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TUTELA DEL PATRIMONIO E PRINCIPI COSTITUZIONALI

INTRODUZIONE
Moccia propende per una riforma capillare della disciplina vigente in materia di fatti contro il
patrimonio in quanto incompatibile con lo stato sociale di diritto orientato ai principi
costituzionali.
Il sistema dei reati contro il patrimonio, nonostante le modifiche intervenute, in senso
prettamente rigoristico, ha conservato infatti il volto originario, con le stesse lacune e gli stessi
difetti della versione del 1930. Eppure, osserva Moccia, questa materia meriterebbe una
particolare attenzione, non fosse altro perché il 70% dei reati ammessi è costituito da fatti
contro il patrimonio, cui va aggiunto il dato della stretta dipendenza del concetto stesso di
patrimonio dai mutamenti socio-istituzionali. La disciplina vigente si rivela come un complesso
normativo che da un lato non abbraccia tutte le manifestazioni socialmente dannose in materia
patrimoniale e dall’altro quando regola un fenomeno criminale eccede per ampiezza delle
fattispecie e rigore della risposta sanzionatoria.
Gli aspetti problematici dell’attuale tutela patrimoniale riguardano: la definizione dell’oggetto e
i limiti della tutela stessa.
L'attuale assetto normativo è imperniato su dì un'accezione del patrimonio di derivazione
tardo-ottocentesca che privilegia la proprietà di cose, risultando così inadeguata rispetto ad
una realtà socio-istituzionale nell’ambito della quale altre componenti patrimoniali assumono
un ruolo altrettanto significativo. Va rilevato, peraltro, che il soddisfare nuove esigenze di
tutela, non comporta necessariamente un contrasto con il principio di extrema ratio, cui
Moccia riconosce rilevanza costituzionale, in virtù del quale il diritto penale va attuato soltanto
se non sono disponibili altri strumenti di controllo sociale meno incidenti nella libertà
dell’individuo. Ed invero, la scelta di frammentarietà della tutela, cioè la selezione di talune
soltanto delle forme di aggressione, e la particolare attenzione per forme di controllo
extrapenale dei fatti microviolatori comportano un effetto complessivamente deflattivo
coerente con l’assetto costituzionale che bilancerebbe l'eventuale surplus di tutela penale
collegato a nuove valutazioni in tema di difesa del patrimonio.
A ciò si aggiunga che la parte di patrimonio attualmente tutelata risulta ipervalutata, in quanto
la tutela di posizioni economiche individuali, pur avendo un riconoscimento costituzionale,
rivestono un ruolo meno significativo rispetto alle istanze personalistiche.
Altra carenza fondamentale dell'attuale normativa è data dall'assetto sistematico della materia
patrimoniale basato sull' utilizzazione di due criteri totalmente inadeguati: violenza e frode:
vengono infatti accostate condotte di furto, dì rapina e di estorsione, truffe e frodi ecc. che mal
si prestano ad essere classificati unicamente sulla base della bipartizione codificata con
riferimento alla violenza e alla frode e che presentano come unico elemento comune il
collegamento ad un bene giuridico di categoria, il patrimonio, che è considerato talmente
generico da non poterlo differenziare dagli interessi di natura patrimoniale tutelati in altra
sede. Ulteriori motivi di insufficienza dell'attuale disciplina della materia sono costituiti: dalla
pertinenza all’ambito della tutela patrimoniale di figure criminose inserite in altri titoli; dalla
collocazione al di fuori del codice di fatti sicuramente offensivi di interessi patrimoniali; infine
dall’emergere di tipologie di aggressione del patrimonio legate a processi di evoluzione sociale e
tecnologica che o non si possono inquadrare nelle fattispecie esistenti o finiscono per ricevere
un trattamento non adeguato alla dannosità che esprimono.
Moccia propone, quindi, una riformulazione dell'oggetto di tutela adeguato al concetto
moderno di patrimonio e al ruolo effettivo che questo svolge nell'attuale assetto socio-
istituzionale attraverso l’elaborazione di criteri di classificazione alternativi a quelli già
sperimentati che risultino più adeguati ad una efficace tutela del bene e che si riferiscono a:
1) La modalità di aggressione: serve a qualificare condotte particolarmente pericolose in
relazione alla lesione del bene, cioè la condotta tipica considerata nella sua attitudine lesiva. La
considerazione della condotta è fatta, quindi, rigorosamente in termini di dannosità sociale e la
sua considerazione come espressione della personalità dell'autore potrà costituire oggetto di
valutazione soltanto ai fini dell'integrazione sociale di questi in sede di commisurazione e di
esecuzione.
2) La titolarità dell'interesse protetto: pone in evidenza sia situazioni ricorrenti, come la
collaborazione del titolare dell'interesse alla realizzazione del fatto, che meglio caratterizzano
rispetto a violenza o frode diffuse manifestazioni criminali, sia spunti classificatori relativi
all'esistenza di interessi a titolarità diffusa.
3) La qualità del soggetto attivo: permette di valorizzare la posizione di garante che
consente un razionale inserimento nel sistema dell'ulteriore tipo fondamentale dell'infedeltà
patrimoniale.
Tali criteri potrebbero risultare particolarmente utili per attrarre in un’unica sede sistematica i
fatti plurioffensivi attualmente collocati fuori dal titolo XIII.
Altro ambito in cui risulta necessaria una riforma è quello delle sanzioni. Moccia propone,
conformemente ai principi di sussidiarietà; frammentarietà e proporzione, l’adozione di
strumenti differenziati di controllo, soprattutto per fatti di ordine microviolatorio, che vanno
dalla sanzione penale, intesa in senso ampio e comunque arricchita di contenuti e forme
diverse dalla pena detentiva, all'utilizzazione di sanzioni civili e amministrative. Ciò,
ovviamente è funzionale anche alle esigenze di efficienza del sistema penale che potrà così
svolgere, anche in via preventiva il suo ruolo di sistema di controllo sociale di fenomeni
socialmente dannosi. Sotto questo profilo la normativa vigente appare particolarmente
incongrua: essa si caratterizza, infatti, per la durezza del regime sanzionatorio e per il margine
ridottissimo che concede ad un trattamento mite della criminalità lieve.
CAPITOLO I
IL RUOLO DEL PATRIMONIO NELL'ATTUALE CONTESTO
ORDINAMENTALE
La normativa vigente a tutela del patrimonio, in totale contrasto con i principi di
proporzionalità e di sussidiarietà, si ispira a criteri accentuatamente repressivo-deterrenti
anche in ragione dell’ipervalutazione attribuita al bene patrimonio all’epoca della redazione
del codice, il che è particolarmente evidente nel regime sanzionatorio apprestato, improntato
ad un rigore che supera sovente i limiti della ragionevolezza.
Per avvalorare la sua tesi Moccia compie un’analisi dettagliata del regime sanzionatorio del
furto. L’ art. 624 prevede, infatti, la reclusione da 6 mesi a 3 anni e la multa da € 154 a 516
per l’ipotesi semplice; se ricorre una delle aggravanti previste dall’art. 625, la reclusione va da
1 a 6 anni e la multa da € 103 a 1.032; ma il regime sanzionatorio diviene ancora più duro se
concorrono due o più circostanze aggravanti ovvero se una di tali circostanze concorre con
altre circostanze aggravanti comuni (art. 61) in quanto è prevista la reclusione da 3 a 10 anni e
la multa da € 206 a 1.549. Anche nella tecnica di redazione la disposizione di cui all’ art. 625
lascia a desiderare. Essa, infatti, non solo pone problemi interpretativi, in quanto adotta
criteri descrittivi di tipo casistico, ma dà luogo a situazioni concrete di particolare iniquità. Ed
invero, rimane aperta la questione del concorso tra una circostanza speciale e più circostanze
comuni e quella della possibilità del concorso tra più ipotesi contemplate nello stesso numero;
questioni gravi che restano affidate alla sensibilità del giudice e che talvolta sono risolte dalla
giurisprudenza secondo criteri rigoristici. Al riguardo la riforma apportata dalla l. 220/1974,
grazie alla quale è ora possibile effettuare il giudizio di prevalenza ed equivalenza fra le
aggravanti speciali del furto e le attenuanti, non può dirsi soddisfacente, in quanto non è in
grado da sola di supplire alla mancanza di uno specifico intervento in materia patrimoniale
che adegui la normativa alle mutate condizioni derivanti dall’attuale realtà socio-istituzionale.
Ed invero, è ancora possibile giungere a condanne totalmente sproporzionate alla dannosità
sociale del fatto. Si pensi che un furto pluriaggravato continuato, come ad esempio più furti in
abitazione commessi con un mezzo fraudolento (chiavi false), in base alla normativa attuale,
sarebbe punibile con la reclusione a 30 anni.
