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1.1.1. Premessa
A quasi vent’anni dalla sua introduzione, la disciplina della responsabilità amministra-
tiva delle società e degli enti continua ad essere al centro del dibattito istituzionale,
atteso che il catalogo dei reati che ne determinano l’insorgere è stato oggetto di un
costante e progressivo ampliamento nel corso degli anni successivi alla prima emana-
zione della norma 1.
Fino all’entrata in vigore del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, il nostro ordinamento non
contemplava forme dirette di responsabilità per gli enti. Ecco perché l’adozione di
questo provvedimento può senza dubbio essere considerata una svolta storica: con
esso, infatti, il legislatore ha fornito una risposta all’esigenza di non lasciare impuniti
quei soggetti, diversi dalle persone fisiche che pur hanno compiuto materialmente
l’illecito, che traggono un interesse o un vantaggio dai reati commessi.
Per introdurre la responsabilità amministrativa degli enti si è dovuto in qualche modo
“aggirare” il principio sancito nell’art. 27 della Costituzione, secondo il quale la respon-
sabilità penale è personale, dal quale storicamente si è fatta discendere l’impossibilità di
configurare una responsabilità penale a carico di soggetti diversi dalle persone fisiche.
Un’interpretazione restrittiva di tale norma, infatti, vieta l’individuazione dell’ente quale
soggetto attivo nella commissione di un reato, dovendo la responsabilità penale neces-
sariamente afferire ad una persona fisica capace di formare autonomamente una vo-
lontà propria.
Non solo. Alla configurabilità di una responsabilità penale in capo alle persone giuridi-
che si è sempre opposta una questione di giustizia “sostanziale”, ritenendosi iniquo che
la sanzione penale irrogata nei confronti della società, colpendo il patrimonio sociale, di
fatto danneggi tutti i soci, anche quelli completamente estranei all’illecito.
Tuttavia, se l’assunto di partenza è senz’altro corretto, con il passare del tempo non si è
potuto ignorare come di fronte al mutamento dello scenario, sempre più caratterizzato
da fenomeni di criminalità economica di cui le imprese sono protagoniste indiscusse, la
non imputabilità alle stesse di taluni reati e il solo ricorso alle sanzioni civili rendessero
ormai inadeguato il sistema complessivo di prevenzione.
Nel frattempo, l’assunzione di impegni a livello internazionale da parte dello Stato ha
indotto il legislatore a conferire all’esecutivo la delega per l’emanazione di un Decreto
che, nel disciplinare la responsabilità amministrativa degli enti, ratificasse i precedenti
accordi pattizi 2.
Si è giunti cosı̀ al Decreto 231, attraverso il quale si è inteso adeguare il sistema
1
Il catalogo dei reati è aggiornato alla data del 30 luglio 2020 (ultimo provvedimento inserito: D.Lgs.
14 luglio 2020, n. 75) che ha visto l’introduzione del reato di contrabbando (art. 25-sexiesdecies, D.Lgs.
n. 231/2001).
2
Il riferimento è all’art. 11 della Legge 29 settembre 2000, n. 300, di ratifica ed esecuzione di alcune
Convenzioni internazionali relative alla lotta alla corruzione dei pubblici ufficiali stranieri nelle ope-
razioni economiche internazionali, dei funzionari degli Stati membri dell’Unione Europea e della tutela
(continua)
delle finanze comunitarie. Sul ruolo degli atti internazionali nell’introduzione della responsabilità
amministrativa degli enti S. Delsignore, in A.A.V.V., Enti e responsabilità da reato, a cura di A.
Cadoppi – G. Garuti – P. Veneziani, Torino, 2010, pagg. 63 ss.
3
Cosı̀ M. Romano, La responsabilità amministrativa degli enti, società o associazioni: profili generali,
in Riv. soc., 2002, pag. 394.
4
Si vedano, ex multis, anche per i riferimenti bibliografici ivi richiamati, N. Abriani, “Il modello di
prevenzione dei reati nel sistema dei controlli societari”, in Diritto penale dell’economia a cura di A.
Cadoppi, S. Canestrari, A. Manna, M. Papa, Torino, 2019, pp. 2778-2819; AA.VV., Modello organizza-
tivo dlgs. 231 e Organismo di Vigilanza, a cura di P. Vernero – M. Boidi – R. Frascinelli, II Ed.,
Eutekne, Torino, 2019, pag. 509; AA.VV., La responsabilità amministrativa delle società e degli enti,
commentario diretto da M. Levis e A. Perini, Zanichelli, Bologna, 2014; A. De Vivo, Profili sostanziali,
in F.M. D’Andrea – A. De Vivo – L. Martino, I modelli organizzativi ex d.lgs. 231/2001. La responsa-
bilità amministrativa delle imprese, Milano, 2006.
5
https://www.studiorebellato.it/2020/03/01/dlgs-231-2001-la-natura-della-responsabilita-amministra-
tiva-degli-enti/
6
Cass. pen., SS.UU., 18 settembre 2014 (ud. 24 aprile 2014), n. 38343.
7
Sull’inapplicabilità della responsabilità amministrativa agli enti pubblici non economici, G. De Simo-
ne, I profili sostanziali della responsabilità c.d. amministrativa degli enti: la “parte generale” e la
“parte speciale” del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, in AA.VV., Responsabilità degli enti per illeciti
amministrativi dipendenti da reato, a cura di G. Garuti, Padova, 2002, pag. 85.
8
Sul punto S. Delsignore, op. cit., pag. 85.
Nondimeno, negli ultimi anni si è verificata una vera e propria inversione di tendenza:
nel settore sanitario, ad esempio, l’adozione dei modelli organizzativi ex D.Lgs. n. 231/
2001 viene oggi considerata ulteriore garanzia dell’organizzazione e della trasparenza
dell’operato delle Aziende sanitarie pubbliche. Si è verificata cosı̀ anche in tale settore
una certa diffusione del modello e del codice etico comportamentale, la cui osservanza
è finalizzata alla prevenzione degli eventuali illeciti.
Con riferimento alla sede dell’ente, si precisa che la persona giuridica risponde dell’il-
lecito amministrativo derivante da un reato-presupposto per il quale sussista la giuri-
sdizione nazionale, commesso dai propri legali rappresentanti o soggetti sottoposti
all’altrui direzione o vigilanza. Ciò a prescindere dalla sua nazionalità e dal luogo ove
essa abbia la sede legale, nonché dall’esistenza o meno, nello Stato di appartenenza, di
norme che disciplinino analoga materia, anche con riguardo alla predisposizione di
modelli organizzativi atti ad impedire la commissione di reati che siano fonte di re-
sponsabilità amministrativa per l’ente stesso 9.
Nella vicenda sottoposta al vaglio dei giudici di legittimità, in estrema sintesi, a una
società di diritto estero, insieme ad altre, era contestato l’illecito amministrativo ex
D.Lgs. n. 231/2001 in connessione a condotte corruttive ascritte ai vertici dell’azienda
consumate in Italia in relazione alla stipula a condizioni vantaggiose di alcuni contratti
con una società fallita.
Dopo la condanna nei due gradi di giudizio di merito, la società estera ricorreva,
insieme agli altri imputati, per Cassazione, lamentando anche l’erronea affermazione
della giurisdizione dell’autorità giudiziaria italiana ai fini dell’applicazione della norma-
tiva e delle sanzioni previste dal D.Lgs. n. 231/2001. Si trattava infatti di condotte
commesse in Italia da società avente sede principale all’estero. Veniva tra l’altro evi-
denziato che nel proprio Stato di residenza non vigeva normativa analoga a quella
prevista dal D.Lgs. n. 231/2001, con la conseguenza che la società non avrebbe potuto
comunque adempiere alle procedure preventive previste (modello organizzativo, ecc.).
