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1.2.La pubblica amministrazione dopo l’entrata in vigore della costituzione, i suoi mali recenti e rimedi posti in
atto.
Al momento dell’entrata in vigore della costituzione, a causa della brevità dei governi che si sono succeduti e a
causa dell’ampliamento del numero degli uffici e degli organici delle amm.ni ministeriali nonché la contestuale
crescita della società civile, la pubblica amm.ne si è distaccata dai vertici politici dei dicasteri: ciò è stato possibile
applicando direttamente i principi costituzionali in materia di attività amministrativa, anche se, successivamente, i
posti di maggiore importanza dell’amm.ne dello stato e degli enti controllati sono stati oggetto di
“addomesticamento” da parte dei partiti di governo: ciò ha scandalizzato l’opinione pubblica, che chiedeva
interventi volti alla repressione di questo fenomeno. Per reprimere questa prassi venutasi a consolidare, a partire
dagli anni ’80 è iniziata la stagione delle riforme, che è tuttora in corso di evoluzione. Un primo significativo
intervento è stato quello di attuare i principii costituzionali in materia amministrativa lampante esempio di ciò è
l’emanazione della L. 241/1990 e la L. 142/1990 sulle autonomie locali, comportando una maggior
responsabilizzazione della dirigenza.
Ulteriori interventi si sono avuti con le c.d. “legge Bassanini uno” e “legge Bassanini bis”. La legge Bassanini uno
ha attuato un notevole decentramento dei poteri, riorganizzando le funzioni pubbliche e modificando la struttura
dell’organizzazione delle amministrazioni centrali.
Altro importante passo riformista è quello che si è avuto con la L. cost. 3/2001, che ha modificato il titolo V della
costituzione, con l’introduzione del codice del processo amministrativo (d.lgs. 104/2010), con la disciplina per la
lotta alla corruzione e all’illegalità (l. 190/2012), nonché l’emanazione del d.lgs. 82/2005 concernente il codice
dell’amministrazione digitale, che va ad attribuire numerosi diritti ai cittadini, tra cui quello di usare le tecnologie
nei rapporti con l’amministrazione, accedere agli atti in via telematica, effettuare pagamenti online proprio per
attuare questo decreto legislativo, tra gli strumenti predisposti dal legislatore vi è la posta elettronica certificata
(che è obbligatoria per tutte le amministrazioni e alla quale il cittadino può trasmettere istanze e ricevere
informazioni sui provvedimenti e procedimenti amministrativi che lo riguardano), la firma digitale, la carta di
identità elettronica, il d.l. 179/2012 con cui è stata promossa l’agenda digitale italiana, la l. 134/2012 con cui si è
istituita l’agenzia per l’Italia digitale, che deve agire con l’obiettivo di sviluppare comunità intelligenti e mira ad
offrire informazioni a soggetti ed imprese.
1.3.Nozione di diritto amministrativo
Il diritto amm.vo è la disciplina giuridica della pubblica amministrazione nella sua organizzazione, nei beni e
nell’attività ad essa peculiari.
Gli stati che sono caratterizzazioni dalla presenza di un corpus di regole amministrative distinte dal diritto comune
sono stati c.d. A REGIME AMMINISTRATIVO, la cui nascita è avvenuta con la rivoluzione francese e che ha come
scopo quello di attuare il principio della divisione dei poteri (l’azione amministrativa si viene infatti a svincolare dal
rispetto delle forme giurisdizionali, determinando tuttavia la scomparsa delle garanzie proprie del privato cittadino
nel processo. Questa riduzione delle garanzie viene però compensata con l’applicazione del principio di legalità,
che pone limiti al potere di arbitrio del sovrano e comporta una maggiore autonomia in capo alla pubblica
amministrazione nonché la previsione di precise garanzie), il principio di legalità dell’azione amministrativa ma,
soprattutto, la SUBORDINAZIONE DELL’AMM.NE ALLA LEGGE.
Sebbene si tratti di un diritto “speciale”, il diritto amministrativo è soggetto a dei limiti. Non è infatti ammissibile
ritenere che il diritto amministrativo venga ricondotto all’attività giurisdizionale in senso stretto, che viene
esercitata da organi che, in senso soggettivo, non appartengono alla p.a.--> ai sensi dell’art. 108 Cost., questi
organi, in quanto esercitanti la giurisdizione, godono dell’indipendenza, la quale non può riguardare gli organi
amm.vi che svolgono esclusivamente attività amministrativa. Una dimostrazione manifesta di quanto detto è
riscontrabile nel fatto che l’attività della p.a. non si esaurisce nella mera attività di diritto pubblico ma l’attività
della p.a. può essere anche un’ “attività di diritto privato”, per esempio stipulando contratti con le regole previste
dal diritto privato.
Ma quali sono i confini tra diritto privato e diritto amministrativo?
In tema di confini, importante è la L. 241/1990, ove si stabilisce: “la pubblica amministrazione, nell’adozione di
atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato, salvo che la legge disponga
diversamente” dal tenore della norma, sembra ammissibile il ricorso, da parte della p.a., a strumenti di natura
privatistica, nonché la regolamentazione, per quanto riguarda atti non autoritativi, data dal diritto privato.
Viene dunque posta come linea di demarcazione tra attività amm.va retta dal diritto amm.vo e attività amm.va
retta dal diritto privato l’autoritatività dell’atto, salvo che la legge disponga diversamente e, sebbene trattasi di
atto non autoritativo, la legge potrebbe stabilire che l’atto sia sottoposto alle regole di diritto amministrativo.
Prevedere una regolamentazione degli atti, esclusi quelli autoritativi, da parte del diritto privato è espressione di
una volontà di creare un rapporto di parità tra amministrazione e cittadino per l’opinione dottrinale prevalente
così non è: l’imposizione di regole di diritto privato non viene a creare rapporti paritari.
Una questione interessante è il come deve intendersi l’inciso “ salvo che la legge disponga diversamente ” e il
concetto di autoritatività.
Una prima ipotesi è quella che ritiene che TUTTI i poteri amministrativi siano autoritativi se l’atto non è
autoritativo, allora manca il provvedimento.
Una seconda ipotesi ritiene invece che autoritativi sono solo i provvedimenti limitativi della sfera del privato, come
per es. espropriazioni o ordini. Ciò determina la soggezione al diritto privato di buona parte dell’attività della p.a.--
> tale tesi non trova però consenso, poiché i cittadini verrebbero ad essere privati delle garanzie tipiche del diritto
pubblico.
A tal proposito, è opportuno osservare cosa dispone l’art. 1ter l. 241/1990: “I soggetti privati preposti all’esercizio
di attività amministrative assicurano il rispetto dei criteri e dei princìpi di cui al comma 1, con un livello di garanzia
non inferiore a quello cui sono tenute le pubbliche amministrazioni in forza delle disposizioni di cui alla presente
legge”. Inoltre il comma 1 dispone: “L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da
criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla
presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai princìpi dell’ordinamento
comunitario”.
Dal combinato disposto delle 2 norme si ricava che l’attività dei privati è comunque soggetta ai principi del
procedimento amministrativo e a quelli di trasparenza e pubblicità.
Alla luce di ciò il comma 1 bis “La pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce
secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente” vede ridotto il suo campo di
applicazione, poiché la necessità di un procedimento di formazione della volontà amm.va che sia rispettosa dei
vincoli pubblicistici non viene meno.
Tuttavia, pur nel rispetto della tutela degli interessi pubblici e dei terzi, non sempre il ricorso ad un provvedimento
autoritativo è sinonimo di maggior efficacia di risultato: talvolta, infatti, il ricorso a strumenti di natura privatistica
offre un maggior risultato pratico, seppur a discapito della tutela dell’interesse pubblico e dei terzi e derogando al
principio di legalità.
Quali sono invece i rapporti tra diritto amm.vo e diritto penale?
I rapporti negli ultimi decenni si sono fatti sempre più stretti: se da un lato molti reati sono stati depenalizzati,
dall’altro lato vi è stata una crescita esponenziale degli illeciti amministrativi, pur essendo rimasta immutata la
fattispecie.
Quale la distinzione tra diritto amm.vo e diritto costituzionale?
La differenza, secondo Mayer, sta nel fatto che “il diritto costituzionale cambia, il diritto amministrativo resta”.
In ogni caso si constata come il diritto amministrativo abbia una normativa che ha principi generali che coincidono
con quelli di diritto costituzionale.
1.4.La scienza del diritto amministrativo
Lo sviluppo della scienza del diritto amm.vo ha accompagnato la creazione e il rafforzamento degli stati nazionali,
com’è accaduto in Francia e Germania. In realtà, però, la scienza del diritto amm.vo ha nell’italiano Romagnoli il
suo precursore, con la sua opera “ Principi fondamentali del diritto amm.vo onde tesserne le istituzioni ”. In
quest’opera si afferma la necessità di fondare un’autonoma scienza del diritto amm.vo in Italia, ma quest’auspicio
non ha avuto seguito.
In Inghilterra il ruolo centrale del parlamento ha ostacolato l’introduzione di un diritto specifico dell’azione
amm.va, pertanto allora e ancora oggi i rapporti tra privato e amministrazione sono equiparati a rapporti tra
privati, sebbene vi sia stato lo sviluppo di organizzazioni amministrative. Nel sistema inglese, dunque, tutti i
soggetti sono sottoposti al medesimo diritto e vengono escluse prerogative speciali in capo alla pubblica amm.ne.
Tuttavia, anche in Inghilterra esistono ambiti regolati da norme specifiche nonché esistono gli administrative
tribunals. Questi corpi, nonostante rimanga salda la centralità del parlamento, vanno a minarne le fondamenta,
emanando norme che disciplinano svariate materie.