Il rigore irragionevole del trattamento punitivo del furto risulta ancora più evidente se
confrontato con il regime sanzionatorio relativo a fattispecie poste a tutela di altri beni, come
l'integrità fisica, indubbiamente più significativi del patrimonio: infatti, a parte la norma sulle
percosse che punisce a querela il fatto con la reclusione sino a 6 mesi e con la multa sino a €
309, la disciplina delle lesioni personali dalle quali deriva una malattia nel corpo o nella
mente prevede la pena della reclusione da 3 mesi a 3 anni; in mancanza del concorso di
circostanze aggravanti e in presenza di una malattia di durata superiore a 20 gg il fatto è
punibile a querela.
Lo squilibrio risulta ancora più evidente se si considera il regime sanzionatorio connesso alla
figura aggravata di lesioni. Per le lesioni gravi, che producono cioè una malattia che metta in
pericolo la vita della persona offesa o una malattia o un' incapacità di attendere alle ordinarie
occupazioni per un tempo superiore a 40 gg o un indebolimento permanente di un senso o di
un organo, è comminata la pena della reclusione da 3 a 7 anni che è inferiore a quella prevista
per il furto commesso con due delle aggravanti previste dall'art. 625 o con una di esse e
un'aggravante comune per il quale è prevista la pena della reclusione da 3 a 10 anni.
Addirittura risultano sanzionate con minor rigore rispetto alla figura semplice di furto
fattispecie poste a tutela di interessi collettivi: la somministrazione di medicinali in modo
pericoloso per la salute pubblica è punita con la reclusione da 6 mesi a 2 anni e con la multa
da€ 103 a 1.035; l'ambiente è tutelato addirittura con norme contravvenzionali in quanto il
gettito di cose pericolose è punito con l'arresto fino a un mese e l'ammenda sino a € 206,
mentre la distruzione o il deturpamento di bellezze naturali vengono puniti solo con
l'ammenda da € 1032 a 6197.
Lo stesso discorso vale per il regime sanzionatorio previsto per fatti di frode commerciale la
cui dannosità sociale sotto il profilo patrimoniale può assumere dimensioni macroscopiche;
nonostante ciò per l'ipotesi base, frode nell'esercizio del commercio, è prevista la reclusione
sino a 2 anni o la multa sino a€ 2.065, mentre la vendita di sostanze alimentari non genuine
come genuine è punita con la reclusione sino a 6 mesi o con la multa sino a € 1.032 e la
vendita di prodotti industriali con segni mendaci è sanzionata con la reclusione fino ad un
anno o con la multa sino a € 1.032.
Passando al settore dell'assistenza familiare, la violazione degli obblighi all'assistenza
familiare, comprensiva del fatto di malversare o dilapidare i beni del figlio minore o del
coniuge e del fatto di far mancare i mezzi di sussistenza ai familiari, è sottoposta alla pena
della reclusione fino ad un anno o della multa da € 103 a 1.032 con una limitata perseguibilità
a querela; per l'abuso dei mezzi di correzione è prevista invece la pena della reclusione fino a 6
mesi.
Un discorso a parte merita la fattispecie di rivelazione di segreti scientifici o industriali punita
a querela di parte con la reclusione sino a 2 anni; si tratta in effetti di un'ipotesi di furto
relativo a proprietà immateriale la quale ha un valore indubbiamente maggiore rispetto alla
cosa mobile.
Un trattamento sanzionatorio più o meno equivalente a quello previsto per il furto semplice è
riservato a figure di reato estremamente gravi quali il commercio di medicinali guasti, il
commercio di sostanze alimentari nocive, l'aggiotaggio.
Il rigore sanzionatorio in materia patrimoniale è una chiara manifestazione di una politica
repressivo-deterrente volta ad una difesa eccessiva del bene patrimonio. Ciò ovviamente si
pone in contrasto con le esigenze di tutela della persona e di funzione preventiva della pena
che emergono dalla costituzione. La Corte Cost., investita del problema della ragionevolezza
del regime sanzionatorio previsto per il furto e della sua compatibilità con il finalismo
rieducativo della pena, ho più volte la legittimità della normativa sul furto seguendo tuttavia
un percorso argomentativo poco chiaro.
Nell’ordinanza 27 maggio 1969 il pretore di Siena sollevò questione di legittimità degli artt.
624 e 625 c.p. nella parte relativa ai massimi edittali di pena da essi fissati in riferimento agli
artt. 3 e 27 Cost. ritenendo esistente una sperequazione tra il trattamento punitivo della
lesione personale e quello del furto: secondo il pretore, in base ai valori espressi dalla
Costituzione, la proprietà riveste una funzione complementare rispetto ai beni della vita, della
libertà personale, della dignità umana e del lavoro; pertanto il rigore normativo che
caratterizza il furto oltre ad essere di per sé irragionevole risulta in contrasto palese con il
principio di rieducazione in quanto determinerebbe l'esasperazione del condannato potendo
provocare anche la rivolta contro l’ordine costituito. Le argomentazioni contenute
nell’ordinanza sono, secondo Moccia, ineccepibili. Di diverso avviso è stata, però, la Corte
Cost. che ha ritenuto infondata la questione sostenendo che il problema della severità delle
pene previste per il furto attiene a scelte di politica legislativa ed è, quindi, sottratto al suo
sindacato. Per quanto riguarda poi la contrarietà del regime sanzionatorio in esame alla
finalità della rieducazione, la Corte fa una duplice affermazione di principio: da un lato nega
che prospettive di rieducazione possano essere prese in considerazione precedentemente alla
commissione di un reato, ribadendo che la determinazione della pena edittale è rimessa alla
valutazione discrezionale del legislatore; dall’altro afferma che l'efficacia rieducativa della
pena dipende non tanto dalla sua durata, quanto piuttosto dal suo regime di esecuzione.
Moccia, ovviamente, critica la decisione della Corte. Relativamente alla violazione dell'art. 3 la
Corte nega la stessa possibilità di un sindacato di ragionevolezza sulla misura della pena
contraddicendo però un precedente orientamento per il quale il sindacato di legittimità può
formare oggetto di censura solo quando la sperequazione tra pena e reato assume dimensioni
tali da essere del tutto irragionevole; sembra allora che la Corte non aveva altro strumento che
l’assoluto diniego della possibilità di pronunciarsi sulla ragionevolezza delle sanzioni per
evitare la censura di illegittimità alla normativa sul furto.
Relativamente alla violazione dell'art. 27 co. 3, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte
Cost., se si intende la rieducazione come risocializzazione o non desocializzazione allora il
rispetto del rapporto di proporzione tra fatto e sanzione diviene un presupposto fondamentale
perché il reo possa considerare in fase di esecuzione la restrizione della sua libertà non come
un sopruso da parte dello stato.
Sono state sollevate altre questioni di legittimità relative alia misura della pena del furto con
riferimento però al minimo che non consentirebbe l'applicazione della sospensione
condizionale della pena ponendosi in contrasto con il principio della rieducazione: anche
questi casi la Corte ha rigettato le questioni richiamandosi alla sentenza precedente ed ha
riaffermato il principio della discrezionalità del legislatore in materia di misura della pena.
Infine, la Corte è stata chiamata a pronunciarsi sull’esclusione della possibilità di operare una
riduzione della pena prevista per il furto semplice in caso di tentativo. La Corte, nel ribadire
ancora una volta l'insindacabilità delle scelte discrezionali del legislatore, ha sostenuto che il
rispetto del finalismo rieducativo verrebbe disatteso da una sanzione di durata troppo breve;
tuttavia questa opinione pone problemi di legittimità costituzionale di tutte le pene brevi.
Una significativa conferma dell'inadeguatezza della disciplina vigente in materia di
patrimonio rispetto alle esigenze di tutela che emergono dalle indicazioni costituzionali è data
dall'individuazione del ruolo che effettivamente il patrimonio riveste nell'attuale
assetto costituzionale. La Cost. contiene infatti delle indicazioni che obbligano a
ridimensionare il bene patrimonio rispetto ad altri beni sia individuali che collettivi. In effetti,
anche se il patrimonio è certamente un bene di rilievo costituzionale perché funzionale allo
sviluppo della personalità, attualmente esso sembra avere un'importanza minore rispetto a
quella che rivestiva al tempo in cui è stato e elaborato il c.p.
Questo dato si desume dalla disciplina costituzionale della proprietà privata. Il diritto di
proprietà è riconosciuto all'art. 42 co. 2 Cost. ma già nella stessa norma vengono poste delle
limitazioni di principio per la salvaguardia di interessi superindividuali che fanno perdere alla
proprietà questa carattere di diritto fondamentale che tradizionalmente le veniva assegnato;
infatti, il co. e 3 dell'art. 42 prevede la possibilità dell'espropriazione salvo indennizzo per
motivi di interesse generale e l'art. 44 impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata
per conseguire il razionale sfruttamento del suolo e stabilire equi rapporti sociali. Anche la
sede sistematica della Cost. in cui sono inserite le disposizioni sulla proprietà conferma il
nuovo orientamento: infatti la proprietà è disciplinata nel titolo I che regola i rapporti
economici e non nel titolo I dedicato ai diritti fondamentali e alle loro garanzie; pertanto è
evidente che a livello costituzionale il diritto di proprietà integra un valore attenuato rispetto
a quello connesso alla soddisfazione di istanze superindividuali. Sulla base di queste
argomentazioni Moccia propone un arretramento della tutela penale realizzato sia
adoperando altri mezzi di controllo sociale che mitigando le attuali risposte sanzionatorie.