La Corte di Cassazione ha respinto lo specifico motivo di ricorso evidenziando, innan-
zitutto, che nel definire l’ambito applicativo il D.Lgs. n. 231/2001 non prevede alcuna
distinzione fra enti aventi sede in Italia e quelli aventi sede all’estero. Si tratta poi di una
responsabilità, seppur autonoma, comunque “derivata” dal reato e quindi la giurisdi-
zione va apprezzata rispetto al reato presupposto, a nulla rilevando che la colpa in
organizzazione, e dunque la predisposizione di modelli non adeguati, sia avvenuta
all’estero. In conclusione, secondo la Suprema Corte, la persona giuridica risponde
dell’illecito amministrativo derivante da un reato presupposto per il quale sussiste la
giurisdizione nazionale commesso dai propri legali rappresentanti o soggetti sottoposti
all’altrui direzione o vigilanza in quanto l’ente è soggetto all’obbligo di osservare la
legge italiana e, in particolare, quella penale a prescindere dalla sua nazionalità o dal
luogo ove esso abbia la propria sede legale. Ciò indipendentemente dall’esistenza o
meno nel Paese di appartenenza di norme che disciplinino in modo analogo la mede-
9
A fornire questa rigorosa interpretazione è la Corte di Cassazione penale con la sentenza n. 11626
depositata il 7 aprile 2020.
sima materia, anche con riguardo alla predisposizione ed efficace attuazione di modelli
di organizzazione e di gestione atti ad impedire la commissione di reati fonte di re-
sponsabilità amministrativa dell’ente stesso.
Da evidenziare che la responsabilità della società estera operante sul territorio italiano,
anche se priva di sede nel nostro Stato, in passato era stata affermata solo dai giudici di
merito 10.
10
Trib. Milano, sez. GIP, ordinanza 27 aprile 2004.
11
Questa funzione è richiamata da: i) il D.Lgs. n. 58/1998 (TUF) che, all’art. 150, prevede la figura di
“colui che è preposto ai controlli interni”; ii) le istruzioni di vigilanza per le banche della Banca d’Italia,
pubblicate sulla G.U. n. 245 del 20 ottobre 1998; iii) i regolamenti emessi nei confronti degli interme-
diari autorizzati delle società di gestione del risparmio e delle SICAV dalla Banca d’Italia e dalla
CONSOB, che obbligano questi soggetti all’istituzione di “un’apposita funzione di Controllo Interno”
da assegnare “ad apposito responsabile svincolato da rapporti gerarchici rispetto ai responsabili dei
settori di attività sottoposti al controllo”. Anche il Codice di Autodisciplina delle società quotate fa
riferimento alla funzione di Internal Auditing.
12
Il Comitato per la Corporate Governance è stato costituito, nell’attuale configurazione, nel giugno
del 2011 ad opera delle Associazioni di impresa (ABI, ANIA, Assonime, Confindustria) e di investitori
professionali (Assogestioni), nonché di Borsa Italiana S.p.A. Il 9 dicembre 2019 il Comitato ha appro-
vato la sua ottava relazione annuale contenente il settimo rapporto sull’applicazione del Codice di
Autodisciplina. Lo stesso Comitato ha definito i contenuti del nuovo Codice di Corporate Governance,
che è stato poi approvato in via definitiva e pubblicato sul sito del Comitato il 31 gennaio 2020. Le
società che adottano il Codice lo applicano a partire dal primo esercizio che inizia successivamente al
31 dicembre 2020, informandone il mercato nella relazione sul governo societario da pubblicarsi nel
corso del 2022.
13
Codice di corporate governance – gennaio 2020.
14
PWC, D.Lgs. 231/2001. Indagine nell’ambito delle società quotate, 2014, www.pwc.com.
15
Lo studio è stato riportato su www.aimnews.it.
totale delle società allineate alla normativa, circa il 70% ha approvato contestual-
mente il codice etico al fine di adeguare la propria struttura e la condotta a principi
etico-comportamentali nei rapporti con gli stakeholder, facilitando l’adozione dei
requisiti previsti dal D.Lgs. n. 231/2001.
16
Si tralascia di considerare la copiosa dottrina in materia di gruppi societari, non essendo questa la
sedes materiae.
17
Ordinanza GIP Milano, 20 settembre 2004, Dott.ssa Secchi.
18
Trib. Milano, 14 dicembre 2004.
nistratori della capogruppo: in tali ipotesi, tuttavia, la responsabilità della holding con-
corre con quella della società controllata, non sostituendosi a questa.
C’è chi evidenzia poi una responsabilità della capogruppo, in capo alla quale sussiste
un generico obbligo di vigilanza sull’operato della controllata, ravvisando in capo alla
holding stessa o ai suoi vertici una posizione di garanzia ex art. 40 c.p., con la conse-
guente responsabilità anche per i reati commessi dalla/e controllata/e in vista del
perseguimento di un interesse o di un vantaggio proprio. La responsabilità della con-
trollante, in tali ipotesi, deriverebbe dalla violazione degli obblighi di controllo sulle
società del gruppo e dall’omesso impedimento delle violazioni della legge penale da
parte della società controllata 19.
Tuttavia, un’estensione automatica della responsabilità in capo alla controllante per
reati commessi dalla controllata in virtù di una generica presunzione di concorso nella
condotta illecita o, addirittura, di diretta determinazione, nonché di attribuzione di un
generico obbligo di vigilanza, appare iniqua ed eccessiva. È preferibile analizzare le
singole fattispecie, valutando l’effettivo vantaggio o interesse della capogruppo, nonché
il suo grado di immedesimazione ed influenza nel determinare la condotta illecita.
Per ciò che concerne tale ultimo aspetto, la nozione di gestione e controllo richiamata
dal Decreto (art. 5, comma 1, lett. a) non deve essere identificata col semplice controllo
azionario, ma deve estrinsecarsi attraverso l’esercizio effettivo e duraturo di un potere
sulle decisioni della società controllata. L’esistenza di tale potere di fatto può essere
ravvisata, a titolo esemplificativo, se ricorrono alcune circostanze:
• sovrapposizione di ruoli apicali (es. amministratore) tra diverse società del gruppo;
• configurazione delle controllate come “divisioni specializzate” della capogruppo;
• presenza di patti parasociali relativi alla nomina di organi amministrativi e direttivi.
Al sussistere delle ipotesi suddette o di circostanze simili, sarebbe possibile ritenere che
la controllante agisca in qualità di amministratore di fatto della controllata.
Sul punto, alcuni interpreti hanno confermato tale orientamento richiamando il disposto
dell’art. 2639 c.c., in base al quale la configurabilità della figura dell’amministratore di
fatto sussiste nel caso di esercizio continuato e significativo dei poteri tipici inerenti alla
qualifica di amministratore: per integrare una simile fattispecie, dunque, non sarebbe
sufficiente una sporadica o episodica ingerenza nell’attività operativa della controllata,
che non farebbe venir meno l’autonomia gestionale di quest’ultima. Il fulcro dell’esten-
sione della responsabilità alla capogruppo dovrebbe piuttosto essere ravvisato nella
effettiva partecipazione all’illecito da parte di uno dei soggetti destinatari della norma-
tiva che operano per conto della controllante.
In tal senso si è espressa anche parte della giurisprudenza, sancendo la distinzione tra
una holding pura (finanziaria) che si limita alla gestione di partecipazioni azionarie e
19
Nei gruppi di società è da escludere, per gli inevitabili riflessi che le condizioni della società
controllata riverberano sulla società controllante, sia che i vantaggi conseguiti dalla controllata, in
conseguenza dell’attività della controllante, possano considerarsi conseguiti da un terzo, sia che
l’attività di quest’ultima possa dirsi compiuta nell’esclusivo interesse di un terzo (Trib. Milano, 20
dicembre 2004).
una capogruppo gestoria che si avvalga dell’attività delle controllate dal punto di vista
operativo.
Il GIP di Milano 20, infatti, ha esteso la responsabilità della controllata alla controllante
sulla base di una partecipazione attiva da parte degli amministratori di quest’ultima nella
commissione degli illeciti contestati.