In Francia il diritto amm.vo veniva invece concepito sul modello privatistico e sul teorizzazione della
giurisprudenza.
In Germania invece il diritto amm.vo viene scisso dal diritto costituzionale, attribuendogli una specifica autonomia,
in specie ai suoi istituti.
In Italia, a fine ‘800, si è cercato di costruire un diritto amm.vo distaccato da ogni concezione politica, sociologica
ed economica, cercando di costruire un sistema di garanzie per il cittadino.
Tuttavia, alla luce della situazione politica che si stava sviluppando nel paese, tale modello viene presto
accantonato. Le nuove proposte erano orientate a dare voce ai bisogni nascenti della società che si stava
evolvendo ecco quindi che in questo contesto viene vista negativamente sia la teoria gradualistica
dell’ordinamento giuridico, sfavorevole all’emancipazione dell’amministrazione, sia la teoria istituzionale di
Romano.
I segnali di mutamento sociale e giuridico nel paese sono ormai evidenti: alla luce di ciò, emerge sempre più il
collegamento tra fattori economici, sociologici e politici, imponendo alla scienza dl diritto amm.vo il ricorso a
nozioni extragiuridiche. Sicuramente altri fattori che hanno determinato il mutamento della scienza amministrativa
sono: la sussistenza di altri poteri, oltre a quello statale, l’intervento sempre più deciso della normativa dell’Unione
europea in materia amministrativa, la riduzione delle aree di privilegio dello Stato.
1.5.L’amministrazione europea e il diritto amministrativo dell’Unione europea.
Le organizzazione internazionali hanno delle loro strutture amministrative e intrattengono relazioni con le
amministrazioni degli altri stati.
Il moltiplicarsi della normativa Ue condiziona, senza ombra di dubbio, l’azione della pubblica amministrazione
italiana alla luce di ciò si parla pertanto di DIRITTO AMMINISTRATIVO DELL’UNIONE EUROPEA1. Con tale
espressione deve intendersi quelle regole comuni ai vari diritto amministrativi degli stati membri che sono
prodotte da fonti comunitarie che prevalgono sui diritti interni.
Nel caso in cui il diritto europeo sia mediato dall’intervento di una fonte di diritto italiano (si pensi al caso del
recepimento di una direttiva con legge) si tratta di diritto amministrativo nazionale.
In particolare, il diritto amm.vo dell’Ue ha influenzato quello italiano in materia di appalti pubblici e servizi pubblici
ma, soprattutto, ha rafforzato il principio di proporzionalità, ha introdotto ulteriori limiti che la Costituzione non
aveva esplicitato con riferimento all’attività economica, per esempio in materia di fallimento del mercato, ha
favorito lo sviluppo delle autorità indipendenti e dell’attività regolativa dei mercati, accentuato la tutela dei
consumatori.
Con il trattato di Lisbona del 2007, con cui si disegna l’Ue come un ordinamento comunitario, viene ad emergere
un’influenza crescente con riferimento ad alcuni settori del diritto amm.vo come per esempio l’ambiente,
l’accessione invertita ma, e ciò emerge con le pronunce 348/349 del 2007 della Corte Costituzionale, si riconosce
alla Cedu (carta a cui ha aderito l’Unione europea) il valore di norma interposta che integra il dettato di cui all’art.
117 comma 1 Cost. Si prevede infatti che, in caso di contrasto tra norma interna e norma Cedu, il giudice deve
disapplicare quella interna e sollevare questione di legittimità per violazione dell’art. 117 comma 1 Cost.
Inoltre con la sent. 49/2015 Corte cost. si afferma come i giudici debbano conformarsi alla giurisprudenza
consolidata della Corte europea dei diritti dell’uomo ma quest’obbligo non sussiste per le sentenze che non
esprimono un orientamento già consolidato.
In virtù di un’applicazione estensiva dell’art. 6 Cedu la Corte europea dei diritti dell’uomo ha affermato
l’applicabilità della norma non solo con riferimento ai processi penali e civile, bensì anche per quelli amministrativi,
stabilendo che se il giusto processo non viene rispettato nel momento procedimentale, deve esserlo invece nella
fase strettamente processuale tale orientamento è stato accolto dal Consiglio di Stato, che fa sua la nozione di
FULL JURISDICTION con la quale il giudice può sindacare la fondatezza, l’esattezza e la correttezza delle scelte
amministrative: in tal modo, infatti, viene a crearsi un continuum tra procedimento amministrativo e procedimento
giurisdizionale e il giudice viene ad avere il potere di analizzare tutti gli elementi di fatto e di diritto rilevanti (in
precedenza ciò non era ammissibile: il giudice, infatti, era vincolato all’accertamento che era stato compiuto
dall’amministrazione).
Nell’ambito del diritto dell’Ue particolarmente significativo viene ad essere il c.d. PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETà--
> con esso si intende il demandare un determinato compito all’amministrazione più vicina al cittadino e compito
dell’amministrazione superiore (in qst caso il governo) sarà quello di intervenire nel caso in cui gli interessi affidati
1
tale diritto promana dalla c.d. amministrazione europea, la quale rappresenta l’insieme degli organismi e delle istituzioni dell’Ue cui è affidato
il compito di svolgere attività amministrativa.
all’amm.ne inferiore non vengano attuati. Se da un lato sussidiarietà vuol dire decentramento e rafforzamento dei
poteri delle amm.ni locali, dall’altro lato può voler dire accentrare a favore dell’amm.ne superiore determinati
compiti e funzioni--> questo rapporto amministrazione inferiore-amministrazione superiore vale anche nelle
dinamiche stati membri- Unione europea. L’obiettivo è salvaguardare le attribuzioni in capo agli Stati ma, al
contempo, prevedere l’intervento dell’Ue nel caso in cui gli stati membri non siano in grado di realizzare gli
obiettivi previsti.
Con l’avvento del diritto amm.vo europeo si constata inoltre il mutamento del ruolo delle amministrazioni
nazionali, che spesso vengono a rivestire esclusivamente una funzione meramente esecutiva; l’intervento europeo
in ambito amministrativo ha altresì determinato un aggravio del procedimento amministrativo--> nell’adozione di
un provvedimento infatti si assiste oggi ad una partecipazione sia delle amm.ni dello stato sia dell’amm.ne
comunitaria e sarà quest’ultima ad emanare l’atto finale, ciò determinando, sovente, dubbi ed incertezze sul
giudice competente ad esaminare la questione giudice nazionale o corte di giustizia europea?
Rebus sic stantibus, l’amm.ne italiana sembra essere diventata mera esecutrice del diritto amministrativo
dell’Unione europea a riguardo si deve distinguere tra esecuzione in via diretta ed esecuzione in via indiretta:
per esecuzione in via indiretta s’intende quel diritto emanato dall’Ue che per essere eseguito necessita
dell’intervento delle amministrazioni nazionali.
Per esecuzione in via diretta si intendono tutte quelle funzioni svolte direttamente dall’Ue: la Commissione
europea viene ad avvalersi di apparati esecutivi, uffici e comitati che hanno il compito di emanare l’atto finale
direttamente produttivo di effetti giuridici per il cittadino.
Ai sensi dell’art. 95 Cost., la pubblica amministrazione sembra esercitare una funzione servente nei confronti del
governo si afferma infatti che “Il presidente del consiglio dei ministri dirige la politica generale del governo e ne
è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico e amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei
ministri”. Inoltre è previsto che ciascun ministro è a capo di un settore dell’amministrazione ed è responsabile
degli atti del proprio dicastero.
Ma che cosa si intende con indirizzo politico?
Tale espressione indica la direzione politica dello stato, perciò indica quel complesso di manifestazioni di volontà in
funzione del conseguimento di un fine unico.
L’indirizzo amministrativo consiste invece nella prefissione di obiettivi dell’azione amministrativa ai sensi dell’art.
2 l. 400/1988 il consiglio dei ministri ha il compito di determinare, in attuazione della politica generale del
governo, l’indirizzo generale dell’azione amministrativa.
Da quanto emerge dall’art. 95 Cost., il momento amministrativo non è totalmente estraneo al governo e il
governo, se si intromette negli affari dell’amministrazione, introduce in essa un elemento di politicità: un punto di
incontro tra politica e amministrazione è rappresentato dal ministro, che al contempo è organo politico ed
amministrativo.
Tuttavia un modello diverso di pubblica amministrazione è quello delle c.d. AUTONOMIE FUNZIONALI (tra queste
vi sono l’università, istituzioni scolastiche): si tratta infatti di soggetti ai quali non è riferibile l’autonomia di
indirizzo politico e che sono muniti di una forte autonomia e sono legittimati ad essere titolari di attribuzioni
amministrative.
2.3.La distinzione tra indirizzo politico e attività di gestione.
A smentire il carattere servente della p.a. nei confronti del governo basta leggere l’art. 97 Cost qst articolo
riconosce al personale burocratico anche competenze esterne e decisionali e inoltre si rende l’amministrazione
indipendente dal governo, sottraendo parte dell’organizzazione amministrativa alle scelte del governo.
Tuttavia, pur affermando la sua indipendenza ed imparzialità, la pubblica amministrazione DEVE essere leale verso
il governo l’amm.ne deve essere lo strumento di esecuzione delle direttive politiche impartite dai ministri.
Pertanto se da un lato l’amministrazione non può essere semplice momento esecutivo del governo, dall’altro lato
la sua attività deve essere orientata all’indirizzo politico- governativo deciso dal Governo ma allora qual è il
modello che attualmente vige?
