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Il diritto penale è quel settore dell’ordinamento che disciplina i FATTI CHE COSTITUISCONO REATO E

LE RELATIVE CONSEGUENZE GIURIDICHE: cioè le SANZIONI PENALI. Questa è la definizione


NOMINALE a cui si affianca la definizione SOSTANZIALE del diritto penale : che è quella che definisce il
DIRITTO PENALE IN RELAZIONE ALLE FUNZIONI CHE IL DIRITTO PENALE HA : che sono LA
DIFEESA DELLA SOCIETA’ (e quindi la PREVENZIONE E IL CONTROLLO SOCIALE) e la TUTELA
DELLA PERSONA UMANA NELLA SOCIETA’ ed in secondo luogo, soprattutto nello stato moderno,
come GARANZIA INDIVIDUALE PER L’AUTORE DEL REATO (nel senso che, il diritto penale, che
pure deve colpire con una pena l’autore stesso, allo stesso tempo, DEVE INDICARE DEI LIMITI A
QUELLE CHE SONO QUESTE SANZIONI E QUESTE PENE ed in generale dei LIMITI
ALL’ATTIVITA’ PUNITIVA DELLO STATO. Questa funzione vene esercitata principalmente tramite il
principio ‘’ in dubbio pro libertate’’. Nel senso che, di norma, ciascun cittadino può comportarsi come crede
purchè rispetti i cd. ‘’ neminem ledere’’. Solo quindi se viene violato quest’ultimo si rende necessario
l’intervento penale e, le sanzioni, sono applicate SOLO PER COMPORTAMENTI CHE CREANO, come
diceva Beccaria, un DANNO SOCIALE. Quindi si rendono inevitabili solo PER STRETTA NECESSITA’,
per SALVAGUARDARE LA CONVIVENZA PACIFICA DEI CONSOCIATI). Una terza funzione del
diritto penale è QUELLA DI STRUMENTO DI COMPOSIZIONE DEL CONFLITTO SOCIALE ED
INDIIVIDUALE CHE SI CREA TRA L’AUTORE DEL REATO E LA VITTIMA (anche detta persona
offesa). Questo è il motivo per cui, la pena è PUBBLICA (cioè è conoscibile da tutti) perché pubblico è allo
stesso modo il conflitto che si crea TRA I 2 SOGGETTI (in quanto l’unico modo per risolverlo è
ATTRAVERSO L’AUTORITA’ E MAI PRIVATAMENTE perché RICORRENDO ALLA GIUSTIZIA
PRIVATA SI COMMETTEREBBE UN ALTRO REATO : esercizio arbitrario delle proprie ragioni).
Discorso parallelo alla funzione del diritto penale è quello relativo alla FUNZIONE DELLA PENA (dove
per pena s’intende la SANZIONE APPLICATA DAL DIRITTO PENALE AD UN REATO) : si distinguono
una teoria assoluta ed una teoria relativa :
- Teoria assoluta : la pena è SEMPLICE ESPRESSIONE DI UN’ESIGENZA DI GIUSTIZIA : cioè è
fine a se stessa non ha nessuna funzione se non PUNIRE TRAMITE UN CASTIGO. Nell’ambito di questa
teoria, questo castigo inflitto viene visto da alcuni come una RETRIBUZIONE PER LA VIOLAZIONE
COMMESSA; da altri invece, come ESPIAZIONE PER LA VIOLAZIONE STESSA.
- Teoria relativa : la pena non è a se stante MA E’ FINALIZZATA A QUALCOSA DI UTILE PERLA
SOCIETA’ : quindi è strumento di prevenzione più che di semplice PUNIZIONE ed è quindi rivolto al
futuro più che al passato. Quindi non punire perché si è peccato e ma punire perché non si pecchi +. Anche
questa teoria vede diverse versioni, nel senso che la prevenzione viene talvolta letta in chiave generale (nel
momento in cui si ritiene che la funzione della pena è DISTOGLIERE TUTTI GLI ALTRI CONSOCIATI
DAL COMMETTERE QUEL REATO); ma viene anche vista in chiave SPECIALE : QUANDO INVECE
SI RITIENE CHE LA PENA SIA UNO STRUMENTO PER DISTOGLIERE QUELL’AUTORE DEL
REATO DAL COMMETTERLO DINUOVO, neutralizzandolo attraverso ad esempio la detenzione; oppure
in una prospettiva ‘’ positiva’’ cercando di risocializzarizzandolo.

LEGITTIMAZIONE DEL DIRITTO PENALE.


Come si è detto, il diritto penale, si sostanzia in una RISPOSTA AFFLITTIVA CHE L’ORDINAMENTO
RISERVA AD UN SOPGGETTO CHE A SUA VOLTA HA INFLIUTTO SOFFERENZA AD UN
ALTRO. Per questo carattere afflittivo e punitivo è un settore dell’ordinamento la cui esistenza va
giustificata, soprattutto perché è un settore dell’ordinamento che è contrassegnato dalla stessa violenza dei
fatti che deve contrastare (poiché il fatto stesso di rinchiudere un uomo a vita ad esempio è un fatto
intrinsecamente violento). Solitamente, si giustifica la dimensione afflittiva del diritto penale, collegandola al
disvalore sociale delle azioni che va a punire cioè : si ritiene che il diritto penale giustifica la sua esistenza e
la sua violenza proprio in relazione al fatto che va a colpire fatti che hanno posto a repentaglio i diritti dei
cittadini e di fronte ai quali serve uno strumento di garanzia che vada a punirli. Quindi si tratta di uno
strumento di SALVAGUARDIA DEI DIRITTI E DELLE LIBERTTA’ DEI CITTADINI DI FRONTE A
FATTI CONNOTATI DA UN FORTE DISVALORE, DI FRONTE AI QUALI E’ NECESSARIO
IRROGARE SANZIONI.

DEFINIZIONE DI REATO.

Reato è OGNI FATTO A CUI LA LEGGE RICONNETTE UNA SANZIONE PENALE (questa è una
nozione di tipo FORMALE che riconosce il REATO IN BASE ALLA SANZIONE : nel senso che ‘’ il reato
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è tale se può essere punito come reato’’ una tatologia, un paradosso). Nel nostro sistema i reati sono divisi
TRA DELITTI E CONTROVVENZIONI. Qual è il criterio per distinguerli? Anche in questo caso, la
distinzione dipende come afferma l’art 39 cp. DALLA SPECIE DELLA PENA cioè : anche in questo caso, il
delitto è tale quando è punito con delle sanzioni tipiche del delitto (anche questa è una tatologia) che sono
indicate dall’art 17 cp che sono ERGASTOLO, RECLUSIONE E MULTA. Mentre le contravvenzioni sono
quei reati PUNITI ATTRAAVERSO SANZIONI CHE SONO TIPICHE DELLE CONTRAVVENZIONI
sempre indicate all’art 17 cp, che sono : ARRESTO E AMMENDA. Per i reati militari invece, si rinvia al
relativo codice.
Il codice penale prevedeva tra le pene principali anche la pena di morte che però è stata abolita dalla Cost.,
che però la manteneva intatta per determinati reati previsti dall’ordinamento militare (in particolare x
determinati reati di guerra). Una legge del 94 ha poi abolito la pena di morte anche per i reati di guerra.
Per quanto riguarda poi i reati attribuiti al giudice di pace, le pene principali sono la PERMANENZA
DOMICILIARE E IL LAVORO DI ‘PUBBLICA UTUILITA’ CHE PERALTRO SONO DELLE PENE
CHE POSSONO SOSTITUIRE LA MULTA X I DELITTI E L’AMMENDA X LE CONTRVVENZIONI
(quindi sono alternative a queste). Come si nota, le sanzioni penali hanno un forte carattere di afflittività che
si realizza nella privazione o diminuzione della LIBERTA’ PERSONALE O DEL PATRIMONIO (a
seconda che si parli di detenzione e arresto o di multa e ammenda). Quindi tutte le sanzioni penali HANNO
COME CARATTERISTICA COMUNE L’INCIDENZA SU ALCUNI DIRITTI PERSONALI (che, come
detto, possono essere la libertà personale o il patrimonio).
Diverse dalle pene, sono le MISURE DI SICUREZZA : che sono un TIPO DI REAZIONE DIVERSO
DELL’ORDINAMENTO A FRONTE DI UN REATO (tant’è vero che si parla di sistema sanzinatorio a
doppio binario). È una reazione diversa perché mentre la pena è inflitta SUL PRESUPPOSTO DELLA
COLPEVOLEZZA DEL SOGGETTO, LA MISURA DI SICUREZZA E’ INFLITTA SUL PRESUPPOSTO
DELLA PERICOLOSITA’ SOCIALE DEL SOGGETTO. Quindi sono presupposti diversi. Tra l’altro pena
e misura di sicurezza POSSONO ANCHE ESSERE APPLICATE IN MODO CUMULATIVO (quindi
possono essere applicate insieme se si ritiene che il soggetto oltre ad essere colpervole sia anche socialmente
pericoloso).
Un ulteriore discorso va fatto in merito alla distinzione tra PENE PRINCIPALI E PENE ACCESSORIE. Le
prime, sono quelle indicate all’art 17 cp, e sono IRROGATE DAL GIUDICE CON SENTENZA (ergastolo,
reclusione, arresto, multa e ammenda). Le pene accessorie sono indicate all’art 19 cp, e sono pene che si
AGGIUNGONO COME ULTERIORE EFFETTO PENALE RISPETTO ALLA PENA PRINCIPALE :
consistono in MISURE DIVERSE CHE PERLOPIU’ HANNO CARATTERE INTERDITTIVO O
SOSPENSIVO : ad esempio l’interdizione da una professione o la incapacità di contrarre con una PA
( quidni sono misure che vanno a limitare l’esercizio di diritti o potestà del cittadino e quidni sono comunque
afflittive). Le pene accessorie, come quelle principali, sono PUBBLICATE CON LA SENTENZA DI
CONDANNA E SONO COMUNQUE SOTTOPOSTE AI PRINCIPI PREVISTI DALLA COSTITUZIONE
E SONO : LEGALITA’, PERSONALITA’ E FINALITA’ RIEDUCATIVA. Per quanto concerne invece le
misure di sicurezza, si tratta di MISURE DI TIPO AMMINISTRATIVO (almeno così sono qualificate dal
codice penale, sebbene a ben vedere si tratta comunque di sanzioni criminali di CARATTERE PERSONALE
O PATRIMONIALE. Come ad esempio il ricovero in una casa di cura, la libertà vigilata o la confisca ed
hanno un CARATTERE ESCLUSIVAMENTE PREVENTIVO. Quindi non c’è quel dibattito tra funzione
preventiva e punitiva, cioè tra teoria assoluta e relativa).

RAPPORTI TRA DIRITTO PENALE E GLI ALTRI RAMI DELL’ORDINAMENTO.

Sul piano formale, è semplice distinguere l’illecito penale (cioè il reato) rispetto alle altre tipologie di illecito
(quindi quello civile, amm o tribuatario), in quanto BASTA RICORRERE AL PRINCIPIO
NOMINALISTICO : E’ REATO TUTTO CIO’ CHE E’ PUNITO COME TALE. Se per un determinato fatto
non è prevista una sanzione penale quel fatto non sarà reato ma al + un illecito civile o amministrativo). Per
quanto riguarda quest’ultimo, la disciplina di riferimento è la legge 689 del 81 che riguarda il cd. DIRITTO
PUNITIVO AMMINISTRATIVO E QUINDI TRATTA DELLE SANZIONI AMM CHE SONO SOLO
PECUNIARIE. Per quanto riguarda l’illecito civile viene in rilievo poi LA SANZIONE PECUNIARIA DEL
RISARCIMENTO DEL DANNO : la precisazione che va fatta è che UNOS TESSO FATTO, NON PUO’
MAI COSTITUIRE CONTEMPORANEAMENTE ILLECITO PENALE E AMMINISTRATIVO MA
PUO’ COSTITUIRE CONTEMPORANEAMENTE UN ILLECITO CIVILE E PENALE, in questo caso,
oltre alle sanzioni penali, a quel fatto saranno applicabili anche DETERMINATE SANZIONI CIVILI (ex.
furto sia illecito penale sia illecito civile).
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RAPPORTI TRA DIRITTO PENALE E COSTITUZIONE.

La costituzione ha rappresentato il filtro attraverso cui rileggere il codice penale che fino a quel momento,
essendo risalente al 1930 manifestava la sua matrice autoritaria che quindi necessitava una rilettura. Tant’è
vero che, i principi costituzionali, sono divenuti un vero e proprio fondamento dell’intervento del diritto
penale soprattutto sotto 2 aspetti : 1) FINALITA’ DELLA PENA : perchè come afferma l’art 27 c 3 cost,
DEVE ESSERE ORIENTATA ALLA RISOCIALIZZAZIONE DEL CONDANNATO si parla di
PRINCIPIO TELEOLOGISMO RIEDUCATIVO DELLA PENA. Così come lo stesso art 27 consacra il
PRINCIPOIO DI UMANITA’ DELLA PENA E QUINDI IL CONSEGUENTE DIVIETO DELLA PENA
DI MORTE ( ecco perché la pena non deve essere lesiva della dignità umana 2) aspetto +è quello della
INTERPRETAZIONE DELLE NORME PENALI CHE DEVE ESSERE COSTITUZIONLAMENTE
ORIENTATA cioè la cost diventa FONDAMENTO DELLA INTERETAZIONE DELLE DISOSIZIONI
DEL CP.
Quindi, alla luce dell’intervento della Cost, l’intero sistema penale è stato RAZIONALIZZATO : la pena nn
è + un semplice strumento punitivo e il suo esercizio viene comunque vincolato a determinate regole quindi,
la stessa AUTORITA’ PUNITVA DELLO STATO SI AUTOLIMITA PER GARANTIRE AI CITTADINI
CHE NN SIANO POSTI IN ESSERE ARBITRI DEL POTERE ESECUTIVO O GIUDIZIARIO.
Grande importanza ha poi il principio di LEGALITA’ (vedi dopo).

STRUTTURA DEL CODICE PENALE.

Il cp risale al 1930, ed è frutto del compromesso di 2 scuole di pensiero : scuola classica e scuola positiva. La
prima, riteneva che, alla base della resp penale ci fosse il LIBERO ARBITRIO DELLA PERONA, così
come riteneva che il reato fosse UN ENTE GIURIDICO IN QUANTO FATTO CONTRARIO AL DIRITTO
E CHE LA PENA AVESSE FUNZIONE RETRIBUTIVA (rimborso per il male inflitto); mentre la scuola
positiva, riteneva che la resp penale avesse fondamento nella PERICOLOSITA’ DEL DELINQUENTE e
concepiva il DELITTO NN COME FATTO GIURIDICO MA COME UN FENOMENO NATURALE
DETERMINATO DA FATTORI PSICHICI ED EDUCATIVI (nel senso che uno è portato a delinquere dal
suo modo di pensare e dal contesto in cui vive) mentre la pena aveva solo funzione DI CORREZIONE E
RISOCIALIZZAZIONE. Quindi il codice penale è frutto di un compromesso tra queste 2 scuole e si divide
in 2 parti :
- REATO IN GENERALE : che è disciplinato dal libro 1 art da 1 a 240
- PARTE SPECIALE : che è disciplinata dal libro 2 e 3 che analizzano rispettivamente i singoli delitti e
le singole contravvenzioni.

Per quanto riguarda la prima, COMPRENDE TUTTE QUELLE NORME APPLICABILI A TUTTI I REATI
(una parte comune) e sono norme che vanno integrate con tutti i principi costituzionali. La parte generale
esplicita i CARATTERI DELLA PENA RISPETTO ALLE ALTRE SANZIONI ED ELENCA DEI
PRINCIPI CHE SONO UNICI ED OMOGENEI PER TUTTI I REATI (ad esempio il dolo, la colpa, le
scriminanti, la colpevolezza). La parte speciali prevede norme che descrive le singole fattispecie criminose :
molte delle quali sono però disciplinate da leggi speciali (che ad esempio trattano i reati di fallimento; o i
reati stradali; i reati in tema di lavoro; stupefacenti ecc).

CARATTERISTICHE E FINALITA’ DELLA PENA

La pena è la + afflittiva della sanzioni previste dal sistema giuridico (afflittiva : incide in modo + profondo
sui diritti soggettivi dei cittadini colpevoli di reato). Rientra nel genere + ampio delle sanzioni punitive come
conseguenza del fatto illecito come ad esempio le sanzioni civili e amministrative. Quindi comunque
SANZIONE ED ILLECITO SONO CONCETTI CONTIGUI NEL SENSO CHE LA SANZIONE DIPENDE
SEMPRE DA UN ILLECITO E L’ILLECITO F CONSEGUIRE SEMPRE UNA SANZIONE. La pena,
come sanzione penale quindi, si rende necessaria per la comunità, per dare certezza al diritto che, senza di
essa non sarebbe in grado di imporsi COATTIVAMENTE. In realtà + che di pena sarebbe + corretto parlare
di PENE DAL MOMENTO CHE HA FORME E MANIFESTAZIONI DIVERSE : esistono pene restrittive
della libertà personale, pene interdittive ed incapacitanti, pene pecuniarie ecc. tuttavia non sarebbe giusto
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ritiene che la pena abbia un efficacia esclusivamente ex post, perché in realtà inizia ad avere una sua
funzione già nel momento in cui viene astrattamente minacciata all’interno della norma che la dispone : si
parla di PREVENZIONE GENERALE.

CARATTERI ESSENZIALI DELLA PENA.

La prima caratteristic della pena è l’AFFLITTIVITA’ : cioè il fatto che infligge una sofferenza. Senza questa
caratteristica, come ha detto la Corte Cost, la pena nn sarebbe tale. Non tutte le sanzioni sono afflittive
(perché altrimenti sarebbero tutte pene), nel senso che esistono SANZIONI PREMIALI : che scoraggiano
determinati comportamenti PREMIANDO IL RISPETTO DELLE REGOLE.

Per quanto riguarda l’afflittività (ossia il male inflitto dalla pena), consiste NELLA PRIVAZIONE O
DIMINUZIONE DI BENI INDIVIDUALI DEL SOGG PASSIVO DELLA SANZIONE (quindi il cd. Reo) :
questi beni sono LA LIBERTA’ PERSONALE, IL PATRIMONIO ed in alcuni casi L’ELETTORATO
PASSIVO. Ad ogni modo la pena, rispetto ad altre sanzioni è l’unica in grado di incidere su un bene
costituzionalmente garantito che è quello della LIBERTA’ PERSONALE (mentre il patrimonio può anche
essere inciso da altre sanzioni come quella civile col risarcimento o la amministrativa con la multa. Sanzioni
civili o amm possono essere afflittive? In minima parte si. Perché comunque colpiscono il patrimonio che è
comunque un BENE INDIVIDUALE. La differenza però è che
nelle sanzioni NON PENALI, L’AFFLITTIVITA’ E’ UN EFFETTO COLLATERALE E NON UN
EFFETTO ESSENZIALE DELLE SANZIONI. Ad esempio : la sanzione civile, del risarcimento, ha un
effetto essenziale che non è tanto colpire il patrimonio del responsabile ma ristorare chi ha subito il danno.
Ecco perché la diminuzione del patrimonio è una CONSEGUENZA; mentre la sanzione penale ha l’effetto
essenziale ed immediato DI COLPIRE IL RESP E NON DI RESTORARE L’ALTRO anche perché questo
spesso non è possibile). Ovviamente, la logica della pena, richiede CHE AD ESSERE PUNITO DEBBA
ESSERE CHI E SOLTANTO CHI HA COMMESSO IL FATTO DI REATO. Si tratta del principio DI
PERSONALITA’ DELLA RESPONSABILITA’ PENALE CHE PUO’ ESSERE CONSIDERATO
COROLLARIO DEL CARATTERE AFFLITTIVO DELLA PENA (cioè una conseguenza : la pena deve
essere afflittiva- per essere afflittiva deve colpire necessariamente qualcuno- questo qualcuno deve essere chi
ha commesso il fatto). Questo perché una pena inflitta ad un sogg diverso SAREBBE UNA PENA
INGIUSTA E NON SOLO, AVREBBE ANCHE UN EFFETTO NEGATIVO SIA SOTTO UN PROFILO
DELLA PREVENZIONE GENERALE SIA SOTTO UN PROFILO DELLA PREVENZIONE SPECIALE .
perché ??

- Dal punto di vista della prevenzione generale sarebbe non funzionale perché una pena inflitta in modo
INDISCRIMINATO DISORIENTEREBBE I CONSOCIATI CHE NON AVREBBERO MOTIVO DI
OSSERVARE I PRECETTI PENALI; in quanto se ci fosse questo tipo di sistema e si violassero i precetti
penali potrebbe pagare per questa violazione chiunque e non precisamente chi ha commesso il reato.

- Dal punto di vista della prevenzione speciale non sarebbe funzionale perché : un condannato ad un
fatto che non ha commesso, non percepirebbe come giusta la pena (in quanto non ha commesso il fatto) e
quindi non sarà disponibile ad essere rieducato (in quanto non essendo stato lui non può capire il significato
della pena).

La seconda caratteristica è la VALENZA SIMBOLICA ESPRESSIVA : la pena, a livello simbolico


rappresenta UN GIUDIZIO DI DISAPPROVAXZIONE DEL FATTO DAL PUNTO DI VISTA SOCIALE.
questa caratteristica non è presente nella sanzione amm; questa caratteristica permette quindi di distinguere
una multa penale da una amm : entrambe SONO AFFLITTIVE (perché colpiscono il patrimonio, magari
possono anche avere lo stesso importo) ma sono DIVERSE PER IL FATTO CHE LA MULTA PENALE
GENERA QUESTO DISVALORE SOCIALE QUINDI COMPORTA UNA CENSURA (quindi cme una
DEGRADAZIONE SOCIALE DEL SOGG).

Torniamo a parlare delle TEORIE SULLE FINALITA’ DELLA PENA :

- Retributiva : è una teoria ispirata ad un’idea astratta di GIUSTIZIA. Parte da un presupposto : LA


PENA E’ ASSOLUTA QUIDNI NON HA NESSUNO SCOPO SOCIALE MA E’ SEMPLICEMENTE
UNA PUNIZIONE ORIENTATA VERSO UN FATTO PASSATO PER REALIZZARE APPUNTO, UNA
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GIUSTIZIA FINE A SE STESSA. E’ una teoria che affonda le radici in concezioni religiose. Quindi la
‘’pena per i peccati’’. Naturalmente, anche la teoria retributiva ha una VALENZA GARANTISTICA : la
pena deve comunque essere GIUSTA (per giusta s’intende una pena che corrisponda alla gravità del fatto e,
soprattutto sia applicata all’autore colpevole). Quindi anche la teoria retributiva conosce, nonostante la sua
assolutezza, PRINCIPI DI PROPORZIONE E COLPEVOLEZZA. La colpevolezza LEGITTIMA LA PENA
E LA RENDE INEVITABILE in quanto la pena risponde ad un’esigenza di giustizia ed una volta che è
accertata la colpevolezza, per quella stessa esigenza di giustizia, deve essere necessariamente applicata.
Questa stretta connessione tra teoria retributiva e colpevolezza ha finito per mandare in crisi questa
concezione xk a volte capita che un song colpevole, non meriti una pena : questo tipo di soluzione non era
concepibile secondo una concezione ristretta e poco elastica della teoria retributiva che peraltro, aveva un
altro forte limite : cioè CARATTERIZZAVA UN DIRITTO PENALE DI TIPO ETICO-MORALE : in cui la
pena finiva per avere quasi il carattere di una PUNIZIONE DIVINA, ‘’ETICA’’ PER UN PECCATO PER
REALIZZARE UN’IDEA DI GIUSTIZIA ASSOLUTA DI DERIVAZIONE RELIGIOSA. Per tutti questi
motivi è stata una teoria abbandonata anche se nn del tutto perché si sono sviluppate le cd. CORRENTI NEO
RETRIBUZIONISTICHE (soprattutto in Germania), secondo le quali : LA PENA SERVIREBBE A
SODDISFARE IL BISOGNO EMOTIVO CHE HA LA COLLETTIVITA’ DI VEDERE PUNITO CHI HA
VIOLATO LA NORMA PENALE contrastando in questo modo qualunque soggetto a voler emulare il
colpevole. Questo modo di pensare, in qualche modo distingue queste correnti dalla teoria retributiva perché
MENTRE LA TEORIA RETRIBUTIVA E’ ASSOLUTA E RICONOSCE LA PENA SOLO COME
FUNZIONE PUNITIVA, QUESTE CORRENTI NEO RETRIBUZIONISTICHE INVECE, TENDONO
VERSO DI + VERSO LA PREVENZIONE GENERALE.

- Preventiva generale : con questa teoria, la pena non è + fine a se stessa ma è UN MEZZO X UNO
SCOPO E LO SCOPO E’ EVITARE LA COMMISSIONE DI ALTRI FATTI COME QUELLO PUNITO.
Quindi la pena non deve essere gusta ma DEVE ESSERE UTILE. Per questo si parla di TEORIA
RELATIVA o UTILITARISTICA : la pena quindi deve avere un carattere DISSUASIVO PERCHE’ E’
GIUSTIFICATA NN TANTO DALLA COLPEVOLEZZA DI CHI HA COMMESSO IL REATO
QUANTO + DALLA POSSIBILITA’ CHE QUALCUN ALTRO LO COMMETTA ed evitare questo E’
L’OBBIETTIVO PRINCIPALE. Quindi, la funzione della pena non è rivolta tanto al responsabile ma a tutti
i consociati, per questo si parla di PREVENZIONE GENERALE che opera sotto 2 profili diversi : 1) profilo
negativo : DI DETERRENZA. LA MINACCIA DI UNA PENA, CHE SIA NECESSARIA
CONSEGUENZA DI UNA VIOLAZIONE, HA UNA COAZIONE PSICOLOGICA NEI CONFRONTI
DEI CONSOCIATI (cioè li dissuade dal porre in essere quella violazione) quindi il fatto di prospettare in
anticipo l’inflizione della pena, è già di per se un fattore che motiva i consociati a non comportarsi in modo
deviante. Qual è il limite di questa teoria? Innanzitutto quello per cui rende il sistema penale, un sistema
FONDATO SULLA PAURA; inoltre l’autore del reato finirebbe per essere + CHE PUNITO X IL FATTO
COMMESSO E RIEDUCAATO, STRUMENTALIZZATO X EVITARE CHE ALTRI LO FACCIANO.
Quindi un sogg finirebbe x essere punito non tanto x il fatto proprio quanto per evitare il fatto altrui (quindi
questo finirebbe per constrastare la PERSONALITA’ DELLA PENA : IN QUANTO SI VERREBBE
PUNITI NON TANTO PERCHE’ HO COMMESSO IOL FATTO QYANYO + PER DIVENTARE UN
MONITO PER GLI ALTRI. Quindi la pena non sarebbe indirizzata tanto verso il responsabile quanto +
verso tutti i consocati). Un altro limite di questa teoria è la sua eccessiva RAZIONALITA’ : cioè parte dal
presupposto che LA PENA COME PREVENZIONE POSSA FUNZIONARE PERCHE’ RIVOLTA A
CONSOCIATI TUTTI PERFETTAMENTE IN GRADO SEMPRE DI RAGIONARE SUI PROPRI
COMPORTAMENTI (cioè di fermarsi prima di delinquere proprio perché animati dalla paura razionale della
pena e quindi non tiene in conto di tutti quei reati commessi ad esempio per impeto d’ira : delitti passionali,
delitti di reazione ecc). quindi di fronte a questi comportamenti la prevenzione non ha senso in quanto sono
delitti causati in assenza di razionalità. Un altro limite di questa teoria è quello relativo alla entità della pena.
Cioè la severità della pena, inevitabilmente dipenderà non tanto dalla gravità del fatto quanto + dalla
potenzialità del rischio che altri llo facciano. Quindi si rischiano pene sproporzionate rispetto al fatto
commesso. Quindi con questa teoria (limitata a se stessa, pura e senza contaminazioni) si darebbe vita ad uno
stato di TERRORISMO REPRESSIVO, si tornerebbe allo stato della rivoluzione francese (giacobino).
Peraltro, come osservava Beccaria, uno stato molto rigoroso che impone pene severe non per forza è uno
stato in cui non si delinque. 2) profilo positivo : ha come obbiettivo, quello di valorizzare non l’efficacia
deterrente della minaccia della pena ma l’efficacia PEDAGOGICA DELLA MINACCIA DELLA PENA :
cioè, con la pena si lancia un messaggio alla collettività che non è un messaggio di paura ma è un messaggio
EDUCATIVO cioè : certe condotte non sono ammesse perché violano valori e beni giuridici che vanno
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tutelati per la pacifica convivenza. Quindi, la pena, vuole DISINCENTIVARE I CONSOCIATI A
VIOLARE LE NORME NON PER PAURA DELLE CONSEGUENZE MA PER L’EDUCAZIONE
CULTURARE CHE SI CERCA DI INTERIORIZZARE NEI CITTADINI AFFINCHE’ QUINDI
ACQUISISCANO I VALORI E I BENI TUTELATI DALLE NORME PENALI. Quindi la minaccia della
pena, rinforza la coscienza morale dei consociati (che quindi pensano : ‘’ devo seguire le regole perché devo
rispettare determinati valori e anche perché se non lo faccio vengo punito’’). Quindi è chiaro che una pena
che abbia una funzione educativa deve essere + che mai credibile quindi la minaccia legale della pena deve
poi CONFERMARSI NELLA SUA SISTEMATICA APPLICAZIONE. Ovviamente, la prevenzione
generale positiva ha altri effetti sui consociati : ad esempio applicare la pena al colpevole, comporta anche
una maggiore FIDUCIA DEI CONSOCIATI NELLA TENUTA DELL’ORDINAMENTO E PER DI + IN
QUALCHE MODO, CREA ANCHE UN EFFETTO DI TRANQUILLITA’ SOCIALE PERCHE’ IN
QUALCHE MODO I CONSOCIATI SI SENTONO PROTETT DALL’EFFICIENZA DL SISTEMA
PENALE; ma anche sotto questo aspetto positivo, questa teoria finisce per mettere troppo in secondo piano
l’autore, in quale + che sogg colpevole da rieducare diventa mezzo per proseguire uno scopo nei confronti di
altri. Quindi in altri termini : il profilo positivo della prevenzione generale, supera solamente in parte le
criticità del versante negativo della stessa teoria.

- Preventiva speciale : con questo tipo di prevenzione si va a risolvere la principale problematica comune
ai diversi profili della prevenzione generale cioè ci si FOCALIZZA SULL’AUTORE DEL REATO,
PERTANTO, LA PENA, HA LA FINALITA’ FONDAMENTALE DI EVITARE CHE L’AUTORE DEL
REATO DELINQUA NUOVAMENTE. E’ una lettura del tutto opposta alla teoria retributiva (la pena si
applica al reo non COSI’ IMPARA MA AFFINCHE’ IMPARI QUINDI E’ RIVOLTA AL FUTURO
COME INSEGNAMENTO E NN AL PASSATO COME PUNIZIONE anche se questo già accadeva con la
prevenzione generale). La teoria risale a fine 800 grazie al contributo di Fran Von Listz il quale, può
ritenersi il fondatore della POLITICA CRIMINALE MODERNA ed aveva individuato una duplice natura
della pena : NATURA COERCITIVA DIRETTA (che si risolve nell’intimidazione) e una natura coercitiva
diretta che si realizza con la punizione. Grazie all’insegnamento di Von List, ancora oggi si distinguono 3
diversi MODUS OPERANDI della prevenzione speciale : 1) NEUTRALIZZAZIONE : la neutralizzazione è
la prima tecnica di prevenzione speciale. E consiste nel PORRE QUALCUNO NELLA CODNZIOONI
MATERIALI E GIURIDICHE DI NN POTER + DELINQUERE. Quindi ad esempio, carcerandolo o
privandolo della possibilità di candidarsi ecc. Non opera questa tecnica per REINTEGRARE IL DEVIANTE
MA PER LIMITARLO ED EMARGINARLO 2) INTIMIDAZIONE : OPERA COME COAZIONE
PSICOLOGICA PER DISTOGLIERE IL CONDANNATO A COMMETETERE IN FUTURO ALTRI
DELITTI SULLA BASE DELL’ESPERIENZA DRAMMATICITA’ DELLA PENA GIA’ SCONTATA
(questo era un po' come la prevenzione generale negativa con riferimento però a tutti i consociati) 3)
RISOCIALIZZAZIONE : che è l’unica tecnica di prevenzione speciale imposta dalla cost, art 27 comma 3.
Per risocializzare s’intende recuperare socialmente l’autore di un fatto penale. Ed è la tecnica che meglio
corrisponde all’ESIGENZE DELLO STATO SOCIALE : IL QUALE NN DEVE EMARGINARE IL
CONDANNATO MA TENTARE DI RIPROMUOVERLO NELLA SOCIATA’ ANCHE X RISPETTARE
IL PRINCIPIO SOLIDARISTICO DELL’ART 2 DELLA COST. Le prime 2 a carattere NEGATIVO
l’ultima a carattere POSITIVO.

La teoria della prevenzione speciale, anche nella sua versione positiva ha subito nondimeno molte critiche :
ad esempio la stessa tecnica della risocializzazione può portare ad applicazioni distorte perché, in astratto,
legittimerebbe anche una PENA DETENTIVA INFINITA (cioè che duri fino a quando un sogg, non sia
risocializzabile, il che può anche nn accadere mai). Il fatto quindi che la pena sia strumentale ad u fine da
perseguire (cioè la risocializzazione), finchè questo fine non sia perseguito la pena può astrattamente durare
in eterno. Inoltre, sempre x risocializzare un soggetto pericoloso si potrebbe arrivare a giustificare anche un
trattamento contrario alla DIGNITA’ UMANA : ad esempio la neurochirurgia, la manipolazione della
personalità, somministrazione forzata di farmaci.

Il rischio generale è quello di una DERIVA AUTORITARIA DEL SISTEMA POICHE’, COME E’ STATO
OSSERVATO, QUESTA PROSPETTIVA DI RIEDUCARE UN SOGGETTO IN MODO COATTIVO,
MEGLIO SI SPOSA CON UNO STATO AUTORITARIO. D’altra parte, potrebbero esistere anche
individui che, pur avendo delinquito, nn hanno bisogno di essere risocializzati : ad esempio, il soggetto che
ha compiuto un reato colposo come un omicidio stradale, non è un soggetto che necessita di essere

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risocializzato perché LE CONSEGUENZE DELLA SUA AZIONE NON ERANO VOLUTE ne tantomeno
si può dire che siano soggetti, per cui c’è il rischio di recidiva.

Inoltre c’è da dire che il MITO DELLA RISOCIALIZZAZIONE E’ ENTRATO IN CRISI DA TEMPO,
siprattutto con rifierimento allo scetticismo sulla sua EFFICIENZA : a livello internazionale, già dagli anni
70, è stato messo in discussione l’ammissibilità di un sistema del genere (cioè quello special preventivo)
anche xk il bilancio sul funzionamento di questo tipo di modello non ha dato risultati ‘’ esaltanti’’. In pratica
non c’è nessuna verifica empirica che DIMOSTRI CHE LA PENA SIA EFFICACE EFFETTIVAMENTE
NELL’OTTICA DELLA PREVENZIONE SPECIALE. Cioè non è dimostrato in nessun modo che un sogg,
a seguito di condanna, effettivamente riesca a risocializzarsi. Tant’e che si è detto che la special prevenzione,
è una delle grandi promesse nn mantenute della modernità ed anzi si considera che : SEMPRE +
L’ISTITUTO DEL CARCERE CONTINUI AD ESSERE UN LUOGO NON DI RISOCIALIZZAZIONE
MA PIUTTOSTO DI CONTAGIO CRIMINALE E QUIDNI DI DE-SOCIALIZZAZIONE OLTRE CHE
SOFFERENZA ED EMARGINAZIONE.

- Eclettica : che cerca di sintetizzar i 3 orientamenti. È anche detta teoria SINCRETICA. Si propone di
combinare in diversi modi i diversi approcci teorici al concetto di pena per superarne i limiti e le
contraddizioni. Soprattutto in virtù del fatto che i moderni sistemi penali ritengono che l’approccio alla pena
sia di TIPO MULTIDIMENSIONALE (quindi ‘’ non rigido’’). In altri termini, in un sistema penale moderno
si fa fatica ad applicare delle teorie così assolute.

PRINCIPIO DI UMANITA’ DELLA PENA.

Art 27 c 3 della cost (che è lo stesso della rieducazione) : ‘’ le pene non possono consistere in trattamenti
contrrari al senso di umanita’, e devono tendere alla rieducazione del condannato’’. Il primo periodo della
disposizione riconosce questo principio che trova riscontro sia nella LEGISLAZIONE INTERNA CHE NEI
TRATTATI INTERNAZIONALI come nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo del 48, la
CEDU del 1950 ecc. questo principio opera come LIMITW ESTENRO ALL’AFFLITTIVITA’ DELLA
PENA, precludendo al leg, di imporne alcune pene che contrastino col senso di umanità per come è avvertito
IN UN CERTO CONTESTO STORICO E SOCIO CULTURALE (ad esempio si pensi alle pene corporali
che ormai appartengono al diritto penale del passato) . la Corte cost ritiene contrarie al senso di umanità le
pene che non tendono ad alcuna finalità rieducativa e qui veniamo al secondo principio che si ricava dal
secondo periodo dello stesso art : PRINCIPIO DEL FINALISMO RIEDUCATIVO DELLA PENA. Sono 2
principi strettamente connessi in quanto una pena non rieducativa, ipso facto è una pena non umana ma è una
PENA DEGRADANTE. Quindi pena CHE VIOLA LA DIGNITA’ COME DIRITTO INVIOLABIL
DELLA PERSONA. Il principio del finalismo rieducativo è un principio di efficacia immediata (quindi non
un principio programmatico) e quindi NON PUO’ ESSERE VIOLATO IN NESSUN MODO PERCHE’ LA
RIEDUCAZIONE E’ UNO SCOPO IRRINUNCIABILE DEL DIRITTO PENALE. Legame con
colpevolezza vedi dopo.
Per un quarto di secolo tuttavia, si è data una lettura minimalista a questa norma : cioè si è considerato che la
finalità rieducativa della pena ha rilievo soltanto nella fase della SUA ESECUZIONE E NON ANCHE
PRIMA QUINDI GIA’ DAL MOMENTO DELLA SUA (messa nella norma penale) PREVISIONE
ASTRATTA O NEL MOMENTO DELLA SUA APPLICAZIONE (con sentenza).
Cosa significa concretamente rieducazione eperchè la cost ne parla solo come OBBIETTIVO DI ‘’
TENDENZA’’?
Innanzitutto la rieducazione non corrisponde alla ‘’ EMENDA’’ CIOE’ ALLA REDENZIONE MORALE
DEL CONDANNATO (cioè il fatto che un sogg condannato sia malvato e debba tornare ad essere buono.
Quindi la pena non deve essere la cd. ‘’ medicina dell’anima’’ di platone, soprattutto nel nostro ordinanento
laico in cui lo stato non si interessa della coscienza dei cittadini). La rieducaizone va piuttosto ricercata nella
RISOCIALIZZAZIONE CIOE’ UN’ATTIVITA’ DI RECUPERO SOCIALE E DI REINTEGRAZIONE
DEL REO VOLTA A FARGLI RIACQUISIRE I VALORI BASILARI DELLA CONVIVENZA CIVILE
CON PARTICOLARE RIFERIMENTO A QUEI VALORI CHE LUI STESSO HA VIOLATO
MOSTRANDONE OSTILITA’ ED INDIFFERENZA.

La pena, attraverso la rieducazione acquisisce sicuramente una valenza eitca xk rappresenta una chance di
reinserimento sociale dl reo ed in questo quindi garantirebbe un qualcosa in + rispetto a quello che offrirebbe
in un sistema di GENERAL PREVENZIONE. Inoltre il finalismo rieducativo dimostra che lo stato non
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considera il condannato come un semplice strumento per intimidire i consociati. Ovviamente nel nostro
ordimanento la rieducazione è possibile come obbiettivo solo se si rispettano altri principi come quelli di
METERIALITA’ E COLPEVOLEZZA : VA RISOCIALIZZATO SOLO CHI E’ COLPEVOLE CIOE’ CHI
HA COMMESSO MATERIALMENTE E COLPEVOLMENTE UN FATTO DI REATO SECONDO
ANCHE IL PRINCIPIO DI PROPORZIONE (vedi dopo) e sempre OVVIAMENTE NEI LIMITI DEL
PRINCIPIO DI UMANITA’ RICORDANDO CHE UNA PENA RIEDUCATIVA NN PER FORZA E’
UNA PENA UMANA : il che implica che il principio di umanita’ rappresenta sempre un argine contro le
possibili degenerazioni del finalismo educativo.

Quanto al secondo quesito (perché si parla di obbiettivo di tendenza), il termine ‘’ tendere a’’ non deve
essere mal interpretato come un segnale cioè che si tratta di un principio derogabile (quello ddella
rieducazione). La ragione di questo tipo di costruzione della frase, è dovuta al fatto che la RIEDUCAZIONE
NN PUO’ ESSERE IMPOSTA AL CONDANNATO MA VA PROPOSTA : UNA PROPOSTA
RIEDUCATIVA CHE IL CONDANNATO PUO’ SEMPRE NON ACCETTARE RESTANDO ‘’
AVVERSO’’ (CONTRARIO) AI VALORI DELLA CONVIVENZA CIVILE CHE HA VIOLATO. Questo
è il significato del verbo tendere di cui all’art 27 c 3.

PRINCIPIO DI PROPORZIONE

E’ un corollario del finalismo rieducativo della pena e in quanto tale ha rilevanza costituzionale ed è stato
anche accolto dalla CGUE. Si tratta di un principio che opera come criterio GUIDA X IL LEG nel momento
della posizione delle norme incriminatrici : cioè nella fase di PREDETERMINAZIONE DI SPECIES E
QUANTUM DELLA PENA PER UN REATO in quanto la risposta sanzionatoria già in astratto deve essere
parametrata AL GRADO DI DISVALORE DEL FATTO A CUI E’ COLLEGATA, fermo restando che sarà
il giudice ad individuare la pena nel concreto (però sempre nei margini di quanto stabilito dal leg cd.
EDITTALE). Del resto, per logica, se una pena è in astratto proporzionata al reato nn potrà non esserlo al
momento della sua APPLICAZIONE IN CONCRETO. Al giudice non resterà altro che : qualora nn ci fosse
invece questa proporzione, sollevare QUESTIONE DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE. E’ già
successo nel 99 con il reato a pubblico ufficiale : prevedeva una pena minima di 6 mesi, il giudice ha
sollevato questa questione (in quanto riteneva che la pena fosse troppo elevata rispetto al reato) ed il reato è
stato abrogato. Ovviamente il principio di proporzione è connesso a quello di colpevolezza, almeno nella
fase di APPLICAZIONE CONCRETA DELLA PENA (cioè un giudice, quando applica la pena, per
decidere la misura della pena tra il minimo e il massimo deve soprattutto tener conto del grado di
colpevolezza ). Questo trattamento tra proporzione e colpevolezza NON RIGUARDA IL LEGISLATORE
CHE INVECE VALUTA IN ASTRATTO. L’esistenza del principio di proporzione, porta a ritenere
COSTITUZIONAMENTE ILLEGITTIME LE PENE CHE PRODUCONO DANNI ALL’INDIIVUDO,
SPROPORZIONALEMNTE MAGGIORI DEI VANTAGGI OTTENUTI IN TERMINI ‘’ DI TUTELA DEI
VALORI OFFESI’’ DAL REATO. Quindi se c’è una sproporzione tra la pena minacciata o applicata al sogg
e il disvalore dell’illecito si viola l’art 27 c 3 della Cost perché UNA PENA SPROPORZIONATA,
AVVERTITA DAL CONDANNATO COME INGIUSTA FA VANIR MENO LA SUA DISPONIBILITA’
AD ACCETTARE LA RIEDUCAZIONE; ED ANCHE SU UN PIANO DI GENERAL
PREVENZIONE,LA MINACCIA D UNA PENA ECCESSIVAMENTE SEVERE SUSCITA + CHE UN
ADEGUAMENTO ADDIRITTURA DEI SENTIMENTI DI RIBELLIONE (ciò è stato osservato proprio da
un punto di vista sociologico).

La finalità della pena poi, si declina in modo diverso in base alla FASE DI ESISTENZA DELLA PENA
STESSA, cioè :

- Al momento della previsione di legge, la pena è solo minacciata in astratto quindi chiaramente non ha
nessun effetto nei confronti di un colpevole che ancora non c’è e quindi, in quel momento non potrà che
rivolgersi a tutti i destinatari con finalità DETERRENTE (quindi simile alla general preventiva). Anche in
questa fase naturalmente, il leg, dovrà determinare la pena in modo da rispettare l’art 27 c 3 (cioè
innanzitutto compatibilmente al principio di umanità e facendo in modo che UNA VOLTA APPLICATA,
POSSA AVERE UNA FUNZIONE RIEDUCATIVA). Quindi sarebbe incostituzionale una norma
incriminatrice he preveda una pena che A PRIORI ESCLUDA QUALUNQUE CAPACITA’ DI
PREVENZIONE SPECIALE. Questo xk il principio del finalismo rieducativo non ha una funzione solo nella

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FASE DI ESECUZIONE DELLA PENA MA SI APPLICA LUNGO TUTTO L’ITER DELLA SUA
ESISTENZA

- Nella fase di applicazione della pena, il giudice stabilisce nel concreto, in base al colpevole e al reato,
species e quantum. Anche in questo caso il giudice deve sempre scegliere l pena + adatta in base al finalismo
rieducativo e non solo, dovra ATTENERSI (come a già fatto il leg) AL PRINCIPIO DI PROPORZIONE ED
IN + ANCHE AL PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA. Nessun valore ha invece in questa fase, la
prevenzione GENERALE (quindi la funzione deterrente). Cioè il condannato, non DEVE MAI ESSERE
STRUMENTALIZZATO X DISINCENTIVARE GLI ALTRI XK CIO’ CONTRASTEREBBE ANCHE
CON UN ALTRO PRINCIPIO COST CHE E’ QUELLO DELLA PERSONALITA’ DELLA
RESPONSABILITA’ PENALE art 27 c 1.

- Nella fase di esecuzione il finalismo rieducativo ha u ruolo di PRIMO PIANO XK SI PONE IL


PROBLEMA DI COME GESTIRE IL TRATTAMENTO NEI CONFRONTI DEL CONDANNATO
AFFINCHE’ NON TORNI A DELINQUERE. La fase della esecuzione da anche spazio alla general
prevenzione, perché, su un piano comunque positivo, l’esecuzione della pena serve anche per AVALLARE
LA SERIETA’ E LA CREDIBILITA’ DEL SISTEMA PENALE.

I PRINCIPI

Il notro ordinamento penale è improntato ad una serie di principi con i quali il giurista deve necessariamente
fare raffronto x interpetare tutte le norme penali. Principi che in particolare sono i principi costituzionai che
hanno in qualche modo orientato il diritto penale (che aveva una matrice storica diversa in quanto risale al
1930 e quindi ad un contesto autoritario). Quando si parla di principi di diritto penale ed in generale di
PRINCIPI DI POLITICA CRIMINALE SI POSSONO ELABORARE DIVERSE CLASSIFICAZIONI,
QUELLA FONDAMENTALE E’ QUELLA TRA PRINCIPI FONDAMENTALI E PRINCIPI
REGOLATIVI : i primi, che sono perlopiù d rango costituzionale, SONO SOVRAORDINATI AL DIRITTO
PENALE CHE DEVE LEGITTIMARSI RISPETTANDOLI. I secondi sono principi che SI RICASVANO
DAL DIRITTO PENALE, sulla base delle norme che il diritto penale stesso pone (come il principio di
causalità). I principi fondamentali rendono obbligatorie le GARANZIE INDIVIDUALI (quindi determinati
DIRITTI FONDAMENTALI : come ad esempio il giusto processo, il diritto alla difesa, la presunzione di
non colpevolezza, la irretroattività delle norme penali ecc); mentre i 2 in realtà sono ‘’ neutrali’’ e + che altro
SERVONO A SODDISFARE ESIGENZE DI REPREESSIONE (come quella di prevenzione del reato e di
efficienza dell’ordinamento penale).

Naturalmente i principi regolativi devono sempre essere interpretati ed adattati sulla base dei principi
fondamentali e mai il contrario. Ovviamente anche le norme penali possono essere messe in discussione dai
giudici che le applicano i quali però, come unico strumento, hanno quello del RICORSO ALLA CORTE
COST PER DICHIARARE LA INCOSTITUZIONALITA’ DI QUESTE LEGGI, tutto ciò nel rispetto del
princpio della DIVISINE DEI POTERI : NEL SENSO CHE IL GIUDICE NN UO’ SEMP’LICEMENTE
DISAPPLICARE QUELLA LEGGE O CANCELLARLA O CREARNE UNA DIVERSA MA PUO’ O
APPLICARE LA LEGGE ESISTENTE O RICORRERE ALLA CORTE COST QUALORA RITENGA
CHE VIOLI LA COST.

Unaltra distinzione comune e quella tra PRINCIPI E REGOLE : I PRINCIPI si applicano in modo
GENERICO TRAMITE LE REGOLE E QUESTE ULTIME HANNO LA FUNZIONE DI APPLICARE AL
CASO CONCRETO I PRINCIPI. Quindi le regole OTTIMIZZANO i principi nel senso che ESSENDO
QUESTI SONO APPLICABILI IN UNA SCALA DA UN MINIMO AD UN MASSIMO E IL COMPITO
DELLE REGOLE RISIEDE NEL FATTO DI RICERCARE QUESTA MISURA quindi in un certo senos
sono delle ‘’approssimazioni (le regole) dei principi.

Unaltra distinzione che però si fa solo nei principi fondamentali è quella tra PRINCIPI DIMOSTRATVI E
PRINCIPI ARGOMENTATIVI: I PRIMI HANNO NATURA NORMATIVA CIOE’ FORZA DI LEGGR E
VINCOLANO IL LEG PER LE FATTISPECIE DI REATO E L’INTERPRETETE NELL’APPLICAZIONE
E COSTITUISCONO PRESUPPOSTO SE NON RISPETTATI DAL LEG PER IL RICORSO ALLA
CORTE COST. I PRINCIPI ARGOMENTATIVI SONO SOLO PRINCIPI CHE ORIENTANO LE SCETE
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DEL LEG MA NON LO VINCOLANO, secondo alcuni sarebbe argomentativo il principio della extrema
ratio.

Vediamo quali sono i principi cost in materia penale :

- PRINCIPIO DI LEGALITA’ art 25 c 2


- Principi della RESP INDIVIDUALE (che sarebbe + giusto chimare PRINCIPIO DI RESP PER
FATTO PROPRIO COLPEVOLE quindi ha in se anche il principio di colpevolezza) art 27 c 1.
- FINALISMO RIEDUCATIVO 27 c 3
- OFFENSIVITA’ (anche detto necessaria lesività) questo si ricava a livello interpetativo e nn da un art
- PRINCIPIO IN DUBBIO PRO LIBERTATE

- PRINCIPIO NEMU TENETUR SE DETEGERE


TRA QUESTI PRINCIPI ve ne sono alcuni di carattere FONDANTE : cioè che definiscono proprio la
struttura della resp penale (come ad esempio il principio della resp per fatto proprio e colpevole; ve ne sono
altri che sono DELIMITATIVI : cioè che si limitano a porre limiti e confini all’intervento penale (come ad
esempio il principio di legalità). Infine in cost vi sono anche DELLE REGOLE E NN PRINCIPI CHE
PERMETTONO DI DARE DIRETTA APPLICAZIONE A QUESTI : ad esempio il divieto di retroattività è
una regola APPLICATIVA del principio di legalità. Come ultima annotazione c’è da sottolineare che oltre a
principi e regole, dalla Cost derivano anche CARATTERI DEL DIRITTO PENALE : cioè dei connotati
particolari :

- Laicità
- Effettività
- Frammentarietà
- Extrema ratio (nb : per alcuni questo è un principio argomentativo e non un carattere).

PRINCIPIO DI LEGALITA’

Che si può tradurre nel brocardo latino ‘’ nullum crimen, nulla poena sine praevia lege scripta’’ (nessun
crimine nessuna pena senza una precedente legge scritta). Il principio di legalità che è sancito dall’art 25 c 2,
stabilisce che NESSUNO PUO’ ESSERE PUNITO SE NON IN VIRTU’ DI UN REATO PREVISTO DA
UNA LEGGE ENTRAT IN VIGORE PRIMA DELLA COMMISSIONE DEL FATTO DI REATO. Si tratta
di un’affermazione ideologica che limita l’arbitrio dei poteri pubblici, poiché lo Stato, non può intevenire in
modo punitivo se non in forza di una legge. Ma è anche un’affermazione tecnico giuridica : nel senso che
l’ILLICITA’ PENALE DI UN DATO COMPORTAMENTO DEVE ESSERE PERCEPITA DAI
CONSOCIATI IN MODO CHIIARO E PRECISO (in altre parole, la legge che preve il reato DEVE
ESSERE FORMULATA IN MODO MOLTO CHIARO, PER POTER ORIENTARE CORRETTAMENTE I
CITTADINI ED IN MODO TALE ANCHE CHE IL GIUDICE ABBIA UN MARGINE DI
INTERPRETAZIONE IL + RISTRETTO POSSBILE : perché + una legge è chiara meno sarà soggetta ad
interpretazioni arbitrarie). Quindi, questa doppia valenza IDEOLOGICA E TECNICA DELLA
LEGALITA’, HANNO IN COMUNE IL COLLEGAMENTO CON LA ESIGENZA DELLA CERTEZZA
DEL DIRITTO. La legalità è quindi deve assicurare una corretta informazione ai cittadini sul confine di ciò
che è lecito e ciò che non lo è e, d’altro canto, permette anche di attuare il principio di uguaglianza :
POICHE’ SE UN FATTO E’ PREVISTO COEM REATO CHIUNQUE LO PONGA IN ESSERE E’
RESPONSABILE salvo scriminanti e scusanti.

L’emersione del principio di legalità risale all’illuminismo, quando venne formulato nella
DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELL’UOMO DEL 1789 nell’art 8, nel quale già si leggeva che
NESSUNO PUO’ ESSERE PUNITO SE NON IN VIRTU’ DI UNA LEGGE STABIITA E
PROMULGATA PRIMA DEL REATO : principio che is ritrova anche nella CEDU. Peraltro sin dalla sua
origine, il principio di legalità è stato strettamente collegato a quello di divisione dei poteri : perché la
legalità ESPRIME L’ESIGENZA CHE IL POTERE DI ISTITUIRE NUOVI REATI SIA SOLO DEL LEG
E MAI DELL’ESECUTIVO O DEL POTERE GIUDIZIARIO. Ciò dimostra la connessione tra PRINCIPIO
DI LEGALITA’ E RISERVA DI LEGGE. Naturalmente, questa riserva di potere al parlamento, diviene
ancora di + garanzia per il cittadino nel moderno stato democratico in cui, quello stesso parlamento che
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istituisce i rreati viene eletto dai cittadini stessi che quindi indirettamente, sono RAPPRESENTATI DA CHI
ISTITUISCE I REATI. La legalità quiidni, rappresenta nel nostro sistema cost un limite sia AL
LEGISLATORE SIA AL GIUDICE, limite che ha RILEVANZA COSTITUZIONALE.

La legalità quindi in qualche modo ha INNANZITUTTO UN SIGNIFICATO DI LEBERTA’ DEI


CITTADINI DAL DIRITTO PENALE : NEL SENSO CHE LA LEGALITA’ GARANTISCE I CITTADINI
cioè :INNANZITUTTO CHE LA FONTE DELLA INCRIMINAZIONE SIA SOLO LA LEGGE (quidni
riserva di legge come prima regola fondamentale che deriva dalla legalità); CHE I DELITTI E LE PENE
SIANO DESCRITTI IN MODO PRECISO (questa è la seconda regola che dervia dal principio) che è quindi
la TASSATIVITA’; l’applicazione della legge penale NON PUO’ ESSERE RETROATTIVA E QUI SI HA
LA 3 REGOLA CHE E’ IL DIVIETO DI RETROATTIVITA’ DELLA LEGGE PENALE. Queste sono le 3
regole applicative del principio di legalita’ anche dette SOTTOPRINCIPI DELLA LEGALITA’.

Esaminiamo i 3 sottoprincipi :

- RISERVA DI LEGGE : si tratta del profilo + intuitivo connesso al principio di legalità quindi il
sottoprincipio che si ricava in maniera + immediata. Tramite la riserva di legge quindi si stabilisce che
l’UNICA FONTE LEGITTIMATA A CREARE NORME INCRIMINATRICI SIA LA LEGGE con ciò
escludendo le fonti diverse dalla legge (quindi regolamenti, leggi reegionali ) e le fonti di fatto (consuetudini
o le sentenze del giudice). Il principio di riserva di legge è introdotto in costituzione dall’art 25 c 2 (che poi è
lo stesso a cui si rincoduce il sotto principio di IRRETROATIVITA’ ) in quanto lart afferma che ‘’ nessuno
può essere punito che (vuol dire se non ) in virtù di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto
connesso’’ ecco, quel riferimento ad UNA LEGGE (CHE SI INTEREPTA COME LEGGE ORDINARIA
altrimenti si potrebbe parlare anche di legge regionale) è quello da cui scaturisdce questo sotto principio
escludendo quidni il potere esecutivo e giudiziario dalla facoltà di INTRODURRE DELITTI E PENE. A
questo proposito si dice che il PRINCIPIO DELLA RISERVA DI LEGGE RISPETTA A PIENI IL
PRINCIPIO DELLA DIVISIONE DEI POTERI : RIMETTENDO AL PARLAMENTO IL RUOLO
ESCLUSIVO SULLE SCELTE DI CRIMINALIZZAZIONE PERCHE’ IL PARLAMENTO, CHE
RAPPRESENTA I CITTADINI E’ L’UNICO ORGANO CHE PUO’ DARE LEGITTIMAZIONE
DEMOCRATICA A DELLE NORME (COME QUELLE INCRIMINATRICI) CHE VANNO A
LIMITARE LA LIBERTA’ PERSONALE DEL REO. D’altra parte, questo articolo riflette anche il principio
della divisione dei poteri xk relega il giudice ad un ruolo ESCUSIVAMNETE TECNICO ( cioè il giudice
penale non può crear un reato nuovo ma può solo applicare LA NORMA PENALE AL CASO CONCRETO.
Per quanto poi riguarda la Corte Cost, avrà il POTERE DI ELIMINARE LE NORME PENALI CHE
DOVESSERO RISULTATE CONTRASTANTI CON LA COST. Quindi la garanzia che è riconosciuta
dall’art 25 c 2 riguarda anzitutto la scelta dell’organo esclusivo che può creare norme penali (parlamento) ed
il procedimento con cui tali norme si possono creare CHE E’ OVVIAMENTE IL PROCEDIMENTO
LEGISLATIVO (quello decritto dalla stessa cost dagli art 70 e ss) che è quello che garantisce LA
MAGGIORE PARTECIPAZIONE DEMOCRATICA POSSIBILE ALLE SCELTE DI INCIRMINAZIONE
(perché ovviamente viene coinvolta anche l’imposizione sicchè tutti i cittadini sono rappresentati nella
creazione di queste norme). Il principio di riserva di legge NON HA UN VALORE SEMPLICEMENTE
SIMBOLICO E FORMALE MA HA UN ASPETTO SOSTANZIALE CIOE’ : NN E’ SOLO UN
PRINCIPIO CHE LIMITA IL LEG MA E’ UN PRINCIPIO HE DIVENTA CARDINE DELLE
POLITICHE DI INCIRMINAZIONE ED HA DELLE CONSEGUENZE IMPORTANTI SOPRATTUTTO
PERCHE’ : SE E’ VERO CHE AìLA LEGGE E SOLO LA LEGGE PUO’ INTRODURRE DEI REATI, E’
ANCHE VERO CHE QUELLA STESSA LEGGE PUO’ BEN ESSERE ELIMINATA DALLA CORTE
COST, INOLTRE, ESSNEDO LA RISERVA DI LEGGE UN PRINCIPIO COST NON PUO’ ESSERE
DEROGATO SE NON MODIFICANDO LA COSTITUZIONE STESSA.

Ci sono diversi problemi sollevati dalla riserva di legge :

1. Che cosa si intende x legge (quali sono li atti che in cocnreto possono introdurre reati) : è evidente che,
per assurdo, la riserva di legge sarebbe rispettata se ad introdurre un reato fosse la costituzione, le leggi di
revisione cost, o le leggi cost (le prime cambiano la cost, le seconde la integrano). Aldilà di queste ipotesi
(NB : la cost prevede sono solo 2 forme di reati cioè quelle del PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
CIOE’ ALTO TRADIMENTO ED ATTENTATO) per legge si intende LEGGE IN SENSO FORMALE
QUINDI QUELLA CHE SI FORMA SEGUENDO L’ITER PREVISTO DAGLI ART 70 FINO AL 74. Ma
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che cosa succede per le leggi in senso MATERIALE? (cioè PER GLI ATTI AVENTI FORZA DI LEGGE
MA NN SONO LEGGI ) : DECRETI LEGGE,, DECRETI LEGISLATIVI , DECRETI GOVERNATIVI IN
TEMPO DI GUERRA E LEGGI REGIONALI.

- DECRETI LEGISLATIVI : sono quelli che sono delegati da una legge (quindi siamo nella ipotesi in
cui ad esempio, ci sia una legge delega che dica ‘’ ci sarà un decreto legislativo, emanato dal governo, che
introdurrà un reato che ancora non esiste’’. I decreti legislativi per norma cost SONO DELEGATI DAL
PARLAMENTO AL GOVERNO PER UN TEMPO LIMITATO E PER UN OGGETTO DEFINITO ED
HANNO VALORE DI LEGGE (ovviamente sono atti che, avendo forza di legge, sono sindacabile dalla
corte cost anche detta consulta). Secondo la dottrina, questo tipo di atti non sarebbero idonei a creare norme
incriminatrici e quindi nn rispetterebbero la riserva di legge. PERCHE’ POTREBBE BEN SUCCEDERE
CHE IL GOVERNO (come successo in passato) ECCEDA LA DELEGA (cioè vada oltre i confini di quanto
delegato dalla legge-delega): ad esempio la legge delega prevedeva che il decreto creasse un reato ed invece
il decreto ne introduce 2. Sicuramente ci potrebbe essere il sindacato della Corte Cost il problema però è che
fino al giorno della pronuncia quell’atto SAREBBE COMUNQUE VALIDO ED EFFICACE
NONOSTANTE SIA UN ATTO ILEGITTIMO GIA’ A LIVELLO FORMALE (cioè non dal punto di vista
contenutistico perché per riprendere l’esempio di prima con quell’atto il governo avrebbe potuto introdurre
di 2 reati giusti ma ha comunque ecceduto rispetto quanto gli fosse stato delegato. ) NB : il decreto elgge non
ha bisogno di conversione perché ritrae legittimazione dalla legge delega ecco perché è presente questo
rischio eccesso di delega.

- DECRETI LEGGE : sono provv del governo emanati in casi di necessità ed urgenza, che vanno
convertiti in legge entro 60gg altrimenti decadono ex tunc ‘’ come se non fossero mai esistiti ‘’ ‘’ tanquam
non esset’’. Anche in questo caso, la dottrina ritiene che non siano atti idonei ad introdurre nuovi reati perché
se nell’arco di quei giorni (in cui il decreto e valido ed efficace) qualcuno dovesse compiere il reato previsto
dal decreto legge e questo non venisse convertito, il reo sarebbe punito o comunque indagato per un reato poi
rivelatosi inesistente. Cioè la cancellazione del decreto legge non converito non compenserebbe
quell’ingiusta privazione della libertà o quell’ingiusta sottoposizione alle indagini. Per di + la dotteina non
veede di buon occhio l’introduzione di reati con decreto legge SOPRATTUTTO PER L’USO DISTORTO
CHE DI QUESTO STRUMENTO SI E’ FATTO NEGLI ULTIMI ANNI, SOPRATTUTTO CON IL
FENOMENO DELLA REITERAZIONE DEL DECRETO LEGGE CHE SI HA QUANDO UNO STESSO
DECRETO NON CONVERITO VIENE RIPROPOSTO TALE E QUALE PER AGGIRARE IL LUNGO
PROCEDIMENTO DI VONVERSIONE E RESTARE COSI’ FACENDO IN VIGORE.

- Decreti governativi in tempo di guerra . SONO ATTI AAVENTI FORZA DI LEGGE DISPOSTI DAL
GOV IN CIRROCSTANZE ECCEZIONALI COME QUELLE DEI PERIODI BELLICI. Situazioni in cui al
governo vengono conferiti i cd. POTERI NECESSARI PER FRONTEGGIARE APPUNTO LO STATO DI
GUERRA. E’ chiaro che questi poteri necessari non devono in alcun modo legittimare una DELEGA IN
BIANCO AL GOVERN E QUINDI TRA QUESTI POTERI NECESSARI LA DOTTRINA NN FA
RIENTRARE IL POTERE DI INTRODURRE NUOVI REATI.

- Leggi regionali : qui si ha una pronuncia della corte cost del 1989 che ha ESCLUSO LA
POSSIBILIT’A PER LE REGIONI DI INTRODURRE REWTI ANCHE PERCHE’ POI, LA RIFORMA
DEL 2001, che ha appunto attributo le competenze legislative a Stato- Regioni ha attribuito al 1, la
COMPETENZA ESCLUSIVA IN MATERIA PENALE. Tuttavi la stessa corte cost ha ppoi precisato che la
LEGGE REGIONALE NN PUO’ INTRODURRE REATI MA PUO’ CONCORRERE A PREISARNE I
PRESUPPOSTI CIOE’ PUO’ CONCORRERE A DETERNINARE GLI ELEMENTI DI UN REATO : è ben
possibile che un reato ad esempio norma statale che dice per assurdo ‘’ è vietato entrare nel territorio
pugliese’’, una legfe della regione puglia può ad esempio stabilire cosa si intenda per territorio pugliese ‘’ da
foggia fino al porto di leuca’’. Questa problematica fa emergere + in generale il 2 aspetto problematico della
riserva di legge

2. LA SUA QUALIFICA IN AMBITO PENALE : in altri termini la riserva di legge può essere di 3 tipi
ASSOLUTA RELATIVAMENTE ASSOLUTA E RELATIVA (ovviamente in base al tipo in cui viene
ricondotta ci sono delle conseguenze applicative eed il problema è stabilire la riserva di legge penale in quale
cateogria rientri). Vediamo innanzitutto le differenze :

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- Riserva ssoluta : se la riserva di legge in materia penale fosse assoluta prevederebbe che la legge
PROVVEDE IN MODO ESCLUSIVO ED ESAUSTIVO ALLA CREAZIOENE DELLA NORMA
INCRIMINATRICE E NESSUN ALTRA FONTE PUO’ INTEGRARE LA DISCIPLINA STABILITA DA
QUELLA NORMA (ma abbiamo giò escluso questa possibilità dal momento che si è detto che la legge
regionale potrebbe concorrere a determinare gli elementi costitutivi di un reato).

- Se invece la riserva penale fosse relativamente assoluta, ne deriverebbe che la legge PROVVEDE A
DETTARE TUTTI GLI ELEMENTI DEL REATO, MENTRE ALTRE FONTI, POTREBBERO
INTEGRARE GLI ASPETTI TECNICI DI QUEL REATO . La riserva relativa preverebbe che LA LEGGE
FISSA GLI ELEMENTI CHIAVE DEL REATO, E LE ALTRE FONTI NE COMPLETANO IL
CONTENUTO. Quando si ragiona sulla natura della riserva di legge penale, si deve tenere a mente che
OCCORRE TUTELARE 2 ESIGENZE CONTRAPPOSTE : L’esigenza che UN REATO SIA
INTRODOTTO SOLO NEL MODO + DEMOCRATICO POSSBILE (e questo tipo di esigenza sarebbe
sposata perfettamente dalla riserva assoluta) ed un’esigenza PRATICA CIOE’ QUELLA DEL
LEGISLATORE, IL QUALE, PER RAGIONI DI ECONOMICITA’ NON PUO’ PER OGNI REATO
DETERMINARE TUTTI GLI ELEMENTI IN MODO PUNTUALE CON UNA LEGGE ANCHE
PERCHE’ POTREBBE ANCHE NON AVERNE LA COMPETENZA (questo tipo di esigenza sarebbe
maggiormente realizzata con una riserva relativa.). esistono dei settori del vivere sociale come gli
stupefacenti piuttosto che le transazioni bancarie, il fisco ecc, in cui I REATI ESISTENTI RICHIEDONO
UNA CONFIGURAZIONE TECNICA MINUZIOSA CHE SAREBBE POCO PATRICO RICHIEDERE
AD UNA LEGGE O ANCHE DEI SETTORI DEL VVERE SOCIALE PER I QUALI ESISTONO DEI
REATI CHE RICHIEDONO UN COSTENTE AGGIORNAMERNTO CHE SAREBBE PERO’
FARRASGINOSO (lento) E DIFFICILE DEMANDARE AD UNA LEGGE. Si può notare che molte norme
incriminatrici quando descrivono il fatto di reato, operano un rinvio ad altre fonti che possono essere sia
legislative sia non legislative. In queste situazioni si parla di ELEMENTI NORMATIVI DELLA
FATTISPECIE cioè elementi che concorrono a descrivere il reato che però si ritrovano non nella norma
incrimiatrice ma in altre norme (penali, non penali ma anche non giuridiche) si parla in questi casi DI
ELEMENTI NORMATIVI DELLA FATTISPECIE : che possono ESSERE GIURIDICI QUANDO
FANNO RIFERIMENTO AD UNA NORMA GIRIDICA O SOCIALI, QUANDO FANNO
RIFERIMENTO A NORME NON GIURIDICHE. Per esempio : reato di furto, chiunqe si impossessa di
cosa altrui. I concetti di ‘’ cosa’’ ed ‘’ altrui’’ fanno rfiermento ad un ELEMENTO NORMATIVO
EXTRAOENALE che è appunto LA DISCIPLINA DEI BENI E DELLA PROPRIETA’ DEL CC. Altro
esempio di lemeenti non giuridici : REATO DI INCESTO ‘’ si consuma quando dalla relazione tra parenti
deriva un pubblico scandalo’’, la nozione di pubblico scandalo fa riferimento AD UN CONCETTO
SOCIALE E QUIDNI AD UN ELEMENTO NORMATIVO EXTRAPENALE MA ANCHE NON
GIURIDICO. In tutti questi casi quindi la domanda è : c’è una violazione della riserva di legge? La risposta è
NO. Perché questi elementi sono FATTI PROPRI DALLA NORMA INCRIMINATRICE CHE LI RENDE
TIPICI E QUIDNI LI RENDE PARTE DELLA NORMA STESSA. Il fenomeno degli elementi normativi nn
viola la riserva di legge IN QUALUNQUE ACCEZIONE ESSA SIA INTESA PERCHE’ LA NORMA
PENALE LI FA PROPRIO COME DETTO E QUINDI LA RISERVA DI LEGGE E’ PIENAMENTE
RISPETTATA. Bisogna poi chiedersi se la riserva di legge (in qualunque sua accezione) sia compatibile con
un altro fenomeno che è quello DELLA INTEGRAZIONE DELLA NORMA PENALE : ciò succede nei
casi delle cd. NORME PENALI IN BIANCO CHE SONO DELLE NORME PENALI CHE
INTRODUCONO UN REATO SENZA DESCRIVERNE IL COMPORTAMENTO ILLECITO IL QUALE
VIENE INVECE DESCRITTO RIMANDANDO AD ALTRI ATTI NORMATIVI CHE NON
AVREBBERO COMPETENZA PENALE ciò ad esempio accade con l’art 650 cp che punisce chi non
osserva un provvedimento dell’autorità. Questa norma penale non descrive in nessun modo il
comportamento del sogg LA CUI ILLICITA’ DIPENDE DAL FATTO DI AVER VIOLATO APPUNTO
UN PROVVEDIMENTO IN QUESTO CASO DELL’AUTORITA’ (quidni in sostanza del ptoere esecutivo)
per esempio rientrava nell’art il caso in cui un sogg durante il lockdown fosse uscito senza per ragioni non
giustificate ai sensi del dpcm (che sono provvedimenti del governo). Quindi c’è da chiedersi se queste norme
penali in bianco violino la riserva di legge : se la riserva di legge fosse intesa solo in modo relativo, ne
deriverebbe che alla legge, andrebbe riservato solo il compito di definire gli ELEMENTI ESSENZIALI DEL
REATO, lasciando tutto il resto alla fonti subordinate e quindi una simile concezione della riserva di legge
sarebbe COMPATIBILE CON IL FENOMENO DELLE NORME PENALI IN BIANCO. Ma, questa
concezione è difficilmente applicabile, soprattutto perché è difficile stabilire quali siano gli elementi
essenziali del reato e quali no. Ad esempio : la dottrina favorevole alla teoria secondo cui la riserva di legge
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penale è relativa, sostiene che GLI ELEMENTI CHE POSSONO ESSERE DETERMNATI DA FONTI
SECONDARIE E QUINDI QUEGLI ELEMENTI NON ESSENZIALI, riguardano I CD. PRESUPPOSTI
DI FATTO DEL REATO (cioè sono quegli elementi del reato che in qualche modo descriono la situazione
precedente al reato steso, senza la quale il reato non puuò esserci). Per esempio sarebbe un PRESUPPOSTO
DI FATTO L’ESISTENZA DI UN MATRIMONIO PRECEDENTE PER IL REATO DI BIGAMIA. Il
problema è che spesso diventa difficile differenziare un PRESUPPOSTO DI FATTO DI UNN REATO
COME ELEMENTO NON ESSENZIALE ED UN PRESUPPOSTO DI DIRITTO DEL REATO CHE
INVECE E’ SEMPRE UN ELEMENTO ESSENZIALE.

Sul punto, spesso è intervenuta la Corte Cost perché alcuni giudici hanno sollevato QUESTIONE DI
COSTITUZIONALITA’ IN RIFERIMETNO A DELLE NORME INCRIMINATRICI CHE A LORO
PARERE ERANO NORME PENALI IN BIANCO (cioè norme che rimandavano a fonti secondarie la
definizione di elementi essenziali del reato). Spesso la corte ha salvato queste norme dalla pronuncia di
incostituzionalità mantenendole valide , il + delle volte ritenendo che QUELLE NORME PENALI NON
ERANO PROPRIAMENTE IN BIANCO PERCHE’ ‘’ SUFFICIENTEMENTE SPECIFICHE’’. Da questo
punto di vista, si ritiene che LE NORME PENALI SONO RISPETTOSE DELLA RISERVA DI LEGGE (E
QUINDI NON IN BIANCO) QUANDO SI LIMITANO A RIMANDARE A FONTI SECONDARIE
ALCUNI ELEMENTI ‘’ TECNICI’’ DEL REATO CHE IL LEG NON POTREBBE FORNIRE EX ANTE.
Ad esempio : sostanze stupefacenti. Le norme incriminatrici per i reati in materia di stupefacenti rimandano a
delle tabelle contenute in decreti ministeriali (che sono ovviamente fonti secondarie) i quali fissano il limite
minimo di thc che ci deve essere affinchè si possa parlare di reato. Ovviamente il leg non poteva stsbilirlo x
ogni sostanza stupefacente già ex ante perché non era economico dal punto di vista legislativo.

Per tutte queste ragioni si ritiene che LA CORRETTA CONFORMAZIONE DELLA RISERVA DI LEGGE
IN MATERIA PENALE SIA QUELLA TENDENZIALMENTE ASSOLUTA : la llegge quindi DEVE
FISSARE GLI ELEMENTI ESSENZIALI DEL REATO, MENTRE ALLA FONTE SECONDARIA,
VIENE DEMANDATO IL COMPITO DI SPECIFICARE ESCLUSIVAMENTE A LIVELLO TECNICO E
CONCRETO QUEL REATO STESSO. Quindi l’individuazione del reato e degli elementi essenziali di
questo spetta cmq alla legge, alla qual3e però non si può chiedere DI DISCIPLINARE OGNI ASPETTO
ANCHE TECNICO E PRATICO DEL REATO STESSO, MOTIVCO X CUI E DA ESCLUDERE LA
POSSIBILITA’ DI INTERPRETARE LA RISERVA DI LEGGE IN SENSO PIENAMENTE ASSOLUTA.

Peraltro, secondo la dottrina + attenta, affinchè la legge possa affidare ad una fonte secondaria il compito di
specificare il reato devono ricorrere 2 presupposti (quindi non può fasrlo sempre) :

- Si deve trattare di una materia che si evolve costantemente e che quindi impedisce il leg di
cristalizzarla in una legge : ex. ambiente, reati informatici. Ci sono cioè dei settori n cui sarebbe difficile o
impossibil per il leg fissare una disciplina unitari che sia stabile nel tempo ed ovvimente non si potrebbe in
ogni modifics intervenire con la legge perché ha tempi molto + lunghi rispetto a fonti secondarie
(regolamenti, provvedimenti amm,decreti ministerili , dpcm , dpr ).

- La materia sia anche diversificata da un territorio ruspetto ad un altro : cioè non si posss disciplinare in
modo unitario senza tener in conto le specificità di ciascun ambito territoriale (ad esempio l’ambiente).

3. Sempre nell’ambito della riserva di legge è necessario esaminare il ruolo della consuyetudine. La
consuetudine è una FONTE FATTO DEL DIRITTO CHE SI COMPONE DI 2 ELEMENTI : 1)
DIUTURNITAS : costante ripetizione di un comportamento 2) OPINIO IURIS AC NECESSITATIS : che
invece è la concezione che quel comportamento sia doveroso. La preleggi del cc attribuiscono alle
consuetudini (che sono state chiamate ‘’ usi ‘’) un RUOLO INTEGRATIVO NELLE MATERIE
DISCIPLINATE DA LEGGI E DAI REGOLAMENTI MA SOLO QUANDO SONO RICHIAMATE. Dal
punto di vista penale bisogna distinguere : - le consuetudini incriminatrici : che ovviamente sono
inammissibili (perché violano la riserva di legge) – le consuetudini abrogrtici : anche esse non ammissibili
perché le stesse preleggi in virtù della stessa gerarchia delle fonti, prevedono che solo una legge possa
abrogre un’altr legge. Ed infatti da un punto di vista penale non sarebbe ammissibile il fenomeno della
DESUETUDINE : CIOE’ LA DIFFUSA CONCEZION CHE UN COMORTAMENTO NON SIA REATO
NONOSTANTE CI SIA UNA LEGGE NON HA NESSUN EFFETTO GIURIDICO, E AL MASSIKMO
PUO’ ESSERE UN INDICE SOCIOLOGICO DEL LEGISLATORE (che al massimo interverrà per
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abrogare la legge). – consuetudine scriminante : sono situazioni previste dal codice, che escludono un reato
nonostante il comportamento del soggetto sia stato quello previsto dalla norma. In ambito di scriminanti
quindi ci si è chiesti se DI FRONTE AD UN FATTO TIPICO (PREVISTO DA UNA NORMA COME
REATO) CI POSSANO ESSERE DEI COMPORTAMENTI RITENUTI ‘’GIIUSTI’’ DALLA
COLLETTIVITA’ CHE LO POSSANO ESCLUDERE
(NB : comportamenti non qualificabili come legittima difesa e altre scriminanti già esistenti) ex. esempio
tipico è quello dello ius corrigndi cioè uno straniero che proviene da un paese il cui tessuto culturale prevede
la possibilità di percuotere i figli per educarli, se causasse delle lesioni in Italia al figlio, sarebbe scriminato
in virtù di questo suo potere punito riconosciuto dal suo paese ma nel nostro no (almeno no a livello
legislativo : in quanto non esiste la scriminante ‘’ a livello educativo si possono percuotere i figli)? La
risposta tende ad essere negativa xk anche il potere correttivo del genitore, va parametrato SULLE REGOLE
E PRINCIPI DEL NOSTRO ORDINAMENTO. Vi sono però altri casi in cui la soluzione astrattamente
sembra esser positiva cioè sembra ammettere questo tipo di consuetudini : si tratta ad esempio del caso
dell’attività medico chirurgica. Cioè SE UN MEDICO AMPUTA UN BRACCIO PER NECESSITA’
MEDICA PONE IN ESSERE UN REATO DI LESIONI? Il fatto è quello tipico PERCHE’ PONE IN
ESSERE DELLE LESIONI DALL’AMPUTAZIONE DEL BRACCIO, SCRIMINANTI NON CE NE
SONO (almeno di quelle previste dal cp) quindi ci si chiede è POSSIBILE SCRIMINARE QUEL MEDICO
IN VIRTU’ DI UNA CONSUETUDINE (secondo la quale il medico se lo ritiene necessario può anche
arrivare a questo tipo di soluzioni) ? la risposta sembra essere ASTRATTAMENTE POSITIVA e quidni
sembrerebbe AMMETTERE QUESTO TIPO DI CONSUETUDINE perché un medico che amputa un
braccio per una necessità medica nononostante ponga in essere un reato ‘’ tipico’’, quello delle lesioni, sarà
comunque SCRIMINATO : ma questa scriminante (nonostante non ci sia a livello del cp) si ritrova non tanto
in una consuetudine (cioè nella concezione comune per la quale un medico che agisca per una tale necessità
possa amputare effettivamente un braccio) quanto + a livello di PROTOCOLLO MEDICO. Quindi in realtà,
a ben guardare, il problema delle consuetudini scriminanti è un ‘’ falso problema’’ cioè un problema che non
si pone PERCHE’ VA RISOLTO ATTRAVERSO UN CORRETTO UTILIZZO DEGLI STRUMENTI
OFFERTI DALL’ORDINAMENTO GIURIDICO :cioè andando a vedere, in base alla casistica, l’esistenza
di norme che possono risolvere la questione senza andare a guardare alle consuetudini. – consuetudini
integratrici : di questo ne parleremo + in là reati omissivi impropri.

4. Un’altra problematica concerne i rapporti della riserva di legge con IL DIRITTO UE : inizialmente il
trattato di Roma non prevedeva che la comunità europea avesse competenze penali ed infatti la riserva di
legge costituzionale SI RIFERISCE SOLO ALLA LEGGE STATALE. Tuttavia, il progressivo sviluppo di
un diritto penale eyropeo ha finito per superare questo limite della riserva di legge statale. Ricordiamo che
già nel 78 la Crte di Giustizia aveva stabilito che UNA LEGGE STATALE IN CONCTRASTO CON UNA
NORMA COMUNITARIA DOVESSE ESSERE DISAPPLICATA DAL GIUDICE STASBILENDO IL
PRIMATO DEL DIRITTO UE, IL QUALE, SUL PIANO INTERNO DELLA GARARCHIA DELLE
FONTI, ORMAI SI PONE IN INTERMEZZO TRA LA COST E LE FONTI PRIMARIE (leggi, decreti
legge, decreti legislat, leggi regionali, regolamenti parlamentari ecc). succesivaente poi, sempre la corte di
giustizia ha stabilito che la normativa europea può imporre agli stati, l’obbligo di intervenire a livello penale
per tutelare certi beni con sanzioni effettive proporzionate e dissuasive. Così facendo, la Corte Europea, ha
attribuito competenze penali all’ordinamento comunitario, perché ha stabilito CHE QUANDO IL LEGISL
COMUNITARIO LO RICHIEDE, IL LEGISLATORE NAZIONALE DEVE INTERVENIRE IN
MATERIA PENALE MANTENENDO UNA SUA DISCREZIONALITA’ SOLO SUL QUANTUM
DELLA PENA, ( in altri termini il legislatore comunitario interviene in materia penale dicendo al leg
nazionale ‘’devi intervenire per punire questo reato, questi sono gli elementi, decidi tu il quantum della
pena’’) tutto il resto invece è stabilito ed imposto dal leg comunitario che quindi obbliga il leg nazionale ad
intervenire in un determinato settore prevedendo determinati reati, come è successo per lo stalking. (PER
CAPIRE : è come se fosse una competenza indiretta de leg comunitario in quanto, come sappiamo esiste il
PRINCIPIO DELLA RISERVA DI LEGGE STATALE, nonostante ci sia stato un progressivo sviluppo del
diritto comunitario, questo principio deve essere rispettato. Motivo per il quale, nonostante la legge
comunitaria sia superiore rispetto alla legge nazionale comunque la riserva di legge deve essere rispettata
ecco perché il legislatore comunitario non può fare DIRETTAMENTE LA LEGGE PENALE MA DEVE
COMUNQUE PASSARE DAL LEGISLATORE NAZIONALE : ecco perché laddove lo ritenga opportuno
può comunque imporre agli stati di intervenire per punire un determinato tipo di reato MA LA LEGGE
DEVE COMUNQUE SEMPRE FARLA ILL LEGISLATORE NAZIONALE. Quindi il leg comunitario può
sicuramente determinare il contenuto della legge penale che però DEVE COMUNQUE ESSERE
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INTRODOTTA NEL RISPETTO DEL PRINCIPIO DELLA RISERVA DI LEGGE STATALE, CON UNA
LEGGE NAZIONALE QUINDI DEL LEG STATALE). Inoltre, sempre + la comunità europea, ha avvertito
l’sigenza di tutelare interessi di rango SOVRANNAZIONALE (come l’ambiente e l’immigrazione oltre che
la finanza e la corruzione). In queste materie sono state adottate diverse convenzioni e decisioni quadro, poi,
col trattato di Lisbona del 2007 si può iniziare a parlare DI UNA VERA E PROPRIA COMPETENZA
PENALE DELLA UE, che ricordiamo, fino a quel momento era stata riconosciuta solo tramite la Corte di
Giustizia. In particolare la UE, ha una competenza CONGIUNTA CON GLI STATI IN MATERIA DI
GIUSTIZIA ED AFFARI INTERNI E PUO’ INTERVENIRE CON REGOLAMENTI CHE HANNO
EFFICACIA DIRETTA ED IMMEDIATA, DIRETTIVE (alcune delle quali self executing, hanno anch’esse
efficacia diretta), sono questi gli strumenti che SI PONGONO IN UNA SITUAZIONE DI TENSIONE CON
IL PRINCIPIO DI RISERVA DI LEGE (IN QUANTO, ESSENDO DIRETTAMENTE APPLICABILI ED
ESSENDO SUPERIORE ALLA LEGGE NAZIONALE FINISOCNO PER VIOLARE LA RISERVA DI
LEGGE STATALE DI CUI ALL’ART 25 C 2 COST). vediamo in che cosa consiste questa competenza
penale della UE : lo dice l’art 4 ED 83 del Trattato sul funzionamento della UE che stabilisce quella che
viene chiamata COMPETENZA PENALE TIPICA : - ART 4 stabilisce che la UE ha competenza
CONGIUNTA per GIUSTIZIA ED AFFARI INTERNI IL CD. SPAZIO DI LIBERTA’ SICUREZZA E
GIUSTIZIA – ART 83 poi specifica che : il parlamento UE e il Consiglio, tramite direttive, possono stabilire
le cd. NORME MINIME REALTIVE ALLA DEFINIZIONE DEI REATI E DELLE SANZIONI IN SFERE
DI CRIMINALITA’ PARTICOLARMENTE GRAVI. Queste sfere di criminalità sono : - terrorismo – tratta
degli esseri umani – sfruttamento sessuale – traffico illecito di stupefacenti ed armi – riciclaggio – corruzione
– criminalità informatica – criminalità organizzata. Catalogo che può essere integrato dallo stesso Consiglio
all’unanimità. Ovviamente, trattandosi di direttive, questa competenza penale è comunque condivisa,
dovendo queste essere RECEPITE CON UNA LEGGE DI ATTUAZIONE (quindi cn ciò si rispetta
comunque la riserva di legge statale). La UE, ha però UNA COMPETENZA PENALE ATIPICA così
chiamata perché non è disciplinata in modo esplicito ma SI RICAVA A LIVELLO INTERPRETATIVO
dall’art 83 C 2 del TFUE CHE SEMBREREBBE COSTITUIRE IL FONDAMENTO DI UNA
COMPETENZA PENALE DELLA UE IN OGNI SETTORE DI ATTRIBUZIONE DELLA UE. Questo art
dice ‘’ allorchè il riavvicinamento delle disposizioni leg e regolamentari degli stati membri in materia penale
si rivela indispensabili x garantire l’attuazione efficace di una politica della unione in un settore che è stato
oggetto di misure di armonizzazione, possoni essere stabilite tramite direttive NORME MINIME
REALTIVE ALLA DEFINIZIONE DEI REATI E DELLE SANZIONI NEL SETTORE IN QUESTIONE’’.
Quidni questo art sembra indicare che L’UE avrebbe una competenza penale ATIPICA accessoria ad ogni
materia in cui la UNIONE STESSA HA COMPETENZA PURCHE’ VI SIANO DEI PRESUPPOSTI CIOE’
:- la discipòlina penale in quella materia sia INDISPENSABILE (cioè è necessario intervenire perché manca
una normativa degli stati in quella materia) rispettando SUSSIDIARITA’ E PROPORZIONALITA’ – LA
MATERIA IN CUI INTERVIENE DEVE ESSERE GIA’ STATO OGGETTO DI ARMONIZZAZIONE
(cioè in quella materia la UE è già intervenuta per amalgamare le leg nazionali).