Da ultimo la Corte di Cassazione, affrontando per la prima volta il tema, ha affermato che
la società capogruppo può essere chiamata a rispondere, ai sensi del Decreto 231, per il
reato commesso nell’ambito dell’attività di altra società del gruppo, purché nella sua
consumazione concorra una persona fisica che agisca per conto della holding perseguen-
do anche l’interesse di quest’ultima: insomma non è sufficiente un generico riferimento al
gruppo per affermare la responsabilità della società ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001 21.
Tale sentenza, emessa nell’ambito di una complessa inchiesta che vedeva numerose
società accusate di corruzione per ottenere appalti nella sanità in Puglia, ha fatto emer-
gere importanti elementi di valutazione: più precisamente, viene per la prima volta
affermata dalla Corte di Cassazione l’idoneità della holding o delle altre società del
gruppo a rispondere ai sensi del Decreto 231 per reati commessi nell’ambito di altre
società del gruppo. Ai fini della sussistenza di detta responsabilità non è sufficiente un
generico riferimento al gruppo, ma è necessario che il soggetto che agisce per conto
delle società (es. legale rappresentante) concorra con il soggetto che commette il reato
(anche un amministratore di fatto) 22. L’interesse o il vantaggio devono, infatti, essere
presenti per tutte le società a cui la responsabilità amministrativa possa essere cosı̀
imputata; in particolare la società deve ricevere una potenziale o effettiva utilità, ancor-
ché non necessariamente di carattere patrimoniale, derivante dalla commissione del
reato presupposto.
Varrà altresı̀ rilevare come la più recente giurisprudenza di merito preveda l’applicabi-
lità del Decreto 231 anche alle società straniere operanti direttamente in Italia tramite
offerta diretta di servizi, sede secondaria, associazione temporanea di imprese. Ciò
comporta la necessità di valutare la compatibilità del modello di governance adottato
dalla società straniera con la legislazione italiana: se non è conciliabile, la società
straniera risponderà nei casi e alle condizioni previste dalla normativa in esame.
Inoltre, anche nel caso in cui una società straniera operi in Italia attraverso una società
controllata italiana, la capogruppo straniera potrà essere chiamata a rispondere in virtù
dell’estensione della normativa sulla responsabilità amministrativa degli enti nell’ambito
del gruppo. Le società capogruppo straniere dovranno, quindi, valutare se adeguarsi
preventivamente alle condizioni previste dal Decreto 231, analizzandone le criticità
conseguenti 23.
20
Trib. Milano, 20 settembre 2004.
21
Cass. pen., Sez. V, n. 24583/2011 (udienza del 17 novembre 2010, deposito del 20 giugno 2011).
22
Nel caso in commento i soggetti che agivano per conto delle società prosciolte (i legali rappresen-
tanti) erano stati assolti e non poteva quindi verificarsi il requisito del concorso con il soggetto che
aveva commesso il reato, nella specie l’amministratore di fatto.
23
Si pensi, per esempio, alla necessità di istituire un organo di vigilanza presso la capogruppo estera e
di coordinarlo con quello della società italiana.
24
Confindustria, Linee guida per la costruzione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo ai
sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, 7 marzo 2002 (aggiornate al marzo 2014),
www.confindustria.it.
25
Sull’argomento si veda anche il Capitolo 5.
26
Cfr. F. Assumma, “La responsabilità amministrativa degli enti nei gruppi di impresa: problemi e
prospettive. delle società e degli enti,” in Rivista 231, 3/2011, pagg. 7 ss.
sanzioni comminate alla capogruppo nei confronti delle altre società appartenenti al
gruppo.
Nel caso di gruppi societari, qualora il provvedimento giurisdizionale che dispone
l’applicazione di una misura cautelare ex art. 45 del Decreto individui come destinataria
della stessa la sola società capogruppo, non è configurabile un’estensione generica e
diretta della misura adottata anche alle altre società del gruppo, essendo la responsa-
bilità amministrativa correlata all’inidoneità dei sistemi di organizzazione e vigilanza
adottati dalla specifica società i cui vertici o dipendenti hanno commesso il reato e,
quindi, a presupposti oggettivi riferibili ad una particolare realtà aziendale 27.
Le motivazioni a sostegno di questo principio sono da riscontrare nel fatto che agli
illeciti amministrativi degli enti ex Decreto 231 si applicano le medesime garanzie
costituzionali previste per l’imputato persona fisica e cioè:
• il principio di personalità della responsabilità (art. 27 Cost.), in virtù del quale le
diverse società di un gruppo sono soggetti giuridicamente distinti da cui scaturi-
scono differenti centri d’imputazione di situazioni giuridiche soggettive;
• il diritto di difesa (art. 24 Cost.), dal quale consegue che l’estensione di una misura
interdittiva a società controllata/e finirebbe per colpire soggetti che sono rimasti
estranei al procedimento che ha visto coinvolta la capogruppo e che, quindi, non
hanno avuto modo di difendersi adeguatamente in esso.
Inoltre, quella prevista dal Decreto 231 non è una forma di responsabilità oggettiva:
l’ente risponde sempre per fatto proprio, vale a dire per non aver adottato misure
organizzative e di controllo idonee a prevenire reati della specie di quello che si è
verificato. A ciò si aggiunga che sia dal Decreto 231 (art. 14, comma 1 e art. 30, comma
3) che dalla Relazione illustrativa, è desumibile l’intenzione del legislatore di ricollegare
la responsabilità – e la determinazione della sanzione – all’attività effettivamente svolta
dall’ente in cui si è verificato l’illecito. Sul piano interpretativo, quindi, non è possibile
configurare un’estensione automatica della responsabilità (e dell’ambito di applicazione
delle misure cautelari adottate) al di fuori del singolo contesto aziendale volta per volta
individuato.
Pertanto, la responsabilità delle altre società del gruppo potrà ipotizzarsi solo qualora
sia dimostrato che i rispettivi soggetti in posizione apicale o dipendenti hanno contri-
buito alla commissione del reato in concorso con quelli della capogruppo e sempre che
la singola società controllata non abbia adottato modelli organizzativi idonei ai sensi
dell’art. 6 del Decreto 231.
27
Consiglio di Stato, Sez. III, parere 11 gennaio 2005.
zione in una delle due categorie soggettive presenta aspetti problematici, con conse-
guenti difficoltà interpretative per l’applicazione del Decreto.
È il caso, ad esempio, delle società partecipate (controllate o “meramente partecipate”
secondo le successive definizioni dell’art. 2 del D.Lgs. n. 175/2016) 28 da soggetti pub-
blici e/o costituite per la gestione di servizi pubblici, riguardo alle quali, nella fase
iniziale di applicazione del Decreto, in assenza di un riferimento normativo organico
non è emerso un orientamento univoco e si sono confrontate due posizioni distinte.
Quella “privatistica” sosteneva che l’assenza di una specifica disciplina implicasse la
mera applicazione della norma civilistica, mentre un diverso approccio propendeva per
una valutazione tipologica, che suggeriva una valutazione del singolo caso, che può far
propendere per l’applicazione del Codice civile o della disciplina civilistica 29.
L’orientamento preferibile 30 riteneva che le società miste dovessero essere comunque
assoggettate alla responsabilità da reato, osservando che, “poiché il fine di profitto è
tutt’altro che escluso, nello schema in questione sembrano potersi ravvisare tutti gli
estremi del classico modello societario delineato nell’art. 2247 c.c., dimodoché dovreb-
be trovare applicazione l’art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 231/2001”; tuttavia, tenuto conto del
fatto che alcuni indicatori (la procedura di ricerca dei soci che caratterizza la fase
genetica di costituzione; la qualificazione degli amministratori; l’assoggettamento alla
giurisdizione sia del giudice ordinario sia di quello amministrativo, le peculiarità dei
processi di procurement) discostano sensibilmente le società miste dal modello privati-
stico puro, si è ritenuto che esse potessero essere ricondotte al “distinto schema degli
enti pubblici economici, che abbiamo visto costituire l’unica categoria di soggetti pub-
blici riconosciuta espressamente nella normativa in esame come potenziale responsa-
bile per i reati commessi” 31.
