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INTRODUZIONE

 Cos’è il diritto penale?


Il diritto penale è costituito da due concetti essenziali: pena e reato. La teoria del reato e
quella della pena sono, dunque, i due oggetti fondamentali della materia e appartengono
alla sezione generale del diritto penale, mentre la parte speciale riguarda l’analisi dei
singoli reati.
Quest’ultimo è un ramo dell’ordinamento giuridico, il quale è diviso in due categorie, il
diritto pubblico e il diritto privato: il diritto penale appartiene alla prima. Ciò perché la
potestà punitiva è in mano allo Stato: quest’ultima è la facoltà di prevedere, tramite la
legge, e infliggere delle pene, tramite il processo penale, come conseguenza della
commissione di determinati atti; prima invece vigeva l’autotutela privata.
Il diritto penale è poi anche una materia che ha a che fare con la sociologia, con la filosofia
e con la politica (il diritto penale non è altro che un insieme di scelte politiche da parte
dell’organo legislativo).

 Perché esiste il diritto penale?


Una risposta immediata è sicuramente il diritto penale esiste per assicurare l’ordine
pubblico. Questo scopo viene raggiunto sfruttando la controspinta psicologica della
minaccia della pena, ma quest’ultima non è sufficiente da sola, è infatti necessario che la
pena sia effettiva e pertanto lo Stato deve adoperarsi perché questa venga eseguita.
Il diritto penale in questo senso può essere sfruttato in maniera liberale e garantistica,
oppure no. Se viene sfruttato in maniera liberale e garantistica sia assicura l’ordine
pubblico, sia limita la forza statale nel fare ciò (principio di proporzionalità.
Detto questo, una risposta più approfondita alla domanda iniziale è il diritto penale esiste
per tutelare beni giuridici, ossia degli interessi che secondo lo Stato sono particolarmente
rilevanti. Tali beni giuridici, tuttavia, non devono necessariamente essere tutelati attraverso
la pena, infatti si deve ricorrere a quest’ultima in extrema ratio, cioè solamente quando lo
Stato abbia accertato che non vi sia altro modo per concedere tutela (principio di
sussidiarietà). Questo accertamento da parte dell’autorità statale è essenziale perché la
pena non è altro che una profonda lesione dei beni giuridici dell’autore del reato, che non
può essere inflitta se non nei casi ove è strettamente necessario, nonché l’unica opzione.

 La struttura del codice penale


Il codice penale è composto da:
 una parte generale che comprende il primo libro intitolato Dei reati in generale (art.
1-240)
 una parte speciale che comprende:
 il secondo libro intitolato Dei delitti in particolare (art. 241-649); i delitti sono i reati
più gravi
 il terzo libro intitolato Delle contravvenzioni in particolare (art. 650-734-bis); le
contravvenzioni sono reati meno gravi dei delitti
 in più ci sono delle norme complementari, ma esterne, a quest’ultimo, le quali
forniscono una disciplina più dettagliata riguardante alcune materie
Il codice penale è realizzato in base alla gravità dei reati generalmente commessi e
tenendo conto maggiormente dei reati che minacciano l’integrità, l’indipendenza e l’unità
dello Stato (titolo primo del secondo libro: Dei delitti contro la personalità dello Stato). Da
questo si evince lo stampo prettamente politico del codice penale.
 Da chi viene applicato il diritto penale? Cenni al processo penale.
Il diritto penale viene applicato:
-dalle forze dell’ordine (polizia, carabinieri) che dipendono dal Ministero dell’Interno/della
Difesa
-dalla magistratura
Dell’ordine della magistratura fanno parte i giudici e i pubblici ministeri.
Questi ultimi sono magistrati inquirenti che rappresentano l’accusa pubblica in giudizio:
sono parti nel processo mantenendo però l’imparzialità.
Il giudice presente in aula può essere uno, giudice monocratico, oppure si possono trovare
più giudici (presidente + cosiddetti magistrati a latere). A giudicare i reati più gravi, per es.
quelli commessi dalla criminalità organizzata, dal terrorismo, gli omicidi violenti e dolosi
ecc., vi è, oltre al presidente, anche la giuria popolare. Il giudice non è parte in giudizio,
come il p.m., ma si colloca in una posizione super partes, quindi è e deve mantenersi
assolutamente imparziale.
Chi decide della limitazione della libertà personale è sempre un giudice, perciò dopo
l’arresto è obbligatorio entro 48 h portare il soggetto davanti a quest’ultimo che lo
convaliderà o meno (riserva di giurisdizione). Se il giudice convalida l’arresto il soggetto
dovrà essere scortato in carcere o ai domiciliari in attesa del processo, altrimenti dovrà
essere rilasciato. L’arresto in diritto penale può indicare vari istituti, tra cui l’arresto in
flagranza di reato, che si verifica appena è stato commesso il reato o mentre quest’ultimo
si sta commettendo, l’arresto come pena e l’arresto per custodia pre-cautelare (è quello di
cui si sta trattando).
Questi provvedimenti provvisori non sono pene perchè non sono la conseguenza
minacciata per la commissione del reato: nel caso dell’arresto si parla di custodia pre-
cautelare, negli altri due casi (carcere circondariale e arresti domiciliari) di custodia
cautelare. Tali provvedimenti provvisori vengono messi in atto per evitare che il soggetto
possa compiere altri reati in attesa di essere giudicato.
Il soggetto in custodia non è colpevole finchè non sarà emessa una sentenza definitiva di
condanna: fino ad allora l’imputato è presunto innocente.
Non è possibile difendersi autonomamente durante il processo penale, quindi se il
soggetto imputato non può, perché per es. non possiede un avvocato o non ha i mezzi per
retribuirlo, o non vuole farsi difendere viene nominato un avvocato d’ufficio.
Il ruolo dell’avvocato penalista e quello del magistrato è molto delicato perché dalla loro
condotta lavorativa dipende la libertà personale di un soggetto.
In Italia esistono tre gradi di giudizio: Tribunale, Appello (il ruolo di p.m. è svolto dal
procuratore generale), Cassazione (ha sede a Roma, è composta da 7 sezioni penali
distinte in base alla competenza, il ruolo di p.m. è svolto dal procuratore generale, i
cassazionisti sono magistrati anziani aventi una certa esperienza). Tribunale e Appello
svolgono giudizi di merito, mentre la Cassazione di legittimità. Il giudizio di merito analizza
i fatti ed applica le norme giuridiche relative in base alle prove (il giudizio di merito del
giudice d’appello ha una portata normalmente più circoscritta di quello del tribunale),
quello di legittimità invece accerta che nei precedenti giudizi siano state applicate
correttamente le norme giuridiche, pertanto i cassazionisti non affrontano di nuovo il
processo per intero ma si limitano a questa verifica.
Le indagini per la ricerca della prova sono segrete, mentre vengono alla luce in giudizio.
La prova si forma davanti al giudice, durante il contraddittorio tra le parti, in base agli
elementi probatori che l’accusa ha raccolto durante le indagini.
Il giudice poi in base alle prove prodotte emette una sentenza di assoluzione o di
condanna. La pena non viene di fatto inflitta finchè la sentenza non è definitiva in forza del
principio di non colpevolezza ovvero della presunzione di innocenza. Pertanto il soggetto
su cui non verte una sentenza definitiva nel frattempo sarà messo in custodia cautelare
(vedi supra).
Il processo penale: come inizia?
Il p.m. designa il capo di imputazione, cioè formula per iscritto l’accusa: descrive i fatti
accaduti ed elenca le norme giuridiche violate. L’imputazione è fondamentale perché in
base a questa le parti in giudizio e il giudice si comporteranno di conseguenza.

LE TEORIE DELLA PENA: perché punire?