Si tratta di un modello ove si cerca di delimitare le attribuzioni della componente politica dell’amministrazione
rispetto a quelle della componente non politica, sul presupposto che un organo non politico possa agire in modo
maggiormente imparziale ed efficiente.
L’attuale normativa sull’organizzazione pubblica appare dunque volta ad una trasformazione dell’amministrazione ,
nel senso di prevedere in capo agli organi politici il compito di controllare e indirizzare il livello più alto
dell’amministrazione utilizzando gli strumenti di cui al d.lgs. 165/2001 in quanto compatibili con il riconoscimento
di poteri di gestione autonoma della dirigenza amministrativa questo riconoscimento ha però moltiplicato i
centri decisionali, creando nuovi problemi di coordinamento.
Quello che però emerge è come l’influenza della politica nella pubblica amministrazione si sia ristretta ma,
tuttavia, in capo ai politici rimane l’importante potere di conferire gli incarichi ai dirigenti a riguardo emerge la
sussistenza di uno stretto vincolo fiduciario tra organo politico e vertice dirigenziale a tal punto che alcuni incarichi
(per es. gli incarichi di segretario generale di ministeri) cessano decorsi 90 gg dal voto sulla fiducia al nuovo
esecutivo: si tratta del meccanismo dello SPOIL SYSTEM, oggetto di giudizio di legittimità nel 2006. A riguardo la
Corte cost. ha stabilito che la previsione di un meccanismo di valutazione tecnica della professionalità e
competenza di coloro che vengono nominati non si configura come misura costituzionalmente vincolata, visto che
le cariche che vengono affidate sulla base di un rapporto di fiducia cessano all’atto di insediamento di nuovi
organi politici, i quali hanno la possibilità di rinnovarle scegliendo soggetti idonei a garantire l’efficienza e i buon
andamento dell’azione amministrativa.
Tale istituto è stato poi oggetto di un nuovo giudizio costituzionale nel 2010: questa volta la Corte lo ha delimitato
nella sua efficacia, poiché ritenuto contrario rispetto agli artt. 97 e 98 Cost.
Nel caso di specie è stata dichiarata la contrarietà ai suddetti articoli dell’azzeramento automatico dell’intera
dirigenza e dell’estensione del meccanismo dello spoil system alla dirigenza di livello generale.
La corte, nell’operare un bilanciamento tra le diverse situazioni giuridiche, ha fatto prevalere il principio di
imparzialità e buon andamento, intendendo quest’ultimo come continuità dell’azione amm.va posta in essere dai
dirigenti.
Nell’analisi dei rapporti tra politica e amm.ne, un problema di interesse è quello che attiene alla distinzione tra
ATTI AMMINISTRATIVI e ATTI POLITICI. Gli atti politici sono quegli atti posti in essere dal Governo, sottratti al
sindacato del giudice amministrativo ex art. 7 d.lgs. 104/2010, pertanto tali atti sono posti al di fuori dell’area del
principio di legalità. Tali atti, altresì, non contrastano nemmeno con l’art.113 Cost. poiché data la loro natura
estremamente discrezionale non ledono diritti soggettivi o interessi legittimi è il caso, ad esempio, dello
scioglimento dei consigli regionali o della decisione di porre la questione di fiducia.
L’esigenza di recuperare al giuridico il momento politico ha prodotto la sua influenza anche nel diritto
amministrativo con riguardo è stata elaborata la figura dei c.d. ATTI DI ALTA AMMINISTRAZIONE, quali per
esempio i provvedimenti di nomina dei direttori generali delle Asl, che godono di un’ampissima discrezionalità e
sono l’elemento di collegamento tra indirizzo politico e attività amministrativa in senso stretto.
2.4. I principi costituzionali della pubblica amministrazione:
1. La responsabilità
Il principio di responsabilità di cui ex art. 28 Cost. prevede che “I funzionari e i dipendenti dello stato e degli enti
pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in
violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo stato e agli enti pubblici”.
(tale articolo, occorre precisare, non copre tutte le ipotesi di responsabilità dell’amministrazione: i danni cagionati
da cose in custodia o da animali sotto la responsabilità della p.a. è regolata dagli artt. 2051 e 2052 cc).
Cosa vuol dire responsabilità?
Con questo termine vi sono una molteplicità di significati. Ai sensi dell’art. 28 Cost. il responsabile è colui che,
autore di un illecito, viene assoggettato ad una sanzione è il caso, ad esempio, del RESPONSABILE DEL
PROCEDIMENTO che, però, non è una diretta applicazione dell’art. 28 Cost.
Tale figura infatti va a soddisfare quelle esigenze di trasparenza e identificabilità di un contraddittore all’interno
dell’amministrazione che sta procedendo.
2. Il principio di legalità.
Tale principio esprime l’esigenza che l’amministrazione sia assoggettata alla legge e ai principi giuridici qst
principio si ricollega all’idea della legge quale espressione della volontà generale, che sta alla base di tutte le
manifestazioni pubbliche dell’ordinamento.
Il principio di legalità può però essere concepito in diversi modi:
1) può essere inteso come NON CONTRADDITORIETà DELL’ATTO AMMINISTRATIVO RISPETTO ALLA
LEGGE ciò vuol dire che l’amm.ne può fare tutto ciò che non sia vietato dalla legge.
2) può essere inteso come CONFORMITà FORMALEil rapporto tra legge e amm.ne è impostato non solo
sul divieto di quest’ultima di contraddire la legge ma anche sul dovere della stessa di agire nelle ipotesi ed
entro i limiti fissti dalla legge che attribuisce il relativo potere. Alla luce di ciò si ricava come i poteri
dell’amm.ne devono essere espressamente attribuiti ex lege.
Vi possono essere poteri impliciti in capo alla p.a.?
La giurisprudenza del Tar Lombardia nega l’esistenza di tali poteri.
3) può essere inteso come CONFORMITà SOSTANZIALEvi è la necessità che l’amm.ne agisca non solo
entro i limiti di legge, ma altresì in conformità della disciplina sostanziale posta dalla legge stessa tale
concezione si ricava dalle ipotesi in cui la costituzione prevede una riserva di legge.
La mancanza del rispetto di tale principio comporta l’illegittimità dell’azione amministrativa.
Imponendo una disciplina legislativa delle condizioni di esistenza del potere amministrativo e delle modalità del
suo esercizio, la riserva di legge, però, finisce col confondersi col principio di legalità inteso in senso sostanziale.
Tale principio così inteso cerca di contemperare 2 esigenze. La prima relativa al garantire e tutelare i privati e la
seconda relativa al lasciare spazi adeguati all’azione dell’amministrazione evitando eccessi vincoli per l’esercizio
della sua azione.
Dalla disamina del principio di legalità si constata come la possibilità dell’amministrazione di agire in assenza di
disposizioni legislative sussiste solo nell’ambito dell’esercizio del potere l’attribuzione dei poteri che possono
condizionare i diritti dei privati è sempre effettuata dalla legge e il rispetto della legge è condizione perché si
possano produrre gli effetti come risultato dell’esercizio dei poteri.
La legge, espressione della volontà popolare, funge quindi da guida dell’azione amministrativa nel suo complesso,
indicando i fini da perseguire.
Considerando che il potere si concretizza nel provvedimento, il principio di legalità si risolve nel PRINCIPIO DI
TIPICITà dei provvedimenti amministrativi se l’amm.ne può esercitare esclusivamente i poteri che la legge le
attribuisce, essa può emanare solo quei provvedimenti stabiliti tassativamente dalla legge stessa. Espressione di
tale affermazione si riscontra nel comma 1 art. 1 L. 241/1990 ove si dice che “L’attività amm.va persegue i fini
determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza
secondo le modalità previste dalla legge stessa e dalle altre disposizioni che disciplinano i singoli procedimenti”.
Per quanto attiene gli atti di natura non autoritativa, la legge stabilisce che “L’amm.ne agisce secondo le norme di
diritto privato, salvo che sia diversamente disposto” art. 1 comma 1 bis L. 241/1990
Il principio di legalità si manifesta inoltre nell’art. 21 octies ex L. 241/1990, dove si prevede che “Non è annullabile
il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura
vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da
quello in concreto adottato.
Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del
procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe
potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.
Qui appare evidente come il mancato rispetto di alcune regole venga ad essere irrilevante sotto il profilo
dell’annullabilità dell’atto, derogando al principio di legalità e facendo prevalere il principio del raggiungimento del
risultato.
In merito al principio di legalità, importante è stato anche l’intervento della Cedu per avere violazione del
principio di legalità, secondo la corte bisogna che l’eventuale violazione da parte dell’amministrazione procedente
sia PREVEDIBILE.
3. Principio di imparzialità
L’art. 97 Cost. è manifestazione espressa di tale principio.
Dottrina e giurisprudenza hanno affermato che tale norma abbia natura precettiva non meramente programmatica
e, in ragione di una sua interpretazione estensiva, si è affermato come la diretta applicabilità del principio attiene
sia all’organizzazione sia all’attività amministrativa.
Cosa significa tale principio?
Si intende il dovere dell’amm.ne di NON discriminare la posizione dei soggetti coinvolti dalla sua azione nel
perseguimento degli interessi affidati alla sua cura.
Il precetto costituzionale si rivolge sia al legislatore sia all’amm.ne in quanto ponga la disciplina della propria
organizzazione e le concrete misure di organizzazione in qst senso l’art. 97 Cost. si pone come riserva di
organizzazione in capo all’esecutivo.
