Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
3
indicate dall’intero ordinamento costituzionale, ed in particolare dagli artt.
2 e 3 Cost.
1° es. Art. 41 Cost. (libertà di iniziativa economica), il quale, dopo aver
stabilito che l’iniziativa privata è libera, precisa al 2° co. che questa non può
svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla
sicurezza, libertà e dignità umana.
2° es. Art. 42 Cost. (proprietà privata), il quale dopo aver riconosciuto e
garantito la proprietà privata, stabilisce che essa può essere espropriata per
motivi di interesse generale.
3° es. Art. 32 Cost. (diritto alla salute) dopo aver disposto la riserva di legge
relativa ai trattamenti sanitari coattivi, prescrive che la legge non può in
nessun caso violare i limiti posti dal rispetto della persona umana.
Questo orientamento è anche confermato dalle indicazioni di soluzioni di conflitti
proposte da Roxin, a proposito del problema sulla legittima difesa da aggressioni
effettuate da bambini o incapaci, si addiviene ad una limitazione dell’esercizio del
diritto di difesa, poiché “sono intollerabili con l’attuale modo nostro di sentire, gravi
lesioni ai bambini, se non indispensabili alla propria difesa.” Una tale intollerabilità è
espressione di quei principi fondamentali di solidarietà e tutela della persona.
L’ultima funzione, quella di realizzazione delle esigenze di prevenzione,
trova anch’essa derivazione dall’assetto costituzionale. Tuttavia non tutte
le opzioni di prevenzione sono compatibili con i principi costituzionali.
Sono certamente validi l’art 27 Cost., 1° e 3° co., (principio della
personalità della responsabilità penale e principio di rieducazione e divieto
di trattamenti contrari al senso di umanità), gli artt. 2 e 3 Cost.
(proporzione tra fatto e pena), gli artt. 25 e 13 Cost. (tutela della libertà
personale)
Moccia, tuttavia, va oltre Roxin, affermando che le tre funzioni politico-criminali di
riferimento, anche se in misura e in maniera diversa, coagiscano all’interno di tutte
e tre le categorie, in quanto risulterebbe limitante una netta separazione e una
diversa assegnazione di compiti a ciascuna delle tre categorie del reato. Ciò vuol
dire che tutela della libertà, soluzione dei conflitti sociali e realizzazione delle
finalità preventive della sanzione penale, hanno un’incidenza diretta, anche se
differenziata, sul fatto tipico, antigiuridicità e colpevolezza.
Il criterio politico-criminale, che nella costruzione sistematica è preminente, è quello
della funzione della pena: essa riflette direttamente le opzioni fondamentali
4
dell’intero sistema politico-giuridico in cui opera, ne è dunque elemento
caratterizzante.
5
Kant, inoltre, introduce nella dottrina del reato la tipica espressione della legge
morale: l’imperativo categorico “La legge penale è un imperativo categorico”.
In questo modo vengono a confondersi prospettive etiche e giuridiche, con
implicazioni pericolose sul piano della libertà individuale; sebbene Kant, infatti,
avesse operato una netta distinzione tra diritto e morale, con questa sua
affermazione (= la legge penale è un imperativo categorico) inevitabilmente
confonde il piano giuridico con quello della moralità all’interno della teoria
retributiva.
La concezione della pena giuridica intesa come mera inflizione di un castigo dà vita
ad una aporia di fondo della teoria penale retributiva:
Il principio secondo cui la pena va determinata in specie e in grado, è per Kant
quello dello jus talionis (legge del taglione), inteso come sistema che mira a punire
chi delinque secondo la sua malvagità interna, commettendo il grave errore di
confondere la pena, che è un istituto giuridico, con gli aspetti interiori dell’agire
delinquenziale, anziché prendere in considerazione gli aspetti esteriori di tale gire.
La scelta retributiva di Kant si dimostra inflessibile, al punto da giustificare
l’inflizione della pena di morte contro i delitti come l’assassinio o qualunque altro
pubblico delitto che solo la morte può espiare, ad eccezione dei delitti commessi dal
sovrano, nei confronti dei cittadini che secondo Kant – ma a differenza di Feuerbach
– non hanno diritto di resistenza contro il sovrano.