Il diritto penale è dunque un ramo dell’ordinamento giuridico ed è l’insieme delle norme di
legge, dette penali, che vietano, sotto minaccia di una pena, determinate condotte.
Il diritto penale è essenzialmente sanzionatorio.
Vi sono norme penali incriminatrici (configura un reato e individua la pena: l’art. 575 cod.
pen. configura l’omicidio doloso e individua nella reclusione non inferiore ad anni 21 la
pena conseguente) e altre che disciplinano i reati in generale. Gli illeciti penali sono
introdotti nell’ordinamento attraverso le leggi penali incriminatrici. Non si deve parlare di
crimine ma di reato perché crimine è un termine atecnico. Si parla di crimini attualmente
nell’ambito internazionale per indicare per es. i crimini contro l’umanità. La norma
incriminatrice (vedi art. 575 cod. pen.) è composta da due parti:
-precetto o fattispecie (più precisamente la fattispecie è il tipo di fatto incriminato) A
-sanzione penale B che deriva dalla violazione del precetto contenuto nella fattispecie
A => B
Vi è anche una parte detta rubrica dove viene individuato il nome del reato secondo il
diritto (si parla di atti persecutori non di stalking, si parla di violenza sessuale non di
stupro).
Il diritto penale è generale e astratto e infatti ragiona per tipi: l’art. 575 vieta di cagionare
non la morte di un uomo in particolare ma di tutti gli uomini in qualsiasi modo e il divieto è
rivolto a tutti gli uomini.
La pena è irrogata dal giudice alla fine del processo che è volto a ricostruire i fatti. Il
giudice forma la propria posizione valutando gli elementi portati a carico dell’imputato e
quelli portati a discarico da quest’ultimo alla luce del diritto, in questo caso penale, perché
è il diritto che seleziona le fattispecie astratte rilevanti ai fini del giudizio. In altri termini il
magistrato o l’avvocato penalista per valutare la natura del fatto/della fattispecie concreta
deve accertare se quest’ultimo può essere riconducibile ad una determinata norma
penale/ad una determinata fattispecie astratta, cioè accertare se quel determinato
fatto/quella determinata fattispecie concreta è giuridicamente rilevante. La sentenza di
condanna o assoluzione deve essere motivata: la motivazione è composta da una parte in
cui si ricostruisce il fatto e una in cui si fa riferimento al diritto, la quale si conclude con la
decisione della pena se il fatto viene ritenuto un reato. Il codice penale individua sempre
un minimo e un massimo per le pene detentive (cornice edittale): da 6 mesi a 3 anni per la
truffa aggravata. Il giudice assume un potere discrezionale in modo vincolato da criteri
legali (art. 133 e seguenti cod. pen.: disciplina della commisurazione della pena) quando
commisura la pena, cioè quando decide quale sia la pena più adeguata, giusta in base alla
gravità del fatto commesso e per evitare la recidiva. La pena va individuata sempre dal
giudice rimanendo all’interno della cornice edittale.
Quando mancano minimi e massimi della pena si vedano gli art. 23-26 cod. pen.
Quindi quando si motiva la sentenza bisogna rispettare tre fasi:
-ricostruzione dei fatti secondo quanto presentato al processo
-qualificazione giuridica dei fatti
-decisione della pena (qualora sia una sentenza di condanna)
Il reato può essere:
-un delitto (è un reato più grave) omicidio, truffa, violenza sessuale, corruzione
-una contravvenzione (è un reato meno grave) guida in stato di ebbrezza
I delitti si distinguono dalle contravvenzioni innanzitutto secondo la gravità, che è un
criterio molto generale, e poi perché mentre per i delitti vengono comminati o l’ergastolo
(pena detentiva) o la reclusione (pena detentiva) o la multa (è la pena pecuniaria per i
delitti) (sono le pene che identificano un reato e più precisamente un delitto) per le
contravvenzioni vengono comminati l’arresto e l’ammenda (sono le pene che identificano
una contravvenzione). Tutte queste pene hanno come conseguenza l’ingresso in un
carcere. Reclusione e arresto sono pene di durata. La pena pecuniaria finisce nelle casse
dello Stato e non viene pagata ad un privato ma questo può comunque agire anche in
sede civile per ottenere invece il risarcimento del danno (es. omicidio di un parente).
Non esiste una nozione ontologica di reato, infatti il furto e l’omicidio sono considerati reati
perché così stabilisce una fonte sovraordinata alla legge ordinaria, il codice penale in
questo caso, che può essere per es. la Costituzione oppure fonti internazionali (Cedu,
Carta di Nizza) per es. in materia del traffico degli esseri umani. Si dice che sussiste un
obbligo di incriminazione da parte della fonte sovraordinata al codice penale e
quest’obbligo deve essere rispettato dal legislatore, quando si tratta di introdurre un reato.
In altri termini il legislatore non può emanare le leggi a proprio piacimento ma nel farlo
deve sempre confrontarsi con le fonti sovraordinate alla legge statale. In ogni caso
bisognerebbe emanare le norme penali senza andare a ledere in modo eccessivo la
libertà personale, la quale è da considerarsi in senso ampio (il diritto penale andrebbe
usato con il contagocce): la pena è legittima nella misura in cui è necessaria.
Il reato di clandestinità (art. 10-bis art.,14-ter D.Lgs 25 luglio 1998 n. 286) è stato introdotto
nel 2009 e la cui legittimità è stata sottoposta allo scrutinio della Corte costituzionale, la
quale l’ha confermata con la sentenza 250/2010. Il reato di clandestinità è una
contravvenzione per cui è prevista un’ammenda da 5 mila a 10 mila euro. Questa pena
non ha un’efficacia deterrente quindi non si giustifica perché è difficile che effettivamente
questa ammenda venga eventualmente pagata. Lo straniero irregolare nel territorio
statale, anche colui che è stato invitato ad allontanarsi dallo Stato entro 7 giorni e che viola
questa imposizione, non può essere punito con la reclusione (sentenza El Dridi).
Il reato di clandestinità non è combattuto effettivamente dal diritto penale (vedi supra).
Nel 2014 il parlamento sotto il governo renzi ha approvato una legge delega per
depenalizzare il reato di clandestinità ma la delega scadeva nel capodanno in cui a
Colonia un gruppo di rifugiati ha commesso delle violenze sessuali però il governo non ha
voluto prendersi una così massiccia responsabilità nei confronti dell’opinione pubblica (la
gente non capirebbe). Pertanto il reato di clandestinità esiste perlopiù per tranquillizzare
l’opinione pubblica. Tutto ciò per dire che non è sempre rispettato il principio di
sussidiarietà cioè secondo cui la pena ci deve essere solamente quando è strettamente
necessaria, quando non è possibile fornire tutela al bene giuridico leso in modo diverso e
che il legislatore non sempre utilizza il diritto penale moderatamente, col contagocce.
Nonostante ciò il sistema ha i propri anticorpi quale è per es il controllo di legittimità
costituzionale. Il controllo di legittimità costituzionale può essere sollevato o d’ufficio
oppure l’avvocato può eccepire il controllo di legittimità costituzionale, può in questo modo
sollecitare il giudice a sollevare qlc. Altro vincolo per il legislatore è la proporzionalità della
pena: deve essere una pena commisurata, proporzionata alla gravità del fatto commesso
e alle esigenze connesse alla pena. Il rispetto del principio di proporzionalità è imposto
dall’art. 49 Carta di Nizza. Il principio di sussidiarietà e quello di proporzionalità devono
essere rispettati perlopiù dal legislatore nel definire le pene. La pena deve essere decisa
in astratto e questo lo fa il legislatore e poi anche in concreto dal giudice rispettando la
cornice edittale e anche il principio di proporzionalità.
Perché punire? Cosa ne facciamo della persona che commette reati? Qual è la finalità
della pena? Queste sono domande tipiche del diritto penale. In alcuni ordinamenti vi è la
pena di morte, in Italia non è prevista perché andrebbe contro il precetto costituzionale che
si pronuncia a favore della tutela della vita. In Italia si ha l’ergastolo e la reclusione. In
questi casi si ha la violazione del bene giuridico libertà personale, il carcerato non può
comunicare, non può uscire dal carcere chiaramente, non può navigare in internet, non
può godere di cose di cui fuori dal carcere godeva liberamente (guardare la televisione per
es.). La pena detentiva incide sui rapporti familiari. La sessualità, la facoltà di procreare
sono compromesse. In alcuni ordinamenti la pena era in precedenza ispirata all’istinto
umano della vendetta (USA negli anni 60), ma il diritto penale non ragiona in questi
termini, anzi gestisce la pena nel rispetto dei principi costituzionali e in generale delle fonti
sovraordinate. La vittima in ambito penale non ha un ruolo primario: nel processo penale
l’accusa è rappresentata dal pm ossia dallo Stato, la vittima può prenderne parte
costituendosi parte civile e chiedendo il risarcimento ma altrimenti non è compresa, i
soggetti “protagonisti” sono lo Stato e la difesa (cioè gli avvocati dell’autore del reato) e
ovviamente l’autore del reato. I principi costituzionali e in generale le fonti sovraordinate
alla legge statale non valgono solo durante il processo penale, durante la decisione della
pena (sia da parte del legislatore, sia da parte del giudice), ma anche durante la
permanenza in carcere del carcerato. Il carcere è un posto umano.
La pena non sta fuori dalla Costituzione e che questo sia sempre rispettato è nell’interesse
di tutti, non solo di chi ha commesso reato. Ed è questo il pensiero che dovrebbe avere
l’opinione pubblica. Non solo la pena deve essere conforme alla Costituzione ma anche la
finalità della pena.
 MANCANO APPUNTI 16/10: VEDI POSTA
 MANCANO APPUNTI 16/10: VEDI POSTA
 SALAH ABDESLAM
Colpevole di aver compiuto atti terroristici (Parigi) è detenuto in carcere. La pena ha
essenzialmente 3 funzioni: innanzitutto una di prevenzione (art. 27.3 Cost.) e nel caso in
cui venga commesso un reato ve ne è una di neutralizzazione dell’autore del reato e una
di rieducazione di quest'ultimo (queste due funzioni rientrano nell’ambito della prevenzione
speciale: vedi infra). In questo caso la pena ha una funzione prettamente di
neutralizzazione. Nella teoria della pena vi è anche un’idea di retribuzione, cioè pagare il
reato con una pena. L’idea della retribuzione è la più antica nella teoria della pena e si può
ricondurre alla legge del taglione. L’idea della retribuzione prescinde dallo scopo della
pena (perché?): si ritiene che l’idea della retribuzione sia più che uno scopo, una finalità
della pena un carattere di quest’ultima. A questa idea sta alla base il fatto che con la pena
si riafferma il carattere imperativo della legge e si afferma la soddisfazione della vittima
cioè far giustizia appagando il bisogno di retribuzione che risiede non solo nella vittima ma
anche nella società, infatti c’è un sentimento in quest’ultima anche se non direttamente
vittima del reato che è l’esigenza di giustizia. Nell’idea della giustizia c’è l’idea di
pacificazione, di ristoro sociale. Quindi l’idea della retribuzione è qualcosa che non deve
essere dimenticato, non bisogna pensare solo alla funzione di prevenzione che ha la
pena, la funzione di rieducazione e di neutralizzazione del reo, è importante considerare
come la pena abbia anche un carattere, più che una funzione, retributivo. Attraverso
questo carattere non viene retribuita solo la vittima ma anche l’intera comunità sociale.
La retribuzione in ambito penale si differenzia totalmente da cosa significa retribuire in
ambito civile (pagare il risarcimento a fronte di un illecito civile). La responsabilità civile
sorge anche in caso di reato, nel caso in cui la vittima o chi per lei si costituisce parte civile
nell’ambito del processo penale, ma viene tenuta separata da quella penale: hanno due
obbiettivi totalmente diversi e funzionano in modo diverso.
Vedi articoli
Est-il possible d’avoir une vie privée en prison?
Pourquoi la salle de sport de Salah Abdeslam en prison n’est pas un privilege?
 CESARE BATTISTI
E’ accusato di aver commesso degli atti terroristici in Italia. E’ ora latitante all’estero, è
vissuto e probabilmente vive tuttora in Brasile
Perché l’Italia vuole la cattura di Cesare Battisti?
Sempre per un’esigenza di retribuzione essenzialmente. Questo è anche un modo per
riaffermare l’autorità dello Stato di fronte ad una legge violata. E’ un modo per affermare
che non si può scappare dalla giustizia penale. C’è qualcuno che ha affermato che la
retribuzione è l’unica idea alla base della pena ma in questo modo si violerebbe in qualche
modo la Costituzione che vuole anche una funzione rieducativa e preventiva della pena
senza escludere il carattere retributivo della pena.
 THOMAS ATKINSON
Cittadino americano che da giovane uccide a coltellate la fidanzata, dopodichè non viene
scoperto e il fatto rimane irrisolto per 30 anni. Egli manda una lettera di scuse anonime
alla famiglia della vittima e si rifà una vita.
Vedi articolo del NY Times Arrest in a 30-year-old murder case reignites the pain of a
victim’s family
Più passa il tempo più si attenua il bisogno di punizione, si è più indignati nel caso di Salah
Abdeslam piuttosto che da questo caso. Il passare del tempo pone anche un altro
problema cioè il cambiamento della persona come dimostra questo caso.