L’art. 6 bis l. 241/1990 afferma proprio l’imparzialità dell’azione amministrativa: “Il responsabile del procedimento
e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il
provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto,
anche potenziale”.
Tema collegato a quello dell’imparzialità è quello della predeterminazione dei criteri e modalità cui le
amministrazioni si debbono attenere nelle scelte successive norma di riferimento è l’art. 12 l. 241/1990: “La
concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l'attribuzione di vantaggi economici di
qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione da parte delle
amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le
amministrazioni stesse devono attenersi.
L'effettiva osservanza dei criteri e delle modalità di cui al comma 1 deve risultare dai singoli provvedimenti relativi
agli interventi di cui al medesimo comma 1”.
Tale norma viene applicata anche nelle ipotesi di erogazioni pubbliche senza corrispettivo, allorchè i criteri e le
modalità cui attenersi non siano già state prefissate dal legislatore.
Tuttavia non sempre l’amm.ne e la sua azione consentono un confronto tra situazioni analoghe, ovvero la
soddisfazione in egual misura di tutti gli interessi implicati.
In qst casi il principio di imparzialità attiene alla decisione in sé considerata anziché all’attività complessiva
dell’amm.ne e si può tradurre in una serie di regole specifiche dell’azione la cui ottemperanza garantisce
un’attività imparziale sul piano sostanziale qnd vi sia spazio per l’adozione di una scelta.
Pertanto, si ha parzialità qnd sussiste un INGIUSTIFICATO PREGIUDIZIO O UN’INDEBITA INTERFERENZA DI
ALCUNI INTERESSI; si ha invece imparzialità qnd vi è congruità delle valutazioni finali e della modalità di azione
prescelte.
4. Principio del buon andamento
Tale principio è disciplinato nell’art. 97 Cost. ed impone che l’amministrazionene agisca nel modo più adeguato e
conveniente possibile.
Tale principio, nell’ambito procedimento ex l. 214/1990, trova attuazione nella previsione del criterio di non
aggravamento del procedimento stesso, se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento
dell’istruttoria.
Il buon andamento va riferito alla pubblica amm.ne nel suo complesso (intesa qui come ente e non in riferimento
al singolo funzionario), pertanto il problema del buon andamento non va confuso con quel del dovere funzionale
di buona amministrazione a carico dei pubblici dipendenti-.
5. Criteri di efficienza, trasparenza, economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità.
Tali principi sono previsti ex art. 1 l. 241/1990 e sono veri e propri parametri giuridici dell’attività e
dell’organizzazione amm.va.
EFFICIENZA--> è il rapporto tra il risultato dell’azione organizzativa e la quantità di risorse impiegate per
ottenere quel dato risultato.
EFFICACIA--> è il rapporto tra ciò che si è effettivamente realizzato e quanto si sarebbe dovuto realizzare
sulla base di un piano o programma
PUBBLICITà e TRASPARENZA--> sono applicazioni del principio di imparzialità e possono essere riferiti sia
all’organizzazione sia all’attività amm.va.
Per pubblicità si intende lo sforza che l’am.ne compie per comunicare le notizie ai cittadini; per trasparenza si
intende invece il vincolo in capo alla p.a. di pubblicare i dati che essa detiene (solo quei dati previsti ex lege) a
sua volta il principio di trasparenza prevede al suo interno istituti procedimentali quali il diritto di accesso e la
motivazione, al fine di assicurare forme diffuse di controllo sociale.
Oggi il principio della trasparenza è altresì visto in funzione della lotta alla corruzione e all’illegalità viene ad
essere infatti uno strumento essenziale per il corretto funzionamento dell’amm.ne.
Nella logica volta all’importanza del risultato, può crearsi un conflitto tra la trasparenza e le esigenze di efficienza
e prontezza dell’azione amministrativa--> la questione pare di difficile soluzione: la prevalenza dell’uno o dell’altro
principio implica necessariamente un sacrificio.
Ma i conflitti vi possono essere anche nel bilanciamento tra il principio di trasparenza/pubblicità con la tutela della
riservatezza qui oggigiorno l’obiettivo portante è quello volto alla repressione del fenomeno corruttivo all’interno
della pubblica amm.ne.
Pertanto la strategia scelta dal legislatore è la combinazione di misura tra loro diverse, ecco che quindi la
trasparenza e l’etica dei comportamenti dei dipendenti e dirigenti riducono il margine di riservatezza, sebbene
l’estensione di queste misure, ad oggi, non è sufficiente: proprio per contrastare in modo efficace la corruzione
amministrativa si sono introdotti nuovi strumenti.
1) L’adozione di un modello di risk management (si identificano i settori più a rischio corruzione)
2) Meccanismi repressivi (ridefinizione della fattispecie penale della corruzione e l’introduzione del reato di
corruzione tra privati), di controllo e di obblighi
3) Una disciplina ad hoc sul conflitto di interessi
4) Divieto di pantouflage (= quei dipendenti che, negli ultimi 3 anni di servizio hanno esercitato poteri
autoritativi o negoziali per conto della p.a., per i 3 anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico
impiego NON possono svolgere attività lavorativa o professione presso soggetti privati destinatari
dell’attività della pubblica amm.ne),
5) Il c.d. whistleblowing (il dipendente pubblico che riferisce al suo superiore condotte illecita di cui è
venuto a conoscenza a causa del rapporto di lavoro non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto a
misura discriminatoria)
6) Il divieto per coloro che sono stati condannati per reati contro la pubblica amm.ne di far parte di
commissione per l’accesso o la selezione agli uffici preposti a compiti delicati
7) L’obbligo di rotazione degli incarichi nelle aree considerate a rischio
8) Una disciplina ad hoc sulle incompatibilità, approvazione del codice di comportamento etico.
Ruolo importante viene poi ricoperto dall’AUTORITÀ NAZIONALE ANTICORRUZIONE, che tra i suoi compiti può
svolgere accertamenti, indagini e fare relazioni all’ispettorato per la funzione pubblica questo organo ha natura
collegiale (5 membri) e i membri sono nominati dal Presidente della repubblica previa deliberazione del consiglio
dei ministri e parere favorevole delle commissioni parlamentari (richiesta maggioranza dei 2/3).
Quest’organo ha inoltre il compito di approvare il piano nazionale anticorruzione (l’ultimo è del 2013), può ricever
segnalazione di illeciti, analizzare cause e fattori della corruzione, vigilare sulle pubbliche amministrazioni.
Le pubbliche amministrazioni centrali trasmettono al dipartimento della funzione pubblica il piano di prevenzione
della corruzione, definiscono procedura idonee alla selezione e formazione dei dipendenti che devono operare nei
settori a rischio.
Per gli enti locali l’organo di indirizzo politico adotta il piano anticorruzione su proposta del responsabile della
prevenzione della corruzione il responsabile, normalmente, è individuato dall’organo di indirizzo politico: per la
sede centrale la nomina viene effettuata dal ministro. Per gli enti locali questo compito è affidato al segretario.
Il responsabile elabora la proposta di piano e deve vigilare poi sulla sua attuazione, sul funzionamento e
sull’osservanza del piano e verificare l’effettiva rotazione degli incarichi.
Il soggetto in questione, nel caso in cui commetta un reato contro la p.a. e la sentenza sia passata in giudicato, è
oggetto di responsabilità dirigenziale e quindi il suo incarico non può essere rinnovato e, nei casi più gravi, può
essere licenziato ed essere sottoposto a responsabilità per danno erariale e all’immagine della p.a.
Per i dipendenti, la violazione del piano anticorruzione è oggetto di misure disciplinari.
Norma di vitale importanza per la lotta alla corruzione è la L. 190/2012: con tale legge si è disposto che la
trasparenza viene assicurata mediante pubblicazione, nei siti web delle amm.ni e in quelli istituzionali, delle
informazioni relative ai procedimenti amministrativi.
Il d.lgs. 33/2013, che attua i principi della l. 190/2012, dispone che “La trasparenza va intesa come accessibilità
totale delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di
favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali”.
Viene inoltre affermato: “La trasparenza concorre ad attuare il principio democratico e i principi costituzionali di
eguaglianza, imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse pubbliche,
integrità e lealtà nel servizio della nazione”.
Il d.lgs. 33/2013 prevede inoltre l’introduzione di istituti ad hoc per l’attuazione del principio di trasparenza:
viene previsto l’obbligo di pubblicazione di dati (prima questi obblighi erano sparsi in diverse leggi speciali,
oggi sono stati riunificati e riordinati in un unico decreto), che avviene su siti istituzionali e su quelli delle
pubbliche amministrazioni, ove si pubblicano dati riguardanti le attività e l’organizzazione delle pubbliche
amministrazioni.
Viene previsto che la qualità dei dati pubblicati non venga opacizzata, pertanto le pubbliche
amministrazioni devono aggiornare frequentemente i siti istituzionali, completare i dati, renderli
comprensibili ed omogenei e facilmente accessibili.
Viene altresì previsto il c.d. ACCESSO CIVICO.
Sono poi previste tutta una serie di sanzioni in caso di violazione degli standard qualitativi ed economici, per
danno all’immagine, per mancata pubblicazione l’autorità nazionale anticorruzione è deputata all’erogazione di
queste sanzioni e al controllo dell’esatto adempimento degli obblighi di pubblicazioni e lo fa mediante l’esercizio di
poteri ispettivi o ordinando l’adozione di atti o provvedimenti richiesti dalla legge.
Nel bilanciamento della trasparenza con la riservatezza, si è previsto che le pubbliche amministrazioni debbano
mascherare i dati sensibili e giudiziari la cui conoscenza non risulti assolutamente indispensabile alla finalità della
trasparenza.