Considerazioni simili possono essere attualmente svolte anche alla luce del nuovo Testo
Unico in materia di società a partecipazione pubblica (di seguito anche “TUSP”), ad
28
D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175, “Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica”.
29
In passato, soprattutto in relazione alla disciplina dei servizi pubblici, in particolare quelli locali, si
era diffusa una distinzione, legata al tipo di attività effettuata dalla società a partecipazione pubblica,
tra società strumentali e società che esercitano attività di impresa: le prime operano a vantaggio
dell’ente proprietario svolgendo la propria attività in forma privatistica, mentre le seconde esercitano
attività di impresa operando in regime di concorrenza, pur sempre a vantaggio della collettività. Sul
punto si veda F. Vignoli, “Questioni controverse in materia di società pubbliche: le risposte del T.U. n.
175/2016”, in Rivista 231, 1/2018, pagg. 135 ss.
30
Cfr. G. De Vero, La responsabilità penale delle persone giuridiche, Milano, 2008, pag. 124.
31
In tal senso deponeva decisivamente, inoltre, il consolidato orientamento della giurisprudenza
civile (Cass., SS.UU., 26 agosto 1998, n. 8454, C.E.D. Cass., n. 518370; SS.UU., 26 febbraio 1999, n.
101, ivi, n. 523649; SS.UU., 9 maggio 2000, n. 300, ivi, n. 536266), ferma nel ritenere che le società per
azioni costituite, a norma dell’art. 22, comma 3, della Legge n. 142/1990, dai Comuni e dalle Province
per la gestione di pubblici servizi (previa costruzione o acquisizione delle opere e delle infrastrutture
necessarie) operano, nell’esercizio della propria autonomia negoziale, come soggetto di diritto privato
del tutto privo di collegamento con l’ente pubblico nei cui confronti esse abbiano assunto l’obbligo di
gestire il servizio, poiché, da un lato, il rapporto tra l’ente territoriale e la società non è riconducibile né
all’istituto della concessione di pubblico servizio né a quello della concessione per la costruzione di
esempio in relazione alle peculiarità di quelle c.d. in house, le quali sono caratterizzate
dall’assoggettamento al controllo analogo 32 di una o più Amministrazioni, come evi-
denziato dalla definizione contenuta nell’art. 2, comma 1, lett. o). Tali soggetti, inoltre,
devono rispettare ulteriori requisiti imposti dalla norma, tra cui, ad esempio, quelli
relativi alle attività che possono essere previste dall’oggetto sociale (art. 4, comma 4),
al rispetto del principio della c.d. dedizione prevalente in relazione all’attività stessa da
svolgere nei confronti dei soci 33 (art. 16, comma 3), e cosı̀ via.
Per ciò che concerne l’applicabilità del D.Lgs. n. 231/2001 a questo tipo di società,
sempre facendo riferimento al D.Lgs. n. 175/2016, giova sottolineare come la sua
impostazione di fondo si basi sulla considerazione che tali soggetti giuridici non rap-
presentino, in realtà, un nuovo modello o un nuovo tipo societario rispetto a quelli
contemplati dalla disciplina civilistica. Un simile approccio è confermato dall’art. 1,
comma 3 della norma, sulla scorta del quale si prevede espressamente che tutto quanto
non è esaminato nel Testo Unico sia assoggettato alle norme sulle società presenti nel
Codice civile e alle norme generali di diritto privato.
Ad ogni modo, nel corso del tempo, importanti indicazioni sono state fornite anche da
alcuni interventi giurisprudenziali, che hanno trattato il tema della natura giuridica delle
società partecipate, offrendo spunti significativi in relazione alla attrazione all’interno
del perimetro applicativo del D.Lgs. n. 231/2001.
Si segnala, al riguardo, che la Suprema Corte 34 ha stabilito in maniera chiara che le società
partecipate da capitale pubblico sono sottoposte alla normativa in questione qualora
svolgano attività economica. Infatti, anche nel caso di società per azioni a capitale pub-
blico, si è in ogni caso in presenza di un soggetto che in realtà svolge la propria attività
(continua)
opere pubbliche, dall’altro, non è consentito all’ente locale di incidere unilateralmente sullo svolgi-
mento del rapporto stesso e sull’attività della società mediante l’esercizio di poteri autoritativi e
discrezionali.
32
Si tratta di una forma di controllo strutturale analogo a quello che l’amministrazione esercita sui
servizi, sulle attività e sul personale gestite in maniera diretta. Deve, inoltre, sussistere un’influenza
determinante da parte dell’ente di riferimento, ovviamente sulle scelte strategiche e sulle decisioni
maggiormente rilevanti.
33
In base alla norma, “Gli statuti delle società [...] devono prevedere che oltre l’ottanta per cento del
loro fatturato sia effettuato nello svolgimento dei compiti a esse affidati dall’ente pubblico o dagli enti
pubblici soci”. Successivamente, il c.d. correttivo appalti (D.Lgs. n. 100/2017), attraverso l’introduzione
del comma 3-bis dell’art. 16, D.Lgs. n. 175/2016, in relazione al fatturato che eccede il limite sopra
richiamato, stabilisce che “la produzione ulteriore [...] può essere rivolta anche a finalità diverse, [...]
solo a condizione che la stessa permetta di conseguire economie di scala o altri recuperi di efficienza
sul complesso dell’attività principale della società”.
34
Cass. pen., 21 luglio 2010, n. 28699. In particolare, il GIP aveva disposto, per il reato di truffa, il
sequestro preventivo di euro 2,76 milioni circa sul bilancio di due S.p.A., l’una attiva attraverso una
struttura ospedaliera specializzata, l’altra partecipante alla prima: ma il Tribunale del riesame aveva
annullato la misura nei confronti della prima, sul presupposto dell’inapplicabilità del citato Decreto,
essendo la stessa un ente pubblico operante in forma di spa mista, partecipata al 51% da risorse
pubbliche e per il 49% da capitale privato.
35
Si pensi a tutti gli enti che operano per la tutela dell’ambiente e della salute, oppure nei settori
dell’informazione, dell’istruzione, della ricerca, ecc. A tale proposito, secondo la citata Cassazione del
2010, supporre che basti la mera rilevanza costituzionale di uno dei valori in qualche modo coinvolti
nella funzione e nell’attività dell’ente sarebbe “opzione interpretativa che condurrebbe all’aberrante
conclusione di escludere dalla portata applicativa della disciplina un numero illimitato di enti operanti
non solo nel settore sanitario, ma anche in tutti quei settori in cui vengono ad essere coinvolti, seppure
indirettamente, valori costituzionali primari ed inderogabili”.
36
Cass. pen., Sez. II, 10 gennaio 2011, n. 234.
37
ANAC, Linee guida per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e
trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle Pub-
bliche amministrazioni e degli enti pubblici economici, Determinazione n. 8 del 17 giugno 2015.
38
ANAC, Nuove linee guida per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corru-
zione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle
Pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici, Determinazione n. 1134 dell’8 novembre
2017.
39
“Alle associazioni, alle fondazioni e agli enti di diritto privato, anche privi di personalità giuridica,
con bilancio superiore a cinquecentomila euro, che esercitano funzioni amministrative, attività di
produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pub-
blici”.
40
D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33, “Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli
obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle Pubbliche amministra-
zioni”.
41
Testo Unico Bancario (di seguito, anche “TUB”), D.Lgs. 1˚ settembre 1993, n. 385.
42
BANCA D’ITALIA, Disposizioni di vigilanza per le banche, circolare n. 285 del 17 dicembre 2013,
11˚ aggiornamento.
Appare chiaro, dunque, come all’interno di ogni banca sia già operativo un insieme di
regole, di procedure e di strutture organizzative volte ad assicurare il perseguimento
della efficacia e dell’efficienza dei processi aziendali, la salvaguardia del valore delle
attività e la protezione dalle perdite, l’affidabilità e l’integrità delle informazioni contabili
e gestionali, la conformità delle operazioni con la legge, con la normativa di vigilanza
nonché con le politiche, i piani, i regolamenti e le procedure interne.