Teorie assolute della pena: quelle che concepiscono la pena come svincolata dal
raggiungimento di uno scopo, quindi si punisce perché è giusto e la giustizia è
l’affermazione della legge, dell’autorità dello Stato, è qui che si colloca il carattere
retributivo della pena (vedi esempio dell’isola della Metafisica dei costumi di Kant), questa
idea non è oggi quella prevalente come in passato, è più che una finalità della pena è una
sua componente che deriva dalla sua natura, non sta in piedi autonomamente, in questo
caso si parla di risposta al reato che però non è l’unico volto della pena (vedi infra), si
parla di repressione dell’autore del reato, l’idea della retribuzione come carattere della
pena è la più antica riconducibile a quest’ultima perché è la più prossima all’idea di
vendetta, con l’evoluzione del diritto si è giunti all’idea di prevenzione legata alla pena

Teorie relative della pena: quelle che concepiscono la pena come in funzione di uno scopo
che è soprattutto quello preventivo, cioè prevenire fatti socialmente dannosi cioè i reati
detti anche social arms (qui si parla dell’altro volto della pena), si parla di utilità della pena
(la pena costa economicamente e umanamente e quindi deve produrre un beneficio:
questo beneficio è la prevenzione), la prevenzione è di due tipi: generale (si rivolge alla
generalità dei consociati, qui si parla della pena minacciata, comminata [termine per
indicare l’attività del legislatore, mentre il giudice infligge la pena] in astratto dalla legge
per orientare il comportamento delle persone, la prevenzione generale si realizza
attraverso l’intimidazione, che è quella ordinaria e negativa, ossia io legislatore ti minaccio
perché tu per timore non compia un determinato atto a cui seguirebbe una pena, la pena è
una controspinta psicologica all’azione, e attraverso anche l’orientamento culturale,
modalità positiva: lo Stato ottiene un determinato comportamento da parte dei cittadini
facendogli capire che compiere determinati atti è sbagliato, stigmatizza certi atti in
funzione non intimidatoria ma pedagogica per ottenere che quegli atti non vengano
commessi, lo Stato fa leva sulle convinzioni dell’individuo; vedi art. 10 ter D.Lgs. 10 marzo
2000 n 74) e speciale (si realizza attraverso l’esecuzione concreta della pena nei confronti
dell’autore del reato per prevenire che quest’ultimo commetta nuovi reati cioè per evitare
la recidiva, 3 vie per realizzare questo tipo di prevenzione:
rieducazione/risocializzazione/riabilitazione cioè la rieducazione deve servire a
risocializzare la persona incarcerata cioè a riportarla nella comunità delle persone libere
[vedi infra], intimidazione e neutralizzazione/incapacitazione), non sempre la minaccia
della pena sradica il reato, questo vale per fenomeni grossi come la corruzione, come la
criminalità organizzata, in questi ambiti si dovrebbe agire anche attraverso l’orientamento
culturale (modificare la cultura, modificare le abitudini sociali, modificare la mentalità…)
ma non solo, in altri termini per sradicare fenomeni come quelli citati non si può agire solo
attraverso il diritto penale, infatti il diritto penale deve considerarsi come extrema ratio
ossia subentra la pena solo se un reato non è in altro modo eliminabile, per es. la legge
Severino contro la corruzione non ha solo introdotto nuovi reati e inasprito le pene ma ha
anche cercato di realizzare un sistema amministrativo di prevenzione della corruzione, è
nata l’ANAC un’associazione che svolge una serie di attività volte a sconfiggere e
prevenire la corruzione
Vedi legge 354/1975 in materia di ordinamento penitenziario: tale legge rispetta all’art 1
l’art. 27 comma 3 Cost. cioè regola il trattamento del detenuto in modo da rispettare la
funzione di rieducazione della pena rispettando ovviamente la dignità della persona. Vedi
di questa legge anche art. 13-15
Il diritto penale guarda al passato (quando il danno sociale è stato causato) ma guarda
anche al futuro nel senso che la pena deve avere la funzione di evitare la recidiva, un
fenomeno che riguarda chi abbia commesso reati. La recidiva rappresenta in qualche
modo il fallimento della pena. La disciplina della recidiva è stata riformata dalla sentenza
della Corte costituzionale 183/2011 con cui è stato dichiarato incostituzionale parzialmente
l’art. 169-bis della legge ex cirielli secondo cui il recidivo reiterato doveva subire le
conseguenze peggiori rispetto agli altri recidivi e non fosse in nessun modo possibile
mitigare la pena in nessun caso, anche qualora il reo abbia collaborato con la giustizia. La
ratio di questa sentenza è: il legislatore non può per realizzare lo scopo preventivo della
pena comminare pene ingiuste e illimitatamente severe. Ci devono essere dei limiti e uno
di questi è la prevenzione speciale che si realizza anche tramite la rieducazione dell’autore
del reato. II carcere è detta università del crimine e secondo i criminologi è possibile che si
assista al cosiddetto contagio criminale. Chi è propenso per ragioni sociali (Cesare
Lombroso, psichiatra italiano molto famoso: questa propensione è genetica, questa
visione è ora ormai superata) a commettere reati può darsi che venga condizionato in
carcere a commetterne di più gravi. Attualmente la funzione di rieducazione della pena
non è dappertutto realizzato anche perché le carceri sono in gran parte gestiti da polizia
penitenziaria che non hanno ricevuto una formazione in questo senso. La rieducazione
deve essere offerta dallo Stato in conformità alla Costituzione ma poi sta al detenuto
cogliere queste possibilità. Ci sono detenuti che non riescono a cogliere questo aspetto
del carcere e lo vive esclusivamente con avversione perché lo sente soltanto come una
struttura autoritaria volta ad infliggere delle punizioni. Vedendolo in questo modo si
dovrebbe riuscire ad evitare la recidiva e a monte direttamente il reato (la funzione
intimidatoria della pena ha conseguito il suo scopo preventivo), ma questo non è sempre
vero perché la paura di tornare in carcere può soccombere, possono però prevalere altre
paure che ugualmente conducono a non commettere recidiva per esempio la paura di
perdere legami sociali e affettivi. Se né la funzione rieducativa né quella intimidatoria della
pena vengono colte allora non opera altro che quella di neutralizzazione dell’autore del
reato.
Si possono distinguere tre fasi della pena (si parla di dinamica della pena, infatti
quest’ultima è considerata un oggetto dinamico e non statico):
-minaccia della pena o meglio la pena viene comminata in via generale e astratta nel
momento in cui viene creata la norma incriminatrice dal potere legislativo, infatti secondo
l’art. 25.2 Cost. nessuno può essere punito se non in forza di una legge (principio di
legalità); il legislatore deve creare le norme del diritto penale tenendo conto innanzitutto
del principio di sussidiarietà (diritto penale e pena come extrema ratio cioè il diritto penale
subentra quando non si è in grado di tutelare il bene giuridico se non con la pena), poi del
principio di proporzione (la pena comminata deve essere proporzionata al reato
commesso), inoltre del principio di offensività (si punisce solo il reato in quanto offesa ad
un bene giuridico, un interesse a cui la Costituzione concede tutela, quindi non c’è reato
quando non c’è offesa ad un bene giuridico) e infine del principio di colpevolezza (è un
principio che si trova affermato nell’art. 27 comma 1 e 3 in combinato disposto, colpevole
può essere una persona capace di intendere e di volere che ha commesso un reato con
dolo o con colpa: questi sono i due fondamentali requisiti per accertare la responsabilità
penale, secondo l’art. 27.1 cost. la responsabilità penale è personale, concetto ribadito
dalla sentenza 368 dell’88 della Corte di Cassazione/Costituzionale?): questi 4
principi/vincoli servono per realizzare la prevenzione generale, la prevenzione generale è
realizzata introducendo il timore della pena ma poi è essenziale che il sistema della
giustizia funzioni per dare credito a questo timore, per fare in modo che si credi reale il
rischio della pena a seguito della commissione dei reati
-la pena viene inflitta/irrogata quando il giudice, accertata la commissione di un reato,
applica la norma incriminatrice, ma ancora prima di ciò opera la polizia “sul campo”; il
giudice nell’infliggere la pena deve individualizzare la sanzione e la quantità di questa
rispettando la cornice edittale (art. 133 cod. pen.), inoltre il giudice deve accertare il
principio di colpevolezza, ossia se il fatto è stato offensivo di un bene giuridico e se la
persona che l’ha commesso è imputabile (art. 85 e ss cod. pen., art. 89 vizio parziale di
mente), inoltre il giudice deve realizzare una risposta proporzionata all’offesa che è stata
realizzata (principio di proporzionalità), ma soprattutto il giudice deve porsi il problema
della rieducazione di chi sta condannando quindi nella cornice edittale il giudice deve
infliggere una pena che possa risocializzare il condannato, è necessario che il giudice si
accerti della quantità necessaria di pena perché vi sia la rieducazione del condannato,
pertanto in questa sede il giudice deve realizzare la prevenzione speciale a differenza del
legislatore che invece deve realizzare quella generale, inoltre il giudice deve fare in modo
che con la pena il condannato non compia la recidiva e lo può fare decidendo di non
ricorrere alla pena detentiva (vedi infra); il giudice potrebbe anche decidere di non punire
(NB non di assolvere) con la pena detentiva ma di ricorrere ad altre tipologie di pena (art.
166 e ss cod pen), perché vi sono casi in cui la prevenzione speciale si realizzi meglio
senza incarcerare l’individuo; insomma al giudice è concesso trovare alternative alla pena
detentiva: sospensione condizionale della pena (quando la pena detentiva non supera i 2
anni e viene accertata la non recidività allora il giudice può ricorre a questo istituto,
solamente che se l’individuo entro un certo periodo stabilito commette un altro reato la
sospensione è revocata altrimenti no, la logica di ciò serve per evitare che la persona entri
in carcere perché come già detto quest’ultimo è l’università del crimine e non mandare in
carcere una persona che ha commesso un reato minore potrebbe solo giovargli e giovare
alla società quindi lo Stato non vuole mostrarsi debole ma tenta solo di non infliggere pene
detentive di breve durata perché consapevole del carattere distruttivo della pena e del
carcere; affiancati alla sospensione condizionale della pena vi sono una serie di obblighi
ex art. 165 cod. pen, inoltre oltre alla pena viene sospeso anche il processo), pene
sostitutive (legge 689 dell’81) come pena pecuniaria, libertà condizionata e semi
detenzione
-la pena viene eseguita dal potere esecutivo quando la sentenza di condanna passa in
giudicato cioè quando diventa definitiva cioè non può più essere impugnata, più
precisamente viene eseguita dal DAP (dipartimento dell’amministrazione della pena), un
ramo del Ministero della Giustizia, e dal pm (ad esso compete accertarsi che la sentenza
di condanna venga eseguita; all’interno di questa fase abbiamo anche la presenza della
polizia penitenziaria; anche in questa sede si realizza la prevenzione speciale, questa è la
sede dove l’imputato inizia a subire propriamente la pena, prima no, prima l’imputato è
presunto innocente e non può essere sottoposto a nessun tipo di pena anche se subire il
processo penale è già una pena, nel caso in cui una persona venga condannata
ingiustamente vi è uno strumento di impugnazione straordinario che è la revisione
Queste tre fasi segnano il passaggio di competenza da un potere dello Stato all’altro. Tutti
gli “attori” compresi in queste fasi realizzano la giustizia penale.
È essenziale che il legislatore cerchi sempre pene alternative al carcere e una di queste
alternative potrebbe essere la pena pecuniaria, che però in italia subisce un tasso di
ineffettività molto alto (nel 2011 il riscosso non supera il 2,6 %, in altri termini lo stato
perde circa 600 milioni di euro). In questo senso c’è un fallimento della prevenzione
generale che dovrebbe fornire la pena pecuniaria. Nessuno di un minimo informato teme
la pena pecuniaria. Una pena pecuniaria è data dalla confisca, la quale offre una
prevenzione nei confronti per esempio della criminalità organizzata.