9
sua affermazione secondo la quale la pena statuale dovrà colpire sempre e solo
l’autore di una violazione della legge giuridico penale e non della legge morale.
La teoria special-preventiva di Grolman, tuttavia, non abbraccia i contenuti della
risocializzazione del delinquente; questi saranno presi in considerazione soltanto
verso il 1800, ad opera del penalista Litz.
Queste considerazioni hanno indotto Roxin a tentare, per la tutela delle garanzie
individuali, un’operazione di recupero del mero principio di colpevolezza,
sganciandolo dai suoi legami con la retribuzione, al fine di utilizzarlo nella sua
funzione liberale di limite garantistico all’intervento punitivo statale.
Roxin, inoltre, individua nel principio di colpevolezza, non solo un valore
garantistico, ma anche di tipo preventivo speciale e generale:
Dal punto di vista special-preventivo, l’applicazione del principio di colpevolezza,
consentendo di mantenere fermo il rapporto tra pena e responsabilità per il fatto,
eliminerebbe il rischio degli effetti desocializzanti connessi all’inflizione di una pena
eccessiva, che viene sentita dal reo come un’ingiustizia e si rivela un ostacolo per
un’azione di recupero.
Dal punto di vista general-preventivo, l’applicazione di tale principio,
esplicherebbe un effetto di stabilizzazione dei consensi da parte dei membri della
società civile rispetto all’ordinamento, in quanto la generalità dei consociati
considererebbe la sanzioni inflitte come giuste, proprio perché delimitate dalla
colpevolezza del fatto.
Tuttavia, l’utilizzazione del concetto di colpevolezza essenzialmente in funzione di
limite garantistico (Roxin), è stata criticata sulla base del fatto che la colpevolezza,
per avere capacità di limitare la misura della pena, dovrebbe contemporaneamente
integrare una condizione necessaria della pena, e quindi, risulterebbe essere
contestualmente limite e fondamento della pena stessa.
14
In secondo luogo, si afferma che, pur essendo soddisfatte le esigenze di
prevenzione (generale e speciale), la colpevolezza è strettamente connessa,
sotto un punto di vista logico-teoretico, alla retribuzione.
Moccia preferisce, dunque, sostituire questa “colpevolezza senza riprovevolezza”
(senza contenuti eticizzanti) con un concetto di proporzionalità, i cui criteri di
valutazione sono dati dal titolo di imputazione soggettiva (dolo e colpa) e dalla
gravità del fatto sotto il profilo della dannosità sociale:
la pena deve essere proporzionata al disvalore di azione (imputazione soggettiva=
dolo/colpa) e al disvalore di evento (dannosità sociale= rilevanza del bene giuridico
offeso, grado di offesa e modalità di aggressione) e alle circostanze entro le quali si
agisce, tenendo conto sempre delle esigenze di prevenzione (generale e speciale)
che attribuiscono alla pena la funzione di integrazione sociale.
Si giunge così a plasmare una categoria di responsabilità personale deeticizzata
(modellata sul tipo della responsabilità roxiana).
La proporzionalità di Moccia risulta una categoria composta da elementi eterogenei,
soggettivi e oggettivi.
In questa categoria rientra sia il fatto dell’imputabile che del non imputabile:
l’imputabilità non è più presupposto per il giudizio di colpevolezza, ma serve
soltanto ad adeguare il trattamento sanzionatorio a seconda della misura in cui il
soggetto (imputabile o non imputabile) riesce a recepire il dettato normativo e ad
orientarsi di conseguenza.
La funzione di limite dell’intervento punitivo statale (che per Roxin rappresenta
l’unico ruolo della colpevolezza) è per Moccia possibile attraverso i parametri di
ragionevolezza di cui l’art. 3 Cost.
PARTE SECONDA
1. Funzione della pena e tipicità
1.1 Il problema della legalità
Fu Feuerbach a collegare i principi di tutela della libertà e dignità dell’individuo con
19
la realizzazione della funzione (per lui general-preventiva negativa) della pena,
attraverso il principio di legalità nullum crimen nulla poena sine lege.