Un altro problema riguarda le DIRETTIVE : la direttiva penale europea,è una NORMA ( o meglio, un
insieme di norme ) DI INDIRIZZO VINCOLATO, perché stabilisce delle cd. NORME MINIME che
dovranno poi essere recepite dallo stato membro e qqueste norme minime riguardano LA DEFINIZIONE
DEL REATO DA INTRODURRE E DELLA SANZIONE CONNESSA. Lo stato poi, in caso di
inadempimento (cioè quando non recepisce la direttiva), VIENE SOTTOPOSTO ALLA CD. PROCEDURA
DI INFRAZIONE (quindi ha una resposnabilità). Il leg penale europeo però, quando introduce queste norme
penali minime, DAL MOMENTO CHE STA DI FATTO CREANDO NUOVI REATI, DEVE
SPECFICARE LE RAGIONI (nel rispetto di sussidiarierà e proprorzionalità) che HANNO PORTATO A
RITENERE INDISPENSABILE LA PENALIZZAZIONE DI QUEL COMPORTAMENTO (cioè deve
specificare il xk stia creando il reato ad esempio : quando si è parlato dello stalking si è detto che fosse
necessario intervenire a fornte di una smepre maggiore diffusione di determinati comportamenti molesti,
quindi il leg europeo deve ESPLICITARE LA RATIO cioè la ragione che ha portato a far introdurre quel
reato e DEFINIRE ANCHE APPUNTO LA CD. NORMA PENALE MINIMA cioè I CRITERI DI BASE
PER IDENTIFICARE IL FATTO DI REATO E LA RELATIVA SANZIONE TRA UN MINIMO E UN
MASSIMO, fermo restando che quella sanzione può essere inasprita dal leg nazionale). Per quanto riguarda
invece la definizione del comportamento PENALMENTE RILEVANTE CHE VIENE INDIVIDUATO
DAL LEG EUROPEO, IL LEG NAZIONALE NN PUO’ AMPLIARE O RESTRINGERE QUELL’AREA
DI RILEVANZA PENALE INDIIVUDATA (cioè non può escludere die comportamenti che siano stati
valutati come reato dal leg europeo o aggiungerne altri che non erano stati previsti). Ad esempio : se la
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norma europea penale prevede che un determinato comprotamrnto è punito se effettuato per ‘’ scopo di
lucro’’ (dolo specifico) il leg nazional non può recepire quella direttiva punendo quel comportamento anche
se fatto senza scopo di lucro perché così acendo amplierebbe l’area di rilevanza penale descritta dalla norma
europea in riferimento a quel comportamento. Può però muoversi ALL’INTERNO DI QUELL’AREA DI
RILEVANZA PENALE AD ESEMPIO PUNENDO + SEVERAMENTE O MENO SEVERAMENTE
L’IPOTESI IN CUI QUEL COMPORTAMENTO SIA STATO POSTO PER REALIZZARE, UN FINE
SEMPRE DI LUCRO, PERO’ RISPETTIVAMENTE DI MAGGIORE O MINORE ENTITA’. Cioè ad
esempio può inserire un’aggravante per il fine di lucro di ‘’ rilevante entità’’ oppure un’attenuante per il fine
di lucro di esigua entità.

LE SOLUZIONI AL CONFLITTO TRA DIRITTO UE E DIRITTO PENALE NAZIONALE.

La premazia del diritto UE, è stata elaborata dalla Corte di Giustizia della UE, sin dagli anni 70 (sentenza
Granital), si tratta di un orientamento consolidato dei giudici europei (in altri termini sono d’accordo su
questa premazia ) ma che è stata contrastata dai giudici costituzionali nazionali (quindi dalla Consulta, la
Corte Cost), con l’elaborazione della cd. TEORIA DEI CONTROLIMITI nei primi anni 2000 : cioè DA UN
LATO SI E’ DETTO CHE I PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA NAZIONE (quindi i primi 12 articoli)
non possono essere modificati dalla UE e poi, soprattutto si è detto che LE COSTITUZIONI NAZIONALI
HANNO UN NUCLEO ESSENZIALE DI DIRITTI INVIOLABILI DELL’UOMO ANCH’ESSI NON
INTACCCABILI DALLA NORMATIVA UE : tutto ciò ha portato poi a ritenere che le norme europee, nel
sistema della gerarchia delle fonti si siano poste o meglio interposte TRA LE NORME COST E LE NOREM
DI LEGGE CON IMPORTANTI CONSEGUENZE ANCHE SUL PIANO DELL’EVENTUALE
ILLEGITTIMITA’ COST : cioè una legge o un atto avente forza di legge, può essere impugnato d’acanti alla
consulta nn solo se viola la cost ma anche se viola la normativa europea. Come si fa a risolvere il conflitto tra
norma europea e norma di legge ordinaria (fonte primaria del diritto) ? la prima tecnica è quella della
DISAPPLICAZIONE DELLA NORMA NAZIONALE IN CONTRASTO CON QUELLA EUROPEA,
avendo quindi quest’ultima la meglio. Ovviamente la disapplicazione è FATTA DAL GIUDICE INN
PROCESSO E NECESSITA PER ESSERE FATTA CHE LA NORMA EUROEPA CHE PREVALE SU
QUELLA NAZIONALE ABBIA EFFICACIA DIRETTA (regolamenti e direttive self executing) ED
INDICHI IN MODO CHIARO ED UNIVOCO LA REGOLA DA APPLICARE AL POSTO DI QUELLA
NAZIONALE. Ed inoltre NON DEVE AVERE EFFETTI SVAVOREVOLI PER IL REO : cioè la norma
penale europea NON DEVE ESSERE + SEVERA IN TERMINI DI PENA RISPETTO A QUELLA
NAZIONALE in quanto il principio vige nel nostro ordinamento il principio del ‘’ favor rei’’ cioè di
applicare la normativa cd. IN BONAM PARTEM cioè quella + favorevole al reo e quindi., come
nell’esempio, quella nazionale. Quindi la disapplicazione si realizza quando in contrasto si pongono UNA
NORMA EUROPEA DIRETTAMENTE APPLICABILE E UNA NORMA PENALE NAZIONALE che è
già stata posta in essere. Bisogna però capire che succede, quando una norma nazionale si pone in antitesi
con una norma europea che non è direttamente applicabile (quindi una direttiva o una raccomandazione) : in
questi casi si possono verificare 2 scenari 1) ASSIMILAZIONE : cioè LE NORME PENALI NAZIONALI,
VENGONO ESTESE DALLA NORMA EUROPEA PER TUTELARE ANCHE INTERESSI
COMUNITARI (in altri termini : succede che la norma penale nazionale e quella europea si combinano) ex
se la norma nazionale puniva il comportamento in un certo modo e la norma europea lo puniva il
comportamento in modo + ampio (prevedendo + fattispecie), la NORMA NAZIONALE SI ESTENDE
ANCHE A QUESTE FATTISPECIE CIOE’ SI CREA UN COMBINATO DISPOSTO TEA NORMA
NAZIONALE E NORMA EUROPEA ricordando che in questo caso la normativa europea entra a far parte
della legge (tramite ratifica). Qui c’è un problema di riserva di legge : PERCHE’ QUANDO SI DICE CHE
LA NORMATIVA EUROPEA SI PONE SOPRA LA LEGGE SUL PIANO DELLA GERARCHIA DELLE
FONTI, SI FA RIFERIMENTO SOLAMENTE ALLA NORMATIVA EUROPEA DIRETTAMENTE
APPLICABILE MA QUI SIAMO NEL CAMPO DELLA NORMATIVA NON DIRETTAMENTE
APPLICABIL CHE STA SOTTO LA LEGGE E QUIDNI : COME SI GIUSTIFICA LA POSSBILITA’
CHE UNA NORMATIVA NON DIRETTAMENTE APPLICABILE EUROPEA VADA AD ESPANDERE
UNA NORMA PENALE NAZIONALE ESTENDENDO L’AREA DEL ‘’ PENALMENTE RILEVANTE’’
? si giustifica su un piano FORMALE : xk quella normativa europea non direttamente applicabile, va ad
espandere la norma penale nazionale solamente dopo che è STATA RCEPITA DA UNA LEGGE IL CHE
RISPETTA LA RISERVA DI LEGGE STESSA PERCHE’ E’ UNA LEGGE QUELLA DI
RECEPIMENTO CHE VA AD ESTENDERE LA PORTATA DI UN REATO PREVISTO DA UN’ALTRA
LEGGE (nazionale quindi primaria). 2) INTEGRAZIONE : succede che non c’è una norma europea + ampia
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rispetto a quella nazionale ma c’è un CONTRASTO VERO E PROPRIO : nel senso che la norma europea
prevede un elemento del reato che la norma nazionale NON PREVEDE (quindi non un qualcosa in + ma un
qualcosa di diverso). Ovviamente ancora di + qui si pone un problema di riserva di legge perché non c’è un
ampliamento ma una diversità di fattispecie criminosa : qui succede che LA NORMA EUROPEA
INTEGRA QUELLA PENALE NAZIONALE quindi quell’elemento diventa un elemento della fattispecie
criminosa della norma penale nazionale. Sul piano della legittimazione costituzionale di questo
provvedimento si richiama stavolta l’art 117 cost che dice che ‘’ l’ordinamento nazionale e quello
comunitario operano in sinergia’’. Naturalmente va ricordato che UNA NORMA EUROPEA (aldilà che sia
direttiva raccomandazione ecc) PUO’ INTEGRARE LA NORMA PENALE NAZIONALE SOLO SE HA
DEGLI ELEMENTI MINIMI CHIARI ED UNIVOCI (quindi elementi del reato, sanzione ecc) quindi in
sostanza nn deve essere generica o equivoca e soprattutto se è posta con ITER LEGISLATIVO
ORDINARIO (cioè CON LA PROCEDURA EUROPEA CHE E’ CORRISPONDENTE A QUELLA
LEGISLATIVA NAZIONALE). Cioè in sostanza quella norma penale europea deve essere stata emanata,
per poter integrare la norma nazionale, CON UN PROCEDIMENTO DEMOCRATICO. Sul punto molti
giuristi hanno obbiettato che UNA NORMA EUROPEA NON ABBIA QUEI CANONI DI
DEMOCRATICITA’ NELLA SUA FORMAZIONE CHE INVECE HANNO LE NORME PENALI
NAZIONALI : perché l’iter legislativo europeo è diverso da quello nazionale, in quanto coinvolge 2 organi
(Commissione e Consiglio) CHE NON SONO ELETTI (differentemente dal Parlamento Europeo che,
ovviamente partecipa, ma che non è il protagonista dell’iter come invece accade a livello nazionale), quindi
si crea un’INCOGRUENZA : xk si è detto che il decreto legge e legislativo non siano fonti idonee a
rispettare la riserva di legge anche in virtù del ruolo ridotto del parlamento e poi invece si ammette che,
norme crerate secondo procedure altrettanto non democratiche o quantomeno non rappresentative possono
intervenire in materia penale. A questa critica si risponde dicendo che I CITTADINI NAZIONALI,
AVENDO ANCHE CITTADINANZA EUROPEA giovano di una partecipazione democratica alla vita
pubblica europea e questa legittimazione FONDA DI PER SE LA LEGITTIMAZIONE DEMOCRATICA
DELLA UE CD. LEGITTIMAIZONE DEMOCRATICA DIALOGICA. Quindi la UE può essere
considerata un sistema democratico ‘’ sui generis’’ fondato sul PRINCIPIO DI ATTRIBUZIONE TALE X
CUI LA UE INTERVIENE DEMOCRATICAMENTE IN MATERIE CHE SONO STATE ATTRIBUITEE
DA PARLAMENTI NAZIONALI DEMOCRATICAMENTE ELETTI. Cioè in sostanza il sistema europeo
non ha un sistema di democrazia pari a quello di uno stato sovrano (xk naturalmente prevede anche degli
organi TECNICI E NN RAPPRESENTATIVI CHE HANNO POTERI + AMPI RISEPTTO A QUELLI DEI
GOVERNI NAZIONALI MA, NONOSTANTE QUESTO, COMUNQUE IL SISTEMA EUROPEO HA
UN GRADO DI DEMOCRAZIA SUFFICIENTE X LA GESTIONE DEGLI AFFARI COMUNI). Venendo
poi, al sistema nazionale di recepimento delle normative penali europee, si deve analizzare la legge 234 del
2012, che ha redisegnato la partecipazione del Parlamento e degli enti locali alla formazione delle decisioni
comunitarie, stabilendo che tale procedimento DI PREDISPOSIZIONE DEGLI ATTI COMUNITARI
DEVE GARANTIRE SEMPRE LA PARCECIPAZIONE DEMOCRATICA DEL PARLAMENTO. L’art 12
in particolare ATTRBIUISCE ALLE CAMERE IL CD. ‘’ FRENO D’EMERGENZA’’ cioè se il Parlamento
italiano chiede che una certa proposta di regolamento sia sottoposto al Consiglio Europeo, bloccando la
procedura leg, ciò deve essere fatto. Oppure si prevede anche che IL RAPPRESENTANTE DELLA ITALIA
NEL COSNGILIO DELLA UE PUO’ OPPORSI AD UNA DECISIONE DELLO STATO CONSIGLIO SU
RICHIESTA DEL PARLAMENTO ITALIANO. Quidni è evidente che il controllo parlamentare sulla
formazione delle norme europee anche penali, esiste effettivamente ma NON E’ SUFFICIENTE
TUTTAVIA AD IMPRIMERE UN CARATTERE DI DEMOCRATICITA’ ALL’ITER DI FORMAIZONE
DELLA NORMATIVA EUROPEA, oltretutto a ben guardare, lo stesso freno di emergenza è un meccaniso
attivabile solo SU RICHIESTA DI ENTRAMBE LE CAMERE E NN DI UNA SOLA IL CHE
VIOLEREBBE IL PRINCIPIO DI BICAMERALISMO PERFETTO. Quindi come si cola questo defict di
democraticità della normativa europea ? si colma nella fase ssuccessiva, anche detta discendente : cioè in
quella di recepimento. Naturalemtne si può parlare di democraticità purchè AL PARLAMENTO SPETTI
NEL CONCRETO UN MARGINE DI APPREZZAMENTO NELLA SCELTA DI CRIMINALIZZARE O
MENO UN COMPORTAMENTO PREVISTO COME REATO DALLA NORMATIVA EUROPEA.
Questo è il motivo x cui il leg europeo, quando interviene in materia penale NON DEVE DETTAGLIARE
LA NORMA PENALE STESSA NELLA DEFINIZIONE DEL REATO E DELLA SANZIONE (per questo
si dice ‘’ norma penale mininma’’) MA DEVE LASCIARE AL PARLMAENTO LA POSSBILITA’ DI
MUOVERSI CONUN CERTO MARGINE ALTRIMENTI SE QUESTA DISCREZIONALITA’ DL
PARLAMENTO FOSSE ECCESSIVAMENTE SACRIFICATA SI VIOLEREBBE LA RISERVA DI
LEGGE.
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NB : la riserva di legge che deriva dalla costituzione, dice che LA MATERIA PENALE, IN MODO
TENDENZIALMENTE ASSOLUTO, SPETTA ALLA LEGGE (che abbiamo detto s’intende legge
ordinaria escludendo tutte le altre). Questo principio è posto dalla costituzione che è fonte superiore alla
legge. Domanda : la competenza europea viola la riserva di legge? La risposta è no per un discorso di
gerarchia delle fonti perché LA RISERVA DI LEGGE ESCLUDE DALLA MATERIA PENALE LE
FONTI INFEIRORI ALLA LEGGE STESSA E QUIDNI IMPEDISCE CHE REGOLAMENTI,
CONSUETUDINE E PROVV AMM POSSANO INTRODURRE UN REATO IN QUANOT FONTI
INFEIRORI ALLA LEGGE MA, LA RISERVA DI LEGGE NN ESCLUDE E NN PUO’ ESCLUDERE
FONTI SUPERIORI ALLA LEGGE STESSA (com’è la normativa europea che abbiamo detto essere
superiori alla legge : cioè la riserva di legge è come se dicesse che SOTTO LA LEGGE NESSUNA FONTE
PUO’ CREARE REATO MA SOPRA LA LEGGE SI).

La materia penale e la Corte EDU : quindi il ruolo della Corte EDU (corte volta a garantire il rispetto della
CEDU). L’influenza del diritto comunitario sul diritto penale nazionale si registra anche sul piano della
giurisprudenza DELLA Corte EDU. La CEDU è un trattato (una convenzione) e, come tale, NON HA IL
RANGO DI REGOLOAMENTI E DIRETTIVE SEFL EXECUTING PERCHE’ NON HA EFFICACIA
NEL NOSTRO ORDINAMENTO SENZA RATIFICA E QUINDI NON E’ SUPERIORE ALLA LEGGE E
QUIDNI SE IN CONTRASTO CON LA NORMA NAZIONALE, NON CREA L’OBBLIGO DI
DISAPPLICAZIONE DI QUEST’ULTIMA. Quindi una violazione delle norme della CEDU, secondo la
Corte cost però costituirebbe una violazione INDIRETTA DELLA COSTITUZIONE ex art 117 c 1 : in
quanto ANCHE LA CEDU SAREBBE UNA NORMA INTERPOSTA (quindi sottostante alla cost ma
superiore alla legge). Questo perché ? perché la CEDU costituisce un insieme di norme che danno attuazione
ed operatività all’art 117 che altrimenti finirebbe per essere una regola senza un contenuto preciso. Tuttavia
recentemente, un’importante sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’uomo, ha però messo in
discussione questo principio del primato della cost sulla normativa della CEDU. Secondo la pronuncia della
corte, infatti, qualora una legge nazionale non sia conforme alla CEDU, il cittadino può senza rivolgersi
PRIMA alla Corte Cost, proporre la questione direttamente alla Corte europea stessa, ed i giudici nazionali
sarebbero tenuti a disapplicare la norma statale incompatibile con la CEDU, pur trattandosi di diritto
convenzionale che, come detto, non dovrebbe garantire questa cosa (la sentenza è del 27 agosto 2015). Fatte
queste premesse, anche in materia penale, la Corte europea dei diritti dell’uomo (anche detta corte di
strasburgo) è intervenuta con sempre maggior peso: in particolare HA FORMULATO UNA DEFINIZIONE
AUTONOMA DI SANZIONE PENALE, che ha finito per sovrapporsi e mettere in secondo piano la
definizione che ne dava il diritto nazionale. Già dal 1976, la corte aveva chiarito che I CRITERI PER
DEFINIRE PENALE UNA SANZIONE SONO LA NATURA PUNITIVA E NN RISARCITORIA E
L’AFFILITTIVITA’ DELLA STESSA. Tornando sull’argomento, la Corte ha poi detto che la natura penale
di una misura sanzionatoria di uno stato, va accertata verificando la sua pertinenza rispetto al fatto di reato
(cioè il collegamento tra fatto e sanzione), la gravità della sanzione e la finalità repressiva e non
ripristinatoria (che invece è tipica di quella civile). Con queste regole, la corte, ha inciso profondamente sul
sistema interno, imponendo la qualificazione penale di una sanzione anche in settori in cui la giurisprudenza
nazionale non riconosceva questa qualificazione e un esempio è dato dalla questione che è sorta
relativamente al caso della confisca urbanistica per lottizzazione abusiva : la confisca urbanistica in Italia era
considerata una sanzione amministrativa. Fino a quando, nel 2009, la corte di Strasburgo, non ne ha
riconosciuto la natura penale. Riconoscendo la natura penale la differenza risiede nel fatto che può essere
applicata SOLO SE C’E’ UNA RESPONSABILITA’ PENALE E QUIDNI DOLO O COLPA (questo non è
invece un requisito di applicazione della confisca se venisse considerata una sanzione amministrativa. Perché
la resp amministrativa non prevede i requisiti del dolo e della colpa).
A questo punto si pone un quesito : se una sanzione interna, viene valutata dalla Corte come penale, piuttosto
che amministrativa (com’è successo), questo cambio di qualificazione, vale solo a livello europeo o anche a
livello nazionale? E soprattutto, cambiando la qualoficazione della sanzione in sanzione penale, diventano
applicabili tutti i principi del diritto penale (come ad esempio, oltre che colpevolezza, iretroattività, ne bis in
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idem ecc) ? la risposta a questa seconda domanda dell Corte è positiva, mentre sulla 1 questione ci sono
soluzioni differenti :

Chi sostiene che la natura penale in ambito europeo di una sanzione non vada ad influenzare anche la natura
nazionale di quella sanzione
Chi sostiene che la qualificazione europea di una sanzione come penale vada automaticamente a cambiarne
la natura a livello nazionale. Questa soluzione sembra suffragata (supportata) dalla giurisprudenza della corte
costituzionale che in merito ad una sanzione (di confisca stradale) ha stabilito che TALE SANZIONE
SAREBBE PENALE IN QUANTO AVENTE CARATTERE PUNITIVO AFFLITTIVO SULLA BASE
DEI CRITERI EUROPEI (quidni ha richiamato la giurisprudenza della corte EDU).

TASSATIVITA’ (che è il 2 macroprincipio che deriva dal principio di legalità nel diritto penale)

È un principio rivolto sia al legislatore sia al giudice, che impone in sostanza 2 regole fondamentali :
È che le leggi, che formulano quindi le norme penali, seguano i criteri di sufficiente determinatezza e
precisione quindi non siano vaghe o indeterminate nel momento in cui determinino il fatto di reato e tutti i
suoi elementi. Non è possibile quindi per un giudice intervenire con un’attività CREATIVA per
implementare un precetto penale incompleto (si violerebbe la riserva di legge ecco xk sono principi
collegati : fanno parte tutti del macroprincipio di legalità).
È il divieto di analogia, in questo senso il principio prevede che IN MATERIA PENALE, il giudice, nella
sua attività interpretativa NON POSSA APPLICARE L’ANALOGIA : cioè NON PUO’ ESTENDERE LE
DISPOSIZIONI SU UN REATO AD UN CASO SIMILE MA NN UGUALE.
Analizziamo il primo aspetto : quindi SUFFICIENTE DETERMINATEZZA DELLA FATTISPECIE
PENALE. È un principio rivolto al legislatore, come detto, che gli impone di costruire le fattispecie penali in
modo chiaro e preciso, evitando quindi ELEMENTI INDETERMINATI O ECCESSIVAMENTE VAGHI
(non può quindi esserci un reato in cui si dice ‘’ chi si comporta male è punito con la reclusione’’; oppure ‘’
chi ruba un oggetto di grande valore è punito con la reclusione’’). Il principio di tassatività viene agganciato
all’art 25 della cost (quello della legalità : ‘’ nessuno può essere punito x un fatto che nn sia previsto come
reato’’). Di primo acchito la disposizione in esame non fa riferimento espresso alla DETERMINATEZZA
DELLA FATTISPECIE INCRIMINATRICE. Viceversa questo riferimento espresso c’è nell’art 1 del cp, il
quale riprendendo l’art 25 della cost dice che : ‘’nessuno può essere punito per un fatto che non sia
ESPRESSAMENTE PREVEDUTO COME REATO’’. Quindi, interpretando in modo congiunto e
sistematico queste 2 norme, ne deriva che il principio di tassatività sotto il profilo della riservatezza ha
comunque rilievo costituzionale (del resto non si può certo pensare che i costituenti, abbiano ignorato questo
profilo di garanzia penale per i cittadini e, del resto, in costituzione, più di una volta di fa riferimento alla
tassatività : ad esempio quando si parla all’art 13 delle limitazioni alla libertà personale nei soli casi e modi
previsti dalla legge. Oppure quando all’art 111 si parla di giusto processo regolato dalla legge, in particolare
già col riferimento all’art 13 si èuò ricavare inndirettamente il generale principio di determinatezza penale xk
QUANDO SI DICE CHE LA LIBERTA’ PERSONALE PUO’ ESSERE RISTRETTA SOLO IN CASI E
MODI PREVISTI DALLA LEGGE, SI STA DICENDO CHE IL PRESUPPOSTO DELLA SANZIONE
PENALE CHE VA A RSTRINGERE LA LIBERTA’ PERSONALE DEVE ESSERE ESPRESSAMENTE
DISCIPLINATO DALLA LEGGE E CHE QUIDNI IL FATTO DI REATO DEVE ESSERE
PRECISAMENTE DESCRITTO DALLA LEGGE STESSA. Quidni dall’art 13, senza neanche ricorrere
all’art 25 già si può ricavare un riferimento al principio di determinatezza; un altro riferimento allo stesso
principio di determinatezza si può ricavare, sempre senza ricorrere al 25, dall’art 27 c 3, il FINALISMO
RIEDUCATIVO DELLA PENA : non sarebbe possibile rieducare un soggetto, se lo si punisce per un fatto
che non era ben descritto dalla legge perché un fatto di reato che è descritto in modo troppo generico o non
chiaro non può in nessun modo orientare le azioni dei cittadini in modo ‘’ legale’’ perché sono i cittadini i
primi disorientati rispetto al precetto e quindi se non capiscono il precetto non possono certo comprendere la
punizione che è connessa). In conclusione, è dall’insieme delle norme cost che si può implementare l’art 25,
che non fa riferimento espresso al principio di determinatezza ma che implicitamente lo comprende
nell’ambito del più ampio principio di legalità.

Si è detto che il principio di determinatezza è u8n canone di formulazione delle norme penali previste dal
legislatore, grazie al quale poi il giudice potrà interpretare la norma penale senza ricorrere ad attività
creative, limitandosi a SUSSUMERE IL FATTO CONCRETO CHE DEVE GIUDICARE NEL FATTO
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ASTRATTO PREVISTO DALLA NORMA (cioè far rientrare il fatto concreto nella fattispecie astratta). La
norma incriminatrice infatti enuncia il cd. FATTO TIPICO : cioè il FATTO ASTRATTO DESCRITTO
COME REATO, la cui descrizione abbiamo detto, DEVE ESSERE RISPETTOSA DELLA TASSATIVITA’
E DETERMINATEZZA. Quindi si dice che IL PRIMO PECIPITATO TECNICO DEL PRINCIPIO DI
DETERMINATEZZA E’ LA CD. TIPICITA’ : cioè la DESCRIZIONE PUNTUALE DEL FATTO
ASTRATTO (fatto tipico) A CUI LA NORMA COLLEGA LA SANZIONE. Che vuol dire tipicità? Ci sono
2 significati :

Tipicità come FATTISPECIE : quindi, come detto, TIPO ASTRATTO PREDISPOSTO DAL LEG. Quindi
descrizione astratta di ciò che viene punito come reato.
Tipicità come FATTO TIPICO cioè CONFORMITA’ AL TIPO : cioè IDENTITA’ TRA IL FATTO
CONCRETO POSTO IN ESSERE E LA FATTISPECIE PREVISTA DALLA NORMA PENALE.
Ovviamente questo tipo di tipicità come viene individuata? Dal giudice col procedimento di
SUSSUNZIONE. La tipicità in questa seconda accezione, quindi come fatto tipico è il primo degli elementi
strutturali del reato insieme ad ASSENZA DI SCRIMINANTI E COLPEVOLEZZA.
Domanda teorica : IN CHE MODO SI PUO’ FORMULARE UNA FATTISPECIE PENALE IN MODO
PRECISO, ci sono delle regole per il legislatore?

Secondo un primo approccio teorico, la tecnica + adatta per descriver un fatto di reato è la TECNICA
DELLA NORMAZIONE DESCRITTIVA : cioè UNA TECNICA DI REDAZIONE DELLA LEGGE IN
CUI SI CERCA DI DESCRIVERE IN MODO + ADERENTE ALLA REALTA’ IL FATTO. Questa tecnica
ha però dei grossi limiti : innanzitutto può essere idonea solamente quando è utilizzata per descrivere
eloementi che sono facili da identificare (per esempio uomo o animale) xk sono elementi facili da descrivere
ad un uomo medio ma nn è per niente adatta QUNADO E’ UTILIZZATA X DESCRIVERE LEMENTI
NON FACILI DA IDENTIFICARE COME SENSAZIONI, INTENZIONI, STATI MENTALI ecc. e
comunque concetti che non hanno un’identità empirica, materiale. Inoltre, l’altro grosso limite di questa
tecnica è che finisce inevitabilmente per COSTRINGERE IL LEG A COMPIERE ELENCAZIONI
CASISTICHE : ad esempio peril reato di furto un approccio descrittivo, avrebbe costretto il leg a dire : è
punito col reato di furto chiunque si impossessi di ‘’ macchine, gioielli, portafogli ecc’’, inevitabilmente
quest’approccio nn era possibile ed infatti il leg parla di ‘’ impossessamento di cose mobili’’.

Quindi nei cais in cui una normazione descrittiva non è possibile, il leg ricorre ad un’altra tcnica che è quella
della REDAZIONE SINTETICA COME NEL CASO DI PRIMA : cioè usa ELEMENTI LINGUISTICI
CHE ALL’INTERNO RAGGRUPPANO UNA SERIE DI CONCETTI E, SOPRATTUTTO TRA QUESTI
ELMENIT LIUNGUISTICI UTILIZZA ELEMENTI GIURIDICI E NORMATIVI CIOE’ ELEMENTI IL
CUI SIGNIFICATO SI RITROVA IN ALTRE BRANHE DELL’ORDINANEMTO (come nel caso di prima
: con il riferimento al cocnetto di cosa mobile). Questo tipo di tecnica (quella sintetica) crea astrattamente
inconvenienti in termini di determinatezza (in quanto se è toppo sintetica rischia di essere poco chiara) e poi,
può creare anche problemi di RISERVA DI LEGGE SE IL RINVIO VIENE FATTO A FONTI EXTRA
GIURIDICHE E NN GIURIDICHE.

Nell’ambito poi della normazione sintetica, si può ricorrere anche alle clausole GENERALI che nel diritto
penale sono molto diffuse : come il concorso di persone nel reato, tentativo, reato omissivo improprio, reato
continuato. Che cosa sono queste clausole generali? SONO CLAUSOLE CHE DETTANO REGOLE
OPERATIVE CHE SI POSSONO APPLICARW COMUNEMENTE A + REATI DIVERSI. Per esempio
l’art 110 prevede che IL REATO POSSA ESSERE COMPIUT DA + PERSONE E CHE IN QUESTO
CASO CIASCUNA VADA PUNITA PER LA PENA PREVISTA. L’art 40 prevede che il reato NON E’
SOLO COMPIERE UN FATTO MA ANCHE NON EVITARE, POTENDOLO FARE, CHE QUEL FATTO
SI COMPIA. L’art 56 dice che IL REATO PUO’ ANCHE ESSERE COMPIUTO NELLA FORMA DEL
TENTATIVO : QUANDO IL SOGG NN ARRIVA ALL’ESECUZIONE DEL REATO E SI FERMA A
DETERMINATI ATTI PREPARATORI. Sono quindi tutte regole generali che si applicano potenzialmente
ad un numero indefinito di reati di parte speciale. Quest clausole, sono anche dette CLAUSOLE DI
ESTENSIONE DELLA TIPICITA’ PERCHE’ RENDONO TIPICI DEI FATTI CHE SE LE CLAUSOLE
STESSE NON ESISTESSERO SAREBBERO ATIPICI : ad esempio prendiamo l’art 575 cp sull’omocidiio
il quale statuisce che è omicidio il cagionare la morte di un uomo. Quidni il fatto tipico del 575 preso
singolarmente, consiste quindi nel CAUSARE LA MORTE DI UNA PERSONA IN TUTTI I MODI
POSSIBILI PERO’ IN MODO ATTIVO ; che cosa succede se si dovesse applicare la clausola generale della
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omissione dell’art 40? Verrà PUNITO PER OMICIDIO NN SOLO CHI HA ATTIVAMENTE
CAGIONATO LA MORTE DI UNA PERSONA MA ANCHE CHI AVEVA L’OBBLIGO DI SALVARLO
E SI TROVAVA NELLA POSSIBILITA’ DI EVITARE IL FATTO E NON L’HA FATTO : ad esempio
trovo un anziano colpito da un malore x strada e non chiamo i soccorsi; se l’anziano muore il mio sarà
comunque un omicidio colposo anche se attivmente non ho fatto nulla. Come si nota, la clausola generale
sulla omissione ha reso TIPICO E QUIDNI PUNIBILE X OMICIDIO UN COMPORTAMENTO CHE,
LEGGENDO LETTERALMENTE L’ART 575 NON SAAREBBE STATO PUNIBILE PER OMICIDIO
PERCHE’ NON ERA UN CAGIONARE VERO E PROPRIO. Quindi la clausola della omissione ha esteso
l’area della tipicità del reato di omicidio. (quindi dal punto di vista della tipicità la norma viene ESTESA IL
PROBLEMA HA PERO’ DEI RISVOLTI SUL PRINCIPIO DI DETERMINATEZZA: )

Questa idoneità delle clausole generali ad estendere la tipicità oltre al fatto descritto dalla norma
incriminatrice singola, crea però un PROBLEMA DI DETERMINATEZZA PERCHE’ LA NORMA
DELL’ART 575 non è chiara perché non dice tutto a questo punto (cioè che sia possibile anche punito un
omicidio in termini di omissione quindi non è precisa e non è esaustiva, lo diventa solo se completata da
un’altra norma come il 40 o il 110 che sono clausole generali). Quindi succede che : UN REATO
OMISSIVO O UN REATO IN CONCORSO VIENE PUNITO SULLA BASE DEL COMBINATO
DISPOSTO TRA LA NORMA INCRIMINATRICE DI PARTE SPECIALE (come il 575 cp) e la
CLAUSOLA GENERALE APPLICATA AL CASO CONCRETO (nell’esempio di prima era il 40 cp).
Questo crea un ulteriore problema che si è posto in giurisprudenza cioè : è possibile applicare
congiuntamente + clausole generali? È possibile ad esempio punire IL CONCORSO OMISSIVO IN
OMICIDIO (unendo 575 110 e 40)? Qui sarà il giudice a valutare di caso in caso l’ammissibilità di questo
combinato plurimo. Ma dal resto, questo ruolo del giudice di valutare l0ammissibilità esiste anche quando si
va a guardare la singola clausola generale : cioè non sempre una clausola generale è applicabile ad un reato
ad esempio esistono dei rati di parte speciale conosciuti come reati di pericolo cioè che si realizzano per il
solo fatto di aver messo in pericolo ad esempio la incolumità pubblica. Per questi reati ad esempio, sarà
sempre compito del giudice andare a vedere se è compatibile il tentativo cioè se si può astrattamente
immaginare la punibilità DEL TENTATIVO DI CREARE UN PERICOLO. Quindi in sostanza tutte queste
clausole generali, creano problemi di determinatezza sia perché rendono le norme incriminatrici poco chiare
ed esaustive e sia perché poi attribuiscono al giudice di fatto, il compito di vedere di volta in volta se sono
applicabili o meno. Abbiamo fatto l’esempio del tentativo dei reati di pericolo ma un esempio di può anche
fare col concorso di persone perché di volta in volta il giudice dovrà valutare se la condotta di un soggetto
che in qualche modo ha partecipato al reato possa essere considerato concorso oppure no. Quindi il giudice
ha dei poteri molto ampi che non dovrebbe avere perché dovrebbe essere la legge a dire quando è concorso e
quando no; a dire quando il tentativo è ammissibile oppure no.

Tutte le consideraioni fatte inn questo momento permettono di concludere che il principio di
DETERMINATEZZA e’ attuato solo sporadicamente nel nostro diritto penale e appare come un concetto
IMPOSSIBILE DA REALIZZARE AL MASSIMO GRADO (come nel caso ad esempio della normazione
descrittiva), si tratta quidni di un principio che può essere attuato in diversi gradi ma non nella sua interezza
(non al massimo) quindi ha SEMPRE UN’APPLICAZIONE RELATIVA. Ciononostante è un prinicpio
costituzionale giustiziabile CIOE’ CHE VINCOLA IL LEG E, SE NN RISPETTATO, PERMETTE DI
IMPUGNARE LA LEGGE DAVANTI ALLA CORTE COST sebbene solo in casi rarissimi la consulta
abbia dichiarato incostituzionale la legge penale x violazione della determinatezza, spesso infatti si è trovata
a salvare (cioè a confermare la loro costituzionalità ricorrendo a giustificazioni + disparate tra cui il richiamo
al DIRITTO VIVENTE con cui si diceva che LA CARENZA DI DETERMINATEZZA DELLA NORMA
VENIVA INTEGRATA DA INDIRIZZI INTERPRETATIVI CONSOLIDATI DI DOTTRINA E
GIURISPRUDENZA, il che peraltro è molto discutibile in un sistema come il nostro che non è di common
law) delle norme penali che effettivamente erano prive di determinatezza . tra le pochissime pronunce di
incostituzionalità di norme penali per violazione della determinatezza va ricordata quella del DELITTO DI
PLAGIO : il plagio era un reato che si compiva ponendo una persona IN TOTALE STATO DI
SOGGEZIONE PSICHICA (quasi asservendola a se). Secondo la Corte si trattava di un reato che non
individuava un comportamento verificabile (cioè diventata impossibile dimostrare in giudizio questo stato
psicologico di asservimento in quanto troppo astratto) per questo la fattispecie incriminatrice era stata
dichiarata incostituzionale e quindi eliminata.

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Un’ultima precisazione da fare in merito alla determinatezza è che ESSA NON RIGUARDA SOLO IL
FATTO DI REATO MA ANCHE LA SANZIONE : CIOE’ LA NORMA PENALE DEVE ESSERE
PRECISA SIA QUANDO DETERMINA IL COMPORTAMENTO PUNITO SIA QUANOD DETERMINA
LA PENA CHE NON PUO’ ESSERE VALUTATA TRA UN MINIMO ED UN MASSIMO TROPPO
DISTANTI TRA LORO, PERCHE’ CIO’ FINIREBBE X DARE TROPPA DISCREZIONALITA’ AL
GIUDICE, tant’è vero che è stato dichiarato incostituzionale ad esempio IL DELITTO MILITARE DI
VIOLATA CONSEGNA che prevedeva una reclusione da 2 a 24 anni.

Divieto di analogia e malam partem : l’analogia per teoria generale del diritto E’ UN PROCEDIMENTO
INTEREPTATIVO CON CUI SI POSSONO COLMARE LE LACUNE DI UNA DISCIPLINA TRAMITE
UNA DISCPLINA DI UN CASO SIMILE. Ciò si può fare con 2 presupposti 1) il FATTO CHE LE 2
DISCIPLINE ABBIANO LA STESSA RATIO 2) LA REGOLA CHE SI APPLICA PER ANALOGIA AL
CASO ‘’ SCOPERTO’’ NON SIA UNA REGOLA ECCEZIONALE. Sulla base di questi presupposti
quindi, il giudice penale può applicare alla ipotesi nn disciplinata o UNA NORMA PREVISTA PER UN
ALTRO CASO (analogia legis) oppure un PRINCIPIO CHE E’ VALIDO IN TUTTO IL SETTORE
PENALE (analogia iuris). Ovviamente questo procedimento attribuisce al giudcie un potere creativo che è
incopatibile col PRINCIPIO DI LEGALITA’ ED IN PARTICOLARE CON QUELLO DI TASSATIVITA’.
L’analogia infatti sarebbe una contraddizione logica rispetto al principio di DETEMRINATEZZA : non
avrebbe senso chiedere al leg di essere preciso se poi si permette al giudice di creare una norma penale.
Questo è il motivo per cui IN MATERIA PENALE VIGE IL DIVIETO DI APPLICAZIONE ANALOGICA
DI NORME PENALI che è un divieto che vincola il giudice ed ha un rilievo cost xk si desume
indirettamente sempre dall’art 25 oltre che essere sancito anche dall’art 14 delle cd. Preleggi. La ratio del
divieto di analogia quindi, vuole escludere la possibilità che una fattispecie incriminatrice, in violazione del
principio di tassatività sia applicata oltre i limiti tassativamente previsti dalle norme penali. Si tratta anche di
una garanzia di ‘’ favor rei’’ xk in questio modo si evita che UN SOGG POSSA ESSERE PUNITO PER UN
REATO SIMILE MA NN UGUALE A QUELLO PREVISTO. Qual è il prolema che pone questo divieto di
analogia? Sono 2
Differenza tra applicazione analogica ed interpretazione estensiva di una norma penale : l’analogia, come
detto, presuppone un’assenza di disciplina di un determinato fatto che è simile ma nn uguale ad un fatto
previsto come reato ad esempio : art 437 cp punisce l’imprenditore che, omettendo alcune cautele, causa un
infortunio sul lavoro di un dipendente. Sarebbe analogia e quindi non sarebbe possibile, punire un
imprenditore con l’art 437 cp che, OMETTENDO DELLE CAUTELE CAUSI UNA MALATTIA
PROFESSIONALE di un dipendente. Questo perché malattia professionale è un concetto
GIURIDICAMENTE DIVERSO DA INFORTUNIO SUL LAVORO . Mentre l’interpretazione estensiva
parte dal presupposto opposto CHE CI SIA UNA DISCIPLINA GENERICA E C’E’ UN
COMPORTAMENTO NON PREVISTO ESPLICITAMENTE DA UNA NORMA MA CHE SI PUO’ FAR
RIENTRARE IN QUELLA NORMA ESTENDENDO LA PORTATA LINGUISTICA DI
QUEST’ULTIMA. Ad esempio : art 575 cp ‘’ chiunque cagioni la morte di un uomo è punito…ecc’’
ovviamente, interpretando estensivamente la lettera della norma, si può attribuire a quell’ ‘’ uomo’’ il
significato di ESSERE UMANO e quindi vi si fanno rientrare anche donne e bambini.
Ammissibilità dell’analogia in bonam partem : cioè si possono applicare in via analogica delle norme penali
che non sono incriminatrici ma sono di favore ? come ad esempio una scriminante o un’attenuante?
Leggendo la lettera dell’art 14 delle Preleggi, sembrerebbe di no (‘’ le leggi penali e quelle che fanno
eccezione a regole generali non si applicano oltre i casi in esse considerati’’). Tuttavia il concetto di norme
penali che si ritrova nelle preleggi può essere ben ricondotto a quello di NORME INCRIMINATRICI per le
quali si è visto che vale il DIVIETO DI ANALOGIA. Per quanto riguarda invece le norme penali di favore,
sarebbe invece proprio il principio del ‘’ favor rei’’ a suggerirne l’applicazione in via analogica
ESTENDENDO LA MASSIMO LA TUTELA DELL’INCRIMINATO. Ma, a questa apertura si possono
obbiettare 2 argomentazioni : 1) innanzitutto che l’analogia in bonam partem VIOLREBBE IL PRINCIPIO
DI UGUALIANZA perché alla fine si rimetterebbe al giudice che è diverso per ogni caso LA
POSSIBILITA’ DI PREMIARE IL REO OPPURE NO APPLICANDO O MENO LA NORMA PENALE
DI FAVORE 2) le norme penali di favore sono qualificabili come NORME ECCEZIONALI E CHE COME
TALI NN POSSONO ESSERE APPLICATE IN VIA ANALOGICA. In realtà questa obbiezione coglie nel
segno con riferimento alle norme penali che escludono la pena e alle norme penali che escludono la
colpevolezza (anche dette scusanti). Per quanto invece riguarda le scriminanti la dottrina + attenta ha ritenuto
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che non si possano creare in via analogica nuove scriminanti ma viceversa si possano applicare quelle
esistenti x analogia a casi nn previsti. 3) crtica alla teoria della possibilità dell’analogia in bonam partem è
una critica + ampia : xk secondo questa critica,il ricorso all’analogia in bonam partem nn è compatibile CON
IL SISTEMA PENALE IN GENERALE poiché avrebbe degli effetti a catena su tutti gli istituti andando a
mettere a repentaglio la stessa certezza del diritto.

COLLEGAMENTO TRA TASSATIVITA’ E PRINCIPIO DELLA EXTREMA RATIO DEL DIRITTO


PENALE.

Il ricorso all’intervento penale è legittimo solo se operato rispetto a fatti previsti dalla legge come reati
(riserva di legge) e limitatamente ai comportamenti espressamente individuati (tassatività). Inparticolare
questa tassatività che come si è detto è rivolta al leg (determinatezza) ma anche l giudice (divieto di
analogia), è posto a TUTELA DELLA LIBERTA’ DELLA PERSONA CHE VA PUNITA NELLA SUA
LIBERTA’ PERSONALE SOLO NEI CASI STRETTAMENTE PREVISTI DALLA LEGG. I casi sono
strettamente previsti dalla legge in quanto SOLO IN CASI ESTREMI RISULTA STRETTAMENTE
NECESSARIO PUNIRE UN SOGG NELLA SUA LIBERTA’ PERSONALE. Questo è il motivo per cui
PRINICPIO DI TASSATIVITA’ E’ STRETTAMENTE CONNESSO AL PRINCIPIO DI
SUSSIDIARIETA’ O EXTREMA RATIO DEL DIRITTO PENALE, secondo cui quindi IL DIRITTO
PENALE INTERVIENE SOLO SE IL FATTO DA PUNIRE NON PUO’ ESSERE PUNITO IN ALTRI
MODI ED E’ STRATTAMENTE NECESSARIO CHE SIA NEUTRALIZZATO (questo concetto assimila
anche TASSATIVITA’ ED EXTREMA RATIO ad un altro principio che è quello di OFFENSIVITA’ DEL
DIRITTO PENALE ). Quindi la sussidiarietà del diritto penale implica : da un lato, che la pena E’
GIUSTIFIICATA SOLO SE ALTRE SANZIONI CIVILI O AMM SIANO INADEGUATE A PUNIRE IL
FATTO ed in 2 luogo che l’intervento penale, si giustifica solo nei casi estremi in cui è l’unico idoneo a
ripristinare la coesistenza sociale. il principio di sussidiarietà non è però un principio giustiziabile : la corte
cioè non potrebbe dichiarare incostituzionale l’applicazione di una legge penale per una data fattispecie
incriminatrice (cioè non potrebbe dire al legislatore che avrebbe dovuto intervenire con una sanzione nn
penale ma amm o civile) perché QUESTO ANDREBBE A VIOLARE LA DIVISIONE DEI POTERI
andando ad effettuare una valutazione leg che spetta ad un altro organo che è il Parlamento. Pertanto si
ritiene che il principio di sussidiarietà sia non tanto un principio QUANTO + UN CARATTERE DEL
DIRITTO PENALE. Così come lo è la FRAMMENTARIETA’ CHE E’ UN CARATTERE
STRETTAMENTE COLLEGATO : la frammentarietà del diritto penale, indica che QUEST’ULTIMO (il
diritto penale) TUTELA NON IN MODO INDISCRIMINATO TUTTI I BENI GURIDICI ESISTENTI E
NON DI FRONTE A QUALUNQUE LESIONE MA SOLAMENTE BENI COSTITUZIONALMENTE
RILEVANTI QUIDNI INTERESSI FONDAMENTALI DELLA COESISTENZA SOCIALE E NON DI
FRONTE, ocme detto, A QUALUNQUE OFFESA MA SOLO A MODALITA’ DI AGGRESSIONE
PARTICOLARMANTE GRAVI (quidni la frammentarietà è un po' una sfaccettatura del diritto penale : cioè
un’extrema ratio dell’extrema ratio).

IRRETROATTIVITA’

Ultimo dei sottoprincipi della legalità. L’art 2 del cp introduce il DIVIETO DI RETROATTIVITA’ DELLA
LEGGE PENALE che peraltro ha anche un aggancio cost esplicito nell’art 25 c 2 ‘’ nessuno può essere
punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso’’. Il principio di
irretroattività è stabilito come principio generale dell’ordinamento giuridico (quuidni per tutte le branche del
diritto) dell’art 11 delle Preleggi che dice ‘’ la legge non dispone che per l’avvenire, essa non ha effetto
retroattivo’’. Quindi è un principio che, come detto, vale x tutti i settori dell’ordinamento MA SOLO
NELL’AMBITO PENALE HA UNA COPERTURA COSTITUZIONALE (cioè SOLO IN AMBITO
PENALE NON PUO’ ESSERE DEROGATO DA UNA LEGGE a meno che non si odifichi la cost stessa;
questo ovviamente sempre a garanzia dei diritti e delle libertà dei cittadini. Non sarebbe ammissibile punire
qualcuno per aver fatto qualcosa che in quel momento era lecito). Ovviamente il principio di irretroattività è
strettamente connesso alla riserva di legge e alla tassatività che come detto costituiscono le 3 facce della
LEGALITA’ IN MATERIA PENALE DI CUI ALL’ART 25.

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Ponendo in confronto l’art 25 della cost nella formulazione che abbiamo detto e l’art 2 del cp, notiamo che
quest’ultimo risulta + ampio e preciso, perché statuisce che ‘’ NESSUNO PUO’ ESSERE PUNITOX UN
FATTO CHE SECONDO LA LEGGE DEL TEMPO IN CUI FU COMMESSO NON COSTITUIVA
REATO’’. È + preciso perché oltre a garantire la irretroattività del diritto penale, pone anche indirettamente
un ulteriore divieto : quello di ULTRATTIVITA’ DELLA NORMA PENALE. Cioè IL DIVIETO CHE
UNA NORMA PENALE, DOPO L’ABROGRAZIONE, POSSA ESSERE APPLICASTA A FATTI
SUCCESIVI. Anche l’art 7 della CEDU riconosce tale principio che ha avuto anche riconoscimento da parte
della giurisprudenza della corte di Strasburgo.

Sempre il principio di irretroattività, ha un limite sempre incardinato nel favor rei ed è IL DIVERSO
PRINCIPIO DI RETROATTIVITA’ DELLA LEGGE + FAVOREVOLE AL REO. Quest’ultimo è un
principio che non è previsto dalla Cost ma che ha fondamento nel principio di uguaglianza : xk sembra
ingiusto che un soggetto venga punito per un reato con una pena + afflittiva che però è stata cambiata nel
corso del processo ad esempio, diventando meno aspra di quella che era prevista al momento della
commissione del reato e che dovrebbe essere applicata. Così come è ingiusto che un soggetto sia punito a
seguito di un processo, nel corso del quale ad un certo punto, il reato x cui era iniziato nel processo stesso è
stato abrogato. In questi casi (successione di legge + favorevole ed abrogazione di illecito penale) se non si
applicasse il principio di RETROATTIVITA’ della la legge penale in favore del reo si creerebbero problemi
di uguaglianza xk NEL PRIMO CASO : il giudice si troverebbe nell’assurda situazione di poter giudicare 2
persone che hanno compiuto lo stesso fatto, con pene diverse a seconda del giorno di commissione del reato;
nel SECONDO CASO a seconda del giorno di commissione un sogg potrebbe essere punito e l’altro no.

Tuttavia la Corte Cost ha affermato che SOLO IL PRINCIPIO DI IRRETROATTIVITA’ HA UNA


COPERTURA COSTITUZIONALE come valore ASSOLUTO NON BILANCIABILE CON ALTRI
VALORI COST.

Mentre il principio di retroattività della legge + favorevole deriverebbe da una lettura + approfondita del
principio di uguaglianza che impone in linea di massima di ATTRIBUIRE LO STESSO TRATTAMENTO
SANZIONATORIO A FATTI CHE SONO UGUALI. Tuttavia si tratta di un principio che, a differenza della
irretroattività, è DEROGABILE QUALORA ENTRINO IN BILANCIAMENTO DEI VALORI DI
CARATTERE COST CHE, NEL CASO CONCRETO, RISULTANO PREMINENTI.

vediamo cosa succede (per riprendere gli esempi di prima) in 2 casi :

ABROGAZIONE DELL’ILLECITO PENALE (anche detta abolitio criminis) : un’ipotesi disciplinata


esplicitamente dall’art 2 comma 2 cp ‘’ nessuno può essere punito x un fatto che, secondo una legge
posteriore (a quando ha commesso il fatto) non costituisce reato’’. In altri termini prendiamo un reato come
la bestemmia : se Tizio bestemmia in Parlamento e vengo indagato e condannato ; il giorno dopo la
condanna viene depenalizzata la bestemmia come reato (quindi abolitio crimins). Tizio è stato condannato x
un fatto commesso in un momento in cui la norma sulla bestemmia era vigente ma poi è stata abrogata. In
questi casi che cosa succede? Lo dice l’art 2 c 2 ‘’ SE VI E’ STATA CONDANNA NE CESSANO
L’ESECUZIONE E GLI EFFETTI PENALI’’ quindi il sogg viene assolto completamente e peraltro, GLI
EFFETTI TRAVOLGONO IL GIUDICATO (si parla di IPER RETROATTIVITA’ DELL’ABOLITIO
CRIMINIS). Perché travolge anche il giudicato? PERCHE’ QUANDO C’E’ UN ABOLITIO CRIMINS, IL
LEG, EVIDENTEMENTE HA RITENUTO CHE QUEL FATTO CHE PRIMA COSTITUIVA REATO
PER VIA DELL’EVOLUZIONE DEL SISTEMA SOCIALE, E’ DA CONSIDERARE ORMAI ‘’
INOFFENSIVO’’. Questa valutazione però si deve applicare anche al PASSATO (perché quel fatto ho è
sempre inoffensivo oppure no) ALTRIMENTI SI VIOLEREBBE IL PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA. Se
invece il processo è ancora in corso, il sogg viene PROSCIOLTO.
In ambito di abolitio criminis, la dottrina ha stabilito che RIENTRA IN QUESTE IPOTESI ANCHE
QUELLA IN CUI IL REATO VIENE DEGRADATO AD ILLECITO AMMINISTRATIVO (perché si tratta
comunque di abolitio criminis). Ovviamente è fatta salva la possibilità della legge che ha abolito il crimine,
di SPECIFICARE QUALE SARA’ L’ESITO DELLE CONDOTTE COMPIUTE FINO A QUEL
MOMENTO (cioè se avranno automaticamente rilevanza amm oppure no).

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L’abolitio criminis è divenuta negli ultimi anni abbastanza frequente, attraverso le cd. LEGGI DI
DEPENALIZZAZIONE con cui si è alleggerito il cp rimuovendo fattispecie di reato ormai non adatte al
contesto sociale (ex. ubriachezza pubblica, bestemmia, duello).

SUCCESSIONE DI LEGGI PENALI IN SENSO STRETTO : comma 4 art dell’art 2 cp. Si ha in 2 casi :
Il legislatore modifica la disciplina di un reato : quindi abroga la disciplina che c’era prima e ne introduce
una nuova quindi con riferimento SEMPRE ALLO STESSO REATO.
iIl leg elimina un reato il quale però, dopo questa abrogazione resta punibile in virtù di un’altra norma penale
esistente che ha contenuto + ampio. Ad ex : esisteva prima del 1981 un reato che era l’omicidio x causa
d’onore, che è stato abrogato. Ciò pero non vuol dire che se qualcuno uccide x causa d’onore non viene
punito, semplimemente sarà punito dalla disciplina + generale dell’omicidio.
Naturalmente, la differenza tra la ABOLITIO CRIMINIS e la SUCCESSIONE DI LEGGI PENALI IN
SENSO STRETTO, consiste nel fatto che nella seconda ipotesi, IL FATTO MATERIALE CONTINUA AD
ESSERE ILLECITO PENALMENTE CAMBIANO PERO’ COME DETTO ALCUNI ASPETTI CHE
POSSONO ESSERE AD ESEMPIO L’ENTITA’ DELLA SANZIONE O GLI ELEMENTI DEL FATTO
TIPICO. Mentre le primo caso questa illiceità viene meno cioè IL FATTO DI REATO DIVIENE UN
FATTO LECITO. La distinzione è importante sopratutto a fini pratici, perché SICURAMENRE IN
ENTRAMBI I CASI OVVIAMENTE SI APPLICA RETROATTIVAMENTE LA DISCIPLINA +
FAVOREVOLE AL REO CHE NEL 1 CASO VIENE ASSOLTO, NEL 2 CASO VIENE GIUDICIATO
DALLA NORMA + FAVOREVOLE CHE E’ QUELLA SUCCESSIVA. Il problema però è che nella
abolito criminis LA RETROATTIVITA’ DELLA NORMA + FAVOREVOLE E QUINDI
L’ASSOLUZIONE, TRAVOLGE ANCHE IL GIUDICATO NEL 2 CASO NO : ciò vuol dire che se un
sogg compie un reato, viene condannato ad esempio al massimo della pena (5 anni) e poi quel reato viene
modificato e viene abbassata la pena massima a 2 anni, succede che SE LA SENTENZA E’ PASSATA IN
GIUDICATO, LA CONDANNA RESTERA’ DI 5 ANNI, ALTRIMENTI DOVRA’ ESSERE
RICALIBRATA IN BASE ALLA NUOVA NORMA. Qual è però il problema ?? È che a volte è molto
complicato distinguere tra abolito cruminus e successione di leggi penali in senso stretto : innanzitutto perché
anche nella successione di leggi penali in senso stretto c’è un’abrogazione, solamente che
L’ABROGAZIONE RIGUARDA LA NORMA PRECEDENTE (CHE VIENE SOSTITUITA) MA NN IL
REATO CHE RESTA TALE. Questo è il motivo x cui quando c’è una riforma penale che abroga norme
penali, l’abrogazione di per se non permette di distinguere le 2 ipotesi bisognerà quindi andare a vedere nel
concreto se è stato abrogato il reato o se quel reato è stato sostituito da uno che punisce LO STESSO FATTO
MA IN MODO DIVERSO (quindi SUCCESSIONE DI DISCIPLINE oppure ABROGATIO SINE
ABOLITIONE).

Quindi nella pratica non è facile distinguere un’ipotesi dall’altra e sono stati elaborati diversi criteri x
distinguerle quindi per capire quando un reato è stato abolito oppure quando è stato semplicemente sostituito
da un altro che magari ha un nome diverso :

CONTINUITA’ DEL TIPO DI ILLECITO : cioè SI HA SUCCESSIONE DI LEGGI IN SENSO STRETTO,


QUANDO VIENE ABROGATA UNA NORMA PENALE CHE PREVEDE UN REATO E NE VIENE
INTRODOTTA UN’ALTRA CHE PREVEDE UN ALTRO REATO CHE PERO’ HA UN NUCLEO
ESSENZIALE IDENTICO A QUELLO PRECEDENTE. Quindi in sostanza tutela lo stesso bene giuridico
(vita incolumità ecc). Ha una stessa AREA DI ILLICEITA’. Ad esempio : la bancarotta fraudolenta prima
della riforma del 2002 e la bancarotta fraudolenta societaria che causa dissesto (reato che ha sostituito la
bancarotta fraudolenta semplice). Qui ovviamente il nucleo essenziale è identico cioè IL FATTO DI AVER
PREGIUDICATO L’INTERESSE DEI CREDITORI E’ CAMBIATO IL RIFERIMENTO A QUESTO
STATO DI ‘’ DISSESTO’’ CHE PRIMA NON C’ER (è stato introdotto quindi un elemento in + che prima
non c’era). Ciò vuol dire che se una persona e’ stata condannata per bancarotta fraudolenta, senza aver
causato lo stato di dissesto (che è diventato elemento costitutivo con la riforma), il soggetto se la sentenza
non è passata in giudicato deve essere, in applicazione alla norma + favorevole che è Olande 2, deve essere
ASSOLTO. La norma numero 2 è la + favorevole in quanto, introducendo UN NUOVO ELEMENTO DI
REATO (il dissesto) RESTRINGE L’AREA DI ILLICEITA’. Qualora l’avesse ampliato sarebbe stata legge
meno favorevole e quindi si sarebbe applicata la 1 e quindi come tale irretroattiva. Questa teoria però è
criticabile : in quanto è basata nn tanto su criteri logici quanto + su criteri di tipo VALUTATIVO CHE
PERO’ PRETENDONO UNA VALUTAZIONE CHE E’ MOLTO SOGGETTIVA PERCHE’ E’
DIFFICILE STABILIRE QUANDO IL NUCLEO ESSENZIALE O IL BENE GIURIDICO SIANO
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IDENTICIT E QUINDI POSSONO ESSERCI DELLE INTERPRETAZIONI CONTRASTANTI (è troppo
generica questo tipo di teoria). Peraltro, è anche TROPPO RIGIDA : qualora intervenisse un nuovo reato
CHE TUTELA LO STESSO BENE GIURIDICO DEL PRECEDENTE MA NE TUTELA MAGARI
ANCHE UN ALTRO, PER COME E’ STATA FORMULATA QUESTA TEORIA SI DOVREBBE PARLA
DI ABOLITIO CRIMINIS COSA CHE OVVIAMENTE RISULTA POCO RAGIONEVOLE.
CRITERIO DELLA SPECIALITA (che risulta + logico rispetto al 1 criterio) si ha successione di leggi e non
abolito criminis quando la norma penale introdotta, è speciale rispetto a quella SOSTIUITA e ABROGATA.
Questo vuol dire che la nuova fattispecie era già perfettamente contenuta in quella precedente, ma specifica
un elemento in più del reato. Es. reato di bancarotta fraudolenta della legge fallimentare. La riforma del 2002
ha lasciato identico il reato, e ha solo introdotto un’elemento in più richiedendo ì che il dissesto finanziario
dell’impresa sia stato causato dal fallito.Si ha successione di leggi penali, e non abolito criminis, anche nel
caso opposto, cioè quando la norma penale successiva amplia il contenuto rispetto alla norma penale
sostituita e abrogata, cioè risulta (al contrario dell’esempio di prima sulla bancarotta) più generale della
precedente. Si ha, infine, sempre successione di leggi quando è stata abrogata una fattispecie penale, che non
viene sostituita da una nuova, perché il reato che veniva previsto da quella norma penale abrogata non cessa
di esistere, ma resta punibile sulla base di un’altra norma penale che già esisteva, ma che era + generale (ad
esempio OMICIDIO PER CAUSA D’ONORE. E’ STATO ABROGATO, ma E’ rimasto PERO’ PUNIBILE
CON LA NORMA SULL’OMICIDIO IN GENERALE ex 575 cp, quindi è stato riassorbito dalla fattispecie
comune di omicidio). In tutti questi casi c’è successione di leggi penali e non abolito criminis. C’è però una
problematica : che succede quando, le fattispecie penali quindi QUELLA ABROGATA E QUELLA
INTRODOTTA EX NOVO sono in rapporto di specialità bi laterale ? Cioè quando ciascuna ha elementi di
specialità rispetto all’altra : ex infanticidio x causa d’onore, abrogato nel 81; e infanticidio in stato di
abbandono materiale e morale che l’ha sostituito. A ben vedere nn esiste un rapporto di specialità tra queste 2
norme: la seconda fattispecie non è speciale rispetto alla prima, non era astrattamente contenuta già dalla
precedente. Invece ciascuna delle due fattispecie, la precedente e la successiva, ha UNA STRUTTURA
DIVERSA, ha elementi differenti: da una parte la causa d’onore (quindi un’infanticidio posto in essere per
nascondere una relazione adultera), dall’altra lo stato di abbandono morale e materiale (quindi un infanticidio
fatto da una madre sola e in condizioni di povertà). Quindi non ci dovrebbe essere successione di leggi penali
per assenza della specialità, almeno secondo questa seconda teoria. Quindi dovrebbe trattarsi di abolito
criminis? Anche questa soluzione è sbagliata, almeno alla luce di quello che ha detto la cassazione a sezioni
unite, secondo cui in questi casi di specialità bilaterale, si dovrebbe comunque trattare di successione di leggi
penali e non di abolito criminis quando comparando gli elementi strutturali della fattispecie precedente
abrogata e di quella successiva introdotta, SI PUO’ NOTARE UN NESSO DI OMOGENEITA’ E
CONTINUITA' TRA LE NORME E QUINDI UN MEDESIMO SIGNIFICATO LESIVO DEL FATTO DI
REATO NEL SUO NUCLEO ESSENZIALE (quindi x questo caso particolare è come se si riprendesse un
po la 1 teoria del nucleo essenziale. Il nucleo essenziale nell’esempio sarebbe l’infanticidio). È importante
quindi che LA CONDOTTA DI ENTRAMBE LE FATTISPECIE RICADA NELLO STESSO CONO
D’OMBRA.
C’è un altro caso particolare : QUANDO UNA NUOVA NORMA PENALE SOSTITUUISCE UNA
VECCHIA RESTRINGENDONE IL CAMPO (cioè delimitando in modo+ stringente l’ambito del
penalmente rilevante). In questi casi SI HA UN’ABOLITIO CRIMINIS PARZIALE, ossia si ha
UN’ABOLITIO CRIMINIS rispetto a quei fatti che sulla base della nuova norma non sono + inseriti
nell’area del penalmente rilevante. Si ha invece una successione di leggi x quei fatti che invece restano
punibili in quanto ancora inclusi nell’area del penalmente rilevante. Quindi quei fatti che la norma nuova ha
x così dire ritagliato ed ha continuato a valutare come illeciti.

In tutti i casi in cui di realizza una successione di leggi penali, ovviamente come detto, se la legge successiva
è + favorevole al reo, si applica questa. Altrimenti si applica la precedente.

Che cosa succede se ci sono + modifiche legislative di una stessa norma? Cioè ad esempio pensiamo al
delitto di abuso d’ufficio che è stato riformato dapprima nel 90 e poi nel 97. In queste situazioni succede che
TUTTE LE LEGGI CHE SI SONO SUCCEDUTE DEVONO ESSERE PRESE IN CONSIDERAZIONE
PER CAPIRE QUALE SIA LA + FAVOREVOLE AL REO OVVIAMENTE SEMPRE CON IL LIMITE
DEL GIUDICATO XK RICORDIAMO SEMPRE CHE NELLE SUCCESSIONI IL GIUDICATO NON
PUO’ ESSERE TRAVOLTO. Ricordiamoci quindi che il passaggio in giudicato di una sentenza impedisce
una riapertura del processo anche se la norma penale è stata sostituita da una + favorevole. Qual è la ratio di
questa intangibilità del giudicato? EVITARE CHE QUALUNQUE MODIFICA AD UNA NORMA
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PENALE FACCIA RIAPRIRE TUTTI I PROCESSI ANCHE CONCLUSI PER UN DISCORSO DI
ECONOMICITA’ E PRATICITA’ PROCESSUALE e ciò ovviamente manifesta ancora di + la differenza
con l’abolito criminis dove invece si parla di IPER IRRETROATTIVITA’ nel senso che la legge che ha
abolito l’illecito, si applica travolgendo anche il giudicato. Parte della dottrina ritiene che questo limite del
giudicato rispetto alla successione di leggi penali sia irragionevole ed iniquo : pensiamo ad una situazione in
cui una nuova norma penale stabilisca pene + ridotte rispetto alla precedente oppure quando un sogg sia stato
condannato ad una PENA DETENTIVA che risulta maggiore rispetto a quella massima modificata dalla
nuova legge. La corte cost ha respinto la questione di illegittimità cost, tuttavia dell’art 2 c 4 ritenendo che
LA PREVALENZA DEL GIUDICATO DEBBA ESSERE MANTENUTA CON RIFERIMENTO ALLA
SUCCESSIONE DI LEGGI, per ragioni di CERTEZZA DEL DIRITTOl ragioni che invece nel caso
dell’abolitivo criminis devono cedere il passo all’altro principio del FAVOR REI. Anche per mitigare questa
differenza sostanziale tra abolito criminis e successione di leggi, nel 2006 è stato introdotto quello che ora è
il 3 comma ella’art 2 che prevede una IPER RETROATTIVITA’ DELLA LOEGGE PENALE
MODIFICATIVA (quindi come se si trattasse di un’abolito criminis) quindi è stata ammessa una possibilità
in cui nonostante ci sia una mera successione di leggi penali, e quindi uno stesso reato, la legge successiva
più favorevole possa travolgere un giudicato. Questa eccezione si ha quando il reato originario prevedeva
una pena detentiva e il reato così modificato prevede solo una pena pecuniaria : IN QUESTI CASI SI
RITIENE CHE NN SIA EQUO CHE UN SOGG CONDANNATO IN GIUDICATO AD UNA PENA
DETENTIVA, NON POSSA GIOVARE DI UNA CONVERSIONE IN PENA PECUNIARIA IN BASE AI
CRITERI DELL’ART 135 cp questo xk si ritiene che LA CONVERSIONE IN PENA PECUNIARIA
DELLA PENA, RISPONDE AL FATTO CHE QUEL REATO NN HA + LO STESSO GRADO DI
LESIVITA’ CHE AVEVA IL PRECEDENTE, sicché questa è un pò una situazione di mezzo tra abolito
criminis e successione di leggi penali in senso stretto, in quanto nonostante il reato sia rimasto lo stesso
(questo fatto quindi è + vicino alla successine) però d’altro canto, la grande diversità della pena avvicina
questa situazione + particolare + ad un abolito criminis.

Abbiamo detto che in caso di successione di leggi penali (cioè quando il resto resta fondamentalmente lo
steso) si deve applicare la legge + favorevole, il che ovviamente, se dovesse essere quella successiva,
porterebbe ad un’applicazione retroattiva di questa’ultima. Ma che vuol dire legge + favorevole al reo?
Ovviamente un primo riferimento è ALL’ELEMENTO SANZIONATORIO : QUINDI ANDREBBE
APPLICATA LA LEGGE CHE IMPONE UNA PENA MENO SEVERA MA BISOGNERA’ TENER IN
CONSIDERAZIONE ANCHE ALTRI ASPETTI : COME L’INTRODUZIONE DI CIRCOSTANZE
ATTENUANTI NUOVE O LA RIMOZIONE DI CIRCOSTANZE ATTENUANTI CHE LA LEGGE
PRECEDENTE PREVEDEVA OPPURE CONDIZIONI DI PROCEDIBILITA’. Ad esempio : furto
semplice, prima del 99 era procedibile d’ufficio (quindi non serviva la querela ma poteva prendere iniziativa
il pm). Dopo il 99 è procedibile a querela (quindi solo se c’è una denuncia). Quindi se un sogg, nel 99 era
sotto processo x furto semplice, senza che ci fosse stata una querela in quanto era possibile come detto che il
PM prendesse iniziativa senza querela; se quello stesso processo fosse rimasto pendente dopo il 99 (quindi al
momento della modifica legislativa), quel sogg va prosciolto in quanto la legge successiva che richiede la
querela affinché ci sia il processo x furto, è ovviamente + favorevole al reo perché toglie il potere di
iniziativa all’autorità giudiziaria(questo è un esempio di CONDIZIONI DI PROCEDIBILITA’ CHE PRIMA
NON C’ERANO). Ad ogni modo, quando il gudice valuta quale sia la legge + favorevole, la sua valutazione
deve sempre essere una valutazione in concerto che tenga cotoni tutti gli elementi del caso. Per esempio : se
la legge precedente prevede una pena minima + alta ed una pena massima + bassa (forbice edittale 4 7 anni)
mentre la legge successiva prevede il contrario (forbice edittale 3 8 anni), il giudice se è orientato ad
applicare al reo la pena minima applicherà la legge successiva perché la pena minima della successiva è +
bassa e quindi risulta nel concreto + favorevole al reo e viceversa.

Art 2 c 5 cp prevede un’altra ipotesi particolare di SUCCESSIONE DI LEGGI PENALI, ed è quella in cui
LE LEGGI PENALI IN QUESTIONE SIANO ECCEZIONALI O TEMPORANEE : cioè nel primo caso
SIANO LEGGI LEGATE AD EVENTI STRAORDINARI E CONTINGENTI E NEL 2 CASO QUANDO
SIA LO STESSO LEG, AD INDICARNE INIZIO E FINE DI VIGENZA. E’ evidente che in queste
situazioni non si applicano i coma precedenti xk il carattere di eccezionalità o temporaneità della legge
penale in questione, fa si che DEBBA ESSERE APPLICATA PROPRIO QUESTA LEGGE

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TEMPORANEA O ECCEZIONALE AI FATTI COMPIUTI SOLO E SOLTANTO NEL PERIODO
DELLA LORO VIGENZA. Ciò vuol dire che :

se interviene dopo una legge ecc o temp, una legge penale ‘’ classica’’ + favorevole, questa non sarà
applicata ai fatti (questa s’intende quella classica), compiuti in vigenza della legge eccezionale o temporanea.
Viceversa : se la legge temp o ecc risulta + favorevole rispetto ad una legge penale classica che ha
eccezionalmente o temporaneamente sostituito (quindi in questo caso la legge penale classica c’era prima
rispetto a quella ecc o temp), questa legge temp o ecc è dibattuto in dottrina sesi applichi o meno ai processi
pendenti (in applicazione della legge penale classica).

Art 2 c 6 stabilisce invece che SI APPLICANO LE DISPOSIZIONI SU ABOLITIO CRIMINIS E


SUCCESSIONI DI LEGGI PENALI NEI CASI DI DECADENZA E MANCATA RATIFICA DI UN
DECRETO LEGGE, E NEL CASO DI DECRETO LEGGE CONVERTITO CON MODIFICAZIONI.
Questa disposizione xò risponde ad una logica particolare : nel 1930, quando è stato emanato il codice,
quando i decreti legge nn venivano conferiti in legge, succedeva che perdevano efficacia ex nunc, mentre
adesso con la Cost, la perdono ex tunc : quindi se un decreto legge nn viene convertito in legge, è come SE
NN FOSSE MAI ESISTITO e tutti gli effetti che ha avuto nei 60 giorni di vigenza temporanea devono
essere RIPRISTINATI IN BASE ALL’ART 77 DELLA COST. Ciò vuol dire che nel 1930, questa
situazione dei decreti legge non converti era una situa molto simile a quella delle leggi temporanee perché
comunque avevano una vigenza di 60 giorni. La corte cost, è intervenuta sul tema, dicendo che è impossibile
attribuire ad una decreto legge lo stesso valore della legge, perché il decreto legge non conferito, è del tutto
privo di valore giuridico. Qual è il problema che si pone ? Il decreto legge, nei 60gg, comunque degli effetti
li produce anche se poi non viene convertito ad ex : poniamo il caso che il decreto legge abbia depenalizzato
un reato; un sogg, in quei 60gg compie quel fatto che nn è + un reato e quindi non viene ne processato ne
indagato. Il decreto legge nn viene convertito e qui si crea una contraddizione in termini perché quel fatto
torna reato e quindi teoricamente il sogg dovrebbe essere processato (dato che la mancata conversione del
decreto elimina tutti gli effetti ex tunc) ma non può essere processato xk si andrebbe contro
l’IRRETROATTIVITA’ DELLA LEGGE PENALE. Quindi cosa succede? Per questi fatti concomitanti,
commessi durante il decreto, al momento non è stata data una soluzione e quindi viene tutto rimesso al
giudice anche se la corte cost ha lasciato intendere che bisognerebbe applicare il principio generale del favor
rei. Naturalmente, aldilà del favor rei, per queste situazioni bisognerà applicare UN BILANCIAMENTO
TRA PRINCIPI : o si darà prevalenza al principio di irretroattività e quindi il sogg dovrebbe essere lasciato
libero quindi nn processato oppure si dovrà dare prevalenza ai meccanismi costituzionali dei decreti legge, in
base ai quali QUANDO UN DECRETO NN E’ CONVERITITO E’ COME SE NN FOSSE MAI ESISTITO
E QUIDNI QUEL SOGG DOVREBBE ESSERE PROCESSATO XK IL REATO E’ SEMPRE RIMASTO
TALE. E’ EVIDENTE CHE BISOGNERA’ DARE PREVALENZA ALLA PRIMA SOLUZIONE IN
QUANTO IL PRINCIPIO DI IRRETROATTIVITA’ E’ GARANZIA DI LIBERTA’ PERSONALE DEL
CITTADINO CHE HA SEMPRE LA MEGLIO : ciò vuol dire che se un sogg compie un fatto che in vigenza
di decreto che l’ha depenalizzato e che poi nn viene convertito è reato, quando il decreto nn viene convertito,
pur essendo astrattamente processabile (xk il fatto è comunque rimasto sempre reato) NON E’
PROCESSABILE PER IL SUPREMO PRINCIPIO DI IRRETROATTIVITA’.

Diverso è il caso dei FATTI PREGRESSI all’emanazione del decreto nn converitito : cioè Tizio commette
un fatto previsto dalla legge come reato e viene aperto il processo senza ancora sentenza ; successivamente
viene emanato un decreto legge che lo depenalizza (quindi il decreto legge fa l’abolito criminis) e poi quel
decreto legge nn viene convertito. Che succede? Su questo è intervenuta la corte cost : DICHIARANDO
INCOSTITUZIONALE L’ART 2 COMMA 6 IL QUALE DICEVA CHE A QUESTA IPOTESI SI
POTESSERO APPLICARE LE NORME SU ABOLITIO CRIMINIS E SUCCESSIONE DI LEGGI
PENALI, QUINDI DOPO LA SENTENZA DELLA CORTE, IN QUESTE SITUA NN SI OTRA’
APPLICARE L’ABOLITIO CRIMINIS E QUINDI IL SOGG NELLA IPOTESI DI PRIMA DI DECRETO
LEGGE DI DEPENALIZZAZIONE NN CONVERTITO, RESTERA’ PUNIBILE XK IL DECRETO
LEGGE NN CONVERITO, NN ESSENDO UNA LEGGE NON HA LA PREROGATIVA DELLA
RETROATTIVITA’ IN BONAM PARTEM (quindi ove favorevole al reo).

Vediamo adesso che poteri ha la corte costituzionale in merito AI SUOI INTERVENTI SULLA
LEGITTIMITA’ DELLE LEGGI PENALI : sappiamo che la corte guida la corrispondenza alla costituzione
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delle norme di leggi e di atti equiparati che possono anche essere norme penali. Sicuramente E’ PRECLUSA
ALLA CORTE COSTITUZIONALE LA POSSIBILITA’ DI UTILIZZARE IL SUO SINDACATO
INTERPETANDO UNA CERTA NORMA DI LEGGE IN MODO TALE DA CREARE UN NUOVO
REATO O DI AGGRAVARLO XK QUESTO VIOLEREBBE LA RISERVA DI LEGGE ED IN
GENERALE LA DIVISIONE DEI POTERI.

Nel dettaglio xo il problema si ha quando ka corte cost deve giudicare la legittimità non di norme penali
incriminatrici ma di norme penali di FAVORE COME QUELLE CHE AD ESEMPIO ATTEIBUISCONO
UN TRATTAMENTO PIU FAVOREVOLE A CERTI SOGG IN VIRTU’ DI ATTENUANTI O
SCRIMINANTI. La corte infatti potrebbe intervenire in questi casi se valuta che queste scremanti o
attenuanti, non siano coerenti al principio di uguaglianza (quindi non abbiano ragione di esistere xk
favoriscono in modo giustificato alcuni comportamenti piuttosto che altri). Ovviamente in questi casi
succede che SE QUESTE NORME DI FAORE VENGOO DICHIARATE INCSOTITUIONLI RITORNA
APPLICABILE UNA DISCIPLINA CHE E’ + SVAVOREVOLE PER IL REO. La corte, in una sua stessa
sentenza HA AMMESSO LA LEGITTIMINTA’ DI QUESTO SUO INTERVENUTO PER COSI DIRE IN
‘’ MALAM PARTEM’’ NELLA CONVINZIONE CHE NN SIA VIOLATIVO DELLA DIVISIONE DEI
POTERI O DELLA RISERVA DI LEGGE IN QUANTO QUEST’EFFETTO IN MALAM PARTEM CHE
SI CREA, NN DERIVA DA UNA MANIPOLAZIONE DI NORME DELLA CORTE XK LA CORTE SI E’
SOLAMENTE LIMITATA IN QUESTE SITUAZIONI A GIUDICARE ILLEGITTIMO UN CERTO TIPO
DI TRATTAMENTO + FAVOREVOLE. Il fatto che sia tornata in vigore di conseguenza, una norma +
sfavorevole, non è voluto dalla corte con un’intenzione manipolatoria ma in virtù di un meccanismo
automatico dell’ordinamento (cioè la norma meno favorevole si risespande in automatico). Ecco xk è
possibile per la corte fare questo tipo di intervento senza violare la riserva di legge xk LA CORTE NON HA
INTRODOTTO UN NUOVO TIPO DI REATO MA E’ IL REATO CHE C’ERA GIA PRIMA CHE SI E’
RIESPANSO AUTORMATICAMENTE ANCHE A QUEI CASI CHE VI ERANO STATI ESCLUSI X
ATTENUANTI O SCRIMINANTI.

Il problema però è che IN QUESTI CASI, QUANDO LA CORTE DICHIARA INCSOTITUZIONALE


UNA NORMA + FAVOREVOLE AL REO, CHE COSA SUCCEDE? Ricordiamo che la norma +
favorevole al reo, in deroga al principio di irretroattività della norma penale ha UN’APPLICAZIONE
RETROATTIVA (quindi si applica ai processi ancora pendenti e persino a quelli conclusi con condanna,
purché non sia passata in giudicato). Quindi se la norma + favorevole viene eliminata dalla corte,
inevitabilmente la sua illegittimità costituzionale le impedisce un’applicazione retroattiva, xk la corte ha
sostenuto che NON SAREBBE RAGIONEVAOLE APPLICARE UNA NORMA PENALE FAVOREVOLE
CHE NN SIA RISPETTOSA DELLA COSTITUZIONE E QUINDI SI ‘’ RIESPANDE’’ PER QUEI CASI
LA NORMA PENALE MENO FAVOREVOLE CHE HA UNA ‘’ REVIVISCIENZA’’ (è tornata in vigore).
Ricordiamo che, del resto, il principio della legge + favorevole al reo non è un principio assoluto ma è una
regola che può subire deroghe sul piano costituzionale se sorrette da GIUSTIFICAZIONI RAGIONEVOLI
AL CONTRARIO DEL PRINCIPIO DI IRRETROATTIVITA’ IN PEIUS CHE E’ INVECE UN
PRINCIPIO ASSOLUTO ED INDEROGABILE ANCHE XK DIRETTAMENTE STABILITO DALLA
COST (NB : in questo caso nonostante di primo acchito potrebbe sembrare una deroga, non è cosi perché la
norma + sfavorevole la reo già esisteva non è che viene introdotta dalla corte ma semplicemente si riespande
a quei casi che comunque avrebbe dovuto disciplinare. Nel senso che : se l’1 gennaio viene emanata la
norma meno favorevole; il 2 febbraio viene emanata la norma + favorevole che ha un’applicazione
retroattiva quindi anche per quei casi che dalla’1 gennaio sono stati disciplinati in base alla norma meno
favorevole; il 2 marzo viene abrogata xk incostituzionale la norma meno favorevole : abrogazione che
elimina gli effetti della norma + favorevole ex nunc quindi dal giorno successivo. Sulla base di quanto
abbiamo detto però, nonostante la decisione della corte sia una decisione che esplichi i suoi effetti dal giorno
successivo, non sarebbe giusto (dato che la norma abrogata è incostituzionale) che una norma + favorevole
possa avere quest’applicazione retroattiva; quindi ha reviviscenza la norma meno favorevole al reo che si
applicherà anche per quei casi che fino a quel momento sono stati disciplinati dalla norma + favorevole.
Questo però non significa che la norma meno favorevole abbia un applicazione retroattiva in quanto esisteva
già a partire dal’1 gennaio e quindi sta disciplinando quei casi che se non ci fosse stata l’emanazione della
norma favorevole dal 2 febbraio avrebbe dovuto disciplinare).

QUALI SONO LE NORME PENALI DI FSVORE SECONDO LA CORTE?

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Ci sono le norme che SCRIMINANO DETERMINATI SOGG DAL REATO e su queste la corte abbiamo
detto che può intervenire come ad esempio per il principio di uguaglianza. Mentre la corte nn potrebbe
intervenire su un altro tipo di norme di favore che sono quelle introdotte dal leg PER DELIMITARE
L’AREA DI INTERVENTO PER UN DETERMINATO REATO XK QUESTE ULTIME NORME DI
FAVORE, SONO FRUTTO DI UNA POLITICA CRIMINALE CHE SPETTA SOLO AL PARLAMENTO
ED UN INTERVENTO DELLA CORTE RISULTEREBBE VIOLATICVO DELLA RISERVA DI LEGGE
XK SI SOSTITUIREBBE AL LEG NELLA VALUTAZIONE DELL’OPPORTUNITA’ DELLA PENA. Ad
esempio : se viene introdotta una norma penale di favore dal leg come quella con cui ad esempio si dice che i
delitto di furto è tale solo se la cosa rubata a un valore minimo (tipo di 200 euro) quindi restringendo
l’ambito dell’illecito; la corte cost nn potrebbe sindacare questa norma rendendola incsotuzionale e
riallargando l’ambito del reato di furto xk cosi facendo, sostituirebbe la sua valutazione dalla’oppurtunità di
punire i furti sotto i 200 euro rispetto alla valutazione del leg di nn punirli e quindi si prenderebbe delle
prerogative che sono solo del leg e che sono quelle della scelta di criminalizzare un certo comportamento;
diverso sarebbe il caso ad esempio di un attenuante introdotta da una norma penale di favore ad ex. Sempre
delitto di furto attenuante : coloro i quali hanno meno di 25 anni hanno uno sconto di pena; qui la corte
potrebbe intervenire in quanto, potrebbe ritenere questa’attenuante come violativa del principio di
uguaglianza e quindi non su un piano di opportunità o di meritevolezza di pena ma su un piano di EQUITA’.

Ultimo ambito di intervento sulle norme penali di favore che la corte si è riconosciuta nel 2014, riguarda
un’altra possibilità : LA CORTE PUO DICHIARARE INCOSTITUZIONALE UNA NORMA DI UN
DECRETO LEGISLATIVO EMANATO IN VIOLAZIONE DI DELEGA CHE AVEVA ABOLITO UN
REATO RIPRISTINANDO QINDI QUEL REATO CHE ERA STATO ABOLITO. Questo lo può fare
perché la violazione della delega da parte del governo fa diventare quella norma che aveva abolito il reato,
una norma che viola la riserva di legge perché è una norma che non è stata delegata dal parlamento
nell’esercizio della sua funzione legislativa. Quindi la corte può dichiarare incostituzionale la norma in virtù
di un vizio procedurale ex art 76 cost che però si ripercuote su un’altra violazione che è quella DELLA
RISERVA DI LEGGE.