IL SISTEMA SANZIONATORIO PENALE: come punire?


Il sistema delle sanzioni penali è molto complicato.
Le sanzioni penali comprendono le pene (cap. 13) e le misure di sicurezza (cap. 15).
Quindi sanzione penale non è sinonimo di pena.
Il sistema delle sanzioni penali è cosiddetto del doppio binario, un binario delle pene e
l’altro delle misure di sicurezza. Queste ultime stanno subendo una riforma da parte di una
commissione governativa. Si ha questo doppio binario perché quando è stato adottato il
codice penale attuale si contendevano la scena due scuole diverse, quella positiva e
quella ?, e questo doppio binario rappresenta un compromesso tra le due.
Quando si parla di misure di sicurezza si parla misure per limitare la pericolosità di certi
individui che hanno però già scontato la propria pena, ma sono appunto ancora ritenuti
socialmente pericolosi (libertà vigilata). Queste misure di sicurezza vengono adottate post
delictum, diverse da quelle ante delictum (arresto, carcere provvisorio). Le misure di
sicurezza invece per coloro affetti da malattia totale di mente (cioè coloro che non sono in
grado di intendere e volere, art. 85 e ss cod. pen.) rappresentano le uniche possibili pene.
Le misure di sicurezza possono essere personali detentive (per i soggetti imputabili o semi
imputabili ossia persone affette da vizio parziale di mente casa di lavoro oppure colonia
agricola, per i soggetti non imputabili per vizio totale di mente ricovero in una casa di cura
che ha una duplice funzione ossia una terapeutica e una custodiale (REMS residenze per
l’esecuzione delle misure di sicurezza, sono strutture eredi dei manicomi criminali, sono
dei piccoli ospedali molto più all’avanguardia rispetto a prima) non detentive per es. la
libertà vigilata). Le misure di sicurezza possono inoltre essere patrimoniali (confisca di un
certo bene). Per indicare l’individuo che è sottoposto a misure di sicurezza detentive si usa
il termine internato. La ratio dell’esistenza di misure di sicurezza è la possibilità di
esercitare un maggior controllo per il legislatore. La misura di sicurezza detentiva non può
essere mai più lunga del massimo della pena prevista per quel reato perché chi entra nelle
maglie del diritto penale prima o poi ne deve uscire perché la pena fine a se stessa non è
ammissibile nell’ordinamento giuridico italiano. Ergastolo bianco: una persona che ha
commesso un reato per cui non è previsto l’ergastolo può essere condannata all’ergastolo
attraverso misure di sicurezza.
In sintesi:
-pene per gli imputabili
-misure di sicurezza: imputabili per cui la misura di sicurezza si applica dopo la pena e non
imputabili per cui la misura di sicurezza rappresenta l’unica pena possibile
 LE PENE: introduzione
Vi sono delle pene principali e delle pene accessorie.
Le pene principali sono quelle indicate nel codice penale all’art. 17.
Le pene principali possono essere:
-detentive
*ergastolo
*reclusione
*arresto
-pecuniarie
*multa
*ammenda
Arresto e ammenda sono pene previste per le contravvenzioni.
L’ergastolo può essere prevista come unica pena oppure può ricorrere all’ergastolo
quando si verificano delle circostanze aggravanti.
La reclusione non può eccedere i 30 anni.
In ogni caso la pena principale deve esserci al verificarsi del reato. Le pene principali brevi
possono essere sostituite a discrezione del giudice con quelle disciplinate dalla legge 689
dell’1981.
Le pene accessorie hanno un contenuto interdittivo (impediscono un certo
comportamento, sono contenuti sanzionatori ulteriori rispetto alle pene principali per es.
interdizione dagli uffici pubblici, di essere amministratore delegato, dal diritto di voto,
decadenza o sospensione dalla responsabilità della potestà genitoriale, decadenza o
sospensione dall’esercizio di una professione ecc.) e sono disciplinate all’art. 19 cod. pen.
Sono previste pene accessorie per i delitti e per le contravvenzioni.
Seguono di diritto la sentenza di condanna in alcuni casi, pertanto anche se il giudice si
dovesse dimenticare di infliggere la pena accessoria questa conseguirebbe di diritto
appunto: vedi art. 20 cod. pen. Se però non sono previste pene accessorie dalla legge il
giudice può decidere di infliggerle comunque.
La presenza di pene accessorie non impedisce quella di misure di sicurezza.
 LE PENE PRINCIPALI
 La pena di morte e l’ergastolo
Vedi art. 17 cod. pen.
Per l’omicidio può essere disposto l’ergastolo se ricorrono certe circostanze aggravanti
che sono indicate all’articolo 576 cod. pen. (prima punite con la pena di morte) e all’art.
577 cod. pen. (anche prima punite con l’ergastolo).
Prima di essere abolita definitivamente la pena di morte questa era prevista nei casi
disposti dalle leggi militari di guerra (art. 27.4 comma cambiato dalla legge costituzionale
1/2007 con cui la pena di morte è stata definitivamente abolita, in questo caso l’Italia non
ha fatto altro che conformarsi alle direttive dell’Unione europea; un ruolo molto importante
nella modifica della costituzione in questo senso è stato svolto dalla cedu, che è un testo
essenziale anche in ambito penale, testo firmato a roma nel 50, alla cedu sono stati
aggiunti dei protocolli addizionali tra cui quello ossia l’ottavo nell’83 che prescriveva
l’abolizione della pena di morte in alcuni casi e poi nel 2002 è stato aggiunto un 13
protocollo con cui si prescriveva di abolire definitivamente la pena di morte in tutte le
circostanze, quindi l’Italia è annoverata tra i paesi abolizionisti). La questione della pena di
morte è molto in auge negli stati uniti tanto che ci sono stati vari ricorsi alla corte suprema
degli stati uniti soprattutto per gli inefficaci anestetici usati prima di effettuare l’iniezione
letale: vedi sentenza Glossip v Gross.
Vedi sul manuale pena di morte p. 629-634.
La legge penale italiana inoltre vieta di estradare i condannati, qualunque sia la loro
nazionalità, nei paesi in cui la pena di morte è ammessa (art. 698 cod. proc. pen.), a meno
che ?
La pena di morte è sempre stata la pena più severa. Il processo di abolizione della pena di
morte ha anche dei risvolti culturali, soprattutto filosofici. L’abolizione della pena di morte si
colloca all’interno del processo di umanizzazione della pena; ci sono dei diritti umani
inviolabili tra cui quello alla vita, alla dignità. L’umanizzazione della pena significa che la
pena non può essere inumana, come dice anche la Cedu (art. 3) e la Cost. all’art. 27.3.