Dall’analisi finora svolta emergono due dati: da un lato l’inadeguatezza di una tutela
rafforzata in relazione ad un bene che, ormai, non ha più quella rilevanza fondamentale che
gli veniva riconosciuta in passato e dall’altro l’irragionevolezza del regime sanzionatorio in
materia penale, espressione della scelta di tipo espressivo-deterrente del codice Rocco.
L'irragionevolezza del regime sanzionatorio del patrimonio in materia penale trova una
dimostrazione ancora più immediata nella finalità che la Cost. assegna alla pena. La presenza
di un effetto di prevenzione generale intimidatrice è un risultato naturale che si verifica
ogniqualvolta una norma prevede per la sua infrazione una sanzione penale. Nel nostro
ordinamento l'effetto di intimidazione non può però andare oltre quello naturalmente
connesso alla posizione di una norma penale in quanto lo impedisce una serie di principi
costituzionali ai quali devono uniformarsi le sanzioni penali e che sono il finalismo
rieducativo, la personalità della responsabilità, la proporzione, l'estrema ratio e la tutela della
dignità umana (se per trattenere i consociati dal commettere reati si minacciano e si
infliggono pene particolarmente severe il reo diventa un mero strumento per l’intimidazione
altrui e la misura della sanzione viene fatta dipendere da considerazioni attinenti al mero
pericolo di fatto illecito altrui).
Anche sul piano dell'efficienza un sistema fondato sulla deterrenza risulta poco affidabile in
quanto la comminazione di pene eccessive disorientata i destinatari rendendo poco credibile
lo stesso sistema e pregiudicando l'effetto di orientamento, ed. prevenzione generale positiva,
che invece è connesso a norme redatte secondo criteri di tassatività, determinatezza e
ragionevolezza.
Tutto ciò presuppone un penale accettabile da parte dei suoi destinatari per i beni che tutela,
per i criteri di criminalizzazione che adotta e per la ragionevolezza delle sanzioni che propone:
quanto più il legislatore riesce ad armonizzare norme penali e concezioni di valore diffuse
nella società, tanto più i cittadini saranno naturalmente portati ad interiorizzare le norme
giuridiche e ad accettarle come regole comportamentali; ovviamente questa convinzione per
mantenersi stabile esige che alla violazione della norma consegua un effettiva e pronta
reazione da parte dello stato ma nulla più, quindi né minacce terrificanti né inflizione di
castighi molto afflittivi.
Il perseguimento dell'effetto di prevenzione generale che, rispettoso della dignità e
personalità dell'uomo, si manifesta in termini di integrazione sociale appare quindi preferibile
sul piano dell'efficacia e della legittimità rispetto a quello derivante da un'azione di mera
deterrenza.
Sotto il profilo della legittimità, l'art. 27 co. 3 Cost. impone il perseguimento di finalità di
recupero sociale; il concetto di rieducazione può essere inteso solo nel senso di integrazione
sociale e non come emenda morale; infatti il sistema che emerge dalla costituzione,
fondandosi sulla sovranità popolare, non consente che attraverso gli organi della giustizia
statale si possano perseguire legittimamente scopi trascendenti l'adesione ai principi che la
stessa Cost. pone e in particolare a concezioni etiche la cui accettazione reale è legata ad una
scelta che deve essere completamente libera e non può essere affidata alla coazione della
sanzione penale.
È necessario inoltre che anche all'atto della posizione delle fattispecie siano tenute ben
presenti le istanze speciali preventive del recupero sociale: illecito e sanzione devono essere
rispettosi del principio di legalità e di ragionevolezza affinchè il reo possa percepire la norma
come regola di condotta violata.
Il nostro ordinamento consente, quindi, che in rapporto alla funzione della pena possano
essere legittimamente perseguiti gli scopi positivi della prevenzione.
Le esigenze di tutela della libertà e di prevenzione integratrice risultano pregiudicate anche
dalla tecnica di normazione adoperata nel settore patrimoniale che ha determinato una
proliferazione ipertrofica delle fattispecie comportando complessi problemi interpretativi
legati alla possibilità di conflitti di norme.
Ed invero, in questo contesto si inserisce la problematica della ed. doppia tipicità, l'ipotesi in
cui uno stesso fatto può rientrare in più fattispecie al di fuori dei casi di concorso apparente,
ad es, le ipotesi di furto aggravato e di saccheggio, di danneggiamento aggravato e di
devastazione, nei quali si aprono spazi discrezionali intollerabili in uno stato di diritto.
Moccia ritiene che una corretta tecnica di normazione dovrebbe ispirarsi a modelli diversi:
una volta individuati ed inquadrati In tipologie fondamentali sia gli oggetti da tutelare che le
modalità di aggressione da sanzionare, è necessario formulare le norme facendo ricorso a
parametri di chiarezza, semplicità e rarità delle disposizioni evitando rischi di pericolosa
sovrapposizione
CAPITOLO II
LA STRUTTURA DEL CONCETTO DI PATRIMONIO QUALE OGGETTO
DI TUTELA PENALE
Il primo aspetto da considerare per una risistemazione della materia patrimoniale è quello
relativo all'oggetto della tutela e come primo criterio di riferimento per la sua ricostruzione va
tenuto presente che in un assetto normativo-istituzionale espressivo dei valori dello stato
sociale di diritto l'ordinamento giuridico deve essere funzionale alla tutela della libertà e della
personalità dell'individuo nel rispetto di esigenze superindividuali.
Ciò comporta due conseguenze notevoli: un’accentuazione della componente personale nella
definizione del concetto di patrimonio e un ridimensionamento della sua tutela in quanto il
rispetto di istanze solidaristiche tende ad attenuare il ruolo di centralità che il patrimonio
rivestiva tradizionalmente.
La ricostruzione dell’oggetto della tutela penale in campo patrimoniale esige una preliminare
definizione del concetto di patrimonio a cui fare riferimento. Di quest’ultimo sono state
avanzate tre diverse concezioni: 1) una concezione giuridica; 2) una concezione economica; 3)
una concezione economico-giuridica. A queste concezioni tradizionali è possibile, secondo
Moccia, aggiungerne una quarta di tipo funzionale-personale, che risulta più adeguata alle
esigenze socio-istituzionali della realtà attuale.
La concezione giuridica del patrimonio, secondo l’indicazione di Binding, il suo più
autorevole sostenitore, considera il patrimonio come la somma dei diritti e degli obblighi
patrimoniali di un soggetto. Di conseguenza il danno patrimoniale è inteso come la perdita o
la limitazione di un tale diritto. Le critiche a questa concezione sono:
- innanzitutto, la nozione giuridica appare troppo restrittiva, in quanto considera come
componenti patrimoniali soltanto i diritti soggettivi perfetti trascurando il fatto che agli scambi
economici partecipano anche posizioni, beni, situazioni non ancora concretizzate in veri e
propri diritti soggettivi o concretizzate in maniera incompleta e che hanno tuttavia un rilevante
valore pecuniario e comunque sono oggetto di scambio; da ciò deriva la necessità di un
autonomo concetto penalistico di patrimonio, che non si limiti ad accogliere categorie elaborate
per altri settori dell’ordinamento.
- in secondo luogo la nozione giuridica esclude la tutela in caso di messa in pericolo di un diritto,
in quanto la messa in pericolo del patrimonio lascia intatta la situazione giuridica precedente e
pertanto non rappresenta alcun danno. Moccia, invece, osserva come sia essenziale, nei casi di
pericolo astratto, fare ricorso alla sanzione statale, anche se non necessariamente penale.
- in terzo luogo, la nozione giuridica appare inadeguata a fornire la base concettuale per
l'elaborazione dell'oggetto della tutela penale in campo patrimoniale perché, se da un lato,
difficilmente riesce a garantire una tutela a tutte le posizioni aventi valore economico di
scambio, dall'altro, presenta anche il difetto opposto di estendere eccessivamente l'ambito
dell'intervento penale. Ed invero, nella misura in cui questa concezione considera il danno
patrimoniale come la perdita o la limitazione di un tale diritto sottopone a sanzione penale
anche la violazione di diritti soggettivi privi di valore economico o con un valore minimale, il
che rende problematica la soluzione della questione del trattamento dei fatti di microviolatori.