Tale principio non nasce, dunque, come operazione meramente tecnica, bensì grazie
ad esigenze politico-giuridiche liberaliste. L’importanza del principio di legalità, in
Feuerbach, deriva da due esigenze:
1. Difesa del cittadino dallo Stato norme chiare e determinate pongono precisi
limiti al potere punitivo statale ed anche il sovrano è sottoposto alla legge.
2. Realizzazione dell’effetto intimidatorio della pena se il significato della
sanzione penale consiste nell’effetto di intimidazione, e se la sua concreta
inflizione serve soltanto a rafforzare la minaccia, dovrà essere inflitta solo la
pena che la stessa legge ha minacciato.
L’effetto intimidativo e la coazione psicologica della pena sono collegati
inscindibilmente alla prevedibilità e certezza del diritto; senza una legge certa, chiara
e riconoscibile ai consociati, la funzione della pena non si esprimerà mai, e l’effetto
intimidativo della stessa non verrà mai prodotto.
La pena può operare, dunque, come “controspinta” solo qualora sia determinata e
prevista in rapporto a fatti tassativamente descritti da una norma di legge: Stato di
diritto e funzione della pena sono strettamente collegati, per Feuerbach, dal
principio di legalità.
Moccia, riporta tale connessione fondamentale tra funzione della pena e principio di
legalità nel nostro ordinamento, superando tuttavia il pensiero di Feuerbach, e
sostenendo che il principio di tassatività e determinatezza ci permette di realizzare
soprattutto esigenze di prevenzione generale positiva, cioè di orientamento delle
condotte dei consociati e adesione dei consensi all’ordinamento, poiché questo
principio esprime non solo esigenze di tipo garantistico-formali, ma anche di tipo
teleologico-funzionale (cioè di integrazione sociale). Per aversi aggregazione dei
consensi intorno ai principi fondamentali espressi da un ordinamento (così come,
per Feuerbach, ottenere l’effetto di intimidazione), è necessario che le norme
giuridiche siano chiare e determinate.
La tipicizzazione, cioè la conformità al tipo, è quindi strettamente connessa a finalità
di difesa della libertà (politico-giuridiche) e a finalità di integrazione sociale (politico-
criminali)
La teoria finalistica welzielana prevede l’anticipazione del dolo e della colpa nel
tatbestand, svolgendo così un importante funzione di garanzia, permettendo
un’individuazione più esatta del fatto tipico e favorendo il rispetto di esigenze di
certezza, e quindi, di tutela della libertà.
Tuttavia, la costruzione dell’illecito personale è proponibile solo fondandola su delle
basi normative, come il principio costituzionale della personalità della
responsabilità penale. La teoria di Welzel è stata comunque ampiamente
accreditata in Germania, non solo perché è stato il primo a sostenere la necessità di
anticipare il dolo e la colpa sul piano della tipicità (diversamente da Beling che li
faceva rientrare nella categoria della colpevolezza), ma anche per aver accolto la
necessità di una rivalutazione del bene giuridico, che non deve essere oggetto di una
tutela penale statica, ma di una tutela che tenga conto del ruolo e dell’importanza
del bene nella collettività.
Welzel pone il bene giuridico in una dimensione storica e sociale; ne deriva che
“azione lecita” non è quella non dannosa, ma quella socialmente adeguata, cioè
un’azione, anche se comporta una lesione o una messa in pericolo di un bene non
può costituire un’azione illecita, in quanto è accettata dai consociati.
Infine Moccia, passa ad analizzare alcune norme di parte speciale, in particolare l’art
584 c.p., sull’omicidio preterintenzionale; questo reato si caratterizza per
l’imputazione oggettiva dell’evento non voluto e non necessariamente prevedibile,
nonché per la valorizzazione dell’atteggiamento interiore. La norma sull’omicidio
preterintenzionale ritine sufficiente ai fini dell’imputazione dell’evento
preterintenzionale della morte, la mera commissione di atti diretti a realizzare delitti
di percosse o di lesioni personali, senz’altra qualificazione, né in termini di idoneità
né di univocità (tentativo di delitto); può realizzare, dunque, condotta idonea a tale
reato anche colui che esprime una condotta non rientrante neanche nei limiti del
tentativo penalmente rilevante (cioè nella fase di ideazione o preparazione del
delitto), quindi una condotta ancora lecita.