L’ergastolo nasce come pena perpetua e fissa cioè non esiste né un minimo né un
massimo edittale (art. 22 cod. pen.), mentre la reclusione non può eccedere il limite di 30
anni e l’arresto quello di 3 anni. L’ergastolo è previsto solamente per alcuni reati e al
verificarsi di certe circostanze (art. 576-77 cod. pen.) per es. quando c’è sequestro di
persona a scopo terroristico e di eversione e la morte del sequestrato (art. 289-bis cod.
pen.: norma introdotta dopo il sequestro di aldo moro da parte delle brigate rosse che poi
lo uccisero), inoltre è previsto in alcuni casi di delitti contro la persona e contro il
patrimonio. L’ambito della pena dell’ergastolo ha subito un ampliamento quando è stata
abolita la pena di morte infatti nei casi in cui era prevista la pena di morte dalla sua
abolizione viene applicato l’ergastolo. Art. 442.2 cod. pen.: qualora si proceda col rito
abbreviato (art. 438 cod. proc. pen., il rito abbreviato è un istituto insieme al
patteggiamento alternativo al processo ordinario e sono consentiti solo in certi casi per es.
non si può patteggiare in caso di ergastolo, infatti il patteggiamento si riferisce a reati non
particolarmente gravi, col rito abbreviato ci si accorda per abbreviare il processo
consultando soltanto gli atti raccolti durante le indagini e non le prove prodotte) in caso di
condanna la pena dell’ergastolo è sostituita dalla reclusione fino a 30 anni, infatti il rito
abbreviato prevede un premio in termini di sconto di pena: vedi queste cose sul manuale
al § 9 del cap 13.
Perché l’ergastolo è una pena che si pone in contrasto con i principi costituzionali? Perché
non permette la risocializzazione del condannato, essendo una pena perpetua e fissa. Si
potrebbe dire che l’ergastolo sia incostituzionale (art. 27.3 Cost.) e anche contro l’art. 3
Cedu (art. 117.3 Cost.). La Corte costituzionale si è già espressa due volte sull’ergastolo
ossia nel 74 e nel 94 ma in entrambi i casi ha “salvato” la pena dell’ergastolo sostenendo
che questa non è sempre e necessariamente una pena perpetua perché ci sono istituti
che consentono al condannato l’ergastolo di tornare in libertà, la corte ha fatto riferimento
in particolare nella prima sentenza alla libertà condizionale, istituto previsto dall’art. 176
cod. pen. In caso di ergastolo la liberazione condizionale può essere chiesta se il
condannato ha scontato almeno 26 anni di pena, ovviamente la liberazione condizionale
può essere chiesta anche in caso di reclusione se il condannato ha scontato almeno 30
mesi di pena e comunque almeno metà della pena qualora il rimanente da scontare non
superi i 5 anni. Vedi anche art. 177 cod. pen.: per l’ergastolano se entro 5 anni non
interviene una causa di revoca cioè il soggetto non commette un altro reato la pena è
estinta. Questa norma è volta a consentire a tutti una possibilità di risocializzazione, anche
a chi sia condannato all’ergastolo. In questo modo quindi l’ergastolo non può essere
dichiarato incostituzionale.
Ci sono poi anche altri istituti che consentono all’ergastolano di godere di periodi di libertà
più o meno lunghi dopo aver scontato un certo numero di anni di pena (20 anni), per
esempio la semilibertà, volti ad un graduale reinserimento sociale del condannato. La
semilibertà consente al condannato di partecipare ad attività lavorative, di istruzione e altre
volte al reinserimento nella società del soggetto: vedi art. 48 e 50.5 legge sull’ordinamento
penitenziario.
Dopo 10 anni di pena l’ergastolano può essere ammesso a permessi premio (art. 30-ter
legge sull’ordinamento penitenziario) ossia permessi di massimo di 15 giorni ciascuno, per
un massimo complessivo di 45 giorni all’anno, quindi all’anno possono essere concessi al
massimo 3 permessi premio.
Un altro istituto: liberazione anticipata (art. 54 legge sull’ordinamento penitenziario).
Questa consiste nella detrazione di 3 mesi all’anno. Per l’ergastolano questo istituto non
rappresenta l’avvicinamento al fine pena ma l’avvicinamento alla possibilità di accedere ai
vari istituti suddetti:
-libertà condizionale -> 21 anni con la liberazione anticipata
-semilibertà -> 16 anni
-permessi premio -> 8 anni
Ovviamente il presupposto di questi istituti è un comportamento tale da parte del
condannato a far pensare che possa non rappresentare più una minaccia per la società.
Tutti questi istituti sono volti a “premiare” il detenuto per aver partecipato al percorso
rieducativo che il carcere ha offerto e sono volti a preparare il detenuto ad essere
reinserito nella società in modo che possa comportarsi come un cittadino rispettoso delle
leggi. E’ una sorta di scommessa che lo stato fa, in particolare un magistrato di
sorveglianza. Quello di sorveglianza è un tribunale ad hoc, cioè specializzato a decidere
sulla concessione di questi istituti. I magistrati di sorveglianza sono affiancati da vari
esperti, quali psicologi, avvocati, criminologi ecc.
La cedu ha fatto un ragionamento analogo a quello della corte costituzionale italiana,
perché ha affermato che l’ergastolo non è in contrasto con i principi sanciti in costituzione
perché ci sono delle norme che permettono al condannato di acquistare una parziale
libertà se non la totale libertà dopo aver scontato un certo numero di anni in carcere: due
sono le sentenze importanti Hutchinson v. UK (2017) e Vinter v. UK (2013).
Ergastolo ostativo (art. 4-bis legge sull’ordinamento penitenziario): partecipanti alla
criminalità organizzata e terroristi possono accedere agli istituti suddetti solo se c’è un
certo pentimento e se c’è anche la collaborazione con la giustizia. Ci vuole qualcosa in più
rispetto da parte di questi ultimi. Pertanto per essi l’ergastolo assume sul serio il volto di
una pena fissa e perpetua per un’esigenze di tutela della sicurezza e dell’ordine pubblici.
La corte cost non ha dichiarato illegittimo l’ergastolo ostativo. Ma quest’ultimo è un tema
caldo tuttora cioè se l’ergastolo ostativo sia o meno in contrasto con la costituzione.
 La reclusione e l’arresto (p. 640 e ss del manuale, Giustizia.it)
Il 90% della popolazione penitenziaria è condannata a reclusione o arresto. A settembre
2017 in Italia abbiamo un totale di circa 58mila detenuti quando le carceri ne potrebbero
contenere circa 51mila. Questo dato è legato all’edilizia penitenziaria, cioè il dap ha
calcolato quanti posti sono disponibili nelle carceri. Pertanto il carcere è una risorsa
limitata. Quando ad ogni detenuto non sono garantiti almeno 3 mq di spazio vitale,
secondo la giurisprudenza della corte europea dei diritti dell’uomo con riferimento all’art. 3
della cedu e all’art. 27.3 cost. (umanità della pena, divieto di trattamenti degradanti e
violanti la dignità umana ecc.), si ha sovraffollamento, che è una condizione detentiva
inumana e quindi vietata. Vedi sentenza del 2009 Sulejmanovich v italia e torreggiani v
italia sul problema del sovraffollamento in carcere. Questi due detenuti si sono rivolti alla
corte edu perché a causa del sovraffollamento si sono visti violare dei diritti civili che sono
garantiti in costituzione e dallo stesso ordinamento europeo. Con la legge sull’indulto del
2006 le carceri si sono svuotate. Nel 2010 la popolazione penitenziaria ha raggiunto la
quota di ca 68 mila, circa 18 mila in rispetto alla capienza massima. La corte edu è stata
interpellata anche da detenuti contro la Croazia. La corte edu ha detto che lo spazio vitale
per ogni detenuto è essenziale per una questione di garanzia dei diritti civili di ognuno ma
le condizioni diverse dallo spazio possono legittimare che quest’ultimo possa diminuire,
ossia 3mq per detenuto è orientativamente lo spazio minimo indispensabile ma non è
categorico. In sostanza bisogna sempre fare una riflessione complessiva. Una politica
penitenziaria assennata potrebbe contenere i seguenti punti:
-aumentare i posti nelle carceri
-ridurre il numero dei detenuti però in questo senso si dovrebbe rinunciare alla pena
detentiva, si avrebbe un fenomeno di depenalizzazione però è raro che questo tipo di
provvedimento possa seriamente far fronte al sovraffollamento perché spesso vengono
depenalizzati reati per cui normalmente non si finisce in carcere (reati cosiddetti
bagatellari)
-modernizzare, ed eventualmente chiudere o ridestinare se modernizzare non è possibile,
le strutture penitenziarie esistenti in modo da far fronte al sovraffollamento
-custodia cautelare: si può applicare solo a soggetti imputati per reati gravi, recentemente
è stata aumentata la gravità dei reati per cui è possibile la custodia cautelare e quindi si è
avuta una grossa riduzione dei detenuti; si sono ideate misure cautelari alternative come
gli arresti domiciliari
Gli stranieri nelle carceri italiane sono il 34% (circa 20mila) quindi sostanzialmente ogni 3
persone detenute 1 è straniera.
Non tutti quelli che commettono reati finiscono in carcere anche se la legge lo prevede,
per esempio è difficile trovare in carcere soggetti che hanno commesso i cosiddetti white
collar crimes cioè i reati d’impresa, commessi cioè da imprenditori, professionisti. La
maggior parte dei detenuti è rappresentata da coloro che hanno commesso reati comuni
(furto, rapina, traffico di droga, di armi, spaccio ecc.), reati gravi (omicidio, violenza
sessuale ecc.) e coloro che hanno partecipato ad attività della criminalità organizzata ed
attività terroristiche.
Al posto di andare in carcere sono disposte delle alternative come la libertà vigilata e gli
arresti domiciliari, misure che possono essere applicate solo se ci sono determinate
garanzie.
La maggior parte dei detenuti in Italia non è andato molto avanti negli studi, infatti sono
solo circa 600 i laureati, quasi 20 mila tra quelli che hanno le elementari e le medie, circa
4000 quelli che hanno le superiori.
I detenuti presenti con figli sono circa 25mila, meno della metà del totale. La maggior parte
ha tra 1 e 3 figli, circa 2000 4 figli, 800 5 figli, 300 6 figli, molto pochi quelli con più di 6 figli.
Per regione: Campania, Sicilia, Puglia, Calabria, Lombardia queste sono le regioni italiane