- ancora, la nozione giuridica non considera il patrimonio come unità, ma come somma di
componenti eterogenee; ciò fa escludere la possibilità di risolvere il problema della definizione
del danno patrimoniale sulla base del criterio dell'effettiva diminuzione della potenzialità
economica della vittima.
- infine, la nozione giuridica esclude l'adozione di criteri materiali di interpretazione, il che
comporta l'irrilevanza di una compensazione della diminuzione patrimoniale attraverso
l'eventuale vantaggio obiettivo immediatamente confluente nel patrimonio in seguito alla
condotta altrui.
Per ovviare alle carenze della concezione giuridica è stata elaborata la concezione
economica che considera il patrimonio come un complesso unitario comprensivo di tutte le
situazioni di valore economicamente valutabili facenti capo ad un soggetto. Caratteristica di
questa concezione è quella di riconoscere come componente patrimoniale qualsiasi posizione
cui nella vita commerciale viene riconosciuto un valore economico, senza considerare se
questa sia concretizzata in un diritto o sia in esso concretizzabile. Ciò consente, peraltro, la
possibilità di compensazione di diminuzioni patrimoniali da parte dell’autore nei confronti
della vittima se la lesione del patrimonio avviene attraverso la realizzazione di un danno
economico, e non attraverso la violazione di un diritto soggettivo, qualora l’autore compensi
la diminuzione di patrimonio cagionata alla vittima, viene meno la stessa lesione. Anche
questa concezione presenta un duplice ordine di inconvenienti:
- In primo luogo, l'idea stessa di bene esclusivamente economico, che prescinde da un
riconoscimento giuridico dell’entità patrimoniale tutelata, rende il concetto di patrimonio
eccessivamente indeterminato e quindi poco adatto a soddisfare le esigenze della legge penale
di uno stato di diritto (questo inconveniente potrebbe essere superato con un'interpretazione
restrittiva e con una strutturazione delle fattispecie particolarmente accurata sul piano della
tassatività in considerazione dell'enorme vantaggio che questa concezione presenta rispetto a
quella giuridica di consentire il superamento del formalismo tecnico-civilistico con la
contestuale valorizzazione del nucleo materiale del rapporto tra il soggetto titolare del
patrimonio e le singole componenti economicamente valutabili).
- Ulteriore inconveniente della concezione economica consiste nel dato per cui l'attribuzione di
beni ad un soggetto titolare di un patrimonio può basarsi anche soltanto su fattuali rapporti di
signoria tra soggetto e oggetto senza tenere conto dei criteri giuridici di attribuzione stabiliti da
altri rami del diritto; in effetti sarebbe ipotizzabile l'appartenenza al patrimonio di un bene
anche se questo sia stato acquisito in maniera contrastante con regole dettate dall'ordinamento
giuridico.
Ciò rende difficilmente accoglibile una pura nozione economica, in quanto il diritto penale
non può tutelare situazioni, anche aventi valore economico, di cui altri rami dell’ordinamento
pretendono l’eliminazione.
Al fine di superare l’inconveniente di una tutela penale che potesse risultare in contrasto con i
principi sanciti in altri rami dell’ordinamento è stata elaborata la concezione giuridico-
economica. Questa concezione, da un lato accoglie il principio che caratterizza la concezione
economica, cioè che il bene per divenire componente patrimoniale deve avere un valore
economico di scambio, e dall’altro contesta la possibilità di attribuire il bene al soggetto
titolare del patrimonio sulla base della sola titolarità di fatto. In tali casi, il bene non può dirsi
spettante al soggetto e, pertanto, non può essere considerato componente del suo patrimonio.
Il patrimonio è, dunque, il complesso dei diritti che rappresentano valori economici. Questa
concezione parte dal presupposto che il diritto penale, pur avendo sue particolari esigenze,
non può staccarsi del tutto da quelle regole fondamentali relative all'attribuzione secondo
diritto dei beni e quindi non può consentire l'inclusione nel patrimonio di una persona di beni
con i quali questa ha solo un rapporto di fatto non riconosciuto dal diritto.
Questo stretto legame con i criteri giusnaturalistici di attribuzione viene respinto da quella
parte della dottrina che accoglie si un concetto giuridico-economico di patrimonio, ma
privilegia la prospettiva economica, in base alla quale è sufficiente, a certe condizioni, la sola
disponibilità di fatto. La ragione di questa emancipazione da criteri giuridici di attribuzione
dei beni è data dal fatto che verrebbero a trovarsi privi della qualità patrimoniale anche beni
di notevole valore economico per i quali non sarebbe possibile apprestare una tutela penale
perché non risultano incardinati in un diritto soggettivo perfetto.
Tuttavia, anche a questa variante della concezione giuridico-economica viene mossa la stessa
obiezione avanzata nei confronti della concezione economica, e cioè il diritto penale non può
tutelare situazioni, anche aventi valore economico, di cui altri rami dell’ordinamento
pretendono l’eliminazione.
Ed invero, se la disciplina giuridica dell'attribuzione dei beni non consente ad un soggetto
l'esercizio di un potere di mero fatto su di un bene e non gli assicura tutela nella sua
posizione, non può un altro settore del diritto considerare questi come titolare del bene ed
assicurare tutela al suo rapporto con il bene. Partendo da tale assunto i sostenitori di questa
concezione, pur accogliendo i postulati di quella economica, finiscono per assicurare tutela
penale soltanto ad alcune posizioni di fatto riconosciute o almeno non in contrasto con altri
settori dell’ordinamento.
Accanto alle tre concezioni tradizionali di patrimonio si pone la concezione di tipo
funzionale-personale che può costituire la base teorica di partenza per l'elaborazione di un
concetto di patrimonio adeguato alle istanze di tutela che attualmente emergono dalle
indicazioni normativo-fondamentali e dal reale sviluppo dei rapporti sociali. Si è osservato
che in relazione alla definizione del danno le nozioni che privilegiano la componente
giuridica, fondando la valutazione su criteri formali, operano in effetti una valutazione
meramente soggettiva del danno; viceversa le nozioni che privilegiano le componenti
economiche, basando la valutazione su criteri economicistico-sostanziali, operano una
valutazione meramente oggettiva del danno cioè secondo la perdita di valore economico.
Tale perdita tuttavia non può essere determinata secondo un criterio astratto applicabile allo
stesso modo e nella stessa misura per tutti i beni e i soggetti, ma esige la considerazione del
disagio personale. Naturalmente, la base per la determinazione del danno è sempre quella
dalla quale muove la concezione economica, cioè si parte anche in questo caso dal valore
economico del bene, ma in stretta connessione con la considerazione della loro concreta
attribuzione al singolo soggetto. Pertanto, la nuova concezione considera il patrimonio come
unità strutturata secondo le esigenze del titolare e funzionale al raggiungimento delle finalità
che questi si propone e conseguentemente considera il danno come diminuzione della
potenzialità economica relativamente al raggiungimento di obiettivi personali.
Moccia osserva che questa concezione personalistica, anche se può comportare notevole
incertezza in rapporto al calcolo individuale del danno, può comunque costituire la base
teorica di partenza per elaborare un concetto di patrimonio adeguato alle attuali esigenze
socio istituzionali. In effetti alla base delle tre concezioni patrimoniali tradizionali c'è una
carenza di fondo che consiste nel mancato riconoscimento di un elemento di fondamentale
importanza in un assetto ordinamentale che privilegia prospettive personalistiche e che è dato
dalla relazione di interesse fra una persona e gli oggetti sui quali esercita la sua signoria. Ed
invero, è proprio questo rapporto che integra quella situazione di valore alla cui tutela si
pongono le norme penali. Altro difetto delle concezioni tradizionali è quello di considerare il
patrimonio non come unità strutturata secondo esigenze personali, ma come mera somma di
singole componenti, siano essi diritti soggettivi (concezione giuridica) oppure oggetti aventi
valore economico di scambio sui quali basta esercitare una mera signoria di fatto (concezione
economica) o, ancora, oggetti aventi valore economico di scambio sui quali si esercita una
signoria di fatto non disapprovata dall’ordinamento (concezione guiridico-economica).
In questa nuova prospettiva tutela del patrimonio significa tutela della personalità del
soggetto titolare. Pertanto una tutela del patrimonio assume rilevanza sociale e normativa
non perché determinati oggetti aventi valore economico sono attribuiti ad un soggetto, ma per
il fatto che la disponibilità di quei beni assicura al soggetto un margine di sviluppo della sua
personalità.
Per quanto riguarda la definizione delle singole componenti patrimoniali la concezione
personale riprende alcuni dei presupposti delle teorie tradizionali. Ed invero, anche nella
dimensione personale del patrimonio le singole componenti devono avere un valore
economico di scambio (che consente di evitare pericoli di eccessiva subiettivazione del
concetto) e devono trovarsi nella disponibilità del soggetto titolare secondo un rapporto di
signoria che risulti giuridicamente tutelabile (patrimonio=unità strutturata secondo le finalità
della persona).