Un altro problema che si pone è quello della RETROATTIVITA’ DELLA LEGGE + FAVOREVOLE AL
REO CON RIFERIMENTO AGLI ORIENTAMENTI DELLA GIURISPRUDENZA SUL PIANO
EUROPEO : innanzitutto anche sul piano europeo vale il principio di irretroattività stabilito dalla’art 7
CEDU (nessuno può essere condannato per un fatto che al momento in cui è stato commesso nn costituiva
reato secondo il diritto interno o internazionale). Secondo la corte europea dei diritti dell’uomo, quil termine
‘’ diritto’’ indicherebbe tanto il diritto formale quanto il diritto che deriva dalla giurisprudenza quindi il cd.
DIRITTO VIVENTE dato dalla interpretazione dei giudici. Questo implichi che :SE UNA NORMA
PENALE IN VIGORE, E’ STATA INTERPRETATA DALLA CORTE DI GIUSTIIZIA O COMUNQUE
DALLA GIURISORUDENZA IN SENSO SFAVOREVOLE, QUELLA INTERPRETAZIONE
SFAVOREVOLE CONSOLIDATA NN PUO MAI ESSERE APPLICATA A FATTI PRECEDENTI
RISPETTO AL MOMENTO IN CUI QUELLA INTERPETAZIONE E’ NATA. QUINDI IL PRINCPIO DI
IRRETROATTIVITA’ SI APPLUCA ANCHE ALLA NUOVA INTERPETAZIONE SFAVOREVOLE DI
UNA NORMA PENALE, MA CON 1 ECCEZIONE : a meno che questa interpretazione + sfavorevole non
risultasse già al momento del fatto compiuto RAGIONEVOLMENTE PREVEDIBILE DA PARTE DEL
REO. Cioè se il reo, al momento di commettere il fatto, poteva immaginare che quel fatto sarebbe stato
punito da una norma penale interpretata in modo + sfavorevole, quella interpretazione + sfavorevole che poi
effettivamente si ha può essere applicata retroattivamente a quel fatto. Per quanto riguarda invece i caso
opposto cioè LA RETROATTIVITA’ DI UNA INTEPRETAZIO GIURISPRUDENZIALE +
FAVOREVOLE, SE NE E’ OCCUPATA LA CORTE COSTITUZIONALE, LA QUALE, HA STABILITO
CHE : E’ POSSIBILE NEI LIMITI DEL GIUDICATO (§cioè si può applicare retroattivamente una
interpretazione giurisprudenziale ad un determinato fatto compiuto prima del consolidamento di questa
interpretazione, almeno che quel fatto nn sia stato giudicato con sentenza passata in giudicato).

La corte ha anche detto che : il mutamento giurisprudenziale, nn è sottoposto al principio di legalità dell’art
25 in merito0 alla irretroattività xk la irretroattività riguarda le norme di legge, quindi il diritto scritto

PERSONALITA’

31
È sancito dalla’art 27 della cost, il quale stabilisce che LA RESP PENALE CHE FA ‘’ SCATTARE’’
QUELLA CHE E’ LA SANZIONE + AFFLITTIVA DEL NOSTRO ORDINAMENTO (cioè quella penale),
E’ NECESSARIAMENTE UNA RESP PERSONALE. Il significato della norma è duplice :
- come significato minimo (l’unico considerato almeno fino agli anni 60-70) implica che LA RESP
PENALE, E’ NECESSARIAMENTE CONNESSA AD UN FATTO PROPRIO nel senso che nn si
può mai essere penalmente responsabili x un fatto altrui. Quindi responsabilità per fatto proprio e
divieto di resp per fatto altrui.
- Come significato evolutivo invece, il principio diventa PRINCIPIO DI RESP PERSONALE
INTESA COME PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA O DIVIETO DI RESP OGGETTIVA. Si tratta
di una lettura che è stata consacrata in una sentenza storica che è la 364 dell’88 della consulta che
vedremo nel dettaglio.
Sotto entrambi i significati di questo principio vi è comunque una forte relazione con l’art 27 comma 3 della
cost che sancisce il TELEOLOGISMO RIEDUCATIVO DELLA PENA (la pena deve sempre essere
finalizzata a rieducare il sogg quindi la ‘’ special prevenzione’’). C’è questa connessione xk nn avrebbe
senso pensare di poter rieducare un sogg che non ha commesso il fatto o non è colpevole : la colpevolezza
individuale quindi in questo senso RAPPRESENTA UN LIMITE ALL’INTERVENTO PUNITOV DELLO
STATO (lo stato nn può quindi pure un sogg come ‘’ capro espiatorio’’ ma lo può fare solo se ed in quanto il
sogg è colpevole). La pena quindi non può essere uno STRUMETNO DI INTIMIDAZIONE MA DEVE
ESSERE COMMISURATA AL FATTO EFFETTIVAMENTE COMPIUTO E PERALTRO DEVE ANCHE
ESSERE PROPROZIONATA ALLA COLPEVOLEZZA DEL SOGG QUIDNI ALLA MISURA DELLA
SUA RESP.

Analizziamo il significato MINIMO DELLA NORMA : RESP X FATTO PROPRIO CHE E’ CONNESSO
AL DIVIETO DI RESP X FATTO ALTRUI DIVIETO DI RESP COLLETTIVA E DIVIWTO DI RESP DI
POSIZIONE : IL PRINCIPIO COST QUINDI PROIBISCE 1) DI INCIRMNARE TIZIO X UN FATTO
COMMESSO SOLO DA CAIO 2) DI PUNIRE FAMIGLIA, CETO, PARTITO O LA RAZZA DI TIZIO X
UN FATTO COMOIUTO DA QUEST’ULTIMO 3) DI PUNIRE UN SOGGX IL SOLO FATTO CHE
AVEVA UN DETERMINATO RUOLO (ad esempio in un’azienda) e NON PERCHE’ STATO
COMPIUTO UN FATTO DA LUI 4) DI PUNIRE UN SOGG X ACCADIMENTI A LUI DEL TUTTO
ESTRANEI (questa è la resp x il caso).
In passato questo tipo di resp esistevano (ed esistono ancora ma solo sul piano civile) : quindi il principio di
resp personale eredita anche quella che è la tragica esperienza della 1 guerra mondiale : in cui nei regimi
totalitari si tendeva sempre di + a forme di repressione collettiva (deportazioni di massa, rappresaglie ecc) (in
altri termini : con la 1 guerra mondiale si tendeva a queste forme di resp collettiva ecco xk si tende a
specificare che la resp penale è PERSONALE differentemente da quanto avveniva in passato). Naturalmente,
affinché ci sia una resp per fatto proprio occorre necessariamente che ci sia UN COLLEGAMENTO TRA
FATTO E AUTORE : UNA RELAZIONE CHE VA DEFINITA OVVIAMENTE PER CAPIRE QUANDO
UN FATTO. PROPRIO E QUANDO NON LO E’. Non è una questione semplice xk a volte, + sogg
partecipano ad un fatto con contributi diversi (e qui c’è il problema del concorso di persone); altre volte un
sogg può compiere un reato pur senza far nulla (reato omissivo); e soprattutto in alcuni casi, all’interno di
organizzazioni complesse, i reati possono derivare da decisioni riferibili a + sogg in diverse posizioni e si ha
quindi una dispersione delle individualità che rende complesso determinare chi è il concerto responsabile
(resp degli enti). Quindi non è facile selezionare i sogg responsabili di fronte ad un fenomeno di reato. Il
problema di individuare la resp, è un problema di IMPUTAZIONE : per imputazione s’intende LA
ASCRIVIBILITA’ DI UN FATTO AD UN SOGG. SOLO SE C’E’ L’IMPUTAZIONE CI PUO ESSERE
UNA RESP. L’IMPUTAZIONE QUIDNI COSTITUISCE L’INSIEME DEI CRITERI CHE
PERMETTONO DI ATTRIBUIRE CORRETTAMENTE UN FATTO AD UN SOGG.

La carta cost non offre nessun indizio a questi criteri (di attribuzione del fatto all’agente) pertanto sono state
suggerite diverse soluzioni :
La prima è quella tradizionale (degli anni 70), secondo la quale AFFINCHE’ CI SIA UNA RELAZIONE
TRA FATTO E SOGGETTO, BASTA CHE CI SIA UN NESSO CAUSALE TRA CONDOTTA ED
EVENTO CIOE’ UN QUALUNQUE TIPO DI COLLEGAMENTO CAUSALE TRA IL
COMPPORTAMENTO DI UNA PERSONA E L’EVENTO CHE POI COSTTIUISCE IL REATO. In
sostanza, TUTTI GLI EVENTI CHE SONO RICONDUCIBILI AL COMPORTAMENTO DI UNA
PERSONA SULLA BASE DI UNA SERIE CAUSALE ININTERROTTA SONO A LUI IMPUTABILI :
cioè qualunque tipo di contributo un sogg abbia dato al verificarsi di un evento, solo x il fatto di averlo dato,
32
diventa già responsabile. La conseguenza di questo criterio di attribuzione del fatto al sogg, è che andando a
ritroso ad esempio potrebbe essere resp della morte di un sogg la madre per il solo fatto di averlo messo al
mondo. Quindi, questo tipo di criterio non è sufficiente ed ha anche delle conseguenze applicative assurde.
Inoltre, anche in altre branche dell’ordinato come ad esempio il diritto civile è dimostrato che questo criterio
non esclude resp di tipo OGGETTIVO PER FATTO AOTRUI : TANT’E’ VERO CHE VIENE
UTILIZZATO PRORIO NELLE FORME DI RESP OGGETTIVA X ASCRIVERE AD ESEMPIO IL
FATTO DELL’ANIMALE DOMESTICO AL PROPRIETARIOL ciò dimostra quindi che non è vero che
grazie a questo criterio si possono evitare forme di fatto altrui ed anzi è il contrario. Peraltro, questo tipo di
soluzione risulterebbe del tutto inutile, nei reati omissivi dove un contributo materiale di una persona mana
del tutto dal momento che in questi reati la resp è connessa non ad un comportamento ATTIVO MA AD UN
OMESSO IMPEDIMENTO. Quindi, la migliore dottrina già da tempo ha sottolineato che il solo
accertamento del nesso di causalità non può da solo garantire un rimprovero penale improntato al canone
della resp individuale.
Per superare questo tipo di criticità è stato proposto un altro criterio che è quello della DOMINABILITA’
(negli anni 80) : questo tipo di criterio, serviva all’epoca (quindi prima della famosa sentenza della corte cost
prima citata), PER MEDIARE UN PO’ LE POSIZIONI DI CHI SOSTENEVA CHE IL PRINCIPIO DI
RESP PERSONALE AVESSE SOLO IL SUO SIGNIFICATO MINIMO E CHI INVECE NE
SOSTENEVA IL SIGNFICATO EVOLUTIVO (quindi questo criterio serviva un po da compromesso) :
secondo questo criterio , il principio di resp individuale, + che richiedere UN NESSO CAUSALE TRA
FATTO ED EVENTO, RICHIEDE AFFINCHè UN FATTO SIA ASCRIVIBILE AD UN SOGG, CHE
FOSSE DA LUI ‘’ DOMINABILE’’ CIOE’ CHE LO POTESSE EVITARE, RIENTRANDO QUINDI
NELLA SFERA DEL SUO POTERE. Cosa si obbietta a questo criterio? Si obbietta che ci sono un’infinità
di fatti che ciascuno può evitare, non per questo è obbligatorio evitarli : cioè IL POTERE ASTRATTO DI
EVITARE UN FATTO NN PUO’ DA SOLO CREARE UN DOVERE GIURIDICO DI EVITARLO. Anche
qui si finirebbe per rendere resp un pò chiunque e per qualunque tipo di fatto.
RESP PER I RISCHI PRODOTTI : si può ascrivere un fatto ad un sogg se il sogg con il suo comportamento
ha AUMENTATO IL RISCHIO CHE L’EVENTO SI VERIFICASSE. Anche questa teoria, non è sufficiente
xk non è giusto che si punisca chiunque abbia anche in minima parte aumentato il rischio di produzione di un
evento lesivo, al massimo si può dire che un sogg ha UN DOVERE GIURIDICO DI EVITARE LESIONI
CON IL SUO COMPORTAMENTO MA NON DI CREARNE ANCHE IL MINIMO RISCHIO
ALTRIMENTI ANBCHE QUI SI FINIREBBE PER PUNIRE UN PO’ CHIUNQUE.
Quindi ciò che evidenziano tutti e 3 i criteri è CHE PER ATTRIBUIRE UN FATTO AD UN SOGG NN SI
POSSONO UTILIZZARE CRITERI ‘’MATERIALI’’ (come il rischio o la dominabili ecc), BISOGNA
INVECE UTILIZZARE CRITERI GIURIDICI CIOE’ STABILIRE NN TANTO COSA UN SOGG PUO’
DOMINARE O CONTROLLARE MA COSA IL SOGG DEVE GIURIDICAMENTE EVITARE O NON
FARE. Quindi qual è il criterio giusto? Bisogna prima fare una premessa : l’art 27 quindi il principio di
personalità è di PORTATA ASSIOMATICA, CIOE’ DEVE ESSERE APPLICATO SIA DA LEG CHE
DAL GIUDICE E NN E’ SOLAMENTE UN LIMITE ALL’INTERVENTO PENALE MA E’ PROPRIO
UN FONDAMENTO DELLA RESP PENALE. QUINDI E’ UN PRINCIPIO A VALENZA POSITIVA :
CIO’ VUOL DIRE CHE NN ESISTE ALTRA FORMA DI RESP PENALE CHE NN SIA PERSONALE,
infatti l’art 27 nn solo stabilisce un limite all’arbitrio dal giudice o del leg ma stabilisce appunto il dato
strutturale della resp penale : cioè LA RESP PENALE O E’ PERSONALE O NN ESISTE IN ASSOLUTO
QUINDI UN RIMPROVERO CHE NN SI RIVOLGA AD UN SOGG COLPEVOLE X UN FATTO
PROPRIO NN E’ UN RIMPROVERO PENALE QUINDI IL PRINCIPIO DI PERSONALITA’
DETERMINA LA STRUTTURA NECESSARIA DELLA RESP PENALE.

Ascrivere un fatto ad un soggetto, implica un procedimento retrospettivo : SI PARTE DALLA FINE


(EVENTO) E SI DEVE RISALIRE ALL’AUTORE IMPUTANDOGLI L’EVENTO STESSO SULLA
BASE DI CRITERI CHE, CME DETTO, NON POSSONO ESSERE SOLO DI CAUSALITA’. Il principio
di resp del fatto proprio quindi, non è un problema di causalità ma un problema di individuazione dei sogg
responsabili. Bisogna capire quindi quali regole implementano il principio di resp personale che come tutti i
principi, può essere realizzato tra un minimo ed un massimo, in base a regole che ne rappresentano
approssimazioni. Il principio di personalità peraltro, è un principio ASSIOMATICO QUINDI VINCOLA
SIA IL LEG CHE IL GIUICE E PUO’ ESSERE SE VIOLATO, PRESUPPOSTO DI
INCOSTITUZIONALITA’ DI UNA LEGGE. POI E’ UN PRINCIPIO FONDANTE (NN
DELIMITATITVO) CIOE’ NON SI LIMITA A CIRCOSCRIVERE SOLO L’AMBITO DI INTERVENTO
PENALE MA OPERA COME OSSATURA DEL SISTEMA PENALE INTERO (COME MODELLO DI
33
RESP). E POI E’ UN PRINCIPIO REALIZZABILE SEOCNDO DIVERSI CRITERI : QUINDI SECONDO
DIVERSE REGOLE CHE DEVONO OTTIMIZZARLO CIOE’ ASSICURARNE LA VALENZA AL
MASSIMO GRADO, INDIIVUDANDO I SOGG RESPONSABILI.

Se la resp penale è PERSONALE, personale deve anche essere intesa la norma penale sulla base della quale
c’è la resp : la norma incriminatrice infatti non è solo una norma che vieta o impone qualcosa ma è una
norma che presuppone di essere rivolta ad un SOGG DI DIRITTO RESPONSABILE (quindi un cittadino
adulto e responsabile), considerandolo come GARANTE DELLE CONSEGUENZE CHE DERIVANO
DALLA GESTIONE DELLA SUA SFERA DI LIBERTA’, nel senso che se da questa gestione deriva una
lesione a qualcuno, di questa lesione il sogg dovrà rispondere. Considerare responsabile un sogg SIGNIFICA
RICONOSCERLO COME PERSONA E COSI’ FACENDO, DIVENTA POSSIBILE FARLO
RISPONDERE DELLE CONSEGUENZE LESIVE DEI SUOI COMPORTAMENTI. Ogni norma penale,
riconosce a ciascun cittadino una serie di posizioni che possono essere LIBERTA’, DIRITTI MA ANCHE
ONERI E DOVERI CHE NE COMPONGONO LO STATUS DI SOGG DI DIRITTO. Quindi un sogg è
responsabile in quanto portatore di uno status cioè di un ruolo a cui corrispondono diritti e doveri. Ogni
persona portatrice di status è un centro di possibile imputazione : ai fini della resp penale, tra tutte posizioni
che compongono lo status id cittadino, ovviamente, rilevano principalmente i doveri giuridici : UN SOGG
PUO ESSERE CHIAMATO A RISPONDERE PENALMENTE X LE LESIONI CHE DERIVANO DALLA
VIOLAZIONE DI UN DOVERE GURIDICO ATTINENTE AL SUO STATUS E SOLO IN QUESTO
CASO IL DOVERE GIURIDICO CHE VA INTESO NEL SENSO DI LIMITE ALLA PROPRIA
AUTONOMIA PERSONALE. Il riconoscimento dello status di sogg di diritto, comporta infatti la
competenza x la corretta gestione della propria sfera di libertà e questa competenza, individua il limite entro
cui ciascun sogg può essere chiamato a rispondere e quindi l’ampiezza dell’ambito della sua resp. Tutti quei
fatti che non rientrano in questa sfera di competenza, non possono essergli imputati ma , al massino,
potrebbero essere imputati a qualcun altro o semplicemente dovuti al caso. Ad esempio : se un sogg è alla
guida ed è un esperto di guida ed un altro che invece è neopatentato vuole emulare la guida del 1 commette
un’imprudenza e causa un incidente, quella’esisto non è certo nella sfera di competenza del 1. Se un sogg
che ha un virus influenzale esce da casa, contagi ainvoltariamente un’anziana che muore, non essendoci un
dovere giuridico di isolamento (eccetto ora per il COVID) in caso di influenza, non sarà responsabile xk il
fatto nn rientra nella sua sfera di competenza ur essendo stata lui la causa della morte della signora.

Ovviamente l’ampiezza di questa sfera di resp nn è sempre uguale per tutti ma dipende DALLA IDENTITA’
SOCIALE DEL SOGG : OGNI STATUS INFATTI HA DEI LIMITI DIMENSIONALI PARTICOLARI
CIO’ CHE CONTA E’ CHE CIASCUNA SFERA DI RESP SIA AUTONOMA E SEPARATA DALLE
ALTRE. Sopratutto nei complessi lavorativi più complessi, è infatti importante differenziare le sfere di resp
in base ai ruoli gestionali autonomi che esistono nei diversi apparati : dell’azienda, della società, dell’ente. È
necessario quindi, soprattutto in questi contesti x individuare correttamente i responsabili di eventuali
accadimenti di rilevanza penale, delle aree di competenza pienamente autonome. Ogni cittadini quindi ha
uno status generale che determina una sfera di competenza al di fuori della quale non è responsabile
penalmente, però si è anche detto che gl status non sono tutti uguali : esistono infatti degli status speciali cioè
L’ORDINANEMTN PREVEDE ED ASSEGNA A PARTICOLARI SOGG DELLE SPECIFICHE
COMPETENZE CHE DERIVANO DALLA STRUTTURA O MEGLIO DALLA ISTITUZIONE A CUI
APPARTENGONO CHE PRINCIPAL,ENTE SONO : LA FAMIGLIA, IL CONIUGATO E
SORPATTUTTO LA PUBBLICA FUNZIONE. Xk questi sono status speciali ? Xk a questi status
corrispondono doveri giuridici + intensi : gli obblighi che il genitore ha nei confronti del figlio o l’obbligo
del marito nei confronti della moglie o gli obblighi del funzionario pubblico nn sono gli stessi del cittadino
comune ma sono + ampi in virtù della speciale qualifica in senso ampio ed istituzionale di cui sono portatori.
Si pensi ad esempio ai medici o ai pompieri che hanno peraltro una sfera di obblighi con rischi molto + ampi.
Qual e il fondamento cost di questi status differenziati? OLTRE ALL’ART 2 CHE PARLA IN GENERALE
DI DOVERI DI SOLIDARITA SICURAMENTE GLI ART 29-30-54 E 97 CHE SEMBRANO
INDIVIDUARE NELLA FAMIGLIA I PRIMI 2 E NELLE PUBBLICHE FUNZIONI LA 2 COPPIA LE
ISTITUZIONI CHE SONO DEPUTATE A SALVAGUARDARE INTERESSI PUBBLICI E CHE QUINDI
FANNO SI CHE CHI LE RAPPRESENTA, SIA GRAVATO DI DOVERI GIURIDICI + AMPI DEL
CITTADINO COMUNE CIOE’ DOVERI GIURIDIC NON NEGATIVI DI NON AGGRESSIONE MA
POSITIVI DI SALVAGUARDIA E DI CURA DI UN INTERESSE COLLETTIVO E CHE IMPLICANO
UN’ATTIVITA’ PROPRIO VOLTA A TUTELARE UN CERTO ITERESSE (ex educazione salute ecc)
FINO ADDIRITTURA AD ESPRRE QUESRI STESSI SOGG A DEI RISCHI : come nel caso dei medici o
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delle forze di polizia. In questo ambito di competenze, bisogna garantire che il sogg, non solo nn aggredisca
l’altro (come invece accade per il resto dei cittadini) ma realizzi quel livello minimo di solidarietà che è
irrinunciabile x la società).

Riassumendo, in base al principio di resp x fatto proprio, non è legittimo rimproverare penalmente un sogg x
un fatto che nn appartiene alla sua sfera di competenza, cioè che NON RIENTRA NELL’AMBITO DI
AUTONOMIA CHE DERIVA DALLO STATUS GENERARE DI CITTADINO O SPECIALE DI
GENITORE ECC., status cui corrispondono doveri giuridici, i quali, se violati, determinano lesioni per le
quali nasce il fatto di reato e quindi la responsabilità penale del soggetto. Il rimprovero penale connesso a
questa responsabilità è sempre e soltanto rivolto al titolare di quello status a cui corrispondeva quel dovere
giuridico violato, in quanto soggetto competente, ed a nessun altro.

Quindi: la RESPONSABILITA’ E’ PERSONALE, NEL SENSO MINIMO DI CUI ALL’ART. 27 COST.,


SE ED INN QUANTO OGNI SOGGETTO RISPONDE ESCLUSIVAMENTE DELLE VIOLAZIONI DI
QUEI DOVERI GIURIDICI CHE ATTENGONO AL SUO STATUS GENERALE/SPECIALE, A LUI
RICONOSCIUTO DALLA COSTITUZIONE, E CHE NE DELIMITANO L’AMBITO DI COMPETENZA,
E NE COSTITUISCONO IL FONDAMENTO DELLA RESPONSABILITA’ PENALE. (NULLUM
CRIMEN SINE PECULIARI OFFICIO cioè non c’è responsabilità penale senza un dovere giuridico proprio
del soggetto che lo viola).

In questo contesto vediamo il ruolo della CAUSALITA : cm detto la causalità da sola non basta x garantire il
rispetto del principio di resa individuale (xk è utilizzata anche nel paradigma di resa oggettiva, quindi da
posizione, civile), tuttavia la causalità è un indizio x determinare se il sogg che ha posto in essere una
lesione, aveva la competenza di evitarla, quindi SE QUEL DOVERE GIURIDICO VIOLATO,
RIENTRAVA NELLA SUA SFERA. Nel nostro sistema penale, come vedremo, l’offesa al bene giuridico
che realizza il reato DEVE ESSERE RICONDUCIBILE QUINDI ALLA SFERA DI RISCHIO (cosiddetta)
CHE ERA DI GESTIONE DEL SOGGETTO. Solo in questo modo si rispetterà il principio di resp per fatto
proprio.

In realtà però l’ordinamento giuridico penale italiano, ha conosciuto anche in tempi recenti, delle fattispecie
penali che sembrano essere configgenti con questo principio : per esempio VI ERA L’ORIGINALE
FORMULAZIONE DELL’ART 57, CHE PUNIVA IL DIRETTORE DI STAMPA PERIODICA PER IL
SOLO FATTO DI ESSERE DIRETTORE ANCHE PER I REATI COMPIUTI CON LA STAMPA DAI
GIORNALISTI. Esistono poi delle forme di resp per fatto altrui che si manifestano sia nel concorso di
persone sia nel reato omissivo : pensiamo allo stesso reato dell’art 57 per come è stato riformato nel 1958.
Ora il direttore è resp se il reato compiuto dal giornalista tramite la stampa, è stato commesso anche a causa
di un suo OMESSO CONTROLLO : QUINDI E’ STATO RISOLTO IL PROBLEMA DEL REATO DI
STMPA DEL DIRETTORE, TRASFORMANDOLA IN UNA FATTISPECIE OMISSIVA che però
secondo molti in realtà continua ad essere semplicemente una maschera per una forma di resp oggettiva. Per
il concorso di persone : il fatto è posto in essere da un sogg, ma sono resp anche altri complici perché la
lesione che deriva dal fatto, concretezza un rischio che rientrava nella loro sfera per il semplice fatto che
magari non lo hanno impedito. Quindi si rischia di essere resp in concorso di persone, per il semplice fatto di
essersi trovati nella posizione di poter evitare un reato pur senza aver fatto nulla per cagionarlo. Questo tipo
di problematiche si realizzano poi ancora di più (vedi dopo) nei contesti delle grande aziende sopratutto con
riferimento ai dirigenti le cui competenze possono anche essere delegate e sub delegate. Vedi dopo.

Vediamo il secondo significato : o meglio il significato evoluivo che è stato dato al principio di resp
personale che non e’ più RESP PER FATTO PROPRIO MA RESPONSABILITA’ COLPEVOLE E
QUIDNI PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA E QUIDNI DIVIETO DI RESP OGGETTIVA. Questo tipo di
significato evolutivo viene riconnesso ad un particolare significato della consulta che è la 364 del 88 e poi
anche la 1085 del 88. Su che cosa si basano le sentenze? SULLA STRETTA CONNESSIONE TRA L’ART
27 C 1 E L’ART 27 C 3 DELLA COST : cioè tra resp personale e teleologico rieducativo. In pratica,
secondo la corte, affinché si possa rieducare un sogg attraverso il rimprovero penale (e quindi affinché un
sogg comprenda le conseguenze dell’aver agito contro la legge penale) non basta RENDERLO RESP SOLO
X UN FATTO PROPRIO MA BIGONA ASSICURARE ANCHE CHE SIA RESP SOLO SE E’
COLPEVOLE CIOE’ SE ABBIA AGITO O CON COLPA O CON DOLO COME ELEMENTI +
SIGNIFICATIVI DEL FATTO. Il criterio della colpevolezza è stato poi introdotto nella legislazione che ha
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modificato radicalmente il SISTEMA DELLE CIRCOSTANZE (vedi dopo). Poi c’è stata un’altra sentenza
della consulta che è la 322 del 2007 (sui reati sessuali) CHE HA ATTRIBUITO ALL’ART 27 IL RANGO
DI VALORE PRIMARIO TRA QUELLI DELLA COSTITUZIONEAFFERMANDO CHE NN PUO’
ESSERE SACRIFICATO DA PARTE DEL LEG NEANCHE IN BILANCIAMENTO CON ALTRI
VALORI. Quindi il principio di colpevolezza ha carattere ASSIOMATICO TANTO QUANTO QUELLO
DI LEGALITA’ NELLA SUA TRIPLICE VESTE E COMPORTA CHE IL LEG PUO’ GRADUARE, IN
RAPPORTO AL TIPO DI FATTISPECIE, IL TIPO DI COLPEVOLEZZA DELL’AUTORE (cioè ad
esempio chiedere in base alla fattispecie un certo tipo di ‘’ grado di colpa’’ per poterlo punire) MA NN PUO
N NESSUN CASO SE QUESTO MINIMO GRADO DI COLPA NON C’E’ XK ALTRIMENTI LA
PUNIZIONE DIVENTEREBBE INCOSTITUZIONALE PERCHE’ SAREBBE MERA DISCREZIONE
DEL LEGISLATORE E QUIDNI UNO SVUOTAMENTO TOTALE PROPRIO DELLA GARANZIA DEL
PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA. Del resto se ad una persona di potessero addossare dei fatti che non gli
appartengono in termini di ‘’ minima colpa’’ e che quindi non sono frutto neanche di una sua minima
colpevolezza, quel sogg MAI POTREBBE COMPRENDERE IL RIMPROVERO PENALE RIVOLTOGLI
PERCHE NON SAREBBE IN GRADO DI VALUTARE IN ANTICIPO LE CONSEGUENZE
GIURIDICO-PENALI DELLE SUE CONDOTTE. Per questo il principio di colpevolezza è un principio di
garanzia, sopratutto nei confronti dei consociati, in linea CON IL TELEOLOGISMO RIEDUCATIVO
DELLA PENA.

Dolo e colpa sono quindi requisiti minimi della imputazione di un fatto ad un sogg, senza i quali un fatto
stesso non può essere sottoposto a pena (‘’ nullum crimen nulla pena sine culpa’’).

Devono considerarsi quindi illegittime tutte quelle fattispecie che purtroppo ancora esistono, in cui un sogg
viene punito, PER TUTTE LE CONSEGUENZE DELLE SUE CONDOTTE, ANCHE NON
CONTROLLABILI E DOVUTE AL CASO IN CUI CIOE’ SI E’ PUNITI PER IL SEMPLICE NESSO DI
CAUSALITA’. Fattispecie che sono legate al brocardo ‘’ qui in re illicita versatur tenetur eziam pro caso’’
(chi commette qualcosa di illecito risponde anche per le conseguenze casuali del suo fatto illecito). Qual è il
rischio relativo a tutte queste fattispecie che ancora esistono e sembrano violare il principio di colpevolezza?
CHE DI VOLTA IN VOLTA I GIUDICI CHIAMATI AD APPLICARE QUESTE FATTISPECIE PENALI,
DEBBANO DI VOLTA IN VOLTA RIVOLGERSI ALLA CORTE COST PER PRESUNTO
CONTRASTO DI QUESTE NORME PENALI CON L’ART 27. In altri termini : queste fattispecie
puniscono un sogg per il semplice FATTO DI AVER CAUSATO MATERIALMENTE UN EVENTO
ANCHE SE NON L’HA FATTO CON COLPA, CON CONSAPEVOLEZZA PSICOLOGICA. (VEDI
DOPO).

Il principio di colpevolezza come detto è un principio ASSIOMATICO E STRUTTURANTE ‘’IL’’


SISTEMA PENALE CHE HA UNA DUPLICE DIMENSIONE :

delimitativa : perché si può punire solo nei limiti di ciò che un sogg doveva prevedere ed evitare ;
Fondativa : xk la resp penale, è solo e soltanto resp COLPEVOLE.
Perciò qualunque forma di resp che non sia personale e con dolo o colpa, non è mai una resp penale.
Quindi ricordando i 2 diversi significati del principio di personalità si dice che CIASCUNO PUO ESSERE
CHIAMATO A RISPONDERE SOLO IN VIRTU DEI FATTI RISPETTO AI QUALI ESISTEVA UN SUO
DOVERE GIURIDICO E CIASCUNO PUO ESSERE PUNITO SOLO PER FATTI CHE NON HA
VOLUTO PREVEDERE ED EVITARE (dolo) oppure AVREBBE DOVUTO PREVEDERE ED EVITARE
E NN E’ RIUSCITO A FARLO (colpa).

OFFENSIVITA’

In prima approssimazione, stabilisce che il fatto PROPRIO E COLPEVOLE DEL SOGGETTO (quindi
partendo da questi 2 presupposti e che quindi sia POTENZIALMENTE ED ASTRATTAMENTE UN
ILLECITO PENALE QUINDI UN REATO), per essere però concretamente tale, DEVE ESSERE
CONCRETAMENTE OFFENSIVO DI UN BENE ESSENZIALE PER LA CONVIVENZA CIVILE. Anche
in questo caso, è un principio che si scompone in 3 profili che sono tra loro collegati in una relazione di
PROGRESSIONE (cioè che sono in una ‘’ scala’’) :

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Principio di MATERIALITA’ : è UN PRINCIPIO CHE ESPRIME IL DIVIETO DI INCRIMINARE UN
SOGG PER UN MERO ATTEGGIAMENTO INTERIORE, UNA SUA VOLONTA’, UNA SUA IDEA,
UN SUO STATO D’ANIMO O UN SUO SENTIMENTO IN NESSUN MODO ESTERIORIZZATO.
Questo tipo di principio viene collegato all’art 25 c 2 della cost (legalità) xk si PARLA DI FATTO
COMMESSO, FACENDO QUINDI RIFERIMENTO SECONDO QUESTO PRINCIPIO SOLO AD UN
FATTO MATERIALE ED ESTERIORIZZATO. Ovviamente questo tipo di principio riflette la separazione
tra diritto e morale, laddove l’autorità pubblica NON PUO MAI INTERVENIRE X VIOLARE LA SFERA
ITNIMA DI UN SOGG NEI SUOI ATTEGGIAMENTI O PULSIONI INTERIORI XK AL DIRITTO
PENALE INTERESSANO SOLO FATTI DELITTUOSI E NON ATTEGGIAMENTI INTERIORI
(‘’cogitazionis penam nemo patitur’’). E’ un principio quindi che è strettamente coniugato al principio di
INTAGINABILITA DELLA SFERA PRIVATA : secondo il quale, in un ordinamento non si potrebbero mai
punire ad esempio reati di mera opinione, fondati quindi sul disvalore di un’idea (ex. Infedeltà alla
repubblica, l’odio per le donne ecc). Peraltro questo principio di intangibilità della sfera privata, si realizza
anche nel processo, DOVE L’OBBLIGO DELLA PROVA DEL REATO, SPETTA OVVIAMENTE
ALL’ACCUSA (quindi al PM) mentre l’imputato ha la ‘’ facoltà di non rispondere’’ e non rispondendo, può
mantenere privati quegli atteggiamenti interiori o quelle idee che invece magari, se esteriorizzate e quindi
comunicate all’estero, diventerebbero prove contro di lui. Lo stato quindi non può in un processo ispirato a
questi principi, penetrare nella sfera intima dell’imputato che RESTA LIBERO DI COLLABORARE O
MENO (poi ovviamente la sua collaborazione sarà valutata sotto altri punti di vista ad ex ‘’ attenuanti
generiche’’). Questo principio dell’obbligo di prova per l’accusa e della impossibilita dello stato di invadere
la sfera interiore dell’imputato nel processo, in realtà non èprevisto espressamente in costituzione ma viene
ricavato in via interpretativa DAL DIRITTO DI DIFESA di cui all’art 24, dalla PRESUNZIONE DI
INNOCENZA ED IN GENERALE DAL PRINCIPIO DEL GIUSTO PROCESSO art 111 oltre che da varie
sentenze, soprattutto della CGUE E DELLA CORTE EDU.
Principio DI OFFESA (neminem ledere) : sono PUNIBILI SOLO FATTI CHE CAGIONANO DANNO A
QUALCUN ALTRO salvo che non siano stati consentiti dalla’altro stesso (che peraltro è una scriminante).
Anche qui si tratta di un principio connesso alla laicizzazione del diritto penale e quindi alla distinzione tra
diritto e morale. L’intervento penale deve essere quindi limitato alla difesa dei diritti fondamentali dei
cittadini contro le + gravi ciolazioni degli stessi (EXTREMA RATIO E FRAMMENTARIETA’). Quindi
solo i fatti socialmente dannosi integrano l’illecito penale quindi quelli che direttamente predicano un diritto
di qualcun altro e non proprio. Quindi ad esempio l’automutilazione non è un reto e neanche un suicidio.
Un’evoluzione di questo principio in una chiave ‘’ costituzionalmente orientata’’ è quella del PRINCIPIO DI
OFFENSIVITA’ IN SENSO STRETTO : O MEGLIO DI NECESSARIA LESIVITA’ (‘’nullum crimen
nulla pena sine ignuria ‘’). È un principio che ha lo stesso contenuto del neminem ledere ma una dimensione
molto + definita : UN REATO X ESERE TALE DEVE COMPLETARE UN’OFFESA AD UN BENE
GIURIDICO ; bene giuridico : esprime un INTERESSE DI VALORE SOCIALE E DEVE
CORRISPONDERE AD UN BENE CHE DEVE ESSERE OFFESO O QUANTOMENO MESSO IN
PERICOLO DA PARTE DELLA CONDOTTA UMANA E PER QUESTO MOTIVO DEVE ESSWRE
OGGETTO DI TUTELA. Sono beni giuridici I VALORI SUSCETTIBILI CHE CORRISPONDONO E
RAPPRESENTANO CONIZIONI ESSENZIALI ED IRRINUNCIABILI DI CONVIVENZA ; DEVONO
POI ESSERE INTERESSI CONCRETI (neol senso che empiricamente ‘’ concepibili ‘’ come la vita la
incolumità individiauel ecc). Devono essere poi dei beni giuridici che rispondano ad un CONSENSO
SOCIALE QUINDI AD UNA CONVINZIONE DIFFUSA CHE VADANO TUTELATI PENALMENTE E
POI DEVONO ESSERE OVVIAMENTE COSTITUZIONALEMTNE SIGNIFICATIVI (vedi dopo ne
parleremo con la teoria di Bricola). Il nostro codice penale che nasce in un contesto diverso da quello
costituzionale, risponde a delle CATEGORIE TIPICHE DI QUELLO CHE ERA LO STATO FASCISTA,
perciò ha DELLE ESIGENZE FORTEMENTE REPRESSIVE, tant’è che spesso si possono ritrovare
all’interno del codice (sopratutto nella sua versione originaria) FATTISPECIE CRIMINOSE CHE
EFFETTIVAMENTE SONO PRIVE DI UN CONTENUTO DI LESIVITA’ (non si capisce cioè quale bene
giuridico offendano). Questo che cosa ha indotto? Ha indotto la giurisprudenza a CERCARE DI
CORREGGERE QUANTO + POSSIBILE ATTRAVERSO INTERVENTI INTERPETATIVI QUESTE
FATTISPECIE (VEDI DOPO). Anche la dottrina si è sforzata in questo senso, sopratutto xk inizialmente si
riteneva che UN REATO FOSSE TALE QUANDO CORRISPONDEVA SOLO E SOLTANTO ALLA
FATTISPECIE DESCRITTA DALLA LEGGE (quindi in termini di tipicità) : quando cioè il fatto che si
andava a giudicare aveva tutti gli elementi previsti dal fatto tipico.Questo procedimento di MERA
SUSSUNZIONE DEL FATTO CONCRETO ALLA FATTISPECIE ASTRATTA, AD UNA DOTTRINA +
ATTENTA, NON ERA SEMBRATO XO’ SUFFICIENTE X POTER RICONOSCERE
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EFFETTIVAMENTE UN REATO : perciò è stata elaborata una seconda teoria cioè la convenzione
MATERIALE DEL REATO : cioè un reato è tale NON SOLO QUANDO RISPONDE AL MODELLO DEL
FATTO TIPICO MA ANCHE E SOPRATUTTO QUANDO, SUL PIANO SOSTANZIALE HA
EFFETTIVAMENTE LESO UN INTERESSE (uqndi un bene giuridico). Quindi con questa teoria si è dato
un ruolo importante al principio di offensività all’interno proprio DELL’ANALISI DEL REATO,
DICENDO PER LA PRIMA VOLTA, CHE UN REATO NN E’ TALE NEANCHE ASTRATTAMENTE
SE NON E’ LESIVO DI UN BENE GIURIDICO. Quindi si è distinta la TIPICITA’ DALLA LESIVITA’ ,
cosa che prima nn si faceva xk prima si riteneva che UN FATTO TIPICO ERA NECESSARIAMENTE
LESIVO X IL FATTO STESSO CHE RIENTRAVA IN UNA FATTISPECIE PENALE. Questa nuova
teoria MATERIALE DEL REATO SI BASA SU UNA NORMA cioè l’art 49 cp ‘’ la pena nn si applica
quando l’azione dl reato non è idonea a creare un evento dannoso o pericoloso’’. Quindi da questa norma,
questa teoria ricavava un principio generale secondo il quale I COMPORTAMENTI TIPICI (cioè conformi
alla fattispecie incriminatrice) NON ERANO PUNIBILI SE CONCRETAMENTE NON ANDAVANO A
LEDERE UN INTERESSE PROTETTO (un bene giuridico). È chiaro che quindi, secondo questa
impostazione, logicamente si ricava CHE POSSONO ESISTERE FATTI TIPICI MA NON OFFENSIVI E
PER QUESTO NON PUNIBILI. La teoria materiale del reato poi, basava le sue convinzioni anche su una
serie di esempi di reati che si ritenevano non offensivi quindi lesivi (NB : questi sono delle categorie di reati
che, secondo questa teoria non dovrebbero essere puniti ma che esistono e vengono puniti, solo che molti di
questi, son stati poi OGGETTO DI RINVIO ALLA CORTE COST, LA QUALE + DI UNA VOLTA,come
vedremo, HA FATTO IN MODO DI INTERPRETARLI IN MODO TALE DA ‘’SALVARNE ‘’ LA
LEGITTIMITA’ DICENDO CHE IN UNA CERTA MISURA COMUNQUE RISPETTANO
L’OFFENSIVITA’) : per esempio i reati di pericolo presunto che sono dei reati che PUNISCONO IL
FATTO DI AVER COMPIUTO N COMPORTAMENTO CHE HA CREATO ASTRATTAMENTE UN
PERICOLO PER QUALCUNO MA NON UN DANNO. Quindi secondo la teoria materiale questi reati nn
rispettano il principio di offensività così come non rispondono a tale principio I DELITTI DI
ATTENTATO : XK L’ATTENTANTO COEM DICE LA PAROLA STESSA NON VIENE A
COMPIMENTO E QUIDNI NON VENENDO A COMPIMENTO NON CREA UN DANNO VERO E
PROPRIO ad esempio attentato contro l’indipendenza dello stato. Cosi come una serie di reati di
ISTIGAZIONE (ex. All’odio raziale) NEI CASI IN CUI QUESTA ISTIGAZINE NON E’ ACCOLTA E
QUIDNI NON SI HA IL RISULTATO VOLUTO (qui non c’è un danno e quindi non sono lesivi). Oppure
reati la cui condotta si dice ‘’ di base neutra’’ cioè c’è UNA CONDOTTA LECITA CHE PERO’ HA UNA
FINALITA’ ILLECITA MA CHE VENGONO PUNITI PER IL FATTO CHE LA FINALITA’ SI E’
REALIZZATA MA PER IL FATTO SOLO CHE QUESTA FINALITA’ ESISTESSE. Oppure ancora i
REATI DI SOSPETTO (sono quelli che + di tutti secondo questa teoria non dovrebbero esistere) asp
esempio il possesso di grimaldelli cioè il fatto che una persona venga trovata, senza giustificazione, in
possesso di materiale atto allo scassinaggio (anche questo comportamento non crea un danno). Quindi questa
fattispecie SI BASA SULLA PRESUNZIONE CHE QUEL SOGGETTO, ABBIA INTENZIONE CON
QUEL MATERIALE DI COMPIERE UN REATO. Perciò, questa impostazione REALISTICA O
MATERIALE DEL REATO, va oltre quindi il dato formale della tipicità per CONTROLLARE LA REALE
OFFENSIVITA’ DEL FATTO SENZA LA QUALE UN REATO NON E’ TALE. Quindi anche l’offesività
DIVENTA UN ELEMENTO COSTITUTIVO DEL REATO CHE QUINDI DIVENTA ‘’ FATTO
OFFENSIVO TIPICO’’. Qual è il problema di questa teoria? IL FATTO CHE SI FONDI SU
UN’ARGOMENTAIONE CIRCOLARE : cioè, si dice che il fatto, oltre che tipico deve essere OFFENSIVO
DI UN BENE GIURIDICO, MA IL BENE GIURIDICO SI RICAVA DALLA STESSA FATTISPECIE
TIPICA : quindi se LA FATTISPECIE TIPICA CHE HA INDIVIDUTO IL BENE GIURIDICO DELLA
TUTELA, COME PUO NON ESSERE OFFENSIVS? Allora si è detto che IL BENE GIURIDICO NN
VIENE INDIVIDUATO DALLA FATTISPECIE TIPICA MA E’ UN DATO ‘’ PREESISTENTE’’, E CHE
LA FATTISPECIE SI LIMITA A RICHIAMARE (cosiddetta PREPOSITIVITA’ del bene giuridico. Il bene
preesiste quindi alla norma penale che lo tutela, ed ha un aggancio alla COSTITUZIONE, CHE
DETERMINA QUALI SONO I BENI GIURIDICI DA TUTELARE.
Il principio della OFFENSIVITA’ E’ UN PRINCIPIO CHE HA FONDAMENTO COSTITIZUINALE :

1 innanzitutto perché OSLO I BENI COST POSSONO ESSERE OGGETTO DI TUTELA e poi

2 anche perché il rango del principio di offensività è proprio un rango cost, come quello di legalità e di
personalità. Infatti, oltre a derivare da una lettura dell’art. 49 cp,il PRINNCIPIO IN ESAME secondo la corte
costituzionale DERIVA PROPRIO DA UNA LETTURA COMBINATA DI PRINCIPI COSTITUZIONALI,
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CHE SONO LA MATERIALITA AL 25 C 2 (fatto commesso), E IL TELEOLOGISMO DELLA PENA 27
C 3. Perché se la pena deve perseguire la rieducazione del reo, è necessario che questo per comprendere il
sgnificato del rimprovero abbia computo un illecito che sia SIGNIFICATIVAMENTE LESIVO CIOE’ CHE
ABBIA CONSISTITO IN UN FATTO MATERIALE CHE ABBIA DAVVERO POTERATO UNA
LESSIONE AD UN BENE GIURIDCO RILEVANTE perchè, se invece, il principe di offensività nn
esistesse si POTREBBERO PUNIRE FATTI CHE NON ABBIANO QUEL GRADO DI GRAVITA’ TALE
DA GIUSTIFICARE UN RIMPROVERO PENALE E QUIDNI DIFFICILMENTE UN SOGG
POPTREBBE COMPRENDERE IL MOTIVO DELLA SANZIONE PENALE CHE GLI VIENE
INFLITTA. Questo vuol dire che : tutte le norme incriminatrice DEVONO ESSERE INTERETATE
COERENTEMENTE AL PRINCIPIO DI NECESSARIA LESIVITA’ E POSSONO ESSERE SEMPRE
IMPUGNATE DAVANTI ALLA CORTE COST SE SI RITIENE CHE NON LO SIANO (come è successo
+ di una volta). Anche il concetto di bene giuridico è stato reinterpretato in chiave costituzionalmente
orientats secondo 2 diverse modulazioni : - in negativo : cioè secondo questa lettura, la cost prescrive in
negativo i limiti per il legislatore IN QUANTO ESCLUDE CHE IL LEG POSSA TUTELARE INTERESSI
DIVERSI DA QUELLI DI RANGO COSTITUZIOANLE - in positivo : se invece si considera che la
costituzione, SCEGLIE E DETERMINA TRA I VARI BENI GIURIDICI ESISTENTI E TRA I VARI
INTERESSI ESISTENTI DEI CITTADINI, QUELLI CHE SONO GLI UNICI MERITEVOLI DI TUTELA
PENALE. E quindi la cost diventa FONDAMENTO DELL’INTERVENOT PENALE perché individua quali
sono i beni giuridici oggetto di tutela e sceglie quali sono le tecniche per attuare tale tutela. Questa teoria del
bene giuridico e della convenzione realistica (materialista) del reato COSTITUZIONALMENTE
ORIENTATE, SONO STATE VALORIZZATE DA UN GIURISTA già dagli anni 70, Bricola. Nella teoria
di bricola il principio di offensività è un principio strutturale del diritto penale, come quello di personalità.
Questo perché : individua i beni penalmente rilevanti, anche detti INTERESSI COSTITUZIONALMENTE
SIGNIFICATIVI (cioè, le norme penali POSSONO SOLO INCRIMINARE BENI O INTERESSI CHE
SIANO ESPLICITAMENTE O IMPLCITAMENTE GARANTITI DALLA STESSA COSTTIUZIONE
PERCHE’ SOLO LA TUTELA DI QUESTI BENI PUO’ GIUSTIIIARE LA SANZIONE PENALE CHE A
SUA VOLTA SACRIFICA BENI DI ALTRETTANTO RILIEVO COST in primis la libertà personale.
Esplicitamente come nel caso della libertà personale ex art 13 cost; implicitamente : sono quei ‘’ generci
diritti inviolabili’’ di cui parla l’art 2, che quindi SI AMPLIANO MANO A MANO CHE IL CONTESTO
STORICO SI SVILUPPA (si pensi ad esempio alla privacy digitale che prima non esisteva ). Secondo
bricola, sono tutelabili penalmente anche i BENI GIURIDICI PRESUPPOSTI, CIOE’ QUEI BENI LA CUI
TUTELA COSTITUISCE PRESUPPOSTO PER LA TUTELA DI BENI COSTTIUZIONALI : ad esempio
tutela del bene giuridico rappresentato dalla sicurezza del traffico, in quanto la tutela della sicurezza del
traffico è un PRESUPPOSTO X TUTELARE LA VITA E LA INCOLUMITA’ DEI CONSOCIATI, che
sono beni costituzionali. Perciò questi beni presupposti, come la sicurezza del traffico, possono essere
oggetto di tutela penale XK LA LORO LESIONE E’ SICURAMENTE IDONEA A CAUSARE A SUA
VOLTA UNA LESIONE DI UN BENE COSTITUZIONALE. Si parla di NESSO DI PRESUPPOSIZIONE
NECESSARIA CHE LEGA LA LESIONE DEL BENE PRESUPPOSTO RISPETTO ALLA LESIONE
DEL BENE DI RILIEVO COST. 

Ciò che è importante sottolineare della teoria di briscola è un altro aspetto. LA ESISTENZA DI QUESTI
BENI COSTITUZIONALMENTE RILEVANTI VINCOLA IL LEGISLATORE SOLO IN NEGATIVO :
ciò vuol dure che IL LEG NON PUO’ CREARE NORME PENALI CHE TUTELINO BENI DIVERSI DA
QUELLI riconosciuti come beni giuridici costituzionalmente rilevanti. MA NN E’ VINCOLATO IN
POSITIVO: una volta individuati nuovi beni costituzionalmente rilevanti, non esiste un obbligo in capo al
legislatore di tutelare questi beni NECESSARIAMENTE CON NORME PENALI. Il legislatore resta libero
di tutelare questi beni anche con sanzioni civili o amministrative, senza ricorrere all’extrema ratio
dell’intervento penale. In altre parole, secondo Bricola, l’esistenza della categoria dei beni
costituzionalmente rilevanti serve solo a limitare l’intervento del legislatore a questi beni, ma non ad
obbligarlo a farlo. Il legislatore infatti ha sempre la discrezionalità’ di scegliere le politiche di
criminalizzazione, anche sulla base delle scelte politiche del Parlamento in carica (decide x quali materie
intervenire penalmente e per quali no. ).dal momento che è la corte cost, in ultima analisi, a stabilire quali
sono i beni di rilevanza costituzionale se il leg fosse obbligato a tutelarli tutti in modo penale,
significherebbe attribuire indirettamente la legislazione penale o comunque ls scelta di criminalizzazione in
capo ad un organo diverso dal Parlamento violando la DIVISIONE DEI POTERI.

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Secondo bricola poi, la costituzione sarebbe anche la sede in cui si determinano le tecniche di tutela penale :
ciò vuol dire che IL LEG E’ VINCOLATO A CREARE REATI CHE SIANO CONCRETAMENTE
OFFENSIVI CREDNO UN DANNO QUINDI UNA LESIONE EFFETTIVA O UN PERICOLO LESIONE
POTENZIALE. Quindi secondo bricola la cost OFFRE AL LEG DELLE DIRETTIVE RISPTTTO ALLA
SCELTA DELLA QUALITA’ E DELLA QUANTITA’ DELLA TUTELA PENALE ANCHE XK
DIFRONTE ALL’INTRODUZIONE DI NORME PENALI COSI’ DETTE ‘’ SENZA OFFESA’’ CI
SAREBBE SEMPRE LA POSSIBILITA’ DI UN CONTROLLO DI COST DELLA CORTE, LA QUALE
INFATTI + DI UNA VOLTA E’ INTERVENUTA SU NORME PENALI CHE POTENZIALMENTE SI
POTEVANO RITENERE SENZA OFFESA DANDONE UN’INTERPRETAZIONE CORRETTIVA (NB :
solo un’interpretazione correttiva che quindi non può mai sfociare in un reato doc oppure nello
stravolgimento del reato così come era stato descritto dal legislatore). In alternativa alla intercettazione
correttiva la corte avrebbe sempre la possibilità’ di ELIMINARE LA NORMA. 

IL REATO.

Il reato, a livello FORMALE E’ DEFINITO IL FATTO UMANO A CUI LA LEGGE RICOLLEGA UNA
SANZIONE PENALE. Quindi la definizione formale ricava la nozione di reato dalle conseguenze giuridiche
che ne derivano quindi è una definizione TAUTOLOGICA : cioè nn dice nulla a livello di contenuto ma
rimanda la definizione alle conseguenze del fatto. Perciò si è cercato di trovare una definizione formale che
prescindesse dalla sanzione e si è detto che il reato è UN FATTO PREVISTO COME ILLECITO DA UNA
NORMA PENALE. Tuttavia, per meglio comprendere i requisiti concreti del reato, occorre una definizione
SOSTANZIALE che nel tempo è molto mutata e che ora è orientata ALLA COSTITUZIONE : secondo
questa definizione è reato ogni fatto umano che lede o mette in pericolo UN BENE GIURIDICO CHE E’
APPUNTO DI RILEVANZA COSTTIUZIONALE. Con ciò, emergono tutte le caratteristiche peraltro del
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diritto penale (legalità, tassatività, offensività e la personalità ). Per quanto invece riguarda lòa
DEFINIZIONE FORMALE DI REATO, anche se nn è in grado di cogliere gli elementi del reato è utile x
distinguere il REATO COME ILLECITO PENALE DALLE ALTRE FORME DI ILLECITO, LA CUI
SANZIONE E’ MENO AFFLITTIVA : in primis quindi l’illecito civile cui è collegata una sanzione di tipi
RISARCITORIO SEBBENE SEMPRE DI + OGGI SIANO DIFFUSE FORM DI CD. ‘’ PENE PRIVATE’’
DI NATURA SANZIONATORIA E PREVENTIVA. Inoltre nell’illecito civile, nn sono privasti i principi di
IRRETROATTIVITA TASSATIVITA’ E RISERVS DI LEGGE. Ciò significa che UN ILLECITO CIVILE
PUO ANCHE ESSERE PREVISTO DA UNA FONTE SUBORDINATA E CHE SOPRSTUTTO IL
GIUDICE PUO ELABORARE NUOVE FORME DI ILLECITO CIVILE PARTENDO DA CLAUSOLE
GENERALI come ad esempio con il 2043 cc, inoltre nel diritto civile, sono previste forme di
RESPONSABILITA OGGETTIV CHE PRESCINDONO DAL PRINCIPIO DI PERSONALITÀ E
COLPEVOLEZZA DELL’ILLECITO.

Per quanto invece riguarda l’illecito amm, esso si distingue sia per una forma di sanzione
ESCLUSIVAMENTE PECUNIARIA (quella classica è la multa) sia x il diverso carattere del procedimento
e per l’organo competente ad infliggere la sanzione. All’illecito amm, la legge 689 del 81 ha esteso una
SERIE DI PRINCIPI PROPRI DEL DIRITTO EPANEL COEM LA RISERVA DI LEGGE, LA
IRRETROATTIVITA E LA COLPEVOLEZZA. E’ difficile xo distinguere l’illecito amm e penale sulla
base di un criterio SOSTANZIALE : cioè aldilà della natura della sanzione e del procedimento PERCHE’
ANCHE IL DIRITTO PENALE AD ESEMPIO PREVEDE LA MULTA ED ANCHE XK ALCUNE
SANZIONI AMM HANNO UN CERTO GRADO DI AFFLITTIVITA’. Si può dire che l’illecito amm,
rispetto a quello penale PUNISCE VIOLAZIONI CHE HANNO UN RIDOTTO CONTENUTO DI
DISVALORE E TUTELA INTERESSI CHE SONO ATTRIBUITI ALLA GESTIONE DELLA PA. E’
intervenuta sul punto un’importante circolare del presidente del consiglio dei ministri nell’83, che ha indicato
quali sono i criteri x scegliere tra sanzioni penali o amm e che principale,ente sono : PROPORZIONE E
SUSSIDIARIETA’. Nel senso che IL RICORSO ALLA SANZIONE PENALE E’ CONSENTITO SOLO IN
MANCANZA DI TECNICHE MENO AFFLITTIVE CHE SIANO COMUNQUE EFFICACI (quindi è
l’ultima ratio) e deve (il ricorso alla sanzione penale) CORRISPONDERE AD UN FATTO CHE ABBIA
UNA GRAVITA PROPORZIONATA ALLA AFFLITTIVITA DELLA SANZIONE.
Tornando all’illecito penale esso si distingue in 2 categorie di illeciti diversi :

 delitti libro 2
 Contravvenzioni del libro 3
Anche la loro distinzione è di carattere formale nel senso che DIPENDE DALLE DIVERSE
COSNEGUENZE GIURIDICHE PERCHE’ I DELITTI SONO CONNESSE COME PENE QUELLE ‘’
TIPICHE’’ DEI DELITTI OSSIA : ERGASTOLO, RECLUSIONE E MULTA. MENTRE ALLE
CONTRAVVENZIONI QUELLE TIOICHE DELLE CONTRAVVENZONI : ARRESTO ED AMMENDA.
C’è da dire che però vi sono anche altre importanti differenze collegate alla natura di delitto o di
contravvenzione, principalmente xk alla 2 NON SI APPLICA L’ISTITUTO DEL TENTATIVO E
SOPRATUTTO NN SI APPLICA LA DISTINZIONE TRA DOLO E COLPA CHE NN HA NESSUNA
RILEVANZA (NB : nel senso che la colpa ci deve sempre essere, quindi l’elemento soggettivo è comunque
fondamentale, ma è indifferente la sua natura di dolo o colpa). A livello sostanziale, risulta davvero
commesso distinguere delitti e contravvenzioni. Sotto un profilo quantitativo si può dire che i delitti siano +
gravi; mentee sotto il profilo qualitativo (quid aldilà della entità della pena) SI DICE CHE LE
CONTRAVVENZIONI SIANO IL RUSLTATO STORICO DI QUELLI CHE ERANO CHIAMATI ‘’
ILLECITI DI POLIZIA’’. Sono stati elaborati alcuni criteri nel tempo x distinguerli tra cui quello che
concepiva I DELITTI COME FATTI OFFENSIVI DI BENI FONDAMENTALI MENTE LE
CONTRAVVENZIONI COME FATTI PUNITI PER ‘’ PROMUOVERE’’ IL BENESSERE DELLA
COLLETTIVITA’ ma tutti questi criteri sono stati respinti e attualmente l’unica differenza concreta tra
queste categorie è di livello quantitativo (quindi di gravita). Il problema è che dopo la legge 689 del 81, che
ha regolato in modo organico l’illecito amm, si è nuovamente acuito il dibattito sulle contravvenzioni,
soprattutto xk in alcuni casi sembrano SOVRAPPORSI AGLI ILLECITI AMM TANT’E’ CHE PATE
DELLA DOTTRINA HA AUSPICATO UNA LORO TRASFORMAZIONE PROPRIO IN ILLEITI AMM.
una circolare della presidenza del consiglio dell’86, ha poi precisato che LE CONTRAVVENZIONI
DISCIPLINANO 2 SETTORI PARTICOLARI DI INTERVENTO PENALE ossia :

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 il settore che riguarda le fattispecie a contenuto preventivo-cautelare (cioè quelle fattispecie che
puniscono CONDOTTE CHE VIOLANO UNA CAUTELA IMPOSTA ex, rimozione di segnali
di pericolo)
 Le fattispecie che riguardano la disciplina di un’attività che è sottoposto ad un potere amm (ex.
Commercio abusivo di materie esplodenti).
Aldilà di questa distinzione tra delitti e contravvenzioni, vediamo adesso QUALI SONO LE CATEGORIE
DI REATO IN BASE ALLA LORO STRUTTURA : innanzitutto si distinguono REATI COMUNI E REATI
PROPRI; I PRIMI sono QUELLI REALIZZABILI DA CHIUNQUE; MENTRE I 2 SONO REATI CHE
POSSONO ESSERE COMPIUTI SOLO DA SOGG CHE HANNO UNA PATICOLARE QUALIFICA O
RIVESTONO UJNA CERTA POSIZIONE, qualifica e posizione che mettono questi soggetti in un rapporto
particolare di protezione rispetto a quella’interesse che loro invece vanno a violare (ex. Tutti i reati dei
pubblici ufficiali contro la PA come il peculato : quando uno si appropria per un proprio interesse di un bene
della PA). 

A volo volta I REATI PROPRI POSSONO ESSERE :

 ESCLUSIVI : in questo caso, il reato può essere SOLO PROPRIO CIOE’ SOLO COMPIUTO
DA UN PUBBLICO UFFICIALE poiché se compiuto da un privato nn è un reato. Ciò vuol dire
che la qualità del soggetto attivo (autore) FONDA LA PUNIBILITA’ DI UN FATTO CHE
ALTRIMENTI E’ LECITO (ad esempio abuso d’ufficio : lo dice la parola stessa ‘’ ufficio’’ ,
s’intende ufficio pubblico) 
 O MENO : in questo caso, l’ASSENZA DI QUALFIICA MANTIENE COMUNQUE
ILLECITO IL FATTO, SEMPLICEMENTE CAMBIA IL TITOLO DI REATO.QUINDI
QUELLA CONDOTTA E’ SEMPRE CONSIDERATA COME REATO MA PER IL FATTO
CHE E’ STATA POSTA IN ESSERE DA UN SOGG CHE NON HA QUALIFICA E’ PUNITO
SULLA BASE DI UN ALTRO REATO. Il fatto di peculato, se compiuto da un privato, diventa
una semplice appropriazione indebita ma resta comunque un reato, solo che è un reato diverso.
Quindi MUTA IL TITOLO DI REATO. Quindi si TRAMUTA IN UN REATO DIVERSO. 
Un’altra distinzione è tra :

 Reati di EVENTO : la fattispecie di reato prevista dalla legge prevede il COMPORTAMENTO


DELL’AUTORE, E UN EVENTO NATURALISTICO (esteriore) CHE DEVE DERIVARE DA
QUEL COMPORTAMENTO ED ESSERVI LEGATO DA UN NESSO DI CAUSALITA’ (che
quindi non è presente in tutti i reati). Omicidio : causa come evento naturale la morte che è
connesso alla condotta posta in essere dal reo. I reati di evento possono a loro volta essere : 1) A
FORMA LIBERA (detti anche CAUSALMENTE ORIENTATI) : nei primi il leg non specifica
nella fattispecie le modalità in cui l’evento si può verificare (si pensi all’omicidio, nell’omicidio
non si specifica come un sogg può essere ucciso la norma infatti statuisce ‘’ chiunque cagioni la
morte di un uomo’’. Quindi questi reati di evento, TUTELANO IN MODO + AMPIO IN BENE
GIURIDICO IN QUANTO AMPLIANO L’AREA DEL PENALMENTE RILEVANTE A
QUALUNQUE CONDOTTA PURCHE’ CAUSALMENTE IDONEA A PRODURRE
QUELL’EVENTO. Tant’è vero che sono a condotta libera I REATI CONTRO BENI
PERSONALISSIMI COME LA VITA O LA INCOLUMITA’ ANCHE XK E’ DIFFICILE
TIPIZZARE ‘’ EX ANTE’’ UN’ELENCAZIONE CASISTICA DI CONDOTTA. 2) A FORMA
VINCOLATA : sono tipicamente a forma vincolata, quei reati in cui il leg, SPECIFICA IL
MODO IN CUI SI DEVE REALIZZARE L’EVENTO LESIVO : is pensi alla truffa che si
realizza sempre tramite ARTEFIZZI E RAGGIRI CHE SONO I MEZZI CON CUI SI
REALIZZA L’EVENTO CHE E’ LA ‘’ INDUZIONE IN ERRORE’’. Di solito sono a forma
vincolata TUTTI I REATI CONTRO IL PATRIMONIO : in attuazione anche del principio di
estrema ratio e frammentarietà xk il patrimonio è un bene che può essere tutelato anche senza
ricorrere necessariamente al diritto penale, il che rende necessario circoscrivere l’intervento
penale alle sole fattispecie le cui modalità attuative esprimono un grado di disvalore
particolarmente elevato. 

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 Reati di MERA CONDOTTA : sono quelli che si CARATTERIZZANO X L’ASSENZA DI UN
EVENTO LESIVO E CHE PUNISCONO I SEMPLICE COMPORTAMENTO CIOE’ IL
SEMPLICE COMPIMENTO DI UNA CONDOTTA VIETATA. Ad esempio la violazione di
domicilio. 
Un0altra differenza è tra :

 reati commissivi : i primi consistono in un’azione POSITIVA 


 Reati omissivi : consistono in una OMISSIONE QUINDI IN UNA CONDOTTA PASSIVA o
meglio il non aver compiuto un fatto dovuto. I retti omissivi possono essere 1) PROPRI : sono
reati omissivi di mera condotta cioè sono reati in cui si unisce il song per la sua mera omissione.
Ad esempio l’omissione di soccorso. 2) IMPROPRI : sono reati omissivi di evento NEL SENSO
CHE L’OMISSIONE DEL SOGG, CHE AVEVA LO SCOPO DI EVITARE UN EVENTO,
VIENE PUNITA IN VIRTU’ DEL FATTO CHE QUELL’EVENTO A CAUSA DELLA
OMISSIONE SI REALIZZAN (in altri termini non si punisce la condotta omissiva ma si
punisce il FATTO CHE QUELLA CONDOTTA OMISSIVA ABBIA CAUSATO UN
EVENTO : quindi per riprendere l’esempio della omissione di soccorso, bisogna distinguere
l’OMISSIONE DI SOCCORSO SEMPLICE DALLA OMISSIONE DI SOCCORSO
AGGRAVATA. Nella versione ‘’ semplice’’ l’omissione di soccorso è un reato omissivo
PROPRIO XKE’ UN REATO CHE PUNISCE LA SEMPLICE CONDOTTA DI NN
PRESTARE SOCCORSO AD UN SOGG CHE SI TROVA IN UNA SITUAZIONE DI
PERICOLO. Nella 2 variante, quella aggravata, che invece trasforma la omissione di soccorso in
un REATO OMISSIVO IMPROPRIO. E lo trasforma in un reato omissivo improprio perché
punisce, con una pena maggiore, IL SOGG CHE NON INTERVIENE IN QUELLA SITUA,
QUANDO QUEL ‘’ NON INTERVENIRE ‘’ causa un evento : come in questo caso la morte del
sogg. NB : questo reato diventa omissivo improprio secondo alcuni autori; secondo altri invece
sarebbe una versione aggravata del reato di omissione ‘’ base’’).La resp del sogg quindi deriva
dall’omesso impedimento di un evento in virtù dell’art. 40 1 c del cp secondo cui ‘’ non
impedire un evento che si ha l’obbligo giurdidico di impedire equivale a cagionarlo’’. Questi
reati nn sono previsti da norme penali ma risultano dalla’art 40 in combinato disposto con
TUTTE LE FATTISPECIE PENALI COMPATIBILI.Per esempio ‘’ omicidio colposo del
bagnino per nn aver impedito avendo la opportunità la morte per affogametno del bagnante’’ ;
oppure omicidio colposo del medico che omette di sottoporre ad intervento chirurgico un
paziente. 
Altra distinzione :

 reati ISTANTANEI : sono quelli in cui LA REALIZZAZIONE DEL FATTO DI X SE


COSTITUISCE IL REATO E DETERMINA L’OFFESA : XK LA LESIONE DEL BENE
GIURIDICO E’ ISTANTANEA E NN SI PUO PROTRARRE NEL TEMPO, come
nell’omicidio. La morte del sogg INTEGRA IL REATO che quindi si consuma in modo
immediato
 Reati permanenti : si caratterizzano xk l’effetto lesivo nei confronti del bene giuridco si
PROTRAE NEL TEMPO COME NEL CASO DEL SEQUESTRO DI PERSONA , XK
L’OFFESA AL BENE GIURIDCO QUIDNI HA UNA SUA DURATA CHE E’
OVVIAMENTE VOLONTARIA (cioè è sintomo di una PERSISTENTE VOLONTA’
CRIMINALE). In questo caso, il reato si considera consumato quando c’è L’INTERRUZIONE
DELLA CONDOTTA PROTRATTA NEL TEMPO (vedi dopo) (nb : il reato si perfeziona già
sin da quando inizia la usa condotta, mentre si consider CONSUMATO ai fini ad esempio del
calcolo della prescrizione ecc. quando si interrompe la condotta)

Esiste poi un’altra categoria che è quella DEI REATI ABITUALI : CHE SONO DEI REATI
CARATTERIZZATI DALLA REITERAZIONE NEL TEMPO DI + CONDOTTE OMOGENEE come ad
esempio il caso dello stalking. In questo caso quindi LA LESIONE DEL BENE GIURIDICO SI REALIZZA
CON LA RIEOTIZIONE INTERVSLLATA E DISCONTINUA DI + CONDOTTE IDENTICHE. Ciò vuol
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dire che questotipo di reati si distingue sia da quelli istantanea sia da quelli permanenti. Si distingue dai primi
perché NON BASTA UNA SINGOLA CONDOTTA A REALIZZARLI; mentre dai 2 XK LA
CONDOTTA, NN E’ CONTINUA MA PUO ANCHE ESSERE SPORADICA come nel caso dello stalking
con delle condotte ripetute nel tempo ad ‘’ episodi’’. I reati abituali possono essere : 

 NECESSARIAMENTE ABITUALI ; come lo stalking. QUANDO SI REALIZZANO SOLO SE


LA CONDOTTA E’ REITERATA;
 EVENTUALEMNTE ABITUALI : quadno già una condotta da sola PORTEREBBE ALLA
COMMISSIONE DEL REATI (e quindi in questo caso diventerebbero come gli istantanei. Un
esempio potrebbe essere lo sfruttamento della prostituzione. Basta solo un atto, un
comportamento).
Possono inoltre essere :

 Propri 
 Impropi.
Per spiegare questa distinzione, bisogna chiedersi : LA SINGOLA CONDOTTA CHE , SE REITERATA,
REALIZZA IL REATO ABITUALE (come per esempio nel caso dello stalking), COSTITUISCE
AUTONOMAMENTE UN’ALTRA IPOTESI DI REATO? Se la risposta è si : si parla di REATO
ABITUALE IMPROPRIO; se la risposta è no si parla di reato abituale PROPRIO. Esempio di reato
NECESSARIAMENTE ABITUALE PROPRIO : maltrattamenti in famiglia. Necessariamente abituale
perché una condotta da sola nn realizza la fattispecie del maltrattamento; ma è proprio xk la singola condotta
che può essere l’insulto alla moglie o le percosse al figlio non sono reati. ESEMPIO DI REATO
NECESSARIAMENTE ABITUALE IMPROPRIO : relazione incestuosa. È necessariamente abituale xk
occorre una ripetizione di un comportamento affinché ci sia la reazione. È improprio : xk il singolo
comportamento è un AUTONOMO REATO CHE E’ L’INCESTO che secondo la giurispruduenza è un
autonomo reato. 

REATI DI DANNO E DI PERICOLO.

I primi : LA LESIONE DEL BENE GIURIDICO SI REALIZZA CON LA DISTRUZIONE, LA PERDITA


O LA COMPRESSIONE DEL BENE STESSO come nel caso dell’omicidio. I SECONDI , come dice la
parola, si realizzano quando il BENE GIURIDICO VIENE POSTO IN CODNZIONE DI PERICOLO
QUINDI VIENE MESSO IN UNA SITUAZIONE POTENZIALE DI DANNO.

I reati di pericolo sono un fenomeno normativo in contjuua espansione strettamente connessi allo sviluppo
tecnologico e rappresentano uno SPOSTAMENTO DELL’AREA DELLA PUNIBILITA AD UN
SEMPLICE MOMENTO DI ‘’ POTENZIALITA’’. In questo senso si avvicinano anche al concetto di
TENTATIVO.

I reati di pericolo possono essere :

 di PERICOLO CONCRETO : quando il leg, inserisce il verificarsi del pericolo tra gli elementi
del reato. Che quindi il giudice deve accertare. Ad esempio : reato di incendio di cosa propria
che è un reato solo SE DAL FATTO DERIVA PERICOLO PER LA INCLUMITA’
PUBBLICA. QUINDI IN QUESTO CASO IL PERICOLO DIVENTA ELEMENTO
DECISIVO DEL REATO. 
 Reati di PERICOLO ASTRATTO : che ri realizzano quando ls MESS IN PERICOLO
DELL’INTERESSE SI PRESUME ‘’ IURIS ET DE IURE’’ (sulla base di una valutazione del
legislatore). Quindinin altri termini differentemente dal 1 caso, il pericolo non è da accertare dal
giudice (in quanto non è un elemento essenziale del reato) ma viene presunto dal legislatore. Ad
esempio reato di incendio di cosa altrui : che punisce chiunque cagiona un incendio. Quindi a
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PRESCINDERE SE EFFETTIVAMENTE IL PERICOLO X LA PUBBLICA INCOLUMITA’
SI SIA REALIZZATO. Quindi il sogg viene punito xk dall’incendio si PRESUME CHE
DERIVI UN PERICOLO, presunzione che non c’è dall’incendio di cosa propria dove invece, il
pericolo che se ne crea VA ACCERTATO DAL GIUDICE. Naturalmente questo tipo di reati,
suscitano dubbi con riferimento al principio di OFFENSIVITA’ ma anche dal punto di vista
della TASSATIVITA’ perché il concetto di pericolo è intrinsecamente ASTRATTO E VAGO.
Xk attraverso questa presunzione, che non permette di accertare in concreto il percolo, si
potrebbe finire per incriminare fatti che pericolosi non sono. Differentemente dal 1 caso in cui
invece l’intervento del giudice CHE VALUTA IN CONCRETO L’ESISTENZA DEL
PERICOLO, GARANTISCE IL RISPETTO DELLA NECESSARIA LESIVITA’ tant’è vero
che si parla di PERICOLO CONCRETO.

La vaghezza del concetto di pericolo e la sua elasticità, tornando ai reati di PERICOLO CONCRETO,
rendono complicato al giudice il percorso di accertamento della esistenza del pericolo stesso (ricordiamoci
che senza il quale il reato nn esisterebbe xk è elemento costitutivo dello stesso). Si dice che il giudice si deve
porre, per accertare il pericolo, in una prospettiva ‘’ ex ante’’ cioè : DEVE PORSI ASTRATTAMENTE AL
MOMENTO DEL COMPIMENTO DELLA CONDOTTA : quindi prendendo in considerazione gli elementi
presenti in quel momento, purché RICONOSCIBILI AD UN ‘’ OSSERVATORE MEDIO’’ : per intenderci,
l’incendio di cosa propria fatta in pieno centro la domenica all’ora di punta, CREA SENZ0ALTRO UN
PERICOLO E QUIDNI E’ UN REATO. Qual è il problema ? Immaginiamo una situazione in cui, sempre
con un incendio di cosa propria, un sogg dia fuoco ad un pezzo di legno lasciandolo in mezzo alla strada, in
un quartiere nn particolarmente popolato in un orario nn di punta. Il problema è che questo sogg nn è a
conoscenza de fatto che in quel momento sta per passare una processione quindi UQESTO FATTO NN
RIENTRA NEGLI ELEMENTI A LUI CONOSCIBILI. Cosa succede? Secondo la teoria classica questo nn
sarebbe reato. Questo però è il motivo x cui secondo un altra dottrina, sarebbe + giusto utilizzare
nell’accertamento del pericolo, una cd. BASE ONTOLOGICA TOTALE : ossia, il giudice, per accertare il
pericolo, deve anche in questo caso RETROAGIRE IDEALMENTE AL MOMENTO DEL FATTO E
PRENDERE IN CONSIDERAZIONE TUTTI GL ELEMENTI ANCHE QUELLI NN NOTI
ALL’AGENTE.

Tornando ai reati di pericolo astratto si è detto che l’orientamento dominante fino a poco tempo fa era quello
di disapprovarli x contrasto con il principio di NECESSARIA LESIVITA’. Tuttavia un orientamento +
recente ha rivalutato questi reati : sopratutto dagli anni 80 in poi. Innanzitutto, coloro che vogliono rivalutare
questi reati, cercare di spostare l’attenzione sulle criticità che a loro volta sono connesse ai reati di pericolo
concreto che RICHIEDONO APPUNTO UN ACCERTAMENTO DEL PERICOLO, IN QUANTO
ELEMENTO ESSENZIALE, CHE E’ MOLTO COMPLICATO E CHE QUINDI SUGGERIREBBE DI
RICORRERE PIUTTOSTO ALLE FATTISPECIE DI PERICOLO ASTRATTO DOVE, ESSENDO IL
PERICOLO PRESUNTO, SI ‘’ EVITA’’ QUESTO ACCERTAMENTO DIFFICOLTOSO.

 Inoltre, si dice che sebbene questa pericolosità sia astratta, è comunque fondata su una POTENZIALITA’
LESIVA DI UNA CONDOTTA, QUIDNI NON DIVERSAMENTE DA QUELLO CHE SUCCEDE COI
REATI DI PERICOLO ASTRATTO E QUIDNI NN E’ VERO CHE DI X SE QUESTI REATI
CONFLIGGEREBBERO CON IL PRINCIPIO DI LESIVITA’ : xk è vero che la pericolosità è presunta ma
viene presunta comunque sulla base di una valutazione del legislatore che a sua volta, tiene in conto appunto
proprio la POTENZIALITA’ LESIVA DELLA SITUAZIONE.  

SISTEMATICA DEL REATO : com’è strutturato il reato.

La sistematica del reato è uno studio che nasce già a fine del diciannovesimo secolo con il penalista Franz
Von Litsz (1880 in poi anche inizio 20esimo secolo). Il concetto classico di reato, ricollegato proprio a
questo studioso ed anche ad Herts Beling, si fondava da un lato NELL’IDEA DI ADOTTARE COEM
ELEMENTI DEL REATO SOLO OGGETTI VERIFICABILI EMPIRICAMENTE E QUINDI
ACCERTABILI IN GIUDIZIO; E DALL’ALTRO, NELLA COLLEGATA PRETESA DI APPROCCIARE
ALL’ANALISI DEL REATO ED IN GENERALE ALL’ANALISI GIURIDICA CON I CRITERI DEL
POSITIVISMO GIURIDICO. Secondo la teoria classica, IL REATO E’ UN’AZIONE, QUINDI
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UN’ATTIVITA NATURALISTICA, QUIDNI UN MOVIMENTO CORPOREO GUIDATO DALLA
VOLONTA’ E CARATTERIZZATO DA : - TIPICITA’ : è la CORRISPONDENZA tra l’azione che è
oggetto di giudizio ed un fatto previsto e descritto dalla norma incriminatrice. Solo questa corrispondenza. -
ANTI GUIRIDICITA’ : corrisponde AD UN GIUDIZIO DI CONTRARIETA’ DL FATTO ALL’INTERO
ORDINAMENTO GIURIDICO. QUIDNI UN GIUDIZIO DI TIPO FORMALE : cioè il fatto oltre ad essere
corrispondente alla fattispecie penale nn deve avere cause di giustificazione e quindi DEVE
CONTRASTARE L’ORDINAMENTO GIURIDICO (cosa che quindi non è scontata) - COLPEVOLEZZA :
è la RELAZIONE PSICOLOGICA TRA FATTO E AGENTE. Il fatto quindi, per essere reato, deve essere
colpevole cioè IMPUTABILE AL SOGG (situazione esclusa in caso di incapaci ed altri sogg particolari);
deve essere compiuto con DOLO O COLPA; e nn deve avere cd. SCUSANTI (che sono CAUSE SIMILI
ALLE SCRIMINANTI CHE PERO’ NON ESCLUDONO L’ANTI GIURIDICITA’ MA ESCLUDONO LA
COLPEVOLEZZA.). 

Naturalmente nessuno spazio viene lasciato ad un giudizio di tipo MORALE (come ad esempio la malvagità
dell’azione ecc perché le valutazioni sono tutte di carattere tecnico giuridico : CIOE’ IL REATO DEVE
ESSRE CONFORME A PREVISIONE LEGALE; DIFFORME DALL’ORDINAMENTO;
RICOLLEGABILE PSICHICAMENTE ALL’AGENTE).

Alla teoria classica, si è poi contrapposta la teoria NEO CLASSICA (anni 30) del reato che SVILUPPA
ALCUNE CARATTERISTICHE DI QUELLA CLASSICA (in particolare la centralità dell’azione) ma ne
sconfessa alcuni aspetti : in particolare, la tipicità, NON E’ SEMPLICE CONFORMITA ALLA
FATTISPECIE LEGALE MA E’ ANCHE UN GIUDIZIO DI VALORE CIOE’ IL FATTO TIPICO DEVE
TUTWLARE UN DETERMINATO BENE GIURIDICO. La tipicità ha anche elmetti di carattere
SOGGETTIVO : in particolare la FINALITA’ DELL’AZIONE DELL’AGENTE (per esempio
l’impossessamento di un bene nel furto, quello che nel nostro sistema si chiama dolo specifico).
L’antigiuridicità poi, si estende anche a SCRIMINANTI NN CODIFICATE e la colpevolezza, NON E’ +
UNA RELAZIONE PSICOLOGICA MA UNA RELAZIONE NORMATIVA (cioè un GIUDIZIO DI
RIMPROVERABILITA’ GIURIDICA DELL’AZIONE). Viene comunque rispettata la piramide sistematica
che era stata strutturata dalla teoria classica.

Successivamente si sviluppò anche, nel dopoguerra (anni 40-50), la cd. TEORIA FINALISTICA : cerca di
RIFONDARE LA TEORIA DEL REATO IN CHIAVE PERSONALISTICA E FINALISTICA. L’azione,
DEVE RISPONDERE A DETERMINATE STRUTTURE NELLA NATURA DELLE COSE (?) E DEVE
ESSERE ORIENTATA A DETERMINATE FINALITA’ ; IL DOLO DIVENTA ELEMENTO DEL
FATTO TIPICO E DIVENTA QUELLA CARATTERISTICA DELL’AZIONE CHE LA RENDE
ILLECITA (IL DOLO DIVENTA SOSTANZA PSICHICA DELLA CONDOTTA CHE QUDNI PLASMA
L’ILLECITO). L’antigiuridica viene SDOPPIATA :

 ILLECITO PENALE D’AZIONE


 ILLECITO PENALE DI EVENTO
Vi è poi la teoria FUNZIONALE-NORMATIVA DI Jakob’s che ha DEL TUTTO ABBANDONATO I
MODELLO CLASSICO a cavallo tra 20esimo e 21esimo secolo. È quindi un cambio totale di prospettiva .
IL REATO DIVENTA ESPRESSIONE CONTRARIA ALLE ASPETTATIVE NORMATIVE DELLA
SOCIETA’ QUINDI IL REATO E’ UNA LESIONE SIMBOLICA DELLA VIGENZA DELLE NOREM
GIURIDICHE. RISPETTO ALLA NORMA, NN SI DEVE PARLARE DI AUTORE DEL FATTO MA DI
SOGG COMPETENTE , CENTRO DI IMPUTAZIONE SULLA QUALE SI INCARDINA LA RESP. LA
COMPETENZA DIPENDE DAL RUOLO CHE IL SOGG HA NEL CONTESTO SOCIALE (e quindi ha
una sua dimensione che varia sulla base delle ATTESE DI COMPORTAMENTO CHE GLI ALTRI
CONSOCIATI HANNO NEI RIGUARDI DEL SOGG COMPETENTE). Quindi si distinguono 2 paradigmi
di imputazione :

 per il ruolo comune di cittadino §: che implica l’obbligo di comportarsi in modo tale da nn
mettere in repentaglio gli altri 
 Per i ruolo speciali che rispondono a determinate istituzioni che comportano degli obblighi di
gestire un certo ambito di competenza specifico.
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Vediamo come si è sviluppata la teoria del reato in Italia : si sono alternati 2 modelli teorici di
SCOMPOSIZIONE ANALITICA DEL REATO : UNA TEORIA BIPARTITA ED UNA TRIPARTITA. Al
centro di entrambe c’è il FATTO UMANO TIPICO : cioè quel comportamento umano che risponde ad una
fattispecie penale. 

1 concezione : distingue tra ELEMENTO OGGETTIVO : CHE COMPRENDE TUTTI GLIK ELEMENTI
APPUNTO OGGETTIVI DEL REATO (quindi ad esempio l’assenza di scrutinanti piuttosto che la tipicita’
quindi gli elementi del fatto. Quindi elementi come la tipicità e l’antigiuridicità sono elementi oggettivi);
ELEMENTO SOGG §: CHE RIGUARDA IL COLLEGAMENTO PSICHCO TRA FATTO ED AUTORE
(come ad esempio il dolo e la colpa. Quindi la colpevolezza). 

2 concezione : che risente dell’influsso della teoria tedesca, distingue tra TIPICITA’, ANTIGIURIDICITA’
E COLPEVOLEZZA CON I SIGNIFICATI TIPICI DELLA TEORIA CLASSICA. 

Si tratta di una sistematica che si caratterizza in senso ‘’ gradualista’’ nel senso che LA COLPEVOLEZZA
PRESUPPONE ANTI GIURIDICITA’ E TIPICITA’ E SUL PIANO PROCESSUALE IL GIUDICE NN
PUO’ ACCERTARE UN ELEMENTO SE NON HA ACCERTATO QUELLO PRECEDENTE (in altri
termini deve andare x gradi : prima accerta la tipicità solo se sussiste la tipicità accerta l’anti giuridica e solo
se sussiste questa poi accerta la colpevolezza). Questo si riversa anche sulle FORME DI ASSOLUZIONE :
cioè quando il giudice assolve perché un reato non c’è, può assolvere con diverse formule che dipendono
appunto dalla’acertamento mancato di uno o dell’altro elemento. Il giudice può assolvere xk il fatto nn
sussiste quindi x assenza di tipicità; xk l’imputato nn lo ha commesso ed anche qui assenza di tipicità; o xk il
fatto nn costituisce reato e qui x assenza di anti giuridicità o di colpevolezza. 

Vediamo nel dettaglio ciascun elemento cosa implica.

 TIPICITA’ : intende da un lato IL CARATTERE DEL REATO cioè il FATTO DI ESSERE


DESCRITTO DAL LEGISLATORE CON UN’ASTRATTA TIPOLOGIA DI
COMPORTAMENTO ciò prende il nome di TIPICITA’ FORMALE (che ovviamente risponde
al principio di tassatività); ma la tipicità significa anche che UN FATTO, X ESSERE PUNITO,
DEVE CORRISPONDERE A QUELLO ASTRATTO PREVISTO DAL LEG IN TUTTI I
SUOI ELEMENTI (sotto questo secondo profilo sostanziale, la tipicità quindi corrisponde ad un
giudizio di SUSSUNZIONE DEL GIUDICE DI UN FATTO COCNRETO IN UN MODELLO
ASTRATTO NORMATIVO CHE COSTITUISCE UN LIJMITE ALLA PENA CHE VIENE
INFLITTA SOLO A DETERMINATI FATTI e quidni rispondendo anche al principio di
extrema ratio). La tipicità quindi si lega strettamente al concetto di fattispecie : che da un lato
significa SCHEMA IDEALE ASTRATTO (e quindi previsione legale che risponde quindi alla
FUNZIONE DI PREDETERMIANRE IN MODO TSSATIVO I FATTI DA SANZIONARE
PENALMENTE). Ma fattispecie vuol dire anche FATTO TIPICO (cioè il fatto conforme allo
schema ideale).
 ANTIGIURIDICITA’ : che si risolve in un giudizio di confromita del FATTO TIPICO
ALL’INTERO ORDINAMETNO GIURIDICO. Di solito, un fatto tipico è anche anti giuridico
almeno che nn sussista una scriminante che nel nostro ordinamento è un ‘’ numero chiuso’’. Ciò
vuol dire che anti giuridicità vuol dire assenza di scrutinanti (tant’è vero che anche nella teoria
tedesca l’anti giuridicità è considerato un elemento negativo).
 COLPEVOLEZZA : che corrisponde AL GIUDIZIO DI RESP XSONALE ALL’AGENTE
QUINDI UN ‘’ GIUDIZIO LAICO’’ (nn morale) di RELAZIOEN TRA FATTO ED AUTORE.
Il fatto deve essere IMPUTABILE AL SOGG IL QUALE DEVE ESSERE A CONOSCENZA
O IN IGNORANZA NN SCUSATA DELL’ILLICITA’ DEL FATTO E NN CI DEVONO
ESSERE LE CD. SCUSANTI. Sembrerebbero mancare gli elementi tipici della colpevolezza
della teoria classica cioè dolo e colpa, che nel nostro ordinamento rientrano nella tipicità (vedi
dopo).