Sebbene si tratti di un’importante novità legislativa, la legge presenta tuttavia delle criticità: essa infatti non si
occupa del livello politico della corruzione, non va ad incidere sulle misure di contrasto al riciclaggio, pone il rischio
di un’eccessiva burocratizzazione, manca la previsione di una specifica struttura tecnica chiamata a definire e
gestire la politica di prevenzione, vi è un eccessivo aumento delle sanzioni.
6. I principi di azionabilità delle situazioni giuridiche dei cittadini nei confronti della pubblica
amministrazione.
L’art. 24 comma 1 Cost. dispone che “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi
legittimi”.
L’art. 113 Cost. dispone: “Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela
giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa.
Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate
categorie di atti.
La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi
e con gli effetti previsti dalla legge stessa”.
La disciplina in questione esprime l’esigenza che ogni atto della p.a. possa essere oggetto di sindacato da parte di
un giudice e che tale sindacato attenga a QUALSIASI vizio di legittimità è espressione del PRINCIPIO DI
AZIONABILITà DELLE SITUAZIONI GIURIDICHE DEI CITTADINI NEI CONFRONTI DELL’AMM.NE e del PRINCIPIO
DI SINDACABILITà DEGLI ATTI AMMINISTRATIVI.
Inoltre, come affermato dalla Corte costituzionale, dalla lettera della norma NON viene altresì nemmeno impedita
l’emanazione di LEGGI PROVVEDIMENTO (sono quelle leggi che hanno contenuto puntuale e concreto): tale
legge, tuttavia, può essere sindacata solo dalla Corte costituzionale, cui i cittadini non possono far ricorso (può
sollevare questione di legittimità solo il giudice a quo). La dottrina, invero, sostiene che una legge che disponga in
via puntuale e concreta, nel caso di situazioni ove occorre un’attenta valutazione degli interessi coinvolti,
violerebbe il principio di imparzialità.
Sembra dunque emerge una RISERVA DI AMMINISTRAZIONE esiste un ambito di attività riservato alla p.a.?
SI, esiste un ambito che viene sottratto al sindacato dei giudici amministrativi; tuttavia in alcuni casi la riserva
viene superata , consentendo al giudice di poter sindacare le scelte amministrative.
7. Il principio dell’equilibrio di bilancio
È stato introdotto in costituzione solo nel 2012 a seguito degli impegni assunti dall’Italia in sede europea.
Ai sensi dell’art. 81 Cost. “Lo stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto
delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico”.
Con questo principio viene impedito il ricorso all’indebitamento ma, allo stesso tempo, lascia aperta la strada alla
possibilità di adottare politiche anticicliche in questo secondo caso, previa autorizzazione delle camere adottata
a maggioranza assoluta, nel caso si verifichino eventi eccezionali si può ricorrere all’indebitamento.
Tale articolo introduce una riserva di legge rinforzata: la legge di autorizzazione va approvata a maggioranza
assoluta dei componenti di ciascuna camera e va inoltre stabilito il contenuto della legge di bilancio, le norme e i
criteri volti ad assicurare l’equilibrio tra entrate e spese dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico.
Sicuramente l’entrata in vigore di questo principio condizionerà le scelte amministrative che comportano spese,
andando ad incidere sull’efficacia, efficienza e buon andamento, riducendo o condizionando la discrezionalità della
pubblica amministrazione.
2.5.Principio della finalizzazione dell’amm.ne pubblica agli interessi pubblici
L’art. 97 Cost. contiene in sé il principio di finalizzazione dell’amm.ne pubblica--> buon andamento vuol dire
congruità dell’azione in relazione all’interesse pubblico.
Si può dedurre come la finalizzazione permea l’amministrazione nel suo complesso e si riflette sui poteri che ad
essa sono attribuiti.
2.6.Principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza
Sussidiarietà: si intende l’attribuzione di funzioni al livello superiore di governo SOLO nelle ipotesi in cui il livello
inferiore non riesca a curare gli interessi ad esso affidati.
Sembra che l’art. 5 Cost. sottintenda tale principio, escludendo ogni indebita intromissione da parte di un potere
pubblico superiore all’interno di ogni capacità riconosciuta ai vari soggetti.
Tuttavia tale articolo attiene al DECENTRAMENTO, che indice che i poteri non sono tutti racchiusi in un centro
“La repubblica attua nei servizi che dipendono dallo stato il più ampio decentramento amministrativo”. Tale
fenomeno può assumere forme diverse: forma burocratica (trasferimento delle competenze da organi centrali a
organi periferici di uno stesso ente) o forma autarchica (affidamento a enti diversi dallo stato del compito di
soddisfare la cura di alcuni bisogni pubblici).
La legge costituzionale 3/2001 ha costituzionalizzato il principio di sussidiarietà, che ora viene declinato sia in
senso verticale sia in senso orizzontale: l’art. 118 Cost stabilisce che “Le funzioni amministrative sono attribuite ai
Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e
Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza”.
In prima battuta perciò le funzioni amm.ve spettano al comune.
Il comma 3 precisa: “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei
cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di
sussidiarietà”.
2.7.I principi costituzionali applicabili alla pubblica amm.ne: l’eguaglianza, solidarietà, democrazia.
Alla p.a. si applicano, senza ombra di dubbio, il principio di eguaglianza e solidarietà, nonché l’art. 1, ove si parla
di “Italia repubblica democratica” il principio democratico informa anche l’ordinamento militare (a tal proposito
si veda l’art. 52 Cost.), nonché l’amministrazione. Con riguardo a quest’ultima, democratica deve essere anche
l’azione amministrativa, che deve concorrere alla realizzazione di una società più democratica, rimuovendo gli
ostacoli che impediscono la piena eguaglianza dei cittadini (art. 3 comma 2 Cost.).
2.8.L’amministrazione nella costituzione come potere dello stato
L’amministrazione (più precisamente il governo) è dotato di un particolare grado di autonomia ed è perciò
qualificabile come potere dello stato, alla pari di quello legislativo e giudiziario.
Ma tra i vari poteri possono sorgere dei conflitti di natura positiva (2 poteri affermano la titolarità della medesima
potestà), negativa (il potere che dovrebbe esercitare potestà nega di averla), reale (il conflitto sfocia in pronunce
contrastanti di autorità diverse), virtuale (qnd vi è una potenziale situazione di conflitto, non ancora verificatasi
concretamente).
Ma i conflitti possono essere anche tra organi appartenenti a diversi ordini giurisdizionali (c.d. conflitti di
giurisdizione), tra organi appartenenti allo stesso potere (conflitti di competenza).
In costituzione sono disciplinati solo i conflitti di attribuzione, che vengono risolti dalla Corte costituzionale.
Sovente gli atti invasivi del potere altrui sono quelli amministrativi in qst caso l’atto è impugnabile davanti al
giudice amministrativo ma anche conoscibile dal giudice ordinario: ciò rende evidenti i problemi di interferenza tra
giudizio ordinario/amm.vo e giudizio costituzionale.
La concorrenza delle 2 azioni giurisdizionali per la soluzione dello stesso problema implica la possibilità di decisioni
contrastanti quale soluzione allora?
Si potrebbe sospendere il giudizio comune in attesa della pronuncia della Corte costituzionale.
Nel caso di conflitti invece tra poteri e pubblica amm.ne, coloro che possono sollevare conflitto tra poteri sono il
presidente del consiglio, consiglio dei ministri e ministro di giustizia.
Talvolta, per affermare se un ente è o meno pubblico, non è sufficiente nemmeno la qualificazione operata dalla
legge la giurisprudenza, infatti, è intervenuta per superare la qualificazione in termini privatistici di alcuni
soggetti.
Sul punto importante è la sentenza 466/1999 Corte cost., che ha dichiarato che spetta alla Corte dei conti il
potere di controllo sulla gestione finanziaria delle società per azioni costituite a seguito di trasformazione di enti
pubblici economici.
Sulla base di tale orientamento, si constata che l’ente pubblico è quello che, al di là della mera definizione ex lege,
viene ritenuto tale dalla giurisprudenza.
Alla luce di ciò si afferma che l’interesse è pubblico in quanto la legge l’ha imputato ad una persona giuridica e
che l’ente pubblico viene istituito con una specifica vocazione allo svolgimento di una peculiare attività di rilevanza
collettiva a riguardo ecco che l’ente non può disporre della propria esistenza.
Per il caso in cui dovesse venire meno il requisito fondamentale della pubblicità dell’interesse perseguito(conditio
sine qua non per qualificare un ente come pubblico), la legge può estinguere l’ente o decidere di trasformalo in
soggetto privato artt. 11 e 14 L. 59/1997: “Nell'attuazione della delega di cui alla lettera b) del comma 1
dell'articolo 11, il Governo perseguirà l'obiettivo di una complessiva riduzione dei costi amministrativi e si atterrà,
oltrechè ai princìpi generali desumibili dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, dal decreto
legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, dall'articolo 3, comma 6, della legge 14 gennaio
1994, n. 20, ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) fusione o soppressione di enti con finalità omologhe o complementari, trasformazione di enti per i quali
l'autonomia non sia necessaria o funzionalmente utile in ufficio dello Stato o di altra amministrazione pubblica,
ovvero in struttura di università, con il consenso della medesima, ovvero liquidazione degli enti inutili; per i casi di
cui alla presente lettera il Governo è tenuto a presentare contestuale piano di utilizzo del personale ai sensi
dell'articolo 12, comma 1, lettera s), in carico ai suddetti enti;
b) trasformazione in associazioni o in persone giuridiche di diritto privato degli enti che non svolgono funzioni o
servizi di rilevante interesse pubblico nonchè di altri enti per il cui funzionamento non è necessaria la personalità
di diritto pubblico; trasformazione in ente pubblico economico o in società di diritto privato di enti ad alto indice di
autonomia finanziaria; per i casi di cui alla presente lettera il Governo è tenuto a presentare contestuale piano di
utilizzo del personale ai sensi dell'articolo 12, comma 1, lettera s), in carico ai suddetti enti”.