Tale fattispecie rende le banche soggetti già intrinsecamente predisposti all’attuazione
delle procedure e dei protocolli di prevenzione stabiliti dal Decreto, l’elaborazione dei
quali, più che come un’operazione da effettuare ex novo, si configurerà come una
integrazione di adempimenti e meccanismi preventivi in “ottica 231”. In ogni caso,
pur in presenza di un sistema di controlli già ben strutturato, corre l’obbligo di sotto-
lineare come l’estensione del catalogo dei reati previsti dal Decreto (vedi infra) abbia
fatto sı̀ che gli istituti di credito diventassero soggetti particolarmente a rischio in rela-
zione alla responsabilità sancita dalla norma in questione.
Come sopra accennato, una delle principali peculiarità dell’applicazione della respon-
sabilità amministrativa alle banche consiste nella sua interazione con altre leggi e di-
sposizioni che governano l’attività operativa di tali soggetti. In aggiunta, ad esempio, ai
reati contro la Pubblica amministrazione o ai reati societari, per il mondo bancario è
opportuno rilevare la stretta interrelazione del D.Lgs. n. 231/2001 con il D.Lgs. 21
novembre 2007, n. 231 43, che ha introdotto l’art. 25-octies e ha esteso, dunque, all’alveo
del Decreto 231 in commento, le fattispecie criminose legate alla ricettazione, riciclag-
gio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita 44.
Oltre che in correlazione con la normativa antiriciclaggio, la disciplina 231 in ambito
bancario deve essere interpretata anche alla luce del citato TUB. In particolare, è
importante sottolineare come il Testo Unico Bancario rimandi il rilascio dell’autorizza-
zione allo svolgimento dell’attività bancaria alla Banca d’Italia, la quale esercita la
vigilanza informativa (artt. 51-52), regolamentare (art. 53) e ispettiva (art. 54). Palazzo
43
Attuazione della Direttiva n. 2005/60/CE concernente la prevenzione dell’utilizzo del sistema finan-
ziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché
della Direttiva n. 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione.
44
Ai fini del D.Lgs. n. 231/2007 (ma non ai fini della responsabilità amministrativa degli enti), le
seguenti condotte, poste in essere intenzionalmente, integrano i presupposti del “riciclaggio” (art. 2):
- la conversione o il trasferimento di beni, effettuati essendo a conoscenza che essi provengono da
un’attività criminosa o da una partecipazione a tale attività, allo scopo di occultare o dissimulare
l’origine illecita dei beni medesimi o di aiutare chiunque sia coinvolto in tale attività a sottrarsi alle
conseguenze giuridiche delle proprie azioni;
- l’occultamento o la dissimulazione della reale natura, provenienza, ubicazione, disposizione, movi-
mento, proprietà dei beni o dei diritti sugli stessi, effettuati essendo a conoscenza che tali beni
provengono da un’attività criminosa o da una partecipazione a tale attività;
- l’acquisto, la detenzione o l’utilizzazione di beni essendo a conoscenza, al momento della loro
ricezione, che tali beni provengono da un’attività criminosa o da una partecipazione a tale attività;
- la partecipazione ad uno degli atti di cui alle lettere precedenti, l’associazione per commettere tale
atto, il tentativo di perpetrarlo, il fatto di aiutare, istigare o consigliare qualcuno a commetterlo o il fatto
di agevolarne l’esecuzione.
45
L’art. 97-bis del TUB recita: “1. Il Pubblico ministero che iscrive, ai sensi dell’art. 55 del D.Lgs. 8
giugno 2001, n. 231, nel registro delle notizie di reato un illecito amministrativo a carico di una banca
ne dà comunicazione alla Banca d’Italia e, con riguardo ai servizi di investimento, anche alla CONSOB.
Nel corso del procedimento, ove il Pubblico ministero ne faccia richiesta, vengono sentite la Banca
d’Italia e, per i profili di competenza, anche la CONSOB, le quali hanno, in ogni caso, facoltà di
presentare relazioni scritte. 2. In ogni grado del giudizio di merito, prima della sentenza, il giudice
dispone, anche d’ufficio, l’acquisizione dalla Banca d’Italia e dalla CONSOB, per i profili di specifica
competenza, di aggiornate informazioni sulla situazione della banca, con particolare riguardo alla
struttura organizzativa e di controllo. 3. La sentenza irrevocabile che irroga nei confronti di una banca
le sanzioni interdittive previste dall’art. 9, comma 2, lett. a) e b), del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231,
decorsi i termini per la conversione delle sanzioni medesime, è trasmessa per l’esecuzione dall’Auto-
rità giudiziaria alla Banca d’Italia. A tale fine la Banca d’Italia può proporre o adottare gli atti previsti
dal titolo IV, avendo presenti le caratteristiche della sanzione irrogata e le preminenti finalità di
salvaguardia della stabilità e di tutela dei diritti dei depositanti e della clientela. 4. Le sanzioni inter-
dittive indicate nell’art. 9, comma 2, lett. a) e b), del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, non possono essere
applicate in via cautelare alle banche. Alle medesime non si applica, altresı̀, l’art. 15 del D.Lgs. 8
giugno 2001, n. 231”.
46
Sul punto si veda G. Losappio, “Le banche e la responsabilità da reato degli enti”, in Rivista 231, 3/
2011, pagg. 147 ss.
47
A. Bernasconi, “Processo agli enti e regole speciali per banche, intermediari finanziari ed imprese di
assicurazione”, in Rivista 231, 1/2009, pag. 36.
attribuisca alla Banca centrale a tutti gli effetti i poteri di giudice dell’esecuzione, senza
conseguenze sull’incisività e l’efficacia deterrente delle sanzioni 48: nel caso di sentenza
che commini sanzioni ex art. 9, comma 2, lett. a) e b) del D.Lgs. n. 231/2001 (interdi-
zione dall’esercizio dell’attività e sospensione o revoca delle autorizzazioni), il dispo-
sitivo viene trasmesso per l’esecuzione alla Banca d’Italia.
Oltre che in merito all’esecuzione delle sanzioni, le prescrizioni del TUB presentano
profili di contraddittorietà anche in relazione ad altre disposizioni del Decreto 231, tra
cui soprattutto quelle relative al commissario giudiziale: l’art. 15, in virtù del quale il
giudice può disporre la prosecuzione dell’attività da parte di un commissario giudiziale,
ricorrendo i presupposti per l’applicazione di una sanzione interdittiva e nel caso in cui
l’interruzione dell’attività rischi di provocare un grave pregiudizio alla collettività ovvero
sensibili ripercussioni sui livelli occupazionali dell’ente, deve essere confrontato con il
citato art. 70, comma 1 e con l’art. 80 del TUB: in base a tali norme, anche in queste
circostanze è la Banca d’Italia che può proporre al Ministero dell’Economia l’instaura-
zione dell’amministrazione straordinaria o la liquidazione coatta amministrativa delle
banche.
Per ciò che concerne il rapporto tra istituti di credito e disciplina del Decreto 231, in
alcuni casi la giurisprudenza è stata molto incisiva, fornendo altresı̀ spunti interessanti in
relazione ai reati che potrebbero integrare la responsabilità prevista dalla norma e, di
conseguenza, ai presidi da realizzare per mitigare i rischi di commissione di illeciti. In
particolare, con la sentenza n. 13976 del 19 dicembre 2012, per il reato di truffa posta in
essere ai danni del Comune di Milano nel ruolo di arrengers per la sottoscrizione di
alcuni titoli derivati, quattro banche sono state assoggettate alla responsabilità ammini-
strativa ex D.Lgs. n. 231/2001.
In relazione ai delitti di falsità nel bilancio, di manipolazione del mercato e ostacolo alle
funzioni di vigilanza della Banca d’Italia, la sentenza del GUP di Milano del 3 novembre
2010, oltre a comminare rilevanti sanzioni all’ente, ha altresı̀ specificato che la “colpa di
organizzazione” non rappresenta un concetto indeterminato, in quanto la disciplina
emanata sia dall’organismo vigilante che dal legislatore nazionale, oltre ai riferimenti
regolamentari e di soft law, rendono evidente la cornice all’interno della quale si colloca
l’onere per le società di dotarsi di una struttura organizzativa adeguata e di adottare
modelli organizzativi ex D.Lgs. n. 231/2001 49.