In tempi + recenti in Italia, è stata suggerita una teoria QUADRIPARTITA DELLA SISTEMATICA DEL
REATO : agli elementi tradizionali di cui sopra, si aggiungerebbero (è una teoria molto recente risalente al
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2000) si aggiungerebbe un altro elemento da accertare x il giudice che sarebbe la PUNIBILITA’ o meglio
LA NN PUNIBILITA’ : un elemento che si connette alle cd. CONDIZIONI OBBIETTIVE DI
PUNIBILITA’ di cui all’art 44 cp. Cosa sono? Sono elementi ESTERNI AL REATO nel senso che sono
elementi che di fronte ad un fatto che è tipico, antigiuridico e colpevole, POSSONO ESCLUDERE LA
SANZIONE PENALE NONOSTANTE IL FATTO ABBIA TUTTE LE CARATTERISTICHE DEL
REATO. Quindi l’esistenza di queste ‘’ cop’’ così chiamate, ha indotto una certa dottrina, anche molto
importante (Marinucci e dolcini ad esempio) a ritenere la PUNIBILITA’/ NN PUNIBILITA’ come un
elemento A SE STANTE. 

CONCEZIONE OGGETTIVISTICA DEL REATO : è una teoria che si sviluppa tra gli anni 90 e il 2000, che
CONCEPISCE L’ILLECITO PENALE COME OFFESA DI UN BENE GIURIDICO IL CUI EFFETTO
SOCIALE LESIVO E’ QUELLO CHE RENDE IL FATTO MERITEVOLE DI PENA,
RIDIMENSIONANDO L’IMPORTANZA DELL’ELEMENTO SOGG CHE VA IN 2 PIANO XK IL
DISVALORE DELL’EVENTO, HA UN’IMPORTANZA BEN MAGGIORE RISPETTO AL DISVALORE
DELL’AZIONE, CIO’ XK IN UNO STATO LIBERAL GARANTISCTA, L’AUTORITA’ PUBBLICA NN
PUO’ MAI INTERVENIRE NELLA SFERA INTIMA DEI CITTADINI. E, POICHE’ L’ELEMENOT
SOGG ATTIENE ALLA SFERA INTIMA NN PUO’ GIUSTIFICARE QUIDNI UNA PUNIZIONE. Molti
dogmi dell’oggettivismo con il tempo xò sono stati sottoposti a critiche sopratutto xk molti beni giuridici
oggetto di tutela penale, essendo ben giuridici ideologici (quindi non materiali, come l’ambiente), sono poco
adeguati a sposarsi proprio con l’oggettivismo. Si è ppi detto che il disvalore di azione è comunque un
connotato importante dl reato sopratutto quando, nei reati di mera condotta, l’evento non esiste e quindi
neppure si può parlare di disvalore di evento e per quanto riguarda il dolo e la colpa, sono stati rivalorizzati
inserendoli nel fatto tipico.

Altri pilastri dell’oggettivismo sono invece INDISCUSSI : PRINCIPALMENTE SOTTO IL PROFILO


DELLA OFFENSIVITA’ E DELLA MATERIALITA’. Nel senso che, nel nostro otrdinamento, bon si
inclinano mai volontà o inclinazioni, modi di essere, caratteri e personalità. Il nostro ordinamento cioè,
prevede un DIRITTO PENALE DEL FATTO E NN UN DIRITTO PENALE D’AUTORE : in questo senso
si può dire che L’OGGETTIVISMO GIURIDICO HA ANCORA I SUOI LASCITI NEL NOSTRO
DIRITTO PENALE E NELLA TEORIA DEL REATO. 

Dolo e colpa nella TRIPARTIZIONE ITALIANA : come si è visto dolo e colpa, nella concezione classica
tedesca, rientravano nella colpevolezza (erano forme di colpevolezza xk riguardavano l’elemento sogg
psichico del sogg. proprio xk riguardavano un elemento psicologico, non avevano una MANIFESTAZIOEN
MATERIALE, EMPIRICA E PER QUESTO MOTIVO NN POTEVANO RIENTRARE NELLA
TIPICITA’ XK QUEST’ULTIMA O MEGLIO I FATTO TIPICO VENIVA INQUADRATO COME
UN’AZIOEN MATERIALE CHE SI MANIFESTAVA NELL’ESTERIORITA’). 

Con la concezione finalista, abbiamo visto che l’elemento sogg acquisisce centralità xk è IL DOLO A
PLASMARE I FATTO ILLECITO, come tale rientra nell’azione tipica e quindi nel fatto tipico. Questa
concezione viene ereditata dall’ordinamento italiano, secondo il quale dolo e colpa appartengono al fatto
tipico nel senso che DANNO UNA CONFORMAZIONE ANCORCHE’ SOGGETTIVA AL
COMPORTAMENTO DELITTUOSO. Questo xk? Xk nn si può dire che UN FATTO TIPICO POSSA
ESSERE UNNFATTO UMANO SENZA NESSUNA CONNOTAZIONE SOGGETTIVA XK OGNI
FATTO UMANO HA UNA CONNOTAZIONE SOGGETTIVA X SUA STESSA NATURA E DEL
RESTO, GIA’ SUL PIANO DEL’AZIONE, UN COMPORTAMENTO VOLONTARIO ASSUME
CARATTERI DIVERSI DA UN COMPORTAMENTO SEMPLICEMENTE COPOSO (CHE NN E’
VOLONTARIO MA NEGLIGENTE, INPRUDENTE O SENZA PERIZIA). In altri termini : anche sul
piano esteriore, cioè valutando anche oggettivamente, un comportamento volontario nn è uguale ad un
comportamento non volontario. Ciò vuol dire che in una certa misura, la NMODALITA’ DOLOSE E
COLPOSE HANNO UNA LORO OGGETTIVITA’ : quindi un fatto privo di dolo e colpa nn può essere
assolutamente un illecito penale. Quindi nn solo dolo e colpa fanno parte del fatto tipico MA NE
RAPPRESENTANO CATEGORIE BASICHE E CONTRASSEGNI ESSENZIALI. Il fatto tipico quindi non
è + inteso come semplice fatto naturalistico ma come fatto che è anche dotato di un significato doloso o
colposo. Ovviamente IL DOLO PRESUPPONE LA VOLONTA’ CONSAPEVOLE; LA COLPA HA UNA
BASE STRUTTURALE DIVERSA CHE SI BASA SULLA VIOLAZIONE DI REGOLE DI CAUTELA.

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Quindi alto e colpa segnano il fatto tipico in tutti i suoi elementi, separandol’illecito penale da ciò che non lo
è e distinguendo anche gli illeciti penali tra di loro (cioè tra colposi e dolosi).

Il giudizio di colpevolezza poi, SARA’ MODELLATO PROPRIO SULLA TIPICITA’ DOLOSA O


COLPOSA DEL REATO CHE NE RAPPRESENTA IL CD. CALCO NORMATIVO SU CUI SI EDIFICA
IL RIMPROVERO AL SOGGETTO. 

AUTORE E VITTIMA DEL REATO.

Il reato è un fatto umano, come tale coinvolge la persona umana nel CONFLITTO DA DEVIANZA CHE SI
MANIFESTA CON IL REATO STESSO E IL DIRITTO PENALE DA COSTANTE ATTENZIONE ALLA
PERSONA UMANA IN TUTTE LE FASI DI GESTIONE PUBBLICA DEL REATO. Il sogg attivo del
reato è l’autore cioè chi pone in essere il fatto tipico che può anche essere una persona giuridica, ma in
generale è OGNI INDIVIDUO CHE E’ DESTINATARIO DELLE NORME INCRIMINATRICI E CHE
SARA’ IL SOGG PASSIVO DELLA SANZIONE. Il diritto penale italiano ha una visione
ANTROPOCENTRICA : TUTTE LE NORME PENALI DI PARTE GENERALE SONO INFATTI
RITAGLIATE SUL MODELLO DELL’AUTORE INDIVIDUALE E L’AZIONE VIENE INTESA COME
AZIONE UMANA : SCELTA INDIVIDUALE CHE RISPONDE AD UNA VOLONTA’. In realtà nel
nostro ordinamento, l’autore del reato vero e proprio può essere solo un sogg imputabile cioè CAPACE DI
INTENDERE E DI VOLERE. Solo un sogg di questo tipo può infatti essere colpevole. Il sogg che non ha
questa caratteristica, se compie un fatto tipico e anti giuridico potrà al massimo essere sottoposto ad una
misura di sicurezza ma nn ad una pena.

In dottrina si distingue tra :

 capacità penale : capacità di essere sogg di diritto penale che appartiene a tutte le persone umane
 Capacità alla pena : che richiede l’imputabilità quindi la CAPACITA’ DI INTENDERE E DI
VOLERE. 

Si è detto che nella maggior parte dei casi la legge nn descrive l’autore del fatto (cioè non richiede che abbia
requisiti o qualità particolare come nel caso dell’art 575 cp ‘’ chiunque cagioni la morte di un uomo’’ quel
chiunque è riferibile a chiunque). In questo caso si parla di REATI COMUNI.

Quando invece la fattispecie penale, richiede che l’autore abbia una qualifica o una posizione particolare, si
parla di REATI PROPRI (ex. Abuso d’ufficio). Questa qualità può essere una QUALITA’
NATURALISTICA (come ad esempio la qualità di madre nel reato di infanticidio), oppure GIURIDICA
(come nel caso dell’abuso d’ufficio). La qualità o posizione richiesta al sogg ESPRIME UNA SPECIALE
RELAZIONE TRA QUEL SOGG E IL BENE GIURIDCO CHE VIENE TUTELATO DALLA NORMA
GIURIDICA. Questa relazione particolare, porta a far diventare reati, appunto propri, dei fatti che altrimenti
sarebbero leciti se il sogg fosse il ‘’ quivis de populo’’ (uno qualunque) si pensi all’incesto che nn sarebbe
tale se i sogg fossero parenti : in questi casi si parla di REATI PROPRI ESCLUSIVI (cd. REATI DI MANO
PROPRIA la cui realizzazione rientra nella sfera di competenza esclusiva di determinati soggetti e
richiedono quindi una PARTECIPAZIONE PERSONALISSIMA DI QUESTI SOGGETTI CHE NN
POSSONO IN ALCUN MODO DELEGARE A 3). Questo è il motivo x cui, rispetto a questi reati
particolari, non è possibile pensare ad una loro commissione nella forma del reato omissivo improprio ex art
40 : xk un sogg non potrà essere resp dell’omesso impedimento ad esempio di un incesto proprio per il
carattere strettamente personale (in quanto è reato SOLO SE E’ MATERIALMENTE FATTO DA UNA
DETERMINATA PERSONA quindi nel caso dell’incesto s è fatto dalla madre che ha un incesto con il figlio
in virtù di quella speciale qualifica) ; non è anche ammissibile IL CONCORSO DI PERSONE (per esempio
nn si può punire l’istigazione a commettere incesto o la partecipazione all’atto sessuale). 

Ci sono poi i REATI PROPRI NON ESCLUSIVI CHE SONO QUELLI CHE OVE COMPIUTI DA UN
SOGG QUALUNQUE SAREBBERO COMUNQUE REATI PERO’ SAREBBERO REATI DIVERSI
(come ad esempio peculato : pubblico ufficiale che usa x se un bene della PA; se la stesa cosa la fa il privato
quella è un reato diverso ossia appropriazione indebita). 
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Per stabilire invernale se un reato sia comune o proprio di solito base leggere la norma incriminatrice xhe
però a volte trae in inganno xk SEBBENE SI RIFERISCA TESTUALMENTE A CHIUNQUE IN
REALTA’ E’ STRUTTURATA PER ESSERE REATI PROPRI (si pensi alla bigamia : un reato previsto
astrattamente x chiunque ma che in realtà può essere compiuto solo da chi è già sposato). Si parla a questo
proposito di QUALIFICHE IMPLICITE GIA’ ESISTENTI. 

L’ALTRO PROTAGONISTA DEL REATO E’ IL SOGG PASSIVO: titolare del bene giuridico tutelato
dalla norma. Quindi titolare del diritto alla vita ad esempio nell’omicidio. Il sogg passivo, nel p, viene
designato come PERSONA OFFESA ED E’ L’UNICO LEGITTIMATO A DARE IL CONSENSO PER LA
SRIMINANTE RELATIVA E’ ANCHE IL TITOLARE DEL DIRITTO DI PROPORRE QUERELA CHE
E’ NECESSARIA X PROCEDERE PER ALCUNE CATEGORIE DI REATI CHE APPUNTO SONO
PROCEDIBILI SOLO A QUERELA (come ad esempio nel caso del furto). Negli ultimi anni c’è stata una
riscoperta del ruolo del sogg passivo nel diritto penale si è sviluppata proprio una branca specifica della
crimilogia che si chiama VITTIMOLOGIA CHE SI PROPONE DI INGARE IL RUOLO CHE LA
VITTIMA SVOLGE NELLA DINAMICA DEL DELITTO. Il nostro sistema penale da una costante
attenzione alle esigenze della vittima, sopratutto x quei reati in cui le aspettative che la vittima ha spesso
restano deluse. Ed inoltre, con il nuovo codice di procedura penale, la PERSONA OFFESA HA UN RUOLO
AUTONOMO : CHE SVOLGE UN RUOLO IMPORTANTE SOPRATUTTO NELLE INDAGINI
PRELIMINARI.

Diversa dalla persona offesa è il DANNEGGIATO : CHE DI NORMA E’ LA STESSA PERSONA MA NN


SEMPRE ED E’ COLUI CHE, COSTITUENDOSI PARTE CIVILE NEL PROCESSO PENALE, CHIEDE
IL RISARCIMENTO DEL DANNO. Di norma sogg passivo e danneggiato è la stessa persona, ma nn
sempre : per esempio nell’omicidio il sogg passivo è il morte, i danneggiati sono i familiari. 

Tornando al sogg passivo in generale, esso può anche essere una PERSONA GIURIDICA O UN ENTE
SENZA PERSONALITA’ GIURIDICA (si pensi ad un partito politico i cui fondi siano stati sottratti
illecitamente). In alcuni casi poi, il sogg passivo nn è una singola persone ma una PLURALITA’ DI
PERSONE INDIFFERENZIATA : SI PARLA DI SOGG PASSIVO INDETERMINATO (come ad esempio
nel caso dei delitti contro la incolumità pubblica). Poi ci sono i casi in cui i sogg passivi sono + di 1 : quando
il reato cioè colpisca un bene giuridico di cui sono CONTITOLARI + SOGG (si pensi ai cd. REATI
PLURIOFFENSIVI come la calunnia che lede sia il sogg ingiustamente incolpato sia l’amministrazione della
giustizia xk si crea un processo inutilmente).

vi sono poi i cd. REATI SENZA VITTIMA COME I REATI OSTATIVI (che servono a prevenire alcuni
comportamenti che di x se nn sono offensivi ma sono considerati PRODROMICI A FATTI OFFENSIVI ex
possesso ingiustificato di grimaldelli). In questi reati, la depressione penale agisce in anticipo tuttavia
sollevando problemi in merito di offensività.

Diverso dal sogg passivo è l’OGGETTO MATERIALE DEL REATO : OSSIA IL REFERENTE
FATTUALE DELLA CONDOTTA (ex. La cosa mobile ne furto; il documento nel reato di falso; o anche la
persona umana nella sua fisicità nell’omicidio e nelle lesioni. In questi ultimi 2 casi sogg passivo e oggetto
materiale COINCIDONO). Nel contesto del cp, il sogg passivo ha una PLURALITA’ DI RUOLI : X
ESEMPIO A VOLTE SI RICHIEDE CHE LA PER FISICA CIOE’ IL SOGG PASDIVO ABBIA
DETERMINATE QUALITA’ (un pò come accade nel creato proprio), si parla di REATI A SOGG
PASSIVO QUALIFICATO (si pensi ai reati di violenza sessuali su minori in cui si richiede che il sogg
passivo sia un minore; l’infanticidio che è sia un reato proprio sia un reato con sogg passivo qualifica. Altre
volte la particolare qualifica, determina un’aggravante o addirittura fa cambiare il titolo del reato : x esempio
un’ingiuria ad un sogg qualunque era un reato; un’ingiuria ad un magistrato è un OLTRAGGIO A
MAGISTRATO IN UDIENZA; un’ingiuria ad un pubblico ufficiale è un oltraggio.

In altri casi, può essere rilevante nn tanto chi sia il sogg passivo quanto + la relazione tra l’autore e il sogg
passivo si pensi al reato x maltrattamenti in famiglia.

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Il rapporto tra autore e vittima, alcune volte viceversa, possono escludere la PUNIBILITA’ : per esempio il
furto contro un parente nn è punibile. Inoltre, infine, alcune volte, LA CONDOTTA DEL SOGG PASSIVO
INCIDE SULLA PUNIBILITA’ E SULLA DETERMINAZIONE DELLA PENA : pensiamo a quando c’è
provocazione (che è una circostanza attenuante); oppure quando l’evento di reato è determinato dal fatto
doloso della persona offesa stessa assieme al fatto ella’autore. 
SINGOLI ELEMENTI STRUTTURALI DEL REATO 

Iniziamo a parlare della tipicità e le sue componenti.

Il fatto tipico è costituito DALL’INSIEME DEGLI ELEMENTI HE DEVONO NECESSARIAMENTE


SUSSISTERE AFFINCHE’ CI SIA REATO. Sono elementi previsti per legge in modo tassativo; sono
accertati singolarmente dal giudice e devono essere provati del PM; e devono essere PREVISTI E VOLUTI
DALL’AGENTE.

Si è detto che la tipicità adesso ha 2 componenti : una sogg : che riguarda gli elementi psicologici e
personali; e una ogg : che riguarda gli elementi materiali dal fatto. 

Alla tipicità appartengono anche altri elementi particolari che SONO GLI ELEMENTI NORMATIVI; LE
CLAUSOLE DI ILLICEITA’; le eventuali QUALIFICHE SOGG NEI REATI PROPRI; ed anche IL DOLO
SPECIFICO.

Il primo elemento della tipicità è ovviamente la CONDOTTA quindi un elemento di carattere OGGETTIVO;
(causalità è il 2 elemento ogg; ed il 3 è l’evento che è sempre elemento ogg. questi ultimi 2 sono degli
elementi eventuali : xk esistono anche i reati di mera condotta).

In passato, come detto quando si è parlato delle teoria tedesche, la condotta ERA CONSIDERATA IL
FULCRO DELLA INCRIMINAZIONE : cosa che adesso nn è + tale, sopratutto xk risulta IMPOSSIBILE
TROVARE UN CONCETTO UNITARIO DI CONDOTTA, DAL MOMENTO CHE ESISTONO REATI
CHE HANNO UNA STRUTTURA COMPLETAMENTE DIVERSA E, CIME DETTO, C’E’ UNA
GRANDE DIFFERENZA ANCHE TRA REATO DOLOSO E COLPOSO; nn solo per questo la condotta nn
ha + la stessa importanza, ma anche xk il diritto penale non si occupa tanto di condotte (nel loro senso etico o
morale) ma si occupa di RESPONSABILITA’ CIOE’ CHI DEVE RISPONDERE E DI CHE COSA DEV
RISPONDERE. Comunque, la condotta, seppur ridimensionata nella sua importanza, SCOLPISCE E
QUIDNI FA PARTE DELLA TIPICITA’ ed anzi abbiamo anche detto che in alcuni casi (ad esempio nei
reati a cd. Forma vincolata) assume grande importanza, xk DEVE ESSERE PROPRIO ESEGUITA IN UN
CERTO MODO; si pensi poi ai reati di cd. DOLO SPECIFICO (dove grande importanza ha la condotta sul
piano dello SCOPO VERSO IL QUALE E’ ORIENTATA). 

La condotta assume importanza anche ad altri fini : principalmente L’INDIVIDUAZIONE DEL CD. ‘’
TEMPUS COMMISSI DELICTI’’ (ossia il momento in cui il reato è stato compiuto : che ha importanza x il
calcolo della prescrizione e per la determinazione della legge applicabile in caso di successione). 

Il cp, richiede all’art 42 c 1 : CHE LA CONDOTTA ATTIVA OMISSIVA DELL’AUTORE SIA STATA
COMMESSA CON COSCIENZA E VOLONTA’. Quindi la COSCEINZA E VOLONTA’ DELLA
CONDOTTA (anche definita suitas) è un presupposto IMPRESCINDIBILE DI QUALUNQUE REATO.
NON HA A CHE FARE COL DOLO O LA COLPA (vedremo perché).

Che significa che una condotta deve essere cosciente e volontaria?


SINIGFICA CHE, SEMPRE SU UN PIANO OGGETTIVO, NN SONO CONDOTTE PENALMENTE
RILEVANTI, QUELLE CHE NN SONO IN ALCUN MODO DOMINABILI DALL’AUTORE : cioè ‘’ gli
atti automatici’’ (come la respirazione); gli atti ‘’ riflessi’’ (si pensi ad una reazione fisica incontrollata di
fronte al dolore : ex. Ti bruci e ritiri il braccio, facendo questo colpisco con il gomito una persona
causandogli lesioni personali. Queste lesioni derivano da un movimento corporeo nn controllato. Oppure ex
di scuola : incidente causato da uno starnuto. Oppure gli atti ‘’ incoscienti’’ : qui l’esempio è quello di ubi
reato commesso da un sonnambulo. Sono quindi tutte condotte che sfuggono com0letamente al controllo

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dell’ìagente : cioè la COSCIENZA DELL’AGENTE NN HA NESSUNA POSSIBILITA’ DI DOMINARE
IL FATTO).

Proprio in virtù del fatto che : una condotta, per essere penalmente rilevante, deve essere cosciente e
volontaria (che s’intende DOMINABILE : la dominabili rientra sempre su un piano oggettivo), il codice poi
ha introdotto altre 2 disposizioni che disciplinano dei casi generali in cui NON SI PUO’ CONSIDERARE
UNA CONDOTTA COME COSCIENTE E VOLONTARIA : quindi ha ‘’ tipizzato’’ 2 situazioni generali in
cui la ‘’ suitas’’ si esclude a prescindere :

1. FORZA MAGGIORE : quindi quando la condotta umana deriva da fatti naturali irresistibili
come ad esempio un terremoto;
2. COSTRINGIMENTO FISICO : cioè quelle condotte umane che sono dovute ad una costrizione
esercitata tramite violenza fisica irresistibile. ex. Tizio prende la mano di Caia costringendola ad
infliggere un coltello nel corpo di Sempronio.
Quindi le situazioni sono accomunate dal fatto che la CONDOTTA UMANA E’ FRUTTO DI UNA
COSTRIZIONE : nel 1 caso naturale; nel 2 caso umana. 

EVENTO.

È sempre un elemento oggettivo dell tipicità che però ricorre solo in determinati reati : come quelli di evento.
L’evento è UN RISULTATO DELLA CONDOTTA (quindi sempre un avvenimento empiricamente
accertabile) che è CAUSALMENTE RICONDUCIBILE ALLA CONDOTTA, DALLA QUALE QUINDI
E’ DISTINTO ANCHE IN ALCUNI CASI A LIVELLO TEMPORALE E SPAZIALE. Ad esempio :
accoltellamento avvenuto alle 8 di sera a Lecce, morte nell’ospedale di copertina a mezza notte. 

L’evento può essere :

 di danno : come quello dell’omicidio


 Di pericolo : nei reati di pericolo concreto. Ex pericolo x la incolumità pubblica e l’evento di
pericolo previsto x il reato di incendio di cosa propria.
In alcuni casi poi l’evento, può essere nn già un elemento del fatto tipico (quindi come tale necessario ai fini
del reato), ms piuttosto un elemento richiesto ai fini di una CIRCOSTANZA AGGRAVANTE : qual è la
differenza?

È che in questo 2 caso, quindi per così dire EVENTO AGGRAVANTE : IL REATO, E’ GIA’
CONSUMATO QUINDI ‘’ PERFETTO’’ SENZA LA NECESSITA’ DI QUELL’EVENTO. Ciò vuol dire
che quell’evento è accidentale quindi può anche nn ricorrere ai fini del reato però, se ricorre, succede che
viene applicata una circostanza aggravante. 

La nozione originaria di evento, era una nozione di tipo NATURALISTICO : cioè come ‘’
ACCADIMENTO ESTERNO EMPIRICAMENTE ACCERTABILE’’. La dottrina si è poi orientata xò in
una nuova concezione di evento in senso giuridico, nel senso che l’evento + che essere considerato come un
accadimento esterno (materialmente accertabile) CONSISTE PIUTTOSTO IN UN’OFFESA DI UN BENE
GIURIDICO TUTELATO, OFFESA CHE SI PUO’ REALIZZARE SIA IN UN DANNO (QUIDNI
LESIONE CONCRETA) SIA IN UN PERICOLO (QUIDNI LESIONE POTENZIALE), ed infatti, l’evento
di pericolo nn è un accadimento esterno, non ha una connotazione materiale. Ciò vuol dire che il giudice,
DEVE ACCERTARE L’EFFETTIVITA’ DI QUESTA LESIONE ATTUALE O POTENZIALE E QUI
QUINDI C’E’ ANCHE UN COLLEGAMENTO COL PRINCIPIO DI OFFENSIVITA’. 

Tra gli elementi oggettivi della tipicità ci sono anche : I PRESUPPOSTI DEL REATO E L’OGGETTO
MATERIALE.

I primi sono SITUAZIONI PREESISTENTI AL REATO NECESSARIE AFFINCHE’ QUESTO SI


REALIZZI. Ad esempio : il precedente matrimonio per la bigamia; la relazione di parentela per l’incesto.
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Spesso c’è una correlazione tra PRESUPPOSTI DEL REATO E QUALIFICA NEI REATI PROPRI. Nb :
non sempre questi presupposti siano presenti. 

Il secondo è invece L’OGGETTO SU CUI SI COMPIE L’ILLECITO QUIDNI IL REFERENTE


MATERIALE DELLA CONDOTTA, DA TENERE DISTINTO DALL’OGGETO GIURIDICO (che è
invece il bene tutelato) e dal sogg passivo (anche se nn sempre in questo ultimo caso si pensi all’omicidio
dove la persona è sia sogg passivo che oggetto).

CAUSALITA’

È un elemento oggettivo del fatto tipico che consiste ne COLLEGSMENTO EZIOLOGICO TRS LA
CONDOTTA E L’EVENTO GIURIDICO DEL REATO CHE NE DEVE ESSERE CONSEGUENZA.
Quindi, è un elemento oggettivo che SUSSISTE NEI REATI D’EVENTO E NON IN TEMS DEI REATI DI
MERA CONDOTTA

Quindi l’evento IN SENSO NATURALISTICO (quindi come accadimento esterno) deve rappresentare il
risultato, l’opera della condott. Si è specificato che l’evento deve essere inteso in senso naturalistico in
quanto L’EVENTO IN SENSO GIURIDICO IN REALTA’, E’ COMUNE AI REATI DI MERA
CONDOTTA. QUINDI IL NESSO CAUSALE SUSSISTE SOLO TRA CONDOTTA ED EVENTO IN
SENSO NATURALISTICO (quindi solo nei reati di evento in senso stretto).

A ben guardare però, una dottrina + attenta ha rilevato che L’ACCERTAMENTO DELLA CAUSALITA’
DEVE GUARDARE TUTTI I REATI E NN SOLO QUELLI DI EVENTO IN SENSO NATURALISTICO
XK UN EVENTO IN SENSO GIURIDICO (quindi come lesione di un bene giuridico tutelato),
APPARTIENE ANCHE AI RESTI DI MERA CONDOTTA E QUIDNI VA ACCERTATO.

Nel cp, il nesso di causalità ai fini della punibilità di un reato è richiesto dall’art 40 c 1 il quale statuisce che
‘’ nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso
da cui dipende l’esistenza del reato nn è CONSEGUENZA della sua azione o omissione’’. Quindi, la
causalità, da una parte DEFINISCE LA TIPICITA’ (NE FA PARTE) IN QUANTO E’ TIPICO QUEL
FATTO IL CUI EVENTO SIA RICONDUCIBILE CAUSALMENTE ALLA CONDOTTA (quindi la
causalità è proprio un elemento costituitivo del reato). Ma sopratutto la causalità è ANCHE UN CRITERIO
DI ATTRIBUZIONE DELL’EVENTO ALL’AUTORE QUIDNI GARANZIA CHE SIA RISPETTATO IL
PRINCIPIO DI PERSOANLITA’ (RESP PER FATTO PROPRIO : in quanto collegando l’evento alla
condotta, si attribuisce la lesione o la messa in pericolo ad un autore individuale). In questo senso un sogg,
nn può essere punito x un evento che nn Isa il risultato di una sua opera, azione : QUINDI CONNESSIONE
CAUSALITA’ E PRINCIPIO DI PERSONALITA’. D’altra parte però la causalità pè anche legata alla
LEGALITA’ SOTTO IL PROFILO DELLA DETERMINATEZZA, perché TUTTI I REATI DI EVENTO
DEVONO PRESENTARE UNA STRUTTURA CAUSALE.  

Quindi l’srt 40 IMPONE L’ACCERTAMENTO DL NESSO CAUSALE TRA EVENTO E CONDOTTA.

Quand’è che si può dire che questo nesso sussiste? Abbiamo un’elaborazione di teorie per accertare la
causalità :

1. Teoria dell’equivalenza : si parla della metà dell’800 quindi SCUOLA TEDESCA


PPOSITIVISMO GIURIDICO. Secondo questa concezione, possono essere considerate CAUSA
DI UN EVENTO, SENZA NESSUNA DISTINZIONE TRA LORO, TUTTE LE CODNIZIONI
POSITIVE E NEGATIVE, UMANE E NN UMANE CHE HANNO PORTATO APPUNTO
ALL’EVENTO. Ciò vuol dire che : devono essere considerate cause di un evento ai fini di una
resa penale anche le CAUSE + REMOTE PROPRIO XK SONO EQUIVALENTI A QUELLE +
DIRETTE.
Si crea il paradosso del cd. REGRESSUS AB INFINITUM : esempio di scuola, sarebbe resp di un omicidio
anche la madre dell’assassino x averlo messo al mondo, perché l’aver messo al mondo l’assassino è

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comunque stata una condizione necessaria al verificarsi dell’evento in proporzione a tutte le altre. Al che si
passa alla 2 teoria che prova a correggere la 1 ma che finisce in realtà x avere criticità molto simili :

2. Teoria della CONDICIO SINE QUA NON : che si basa sul cd. PROCEDIMENTO DELLA
ELIMINAZIONE MENTALE. Cioè : SI CONSIDERA CAUSA DI UN EVENTO, QUELLA CONDOTTA
CHE OVE MENTALMENTE ELIMINATA (quindi considerata come nn mai verificata), FAREBBE
VENIR MENO IDEALMENTE ANCHE L’EVENTO. Viceversa nn è causa di un evento, QUELLA CHE
ANCHE SE ELIMINATA MENTALMENTE NN IMPEDIREBBE ALL’EVENTO DI VERIFICARSI.
Quindi è una teoria che si bada su un giudizio cd. CONTRO FATTUALE : xk si basa su un’analisi IDEALE
DI UN QUALCOSA CHE SI IMMAGINA COME NN ACCADUTO MA CHE IN REALTA’ E’
ACCADUTO. CD. ‘’ GIUDIZIO IPOTETICO DELLA IRREALTA’ (cioè : se nn fosse successo questo
sarebbe successo quest’altro?). quindi questo modello opera una DELIMITAZIONE DI CIO’ CHE E’
CAUSA DA CIO’ CHE NN LO E’ ISOLANDO MENTALMENTE LA CONDOTTA UMANA RISPETTO
A TUTTI GLI ALTRI FATTORI ED IMMAGINANDO QUINDI LE CONSEGUENZE DI UNA
ASTRATTA NN VERIFICAZIONE DI QUELLA CONDOTTA. 

Qual è l’obiezione principale a questa teoria? 

In alcuni casi, la condicio sine qua non si accerta in modo facile sulla base di nozioni di ‘’ comune dominio’’
come ad esempio : si sa che un accoltellamento attraverso la penetrazione del coltello nei tessuti, se colpisce
organi essenziali produce la morte. Ma ci sono situazioni in cui invece, se nn si sa quali sono gli effetti di una
determinata condotta, nn si può neanche sapere se quella condotta ha generato l’evento. Ciò vuol dire che dal
procedimento di eliminazione mentale nn si ottiene nulla se non si conoscono perfettamente, da un. Punto di
vista scientifico gli effetti di una determinata azione. Ex : famoso caso Contergan, caso tedesco. Ci furono
molte donne che dopo aver assunto involontariamente un elemento chimico chiamato ‘’ talidomide’’ misero
al mondo neonati malformati. Ovviamente la scienza dell’epoca nn conosceva gli effetti di questa sostanza e
quindi l’accertamento del nesso causale nn si poteva basare sulla condicio sine qua non perché limando
astrattamente la condotta (cioè l0aver fatto assumere a queste donne quell’elemento chimico) nn si poteva
sapere se l’evento si sarebbe verificato lo stesso oppure no. Quindi questo procedimento di eliminazione
mentale nn portava a niente. Cioè il problema principale di questa teoria è questo : OPERANDO
L’ELIMINAZIONE MENTAL DELLA CONDOTTA, SI PUO’ CAPIRE SE L’EVENTO SI SAREBBE
COMUNQUE PRODOTTO O MENO SOLO SE SI SA GIA’ DA PRIMA CON CERTEZZA SE
EFFETTIVAMENTE DA UNA CONDOTTA PUO’ DERIVARE O MENO UN EVENTO. QUINDI E’
NECESSARIO CONOSCERE ‘’LEGGI DI REGOLARITA’ STATISTICA’. È quindi necessario fare
ricorso a delle leggi scientifiche che sono capaci di accertare ‘’ ex ante’’ che determinate fenomeni sono
collegati ad altri. 

Quindi, si passa alla 

3. TEORIA DELLA SUSSUNZIONE SOTTO LEGGI SCIENTIFICHE : l’accertamento del nesso causale
quindi PRESUPPONE UNA SPIEGAZIONE CD. NOMOLOGICA : E’ QUESTO E’ IL COCNETTO DI
BASE DELLA TEORIA DELLA SUSSUNZIONE SOTTO LEGGI SCEINTIFICHE secondo la quale, PER
ACCERTARE IL NESSO CAUSALE, BISOGNA INNANZITUTTO, PARTIRE DA UN’ANALISI
DELL’EVENTO. Quest’ultimo deve essere RIDESCRITTO : vuol dire che bisogna ASTRARRE, ISOLARE
MENTALEMNTE SOLO QUELLE CARATTERISTICHE DELL’EVENTO CONCRETO CHE SONO IL
QUALCHE MODO ‘’ RIPETIBILI’’ (CIOè CHE SI POSSONO MANIFESTARE + DI UNA VOLTA IN +
EVENTI DELLO STESSO TIPO AD ESEMPIO ANCHE POSTI IN ESSERE DA PERSONE DIVERSE.
Ex tipo lesioni nel caso dell’accoltellamento) E TENERLE DISTINTE DA QUELLE CARATTERISTICHE
DELL’EVENTO CONCRETO CHE SONO UNICHE E IRRIPETIBILI E CHE QUINDI LO
DISTINGUONO DA TUTTI GLI ALTRI EVENTI SIMILI. Le caratteristiche che sono ripetibili, devono
essere selezionate xk SOLAMENTE CONSIDERANDO QUESTE, E QUIDNI ‘’ GENERALIZZANDO ‘’
L’EVENTO, E’ POSSIBILE APPLICARE LE LEGGI SCIENTIFICHE CD. DI COPERTURA, PER
CAPIRE SE QUELL’EVENTO E’ DA RICONNETTERE AD UNA CERTA CONDOTTA O MENO. Quali
sono queste leggi scientifiche ^? Sono anzitutto le leggi universali come la legge di gravità ma anche quelle
statistiche che quindi stabiliscono scientificamente che con una certa probabilità logica, da un fatto ne
scaturisce un altro. Quindi il giudice cosa fa? ACCERTATO L’EVENTO, LO RIDESCRIVE ASTRAENDO

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LE CARATTERISTICHE RIPETIBILI DI QUESTO, IN MODO TALE DA SUSSUMERLO SOTTO
LEGGI SCIENTIFICHE. 

Qual è il problema ? Qui si pone un problema : ossia che tra evento e condotta, ci possono essere delle fasi
intermedie, che rendono + complicato accertare il nesso causale e che nn possono essere conosciute in modo
esatto dal giudice. Ex si pensi al caso di un sogg avvelenato col cianuro. Il giudice nn ha la possibilità di
analizzare nel dettaglio tutte le reazioni dell’organismo che hanno portato alla morte. Ma nonostante questo
chiaramente, è evidente che il nesso causale sussiste xk è sufficiente una spiegazione ‘’ parziale’’ a livello
scientifico che dimostri che ddll’assuzione di cianuro derivi la morte. 

In altri termini, al giudice nn è chiesto di accertare nel dettaglio tutti i passaggi causali RIPETIBILI che
portano dalla’assunzione del cianuro alla morte (ex. La diffusione nel sangue, qualeorgano per primo inizia a
nn funzionare) anche xk questo richiederebbe troppo sforzo e il giudice comunque non avrebbe le
competenze. Allora si consente sl giudice, didare ‘’ per scontato’’ determinate condizioni che sono quindi
date PER ASSUNTE ATTRAVERSO UN RAGIONSMENTO DI TIPO INDUTTIVO CIOE’ BASATO
SULLA PROBABILITA’ LOGICA che si chiama ragionamento ceteris paribus = si sa che , per riprendere
l’esempio, l’avvelenamento da cianuro porta alla morte. 

Questo ragionamento implica che L’ACCERTAMENTO DEL NESSO DI CAUSALITA’ NN IMPONE AL


GIUDICE DI SPIEGARE TUTTI I ‘’ SUB EVENTI’’ DEL PROCESSO CHE PORTA DA UNA
CONDOTTA AD UN EVENTO. QUELLO CHE E’ NECESSARIO E’ CHE VI SIA SEMPRE UNA
LEGGE SCIENTIFICA CHE ATTESTI CHE DA UN FATTO NE DERIVA UN ALTRO XK
ATTRAVERSO QUESTA LEGGE SCIENTIFICA E’ POSSIBILE AFFERMARE CHE L’EVENTO SI E’
VERIFICATO X QUELLA CAUSA E NN PER UNA CAUSA DIVERSA.

Per quanto riguarda queste leggi scientifiche si è detto che oltre a quelle universali che sono certe (anche se
sono pochissime come la legge di gravità o la combustione o determinate reazioni chimiche che si conoscono
perfettamente), hanno grande importanza anche le leggi STATISTICHE O DI FREQUENZA (che nn sono
matematicamente certe ma hanno un livello + o meno alto di credibilità razionale). Queste leggi quindi
devono avere un ALTO GRADO DI CONFERMA CIOE’ UN CERTO LIVELLO DI CREDITO
SCIENTIFICO CHE PROVIENE OVVISMENTE DSGLI SCIENZIATI E NN DAL GIUDICE CHE FA
USO DI QUESTE LEGGI MS DI CERTO NN LE CREA. Il giudice le usa SUSSUMENDO
ALL’INTERNO DI QUESTE LEGGI IL FATTO VEDENDO SE GLI AVVENIMENTI COSI’ COME
VERIFICATISI SIANO COPERTI DALL SPIEGAZIONE SCIENTIFICA CHE E’ CONNESSA A
QUESTA LEGGE ( UGUALEMNTE A COME FA COME NEL CASO DI SOPRA SOLO CHE QUELLE
LEGGI SCIENTIFICHE SONO + CERTE RISPETTO A QUEST’ULTIME). 

Si tratta quindi di un problema di PROBABILITA’ STATISTICA CON RIFERIMETNO A QUESTE


ULTIME LEGGI e, di solito, la scienza, ritiene sufficiente per accertare la validità di una legge statistica
anche una probabilità medio bassa. 

Si tratta di una prima fase dell’accertamento della causalità, una fase che si basa sul grado di probabilità della
legge scientifica per cui si parla di ACCERTAMETNO DELLA CAUSALITA’ GENERALE (IN QUESTA
PRIMA FASE DELL’ACCERTAMENTO BISOGNA VEDERE SE LA LEGGE IN BASE AL QUALE IL
GIUDICE SUSSUME IL FATTO E’ UNA LEGGE DOTATA DI SUFFICIENTE PROBAILITA’
STATISTICA CIOE’ SE SIA O MENO UNA LEGGE AFFIDABILE). 

A questa fase ne segue un’altra che invece va + nel concreto (si parla a tal proposito di CAUSALITA’
INDIVIDUALE) VERIFICANDO SE NON A LIVELLO STATISTICO MA A LIVELLO LOGICO,
RISPETTO AL CASO CONCRETO, E’ POSSIBILE DIRE ‘’ CHE EFFETTIVAMENTE’’ LA LEGGE
STATISTICA SIA APPLICABILE AL CASO CONCRETO O SE INVECE NN CI SIA STATA
INCIDENZA DA PARTE DI FATTORI CAUSALI ALTERNATIVI ED IN QUESTO CASO IL NESSO
CAUSALE SAREBBE ESCLUSO.

In questa fase invece, è richiesta un’ALTA PROBABILITA’ LOGICA : ai fini della verifica del nesso
causale, nn ha tanta importanza che la legge di copertura scientifica abbia un alto grado di probabilità
statistica cioè che tutti gli scienziati siano d’accordo ; ma è molto + importante che, nel caso concreto, sia
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ALTA LA PROBABILITA’ LOGICA CHE L’EVENTO SI SIA VERIFICATO A SEGUITO DI UNA
CONDOTTA SULLA BASE DI QUELLA LEGGE SCIENTIFICA E NN PER FATTORI
ALTERNATIVI.In altri termini : nn importa ai fini della valutazione del nesso causale che quella legge
scientifica sia ‘’ condivisa’’ da tutti gli scienziati, cioè è sufficiente anche un 50% e 50%, è molto +
importante che, nel caso concreto, a livello logico SIA ALTAMENTE PROBABILE CHE L’EVENTO E
LA CONDOTTA SIANO COLLEGATI SULLA BASE DI QUELLA LEGGE E NN CHE INVECECI
SIANO FATTORI CAUSALI ALTERNATIVI CHE HANNO DETERMINATO L’EVENTO.

Se nn si riesce a dimostrare a livello logico che condotta ed evento siano collegati sulla base di una legge
scientifica, e quindi se la prova del nesso causale è insufficiente o contraddittoria (che non è abbastanza
probabile), il sogg deve essere assolto sulla base del principio del cd. RAGIONEVOLE DUBBIO CIOE’
RAGIONEVOLE DUBBIO CHE LA CONDOTTA DI QUEL SOGG NN E’ LEGATA ALL’EVENTO PER
VIA DI FATTORI ALTERNATIVI

CONCORSO DI CAUSE.

Situazione particolare : cosa succede nel momento in cui si verifica il cd. CONCORSO DI CAUSE?

Il concorso di cause si verifica quando LA CONDOTTA DELL’AGENTE DETERMINA L’EVENTO MA


NON ‘’ ISOLATAMENTE’’ MA ASSIEME AD ALTRE CONCAUSE CHE HANNO CONTRIBUITO A
FARLO VERIFICARE. Queste concause possono essere PREESISTENTI ALLA CONDOTTA
DELL’AGENTE, CONCOMITANTI AD ESSA O ANCHE SOPRAVVENUTE. 

Che cosa dice l’art 41 che riguarda le concause? ‘’Il concorso di cause, anche se indipendenti dalla’azione o
dalla omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità tra azione ed omissione e l’evento’’.
Quindi vuol dire che il rapporto di causalità sussiste comunque quindi la condotta dell’agente nn viene ‘’
neutralizzata’’ a livello causale dalla presenza di altri fattori che hanno contribuito (NB : questo come si
sposa con la teoria vista sopra? Le concause, nn sono fattori alternativi ma sono fattori che
CONTRIBUISCONO ALLA VERIFICAZIONE DELL’EVENTO).

L’art 41, richiama quello che un tempo si chismavs principio della cd. EQUIVALENZA DELLE
CONDIZIONI, SECONDO IL QUALE QUANDO INTERAGISCONO PROCESSI CAUSALI
AUTONOMI, CIASCUNO DI ESSI CONSERVA IL SUO NESSO CON L’EVENTO E NON SI
ESCLUDONO L’UN L’ALTRO. Ora, andando nel pratico, quand’è che si verifica ls situazione in cui c’è un
concorso di cause?? QUANDO TRA LA CONDOTTA UMANA E L’EVENTO, SI FRAPPONE AD
ESEMPIO UNA CONDOTTA DI UN 3 O ANCHE UN FATTO NATURALE come ad esempio : investo
una persona, la persona muore per via dell’incidente ma anche xk soffriva di una particolare patologia che lo
rendeva + vulnerabile alle cadute (questo è l’esempio di concausa preesistente); oppure pugno in faccia che
causa una lesione al sogg, il quale stordito dal colpo, si rialza poi però cade e batte la testa aggravando la
lesione (questo è l’esempio di concausa sopravvenuta). Oppure 

I primi 2 casi sono accumunati dal fatto che queste concause sono INDIPENDENTI DALLA VOLONTA’
DELL’AGENTE : QUIDNI IN QUESTO SENSO L’ART 41 PARLA DI INDIPENDENZA
DALL’AZIONE O OMISSIONE. Si è detto che, di norma, queste concause non interrompono il NESSO
CAUSALE TRA LA CONDOTTA DELL’AGENTE E L’EVENTO, QUIDNI NEL 1 CASO IL FATTO
CHE IL SOGG SIA MALATO, NON NEUTRALIZZA LS CONDOTTA DELL’AGENTE (il fatto di averlo
investito). Nel 2 caso, la caduta successiva, non spezza il ness tra l’aggressione e le lesioni. Questo però,
come detto, DI NORMA : in quanto, l’art 41 c 2 legittima subito un’eccezione solo col riferimento alle
concause SOPRAVVENUTE statuendo che : ‘’ le concause sopravvenute, escludono il rapporto di causalità
(tra la condotta dell’agente e l’evento), QUANDO SONO STATE DA SOLE SUFFICIENTI A
DETERMINARE L’EVENTO’’. Per esempio : incidente, il sogg investito viene trasportato in ospedale,
l’ambulanza fa un incidente mortale. Ovviamente la concausa sopravvenuta dell’incidente dell’ambulanza
sarebbe stata da sola sufficiente a cagionare l’evento. Oppure ‘’ A avvelena B, prima che B muoia C
accoltella mortalmente B. Anche in questo caso, la concausa sopravvenuta e da sola sufficiente a determinare
l’evento’’. Mentre le concause ANTECEDENTI E CONCOMITANTI NON POSSONO MAI SPEZZARE
IL NESSO CAUSALE CIO’ XK SE SI FACESSE IL CONTRARIO (QUIDNI SE SI PERMETTESSE
ALLE CONCAUSE PRECEDENTI DI NEUTRALIZZARE LE CONDOTTE CRIMINOSE DEGLI
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AGENTI), SI CREEREBBERO DEGLI EFFETTI ABERRANTI : si pensi ad un caso come ‘’ a sa che b è
emofiliaco (problemi di sangue) allora lo graffia sapendo che con un graffio gli cagionerebbe la morte.
Quindi se si permettesse alla concausa antecedente (l’emofilia), in quanto da sola sufficiente a determinare
l’evento, di spezzare il nesso causale, finirebbe che a dovrebbe essere assolto. Ma non si può fare xk A era
consapevole della concausa precedente’’. Quindi si finirebbe x rendere le malattie dei motivi di esenzione da
responsabilità. E comunque le concause antecedenti e concomitanti si PRESUPPONGONO CONOSCIUTE
DAL SOGGETTO IN QUANTO ASTRATTAMENTE CONOSCIBILI (XK ESISTONO GIA’ AL
MOMENTO DELL’AZIONE). Non si può dire lo stesso di quelle sopravvenute che mai potrebbero essere
conosciute dall’agente. 

Bisogna ora capire quali sono le cause sopravvenute che da sole possono determinare l’evento : 

1. secondo una prima lettura, per causa da sola sufficiente sopravvenuta, s’intende un fattore
SOPRAVVENUTO ALLA CONDOTTA DELL’AGENTE CHE ABBIA EFFICACIA
CAUSALE AUTONOMA ED ESCLUSIVA. Quindi ‘’ a avvelena b ma prima che b muoia c lo
spara e muore’’.IN QUESTO CASO, IL FATTORE E’ RAPPRESENTATO DALLO SPARO
CHE E’ CAUSA SOPRAVVENUTA INDIPENDENTE CHE E’ STATA NECESSARIA E
SUFFICIENTE DA SOLA A PRODURRE L’EVENTO. Il problema di questa 1 tesi è che
COSI’ INTERPRETANDO L’SRT 41 C 2 CHE RIGUARDA APPUNTO LE CAUSE DA
SOLE SUFFICIENTI A DETERMINARE UN EVENTO, QUESTO COMMA
RISULTEREBBE INUTILE XK non FAREBBE ALTRO CHE RIFORMULARE IN
NEGATIVO CIO’ CHE E’ GIA’ PREVISTO DALLE ALTRE DISPOSIZIONI SULLA
CAUSALITA’ (art 40 e 41 c 1) : SAREBBE CIOE’ UNA TATOLOGIA : xk un fattore che
opera in modo del tutto autonomo è evidente che sia causa esclusiva xk qualunque altro fattore,
in base ad un giudizio ex post non risulterebbe condizionale (?)
2. Secondo una seconda impostazione, s’intende causa sopravvenuta da sola sufficiente a
determinare l’evento, un accadimento eccezionale e imprevedibile successivo alla condotta
dell’agente. Esempio dell’incidente dell’ambulanza. Quindi un fattore eccezionale ed
imprevedibile, ANOMALO, CHE DEVIA UN DECORSO CAUSALE GIA’ AVVIATO (cioè
per riprendere l’esempio dell’ambulanza il decorso causale già avviato dipende dal fatto che se il
sogg non fosse stato investito non si sarebbe trovato su un’ambulanza che quindi non avrebbe
fatto incidente). Ovviamente, tra i “fattori eccezionali ed imprevedibili’’, rientrano anche quelli
che nn sono in alcun modo ASTRATTAMENTE PREVEDIBILI : si pensi al caso in cui il sogg
nuore in ospedale per un terremoto. In questo caso, dl resto, l’interruzione del nesso causale, tra
l’evento morte e la condotta di chi aveva investito il sogg, è interrotto a priori dalla previsione
dell’art 45 che ESCLUDE LA PUNIBILITA’ DI UN SOGG SE L’EVENTO E’ CAUSATO
DAL CASO FORTUITO (che è appunto proprio un fattore imprevedibile ed eccezionale).
3. La causa da sola sufficiente a determinare l’evento, è un fattore CHE OPERA NN IN MODO
INDIPENDENTE ALLA CONDOTTA MA CONGIUNTAMENTE ALLA CONDOTTA
quindi queste cause da sole sufficienti, sarebbero sempre concause, quindi non è che
spezzerebbero il nesso di causalità (perché quello resterebbe intatto con la condotta dell’agent)
ma senplicem3nte impedirebbero. Quesì’ultimo di essere punito. Quindi si sposta l’attenzione
dalla causalità alla punibilità. Questa è una teoria che però ha una contraddizione da un punto di
vista proprio normativo : xk l’art 41 c 2 non parla di esclusione della punibilità ma proprio di
esclusione della causalità. 
Quindi secondo il libro la teoria migliore è la 2, però con dei correttivi che riguardano il concetto di
ECCEZIONALITA’ : nel senso che il fattore eccezionale nn si deve intendere come evento straordinario ed
imprevedibile perché per quello c’è già l’art 45, si deve piuttosto intendere, COME FATTORE
ECCEZIONALE NEL SENSO DI ECCEZIONE AD UNA REGOLARITA’ CAUSALE TRA FATTI
SUSSUMIBILI IN UNA LEGGE SCIENTIFICA. 

Quindi il fattore causale è un’anomalia che si colloca AL DI FUORI DALLA LEFGE SCIENTIFICA CHE
AVREBBE SPIEGATO IL COLLEGAMENTO TRA UNA CONDOTTA ED UN EVENTO. Cioè
nell’esempio dell’incidente dell’ambulanza : ovviamente la leggi scientifica avrebbe spiegato il collegamento
tra la condotta dell’investimento e la lesione consequenziale ma non ovviamente la morte che invece è stata
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determinata da un fattore successivo che quindi ha rappresentato un’eccezione alla regolarità che derivava
dall’applicazione della legge scientifica. Quindi questo è il correttivo alla tesi : considerare ECCEZIONALE
NN UN EVENTO STRAORDINARIO MA UN EVENTO CHE NN RISPONDE ALLE REGOLARITA’
DELLE LEGGI SCIENTIFICHE. 

Allo stesso modo si può dire che una causa sopravvenuta è da sola sufficiente a. Determinare un evento
QUANDO C’E’ UNA LEGGE SCIENTIFICA CHE ASSICURA CHE QUESTA CAUSA
SOPRAVVENUTA AVEVA QUESTA IDONEITA’.

Il libro sposa questa tesi (2 con il correttivo); il cp ha invece sposato la 1 tesi, pur essendo una tautologia. Il
libro sostiene che a questo punto per dare un senso a questa norma apparentemente inutile, conviene
considerarla nn una tautologia ma piuttosto una precisazione ulteriore di quanto detto nelle norme
precedenti.  

Il vero problema qual è? È che a prescindere dal significato corretto con cui va interpretato l’art 41, ci sono
delle problematiche che la casualità non può risolvere CIOE’ : PONIAMO IL CASO CHE LA CONDOTTA
DI UN SOGG ATTIVA UN CERTO DECORSO CAUSALE, POI INTERVIENE UN 2 FATTORE CHE
DEVIA TALE DECORSO. ORA, QUANDO PUO’ DIRSI CHE QUESTA DEVIAZIONE E’
ESSENZIALE (cioè che da sola ha determinato l’evento)? E QUANDO INVECE, IL FATTORE
SUCCESSIVO NON E’ ESSENZIALE E QUINDI NON INTERROMPE IL NESSO DI CAUSALITA’ MA
SEMPLICEMENTE DEVIA IL DECORSO CAUSALE? Si pensi ad un caso : ‘’ A cagiona a B una frattura;
B viene operato ma il medico nn gli prescrive un farmaco importante e B muore per un’embolia xk è
anziano’’. In questa situazione, seguendo la 1 teoria casuale sposata dal cp, A dovrebbe essere responsabile
xk questo fattore rappresentato dalla condotta del medico, non sarebbe un avvenimento eccezionale ma solo
deviante però questa conclusione sarebbe in contrasto col principio di resp personale perché l’agente
finirebbe per essere resp di un fatto che in realtà è stato cagionato da un altro cioè il medico. Quindi per
trovare un correttivo a questa incongruenza delle concezioni sulla causalità, la migliore dottrina, ha suggerito
il ricorso alla teoria della IMPUTAZIONE OGGETTIVA DELL’EVENTO : questa teoria, richiede che PER
ATTRIBUIRE RESP DI UN FATTO AD UN SOGG, E’ NECESSARIO CHE LA CONDOTTA DI
QUEST’ULTIMO, ABBIA CREATO O AUMENTATO UN RISCHIO PER IL BENE TUTELATO
RISCHIO CHE POI SI E’ CONCRETIZZATO NELL’EVENTO PRODOTTO. Quindi si passa da un piano
causale, ad un piano di cd. RAPPORTO DI RISCHIO TRA CONDOTTA ED EVENTO. Quindi la condotta
nn deve essere + una condicio sine qua non ma UNA FONTE DI RISCHIO, RISCHIO CHE POI VIENE
CONCRETIZZATO DALL’EVENTO.

Quindi questa teoria, permette un collegamento tra la causalità e la NECESSARIA OFFENSIVITA’ : xke
per rispondere di un evento, non basta solo averlo causato ma occorre un COLLEGAMENTO SEMPRE
DELLA CONDOTTA ALL’EVENTO SU UN PIANO APPUNTO DI OFFENSIVITA’ NEL SENSO CHE
L’EVENTO, DEVE RAPPRESENTARE IL RISULTATO DI QUEL RISCHIO CREATO O
AUMENTATO DALLA CONDOTTA STESSA. 

Ovviamente non basta creare o aumentare un rischio GENERICO IL RISCHIO DEVE ESSERE ILLECITO
anfQUIDNI NON ORDINARIO, NON UN RISCHIO GENERALE DI VITA. 

Qual è questo rischio generale di vita (anche detto rischio ubiquitario)? È un rischio che L’ORDINAMENTO
ACCETTA PERCHE’ NON FUORIESCE DALLA SFERA DI ILLICEITA’ DI CIASCUN SOGGETTO,
NELL’AMBITO DEL QUALE OGNUNO E LIBERO DI CREARE O AUMENTARE DEI RISCHI. Quindi
la condotta di un sogg, COMPORTA INVECE RESP PENALE, SE HA CAUSATO UN EVENTO E SE
L’AUTORE DELLA CONDOTTA E’ COMPETENTE RISPETTO ALLA SITUAZIONE DI RISCHIO
CHE L’EVENTO CONCRETIZZA QUIDNI, tornando all’esempio dell’ambulanza : chi investe il pedone è
competente x il rischio che deriva dall’investimento, ma nn è competente per la morte durante il trasporto
quindi la sua resp è esclusa NON TANTO SU UN PIANO CAUSALE MA SUL PIANO APPUNTO DI
GESTIONE DEL RISCHIO. Stessa cosa per l’esempio del medico, il sogg che ha investito l’anziano non è
competente per i rischi che derivano da una negligenza del medico QUINDI ANCHE IN QUESTO CASO
LA RESP E’ ESCLUSA + CHE SU UN PIANO CAUSALE, SUL PIANO DI GESTIONE DEL RISCHIO. 

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Applicando questa teoria della resp oggettiva x rischio all’art 41 c 2, quindi cercando di spiegare le cause da
sole sufficienti, che cosa otteniamo? OTTENIAMO CHE UN FATTORE CAUSALE DIVENTA CAUSA
DA SOLA SUFFICIENTE A DETERMINARE L’EVENTO, SE HA REALIZZATO UN RISCHIO CHE
HA SOPPIANTATO IL RISCHIO CHE AVEVA CREATO IL SOGG IN ORIGINE E L’EVENTO HA
REALIZZATO IL 2 RISCHIO E NN IL PRIMO. Per esempio la condotta del medico ha creato un rischio di
embolia che ha soppiantato il rischio di lesioni che era stato realizzato dal primo sogg; sicché il rischio
SOPRAVVENUTO SI E’ INSERITO NEL DECORSO CAUSALE ATTIVATO DAL 1 RISCHIO, LO HA
SOPPIANTATO ED E ‘ STATO POI CONCRETIZZATO DALL’EVENTO LESIVO COSICCHE’ LA
RESP DELL’AUTORE DEL SINISTRO E’ STATA ESCLUSA SULLA BASE DI UNA
CONSIDERAZIONE ‘’ EX POST ‘’ CHE SI AGGIUNGE ALLA VALUTAZIONE ‘’ EX ANTE’’ DELLA
COMPETENZA PER IL RISCHIO. Perché ex ante?? Xk si valuta proma chi è competente per un rischio e
nn dopo. Qual è però il punto? Se le cose stanno così nn ha senso parlare di CAUSE ANTECEDENTI,
CONCOMITANTI E SOPRAVVENUTE : perché quando parliamo di RISCHIO SOPRAVVENUTO SI
PARLA DI UN QUALCOSA SOPRAVVENUTO IN SENSO LOGICO E NN CRONOLOGICO : ex.
Poniamo iol caso che A investe B, B muore in un incidente dell’ambulanza che è stato causato da un
problema ai freni (questa teoricamente è una concausa preesistente) MA RESTA UN FATTORE DI
RISCHIO SOPRAVVENUTO A LIVELLO LOGICO (in quanto quel’incidente a causa dei freni non ci
sarebbe stato se A non avessi investito B).

Quindi quando si parla di INTERVENTO DELLA CAUSA SOPRAVVENUTA, ci si riferisce ad un


fenomeno x cui si crea un nuovo centro di imputazione, una nuova sfera di competenza che DE
LEGITTIMA L’IMPUTAZIONE DELL’EVENTO LESIVO ALL’AUTORE DELLA 1 CONDOTTA,
ATTRIBUENDO INVECE LA COMPETENZA A QUALCUN ALTRO CHE PUO’ ESSEREDELLA
VITTIMA STESSA O UN 3 O AL CASO FORTUITO IN BASE OVVIAMENTE AD UNA
VALUTAZIONE EX POST. 

Quindi la teoria della IMPUTAZIONE OGGETTIVA HA PORTATO UN CONTRIBUTO NOTEVOLE


ALLA DESCRIZIONE DELL’ILLECITO. Spostando l’attenzione dal piano della causalità a quello della
competenza, nel senso che di fronte ad un fatto per cui un sogg non è competente a livello di gestione del
rischio, quel fatto stesso non può dirsi proprio di quel soggetto e deve essere imputato cioè attribuito come
resp personale a qualcun altro o al +, appunto, al caso fortuito e forzamaggiore come abbiamo detto
ACCADIMENTI NATURALI IMPREVEDIBILI (caso fortuito) ed inevitabili (forza maggiore). Quindi si
dice che l’art 45 cp che riguarda proprio questi 2 casi è una norma di chiura del sistema di imputazione :
quando cioè il fatto nn può essere imputato a nessuno (quindi deriva da fattori che sono estranei a
qualsivoglia competenza quindi per così dire in via residuale). 

Perciò, alla luce di questa teoria del rischio va rivisitato il concetto stesso di CAUSA DL REATO CHE E’
DA INTENDERSI NN IN SENSO NATURALISTICO MA IN SENSO NORMATIVO : i 2 aspetti non
sempre coincidono perchè di norma chi causa SUL PIANO NATURALISTICO QUIDNI MATERIALE UN
FATTO, DI SOLITO E’ COMPETENTE E QUIDNI LO CAUSA ANCHE SUL PIANO NORMATIVO;
MA NN E’ SEMPRE COSI’ : A QUESTO PROPOSITO, IN PRESENZA DI CONCAUSE SI POSSONO
VERIFICARE 2 SITUA DIVERSE :

 INTERPOSIZIONE MEDIATRICE DI + CAUSE : è una situa in cui l’effetto di queste


concause viene imputato congiuntamente a tutte. Quindi secondo questa inpositazione,
nell’esemoio di A che ferisce B e B che muore per errore chirurgico, risponderebbero di
omicidio entrambi;
 INTEPOSIZIONE INTERRUTTIVA : quando invece, in presenza di + concause, solo ad una
viene imputato il fatto xk il decorso causale rispetto alle altre è stato interrotto. Per esempio A
investe B B muore per l’incendio dell’ospedale. A non è competente per la morte di B perché è
caso fortuito ma la morte è da attribuire al caso fortuito.

Analizziamo + nel dettaglio il caso della INTERPOSIZIONE MEDIATRICE : con questa interposizione
succede che LA PRIMA CONDOTTA PRESENTA UNO SVILUPPO ATIPICO DEGLI EVENTI :
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QUIDNI SVILUPPA UN DECORSO CAUSALE CHE VIENEN DEVIATO MA VIENE DEVIATO IN
MODO NN ESSENZIALE; SICCHE’ NON C’è LO SPOSTAMENTO DELLA COMPETENZA VERSO
UN 3 O IL CASO FORTUITO E QUIDNI NON C’E’ UN’INTERRUZIONE DEL NESSO CAUSALE. Uno
dei modi in cui questo può avvenire è attraverso la cd. CAUSALITA’ ADDIZIONALE : quanod cioè +
fattori causali, convergono su uno stesso evento che quindi è ASCRIVIBILE A CIASCUNO DI ESSI XK
CIASCUNO DI ESSI SAREBBE STATO DA SOLO IDONEO A CREARE LO STESSO EVENTO (come
nell’esempio di prima : la morte del sogg poteva derivare tanto dal ferimento grave tanto dalla’errore del
medico a livello chirurgico). Quindi ciascun contributo avrebbe DA SOLO CAUSATO L’EVENTO. Sicché
ciascuna causa è CONDIZIONE SUFFICIENTE MA PROPRIO IN VIRTU’ DELL’APPORTO DI ALTRE
ALTRETTANTO DA SOLE SUFFICIENTI, NESSUNA E’ UNA CONDIZIONE NECESSARIA (in quanto
togliendone una l’evento sarebbe successo lo stesso). Quindi ciascuna concausa è legata COL NESSO
CAUSALE ALL’EVENTO CHE VIENE ASCRITTO D CONSEGUENZA A CIASCUNA DI ESSE.
Questa situazione però richiede ovviamente, come suo requisito che TUTTE LE CONCAUSE ABBIANO
AVUTO UN’EFFICACIA CONTESTUALE : CIOE’ CONTEMPORANEA XK SE INVECE CI FOSSE
STATA UNA CONDOTTA PRECEDENTE ALLE ALTRE, O UN FATTORE PRECEDENTE AGLI
ALTRI NN SI POTREBBE + PARLARE DI CAUSALITA’ ADDIZIONALE MA DI CAUSALITA’
ALTERNATIVA IPOTETICA. Per esempio : se A B C sparano uno stesso sogg da posizioni diverse, e il
proiettile di A colpisce mortalmente il sogg, gli altri 2 che hanno sparato ad un morto nn sono resp di
omicidio xk nn si amplica la causalità addizionale. Se poi, non è possibile stabilire tra vari fattori causali,
quale abbia avuto efficacia per primo, anche in questo caso nn is potrebbe parlare di causalità addizionale e
nn is potrebbe provare quale fattore sia stato determinante.

La causalità addizionale può presentare anche situazioni problematiche in cui ci sono + cause DA SOLE
SUFFICIENTI A DETERMINARE L’EVENTO CHE POI SI VERIFICA CHE PERO’ , SOMMANDOSI
L’UNA CON L’ALTRA ED INTERSECANDOSI TRA DI LORO, DEVIANO IL DECORSO CAUSALE.
Ad esempio il ciclista A viene tampoanto prima dalla vettura di B e poi dalla vettura di C che veniva dal lato
opposto, muore e a causa della caduta e si dimostra che l’urto derivato dal 1 tamponamento lo avrebbe
comunque ucciso e che anche se non fosse stato urtato da B sarebbe stato comunque investito da C che però
ha deviato la caduta del ciclista (peggiorandola). In situa come questa è molto difficile comprendere se la
imputazione debba riguardare solo C o entrambi. Questa è un’ipotesi che si avvicina ad un caso particolare in
cui opera un istituto che prende il nome di ‘’ aberrato cause’’ in cui un sogg produce un reato ma secondo un
decorso causale diverso rispetto a quello che si era prospettato. Questa differenza lascia intatto l’evento
lesivo ma modifica il modo in cui si produce. È un fenomeno che ovviamente riguarda solo i REATI A
FORMA LIBERA e che si ha ad ex quando un sogg spinge un altro in burrone affinché la caduta lo uccida
ma questa’ultimo muore nn per la caduta ma xk viene trafitto, prima di cadere, da un ramo sporgente. In
questi casi il sogg risponde comunque di omicidio doloso. 

Bisogna vedere la CAUSALITA’ CUMULATIVA : ANCHE DETTA A INTERAZIONE NECESSARIA.


Anche qui si parte dalla base in cui ci sono + concause quindi + fattori causali, però questi fattori causali, pur
convergendo verso un unico risultato, riescono a produrlo solo in virtù della loro interazione mentre da soli
nn sarebbero stati idonei nella loro individualità a causare quello stesso evento : QUIDNI SONO
CONDIZIONI NN SUFFICIENTI perché è NECESSARIA la loro INTERAZIONE PER L’EVENTO
(quindi l’esatto opposto di prima).

EX. : infermiera A, disattenta, inietta ad un paziente una dose di farmaco superiore al dovuto ma da sola nn
mortale; l’infermiera B credendo erroneamente che l’infermiers A nn avesse iniettato il farmaco al paziente
glielo reinietta secondo le dosi corrette ma l’accumulo di farmaco causa lesioni al paziente stesso che invece
nn sarebbe stato danneggiato da 1 condotta singola di una o dell’altra. 

In questi casi, poiché ogni concausa di x se è incapace a generare l’evento, questa’ultimo è diverso e + grave
rispetto a quello che ciascuna delle condotte avrebbe prodotto : qui si crea una fattispecie assimilabile a
quella della ABBERATIO DELICTI : ed il problema è stabilire se sia possibile ascrivere l’intero evento a
ciascuna di esse. 

Una situazione simile si ha nei casi dei cd. EFFETTI SINERGICI : ANCHE QUI L0EVENTO CHE SI
CREA E’ PRODOTTO DA TANTE CONCAUSE, NESSUNA DELLE QUALI DA SOLA E’ IDONEA A
60
CREARLO MA, A DIFFERENZA DELLA CAUSALITA’ COMULATIVA, QUI L’EVENTO E’
ADDIRITTURA SPROPORZIONATO ANCHE RISPETTO ALLA CONCATENAZIONE DI QUESTE
CONDOTTE CHE QUINDI HANNO CREATP UN EVENTO COMPLETAMENTE SPROPORZIONATO
RISPETTO ALLA LORO PORTATA CAUSALE SINGOLA. AD EX : le industrie di A B C e D inquinano
le acque cagionando un danno all’ambiente (il cd disastro ecologico) che è sproporzionato sia rispetto
all’apporto dato da ciascuno sia rispetto alla somma aritmetica delle quantità delle sostanze nocive rilasciate.
Quindi un evento macroscopico rispetto all’apporto dato da ciascuno: tant’è che si parla di ABBERRATIO
QUANTITATIS DELICTI CHE COLPISCONO DI SOLITO DEI BENI DI CARATTERE COLLETTIVO
COLPITI DA ATTIVITA’ SERIALI (l’ambiente è ub esempio perfetto). Tra gli effetti sinergici si
distinguono:

 effetti sommativi : quando i fattori che si cumulano sono uguali tra loro ognuno di per se nn
rilevante se nn in virtù del fatto che viene ripetuto in modo uguale da molti sogg. ex. Fumo di
sigaretta che crea danno all’ambiente
 Effetti additivi : che invece derivano da fattori diversificati che sono rilevanti x il tipo di
combinazioni che si creano tra di loro ciò riguarda sopratutto i danni derivati da combinazione di
sostanze chimiche 
 Effetti sinergici in senso stretto : che derivano dal cumulo di farrori uguali e diversi che,
intersecandosi, danno vita ad effetti inaspettati sempre di portata + elevata rispetto alla loro
somma matematica. 
Qual’è il problema degli effetti sinergici in senso lato ai fini della causalità? Si parla comunque di una
sottoipotesI della causalità CUMULATIVA CHE PERO’ PRESENTA + PROBLEMATICHE PERCHE’ : è
difficile dimostrare in virtù della serialità delle singole condotte quali siano causali e quali no; è difficile
anche trovare leggi scientifiche di copertura che possano descrivere la regolarità di questi accadimenti.
Naturalmente in questi casi, il problema è che IMPUTANDO L’EVENTO TOTALE AD OGNI SINGOLO
AUTORE CONCORRENTE, SUCCEDEREBBE CHE CIASCUNO RISPONDEREBBE DI UN EVENTO
SPROPORZIONATO RISPETTO ALLA SUA CONDOTTA TANT’E’ CHE LA DOTTRINA TEDESCA
A SUGGERITO DI SCOMPORRE L’EVENTO IN QUOTE DA ASCRIVERE A CIASCUN
CONCORRENTE IN BASE AL SUO APPORTO (cosa molto complicata nella pratica). Peraltro nel nostro
ordinamento, l’iscrizione dell’evento totale ad ogni concorrente si porrebbe anche in contrasto con la teoria
della resp per rischio : xk il MACROEVENTO FINALE, NN E’ MAI REALIZZAZIONE DEL RISCHIO
CHE OGNI SINGOLA ATTIVITA’ PRODUCE.

REATO OMISSIVO.

L’omissione è un CONCETTO NORMATIVO : cioè a differenza dell’AZIONE NN APPARTIENE AL


MONDO FISICO E SIGNIFICA ‘’ NN AVER FATTO QUALCOSA CHE SI OTEVA E DOVEVA
FARE’’. L’omissione quindi esiste solo in funzione di un’aspettativa di comportamento che non è stata
rispettata ed è in questo senso che si distingue. Da una semplice INERZIA CHE NN HS NESSUNA
RILEVANZA PENALMENTE PARLANDO : quindi il reato omissivo consiste in un mancato compimento
di un’azione doverosa e le fattispecie omissive sono il prodotto di un’evoluzione normativa molto recente
sopratutto al momento del passaggio dallo stato liberale allo stato sociale ispirato a valori solidaristici in cui i
cittadini sono chiamati a realizzare obbiettivi che sono propri dello stato. Nel cp, ci sono molte fattispecie
omissive nella parte speciale (si pensi all’omissione di atti d’ufficio) ed anche nella legislazione sociale (ad
esempio l’omessa dichiarazione dei redditi). Ma in realtà, nn esistono solo reati omissivi o commissvi,
poiché esistono anche fattispecie problematiche che sono :

 i reati a condottamista : in cui si richiede una duplice condotta una attiva ed una passiva (come
ad esempio l’insolvenza fraudolenta : che è un reato di chi contrae un’obbligazione , quindi
CONDOTTA ATTIVA, col proposito di non adempierla e poi non la adempie CONDOTTA
OMISSIVA).
 I reati a condotta alternativa : che possono essere compiuti indifferentemente tramite azione o
omissione, modalità realizzatve dello stesso reato (come ad esempio con la violazione di
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domicilio)che si può realizzare infatti anche quando un sogg, si trattiene in casa di un altro senza
il volere di quest’ultimo. 
 I reati a condotta duplice ed eventualmente mista : ? ex. Indebita compensazione di debiti
tributari : quando l’autore nn versa le somme dovute all’erario utilizzando in compensazione dei
crediti che non ha 
 Ci sono dei casi in cui la legge nn specifica il tipo di condotta richiesto come nel caso
dell’omicidio. ‘’ chiunque cagiona la morte di un uomo’’. 

All’interno dei reati omissivi si possono poi distinguere :

 gli omissivi propri : sono REATI DI MERA CONDOTTA CHE CONSISTONO NEL
MANCATO COMPIMENTO DI UN’AZIONE PRESCRITTA come nel caso della omissione di
soccorso ed assumono rilevanza di per se (cioè per il solo fatto della omissione a prescindere dal
verificarsi di un evento naturalistico che, al massimo, può costituire una circostanza aggravante).
Omissione di soccorso con morte : l’evento morte rappresenta una circostanza aggravante. Tutti i
reati omissis propri, eccetto l’omissione di soccorso, sono anche reati PROPRI (QUIDNI IL
SOGG ATTIVO HA SEMPRE UNA QUALIFICA PARTICOLARE E QUIDNI LE
FATTISPECIE SONO SEMPRE A SOGG RISTRETTA). Questo xk i legittimati a commettere
un’azione sono solo DETERMINATI SOGG CHE QUELL’AZIONE LA DEVONO
COMPIERE E CHE QUIDNI SI TROVANO IN UNA CERTA ‘’ POSIZIONE’’ DI
GARANZIA VERSO IL BENE GIURIDICO TUTELATO (si pensi ad esempio alla omissione
della dichiarazione dei redditi la qualifica richiesta è quella del contribuente che deve versare ad
esempio l’IVA).
 Omissivi impropri : che sono REATI DI EVENTO. Che si realizzano NEL MANCATO
ATTIVARSI PER IMPEDIRE L’EVENTO, OVVIMENTE LADDOVE ‘’ ATTIVARSI’’ ERA
UN OBBLIGO GIURIDICO. Sono detto impropri x un retaggio di tipo storico XK SI TRATTA
DI REATI CHE UN TEMPO VENIVANO CONSIDERATI COMMISSIVI. Ora però esistono
REASTI OMISSIVI IMPROPRI CHE SONO CODIFICATI IN SINGOLE NORME (ci sono i
delitti colposi di pericolo che sono sia commissivi sia omissivi; la bancarotta semplice che è un
reato omissivo improprio; e i reati in materia di stampa che differentemente dagli altri sono nel
libro 1 del cp). I reati omissivi impropri NOMINATI (quindi quelli previsti singolarmente) però,
RAPPRESENTANO UN’ECCEZIONE PERCHE’ DI SOLITO I REATI OMISSIVI
IMPROPRI, NN SONO NOMINATI CIOE’ NON SONO TIPIZZATI E SI RICAVANO DA
QUELLE FATTISPECIE DI REATI DI EVENTO A FORMA LIBERA la cui condotta, nn
essendo tipizzata, può ben realizzarsi anche tramite un’omissione ed è qui che entra in gioco l’art
40 1 c (capoverso) : che, seleziona quali sono le omissioni rilevanti in questi casi di reati a forma
libera e sono QUELLE OMISSIONI CHE SI CONCRETIZZANO NELLA ‘’
CONTRAVVENIENZA’’ AD UN OBBLIGO GIURIDICO DI IMPEDIMENTO. Quindi, l’art
40 va ad integrare la fattispecie di reato di evento a forma libera strutturando quindi il reato
omissivo improprio che quindi si realizza nel combinato disposto tra l’art 40 e l’art che appunto
prevede il reato di evento a forma libera che solitamente descrive la condotta in modo ampio con
termini ampi come ‘’ cagionare’’ o ‘’ procurare’’ o ‘’ porre in pericolo’’ ecc. quindi l’ art 40 non
è una norma ESTENSIVA DELLS PNIBILITA’ MA LIMITATIVA XK VA A SELEZIONARE
SOLO LE OMISSIONI PENALMENTE RILEVANTI CIOE’ QUELLE CHE APPUNTO
CONTRAVVENGONO UN OBBLIGO GIURIDICO DI AGIRE. 

QUALI SONO GLI ELEMENTI COSTITUTIVI DELLA FATTISPECIE OMISSIVSA?

Alla fattispecie omissiva appartiene la SITUAZIOEN TIPICA CIOE’ IL COMPLESSO DIE PRESUPPOSTI
IN VIRTU’ DEI QUALI IL SOGG DIVENTA OBBLIGATO A COMPIERE L’AZIONE CHE POI NN
COMPIE. QUINDI LA SITUA TIPICA E’ QUELLA CHE FA SCATURIRE L’OBBLIGO DI AGIRE
PENALMENRE SANZIONATO. Nei reati omissivi propri, la situazione tipica di norma è già descritta dalla
norma incriminatrice : si pensi sll omissione di soccorso che descrive la situazione in capo a chi trova
abbandonato o smarrito un minore di anni 11 o un’altra persona incapace di provvedere a se stessa o una
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persona ferita o in pericolo. Come si nota, la situazione tipica può utilizzare elementi DESCRITTIVI (quindi
ad esempio ‘’ fanciullo minore di anni 11’’) ma potrebbe anche fare uso di elementi normativi si pensi alla ‘’
omesss denuncia di reato’’ che è un altro reato omissivo sempre proprio, che consiste NELL’AVER AVUTO
NOTIZIA DI UN REATO SENZA AVERNE FATTO DENUNCIA (questo è un reato del pubblico
ufficiale) qui l’elemento normativo che la norma utilizza è ovviamente il ‘’ resto’’ che è una NOZIONE
GIURIDICA. 

Invece nei reati omissivi impropri, la situazione tipica si immedesima NEL PERICOLO CHE SI VERIFICHI
QUELL’EVENTO CHE IL OSGG HA L’OBBLIGO GIURIDICO DI IMEDIRE IN QUANTO TITOLARE
DI UNA POSIZIONE DI GARANZIA. Si pensi all’omicidio colposo di un bambino da parte di una baby
sitter che si realizza quando il bambino, per distrazione della stessa baby sitter si avvicina al bordo di una
piscina e si getta in acqua. Qui la situazione tipica nn è descritta dalla norma (xk come detto i reati omissivi
impropri, non descrivono la condotta in modo specifico ma la descrivono in modo generale ex’’ cagionare’’
ecc. quindi in questo caso la situa tipica qual è? CONSISTE PROPRIO NEL PERICOLO CHE LA BABY
SITTER AVREBBE DOVUTO EVITARE MA CHE NON HA EVITATO). La situa tipica è importante xk
dalla sua presenza, DERIVA L’OBBLIGO DI AGIRE CHE ALTRIMENTI NN SUSSISTE. NN SOLO : LA
SITUA TIPICA E’ ANCHE IMPORTANTE XK NEL CASO DELLA OMISSIONE DI SOCCORSO
CONSENTE DI IDENTIFICARE CHI SIA IL SOGG OBBLIGATO (in quanto l’art dice ‘’ chi trova
ecc…’’). Si tratta in questi’ultimo caos di un’eccezione perché di solito è già la norma incriminatrice che
identifica chi è il sogg obbligato riferendosi ovviamente alla sua qualifica sogg ed alla sua posizione di
garanzia PRE ESISTENTE (ovviamente si sta parlando sempre dei reati omissivi).

Un’ultima annotazione sulla situa tipica è che QUALORA CI SIANO + SOGG CHE SI TROVANO NELLA
STESSA SITUA TIPICA DIVENTANO TUTTI OBBLIGATI AD AGIRE E IL COMPPIMENTO
DELL’AZIONE DOVEROSA DA PARTE DI UNO FA CESSARE IL PRESUPPOSTO DELL’OBBLIGO
DI AGIRE IN CAPO A TUTTI GLI ALTRI. Si pensi a Tizio e Caio pubblici ufficiali che hanno notizia di
un reato, se uno dei 2 lo denuncia viene meno in capo all’altro quella’obbligo di denuncia che, se violato,
avrebbe portato al reato di omessa denuncia. 

Un altro elemento oltre alla situa tipica è la CONDOTTA : che ovviamente si IDENTIFICA COL
MANCATO COMPIMENTO DI UN AZIONE DOVEROSA. Talvolta questa’azione doverosa è descritta
dalla norma incriminatrice in modo + o meno dettagliato : ciò accade ovviamente NEI REATI OMISSIVI
PROPRI (ovviamente, essendo reati di condotta appunto) ; mentre talvolta (e questo accade perlopiù in
alcuni reati omissivi impropri), l’azione doverosa che un sogg dovrebbe compiere nn è descritta e si ricava
DA CIO’ CHE NEL CASO CONCRETO SAREBBE NECESSARIO X EVITARE L’EVENTO . Si pensi al
caso di prima della baby sitter : l’azione doverosa consiste nel rivolgere attenzione al bambino x evitare che
si metta in quella situazione di pericolo.

Un altro elemento essenziale del reato omissivo in generale è un elemento di carattere LOGICO : quindi +
che altro è un presupposto affinché di omissione si possa parlare. Cioè la POSSIBILITA’ CONCRETA CHE
UN SOGG POSSA COMPIERE L’AZIOEN DOVEROSA IN BASE AL BROCARDO LATINO ‘’ AD
IMPOSSIBILIA NEMU TENETUR’’ (nessuno può essere obbligato a fare qualcosa di impossibile ). Questo
significa che se UN PADRE SI TROVA A ROMA E, PER DISATTNZIONE DELLA MADRE, IL FIGLIO
PICCOLO DOVESSE MORIREE, NON POTREBBE ESSERE RESP DI OMICIDIO COLPOSO
NONOSTANTE LA SUA POSIZIONE DI GARANZIA. 

Può succedere che la impossibilita di agire sia dovuta ad una menomazione o alla carenza di una certa
attidudine psico fisica : ad ex. Ad un sogg paralitico nn si può certo chiedere di buttarsi in piscina x salvare
un bambino nell’eswempio di prima e quindi in virtù di questa impossibilità, nn sarebbe ovvismnrt resp della
morte, almeno che nn avrebbe potuto nel caso concreto, fare qualcosa che era nelle su possibilità per
impedire quella’evento come ad esempio chiamare i soccorsi.

Altri elementi dei reati omissivi RIGUARDANO SOLO QUELLI IMPROPRI QUINDI QUELLI DI
EVENTO E SONO :

 il nesso causale : causalità ed omissione a prima vista, sembrano fenomeni antitetici perché a
livello naturalistico l’omissione è UN NULLA DA CUI NN PUO’ DERIVARE NULLA; in
63
altre parole CHI SI TROVA NELLA SITUAZIONE TIPICA E NN COMPIE L’AZIONE
DOVEROSA SI LIMITA A LIVELLO CAUSALE, A LASCIARE CHE LI AVVENIMENTI
SEGUANO UN DEOCRSO CAUSALE GIS’ AVVIATO DA ALTRI FATTORI E QUIDNI
NN INTERVIENE PER MODIFICARE GLI AVVENIMENTI E CAMBIARE QUINDI
L’EVENTO FINALE. Perciò si dice che con riferimento ai reati omissivi impropri nn si tratti di
causalità vera e propria ma di CAUSALITA’ IPOTETICA. Questo tipo di causalità si spiega
tramite l’art 40 c 2 il quale pone la CLAUSOLA DI EQUIVALENZA TRA CAGIONARE UN
EVNETO E NN IMPEDIRLO QUANDO SI HA UN OBBLIGO GIURIDICO (cioè cagionare =
a nn impedire) ai fini della imputazione del reato. 
Attraverso questa equivalenza, si coglie che ANCHE A LIVELLO DI ACCERTAMENTO DEL NESSO
CAUSALE, SI SEGUIRA’ LO STESSO RAGIONAMENTO SEGUITO PER I REATI COMMISSIVI
QUINDI IL MODELLO DELLA CONDICIO SINE QUA NON ORIENTATO ALLA SUSSUNIONE
SOTTO LEGGI SCIENTIFICHE.

Quindi bisognerà accertare : che la causa DELL’EVENTO PRODOTTO ERA PROPRIO QUELLA CHE
AVREBBE DOVUTI ESSERE EVITATA DAL SOGG INERTE (quindi compiendo l’azione doverosa); e
d’altro canto, BISOGNERA’ ESCLUDERE FATTORI CAUSALI ALTERNATIVI. Si tratterà quindi di
verificare che cosa? SI DOVRA VERIFICARE LA EFFICACIA IMPEDITIVA CHE L’AZIONE
DOVEROSA AVREBBE POTUTO AVERE SE FOSSE STATA COMPIUTA QUINDI UNA
VALUTAZIONE ‘’ CONTRO FATTUALE’’ CHE ANDRA’ FATTA COME? BISOGNERA’
ASTRATTAMENTE IPOTIZZARE (quindi non con un’eliminazione mentale come nei reati commissivi ma
con una ADDIZIONE MENTALE ) LA CONDOTTA CHE NN E’ STATA POSTA IN ESSERE E
VERIFICARE SE OVE QUESTA FOSSE STATA COMPIUTA SE L’EVENTO SI SAREBBE
COMUNQUE VERIFICATO, SEMPRE SULLA BASE DELLA COPERTURA DI LEGGI
SCIENTIFICHE ED OVVIAMENTE SEMPRE TRAMITE UN GIUDIZIO DI TIPO IPOTETICO E
PROGNOSTICO (xk nn si potrà mai sapere effettivamente cosa sarebbe successo). Quindi , se questa
verifica da esisto positivo (cioè :se l’evento si sarebbe verificato comunque anche a prescindere dalla
omissione, l’omissione nn sarebbe causale rispetto all’evento ed il sogg andrebbe assolto e viceversa in caso
contrario).

Naturalmente proprio in. Virtù della intrinseca ipoteticità dell’evento causale, si dovrà fare riferimento a
leggi scientifiche che abbiano un coefficiente percentualistico un pò + alto rispetto a quello che si richiede
nei reati commissivi xk il rischio è di condannare innocenti 

Bisogna vedere cosa s’intende per POSIZIONE DI GARANZIA : si è visto che le omissioni penalmente
rilevanti sono quelle che contravvengono all’obbligo giuridico di impedire un evento il che, ai sensi dell’art
40, EQUIVALE A CAGIONARLO. Quindi causalità dell’omissione ed OBBLIGO GIURIDICO DI
IMPEDIRE L0EVENTO SONO I 2. PRESUPPOSTI DELLA RESP PER OMISSIONE. Occorre chiedersi a
questo punto, nei confronti di chi e quando si possa ipotizzare un obbligo giuridico di impedire l’evento e
quali siano i contenuti di questo obbligo. L’art 40 in proposito non dice nulla perciò la dottrina in un primo
momento ha riscontrato come FONTI DELL’OBBLIGO GIURIDICO DI IMPEDIRE L’EVENTO O LA
LEGGE O UN CONTRATTO O UNA PRECEDENTE ATTIVITA’ PERICOLOSA.