Per queste ragioni, pare intollerabile una norma del genere, manca di
ragionevolezza (art. 3 Cost.), anche sotto il profilo del trattamento sanzionatorio che
risulta più severo di quello previsto per l’omicidio colposo in cui è richiesta la
prevedibilità oggettiva dell’evento, cosa non necessaria nell’omicidio
preterintenzionale; anche se si volesse ammettere la necessità della prevedibilità
nell’omicidio preterintenzionale, il trattamento sanzionatorio risulterebbe
comunque irragionevole.
Moccia auspica l’abrogazione dell’art 584 c.p. ritenendo che le ipotesi oggi
disciplinate da questo articolo vengano regolate dalle norme sul tentativo, sulla
responsabilità colposa e sul concorso formale.
In conclusione la valorizzazione dell’atteggiamento interiore non deve essere
totalmente negata nel nostro ordinamento, secondo Moccia, ma sicuramente non
c’è spazio per essa all’interno della tipicità; andrà sicuramente tenuto in
considerazione, al momento di inflizione ed esecuzione della pena, il modo d’essere
e le motivazioni del reo.
33
POLITICA CRIMINALE E SISTEMA DEL DIRITTO PENALE
Il saggio di Roxin si apre con una citazione di Litz: “il diritto penale è l’insormontabile
limite della politica criminale”, indicando un rapporto di antitesi, ancor oggi
presente, tra diritto penale e politica criminale, e considerando il diritto penale
come scienza sociale e scienza giuridica.
Secondo Litz infatti:
Al diritto penale appartiene la funzione garantistica, propria dello stato di
diritto, volta ad assicurare l’uniformità nell’applicazione del diritto e la tutela
della libertà individuale dall’aggressione dello Stato “Lieviatano”.
Alla politica criminale spetta, invece, il compito sociale del diritto penale, cioè
individuare i metodi di lotta al delitto conformi allo scopo che ci si è
prefissati.
Il codice penale, infatti, in quanto “Magna carta del delinquente” difende non la
comunità, ma l’individuo che si ribella ad essa, in quanto egli può essere punito solo
nel rispetto dei presupposti e dei limiti stabiliti dalla legge. Litz riteneva che fin
quando si difende la libertà del singolo dall’arbitrio statale, rispettando il principio
nullum crimen nulla poena sine lege (p. legalità), l’interpretazione legislativa
mantiene il suo significato politico. Pertanto, nel campo del diritto penale sarebbe
da escludere ogni obiettivo di politica criminale.
Secondo Litz, il diritto deve restare una scienza sistematica in quanto solo tale
classificazione delle nozioni assicura la certezza del diritto e limita la discrezionalità e
l’arbitrio interpretativo e applicativo.
Tuttavia, Roxin muove due obiezioni fondamentali alla pura elaborazione
sistematica del diritto:
1. Il mero impegno sistematico non è sempre sufficiente a raggiungere i
risultati desiderati, in quanto può ben esservi una sproporzione tra tale
impegno e il risultato pratico nei casi concreti, proprio perché le questioni di
politica criminale rimangono fuori dall’interpretazione della legge penale.
34
2. Se le questioni di politica criminale non posso accedere alla sfera
dell’elaborazione sistematica, Roxin si chiede a cosa possa servire una
soluzione univoca e coerente, ma ingiusta a livello sostanziale (es non tenere
conto delle circostanze del caso concreto).
Per risolvere questi problemi bisognerebbe ricorrere alla correzione delle soluzioni
dommatico-concettuali con una diversa valutazione di POLITICA CRIMINALE, ma
questo pone alternativa:
-o si ritiene che la disapplicazione di principi dommatici fatta sulla base di valutazioni
di politica criminale comprometta l’applicazione del diritto
-o si dimostra che la soluzione del caso concreto non è di ostacolo alla certezza del
diritto.