A riguardo, vi sono stati casi di trasformazione dell’ente in soggetto privato, in particolare la trasformazione in
fondazioni: si ricordi gli enti di prioritario interesse nazionale che operano nel settore musicale, la “Biennale di
Venezia”.
Ma enti pubblici possono essere anche quei soggetti la cui presenza sul mercato risulti essere necessaria questo
soggetto è ritenuto pubblico in qnt esso svolge attività economiche avvalendosi di strumenti giuridici degli altri
soggetti che operano nel settore. Tali soggetti sono i c.d. ENTI PUBBLICI ECONOMICI, che però non hanno poteri
autoritativi.
Altra caratteristica fondamentale per ritenere un ente pubblico è il suo inserimento nell’organizzazione
amministrativa pubblica.
Quali le conseguenze nel qualificare un ente come pubblico?
solo gli enti pubblici possono emanare provvedimenti che hanno efficacia sul piano dell’ordinamento
generale alla stessa stregua dei provvedimenti dello Stato, che sono impugnabili davanti al giudice
amm.vo.
L’ente pubblico può quindi agire in AUTONOMIA con tale espressione si intende la possibilità per l’ente
di effettuare da sé le proprie scelte al fine di agire per il conseguimento dei propri fini, ponendo in essere
norme aventi contenuto generale ed astratto.
Ma l’autonomia può anche essere intesa come autonomia di indirizzo, vale a dire la possibilità per l’am.ne
di determinare da sé i propri scopi e darsi obiettivi anche diversi da quelli statali, come per esempio
accade per gli enti territoriali.
solo agli enti pubblici è riconosciuta la potestà di AUTOTUTELA gli enti possono risolvere un conflitto
attuale o potenziale di interessi e sindacare la validità dei propri atti producendo effetti che incidono su di
essi, prescindendo dall’intervento del giudice.
Ma qual è l’ambito di operatività dell’autotutela?
Essa non è limitata esclusivamente ai rapporti di diritto pubblici; si ammette infatti che si può esercitare
autotutela anche per alcuni rapporti di diritto privato che fanno capo all’amm.ne.
L’autotutela è espressione dell’esercizio di una funzione amministrativa che ha come fine quello di curare
l’interesse pubblico nazionale perciò l’autotutela è soggetta alle regole generali della funzione amm.va
attiva e l’amministrazione deve dimostrare sempre l’esistenza di un interesse pubblico in base al quale
viene emanato l’atto.
L’autotutela è inoltre espressione di un potere discrezionale nel corso di un procedimento che inizia
d’ufficio.
le persone fisiche legate da un rapporto di servizio agli enti pubblici sono assoggettate a un particolare
regime di responsabilità penale, civile ed amm.va per qnt attiene i reati, le persone fisiche rispondono
per le condotte qualificate come reati propri, come per es. il peculato, la concussione, la corruzione per
l’esercizio della funzione, la corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, l’induzione indebita a
dare/promettere un’utilità, l’abuso d’ufficio, il rifiuto/omissione di atti d’ufficio.
gli enti pubblici sono tenuti al rispetto dei principi applicabili alla p.a. e sono soggetti al controllo da parte
della Corte dei conti.
l’attività che costituisce esercizio di poteri amm.vi è di regola retta da norme peculiari.
agli enti pubblici si applicano le disposizioni per l’esecuzione coattiva dei crediti dello stato gli enti
pubblici possono perciò ricorrere a procedura privilegiate per la riscossione delle entrate patrimoniali. (la
riscossione coattiva delle entrate pubbliche può però anche essere attuata mediante iscrizione a ruolo).
se gli enti pubblici hanno partecipazioni in Spa vige una particolare disciplina sui poteri di questi
gli enti pubblici sono soggetti a particolari rapporti o relazioni la cui intensità varia in ragione
dell’autonomia dell’ente.
A riguardo importante è la nozione di AUTODICHIA con essa si intende la possibilità che spetta ad alcuni organi
costituzionali in ragione della loro indipendenza di sottrarsi alla giurisdizione degli organi giurisdizionali ordinari:
tale possibilità è riconosciuta alla Camera dei deputati, Senato e alla Corte costituzionale.
3.4.Il problema della classificazione degli enti pubblici
Gli enti pubblici possono essere suddivisi in gruppi. A riguardo in dottrina si distingue tra: enti con compiti di
disciplina di settori di attività, enti con compiti di promozione, enti con compiti di produzione di beni e servizi in
forma imprenditoriale, enti con compiti di erogazione di servizi pubblici.
In base ai poteri attribuiti si differenzia tra enti che posseggono potestà normativa e enti che fruiscono di poteri
amministrativi da quelli che fanno uso della sola capacità di diritto privato.
La dottrina così classifica gli enti:
a) enti a struttura istituzionale la nomina degli amministratori è determinata da soggetti estranei all’ente
b) enti associativii soggetti che fanno parte del corpo sociale sottostante determinano direttamente o a
mezzo di rappresentanti eletti o delegati le decisioni fondamentali dell’ente--> si verifica perciò il
fenomeno dell’autoamministrazione.
Il legislatore invece così classifica gli enti:
1. enti autonomi sono le autonomie locali quali comuni, province, città metropolitane e regioni
2. enti a cui lo stato contribuisce in via ordinaria
3. enti quali università, delle istituzioni di alta cultura e delle accademie tali enti possono darsi ordinamenti
autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello stato.
La legge ha poi introdotto la categoria delle autonomie funzionali: tali sono quegli enti cui possono essere
conferiti funzioni e compiti, come per esempio le scuole, camere di commercio, università.
4. enti pubblici economici sono enti che svolgono esclusivamente o prevalentemente attività economica.
5. enti parastatali enti che attengono al rapporto di impiego, gestione contabile, controllo ministeriale
6. enti a struttura associativa vengono sottratti ex lege all’estinzione in ragione che la formazione di cui
essi sono esponenti non può cessare di esistere.
7. enti territoriali comuni, province, città metropolitane, regioni, stato.
L’ente è politicamente rappresentativo del gruppo che si trova sul territorio e opera nell’interesse di tutto il
gruppo
8. enti monofunzionali sono enti pubblici non territoriali che sono esponenziali dei gruppi sociali.
In ragione dell’atipicità degli enti pubblici, vi è la tendenza ad introdurre regimi di diritto speciale, per esempio la
legge ha istituito una serie di agenzie come strutture serventi ad un ministero.
Tra questi vi sono:
Il contenuto di qste relazioni varia caso per caso e dipende dal tipo di poteri che lo stato può esercitare nei
confronti dell’ente.
Quali poteri?
il potere di vigilanza: il suo contenuto non si esaurisce nel mero controllo in qnt si estrinseca anche
nell’adozione di una serie di atti quali l’approvazione dei bilanci e delle delibere particolarmente importanti
dell’ente vigilato, nella nomina di commissari straordinari, nello scioglimento di organi dell’ente.
Si tratta dunque di un potere strumentale esercitabile anche all’interno di altre relazioni intersoggettive.
il potere di direzione: è una situazione di sovraordinazione tra enti che implica il rispetto, da parte
dell’ente sovraordinato, di un ambito di autonomia dell’ente subordinato.
Nel caso di rapporti che possono instaurarsi di volta in volta tra enti, rilevano qui 2 figure:
l’avvalimentoistituto previsto nell’ultimo comma art. 118 Cost. vecchia formulazione, in relazione a
regioni e province, comuni ed enti locali.
La l. cost. 3/2001 ha abrogato l’avvalimento, sebbene venga tuttora previsto dalla legge ordinaria
59/1997, ma non comporta trasferimenti di funzioni ed è caratterizzato dall’uso da parte di un ente degli
uffici di un altro ente e tali uffici svolgono attività di tipo ausiliario.
sostituzione istituto mediante il quale un soggetto (sostituto) è legittimato a far valere un diritto, un
obbligo o un’attribuzione che rientrano nella sfera di competenza di un altro soggetto (sostituito),
operando in nome proprio e sotto la propria responsabilità.
L’ordinamento disciplina il potere sostitutivo tra enti nei casi in cui un soggetto non ponga in essere un
atto obbligatorio per legge o non eserciti le funzioni amm.ve ad esso conferite per esercitare tale
potere, secondo la giurisprudenza, è sempre necessaria la previa diffida ad adempiere. In caso contrario il
potere sostitutivo può essere esercitato direttamente da un organo dell’ente sostituto o da un
commissario nominato dall’ente sostituto.
delega di funzioni amministrativeistituto abrogato con l. cost. 3/2001, che ha però configurato l’istituto
del conferimento di funzioni amministrative ai vari livelli di governo locale sulla base dei principi di
sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.
A fianco agli enti di diritto pubblico, vi sono poi le c.d. forme associative, che sono distinte in consorzi e
federazioni, che possono essere costituite tra enti, come per es. le federazioni di enti come l’Aci, che svolgono
attività di coordinamento e di indirizzo delle attività degli enti federati ma NON si sostituiscono agli enti nello
svolgimento di compiti loro propri.
