soprattutto in materia penale. Tale legge è esposta a due rischi: non si riesce
ad attuare oppure il governo compirà delle scelte che spetterebbero al legislatore.
Il diritto all’affettività consiste nel concedere al detenuto e all’internato di godere di
momenti di affettività all’interno del carcere o fuori col proprio partner o con la propria
partner (potrebbero esserci in carcere le cosiddette “le camere dell’amore”, le quali sono
invece presenti in altri paesi). Affettività però non attiene solo ai rapporti sessuali con il
partner/la partner, ma anche all’affetto che ci può essere tra il detenuto e i figli, i genitori, i
fratelli ecc.
La legge Orlando si conclude con una clausola sull’invarianza finanziaria, ossia attuare la
Orlando non costerebbe nulla allo Stato. Ma questo è un assurdo, non si può apportare un
cambiamento senza un qualche finanziamento.
LE MISURE DI SICUREZZA
Le misure di sicurezza sono sanzioni penali, costituiscono l’altro binario del sistema
sanzionatorio penale. Sono disposte dal giudice di cognizione. Sono sottoposte al principio
di legalità tanto quanto le pene (art. 25 c 3 cost). Sono regolate dal cp agli art 199 e ss. Al
concetto di misura di sicurezza è collegata la pericolosità sociale del soggetto. Le misure
di sicurezza sono applicabili nei confronti degli imputabili e dei semimputabili in aggiunta
alla pena, mentre nei confronti dei non imputabili sono applicabili in luogo della pena.
Quindi per questi ultimi sono possibili solo misure di sicurezza, non pene perché uno dei
principi fondamentali del diritto penale è la colpevolezza, la quale si determina solo
quando ad un soggetto è rimproverabile un atto compiuto per scelta cioè nelle piene
facoltà di intendere e volere. Non si può punire il non imputabile, perché quest’ultimo per
la sua condizione non è rimproverabile. Tuttavia per bloccare la pericolosità sociale è
necessario applicare alla persona non imputabile una misura di sicurezza anche per
fornirgli una cura. Nei confronti degli imputabili e dei semimputabili le misure di sicurezza
si computano alla pena in sostanza per evitare la recidiva nei casi in cui la pena non è
bastata in questo senso.
D. lgs