Ad esempio un obbligo giuridico di protezione che nasce dalla legge è quello dei genitori verso i figli ex art
147 cc che farebbe quindi scaturire una serie di obblighi giuridici in capo ai genitori i quali ad esempio
devono impedire che il figlio piccolo possa ingerire sostane letali; un obbligo giuridico che nasce dal
contratto è invece quello tipico della baby sitter in capo alla quale sorgono una serie di obblighi di
supervisione. Un esempio di obbligo giuridico nascente dalla 3 fonte, è quello di un sogg che scava una buca
sulla strada pubblica e che quindi fa scaturire in capo a se l’obbligo di evitare che qualcuno ci finisca dentro.
Questa prima impostazione è stata criticata xk in particolare la PRECEDENTE ATTIVITA’ PERICOLOSA
E’ UNA SITUA FASTTUSLE SPROVVISTA DI QUALUNQUE AGGANCIO NORMATIVO E QUINDI
NN PUO IN ALCUN MODO CREARE OBBLIGHI GIURIDICI ALTRIMENTI SI AMPLIEREBBE
OLTRE MISURA LA RESP PEANEL ANDANDO A COLPIRE COME PENALMENTE RILEVANTI
COMPORTMENTI ORDINARI DELLA VITA QUOTIDIANA. Quanto alla legge, è molto difficile

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stabilire quali obblighi di intervento abbiano rilevanza penale e quali no e nn si può lasciare all’interprete
questa decisione xk altrimenti si violerebbe la riserva di legge.

Quindi questa 1 teoria che si chinava CONCEZIONE FORMALE DELL’OBBLIGO, E’ STATA


SUPERATA GIA’ DAGLI ANNI 50 DA UB NUOVO APPROCCIO DI TIPO FUNZIONALE : secondo
questa nuova impostazione, all’origine dell’obbligo penalmente rilevante di intervenire, non c’è la legge o un
contratto , IN GENERALE NN C’E’ UNA FONTE FORMALE MA C’E’ UNA FONTE SOSTANZIALE,
OSSIA UNA POSIZIONE DI GARANZIA CHE PRE ESISTE RISPETTO ALL’INSORGERE DI UN
CERTO PERICOLO X UN BENE GIURIDICO. Questa posizione di garanzia puo essere di 2 tipi :

 Protezione: in questo caso, il sogg in cui si incardina ha un compito di tutela di beni giuridici nei
confronti di tutti i pericoli che incombono IN VIRTU’ DELLA INCAPACITA’ DEL SOGG
CHE NE E’ TITOLARE (quindi l’esempio classico sono i genitori).
 Controllo : in queso caso, il sogg è chiamato a controllare + beni giuridici rispetto A
DETERMINATE FONTI DI PERICOLO.
Caratteristica comune a queste posizioni è che spettano in relazione a determinate categorie di sogg; tuttavia
anche questa teoria per così dire ha dei difetti che sono un po il rovescio di quelli che abbiamo visto nella 1
teoria xk andando a porre l’accento sulle situazioni fattuali, peccano in termini di riserva di legge e
determinatezza : xk sono obblighi giuridici che nn si capisce da dove nascono e che vanno a fondare una resp
penale senza avere una previsione leg espressa in ambito penale e a volte neanche in altri ambiti (ex. Si pensi
al contratto della baby sitter dal quale scaturisce una RESP PENALE pur nascendo da un contratto che è
invece materia civile e comunque non è una legge ma un atto privato).

In realtà un problema di legalità colpisce + in generale l’art 40 che nulla dice sui presupposti contenuti e i
destinatari degli obblighi giuridici di impedimento (quindi il problema è a monte) e qyudni demanda al
giudice il compito di selezionare o comunque ricostruire le singole fattispecie omissive improprie in
violazione della riserva di legge : x questo il libro dice che la soluzione migliore sarebbe a livello leg, LA
INTRODUZIONE DI UNA NORMA CHE INDICHI UN NUMERO CHIUSO, TASSATIVO DI
POSIZIONI DI GARANZIA COSI’ COSTRUENDO UNA FOTNE FORMALE DEGLI OBBLIGHI
GIURIDICI DI IMPEDIMENTO. 

Vediamo nel dettaglio le 2 posizioni partendo da quella di PROTEZIONE : queste si fondano come detto
SULLA INCAPACITA’ DEL TITOLARE DI UN BENE GIURIDICO DI PROTEGGERLO DA SE. Si
parla di MINORATA DIFESA DEL BENE, IL CHE FA ATTIVARE L’OBBLIGO GIURIDICO IN CAPO
A QUALCUN ALTRO. Vengono in considerazione quindi le relazioni famigliari : i genitori hanno una
posizione di protezione verso i figli minori che viene collegata al 147 cc ma ancor prima al 30 cost. Questa
posizione di protezione, abbraccia la SALUTE LA INTEGRITA’ FISICA LA LIBERTA’ PERSONALE E
SESSUALE. Si discute se si estenda anche a beni patrimoniali. La posizione di protezione puo essere anche
temporaneamente trasferita ad altri sogg (ex. Tutore, baby sitter etc), ma ciò che è importante sottolineare è
che in ambito penale NON AVRA RILEVANZA TANTO LA VALIDITA’ FORMALE DEL
CONTRATTO CON CUI VIENE TRASFERITA TALE POSIZIOE MA L’EFFETTIVA PRESA IN
CARICO DELLA POSIZIONE. Ad esempio : se la baby sitter non rispetta l’obbligo contrattuale e nn si
presenta a casa del bambino che doveva controllare, se i genitori escono e lo lasciano solo, LA RESP NN
SARA’ CERTO DELLA BABY SITTER IN VIRTU’ DEL CONTRATTO QUALORA IL BAMBINO
DOVESSE PROCURARSI DELLE LESIONI IN QUANTO NN C’E’ STATA UN’EFFETTIVA PRESA IN
CARICO. Stessodiscorso al contrario : se la baby sitter deve restare fino alle 8 con il bambino in base al
contratto, ciò non vuol dire che se i genitori dovessero tardare e lei dovesse lasciare il bambino da solo dopo
le 8 resp sarebbero i genitori per il solo dato formale del contratto. 

La posizione di protezione dei genitori viene meno quando i figli si allontanano dalla casa familiare (quindi
nn con la maggior età). Nn sembra invece sussistere una posizione di protezione dei figli versioni genitori o
tra fratelli anche se molto + dipendere dalla situazione concreta (ex. Genitore anziano che ha bisogno
d’assistenza; morte dei genitori e 2 fratelli di cui uno + grande dell’altro). Viceversa esiste Sanz’altro una
situazione di protezione dei coniugi tra loro incardinata nell’art 143 cc CHE STABILISCE L’OBBLIGO DI
ASSISTENZA MORALE E MATERIALE MA SI RITIENE SIA CIRCOSCRITTA SOLO ALLA VITA E

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ALLA INCOLUMITA’. Naturalmente questo vale solo x le coppie che effettivamente abbiano una
comunione di vita o anche per le coppie di fatto. 

Una posizione di protezione può anche essere acquisita in modo volontario : si ha questo nella situazione
civilistica della ‘’ negoziorum gestium’’ (gestione di affari altrui), che inquesta nuova teoria funzionalista
prende il posto che nella 1 teoria (quella formale) era rivestito dal contratto e, del resto, si è visto che
rilevante ai fini della sussistenza di una posizione di protezione NON E’NTANTO LA FONTE FORMALE
DELL’OBBLIGO DI PROTEZIONE QUANTO + LA EFFETTIVA PRESA IN CARICO. Sicché se una
guida turistica accompagna un gruppo di escursionisti, risponde di omicidio colposo se un escursionista, si
avventura in un passaggio la cui pericolosità non era stata segnalata. 

Affinché ci sia una posizione di protezioneIN QUESTE SITUA DI ASSUNZIONE VOLONTARIA come
fondamento di una resp è necessario che L’INTERVENTO DEL GARANTE, ABBIA DETERMINATO UN
AUMENTO DEL RISCHIO PER IL BENE PROTETTO : questo succede quando il titolare del bene
giuridico confida nella sicurezza del garante e si espone a pericoli che altrimenti non avrebbe affrontato ex. Il
maestro di scii conduce 2 allievi in una pista nera, senza avvertirli del pericolo, cadono e muoiono muoiono
sarà resp il maestro xk se nn ci fosse stato lui non avrebbero mai fatto quella pista.

Addirittura si dice che una posizione di protezione può anche sorgere in modo ILLECITO : cioè con un fatto
di reato. Si pensi al sequestro di un bambino cardiopatico che deve prendere certe medicine : i sequestratori
diventano garanti della salute del bambino fin dal momento iniziale della effettiva presa in carico. 

POSIZIONI DI CONTROLLO : si pongono in relazione SOLO CON DETERMINATE FONTI DI


PERICOLO CHE RIENTRANO NELLA SFERA DI DOMINIO DI CERTI SOGG I QUALI SONO
TENUTI A COMPIERE TUTTE LE AZIONI NECESSARIE PER IMPEDIRE LA CONCRETIZZAZIONE
DEL PERICOLO POICHE’ QUESTI SOGG SONO GLI UNICI IN GRADO DI NAEUTRALIZZARLO.
La fonte del pericolo può essere una cosa mobile o immobile o lo svolgimento di un’attività : per esempio è
investito in una posizione di controllo il proprietario di un animale pericoloso ma anche il proprietario di un
edificio che sarà resp di lesioni colpose se una regola cade dal tetto in virtù di una mala gestione e colpisce
un soggetto. Infatti, queste posizioni di controllo vantano un aggancio civilistico dagli art 2051 e cc. 

Quali sono queste attività pericolose ? QUELLE CHE SI SVOLGONO NELL’AMBITO DI


ORGANIZZAZIONI COMPLESSE come imprese di grandi dimensioni AL CUI INTERNO SUSSISTONO
UNA PLURALITA’ DI POSIZIONI DI CONTROLLO ARTICOLATE SU DIVERSI LIVELLI. Dalla
posizione di controllo può anche derivare un obbligo di impedire FATTO ILLECITO DI 3 persone quando
queste siano INCAPACI DI AGIRE IN MODO RESPONSABILE. A questo proposito si può dire che i
genitori abbiano nei confronti dei figli minori contemporanemante una posizione sia di controllo sia di
protezione. Pr esempio dovrà rispondere di violenza sessuale unpadre che nn impedisca ad un figlio minore
di compierla su un fratello; lo stesso dicasi di MAESTRI, TUTORI ETC.. esi pensi al medico psichiatra sul
malato di mente sottoposto a TSO anche in questo caso si ha una posizione d controllo. 

È da sottolineare che prima del 1978, e quindi prima della cd. Legge Basaglia, questa posizione di controllo
spettava in capo al medico psichiatra anche nei confronti dei pazienti nn sottoposti al tso che quindi non
erano in degenza ospedaliera (si parlava di modello custodialeche xò caricava troppo di resp i medici
psichiatrici).

A questo punto ci si deve porre due domande : 

 nei casi in cui la posizione di controllo implica un obbligo di impedimento di fatto illecito, se
l’incapace compie un reato, il garante risponde sempre o solo x determinati reati? Qui si dibatte,
c’è chi dice che questa’obbligo di impedimento si estenderebbe a tutti i tipi di reati, c’è chi dice
che invece questa impostazione violerebbe l’analogia in malam parte (divento di analogia ). 
 Si può immaginare l’esistenza di una posizione di controllo che si concretizzi nell’obbligo di
impedimento di un reato anche da parte di un sogg capace? In alcuni casi è la legge stessa che
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prevede questa possibilità (si pensi ai reati di stampa nei quali il direttore risponde della
diffamazione fatta in un articolo dai giornalisti anche se quindi nn da lui ); aldilà di queste
ipotesi codificate che sono poche la questione si è posta x gli agenti di polizia : se assistono
senza intervenire ad esempio ad una rapina possono rispondere x il fatto di non averla impedita?
La Cassazione si è orientata per il si, mentre parte della dottrina, ritiene (tr cui anche il libro)
CHE NN PUO’ ESISTERE UNA POSIZONE DI CONTROLLO COSI’ AMPIA DA
ESTENDERSI A TT I BENI GIURIDICI DELLA COLLETTIVITA’, SAREBBE QUIDNI
TROPPO AMPIA ED IMPOSSIBILE DA GESTIRE. Tuttavia un agente di polizia che n
intervenga x nn impedire un reato di cui ha avuto notizia nn ridonderebbe di quel reato x omesso
impedimento ma risponderebbe di RIFUIRO DI ATTI D’UFFICIO CHE è UN ALTRO
REATO. Altri ritengono che : i cittadini, in virtù della relazione di dipendenza con lo stato,
abbiano un diritto SOGGETTIVO PUBBLICO CHE LEGITTIMEREBBE LìASPETTATIVA
ANZI LA PRETESA CHE LE FORZE DI POLIZIA, CHE SONO IL MEZZO CON CUI LOS
ATO TUTELA I CITTADINI INTERVENGANO IN TUTTE LE SITUAZIONI DI
NECESSITA’ COME VERI E PROPRI GARANTI DELL’IMPEDIMENTO DI REATI
ALTRUI. Un altro esempio di posizione di controllo avente ad oggetto l’impedimento di reati
delle persone capaci, è quello che sussiste in capo ad amministratori e sindaci di società di
capitali nel diritto commerciale. 
Anche le posizioni di controllo possono derivare da un atto di assunzione volontaria : ex. Un vicino che
acconsente di portare il cane dell’altro vicino.

DOLO

Il delitto doloso è il modello basilare dell’illecito penale, questo xk il concetto classico di dolo esprime il
legame PSICOLOGICO TRA FATTO ED AUTORE E, DEL RESTO, E’ PROPRIO INTORNO ALLA
FATTISPECIE DOLOSA CHE SI E’ COSTRUITA LA TEORIA GENERALE DEL REATO. 

La concezione psicologica del dolo ha le sue radici tra il 18esimo e il 19esimo secolo, QUANDO SI
SVILUPPA NEL PENSIERO DI FOIERBAC E NELLA DOTTRINA TEDESCA. Anche il nostro codice
penale conferma il primato storico del delitto doloso tant’è vero l’art 42 c 2 dice che ‘’ nessuno può essere
punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto se non l’ha commesso con dolo salvi i casi di delitto
preterintenzionale e colposo espressamente preveduti dalla legge’’. Ciò vuol dire che il dolo è il CRITERIO
ORDINARIO DI IMPUTZIONE DEL REATO poiché’ colpa e preterintenzione sono invece CRITERI
ECCEZIONALI CHE RICHIEDONO UNA PREVISIONE ESPRESSA. Ciò VUOL DIRE CHE SE LA
NORMA INCRIMINATRICE NN INDICA QUAL E’ L’ELEMENTO SOGG DL REATO, QUESTO SI
PRESUME CHE SIA IL DOLO E CHE QUINDI QUEL REATO NN POSSA ESSERE COMPIUTO
SEMPLICEMENTE CON COLPA xk i delitti colposi, specificano la loro natura già nella norma
incriminatrice (è la norma stessa che indica quando il delitto sia colposo se non dice nulla è doloso). Il
primato del dolo si manifesta anche dal punto di vista della pena che è MAGGIORE RISPETTO A
QUELLA DEI DELITTI COLPOSI xk è comune ai reati di maggiore gravità o meglio dei DELITTI DI
MAGGIORE GRAVITA’ : questo perché, per quanto riguarda le contravvenzioni l’art 42 c 4, PONE UNA
TOTALE EQUIVALENZA TRA DOLO E COLPA (quindi entrambi sono criteri ordinari di imputazione
soggettiva). 

Vediamo qual è la definizione legislativa di dolo : è contenuta nell’art 43 c 1 : IL DELITTOE’ DOLOSO O


SECONDO L’INTENZIONE, QUANDO L’EVENTO DANNOSO O PERICOLOSO CHE E’ IL
RISULTATO DELL’AZIONE O DELLA OMISSIONE, E DA CUI LA LEGGE FA DIPENDERE LA
ESISTENZA DEL DELITTO, E’ DALL’AGENTE PREVEDUTO E VOLUTO COME CONSEGUENZA
DELLA PROPRIA AZIONE O OMISSIONE’. Quindi VOLONTA’ E RAPPRESENTAIONE
(PREVISIONE) sono gli elementi caratteristici del dolo (I REQUISITI SOGGETTIVI). L’altro requisito è
invece OGGETTIVO : ED E’ IL COLLEGAMENTO CON L’EVENTO DANNOSO O PERICOLOSO
(l’evento qui è inteso in ‘’ senso normativo’’ xk altrimenti sarebbe come dire che il dolo esiste solo nei reati
di evento. Quindi deve essere presente anche nei reati di condotta come lesione del bene giuridico. Questa
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precisazione è importante xk se invece si interpretasse quell’evento nominato dall’art 43, come evento in
senso naturalistico sarebbe come dire che il reato doloso è necessariamente un reato di evento).

La definizione del cp risulta imprecisa : da un lato xk QUANDO SI USA IL SINONIMO ‘’ SECONDO LA


INTENZIONE’’ in realtà si finisce x fare riferimento ad un solo tipo di dolo che è il DOLO
INTENZIONALE TRALASCIANDO ALTRE TIPOLOGIE COME IL DOLO EVENTUALE. Quindi è una
definizione troppo ristretta del punto di vista soggettivo. Ed è troppo ristretta anche dal Punto di vista
oggettivo XK IL DOLO NN DEVE SOLO ABBRACCIARE COME SUO OGGETTO SOLO L’EVENTO
MA TUTTI GLI ELEMENTI DEL FATTO DI REATO quindi anche il nesso di causalità e gli altri elementi
costitutivi della fattispecie (quindi l’azione, i presupposti del fatto ecc, quindi tutti quelli visti in tema di
tipicità). 

La corretta definizione di dolo è CONOSCENZA E VOLONTA’ DI TUTTI GLI ASPETTI DEL FATTO
STORICO RICHIAMATI NELLA NORMA INCRIMINATRICE,. Quindi rappresentazione (conoscenza
cioè il comprendere il significato di quello che si sta facendo e le relative conseguenze ) e volontà del fatto di
reato nella sua COMPLETEZZA.

Vediamo qual è la struttura del dolo quindi gli elementi del dolo : 

1. RAPPRESENTAZIONE: è LA CONOSCENZA DEI FATTI PRECEDENTI E CONCOMITANI ALLA


CONDOTTA E LA PREVISIONE DI QUELLI FUTURI (deve essere consapevole delle conseguenze della
sua azione ). Quindi, la conoscenza dei fatti precedenti alla condotta (ex. Conoscenza dello stato di
gravidanza nell’aborto non consentito; conoscenza del precedente matrimonio in caso di bigamia) e
previsione delle conseguenza materiali della condotta (ex. Previsione della morte nell’omicidio che non è
doloso se nn si dimostra che il sogg voleva effettivamente ucicidere la vittima e nn ferirla). La
rappresentazione, assume un aspetto particolare quando si riferisce nn ad elementi fattuali ma NORMATIVI
(NB : ricordiamo che il reato, al suo interno comprende elementi ETEROGENEI CHE POSSONO ESSERE
SOGGETTIVI O OGGETTIVI FATTUALI OPPURE ANCHE DETTI MATEIRALI E NORMATIVI. Gli
elementi materiali sono quelli che hanno una consistenza empirica come ad esempio l’azione concreta; gli
elementi normativi sono invece quelli che richiamano delle nozioni giuridiche che si agganciano in altre
norme penali, extra penali o extra giuridiche. Nel momento in cui si dice che il dolo deve abbracciare tutti gli
elementi del reato, stiamo dicendo che il dolo deve anche abbracciare questi elementi normativi che devono
essere CONOSCIUTI E RAPPRESENTATI DAL SOGGETTO.) : cioè ad esempio quando si tratta del furto,
il sogg deve rappresentarsi quindi essere a conoscenza dell’ALTRUITA’ DELLA COSA CHE E’ UN
ELEMENTO NORMATIVO XK RINVIA AD UNA NOZIONE NORMATIVA EXTRA PENALISTICA.
Con riferimento a questi elementi normativi, conoscenza significa che il sogg, sia a conoscenza NON
TANTO DEL SIGNIFICATO GIURIDICO DI QUESTO ELEMENTO NORMATIVO MA DELLA SUA
RILEVANZA DAL PUNTO DI VISTA FATTUALE QUINDI DEVE AVERE UNA COMPRENSIONE DI
QUESTO ELEMENTO DELL’UOMO COMUNE E NN DELL’ESPERTO DI DIRITTO (ex. Se Tizio ruba
la macchina di Caio, quella macchina fiuridicamenre parlando non è di Caio xk lui ce l’ha il leasing ; ciò
vuol dire che questo sarà comunque furto xk a livello FATTUALE QUINDI SOSTANZIALE, aldilà
dell’aspetto giuridico del leasing Tizio sta sottraendo a Caio un bene che fatuamente è suo). Si parla di
VALUTAZIONE PARALLELA NELLA SFERA DEL LAICO (del ‘’ non ortodosso giuridicamente
parlando’’). Un requisito importante della rappresentazione è l’ATTUALITA’ : CIOE’ LA CONOSCEZA
CHE IL SOGG HA RIGUARDO AGLI ELEMENTI DEL FATTO LA DEVE AVERE NEL MOMENTO
IN CUI STA COMPIENDO L’AZIONE E NN DEVE ESSERE UNA CONOSCENZA FONDATA SUL
PASSATO O UNA CONOSCENZA ‘’ POTENZIALE’’ (cioè che potrebbe avere in futuro); 
Si è detto che il dolo significa CONOSCENZA ATTUALE DI TUTTI GLI ELEMEMENI DEL FATTO DI
REATO : ma se il soggetto, compiendo l’azione di reato, non ha la conoscenza attuale di tutti gli elementi xk
su di 1 ha un dubbio, si configura lo stesso il dolo? Per esempio : un cacciatore spara ad una figura dietro un
cespuglio, pur non avendo la conoscenza attuale che dietro quel cespuglio ci sia un animale e nn una persona
quindi ha un dubbio su un elemento del fatto di reato che è l’OGGETTO MATERIALE . Domanda .: se poi
invece quello non è un animale ma è una persona che viene colpita e muore quello sarebbe un omicidio
doloso? Oppure non sarebbe doloso xk il dubbio che il cacciatore aveva, non essendo una conoscenza
attuale, esclude il dolo? IN QUESTA SITUAZIONE, il dolo nn è escluso ma semplicemente si connota in
una forna particolare che è il DOLO EVENTUALE. Ma ci sono altre situazioni, chebriguardano altri reati, in
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cui invece il dubbio dell’agente in ordine ad un elemento del reato, ESCLUDEREBBE
COMPLETAMENTE IL DOLO XK SI TRATTA DI REATI, CHE RIHCIEDONO UNA ASSOLUTA
CERTEZZA DEL SOGG SU TUTTI GLI ELEMENTI DEL REATO. Si pensi alla calunnia che è il reato
con cui un sogg incolpa qualcun altro di una fatto di reato pur avendo la certezza che il sogg sia innocente.
Questa ‘’ certezzza’’ che riguarda un presupposto del reato, nn può essere sostituita da un dubbio : in altri
termini se un sogg incolpa un altro per un fatto di reato, di cui ha il dubbio che effettivamente l’altro sia
colpevole, QUELLA NN SOLO NN E’ CALUNNIA MA NON E’ REATO.

2. VOLONTA’: presuppone che ci sia la rappresentazione, quindi se non c’è questa, neppure ci può essere
una volontà vera e propria. L’elemento della volontà del dolo indica che il risultato della condotta dell’agente
sia da lui, oltre che rappresentato, anche voluto, sia frutto di una scelta consapevole di voler violare un bene
giuridico, e ciò vale sia nei reati di evento che in quelli di mera condotta.
Secondo il libro, non è corretto separare in modo accentuato volontà e rappresentazione, che invece devono
essere esaminati in una visione di insieme come unico elemento DINAMICO: la DECISIONE PERSONALE
A FAVORE DELLA VIOLAZIONE DI UN BENE GIURIDICO, che si sia realizzata con un’azione
concretamente lesiva dello stesso, in virtù del principio di offensività (altrimenti, se fosse rimasta una
semplice volontà/decisione, non sarebbe mai stata punibile nel nostro ordinamento, anche per via del
principio di materialità del reato).
NB: bisogna precisare che il dolo non si identifica con il MOVENTE del reato, cioè nell’atteggiamento
affettivo che spinge il soggetto ad agire (vendetta, gelosia ecc).

3. OGGETTO DEL DOLO: è costituito, come detto, da TUTTI gli elementi del reato, i quali devono TUTTI
essere voluti e/o rappresentati. Quindi il dolo abbraccia:
- i presupposti della condotta: questi in realtà possono solo essere rappresentati, cioè conosciuti dall’agente,
in quanto esistono già PRIMA della condotta di reato, e quindi non avrebbe senso dire che sono voluti in
modo attuale (es: il precedente matrimonio, come presupposto per il reato di bigamia) proprio perché
appartengono al passato;
- condotta: oviamente deve essere rappresnetata e voluta.
- evento: deve essere rappresentato e voluto, ove sia contemplato dalla norma incriminatrice, come risultato
materiale della condotta (quindi evento in senso naturalistico). In realtà il discorso si complica in base alle
tipologie di dolo (vedi dopo);
- nesso di causalità: qui bisogna fare distinzione. Nei reati a forma libera non conta COME la condotta viene
posta in essere, ma solo che abbia violato un bene giuridico. Per questi quindi, per integrare il dolo, non è
necessario che un soggetto abbia prefigurato l’esatta precisa sequenza causale della sua azione rispetto a
risultato. Ad esempio, nell’omicidio, se butto un soggetto della finestra per ucciderlo con l’impatto a terra,
rispondo del reato anche se poi il soggetto muore prima, per l’impatto con un muro, che io non avevo
previsto. L’importante è che io avessi prefigurato la sua morte, non COME sarebbe avvenuto nello specifico.
Quando si verificano queste situazioni si parla di ABERRATIO CAUSAE: una divergenza tra il decorso
causale che un soggetto voleva e si era rappresntato e quello che in concreto si verifica, ma che non cambia
risultato. La dottrina maggioritaria quindi rtitiene che in questi casi il dolo NON SIA ESCLUSO proprio
perché si è comunque configurato il risultato voluto.
Viceversa, nei reati a forma vincolata, dove le MODALITA’ DELLA CONDOTTA sono ben specificate
nella norma, il dolo deve necessariamente abbracciare questa modalità tipica: rispondo del reato di epidemia
se sono consapevole di stare DIFFONDENDO GERMI PATOGENI, come richiede la norma dell’art. 438
cp. Se non sono consapevole di starli diffondendo, perché ad esempio non so di essere malato, il dolo è
escluso e non rispondo di epidemia dolosa, posso al massimo rispondere di EPIDEMIA COLPOSA (reato
previsto dal cp come autonomo e diverso).
- qualifica dell’agente (nei reati propri). Un soggetto deve essere consapevole della sua qualità di pubblico
ufficiale per poter rispoindere di un reato PROPRIO di questi ultimi. Quindi la qualifica deve essere oggetto
di dolo.
- elementi normativi della fattispecie: si è già detto che devono essere oggetto di dolo almeno nella loro
accezione “laica”. In particolare bisogna però fare riferimento a dei particolari elemnenti normativi che sono
le clausole di illiceità speciale: sono elementi che talvolta rientrano nelle fattispecie incriminatrici e che
sembrano mere espressioni generiche, ma che in realtà servono per qualificare quel reato come illecito non
solo penale, ma anche civile o amministrativo, quindi in sede extrapenale. Ad esempio, nel reato di rifiuto di
atti di ufficio, si richiede che il pubblico ufficiale rifiuti di compiere un atto del suo ufficio (cioè di sua
competenza) INDEBITAMENTE. Si tratta proprio di una clausola di illiceità speciale, perché
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quell’indebitamente indica che l’azione del pubblico ufficiale, per configurare reato, deve anche essere
contraria alle norme di diritto amministrativo: ci deve essere una norma amministrativa che gli imponeva di
fare quell’atto che ha rifiutato.
Le clausole di illiceità speciale rientrano nell’oggetto del dolo: devono essere volute e rappresentate. Quindi
il soggetto, nell’esempio di prima, deve sapere che, quando compie reato di rifiuto di atti di ufficio, sta anche
violando una regola di diritto amministrativo.

NB: un cenno a parte merita il DOLO OMISSIVO. Perché oggetto del dolo cambia in base a forma propria o
impropria dei reati omissivi. Per quelli propri (quindi di mera condotta) nell’oggetto del dolo rientra il
PRESUPPOSTO in base al quale il soggetto doveva attivarsi. Esempio: Nell’omissione di soccorso, il
soggetto deve aver visto il corpo inanimato a terra per poter rispondere del reato, cioè deve essere stato
consapevole della situazione di pericolo in base alla quale avrebbe dovuto attivarsi e non l’ha fatto.
In quelli impropri, l’oggetto del dolo ovviamente deve abbracciare anche l’EVENTO NON IMPEDITO e
l’OBBLIGO GIURIDICO di impedimento, che deve essere conosciuto dal soggetto almeno nella sfera del
laico (vedi prima). Esempio: la baby sitter deve essere a conoscenza (e lo è sempre) della responsabilità che
ha sul bambino a lei affidato, aldilà degli aspetti legali legati al suo contratto con i genitori.

TIPOLOGIE DI DOLO
Il libro segue la tripartizione che è quella proposta dalla dottrina dominante.
- DOLO INTENZIONALE: si ha nei reati in cui l’evento del reato (in senso normativo e non naturalistico,
quindi la lesione del bene giuridico) è fortemente voluto dall’agente, è PRESO DIRETTAMENTE DI
MIRA. Si dimostra, cioè, che il soggetto ha agito perché voleva fortemente ledere un bene giuridico, a tal
punto che questo tipo di dolo si realizza anche se l’evento lesivo era considerato dall’agente come
POSSIBILE e non altamente probabile/certo, come è di norma richiesto ai fini del dolo. Quindi in questo tipo
di dolo, l’elemento volitivo gioca un ruolo predominante rispetto a quello rappresentativo.
Pensiamo al caso di un soggetto appostato fuori casa di un altro soggetto, che lui vuole uccidere. L’agente
desidera a tal punto la morte di quest’ultimo, che decide di sparare alla prima figura che intravede nel buio,
sperando sia lui ma senza averne assolutamente certezza o alta probabilità. Effettivamente poi la figura colpa
e uccisa si rivela essere proprio quella persona che voleva morta. = Omicidio doloso con dolo eventuale.
Va precisato che difficilmente una norma penale richiede specificatamente questo tipo di dolo così “pieno”
affinché si realizzi il reato. Un esempio è il reato di abuso d’ufficio, che richiede l’INTENZIONE di
procurare un vantaggio economico affinché vi sia il reato stesso.
- DOLO DIRETTO: la forma di dolo in cui c’è ruolo dominante della rappresentazione rispetto alla volontà.
Un soggetto agisce rappresentando come CERTI tutti gli elementi del fatto (sua eventuale qualifica,
presupposti della condotta eccetera) e accettando l’evento lesivo (in senso normativo) come ALMENO
ALTAMENTE PROBABILE (non semplicemente possibile), se non certo. Quindi la consapevolezza
dell’azione che si sta compiendo ha più forza rispetto alla volontà dell’evento lesivo finale. Ad esempio, un
terrorista agisce per sequestrare un uomo politico e uccide il suo bodyguard. Quell’omicidio sarà compiuto
con dolo diretto, perché era un risultato pensato come probabile alla luce dell’azione che il terrorista si nera
rappresentata.
Parte della giurisprudenza non riconosce questa forma di dolo.
- DOLO EVENTUALE/INDIRETTO: la forma meno intensa e più problematica, perché in questa il soggetto
NON prende di mira direttamente il risultato (come nell’intenzionale) e NEANCHE se lo rappresenta come
probabile (come nel diretto), quindi né l’elemento volitivo né quello rappresentativo hanno una connotazione
forte. Nel dolo eventuale l’agente rappresenta come possibile la realizzazione del reato e ne ACCETTA IL
RISCHIO. Esempio: Tizio colloca una bomba in piazza per provocare panico ma accetta rischio di uccidere
o ferire qualcuno. Se ciò accade, risponde di omicidio/lesioni dolose. Questo criterio di accettazione del
rischio è il risultato di una lunga evoluzione dottrinale e giurisprudenziale, che ha grande importanza per una
circostanza: il dolo eventuale è la forma di dolo meno intensa, pertanto si pone al confine tra ciò che è doloso
e ciò che non lo è, e quindi tra ciò che è reato e ciò che non lo è (poiché di norma se non c’è dolo non c’è
reato). Pertanto è sempre stato avvertito come di grande importanza il fatto di connotarlo in modo quanto più
determinato possibile.
La teoria di accettazione del rischio, utile a spiegare il dolo eventuale, nella sua moderna accezione ha una
fisionomia strutturale complessa, che si articola su due piani. Sul piano oggettivo, si richiede, affinchè ci sia
dolo eventuale, che il RISCHIO che il soggetto assume con la sua condotta sia ILLECITO cioè NON
CONSENTITO dall’ordinamento all’agente, e costui non avrebbe dovuto prendere in considerazione l’idea
di correrlo, sulla base delle conoscenze a sua disposizione.
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Es. medico chirurgo di una clinica privata, pur sapendo che paziente che ha chiesto operazione è allergico a
determinati farmaci anestetici, decide comunque, per lucro, di operarlo. Le lesioni o la morte del paziente
saranno imputabili al medico come reati con dolo eventuale. (Ha accettato un rischio non consentito, che, in
base alle conoscenze da medico specializzato che aveva, non avrebbe mai dovuto prendere).
Affinchè ci sia davvero dolo eventuale, però, non basta che sia integrato il solo elemento oggettivo: occorre
anche che ricorra, sul piano soggettivo, la rappresentazione della possibilità della lesione (proprio in base alle
conoscenze che il soggetto ha al momento dell’azione) e soprattutto la VOLONTA’, o meglio,
l’ACCETTAZIONE DEL RISCHIO CHE QUESTO EVENTO SI VERIFICHI, OSSIA
L’ACCETTAZIONE CHE IL FATTO LESIVO PREVISTO DALLA NORMA INCRIMINATRICE SI
CONCRETIZZI.
Ricapitolando, e riprendendo una definizione di Canestrari (uno degli autori del libro) si ha dolo eventuale
allorchè l’agente SI RAPPRESENTA CONCRETAMENTE LA REALIZZAZIONE DEL FATTO TIPIO
COME CONSEGUENZA PROBABILE DELLA SUA CONDOTTA E NE ACCETTA LA
VERIFICAZIONE. Il rischio di realizzazione deve essere NON CONSENTITO, e di natura tale che la sua
assunzione NON PUO’ NEPPURE ESSERE PRESA IN CONSIDERAZIONE DA UNA PERSONA
AVVEDUTA E COSCIENZIOSA, in virtù delle conoscenze e capacità di cui è in possesso ed in virtù del
CIRCUITO SOCIALE a cui appartiene.
Vediamo l’applicazione del dolo eventuale così formulato ad un famoso caso avvenuto in Germania negli
anni 80: la trasmissione dell’AIDS da un paziente positivo ad uno sano, in virtù di ripetuti rapporti non
protetti (un esempio pratico perfetto per applicare il dolo eventuale perché perfettamente compatibile con il
criterio dell’accettazione del rischio).
Ebbene, il paziente sieropositivo era il marito della donna infettata (e poi deceduta), quindi certamente non
voleva l’evento. Ma sapeva di essere positivo e conosceva i rischi che correva. Domanda: ha davvero
accettato il rischio di contagiarla, e quindi c’è dolo eventuale?
Ebbene, una certa teoria sviluppatasi proprio in quegli anni 80 (teoria del consenso dell’evento) avrebbe
detto NO. Perché, secondo questa teoria, per esserci il dolo eventuale il soggetto doveva accettare il rischio
dell’evento da un punto di vista INTERIORE/MORALE. Cioè, se invece si dimostrava in base alle
circostanze che il soggetto SPERAVA CHE L’EVENTO NON SI VERIFICASSE (come in questo caso),
voleva dire che non vi era stata veramente ACCETTAZIONE INTERIORE E ADESIONE PSICHICA
all’evento lesivo e quindi non vi era dolo eventuale. Applicando questa teoria il soggetto in questione
sarebbe stato assolto, perchè in base alle circostanze era chiaro che non volesse certo uccidere la moglie.
Ma la teoria del consenso all’evento è stata ormai abbandonata, perché dava troppo risalto ad elementi di tipo
interiore/emotivo/sentimentale, che, come noto, mal si sposano con una concezione materiale ed offensiva
del reato propria degli ordinamenti moderni e comunque di quello italiano. Quindi per valutare in questo
caso se il soggetto è imputabile per dolo eventuale dobbiamo verificare la sussistenza di quegli elementi
oggettivo/soggettivi di cui si è detto. E quindi, partendo da elemento oggettivo, bisogna chiedersi: il soggetto
ha assunto un rischio doloso non consentito? CERTO, perché il soggetto ha assunto un rischio che, in virtù
della posizione di MARITO, e in virtù delle conoscenze che aveva della malattia in quanto interessato in
prima persona, non avrebbe mai dovuto assumere quel rischio. Quindi elemento oggettivo sussiste.
Poi, quanto all’aspetto soggettivo, ha accettato quel rischio? CERTO, perché non ha preso nessuna
accortezza per evitarlo, nonostante lo potesse fare senza sforzo alcuno. Soprattutto, non ha nessun rilievo la
sua fiducia/speranza che l’evento non si verificasse, perché si trattava di una fiducia/speranza NON
RAZIONALE (era palese, data l’alta trasmissibilità del virus, che la moglie sarebbe stata infettata. Era anche
probabile, data la violenza del virus e il progresso medico limitato all’epoca, che la stessa sarebbe morta).
Un altro noto caso di applicazione dolo eventuale si è avuto con riferimento al caso THYSSENKROUP,
un’acciaieria di Torino andata a fuoco, con la morte di 7 operai. Una sentenz aimprtantissima perché cerca di
dare più definizione ai contorni del dolo eventuale, soprattutto per distinguerlo dalla colpa cosciente /vedi
dopo). Nel caso concreto, L’amministratore delegato della Thyssenkroup è stato condannato per omicidio
doloso (dolo eventuale) degli operai, in virtù del fatto che non aveva fatto interventi idonei a rinforzare la
sicurezza anti-incendio dello stabilimento che era in stato di abbandono. Ha mostrato quindi disinteresse allo
stato pericoloso dei luoghi, di cui era perfettamente a conoscenza, e ha dato preferenza ai suoi interessi
economici, poiché ha preferito mandare avanti la produzione in una fabbrica obsoleta invece che fermarla e
investire risorse per la sicurezza. La sua è stata quindi una SCELTA RAZIONALE, in virtù di un fine
specifico (il guadagno), che ha indotto ad accettare la possibilità e l’eventualità concreta che si verificasse
quanto poi accaduto, ossia un evento lesivo che qui era stato oggetto di CHIARA E LUCIDA
RAPPRESENTAZIONE. Un atteggiamento che la Corte ha definito ASSIMILABILE ALLA VOLONTA’, e
che quindi perfettamente integra il dolo eventuale. In effetti, alla luce degli elementi oggettivo/soggettivi
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sopra descritti, anche qui c’era stata 1. assunzione di un rischio non consentito (che non avrebbe mai dovuto
essere preso in considerazione da un soggetto con quel ruolo e quelle conoscenze come l’amministratore
delegato), 2. Rappresentazione concreta dell’evento lesivo e sua accettazione (si ripete, con CHIARA E
LUCIDA RAPPRESENTAZIONE).
Ora, ciò che la Corte di Cassazione si è chiesta, e che quindi ci dice qualcosa in più sul dolo eventuale,
riguarda (richiamando un po' la teoria del consenso all’evento) LA SPERANZA che l’amministratore aveva
riguardo alla NON VERIFICAZIONE dell’evento. Anche qui era una speranza NON RAZIONALE, cioè
smentita dai fatti, poiché era evidente che sarebbe potuto accaedere quello che è accdauto. Quindi l’ad non
aveva motivo di sperare il contrario.
Però la corte si è chiesta, in generale: se si dimostra che una persona (NON E’ il caso dell’amministratore)
era davvero CONVINTA che l’evento lesivo NON si sarebbe verificato, ANCHE IN VIRTU’ DI UNA
CONVINZIONE NON RAZIONALE, cioè smentita dai fatti concreti, quella persona risponde comunque di
dolo eventuale se l’evento si verifica? La risposta E’ NO: perché quel convincimento della NON
POSSIBILITA’ che l’evento si verifichi, anche se NON RAZIONALE, comunque esclude l’elemento
soggettivo della rappresentazione e dell’accettazione del rischio. Se il soggetto era convinto che l’evento non
si sarebbe verificato, anche in virtù di una sua convinzione irrazionale, non si può dire che si sia davvero
rappresentato l’evento IN MODO CHIARO E LUCIDO, e che abbia accettato il suo rischio in base ad una
SCELTA RAZIONALE. Non ci sarebbe, in questo caso, un atteggiamento simile alla volontà, e si ricadrebbe
nella COLPA COSCIENTE (vedi dopo).

ALTRE TIPOLOGIE PARTICOLARI DI DOLO:


- DOLO ALTERNATIVO: l’agente si rappresenta come conseguenza finale dell’azione due risultati
lesivi incompatibili (o si verifica uno o l’altro, entrambi è impossibile), per lui DI UGUALE
“VALORE”, sicchè gli è indifferente quale si verifichi in concreto (sparo un solo colpo verso due
persone che volgio morte, mentre queste si avvicinano a me, è indifferente chi colpisco). A ben
guardare, tale forma di dolo è priva di autonomia: in base al caso, andrà ricondotta ad una delle tre
forme classiche prima esaminate;
- DOLO INDETERMINATO: l’agente si rappresenta come conseguenza finale dell’azione due
risultati lesivi compatibili (possono realizzarsi insieme) per lui DI UGUALE “VALORE”: sparo
nella folla volendo uccidere sia Caio che Sempronio, o almeno uno dei due. Anche questa forma di
dolo è priva di autonomia e va ricondotta in base al caso concreto in una delle forme classiche;
- DOLO GENERICO/SPECIFICO: il primo è la forma classica di dolo come volontà e
rappresentazione di tutti gli elementi del fatto tipico.
Il secondo invece è particolare perché consiste in UNA FINALITA’ PARTICOLARE che l’agente
persegue con la sua condotta e che è prevista dalla norma incriminatrice come FINE ULTIMO
DELLA CONDOTTA, e che va OLTRE IL REATO. E’ un elemento esterno al fatto tipico: IL
REATO SI REALIZZA ANCHE SE IL FINE NON E’ OTTENUTO.
ES: SEQUESTRO DI PERSONA A SCOPO DI ESTORSIONE (630 cp): si realizza anche se poi il
prigioniero è liberato senza intascare riscatto. La condotta è il sequestro (reato di mera condotta),
quindi una volta che la persona viene sequestrata e che il soggetto compie atti che dimostrano
volontà di estorsione (es lettera in cui chiede il riscatto), IL REATO E’ GIA’ PERFETTO CIOE’
CONSUMATO E REALIZZATO IN TUTTI I SUOI ELEMENTI. E’ indifferente che il riscatto
estorsivo (fine ultimo della condotta che determina il dolo specifico) sia o meno ottenuto.
NB: talvolta il dolo specifico viene previsto per alcune condotte che, senza quel fine ultimo,
sarebbero LECITE. Pensiamo alle associazioni allo scopo di commettere delitti (416 cp). Senza
quello scopo ultimo (che è indifferente se si realizzi o meno) la condotta in sé sarebbe lecita, poiché
l’associazione è un diritto costituzionalmente garantito.
- DOLO DI DANNO/DOLO DI PERICOLO: questa distinzione altro non è che il riflesso, sul piano
dell’elemento soggettivo, della distinzione tra reati di dolo e reati di pericolo;
- DOLO GENERALE: è una figura particolare, che il libro NON ACCOGLIE. Sarebbe, teoricamente,
quel dolo che caratterizza il soggetto che crede erroneamente di aver compiuto un delitto con una
condotta, ma il realtà il delitto si realizza tramite una condotta successiva a quella ritenuta
erroneamente lesiva. Es: credo di aver colpito mortalmente caio con una pietra, lo seppellisco e lui
muore per soffocamento, in quanto in realtà era ancora vivo quando l’ho seppellito. Secondo chi
sostiene l’esistenza del dolo generale, questo contraddistinguerebbe la seconda condotta (aver
seppellito caio), che quindi costituirebbe omicidio doloso, mentre la prima non sarebbe reato. Errore:
la seconda condotta è in realtà fondata su un errore di fatto (vedi dopo) che esclude il dolo. Quindi in
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questa situazione e in altre simili, la corretta soluzione è un CONCORSO DI REATI (vedi dopo):
tentato omicidio la prima condotta (aver colpito caio per ucciderlo con una pietra); omicidio colposo
la seconda (averlo seppellito pensando fosse morto, ma averlo, così facendo, ucciso).
- DOLO DI IMPETO/DI PROPOSITO: il primo contraddistingue una condotta di un soggetto che ha
improvvisamente deciso di compiere un reato e lo compie in modo repentino: es omicidio dettato da
rabbia per un litigio. Il secondo invece riguarda le condotte che si realizzano dopo un po' di tempo
dal momento in cui l’idea criminosa sorge nel soggetto: in questo tempo il proposito criminoso del
soggetto resta intatto. In questa categoria rientra il DOLO DI PREMEDITAZIONE: preparo un
omicidio nel dettaglio e lo compio secondo il mio piano (caso Demarco).

INTENSITA’ E ACCERTAMENTO DEL DOLO

Il dolo è un COCNETTO GRADUABILE che influisce sulla commisurazione della pena da parte del
giudice ex art 133 cp: in base, cioè, all’INTENSITA’ DEL DOLO. Ad esempio, il dolo intenzionale ha
un’intensità molto forte dovuta alla forte “pregnanza” della volontà dell’evento, così come, il c.d. dolo di
proposito. Nel dolo diretto, così come nel dolo specifico, l’intensità è alta in virtù, invece, della
rappresentazione dell’evento finale. Meno intenso è senz’altro il dolo eventuale, dove non c’è una
volontà vera e propria, né una rappresentazione totale dell’evento lesivo.
Ma come si prova il dolo? Trattandosi di un’intenzione interiore, è necessario riscontrarla nelle sue
manifestazioni esteriori, cioè in quegli indicatori concreti che si ricavano dalla condotta materiale, in
base alla comune esperienza, e senza arrivare ad eccessive e creative presunzioni. Es. per l’omicidio, per
accertare che sia stato doloso bisogna ricostruire elementi soggettivi come il movente, l’indole del reato
(se è particolarmente violento, dimostra il dolo e non la cola), i rapporti con la vittima, e soprattutto
elementi oggettivi come LE MODALITA’ DELLA CONDOTTA, IL NUMERO E L’ENTITA’ DEI
COLPI INFLITTI, IL MEZZO UTILIZZATO E LA SUA IDONEITA’ AD UCCIDERE, IL
COMPORTAMENTO SUCCESSIVO AL REATO.

COLPA
-
Il reato colposo si definisce come la realizzazione del fatto previsto dal reato non in modo voluto, ma
ottenuto in virtù della violazione di una regola di tipo cautelare, che aveva proprio la funzione di evitare
quel reato, e che è stata violata dall’agente in modo rimproverabile. Si tratta quindi di un modello a sè
stante di illecito penale, completamente diverso dal dolo, e che quindi ha una trattazione autonoma.
occorre subito tenere distinti i delitti e le contravvenzioni poiché, nel primo caso il dolo è considerato il
criterio normale di imputazione; nel secondo caso dolo e colpa sono entrambi criteri ordinari di
imputazione. quindi per i delitti, la colpa è un criterio eccezionale di responsabilità penale: solo se il
reato è specificatamente descritto dalla norma come colposo, si puó punire un soggetto per colpa. non lo
stesso può dirsi con riferimento alle contravvenzioni: queste si puniscono indifferentemente se
commesse con solo o colpa.
In effetti l’articolo 42, comma due del codice penale, stabilisce che nessuno può essere punito Per un
fatto previsto dalla legge come delitto, se non l’ha commesso con dolo, salvi i casi di delitto
preterintenzionale o colposo espressamente preveduti dalla legge. Il comma quattro dello stesso articolo
invece stabilisce l’equivalenza di dolo e colpa ai fini dell’imputazione delle contravvenzioni. 
L’eccezionalità della colpa significa che si risponde per colpa solo in presenza di una previsione
legislativa espressa, quando cioè è lo stesso legislatore che descrive un determinato fatto di reato come
fatto colposo e non doloso.
Ciò accade, di norma con una disposizione che è diversa da quella che punisce lo stesso fatto, però se
commesso in modo doloso: per esempio l’omicidio doloso e descritto dall’articolo 575, mentre
l’omicidio colposo e descritto dall’articolo 589.
La previsione espressa della colpa del resto risponde anche al principio di legalità soprattutto nella
dimensione della tipicità: essendo un criterio eccezionale tanto più è necessario che sia previsto in modo
esplicito anche perché punisce dei fatti che in quanto non dolosi teoricamente non dovrebbero costituire
reato, per il principio di frammentarietà ed extrema ratio del diritto penale.
C’è da dire anche a livello criminologico, che la colpa più che essere un criterio eccezionale sta
diventando sempre di più il modello di responsabilità più diffuso per i reati, in virtù soprattutto della
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complessità delle organizzazioni moderne in cui spesso si risponde in virtù di una mancata vigilanza o di
un mancato controllo, quindi per colpa, piuttosto che per dolo. Ad ogni modo che la colpa costituisca
oggi il criterio base di responsabilità penale, o comunque il requisito soggettivo minimo per poter
incorrere in responsabilità penale, è stato sancito esplicitamente già nel 1988 con la nota sentenza 364
della corte costituzionale. Una definizione di reato colposo nel nostro ordinamento penale si ha già
nell’articolo 43 comma uno, il quale sancisce che il delitto è colposo, o contro l’intenzione, quando
l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o
imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. Questa definizione è estesa
alle contravvenzioni dall’ultimo comma dello stesso articolo.
Si tratta evidentemente di una definizione che però è parziale: come si nota dalla formulazione, esclude
tutti i reati di mera condotta visto che parla esclusivamente di evento. Si tratta però comunque di un
punto di partenza normativo importante che non esisteva nella precedente normativa penale del codice
Zanardelli. Dal punto di vista della collocazione sistematica si è detto che la colpa a una doppia
funzione: appartiene cioè sia alla tipicità in quanto il reato colposo si caratterizza per la violazione di una
regola cautelare, e appartiene anche la colpevolezza nella nella misura in cui la realizzazione del fatto
colposo deve essere rimproveravi al soggetto. Vediamo ora quali sono gli elementi della colpa. 
Partiamo da quelli SOGGETTIVI, che nel dolo sono volontà e rappresentazione.
1. Dal primo Punto di vista, Il requisito differenziale Della colpa rispetto al dolo è rappresentato
proprio dall’assenza di volontà del fatto. La colpa in altre parole è un non dolo, cioè una
realizzazione involontaria di un fatto di reato. Nb: c’è un’eccezione: la colpa può coesistere con la
volontà del fatto, e si parla in questi casi di colpa impropria, tipica di alcune ipotesi specifiche (che
vedremo): errore sul fatto determinato da colpa, erroneo convincimento colposo sull’esistenza di una
scriminante, eccesso colposo della scriminante. In tutti questi casi il soggetto vuole il fatto realizzato
ma risponde per colpa poiché assegna a questo fatto realizzato un significato differente da quello
reale (vedremo come).
2. Per quanto riguarda l’elemento della rappresentazione qui le cose si complicano poiché la colpa è
compatibile sia con una assenza di realizzazione del fatto lesivo, come accade con la colpa
incosciente, quanto con la previsione dell’evento della condotta come accade con la colpa cosciente,
o colpa con previsione.La compatibilità della colpa con la rappresentazione dell’evento è anche
dimostrata dallo stesso articolo 43 comma uno il quale dice che l’evento, ancorché preveduto, non è
voluto. Anche l’articolo 61 numero tre CP che indica le circostanze aggravanti comuni prevede che
una delle aggravanti comuni sia proprio la previsione dell’evento nel delitto colposo, così
confermando la compatibilità della colpa con rappresentazione dell’evento.
Il fatto che la colpa sia compatibile con strutture molto diverse e soprattutto dal punto di vista soggettivo,
poiché è compatibile sia con la previsione dell’evento che con l’assenza di questa previsione, ha spinto
parte della dottrina a ritenere che non esista un concetto unitario di colpa..anche perché esistono delle
forme ancora più problematiche di colpa, a partire dalla ccpsiddetta colpa impropria, fino alla cosiddetta
culpa iuris (caso di ignoranza colpevole della legge penale - vedi dopo) o alla colpa lieve (vedi dopo).
Sempre con riferimento agli elementi soggettivi della colpa, senz’altro anche al reato colposo devono
appartenere la coscienza e volontà della condotta ex articolo 42 comma uno, che sono elementi richiesti
anche ai fini del dolo e che fanno riferimento ad un’azione che sia quantomeno dominabile dal soggetto
e quindi in questa misura volontaria, cioè appartenente alla sfera di dominio abilità del soggetto, e quindi
fuori dal caso fortuito o della forza maggiore. Quindi coscienza e volontà sussistono nel reato colposo
quando il soggetto avrebbe potuto evitare di comportarsi in modo negligente o imprudente, o avrebbe
potuto agire in modo diligente, così evitando l’evento.il problema della coscienza e della volontà per i
reati colposi si pone soprattutto con riferimento ai reati colposi che possono derivare dei cosiddetti atti
semi automatici: si tratta di quelle attività ripetute in modo costante da un soggetto come ad esempio
l’utilizzo di un macchinario da parte di un operaio. Pensiamo al caso in cui, appunto, un operaio, in virtù
di una distrazione momentanea, proprio utilizzando una macchina che è abituato ad utilizzare possa
cagionare lesioni ad un soggetto. In questi casi si dirà che l’azione è stata cosciente e volontaria quando
attraverso un cosiddetto sforzo della volontà l’operaio avrebbe potuto impedirla. Un altro settore in cui è
molto importante accertare che è un’azione sia stata cosciente e volontaria ai fini della rimprovera abilità
per colpa e quello delle cosiddette missioni per dimenticanza: pensiamo a un chirurgo che dimentichi
uno strumento del corpo del paziente che ho operato, il quale poi muoia per un’infezione proprio in virtù
di quello strumento.l’omissione per dimenticanza si dirà cosciente e volontaria nel senso normativo
quando si dimostri che non era impossibile per il medico, e quindi era da lui esigibile, porre in essere

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l’azione prescritta dalla regola cautelare (togliere lo strumento dal copro del paziente) e quindi evitare
l’evento.
Venendo ora alla struttura oggettiva della colpa, bisogna dire che è un comportamento umano cosciente e
volontario e qualificabile come colposo quando trasgredisce una regola cautelare.
Quindi, poiché la colpa presuppone la violazione di una regola cautelare, si dice che la la colpa così
come richiamata dall’articolo 43 sia una clausola generale, che affinchè sia accertata deve essere cioè
riempita, appunto, con riferimento a delle regole cautelari o precauzionali esterne al fatto tipico, che sono
state violate dall’agente nel caso concreto.
Si tratta di regole anche dette modali, che non hanno necessariamente Una fonte legale, cioè non
necessariamente appartengono all’ordinamento giuridico come norme civili o penali o amministrative,
potendo trattarsi di regole Sublegislative, ad esempio dettate da regolamenti, o addirittura di regole di
esperienza, di natura sociale, come quelle
Generiche di diligenza prudenza e perizia richiamate (nel loro contrario) dallo stesso articolo 43. In
particolare, le regole di diligenza prescrivono attività positive (chiudere il gas prima di uscire), le regole
di prudenza prescrivono l’astensione da determinate attività pericolose (non accendere sigaretta al
benzinaio), le regole di perizia hanno invece contenuto più tecnico, e sono anche dette di diligenza o
prudenza qualificate, e variano in base al settore di riferimento. Regole cautelari particolari si pongono
poi nei settori caratterizzati dall’interferenza dell’attività di più soggetti, come nelle attività
strutturalmente complesse (aziende, società, enti): qui ci saranno regole particolari di diligenza nella
SCELTA del soggetto a cui delegare attività o nel CONTROLLO di un soggetto dipendente, che
rispettivamente integreranno forme particolari di colpa come la CULPA IN ELIDENDO o la CULPA IN
VIGILANDO in capo a chi ha scelto/non controllato il terzo che materialmente pone in essere l’eveto
lesivo.
Ad ogni modo, a seconda della fonte sociale (diligenza/rudenza/perizia) o giuridica
(legge/regolamneto/ordine/disciplina) della regola cautelare violata, si parla rispettivamente di colpa
generica, ossia quella connessa alla commissione di atti che integrano imprudenza imperizia o
negligenza, e colpa specifica, che invece deriva da inosservanza di leggi regolamenti ordini o discipline.
nel caso della colpa generica, ovviamente, la fonte sociale delle regole cautelari a cui la colpa rimanda,
rende difficile la loro individuazione. Le regole di diligenza prudenza e perizia sono regole di esperienza,
che hanno alla loro base giudizi consolidati di riconoscibilità del rischio e di prevedibilità ed evitabilità
dell’evento. Si tratta di giudizi consolidati nel tempo, e appartenenti ad un certo contesto sociale che può
essere quello medico, quello delle società, quello dell’utilizzo di macchinari pericolosi eccetera. Queste
particolari regole di esperienza quindi non si formano attraverso una legge o comunque un atto di
un’autorità, ma nascono dallo svolgersi delle attività in un determinato contesto, attività che creano rischi
i quali devono essere riconosciuti e gestiti, per evitare eventi lesivi, appunto con
diligenza/prudenza/perizia.
Ma in base a quelle standard si può dire che è un soggetto si sia comportato in modo diligente e prudente
o no? Ci si deve basare su un parametro costituito dall’agente modello, agente modello che deve essere
costruito e descritto in base all’appartenenza ad una determinata cerchia sociale, connessa proprio a
quell’attività che genera rischi. Questo vuol dire che ci sarà un modello di Medico, un modello di autista,
un modello di operaio industriale eccetera. In base a questo agente modello costruito in relazione al
contesto in cui opera, ponendosi ex ante, cioè idealmente al momento della condotta, il giudice dovrà
verificare se l’autore concreto della condotta abbia violato quelle regole di riconoscibilità del rischio ed
evitabilità dell’evento che appartengono proprio a quell’agente modello.
Es.: sarà colposa la condotta del medico che si accerti abbia operato in modo negligente (ad esempio, al
buio, dopo un blackout, mentre avrebbe dovuto aspettare che tornasse la luce), poiché non si è attenuto a
quelle regole di esperienza tipiche di medici che operano, è così facendo ha creato lesioni o ha
determinato la morte del paziente. Sarà responsabile per colpa perché non voleva quell’evento, che però
si è realizzato in virtù della sua violazione dei doveri oggettivi di diligenza, prudenza e perizia, che
avrebbero imposto di aspettare il ripristino della luce. Questi doveri di diligenza sono riconnessi al
gruppo sociale in cui opera il medico (quindi quello del personale sanitario), e all’attività che svolge, e
sono costruiti sulla base di un parametro oggettivo di agente, ossia un MEDICO-MODELLO. Il medico-
modello, idealmente messo in una prospettiva ex ante (cioè al momento della condotta incriminata) NON
AVREBBE POSTO IN ESSERE QUEL COMPORTAMENTO, ma si sarebbe comportato in modo
avveduto, aspettando il ripristino della corrente elettrica, così evitando l’evento lesivo.
Se invece il medico del caso concreto dimostrasse che qualunque medico (quindi anche un medico-
modello) al suo posto avrebbe fatto lo stesso (ad esempio perché aspettando il ripristino della luce il
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paziente sarebbe morto), non si integrerebbe alcuna violazione di una regola cautelare di
diligenza/prudenza/perizia e non vi sarebbe reato colposo.
Tuttavia può accadere che in alcuni settori e per alcune attività particolari esistano più agenti modello i
quali sono dotati di conoscenze differenti. pensiamo al settore automobilistico, quindi quello della
circolazione in strada. Poniamo il caso che in un determinato angolo di una determinata via, vi sia una
parte della strada in cedimento, che rende quella strada pericolosa. Non c’è nessun segnale che avverte
del pericolo.
Ora, con riferimento all’attraversamento di quella strada, sicuramente chi abita in quella zona e guida
abitualmente in quella zona avrà una conoscenza superiore rispetto all’automobilista che non abita in
quella zona e difficilmente può prevedere che in quel punto ci sia quel pericolo. Quindi vi sono due
agenti modello diversi, il primo dei quali, ossia quello che abita in zona, è dotato di conoscenze superiori
nel caso concreto, xk sa che c’è un pericolo. Ebbene, queste conoscenze superiori devono rientrare
all’interno del giudizio sulla sua eventuale attività colposa. Questo vuol dire che la misura della
diligenza/prudenza/perizia chiesta nel caso concreto a questo agente specializzato è una misura più
ampia di quella chiesta ad un agente ordinario, e si richiede quindi maggiore attenzione di quella che si
chiede all’automobilista normale.
Questo che cosa vuol dire? Che se un automobilista normale, procedendo ad esempio a 30 km/h, causa
un incidente e investe una persona proprio in quell’angolo pericoloso, perché non conosce quel punto di
strada, non sarà considerato responsabile.
ma se la stessa cosa viene fatta dall’agente che conosce molto bene quel particolare incrocio, si potrà
ritenere colpevole quest’ultimo di lesioni colpose.
questo perché il giudizio sulla colpa è un giudizio che, oltre a basarsi su una prospettiva ex ante, Cioè
ponendo l’agente modello idealmente al momento della condotta, si basa soprattutto su un giudizio
concreto, che tiene conto delle conoscenze che l’agente nel caso concreto possedeva al momento della
condotta.
Quindi, visto che quell’agente era a conoscenza della pericolosità dell’incrocio, gli si richiedeva una
maggiore attenzione, che avrebbe dovuto indurlo ad abbassare la velocità di marcia in prossimità di
quell’incrocio, proprio in virtù delle sue cosiddette superiori conoscenze causali, che l’altro
automobilista non aveva, e che quindi non obbligavano quest’ultimo ad abbassare la velocità più di
tanto.
Vi è poi un altro caso particolare ossia quello di un agente che abbia delle speciali capacità individuali,
che lo rendono diverso dall’agente modello. riprendendo l’esempio di prima, pensiamo ad un
automobilista della Formula 1, il quale ovviamente è in grado di operare delle manovre che un
automobilista normale non è in grado di attivare con sicurezza.
qualora l’automobilista della Formula 1, come nell’esempio, investisse un soggetto per via di quel punto
di strada pericoloso, che NON conosce, sarebbe da considerare comunque responsabile, in virtù del fatto
che le sue capacità superiori gli avrebbero concesso di evitare l’evento con una straordinaria manovra?
La risposta è no. Non sarebbe responsabile, perchè le speciali capacità individuali non innalzano mai la
misura oggettiva di diligenza o prudenza o perizia richiesta a un soggetto, a differenza delle superiori
conoscenze causali (esempio di prima).
In pratica, non si può chiedere al soggetto dotato di speciali capacità, necessariamente, e quindi sotto la
minaccia penale, di attivare in qualunque momento quelle speciali capacità.non sarebbe equo nei riguardi
di questi soggetti, che finirebbero per essere sottoposti continuamente a rischio di una sanzione penale,
solo in virtù del fatto che hanno delle capacità particolari. Pensiamo nuovamente al settore medico: se si
chiedesse a uno straordinario chirurgo di adoperare sempre e comunque le sue capacità speciali,
innalzando così la misura della diligenza a lui richiesta nel caso concreto, costui finirebbe per subire una
serie infinita di accuse di omicidio colposo qualora, per qualunque ragione, non riuscisse a salvare
sempre la vita ai suoi pazienti in condizioni critiche.
Vediamo ora la colpa specifica cioè quella che consiste nell’inosservanza di una regola cautelare
positivizzato o codificata, quindi posta formalmente da una fonte giuridica, ossia legge regolamento, o
da atto diverso, ossia ordine o disciplina.
Ovviamente una norma di legge di regolamento di ordine di disciplina implica responsabilità colposa,
quando viene violata, Solo se si tratta di una norma di carattere cautelare, ossia di una norma che ha un
contenuto preventivo volto ad evitare determinati eventi lesivi.
quindi si potrebbe dire che anche nella colpa specifica queste norme, come avviene per la diligenza
prudenza e perizia della colpa generica, pongono un giudizio di prevedibilità del rischio e evitabilità
dell’evento, solamente che questo giudizio viene compiuto anticipatamente già dall’autorità che pone in
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essere la legge il regolamento l’ordine o la disciplina, e non deve essere fatto invece Sulla base di un
agente modello in base al caso concreto. Questo ovviamente rende queste regole molto più facilmente
individuabili.

Un esempio classico di regole cautelari sono quelle contenute all’interno del codice della strada che
rientra nell’ipotesi di regolamento in quanto si tratta di regolamento di esecuzione, ossia il d.p.r. 495 del
1992.vi sono dei casi tuttavia in cui le regole cautelari, anche se poste da una fonte scritta e quindi
teoricamente individuabile con facilità, non lo siano poi così tanto. Ciò accade con riferimento alle
cosiddette regole cautelari elastiche. Un esempio classico può essere mantenere la distanza di sicurezza
secondo l’articolo 149 del codice della strada. Si tratta di regole il cui contenuto dipenderà dagli elementi
del fatto concreto, quindi non è determinato ex ante dall’autorità che pone in essere la legge o in questo
caso il regolamento, a differenza delle cosiddette regole cautelari rigide. Quindi questa necessità di
determinare il contenuto concreto della regola cautelare in base al caso che si esamina, in un certo senso
avvicina queste regole cautelari elastiche a quelle della diligenza prudenza e perizia della colpa generica.
ad ogni modo le regole cautelari specifiche poste da leggi regolamenti ordini e discipline pongono due
altri problemi.
innanzitutto bisogna chiedersi se il mero adempimento della regola specifica possa, già di per sé,
escludere una colpa, o se invece si possa essere colpevoli anche pur avendo adempiuto la regola
specifica di cautela.
Ed inoltre bisogna chiedersi, al contrario, se la mera inosservanza di leggi regolamenti ordini e disciplina
possa far affermare di per sé la responsabilità colposa, o se viceversa si possa essere non responsabili,
anche a fronte di inosservanza di questo tipo.
Quanto alla prima domanda, si dice che l’osservanza di una regola specifica esclude la responsabilità per
colpa solo se non residua uno spazio di esigenza preventiva che deriva da altre regole generiche che il
soggetto ha violato.
per esempio: un soggetto Guida in città con la nebbia, rispetta formalmente il limite di velocità di 50
km/h, andando a 49 km/h, ma causa un incidente perché non vede una persona che attraversa le strisce e
la investe. Sarà responsabile per lesioni nonostante abbia rispettato la regola specifica del codice della
strada che impone i 50 Km/h in città? Sì.
Infatti Lui stava procedendo a 49 km/h, sempre nel limite massimo, ma certamente troppo veloce per via
della nebbia, e sarà comunque responsabile, perché, pur non avendo violato una regola specifica del
codice della strada, essendo nei limiti della velocità, ha violato peró una ulteriore e residua regola di
diligenza, che gli imponeva, data la condizione atmosferica particolare, di procedere in modo più
prudente. In pratica non sarà responsabile per colpa specifica, ma sarà responsabile per colpa generica.
Per quanto concerne la seconda domanda spesso viene richiamato il concetto di colpa presunta, facendo
riferimento a quei casi in cui per il fatto stesso di aver violato una legge regolamento un ordine o una
disciplina, un soggetto si considera colpevole, per la semplice difformità della condotta rispetto alla
regola cautelare che ha violato, senza che si valuti concretamente la prevedibilità del rischio e le vita
abilità dell’evento, fidandosi, per così dire, della valutazione fatta a monte da chi ha posto legge
regolamenti ordine o disciplina. Ovviamente questo tipo di colpa non può avere legittimità del nostro
ordinamento, poiché si finirebbe per punire un soggetto senza valutare se nel caso concreto sia davvero
colpevole, basandosi esclusivamente su nesso di causalità e sulla semplice inosservanza di una norma
cautelare.si tratterebbe quindi di una forma mascherata di responsabilità oggettiva.invece, sarà necessario
nel caso concreto accertare sempre la prevedibilità del Del rischio e evitabilità dell’evento, senza i quali
non si può procedere all’accertamento della colpa.

Le regole di cautela quindi sono regole di condotta, aldilà della loro fonte, che si rendono doverosa e per
evitare eventi dannosi o pericolosi che talvolta possono collegarsi anche a comportamenti umani della
quotidianità.in alcuni ambiti della vita sociale, vengono poi il rilievo delle regole di condotta che si
rendono doverosa per mantenere determinate attività dentro l’area del cosiddetto rischio consentito. Si
tratta delle regole di condotta che riguardano le attività professionali rischiosa, come ad esempio la
professione medica o determinate attività sportiva in cui E necessario, punto, che ci siano delle regole
che mantengano il rischio intrinseco di queste attività entro una determinata soglia di controllabilità.
Si dice che quando la violazione di regole cautelari avviene in questi ambiti di attività intrinsecamente
rischiosi, ma giuridicamente autorizzati, la colpa assume le vesti di una cosiddetta colpa speciale, o colpa
professionale, in corrispondenza alla colpa comune, che riguarda invece le attività generiche.un esempio
di colpa speciale è quella cagionata da un medico per violazione delle regole di perizia medica, esempio
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fatto poco poco fa, o del datore di lavoro per inosservanza delle regole antinfortunistiche. Pertanto in
questo settore il medico, piuttosto che il datore di lavoro, piuttosto che il pugile, sarà responsabile per
colpa solo se il suo comportamento ha violato le regole cautelari ponendolo in una situazione di rischio
che non era più consentito; mentre non sarà responsabile il medico piuttosto che il datore di lavoro
piuttosto che il pugile, se pur avendo causato un evento lesivo, lo ha fatto nell’ambito di quel rischio che
gli era reso consentito, come il caso del pugile che disgraziatamente con un colpo uccide il suo
avversario.

Nel mondo moderno è sempre più frequente che I comportamenti punibili per colpa derivino da
situazioni in cui c’è un’interazione tra condotte di più soggetti, cosicché il dovere oggettivo di diligenza
di uno entra in contatto con quello dell’altro, e quindi si ha una vera e propria ripartizione di doveri di
diligenza che sono finalizzati a evitare uno stesso evento. Questo accade soprattutto nelle realtà
plurisoggettive, quindi in organizzazioni complesse come Le società , ma anche nella vita quotidiana,
come ad esempio, proprio per riprendere quello di prima, la circolazione stradale , dove è raro che
unevento derivi del tutto solo dalla condotta di un automobilista.
Di base ovviamente un soggetto non è responsabile per l’inosservanza di norme cautelari poste in essere
da qualcun altro in virtù del principio di affidamento, in base al quale chiunque partecipa ad un’attività
sociale ha un suo dovere di diligenza ma può fare affidamento, quindi può contare, sul fatto che i doveri
di diligenza in capo ai terzi siano rispettati. Pertanto ognuno può orientare la propria condotta sul
presupposto che i terzi rispettino i loro doveri di diligenza, e non ha nessun obbligo di prevenire
l’inosservanza degli altri. nel corso di un’operazione chirurgica, ad esempio, se partecipano diversi
soggetti, ciascuno dei quali ha le sue competenze e i suoi obblighi, il chirurgo posto a capo dell’équipe
medica potrà e dovrà pensare alle proprie mansioni senza preoccuparsi della correttezza di ogni singola
attività che sia riferibile all’anestesista piuttosto che al ferrista eccetera.
Ci sono dei casi però in cui le aspettative che sono sottese al principio di affidamento vengono meno: ciò
accade quando in presenza di determinati fattori della situazione concreta, un soggetto si accorge che
qualcuno con cui st/ entrando interazione non sta osservando il proprio dovere di diligenza. in queste
situazioni proprio in virtù della riconoscibilità e della prevedibilità dell’evento o del pericolo, il soggetto
che si accorge dell’inadempienza altrui non può più fare affidamento sul rispetto dei doveri di diligenza
di quest’ultimo, ed il suo dovere di diligenza si espande, obbligandolo ad intervenire per limitare o
evitare i danni, e rendendolo responsabile per colpa se non lo fa.
Tornando all’esempio di prima, se il chirurgo si accorge di un errore operato da parte di un collaboratore,
e naturale che deve intervenire, in quanto posto a capo dell’équipe medica, e non può ignorare l’errore,
non potendo appunto fare più affidamento sulla diligenza di quel collaboratore che ha fatto l’errore.
L’esempio fatto riguarda un caso di interazione contestuale cioè in cui sostanzialmente i diversi attori
operano nello stesso contesto temporale.vi sono casi, però, in cui l’interazione è diacronica, cioè non
contestuale: pensiamo, sempre mantenendoci nell’ambito medico, ad un trapianto di organi fatto un un
ospedale, sulla base di un espianto di tali organi che a sua volta era stato precedentemente operato in un
altro ospedale. Anche in questa situazione naturalmente, i medici del secondo ospedale, per fare il
trapianto, faranno affidamento sul fatto che l’espianto degli organi che devono trapiantare sia stato fatto
correttamente dalla precedente équipe medica del primo ospedale. Quindi anche in queste situazioni
opera il principio di affidamento, che, si dice, si attivi ogni qual volta vi sia una divisione del lavoro, in
base alla quale a ciascuno spettino competenze e standard di diligenza specifici, aldilà che si operi
contestualmente o no.

Dopo aver iniziato la colpa generica e la colpa specifica, occorre analizzare quando la colpa si
concretizza in un reato di evento, per il quale ovviamente bisognerà accertare anche il nesso di causalità
che deve legare la violazione del dovere di diligenza del soggetto e l’evento naturalistico.
In pratica, per imputare a livello di colpa un evento a un soggetto bisogna verificare nel concreto il nesso
causale tra la condotta e l’evento, e soprattutto tra la colpa e l’evento.questo significa che l’evento
cagionato deve essere l’esatta concretizzazione di quell’esatto rischio che la norma cautelare violata dal
soggetto era finalizzata ad evitare.
Questo vuol dire che, se un soggetto viola una regola cautelare e da questa violazione si genera un
evento che però è diverso da quello che la norma cautelare si preoccupava di evitare, quel soggetto non
sarà responsabile per colpa anzi non sarà responsabile penalmente, perché se invece lo si punisse lo
stesso, si tratterebbe di una responsabilità oggettiva visto che non c’è nessun collegamento Eziologico tra
la sua violazione e l’evento lesivo.
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Esempio: se violo il limite di velocitá per strada, non sono responsabile se un soggetto novantenne
tachicardico che si trova sul marciapiede si spaventa per la mia guida sportiva e muore per infarto.
Perchè la regola di velocità previene altri tipi di rischi (incidenti, investimenti, scontri, eccetera).
Inoltre, sempre per poter imputare un evento naturalistico per colpa ad un soggetto, oltre a dimostrare il
nesso tra evento e violazione catutelare, bisognerà anche verificare che in concreto, tenendo il
comportamento corretto, e quindi rispettando la regola cautelare, il soggetto avrebbe potuto evitare
l’evento lesivo stesso. si tratta quindi di un giudizio ipotetico, non diverso da quello che si è visto per il
reato omissivo improprio, che qui prende a riferimento il cosiddetto comportamento alternativo lecito.
ossia il giudice deve immaginare idealmente, attraverso un ragionamento controfattuale, che il soggetto
abbia rispettato la regola cautelare. se il giudice si rende conto che, qualora avesse rispettato
astrattamente la regola cautelare, l’evento non si sarebbe verificato, ciò vorrebbe dire che quello stesso
evento era evitabile da parte del soggetto, rispettando la regola, e ciò lo renderebbe responsabile per
colpa. Se invece, anche immaginando astrattamente il rispetto della regola cautelare da parte del
soggetto, l’evento si sarebbe comunque verificato, in questo caso il soggetto andrebbe assolto.

Ora, Se si accerta sia il nesso tra la violazione cautelare e l’evento e sia le vita abilità dell’evento tenendo
il comportamento alternativo lecito, si può dire che sul piano della tipicità la colpa è stata accertata.
Tuttavia si è anche detto che la colpa ha una doppia misura, poiché va accertata sia sul piano oggettivo
della tipicità e anche sul piano soggettivo, o individuale/personale della colpevolezza. Questo aspetto
quindi deve essere accertato in modo autonomo. In che modo?
Si tratta di verificare se in capo soggetto, che ha posto in essere la violazione cautelare connessa
all’evento e decisiva per la sua verificazione, era ESIGIBILE un comportamento diverso, e quindi se è
concretamente RIMPROVERABILE.
Che significa? Significa verificare se, quel particolare soggetto, posto nella situazione concreta in cui ha
violato la norma cautelare, AVREBBE DAVVERO POTUTO RISPETTARE TALE NORMA; ossia se
era DAVVERO IN GRADO DI IMPERSONARE QUELL’AGENTE MODELLO AVVEDUTO di cui
si è parlato in precedenza; o se invece vi siano state delle circostanze anomale e concomitanti (come le
SCUSANTI, vedi dopo) che abbiano reso IMPOSSIBILE al soggetto comportarsi in modo adeguato e
rispettare la norma cautelare. Naturalmente non avranno rilevanza scusante alcune caratteristiche
individualizzanti del soggetto come superficialità o timidezza, che ma potrebbero rilevare eventuali
difetti o menomazioni del soggetto, sue scarse conoscenze o competenze. Si tratterà quindi di un
giiudizio personalisico ed individualizzante, soggettivo, concreto, modellato sull’agente che ha
materialmente posto in essere la condotta, quindi un giudizio completamente diverso da quello astratto e
oggettivo modellato sull’agente modello che si utilizza sul piano della tipicità.
Esempio del libro: una madre sarà SCUSATA se causerà un incendio lasciando il fornello acceso, per
soccorrere il figlio contemporaneamente investito da un auto nel parcheggio della villetta. Sarà scusata
perché, pur essendoci senz’altro una violazione cautelare e un evento lesivo connesso, e pur non
essendosi comportata secondo un modello di diligenza, sul piano SOGGETTIVO non è
RIMPROVERABILE, perché, nel caso concreto, anche considerando il suo status di madre, in virtù di
quello che era capitato al figlio, non era ESIGIBILE dall’ordinamento un comportamento diverso.

La colpa, come il dolo, è un concetto relativo, cioè come il dolo ha una sua intensità, la colpa ha un suo
GRADO, che incide sulla GRAVITA’ DEL REATO e quindi sul quantum della pena ex art. 133 cp.
Questa sua funzione fa sottolineare che il grado della colpa nel diritto penale NON ha a che fare con la
distinzione civilistica di colpa lieve, colpa grave e colpa gravissima.
Da cosa dipende il grado della colpa penale? Dipende dalla DIVERGENZA tra la condotta tenuta del
soggetto e il modello di comportamento richiesto dalla regola cautelare impostagli.

ERRORE SUL FATTO

La definizione penale di errore: uno stato mentale che consiste nella falsa rappresentazione di un dato
della realtà naturalistica o normativa. L’errore quindi è una divergenza tra un oggetto materiale i un
concetto giuridico nella sua reale essenza e la rappresentazione/concezione (errata) che un soggetto se ne
fa.
L’errore quindi è diverso dall’ignoranza che in negativo la mancata conoscenza di qualcosa. Viceversa
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l’errore presuppone una conoscenza del dato naturale o giuridico, solo che la conoscenza è errata. 
Tuttavia a livello penale errore e ignoranza sono assimilabili, poiché sia la mancata conoscenza di un
elemento del fatto, sia l’errore della sua rappresentazione possono avere conseguenze penali come si
vedrà.diverso da errore e ignoranza e il dubbio, che si basa sempre su un difetto di conoscenza ma che
deriva da uno stato di incertezza che appartiene a un soggetto, che impedisce un convincimento che
possa essere giusto o sbagliato. Abbiamo detto che ai fini dell’elemento soggettivo, ed il dubbio può
talvolta essere sufficiente a integrare comunque il dolo, mentre in altri casi, come nella calunnia, un
dubbio escluderebbe del tutto il dolo. Ad ogni modo non è un concetto equiparabile a quello di errore o
di ignoranza.
Ad ogni modo, ritornando all’errore, quello che interessa a livello penale È il cosiddetto errore-motivo,
ossia quella falsa rappresentazione di un elemento fattuale o giuridico che determina un convincimento
errato del soggetto e che di conseguenza vizia la sua volontà, portandolo a compiere un atto diverso da
quello voluto è rappresentato, così (di norma) escludendo il dolo.
quindi l’errore motivo è cosa diversa dall’errore inabilità, che invece entra in gioco nell’ipotesi di reato
aberrante, quando ad esempio tizio spara due colpi di pistola il verso Caio, che è la sua vittima designata,
ma a causa della sua mira sbagliata colpisce il passante Sempronio. qui si tratta di errore-inabilità e non
di errore motivo perché la divergenza tra ciò che si vuole e ciò che si realizza e dovuto ad una esecuzione
errata della volontà criminosa, e non a una falsa rappresentazione della realtà, cosa che ci sarebbe stata
se Tizio avesse sparato a Sempronio convinto che fosse un cinghiale, durante una battuta di caccia.
Ora, venendo al codice penale, l’articolo 47, comma uno, dice che l’errore sul fatto che costituisce il
reato esclude la punibilità dell’agente.
Ciò accade perché l’errore, inteso come errore-motivo, esclude il dolo, visto che appunto la
rappresentazione e la volontà del soggetto avevano ad oggetto un comportamento o un evento che non
sono uguali a quelli prodotti.
Tornando all’esempio di prima, pensiamo a tizio cacciatore che spara a Caio pensando sia un cinghiale.
Ovviamente tutti gli elementi del fatto tipico concluderebbero per l’esistenza di un fatto di omicidio, ciò
che manca è però la rappresentazione soggettiva nella mente di Tizio di un elemento, ossia, in questo
caso, il soggetto passivo-oggetto materiale della condotta. Infatti tale soggetto passivo nella mente di
tizio era un cinghiale, ma nella realtà è un uomo ed è Caio, che Tizio quindi non voleva assolutamente
uccidere.  Nell’esempio quindi, Tizio vuole realtà un fatto diverso da quello che è descritto dalla norma
incriminatrice, perché non vuole uccidere nessuno, o meglio vuole uccidere un cinghiale. si può dire
quindi che se un soggetto non sa ciò che fa, non può certo agire con dolo. Errore e dolo, quindi, sono
stati psicologici incompatibili, tanto che uno rappresenta l’esatto contrario dell’altro: l’erronea
rappresentazione della realtà impedisce alla volontà di proiettarsi correttamente verso il reato.
tuttavia, come dice la norma, finché il dolo si possa escludere, e quindi affinché si possa escludere la
stessa punibilità del fatto, è necessario che l’errore abbia ad oggetto un aspetto essenziale del fatto tipico,
un suo elemento fondamentale, ossia un aspetto della realtà la cui mancanza porterebbe a escludere
l’esistenza stessa del reato.
Nel caso di prima l’errore sull’identità della persona offesa o dell’oggetto è chiaramente un errore su un
elemento essenziale del reato, che come tale deve necessariamente escludere il dolo, poiché va ad
eliminare un aspetto essenziale della disposizione incriminatrice:  nell’esempio, il fatto di aver creduto di
colpire un cinghiale, si traduce in un errore su un elemento essenziale dell’omicidio, ossia l’uomo come
soggetto passivo della condotta (Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito...).
C’è però da fare una precisazione: se tizio avesse sparato a Caio nella condizione di sparare a
Sempronio, l’errore sull’identità del soggetto passivo non avrebbe escluso il dolo, perché in questo caso,
a differenza dell’esempio precedente, l’oggetto del materiale della condotta di tizio era comunque un
uomo, anche se diverso da quello da lui voluto. In questo caso non vi è nessun erroneo convincimento su
un elemento essenziale del reato, perché sempre di omicidio si tratta, poiché sempre un uomo è il
soggetto passivo della condotta, aldilà della sua identità personale.
NB: Vi sono altri casi in cui nel nostro sistema penale, nella parte speciale, l’errore o l’ignoranza, pur
avendo ad oggetto un elemento costitutivo del fatto tipico, non escludono il dolo. Sono dei casi in cui si
chiede esplicitamente che l’errore su un elemento del reato può escludere il dolo solo se è un errore
inevitabile e incolpevole: si tratta di reati di violenza sessuale/atti sessuali e violenza sessuale di gruppo
compiuti su minore, previsti dagli Art 609 bis e successivi del cp.
Per questi reati infatti si dice che il soggetto, anche se dimostra di non aver saputo che il soggetto passivo
era minorenne, viene comunque punito dal reato nella forma dolosa, come se fosse a conoscenza della
minore età, a meno che non dimostra che il suo errore era inevitabile, ossia che vi erano elementi tali
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(aspetto della vittima, suo modo di comportarsi, documenti falsi ecc) per cui era impossibile per lui
riuscire a capire che la vittima era minore di anni 18.
In pratica, per questi reati l’età della persona offesa viene esclusa dall’oggetto del dolo.l’ignoranza o
l’errore sull’età della persona offesa quindi, eccezionalmente, in deroga ad articoolo 47 cp, pur essendo
ignoranza/errore su elemento essenziale del fatto dio reato, NON ESCLUDONO LA PUNIBILITA’
dell’autore.
Un altro tipo di errore sul fatto può cadere su un altro elemento essenziale del fatto di reato, ossia il
decorso causale degli eventi: è il caso dell’aberratio cause, quando cioè un soggetto vuole un evento che
però si verifica in seguito ad un decorso causale differente da quello da lui immaginato, un caso che si è
già visto. Esempio di tizio che butta Caio in un fiume volendo farlo annegare, ma Caio muore non per
annegamento ma perché batte la testa su un masso.
In queste situazioni, se le fattispecie sono di evento e a forma libera, come il reato di omicidio, Il fatto
che il soggetto si fosse prefigurato un certo decorso causale che poi non si è realizzato non ha nessuna
rilevanza, poiché si tratta di reati in cui è indifferente la modalità con cui si produce un evento.
Nell’esempio di prima quindi il soggetto sarà punito a prescindere dal fatto che la morte della vittima è
avvenuta in modo diverso da come da lui voluto. Perché la morte era comunque l’obiettivo finale della
condotta, che nell’omicidio è irrilevante nelle sue modalità, purchè causatrice dell’evento morte.
Se invece il reato è a forma vincolata, ossia quando la norma incriminatrice stessa a definire con
precisione le modalità di realizzazione della condotta, un errore del genere esclude la tipicità del fatto,
che quindi non è reato. Esempio: ??? (ci devo pensare)

Tutti i discorsi fatti fino ad adesso riguardano il cosiddetto errore sul fatto, nella definizione che sia stata
data all’inizio, ossia falsa rappresentazione mentale di un elemento del reato. Diverso dall’errore sul fatto
è l’errore sul precetto, che non esclude mai il dolo, e che rientra nella sfera di applicazione dell’articolo
cinque del codice penale, come si vedrà quando si parlerà di coscienza dell’illiceità nell’ambito della
colpevolezza (vedi dopo). La differenza rispetto all’errore sul fatto riguarda l’oggetto su cui cade
l’errore, poiché nell’errore sul fatto questo ricade su un elemento essenziale del fatto tipico, mentre
nell’errore sul precetto l’errore ricade sulla qualificazione che l’agente dà al fatto che sta compiendo nel
suo complesso, in termini di Illiceità. In altri termini, il soggetto ritiene di comportarsi secondo legge,
mentre sta ponendo in essere un reato. Quindi a differenza di quanto accade nell’errore sul fatto, il
soggetto vuole ciò che sta ponendo in essere, non c’è una discrepanza tra esecuzione del fatto e volontà,
semplicemente ritiene erroneamente che quel fatto che sta ponendo in essere non sia un fatto di reato. Il
discorso sull’errore sul precetto verrà affrontato meglio nell’ambito del discorso sulla coscienza
dell’illiceità (vedi dopo).
Quindi c’è una distinzione tra errore sul fatto ed errore sul precetto. Poi c’è un’altra distinzione, che non
va confusa con questa, ossia quella tra errore di diritto ed errore di fatto. In questo caso la distinzione
dipende dalla causa che induce in errore un soggetto. L’errore è di fatto quando un soggetto percepisce
male un elemento della realtà fisica, che viene richiamato dalla fattispecie di reato. Un esempio di errore
di Fatto, che poi è anche un errore sul fatto, è quello che si è fatto in precedenza, del soggetto che spara a
un uomo convinto di sparare al cinghiale. qui l’errore (sul fatto, perchè riguarda un elemento della
fattispecie ossia il soggetto passivo) ricade su un elemento fisico della realtà, ossia l’uomo, richiamato
dalla fattispecie di omicidio, che viene confuso per un animale.
L’errore di diritto invece deriva da una erronea interpretazione della norma giuridica, ad esempio quando
un soggetto, nel furto, è convinto di sottrarre una cosa che non appartiene al soggetto che sta
depredando: qui quindi la falsa rappresentazione ha ad oggetto l’altruità della cosa, come nozione
giuridica.
Quindi l’errore di fatto è perlopiù un errore di percezione, mentre l’errore di diritto è perlopiù un errore
di interpretazione normativa.
Si tratta comunque di una distinzione secondaria rispetto a quella fondamentale tra errore sul precetto ed
errore sul fatto. Limitiamoci a dire che l’errore sul fatto può essere sia un errore di fatto che un errore di
diritto, ma l’errore sul precetto è naturalmente sempre un errore di diritto.