I consorzi sono una struttura stabile volta alla diretta realizzazione di finalità comuni a più soggetti. Agiscono nel
rispetto di alcuni derivanti dall’esercizio del potere direttivo e di controllo spettante ai consorziati; gestiscono e
realizzano opere o servizi di interesse comune agli enti consorziati, i quali restano cmq titolari delle opere o
servizi.
Sono obbligatori qnd un rilevante interesse pubblico ne imponga la necessaria presenza.
Tra le forme associative occorre inoltre ricordare le unioni di comuni.
3.6.La disciplina dell’Ue: gli organismi di diritto pubblico.
Per amministrazione comunitaria si intende l’insieme degli organismi e delle istituzioni dell’Ue cui è affidato il
compito di svolgere attività sostanzialmente amministrativa e di emanare atti amministrativi.
Ma quali sono i soggetti, o meglio i pubblici poteri, che il diritto amministrativo italiano qualifica come enti?
Qui è necessario ricordare sia l’intervento della corte di giustizia dell’Ue che per “pubblici poteri intende quella
serie di attività o impiego svolto dall’ente sia caratterizzato dall’autoritatività” sia la posizione del legislatore
europeo, che estende la disciplina pubblicistica a tutti quei soggetti la cui azione e presenza sono suscettibili di
pregiudicare il libero gioco della concorrenza.
L’intervento comunitario, nel definire quali siano gli organismi di diritto pubblico, condiziona però la concorrenza
sotto una duplice prospettiva: in quanto soggetto che, a mezzo di proprie imprese, presta servizi e produce beni
in un regime particolare. E in quanto operatore che detiene una quota di domanda di beni e servizi rilevante.
Stando alla prima prospettiva, i problemi principali sono individuare la nozione di “impresa pubblica” e la disciplina
degli aiuti e dei finanziamenti pubblici.
Per imprese pubbliche, l’Ue intende quelle imprese nei confronti delle quali i pubblici poteri possono esercitare,
direttamente o indirettamente, un’influenza dominante per ragioni di proprietà, di partecipazione finanziaria o
della normativa che le disciplina.
Con riguardo alla seconda prospettiva l’amministrazione, per soddisfare le esigenze collettive, non avendo mezzi e
organizzazioni sufficienti deve ricercare contraenti sul mercato per affidargli la realizzazione di opere o per
richiedere la prestazione di beni.
Le condizioni di concorrenza vengono create artificialmente in virtù del principio di non discriminazione, pertanto
vengono indette gare, vige la trasparenza delle operazioni concorsuali.
Legata alla seconda prospettiva è poi la nozione di organismo di diritto pubblico in specie, la legislazione Ue in
materia di appalti ricomprende tale figura tra le amministrazioni aggiudicatrici.
Questi sono organismi:
istituiti per soddisfare bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale
dotati di personalità giuridica
la cui attività è finanziata in modo maggioritario dallo stato, dagli enti locali o da altri organismi di diritto
pubblico.
Queste 3 condizioni sono CUMULATIVE.
3.7.Le figure di incerta qualificazione: in particolare, le società per azioni a partecipazione pubblica; le fondazioni.
Qui rilevano 2 importanti profili.
Un primo profilo è quello della tendenza da parte dello stato di esternalizzare compiti, servizi e funzioni ed
affidarne la gestione a soggetti esterni al perimetro tradizionale delle amministrazioni vengono quindi in rilievo
le società a capitale pubblico nonché il problema della concorrenza e dei margini entro cui è consentito derogare
ad esse al momento dell’affidamento dei compiti alle società medesime. Mentre in un caso la gestione rimane
diretta (in house), in altri casi l’amm.ne proietta al di fuori del proprio perimetro lo svolgimento di un’attività, pur
utilizzando una società di cui detiene quote.
Un secondo profilo di interesse è quello attinente alla disciplina dei rapporti economici nella carta costituzionale e
ai limiti entro cui, mediante società, le amm.ni possono svolgere attività imprenditoriali.
La costituzione, come si può vedere, oscilla tra un marcato intervento pubblico nell’economia mediante
l’istituzione di imprese pubbliche e uno Stato regolatore, la cui attività è al servizio del mercato e del suo corretto
funzionamento il diritto Ue ha introdotto dei limiti all’intervento pubblico e a favore della concorrenza, venendo
così ad affermarsi un modello di stato regolatore.
Ciò non vuol dire tuttavia scomparsa del “pubblico”, infatti lo stato ha continuato a condizionare il mercato
attraverso strumenti quali sussidi sovvenzioni e aiuti, talvolta anche attraverso l’abbondono di alcune imprese, che
sono state privatizzate.
(Con riguardo alle imprese pubbliche, esse sono di 3 tipi: aziende municipalizzate e autonome, enti pubblici
economici, partecipazioni societarie.
Nei primi 2 casi, la gestione dell’impresa avviene da parte di un ente o suo organo; nel terzo caso la gestione
avviene con influenza pubblica su società quest’ultimo strumento è venuto ad essere largamente utilizzato,
soprattutto a livello locale. Ciò ha consentito agli enti di raccogliere finanziamenti sul mercato in conto capitale).
Per quanto attiene le società pubbliche, queste sono regolate da 7 blocchi di norme.
1° blocco è la disciplina del codice civile che attiene alla società a partecipazione pubblica che, a loro volta,
hanno un’apposita disciplina a seconda che siano società chiuse o aperte.
Per qnt riguarda le società chiuse, l’art. 2449 cc prevede “Se lo Stato o gli enti pubblici hanno partecipazioni in
una società per azioni che non fa ricorso al mercato del capitale di rischio, lo statuto può ad essi conferire la
facoltà di nominare un numero di amministratori e sindaci, ovvero componenti del consiglio di sorveglianza,
proporzionale alla partecipazione al capitale sociale”. Ciò significa che non è possibile prevedere meccanismi in
grado di garantire automaticamente e stabilmente il governo della società al socio pubblico minoritario.
Per le società aperte operano 2 insiemi di regole:
1. Disposizioni del comma 6 ex art 2346 cc, che si riferisce agli strumenti finanzia partecipativi “Resta
salva la possibilità che la società, a seguito dell'apporto da parte dei soci o di terzi anche di opera o
servizi, emetta strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il
voto nell'assemblea generale degli azionisti”. Ciò vuol dire che l’ente pubblico deve cmq partecipare alla
società per giovarsi dei relativi diritti.
2. Regole che prevedono che il consiglio di amministrazione può anche proporre all’assemblea che i diritti
ammnistrativi previsti dallo statuto a favore dello stato o degli enti pubblici siano rappresentati da una
particolare categoria di azioni dal tenore della disposizione vengono esclusi per esempio i poteri speciali
di nomina.
2°blocco: fonti che direttamente e unilateralmente istituiscono società o impongono l’obbligo di costituirle.
3°blocco: norme che impongono alle società di assumere una certa fisionomia. L’Ue e il suo diritto indicano i
caratteri che le società devono avere per garantire la compatibilità con l’ordinamento Ue.
Quali caratteri?
le società a totale partecipazione pubblica regolate da lex speciali e affidatarie di compiti in house senza
necessità di una previa gara
le società miste affidatarie di servizi pubblici locali
4°blocco: norme che estendono alle società, in specie in house, l’applicazione di regole pubblicistiche
5°blocco: norme di moralizzazione e contenimento della spesa tali sono l’art. 1 comma 1 ter l. 241/1990, le
disposizioni che stabiliscono obblighi di pubblicità, tetti ai compensi degli amministratori o limiti al numero dei
componenti del consiglio di amministrazione.
Ad esempio, l’art. 4 d.l. 95/2012 prevede “I consigli di amministrazione delle società di cui al comma 1 devono
essere composti da non più di tre membri, di cui due dipendenti dell'amministrazione titolare della
partecipazione o di poteri di indirizzo e vigilanza, scelti d'intesa tra le amministrazioni medesime, per le
società a partecipazione diretta, ovvero due scelti tra dipendenti dell'amministrazione titolare della
partecipazione della società controllante o di poteri di indirizzo e vigilanza, scelti d'intesa tra le amministrazioni
medesime, e dipendenti della stessa società controllante per le società a
partecipazione indiretta. Fermo restando quanto diversamente previsto da specifiche disposizioni di legge, i
consigli di amministrazione delle altre società a totale partecipazione pubblica, diretta ed indiretta, devono
essere composti da tre o cinque membri, tenendo conto della rilevanza e della complessità delle attività svolte.
L’art. 1 l. 296/2006 stabilisce che “non può essere nominato amministratore di ente, istituzione, azienda pubblica,
società a totale o parziale capitale pubblico chi, avendo ricoperto nei 5 anni precedenti incarichi analoghi abbia
chiuso in perdita 3 esercizi consecutivi”.
Con queste disposizioni il legislatore ha come obiettivo il rispetto della tutela della concorrenza, il buon uso delle
risorse, la trasparenza.
6°blocco: la disciplina che attiene al contenimento degli spazi di gemmazione di società da parte degli enti e
riduzione dell’ambito di azione delle società comunque costruite.
Per qnt concerne il primo aspetto, l’art. 3 comma 27 l. 244/2007 prevede “Al fine di tutelare la concorrenza e
il mercato, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.
165, non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non
strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, ne' assumere o mantenere
direttamente o indirettamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società. E' sempre ammessa la
costituzione di società che producono servizi di interesse generale e l'assunzione di partecipazioni in tali
società da parte delle amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.
165, nell'ambito dei rispettivi livelli di competenza”. Con tale disposizione si impone il divieto di costruire società
aventi ad oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle
proprie finalità istituzionali, nonché di mantenere partecipazioni in tali società.