da cui la maggior parte dei detenuti vengono. Le regioni meridionali sono quelle più afflitte
dal problema della criminalità organizzata, dalla poca occupazione (lecita) ecc. mentre in
Lombardia essendoci ricchezza spesso vi è attrazione di criminali soprattutto quelli facenti
parte della criminalità organizzata.
La maggior parte dei detenuti è rappresentata da soggetti che hanno commesso reati
contro la persona (tot circa 23 mila) e???
 Sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi e misure alternative alla detenzione
Oltre ai detenuti ci sono delle persone soggette a limitazione di libertà personale più o
meno stretta, in conseguenza di una sentenza di condanna. Il sistema penale è composto
da persone dentro al carcere e persone che stanno scontando una pena invece al di fuori
del carcere. I due istituti (cap. 13) in questo senso sono le sanzioni sostitutive delle pene
detentive (§6) e le misure alternative alla detenzione (§10). Entrambe in senso atecnico
possono essere misure alternative alla detenzione. Le une e le altre possono essere poste
in essere solamente quando ricorrono pene di breve durata (2 anni per le prime, 3-4 anni
per le seconde). Chi deve scontare una pena detentiva breve può non entrare proprio in
carcere (sanzioni sostitutive delle pene detentive) oppure godere di una serie di benefici
(uscita dal carcere per vari motivi) anche stando in carcere (misure alternative alla
detenzione). Quindi l’avvocato penalista sa quando il suo assistito viene condannato ad
una pena detentiva breve che esistono strumenti che possono evitare l’ingresso in
carcere. Questi istituti esistono perché il sistema è rivolto alla rieducazione dell’individuo e
ritiene che in alcune circostanze sia meglio evitare l’ingresso in carcere (scuola del
crimine), è in questo senso un sistema costituzionalmente orientato (art. 27.3 Cost.).
Questi istituti non sono previsti nel codice penale, sono istituti che sono stati introdotti
dopo gli anni 70 per realizzare lo scopo rieducativo della pena, di rango costituzionale,
dalla legge 354/1975 (legge sull’ordinamento penitenziario) le seconde mentre le prime
dalla legge 689/1981 (depenalizzazione, perché questa è una legge che ha operato una
grande trasformazione da illeciti penali a illeciti amministrativi, e pene sostitutive). Da un
punto di vista processuale la differenza fondamentale riguarda il momento processuale in
cui vengono applicate. Le pene sostitutive sono disposte dal giudice di cognizione (è il
giudice che accerta il fatto e afferma la responsabilità penale e quindi infligge la pena) e
vengono in essere contestualmente alla sentenza di condanna, così avviene anche per la
sospensione condizionale della pena (è disciplinata dal codice penale, art. 163 e ss cod.
pen., ed è un istituto molto diffuso in italia, si ha l’estinzione del reato se nel tempo
prestabilito non si commettono altri reati). Le misure alternative alla detenzione invece
sono disposte dal giudice di sorveglianza (tribunale di sorveglianza) dopo il passaggio in
giudicato della sentenza di condanna (la sentenza passa in giudicato nei casi previsti
dall’art. 648 c.p.p.). E’ fondamentale ma rischia di sfuggire che le pene sostitutive operano
nel processo di cognizione nel momento della pronuncia di condanna, mentre le misure
alternative alla detenzione operano dopo quando c’è una sentenza di condanna che è
diventata definitiva.
Tali pene non vengono facilmente concesse ai condannati ex art. 4-bis l. sull’o.p.
 Le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi
La legge 689 dell’81 agli art 53 e ss ne prevede 3 che sono:
-la semidetenzione (il giudice concede al detenuto di passare in carcere solo 10h che
normalmente sono quelle notturne, oggi in italia sono solo 7 i condannati soggetti a
semidetenzione quindi è un istituto quasi per niente applicato nella prassi giuridica) art 55,
2 anni
-la libertà controllata art 56, 1 anno
Il detenuto è in libertà ma rimane sotto osservazione: ciò comporta il ritiro della patente,
del passaporto ecc., l’obbligo di presentarsi ogni tot presso degli uffici appositi. Oggi i
detenuti in libertà controllata sono solo 171.
-la pena pecuniaria sostitutiva
Nella prassi è quella che ha funzionato maggiormente. Di solito c’è un minimo (250) e un
massimo (2500), in base ai mezzi economici del soggetto condannato, i quali vanno
moltiplicati per i giorni di detenzione a cui l’individuo è stato condannato (art. 135 cod pen).
E’ un parametro molto, troppo alto. Pena sostitutiva ad una pena di massimo 6 mesi.
Esistono almeno altre due pene sostitutive non enunciate dalla legge suddetta:
-espulsione a titolo di sanzione sostitutive o di misura alternativa alla detenzione dello
straniero extracomunitario (art. 16 del testo unico sull’immigrazione); solitamente
l’espulsione dello straniero extracomunitario è riconosciuta come una sanzione di tipo
amministrativo affiancata alla sanzione penale del reato di clandestinità (pagamento di
un’ammenda compresa tra i 5 e i 10 mila euro)
-lavoro di pubblica utilità per i reati di guida in stato di ebbrezza (quando l’etilometro dà un
coefficiente di tasso alcolemico superiore al consentito per due volte il reato viene ad
esistenza) e di guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti ovviamente quando il
conducente non ha causato un incidente (in questo caso non ci sono soglie come per
l’alcol) (art. 186 c 9 bis e 187 c 8 bis cod. strada); oggi vi sono poco più di 7 mila
condannati che svolgono lavori di pubblica utilità; il lavoro di pubblica utilità si ottengono
come i benefici l’estinzione del reato, revoca la confisca del veicolo obbligatoria per i casi
più gravi di guida in stato alterato e dimezza il periodo di sospensione della patente di
guida
Un legislatore assennato dovrebbe valutare l’efficienza del sistema penale alla luce del
dato statistico e agire di conseguenza.
 Le misure alternative alla detenzione
Se ne può parlare sia in un senso tecnico (quelle previste dalla l 354/1975 art 47 e ss, l
sull’ordinamento penitenziario) sia in un senso atecnico (in generale ci si riferisce alle
alternative al carcere). La legge cit è fondamentale perché in modo organico e sistematico
ha cercato di realizzare lo scopo rieducativo, non in senso morale, della pena in forza
dell’art. 27.3 Cost. E’ una legge che sta a cavallo tra il codice penale e la procedura
penale. L’art 1 della legge cit cerca di dare al carcere il volto di un luogo il detenuto non
perde i propri diritti e la propria umanità ma cerca di intraprendere un percorso perlopiù
rieducativo in modo che il soggetto una volta rimesso in libertà non torni a delinquere.
Qualora i diritti del detenuto vengano violati, egli può rivolgersi al tribunale di sorveglianza
(art. 35-bis e 35-ter c.p.). L’art 35-ter non solo richiama una norma internazionale ma la
richiama come interpretata dalla Corte Edu. A titolo di risarcimento del danno il giudice di
sorveglianza può concedere uno sconto di pena di 1 g ogni 10 per tutta la durata del
pregiudizio, quando questo non è possibile il detenuto riceve un risarcimento del danno
pari a 8 euro per ogni giorno in cui è stato subito il pregiudizio dal detenuto.
Le leggi Gozzini del 1986, Simeone del 1998 e Orlando del 2017 hanno riformato le
misure alternative alla detenzione.
Le tre figure principali di misure alternative alla detenzione sono (p 696 e ss del manuale):
-l’affidamento in prova al servizio sociale (+ di 13 mila soggetti)
-la semilibertà (812 soggetti)
-la detenzione domiciliare (+ di 10 mila soggetti)
Le misure alternative alla detenzione nascono a fine 900 che vengono concesse a
detenuti, i quali hanno pertanto il permesso di uscire dal carcere ad un certo punto
dell’esecuzione della pena, dopo un certo numero di anni. Sono uno strumento che
permette una graduale risocializzazione del soggetto, un graduale reinserimento nella
comunità dei liberi. La legge simeone ha fatto sì che le misure alternative possano operare
sia nella fase iniziale della pena (se detentiva breve) ma comunque dopo il passaggio in
giudicato della sentenza, quindi ha impedito l’ingresso in carcere per molti condannati, sia
nella fase finale di quest’ultima. Quindi le misure alternative alla detenzione hanno due
funzioni:
-evitare l’ingresso in carcere (fase iniziale della pena), si parla di condannati dallo stato di
libertà
-risocializzare il detenuto gradualmente (fase finale della pena), si parla di condannati
dallo stato di detenzione
Nella prassi le misure alternative alla detenzione funzionano meglio nella fase iniziale della
pena, ossia per evitare l’ingresso in carcere.
Strumenti come le misure alternative alla detenzione sono nobili per il fine che hanno
ossia quello di risocializzare il detenuto, ma soprattutto sono fondamentali per evitare il
collasso del sistema sanzionatorio penale.
L’art 656.5 cpp (introdotto dalla legge simeone) si riferisce all’esecuzione delle pene
detentive: quando la sentenza di condanna viene emessa e passa in giudicato il pm deve
emettere un ordine di carcerazione. Se la pena è detentiva e non è superiore a 3 anni (4 in
alcuni casi, 6 quando il reato è legato alla tossicodipendenza) l’ordine di carcerazione
viene bloccato automaticamente e viene notificato al soggetto un ordine di chiedere entro
30 gg una delle misure alternative alla detenzione per evitarsi l’ingresso in carcere.
 La sospensione condizionale della pena
E’ un istituto giuridico molto importante. E’ regolato agli art. 163-168 cod. pen.
Questo istituto e le pene sostitutive delle pene detentive sono accomunati perché il giudice
può in questo modo evitare l’entrata in carcere pur comunque emettendo una sentenza di
condanna. Questo istituto può essere posto in essere quando la pena non eccede i 2 anni.
La sospensione condizionale della pena è molto diffusa rispetto ai suddetti istituti. Nel
2012 le condanne a pena sospesa sfioravano il 43% delle condanne iscritte nel casellario
giudiziale. Chi ottiene una pena al di sotto dei 2 se la fedina penale pulita ha gran