Tornando ora all’errore sul fatto, l’articolo 47 dice anche che se l’errore è determinato da colpa, la
punibilità non è esclusa, quando il fatto è previsto dalla legge come delitto colposo. Ciò significa che
quando un soggetto pone in essere un fatto di reato, e lo fa sulla base di un errore sul fatto, è vero che
quel errore di norma esclude il dolo, ma se quello stesso fatto viene anche previsto come reato nella sua
forma colposa, esiste una possibilità residua che il soggetto venga considerato responsabile di
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quest’ultimo reato nella veste colposa. La punibilità dipenderà dall’accertamento di tutti gli elementi
della colpa (violazione cautelare/nesso causale condotta/evento, nesso causale colpa/evento, evento).
Ciò può accadere nel caso di omicidio, punito sia per dolo (575 cp) che per colpa (589). Tornando
all’esempio di prima, del soggetto che spara in una battuta di caccia ad una persona convinto che fosse
un cinghiale, bisognerà verificare se la sua condotta è stata negligente o imprudente. Se, ad esempio,
risulta che il cacciatore sapesse che la persona colpita si aggirava in quella zona, o se risulta che abbia
sparato senza una visuale adeguata o in modo frettoloso, la sua condotta sarebbe colposa e quindi,
sebbene l’errore abbia escluso il dolo e quindi il reato di omicidio doloso, sarà responsabile in via
residuale per omicidio colposo, perché adoperando diligenza, se fosse stato equiparabile ad un
cacciatore-modello posto in quella situazione, non avrebbe mai dovuto prendere in considerazione l’idea
di sparare e non avrebbe mai, naturalmente, cagionato a livello causale quell’evento.

PRETERINTENZIONE
La preterintenzione è un criterio eccezionale di imputazione del fatto penale all’autore, eccezionale
perché, al pari della colpa, costituisce un criterio di imputazione che si può utilizzare solo se
espressamente previsto dalla norma incriminatrice., così come anche esplicitato dall’articolo 42 comma
due del codice penale.
La preterintenzione assume una posizione intermedia tra dolo e colpa: l’articolo 43 comma uno dice che
il delitto è preterintenzionale o oltre l’intenzione, quando dall’azione od omissione deriva un evento
dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall’agente.
Quindi l’illecito penale preterintenzionale si caratterizza perché ciò che viene realizzato è più grave di
ciò che è voluto: come si può notare il delitto preterintenzionale è un delitto che di base è doloso, ma la
condotta dolosa dell’agente si collega ad un evento più grave, realizzatosi in concreto, che è una
progressione, sempre in termini di gravità, rispetto all’evento che il soggetto avrebbe previsto e voluto.
vi è assoluta concordia sul non considerare la Praterintenzione come un terzo grado di colpevolezza
dopo dolo e colpa: si tratta solo di una diversa situazione psicologica, che però non è una forma
autonoma di colpevolezza, ma è una forma autonoma di imputazione del fatto e di responsabilità.
Struttura: nel delitto preterintenzionale c’è la volontà dell’agente rispetto alla realizzazione di un delitto
di base. ad esempio c’è la volontà di percuotere un soggetto. non c’è però la volontà dell’evento finale,
ad esempio la morte dello stesso soggetto.
il problema centrale, quindi, per interpretare l’illecito preterintenzionale è quello di individuare la natura
del legame che deve sussistere tra il delitto doloso e la conseguenza non voluta, tant’è che si è detto che
la Preterintenzione consiste in un dolo misto a responsabilità oggettiva, oppure secondo altri in un dolo
misto a colpa.
La tesi dominante è la prima. Si sostiene cioè che il diritto preterintenzionale Sia un misto tra il dolo e la
responsabilità oggettiva. ossia è dolosa la condotta del soggetto, poichè è voluta e rappresentata (esempio
percosse) mentre l’evento (morte) viene imputato all’agente semplicemente sulla base del nesso causale
(è morto perchè è stato colpito), e quindi come se fosse una responsabilità oggettiva, poiché l’evento non
è voluto ma l’agente ne risponde lo stesso come se l’avesse voluto, alfilà della sua colpevolezza effettiva.
Il libro si distacca da questa ricostruzione, poiché dice che il legislatore ha assegnato alla
preterintenzione una collocazione autonoma intermedia tra dolo e colpa, come modello di illecito a sé
stante. Sicché non è possibile assimilare il delitto preterintenzionale, neanche parzialmente, alla
responsabilità oggettiva, che invece è un fenomeno del tutto residuale e di dubbia costituzionalità, come
vedremo.
La soluzione preferibile secondo il libro (soprattutto Canestrari) resta quella di ricostruire invece la
Praterintenzione in termini di dolo misto a colpa generica. Innanzitutto si chiede, quindi, che il delitto
doloso di base (percosse, nell’esempio di prima) abbia creato una situazione di rischio in cui l’esito
ulteriore che poi si verifica era oggettivamente prevedibile dall’agente. occorre poi accertare che
nell’esecuzione dell’illecito doloso di base, il soggetto abbia violato delle regole comportamentali di
attenzione che avrebbero evitato l’ulteriore evento lesivo. Tornando all’esempio di prima, è chiaro che le
percosse, se effettuate, ad esempio, con uno strumento contundente particolarmente pericoloso,
concretizzino il rischio di morte del soggetto. Diversamente, non lo concretizzano se sono fatte con un
panno da cucina.
In secondo luogo, è necessario, perchè ci sia delitto preterintenzionale, che l’evento ulteriore concretizzi
quello specifico rischio che il soggetto che ha prodotto le percosse avrebbe dovuto evitare. Esempio: se il
soggetto colpito con lo strumento contundente pericoloso, magari ripetutamente e in punti vitali, poi
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muore, quell’evento mortale sarebbe stato evitabile dall’aggressore se si fosse limitato a usare uno
strumento meno pericoloso, o quantomeno se avesse evitato di colpire organi vitali.
quindi, nell’esempio del soggetto che colpisce, al solo fine di percuotere, un altro soggetto, ma
adoperando un’arma pericolosa e colpendo in zone vitali e delicate, e poi lo uccide, è evidente che si
tratta di omicidio preterintenzionale.

Piccolo accenno: Nel codice esiste una categoria particolare di reati, i reati aggravati dall’evento.ossia
quei reati per i quali è previsto un aumento di pena se si verifica un evento ulteriore rispetto al fatto di
base che già di per sé costituisce reato.si è fatto l’esempio dei maltrattamenti in famiglia da cui deriva la
morte di un familiare, e nell’ambito del reato omissivo, si era fatto l’esempio dell’omissione di soccorso
aggravata dalla morte del soggetto non soccorso, che secondo alcuni addirittura costituirebbe una forma
autonoma di reato.
ora, limitando L’attenzione ad una particolare sottocategoria di reati aggravati dall’evento, che è quella
dei delitti dolosi aggravati dall’evento, si nota che talvolta è possibile che l’evento ulteriore che aggrava
il reato non sia voluto dall’agente, come nel caso dei maltrattamenti in famiglia da cui deriva la morte
del soggetto. Ora per questa categoria ci si chiede se, come voleva una teoria originale, questi reati siano
riconducibili al modello della Pretre intenzione, O se invece l’unico reato preterintenzionale che si può
ritrovare nel nostro ordinamento sia l’omicidio preterintenzionale, che l’unico espressamente previsto da
una disposizione incriminatrice che l’articolo 584 CP.
il libro si schiera nella prima direzione. Dovrebbero quindi essere considerati come reati
preterintenzionale tutti i delitti dolosi aggravati da un evento non voluto. Ciò risolverebbe anche un
problema sistematico.infatti se non si considerassero come delitti preterintenzionale, quei delitti
aggravati dall’evento morte, tra cui si è fatto l’esempio dei maltrattamenti in famiglia gravati dalla
morte, succederebbe che vi sarebbe una disparità di trattamento tra reati che sostanzialmente hanno lo
stesso disvalore, ossia queste ipotesi di delitti aggravati dall’evento morte e l’omicidio
preterintenzionale. Infatti non mi cito preterintenzionale sarebbe più punito più gravemente rispetto a
questi delitti aggravati dalla morte, perché essendo la morte è una gravante in questi delitti, come si
vedrà, le circostanze aggravanti possono essere bilanciate dal giudice con applicazione di circostanze
attenuanti, cioè di segno opposto, finendo per corrispondere una pena ben inferiore.

RESPONSABILITA’ OGGETTIVA

La responsabilità oggettiva è unulteriore, quarto, criterio di imputazione del fatto di reato all’agente,
previsto dall’articolo 42 comma tre del codice penale come criterio eccezionale, al pari di colpa e
preterintenzionale, e residuale. Infatti il codice afferma che la legge determina i casi nei quali l’evento è
posto ALTRIMENTI, ossia in casi diversi da dolo colpa e preterintenzionale, a a carico dell’agente,
come conseguenza della sua azione/omissione. Ciò significa che la responsabilità oggettiva consente di
porre a carico dell’agente un evento sulla base del solo rapporto di causalità tra la sua condotta e l’evento
stesso, indipendentemente dalla sussistenza di un elemento soggettivo in termini di dolo e di colpa.
I requisiti di civiltà e di progresso che riguardano il moderno diritto penale imporrebbero di eliminare le
ipotesi di responsabilità penale che sono fondate, come a responsabilità oggettiva, sul mero nesso causale
tra fatto ed evento.andrebbe così eliminata la responsabilità dovuta dal cosiddetto Versari in re illicit a.
Questo perché le ipotesi di responsabilità oggettiva rappresentano delle deviazioni rispetto al principio di
colpevolezza, che a fondamento costituzionale, come noto nell’articolo 27 comma uno della
Costituzione, nel suo significato e vuole evolutivo, cioè come divieto di responsabilità oggettiva.pertanto
il libro ribadisce nuovamente che è auspicabile un’evoluzione giurisprudenziale è una riforma del
sistema penale che elimini le forme di responsabilità oggettiva, o di Versari in re illicit a, che ancora
esistono nel nostro ordinamento. Vediamo quali sono:
1. Art 83 cp: Aberratio delicti monolesiva e plurilesiva;
2. Art. 82 comma 2 cp: Aberratio ictus plurilesiva (secondo il libro anche quella monolesiva del comma
1)
3. Art. 116 cp: reato diverso da quello voluto del compartecipe nel concorso di persone (vedremo quando
faremo concorso)
4. Reati imputati per Condizione obiettive di punibilità intrinseche (vedremo quando faremo condizioni
obiettive di punibilità).

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1. ABERRATIO DELICTI: come si è accennato, nell’ipotesi che si analizza, vi è una divergenza tra
voluto e realizzato, che viene provocata da un errore ESECUTIVO. Si tratta quindi di un’ipotesi diversa
dall’errore sul fatto, che invece è causato da una falsa rappresentazione della realtà. Nell’ipotesi che
invece si sta analizzando, il volere dell’agente e chiaro, tuttavia nel momento di attuazione pratica della
sua volontà, interviene un errore esecutivo, che produce un evento diverso da quello voluto. L’articolo
83, il primo comma, dice che se per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato, o per un’altra
causa, si cagiona un evento diverso da quello voluto, il colpevole risponde, a titolo di colpa (OSSIA
COME SE CI FOSSE COLPA) dell’evento non voluto, quando il fatto è preveduto dal la legge come
delitto colposo. si pensi al caso di tizio che scaglia una pietra per rompere il finestrino di autoveicolo ma
ferisce invece un passante, sbagliando la mira. Questa ipotesi del primo comma dell’articolo 83 è quella
di reato aberrante mono lesivo. In realtà, anche se il codice parla di colpa, l’evento diverso da quello
voluto (ferimento) in questa situazione viene imputato all’agente in virtù di una responsabilità oggettiva,
proprio poiché non era voluto dal soggetto, e gli viene imputato solo perché Eziologicamente causato da
lui, senza la partecipazione di alcun elemento soggettivo qualificabile come dolo o come colpa. il
secondo comma prevede invece l’ipotesi di reato aberrante pluri lesivo, quando al fatto non voluto, che si
verifica, si aggiunge a quello voluto. Nell’esempio di prima, tizio lancia la pietra, che prima di
distruggere il finestrino, urta e ferisce anche un passante. In questo caso, entrambi gli eventi sono
imputati all’agente, il primo per dolo il secondo “a titolo di colpa”; secondo quanto dice il codice. Ma
anche in questo caso, il secondo evento (quello non voluto, ossia il ferimento) è imputato non per colpa
ma come responsabilità oggettiva.
2. Aberratio ictus. Innanzitutto definiamo quella monolesiva: si verifica quando per errore nell’uso dei
mezzi di esecuzione del reato, o per altra causa, è cagionata offesa a persona diversa da quella alla quale
l’offesa era diretta. In questi casi il colpevole risponde come se avesse commesso il reato in danno della
persona che voleva offendere. Esempio già fatto: tizio vuole uccidere Caio ma spara erroneamente a
Sempronio. Qui c’è omogeneità tra offesa voluta e quella realizzata, semplicemente cambia la persona
offesa. È una situazione che si è esaminata con riferimento all’errore sul fatto, quando si è detto che in
questo caso, pur di essendoci errore su un elemento essenziale della fattispecie, non si esclude il dolo
poiché l’offesa realizzata è comunque conforme a quella voluta e l’identità del soggetto passivo è
irrilevante rispetto alla volontà criminosa, E quindi non può assolutamente escludere il dolo. Secondo il
libro peró questa disposizione sarebbe una disposizione assimilabile alla responsabilità oggettiva e
andrebbe eliminata. Ció perchè costituirebbe, questa norma, una deroga alla regola secondo cui l’oggetto
del solo deve comprendere TUTTI gli elementi del reato, e quindi anche la persona offesa nella sua
individualità, e l’evento nella sua concretezza. Mentre in questo caso, con L’aberratio ictus monolesiva,
si imputa al soggetto un evento comunque diverso da quello voluto. Se non esistesse la disposizione di
cui al comma 1 dell’articolo 82, invece, il soggetto sarebbe punito per concorso di reati (vedi dopo),
ossia per tentativo di omicidio di caio (non riuscito) e omicidio colposo di Sempronio. Questa sarebbe
per il libro la soluzione migliore. Poi, Nessun dubbio invece sussiste sul fatto che rappresenti una ipotesi
di respinsabilità oggettiva la variante plurilesiva dell’aberratio ictus, prevista dal comma 2, ossia nei casi
in cui olltre alla persona diversa, viene offesa anche quella alla quale l’offesa era diretta. Nell’esempio di
prima (improbabile che accada), con un solo colpo tizio uccide sia la sua vittima designata caio, sia il
Passante Sempronio. In questo caso il colpevole soggiace, in base all’articolo 83 comma 2 cp, alla pena
stabilita per il reato (omicidio) aumentata fino alla metà. Quindi non sono gli si imputa l’evento ulteriore
e non voluto, ma addirittura si inasprisce la Sanzione, aumentandola. Anche questa disposizione per il
libro andrebbe eliminata.
E legislatore del 1930 contemplava un’ipotesi specifica di responsabilità oggettiva nella parte generale
del codice all’articolo 57, con riferimento ai reati di stampa periodica, per cui era responsabile il direttore
o il vice direttore per il semplice fatto che, tramite il suo giornale, era stato commesso un reato, anche se
l’autore materiale era, ad esempio, l’autore di un articolo particolare. Quindi se il giornalista tizio,
appartenente alla testata di un giornale, diretta da Caio, in un articolo calunniava o diffamava Sempronio,
Caio sarebbe stato responsabile pur non avendo scritto di suo pugno l’articolo.Questa disposizione è
stata modificata nel 1958 con la legge 127, che ha introdotto l’attuale versione dell’articolo 57, che
invece dice: salva la responsabilità dell’autore della pubblicazione, e fuori dai casi di concorso, il
direttore e il vice direttore responsabile, il quale omette di esercitare sul contenuto del periodico da lui
diretto il controllo necessario ad impedire che con il mezzo della pubblicazione siano commessi reati, è
punito, titolo di colpa, sei un reato è commesso, con la pena stabilita per tale reato, diminuita in misura
non eccedente un terzo.

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A seguito di questa riforma, non si può più considerare il caso di responsabilità di quell’articolo 57 come
una forma di responsabilità oggettiva. Infatti la vigente fattispecie di quell’articolo 57 configura una
responsabilità di tipo colposo, che si realizza nell’omesso controllo da parte del direttore che non ha
impedito che tramite il suo giornale o il suo periodico venisse compiuto un reato da parte di qualcun altro
(culpa in vigilando).

ANTIGIURIDICITÀ - IL SECONDO ELEMENTO STRUTTURALE DEL REATO

Abbiamo analizzato finora tutti gli elementi della tipicità, il primo gradino su cui si costruisce il reato.
Abbiamo infatti analizzato gli elementi oggettivi della tipicità, ossia la condotta, l’evento, il nesso di
causalità, e gli altri elementi come i presupposti della condotta, l’oggetto materiale, la persona offesa, e
successivamente abbiamo analizzato gli elementi soggettivi, che possiamo chiamare “i coefficienti
soggettivi di partecipazione al reato”, o “criteri di imputazione del fatto di reato all’agente” sulla base del
principio di colpevolezza, quindi dolo, e in ipotesi eccezionali, colpa e preterintenzionale, e, in ipotesi
residuali specifiche di dubbia costituzionalità, la responsabilità oggettiva.
Si è detto però, che il fatto per essere reato, oltre essere tipico, deve essere antigiuridico.
Che cos’è l’antigiuridicità? Essa è definibile come la contrarietà del fatto al diritto, quindi alle norme
giuridiche dell’ordinamento. Questa contrarietà del fatto all’ordinamento si valuta da un punto di vista
oggettivo, quindi a prescindere dalla colpevolezza effettiva o meno del soggetto, colpevolezza che, come
detto, è l’ultimo tassello su cui si possa uscire il reato, e si analizza per ultimo.
L’antigiuridicità pone subito un problema di definizione, perché ha una definizione negativa:
antigiuridicità è infatti contrarietà al diritto, o meglio contrarietà all’ordinamento giuridico. Si ha
difficoltà quindi a capire quale sia il suo significato “positivo”.
Inoltre, sul piano del contenuto, la nozione di antigiuridicità sembra una contraddizione, o meglio una
ripetizione inutile: che senso ha dire che è un illecito penale è antigiuridico? Infatti se un fatto è previsto
dalla legge come illecito penale, ossia come un reato, non avrebbe senso teoricamente chiedersi se sia

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anche contrario all’ordinamento, perché dovrebbe essere un fatto scontato che lo sia, visto che è stato
considerato un reato.
Per questa ragione si dice che l’antigiuridicità di solito è una conseguenza immediata della realizzazione
di un fatto tipico di reato: il fatto conforme al tipo di illecito descritto dalla norma incriminatrice,
normalmente sarà anche antigiuridico.
Può però succedere che un fatto tipico non sia anche antigiuridico, in virtù di una norma dello stesso
ordinamento giuridico che esclude il carattere antigiuridico di questo fatto: ossia, pur considerando il
fatto come conforme alla fattispecie di reato, e quindi tipico, c’è un’altra norma (DIVERSA da quella
incriminatrice) che esclude la contrarietà di questo fatto di reato all’ordinamento, in virtù dell’esistenza
di una causa di giustificazione, anche detta scriminante.
In presenza di questa scriminante quindi un fatto può essere tipico, sulla base di un giudizio di
corrispondenza tra il fatto compiuto e quello ideale descritto dalla norma, ma può non essere
antigiuridico, perché pur essendo reato non viola l’ordinamento.
Il giudizio di antigiuridicità quindi è successivo all’accertamento della tipicità, e prende in
considerazione l’intero ordinamento, per valutare se un fatto di reato sia effettivamente difforme
all’ordinamento stesso, o se posa essere SCRIMINATO O GIUSTIFICATO (sono sinonimi).
L’antigiuridicità quindi ha la funzione di valutare effettivamente il contrasto tra il fatto tipico e
l’ordinamento in generale.
Sulla definizione di antigiuridicità ci sono tre filoni interpretativi diversi.
Il primo, sostenuto da Petrocelli, ritiene che, poiché l’ordinamento penale è del tutto autonomo dagli altri
(civile, amministrativo ecc), l’antigiuridicità consiste solo nella contrarietà di un comportamento tipico
all’ordinamento penale, e non all’ordinamento in generale: quindi questa teoria considera
l’antigiuridicità in senso di antigiuiridicità penale. Limite di questa teoria è che, se davvero
l’antigiuridicità dovesse essere limitata ad una parte dell’ordinamento, cioè quello penale, quindi ad una
parte settoriale, allora non si comprende come possa essere distinta dalla tipicità: c’è già una norma
incriminatrice che valuta quel fatto come fatto di reato e quindi contrario all’ordinamento. Perciò non ha
senso operare un giudizio di antigiuridicità su un fatto che già è stato indicato come reato, si tratterebbe
di un inutile ripetizione: se è reato è logicamente anche antigiuridico in senso penale.
Per questo c’è una seconda teoria che, in maniera del tutto opposta alla prima, ritiene che, poiché
l’ordinamento penale non è autonomo da quello giuridico generale, il fatto è antigiuridico quando è
anche contrario all’ordinamento nel suo complesso, quindi contrario ad una qualsiasi norma Giuridica di
qualunque settore. In altre parole, il reato è antigiuridico quando il suo contenuto (cioè quando il fatto
compiuto) oltre a essere un illecito penale, è anche un illecito civile o amministrativo, che viene punito a
livello penale per avere la sanzione più grave possibile. Quindi questa teoria considera l’antigiuridicità
nel senso di antigiuridicità extrapenale (ed è anche detta concezione sanzionatoria). Teoria che ha delle
concezioni vere (è vero che il diritto penale punisce i fatti considerati più gravi alla luce
dell’ordinamento in generale) ma anche concezioni false (non è vero che l’illecito penale è sempre anche
un illecito civile o amministrativo.
Una terza teoria sostiene che l’antigiuridicità è la contrarietà del fatto di reato alle norme costituzionali.
che riconoscono i cittadini come soggetti di diritto, e gli attribuiscono dei diritti di rango costituzionale.
Quando un reato lede un cittadino, sta violando sia il diritto penale sia, prima ancora, un diritto
costituzionalmente riconosciuto, e quindi sta violando la costituzione: quindi questa teoria considera
l’antigiuridicità in senso prepenale (anche detta concezione normologica). Questa è la teoria del libro.
L’antigiuridicità, secondo il libro, si caratterizza per essere la gestione contro il diritto della propria sfera
di libertà: un fatto di reato, prima di essere un reato, è a un fatto contrario al diritto costituzionale.
Diventa reato in virtù di una selezione operata dal legislatore penale, che sceglie quei comportamenti più
gravi da punire con le sanzioni penali (le più gravi dell’ordinamento). Ma questi comportamenti
selezionati come i più gravi e puniti penalmente, sono a monte antigiuridici, perchè sono il risultato di
una gestione errata della propria sfera di libertà, e quindi costituiscono una violazione di doveri giuridici.
Quindi il concreto rapporto tra antigiuridicità e tipicità, secondo Questa teoria, sarebbe questo:
l’antigiuridicità è preesistente alla tipicità di un fatto, perché un fatto è tipico (cioè conforme alla norma
penale) ma è, a priori, antigiuridico (cioè scelto dal legislatore penale come sintomo di contrarietà
all’ordinamento costituzionale). Quindi antigiuridicità e tipicità sono in rapporto di genere a specie,
astratto/concreto. Questa è la tesi che segue il libro.

SCRIMINANTI
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Le scriminanti, si è detto, sono cause che escludono l’antigiuridicità di un fatto tipico di reato. Quindi le
norme che prevedono le scriminanti sono norme eccezionali, fanno eccezione alla regola secondo cui un
fatto tipico è anche (e prima di tutto) antigiuridico.
Il codice penale prevede espressamente queste scriminanti, ex artt. 50-54 cp: nello specifico il codice
penale definisce queste scriminanti, in modo atecnico, come “cause di non punibilità”.
È però una definizione impropria, che il codice usa anche per definire altre situazioni, oltre le scriminanti
vere e proprie: il codice riutilizza queste definizione anche per disciplinare le cause di esclusione della
colpevolezza ossia le scusanti, (che vedremo), e poi le cause di esclusione della pena in senso stretto tra
cui rientrano le condizioni negative di punibilità, (che vedremo), o le immunità (che non sono oggetto di
esame perché sono nel capitolo III). Quindi si può dire che le cause di esclusione dell’antigiuridicità,
anche dette scriminanti, rientrano nella categoria generale delle cause di non punibilità di cui parla il
codice.
Le scriminanti consistono in situazioni in presenza delle quali una condotta che normalmente sarebbe
punibile, poiché tipica cioè conforme alla norma incriminatrice, va considerata lecita perché esiste
un’altra norma giuridica, diversa da quella incriminatrice, che o legittima quella stessa condotta, o
addirittura la impone al soggetto come doverosa. Quindi il fatto non sarebbe punibile, in presenza di
questa scriminante, per non cadere in una contraddizione dell’ordinamento giuridico: non si puó, cioè,
punire penalmente un fatto previsto come reato, se però lo stesso ordinamento giuridico legittima/impone
quello stesso fatto in una determinata situazione prevista norma diversa, che vuole preservare un certo
bene giuridico o un interesse considerato prevalente rispetto a quello che viene violato dalla norma
incriminatrice. Quindi, processualmente, se un soggetto che ha compiuto un fatto tipico l’ha compiuto
sulla base però dell’esistenza di una causa di giustificazione, deve essere assolto perché il fatto non
costituisce reato, pur essendo tipico.
Tutte le scriminanti hanno una disciplina comune, cioè applicabile a tutte queste diverse situazioni
(legittima difesa/stato di necessità ecc), che è prevista dal codice penale.
Questa disciplina comune innanzitutto prevede l’articolo 59, comma uno il quale stabilisce il principio di
efficacia obiettiva delle scriminanti. L’articolo dice che:
“le circostanze che escludono la pena, quindi le scriminanti, sono valutate a favore della gente anche se
da lui non conosciute o da lui per errore ritenute inesistenti”.
Quindi le scriminanti operano a vantaggio del reo, per il solo fatto di esistere, quindi anche se il reo non
le conosce. Se agisco per legittima difesa, sarò scriminato anche se non mi sono reso conto che stavo
agendo legittima difesa. È un caso di scuola: uccido un uomo senza sapere che mi stava aggredendo con
un coltello, sarò comunque scriminato perché di fatto mi stava aggredendo con un coltello. Stessa cosa se
un uccido un uomo che mi sta aggredendo con un coltello, ma non conosco la disposizione legislativa
sulla legittima difesa, perché sono ignorante. Sarò comunque scriminato.
Sempre l’articolo 59, ma al comma 4, disciplina la cosiddetta scriminante putativa, dicendo che
“se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre
valutate a favore di lui. Tuttavia se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa
quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo”.
Questo significa che chi commette un reato pensando (SENZA COLPA) di commetterlo in presenza di
una causa di giustificazione, se questa causa di giustificazione che lui pensava di avere non è applicabile
alla sua situazione, viene comunque assolto perchè il fatto non costituisce reato. Ció a condizione che
l’errore che lo ha portato a ritenere applicabile la scriminante, sia un errore sul fatto e non un errore sul
precetto, essendo quest’ultimo, come si vedrà, non giustificabile.
Volendo fare un esempio, può essere assolto perché il fatto non costituisce reato, chi colpisce e provoca
lesioni ad un passante, pensando di agire in legittima difesa, perché credeva di essere aggredito da questo
passante, e lo credeva sulla base di un atteggiamento oggettivo del passante stesso, che magari si era
avvicinato in modo minaccioso, con passo veloce, con un cappuccio, in un viale buio, con un coltello in
mano, anche se poi il passante stava semplicemente facendo uno scherzo di halloween. Il soggetto sarà
scriminato per il reato di lesioni perché l’errore sulla sussistenza della scriminante dipende da una falsa
rappresentazione della situazione concreta: il soggetto era convinto di essere aggredito, ed è per questo
che ha agito. E la convinzione che aveva non deriva da colpa, perché chiunque si sarebbe sentito
minacciato in quella situazione.
Invece, se l’errore che ha portato il soggetto a ritenersi aggredito è stato un errore determinato da colpa,
in questo caso non sarà applicabile la scriminante putativa, e il soggetto sarà punibile. Tornando
all’esempio di prima, se chi crede di essere aggredito dal passante, in realtà avrebbe potuto,
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comportandosi in modo avveduto, capire che il soggetto mai lo avrebbe aggredito, ad esempio perché era
un bambino, il suo sarà un errore dovuto a colpa, e quindi non sarà protetto dalla scriminante putativa.
Non è giustificato/scriminato neanche chi, ritenendo di agire per legittima difesa, predispone sul muro
della sua villetta un Kalashnikov che spara chiunque si avvicini a meno di 1 metro, e lo fa per difendere
il suo domicilio. Qui l’errore che porta il soggetto a compiere il reato pensando di essere scusato dipende
da una falsa interpretazione giuridica della norma sulla legittima difesa: il soggetto pensa che lo norma lo
legittima a fare questo, ma non è così. Si tratta di un errore sul precetto, che non è scusabile, e il soggetto
sarà punibile.
Un’altra regola comune a tutte le scriminanti quella prevista dall’articolo 55 ti parla dell’eccesso
colposo. L’articolo dice che
“Quando, nel commettere uno dei fatti previsti dagli articoli sulle scriminanti (quindi ad esempio un fatto
di reato dovuto a legittima difesa), si eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge o dall’ordine o
dall’autorità, ovvero imposti dalla necessità, si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi se il
fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo”.
Questo articolo si applica Quando un soggetto si trova concretamente in una situazione in cui è
applicabile la scriminante: ad esempio viene aggredito, e quindi può effettivamente difendersi per
legittima difesa, ma lo fa eccedendo i limiti della scriminante, o a livello di rappresentazione o a livello
esecutivo.
Nel primo caso l’agente valuta in modo sbagliato la situazione, quindi crede che possa fare qualcosa che
in realtà la scriminante non legittima. Torniamo nell’esempio di prima: il soggetto vede il passante Che
effettivamente lo sta aggredendo mettere la mano in tasca, per sua paranoia è convinto che si tratti di una
pistola, quindi estrae a sua volta dalla tasca un oggetto contundente mortale, esempio un coltellino, e
uccide il passante, che in realtà lo stava aggredendo effettivamente, ma non stava prendendo nulla dalla
tasca, voleva solo mettersi faccia a faccia.
Nel secondo caso (errore esecutivo) la situazione viene valutata correttamente dall’agente, il quale peró
non controlla bene la propria condotta e finisce per compiere un atto che non è legittimato dalla
scriminante. Torniamo nuovamente all’esempio di prima. Il passante aggredisce il soggetto prendendola
schiaffi. Il soggetto si difende, ma per errore spinge il passante sulle rotaie del tram che lo investe.
In entrambi casi quindi notiamo una sproporzione della difesa rispetto all’offesa: si tratta di un’ipotesi di
eccesso colposo di legittima difesa, come vedremo meglio quando parleremo della legittima difesa. In
questi casi il soggetto sarà responsabile colposamente del reato che va a porre in essere, che nell’esempio
fatto è l’omicidio. Naturalmente ciò è possibile in quanto l’omicidio è previsto anche come reato di
forma colposa. Se fosse stato compiuto un reato diverso, non previsto nella forma colposa, il soggetto
sarebbe stato scriminato comunque.
Inoltre, se l’eccesso nella reazione a livello esecutivo del soggetto è un eccesso voluto, e non colposo,
sarà responsabile di omicidio doloso e non colposo. Tornando l’esempio di prima, se a fronte
dell’aggressione del passante, fatta ad esempio con dei semplici schiaffi, l’altro soggetto estrae un
coltello e uccide mortalmente il passante, quello è un eccesso doloso, perché il soggetto ha VOLUTO
esagerare nella reazione, e ciò permette di imputare il reato di omicidio a livello doloso al soggetto.
Ultima precisazione: l’eccesso colposo nella scriminante, così come l’errore colposo sulla scriminante, e
anche l’errore sul fatto, sono tutte situazioni accomunate da un tratto caratteristico: il fatto che viene
ammessa e riconosciuta la responsabilità colposa in capo a un soggetto che in realtà ha voluto l’evento
(ciò è un’anomalia perché colpa e volontà non sono MAI compatibili). Per questo si è parlato di colpa
impropria, con riferimento a fatti dolosi che sono puliti come colposi. Il libro però non accetta questa
ricostruzione considerando invece tutte queste figure come figure effettivamente colpose in cui, infatti, si
rimprovera all’agente di aver, con la sua condotta, ignorato la legge o ecceduto colposamente rispetto ai
limiti della legge, ma sempre in modo INCAUTO, mai per reale volontà.
Andiamo ad esaminare adesso invece la disciplina delle singole scriminanti.

I. CONSENSO DELL’AVENTE DIRITTO

L’articolo 50 del codice penale prevede questa scriminante. Sì è quindi in un’ipotesi di fatto tipico,
quindi conforme alla fattispecie penale, compiuto però sulla base di un interesse del soggetto passivo,
ossia di chi subisce la lesione prevista dal fatto di reato.
In sostanza, se un individuo presta un valido consenso al sacrificio di un suo bene giuridico, il soggetto
che lo lede in virtù del consenso ricevuto non è punibile, perché chi ha subito la lesione aveva sacrificato
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tale bene giuridico in virtù della sua libertà di utilizzazione di questo bene. Se autorizzo una persona a
prendermi 100 euro dalla borsa, non è furto.
Questa libertà di utilizzare il proprio bene giuridico come meglio si crede, andrebbe a compensare ed
anzi a surclassare l’interesse pubblico a reprimere la condotta che è stata autorizzata. Quindi il
bilanciamento che la scriminante realizza è quello tra la libertá del soggetto di disporre del suo bene
giuridico e l’interesse pubblico della repressione penale, con prevalenza della prima.
Inizialmente si considerava il consenso come un negozio di diritto privato o di diritto pubblico con cui il
soggetto conferiva un terzo, che sarebbe poi il reo, il potere di ledere il suo bene tutelato, così
neutralizzando l’antigiuridicità della condotta di quest’ultimo. Tuttavia questa teoria non spiega come
potrebbe mai una volontà privata vanificare l’impegno dello Stato per garantire tutela ai beni giuridici.
Questa teoria quindi non spiegherebbe perché nel bilanciamento di cui si è parlato avrebbe prevalenza
non l’interesse pubblico alla prevenzione dei reati ma un negozio privato.
Secondo il libro la soluzione sarebbe proprio il fatto che a volte le ragioni pubblicistiche possono
soccombere rispetto alle libertà individuali dei soggetti, che sono valori sociali di rango superiore,
purché la libertà del soggetto di sacrificare un proprio bene giuridico rientri in un bilanciamento: il
sacrificio che il singolo concede al proprio bene giuridico, in altre parole, deve essere proporzionato
all’interesse che ottiene sacrificando quel bene.
Ad esempio, un tossico dipendente può ben autorizzare un operatore della comunità di recupero a
immobilizzarlo durante una crisi d’astinenza, perché quella compressione della libertà personale che
subisce dall’operatore, che altrimenti normalmente sarebbe una violenza privata o un sequestro di
persona, è giustificata perché ben bilanciata rispetto al risultato che ottiene, ossia il valore ultimo che
viene tutelato tramite questa condotta, ossia la salute del soggetto stesso, che potrà curarsi.
Naturalmente l’unico soggetto legittimato a prestare il consenso che Scrimina il reo è il titolare
dell’interesse tutelato dalla norma incriminatrice che il reo viola, e nessun altro. Quindi solo il soggetto
passivo del reato può prestare il consenso e così facendo scriminare l’agente.
Un altro requisito affinché il consenso dell’avente diritto possa scriminare un soggetto è che il consenso
abbia ad oggetto un diritto disponibile. In pratica il soggetto deve avere concretamente la libertà di
disporre del bene giuridico di cui autorizza la lesione. Certamentet, ad esempio, tizio non sarà scriminato
se ruba 1000 euro a caio su autorizzazione della moglie di caio, sempronia.
Naturalmente, inoltre, un soggetto non può acconsentire alla lesione di un bene giuridico che non fa capo
a lui ma ad un ente diverso, come ad esempio lo Stato: ad esempio, Tizio non può essere autorizzato da
caio, funzionario comunale, a porre in essere un delitto contro l’incolumità pubblica, perché il bene
giuridico di riferimento (incolunità pubblica) appartiene allo stato, non a lui.
Sono invece disponibili, ad esempio, i diritti patrimoniali, di cui un soggetto può sempre disporre,
autorizzando anche un sacrificio. ad esempio, si ripete, non sarà furto un fatto compiuto da tizio nei
riguardi di caio, sei stato Caio ad autorizzare tizio a sottrargli un bene.
Non potrà esserci neanche il consenso a sottrarre un bene che pur essendo, ad esempio, in possesso di
tizio, realizza un interesse che di una generalità di consociati. Ad esempio, se tizio è proprietario di un
immobile di sua proprietà, ma sottoposto a vincolo storico, poiché A suo tempo, magari, era stato un
museo, non potrà autorizzare Caio ad incendiarlo.
Un discorso a parte meritano i diritti personalissimi, ossia la vita all’integrità personale. Si ritiene che
non si possa offrire il consenso per la lesione di questi beni tanto è vero che esistono nel codice penale
delle fattispecie specifiche di reati consentiti nei riguardi di questi beni: l’omicidio del consenziente e
l’istigazione al suicidio. Neanche possono essere soggetti ad un possibile consenso alla lesione, i
cosiddetti attributi della personalità, come l’onore e la libertà morale la libertà sessuale la riservatezza
eccetera. Vi è poi l’articolo cinque del codice civile che stabilisce il principio generale che riguarda il
divieto di atti di disposizione del proprio corpo, che cagionino una diminuzione permanente dell’integrità
fisica, o che siano contrari alla legge e ordine pubblico buon costume.
Per quanto riguarda, invece, la natura giuridica del consenso, è stata superata la teoria che vedeva il
consenso dell’avente diritto come una sorta di accordo negoziale tra il soggetto che dispone di un bene
giuridico, e quello che è autorizzato a lederlo. Adesso il consenso viene considerato un autonomo istituto
giuridico di diritto penale, che si concretizza in un atto giuridico, cioè una manifestazione della volontà
di sacrificare un bene, che però non instaura nessun obbligo a carico di chi prende tale decisione. Quindi
il consenso è sempre revocabile da chi lo concede, e se la lesione del bene giuridico avviene dopo che il
consenso a questa lesione era stato revocato, il fatto costituirebbe reato. Naturalmente affinché il
consenso sia valido deve essere dato dal soggetto che, oltre a poter validamente disporre del bene, abbia
la capacità naturale, ossia un grado di maturità necessario comprendere gli effetti dell’atto con cui sta
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mettendo a disposizione un bene giuridico che gli appartiene. Alcuni autori hanno poi ritenuto che per
quanto riguarda i diritti patrimoniali, per uniformarsi al diritto civile, sarebbe richiesto la capacità di
agire ai fini del consenso per la loro lesione.
Per quanto riguarda, poi, l’aspetto formale della manifestazione del consenso, è sufficiente che ci sia una
manifestazione chiara della volontà del soggetto che autorizza la lesione, aldilà dei motivi che la
determinano. A livello probatorio però è necessario che il consenso sia riconoscibile all’esterno, e non
deve essere naturalmente affetto da vizi della volontà, civilisticamente intesi come errore dolo violenza.
Bisogna, ora, vedere come si applica la regola generale della scriminante putativa di quell’articolo 59 CP
alla scriminante del consenso dell’avente diritto. il consenso dell’avente diritto, seguendo la norma in
questione, scrimina anche se l’agente non sapeva che vi era il consenso, o pensava di non averlo, salvo
che l’errore non dipenda da colpa o non sia un errore sul precetto. Ad esempio non sarà giustificato tizio
se usa momentaneamente il pc di caio, impiegato della ragione, pensando di avere il consenso, poiché
ignora che si tratta di peculato – si tratta di un errore sul precetto, che come tale è colposo di norma.
Altra situazione particolare: il consenso può anche essere PRESUNTO, e come tale avente valore
comunque di scriminante, se si accerta che il soggetto lo avrebbe dato se avesse conosciuto la situazione
e se fosse stato interpellato. Ad esempio, il medico tizio sarà scriminato dal reato di lesioni per aver
asportato le corde vocali di caio, il quale senza quell’operazione sarebbe morto, ma non ha prestato il
consenso all’asportazione perché era incosciente quando il medico l’ha dovuta iniziare. Si presume però
che, per salvarsi, caio avrebbe prestato tale consenso.
NB: vi è chi ha inquadrato il consenso presunto dell’avente diritto come una scriminante a sé stante, o
addirittura come una causa di esclusione del dolo. Anche il libro ritiene che il consenso presunto
dell’avente diritto non rientri nel caso dell’art. 50 cp, percheè c’è ASSENZA di una manifestazione di
volontà espressa di questo, ma deve scriminare comunque l’agente, come una scriminante atipica, poiché
questo ha posto in essere un atto nell’interesse del soggetto che non ha potuto prestare il consenso: si
tratta di un caso che comunque spesso rientra nello STATO DI NECESSITA’.

II. ESERCIZIO DI UN DIRITTO

L’articolo 51 comma 1 del codice penale stabilisce che: “l’esercizio di un diritto esclude la punibilità”.
Anche in questo caso, la ratio della norma è evitare contraddizioni dell’ordinamento. Sarebbe
inaccettabile che fosse punito come reato un fatto che, poi, un’altra norma giuridica dell’ordinamento
rende lecito, cioè oggetto di un diritto. C’è anche chi ha detto che alla base di questa scriminante, come
accade in altri casi, vi sia sempre la necessità di bilanciare due interessi contrapposti: interesse privato
del soggetto ad esercitare il suo diritto, e l’interesse pubblico dello stato a punire il fatto che costituirebbe
un reato, con la prevalenza del primo interesse sul secondo.
Va precisato, sul piano delle fonti del diritto, che un soggetto può essere scriminato per un reato
compiuto sulla base dell’esercizio di un diritto, anche se questo diritto è riconosciuto da una fonte
secondaria, e come tale inferiore alla fonte primaria, ossia la legge, che ha disciplinato il reato stesso. È
quindi possibile bilanciare due norme giuridiche che sul piano delle fonti non sarebbero bilanciate, ossia
la legge che prevede il reato e il regolamento, ad esempio, che prevede il diritto, dando anche
eventualmente la prevalenza a quest’ultima, proprio perché la necessità di tutelare L’Unità e non
contraddizione dell’ordinamento rende possibile derogare alle regole di gerarchia delle fonti.
Anche l’esercizio di un diritto come scriminante, pone dei problemi di definizione poiché utilizza una
formulazione molto ampia, tanto che il libro parla dell’articolo 51 come di norma penale in bianco, che
crea problemi anche nei riguardi del reo, poiché si potrebbe interpretare restrittivamente il concetto di
diritti, in tal modo ampliando la sfera di punibilità, restringendo la sfera di applicabilità della
scriminante.
Tuttavia si è detto che il principio di tassatività va rispettato in modo rigoroso quando si tratta di
costruire le fattispecie incriminatrici, mentre può essere rispettato in modo diciamo più blando, cioè
meno intenso, quando si tratta delle norme di favore, come sono le norme che prevedono le scriminanti,
poiché sono sempre poste a vantaggio del reo e non a suo svantaggio.
ad ogni modo il termine diritto utilizzato nell’articolo 51 cp viene inteso sia con riferimento ai diritti
soggettivi in senso stretto, Sia con riferimento a qualunque altra situazione giuridica attiva riconosciuta
dall’ordinamento, ad esempio l’interessi legittimi del diritto amministrativo, l’interessi semplici, le
aspettative. Quanto alle fonti che riconoscono tali diritti, come si è detto esse possono essere anche
secondarie, quindi regolamenti, addirittura consuetudini, oltre che primarie, come le leggi, o addirittura
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costituzionali. Si ritiene che addirittura possono essere considerati diritti anche quelli riconosciuti da
contratti, provvedimenti del giudice, o atti della pubblica amministrazione, così come da fonti europee o
internazionali.
In realtà è il problema vero sollevato dalla disposizione dell’articolo 51 del codice penale riguarda il
bilanciamento che dovrá fare il giudice nel caso concreto, tra il diritto che il soggetto fa valere con la sua
azione che costituisce reato e l’interesse leso tramite l’azione di reato stessa. Bisognerà quindi capire
quale tra i due abbia la prevalenza.
Pensiamo al caso di un Giornalista che abbia pubblicato delle informazioni su alcuni indagati di un
importante processo penale, esercitando il suo diritto di cronaca che è tutelato addirittura dalla
costituzione all’articolo 21. Così facendo peró il giornalista ha creato un danno all’interesse della
corretta amministrazione della giustizia, violando l’articolo 684 del codice penale, ma ha anche
danneggiato un altro interesse fondamentale che è quello della riservatezza degli indagati, che
certamente non volevano la rivelazione di dettagli sul loro conto. La riservatezza è tutelata peraltro
sempre dalla stessa Cost., all’ articolo 2. Nel bilanciamento, quindi, il diritto del giornalista di fare
cronaca avrà la peggio, e dovrà considerarsi surclassato per importanza, sul piano sostanziale, dal valore
dei beni che ha leso, ossia l’amministrazione della giustizia e la riservatezza delle persone.
Tra le ipotesi comuni che sono considerate dalla dottrina come esempi di esercizio di un diritto con
valore scriminante, ci sono sono:
1.innanzitutto i cosiddetti “offendicula”. Si tratta di tutte quelle situazioni in cui per difendere i propri
beni giuridici più intimi, principalmente il domicilio o l’incolumità, il soggetto utilizza dei mezzi di
difesa che sono volti ad offendere chiunque voglia violare tali suoi diritti.
Il caso classico è quello del proprietario di una villa che per evitare l’intrusione di ladri, mette il filo
spinato sul cancello, o lascia un cane da guardia libero e addestrato ad aggredire nel giardino. Quindi se
un ladro dovesse provare ad entrare nel domicilio e dovesse ferirsi proprio in virtù di questo filo spinato,
o perchè viene aggredito dal cane da guardia, il soggetto sarebbe scriminato dal reato di lesioni, perchè il
fatto di reato sarebbe compiuto nell’esercizio di un diritto, ossia quello di difesa dei propri beni
personali.
Secondo la dottrina maggioritaria, quest’ipotesi peró è più assimilabile ad un’altra scriminante che è la
legittima difesa. Infatti ci sarebbe il limite della proporzionalità: se il ladro dovesse morire per colpa del
filo spinato, dal momento che la sua vita ha un valore superiore rispetto al bene tutelato dal proprietario
del fondo, ossia il domicilio, la difesa di quest’ultimo sarebbe sproporzionata all’offesa arrecata al ladro,
e il proprietario sarebbe quindi responsabile per omicidio colposo, cagionato da eccesso colposo di
legittima difesa.
Il libro non considera gli offendicula come forma di esercizio di un diritto, né come forma di legittima
difesa. Ritiene infatti che in realtà non si tratti proprio di scriminanti, ma si tratti di attività lecite ma
“intrinsecamente pericolose”. Il che significa che se dalla predisposizione di queste cautele per la difesa
della propria proprietà, dovesse scaturire una lesione a carico di qualcuno, il proprietario risponderebbe
per colpa se non ha adottato delle cautele, ad esempio se non ha messo il cartello “attenti al cane”.
2. Altra ipotesi comune di esercizio di un diritto con valore scriminante è il potere disciplinare, un
esempio già indicato prima. il genitore ha il diritto di correzione sui propri figli, ossia il potere
disciplinare, uno strumento necessario per garantire un corretto esercizio della funzione educativa che la
stessa costituzione riconosce ai genitori. Per questo di solito si giustificano alcune condotte dei genitori
nei confronti dei figli che potrebbero integrare dei reati, come ad esempio le percosse, le lesioni
personali o il sequestro addirittura, nei casi in cui ad esempio si dovesse costringere un figlio a rimanere
chiuso nella propria stanza. Anche questo diritto tuttavia ha dei limiti di operatività, tanto è vero che
esiste un reato nel codice penale, l’articolo 571, che proprio punisce l’abuso dei mezzi di correzione o di
disciplina. tuttavia non è per niente facile determinare quali siano tali limiti, perché la norma parla in
generale di limiti che dipendono dal contesto sociale e dal periodo storico. da questo punto di vista oggi
si assiste ad un forte ridimensionamento di questo diritto di correzione, sia del potere disciplinare, perché
sempre più spesso si sviluppano provvedimenti normativi e regolamentari che Vietano qualunque tipo di
violenza utilizzata per scopi disciplinari, ciò in virtù del fatto che la dignità del minore viene considerata
superiore rispetto all’interesse dei genitori all’educazione.
2. Il diritto di sciopero. si considera che il diritto di sciopero, riconosciuto dalla costituzione all’articolo
40, scrimina il soggetto che sciopera da fatti di reato che possono essere compiuti tramite l’esercizio di
questo diritto. Ovviamente ciò purché il diritto di sciopero sia finalizzato a interessi professionali
finanziari o politici, e non a fini esclusivamente personali. Allo stesso modo ovviamente il diritto di
sciopero non può essere esercitato Tramite comportamenti che vadano a violare dei diritti che abbiano un
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rango superiore, come la vita e l’incolumità individuale o la proprietà, sempre per quelle ragioni di
bilanciamento tra diritti, che il giudice deve operare con riferimento alla scriminante dell’esercizio del
diritto, ma più in generale con riferimento a tutte le scriminanti.
3. Diritto di cronaca. In alcuni casi un giornalista, nell’esporre dei fatti, può ledere la reputazione di un
terzo e così integrare il reato di diffamazione.
Di fronte a questo reato, può agire come scriminante l’esercizio di un diritto costituzionalmente
garantito, ossia la libertà di manifestazione del pensiero. tuttavia anche in questo caso il giudice non
potrà assolvere il soggetto a prescindere, ma dovrà fare un bilanciamento di interessi tra il diritto di
cronaca di costui e quello alla reputazione del soggetto leso. Esistono quindi dei limiti al diritto di
cronaca (che è una manifestazione pratica del diritto costituzionale di esposizione del pensiero), che
vanno rispettati affinchè tale diritto possa scriminare. Tali limiti sono stati evidenziati dalla dottrina.
Il primo è quello della verità della notizia. Affinché tale diritto di cronaca possa scriminare un reato di
diffamazione, è necessario che la notizia data, che offende il soggetto, sia oggettivamente vera. una
teoria precedente, più garantista per il reo, ammetteva l’esistenza della scriminante anche se la notizia
data è soltanto verosimile. Il libro segue prima teoria. È importante sottolineare che quando il giornalista
da una notizia che ritiene vera ma che non lo è, NON SARÀ SCRIMINATO dal reato di diffamazione.
In pratica NON opera la regola sulla scriminante putativa dell’articolo 59, secondo la quale il soggetto
che offende qualcuno con una notizia che CREDE vera, andrebbe invece assolto perchè comunque
riteneva di agire legalmente, in virtù di una scriminante che riteneva sussistere (ossia appunto l’esercizio
di un diritto).
Perchè non opera questa regola, perchè questa eccezione? Perchè il giornalista che offende qualcuno con
una notizia ritenuta da lui vera, ma in realtà falsa, agisce ignorando la legge, cioè ignorando gli obblighi
imposti a lui, giornalista, di dare solo notizie vere. Si tratterebbe quindi di un errore sul precetto, che
NON scrimina e non scusa. Unica eccezione: il Suo errore che l’ha portato a ritenere vera quella notizia
deve essere inevitabile. Solo in tale caso è scriminato.
Oltre ad essere vera, la notizia deve anche soddisfare un interesse pubblico. Ciò significa che deve essere
una notizia legata alla politica all’economia la giustizia, o comunque ad un argomento idoneo a garantire
un corretto servizio di informazione dell’opinione pubblica. Inoltre la notizia deve essere continente,
cioè deve essere esposta in modo corretto dal punto di vista formale, in modo obiettivo, senza sfociare in
una forma di esposizione offensiva, o volgare, o faziosa.
4. Nemo tenetur se detegere. Si tratta di un principio che permette ad un soggetto sottoposto a processo
contro di lui, di poter tacere, e anche di poter mentire. Tale diritto permette discriminare il soggetto in
questione di fronte ad un reato che gli si potrebbe contestare, ossia l’intralcio alla giustizia.

III. ADEMPIMENTO DI UN DOVERE

Art. 51 “(L'esercizio di un diritto o) l'adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un


ordine legittimo della pubblica Autorità, esclude la punibilità.
Se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell'Autorità, del reato risponde sempre il pubblico
ufficiale che ha dato l'ordine.
Risponde del reato altresì chi ha eseguito l'ordine, salvo che, per errore di fatto, abbia ritenuto di
obbedire ad un ordine legittimo
Non è punibile chi esegue l'ordine illegittimo, quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla
legittimità dell'ordine.”

La ratio di questa ulteriore scriminante è sempre il principio di non contraddizione dell’ordinamento:


sarebbe assurdo che l’ordinamento giuridico punisse un soggetto per un fatto che lo stesso ordinamento
gli ha imposto. Il dovere giuridico in base al quale il soggetto ha compiuto il fatto di reato, per il quale
quindi viene scriminante, può avere diverse fonti, esplicitate dal primo comma dell’articolo 51. In primo
luogo tale dovere può derivare da una norma giuridica, intesa in senso ampio, secondo Alcuni
comprendente anche la consuetudine. In secondo luogo derivare da un ordine legittimo della pubblica
autorità. L’ordine dell’autorità quindi costituisce una manifestazione di volontà da parte di un organo
superiore nei confronti di un soggetto subordinato in base ad un rapporto regolato dal diritto
amministrativo.evidente che non si può utilizzare tale scriminante sia un soggetto compie un reato
nell’esecuzione di un ordine dato dal soggetto privato perché solo una pre la volontà dello Stato come
Soggetto pubblico permette di giustificare ed anzi rendere obbligatorio un fatto che lede un diritto.
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L’ordine dato dall’autorità, per poter scrivere il soggetto che compie un fatto di reato per eseguirlo, deve
essere legittimo. La legittimità rileva sotto due profili diversi, nel senso che l’atto deve essere legittimo
dal punto di vista formale, e quindi ciò significa che l’organo che ha dato l’ordine doveva essere
competente a darlo, il soggetto che ha seguito l’ordine doveva essere competente ad eseguirlo, e doveva
essere rispettata la forma prevista per legge per l’emanazione di tale ordine. Ma l’ordine deve essere
legittimo anche sul piano sostanziale, cioè rispettare i presupposti che la legge chiede affinché possa
essere emanato. Ad esempio se un giudice emette un’ordinanza di custodia cautelare del processo penale
senza rispettare i presupposti di gravi indizi di colpevolezza, quell’ordine è illegittimo dal punto di vista
sostanziale. Il comma tre dell’articolo 51 specifica che, se un fatto che costituisce reato viene compiuto
sulla base di un ordine illegittimo rispondono sia eseguito, sia con il quale ha dato l’ordine. Si tratta di
una forma di concorso di persone, precisamente chi ha dato l’ordine è un istigatore, chi lo segue è un
esecutore materiale, come si vedrà.
Ciò che va sottolineato è che quindi al soggetto a cui viene dato l’ordine è sempre imposto, prima di
agire, di controllare che l’ordine sia legittimo, sia dal punto di vista formale, sia, secondo l’ordinamento
più recente, anche dal punto di vista sostanziale. Se non opera questo controllo ed esegue l’ordine, e
questo risulta illegittimo, sarà responsabile anche lui.
Ci sono peró due eccezioni, ossia due casi in cui il soggetto che esegue l’ordine illegittimo è comunque
scriminato:
1. Quando il soggetto che esegue l’ordine è convinto, per errore sul fatto, ma non per errore sul
precetto, che l’ordine fosse legittimo, salvo ovviamente errore colposo (art 51 comma 3);
2. quando il soggetto esecutore dell’ordine non aveva un potere adeguato per fare un controllo
sull’ordine stesso, cioè era un semplice esecutore di ordini, a cui non era concesso nessun margine di
“sindacato”, come accade in ambito militare, dove i rapporti di gerarchia sono estremamente rigidi. Si
parla in questo caso di ordine legittimo insindacabile (art. 51 comma 4).
Va sottolineato che in questo caso, secondo il libro, quando un soggetto cioè compie un fatto di reato a
seguito di un ordine illegittimo insindacabile, non è corretto dire che sia scriminato, è più corretto dire
che sia scusato, ossia che si esclusa nella fattispecie non l’antigiuridicità, ma la colpevolezza. Non è
esclusa l’antigiuridicità perché comunque il fatto compiuto dall’esecutore rappresenta un fatto
antigiuridico, oltre che tipico, visto che comunque realizza un ordine che lo stesso ordinamento ha reso
illegittimo. Si parla invece di esclusione della colpevolezza, e quindi di scusante, perchè in base alla
situazione personale in cui si trovava, il soggetto non poteva fare altro che eseguire l’ordine, quindi non
era ESIGIBILE da lui un comportamento diverso. C’è da precisare tuttavia che nell’ordinamento
giuridico sono difficilmente ipotizzabile questi ordini illegittimi su cui non è mai ammesso alcun
sindacato. Tant’è che il libro dice che al massimo esistono situazioni in cui vi sia un insindacabilità
relativa. infatti anche nelle gerarchie militari è sempre ammesso un sindacato, almeno dal punto di vista
formale. per quanto riguarda il sindacato sostanziale, anche questo è sempre ammesso almeno per
impiegati pubblici, mentre si discute su ammissibilità per i militari.
Anche da questo punto di vista però esiste un’eccezione, ossia la possibilità che il soggetto che ha
eseguito l’ordine illegittimo, pur non avendo margine di “obiezione”, sia comunque responsabile, ma per
colpa. Questo succede nei casi in cui l’ordine che stato eseguito era un ordine manifestamente criminoso,
ossia palesemente in contrasto all’ordinamento, e percepito come tale, da un punto di vista soggettivo,
anche dal soggetto che l’ha eseguito.

IV. LEGITTIMA DIFESA

Articolo 52 “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di
difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta, sempre che la difesa
sia proporzionata all'offesa.
Nei casi previsti dall'articolo 614, primo e secondo comma, sussiste sempre il rapporto di proporzione di
cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati
usa un'arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:
a) la propria o la altrui incolumità:
b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d'aggressione.
Le disposizioni di cui al secondo e al quarto comma si applicano anche nel caso in cui il fatto sia
avvenuto all'interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o
imprenditoriale.
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Nei casi di cui al secondo e al terzo comma agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie
un atto per respingere l'intrusione posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi
di coazione fisica, da parte di una o più persone”.
Inizialmente si riteneva che tale proporzione dovesse sussistere con riferimento ai mezzi: la reazione
difensiva doveva essere fatta tramite un mezzo, cioè ad esempio un’arma, che fosse proporzionata al
mezzo utilizzato dall’aggressore, sicché non sarebbe stata proporzionata una condotta difensiva operata
con un’arma da fuoco, di fronte a una condotta offensiva operata con un’arma più leggera.
Successivamente la dottrina moderna avallata dalla giurisprudenza ritenuto che il giudizio di proporzione
deve riguardare invece i beni in conflitto: deve esserci Equilibrio tra il valore del diritto che veniva
minacciato con l’aggressione, e il valore del diritto che è stato concretamente leso con le reazioni
difensive del soggetto, tenendo conto di tutte le circostanze oggettive del fatto, inclusi i mezzi a
disposizione.
Il che significa che si pone un grosso problema di giudizio quando tali diritti posti in bilanciamento sono
diritti sui quali la costituzione non esprime un giudizio di preferenza, per esempio pensiamo alla libertà
sessuale e all’incolumità personale, che sono messi bilanciamento quando ad esempio un soggetto
dovesse aggredire sessualmente una ragazza la quale risponde uccidendo o ferendo gravemente
l’aggressore.sicuramente la posizione dell’aggredito deve essere considerata maggiormente meritevole di
protezione, poiché egli spesso si trova ad agire in una situazione di forte tensione emotiva che gli rende
impossibile in un certo senso graduare la reazione difensiva. Spesso il giudice tende a scriminare la
condotta difensiva di un soggetto che lede un bene dell’aggressore che a livello teorico è
gerarchicamente superiore, proprio per questo motivo.
Dal punto di vista del criterio della proporzionalità, un recente intervento dei legislatore, sia la legge 59
del 2006, ampliato i limiti in cui è ammessa la legittima difesa, quando l’aggressione da parte di un
soggetto bella l’interno dell’abitazione o di un luogo di privata dimora.l’intervento legislativo introdotto
due commi all’articolo 52.il comma due in particolare prevede che nei casi previsti all’articolo 614,
Quindi quando l’aggressione avviene attraverso l’invasione del domicilio della privata dimora, il giudice
non deve accertare la proporzione tra difesa e offesa, perché questa viene presunta iUris ’et de iure. Il
che significa che il soggetto che viene aggredito all’interno del proprio domicilio o della prova privata
dimora, viene considerato scriminato anche a fronte di una condotta difensiva che vada a ledere
addirittura la vita dell’aggressore. Tutto ciò a condizione che il soggetto agisca correzioni difensive per
difendere la propria l’altro incolumità, o i beni propri o altrui, quando il soggetto che lo sta aggredendo
non dimostra desistenza, cioè nonostante sia stato scoperto, continua nella sua azione aggressiva.
Si parla in questi casi di legittima difesa domiciliare, che secondo alcuni addirittura costituirebbe una
scriminante autonoma, della quale non è previsto il requisito della proporzione.
La ratio della legittima difesa deriva, da un punto di vista pubblicistico, dalla circostanza che lo Stato,
quando il suo intervento è impossibile per tutelare un soggetto, delega a costui la facoltà di difendersi
legalmente da un’aggressione ingiusta.
Secondo altri in realtà la ratio della L. D. deriverebbe invece da un punto di vista per così dire
individualistico, in quanto la legittima difesa rappresenterebbe un diritto della persona che deriva
dall’istinto di conservazione dell’uomo, il quale di fronte ad un’aggressione ingiusta, È giustificato
proprio per la rilevanza costituzionale dei beni giuridici che deve tutelare, a reagire.
Ad ogni modo, i tratti caratteristici della legittima difesa sono senz’altro rappresentati da una condotta
aggressiva di un soggetto e dalla reazione difensiva di un altro, quando entrambe le condotte hanno ad
oggetto uno stesso DIRITTO che viene messo a rischio, diritto che può essere del soggetto aggredito o di
qualcun altro. Per diritto si intende qualunque tipo di situazione giuridica attiva, quindi anche un
interesse legittimo o una potestà, aventi ad oggetto qualunque bene giuridico dell’aggredito
(vita/incolumità/patrimonio principalmente), o di un altro soggetto. Quest’ultimo, che quindi viene
difeso, non deve essere però lo Stato, perché altrimenti chi reagisce si intrometterebbe in un compito che
spetta alle autorità e non sarebbe scriminato (es: di fronte ad una manifestazione illegale, tizio non può
certo aiutare i poliziotti a colpire i manifestanti per difendere l’ordine pubblico).
L’aggressione dalla quale il soggetto difende il diritto proprio altrui deve essere un’aggressione che
scaturisce da una condotta umana, anche semplicemente omissiva, purché tale condotta costituisca un
comportamento contrastante l’ordinamento giuridico.
E poi necessario, affinché la reazione difensiva sia giustificata, che vi sia il pericolo attuale di un’offesa
ingiusta. Quindi il rischio incombente che può sfociare da un momento all’altro non effettiva lesione.se
la reazione difensiva che costituisce il reato fosse una reazione che arriva nel momento in cui il pericolo
non c’è più, quella più venerazione sarebbe una rappresaglia, e quindi non sarebbe scriminante.
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Esempio: se tizio viene derubato da Caio, il quale scappa e scappando perde ciò che aveva rubato a tizio,
tizio non è giustificato a riprendere ciò che gli era stato tolto, poi ulteriormente Inseguire gaio e colpirlo.
Quello sarebbe comunque reato di lesioni. Il pericolo ovviamente non deve essere stato volontariamente
creato dal soggetto stesso che reagisce: Se Tizio aizza un cane che sta camminando dall’altro lato della
strada, e questo cane lo aggredisce, e tizio lo uccide per difendersi, non sarà Scriminato, perché è stato
lui stesso a determinare l’aggressione.
Il problema poi è stabilire come, cioè sulla base di quale tipo di giudizio, debba essere valutato il
pericolo. la dottrina prevalente è favorevole a ritenere che tale giudizio debba essere ex post, e a base
totale, quindi sulla base di tutte le circostanze che sussistevano al momento del fatto, anche quelle non
conosciute dal soggetto. Ciò significa che se Tizio viene anche detto da Caio, il quale nasconde una
pistola, l’intensità del pericolo va considerata anche tenendo conto dell’esistenza di questa pistola, anche
se tale pistola non era vista da tizio.
Per quanto riguarda l’offesa, sia il fatto che debba essere ingiusta, è importante precisare che sarà da
considerare giusta un’offesa arrecata da un soggetto che esercita un diritto, o adempie un dovere imposto
da un’altra norma, poiché tale offesa sarebbe sua volta scriminata.
Dunque legittima difesa e giustificazione di fronte a un pericolo attuale di un’offesa ingiusta. Sono tutti
necessari, finché un reato compiuto e legittima difesa sia scriminante, altri due elementi strutturali.
1. innanzitutto il soggetto deve agire per la necessità di difendere un diritto. Tale necessità significa
inevitabilità, ossia l’aggredito non deve avere altre possibilità di difendersi se non quella che lo conduce
a compiere il reato, o deve pensare di non averne. L’azione difensiva che realizza un reato non è
considerata necessaria, e quindi non scrimina, quando il soggetto è a disposizione il cosiddetto
commodus discessus, Ossia una via di fuga che gli permetteva di sottrarsi al pericolo senza ulteriori
danni.
2. L’altro elemento strutturale fondamentale è la proporzione tra difesa e offesa.

V. USO DELLE ARMI

Art. 53:
“Ferme le disposizioni contenute nei due articoli precedenti, non è punibile il pubblico ufficiale che, al
fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso ovvero ordina di far uso delle armi o di un altro
mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere
una resistenza all'Autorità e comunque di impedire la consumazione dei delitti di strage, di naufragio,
sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e
sequestro di persona.
La stessa disposizione si applica a qualsiasi persona che, legalmente richiesta dal pubblico ufficiale, gli
presti assistenza(5).
La legge determina gli altri casi, nei quali è autorizzato l'uso delle armi o di un altro mezzo di coazione
fisica”.
La scriminante in esame, che è stata molto modificata dal 1975, è finalizzata a scriminare i reati compiuti
utilizzando le armi da parte di pubblici ufficiali, ove tale utilizzo delle armi sia finalizzato a respingere
una violenza o vincere una resistenza.
nonostante i tentativi di una certa dottrina di considerare questa scriminante come una forma speciale di
adempimento del dovere, essa risulta un’autonoma causa di giustificazione con un’autonoma sfera di
operatività, e con criteri e limiti diversi rispetto sia all’adempimento del dovere, sia la legittima difesa
È una scriminante prevista dal codice penale che risponde al clima politico autoritario degli anni in cui il
codice è stato scritto, motivo per il quale ha subito sempre un’interpretazione Fortemente restrittiva, per
evitare che tale scriminante portasse a giustificare abusi da parte dell’autorità.
Anzitutto, è stato detto che il tenore letterale dell’articolo 53 chiarisce la natura sussidiaria di questa
scriminante, che pertanto puó essere applicata dal giudice solo quando non siano riscontrabili altre
scriminanti che possano allo stesso modo giustificare il soggetto. Si tratta quindi di un extrema Radio. La
giurisprudenza ha poi applicato a tale scriminante Alcuni limiti caratteristici di altre scriminanti, come la
necessità e la proporzione, sempre cercando di restringerne l’operattività a caso eccezionali. Inoltre
un’interpretazione ristretta è stata anche data al concetto di pubblico ufficiale, poiché si considera che
tale scriminante sia rivolta non a tutti i pu ma esclusivamente a quei pubblici ufficiali che abbiano il
regolare porto d’armi per l’assolvimento dei propri doveri, e quindi ai soli appartenenti alla cosiddetta
Forza pubblica: carabinieri poliziotti e Guardia di Finanza.
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allo stesso modo, l’attività per lo svolgimento della quale il pubblico ufficiale dovesse ricorrere all’uso
delle armi, deve essere un’attività che legittima l’uso della forza: non sarà certo scriminato ufficiale dei
carabinieri che utilizzi l’arma per colpire un candidato di un concorso che reclama perché durante le
prove scritte avvisto un altro candidato.
Il comma due dell’articolo 53 poi specifica che è scriminante sempre per l’uso delle armi anche il
soggetto non appartenente alla forza pubblica che abbia prestato assistenza al pubblico
ufficiale.naturalmente però questo soggetto privato che uso delle armi deve averlo fatto su richiesta del
pubblico ufficiale, nei limiti della legge. Questo può accadere ad esempio durante un cosiddetto tumulto,
quando agli agenti della forza pubblica è concesso chiedere assistenza anche soggetti privati.ma se
invece un soggetto privato spontaneamente usa un’arma, anche se posseduta legalmente, per aiutare le
forze dell’ordine, Non potrà invocare questa scriminante, ma al massimo la legittima difesa e lo stato di
necessità, o l’adempimento di un dovere.
Quanto all’elemento dell’adempimento di un dovere del proprio ufficio, che è un altro limite entro il
quale il pubblico ufficiale si deve muovere per essere scriminato quando usa le armi, sì è detto che va
interpretato in modo oggettivo: l’uso di armi deve corrispondere a una realizzazione oggettiva di un
interesse pubblico, e non ha nessuna rilevanza la finalità individuale che l’agente di forza pubblica stava
perseguendo. Sarà scriminato l’agente che usa il manganello per disperdere un gruppo di manifestanti
armati, ma non l’agente che lo usa per allontanare qualcuno che non gli era simpatico.
Da un punto di vista finalistico, poi, la gente che commette un reato utilizzando le armi e scriminante
solo se tale utilizzo era dovuto alla necessità di respingere una violenza, o alla necessità di vincere una
resistenza, o alla necessità di impedire la consumazione di alcuni gravi delitti.
la giurisprudenza precisato i contorni di tutti questi concetti. per quanto riguarda la violenza, essa può
essere fisica, o anche potenziale, nel senso di minaccia, purché seria grave e imminente.
La resistenza va intesa anche in senso passivo, quindi come fuga, anche se la giurisprudenza non è
d’accordo. Quindi secondo la dottrina l’agente di forza pubblica potrebbe usare le armi per fermare la
fuga di un soggetto, secondo la giurisprudenza no, o almeno non sarebbe applicabile QUESTA
scriminante in tal caso.
Per quanto riguarda la necessità di evitare la consumazione di alcuni gravi delitti (strage ecc), si è detto
che l’agente di forza pubblica è legittimato all’uso delle armi solo per impedire una commissione
Imminente del reato, ma non per fermare attività che sono meramente preparatorie al reato. Anche in
questo senso quindi l’operatività della scriminante è stata molto ridotta.
Come detto, poi, a questa scriminante sono state estese determinate concezioni sui limiti esistenti per
altri scriminanti, in primis il limite della proporzione tra interessi in conflitto, coerentemente alla
costituzione. Il ricorso alle armi deve essere quindi sempre considerato come extrema ratio, ed è
giustificato solo in situazioni nelle quali il pubblico ufficiale se non ricorresse le armi risulterebbe in
idoneo a realizzare un efficace opposizione alla violenza alla resistenza o reato che non qualcuno sta
compiendo.

VI. STATO DI NECESSITÀ

“Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri
dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né
altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.
Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo.
La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessità è determinato
dall'altrui minaccia; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l'ha
costretta a commetterlo”.

Lo stato di necessità è una situazione che e alcuni ordinamenti viene Ricondotta alla categoria delle
cause di giustificazione, mentre in altri viene ricondotto alla categoria delle scusanti, quindi delle cause
di esclusione della colpevolezza. L’la dottrina italiana prevalente a seguito la prima teoria, anche
valorizzando la collocazione della norma in esame proprio nella parte dedicata alle cause di
giustificazione.
La struttura dello stato di necessità presenta molte caratteristiche comuni a quella della legittima difesa,
con due differenze fondamentali. Innanzitutto l’azione del soggetto che realizza il reato, pur essendo in
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un certo senso difensiva, non è rivolta contro il soggetto aggressore, ma contro un terzo che non è
colpevole.
Inoltre, lo storo di necessità scrimina se volto a neutralizzare un pericolo attuale di un danno grave alla
persona, e non Per tutelare qualunque tipo di diritto o interesse legittimo aspettativa, come nella legittima
difesa. È pur vero, che il pericolo deve essere attuale, proprio come nella legittima difesa, ma anche in
questo caso c’è una piccola differenza: si ritiene che lo stato di necessità possa legittimare il soggetto ad
un’azione preventiva rispetto ad un eventuale offesa, cosa che non è prevista della legittima difesa.
Esempio: tizio è un collaboratore della giustizia, ex mafioso, E ho fatto condannare un altro mafioso,
caio, grazie una sua testimonianza. Caio esce di prigione, tizio lo sa, e sa che caio ha detto di voler
ucciderlo, e quindi pur essendo sottoposto ai domiciliari scappa da casa sua. Il suo reato, che si è
realizzato nell’evadere dai domiciliari, ed è rivolto contro l’amministrazione della
Giustizia, sarà scriminato per stato di necessità, poiché ha agito preventivamente per evitare un pericolo
concreto. (NB io non sono d’accordo con questo esempio: vedi comma 3.)
Anche nello stato di necessità, il pericolo attuale non deve essere volontariamente creato dall’agente e
Inoltre il pericolo non deve essere altrimenti evitabile, similmente a quanto si prevede per la legittima
difesa.ma si ritiene che in questo caso il giudizio debba essere ancora più restrittivo. Ad esempio si
esclude lo stato di necessità come scriminante, nei casi in cui un soggetto commetta un furto in
situazione di grande povertà, poiché si ritiene che egli avrebbe comunque potuto ricorrere agli istituti
assistenziali previsti nel diritto della previdenza sociale e del lavoro, come ad esempio il reddito di
cittadinanza.
Anche il concetto di danno grave alla persona, va inteso, come detto, in una accezione più restrittiva
rispetto a quella della legittima difesa, che parla più in generale di un diritto proprio o altrui. Questo non
vuol dire però, che lo stato di necessità posso assistere solo quando un soggetto agisce per un pericolo
solo alla vita o all’integrità.la dottrina moderna ritiene che danno grave ricomprende anche minacce di
offese ad altri beni personali giuridicamente rilevanti, come l’onore, la riservatezza eccetera. Sono però
esclusi i beni patrimoniali.naturalmente, anche in questo caso, La misura della gravità sarà parametrato
alle condizioni del soggetto che agisce per evitare il pericolo, e all’intensità della minaccia stessa. Per
quanto riguarda la proporzione tra il pericolo che si vuole neutralizzare, e il danno compiuto con l’azione
necessitata, si può rimandare ai concetti elaborati in merito alla legittima difesa. Il giudizio qui deve
essere, tuttavia, ancora più rigido: colui che opera per stato di necessità comunque crea un danno a
qualcuno che non lo aveva aggredito, e che quindi va tutelato perchè incolpevole. Tuttavia, secondo il
libro, è possibile che l’azione compiuta per stato di necessità possa ledere un bene giuridico superiore
rispetto a quello che tale azione era finalizzata a proteggere: la valutazione deve essere fatta
complessivamente in base alla situazione concreta. Pensiamo al caso di tizio che per accompagnare in
ospedale il collega Caio, ferito, aumenta la velocità oltre il consentito e causa un incidente in cui muore
Sempronio. Tizio sarà scriminato anche se il bene leso, ossia l’avita di Sempronio, ha una valenza
superiore rispetto all’integrità fisica di caio, perchè ai fini delle ordinamento, il
Comportamento di tizio è comunque tollerabile, poichè comunque volto a salvaguardare un bene
costituzionalmente garantito.
3 comma: Per quanto riguarda il concetto di costrizione dall’altrui minaccia, che puó portare il soggetto
ad agire in stato di necessità, sì è detto che essa consiste nella oggettiva impossibilità per il soggetto
stesso di tutelare il bene giuridico messo in pericolo in modo diverso, ossia senza sacrificare il terzo
innocente.
Tutte le volte in cui, quindi, il soggetto, di fronte ad una minaccia di qualcuno, aveva un’alternativa per
difendere il suo bene, che non comportasse il sacrificio per il terzo, egli non potrà essere scriminato per
stato di necessità.
(Questo è il motivo per cui non sono d’accordo con l’esempio che si è fatto prima, riguardo al soggetto
che scappa dei domiciliari: egli aveva un’alternativa valida per difendersi, senza violare le regole, ossia
chiedere aiuto alle autorità. CHIEDI A SBARRO)
Va sottolineato che nello stato di necessità determinato dall’altrui minaccia, così come disciplinato nel
comma tre, che quindi costituisce un’ipotesi particolare, il soggetto si trova di fronte a un’alternativa che
però pregiudica la sua libertà di giudizio: non agisce in modo lucido perchè ha subito una minaccia.
Questo è il motivo per cui, sempre ai sensi del comma 3, chi ha costretto tale soggetto ad agire per stato
di necessità, e quindi colui che lo minaccia, deve rispondere in concorso, come istigatore, per il reato che
ha commesso il minacciato.
Questo fatto però conferma che il fatto compiuto dal soggetto che agisce per stato di necessità dietro
minaccia è comunque un illecito, come tale antigiuridico: ecco perché si dice che in questa situazione, il
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soggetto che agito per stato di necessità non è scriminato, visto che l’wntitiuridicità del fatto rimane, ma
è scusato sul piano della colpevolezza, poiché non è rimproveravi concretamente in quanto la sua
capacità di giudizio e le sue possibilità di azione erano limitate dalla minaccia subita.
A ME STA COSA NON CONVINCE: CHIEDI A SBARRO.
Per quanto riguarda infine il comma due dell’articolo 54, esso esclude l’operatività dello stato di
necessità nei riguardi di soggetti che Che abbiano compiuto un reato sempre per stato di necessità, ma
che però avevano uno specifico obbligo giuridico di affrontare il pericolo che gli apportati a reato stesso.

COLPEVOLEZZA – IL TERZO ELEMENTO STRUTTURALE DEL REATO

La pena simboleggia un rimprovero mosso ad un autore: essa quindi riflette un giudizio di


“riprovazione” anche soggettiva nei confronti del fatto compiuto dall’autore, oltre l’oggettività Del
giudizio su tipicità e antigiuridicità.
Per questo esiste la colpevolezza, il terzo pilastro della costruzione del reato che consiste proprio nella
rimproverarabilità soggettiva dell’atteggiamento “antidoveroso” che il soggetto ha dimostrato nella
realizzazione del fatto illecito.
La categoria della colpevolezza è una categoria molto controversa, dei contorni non definiti in modo
chiaro. È però un presupposto indefettibile della responsabilità penale, necessaria affinché il reato sia
completo in ogni suo aspetto: ove la colpevolezza sia esclusa, come nel caso delle scusanti, il reato non
sarà completo.
Ove il fatto invece sia anche colpevole, di norma sarà anche punibile in quanto reato completo, salvo
l’esistenza, come si vedrà, delle condizioni obiettive di punibilità.
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Il giudizio di colpevolezza segue sempre quelli di tipicità e antigiuridicità, dal momento che se un fatto
non fosse tipico e antigiuridico automaticamente non potrebbe certo essere colpevole.
Si distingue però dei giudizi di tipicità e antigiuridicità perché, come si è detto, esprime una valutazione
personalistica, ritagliate sulla figura dell’autore, e quindi una valutazione di individuale meritevolezza
della pena di questo soggetto.
Proprio in virtù di questa dimensione personalistica della colpevolezza, nel giudizio sulla sussistenza o
meno della colpevolezza avranno rilevanza dei fattori e dei processi Che appartengono proprio alla
mente individuale del soggetto, alla sua psiche, al suo modo di essere e ragionare: aspetti che non hanno
rilevanza ai fini della tipicità e dell’antigiuridicità, perché quelli della colpevolezza sono aspetti che
riguardano proprio la persona concreta che ha compiuto il fatto, aspetti che come sappiamo non hanno
rilevanza nell’oggettività del giudizio della tipicità e dell’antigiuridicità, per le quali si compie una
valutazione assolutamente anonima e impersonale, che non tiene conto delle caratteristiche personali
dell’autore, ma è riferita ad un autore astratto.
La colpevolezza in ambito penale e veramente una colpevolezza che va valutata dal punto di vista
giuridico, il riferimento delle norme giuridiche, e non da un punto di vista morale, dal momento che si
tratta di ordinamenti, quello giuridico e quello morale, ben distinti tra di loro, sebbene possa capitare che
un reato sia anche moralmente rimproverabile (omicidio) ma non sempre lo è (possesso ingiustificato di
grimaldelli). L’ordinamento giuridico ha una valenza esterna dovuta al fatto che le norme hanno validità
oggettiva, a fronte della quale sono previste sanzioni per le violazioni, mentre l’ordinamento morale ha
valenza solo interna, nelle coscienze dei soggetti, e senza conseguenze sanzionatorie in caso di
violazioni.
La colpevolezza e poi deve essere un giudizio di rimprovero per il fatto compiuto, e non per le
caratteristiche soggettive, il carattere, il modo di essere di una persona. Non è ammesso nel nostro
ordinamento, anche per il principio di materialità, la colpevolezza di autore, che consentirebbe di Punire
un soggetto proprio per questi aspetti. Sebbene vi sia chi in dottrina ha considerato la disciplina
particolare della recidiva come una forma di colpevolezza per la condotta di vita, come si vedrà.
Insomma, l’oggetto di rimprovero di colpevolezza è solo e soltanto la commissione di un fatto tipico e
antigiuridico, in relazione alle caratteristiche personali dell’autore, ma mai direttamente e solamente
queste caratteristiche.
Nel corso della sua evoluzione dogmatica, che la categoria della colpevolezza assunto sembianze molto
diverse. Inizialmente, fino all’inizio del secolo scorso, la dottrina riteneva che la colpevolezza fosse una
relazione psicologica tra l’autore e il fatto, e quindi si identificasse solo e soltanto con il dolo o la colpa.
Si trattava della concezione psicologica della colpevolezza, nata nel fine ottocento, collegata al concetto
classico di reato di Von Liszt, che ispiró anche il nostro cp: una concezione che mostrò ben presto molte
contraddizioni. Innanzitutto, dolo e colpa non possono ricondursi a un concetto unitario: il dolo ha una
struttura psicologica reale, ossia la volontà e la rappresentazione, mentre la colpa ha una struttura
solamente normativa, visto che non è compatibile né con la volontà né con la rappresentazione, ad
eccezione della sua variante aggravata della colpa con previsione. Quindi dolo e colpa sono entità
diverse proprio per la diversità della relazione psichica tra agente e fatto, in quanto tali non possono
essere considerati in modo unitario. Peraltro, visto che la colpevolezza si considerava solo la relazione
psichica tra fatto e autore, non era neanche graduata bile.ciò perchè tale relazione psichica o era
sussistente o non era sussistente, ma non era valutabile in termini di gravità maggiore o minore.
Principalmente in virtù di queste due critiche, gli inizi del 900 si sviluppò una diversa concezione,
normativa della colpevolezza, prima in Germania e poi in Italia. La colpevolezza, secondo questa
successiva concezione, esprime un rimprovero individuale all’agente per aver agito in modo diverso da
come avrebbe potuto e dovuto fare, un rimprovero per un comportamento antidoveroso, contrario ad un
precetto giuridico. Come si nota, questa definizione può abbracciare sia il dolo sia la colpa: nel dettaglio,
“il fatto doloso è un fatto volontario che non si doveva volere, il fatto colposo è un fatto involontario che
non si doveva comunque produrre”.
Così la colpevolezza non è più soltanto un elemento psicologico, ma un concetto più ampio nel quale
rientrano ulteriori elementi costitutivi rispetto al dolo e la Colpa. Infatti per essere colpevole e quindi
rimproverabile individualmente, un soggetto:
- deve avere al momento del fatto una maturità e una normalità psichica, cioè una capacità di intendere e
volere (IMPUTABILITÀ);
-deve conoscere il precetto o ignorarlo per sua responsabilità (COSCIENZA DELL’ILLICEITÀ);

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-deve cadere in colpa o dolo ANCHE DA UN PUNTO DI VISTA DELLA COLPEVOLEZZA
INDIVIDUALE, oltre che dal punto di vista del fatto tipico (DIMENSIONE “soggettiva” DEL DOLO E
DELLA COLPA);
-non deve ricadere in situazioni anomale previste dalla legge come cause di esclusione della
colpevolezza (ASSENZA DI SCUSANTI);
Se qualcuna di questi elementi non sussiste, un fatto seppur antigiuridico e tipico sarà comunque non
colpevole. Peraltro, con questa nuova concezione della colpevolezza, diventa possibile graduare il
giudizio di colpevolezza stesso, considerando le condizioni personali ed esistenziali, nonché i motivi
dell’agire, che appartengono all’autore concreto. La sua maggiore o minore rimproverabilità avrà poi un
ruolo importante nella determinazione pratica della pena: un furto compiuto da un soggetto milionario
non avrà lo stesso giudizio di rimprovera abilità individuale di uno stesso furto della stessa entità
compiuto da un soggetto in stato di indigenza.
La colpevolezza quindi è un concetto strutturalmente complesso nel quale rientrano una molteplicità di
elementi. Ovviamente tali elementi costituitivi della colpevolezza vengono predeterminati dalla legge,
per rispetto del principio di legalità: non si potrebbe lasciare al giudice un potere illimitato di individuarli
in base alla situazione concreta.
Quanto alla detta struttura della colpevolezza, innanzitutto bisogna ricordare che non vi appartiene il
requisito della coscienza e volontà dell’azione, la cosiddetta suitas, che invece rileva ai fini del fatto
tipico: atti e movimenti che non sono coscienti, come quelli determinati da forza maggiore o da
costringimento fisico sono privi di qualsivoglia significato penale, non sono imputabili al soggetto già
sul piano oggettivo del fatto tipico. Tanto è vero che in questi casi la formula dell’assoluzione in
processo sarà “perché il fatto non sussiste”. Fanno invece parte della colpevolezza (analizzati
dettagliatamente dopo):
I. Imputabilità, ossia la capacità di intendere di volere dell’autore al momento del fatto. Infatti un
rimprovero personale ha senso solamente se la persona cui è rivolta in grado di comprendere appieno il
significato di ciò che stava facendo. Il soggetto non imputabile può al massimo compiere un fatto tipico
ed antigiuridico, ma non colpevole, e al massimo potrà essere sottoposto ad una misura di sicurezza, ove
ricorrano i requisiti ai sensi degli artt 202/203 (vedi dopo).
II. La conoscenza del precetto. Se il soggetto agisce ritenendo erroneamente (ERRORE SUL
PRECETTO) che la fattispecie di reato non sia applicabile al suo fatto, o ignorando del tutto che esista,
non potrà essere rimproverato in quanto non era consapevole appunto dell’illiceità della sua azione.
Tuttavia sarà considerato non colpevole solo se tale ignoranza era inevitabile (vedi dopo). Perché di
regola, l’ignoranza della legge non scusa.
III. Rienteano poi nel giudizio di colpevolezza naturalmente il dolo e la colpa. Tali requisiti soggettivi
tuttavia appartengono, come si è visto, anche al fatto tipico, in una dimensione quindi fattuale e
oggettiva. Per questo si parla di doppia posizione del dolo e doppia misura della colpa. All’interno della
categoria della colpevolezza, peró, il dolo e la colpa sono analizzati in una prospettiva più personalistica
ed individuale. Per accertare il dolo in chiave di colpevolezza si considera la consapevolezza
dell’offensività del fatto da parte dell’autore, cioè la coscienza attuale delle illiceità del fatto stesso,
finendo per sovrapporsi al giudizio sulla sua conoscenza della legge penale ex art 5 cp (vedi dopo). Per
accertare la colpa nella dimensione della colpevolezza, come visto a suo tempo, si valuta l’esigibilità in
capo del soggetto concreto autore del fatto del rispetto della regola cautelare che invece ha violato.
IV. Assenza di scusanti (CAUSE DI ESCLUSIONE DELLA COLPEVOLEZZA) determinate da legge
(requisito negativo), ossia assenza di situazioni che rendono non esigibile al soggetto un comportamento
alternativo a quello tenuto.
La colpevolezza assume un ruolo che può essere descritto in modo diverso a seconda della funzione della
pena, considerata in base alle diverse teorie che si sono susseguite.
In particolare, nell’ottica della prevenzione generale positiva della pena, in cui quindi la pena è un fattore
di orientamento culturale dei consociati, la colpevolezza sicuramente è funzionale a realizzare lo scopo:
nessuno è punito più di quanto merita, poiché sono ammesse solo risposte punitive proporzionate
appunto alla colpevolezza. Se così non fosse, una pena inflitta senza considerare il grado di colpevolezza
del soggetto determinerebbe un rigetto da parte della comunità, che avvertirebbe la pena come ingiusta,
E che quindi non si orientaterebbe culturalmente come vorrebbe viceversa proprio la funzione preventiva
generale positiva della pena.
Discorso simile anche per la prevenzione speciale positiva della pena: la rieducazione che è la finalità
individuale della pena, presuppone logicamente che il soggetto sia da rieducare: ma una persona che non
appare colpevole, aldilà che il fatto sia tipico e antigiuridico, non è una persona da rieducare, perché con
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il suo comportamento non ha manifestato una concreta ostilità alle norme incriminatrici e ai valori
dell’ordinamento. La colpevolezza quindi è necessaria per orientare la pena alla rieducazione, poiché
sono soggetti i colpevoli possono essere concretamente rieducati. Per quanto invece riguarda la
prevenzione Generale negativa della pena, le cose cambiano. Qui la colpevolezza appare, al contrario,
poco utile. !!!CHIEDI A SBARRO IL PERCHÉ: NON HO CAPITO NIENTE!!!
La colpevolezza, oltre a essere requisito essenziale del reato, è anche criterio rilevante di
commisurazione della pena (COLPEVOLEZZA GRADUANTE). Vi sono infatti elementi che si
valutano nel giudizio di colpevolezza, ad esempio i MOTIVI DELL’AGIRE, che permettono di variare il
quantum della pena proprio in proporzione alla maggiore o minore rimproverabilità dell’agente (art 133).
Pensiamo anche alle CONDIZIONI DI VITA del reo, che ad esempio sarà meno rimproverabile se si
accetta che ha compiuto il reato in un contesto di forte pressione negativa esercitata su di lui dalla
famiglia (sempre art 133).
NB: ci sono dei casi, addirittura, in cui i motivi dell’agire diventano ELEMENTI COSTITUTIVI
DELLA FATTISPECIE, che quindi rilevano anche sul piano della tipicità: pensiamo al maltrattamento
di animali, la cui norma incriminatrice richiede che sia compiuto PER CRUDELTÀ.
V. ESIBIGILITA’ CONCRETA DEL COMPORTAMENTO DIVERSO: secondo alcuni autori questa
costituirebbe un requisito di colpevolezza autonomo e generale. Secondo il libro non ha rilevanza
autonoma.