48
Tra i fautori di tale tesi, si veda M. Arena, La prevenzione dei reati in ambito bancario, www.rea-
tisocietari.it, 2005. Altri autori non rilevano una contraddizione in una simile fattispecie: al contrario,
sarebbe persino paradossale una disciplina diversa che, in nome della tutela delle funzioni di vigi-
lanza, in presenza di un procedimento penale, neutralizzasse i “poteri” della Banca d’Italia, anche
quelli più incisivi rispetto agli strumenti che i codici attribuiscono alla magistratura, impedendo alla
pubblica autorità di vigilanza del settore di operare a tutela dei risparmiatori e del risparmio; si veda,
ex multis, G. De Francesco, Interessi collettivi e tutela penale. «Funzioni» e programmi di disciplina
dell’attuale complessità sociale, in E. Dolcini – C.E. Paliero (a cura di), Studi in onore di Giorgio
Marinucci, vol. I, Milano, 2006.
49
Sul punto, la sentenza conclude scrivendo che: “In tale contesto normativo si rivela, pertanto, fallace
l’asserto secondo il quale il contenuto dei modelli organizzativi sarebbe indeterminato, in quanto il
In definitiva, alla luce di quanto finora analizzato, è pacifico ritenere che l’applica-
zione agli istituti di credito della normativa inerente alla responsabilità amministrativa
degli enti presenta non pochi profili di criticità e ambiguità: il particolare settore di
attività, gli ulteriori obblighi di trasparenza, l’attività di vigilanza e di controllo da parte
della Banca d’Italia fanno permanere diversi dubbi, soprattutto per quanto attiene
l’effettiva attuazione di alcuni aspetti del Decreto 231 (irrogazione delle sanzioni
interdittive, nomina del commissario giudiziale, ecc.). In ogni caso, pur essendo le
banche già assoggettate a stringenti verifiche e obbligate a dotarsi di strumenti di
prevenzione dei rischi già nello svolgimento dell’ordinaria attività operativa, non
può ritenersi plausibile, ai fini dell’esenzione dalla responsabilità, una totale sovrap-
posizione tra tali meccanismi di controllo e gli specifici protocolli citati dalla norma
(vedi infra), che dovranno quindi completare il sistema di controllo interno già esi-
stente in un’ottica di compliance integrata.
(continua)
legislatore agli artt. 6 e 7 del D.lgs. 231/01 delinea un contenuto tipico degli stessi e ciascun ente può
mutuare le prescrizioni organizzative di dettaglio dall’insieme della disciplina primaria e sub-primaria
di settore, dagli atti di autoregolamentazione vigenti e dalle linee guida emanate dalle associazioni di
settore”.
50
Si veda L.G. Insigna – P. Pisani, “Il modello esimente per l’ente operante nel settore socio sanitario”,
in Rivista 231, 3/2011, pagg. 135 ss.
51
In tal senso la natura di aziende, per esse già prevista dal D.Lgs. n. 502/1992, è stata ulteriormente
rafforzata dal D.Lgs. n. 229/1999 con la previsione di un’autonomia imprenditoriale, dovendo l’attività
svolta essere informata per legge a “criteri di efficacia, efficienza ed economicità” (cfr. R. De Matteis,
Responsabilità e servizi sanitari, Padova, 2007, pag. 62).
52
Si veda CGE, 10 maggio 2001, sentenza n. 203.
53
Si pensi, ad esempio, alle certificazioni ISO, agli adempimenti previsti dal D.Lgs. n. 81/2008 e cosı̀
via.
NOMINE
• Ingerenza politica;
• Revolving doors;
• Conflitto di interessi;
• Spoil system.
FARMACEUTICA
• Aumento artificioso dei prezzi;
• Brevetti;
• Comparaggio;
• Falsa ricerca scientifica;
• Prescrizioni fasulle/non necessarie;
• Rimborsi fasulli.
PROCUREMENT
• Gare non necessarie;
• Procedure non corrette;
• Gare orientate a cartelli;
• Infiltrazione crimine organizzato;
• False attestazioni di forniture.
NEGLIGENZA
• Scorrimento liste d’attesa;
• Dirottamento verso sanità privata;
• False dichiarazioni/omessi versamenti (Intramoenia).
SANITÀ PRIVATA
• Mancato controllo requisiti;
• Ostacoli all’ingresso e basso turnover;
• Prestazioni inutili;
• Truffe ai danni del SSN.
Alcune Regioni stanno promuovendo interventi normativi nell’ambito dei quali ai mo-
delli 231 sono attribuite nuove funzioni e in cui l’adozione del modello diventa un
requisito obbligatorio per avere rapporti con la Pubblica amministrazione o essere
accreditati per l’erogazione di servizi di pubblico interesse. In questa nuova ottica il
modello 231, in quanto modello organizzativo e di gestione, diventa uno strumento di
autocontrollo che aumenta l’affidabilità del fornitore privato e una sorta di garanzia di
efficienza delle attività erogate con il finanziamento di fondi pubblici. Fino ad oggi i
provvedimenti più rilevanti in materia sono stati adottati dalla Regione Lombardia, la
quale attraverso l’Allegato 1 del D.G.R. n. 2569/2014 prevede l’obbligo di adozione del
Modello nell’ambito del processo di accreditamento, al punto 3.2.4. “Gestione, valuta-
zione e miglioramento della qualità, regolamenti interni”, lettera f) “Adozione del mo-
dello organizzativo e del codice etico ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001”.
54
L’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 231/2001 annovera infatti tra i soggetti coinvolti nella responsabilità
amministrativa dipendente da reato le “società e associazioni anche prive di personalità giuridica”.
55
Sul punto si veda O. Di Giovine, Lineamenti sostanziali del nuovo illecito punitivo, in G. Lattanzi (a
cura di), Reati e responsabilità degli enti, Milano, Giuffrè, 2010, pag. 35.
56
Per un’ampia rassegna della dottrina e della letteratura sul tema, si veda F. D’arcangelo, “Le fonda-
zioni e le associazioni”, in M. Levis e A. Perini (a cura di), Commentario al d.lgs. 231/2001, Bologna,
2014, pagg. 48 ss.
delitto di truffa ai danni dello Stato (art. 640, comma 2, n. 1, c.p.), previsto tra i reati
presupposto dall’art. 24, comma 1, del Decreto 231. Nel caso di specie, la ONLUS in
questione è stata condannata per le condotte fraudolente attraverso le quali simulava
nei confronti dei terzi la propria natura solidaristica e volontaristica (senza fini di lucro)
per ottenere sussidi e contributi a titolo gratuito, nonché per assicurarsi contratti e
convenzioni con enti e istituzioni pubbliche, anche in mancanza dei requisiti necessari.
Risulta allora evidente come l’associazione condannata dal Tribunale milanese, pur
agendo sotto la veste giuridica di un ente no profit, in realtà svolgesse attività sostan-
zialmente imprenditoriale nel settore sanitario perseguendo, anche e soprattutto in
maniera illecita, ben precisi interessi economici. In via preliminare, il giudice adito ha
contestato ai rappresentanti della ONLUS, anche in concorso, una serie di reati che
hanno portato al patteggiamento della pena in sede di udienza preliminare. Successi-
vamente, in base all’art. 63 del Decreto, in presenza di giudizio definitivo in capo agli
imputati (i legali rappresentanti dell’ente), il giudice per l’udienza preliminare, in osse-
quio alle disposizioni di cui all’art. 9 (sanzioni amministrative) e all’art. 19 (confisca) del
medesimo Decreto, ha applicato la sanzione pecuniaria di euro 26.000 all’ente non
commerciale, disponendo altresı̀ la confisca delle giacenze bancarie e di tutti gli auto-
mezzi già oggetto del sequestro preventivo disposto dal GIP nel 2010, ritenendo, dun-
que, corretta l’applicazione delle sanzioni e delle misure interdittive previste dal D.Lgs.
n. 231/2001 57.