probabilità di non andare in carcere. E’ l’istituto più vecchio per la battaglia contro la pena
detentiva breve: viene istituito nel 1804. Il limite si è alzato nel tempo, si è partiti da 6 mesi.
Esiste anche la sospensione della pena pecuniaria, una volta questo non era possibile
perché non pagando si andava in carcere. Oggi è possibile sospendere la pena pecuniaria
per insolvenza del condannato.
La sospensione condizionale della pena non può essere concessa più di 2 volte, a
condizione che residui un quantum di pena minore o uguale a 2 anni sommando la
seconda pena sospesa con la prima sospesa. Ciò vale anche quando si tratta di pena
pecuniaria. Questa è la regola più importante riguardo a questo istituto (art. 164 cod pen).
Nella prassi succede che spesso il giudice non compie la valutazione appropriata e quindi
in un certo numero di casi la sospensione della pena può essere disposta anche più di 2
volte, cosa illegittima che può comportare una revoca della sospensione condizionale della
pena.
La giurisprudenza consolida che la sospensione condizionale della pena può essere
disposta d’ufficio dal giudice senza che venga chiesta dall’avvocato.
Nel 2004 riforma di questo istituto: qualora la pena pecuniaria sia congiunta a quella
detentiva, quest’ultima è comunque sospendibile purchè minore di 2 anni ma l’altra no se
la pena detentiva è uguale a 2 anni.
La sospensione è di 5 anni se la condanna è per delitto, 2 anni se invece è per
contravvenzione. E’ un periodo di prova, un beneficio, si capisce dalla parola condizionale:
il giudice sospende la esecuzione della pena a condizione che il reo non commetta altri
reati.
La sospensione condizionale della pena viene disposto se si può fare una prognosi
favorevole al superamento con successo del periodo di prova.
Quest’istituto nasce in francia, in belgio, è presente in europa ma anche negli stati uniti
(cosiddetta probation).
E’ possibile anche la sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato
quando la pena è pecuniaria oppure detentiva fino a 4 anni (istituto introdotto nel 2014 in
italia, art. 168-bis). E’ un istituto analogo alla sospensione condizionale della pena e opera
a differenza di questo a monte del processo, mentre la sospensione condizionale della
pena opera a valle.
Se il reato viene commesso da un minore la soglia per la sospensione è più alta: 3 anni.
Se il reato viene commesso da un giovane adulto (18-21 anni) oppure da una persona che
abbia dai 70 anni in su compiuti la soglia per la sospensione è di 2 anni e mezzo.
Presupposto oggettivo per la sospensione condizionale della pena: gli anni della pena.
Presupposto soggettivo per la sospensione condizionale della pena (vedi supra, art 164
cod pen): il giudice deve essere convinto, dopo essersene accertato, del fatto che il
condannato potrà superare con successo il periodo di prova cioè astenendosi dal
commettere ulteriori reati (cd prognosi di non recidività). La disposizione della sospensione
condizionale della pena è rimessa all’apprezzamento del giudice.
Se questi presupposti non sono soddisfatti e nei casi ex art 164 cod pen la sospensione
condizionale della pena non può essere disposta.
La sospensione della pena è incompatibile con le varie misure di sicurezza perché sono
troppo diverse.
Se durante il periodo di prova il reo compie un altro reato dovrà subire la pena che è stata
sospesa + quella a cui è stato condannato per il reato appena commesso.
L’art. 165 può subordinare alla sospensione condizionale della pena all’adempimento di
determinate condotte che sono obblighi, per es il risarcimento del danno, ciò vuol dire che
se non risarcisci il danno la sospensione viene revocata. Questo articolo in più delinea una
serie di obblighi per il giudice (per es in alcuni casi il giudice deve obbligatoriamente
subordinare la sospensione a doveri per il condannato: c 3, c 4 art. 165), che però di fatto
spesso non vengono adempiuti (50% pene sospese ma nel 98% dei casi l’art. 165 non
viene rispettato).
La sospensione della pena è di fatto un’alternativa alla pena detentiva ed è una non pena.
Pertanto la vittima del reato avverte un senso di impunità.
Per evitare ciò si dovrebbe alzare la cornice edittale per ogni reato.
C’è stata in passato una polemica su questo argomento, mossa proprio dalle vittime di
reati, in particolare le vittime di incidenti stradali.
Nel 2015 è stato aggiunto un comma all’art. 165, il c 6 (l 69/2015).
E’ un istituto fondamentale ma di cui si abusa e si usa male perché viene
automaticamente applicato, ma non si rispetta la legge in modo che possa davvero
apparire agli occhi della società e della vittima soprattutto come una riparazione dell’offesa
subita.
La sospensione condizionale della pena può essere applicata anche alle pene sostitutive
alla pena detentiva.
Effetti di questo istituto: art. 166.
Estinzione del reato: art. 167 (vedi reati della stessa indole art. 101)
Revoca della sospensione condizionale della pena: art. 168 cod. pen.
La sospensione condizionale della pena, la sospensione del procedimento penale con
messa alla prova dell’imputato e le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi sono
strumenti con cui il sistema sanzionatorio penale combatte le pene detentive brevi.
Insieme ad essi operano in questo senso anche lo strumento ex art. 131-bis c.p., ossia
l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, per cui si applica una pena
detentiva fino a 5 anni, e anche le misure alternative alla detenzione dopo la legge
simeone (vedi supra).
 Legge-delega Orlando (n. 103/2017)
Legge 103/2017, cosiddetta legge Orlando, legge-delega in materia penale: modifiche al
cp, al cpp e all’op.
L’art 1 di questa legge ha introdotto un nuovo istituto che è l’estinzione del reato per
condotte riparatorie (art. 162-ter). Questo istituto si collega al diritto civile. La disciplina di
questo istituto va letta insieme a quella dell’istituto della remissione, istituto già presente
nel nostro ordinamento. L’estinzione del reato si verifica anche quando la querela non
viene ritirata qualora il danneggiante abbia cercato in qualche modo risarcito il danno.
Danno che deve essere necessariamente procedibile a querela.
Tale legge ha aumentato le pene per lo scambio politico-mafioso, per il furto, per
l’estorsione.
La legge Orlando inoltre vuole ampliare la sfera dei reati punibili con querela favorire le
condotte riparatorie: questo provvedimento si collega all’introduzione dell’estinzione del
reato per condotte riparatorie (vedi supra).
Nel c. 85 inizia la delega penitenziaria. Fermo restando che non si cambia la situazione
per quanto riguarda la vita dei detenuti in carcere duro (41 bis), la legge Orlando vuole
facilitare il ricorso da parte di questi ultimi alle misure alternative alla detenzione e quindi si
propone di modificare la disciplina di esse. La delega pone però un limite a questo: i reati
per i casi di eccezionale gravità e pericolosità e in particolare i delitti di mafia e terrorismo
anche internazionale (lett. b c. 85). Inoltre si prevede una revisione dell’accesso alle
misure alternative alla detenzione prevedendo che il limite di pena sia elevato in ogni caso
a 4 anni (lett. c). Inoltre vuole eliminare le preclusioni e gli automatismi che impediscono o
ritardano sia per i recidivi sia per gli autori di categorie determinate di reati
l’individualizzazione del trattamento rieducativo e la differenziazione dei percorsi
penitenziari in relazione al reato o ai reati commessi (lett. e c.85). Lett. n c 85: vuole
consacrare il diritto all’affettività delle persone detenute e internate. Vedi lett p n. 8 c. 85: si
devono rafforzare i contatti col mondo esterno in funzione del reinserimento sociale. Lett r
c 85.
Questa legge contiene una serie di deleghe generiche fin troppo ampia e non dovrebbe
essere così soprattutto in materia penale. Tale legge è esposta a due rischi: non si riesce
ad attuare oppure il governo compirà delle scelte che spetterebbero al legislatore.
Il diritto all’affettività consiste nel concedere al detenuto e all’internato di godere di
momenti di affettività all’interno del carcere o fuori col proprio partner o con la propria
partner (potrebbero esserci in carcere le cosiddette “le camere dell’amore”, le quali sono
invece presenti in altri paesi). Affettività però non attiene solo ai rapporti sessuali con il
partner/la partner, ma anche all’affetto che ci può essere tra il detenuto e i figli, i genitori, i
fratelli ecc.
La legge Orlando si conclude con una clausola sull’invarianza finanziaria, ossia attuare la
Orlando non costerebbe nulla allo Stato. Ma questo è un assurdo, non si può apportare un
cambiamento senza un qualche finanziamento.
 LE MISURE DI SICUREZZA
Le misure di sicurezza sono sanzioni penali, costituiscono l’altro binario del sistema
sanzionatorio penale. Sono disposte dal giudice di cognizione. Sono sottoposte al principio
di legalità tanto quanto le pene (art. 25 c 3 cost). Sono regolate dal cp agli art 199 e ss. Al
concetto di misura di sicurezza è collegata la pericolosità sociale del soggetto. Le misure
di sicurezza sono applicabili nei confronti degli imputabili e dei semimputabili in aggiunta
alla pena, mentre nei confronti dei non imputabili sono applicabili in luogo della pena.
Quindi per questi ultimi sono possibili solo misure di sicurezza, non pene perché uno dei
principi fondamentali del diritto penale è la colpevolezza, la quale si determina solo
quando ad un soggetto è rimproverabile un atto compiuto per scelta cioè nelle piene
facoltà di intendere e volere. Non si può punire il non imputabile, perché quest’ultimo per
la sua condizione non è rimproverabile. Tuttavia per bloccare la pericolosità sociale è
necessario applicare alla persona non imputabile una misura di sicurezza anche per
fornirgli una cura. Nei confronti degli imputabili e dei semimputabili le misure di sicurezza
si computano alla pena in sostanza per evitare la recidiva nei casi in cui la pena non è
bastata in questo senso.