I. IMPUTABILITÀ

Art. 85: “Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui
lo ha commesso, non era imputabile. È imputabile chi ha la capacità d’intendere e di volere”.
Il primo fondamento della colpevolezza è dunque la capacità di intendere e volere (d’ora in poi la
chiamo CIV) dell’autore del fatto di reato: non sarebbe altrimenti configurabile un vero rimprovero, e al
massimo saranno applicabili le misure di sicurezza ove ne ricorrano gli ulteriori presupposti. Perchè la
CIV di un soggetto implica la sua consapevole capacità di scegliere tra diverse alternative di condotta, e
quindi di scegliere se compiere il fatto di reato oppure no.
In particolare, la capacità di intendere consiste nell’attitudine del soggetto a comprendere il significato
del proprio comportamento. Si parla di momento intellettivo dell’imputabilità. La capacità di volere
invece è l’attitudine del soggetto a controllare i propri impulsi e giudicare le proprie azioni. Si parla di
momento volitivo dell’imputabilità, che è progressivo rispetto al momento intellettivo e lo presume. La
capacità di intendere di volere va valutata al momento della commissione del fatto: quindi è ben
possibile che un soggetto l’avesse in un momento e non l’avesse in un altro, perché non è detto che un
soggetto sia sempre capace di intendere di volere. L’imputabilità viene presunta nei riguardi delle
persone adulte, cioè si considera di regola sussistente, salvo che non venga approvato altrimenti.
Quindi se un soggetto non imputabile, quindi incapace di intendere e di volere, compie un fatto tipico ed
antigiuridico, tale fatto non sarà comunque reato perché non è colpevole. Tuttavia anche in capo al
soggetto non imputabile è possibile configurare il dolo o la colpa, come conferma indirettamente anche
gli articoli 222 e 224 del codice penale, che, con riferimento proprio ai fatti tipici ed antigiuridici
compiuti dai non imputabili, richiedono al giudice di accertare dolo e colpa, così ammettendo
implicitamente che sia possibile la loro esistenza anche Con riferimento appunto a soggetti non
imputabili. Ma come si descrivono dolo e colpa di un soggetto non rimproverabile? Si ricostruiscono in
questo modo: il dolo del soggetto non imputabile si riconduce ad uno stato di semplice intenzionalità
della condotta, che non è però accompagnata da una consapevolezza reale del significato offensivo di ciò
che si sta facendo. Manca quindi la dimensione soggettiva del dolo.
Stesso discorso per la colpa, poiché la colpa del non imputabile si limita ad essere una violazione di una
regola oggettiva di cautela, senza che però ci sia anche, sul cosiddetto versante soggettivo della colpa,
una concreta rimproverabilità di questo non rispetto della regola cautelare.
DOMANDA A SBARRO: quindi dolo e colpa del soggetto non imputabile si limitano al piano oggettivo
della tipicità?
Anche l’errore sul fatto del soggetto non imputabile ha un aspetto particolare, perché in queste ipotesi
l’errore può essere dovuto esclusivamente al fatto che il soggetto non era capace di intendere di volere, e
si parla di errore condizionato. Per esempio Tizio, che soffre di deliri persecutori (quindi potremmo
parlare in realtà di Silvia), uccide Caio (Riccardo) perché pensa di doversi difendere da lui. Qui l’errore
sul fatto dipende ovviamente da un errore di rappresentazione della realtà, ma questo errore di
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rappresentazione della realtà a sua volta deriva dall’incapacità di intendere di volere, e quindi dai deliri
persecutori, dell’assassina Silvia. In questi casi NON si applica disciplina di errore sul fatto, che
renderebbe Silvia assolta per assenza di dolo, e quindi di tipicità. Infatti, se si applicasse la disciplina
dell’errore sul fatto andrebbe esclusa la tipicità, e quindi a Silvia non sarebbe applicabile una Misura di
sicurezza (che richiede fatto tipico e antigiuridico). Invece è necessario applicarla a Silvia in quanto
soggetto pericoloso. Ecco perché non si può applicare la disciplina sull’errore sul fatto, e quindi a Silvia
sarà comunque applicabile tale misura.
Ovviamente se invece l’errore sul fatto non dipende dall’incapacità di intendere di volere del soggetto, si
applicherà la disciplina dell’art 47 che esclude il dolo.
Eccezione alla regola dell’imputabilità è rappresentata dall’articolo 87: “La disposizione della prima
parte dell'articolo 85 non si applica a chi si è messo in stato d'incapacità d'intendere o di volere al fine di
commettere il reato, o di prepararsi una scusa”.
Tale articolo disciplina le cosiddette actiones liberae in causa, ossia I casi di incapacità “preordinata”,
che si hanno quando un soggetto compie un fatto tipico antigiuridico in stato di incapacità di intendere di
volere, ma dopo essersi messo coscientemente in questa condizione di incapacità di intendere di volere
proprio allo scopo di commettere il reato, che probabilmente non avrebbe compiuto in uno stato di
lucidità, o comunque per crearsi una scusa per averlo realizzato. In tali casi il soggetto non sarà scusato,
nonostante non avesse la CIV al momento del fatto, in deroga rispetto all’articolo 85. Naturalmente,
affinché questa eccezione possa operare, e affinchè il soggetto che si è volontariamente messo in una
situazione di incapacità sia comunque riproverabile e colpevole, è necessario che il fatto compiuto da
questo nel momento in cui non era capace, fosse proprio quel fatto che si era programmato di compiere.
Se invece ne compie un altro diverso, sarà punito per colpa, rientrando nell’ipotesi diversa di
ubriachezza volontaria (vedi dopo): pensiamo a tizio che si ubriaca appositamente per avere il coraggio
di uccidere Caio a colpire arma da fuoco, ma uccide sempre quest’ultimo in realtà in virtù di un incidente
automobilistico sempre causato dalla sua ubriachezza.
Un’altra applicazione particolare dell’imputabilità sia con riferimento all’articolo 86, il quale dice che
chi pone qualcun altro nello stato di incapacità di intendere di volere, al fine di far commettere un reato,
risponde di questo reato. Si parla di autoria mediata (non è nel programma).
Per quanto concerne le cause che escludono o diminuiscono l’imputabilità, esse sono previste nel
dettaglio dal codice penale degli articoli da 88 a 98, Dagli articoli considerano diversi parametri, come
l’età, le alterazioni patologiche dovute a infermità di mente, di alterazioni dovute invece all’azione di
alcol o di sostanze stupefacenti, ed infine il sordissimo. si tratta di cause che non sono tassative, in virtù
della portata generale dell’articolo 85: è ben possibile che possono venire in considerazione fattori
diversi da quelli previsti dal codice che comunque sono idonei a escludere la capacità di intendere di
volere di un soggetto nel momento in cui ha compiuto un fatto.
Ciò soprattutto con riguardo al vizio di mente (vedi dopo), visto che esistono diversi disturbi non
codificati nella medicina, che quindi non sarebbero qualificabili “vizio di mente” ai sensi del codice, che
però potrebbero comunque portare un soggetto a trovarsi in una condizione effettiva di incapacità di
intendere e di volere.
1.Ad ogni modo, la prima situazione di incapacità di intendere di volere tipizzata dal codice ha come
riferimento la minore età. A tal proposito, l’articolo 98 comma 1 (il comma 2 è di parte speciale) dice:
“È imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto aveva compiuto i quattordici anni, ma non
ancora i diciotto, se aveva capacità d'intendere e di volere; ma la pena è diminuita”.
Mentre il precedente articolo 97 dice: “Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto,
non aveva compiuto i quattordici anni”.
In sostanza esistono tre classi di età: i minori di anni 14, i minori di anni 18 che abbiano compiuto i 14
anni, i maggiorenni. Su questi ultimi si è già detto che vi è una presunzione relativa di capacità, nel senso
che si considerano di norma capaci di intendere di volere, almenoche non si dimostri il contrario.
Con riguardo invece ai primi vi è una presunzione assoluta di incapacità: il minore di anni 14 è
immaturo, e quindi come tale non capisce il senso delle proprie azioni, e quindi non è imputabile, e non è
mai imputabile, nel senso che non è possibile una prova contraria. Qualora sia socialmente pericoloso, e
comunque applicabile una misura di sicurezza. Per quanto riguarda i minori di anni 18 ma che abbiano
compiuto i 14 anni, non c’è nessuna presunzione legale sulla loro capacità o incapacità. Bisognerà
accertare in concreto l’imputabilità o meno di questo tipo di soggetto. Si tratterà di un giudizio fondato
sul suo grado di maturità a livello fisico che a livello psichico, considerando fattori biologici ma anche
fattori affettivi e sociali.

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2.Gli articoli 88 e 89 riguardano invece ulteriori ipotesi tipizzate di non imputabilità, ossia il vizio di
mente totale o parziale. Art. 88: “Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per
infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità d'intendere o di volere”.
Art. 89: “Chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da
scemare grandemente, senza escluderla, la capacità d'intendere o di volere, risponde del reato commesso;
ma la pena è diminuita”.
Quindi l’articolo 88 esclude l’imputabilità, l’articolo 89 la diminuisce dal punto di vista graduale, con
effetti sulla gradualità della colpevolezza in generale, e quindi con effetti sulla pena, che infatti è
diminuita. L’infermità psichica non ha mai avuto una definizione unitaria, esistendo infatti due
paradigmi diversi. Il primo è il paradigma medico: seguendo questo, l’infermità mentale deve essere
ancorata al concetto di malattia mentale, così come riconosciuta e disciplinata dei manuali medici. Solo
chi ha compiuto il fatto perchè affetto da una malattia mentale riconosciuta a livello clinico è non
imputabile.
Secondo invece il secondo paradigma, quello psicologico, il concetto di infermità mentale comprende la
malattia psichiatrica riconosciuta clinicamente, ma anche i disturbi psichici transitori che non abbiano
una classificazione clinica, purchè si dimostri il loro carattere patologico e morboso. La corte di
cassazione ha seguito questa seconda impostazione, considerando possibili vizi di mente anche i disturbi
della personalità. Viceversa il codice penale fa riferimento al paradigma medico, quindi più restrittivo,
ma il libro considera rilevante il modello di paradigma psicologico, in coerenza con la pronuncia della
corte di cassazione, e con l’evoluzione generale dell’ordinamento.
Ovviamente in ogni caso, per escludere la colpevolezza dell’infermo di mente, deve essere dimostrato il
nesso eziologico tra il disturbo mentale e il fatto di reato: se invece il soggetto che ha un vizio di mente
compie un fatto in un momento di lucidità, o comunque non dettato dal suo stato di mente, e comunque
imputabile. Se Silvia, che soffre di disturbo bipolare, compie un furto a Suit, quel furto non sarà scusato
perché nulla ha a che vedere con il suo accertato disturbo mentale.
Il vizio di mente può essere totale o parziale, come si è visto. Il vizio di mente totale esclude
completamente la capacità di intendere e di volere sensi dell’articolo 88. Ovviamente al soggetto che
abbia compiuto un fatto di reato in virtù di un vizio totale di mente e comunque applicabile una misura di
sicurezza ove ricorrano i presupposti. Il vizio parziale si ha invece quando la capacità di intendere di
volere è grandemente scemata ma non è esclusa. Si parla in questo caso di soggetto semi imputabile, che
ha diritto al massimo ad una riduzione della pena. Anche in questo caso sarà applicabile una misura di
sicurezza. NB: La distinzione tra le due forme (totale-parziale) è Di natura solo quantitativa, cioè non
dipende dalla gravità della malattia, ma da come la Malattia ha influito (totalmente o parzialmente)
sull’azione.
L’art. 90 ESCLUDE poi che possano avere rilevanza per escludere la punibilità gli STATI
PASSIONALI ED EMOTIVI di un soggetto al momento del fatto, cioè quelli determinati non da un
vizio di mente ma da fattori sentimentali e affettivi: il Soggetto se non ha una patologia che altera il suo
equilibrio psichico deve MANTENERE IL SUO AUTOCONTROLLO EMOTIVO, e se non lo fa e
compie un reato sarà imputabile è colpevole. NB: il libro peró dice che di frequente gli stati passionali ed
emotivi finiscono per divenire patologici e quindi rientrare negli artt. 88-89, come accade per la Gelosia
delirante, che è una versione patologica della gelosia passionale.
3.Un’ulteriore causa tipizzata di esclusione della CIV attiene all’azione dell’alcol e degli stupefacenti.
Art. 91: “Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva la capacità
d'intendere o di volere, a cagione di piena ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza maggiore.
Se l'ubriachezza non era piena, ma era tuttavia tale da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità
d'intendere o di volere, la pena è diminuita”.
Questa forma di ubriachezza accidentale ed incolpevole rende il soggetto non imputabile al momento del
fatto, e quindi non colpevole. Neppure si puó applicare una misura di sicurezza. Ubriachezza accidentale
è un caso di scuola: pensiamo a tizio che annusa vapori alcolici prodotti da un macchinario, si ubriaca e
picchia caio.
Art. 92 comma 1: “L'ubriachezza non derivata da caso fortuito o da forza maggiore non esclude né
diminuisce la imputabilità”.
Il primo comma riguarda ubriachezza cosiddetta VOLONTARIA, che può essere colposa (più
frequente), cioè dovuta ad un’esagerazione negligente di consumo di alcol, o dolosa, cioè dovuta alla
volontà diretta di ubriacarsi (pensiamo a chi vuole smaltire una delusione amorosa). Il soggetto sarà
comunque imputabile, per esigenze di prevenzione generale: sono casi frequenti quelli di delitti compiuti
in questi stati psichici, e renderli non colpevoli li avrebbe resi ancora più frequenti.
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PROBLEMA: ma quale coefficiente psicologico c’è in queste situazioni? Secondo un orientamento che
oggi è stato superato, l’elemento soggettivo del reato compiuto da chi si è posto dolosamente o
colposamente in stato di ubriachezza dipenderà proprio dal dolo o dalla colpa a lui attribuibile nel
momento in cui si è posto in condizione di incapacità di intendere di volere: se si è posto in tale
condizione perché si è volontariamente ubriacato, il delitto conseguente sarà punito per dolo A
PRESCINDERE. Se si è posto in tale condizione perché si è ubriacato a causa di negligenza, il delitto
conseguente sarà punito per colpa. Questo orientamento è stato negli anni 70 supportato dalla corte
costituzionale.
Tuttavia è ben possibile che un soggetto si ponga volontariamente stato di ubriachezza, ma compia un
reato per colpa e viceversa. In queste situazioni, in cui cioè lo stato psicologico al momento
dell’ubtiachezza non è lo stesso che sussiste al momento del reato, imporre al reato quello stato
psicologico precedente appare aberrante. Per questa ragione si preferisce un altro orientamento, secondo
il quale il dolo e la colpa dell’ubriaco devono essere accertati in base non allo stato psicologico in cui il
soggetto si è posto in ubriachezza, ma allo stato psicologico sussistente al momento del reato. Se un
soggetto ubriaco, anche volontariamente, causa un incidente con ferito per guida imprudente, sarà punito
per colpa. Se un soggetto ubriaco per negligenza, uccide il rivale, colpendolo con diverse coltellate, sarà
punito per dolo. Quindi si utilizzano i normali criteri di imputazione soggettiva, con una FINZIONE
LEGALE DI IMPUTABILITÀ: anche se il soggetto al momento del fatto era effettivamente ubriaco, e
quindi non imputabile, viene considerato capace di intendere e di volere, e quindi imputabile.
Questo però appare contrario al principio di colpevolezza, creando una forma di responsabilità oggettiva,
perchè un soggetto viene punito pur senza un reale coefficiente soggettivo che lo lega all’azione
compiuta.
Art. 92 comma 2 introduce poi l’UBRIACHEZZA PREORDINATA, la forma “classica” di actio libera
in causa, in cui un soggetto si ubriaca volontariamente per poi compiere un reato. È una forma speciale
perchè non solo il soggetto è colpevole per il fatto, pur non essendo imputabile al momento del fatto
perché senza CIV, ma è anche AUMENTATA LA PENA, come afferma l’articolo.
NB: articoli 91 e 92 sono estesi, ai sensi dell’articolo 93, anche ai soggetti sotto effetto di stupefacenti,
poichè vi è equiparqzione totale tra gli effetti di tali sostanze e quelli dell’alcol.
Art. 94: “Quando il reato è commesso in stato di ubriachezza, e questa è abituale, la pena è aumentata.
Agli effetti della legge penale, è considerato ubriaco abituale chi è dedito all'uso di bevande alcooliche e
in stato frequente di ubriachezza. L'aggravamento di pena stabilito nella prima parte di questo articolo si
applica anche quando il reato è commesso sotto l'azione di sostanze stupefacenti da chi è dedito all'uso di
tali sostanze”.
Per l’ubriaco abituale, quindi, non solo vi è finzione di imputabilità, sicchè viene punito per un fatto
compiuto anche se non era imputabile (come per ubriachezza volontaria), ma viene anche aumentata la
pena (come per ubriachezza preordinata). Tutto ciò appare doppiamente sbagliato, sia perché, proprio
come si è analizzato in precedenza, considerare colpevole un ubriaco, anche abituale, costituirebbe una
forma di responsabilità oggettiva contraria al principio di colpevolezza, sia, in secondo luogo, perché un
simile trattamento penale sembrerebbe orientarsi verso una forma di colpevolezza per la condotta di vita,
con cui si vuole punire un soggetto per la sua abitudine ad ubriacarsi più che per il reato in sè. Ció, nel
nostro ordinamento, anche in virtù del principio di materialità, non dovrebbe essere possibile.
Art. 95 “Per i fatti commessi in stato di cronica intossicazione prodotta da alcool ovvero da sostanze
stupefacenti, si applicano le disposizioni contenute negli articoli 88 e 89”
Tale articolo quindi considera i reati compiuti in virtù della dipendenza da alcol o da sostanze
stupefacenti come distinti da quelli compiuti per ubriachezza o intossicazione “una tantum”, cioè
episodica.
Questo significa che un alcolista, o un tossicodipendente, sono considerati alla stregua di soggetti aventi
vizio totale o parziale di mente, e come tali non sono imputabili. In realtà la totale equiparazione tra
intossicazione cronica da alcol e quella da stupefacenti appare criticabile, visto che l’ultimo stadio
dell’alcolismo ha un quadro clinico diverso da quello di un tossicodipendente.
Art. 96 “Non è imputabile il sordomuto che, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva, per
causa della sua infermità, la capacità d'intendere o di volere.
Se la capacità d'intendere o di volere era grandemente scemata, ma non esclusa, la pena è diminuita”.
A partire dal 2006 e questo articolo si applica anche ai sordi semplici, che, come sordomuti, sono
considerati alla stregua dei minori tra i 14:18 anni. Ciò significa che se un sordo o un sordomuto
commette un fatto previsto dalla legge come reato, bisognerà accertare in concreto, caso per caso, la sua
imputabilità. Attualmente tale opzione legislativa non appare condivisibile, dal momento che il
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sordissimo non risulta essere effettivamente un’infermità che posta alterare l’equilibrio psichico di un
soggetto, anche per il progresso della scienza. Tanto è vero che secondo il libro tale articolo andrebbe
abrogato.

II. COSCIENZA DELL’ILLICEITA’

La coscienza dell’illiceità è un ulteriore elemento costitutivo della colpevolezza, i cui contorni si


delineano a partire dalla sentenza 364 del 1988 della corte costituzionale, che ha riscritto il precetto
dell’articolo cinque del codice penale. Tale articolo, nella sua versione originaria, affermava in modo
perentorio che nessuno poteva invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale. Pertanto si poteva
essere responsabili penalmente di un fatto di reato, anche senza avere la consapevolezza che quel fatto
che si stava compiendo era effettivamente un reato, ossia illecito dal punto di vista penale. Il principio in
esame, ossia quello di ignorantia legis non excusat, rispondeva ad esigenze di carattere politico criminale
tipiche dello Stato fascista che voleva affermare l’autorità della legge e la sua prevalenza sulle libertà
individuali: chi la violava, anche senza consapevolezza di averla violata, doveva rispondere del fatto di
reato. Tale esigenza, con l’inizio dell’evoluzione dell’ordinamento repubblicano, è venuta meno:
oltretutto, ultimamente numerosissime sono le fattispecie penali non previste dal codice, ma in leggi
speciali, spesso peraltro fattispecie tecniche di difficile lettura, per le quali è difficile presumere o dare
per scontato che un soggetto possa conoscerle e comprenderle. Ma soprattutto, il principio di
colpevolezza previsto dall’articolo 27, comma uno e comma tre, così interpretato in modo sistematico,
richiede che vi sia una rimproverabilità, e quindi rieducazione del soggetto affinchè possa essere ritenuto
colpevole. E appare complicato rimproverare, e quindi poi rieducare (art 27 comma 3) un soggetto per un
fatto che egli non sapeva fosse illecito, A MENO CHE NON ERA DOVEROSO PER LUI
CONOSCERE TALE ILLICEITÀ.
Il principio logico che spira la sentenza numero 364 è proprio questo: ossia la necessità di dover
distinguere, cosa che non faceva l’articolo cinque nella sua vecchia formulazione, la conoscenza del
precetto penale e la conoscibilità, ossia la possibilità concreta di conoscenza, dello stesso precetto
penale. Entrambe costituiscono presupposto della colpevolezza, ma NON SONO LA STESSA COSA.
La sentenza 364 permette alla corte di esaltare la valenza garantistica del principio di colpevolezza,
considerato indispensabile per garantire al privato che sarà chiamato a rispondere penalmente solo per
azioni consapevoli e colpevoli, ossia compiute:
-con un coefficiente minimo soggettivo di partecipazione al fatto di reato, e tale requisito soggettivo
minimo è la colpa. Proprio per questo, appunto, si è detto che dovrebbero essere eliminate dal codice
tutte le fattispecie di responsavikità oggettiva.
-avendo avuto la possibilità di sapere che quel fatto era reato, prima di compierlo.
NON SONO, infatti, azioni consapevoli e colpevoli, quelle compiute dal soggetto nell’ignoranza
INEVITABILE che tali azioni costituiscano reato. Perchè in tali casi mancherebbe un consapevole
contrasto del soggetto con i valori della convivenza: anche il rapporto tra autore e norma
Penale rientra nella lettura costituzionalmente orientata del principio di colpevolezza.
Per tale ragione è stato dichiarato incostituzionale l’articolo 5 cp, “nella parte in cui” considerava
colpevole chi avesse compiuto reato anche senza la CONOSCENZA POTENZIALE della norma penale
che ha violato, per il rigido principio ignorantia legis non excusat.
La norma in altre parole non considerava il caso di chi ha compiuto un fatto di reato non solo senza
sapere che lo fosse, ma senza AVER POTUTO SAPERLO, quindi per IGNORANZA INEVIYABILE
della legge penale, causata dalla NON CONOSCIBILITÀ concreta della norma che violato.
Pertanto, la coscienza dell’illiceità diventa un requisito di colpevolezza, senza il
Quale (come accade per imputabilità) il soggetto non è stato in grado di orientarsi consapevolmente sulla
scelta di agire o meno quando ha compiuto il reato, e quindi non è rimproverabile, anche se ricade in
dolo. Infatti, come è stato precisato, è ben possibile compiere un fatto con volontà e rappresentazione,
ma SENZA CONSAPEVOLEZZA DELL’ILLICEITÀ.
Si tratta del cosiddetto ERRORE SUL PRECETTO, che non esclude il dolo (a differenza di quello sul
fatto) perchè la volontà del soggetto era quella di compiere il fatto così come l’ha compiuto, ma esclude
la colpevolezza, per tutte le ragioni anzidette.
Ad ogni modo, l’articolo 5 viene ora inteso, a seguito della sentenza interpretativa della corte, nel senso
della RILEVANZA RELATIVA dell’’ignoranza della legge penale: essa non è sempre non scusata, ma
puó essere scusata se quindi è inevitabile, se pertanto era stato impossibile per il soggetto conoscere
105
quella norma che ha violato. L’ignoranza inevitabile della legge penale è un’ignodanza incolpevole che
esclude colpevolezza del soggetto.
Diventa fondamentale quindi comprendere quando l’ignoranza della legge penale è inevitabile e quando
invece è evitabile. L’attenzione si focalizza sui doveri di informazione che sono imposti al soggetto
affinché resti aggiornato in ordine all’esistenza di nuovi reati.un dovere di informazione che quindi è
assolutamente necessario per l’osservanza dei reati introdotti dal legislatore. Perciò la corte
costituzionale ha detto che è una ignoranza inevitabile quella che sussiste nonostante il soggetto abbia
correttamente e puntualmente adempiuto ai suoi doveri di informazione. È invece evitabile, come tale
non può scusare, ignoranza della legge penale che deriva dal mancato assolvimento di questi doveri di
informazione.per adempiere tra i doveri di informazione con ordinare diligenza, il soggetto deve
accertare in qualunque modo l’evoluzione della legislazione penale, anche rivolgendosi a fonti
qualificate affidabili, per avere informazioni credibili.il soggetto deve quindi porsi nelle condizioni ideali
per potersi informare correttamente sulla registrazione penale. Per esempio, non si può invocare
l’ignoranza inevitabile, se il soggetto in questione a compiuto un reato che non conosceva perché viveva
in condizioni di eremita. Tuttavia per valutare il corretto adempimento dei doveri di informazione si
potrà nuovamente fare ricorso al parametro dell’agente Modello, lo stesso utilizzato per l’accertamento
della colpa generica. Si tratterà quindi di individuare le caratteristiche che costruiscono il parametro
dell’agente modello: si tratta quindi del livello di socializzazione, del bagaglio culturale, dell’attività
professionale svolta, ma non delle doti intellettive e caratteriali.
Di fronte a un soggetto che ha compiuto un fatto di reato, e che invoca l’ignoranza della legge penale che
punisce quel fatto, per essere scusato, Il parametro dell’agente modello sarà utilizzato dal giudice sotto
due profili.
1.Innanzitutto bisognerà valutare se l’autore del fatto, comportandosi da agente modello, avrebbe dovuto
avere la conoscenza di quella norma violata. Ad esempio non potrà essere scusato un importante
avvocato che ha violato una norma penale appena introdotta, anche se costui si scusa dicendo che non
aveva avuto il tempo di studiarla. Il
Suo ruolo gli imponeva un costante aggiornamento. In altre parole, se l’avvocato in questione si fosse
comportato come un avvocato modello, cioè secondo il parametro di agente modello della sua
professione e del suo contesto sociale, avrebbe dovuto sapere che era stata introdotta 1 nuova norma
penale.
2. Poi bisognerà valutare se l’autore del fatto, comportandosi da agente modello, avrebbe dovuto
valutare meglio la serietá dell’informazione ricevuta. Non sarà scusato un laureato in giuarisprudenza, se
compie un reato da poco introdotto, e poi si scusa in processo dicendo di aver chiesto informazioni ad un
appuntato dei carabinieri, che l’aveva rassicurato dicendo che era lecito fare ció che poi ha fatto. Infatti,
un laureato modello avrebbe dovuto sapere che l’appuntato dei carabinieri non era una fonte attendibile
di cui fidarsi.
In entrambe queste situazioni il soggetto che compie il fatto ignorando la legge, quantomeno aveva il
dubbio che questo fatto fosse effettivamente un reato.
qualora invece un soggetto sia in ignoranza pura e semplice, ossia neanche si ponga il dubbio che quello
che sta facendo costituisce un reato, bisognerà valutare quale sia la ragione di questa ignoranza, anche
qui considerando il prototipo di agente modello in base alla professione dell’autore concreto, ed al suo
contesto sociale.
a questo proposito si dice che per quanto riguarda i delitti naturali, ossia quelli che hanno un intrinseco
disvalore etico, come l’omicidio, l’ignoranza della legge penale non potrà mai essere invocata a fini
scusanti.
Discorso diverso va fatto per i cosiddetti reati artificiali, anche detti di pura creazione legislativa, che
sono cioè neutri sul piano etico/sociale, come l’esercizio di un’attività senza un’autorizzazione della
pubblica amministrazione. In questo caso i giudici della corte costituzionale hanno ammesso che
l’ignoranza della legge può scusare un soggetto, se si dimostra che questo aveva una non colpevole
“carenza di socializzazione”. In questo senso, sono stati assolti dal Tribunale di Genova due cittadini
tunisini i quali stavano trasportando una carabina ad aria compressa senza una licenza di porto d’armi, i
quali si sono scusati dicendo che non conoscevano la legge penale che vietava questa condotta, poiché
venivano dalla Francia dove invece era annessa questa condotta. questa provenienza da un ambiente
culturale diverso, secondo la giurisprudenza, effettivamente rende inevitabile l’ignoranza della legge
penale, ove naturalmente si faccia sempre riferimento a questi reati neutri dal punto di vista etico.
Ci sono altre ipotesi in cui l’errore o l’ignoranza sulla legge penale possono portare all’applicazione di
una scusante con esclusione della colpevolezza. Un caso è quello del testo legislativo particolarmente
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oscuro, ossia quello che è stato redatto dal legislatore in modo non chiaro, contrario al principio di
riconoscibilità del precetto normativo, così come stato definito dalla giurisprudenza. NB: come dice il
libro, Qui in realtà si pone peró, a monte, un problema di esistenza di una norma penale che viola il
principio di tassatività.
Un’altra ipotesi che la stessa corte costituzionale ha ammesso a fini scusanti, si ha detto quando il
soggetto compie un fatto di reato sulla cui norma
Incriminatrice c’è stato un caos a livello di interpretazione dei vari tribunali, ossia quando quella norma
penale è stata interpretata in modo molto diverso da un tribunale rispetto ad un altro, così confondendo il
cittadino, che non poteva sapere a quale pronuncia dare credito. anche in questo caso tuttavia si porrebbe
a monte il principio di tassatività della
Norma penale incriminatrice.
Invece, di fronte a un fatto su cui ci sono contrasti giurisprudenziali, tra un tribunale che lo ritiene lecito
e uno DI PARI GRADO che lo ritiene reato, si avrebbe un cosiddetto DUBBIO INVINCIBILE per il
soggetto che compie quel fatto non Sapendo a chi dare credito. Quindi, secondo una parte della dottrina,
questo dubbio non risolvibile deve portare a scusare quel soggetto, che non aveva alcuni strumento
comprendere meglio la liceità o meno di quel fatto, dal
Momento che gli stessi operatori del diritto per eccellenza avevano pareri contrastanri.
Sul punto ci sono da fare delle precisazioni. Infatti secondo alcuni l’agente modello in questa situazione
non dovrebbe compiere il fatto, dovrebbe preferire astenersi dal compierlo, proprio in virtù del dubbio
invincibile che ha sulla sua liceità. se peró il soggetto decide di agire lo stesso, per usare il lessico del
dolo eventuale, accetta il rischio che tale fatto sia illecito, e deve risponderne penalmente.
Viceversa, se il dubbio invincibile dovuto a contrasti giurisprudenziali fosse su ENTRAMBE LE
POSSIBILITÀ DI AZIONE, come nel caso estremo in cui non soa chiaro se costituisca reato compiere
un’azione o se costituisca reato il non compiere la stessa azione, allora in quel caso tale dubbio del tutto
invincibile renderebbe il soggetto scusato, qualora agisca nel modo pop rivelatosi sbagliato.
Ultima questione: ci si è chiesti se e quando si parla di coscienza dell’illiceità, si faccia riferimento
all’illiceità penale o all’illiceità in genere, come contrarietà a qualunque norma dell’ordinamento. Ci si
chiede se un soggeto, che ignora SENZA COLPA l’illiceità penale di un fatto che sta compiendo, ma
pensa erroneamente, e senza colpa, che quel fatto sia un illecito civile o amministrativo, debba
comunque rispondere penalmente del fatto, proprio perchè ha coscienza DELL’ILLICEITÀ generale,
anche se non penale, di quel fatto.
La dottrina prevalente pensa di si, ma il libro valorizza il dato testuale dell’articolo 5, che parla di
ILLICEITÀ SPECIFICA PENALE. Quindi Se il soggetto non sa, non per colpa, che quel fatto che sta
compiendo non è un illecito in ambito penale, non ce la rimprovera abile sul piano penale, anche se
riteneva erroneamente che quel fatto fosse comunque illecito dal punto di vista civile o amministrativo.si
seguisse infatti la teoria della dottrina dominante, si amplierebbe arbitrariamente la portata letterale dello
stesso articolo 5.

(NB: manca il numero III – ossia la dimensione soggettiva di dolo e colpa, perché il libro ne parla con
riferimento alla parte sulla tipicità)

IV. SCUSANTI

La categoria delle scusanti è una categoria costruita in tempi molto recenti. le scusanti entrano in gioco
nel momento in cui il fatto compiuto dal soggetto è tipico e antigiuridico, ma per effetto delle scusanti
stesse, esso non viene considerato colpevole, o meglio il giudizio di colpevolezza viene precluso a
prescindere.
Tali scusanti consistono in situazioni e circostanze particolari, concomitanti all’azione del soggetto, che
hanno alterato il suo processo motivazionale, comprimendo o del tutto eliminando la sua libertà di
decisione, a tal punto che la rimproverarabilità del soggetto stesso deve essere esclusa.
Il criterio che ispira l’esistenza di queste scusanti è quello della non esigibilità di un comportamento
diverso in capo al soggetto che si trovava in quella situazione, a prescindere che il fatto fosse già tipico e
antigiuridico. quindi non viene messa in discussione la non liceità di quel comportamento, ma
l’esigibilità concreta di un comportamento contrario per l’autore. In pratica la scusante si applica quando
per una situazione particolare l’ordinamento ritiene che in quel caso concreto il soggetto che ha
compiuto il fatto di reato non avrebbe potuto fare altrimenti, non aveva scelta.

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Questa impronta fortemente individualistica delle scusanti fa sì che esse abbiano rilevanza
esclusivamente soggettiva, a differenza delle scriminanti. In pratica le scusanti possono operare
solamente se la situazione particolare che prevedono era oggetto di conoscenza da parte dell’autore del
fatto. Prendiamo ad esempio la scusante che si ha quando un soggetto compie un reato di
favoreggiamento personale a favore di un prossimo congiunto (art 378): è chiaro che tale scusante non
opererebbe se il soggetto non sapesse che la persona che sta favoreggiando è un suo congiunto, perchè in
quel caso tale circostanza non avrebbe alterato la sua volontà. Perchè dovrebbe compiere un reato per
salvare un estraneo?
NB: non bisogna confondere le scusanti con le cause di esclusione della punibilità in senso stretto, che si
valutano a seguito di un giudizio positivo di tipicità antigiuridicità e colpevolezza, quindi di fronte a un
fatto di reato “completo” in tutti i suoi elementi, che peró si ritiene NON BISOGNOSO di pena su un
piano di OPPORTUNITÀ (vedi dopo).
Vediamo quali sono queste scusanti tipizzate dal legislatore:
1. ordine illegittimo insindacabile (art 51 comma 4): tale articolo precisa che non è punibile chi esegue
l’ordine illegittimo, quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine. Pur
trovandosi all’interno di una disposizione che concerne una scriminante, ossia l’adempimento di un
dovere, il comma quattro tipizza una scusante. Il fatto posto in essere da un soggetto in virtù di un
ordine illegittimo insindacabile è un fatto tipico e antigiuridico, proprio perché l’ordine che lo riguardava
era un ordine illegittimo. tuttavia tale fatto deve essere scusato data la particolare situazione nella quale
si trovava il soggetto che ha eseguito quell’ordine, che non aveva alternative. Come visto, peró, di fronte
a un ordine che comunque il soggetto poteva sindacare, l’operatività della scusante e ovviamente esclusa.
Ad esempio si è visto che è sempre ammesso un sindacato di forma su un ordine.
Vi è poi l’ulteriore limite alla scusante, quello della manifesta criminositá dell’ordine, di fronte alla quale
il soggetto è comunque tenuto a non eseguirlo, anche se l’ordine è insindacabile, e anche in questi casi la
scusante non opera. vedi prima.
2. scriminante (e scusante) putativa (art 59 comma 4 cp). Se l’agente ritiene per errore che esistano
circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui. Tuttavia, se si tratta di
errore determinato da colpa, punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto
colposo.
Qui viene esclusa la colpevolezza, e non l’antigiuridictà, quindi tale norma
Non disciplina una scriminante ma una scusante, perché si applica quando un soggetto compie il fatto di
reato in quanto convinto di trovarsi in una situazione che lo scrimina. Tale fatto è comunque è un fatto
tipico, perché è comunque doloso. Pensiamo all’esempio già fatto del soggetto che uccide un passante
convinto di essere aggredito, quindi pensando di trovarsi in legittima difesa ed art. 52: non si può
escludere il dolo perchè la volontà era presente. Ma si esclude colpevolezza, perchè la volontà del
soggetto era alterata dalla sua convinzione di trovarsi in legittima difesa.
Si tratta di un’ipotesi molto simile a quella dell’errore sul fatto ma con la grande differenza che, come ha
sottolineato la dottrina, nell’errore sul fatto l’autore non sa quello che fa, proprio per un errore di
rappresentazione della realtà, mentre nell’errore sulla scriminante egli sa bene quello che fa, ma sbaglia
nel credere che gli sia permesso farlo. Ecco perchè nel primo caso si esclude il dolo, e quindi la
Ripicità, mentre nel secondo la colpevolezza.
NB: l’errore sulla scriminante, come detto, non deve derivare da colpa. Altrimenti la scusante in esame
non opera.
La dottrina maggioritaria ritiene poi che la scusante dell’errore sulla supposizione dell’esistenza di un
scriminante possa estendersi anche all’erronea supposizione dell’esistenza di una scusante stessa.
Pensiamo al caso del figlio che, tratto in inganno dall’omonimia del padre con un soggetto indagato dalla
procura, va in questura e rende false dichiarazioni alla polizia per sottrarre quello che crede sia il padre,
ma che invece è un altro soggetto, al carcere. Quel soggetto riteneva esistente una scusante, che è proprio
quella prevista dall’articolo 384 già visto, cioè il favoreggiamento del congiunto, che peró invece non
operava, dato che il soggetto indagato non era un congiunto per davvero. E tuttavia il fatto stesso di
ritenerlo operante ha alterato la volontà del ragazzo, motivandolo a compiere il fatto tipico e
antigiuridico, proprio come accade quando un soggetto opera nell’erranea convinzione dell’esistenza di
una scriminante. Quindi andrà scusato ex art. 59 comma 4.
3. stato di necessità: l’art. 54 disciplina in un unico articolo due versioni applicative dello stesso istituto,
di cui una costituente una scriminante in senso stretto, ed un’altra che invece integra una scusante.
Alcuni autori consideravano come scusante la situazione prevista dal comma 3, quella che esclude
punibilità del reato compiuto per stato di necessità determinato da minaccia. Secondo tali autori, si
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tratterebbe di scusante e non di scriminante, perché in questi casi il fatto compiuto sotto minaccia è
comunque ANTIGIURIDICO: tanto è vero che lo stesso articolo 54 dice che ne risponderà chi ha
costretto l’autore a farlo. Tuttavia, seguendo questa tesi, sarebbero antigiuridici anche i fatti di reato
compiuti sotto costringimento fisico: fatti che invece il codice stesso considera né tipici né tantomeno
antigiuridici, in virtù dell’assenza di suitas.
Il libro auspica una riforma legislativa che chiarisca i confini di questo istituto, e da una lettura
alternativa dello stato di necessità. In realtà, lo stato di necessità integrerebbe una scriminante, quando
l’interesse leso dal soggetto che compie il reato è MENO RILEVANTE di quello salvaguardato con il
reato stesso. Si pensi a chi, per salvare la propria vita, leda il patrimonio di qualcuno. La maggiore
rilevanza dell’interesse tutelato renderebbe il fatto lecito ai fini dell’ordinamento.
Lo stato di necessità integrerebbe invece una scusante nella situazione opposta, quando cioè un soggetto
opera in stato di necessità e per tutelare un suo interesse compie un fatto di reato che lede un interesse
altrui di valore superiore. Il fatto, qui, resterebbe illecito, quindi antigiuridico, ma sarebbe esclusa
colpevolezza proprio perché il reato è stato comunque dettato da un’alterazione motivazionale del
soggetto, che aveva necessità di compierlo.

V. INESIGIBILITA’

L’inesigibilità di un comportamento contrario, come detto, è la ratio ispiratrice delle scusanti, una
categoria giuridica che permette di escludere la rimproverabilità di un soggetto, e quindi la sua
colpevolezza, ove sussistano condizioni che hanno reso impossibile a costui scegliere di agire
legalmente, perché tale azione conforme a legalità lo avrebbe danneggiato o avrebbe danneggiato un suo
caro.
Alcuni autori ritengono che, inoltre, l’inesigibilità di un comportamento contrario possa costituire una
causa di esclusione della colpevolezza PRETERLEGALE, cioè ulteriore rispetto alle ipotesi previste
dalla legge, ossia l’assenza di impitabilità, l’ignoranza inevitabile della legge penale, l’assenza di dolo e
colpa sotto il profilo soggettivo, la presenza di scusanti tipizzate. In altre parole, secondo tali autori,
l’esigibilità di un comportamento diverso in capo all’autore sarebbe un quinto requisito costitutivo della
colpevolezza, come “valvola”, come clausola aperta “capace di far respirare il sistema penale in termini
umani” (Bettiol), attraverso un giudizio che tenga conto davvero le caratteristiche caratteriali del
soggetto che compie il reato, evitando condanne che contrasterebbero con un senso di giustizia.
Tuttavia si ritiene che l’esistenza di questo ulteriore generico requisito metterebbe a repentaglio la serietà
e la credibilità del sistema penale, come se si accettasse qualunque pretesto di discolpa dell’autore di un
reato. Inoltre, e soprattutto, non è ammissibile che, in assenza di un citerio legale di esigibilità valido per
tutti i reati, il giudice possa avere l’enorme potere in ogni caso concreto, anche sulla base delle proprie
convinzioni, di considerare tale esigibilità sussistente o meno. Si avrebbe una violazione del principio di
legalità, ma a priori un effetto aberrante sul piano della prevenzione generale, poiché tutti i consociati
potrebbero ritenere accettabile il rischio di compiere un reato a fronte della possibilità di “impietosire” il
giudice.

109
CONDIZIONI OBIETTIVE DI PUNIBILITA’ (COP)

Art. 44: “Quando, per la punibilità del reato, la legge richiede il verificarsi di una condizione, il
colpevole risponde del reato, anche se l'evento, da cui dipende il verificarsi della condizione, non è da lui
voluto”.
L’articolo 44 tipizza una situazione particolare prevista dal codice penale: una situazione in cui un fatto,
pur essendo già tipico, antigiuridico, e colpevole, per essere punito richiede la verificazione di un certo
accadimento, quindi un quid pluris rispetto agli elementi costitutivi del reato, affinché si possa imputare
in modo completo la responsabilità penale al soggetto che ha compiuto. Di norma un fatto tipico e
antigiuridico e colpevole è anche punibile, ma ciò non avviene necessariamente, proprio perché esistono
queste condizioni obiettive di punibilità, ossia delle situazioni in cui reato e punibilità sono disgiunte: è
possibile che ci sia il reato completo in tutti I suoi elementi, ma per la punibilità viene richiesto un
ulteriore elemento da accertare, ossia appunto la verificazione di un certo evento.
Quindi si dice che vi è illecito quando viene compiuto un fatto antigiuridico; vi è illecito penale quando
il fatto è antigiuridico e tipico; vi è illecito penale e colpevole quando oltre ad essere tipico e
antigiuridico, il fatto può essere personalmente rimproverata del soggetto; vi è illecito penale colpevole e
concretamente -punibile, quando oltre tutti gli elementi costitutivi che sussistono per il reato, si verifica
anche un evento che è indicato dalla stessa Norma Incriminatrice come condizione obiettiva di
punibilità.
In particolare tipicità e colpevolezza consentono di ritenere che astrattamente l’illecito possa essere
meritevole di pena; la punibilità, che è considerata per questo da alcuni autori come quarto elemento
costitutivo del reato, invece consente di ritenere che quel fatto debba essere concretamente punito, dal
momento che vi è un’opportunità e una convenienza per l’ordinamento nel punire quel fatto stesso.
Quando il reato è sottoposto a una condizione obiettiva di punibilità, prevista dalla stessa norma
incriminatrice, viene definito reato condizionato. Un esempio classico è quello che riguarda il reato di
bancarotta: le condotte di occultamento o distruzione o sottrazione dei beni dell’impresa da parte
dell’imprenditore, integrano il reato di bancarotta a prescindere, e quindi tale reato è completo nel
momento in cui queste condotte vengono poste in essere, perché è tipico antigiuridico e colpevole, ma
per essere punito è necessario che vi sia una condizione obiettiva di punibilità: la sentenza dichiarativa di
fallimento. Senza questa il reato di bancarotta e completo ma non è punibile dall’ordinamento.
Articolo 44 quando parla delle condizioni obiettive di punibilità parla di evento da cui dipende il
verificarsi della condizione: questo evento ovviamente va tenuto distinto dall’evento di reato, che è
l’evento eventualmente previsto (non sempre i reati sono di evento) affinché il reato possa dirsi tipico.
L’evento condizione invece è un evento ulteriore, che si accerta in un momento successivo rispetto a
quello in ci accetta l’evento di reato ai fini della tipicità, così come rispetto al momento in cui si
accertano antigiuridicità e colpevolezza. Il fatto che l’evento condizione sia diverso dall’evento del reato
implica che solamente per l’evento del reato si applica l’articolo 40 sulla necessaria conseguenza di tale
evento rispetto all’azione o all’omissione. Per quanto riguarda invece l’evento condizione non è
assolutamente necessario che questo sia stato causato da un’azione o da una omissione dell’autore, li
viene imputato comunque. Questo significa che l’evento Che costituisce la condizione obiettiva di
punibilità non deve essere legato alla condotta della gente dal punto di vista causale.
Articolo 44 parla di condizioni “obiettive”: questo significa che queste condizioni hanno una rilevanza
per il semplice fatto di essersi verificate: il fatto che il soggetto volesse o non volesse quell’evento-
condizione è del tutto irrilevante, e la condizione gli viene attribuita a prescindere anche dalla sua
volontà. Questo significa quindi che le condizioni obiettive di punibilità prescindono da qualsiasi criterio
di imputazione oggettiva e soggettiva, perché non appartengono alla sfera di competenza del soggetto,
non devono essere opera sua, non sono legate da un nesso causale alla sua condotta, non devono essere
previste o volute, non devono essere prevedibili. sono estranee quindi alla sfera di applicabilità
dell’articolo 27 della costituzione sul principio di responsabilità colpevole.
L’articolo 44 parla di condizioni obiettive “di punibilità”: come già detto, non determinano l’illiceità del
fatto, ma condizionano la punibilità concreta di un fatto che è già illecito al verificarsi di un evento
ulteriore, per ragioni di opportunità e convenienza pratica della pena.
Analizzando quindi la struttura del reato condizionato, anzitutto si nota che le condizioni sono un
elemento aggiuntivo e supplementare del reato, come detto, estraneo rispetto ad antigiuridicità e tipicità.
il colpevole quindi rispondi anche se l’evento non è da lui voluto, come dice lo stesso articolo 44. Le
condizioni obiettive di punibilità non rientrano quindi nell’oggetto del dolo. Non essendo neanche

110
elementi del fatto di reato, non opera rispetto a queste condizioni obiettive di punibilità la disciplina
dell’errore sul fatto.
Le cop sono un elemento ulteriore anche rispetto alla colpevolezza: tanto è vero che l’articolo 44 parla di
“colpevole” che risponde del reato: l’autore del fatto è quindi già colpevole, la sua colpevolezza è già
accertata prima e a prescindere della condizione obiettiva di punibilità eventualmente prevista, che
quindi esula anche dal giudizio di colpevolezza. Le cop quindi non sono neanche un elemento che puó
far graduare tale colpevolezza: questa è graduata prima e a prescindere dalle cop, che riguardano solo l’
“an” della pena, non il “quantum”.
Alla luce della struttura del reato condizionato e del modo di operare delle condizioni obiettive di
punibilità, si può dire che queste avere una funzione politico criminale di restrizione e delimitazione
della punibilità di un fatto che già considerato astrattamente meritevole di pena: di fronte a quest’ultimo
però il legislatore subordina la sanzione al verificarsi di una condizione. le cop sono quindi strumenti di
selezione e di scrematura, tra tutti i comportamenti astrattamente meritevoli di sanzione penale perché
tipici antigiuridici e colpevoli, di quelli che sono anche meritevoli concretamente e specificatamente di
pena, dal punto di vista di convenienza e opportunità dell’ordinamento. Ciò è stato sostenuto anche dalla
corte costituzionale con la sentenza 247 del 1989.
In particolare questa selezione e scrematura servirebbe a salvaguardare interessi diversi da quello offeso
dal reato, che potrebbero essere pregiudicati se quel fatto venisse punito. Torniamo all’esempio della
bancarotta: se si punisce l’imprenditore per la semplice condotta di distrazione occultamento dei beni, a
prescindere dal suo stato accertato di fallito, si vedrebbero gli stessi creditori, poiché questi i potrebbero
ancora sperare che l’imprenditore, in quanto non ancora fallito, possa risollevare la sua situazione
economica.
Le coop rispondono anche al principio di uguaglianza: assicurare che la selezione degli autori che
necessitano concretamente di pena sia operata dal legislatore, a monte nelle stesse norme
Incriminatrici che prevedono le cop, proprio sulla base dell’opportunità del punire, senza lasciare questo
potere al giudice. Ció violerebbe anche il principio di legalità.
Le cop quindi sono diverse dagli elementi costitutivi del fatto tipico. Questi integrano la tipicità del reato
devono essere oggetto di dolo, mentre le coop rendono concretamente punibile un illecito che come detto
è già tipico e meritevole di pena astrattamente. Il problema è che e difficile trovare un criterio per
distinguere elementi del fatto tipico e condizioni obiettive di punibilità all’interno della norma
incriminatrice. Pensiamo al delitto di strage dell’articolo 422: esso richiede che il soggetto ponga in
essere atti idonei a porre in pericolo la pubblica incolumità, e richiede che dal fatto derivi la morte di più
persone. questa morte è un elemento costitutivo del reato, cioè un evento del reato, o un evento
condizione rispetto a un fatto già tipico antigiuridico e colpevole, ossia aver posto in essere atti
pericolosi per l’infolumita?
Il libro dice che si tratta di una pecca del sistema penale che avrebbe dovuto fornire all’interprete delle
linee sicure per orientarsi e distinguere elementi tipici del fatto e condizioni obiettive di punibilità,
soprattutto perché da questa distinzione derivano conseguenze importanti ai fini dell’incriminazione, per
le ragioni che sono state esaminate. Si tratta di una violazione del principio di legalità secondo il libro.
Ad ogni modo, Sono stati elaborati dalla dottrina dei criteri di individuazione delle condizioni obiettive
di punibilità. I primi sono i criteri formali. questi fanno dipendere la distinzione tra elementi tipici e cop
in base alla tecnica di formulazione: si tratta di una condizione obiettiva di punibilità quando l’evento è
presentato attraverso espressioni condizionali, introdotte da congiunzioni come se, qualora, sempre che.
tali criteri formali poi Si basano anche su elementi per così dire strutturali: non possono mai essere
condizioni obiettive di punibilità quegli eventi che in qualche modo si trovano in relazione causale o
psicologica alla condotta della gente, perché abbiamo detto che le condizioni obiettive di punibilità non
richiedono nessun tipo di criterio oggettivo e soggettivo di imputazione.
Poi vi sono criteri sostanziali. Questi valutano altri tipi di elementi, anzitutto gli interessi tutelati. Si dice
che può esserci una condizione obiettiva di punibilità quando l’evento previsto è stato previsto in
funzione di un interesse diverso rispetto a quello tutelato dalla norma incriminatrice.
Secondo un approccio invece normo-teoretico, Sarebbero elementi costitutivi del reato quei fattori che
sono strutturati dalla norma incriminatrice come oggetto di un divieto: per esempio nella bancarotta gli
elementi costitutivi del reato sarebbero le condotte di cancellazione o distruzione di beni, proprio perchè
vietate, ma non sarebbe un elemento costitutivo del reato, ed infatti è una cop, la sentenza costitutiva di
fallimento, poiché questo non è oggetto di un divieto. Anche perchè, si ripete, mentre gli elementi
costitutivi della fattispecie rientrano nella sfera di competenza di gestione del rischio dell’autore del
fatto, le cop esulano da questa sfera di competenza.
111
La dottrina distingue tra condizioni obiettive di punibilità intrinseche, o anche detta impropria, o anche
dette a contenuto lesivo, e condizioni obiettive di punibilità estrinseche.
Le seconde non creano dubbi: consistono in un fatto estraneo rispetto all’offesa che è realizzata con il
reato, come nel caso della bancarotta fraudolenta. La loro funzione è quindi quella di restringere l’area
della punibilità, come è nella norma per una condizione obiettiva di punibilità in generale. Anche per
questo appare lecito che non si richieda, con riferimento a questo tipo di condizione obiettiva di
punibilità, alcun criterio di imputazione oggettivo o soggettivo, così come appare lecito che tale tipo di
condizione obiettiva di punibilità non rientri nella sfera di applicazione del principio di responsabilità
personale colpevole.
Le prime sono invece quelle condizioni obiettive di punibilità che concorrono a rendere più grave
l’offesa realizzata dal fatto tipico di reato. Un esempio è il reato di infedeltà in affari di Stato, che è
punibile se dal fatto possa derivare un “nocumento all’interesse nazionale.
Questo tipo di condizioni, dal momento che in qualche modo hanno a che fare con l’offensività del reato,
diventano ancora più simili agli elementi del fatto tipico, e diventa di conseguenza ancora più difficile
distinguerle da essi. Una certa dottrina ha evidenziato che addirittura tali condizioni di punibilità
permetterebbero di punire un fatto che altrimenti di norma non sarebbe punibile: conciò tale tipo di
condizione obiettiva di punibilità non solo non restringerebbe la sfera di punibilità di un reato, ma
addirittura la amplierebbe, contrariamente a quello che dovrebbe essere la funzione tipica delle coop.ciò
inoltre renderebbe assolutamente non ragionevole il fatto che tali condizioni obiettive di punibilità non
rientrino nella sfera di applicazione del principio di responsabilità colpevole: proprio perché aumentano
la sfera di punibilità, dovrebbero invece sottostare alle garanzie costituzionali per il reo, e E quindi
dovrebbero essere collegate alla sua condotta dal punto di vista causale e soggettivo. Il fatto che invece
sono imputati al soggetto a prescindere dal principio causale e a prescindere dal requisito soggettivo,
rende questo tipo di con dizioni obiettive di punibilità contraria al principio di colpevolezza. Per quanto
riguarda loro distinzione degli elementi costitutivi del reato, il problema rimane. Secondo
l’interpretazione tradizionale, sono condizioni obiettive di punibilità quegli elementi che aggravano
l’offesa tipica del reato solo da un punto di vista quantitativo, senza essere troppo significativi e
rilevanti: si tratta di un’interpretazione che in realtà non dà una soluzione concreta e soddisfacente.
Per questo il libro riprende il criterio normologico citato in precedenza: si tratta di cop e non di elemento
del fatto tipico, quando l’evento tutela un interesse che è diverso da quello tutelato dalla norma
incriminatrice, perchè è estraneo dalla sfera di competenza dell’autore del reato. ad esempio l’incesto è
punibile se ne deriva PUBBLICO SCANDALO: il pubblico scandalo non è una cop, ma un elemento
costitutivo del reato, perché contribuisce a determinare l’offesa: se non derivasse pubblico scandalo dal
rapporto incestuoso, questo sarebbe indifferente per l’ordinamento, che non lo punirebbe perchè l’offesa
arrecata dal fatto di reato non sarebbe tale da richiedere intervento penale.

CONDIZIONI NEGATIVE DI PUNIBILITÀ

Dopo aver esaminato: 1. le cause di esclusione della suitas e quindi della tipicità, ossia caso fortuito e
costringimento fisico; 2. le scriminanti, ossia le cause di esclusione dell’antigiuridicità; 3. le scusanti,
ossia le cause di esclusione della colpevolezza, è necessario analizzare anche le cause di esclusione della
punibilità in senso stretto, ossia quelle cause al verificarsi delle quali la legge rende non punibile un fatto
che però è tipico, antigiuridico, è colpevole, per ragioni di opportunità della pena. Un effetto quindi
esattamente opposto a quello delle cop, ma ispirato alla medesima ratio, ossia la necessità di punire solo
fatti che meritano la pena in concreto. Si dice in senso stretto perché, come detto, il codice si riferisce
anche alle prime tre categorie con il termine improprio di “cause di non punibilità”.
-Le cause di non punibilità in senso stretto non hanno un riconoscimento legislativo all’interno del
codice penale, ma sono richiamate indirettamente nel codice di procedura penale, il quale all’articolo 530
dice che un soggetto deve essere assolto se il fatto è stato commesso da persona non imputabile, o “non
punibile per altra ragione”.
Un importante causa di non punibilità GENERALE, introdotta dalla Legge 28/2015, è quella prevista del
nuovo articolo 131 bis del cp, che prevede l’esclusione della punibilità per “PARTICOLARE
TENUITA’ DEL FATTO”. Tale esclusione è possibile solo in presenza di un reato punito con pena
detentiva inferiore ai 5 anni o con pena pecuniaria: la particolare tenuità del fatto dipende dalla modalità
della condotta concreta dell’agente, che può esprimere un disvalore “contenuto”, oppure da un danno
esiguo o irrisorio prodotto. È necessario che il comportamento dell’agente non sia però abituale.

112
Altre ipotesi specifiche sono previste nella parte speciale: un esempio è la ritrattazione nella falsa
testimonianza: se un soggetto mente in un interrogatorio alla polizia, compie un fatto tipico (art 372),
antigiuridico e colpevole, ma che non sarà punito se ritratta, ossia se si ripresenta presso la polizia e
testimonia il contrario di ciò che aveva detto, questa volta attenendosi al vero.

TENTATIVO

Le fattispecie di reato previste nella parte speciale del codice penale sono fattispecie di reato consumato:
questo vuol dire che puniscono un reato che è stato portato a compimento. A livello di definizione, si
dice che il reato è consumato materialmente quando raggiunge la sua massima gravità offensiva. il reato
però per essere consumato deve essere prima perfetto, o consumato in senso formale, ossia deve essere
venuto ad esistenza nel suo contenuto minimo, attraverso la realizzazione di tutti gli elementi del fatto
tipico. Nei reati di condotta il momento consumativo si ha quando si realizza la condotta stessa. Nei reati
di evento il momento di consumazione riguarda la verificazione dell’evento. Nei reati istantanei la
consumazione si ha quando l’offesa viene ad esistenza. Nei reati permanenti il momento di
consumazione si ha quando la situazione offensiva è stata portata avanti per un tempo che si dice
giuridicamente apprezzabile.
Ad ogni modo, aldilà delle singole ipotesi, le fattispecie di parte speciale, considerate da sole, di norma
Non sono in grado di punire lo stesso reato, se questo però non è stato portato a compimento, cioè non è
stato consumato del tutto.
Quindi di norma, le fattispecie di parte penale non sono idonee a punire atti che in qualche modo siano
indirizzati a compiere quel reato, ma che non riescono a portarlo a consumazione. Per questa ragione è
previsto nel codice Rocco l’articolo 56.
“1. Chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, risponde di delitto
tentato, se l’azione non si compie o l’evento non si verifica. 2. Il colpevole di delitto tentato è punito:
[con la reclusione da ventiquattro a trenta anni, se dalla legge è stabilita per il delitto la pena di morte]
(1); con la reclusione non inferiore a dodici anni, se la pena stabilita è l’ergastolo; e, negli altri casi, con
la pena stabilita per il delitto, diminuita da un terzo a due terzi. 3. Se il colpevole volontariamente desiste
dall’azione, soggiace soltanto alla pena per gli atti compiuti, qualora questi costituiscano per sé un reato
diverso. 4. Se volontariamente impedisce l’evento, soggiace alla pena stabilita per il delitto tentato,
diminuita da un terzo alla metà”.
Questo articolo è volto a disciplinare la punibilità nei casi in cui l’azione criminosa non è compiuta, o
non si verifica l’evento di reato previsto dalla norma incriminatrice, quando si parla di reati di evento.
Il cosiddetto iter criminis, ossia l’azione dell’autore del fatto di reato in senso ampio, si snoda infatti in
diversi momenti che vanno dalla semplice ideazione e pianificazione del proposito criminoso, fino alla
preparazione e all’esecuzione in senso stretto dell’azione, e infine alla realizzazione dell’evento quando
questo è previsto come elemento del fatto tipico. Ovviamente questi diversi momenti dell’azione
criminosa possono essere distinti a livello temporale, ma più spesso si verificano nell’arco di pochi
secondi, e tuttavia ognuna di queste fasi ha una sua rilevanza.
Con riferimento ai primi momenti dell’iter criminis, tuttavia, il presupposto da cui bisogna partire è che
nel nostro ordinamento vige il principio cogitationis poena nemo patitur. In via generale, quindi, la
semplice progettazione o la ideazione di un reato non è punibile, almeno che non sia la legge stessa ad
attribuire rilevanza penale a tale fase, come accade ad esempio per l’accordo tra più soggetti per
commettere un crimine, come vuole l’articolo 115 che riguarda però il concorso di persone.
È solo con l’inizio dell’esecuzione vera e propria, a livello pratico, che il reato entra per così dire nel
territorio della punibilità, proprio grazie alla disciplina del tentativo. Si tratta di una differenza di
momenti di realizzazione del Fatto che risponde al principio di offensivita: la preparazione di un crimine
non è punibile perché non offende alcun bene giuridico, dal momento che gli Stati interiori di un
soggetto nel nostro ordinamento non possono essere puniti. il diritto penale non può indagare
l’atteggiamento psicologico di un soggetto fino a quando l’atteggiamento stesso non assume una veste
per così dire esteriore.
Quindi l’istituto del tentativo riguarda l’ipotesi in cui la gente vuole realizzare una fattispecie delittuosa,
inizia ad attivarsi a livello materiale, ma per cause esterne non riesce a portare a compimento la sua
azione.
Il delitto tentato (delitto in senso tecnico: non sono ammesse le contravvenzioni tentate) è un delitto
autonomo, completo nei suoi elementi, che si affianca alle figure tipizzate dal legislatore nella parte
113
speciale, punendo tali condotte con una diversa pena attraverso l’applicazione del combinato disposto tra
norma incriminatrice di riferimento e l’articolo 56, un po’ come accade per il reato omissivo improprio
con l’articolo 40, e per il concorso di persone con l’articolo 110.
Infatti l’articolo 56, combinandosi con la corrispondente fattispecie consumata di parte speciale, dà vita
ad un titolo di reato autonomo, chi ha, come detto, una sua Cosiddetta cornice edittale, ossia un suo
calcolo della pena tra un minimo e un massimo che sono diversi da quelli previsti dalla fattispecie di
parte speciale stessa con riferimento alla versione “consumata” di quello stesso reato.
Evidente quindi che la funzione dell’articolo 56 sia quella di estendere la punibilità delle fattispecie di
parte speciale per punire fatti che non raggiungono lo stadio della consumazione previsto da quella stessa
fattispecie speciale.
Il delitto tentato risponde ad 1 esigenza politico criminale, ossia garantire una tutela penale anche nei
confronti di quelle condotte che, pur non avendo leso in modo attuale un bene giuridico, lo abbiano
comunque messo in pericolo, Rendendo così necessario punire la volontà criminosa che si è
esteriorizzata in comportamenti doni a mettere in pericolo appunto questo bene giuridico.
A ciò è dovuta l’anticipazione della soglia di punibilità che si ha con il diritto tentato, che punisce atti
che non integrano pienamente il fatto tipico consumato, ma che puliscono atti che comunque sono
pericolosi per tale bene giuridico e quindi meritevole di sanzione. L’ordinamento quindi segue il
cosiddetto modello oggettivo di reato: attribuisce rilevanza alla volontà criminosa solo se questa si è
manifestata in una condotta esteriore che, seppur non è stata portata a compimento del tutto, a messo in
pericolo un bene giuridico. Ciò è anche compatibile con il principio di offensività del fatto. Ed è così che
si spiega il motivo per il quale la pena prevista per il delitto tentato è inferiore rispetto a quella del delitto
consumato: nel dettaglio l’articolo 56 prevede che se la pena prevista dalla fattispecie di delitto
consumato e l’ergastolo, il corrispondente delitto nella versione tentata sarà punito con una reclusione
non inferiore ai 12 anni. Negli altri casi la pena sarà diminuita da un terzo del massimo edittale fino a un
minimo dei due terzi del minimo edittale. Questo significa che se la fattispecie consumata prevede una
pena minima di tre anni e massima di nove, la corrispondente fattispecie tentata sarà punibile da un
minimo di un anno a un massimo di sei.
Si tratta però di capire attraverso quali criteri si può punire un delitto che non è stato portato a
compimento, senza contrastare con i principi di offensività. A questo proposito sono previsti due
requisiti oggettivi degli atti posti in essere dal soggetto, affinché questi siano puniti come tentativo di
delitto. Tali due requisiti oggettivi sono l’idoneità e la univocità degli atti compiuti.
Prima ancora, tuttavia, si pone il problema di stabilire il momento nell’iter criminis a partire dal quale si
può essere in presenza di un tentativo punibile. Si è detto che le fasi iniziali della sequenza di atti che
portano alla realizzazione del reato non sono prese in considerazione dal diritto penale di norma, perchè
non sono offensive, salvo rare eccezioni. Queste eccezioni consistono in quei casi in cui l’attività
preparatoria, quindi quella che rileva come ideazione e preparazione del reato, costituisce di per sé reato:
è il caso della detenzione di monete falsificate ex art. 453 cp.
Ma aldilà di queste ipotesi, il principio di legalità formale impone di determinare un criterio unitario per
distinguere in generale quali sono gli atti punibili da quelli che sono atti penalmente irrilevanti.
L’articolo 56 richiede la presenza di atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere un delitto,
individuando quindi tali criteri nella idoneità e nella univocità degli atti compiuti. Solo atti che siano così
caratterizzati possono Giustificare in termini di offensività una punizione, anche se non c’è poi la
consumazione completa del reato. Attraverso riconoscimento di questi reati il codice penale Rocco ha
innovato fortemente la disciplina rispetto al precedente codice Zanardelli, il quale utilizzava un’altra
Distinzione. Questo codice infatti distingueva tra atti preparatori e atti esecutivi. I primi non erano
punibili, i secondi erano punibili. Tuttavia nella prassi quotidiana era difficile distinguere tra le due
categorie di atti, e ci si propose per questo di considerare esecutivi solamente quegli atti che in qualche
modo realizzavano un frammento della condotta tipica prevista dalla fattispecie di reato. Si richiedeva
poi che vi fosse univocità, sicché erano considerati esecutivi gli atti che esprimevano in modo non
controvertibile la finalità criminose dell’agente.
Ma queste soluzioni alla fine non convincevano, per questo il codice Rocco ha rinnovato la disciplina,
pur confermando la sola rilevanza penale degli atti esecutivi, intesi come atti che corrispondono ad una
frazione della condotta tipica descritta dalla norma incriminatrice. Tutti gli altri atti strettamente
preparatori, che quindi costituiscono semplici attività strumentali e propedeutiche alla condotta
criminosa vera e propria, non sono punibili. Tuttavia la vecchia impostazione che divideva atti
preparatori ed atti esecutivi è stata superata, e sostituita dal duplice criterio indicato, ossia idoneità e
univocità.
114
1. Partendo dal primo requisito, questo fa riferimento ad una qualità oggettiva della condotta. La
univocità infatti è una caratteristica per così dire intrinseca degli atti, e consiste nella direzione finalistica
della condotta. L’atto è punibile se il suo significato esteriormente percepibile è compatibile e
corrispondente all’offesa descritto dalla fattispecie di reato consumato. Deve apparire in modo chiaro,
quindi, che la condotta posta in essere è finalizzata a compiere il reato. Non si possono punire atti che,
sebbene sintomatici di una volontà criminosa, non riflettono in modo univoco e incontrovertibile la
finalità ultima della condotta stessa. La univocità della condotta viene quindi definita sulla base di una
concezione oggettiva: è una caratteristica oggettiva degli atti, legata al grado di sviluppo dell’azione: tale
azione è univoca se capace di esprimere la finalità ultima che quell’azione stessa, escludendo la
possibilità che tale azione sia finalizzata ad altro, magari ad un reato diverso da quello previsto dalla
norma incriminatrice, o magari ad un fatto lecito. Pensiamo ad un soggetto che si apposta sotto casa della
ex ragazza con cui ha litigato In orario notturno. Tale condotta non è certamente univoca, e non potrà
essere punita come tentativo ad esempio di omicidio, perché quella condotta può essere propedeutica ad
un reato anche diverso, come le lesioni, o addirittura può essere propedeutica ad una finalità lecita, ad
esempio un chiarimento con quella persona.
Insomma, dagli atti posti in essere deve emergere la probabilità che lo specifico delitto sia realizzato, e
solo questi atti che determinano un effettivo e attuale pericolo per il bene tutelato possono essere puniti,
in coerenza al principio di offensività. Chiaramente sarà molto importante valutare tutte le circostanze
del caso concreto, fermo restando che il giudizio sulla univocità cambia in base al tipo di reato. Nei reati
a forma vincolata, gli atti univoci sono quelli che corrispondono anche alle specifiche modalità di
condotta che sono descritte dalla norma incriminatrice. Non vi sarà mai un tentativo di truffa, Se non c’è
un artificio o un raggiro. Invece nei reati a forma libera, l’atto sarà univoco se e funzionale rispetto alla
realizzazione del reato che il soggetto con le compere. Dell’omicidio, quindi, sarà univoco l’atto di
impugnare un’arma in presenza della vittima, puntandola contro di essa. Non sarà invece sufficiente
l’acquisto di un’arma, perché da questa condotta non scaturisce in modo evidente e univoco la finalità
perseguita dal soggetto.
2. Il secondo requisito è quello della idoneità. una volta stabilito che la condotta del soggetto è
univocamente diretti a realizzare un fatto penalmente illecito, bisognerà capire se tale condotta è anche in
grado di produrre la condotta (nei reati di condotta) o l’evento (nei reati di evento), perché altrimenti non
vi sarà una effettiva esposizione a pericolo del bene protetto, e tale condotta non sarebbe punibile.
Il giudizio di idoneità è necessariamente un giudizio prognostico, cioè operato ex ante, Sulla base della
probabilità che tale azione sia in grado di produrre la condotta o l’evento del reato. Si tratta di accertare
quindi la potenzialità lesiva di quell’atto, sicché si tratta di un giudizio ipotetico oltreché prognostico,
anche detto giudizio di prognosi postuma, perché è comunque effettuato dopo il compimento della
condotta, ma ponendosi idealmente nella prospettiva del soggetto al momento dell’inizio dell’esecuzione
della condotta, senza tenere conto di eventuali elementi emersi successivamente.
Anche in questo caso, il parametro secondo cui misurare la idoneità dell’azione è dato dalla probabilità
di verificarsi della lesione del bene giuridico: è necessaria quindi un’effettiva attitudine lesiva di questo
atto. Naturalmente il grado di pericolosità di un atto dipende anche dal grado di sviluppo dell’azione
stessa: il livello di pericolo sarà più alto quando il soggetto a portare a termine una parte considerevole
della condotta di reato, sarà invece minimo quando sono stati compiuti atti comunque esecutivi, ma solo
iniziali.
Il giudizio va poi fatto sugli atti tenendo conto in concreto le circostanze specifiche presenti al momento
del compimento degli atti, valutando le conoscenze disponibili del soggetto al momento della condotta, o
di un osservatore medio diligente, e non anche i fatti di cui non era a conoscenza: giudizio prognostico-
ipotetico su base PARZIALE.
Ad esempio, se il soggetto che agisce conosce il fatto che la vittima è emofiliaca, il graffio sarà un atto
idoneo a cagionare la morte, sicché se prova a graffiarlo quello sarà un tentativo di omicidio. in caso
contrario, qualora non sapesse che la vittima era emofiliaca, il graffio non sarebbe un atto idoneo, ed il
tentativo di graffiare il soggetto non sarebbe punibile.
Anche se, da questo punto di vista, la dottrina ha dato anche una ricostruzione diversa. Innanzitutto una
parte della dottrina ha meglio definito il parametro dell’osservatore medio, sulla base del quale valutare
le conoscenze che dovevano essere in possesso dell’autore degli atti idonei e univoci: si è detto Che il
modello di tale osservatore esterno e oggettivo deve corrispondere in particolare ad una persona
particolarmente avvenuta e dotata di conoscenze corrispondenti alla “migliore scienza ed esperienza”.
Un orientamento ancora diverso invece considera addirittura il giudizio prognostico come un giudizio
che deve essere posto su base totale: devono essere valutate anche le circostanze oggettivamente
115
esistenti, aldilà della conoscenza o meno da parte del soggetto, per valutare se il requisiti di idoneità del
tentativo sussiste.
Secondo questa diversa teoria, quindi, riprendendo l’esempio fatto prima, il soggetto andrebbe punito per
tentato omicidio se ha tentato di graffiare la vittima, anche se non sapeva che la sua vittima era
emofiliaca. Da un punto di vista oggettivo, infatti, quella condotta era potenzialmente in grado di creare
morte.
viceversa non sarebbe punito per tentato omicidio un uomo che spara ad una vittima la quale ha un
giubbotto antiproiettile nascosto. Anche se non lo sapeva, e lo voleva uccidere, la
Sua condotta era non idonea da un punto di vista oggettivo.
Questa teoria valorizza ancora di più il principio di offensivita, dal momento che ritiene sempre
irrilevante una condotta che sul piano oggettivo non è idonea a determinare una per esposizione a
pericolo del bene giuridico. È una teoria che peraltro ha un riferimento normativo nel nostro codice,
ossia l’articolo 49 che parla del reato impossibile, al comma due. (Vedi dopo).
Aldilà dei requisiti, il nostro ordinamento conosce due forme di tentativo, diverse in base allo sviluppo
che l’azione ha raggiunto: esiste un tentativo incompiuto, quando l’azione non si compie affatto, ed
esiste un tentativo compiuto, quando l’azione è compiuta ma non si verifica risultato finale. Nel primo
caso, il soggetto ha solo iniziato la esecuzione, ma non l’ha portata a compimento: pensiamo a una
persona che prende di mira un’altra con una pistola ma viene disarmata e prima di sparare; nel secondo
caso, la persona ha realizzato interamente la condotta ma non ha ottenuto il risultato per un fattore
esterno: nell’esempio di prima il soggetto ha sparato ma ha mancato la vittima. Tale distinzione non ha
alcuna rilevanza pratica, perché la disciplina identica. tale differenza però ha una sua importanza con
riferimento alla disciplina della desistenza volontaria e recesso attivo: due ipotesi disciplinate dal comma
3 e 4 dell’articolo 56.
La desistenza volontaria si ha quando il soggetto volontariamente desiste dalla sua azione: il tentativo è
incompiuto per suo volere. Pensiamo a tizio che vuole uccidere caio, scavalca muro di casa di caio, gli
punta la pistola mentre è vicino a una finestra ma prima che la polizia fosse chiamata da caio stesso,
decide di buttare l’arma e andare via.
In questo caso si ha una Causa di non punibilità speciale: il soggetto non viene punito, proprio perché
l’azione non è stata portata a compimento. Sarà punito solo se quella diversa azione non integrava di per
sé un diverso reato. Ad esempio, nel caso di prima, una violazione del domicilio.
Il recesso attivo, anche considerato e definito come pentimento operoso, avviene invece quando invece il
soggetto ha compiuto l’azione, ma impedisce che vada in porto: il tentativo è comunque compiuto.
Pensiamo a tizio che mette veleno nel te di caio per ucciderlo, ma lo avvisa prima
Che muoia. Qui si ha una attenuante speciale: la pena applicata per il
Tentativo sará ulteriormente diminuita da un terzo alla metà.
Pertanto, la distinzione tra recesso attivo e di esistenza attiva dipende proprio dallo stato compiuto con
un compiuto del tentativo. Come si è detto, nella desistenza il venir meno del pericolo giustifica la non
punibilità dell’agente, salva la responsabilità in caso di ulteriore reato comunque realizzato.mentre nel
recesso attivo, intervenendo a condotto ormai completata, l’effetto sarà semplicemente quello di uno
sconto di pena. Per quanto riguarda specificatamente la desistenza attiva, quindi la prima ipotesi, occorre
sottolineare che nei delitti omissivi, sia desistenza attiva se il soggetto compie l’azione che fino a quel
momento stavo mettendo. Pensiamo all’automobilista che, dopo essersi allontanato dal luogo
dell’incidente nonostante abbia visto un ferito, torna indietro soccorresse rito stesso.quanto al recesso
attivo, invece, si è detto che l’agente richiesto un comportamento specifico per neutralizzare le
conseguenze del tentativo che comunque è compiuto, interrompendo quindi la catena causale che porta
all’evento. Infatti, se il soggetto fallisce l’evento si verifica comunque, vi sarà comunque delitto
consumato, il suo tentativo di evitarlo, non avrà nessuna rilevanza. Le due ipotesi di resistenza attiva e
recesso attivo hanno comunque in comune il requisito della volontarietà: la scelta deve essere volontaria,
non deve essere costretta, deve essere libera e spontanea. Si considera ad esempio che l’appostamento
della polizia renderebbe l’eventuale desistenza e recesso del soggetto come non volontario. Non hanno
peró rilevanza i motivi che spingono il soggetto a desistere o a recedere, tali motivi possono essere anche
diversi da un ravvedimento “morale”: verrá considerata d’esistenza anche quella di un soggetto che
decide di non compiere tentativo per una propria convenienza, e non perchè si è pentito.
Proprio per questo, La ratio di questi due istituti previsto dagli ultimi commi del 56 però è ancora dubbia.
C’è chi dice che si tratti di veri e propri “ponti d’oro” offerti al reo, per incentivarlo a desistere o
recedere dal tentativo.

116
Vediamo altri elementi strutturali del tentativo. Innanzitutto è compatibile SOLO con il dolo: il tentativo
colposo non è punibile, perchè manca una disciplina specifica, che avrebbe dovuto esserci
necessariamente, visto che la colpa deve essere sempre espressa per poter essere punita (art 42 c 2). C’è
chi ritiene tuttavia che la struttura peculiare del tentativo escluderebbe ad ogni modo la colpa: il requisito
della direzione degli atti univoca presuppone la volontà del soggetto che li pone in essere. Si è peró detto
che in realtà tale concezione di univocità è oggettiva, dipende da caratteristiche degli atti e non dalla
volontà. Aldilà di questa questione interpretativa, è un fatto che nel nostro ordinamento non esistano
forme di tentativo colposo. Anche perchèC dice il libro, se esistessero si amplierebbe troppo la sfera di
punibilità. Tornando al dolo del tentativo, l’oggetto del dolo della fattispecie tentata consiste nella
volontá di realizzazione del fatto tipico: il dolo del delitto tentato è quindi identico al dolo del delitto
consumato, non ha nessuna rilevanza la mancata consumazione, che non esclude la volontà che c’era di
compiere il reato.
Il problema principale dell’analisi del dolo del tentativo riguarda però la compatibilità del tentativo con il
dolo eventuale. Una prima teoria la considerava possibile: Nel silenzio del legislatore, la identità tra dolo
del tentativo e dolo della consumazione sotto ogni aspetto rendono diversa applicabile anche al tentativo
è il dolo eventuale. L’orientamento opposto invece maggioritario, ritiene incompatibili il tentativo è il
dolo eventuale, visto che il requisito della univocità degli atti richiederebbe un atteggiamento psicologico
della gente orientato verso una volontà più forte rispetto alla semplice accettazione del rischio. Chi
agisce con dolo eventuale infatti non persegue direttamente l’evento lesivo ma se ne rappresenta solo la
possibilità. Ma questa semplice rappresentazione Non è compatibile con atti che siano davvero univoci,
perché gli atti univoci presuppongono invece che ci sia davvero una volontà consapevole di compiere il
reato.
Oltre alle contravvenzioni in generale e ai delitti colposi, vi sono altre categorie di delitti che non
sembrano compatibili con il tentativo, in virtù della sua funzione di come abilità anticipata di condotte
diverse dalla consumazione del reato definitiva. Si dice che il tentativo non sia compatibile con i diritti di
pericolo, poiché essi già di per sé puniscono la semplice messa in pericolo del bene protetto.il tentativo
di un delitto di pericolo anticiperebbe troppo la soglia della punibilità, contrastando il principio di
offensivi ta. Per la stessa ragione si dice che il tentativo non è compatibile con i delitti di attentato. Si
tratta di particolarti delitti, come quello di attentato alla costituzione, retaggio del regime fascista. Tali
delitti già di per sé sono a consumazione anticipata, per così dire, perché si considerano consumati in
virtù di condotte dirette ad un risultato, che però non è raggiunto, e quindi condotte che a loro volta
sarebbero già un tentativo. Rendere applicabile a queste fattispecie il tentativo significherebbe in
sostanza punire il tentativo di un tentativo, anticipando eccessivamente la soglia della punibilità. Va
sottolineato, però, che la dottrina, proprio per la vicinanza tra attentati e tentativo, ha fatto sì che si
interpretassero tali reati proprio alla luice dei requisiti del tentativo, sicchè sarebbe punibile un attentato
solo se la condotta risulta effettivamente idonea e univoca. Il requisito della idoneità è stato addirittura
recepito nella legislazione che ha modificato alcune norme incrimantrici di questi attentati, prevedendolo
epslicitamente come elemento del fatto tipico. Neppure sono compatibili con il tentativo i delitti
preterintenzionale, dove l’evento finale non è voluto, e proprio perché non è voluto, esso non è
compatibile con atti che vi siano diretti in modo univoco. si discute invece sulla compatibilità del
tentativo con i delitti omissivi: in realtà è pacifico che il dolo sia compatibile con hlinomissivi impropri:
Pensiamo alla madre che tenta di uccidere il proprio figlio non allattandolo. Recentemente si è detto
anche che il tentativo è compatibile con il delitto omissivo proprio, si pensi ad esempio al soggetto che si
ponga nell’impossibilità di adempiere a un obbligo. Un esempio può essere quello di un pubblico
ufficiale che si rende irreperibile per non compiere un atto del suo ufficio, che però viene compiuto dal
suo collega in sua assenza. questa sarebbe una forma di tentativo di delitto omissivo proprio, ossia quello
di rifiuto di atti d’ufficio.
Un’altra particolare applicazione del tentativo sia con le circostanze. Non sono applicabili al tentativo
infatti le circostanze aggravanti attenuanti che presuppongono che il diritto sia consumato: non è
compatibile con il tentativo l’attenuante che si applica quando il danno patrimoniale del reato e di
speciale tenunità, visto che nel tentativo, non essendoci stata la condotta nel suo compimento, non ci può
essere neanche il danno, altrimenti si starebbe parlando di consumazione e non di tentativo.
Il tentativo è invece compatibile con le circostanze aggravanti attenuanti che sono concomitanti con la
commissione del fatto anche nelle sue attività iniziali, e che prescindono dalla consumazione definitiva.
Si parla in questo caso di tentativo circostanziato di delitto. Ad esempio è compatibile il tentativo di
omicidio con l’aggravante dell’aver agito per motivi futili, o dell’aver agito in stato di ira, quando chi
pone in essere il tentato omicidio lo fa per gelosia verso la propria ragazza.
117
Si discute invece sulla possibilità di un tentativo di delitto circostanziato, Ossia di un caso in cui il
tentativo non realizzi di per sè una circostanza aggravante o attenuante (come nell’esempio di prima) ma
sia rivolto ad un reato che, solo ove compiuto, integrerebbe corcostanza. È il caso di un tentato furto di
un’opera d’arte: di per sè il tentativo non realizza l’aggravante del grande valore dell’oggetto (art 61
numero 7), perchè l’oggetto non è ANCORA stato rubato, ma se il furto fosse compiuto tale aggravante
sarebbe realizzata. Sembrerebbe non ammissibile questa fattispecie di tentativo di delitto circostanziato,
e quindi non sarebbe applicabile una aggravante o una attenuante al tentativo solo sulla base del fatto che
il delitto eventualmente compiuto sarebbe stato aggravato o attenuato. Non è ammissibile per un
principio di legalità: non è previsto nel nostro codice il tentativo di realizzare una circostanza aggravante.
In qualche modo connessi alla disciplina del tentativo è quella che riguarda il cosiddetto reato
impossibile. Questo viene previsto dall’articolo 49 comma due il quale dice che la punibilità è esclusa
quando per la inidoneità dell’azione o per l’inesistenza dell’oggetto di essa, è impossibile l’evento
dannoso o pericoloso. In questi casi il giudice può al massimo applicare al soggetto autore una misura di
sicurezza. Non è vero, come è stato pensato in passato, che tale norma sia semplicemente una ripetizione
in negativo della disciplina del tentativo, con il compito di precisare che le azioni non idonee a realizzare
un reato non sono punibili. Non è vero anche perché, se davvero fosse solo una ripetizione, vi sarebbe un
effetto aberrante: l’articolo 56 infatti parla del Tentativo solo con riferimento ai delitti, mentre l’articolo
49 parla anche di contravvenzioni: sicché gli atti idonei ed univoci per commettere una contravvenzione
non configurerebbero un tentativo, e non sarebbero punibili, perchè l’articolo 56 non é applicabile alle
contravvenzioni, mentre gli atti univoci ma non idonei, e quindi meno gravi, a commettere una
contravvenzione potrebbero portare ad una conseguenza più grave, ossia un’applicazione di una misura
di sicurezza. Per questo la dottrina si è sforzata per ricostruire una funzione specifica dell’articolo 49.
Reato impossibile è stata attribuita quindi la funzione di escludere la punibilità quando il fatto criminoso
che è perfetto e anche consumato e però incapace di determinare un’effettiva lesione.sarebbe in questo
senso tale articolo un’esplicitazione del principio di offensivi ta nello so ordinamento.questa norma
anche ispirato una certa concezione cosiddetta realistica del reato, in base alla quale il reato esiste
quando volte ad essere consumato, in termini di tipicità formale, Lede effettivamente un bene giuridico,
in termini di tipicità sostanziale. Naturalmente questa concezione è stata criticata nella misura in cui non
è concepibile un reato senza un’offesa, dato che la consumazione formale del reato implica
necessariamente un’offesa, quindi non sarebbero configurabili fatti tipici non offensivi. In realtà però, è
vero che di regola il fatto tipico esprime una lesione come tale offensiva, ma vi sono dei casi in cui
effettivamente alla perfezione formale del reato non fa seguito una effettiva lesione. Si pensi al caso di
scuola del
Furto del chicco di uva: è un furto a tutti gli effetti ma non è offensivo. Quindi questa disciplina del reato
impossibile, più che imporre una doppia valutazione di tipicità prima e concreta lesivi ta dopo, ribadisce
semplicemente l’irrilevanza di fatti che non siano in grado di determinare una concreta esposizione a
pericolo o a lesione del bene protetto, In coerenza Al principio di materialità e al modello di cosiddetto
diritto penale del fatto. Per valutare effettivamente il pericolo sorto per il bene giuridico bisogna
innanzitutto giudicare la condotta nel suo complesso, e bisogna giudicarla ex post quando ormai si è
conclusa, con la conseguenza che verrà data rilevanza anche a circostanze ignote o non conoscibili dal
soggetto al momento della condotta. Il
Giudizio sarà pertanto su base totale: se tento di uccidere una persona che è già morta, ma non so che è
morta, comunque il tentativo non sarà punibile. Se provo a rubare un oggetto che pensò esista ma che
non esiste, non sarà un tentativo di furto punibile. Se peró tento di rubare un portafogli dalla borsa di una
donna che non ha il portafogli, sebbene pensassi ci fosse, saró punibile: qui infatti sussiste un caso
particolare, perché la inesistenza dell’oggetto è una inesistenza “occasionale”, e la condotta resta
offensiva.
Il comma 1 dell’articolo 49 riguarda invece il reato putativo: “non è punibile chi commette un fatto non
costituente reato nella supposizione erronea che esso costituisca reato. L’errore può cadere sul fatto o sul
precetto, ma non cambia la sostanza: non vi è un fatto tipico per il diritto penale e non vi è lesione. Se la
condotta appare comunque sintomatica di una pericolosità sociale, è applicabile 1 misura di sicurezza.