Ad oggi si può pacificamente ritenere che la rinuncia ad una teoria del reato
operante per generalizzazioni e differenziazioni, come quella contenuta nella parte
generale del codice penale, inoltre è impensabile che si possa rinunciare alla
sistematica, ma allo stesso tempo restano le critiche che vanno però riferite non al
pensiero sistematico, ma alle sbagliate impostazioni del suo sviluppo, che
riprendono il positivismo. l positivismo si caratterizza proprio per il fatto di
distinguere nettamente la dimensione sociale (compresa quindi la politica criminale)
da quella giuridica e di ritenere che la legge non possa mai essere uno
strumento per modellare il sociale. Attualmente, però, non si può più ritenere che
il compito della legge si esaurisca nella funzione di tutela dello stato di diritto: i
problemi di politica criminale costituiscono il contenuto proprio anche della teoria
generale del reato pertanto politica criminale e diritto non devono entrare in
contraddizione, bensì ridursi a sintesi (ad esempio rappresenta una questione
politico criminali la scelta di sanzionare o meno colui che commette il fatto per
legittima difesa). D’altra parte, è proprio questa la strada per evitare che le scelte di
politica criminale vengano attribuite alla mera discrezionalità del giudice: si deve
dare alle scelte di valore della politica criminale uno spazio nell’ambito del diritto
penale affinché esse acquistino fondamento legislativo, chiarezza e valutabilità.
Tuttavia, Roxin ritiene che un tentativo completo di sintesi tra diritto e politica
criminale non è stato ancora intrapreso nella dommatica di parte generale;
piuttosto, afferma che la struttura del reato, che siamo abituati a rappresentarci
come un processo unitario (unità) e che costituisce il modello-standard per prassi e
dottrina, in realtà frutto di epoche differenti che si sono susseguite:
35
A partire dal positivismo si è accolto un sistema classificatorio strutturato
come una piramide concettuale che procede mediante astrazione dei concetti
particolari verso quelli generali; questo schema esclude totalmente dalla
dommatica le valutazioni di politica criminale e la realtà sociale
Metodologia neokantiana assiologicamente orientata, avrebbe potuto
condurre ad un’immagine del sistema penale del tutto nuova, se avesse
tenuto conto delle valutazioni di politica criminale come criterio per le
formulazioni dommatiche.
Teoria finalistica dell’azione ha tentato di ristabilire il collegamento della
dommatica penale con la realtà sociale, anticipando al momento del fatto
(tipicità) il contenuto psichico dell’azione (dolo e colpa) e depurando il
concetto di colpevolezza (dolo e colpa vengono considerati come oggetto del
giudizio di colpevolezza, non più come sua forma o specie). Tuttavia il
finalismo, se da un lato, si differenzia dalla tripartizione positivistica, dall’altro,
nell’ambito della dommatica non lascia alcun spazio a finalità politico
criminali. La contraddizione tra diritto e politica criminale, dunque, non è
superata neppure dal finalismo.
Roxin dimostra, dunque, che le elaborazioni della nostra metodologia penale hanno
realizzato solo in parte i requisiti di un sistema efficiente, ossia:
1. Ordine concettuale e chiarezza
2. Corrispondenza alla realtà
3. Accoglimento di finalità di politica criminale
36
Per Roxin, le singole categorie del reato (tipicità, antigiuridicità e colpevolezza)
devono essere sin dal principio sviluppate e schematizzate secondo la loro funzione
politico-criminale.
1. La tipicità(fatto tipico): il legislatore ha il compito di soddisfare le esigenze di
determinatezza e tassatività garantite a loro volta dal principio di legalità
(nullum crimen sine lege). A tal proposito Roxin fa una distinzione tra reati
d’azione e reati d’obbbligo.
Per REATO DI AZIONE = intendiamo il reato descritto dal legislatore attraverso
una serie di accadimenti materiali e processi interiori inerenti al comportamento
dell’autore del fatto e cioè solo il fatto che si è realizzato secondo le modalità
descritte in modo puntuale dalla norma può essere ritenuto corrispondente a
quella fattispecie incriminatrice, ad es nel nostro ordinamento la TRUFFA:
chiunque mediante artifizi o raggiri inducendo taluno in errore, procura a sé o ad
altri un ingiusto profitto con danno altrui quindi viene punito. Qui devono essere
presenti nel rispetto del principio di legalità e tipicità tutti gli elementi che la
norma richiede, se manca anche uno solo di questi elementi non potrebbe dirsi
che il fatto storico corrisponde alla fattispecie di truffa. Per certi versi possiamo
dire che i reati d’azione siano fattispecie a forma vincolata = cioè tra tutte le
modalità di aggressione di un determinato bene giuridico assumono rilevanza
penale solo quelle descritte nella norma.