Il concetto di patrimonio che ne risulta è dunque un concetto dinamico funzionale
fortemente caratterizzato da elementi personalistici che si fonda sull'idea che la tutela del
patrimonio non può consistere nella difesa di qualsiasi oggetto o di una mera entità
pecuniaria in sé considerati per la loro semplice attribuzione ad un soggetto, ma deve invece
garantire la disponibilità dei beni per assicurare lo sviluppo della personalità in campo
economico. Il patrimonio pertanto appare come un'unità strutturata secondo le finalità
della persona e dunque non deve mirare ad assicurare l'integrità di un astratto valore in
denaro ma ha il compito di garantire il bene nella sua conformazione individualizzata
contro ingiustificate diminuzioni; infatti è in termini di diminuzione della potenzialità
economica relativamente al raggiungimento di obiettivi personali che si esprime
concretamente il danno.
La ricostruzione del concetto di patrimonio va quindi operata in una dimensione dinamica
per cui il bene non va considerato nella sua posizione statica ma piuttosto nel suo rapporto
in termini di interesse con la persona del titolare, cioè va visto in funzione della finalità dello
sviluppo della personalità nella società civile.
Dall'esame delle varie concezioni di patrimonio è emersa l’Incidenza degli istituti di diritto
civile nella disciplina penalistica in materia patrimoniale; i rapporti tra diritto civile ed penale
condizionano la definizione del concetto stesso di patrimonio e la determinazione dell'ambito
e delle forme della sua tutela.
Al riguardo sono state elaborate tre teorie.
1) La teoria civilistica postula la totale dipendenza della disciplina penale dagli schemi dogmatico
normativi del diritto civile;
2) La teoria autonomistica, rivendica la piena indipendenza del diritto penale;
3) Una terza teoria, mediatrice tra le due precedenti, senza negare o affermare aproisticamente la
coincidenza dei concetti civilistici con quelli penalistici, affronta il problema dei loro rapporti in
base al caso concreto. In particolare, facendo riferimento al momento dello scopo attribuisce
alle varie nozioni prese in esame un significato coincidente o divergente a seconda che gli scopi
perseguiti dai due ordinamenti nel caso concreto convergano o divergano.
Tuttavia, secondo Moccia, il riferimento deve operarsi in rapporto non tanto allo scopo,
quanto piuttosto alla funzione che i due rami dell’ordinamento svolgono; infatti nello stato
sociale di diritto lo scopo dei vari rami dell'ordinamento è comune e consiste
nell'organizzazione e nel mantenimento di una libera e pacifica convivenza secondo i principi
costituzionali. Quindi soltanto sul piano della funzione, certamente differenziata, che i vari
settori dell'ordinamento rivestono per il raggiungimento della finalità comune è possibile
giungere ad una soluzione soddisfacente. Compito fondamentale del diritto penale è la tutela
dei beni giuridici da attacchi particolarmente incisivi; compito del diritto civile, in materia
patrimoniale, sembra, invece, quello di definire la fisionomia delle singole componenti, di
determinare i modi di acquisto e di cessione, di tenere distinte le diverse situazioni
patrimoniali e di apprestare i rimedi sanzionatori adeguati a tale funzione.
Pertanto, se il patrimonio va considerato come un complesso di valori economici funzionali
allo sviluppo della personalità non hanno più rilevanza i profili strettamente connessi al
diritto civile (come la perfezione o il tipo del titolo di acquisto) in quanto il criterio guida per
accordare la tutela penale è dato dalla presenza di un apprezzabile valore economico nella
singola componente a prescindere dalla perfezione del titolo relativo, con la conseguenza che
il diritto penale deve astenersi dall'intervenire in sede di tutela patrimoniale a difesa di
posizioni, che pur essendo incardinate in un diritto soggettivo perfetto, però non abbiano un
vero e proprio valore economico, in quanto la tutela di tali beni non può essere funzionale allo
sviluppo della personalità del loro titolare in un ambito economico.
Al diritto civile spetta, invece, la tutela di oggetti di mero valore affettivo, ovvero di oggetti
privi di valore economico.
In conclusione, si potrebbe affermare che, in una prospettiva penalistica, la tutela civilistica
assume un carattere di accessorietà, nel senso che essa subentra alla tutela penale quando
quest'ultima, secondo il canone della frammentarietà, non trova ingresso per considerazioni
attinenti alla qualità dell'offesa e al disvalore dell'azione. Tale ipotesi trova riscontro in
rapporto all’obbligo di risarcimento del danno che nel diritto penale è limitato all’ambito di
applicazione delle singole fattispecie, mentre nel diritto civile trova espressione nella clausola
generale sancita nell’art. 2043 c.c. che fa riferimento a qualunque fatto doloso o colposo che
cagiona ad altri un danno ingiusto.
CAPITOLO III
I LIMITI DELLA TUTELA PENALE DEL PATRIMONIO
Una volta definita la struttura concettuale del bene patrimonio quale potenziale oggetto di
tutela penale, Moccia si occupa del suo contenuto, essendo evidente lo scarto esistente tra
esigenze di tutela ed assetto normativo vigente. Ed invero, non vi è dubbio che l’evoluzione dei
rapporti sociali esiga ormai l’attenzione del legislatore penale nei confronti di manifestazioni di
effettiva dannosità sociale, che non erano state prese in considerazione dal legislatore del ’30 o
perché non avevano ancora oggettivamente assunto una caratteristica di gravità, che rendesse
consigliabile l’attuazione dello strumento penale, o perché una tale gravità non era stata loro
ancora riconosciuta (es. criminalità economica o da computer). Il concetto di patrimonio
risulta fortemente condizionato sul piano storico: il codice Rocco, fondato un 'idea
patrimoniale strettamente legata a concezioni economiche di tipo agrario-artigianale, tutelava
in maniera privilegiata la proprietà di “cose”, mobili o immobili, e utilizzava lo strumento
penale in chiave meramente sanzionatoria di rapporti di diritto civile. L’odierno modello
economico rende obsoleta la tradizionale tutela penale del patrimonio, con il conseguente
superamento della stretta interdipendenza dell’azione di tutela da presupposti civilistici che
hanno come modello di riferimento i diritti reali. Ed invero, la dipendenza civilistica comporta
che lo schema di riferimento della tutela patrimoniale sia costituito da oggetti corporei, a
scapito della proprietà immateriale, e inoltre fa sì che questo oggetto sia considerato in
astratto, svincolato dall'interesse effettivo di tipo economico patrimoniale che lo lega al
soggetto titolare nei confronti del quale l'ordinamento dello stato sociale di diritto si deve
preoccupare di apprestare tutela in materia patrimoniale.
In questo contesto, sembra opportuno operare una rivalutazione di altre componenti
patrimoniali che, risultano particolarmente funzionali alle esigenze del soggetto in quanto
persona.
In primo luogo va considerata la capacità di produzione di reddito da lavoro rispetto
alla proprietà di cose, in quanto le classiche funzioni socio-economiche della proprietà sono
assolte in buona parte dal lavoro, nel senso che il significato sociale della proprietà di cose
risulta fortemente ridimensionato rispetto ad una produttiva utilizzazione della capacità
lavorativa.
In secondo luogo, va considerata la proprietà immateriale derivante da attività lavorativa
prevalentemente intellettuale che ha indubbiamente lo stesso valore economico della proprietà
di cose per cui è pienamente giustificabile una tutela equivalente; infatti non si comprende
perché il furto di proprietà immateriali perpetrato ad es. con azioni di plagio sia meno
meritevole di pena rispetto alla sottrazione di cose mobili altrui.
Appare allora opportuno, sempre nel rispetto di criteri di sussidiarietà, frammentarietà e
ragionevolezza, l'inserimento nella normativa a tutela del patrimonio di norme che quando
esistono sono sparse in altri titoli del codice o nella legislazione speciale ed una conseguente
razionalizzazione e semplificazione della disciplina. Di conseguenza anche di fronte ad un
concetto di patrimonio più ampio, selezionando solo i fenomeni ritenuti particolarmente
dannosi, si potrà addirittura ottenere in questo settore l'effetto di restringere rispetto al livello
attuale l'area del penalmente rilevante.
La dimensione dinamico-funzionale del patrimonio, quale bene strumentale alla realizzazione
delle finalità economiche del titolare, consente di risolvere il problema dell'adeguato
trattamento dei fatti microviolatori. Ed invero, il nesso di strumentalità non può dirsi
seriamente minacciato in occasione di un furto di oggetti superflui di cui il soggetto passivo può
benissimo fare a meno.