Ad ogni modo, la norma in esame, in relazione agli enti in oggetto, andrebbe inter-
pretata anche alla luce di recenti interventi legislativi, primo fra tutti, il D.Lgs. n. 117/
2017 58, che ha attuato una revisione e un riordino organico nell’ambito del Terzo
Settore in ottemperanza alla delega del Governo contenuta nella Legge n. 106/2016.
In particolare, l’art. 4 della norma, al comma 1, individua in maniera puntuale i soggetti
che possono essere definiti Enti del Terzo Settore (di seguito anche “ETS”), vale a dire:
• organizzazioni di volontariato;
• associazioni di promozione sociale;
• enti filantropici;
• imprese sociali, incluse le cooperative sociali;
• reti associative;
• società di mutuo soccorso;
• associazioni, riconosciute o non riconosciute;
• fondazioni;
• altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento,
senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo
57
CNDCEC, “Il modello 231/2001 per gli enti non profit: una soluzione per la gestione dei rischi”,
ottobre 2012, pag. 16.
58
D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 117, “Codice del Terzo Settore, a norma dell’art. 1, comma 2, lettera b), della
Legge 6 giugno 2016, n. 106”. Sull’argomento, C. Manacorda, “La riforma del terzo settore e dell’im-
presa sociale: presenze del d.lgs. 231/2001 e aspetti problematici di applicazione”, in Rivista 231, 1/
2018, pagg. 123 ss.; e, con riferimento alla Legge delega, P. Ghini, Terzo settore: trasparenza e
responsabilità. Quadro aggiornato della disciplina, ivi, 4/2016, pagg. 153 ss.
59
In particolare, “si considerano di interesse generale, se svolte in conformità alle norme particolari
che ne disciplinano l’esercizio, le attività aventi ad oggetto: a) interventi e servizi sociali ai sensi
dell’art. 1, commi 1 e 2, della Legge 8 novembre 2000, n. 328, e successive modificazioni, e interventi,
servizi e prestazioni di cui alla Legge 5 febbraio 1992, n. 104, e alla Legge 22 giugno 2016, n. 112, e
successive modificazioni; b) interventi e prestazioni sanitarie; c) prestazioni socio-sanitarie di cui al
Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 febbraio 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
n. 129 del 6 giugno 2001, e successive modificazioni; d) educazione, istruzione e formazione profes-
sionale, ai sensi della Legge 28 marzo 2003, n. 53, e successive modificazioni, nonché le attività
culturali di interesse sociale con finalità educativa; e) interventi e servizi finalizzati alla salvaguardia
e al miglioramento delle condizioni dell’ambiente e all’utilizzazione accorta e razionale delle risorse
naturali, con esclusione dell’attività, esercitata abitualmente, di raccolta e riciclaggio dei rifiuti urbani,
speciali e pericolosi, nonché alla tutela degli animali e prevenzione del randagismo, ai sensi della
Legge 14 agosto 1991, n. 281; f) interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e del
paesaggio, ai sensi del Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni; g)
formazione universitaria e post-universitaria; h) ricerca scientifica di particolare interesse sociale; i)
organizzazione e gestione di attività culturali, artistiche o ricreative di interesse sociale, incluse attività,
anche editoriali, di promozione e diffusione della cultura e della pratica del volontariato e delle attività
di interesse generale di cui al presente articolo; j) radiodiffusione sonora a carattere comunitario, ai
sensi dell’art. 16, comma 5, della Legge 6 agosto 1990, n. 223, e successive modificazioni; k) orga-
nizzazione e gestione di attività turistiche di interesse sociale, culturale o religioso; l) formazione extra-
scolastica, finalizzata alla prevenzione della dispersione scolastica e al successo scolastico e formativo,
alla prevenzione del bullismo e al contrasto della povertà educativa; m) servizi strumentali ad Enti del
Terzo Settore resi da enti composti in misura non inferiore al settanta per cento da Enti del Terzo
Settore; n) cooperazione allo sviluppo, ai sensi della Legge 11 agosto 2014, n. 125, e successive
modificazioni; o) attività commerciali, produttive, di educazione e informazione, di promozione, di
rappresentanza, di concessione in licenza di marchi di certificazione, svolte nell’ambito o a favore di
filiere del commercio equo e solidale, da intendersi come un rapporto commerciale con un produttore
operante in un’area economica svantaggiata, situata, di norma, in un Paese in via di sviluppo, sulla
Una delle principali novità del nuovo impianto normativo è l’istituzione del Registro
Unico Nazionale del Terzo Settore (art. 45), al quale sono tenuti a iscriversi i soggetti
che beneficiano di finanziamenti pubblici, di fondi privati raccolti attraverso pubbliche
sottoscrizioni o di fondi europei, che esercitano attività in convenzione con enti pub-
blici, o che intendono avvalersi delle agevolazioni fiscali concesse in base alla norma
(artt. da 79 a 86).
L’iscrizione e la permanenza all’interno del Registro implicano il rispetto di una serie di
requisiti e di alcuni adempimenti in termini di trasparenza e informazione 60.
Nell’ambito della Riforma del Terzo Settore, è stata elaborata un’autonoma e specifica
disciplina per le imprese sociali, ad opera del D.Lgs. n. 112/2017, che ne ha definito le
caratteristiche, le agevolazioni fiscali a favore di eventuali investitori, la modalità di
distribuzione degli utili, e cosı̀ via.
In base all’art. 1, comma 1 della norma, possono acquisire la qualifica di impresa
sociale “tutti gli enti privati, inclusi quelli costituiti nelle forme di cui al libro V del
codice civile, che [...] esercitano in via stabile e principale un’attività d’impresa di
interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità
sociale, adottando modalità di gestione responsabili e trasparenti e favorendo il più
ampio coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alle loro
(continua)
base di un accordo di lunga durata finalizzato a promuovere l’accesso del produttore al mercato e che
preveda il pagamento di un prezzo equo, misure di sviluppo in favore del produttore e l’obbligo del
produttore di garantire condizioni di lavoro sicure, nel rispetto delle normative nazionali ed interna-
zionali, in modo da permettere ai lavoratori di condurre un’esistenza libera e dignitosa, e di rispettare i
diritti sindacali, nonché di impegnarsi per il contrasto del lavoro infantile; p) servizi finalizzati all’in-
serimento o al reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori e delle persone di cui all’art. 2,
comma 4, del Decreto legislativo recante revisione della disciplina in materia di impresa sociale, di cui
all’art. 1, comma 2, lettera c), della Legge 6 giugno 2016, n. 106; q) alloggio sociale, ai sensi del
Decreto del Ministero delle infrastrutture del 22 aprile 2008, e successive modificazioni, nonché ogni
altra attività di carattere residenziale temporaneo diretta a soddisfare bisogni sociali, sanitari, culturali,
formativi o lavorativi; r) accoglienza umanitaria ed integrazione sociale dei migranti; s) agricoltura
sociale, ai sensi dell’art. 2 della Legge 18 agosto 2015, n. 141, e successive modificazioni; t) organiz-
zazione e gestione di attività sportive dilettantistiche; u) beneficenza, sostegno a distanza, cessione
gratuita di alimenti o prodotti di cui alla Legge 19 agosto 2016, n. 166, e successive modificazioni, o
erogazione di denaro, beni o servizi a sostegno di persone svantaggiate o di attività di interesse
generale a norma del presente articolo; v) promozione della cultura della legalità, della pace tra i
popoli, della nonviolenza e della difesa non armata; w) promozione e tutela dei diritti umani, civili,
sociali e politici, nonché dei diritti dei consumatori e degli utenti delle attività di interesse generale di
cui al presente articolo, promozione delle pari opportunità e delle iniziative di aiuto reciproco, incluse
le banche dei tempi di cui all’art. 27 della Legge 8 marzo 2000, n. 53, e i gruppi di acquisto solidale di
cui all’art. 1, comma 266 della Legge 24 dicembre 2007, n. 244; x) cura di procedure di adozione
internazionale ai sensi della Legge 4 maggio 1983, n. 184; y) protezione civile ai sensi della Legge 24
febbraio 1992, n. 225, e successive modificazioni; z) riqualificazione di beni pubblici inutilizzati o di
beni confiscati alla criminalità organizzata”.