Per i REATI DI OBBLIGO = il legislatore non tiene conto delle modalità d’azione
dell’autore, rileva solo che quella condotta (attiva/omissiva) consista in una
violazione d’obbligo e che provochi un pregiudizio (reati d’obbligo). (es:
patrocinio infedele) che rappresenta l’inadempimento dell’obbligo che si impone
all’avvocato di tutelare e patrocinare gli interessi del proprio assistito. Si realizza
quando questo obbligo ,che è definito altrove ,non nella norma penale ,ma nel
regolamento di deontologia professionale resta inadempiuto,
indipendentemente dal fatto che questo si sia realizzato da parte dell’avvocato,
ad es non producendo entro i termini perentori un documento fondamentale per
tutelare gli interessi del proprio assistito o viceversa producendo un documento
che contravviene agli interessi del proprio assistito. Possiamo dire, quindi, che le
fattispecie dei reati di obbligo, in un certo qual modo, sono fattispecie a forma
aperta nella misura in cui ciò che conta è l’inadempimento dell’obbligo e non il
modo in cui questa si realizza . Il problema nasce però quando ci sono
determinati beni giuridici tutelati dall'ordinamento solo mediante una condotta
attiva (es non uccidere)., cioè di quelle omissioni penalmente rilevanti, la cui
rilevanza penale si fonda sulla “clausola generale dell’ equivalenza causale” e
37
cioè l’equivalenza tra l’agire e l’omettere, espressa nell’art 40 comma 2. Roxin
ritiene che la clausola dell'equivalenza causale (40.2 cp) contrasti con la funzione
del fatto tipico, in quanto la tipicità del fatto è affidata all' operatività di questa
clausola, data dall'analisi giudiziale e violando quindi il principio di legalità. Da ciò
ne deriva che i reati d’obbligo sono equivalenti ai reati di azione.
Tuttavia, secondo Roxin, la distinzione tra reati d’obbligo e reati d’azione pone
precise conseguenze dogmatiche:
Nei reati d’obbligo nei reati d’obbligo è indifferente che il reato sia
commesso con azione o omissione. In questo caso, non si forza la scelta di
incriminazione espressa dal legislatore, in quanto egli non prescrive un
determinato comportamento come necessario affinché si realizzi quel fatto
costituente reato.
Nei reati d’azione Essendo il principio di legalità rispettato attraverso la
descrizione dell’azione, si pone il problema di come il soggetto possa aver
agito mediante un’omissione (non-azione), nel modo descritto dalla norma. In
questo caso, dire che agire equivale ad omettere significa forzare il dato
positivo, poiché si finisce col porre sullo stesso piano l’azione e l’omissione
laddove il legislatore ha voluto incriminare solo l’azione.
Visto che nel cod tedesco non c'è un articolo come quello italiano 40.2 che
pone una equivalenza tra non impedire=cagionare, Roxin crea una categoria
particolare REATI DI OBBLIGO MASCHERATO O DI AZIONE IMPROPRIA : cioè
reati nei quali apparentemente si ha a che fare con un reato di azione ma ciò
che conta per la rilevanza penale della condotta è l’inadempimento
dell’obbligo sotteso a quella condotta. Il caso classico di scuola è quello della
madre che omette di allattare il proprio bambino… in questo caso non c’è
bisogno di una norma che appositamente incrimini l’omissione ,perchè quello
che conta ai fini della rilevanza penale di questa condotta è l’inadempimento
dell’obbligo che si impone alla madre di tutelare la salute del figlio, quindi è
indifferente se questo obbligo venga disatteso con un agire positivo o
negativo ,in ogni caso il fatto è riconducibile all’omicidio, al cagionare la
morte.