Se la tutela è accordata al diritto reale con la realizzazione della fattispecie quest'ultimo
risulta comunque leso anche da microviolazioni; il valore della cosa rubata e la restituzione
del tolto possono influire sulla quantità del delitto e perciò sulla pena, ma non possono essere
assunti come elementi di esclusione del reato in quanto malgrado quelle circostanze il fatto è
sempre lesivo dell'ordinamento giuridico che tutela la proprietà. Le cose invece cambiano
notevolmente se bisogna prendere in considerazione gli effetti delle lesioni formali ai diritti
patrimoniali sulla reale potenzialità economica del soggetto titolare del patrimonio e questo è
già un risultato di grande rilievo nella direzione di un arretramento dell'intervento penale
che risulta strettamente connesso alla nuova fisionomia del bene patrimonio.
Tuttavia, la disciplina vigente (nella sua impostazione fondata su una ipervalutazione del
patrimonio) lascia uno spazio molto limitato di azione per un trattamento differenziato della
criminalità lieve. Infatti, a parte la norma sui furti minori per ì quali è comunque prevista la
pena della reclusione fino ad un anno e la multa fino a € 206, manca una disciplina generale
delle microviolazioni non autonome cioè relative a fatti che in assoluto possono presentare
anche un forte contenuto di illiceità.
Ciò non di meno, Moccia ritiene che l'art. 649, che sancisce la non punibilità a querela della
persona offesa per fatti commessi a danno di congiunti, potrebbe dare fondamento ad una
soluzione settoriale al problema del controllo di fatti di criminalità lieve in campo patrimoniale
commessi nell'ambito di sistemi sociali chiusi: l'esempio classico è fornito da aziende di medie
e grandi dimensioni al cui interno esiste un sottosistema di controllo che naturalmente estende
la sua competenza anche a fatti microviolatori lesivi di altri beni diversi dal patrimonio.
Rapportato a sistemi chiusi il controllo penale statale si mostra inefficace, in quanto i reati di
lieve entità vengono di solito giudicati in un contesto introaziendale ma in base a norme
sostanziali e prassi procedimentali non ottimali quanto a razionalità e garanzie; pertanto può
risultare proficuo utilizzare questo sottosistema quale mezzo di controllo extrapenale per fatti
di lieve entità che sfuggono al controllo statale. Si è osservato che questa forma di giustizia
aziendale presenta l'enorme vantaggio di risolvere in tempi brevi il conflitto e nel contesto del
gruppo sociale di appartenenza dell'autore, comportando così una notevole riduzione del
rischio della desocializzazione.
In base a queste considerazioni è stato elaborato in Germania occidentale, nell'ambito della
progettazione alternativa, il progetto di legge per la regolamentazione della giustizia
aziendale. In particolare, con riferimento alla materia patrimoniale è stato sviluppato il
progetto di legge contro il furto nei grandi magazzini del 1974 che prevede una
soluzione civilistica in senso stretto: la sanzione comminata nel progetto consiste nel
pagamento di una somma di denaro, di regola pari al doppio dell'importo dovuto, e alla
restituzione dell'oggetto sottratto. Alla base della proposta alternativa vi erano due
considerazioni: la commissione di questo tipo di reato contro il patrimonio aveva assunto
proporzioni vastissime evidenziando l'inadeguatezza della tradizionale risposta penalistica;
inoltre le particolari modalità di realizzazione del fatto rendevano maggiormente praticabili
soluzioni diverse da quella penalistica.
Ciò premesso, Moccia propende per una soluzione generale del problema del controllo della
criminalità lieve in quanto quelle settoriali potrebbero ritenersi incostituzionali soprattutto
sotto il profilo dell'uguaglianza; pensiamo ai trattamento differenziato che verrebbe riservato a
microviolazioni omogenee, per es. furti commessi in grandi magazzini o in un contesto
aziendale e furti commessi al di fuori di tali ambiti, in quanto a questi ultimi pur presentando
la stessa nota di disvalore dei primi verrebbe riservato un regime sanzionatone molto più duro.
Moccia prospetta quindi una soluzione ad ampio raggio che disciplinerebbe l'intero fenomeno
della criminalità attraverso l'individuazione di due grandi categorie di microviolazioni:
1) fattispecie bagatellari autonome, cioè ipotesi microviolatorie che presentano in assoluto
una scarsa dannosità sociale, ad es. i reati contravvenzionali. La soluzione consiste nella loro
trasformazione in illeciti amministrativi.
2) fattispecie bagatellari non autonome, cioè ipotesi microviolatorie che presentano
un'illiceità variabile entro un ampio margine da un minimo di trascurabile entità (es. furto di
una mela) sino a forme che non possono essere considerate tali (es. il furto di un dipinto
famoso). In questo caso non può essere utilizzato lo schema amministrativo perché per
l'individuazione di questi fatti non esistono criteri affidabili in grado di far ricostruire a priori
tipiche ipotesi microviolatorie; la loro individuazione è legata ad elementi di valutazione come
il disvalore dell'evento ed il disvalore della condotta che impongono l'adozione di un sistema di
controllo interno all'ordinamento penale. Appare, pertanto, più opportuna l'elaborazione di
una soluzione intrasistematica di parte generale ovvero con la creazione di una specifica
categoria di reato le cui caratteristiche dovrebbero essere fissate in astratto e in generale e le
singole figure di reato risulterebbero dalla combinazione della norma di parte generale che
fissa gli indici di levità con le singole norme di parte speciale seguendo lo schema logico della
figura del tentativo. Questa categoria, parallela a quella dell'illecito amministrativo, dovrebbe
quindi prevedere sul piano sanzionatorio le stesse conseguenze di quest'ultima per garantire un
trattamento sanzionatorio unitario ad entrambe le categorie di fatti microviolatori; per casi di
assoluta irrilevanza dovrebbe essere introdotta la possibilità di astensione dall'inflizione della
pena.
Si aggiunga che la realizzabilità di ipotesi microviolatorie dovrebbe risultare possibile solo
relativamente a figure base che siano caratterizzate da un grado di illiceità tale da consentire la
configurabilità di un'ipotesi microviolatoria e un indice potrebbe potrebbe essere dato dai
limiti edittali previsti per le figure base. Così ad es. un omicidio non potrebbe mai divenire in
considerazione del suo contenuto di illiceità un fatto microviolatorio, mentre potranno esserci
anche dei casi in cui la sanzione concretamente inflitta possa risultare di entità particolarmente
lieve e ciò in seguito a considerazioni relative alla responsabilità e non all'illiceità.
La dimensione dinamico-funzionale del patrimonio oltre ad offrire un solido fondamento
teorico-normativo per la soluzione del problema dei fatti microviolatori reca conseguenze
anche rispetto alla tutela penale di oggetti privi di valore economico ma dotati di alto
valore affettivo.
Nell’ambito di una concezione giuridico formale la tutela di oggetti di valore meramente
affettivo rientrerebbe nella tutela del patrimonio inteso quale somma di diritti da non violare in
quanto con la semplice lesione del diritto di proprietà si avrebbe la piena offesa del bene a
prescindere da valutazioni sul valore economico dell'oggetto materiale. pertanto.
Viceversa, un sistema di tutela patrimoniale improntato sul valore economico, non esiguo, delle
singole componenti, non può e non deve apprestare tutela ad oggetti che sul piano economico
non hanno tale valore (se non a costo di introdurre una grave aporia che rischia di
compromettere la funzionalità del sistema). Moccia propone, quindi, per queste fattispecie
l’esclusione della tutela dal patrimonio ed il ricorso o al diritto civile o a nuove fattispecie che
siano rivolte a tutelare la riservatezza personale.
Non c'è dubbio che la sottrazione di un oggetto di mero valore affettivo può risultare un fatto
di estrema gravità, ma la meritevolezza di pena non è giustificata dalla formale signoria
sull'oggetto che sul piano economico ha un valore pressoché nullo, ma dalla lesione di un
interesse effettivo di alto valore etico personale che merita indubbiamente tutela. Pertanto
anziché forzare il sistema di una razionale tutela patrimoniale ammettendo l'estensibilità
della tutela anche ad oggetti di mero valore affettivo, sarebbe preferibile far rientrare i fatti
che cadono su tali oggetti in una fattispecie posta a tutela della riservatezza personale.
Inoltre la considerazione in termini di tutela patrimoniale per fatti incidenti su oggetti di
mero valore affettivo comporterebbe gravi difficoltà di armonizzazione della relativa
disciplina con quella privilegiata riservata ai fatti microviolatori; infatti sotto il profilo del
raggiungimento delle finalità economiche del titolare, fatti relativi ad oggetti di mero valore
affettivo hanno la stessa scarsa significatività delle microviolazioni per cui un trattamento
differenziato nell'ambito della stessa materia produrrebbe una vera e propria aporia.
Un’altra conseguenza che deriva dall’impostazione dinamico-funzionale del patrimonio si
riferisce alla selezione delle forme di aggressione: se la finalità dell'azione di tutela
consiste nel garantire il raggiungimento degli scopi economici del soggetto, il criterio selettivo
delle forme di aggressione è dato dalla disfunzionalità di queste al raggiungimento di quegli
scopi, ciò implica una revisione dei metri di valutazione delle classiche aggressioni
patrimoniali.