60
Si pensi, ad esempio, all’obbligo, per gli Enti del Terzo Settore con entrate superiori a 1 milione di
euro di depositare, presso il Registro, il bilancio sociale.
attività” 61. Il comma 2, d’altro canto, stabilisce che “non possono acquisire la qualifica
di impresa sociale le società costituite da un unico socio persona fisica, le ammini-
strazioni pubbliche [...] e gli enti i cui atti costitutivi limitino, anche indirettamente,
l’erogazione dei beni e dei servizi in favore dei soli soci o associati”.
Per ciò che concerne l’assenza di scopo di lucro, l’art. 3 precisa che tale requisito è
rispettato quando l’impresa destina eventuali utili ed avanzi di gestione allo svolgimento
dell’attività prevista dallo statuto o all’incremento del patrimonio, senza procedere alla
distribuzione, diretta o indiretta, di tali utili o avanzi di gestione 62.
La Riforma complessiva del Terzo Settore ha avuto un impatto molto significativo anche
in relazione alla disciplina 231, atteso che la stessa Legge delega, all’art. 4, comma 1, lett.
g), tra i principi e i criteri direttivi a cui devono ispirarsi i decreti delegati, elenca la
necessità di “disciplinare gli obblighi di controllo interno, di rendicontazione, di traspa-
renza e d’informazione nei confronti degli associati, dei lavoratori e dei terzi, differen-
ziati anche in ragione della dimensione economica dell’attività svolta e dell’impiego di
risorse pubbliche, tenendo conto di quanto previsto dal decreto legislativo 8 giugno
2001, n. 231, nonché prevedere il relativo regime sanzionatorio”. Un ulteriore riferi-
61
Le cooperative sociali e i loro consorzi, di cui alla Legge 8 novembre 1991, n. 381, acquisiscono di
diritto la qualifica di imprese sociali.
62
A tale proposito, in base al disposto del comma 2 dell’art. 3, si considera in ogni caso distribuzione
indiretta di utili:
“a) la corresponsione ad amministratori, sindaci e a chiunque rivesta cariche sociali di compensi
individuali non proporzionati all’attività svolta, alle responsabilità assunte e alle specifiche competen-
ze o comunque superiori a quelli previsti in enti che operano nei medesimi o analoghi settori e
condizioni;
b) la corresponsione ai lavoratori subordinati o autonomi di retribuzioni o compensi superiori del
quaranta per cento rispetto a quelli previsti, per le medesime qualifiche, dai contratti collettivi di cui
all’art. 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, salvo comprovate esigenze attinenti alla
necessità di acquisire specifiche competenze ai fini dello svolgimento delle attività di interesse gene-
rale di cui all’art. 2, comma 1, lettere b), g) o h);
c) la remunerazione degli strumenti finanziari diversi dalle azioni o quote, a soggetti diversi dalle
banche e dagli intermediari finanziari autorizzati, in misura superiore a due punti rispetto al limite
massimo previsto per la distribuzione di dividendi dal comma 3, lettera a);
d) l’acquisto di beni o servizi per corrispettivi che, senza valide ragioni economiche, siano superiori al
loro valore normale;
e) le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, a condizioni più favorevoli di quelle di mercato, a soci,
associati o partecipanti, ai fondatori, ai componenti gli organi amministrativi e di controllo, a coloro
che a qualsiasi titolo operino per l’organizzazione o ne facciano parte, ai soggetti che effettuano
erogazioni liberali a favore dell’organizzazione, ai loro parenti entro il terzo grado ed ai loro affini
entro il secondo grado, nonché alle società da questi direttamente o indirettamente controllate o
collegate, esclusivamente in ragione della loro qualità, salvo che tali cessioni o prestazioni non
costituiscano l’oggetto dell’attività di interesse generale di cui all’art. 2;
f) la corresponsione a soggetti diversi dalle banche e dagli intermediari finanziari autorizzati, di
interessi passivi, in dipendenza di prestiti di ogni specie, superiori di quattro punti al tasso annuo
di riferimento. Il predetto limite può essere aggiornato con decreto del Ministro del lavoro e delle
politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze”.
mento è presente all’art. 6, comma 1, lett. g), laddove nello specifico ambito dell’im-
presa sociale, il legislatore ha inserito tra i principi da seguire la necessità di prevedere
“la nomina, in base a principi di terzietà, fin dall’atto costitutivo, di uno o più sindaci allo
scopo di monitorare e vigilare sull’osservanza della legge e dello statuto da parte
dell’impresa sociale, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, anche con
riferimento alle disposizioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e sull’ade-
guatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile”.
Tali riferimenti sono stati recepiti nei decreti delegati, ad esempio nel Codice del Terzo
Settore, laddove all’art. 30, comma 6, si stabilisce che l’organo di controllo 63 di asso-
ciazioni e fondazioni debba vigilare sull’osservanza della legge e dello statuto e sul
rispetto dei principi di corretta amministrazione, anche con riferimento alle disposizioni
del D.Lgs. n. 231/2001, qualora applicabili, nonché sull’adeguatezza dell’assetto orga-
nizzativo, amministrativo e contabile e sul suo concreto funzionamento.
Una prescrizione simile si rinviene, per ciò che concerne l’impresa sociale, all’art. 10,
comma 2 del D.Lgs. n. 112/2017, in relazione all’organo di controllo e ai suoi obblighi,
in ottemperanza a quanto indicato dalla Legge delega.
Ad ogni modo, le nuove norme relative al Terzo Settore sembrano ulteriormente fugare
anche eventuali dubbi interpretativi sorti in sede di prima applicazione del D.Lgs. n.
231/2001, come in precedenza evidenziato, ad esempio in relazione alle fondazioni.
Poiché i decreti delegati non effettuano distinzioni tra fondazioni e associazioni (rico-
nosciute e non), appare pacifico ipotizzare l’applicazione del Decreto alle fondazioni: di
conseguenza, l’inciso presente sia nel D.Lgs. n. 112/2017 che nel D.Lgs. n. 117/2017
(“qualora applicabili”) appare più una clausola di stile che una vera e propria riserva
relativa ad alcuni specifici soggetti, in realtà neanche completamente aderente allo
spirito e al dettato della Legge delega, che potrebbe essere oggetto di modifica in futuri
interventi normativi 64.
Alla luce di quanto brevemente osservato non appare in dubbio che anche gli enti
senza fini di lucro, e in particolare gli ETS intenzionati alla registrazione all’interno del
Registro previsto dal nuovo Codice, siano soggetti coinvolti nella disciplina del Decreto
231 e, di conseguenza, tenuti all’adozione del relativo modello organizzativo al fine di
evitare le eventuali sanzioni previste dalla norma.
In tale direzione, peraltro, si era già mossa l’Autorità Nazionale Anticorruzione che, fin
dal 2016, ha previsto un vero e proprio obbligo di adozione del modello 231 per gli enti
del terzo settore affidatari di servizi sociali 65.
63
Mentre per le fondazioni la nomina dell’organo di controllo, anche monocratico, è obbligatoria, per
le associazioni l’obbligo in questione scatta laddove siano superati per due esercizi consecutivi due dei
seguenti limiti: a) totale dell’attivo dello stato patrimoniale: euro 110.000; b) ricavi, rendite, proventi,
entrate comunque denominate: euro 220.000; c) dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 5
unità. L’obbligo cessa se, per due esercizi consecutivi, i predetti limiti non vengono superati.
64
Sul punto, si veda, C. Manacorda, La riforma del terzo settore e dell’impresa sociale: presenze del
d.lgs. 231/2001 e aspetti problematici di applicazione, cit.
65
ANAC, Linee guida per l’affidamento di servizi a enti del terzo settore e alle cooperative sociali,