Concludendo il suo discorso sulla tipicità, Roxin ritiene che il fatto tipico vada
interpretato in modo restrittivo, al contrario di come fa la giurisprudenza, che
al fine di garantire la più ampia tutela possibile al bene giuridico, adotta
un’interpretazione estensiva. Il diritto penale deve essere concepito come una
38
magna charta del delinquente e non della comunità, il procedimento più
SODDISFACENTE sotto il profilo del nullum crimen è il ricorso a
un’interpretazione RESTRITTIVA che valorizzi la funzione di garanzia del
diritto penale e che si estenda al solo ambito di punibilità irrinunciabile per la
tutela del bene. A sostegno di tale tesi, vi è il ricorso al:
Principio dell’adeguatezza sociale (Welzel), che serve cioè a restringere la
portata di certe espressioni letterali, escludendo dal loro campo di
applicazione comportamenti socialmente tollerabili.
Principio dell’esiguità, che consente di escludere dalle fattispecie le violazioni
di poco conto.
Antigiuridicità è l’ambito delle soluzioni dei conflitti sociali, sulla base della teoria
tripartita del reato, è una categoria nella quale trovano sede sistematica le cause di
giustificazione cioè quella categoria in cui si svolge quel giudizio di illiceità del fatto
commesso. Se un fatto pur essendo tipico – corrispondendo al modello prescritto
dal legislatore – è realizzato in presenza di c.giustificazione si ritiene che sia
permesso dall'ordinamento e quindi non è illecito non solo per il d.penale, ma per
tutto l'ord.giuridico in quanto non può andare in contro ad alcun tipo di sanzione.
Roxin sostiene che la funzione politico criminale di questa categoria è la regolazione
socialmente giusta di interessi contrastanti, cioè di interessi individuali o collettivi
tra loro in conflitto. Rispetto a questa collisione di interessi le c.giustificazione
intervengono a dare una soluzione conforme ai principi dell'ordinamento attraverso
l'operatività di un numero chiuso di principi ordinatori che sono a loro fondamento.
Roxin sostiene che l'antigiuridicità è la categoria tramite cui, i mutamenti della realtà
sociale, penetrano nella struttura del reato perché le c.giustificazione, esprimendo la
non disapprovazione o il permesso addirittura di compiere quell'azione in tutela di
un interesse prevalente, si intendono non strettamente penali. Perciò esse possono
provenire non solo dal d.penale, ma anche da altri rami dell'ord. giuridico o proprio
dai mutamenti propri della realtà sociale che ritiene che il fatto non rappresenti un
disvalore sociale tale da richiedere l'intervento delle sanzioni penali. Perciò dice
Roxin è necessario che le valutazioni concernenti l'antigiuridicità devono essere più
elastiche rispetto a quelle concernenti la tipicità laddove si esprimono valutazioni
del d.penale dove vige quel p.legalità. Dunque anche il discorso della
determinatezza e tassatività deve essere più elastico, ma non deve mancare. A
differenza di coloro che ammettono l’analogia in bonam partem per le cause di
giustificazione, poiché vengono considerate norme non penali, Roxin sostiene che
tale analogia non è ammissibile, perché se da un lato, è vero che determinatezza e
tassatività vanno affrontate in un’ottica più elastica rispetto al fatto tipico, dall’altro,
39
una quota di queste deve essere sempre conservata anche nell’antigiuridicità, in
quanto le norme scriminanti contribuiscono a definire dall’esterno la liceità della
condotta.
Per Roxin e Moccia compito della scienza penale in merito all’antigiuridicità, è quello
di individuare i principi fondamento delle cause di giustificazione che possono
risolvere i conflitti sociale tra interessi collidenti(questa è la funzione politico
criminale dell antigiuridicità).
Quindi il legislatore utilizza, come mezzo per la risoluzione dei conflitti, un numero
limitato di principi ordinatori che determinano il contenuto delle cause di
giustificazione (cioè si tratta di principi generali dell’ordinamento, provenienti da
diversi settori del diritto). Ad esempio, nella legittima difesa, intervengono i principi
dell’autotutela (ognuno ha il diritto di opporre resistenza a un’aggressione illecita) e
della difesa del diritto (ognuno ha il diritto di non soffrire di un pregiudizio a causa di
un’aggressione).