Questa impostazione, nel privilegiare prospettive di reale dannosità sociale, si dimostra
particolarmente aderente ai principi costituzionali di riferimento in materia penale perché da
un lata pone in evidenza una maggiore considerazione di prospettive di offensività e dall'altro
lato ridimensiona prospettive di mera gesinnung che affiorano dalla vigente disciplina
patrimoniale e che mal si conciliano con il d. penale del fatto verso il quale deve tendere invece
una riforma coerente con i principi fondamentali.
La considerazione di momenti di gesinnung può anche risultare legittima ma solo in una
prospettiva di integrazione sociale del reo, nel senso che sia in fase di inflizione della sanzione
che in fase di esecuzione è possibile ed anzi necessario prendere in considerazione la
disposizione, il modo di essere, le motivazioni del reo proprio per predisporre un'efficace
strategia di recupero sociale purché ovviamente quest'ultimo sia d'accordo.
Ad es. la normativa sul furto si dimostra improntata a criteri di irragionevolezza se si paragona
il regime sanzionatorio previsto per i fatti di furto e quello previsto per fattispecie poste a tutela
anche di beni molto più significativi del patrimonio. Ma con riferimento alla reale portata
offensiva del fatto/uno squilibrio si nota anche nell'ambito della stessa disciplina in materia
patrimoniale: se si paragonano le fattispecie di furto, sottrazione di cosa mobile altrui al fine di
trarne profitto, e di danneggiamento, comprensiva del fatto della distruzione dei bene e punita
più lievemente, l'incongruenza risulta evidente; infatti ai fini del rapporto di interesse dei
soggetto e della sua effettiva utilizzabilità lede più gravemente il patrimonio chi distrugge
l'oggetto e non chi lo sottrae per trarne profitto in quanto una cosa rubata si può anche
recuperare ma una cosa distrutta mai.
A tal proposito il codice fornisce un esempio emblematico che diviene un valido argomento per
il sostegno di questa tesi: se confrontiamo I"art.625 n.8 e I*art.628 co.2 vediamo che il primo
contiene un'ipotesi di furto aggravato punito con la reclusione da uno a 6 anni e con la multa da
€ 103 a 1.032 se il fatto è commesso su tre o più capi di bestiame raccolti in gregge o in
mandria ovvero su animali bovini o equini anche non raccolti in mandria (abigeato); se questi
stessi animali li si uccide la pena prevista dai secondo articolo è quella della reclusione da 6
mesi a 4 anni. Ciò dimostra che prospettive di reale offensività e quindi di dannosità sociale
giocano un ruolo modesto e vengono in rilievo considerazioni da d. penale dell'autore.
CAPITOLO IV
LINEE DI UNA POSSIBILE SISTEMATICA
Una volta definita la struttura e il contenuto dell’oggetto Moccia si pone il problema
dell'organizzazione a livello sistematico della tutela penale del patrimonio. La sistematica, in
quanto mira alla costruzione di un complesso armonico e ben coordinato nelle sue componenti,
ha notevoli implicazioni sotto il profilo politico-criminale in rapporto non solo all’efficienza
della tutela del bene, ma anche alla difesa della libertà individuale. Altrettanto indiscutibili
sono i riflessi sia sul piano dell’integrazione sociale, in quanto la creazione di un complesso
razionale di regole può, sul piano generale, agevolare l’assunzione di queste come modello
comportamentale relativamente alle situazioni concrete rapportabili alle singole norme; sia sul
piano individuale, in quanto quel complesso di norme può essere offerto anche come referente
per una specifica azione di recupero sociale.
I possibili criteri sistematico-classificatori intorno ai quali organizzare la tutela del
patrimonio sono fondamentalmente due: il criterio dell'oggettività giuridica e il criterio
delle modalità di aggressione. A questi possono aggiungersi, in via complementare, quelli
relativi al soggetto attivo e al titolare del bene.
Moccia, pur riconoscendo che l'oggetto (o meglio la prospettiva della sua offesa) assume un
ruolo fondamentale in un d. penale del fatto, non ritiene però possibile una formulazione della
sistematica dei fatti contro il patrimonio basata sul criterio dell'oggettività, in quanto, da un
lato, si corre il rischio di un ampliamento eccessivo della tutela e, dall’altro, quello di una
troppo stretta dipendenza da schemi civilistici che può portare a soluzioni insoddisfacenti sul
piano della tutela penale. L'esperienza tedesco occidentale offre in proposito un esempio della
scarsa praticabilità di una sistematica dei fatti contro il patrimonio fondato sull’oggetto della
tutela. Essa estingue tra:
- delitti contro il patrimonio in senso ampio in cui oltre al diritto di proprietà si fanno
rientrare valori patrimoniali specifici come altri diritti reali, diritti di appropriazione e diritti di
credito; questi diritti vengono considerati nel loro aspetto meramente giuridico formale
secondo prospettive civilistiche, per cui ai fini della configurazione delle varie ipotesi di reato
viene essenzialmente in evidenza l'impedimento del potere di disposizione del bene da parte
del titolare, a prescindere dalla valutazione del danno, inteso in una dimensione economica. La
caratteristica di questa categoria è data, pertanto, dall'estremo formalismo cui è improntata
alla loro dogmatica (es. furto di una cosa mobile o immobile).
- delitti contro il patrimonio in senso stretto caratterizzati invece da un'interpretazione
materiale, in quanto vengono in considerazione non tanto le singole posizioni giuridiche in sé
quanto piuttosto il loro valore economico: è decisivo per la configurazione di un delitto contro
il patrimonio una diminuzione del valore globale del patrimonio (es. truffa).
Moccia considera questo assetto totalmente insoddisfacente e non solo sul piano sistematico e
muove alcuni rilievi critici.
- La categoria dei reati in senso stretto ha delle ripercussioni negative sul piano politico
criminale in quanto data la forte dipendenza da schemi civilistici della sistematica dei delitti
patrimoniali non offre soluzioni adeguate rispetto alla tutela penale.
- È possibile che per uno stesso fatto possono aversi soluzioni molto differenziate a seconda della
natura che si riconosce al reato con evidenti implicazioni sul piano della certezza e della
ragionevolezza.
Altri argomenti sconsigliano l'adozione del criterio dell'oggettività giuridica, in quanto la
revisione del concetto di patrimonio implica un consistente ampliamento della sua portata che
comporterebbe un'estensione della tutela penale se questa dovesse essere fondata sulla mera
considerazione dell'oggetto da tutelare. La stessa Cost. contiene altre indicazioni che
impongono un ridimensionamento di principio della tutela patrimoniale; infatti il patrimonio
pur essendo un bene di rilievo costituzionale riveste attualmente un'importanza minore
rispetto a quella che aveva in precedenti assetti socio ordinamentali.
Da tutto ciò deriva non solo l'impegno ad una più risoluta ricerca di alternative al controllo
penalistico e la necessità di revisione delle cornici edittali relative a fattispecie già esistenti, ma
anche l'estrema problematicità di una sistematica fondata sull'oggetto; essa infatti si darebbe
luogo ad un'aporia di fondo in quanto l'ipervalutazione della tutela patrimoniale verrebbe ad
operare tutta a scapito della libertà individuale. Allo stesso risultato porta l'applicazione dei
principi generali di proporzione, personalità, estrema ratio, offensività e integrazione sociale
che, dal presupposto dell'assoluta precedenza della tutela di libertà e personalità, fa scaturire
l'esigenza di ipotizzare una tutela patrimoniale in termini di assoluta frammentarietà la quale
ha una sua adeguata logica sistematica se il riferimento basilare non è dato dall'oggetto ma da
altri parametri.
Va però detto che la tutela sia pur frammentaria del bene deve costituire il presupposto di tutta
la normativa in materia di difesa penale de lpatrimonio, per cui vanno privilegiate
considerazioni attinenti alla pericolosità degli attacchi al bene patrimonio e considerazioni
attinenti alla plurioffensività della condotta in coerenza con il postulato dell'offensività.
Pertanto prospettive di pura gesinnung, di condotta di vita e surrettizie valutazioni di tipo etico
personale per la costruzione delle fattispecie e per fondare il sistema vanno bandite;
considerazioni relative alla personalità dell'autore vanno svolte soltanto in una prospettiva di
integrazione sociale.
Fondamentale è per Moccia il criterio delle modalità di aggressione sia per l'elaborazione
o per la riformulazione delle singole fattispecie sia per una razionalizzazione dell'intera
disciplina.