MANCANO APPUNTI 15.11

Le misure di sicurezza si dividono in misure di sicurezza personali e misure di sicurezza


patrimoniali (confisca).
 Misure di sicurezza personali
Due presupposti:
-reato
-pericolosità sociale dell’agente
La commissione del reato è un presupposto fondamentale perché le misure di sicurezza
sono delle sanzioni penali, come le pene, perciò non possono essere inflitte se non alla
commissione di un reato (principio di legalità, art. 25.3 cost.). A questa regola fanno
eccezioni alcune ipotesi di cosiddetto quasi reato: non è configurabile un reato pieno ma la
legge ammette l’inflizione di misure di sicurezza. Le ipotesi di quasi reato sono quelle
previste negli art. 49 e 115 del codice penale. L’art. 49 c. 2 disciplina il reato impossibile,
ossia il reato è tale per inidoneità dell’azione (non c’è un reato commesso e nemmeno un
tentativo di reato: io voglio avvelenare una persona ma non le somministro una quantità
tale di sostanza perché questo succeda o non le somministro la sostanza adatta da
uccidere) oppure per inesistenza dell’oggetto di essa (io uccido una persona già morta).
Ciò non toglie la possibilità del giudice di applicare una misura di sicurezza (art. 49 ultimo
comma cp). Si applica nei casi descritti dagli art suddetti la libertà vigilata secondo l’art.
229 c.2 e l’art. 202 cp. L’art. 49 cp in particolare rappresenta l’espressione codicistica del
principio di offensività perché siccome il fatto non ha né offeso il bene giuridico né l’ha
messo in pericolo allora il soggetto non è punibile. La pericolosità sociale dell’agente viene
valutata dal giudice, il quale deve fare in modo in questo caso che il soggetto non provi,
ma riuscendoci, di nuovo a commettere il fatto. Nelle ipotesi di quasi reato il mero
elemento soggettivo cioè voler commettere il reato, voler offendere un bene giuridico non
basta perché il reato si configuri. L’art. 115 è collocato in un gruppo di norme (110-119)
che disciplinano l’istituto del concorso di persone nel reato. Questo articolo regola
l’accordo per commettere un reato e l’istigazione. L’accordo non è un presupposto
necessario per il concorso di persone nel reato, ma è sufficiente che ognuno sappia di star
contribuendo ad un reato senza essere d’accordo con gli altri. L’accordo non è sufficiente
perché il reato venga configurato e quindi non si può applicare una pena per questo (art.
115 c 1 cp), tuttavia l’accordo è sufficiente perché il giudice possa applicare una misura di
sicurezza (c 2), ossia la libertà vigilata. L’art. 115 è molto importante nel contesto del
tentativo di reato perché questo articolo conferma una teoria fondamentale in materia di
tentativo ossia quella dell’irrilevanza degli atti preparatori, mentre sono rilevanti quelli
esecutivi. L’istigazione è la condotta di chi con parole, gesti ecc. istiga un’altra persona a
commettere un reato. Sia che l’istigazione venga o meno accolta l’autore dell’istigazione
può essere punito con una misura di sicurezza, ossia la libertà vigilata (art. 115 c 3-4 cp).
La pericolosità sociale dell’agente viene regolata dall’art. 133 e 203 cp. E’ un giudizio che
deve svolgere il giudice estremamente difficile perché è una prognosi fatta sul
comportamento futuro di un soggetto. Il giudizio di pericolosità sociale dell’agente viene
svolto in vari momenti: il primo momento è la sentenza di condanna emessa dal giudice di
cognizione, il quale, ritenendo pericolosa la persona, può ordinare una misura di sicurezza
mentre il secondo è all’inizio della misura di sicurezza da parte del giudice di sorveglianza,
questo soprattutto quando la misura di sicurezza è applicata ad una persona imputabile o
semimputabile, soggetti che vengono sottoposti alla misura di sicurezza dopo aver
scontato la pena. Se il magistrato di sorveglianza poi sostiene che la pericolosità sociale è
venuta meno la misura di sicurezza viene revocata, se questa è diminuita la misura di
sicurezza viene attenuata.
Le misure di sicurezza personali si dividono in detentive e non detentive. Le prime
possono essere volte soprattutto alla custodia del soggetto oppure alla cura di quest’ultimo
(ospedale psichiatrico giudiziario, casa di cura e di custodia REMS prima OPG). Tra le
misure non detentive c’è la libertà vigilata ma non solo: divieto di soggiorno in determinati
luoghi e divieto di frequentare osterie o luoghi di spaccio d’alcol. Per gli stranieri una
misura di sicurezza non detentiva è l’allontanamento dallo Stato ex art. 235 cp, dopo aver
scontato fino a 4 anni di carcere nello Stato, pena di sicurezza discutibile, soprattutto
quando la rieducazione ha avuto successo.
 Misure di sicurezza patrimoniali: la confisca
Disciplinate nel codice penale dagli art. 236 e ss. L’art. 240 c.p. disciplina la confisca. Le
misure di sicurezza patrimoniali sono sanzioni che incidono sul patrimonio della persona.
Questa è una peculiarità perché il diritto penale è incentrato sulla limitazione della libertà
personale e non colpisce i beni solitamente. Oltre alla multa e all’ammenda (pene,
sanzioni penali patrimoniali) c’è la confisca (misura di sicurezza, sanzione penale
patrimoniale). Il risarcimento del danno è invece una sanzione civile che può avere degli
effetti anche nell’ambito penale. L’esistenza delle sanzioni penali patrimoniali significa che
il carcere quindi la pena detentiva non è l’unica risposta possibile al carcere. Tuttavia le
pene pecuniarie (multa e ammenda) sono ineffettive, il sistema penale italiano è
caratterizzato da una crisi della pena pecuniaria, il legislatore non crede in questa pena
infatti nel 2016 ha depenalizzato una serie di reati puniti con la sola pena pecuniaria.
Questa scelta politica è volta sì a depenalizzare reati bagatellari ma è anche una conferma
dell’indirizzo generale, ossia secondo cui la pena pecuniaria è molto sottovalutata in Italia.
Invece le misure di sicurezza patrimoniali godono di ottima salute, infatti la confisca è un
istituto che viene disposto molto frequentemente e viene eseguita nella maggior parte dei
casi. La confisca è la più importante m di s p e viene utilizzata nella lotta contro reati gravi
come quelli commessi dalla c org. La confisca consiste nell’espropriazione/ablazione (la
confisca è una misura ablativa) di un bene da parte dello Stato. La confisca fa perdere la
proprietà di un bene (ecco perché è ablativa), che può essere mobile o immobile. Il bene
confiscato diventa dello Stato, entra nella proprietà dello Stato, il quale gli può dare le
destinazioni più diverse (ad un terreno confiscato alla mafia gli si può dare una
destinazione lecita, stessa cosa con un’auto). La confisca è una sanzione perpetua
(tranne nel caso del veicolo confiscato per guida in stato di ebbrezza se al soggetto
vengono affidati dei lavori sociali) e anche questa è una peculiarità: a differenza delle
misure di sicurezza personali, che vogliono neutralizzare la persona che ha commesso un
reato, la confisca vuole neutralizzare la pericolosità della cosa a sè stante oppure in
relazione alla persona che la utilizza. La vera natura giuridica della confisca è comunque
altamente controversa in certi casi. Mentre può essere revocato il provvedimento
precedente alla confisca, ossia il sequestro, una misura prodromica rispetto alla confisca,
serve come misura cautelare reale per assicurare che il bene possa eventualmente essere
confiscato all’esito del procedimento, è un vincolo provvisorio che si pone su un bene
finchè non si definisce il procedimento, quindi può o meno sfociare nella confisca. Nel
caso di sentenza di proscioglimento il sequestro verrà revocato e non si avrà confisca. La
ratio della confisca intesa come misura di sicurezza è quella di prevenire la commissione
di nuovi reati qualora il bene rimanga in mano all’imputato. La confisca è l’istituto di cui la
natura è molto discussa dai penalisti e dagli studiosi del diritto penale. Una fondamentale
distinzione relativa alla confisca:
-diretta (si confisca fisicamente il bene)
-per equivalente/di valore (se si devono confiscare dei soldi ad un evasore fiscale, cioè
quelli che avrebbe dovuto pagare, ma questo non è possibile si confisca un bene che
valga la stessa quantità di denaro) questa è una misura che si sta sempre più affermando
perché si caratterizza per essere molto efficace nella lotta contro la criminalità organizzata,
la giurisprudenza consolidata è d’accordo che la confisca p e è in realtà una pena perché
manca il legame tipico della confisca tra la cosa confiscata e il reato commesso pertanto
questo tipo di confisca non può essere applicato retroattivamente a differenza delle altre
misure di sicurezza (art. 25.3 enuncia solo il p di legalità e non anche quello di
irretroattività)
Un’altra distinzione:
-confisca facoltativa
-confisca obbligatoria
La confisca ex art. 240 cp è quella applicabile alla generalità dei reati ma non è la sola
confisca possibile, cioè esistono altre disposizioni nella parte speciale del codice penale
che disciplinano in rapporto a questo o a quel reato la tipologia di confisca applicabile: per
es. l’art. 322 ter cp disciplina la confisca applicabile in caso di corruzione quindi questa
disposizione prevale sul 240.
Il primo c del 240 : confisca facoltativa perché l’attuazione di questa è a discrezione del
giudice, l’oggetto della confisca in questo caso sono le cose che servirono o furono
destinate a commettere il reato (non devono essere oggetti intrinsecamente volti a
commettere reato) e le cose che ne sono il prodotto, ossia il risultato empirico del reato, o
il profitto, ossia il vantaggio/utilità economica che l’agente ha ottenuto attraverso la
commissione del reato; secondo la giurisprudenza il profitto del reato può essere anche
indiretto, ossia esso può essere sia quello che ho guadagnato ma anche ciò che ho evitato
di perdere (mancanza di perdita): per es. questo accade quando avendo delle azioni
quotate in borsa e sapendo perché sono privilegiato che perderanno a breve di valore le
vendo subito in modo da non perdere denaro (cd reato di insider trading), altro problema il
profitto va inteso in senso netto o lordo? bisogna valutare i costi sostenuti dall’autore per
commettere il reato, il profitto netto è il guadagno/mancata perdita mentre il profitto lordo è
l’intera quantità di denaro del soggetto agente quindi compresi i soldi che si mettono per
commettere il reato.
Il secondo c del 240: confisca obbligatoria, questo c indica i casi in cui la confisca è
sempre ordinata, ossia nei casi in cui sono interessate cose che si caratterizzano come
intrinsecamente criminose (per es. soldi per pagare il sicario). Nel 2013 è stata introdotta
una disposizione secondo cui è obbligatoria la confisca delle cose che sono servite per
compiere reati informatici.
Queste sono le disposizioni generali, alle quali le disposizioni speciali possono derogare
(per es. la confisca del profitto facoltativa nel 240 cp è obbligatoria ex 322 cp).
Requisiti perché possa avvenire la confisca:
-di norma la cosa non può essere confiscata se appartiene ad una persona estranea al
reato
-di norma la confisca può essere ordinata solo quando un giudice ha pronunciato una
sentenza di condanna o di patteggiamento (art. 210 cp), tuttavia il codice prevede una
serie di casi in cui si ottiene la confisca anche senza condanna: è il caso della prescrizione
del reato (per es. processo per corruzione, imprenditore ha pagato un funzionario pubblico
per ottenere una concessione, ma il processo non giunge al termine per prescrizione della
corruzione, in questo caso la confisca può essere disposta anche senza condanna), ciò è
stato confermata dalla Corte cost. ma questa ha aggiunto la clausola secondo cui ci deve
essere stata almeno una sentenza di primo grado (sent 49/2015), in ogni caso questo è un
argomento molto discusso in giurisprudenza (Lucci c italia 2015, Varvara c Italia 2013)
Altre forme di confisca:
-confisca amministrativa
-confisca come precauzione ante delictum

LE FONTI DEL DIRITTO PENALE


Fonti di produzione del diritto penale: art. 25 c. 2 Cost.
Questo articolo enuncia due principi diversi:
-principio di legalità/riserva di legge “nessuno può essere punito se non in forza di una
legge” “nullum crimen, nulla poena sine lege”
-principio di irretroattività “che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”
 PRINCIPIO DI LEGALITÀ/RISERVA DI LEGGE E POTERE LEGISLATIVO
Secondo questo principio di matrice illuministica è riservato al legislatore il monopolio
nella scelta di quali fatti configurare come reato e quali pene comminare. Per le misure di
sicurezza lo stesso principio è enunciato dall’art. 25 c. 3 Cost. Questo principio è affermato
non solo dalla Cost. ma anche dalla Cedu all’art. 7. Questo principio esclude che siano
organi diversi dal legislatore quali fatti possano essere puniti, in particolare il governo ma
soprattutto il giudice, il quale applica la legge ma non la crea. A questo proposito il giudice
penale non può ricorrere all’analogia, come invece può fare il giudice civile secondo le
Preleggi (art 12). Stesso discorso vale per il governo, il quale si deve limitare a dare
esecuzione alle leggi del parlamento e alle decisioni giudiziarie. La riserva di legge
costituisce una garanzia per i cittadini. Tale garanzia risiede secondo gli illuministi nel
significato di democrazia: l’unico organo in grado di limitare la libertà di un cittadino è
quello che rappresenti la popolazione dello Stato, cioè la cui composizione è stata voluta
dai cittadini, ossia il parlamento. Tuttavia nella prassi non sempre accade che le leggi
penali siano create dal Parlamento, in quanto spesso il Governo pone questione di fiducia
sull’approvazione di certi disegni di legge di iniziativa governativa (vedi legge Severino in
materia di corruzione) (disegni di legge). Ma accade anche che spesso il Parlamento
stesso deleghi il governo nella regolazione di una materia penale sulla base appunto di
una legge-delega (d legislativo). Ma allora come si deve interpretare la riserva di legge ex
25 c 2 cost? in senso formale o in senso materiale? La dottrina è divisa, gli studiosi sono
discordi: marinucci-dolcini sono a favore della riserva di legge in senso formale.
D.l.

pro (riserva di legge in senso materiale)


 legge di conversione approvata dal Parlamento

contro (riserva di legge in senso formale)


 d.l. in vigore per 60 giorni durante i quali una persona potrebbe subire le
conseguenze irreparabili di un d.l. che poi non viene nemmeno convertito

D. lgs

pro (riserva di legge in senso materiale)


 legge-delega

contro (riserva di legge in senso formale)


 i principi e i criteri direttivi della legge-delega non escludono la discrezionalità del
governo (leggi-delega in bianco: vedi l. Cirinnà che ha introdotto anche l’art. 574-ter
c.p. con un d.lgs )

Il punto di equilibrio è per il decreto legislativo circoscrivere bene le deleghe e cercare di


evitare eccessi di delega, per il decreto legge il vaglio stringente dovrebbe essere quello
della straordinaria necessità e urgenza dell'emanazione. La Corte in questo ambito cerca
di non infilarsi.
La riserva di legge può essere intesa in senso assoluto o relativo. Assoluto: tutti gli aspetti
relativi al precetto e alla sanzione penale devono essere disciplinati dalla legge. Relativa:
ammettere che fonti sublegislative possano disciplinare qualche aspetto della legge
penale, in altri termini posto che in ambito penale deve legiferare solo la legge c'è
comunque posto per un'integrazione da parte di atti del governo quando la legge sia
incompleta, si può rinviare ad una fonte sublegislativa in caso di incompletezza della legge
del parlamento? Un punto di equilibrio è la tesi della riserva di legge tendenzialmente
assoluta: la riserva di legge in linea di massima assoluta a meno che si tratti di una
specificazione di tipo tecnico, ossia le fonti sublegislative si limitano a specificare alcuni
aspetti dal punto di vista tecnico però già disciplinati in maniera essenziale dalla legge.
 RISERVA DI LEGGE/PRINCIPIO DI LEGALITÀ E POTERE GIUDIZIARIO

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