La difesa del diritto sta ad indicare non la difesa del proprio diritto, difesa del diritto
va inteso come difesa del diritto in senso oggettivo, difesa dell’ordinamento
giuridico. Il soggetto che si difende dalla persona ingiusta non solo tutela il proprio
interesse individuale ma ristabilisce il rispetto nell’ordinamento giuridico leso dalla
persona.
Autotutela e difesa, tuttavia, trovano il loro limite nel principio di proporzionalità tra
offesa e difesa.
Tali principi posti a fondamento della legittima difesa, afferma Roxin, possono
risolvere un caso non espressamente regolato e che ha per molto impegnato
dottrina e giurisprudenza: la legittima difesa contro un’offesa proveniente da un
minore o un incapace.
Quindi se l’offesa proviene da un minore o da un incapace opera la legittima difesa
laddove il soggetto appunto si difenda ledendo un interesse dell’aggressore?
Roxin risolve la questione, affermando che, in questo caso, uno dei principi della
legittima difesa (precisamente quello della difesa del diritto) non può operare, in
quanto il minore o l’incapace sono soggetti che non è possibile motivare attraverso
le norme e, dunque, sono esenti da pena; di conseguenza, essendo mancante uno
dei tre principi fondamentali, l’aggredito deve preferire la fuga, ovviamente sempre
nel rispetto dei due principi quali l’autotutela e la proporzione.
Per quanto riguarda la Legittima difesa per Moccia, il prof dice che il soggetto che
causa volontariamente la situazione di pericolo può agire in legittima difesa solo
40
quando si ha una reazione sproporziata da parte del terzo alla sua offesa.
41
Se invece la desistenza è razionale e non volontaria dunque, non ci sono le esigenze
di attenuazione di tipo special-preventivo e il soggetto sarà dunque punibile: es. chi
desiste dall'omicidio perchè teme di essere stato scoperto e quindi denunciato.
TEORIA DELL’ERRORE: In caso di erronea supposizione di una causa di
giustificazione, viene ESCLUSA LA COLPEVOLEZZA in quanto non necessita di essere
rieducato colui che credeva di agire in senso conforme alla legge. La colpevolezza
dovrebbe ritenersi sussistente solamente qualora la pena possa raggiungere lo
scopo di prevenzione.
Superamento della colpevolezza: Tuttavia si nutrono forti perplessità nel recupero
di questa concezione del principio di colpevolezza, in particolar modo MOCCIA , il
quale ritiene che seguendo la teoria proposta da ROXIN , si lascia al principio di
colpevolezza soltanto la funzione di garantire la proporzionalità della pena al fatto
commesso dall'imputabile. Quindi in virtù di ciò, secondo MOCCIA, dovrebbe
sostituirsi questo principio di colpevolezza con un principio di proporzionalità che,
unitamente alle istanze di prevenzione generale e speciale, rientrerebbe in una terza
categoria del reato denominata RESPOSABILITA’ PERSONALE cioè l'insieme dei
presupposti che rendono possibile un giudizio su un soggetto che ha commesso un
fatto tipico e antigiuridico. In questa terza categoria rientrano, recuperato il criterio
di proporzione , sia il fatto dell'imputabile che non imputabile. Ed è per questo che si
parla di un superamento della colpevolezza. Quindi l'imputabilità assieme
all'intensità del dolo e il grado della colpevolezza , costituirebbe uno degli oggetti del
giudizio di responsabilità penale : quindi l'imputabilità andrebbe inserita non per
escludere la colpa ma per adeguare il trattamento sanzionatorio al singolo reo
imputabile o meno. es : un omicidio volontario appartiene alla volontà sia ad un
soggetto sano di mente che ad uno paranoico però nel caso del paranoico, la
mancanza di imputabilità rende quel coefficiente psicologico rilevante per applicare
una misura di sicurezza ( se c'è pericolosità) e non la pena.
Da ricordare che i fatti commessi dal non imputabile (che nella colpevolezza
venivano esclusi , perchè l'imputabilità è un presupposto della colpevolezza, e
quindi esclusi da una garanzia contro il potere punitivo dello stato).
42
43