Questo criterio è stato seguito in linea di massima dal legislatore del 1930 che propone una
sistematica fondata sui criteri della violenza e della frode; tuttavia questi criteri sono stati
adottati forzando il loro contenuto concettuale con il risultato di prospettare delle tipologie
fondamentali che non corrispondevano alla realtà. Infatti in molte fattispecie è assente sia la
violenza che la frode, pensiamo al furto inserito nell'ambito dei fatti caratterizzati da violenza
per il quale questa caratteristica là dove è presente darebbe vita ad una figura qualificata. Da
ciò ci si era resi conto che forzando il significato del concetto di violenza si giungeva ad
identificarla con la mera arbitrarietà degli atti di disposizione, con il dispiegamento di qualsiasi
energia fisica diretta alla cosa per la consumazione del reato, conferendo in tal modo al criterio
adottato solo il significato della mancanza di frode. Questa opzione classificatoria si dimostra
inadeguata anche sul versante del criterio della frode nel quale si avverte lo scarto tra
classificazione e realtà normativa: pensiamo alle figure dell'usura o dell'appropriazione
indebita relativamente alle quali una condotta fraudolenta non appare affatto caratterizzante;
infatti anche in questo caso il legislatore forza la realtà concettuale considerando fraudolente
tutte quelle ipotesi nelle quali la condotta criminosa per raggiungere il risultato dannoso
all'altrui patrimonio non realizza un'attività tipica in rapporto diretto con la cosa ma perviene
all'illecito arricchimento con violazione arbitraria degli altrui diritti.
In realtà la valorizzazione da parte del legislatore del Ì930 del criterio delle modalità di
aggressione serviva a valorizzare in momenti di gesinnung in chiave repressivo deterrente e
non certo per perseguire prospettive di efficienza in termini di offensività.
Le modalità della condotta diversamente da quanto avviene nel codice vanno dunque
considerate esclusivamente sotto il profilo della maggiore attitudine all'offesa del bene,
tenendo presente questo dato può essere elaborata una diversa sistematica dei reati contro il
patrimonio nella quale anche i concetti di violenza e frode restituiti al loro autentico significato
possono essere certamente riutilizzati nell'ambito di una sistematica che valorizzi categorie di
modalità aggressive meglio articolate e che risultino dettate anche dall'osservazione delle
manifestazioni più ricorrenti nella dinamica dell'offesa al bene.
Sulla base di tali considerazioni Moccia fa leva su altri due criteri relativi al ruolo del
soggetto passivo e al ruolo del soggetto attivo. In particolare, rispetto al ruolo del
soggetto passivo si distinguono due grandi sottogruppi a seconda del dato della sua
partecipazione alla realizzazione delle fattispecie: quella in cui questi si limiti a subire la
condotta dell'autore (come nel furto) e quella in cui questi contribuisca alla realizzazione del
fatto tipico (come nella truffa).
Rispetto al ruolo del soggetto attivo si distinguono due categorie caratterizzate l'una dalla
violazione di un rapporto fiduciario e l'altra da un'attività di perpetrazione di una situazione
patrimoniale antigiuridica.
- categoria di spossessamento: la prima categoria, cioè quella in cui il soggetto passivo si
limita a subire la condotta del soggetto attivo, si caratterizza per la presenza di
un'attività arbitraria unilaterale per la quale si opera direttamente un'invasione nella sfera
patrimoniale altrui determinando almeno uno spossessamento. Tali condotte criminose si
pongono in contrasto con una situazione giuridica soggettiva altrui che esiste al tempo del fatto
e funge da presupposto ed è proprio questo effetto di urto a dare al fatto l'impronta criminosa
che lo caratterizza. Nell'ambito di tale categoria il comune denominatore è dato dall'attività
arbitraria unilaterale al cui interno è possibile operare delle distinzioni:
• violazione della detenzione senza appropriazione, un esempio è dato dal
danneggiamento articolabile in varie ipotesi; a questo gruppo potrebbero riferirsi anche figure
che attualmente hanno una diversa sede sistematica come la devastazione e il sabotaggio;
• violazione della detenzione e appropriazione: il tipo fondamentale è dato dal furto, ma
potrebbero essere inserite anche condotte di usurpazione e violazioni di diritti su beni
immateriali configurabili come sottrazioni di valore;
• violazione della detenzione e appropriazione con esercizio di violenza nei
confronti della vittima: sono rapportabili la rapina e il saccheggio;
• appropriazione, potrebbe comprendere condotte di appropriazione indebita che però si ritiene
possano trovare una più idonea sede sistematica nell'ambito di una categoria di infedeltà
patrimoniale a causa della violazione del rapporto fiduciario avesse collegata; in questo
sottogruppo potrebbero rientrare le ipotesi di appropriazione di cose smarrite o del tesoro in
cui manca l'elemento dell'infedeltà patrimoniale qualora si decidesse di non risolverle con
strumenti extrapenali di controllo.
- categoria di sfruttamento: la seconda categoria, cioè quella in cui il soggetto passivo
partecipa necessariamente alla realizzazione del fatto giuridico, è caratterizzata
dalla presenza di una condotta di sfruttamento da parte del reo, di una condizione di debolezza
del soggetto passivo che sfocia nel compimento da parte di quest'ultimo dell'atto di
disposizione decisivo agli effetti patrimoniali. In questi casi il rapporto patrimoniale è insidiato
nella sua fase dinamica, nel senso che il fattosi compie nella fase in cui il rapporto patrimoniale
si forma tendendo a produrre una situazione riconosciuta dall'ordinamento giuridico. Le
condizioni di debolezza possono essere:
• sfruttamento di una situazione già esistente, per cui il reo si imbatte nella situazione di
debolezza e la sfrutta ai suoi fini per cui si parla di sfruttamento di una situazione già esistente
(es. usurao circonvenzione di incapaci);
• situazione di debolezza creata dall’autore, per cui il reo crea la condizione di debolezza
altrui sfruttando una situazione da lui creata, o attraverso l’inganno, come accade nella truffa;
oppure attraverso il ricorso alla violenza come accade nell'estorsione.
- Una terza categoria è contrassegnata dal ruolo del soggetto attivo. Moccia si riferisce, in
particolare, alle ipotesi di violazione del rapporto fiduciario, che si verificano quando il
patrimonio o una componente patrimoniale viene affidata, per fiducia o coattivamente, ad una
persona diversa dal titolare, che quindi può aggredire più facilmente il bene giuridico.
Pertanto, ciò che caratterizza questa categoria non è tanto il rapporto fiduciario, quanto
piuttosto la maggiore esposizione del bene al pericolo, dovuta alla posizione fiduciaria
dell’attore. Anche nell’ambito di questa categoria si possono distinguere vari sottogruppi:
• infedeltà in rapporti di diritto privato non societari: il prototipo potrebbe essere dato
da una fattispecie generale di infedeltà relativa a violazioni dell'obbligo di assistenza in campo
patrimoniale sul presupposto dell'esistenza di un dovere che lega autore e soggetto passivo
come la malversazione dei beni familiari.
• reati concorsuali: che, partendo dal tipo della bancarotta, si qualificano per la violazione di
un rapporto di fiducia
• reati societari di infedeltà: il cui prototipo è dato dal conflitto di interessi e nei quali
troverebbero sistemazione anche le ipotesi di aggiotaggio societario e di illecita rivelazione di
notizie sociali riservate
La categoria dei reati basati sul criterio dell'infedeltà potrebbe essere utilizzata anche
nell'ambito di rapporti di diritto pubblico sino a ricomprendere figure tradizionali di delitti di
pubblici ufficiali contro la p.a. come ad es. fatti di peculato, malversazione a danno di privati,
abuso innominato d'ufficio, interesse privato in atti di ufficio, rivelazione di segreti di ufficio, la
concussione.

- Una quarta categoria potrebbe configurarsi sulla base del dato costituito dalla precedente
commissione di un reato la cui caratteristica verrebbe fornita dalla perpetuazione di una
situazione antigiuridica relativamente ad un bene patrimoniale che ha indubbiamente l'effetto
di aggravare il danno per il titolare del bene in quanto il passaggio del bene da un soggetto ad
un altro ne rende più complesso il recupero. I fatti di perpetrazione di una situazione
antigiuridica si caratterizzano per dannosità sociale perché con l'ulteriore trasmissione del
possesso illegittimo o si surroga la posizione illegittima dell'autore del reato presupposto o si
fornisce a quest'ultimo un sostegno non tollerabile dal diritto e comunque si rende più intenso
il danno al soggetto passivo.
Prototipo di questa categoria è la ricettazione, reato tradizionalmente di difficile collocazione
che tuttavia in tale contesto sistematico sembra trovare una sede adeguata; comunque in
questa categoria si ritiene possano farsi rientrare le figure di favoreggiamento reale e fatti
relativi ad aggressioni patrimoniali in re illecita la cui dannosità dovrebbe concretarsi proprio
nell'aggravarsi delle difficoltà di ricupero dell'oggetto da parte del legittimo titolare.

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