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CONCORSO DI PERSONE 

Il concorso di persone dell’istituto del diritto penale che disciplina i reati tipizzati nella parte speciale del
codice nelle situazioni in cui non siano compiuti da un solo soggetto ma da più di uno, quindi quando si
caratterizzano per essere reati plurisoggettivo. Quanto più compartecipi compie un reato, vi sono due
problemi principali che il diritto penale deve risolvere.il primo è stabilire chi debba rispondere, su un piano
di imputazione, o selezione soggettiva dei responsabili. Il secondo è stabilire per cosa ciascuno debba
Rispondere, ossia selezionare quella che possiamo definire una condotta minima che può far parlare di una
vera e propria partecipazione al reato.dal punto di vista normativo, l’articolo 110 del codice prevede che
quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita.
Sembra una definizione scontata: ciascuno risponde del fatto commesso da solo o insieme ad altri.non viene
però chiarito quando e a che condizioni un soggetto si può dire che abbia concorso in un reato. Per questa
ragione la definizione del concorso di persone necessità dell’integrazione di questa norma con Le altre regole
del diritto penale che riguardano i presupposti della responsabilità, e quindi le norme in tema di causalità, di
dolo, di colpa, soprattutto i principi della costituzione. L’articolo 110 una clausola generale, e quindi una
disposizione che non trova applicazione diretta, ma che si applica in combinato disposto con la fattispecie
incriminatrice di parte speciale che viene violata da più soggetti nel caso concreto. così facendo la norma
dell’articolo 110 (così come quella del 113, che riguarda il concorso colposo) ha una duplice funzione: Da un
lato punisce condotte che già sono tipiche sulla base della fattispecie di parte speciale, nella sua versione
quindi cosiddetta Monos oggettiva, quando queste condotte però sono compiute da più soggetti (funzione di
disciplina). Dall’altra permette anche però di punire condotte che, se compiute da un soggetto isolatamente e
non in un contesto di concorso, non sarebbero punibili, poiché atipiche, cioè non descritte dalla fattispecie
incriminatrice nella sua versione Monosoggettiva (funzione incriminatrice). Potrebbe trattarsi sia di condotte
che considerate isolatamente sono neutre, quindi normali, proprio come la condotta del palo in una rapina,
sia di condotte che non corrispondo no alle specifiche modalità di condotta che il reato nella sua forma
Monos oggettiva, quando si tratta di reato a forma vincolata, prevede. Sappiamo però che entrambe queste
funzioni si porrebbero in contrasto con almeno due principi della costituzione. Innanzitutto il principio di
responsabilità per fatto proprio e colpevole: Si finirebbe per ascrivere a un soggetto un fatto che magari è
stato compiuto materialmente da qualcun altro, per la semplice ragione che il soggetto stesso vi ha
partecipato pur senza un apporto considerevole. per esempio sarà punito il palo in una rapina, pur non
avendo partecipato materialmente alla violenza e alla sottrazione del denaro. E d’altro canto il principio di
legalità, sotto il profilo della tassatività, proprio perché l’articolo 110 (e l’articolo 113) pulirebbero condotte
che esulano dalla previsione della fattispecie penale di parte speciale. 
In realtà, a ben vedere, quando L’articolo 110 si limita a rendere punite per il concorso condotte che
sarebbero comunque tipiche anche nella versione Monosoggettiva, non vi sarebbe alcun contrasto con le
norme costituzionali, poiché semplicemente tali condotte già tipiche sarebbero semplicemente riqualificate in
ottica concorsuale. Non vi sarebbe alcuna estensione di ounibilità, che invece interverrebbe quando l’art 110
ha funzione incriminatrice in senso stretto.Anche in quest’ultimo caso però bisogna fare una distinzione,
perché con riferimento ai reati a forma libera, la condotta non è descritta in modo specifico dalla norma
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incriminatrice, e quindi l’articolo 110, ponendo anche la condotta generica descritta dalla norma si è
compiuta da più persone, sarebbe comunque operando nei limiti della tassatività. Alla luce di tutto ciò, una
vera lesione della tassatività vi sarebbe solo con riferimento alle situazioni in cui l’articolo 110 punisce
condotte che nel Reato in versione Monosoggettiva, A FORMA VINCOLATA, non sono previste.
La ragione di questa disciplina derogatoria rispetto a questi principi costituzionali, Secondo la dottrina,
dipenderebbe dal fatto che i reati compiuti in concorso sono reati dal punto di vista sociale più pericolosi,
visto che l’unione delle forze umane e la divisione dei compiti in termini di organizzazione criminale, rende
più facile compiere un reato o comunque ne rafforza le modalità di realizzazione.alla base quindi di questa
estensione della punibilità, e di questa flessibilità nel rispetto dei principi costituzionali, vi sarebbe una
ragione di carattere generale preventivo, ossia la necessità di neutralizzare gli attacchi organizzati e
concorsuali ai valori dell’ordinamento giuridico: un’esigenza di difesa sociale quindi. 
Anche il Modello della causalità come sussunzione sotto leggi scientifiche non sembra rispettato appieno
nella disciplina del concorso: Il codice penale ricostruisce il concorso di persone seguendo un modello
causale che appare superato, ossia il modello causale della condicio sine qua non. Infatti, ai sensi
dell’articolo 110 nella sua dimensione letterale, concorrere a un reato significa concausarlp, laddove per
causa si intende qualunque condizione che, insieme ad altre, ha portato a quel reato, in base al principio di
equivalenza ex art. 41 nella sua concezione ormai superata. Questo modello non appare soddisfacente:
innanzitutto ci sono delle condotte che possono essere rilevanti nel concorso, pur non essendo effettivamente
una condicio sine qua no, e che andrebbero punite: pensiamo a un complice che si limita a dare all’altro
complice un grimaldello per una rapina, ma l’altro complice già ce l’ha. Viceversa, vi sono condotte che
possono essere condizionali rispetto al reato, che però non meritano di essere punite: il panettiere chi vende il
pane a tizio che poi lo avvelena per darlo alla moglie, non può essere punito, pur avendo posto in essere una
condotta condizionale rispetto a quel reato. Perció tale modello è stato messo in discussione (vedi dopo).
Come si è detto, il primo problema creato dal concorso di persone è un problema di imputazione: bisogna
stabilire chi è responsabile del fatto compiuto in concorso Pechino.per chiarire questo dubbio e trovare una
soluzione bisogna rifarsi al concetto di imputatio e di causa ad escludendomi giá utilizzati in tema di
causalità. Bisognerà quindi rifarsi i concetti di gestione della sfera privata, competenza e rischio. 
A questo proposito, si è detto che il presupposto da cui partire per comprendere come si imputa un fatto a un
soggetto è che la norma penale, anche se astrattamente rivolta a chiunque, in realtà individua il suo
destinatario in modo specifico: il destinatario è la persona che si trova in una situazione concreta in base alla
quale viene ad esistenza un dovere giuridico di osservare quella norma penale specifica. È per questo che si
dice che ciascuno è punibile solo per un fatto proprio, per un fatto quindi che gli appartiene. Infatti ciascun
soggetto di base, in virtù dell’articolo 13 della costituzione, a una libertà personale inviolabile. tale libertà ha
come unico limite di principio quello di non violare la libertà altrui, quindi di non invadere negativamente la
sfera giuridica di qualcun altro. Questo implica che ciascun soggetto, se pur libero, hai il dovere giuridico
generale di una corretta gestione della propria sfera di libertà, in modo da non ledere quella altrui. Questo
implica a sua volta che ciascuno è competente per quei pericoli che originano dall’esercizio propria sfera di
libertà. Ma non di tutti i pericoli. Vero sono alcuni, infatti, che possiamo definire rischi leciti, dei quali
possono derivare delle lesioni a beni giuridici che comunque non potrebbero essere imputate al soggetto
titolare e competente di quei rischi.perché si tratta di rischi della vita quotidiana che non possono portare una
punizione, altrimenti sarebbe come vivere in uno stato di polizia assoluto.pensiamo al professore
universitario che decide di bocciare un alunno.lo fa sulla base delle prerogative che appartengono alla sua
sfera giuridica: rispetta il suo ruolo di professore. Questo esercizio della sfera giuridica di libertà crea
potenzialmente un rischio: il rischio che lo studente, in preda ad una crisi isterica, faccio un grave incidente
in macchina.di quell’incidente ovviamente non potrà rispondere il professore, nonostante il rischio sia stato
astrattamente da lui derivato, perché si tratta di un rischio lecito, che fa parte della vita quotidiana. I rischi
che invece, quando creano lesioni di beni giuridici, sono fonte di potenziale responsabilità penale del
soggetto sono i rischi illeciti, quelli che derivano da una gestione non corretta della propria sfera di
libertà.quelli quindi che derivano da una violazione da parte del soggetto titolare del dovere giuridico
generale di non danneggiare le libertà altrui.
Rispetto a ciascun rischio illecito che si crea, vi è un soggetto competente a prevenire quel rischio, o per
ragioni professionali, o per altre ragioni, il quale però non è riuscito ad evitare il danno. così facendo, il
soggetto non ha rispettato quel dovere giuridico che attiene alla sua posizione di svolgere la sua attività e
gestire la sua sfera di libertà in modo corretto, e così facendo non ha prevenuto quel rischio, il cui controllo
era nella sua competenza nel caso concreto. Per tale ragione risponderà delle conseguenze lesive che sono il
risultato di quel rischio specifico. Questo è il modello di imputatio del diritto penale, a prescindere dalla
Forma del reato Monosoggettiva o plurisoggettiva: un fatto lesivo puó essere imputato ad un soggetto
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quando è il Risultato della realizzazione di un rischio illecito che il soggetto aveva la competenza di gestire.
Il cuore della responsabilità personale ex art. 27 cost è proprio questo: la competenza a gestire un rischio non
lecito, o non ubiquitario, quindi non consentito e il connesso DOVERE GIURIDICO di evitare danno. Per
completezza, tale dovere giuridico può essere generale, quando ricade sul cittadino comune, e speciale o
istituzionale quando è attribuito a un soggetto che è qualificato in modo specifico, e che ha un compito di
protezione di determinati beni giuridici speciali, e che quindi è tenuto ad una forma di cura per così dire più
intensa.
Tutti i doveri giuridici di corretta gestione della propria sfera di libertà, che siano generali o speciali, nascono
in un momento che logicamente precedente rispetto alla stessa norma penale. La norma incriminatrice infatti
semplicemente seleziona quali sono le condotte tipiche di reato, tra quelle che costituiscono una violazione
di questo dovere giuridico.in altre parole non tutte le violazioni dei doveri giuridici di gestione del rischio
diventano condotte tipiche per il sortito penale, ma solo quelle selezionate dal legislatore in termini di
tipicità, nel rispetto del principio di extrema ratio. Quindi quelle ritenute più gravi, anche per principio di
frammentarietà del diritto penale. In alcuni casi, peraltro, ossia nei reati a forma vincolata, solo le condotte
che sono eseguire con determinate modalità sono poi tipiche. La legge penale quindi seleziona solo alcuni di
quei doveri giuridici di corretta gestione della sfera di libertà che hanno rilevanza penale, in alcuni casi sono
alcune modalità di violazione di questi doveri giuridici.così si risolve il problema dell’imputazione nel diritto
penale, a prescindere dalla fattispecie Monos oggettiva o pluri soggettiva. Diverso è chiedersi perché i
concorrenti rispondono del reato.bisogna chiedersi quindi quale sia il fondamento giuridico penale sulla base
del quale i concorrenti sono puniti, anche se non hanno realizzato interamente quel fatto descritto dalla
norma incriminatrice.
Secondo una concezione estensiva dell’autore, i partecipi rispondono perché contribuiscono alla
realizzazione del fatto, e in tal modo ne risultano autori. Si dice che tale concezione estensiva perché estende
il concetto stesso di autore anche a chi pone in essere qualunque tipo di apporto anche atipico rispetto alla
condotta descritta dalla fattispecie incriminatrice. Il comportamento di concorso penalmente rilevante
sarebbe quello che costituisce una condizione, quindi, affinché il fatto sia realizzi. Il criterio di selezione
seguito quindi è quello causale dell’equivalenza delle condizioni, ossia la condicio sine qua non, come si è
detto. Tale teoria evidentemente forza il dato normativo ampliando eccessivamente ed indebitamente il
contenuto della disposizione incriminatrice, che punisce un fatto ben determinato specificandone la
tassativamente la modalità di realizzazione, e che quindi non permetterebbe un’estensione a fatti atipici, che
rappresenterebbe invece una violazione del principio di tassatività stesso. Si è pertanto sostenuta una teoria
diversa, una concezione restrittiva dell’autore, che parte dal presupposto che le norme di parte speciale,
proprio perché specificano le modalità di realizzazione dell’illecito penale, riguardano solo chi è autore del
fatto, ossia autore del Fatto tipico così come descritto dalla Norma in modo tassativo. Perciò, chi pone in
essere la condotta di partecipazione che non sia tipica, e che quindi non appartenga alla descrizione fatta
nella norma incriminatrice, non risponderà come autore del fatto tipico. Una terza teoria è quella della
accessorietà: il partecipe sarebbe colui che pone in essere una condotta che non è tipica necessariamente, ma
che comunque accede a quella tipica dell’autore, e da essa trae spiegazione per la sua punibilità. Questa
teoria quindi è meno garantista rispetto a quella restrittiva, ma è più garantista rispetto a quella estensiva. non
richiede, affinché ci sia la punibilità del compartecipe, che la sua condotta sia necessariamente tipica e cioè
descritta dalla fattispecie, e allo stesso modo non punisce qualunque tipo di partecipazione atipica, ma
introduce questo ulteriore requisito della accessorietà: affinché una condotta sia considerata accessoria a un
fatto principale, deve quindi avere determinate caratteristiche di relazione con questo fatto principale. Ossia
deve averlo causato, in senso di condicio sine qua non, o Deve averlo agevolato, o devo aver creato o
aumentato il rischio della sua commissione. Anche tale modello ha però dei difetti: innanzitutto non è
applicabile, o meglio non spiega il caso di reati a esecuzione frazionata: qui nessuno dei concorrenti realizza
il fatto tipico, perché ognuno pone in essere un segmento del fatto di reato complessivamente inteso. Non si
capisce sempre facilmente quale sia la condotta principale a cui le altre accedono. Inoltre questo tipo di
teoria neanche spiegherebbe il meccanismo del concorso nel reato proprio, vedi dopo. Il difetto della teoria
dell’accessorietà e quindi sta principalmente il fatto di dare per scontato in ogni caso la possibilità di
individuare un soggetto autore principale. per questo è stato elaborato un correttivo di questa teoria, e quindi
si è passati alla teoria dell’accessorietà in senso normativo. Sarebbe da considerarsi punibile, secondo questa,
la condotta che ha il medesimo significato normativo di quella principale dell’autore. anche questa teoria ha
dei limiti, perché non determina che cosa si intenda per medesimo significato normativo: a quali norme
bisogna fare riferimento per poter dire che il senso della condotta accessoria è illecito? 
Una quarta teoria è quella della fattispecie plurisoggettivo eventuale. Secondo questa teoria la fattispecie di
concorso di persone che si crea con il Combinato disposto tra 110 cp e norma 
121
Incriminatrice di parte speciale è una fattispecie nuova e diversa rispetto a quelle monosoggettive, per una
tecnica diversa di tipizzazione. Inoltre è una fattispecie eventuale, a differenza di alcuni reati che hanno una
struttura plurisoggettiva necessaria, ossia quei reati che già nella norma incriminatrice richiedono di per sé
un concorso, come la violenza sessuale di gruppo.   Il fatto che invece quella del 110 sia una fattispecie
eventuale e nuova, implica che chi concorre risponde in virtù di questa nuova fattispecie e non di quella
monosoggettiva: questo rende possibile punire fatti che, per la fattispecie nella versione monosoggettiva,
sarebbero atipici, e quindi soggetti che non sarebbero responsabili in base a questa. Ed essendo una nuova
fattispecie unica, si spiega perchè tutti rispondono ad eguale titolo, a prescindere dal peso del contributo.
Volgendo l’attenzione al piano della tipicità, ci si chiede innanzitutto che cosa si debba intendere per reato,
nel momento in cui si parla di concorso nel reato stesso. Il primo interrogativo da risolvere è se il concorso
possa riguardare solo un reato consumato, o anche un reato solo tentato. La soluzione è che è ben possibile il
concorso di persone nel tentativo di un reato, nel qual caso i soggetti sarebbero puniti per il combinato
disposto della norma incriminatrice di parte speciale, dell’articolo 56 e dell’articolo 110, in quella che si
chiama combinazione multipla. Pensiamo a due soggetti che si appostano sotto casa di tizio per ucciderlo,
con il piano secondo cui uno deve agire bloccandolo e l’altro pugnalandolo. Tizio scende, i complici lo
aggrediscono ma chi doveva trattenerlo perde la presa prima che l’altro lo colpisca col pugnale e tizio
scappa. Sarebbe un concorso in tentativo di omicidio.
Non è invece punibile l’ipotesi opposta, ossia quella del tentativo di concorso, ossia quella in cui più persone
si mettono d’accordo sul compiere un reato ma non danno seguito a questo loro accordo. l’esclusione della
punibilità di queste ipotesi viene stabilita esplicitamente dall’articolo 115, che esclude la possibilità di
applicare una pena per il semplice accordo di un reato, o per la semplice istigazione a compiere un reato che
non viene accolta dal soggetto istigato. In questi casi al più si potrà applicare una misura di sicurezza. Questa
scelta normativa risponde il principio di materialità e al principio di offensivi ta. La legge, e di preciso
l’articolo 115 Stesso, fa salva l’ipotesi in cui la legge disponga altrimenti: ci si riferisce a quei reati che
puniscono un semplice accordo tra più soggetti, come l’associazione a delinquere di cui all’articolo 416,
punita nonostante le condotte sia neutra se considerata isolatamente, anche se da questa associazione non
derivano reati veri e propri.
Art. 115: “Salvo che la legge disponga altrimenti, qualora due o più persone si accordino allo scopo di
commettere un reato, e questo non sia commesso, nessuna di esse è punibile per il solo fatto dell'accordo.
Nondimeno, nel caso di accordo per commettere un delitto, il giudice può applicare una misura di sicurezza.
Le stesse disposizioni si applicano nel caso di istigazione a commettere un reato, se l'istigazione è stata
accolta, ma il reato non è stato commesso. Qualora l'istigazione non sia stata accolta, e si sia trattato
d'istigazione a un delitto, l'istigatore può essere sottoposto a misure di sicurezza”. Dunque, sgomberato il
dubbio sulla compatibilità tra tentativo e concorso, la dottrina ha poi elaborato diversi criteri per individuare
quale sia una condotta cosiddetta minima affichè si possa parlare di concorso di persone nel reato. 1.Una
prima teoria è quella che si focalizza sull’elemento soggettivo della volontà del partecipe. In questo senso chi
sosteneva questa teoria riteneva che, a prescindere dalla natura dolosa o dalla colposa del reato compiuto, vi
fosse concorso tutte le volte in cui almeno uno dei compartecipi avesse consapevolezza e accettazione
volontaria del fatto che quel reato si stesse commettendo in gruppo. cioè almeno uno dei compartecipi
doveva sapere che era supportato dagli altri, affinché ci fosse un concorso di reato attribuibile a tutti. 
Si tratta quindi di una volontà e di una rappresentazione e consapevolezza necessaria per il concorso, che
sono peró distinte da volontà/rappresentazione del dolo, tant’è vero che secondo questa teoria questa forma
di consapevolezza e volontà sarebbe compatibile anche con un reato in concorso che si realizza però con
modalità colpose: un esempio sarebbe l’istigazione di tizio rivolta a Caio di guidare oltre i limiti di velocità,
quando Caio accetta l’istigazione e, aumentando i limiti di velocità, cagiona un incidente che crea lesioni,
che saranno punire come colpose. Secondo questa teoria quindi ci sarebbe concorso quando ci è un
collegamento tra le condotte dei soggetti, e tale collegamento è costituito dalla consapevolezza di almeno
uno di questi di concorrere, poiché tale consapevolezza renderebbe propria del soggetto in questione anche la
condotta degli altri. Non è quindi necessario che questa consapevolezza di agire in concorso sia di tutti, ossia
reciproca. 
questa teoria però manifesta grandi limiti. Innanzitutto si è dimostrato che non necessariamente chi è
consapevole di concorrere poi deve rispondere del fatto realizzato collettivamente. Il libro fa l’esempio di
tizia, amante di Sempronio che minaccia Sempronio stesso di incaricare il Killer caio di uccidere la moglie di
Sempronio, se questo non chiede il divorzio da lei per stare con tizia stessa. Sempronio non risponderà di
omicidio neanche se manifesta a tizia il suo favore per quest’operazione.in questo caso infatti pur
consapevole della partecipazione, Sempronio non risponde in concorso. CHIEDI A SBARRO perchè
Sempronio non risponde!!
122
In generale, comunque, il grosso limite di questa teoria è che rende necessario ciò che è necessario non è al
fine del concorso, ossia questa consapevolezza di agire in concorso: in realtà tale consapevolezza non è
sempre rilevante, perché non è detto che chi sa di cooperare a un fatto di reato debba sempre rispondere. Del
resto nella vita di tutti i giorni I rapporti tra soggetti diversi rende possibile che qualcuno abbia conoscenze
che, seguendo questa teoria, renderebbero incriminabili attività quotidiane. Se Tizio si fa dare un passaggio
da Caio, pur sapendo che questo Caio di solito è distratto alla guida, non può certo rispondere dell’incidente
prodotto da Caio solo perché sapeva che Caio non era un grande guidatore. 
2.Questo il motivo per cui è sviluppato una seconda teoria, quella del contributo causale, che riprende le
nozioni tipiche della causalità, ed in particolare gli articoli 40 e 41. Secondo questa teoria bisognerebbe
applicare il paradigma della condicio sine qua non per identificare la condotta minima di partecipazione.
Sará responsabile di concorso chi con la sua condotta da un apporto che risulta condizionale in termini
causali al reato finale. Anche questa teoria mostra diversi limiti. Innanzitutto rende non punibili dei
contributi che non hanno avuto apporto causale ma che possono essere stati rilevanti, come le mere
agevolazioni, e che invece meriterebbero la pena. Inoltre escluderebbe la punibilità di altri contributi, in
termini di concorso morale, Come la istigazione o il rafforzamento del proposito criminoso, che
materialmente non hanno avuto nessun apporto, ma che invece sono fondamentali e meritano la pena. Infine
questa teoria appare smentita anche dal codice penale, che all’articolo 114 prevede una diminuzione
facoltativa della pena da parte del giudice, se questo ritiene che l’opera prestata da uno dei concorrenti abbia
avuto una “minima importanza”. Questo dimostra che anche i contributi non condizionali in termini causali
sarebbero comunque punibili. Art. 114: “Il giudice, qualora ritenga che l'opera prestata da taluna delle
persone che sono concorse nel reato a norma degli articoli 110 e 113 abbia avuto minima importanza nella
preparazione o nell'esecuzione del reato, può diminuire la pena. Tale disposizione non si applica nei casi
indicati nell'articolo 112. La pena può altresì essere diminuita per chi è stato determinato a commettere il
reato o a cooperare nel reato, quando concorrono le condizioni stabilite nei numeri 3 e 4 del primo comma e
nel terzo comma dell'articolo 112”. (Sui commi ulteriori dell’articolo vedi dopo).
3.Tutti questi limiti hanno portato all’elaborazione di una terza teoria, quella dell’agevolazione, che
comunque è una teoria di impianto causale perché considera la Condotta di partecipazione come punibile
ogni volta che in base ad un giudizio ex post si possa affermare che abbia facilitato la realizzazione del reato,
rafforzando la dinamica del fatto. Questa teoria avrebbe in comune con quella causale soprattutto il punto di
vista ex post del giudizio, ma sarebbe in qualche modo più estensiva, considerando punibili anche condotte
che magari non sarebbero causali ma comunque agevolative. Tuttavia anche questa teoria lascerebbe fuori
dalla punibilità dei contributi che neppure hanno Agevolato il reato rafforzando il fatto, ma che nondimeno
sono meritevoli di pena, come ad esempio la condotta di un complice maldestro, il quale non ha dato nessun
apporto agevolativo al fatto di reato ma anzi l’ha ostacolato, ma che comunque deve essere punito. 
4. Per questa ragione si è approdati ad una diversa teoria che cambia radicalmente il punto di vista del
giudizio sulla rilevanza o meno di una condotta del concorso, ponendosi in una prospettiva ex ante, e quindi
prognostica. Questo modello considera quindi qualunque apporto Che, idealmente al momento in cui è stata
posta la condotta, si poteva dire idoneo ad aumentare la probabilità di realizzazione del reato. Tuttavia il
limite di questa teoria è che trasforma la partecipazione, in sostanza, in un reato di pericolo a sestante,
finendo di pulire un mero tentativo di concorso, che invece per esplicita previsione dell’articolo 115 non è
punibile. 
5.Si è approdati infine alla teoria normativa del concorso, una teoria che seleziona oggettivamente le
condotte rilevanti di partecipazione innanzitutto differenziando il concorso doloso dal concorso colposo, e
partendo dal concetto di imputatio. L’imputato rappresenta il criterio con cui si può scrivere un fatto ad un
soggetto, un criterio in base al quale, come detto, la base minima per imputare un fatto al soggetto e la
sussistenza a carico di quest’ultimo di un dovere giuridico preesistente alla norma penale che limita la sua
sfera di diritti di libertà, in quanto fonda in capo a questo soggetto stesso la competenza per gli eventi
dannosi che derivino dalla non corretta gestione di questa sfera stessa. Sicché la responsabilità sarebbe
esclusa del tutto, il soggetto andrebbe assolto con la formula perché non ha commesso il fatto, se tale dovere
giuridico non sussiste nel caso concreto, Ossia se il soggetto non era competente ad evitare che si verificasse
il reato. Solo in una fase successiva si dovrà analizzare la tipicità della condotta del soggetto che non ha
rispettato quel dovere giuridico, e se il fatto non è tipico, pur essendo ascrivibile al soggetto, e li sarà assolto
non perché non l’ha commesso, ma perché il fatto non costituisce reato, cioè non integra la norma
incriminatrice su un piano di tipicità, che poi è la stessa formula con cui sarà assolto e chi compie un fatto
tipico ma non antigiuridico e chi compie un fatto tipico e antigiuridico ma non colpevole.
Vediamo i requisiti strutturali del concorso di persone, che sono identici in entrambe le forme della tipicità
dolosa e colposa.
123
1. Anzitutto vi è la pluralità di agenti naturalmente: è necessario che ve ne siano almeno due, a prescindere se
uno dei due non sia punibile: il concorso sussiste lo stesso. Ciò si ricava indirettamente da due disposizioni in
particolare: l’articolo 111, che dice: “Chi ha determinato a commettere un reato una persona non imputabile,
ovvero non punibile a cagione di una condizione o qualità personale, risponde del reato da questa commesso,
e la pena è aumentata. Se si tratta di delitti per i quali è previsto l'arresto in flagranza, la pena è aumentata da
un terzo alla metà”. Inoltre, una conferma di questa possibilità della sussistenza di un concorso anche con
soggetto non imputabile deriva dall’articolo 112 che prevede una circostanza aggravante specifica proprio
per queste situazioni, ossia quella indicata dal comma 2: “La pena è aumentata fino alla metà per chi si è
avvalso di persona non imputabile o non punibile, a cagione di una condizione o qualità personale, o con la
stessa ha partecipato nella commissione di un delitto per il quale è previsto l'arresto in flagranza”. Alla luce
di questa considerazione, si possono ricondurre al concorso di persone tra un soggetto punibile ed uno non
punibile/non imputabile anche una serie di ipotesi generali previste dal cp, accomunate dal fatto che l’autore
materiale viene escluso dall’area di responsabilità penale: il reato compiuto per costringimento fisico (46), il
reato compiuto a causa di uno stato di incapacità determinato da un altro, appositamente per far compiere
quel reato (86) e il reato commesso dietro minaccia (54 u.c.).
2. In secondo luogo, requisito del concorso è la realizzazione, tramite contributo di ogni compartecipe, di un
reato: contributi degli agenti devono confluire verso la realizzazione comune di un fatto tipico di reato. Qui
si pone il problema di stabilire il coefficiente minimo di rilevanza di ciascuna condotta di ciascun
compartecipe. Si è detto che il legislatore ha optato per una scelta di unitaria tipizzazione del concorso, visto
che non ha stabilito la cosiddetta condotta minima rilevante: ciò è stato oggetto di obiezioni da parte della
dottrina, principalmente per la circostanza che di fatto investirebbe il giudice del potere di stabilire quali
contributi costituiscono concorso e quali no, in contrasto con il principio di legalità secondo il quale avrebbe
dovuto farlo invece il legislatore. In poche parole le norme sul concorso non offrirebbero un parametro certo
per individuare appunto questa condotta di partecipazione minima, non apprestando alcun criterio di
orientamento per il giudice stesso che quindi avrebbe anche un’amplissima discrezionalità, che lo può
portare a decidere che il responsabile chi no, seppur nei limiti del concetto di competenza di gestione del
rischio (imputatio). Si sa per certo tuttavia cosa NON costituisce condotta rilevante nel concorso: l’art. 115
cp esclude che si possa rispondere per una semplice istigazione, quando questa non è stata accolta o quando
pur accolta, non è stato compiuto il reato oggetto di istigazione. Così come non si risponde per un semplice
accordo per realizzare un reato che poi non è stato messo in atto. Salvo che, come dice l’art. 115, non sia una
norma incriminatrice specifica a punire un’istigazione o un semplice accordo, come nel caso di alcuni delitti
contro la personalità dello stato. Posto questo limite “minimo” di rilevanza, si possono distinguere, in base
alla natura dell’apporto dato, due tipologie di contributo individuale al reato in concorso: il concorso
materiale e quello morale. Nella prima forma rientrano alcune figure tipiche di agente: innanzitutto l’autore,
o esecutore, ossia chi poi materialmente compie la condotta descritta dalla norma incriminatrice: nel
concorso in omicidi, esecutore sarebbe chi spara, che accoltella, o chiunque compie effettivamente l’azione
che cagiona la morte del soggetto. Tale autore può essere immediato, se è l’unico esecutore materiale, come
negli esempi fatti. Ma vi possono essere anche più coautori, pensiamo all’omicidio compiuto da più persone
che contemporaneamente accoltellano la vittima. Infine vi è il caso particolare in cui l’autore materiale è un
autore mediato, ossia un soggetto che non compie azione in prima persona ma lo fa tramite un soggetto non
imputabile o non punibile, che viene di fatto utilizzato come strumento per eseguire l’azione, che peró va
ricondotta a chi lo ha utilizzato come tramite. Si tratta delle citate ipotesi di concorso con persona non
punibile o non imputabile (46, 48, 54 comma 3 e 86). Oltre alla figura in senso ampio di autore, si può
configurare un’altra figura tipica che è il partecipe/complice, ossia chi non compie l’azione esecutiva ma
contribuisce al fatto con un apporto materiale nella preparazione o nell’esecuzione del reato. Per quanto
riguarda invece il concorso morale, esso consiste in un apporto di tipo psicologico, ossia con un apporto che
consiste nel far sorgere o rafforzare il proposito criminoso dell’esecutore: nel primo caso la figura tipica di
riferimento è quella del determinatore, nel secondo caso è quella dell’istigatore. Una forma particolare di
concorso morale è quella operata da un’altra figura tipica, ossia l’agente provocatore: colui il quale (di solito
il cosiddetto agente infiltrato) istiga un soggetto a delinquere e così provoca la commissione di un delitto al
solo scopo di assicurare il colpevole alla giustizia. La dottrina dominante, dopo il superamento di
un’opinione che sosteneva comunque che tali soggetti fossero colpevoli in concorso, almenochè non si
fossero limitati ad osservare il delitto compiuto dall’istigato, ora ritiene che, pur trattandosi formalmente di
un’istigazione punibile, la condotta dell’agente provocatore non dovrebbe essere punibile penalmente,
essendo giustificabile la sua posizione, in termini di antigiuridicità, in virtù di una forma speciale di
dell’adempimento di un dovere ex art. 51 cp.

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NB: Il libro non segue questa tipizzazione delle condotte di partecipazione (concorso materiale o morale,
autore, complice ecc) fatta dalla dottrina prevalente (tra cui Fiandaca e Musco) perché di fatto non esiste una
distinzione tra le due categorie di concorso sul piano pratico: il concorso è un istituto che di per sé ha una
morfologia, cioè un modo di essere, molto variegata, che non può essere ridotta a una semplice distinzione
tra autore e partecipe, né a sotto distinzioni che in realtà sono molto opachi, e non danno risultati
soddisfacenti, perché hanno una valenza puramente descrittiva, ma non possono fornire criteri certi per
fondare la punibilità di un compartecipe piuttosto che di un altro. Al massimo tali distinzioni del tipo di
apporto possono essere utili, come infatti accade nel nostro ordinamento, per graduare sotto il profilo del
quantum, ma non dell’AN, la responsabilità del compartecipe stesso.
Ed infatti vi sono gli articoli 112 e 114 che graduano la pena inflitta al compartecipe proprio in base alla
diversità dei contributi dati al concorso, sia per la forma dolosa che per quella colposa, attraverso un sistema
di circostanze attenuanti e aggravanti, che però non intacca il modello comunque unitario del concorso, che
non prevede comunque una “condotta minima rilevante”. Nel dettaglio, tra le aggravanti ex art. 112, ad
applicazione obbligatoria per il giudice, vi è ad esempio quella che si applica a chi “ha promosso,
organizzato o diretto” la partecipazione al reato: tale contributo direttivo/propositivo viene quindi punito più
duramente di un contributo semplicemente esecutivo. L’applicazione delle attenuanti ex art. 114 è invece
solo facoltativa. Il primo comma, come detto, permette di applicare un’attenuante quando l’opera prestata da
un compartecipe ha avuto un “minima importanza nella preparazione o nella esecuzione del reato”. Si tratta
di una clausola genberale che permette al giudice una valutazione sull’efficacia del contributo dato da un
compartecipe ai fini del reato, in termini causali. Si ritiene che sarebbe di minima importanza un contributo
che potrebbe, ove non operato, essere sostituito facilmente dall’opera di qualche altro compartecipe. La
realtà processuale indica però che tale attenuante non venga quasi mai applicata dai giudici. Il comma 2
dell’art. 114 riguarda invece l’attenuante applicabile a chi è stato determinato a compiere un reato per
coercizione di un’autorità o in condizione di infermità o minorità mentale. NB: qui però, CREDO, che se si
dimostra una connessione tra malattia e reato compiuto sotto determinazione, il soggetto sarà non imputabile
e quindi non si applica attenuante, perchè il soggetto non è a priori colpevole. CHIEDI A METRANGOLO
A seguito della riforma della legge 19 del 1990 è stato Modificato il cosiddetto regime della comunicabilitá
delle circostanze, Sono state cioè cambiate le regole in base alle quali si può o non si puó estendere
l’applicazione di una aggravante/attenuante che ricorre per un compartecipe anche agli altri. L’art. 118
attualmente prevede “Le circostanze che aggravano o diminuiscono le pene concernenti i motivi a
delinquere, l’intensità del dolo, il grado della colpa e le circostanze inerenti alla persona del colpevole sono
valutate soltanto riguardo alla persona cui si riferiscono”. Questo significa che queste circostanze aggravanti
o attenuanti, che in qualche modo sono parametrate proprio alla soggettività psichica particolare di un
compartecipe, non possono essere applicate anche agli altri. Per le altre circostanze che non sono menzionati
esplicitamente nell’articolo 118, si applicherà la regola generale dell’articolo 59, in base alle quali le
attenuanti hanno una rilevanza oggettiva, quindi si estendono a tutti i concorrenti, mentre le aggravanti sono
applicabili solo ai concorrenti che conoscevano o potevano conoscerne il contenuto, in quanto hanno una
rilevanza soggettiva. Invece, l’art. 119, che riguarda le scriminanti, dice che “Le circostanze soggettive le
quali escludono la pena per taluno di coloro che sono concorsi nel reato hanno effetto soltanto riguardo alla
persona a cui si riferiscono. Le circostanze oggettive che escludono la pena hanno effetto per tutti coloro che
sono concorsi nel reato”. La prima parte dell’articolo si riferisce a circostanze particolari come il costringi
mento fisico o la forza maggiore.se uno dei soggetti compartecipi ha agito sulla base di questa condizione,
egli sarà escluso dalla punibilità, o per meglio dire gli sarà escluso il dolo, ma questa esclusione non sarà
esteso ovviamente agli altri compartecipi, perché questi non si trovavano in questa condizione particolare.
Invece la seconda parte dell’articolo riguarda le scriminanti: se un soggetto compartecipe agisce per legittima
difesa, l’antigiuridicità del suo fatto è esclusa con effetti favorevoli per tutti gli altri, perché le scriminanti
hanno una rilevanza oggettiva. Saranno scriminante quindi anche tutti gli altri compartecipi.
3. Terzo elemento costitutivo del concorso è l’elemento soggettivo. Ciascuna condotta di compartecipazione
deve essere sorretta da un requisito psicologico, come nel reato monosoggettivo. L’elemento soggettivo nel
concorso però ha contenuto duplice: oltre all’elemento minimo della coscienza e volontà del fatto, che lo
accomuna al reato monosoggettivo in termini di suitas, occorre poi la VOLONTA’ DI CONCORRERE
ALLA REALIZZAZIONE DI UN FATTO COMUNE. Questa volontà di concorrere, come detto, non
implica che sia necessario che tutti i compartecipi siano reciprocamente d’accordo tra loro: ci sarà concorso
anche se tizio aderisce al reato che sta compiendo caio, senza che caio ne sappia nulla. Basta la volontà di un
solo compartecipe a determinare il requisito della volontà di concorrere, non serve previa intesa tra tutti. Se
però TUTTI I COMPARTECIPI agiscono senza sapere di essere in concorso tra loro, cioè se nessuno è
consapevole di concorrere, non vi sarà concorso ex 110 ma tante condotte monosoggettive da punire
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singolarmente. Si discute su ammissibilità di un concorso doloso a delitto colposo. Parte della dottrina lo
esclude: l’art. 110 cp parla di concorso nello STESSO REATO: non si può imputare stesso reato a più
soggetti a titoli diversi. E le ipotesi eccezionali in cui ciò è reso possibile, sono espressamente previste: artt.
116 e 117 cp. Si discute anche dell’ammissibilità dell’ipotesi opposta: il concorso colposo a delitto doloso.
Anche questa sembra esclusa, perché la responabilità colposa deve essere espressamente prevista ex lege, e
le ipotesi in cui eccezionalmente è possibile un apporto volontario ad un delitto colposo sono espressamente
previste dalle fattispecie incrimatrici che descrivono questa possibilità, come nel delitto di agevolazione
colposa di violazione di sigilli (dolosa) ex art. 350 cp.
Vi sono dei casi di concorso di persone in cui, viceversa, sono estesi ai compartecipi reati senza che vi sia
però da parte di questi una partecipazione soggettiva effettiva. In particolare ció è previsto dall’articolo 116.
“Qualora il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde,
se l'evento è conseguenza della sua azione od omissione. Se il reato commesso è più grave di quello voluto,
la pena è diminuita riguardo a chi volle il reato meno grave”. Questo articolo si applica quindi in una
situazione particolare, si ha quando più persone vogliono commettere un reato ma il reato che poi compiono
e diverso da quello voluto da uno di loro. Tizio Caio e Sempronio si accordano per incendiare il casolare di
campagna di Mevio, per minacciarlo di pagare il pizzo. Sempronio però è un rivale di Mevio, E non dice agli
altri che la sera in cui accenderanno il fuoco, Mevio si troverà in casa. Perciò Tizio Caio Sempronio, nella
sera concordata, si incontrano e appiccano incendio nel casolare, e Mevio muore. Tizio e Caio volevano
compiere un reato di incendio doloso, Sempronio voleva compiere un omicidio, che è poi il reato che
effettivamente viene posto in essere, ma che non è voluto dagli altri due. Ebbene, l’articolo 116 permette di
imputare il reato di omicidio anche a tizio e Caio, sebbene non lo volessero, perché è comunque un reato che
deriva causalmente dalla loro condotte.il nesso di causalità e quindi l’unico presupposto sulla base del quale
si scrive in queste situazioni il reato non voluto i compartecipi, a prescindere dalla loro partecipazione
soggettiva.si tratta quindi di un’ipotesi di responsabilità oggettiva palese, in base alla quale si puniscono dei
soggetti per il semplice fatto di trovarsi in un’organizzazione di compartecipi Che compie un fatto di reato.
Questa figura è sempre stata criticata dalla dottrina, soprattutto a seguito dell’entrata in vigore della
costituzione. Finchè a metà degli anni 60 è stato sollevato alla corte costituzionale il contrasto di questa
norma con il principio di responsabilità colpevole ex art. 27. Tuttavia la corte costituzionale ha rigettato la
questione di legittimità costituzionale, dando un’interpretazione costituzionalmente orientata della
norma. Secondo la corte costituzionale L’articolo 116, nel richiedere come presupposto che l’evento Diverso
da quello voluto sia la conseguenza dell’azione o dell’omissione, contempla comunque un certo requisito di
colpevolezza. il reato più grave commesso dei compartecipi, anche se da loro non voluto, è attribuito a loro
solo quando comunque il giudice ritiene che avrebbero dovuto rappresentarsi quel reato poi realizzato, ma
non voluto, come uno sviluppo logico di quell’altro reato che realtà volevano. In sostanza affinché si possa
essere responsabile in concorso di un reato non voluto, non solo tale reato deve essere conseguenza causale
della condotta, ma deve essere un reato Che, seppur non voluto, è prevedibile che alla fine si realizzi, perchè
rappresenta un’evoluzione possibile in termini logici, rispetto al reato voluto. Prevedibilità dell’azione va
intesa in senso concreto, non astratto. In altre parole, la prevedibilità che da un reato voluto ne scaturisca uno
non voluto non deve dipendere dalla “similarità” tra i due reati. Da una rapina non è sempre prevedibile che
nasca un omicidio solo perchè nella rapina c’è violenza che come tale pió sempre degenerare. La
prevedibilità va accertata infatti in concreto: sulla base di tutte le circostanze del caso deve risultare che
l’agente poteva e doveva capire come sarebbero evoluti i fatti. 
Va sottolineato che questo requisito della prevedibilità non è idoneo a rendere la responsabilità ex art 116
una responsabilità colposa: manca il requisito essenziale della violazione di una regola cautelare. E del resto
il soggetto risponde a titolo di dolo del reato non voluto, non a titolo di colpa, nonostante il suo
atteggiamento sia in realtà più simile a una forma colposa: è una responsabilità del tutto anomala quella del
116. Anche per questo lo stesso articooo prevede una attenuante obbligatoria a effetto comune: La pena per il
compartecipe che non voleva il reato è diminuita dal giudice. La fattispecie del 116 puó essere definita una
forma simile al reato aberrante, ma in versione plurisoggettiva: vi è divergenza tra evento voluto e quello
realizzato per un compartecipe. Tuttavia, nel reato aberrante tale divergenza è dovuta comunque a un errore
esecutivo dello stesso soggetto che non voleva evento, nel 116 tale requisito non è previsto. 
Una fattispecie in qualche modo simile è quella prevista dall’articolo 117 cp: questa prevede il caso in cui
più soggetti concorrano in un reato proprio senza che tutti abbiano la qualifica richiesta. Si parla di concorso
dell’extraneus (soggetto senza qualifica) nel fatto dell’intraneus (soggetto con qualifica). L’articolo 117
rende possibile questa fattispecie, per la quale viene punito per un reato proprio un soggetto che non ha la
qualifica richiesta del reato, ovviamente sempre se aveva competenza rispetto alla lesione del bene giuridico
e se tale lesione derivato da una violazione di un suo dovere giuridico, secondo i requisiti dell’imputatio. Ciò
126
che l’articolo 117 chiede affinché il soggetto privo di qualifica sia punito e che comunque sia consapevole di
concorrere in un reato proprio, ossia sia consapevole che uno dei soggetti compartecipi abbia la qualifica,
perché in caso contrario non risponderebbe del reato proprio. In altre parole, nell’oggetto del dolo del
concorrente senza qualifica deve rientrare anche la conoscenza della qualifica dell’altro. L’Articolo 117 però
prevede subito un regime particolare rispetto a quei reati propri non esclusivi, ossia quei reati che se non
commessi da un soggetto qualificato restano comunque reati ma con un nome diverso: pensiamo al reato di
peculato, che se è compiuto da un soggetto senza qualifica diventa appropriazione indebita. Rispetto a questa
particolare ipotesi, l’articolo 117 prevede che, se per condizioni o qualità personali del colpevole, o per
rapporti tra colpevole e offeso, muta il titolo del reato per taluno di coloro che vi sono concorsi, anche gli
altri rispondono dello stesso reato. Pertanto se dice Caio si mettono d’accordo per rubare un computer da
unufficio e portarlo a casa, e Tizio non sa che Caio è un pubblico ufficiale, risponderà comunque di peculato
e non di appropriazione indebita.questo perché la condotta compiuta da tizio da Caio sarebbe stato reato
anche se Caio non fosse stato un po’ più ufficiale. Questo giustifica l’attribuzione a tizio, anche se non
conosceva la qualifica di Caio, del reato compiuto nella sua veste più grave, ossia del reato proprio. La
ragione di questa possibilità e quindi di carattere prettamente generale preventivo, ma si tratta di una forma
di responsabilità oggettiva, poiché viene incriminato un soggetto che, in base ai principi generali in materia
di dolo, non potrebbe rispondere del reato proprio, in quanto la qualifica del concorrente non rientrava
nell’oggetto del dolo. In altre parole l’articolo 17, con riferimento ai reati propri non esclusivi, permette di
ascrivere un fatto diverso da quello del concorrente si era rappresentato. Secondo il libro, articolo 117 quindi
rappresenterebbe una sotto ipotesi dell’articolo 116, poiché descrive la situazione di concorso in un reato
diverso da quello voluto, sebbene in realtà in questa situazione il reato sia voluto, ma in una forma diversa da
quella che poi assume: ciò che non è voluto o meglio non è rappresentato dal soggetto è la qualifica
posseduta dal compartecipe, che fa a cambiare il titolo di reato. La similarità tra le tue ipotesi è confermata
anche dal fatto che lo stesso articolo 117 prevede una circostanza attenuante effetto comune simmetrica a
quella del 116, con l’unica differenza che in questo caso la sua applicazione sarà facoltativa e non
obbligatoria del giudice.
CONCORSO COLPOSO: Art. 113 “Nel delitto colposo, quando l'evento è stato cagionato dalla
cooperazione di più persone, ciascuna di queste soggiace alle pene stabilite per il delitto stesso. La pena è
aumentata per chi ha determinato altri a cooperare nel delitto, quando concorrono le condizioni stabilite
nell'articolo 111 e nei numeri 3 e 4 dell'articolo 112”. Il codice quindi non parla di concorso colposo ma
parla di cooperazione colposa, quando si realizza una realizzazione pluripersonale di un reato colposo.
Anche in queste situazioni, vi è una violazione di una cautela da parte del compartecipe, che in questo caso
riguarda la “gestione” e il “controllo” che avrebbe dovuto avere sulla condotta altrui: il compartecipe
avrebbe dovuto neutralizzare il pericolo proveniente dal comportamento dell’altro compartecipe, e
colposamente non l’ha fatto. Di norma sappiamo che nelle relazioni tra soggetti ognuno può di base
confidare sul corretto comportamento altrui, e ciascuno è tenuto a orientare la propria condotta sul
presupposto che l’altro osserverà gli obblighi cautelari che rispettano, come vuole il principio di affidamento.
Questo significa che di regola sono esclusi obblighi rivolti alla neutralizzazione di un comportamento altrui.
L’affidamento può venir meno solo in via di eccezione, quando sopravvengono situazioni concrete in cui
obiettivamente riconoscibile per il soggetto che l’altrui comportamento è inaffidabile, ossia che l’altro
soggetto non può o non vuole rispettare la regola cautelare che gli spetta. In questa situazione diventa
riconoscibile e chiaro per il soggetto che gli standard generici di diligenza che gli si chiedono in situazioni
normali non sono più sufficienti e che subentrano obblighi cautelari rivolti non ad evitare un evento ma ad
evitare l’altrui comportamento che mette a repentaglio un bene giuridico. Si crea di conseguenza una
situazione in cui la competenza di quell’agente si estende al comportamento del terzo, in deroga proprio al
principio di affidamento. Perció si crea una cosiddetta struttura pluripersonale complessa, da cui scaturiscono
questi obblighi cautelari di un soggetto verso la condotta un terzo, quindi obblighi RELAZIONALI, che
possono essere di vario tipo. Possono essere complementari, quando la cautela che si richiede è sorvegliare
sul coordinamento tra la propria condotta e quella di altri (ad esempio la cautela di più aziende che operano
vicino a un fiume nell’evitare di sommare i propri residui tossici nel fiume stesso). Possono essere accessori
in senso stretto, quando la cautela che si richiede consiste nel controllare che la propria attività non possa
essere utilizzata a fini illeciti da un terzo (ad esempio, se si ha il porto d’armi, è necessaria la cautela di non
farsela sottrarre in modo negligente). Possono essere eterotropi, Quando vi sono particolari situazioni in cui
un soggetto riveste posizione di sopraordinazione rispetto all’altro, e si la cautela che si crea consiste quindi
nell’obbligo di controllo sull’operato altrui, come il chirurgo capo nella equipe. Naturalmente peró se
l’obbligo di controllo deriva da una competenza istituzionale del soggetto, come nel caso del padre verso il
figlio, si fuoriesce dal concorso di persone.
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Tutti questi obblighi hanno il carattere comune della accessorietà: la responsabilità colposa del soggetto che
non li rispetta dipende dalla violazione di cautele che sono dirette non ad evitare direttamente il reato, ma a
controllare un terzo: si parla di colpa per relazione. La funzione dell’articolo 113 è quindi quella di tipizzare
e codificare questi obblighi cautelari relazionali: regole che sorgono dalla riconoscibilità di una condotta non
corretta altrui, che quindi impediscono l’operatività del principio di affidamento, ed impongono al soggetto
una cautela maggiore diretta proprio verso la condotta del terzo. Pertanto, ai fini dell’integrazione della
cooperazione colposa, si richiede che il coinvolgimento di più soggetti sia imposto dalla legge o da esigenze
organizzative connesse alla gestione del rischio, in situazioni che quindi si caratterizzano per un intreccio
cooperativo, ossia per un comune coinvolgimento nella gestione del rischio. Ciascun agente dovrà agire
quindi tenendo conto del ruolo e della condotta altrui, in deroga, si ripete, al principio di affidamento. 
Diversa dalla cooperazione colposa è il caso in cui vi sia una concorrenza di condotte colpose di più soggetti
indipendenti l’una dall’altra. Ciascuna di queste persone viola una norma cautelare diversa, ma l’evento
lesivo che si produce allo stesso. Pensiamo all’auto di tizio, che viene revisionato dal meccanico Caio, che
non controlla i freni, e poi dal gommista Sempronio, che non si accorge che le ruote sono consumate.si
produce un evento lesivo che si verifica perchè la macchina di tizio, in Una sera di pioggia, sbanda e uccide
una persona, e si accerta che ció è stato dovuto alla negligenza di entrambi i soggetti. Questi saranno puniti
però autonomamente ciascuno per il reato colposo prodotto, e non in concorso, proprio perché le regole
cautelari violate singolarmente ciascuno sono regole cautelari autonome, e non sono regole cautelari
relazionali dirette verso la condotta altrui, come invece nella cooperazione colposa. 
Un ultimo dubbio sorto con riferimento al concorso colposo riguarda la sua possibile applicabilità anche alle
contravvenzioni, visto che a differenza dell’articolo 110, articolo 113 parla di delitto colposo. In base al
principio di tassatività si ritiene che non si potrebbe estendere in questione anche alle contravvenzioni,
altrimenti si violerebbe il principio di analogia in Malan parte Emma.tuttavia si è anche notato che la
fattispecie in questione, ossia il concorso colposo nelle contravvenzioni, sarebbe implicitamente ammesso
dall’art. 110 che parla in generale di concorso nel reato. Il 113 sarebbe invece stato dettato per i soli delitti,
perché i delitti colposi devono essere espressamente previsti dalla legge, mentre le contravvenzioni colpose
no, dal momento che per le contravvenzioni dole colpa sono indifferenziati con i criteri soggettivi ordinari di
imputazione.
Diverso dal concorso di persone ai sensi del 110 e del 113, cosiddetto EVENTUALE, è poi il cosiddetto
concorso di persone NECESSARIO, quello che si realizza nei reati di parte speciale che hanno una forma
necessariamente plurisoggettiva, ossia che sono costruiti sul presupposto che gli agenti siano più di uno. Si
distinguono i reati necessariamente plurisoggettivi in senso proprio, dove tutti gli agenti sono puniti, dai reati
necessariamente plurisoggettivi in senso improprio, per i quali sono alcuni soggetti sono puniti, come la
corruzione di minorenni o l’usura, mentre altri sono sono punibili ed anzi diventano vittima della condotta
pur partecipandovi. Il problema che si pone con riferimento a questi reati, ossia i plurisoggettivi non
esclusivi o anche detti impropri, è se possa essere applicabile a questi la disciplina degli articoli 110 e
seguenti, soprattutto con riferimento alle circostanze aggravanti e attenuanti e alle forme di responsabilità
oggettiva di cui al 116 e 117. In altre parole, quel soggetto che non viene punito dalla fattispecie
incriminatrice di parte speciale che descrive il reato necessariamente plurisoggettivo, può essere punito per
concorso ex art. 110 e ss,? Fiandaca Musco dice di no: se la fattispecie di parte speciale non ha inteso punire
quel compartecipe, che anzi è quasi vittima del reato cui partecipa, è evidente che l’ha fatto per una scelta di
politica criminale precisa. E del resto, se invece si punisse ex art. 110 e ss., quella condotta non punita dalla
fattispecie di parte speciale espressamente, si violerebbe il principio di legalità. Altra questione è se, in
generale, si possano apoplicare le norme del concorso eventuale agli autori COMNUNQUE PUNIBILI del
reato plurisoggettivo necessario, ed in particolare le attenuanti/aggravanti e il loro regime di comunicabilità
ex artt. 112-114-118-119: la giurisprudenza è ondeggiante, mentre la dottrina dominante ritiene di sì: le
norme ex artt. 110 ss. Sono espressione di una disciplina generale che ha come oggetto di applicazione i reati
compiuti da più soggetti, a prescindere che questo concorso sia o meno già previsto nella norma
incriminatrice. A tal proposito, poi, si è dibattuto sulla possibilità che ai reati necessariamente
plurisoggettivi, che già prevedono degli autori cosiddetti tipici, possano partecipare, nella forma del concorso
eventuale di cui agli articoli 110 e seguenti, anche altri soggetti “atipici”. La risposta è positiva: é quello che
accade con i reati associativi, come l’associazione a delinquere di stampo Mafioso ex art. 416bis. Per tale
reato è prevista la possibilità di un concorso esterno in associazione mafiosa, ossia di un concorso di soggetti
non affiliati all’associazione, per esempio avvocati imprenditori politici, che quindi non sono i soggetti tipici
puniti dalla fattispecie necessariamente plurisoggettiva del 426bis. Sono peró soggetti che mettono a
disposizione della associazione prestazioni a favore del sodalizio criminoso  per fornire un supporto politico
amministrativo. naturalmente questo apporto esterno non deve portare tali soggetti a diventare effettivamente
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affiliati, cioè ad essere integrati in modo completo nell’organizzazione, altrimenti non sarebbe più un
concorso esterno, ma tali soggetti, diventando agenti tipici ai sensi della norma, sarebbero punibili per il
reato nella sua forma necessariamente plurisoggettivo, quindi ai sensi del 416 bis. Inoltre la giurisprudenza
richiede altri requisiti per integrare il concorso esterno: tale contributo deve essere stato completo e
consapevole, nella forma del dolo diretto, deve aver avuto una rilevanza causale per il rafforzamento e la
conservazione dell’associazione, e deve essere diretto alla realizzazione anche parziale del programma
criminoso dell’associazione stessa.

CONCORSO APPARENTE DI NORME E CONCORSO DI REATI

Nel diritto penale ci sono delle ipotesi in cui una stessa condotta può integrare astrattamente più fattispecie di
reato. In questi casi si possono realizzare due situazioni: il concorso apparente di norme ed il concorso di
reati. Si ha il primo quando in realtà, anche se il medesimo fatto di reato apparentemente integra più norme
incriminatrici, solamente una sarà applicabile per punire quel fatto, mentre l’altra no. Talvolta è la stessa
norma incriminatrice di parte speciale che stabilisce, quando uno stesso fatto viola sia quella stessa norma sia
un’altra norma, quale delle due debba essere applicata. Ciò avviene tramite la cosiddetta clausola di riserva,
come quella prevista dal reato di abuso d’ufficio ex art. 323, Che infatti si definisce applicabile “salvo che il
fatto non costituisca più grave reato”. In altri casi questa clausola di riserva non c’è, ed è compito
dell’interprete capire, di fronte a un fatto che integra più fattispecie, quale debba essere applicabile: si
seguirà il Criterio dell’articolo 15 del codice penale. Tale articolo dice che “quando più leggi penali o più
disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge
speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale”. È il cosiddetto criterio di specialità, che si
usa in generale nel diritto, per risolvere i casi di antinomia tra norme. La fattispecie penale speciale è una
fattispecie che contiene tutti gli elementi costitutivi previsti anche dalla fattispecie generale, ma ne specifica
uno in modo più dettagliato, o ne aggiunge uno del tutto nuovo. Si parla in questi casi di specialità
unilaterale, per specificazione o per aggiunta. Un esempio è rappresentato dalla norma incriminatrice
dell’articolo 611, che tipizza il reato di “violenza o minaccia per costringere una persona a commettere un
reato”. Si tratta di una norma speciale rispetto ad una norma generale, che è quella dell’art. 610, che descrive
il reato di “violenza privata” ossia una violenza o una minaccia che costringe qualcuno a “fare qualcosa”.
L’articolo 611 quindi ha tutti gli elementi costitutivi dell’articolo 610, perché la condotta è sostanzialmente
identica, ossia una violenza o una minaccia, ma specifica un elemento: quel “qualcosa” generico a cui il
soggetto è costretto nell’articolo 610, nell’articolo 611 non è un semplice “qualcosa” ma è la commissione di
un “reato”, a cui quindi il soggetto viene costretto. Vi sono poi i casi di cosiddetta specialità in concreto,
quando un medesimo fatto rientra in più fattispecie di reato che però non sono in rapporto di specialità in
senso tecnico, ma riguardano una condotta molto simile o assimilabile. Un esempio è il rapporto tra il reato
di millantato credito e la truffa, poiché è ben possibile che la truffa che un soggetto compie sia realizzata
millantando un credito che non esiste. Sarà applicabile quindi solo il reato di truffa, in quanto comprende
logicamente il secondo reato. Vi sono però ulteriori criteri in grado di risolvere il concorso apparente di
norme, selezionando quale delle varie norme applicabili un fatto di reato deve essere poi applicata. Si tratta
del criterio di sussidiarietà e del criterio di assorbimento. Secondo il primo, se un fatto di reato è punito
apparentemente da più norme incriminatrici, deve essere applicata solo la norma che prevede la forma più
grave di offesa: ad esempio, chi compie il delitto di atti osceni automaticamente compie anche la meno grave
contravvenzione di atti contrari alla pubblica decenza: pertanto a quel soggetto sarà applicabile il delitto di
atti osceni e non anche la contravvenzione, che è sussidiaria alla prima e meno grave. Il criterio di
assorbimento riguarda invece i casi in cui uno stesso fatto di reato integra più fattispecie di reato, ma verrà
applicata solo quella che in qualche modo assorbe il disvalore giuridico dell’altra. qui pertanto il concorso
apparente di norme viene risolto sulla base del valore normativo-sociale del fatto più grave: pensiamo al
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soggetto che da dichiarazioni false davanti alla polizia Giudiziaria e al giudice: verrebbero rilievo due
fattispecie, il favoreggiamento personale la falsa testimonianza, due norme che non sono in rapporto di
specialità, tuttavia il reato di falsa testimonianza ha un grado di disvalore più alto rispetto al favoreggiamento
personale, e quindi sarà applicata solo la norma della falsa testimonianza.
Diverso dal concorso apparente di norme è il concorso di reati, che si realizza quanto effettivamente uno
stesso fatto di reato è idoneo a integrare più fattispecie di parte speciale che saranno tutte applicabili, non
potendosi ricorrere al criterio di sussidiarietà o di assorbimento per renderne applicabile solo una. In
particolare il concorso di reati così inteso, cioè che si realizza con una sola condotta, è il cosiddetto concorso
formale, diverso dal concorso materiale, che si ha quando compie più reati ma con più condotte ravvicinate.
Partendo dal concorso formale, esso puó essere anche omogeneo, quando la medesima condotta integra non
più fattispecie di reato diverse, ma più volte la stessa fattispecie: un es. è il duplice omicidio, quando Con
una sola condotta, ossia ad esempio far esplodere una bomba, il soggetto cagiona la morte di piú persone,
violando più volte l’art. 575.
A livello di trattamento sanzionatorio, il concorso formale (omogeneo ed eterogeneo) è punito con il
cosiddetto cumulo giuridico: si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave
commessa, aumentata sino al triplo, ai sensi dell’articolo 81 comma uno. Non bisogna superare peró la
somma matematica delle pene per ogni singolo reato (81 comma 3). Quindi nell’esempio di prima, ossia
quello del favoreggiamento e della falsa testimonianza compiute con stessa condotta, si Applicherà la pena
della falsa testimonianza, che sarà aumentata anche fino al triplo, su scelta del giudice, ma purché non si
superi quella che sarebbe stata la pena derivante dalla somma matematica della pena massima della falsa
testimonianza e di quella massima del favoreggiamento. Vi sarà invece la somma delle pene previste per i
singoli reati, quando il concorso è materiale.
L’articolo 81 comma due disciplina poi il reato continuato, una forma Particolare di concorso materiale. In
particolare esso prevede che “soggiace alla stessa pena prevista per il concorso formale, ossia la sanzione
penale più grave aumentata fino al triplo, colui che con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo
disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di
legge”. Nel reato continuato le condotte che integrano la stessa o diverse fattispecie penali sono legate dal
disegno criminoso, che collega i singoli fatti commessi sul piano logico e cronologico. questo disegno
criminoso rende il reato continuato MENO GRAVE rispetto al concorso materiale classico, poichè il
disvalore delle azioni puó essere in qualche modo unificato; per questo si è deciso di applicargli la disciplina
del concorso formale che è più favorevole, dato che prevede l’aumento di una pena singola ma non la somma
delle pene, che anzi non puó essere mai matematicamente superata. Elementi costitutivi del reato continuato
quindi sono: la pluralità di azioni od omissioni, anche in tempi diversi, sebbene più tempo passi tra la
condotta e l’altra, più difficile diventa accertare il medesimo disegno criminoso; la pluralità delle violazioni
di legge, che possono riguardare la stessa norma o più norme diverse, a seguito della riforma del 1974; infine
il medesimo disegno criminoso: Questo in particolare indica la rappresentazione mentale anticipata di tutte le
violazioni che poi il soggetto compie, e l’unicità dello scopo che il soggetto persegue proprio con queste
plurime violazioni. 
Per quanto riguarda la pena, che quindi alla stessa il concorso materiale, va precisato che dalla riforma del
2005 è previsto, oltre che un limite massimo (la somma delle pene), anche un limite minimo all’aumento
della pena previsto per il reato continuato, ai sensi dell’art. 81 comma 4, ossia un terzo della pena per il reato
più grave. Tale limite minimo si applica Solo peró qualora il soggetto sia recidivo reiterato (vedi dopo).
Altrimenti non vi è limite minimo, e quindi in presenza di reato continuato si puó aumentare la pena della
violazione più grave anche di un solo giorno di reclusione. Quanto al concetto di “violazione più grave”,
sarebbe più grave la violazione per la quale è prevista una sanzione qualitativamente o quantitamente più
grave, ossia quella violazione per cui è previsto il carcere e non la pena pecuniaria, o, a parità di pena
detentiva, quella che prevede il massimo di pena più alto. Per quanto riguarda infine la natura del reato
continuato, secondo la dottrina maggioritaria ma considerato come reato unico o come pluralità di reati in
base alla convenienza che da tale qualificazione deriva per il reo: sarà considerato reato unico ai fini della
sospensione della pena (che si puó applicare solo a soggetto incensurato), sarà considerato come plurirà di
reati ai fini della prescrizione, così ciascuna delle violazioni ha sua decorrenza. Questo conviene al reo
perchè altrimenti si dovrebbe partire per il calcolo della prescrizione dall’ultima condotta. E quindi il reato
complessivo si prescriverebbe molto dopo.
L’ultima figura particolare quella del reato complesso, descritto ai sensi dell’articolo 84 comma uno. Il reato
complesso è un reato che al suo interno come elemento costitutivo, o come circostanza aggravante, prevede
una condotta di per sè già costituente un altro reato, che quindi è inglobato nella stessa tipicità del reato
complesso. Pensiamo al delitto di rapina, che al suo interno contiene come elemento costitutivo un furto,
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ossia la sottrazione e l’impossessamento di una cosa mobile, con l’aggiunta della violenza o della minaccia.
In questi casi ovviamente non si dovranno applicare le norme sul concorso di reati, e semplicemente si
applicherà la disposizione che prevede il reato complesso, cioè la rapina, e non il furto. In sostanza il reato
complesso non è altro che un’ipotesi particolare di concorso apparente di norme che però è risolto a
prescindere dallo stesso legislatore, senza ricorrere al criterio di specialità o a quello di sussidiarietà o a
quello di assorbimento.

CIRCOSTANZE

Le circostanze sono elementi accidentali del reato, ossia degli elementi che non sono costitutivi del reato,
perchè ricorrono in via eventuale, accedendo ad un reato che è già perfetto in tutti suoi elementi. Qualora
invece non ricorrano, il reato sarà comunque sussistente. La loro funzione è infatti solo quella di aumentare o
diminuire il trattamento sanzionatorio previsto per il reato, in proporzione al maggiore o minore disvalore
dello stesso, che deriva dalla loro sussistenza. Peraltro questo aumento o diminuzione può anche oltrepassare
il massimo o il minimo edittale (diversamente da altri elementi che incidono sul quantum della pena, ossia
quelli del 133 cp) previsto dalla norma incriminatrice stessa: si parla al Proposito di efficacia ultra edittale.
Le circostanze sono classificabili in diverso modo. La prima fondamentale distinzione dipende dall’effetto di
aumento o diminuzione sulla pena: esistono circostanze aggravanti ed attenuanti. La seconda distinzione
dipende dall’ambito di applicabilità: vi sono circostanze comuni, applicabili di base tutti reati: si tratta
principalmente di tutte le circoistanze aggravanti elencate dall’art. 61 ed attenuanti elencate dal successivo,
oltre le circiostanzi attenuanti generiche descritte dall’articolo 62bis; e vi sono circostanze speciali, che sono
previste invece nella stessa parte speciale del codice penale, con riferimento a singole fattispecie di reato a
cui sono applicabili. In base poi al diverso modo in cui operano nella variazione della pena, esistono
circostanze a efficacia comune, circostanze a effetto speciale e circostanze autonome. Le prime sono
circostanze che fanno variare solo in modo percentuale la pena base, in particolare fino al massimo di un
terzo. Il codice penale all’articolo 64 specifica che tutte le circostanze che non determinano in modo
tassativo l’aumento la diminuzione di pena sono da considerarsi a efficacia comune. Sono circostanze ad
effetto comune quelle elencate dagli artt. 61 e 62. Le seconde permettono invece una variazione della pena
base, sempre in termini solo quantitativi, ma anche oltre il limite di un terzo, o in misura comunque
indipendente dalla pena base. Le terze determinano invece una modifica qualitativa della pena base, cioè
trasformano ad esempio una pena pecuniaria in una detentiva.
Considerando poi il contenuto delle circostanze è possibile arrivare ad ulteriori distinzioni. Ci sono le
circostanze oggettive, descritte nell’articolo 70, che sono quelle che riguardano elementi oggettivi del reato:
“la natura, la specie, i mezzi, l’oggetto, il tempo, il luogo e ogni altra modalità dell’azione, la gravità del
danno del pericolo, ovvero le condizioni o le qualità dello stesso”. Ci sono poi le circostanze soggettive, che
riguardano invece elementi della persona del colpevole, tra cui “l’intensitá del dolo o il grado della colpa, o
le condizioni alle qualità personali del colpevole, o i rapporti tra il colpevole e l’offeso”. 
In base poi alla tecnica usata dal legislatore Per descriverle, esistono circostanze definite e
indefinite/generiche, in base al grado di determinatezza della descrizione e quindi in base al grado di
tassatività della stessa. Sono circostanze indefinite quelle che adottano espressioni come “fatto di rilevante
gravità” o “fatto di particolare tenuità”: l’esempio tipico è quello del citato articolo 62bis, che disciplina le
cosiddette attenuanti genberiche molto usate in ambito processuale. È bene ricordare però che una
aggravante di tipo generico o indefinito può dare luogo a un contrasto con il principio di tassatività. Mentre
una attenuante generica risponde al Favor rei. Ci sono poi circostanze facoltative o obbligatorie, in base alla
circostanza che il giudice sia o meno obbligato ad applicarle, quando ricorrono. La distinzione però più
importante che riguarda la circostanza è quella che deve essere necessariamente fatta tra queste, quando sono
descritte dalla stessa norma Incriminatrice, e gli elementi costitutivi del reato descritto da quella norma: una
distinzione che spesso non è agevole ma fondamentale per il regime di imputazione. Sono stati elaborati
differenti criteri per distinguerli: un orientamento oggi condiviso è quello che individua le circostanze in base
alla relazione di specialità rispetto la fattispecie: in pratica la circostanza dovrebbe prevedere al suo interno
tutti gli elementi della fattispecie e aggiungerne o specificarne uno in particolare. Ma tale criterio da solo è
insufficiente: a volte in situazioni del Genere, lo specificare o aggiungere un elemento puó semplicemente
far cambiare il titolo del reato, introducendo un elemento costitutivo di un reato nuovo. RICORDATI
DIBATTITO SU MORTE NELL’OMISSIONE DI SOCCORSO: aggravante o elemento tipico di un reato
diverso?  Per questo si ritiene necessario integrare con altri criteri, come il cambio di pena che là circostanza
comporta o altri.
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Le circostanze hanno un regime di imputabilità particolare, che rende doveroso, come detto, distinguerle
dagli elementi costitutivi del reato. Le circostanze, infatti, a seguito della riforma della legge numero 19 del
1990, se aggravanti, sono valutate a carico dell’agente, ai sensi del comma 2 dell’articolo 59, soltanto se da
lui conosciute o ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa. Quindi la
circostanza aggravante ha un’imputazione di tipo soggettivo, come le scusanti, mentre le attenuanti hanno
un’imputazione di tipo oggettivo: pertanto saranno valutate a favore dell’agente anche se da lui non
conosciute, proprio come le scriminanti. Questa modifica della legge numero 19 derivava dalla pronuncia
della corte costituzionale con la sentenza 364/1988 che rendeva necessario, ai fini dell’imputazione di un
fatto di reato complessivamente inteso, che il soggetto l’avesse compiuto almeno con colpa. Non era quindi
più accettabile il criterio di imputazione oggettivo delle aggravanti che esisteva fino a quel momento, in base
al quale anche le aggravanti si potevano imputare pur se non conosciute dall’agente. Si richiede ora, invece,
ai fini della responsabilità penale, che vi sia un minimo di partecipazione psicologica dell’autore del fatto,
che deve riguardare, quindi, anche l’esistenza dell’aggravante, che incide sulla pena in negativo. Per quanto
riguarda invece le aggravanti e le attenuanti putative, il comma 3 dell’articolo 59 ne sancisce l’irrilevanza, a
differenza delle scriminanti: si segue alla lettera il principio di materialità, per cui se un soggetto pensava di
agire in una situazione descritta da una circostanza che invece non esisteva, questa non gli viene imputata di
norma. Vi è solo una deroga alle regole di imputazione delle circostanze: in base all’articolo 60, che riguarda
l’ipotesi di errore sulla persona offesa, si dice che in questo caso non sono poste a carico dell’agente le
circostanze aggravanti che riguardano le condizioni o qualità della persona offesa, o i rapporti tra offeso e
colpevole. In sostanza, se Tizio vuole uccidere Caio ma per errore uccide il padre, non gli sarà imputata
l’aggravante del parricidio, ANCHE SE IL SUO ERRORE È DOVUTO A COLPA. Qui sta l’eccezione.
Sempre in caso di errore sulla persona offesa, sono invece valutate le attenuanti putative a carico dell’agente,
in deroga alla regola generale dell’irrilevanza delle circostanze putative, ma SOLO se tali attenuanti
riguardano qualità o condizioni o rapporti della persona offesa. CHIEDI ESEMPIO A METRANGOLO.
Altrimenti si segue regola della irrilevanza delle attenuanti putative.
Le circostanze attenuanti e aggravanti applicate dal giudice allo stesso reato creano un concorso eterogeneo
di circostanze e vanno bilanciate. Vi sarà concorso omogeneo se invece vi sono solo più attenuanti sussistenti
in un solo reato, o solo più aggravanti. Il concorso omogeneo è disciplinato dagli articoli 63 e 67 del cp, che
distinguono le regole in base all’efficacia delle circostanze in questione.
Invece, nel concorso eterogeneo, il legislatore lascia al Giudice una grandissima discrezionalitá nel
bilanciamento, senza neanche stabilire dei criteri da seguire o distinguere tra circostanze a efficacia comune
e speciale. Egli quindi Potrà operare un giudizio di prevalenza di una o più aggravanti su una o più attenuanti
e viceversa, applicando solo la circostanza prevalente ed eliminando l’effetto dell’altra. O anche un giudizio
di equivalenza tra le stesse, che in quel caso si neutralizzeranno l’una con l’altra senza avere effetti sulla
pena. Tale discrezionalità subisce solo una limitazione espressa dal codice all’articolo 69 comma 4. Si dice
che le attenuanti NON POSSONO PREVALERE su alcune aggravanti particolari, tra cui la RECIDIVA
REITERATA. Quindi in questi casi il giudice al massimo potrà operare una equivalenza tra circostanze o
una prevalenza dell’aggravante. La recidiva è una particolare circostanza soggettiva di cui all’art. 70, ed è
disciplinata dettagliatamente dall’art. 99, riformato per ultimo nel 2005: è recidivo il soggetto che compie un
delitto non colposo a seguito di condanna definitiva subita per un altro delitto non colposo (prima non vi era
distinzione tra colposi e non). Dopo la riforma del 1974, essa ha peraltro un effetto meno “pesante” sulla
determinazione della pena, perché la sua applicazione è diventata facoltativa e non obbligatoria, ed è
possibile bilanciare l’aggravante della recidiva con un’attenuante (solitamente si bilancia con le attenuanti
generiche ex 62 bis). Esistono tre forme di recidiva: semplice, aggravata e reiterata. La prima è quella
descritta dall’art. 99 comma 1 citato. La seconda si ha quando il delitto non colposo compiuto dopo la
condanna è della stessa indole (recidiva specifica), o è compiuto entro 5 anni dalla precedente condanna
(recidiva infraquinquennale), o è compiuto durante la latitanza o durante l’esecuzione della pena che era stata
inflitta per reato precedente, quindi in carcere o ai domiciliari ecc. La recidiva è reiterata (art. 99 comma 4)
quando invece un soggetto già recidivo compie un ulteriore delitto non colposo, comportando un aumento
che addirittura può arrivare fino ai due terzi della pena prevista per il nuovo reato.

MISURE DI SICUREZZA

Con l’introduzione delle misure di sicurezza, il codice penale ha previsto, accanto alle pene tradizionali, una
tipologia sanzionatoria diversa che è volta a neutralizzare la pericolosità sociale di alcuni soggetti: si parla
così di sistema del doppio binario. Le misure di sicurezza rispondono a un modello sanzionatorio diverso
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rispetto a quello della scuola classica penale, ispirata alla logica retributiva e General preventiva. il modello
seguito è infatti quello specialpreventivo: le misure di sicurezza consistono in strumenti coercitivi di
controllo volti a neutralizzare la pericolosità dei soggetti, verso i quali le pene in senso stretto non sarebbero
applicabili, perchè manca un reato completo, o seppur applicabili sarebbero inefficaci a una rieducazione, cui
devono essere ispirate finalisticamente anche le misure stesse di sicurezza. Il codice descrive queste misure
di sicurezza come amministrative, sebbene questa qualifica non venga ritenuta vincolante poiché la dottrina
Moderna le considera comunque di natura penale, ma distinte dalle pene perchè sono svincolate dalle
garanzie tipiche di queste ultime. 
In base all’articolo 202 del codice penale le misure di sicurezza possono essere disposte esclusivamente nei
confronti di soggetti socialmente pericolosi (requisito soggettivo) che abbiano commesso un fatto previsto
dalla legge come reato (requisito oggettivo). La previa commissione di un fatto di reato e quindi di per sé è
un indicatore oggettivo della pericolosità del soggetto. Da questo punto di vista, in realtà, è possibile
un’eccezione: si possono applicare misure di sicurezza anche a seguito di fatti per così dire di quasi-reato: il
reato impossibile ex art. 49, l’istigazione non accolta o l’accordo criminoso non eseguito ex art. 115.
Partendo dalla pericolosità sociale, questo requisito soggettivo, prima della legge Guzzini del 1986, veniva
presunto in virtù della commissione di un delitto, e peraltro, presunto senza possibilità di prova contraria.
Tale presunzione tuttavia è apparsa contraria ai principi costituzionali, come più volte sottolineato dalla corte
costituzionale, e per questo è stata eliminata dalla legge citata, che prevede invece che questa pericolosità
sociale debba essere sempre accertata, sia al momento della sua imposizione da parte del giudice, sia a
processo concluso, nella fase di esecuzione della misura stessa, asssicurandosi che tale pericolosità non sia
venuta meno. La pericolosità sociale, ai sensi dell’articolo 203, viene determinata in base agli stessi criteri di
commisurazione della pena richiamati a loro volta dall’articolo 133: la gravità del fatto di reato, ossia sul
piano oggettivo le modalità di esecuzione e la gravità del danno, e sul piano soggettivo l’intensità del dolo e
il grado della colpa, e le caratteristiche soggettive dell’autore, ossia principalmente le sue condizioni di vita e
la condotta da lui tenuta dopo il reato e prima. Vi sono poi alcune tipologie di pericolosità sociale specifica,
che io codice ricollega a tre figure tipiche di autore: il delinquente abituale, il delinquente professionale, e il
delinquente per tendenza. Si tratta di tipi criminologi di autore che corrispondono a soggetti imputabili e
socialmente pericolosi, verso cui la misura di sicurezza viene aggiunta alla pena, sempre che, come da
riforma, sia accertata in concreto la loro pericolosità. La figura del delinquente abituale è prevista
dall’articolo 103, che definisce delinquente abituale chi, dopo essere stato condannato per due delitti non
colposi, riporta un’altra condanna per delitto non colposo, e viene ritenuto dal giudice stesso “dedito al
reato”, ossia caratterizzato da una personalità incline deliberatamente alla commissione di reati. Lo stesso
vale ex art. 104 per le contravvenzioni. Un delinquente professionale viene definito invece chi, sempre dopo
aver commesso due delitti non colposi, riporta la condanna per un altro reato e il giudice ritiene che, Per la
natura dei reati, del genere di vita che conduce e di altre circostanze ex articolo 133, il soggetto ricavi i
propri mezzi di sussistenza anche in via parziale dei reati stessi. il delinquente per tendenza è invece chi, ai
sensi dell’articolo 108, commette un delitto non colposo contro la vita o l’incolumità di una persona,
rivelando peró una particolare inclinazione al delitto, basata sulla sua indole malvagia, che si deduce dalla
gravità del fatto commesso. Naturalmente l’inclinazione al delitto non deve essere originata da un vizio di
mente o dallo stato di tossicodipendenza o alcolismo. da tempo la dottrina però evidenzia che tale figura è
priva di fondamento, perché è impossibile accertare una malvagità istintiva di un soggetto.
Anche le misure di sicurezza sono sottoposte al principio di legalità, sia sotto il profilo della riserva di legge
sia sotto il profilo della determinatezza-tassatività. Infatti la costituzione prevede all’articolo 25 comma 3 che
“nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge”. L’articolo 199 del
codice penale prescrive la stessa cosa. Per quanto riguarda il canone di tassatività, esso viene inteso in modo
meno rigido per quanto concerne le misure di sicurezza. Anche perché le fattispecie di pericolosità si
fondano su elementi che riguardano la personalità dell’individuo, e comunque dipendono da accertamenti
sintomatici, pertanto non si può chiedere la massima precisione che si richiede per la formulazione delle
norme incriminatrici. Per quanto riguarda poi il principio di irretroattività, In dottrina si è dibattuto.
L’articolo 200 del codice penale stabilisce infatti che le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in
vigore al momento della loro applicazione. Se la legge del tempo in cui deve eseguirsi la misura è diversa
rispetto a quella vigente al momento dell’emissione del provvedimento, si applica quest’ultima. da questa
lettura sembrerebbe violato il principio di irretroattività: se una legge cambia in peius le regole su una misura
di sicurezza che è stata già applicata, tale modifica in peius si puó applicare a chi è già sottoposto. Tuttavia,
la dottrina maggioritaria ritiene che tale disposizione vada interpretata in modo restrittivo: quindi si applica
l’articolo 200 solo nelle ipotesi in cui la modifica legislativa riguarda il regime esecutivo di una misura di
sicurezza che comunque era già stata prevista dal legislatore al momento della commissione del fatto di
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reato. Se invece la modifica della legge ha riguardato i profili sostanziali di una misura di sicurezza,
l’articolo 200 non dovrebbe applicarsi. Poi, con riferimento alla durata delle misure di sicurezza, è
intervenuta la legge numero 81 del 2014 A modificare in modo profondo la disciplina. In passato infatti la
durata dell’esecuzione della misura di sicurezza era determinata solo nel minimo, ed era comunque collegata
alla persistenza della pericolosità del soggetto. La legge citata ha invece introdotto il principio secondo cui
esiste una durata massima di tutte le misure di sicurezza detentive, che non posso operare il limite della
durata di pena massima prevista per il delitto per il
Quale sono applicate, fatta eccezione per i delitti puniti con l’ergastolo. Per quanto riguarda le misure non
detentive, si possono revocare, come detta l’articolo 207, solo quando cessa lo stato di pericolosità. Per
quanto riguarda i limiti minimi, essi dipendono dal reato per il
Quale le misure sono applicate, fermo restando che sono limiti relativi, visto che opera comunque in via
prioritaria l’articolo 207: se un soggetto cessa di essere pericoloso, la misura viene revocata anche senza
rispettare il limite minimo di durata prescritto per quel reato. Viceversa, se terminato il limite minimo di
durata persiste la pericolosità del soggetto, il giudice di sorveglianza ne fissa un altro, al termine del quale
sarà verificata nuovamente la pericolosità. In questi casi bisogna però motivare per quali ragioni eccezionali
e transitorie si è ritenuto che il soggetto fosse ancora pericoloso. 

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