Inoltre l’art. 1 comma 555 l. 147/2013 prevede che “A decorrere dall'esercizio 2017, in caso di risultato negativo
per quattro dei cinque esercizi precedenti, i soggetti di cui al comma 554 diversi dalle società che svolgono
servizi pubblici locali sono posti in liquidazione entro sei mesi dalla data di approvazione del bilancio o rendiconto
relativo all'ultimo esercizio. In caso di mancato avvio della procedura di liquidazione entro il predetto
termine, i successivi atti di gestione sono nulli e la loro adozione comporta responsabilità erariale dei soci”.
7°blocco: norme che prevedono vincoli che le società costituite incontrano nella propria attività.
A riguardo va ricordato l’art. 13 d.l. 223/2006 che dispone: “Al fine di evitare alterazioni o distorsioni della
concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori, le società, a capitale interamente pubblico o
misto, costituite dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali
all'attività di tali enti, nonché, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni
amministrative di loro competenza, debbono operare esclusivamente con gli enti costituenti ed affidanti, non
possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, ne' in affidamento diretto ne' con gara, e
non possono partecipare ad altre società o enti.
Le predette società sono ad oggetto sociale esclusivo e non possono agire in violazione delle regole di cui al
comma 1.
Al fine di assicurare l'effettività delle precedenti disposizioni, le società di cui al comma 1 cessano entro dodici
mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto le attività non consentite. A tale fine possono cedere le
attività non consentite a terzi ovvero scorporarle, anche costituendo una separata società da collocare sul
mercato, secondo le procedure del decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, convertito, con modificazioni, dalla
legge 30 luglio 1994, n. 474, entro ulteriori dodici mesi.
I contratti conclusi in violazione delle prescrizioni dei commi 1 e 2 sono nulli”.
La ratio della norma è impedire che i soggetti che già occupano una posizione privilegiata sul mercato possano
operare come normali imprenditori al di fuori dall’ambito territoriale di riferimento.
Tale articolo NON si applica al settore dei servizi pubblici locali.
La norma, oggetto di questione di legittimità, è stata salvata dalla corte costituzionale con la sentenza 326/2008,
con cui è stato affermato che essa non lede la generale competenza regionale in tema di organizzazione
amministrativa.
Alle luce di tutti questi interventi normativi, quali sono le società pubbliche che sopravvivono?
A riguardo, la corte costituzionale sembra introdurre una distinzione tra società che svolgono vera attività di
impresa e società attraverso le quali viene svolta attività amministrativa.
Ciò che rileva è quindi il regime dell’attività delle società piuttosto che la loro struttura soggettiva.
Con riferimento all’affidamento alla concorrenza, importante è il concetto di AFFIDAMENTO IN HOUSE, ivi
delineato dalla corte di giustizia europea: con ciò si intende escludere che la disciplina sugli appalti trovi
applicazione nei casi in cui tra amministrazione e impresa sussista un legame tale per cui il soggetto non possa
ritenersi distinto dal punto di vista decisionale.
Devono sussistere 2 requisiti:
1. la struttura deve realizzare la parte più importante dell’attività propria con l’ente o con gli enti che la
controllano.
2. l’ente pubblico esercita sulla persona giuridica un controllo analogo a quello da esso esercitato su propri
servizi.
Questa figura è stata successivamente utilizzata anche nel settore dei servizi pubblici al fine di consentire
l’affidamento diretto degli stessi servizi ai privati, a condizione che sussistessero i requisiti previsti.
Tuttavia l’istituto, affinchè sia compatibile col diritto europeo, deve esibire le 2 caratteristiche previste-->in Italia,
per diverso periodo, al fine di evitare che l’affidamento del servizio locale fosse oggetto di gara, le amministrazioni
utilizzavano lo schema societario pubblico, anche ricorrendo a società miste.
Ma l’affidamento del servizio a società a capitale misto non era rispettoso del requisito di controllo richiesto dalla
corte di giustizia europea.
A riguardo il Consiglio di stato, con un parere del 2007, nega che le società miste siano riconducibili al modello
dell’in house providing, perciò non è esclusa in radice la compatibilità comunitaria della figura della società mista a
partecipazione pubblica maggioritaria in cui il socio privato fosse scelto con una procedura di evidenza pubblica.
La corte di giustizia europea si è in seguito allineata al parere del Cds, salvando la società mista nel settore dei
servizi pubblici locali, a patto che questa abbia una specifica struttura e che il socio privato venga scelto con gara.
Oggi la disciplina del ricorso in house è prevista nella direttiva Ue 24/2014, da recepire entro il 18/4/16, ma le cui
norma hanno natura di self executing in quanto aventi contenuto puntuale e specifico.
In dottrina, però, si ritiene che l’autonomia lasciata agli amministratori nell’ambito della società per azioni sarebbe
in contrasto con il controllo analogo, perciò la società in house non potrebbe avere la struttura di Spa.
Sul panorama delle società pubbliche, queste sono soggette ad una particolare normativa.
A riguardo l’art. 2451 cc si occupa delle società di interesse nazionale, cui è estesa la disciplina ex art. 2449 cc
“compatibilmente con le disposizioni delle leggi speciali che stabiliscono per tali società una particolare disciplina
circa la gestione sociale, la trasferibilità delle azioni, il diritto di voto e la nomina degli amministratori, dei sindaci e
dei dirigenti”.
È il caso, ad es., di Rai-tv, che è stata ritenuta dalla Cassazione una persona giuridica privata, nonostante la
partecipazione pubblica.
Le fondazioni sono peculiari figure caratterizzate dall’indisponibilità dello scopo, la cui disciplina è prevista nel
codice civile: viene prevista l’assenza di lucro e l’attività in settori contigui a quelli delle amministrazioni.
In alcuni casi vengono in evidenza fondazioni considerate come soggetti privati e costituenti momento finale di
percorsi di privatizzazione di soggetti pubblici.
Accanto a questa figura, vi sono le c.d. fondazioni di partecipazione, in cui viene previsto l’ingresso e la
partecipazione di soggetti privati.
legislatore non è libero di rendere pubblica qualsiasi persona giuridica privata poiché esistono dei limiti
costituzionali volti a tutelare la libertà di associazione e altre attività private.
A riguardo, caso emblematico è stato quello della pubblicizzazione delle opere pie e degli enti morali a
fine assistenziale ai poveri e all’avviamento al lavoro e al miglioramento morale ed economico la
pubblicizzazione, avvenuta con la c.d. lex Crispi (1890) è stata dichiarata illegittima dalla corte
costituzionale con la sentenza 396/1988, la quale ha restituito all’ambito privato ciò che dall’ambito
privato era nato.
Per qnt attiene l’estinzione degli enti pubblici, questa può comportare vicende in ambito successorio che viene
regolamentata dalla legge qualora le attribuzioni dell’ente vengano assorbite da un altro ente.
L’estinzione può avvenire:
per legge
per atto amministrativo basato sulla legge.
A tal proposito, l’art. 15 d.l. 98/2011 dispone che “quando la situazione economica, finanziaria e
patrimoniale di un ente sottoposto alla vigilanza dello Stato raggiunga un livello di criticità tale da non
potere assicurare la sostenibilità e l'assolvimento delle funzioni indispensabili, ovvero l'ente stesso non
possa fare fronte ai debiti liquidi ed esigibili nei confronti dei terzi, con decreto del Ministro vigilante, di
concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, l'ente é posto in liquidazione coatta
amministrativa; i relativi organi decadono ed é nominato un commissario”.
È invece discussa, come causa di scioglimento, la possibilità dell’ente associativo di autosciogliersi:
questi, infatti, possono estinguersi SOLO se vengono meno tutti gli associati, o se viene raggiunto lo
scopo o se vi è insufficienza del patrimonio.
Per qnt attiene le modificazioni degli enti pubblici, questa attengono al:
mutamento degli scopi
modifiche del territorio degli enti territoriali
modificazioni delle attribuzioni
variazioni della consistenza patrimoniale.
Per gli scopi degli enti, specie quelli a natura associativa, il legislatore ha dei limiti ben precisi: esso non può infatti
liberamente modificarne gli scopi originali e ciò in ragione di qnt disposto dall’art. 2 Cost.
Gli enti pubblici possono poi essere oggetto di trasformazione da persone giuridiche pubbliche in persone
giuridiche di diritto privato.
Possono altresì essere oggetto di riordino, tra le cui conseguenze può esserci quella dell’estinzione dell’ente stesso
o la sua trasformazione.
La privatizzazione, come si può notare, opera principalmente nel settore della gestione di partecipazioni azionarie
(Es. Eni), nei servizi di pubblica utilità (es. Enel), nel settore creditizio.
Altre ipotesi di privatizzazione attengono alla trasformazione degli enti che operano nel settore musicale in
fondazioni di diritto privato e tutti i casi previsti dagli artt. 11 comma 1 lettera c) e 14 d.l. 59/1997 per qnt
riguarda gli enti che operano in settori diversi dall’assistenza e previdenza.
Con il d.lgs. 419/1999 sono poi state emanate norme in materia di privatizzazione fusione trasformazione e
soppressione di enti pubblici nazionali-->per qnt attiene la soppressione, questa viene inoltre prevista dal d.l.
112/2008 chiamato “taglia enti” nonché dalla L. 135/2012 nota come “spending review” con cui viene previsto
che regioni, province e comuni sopprimano o accorpino enti, agenzie e organismi che esercitano funzioni
fondamentali di cui all’art. 117 comma 2 lettera p) Cost.
Per qnt attiene la riforma del pubblico impiego presso le amministrazioni pubbliche, viene esclusa dal d.lgs.
165/2001 (poi modificato dal d.lgs. 150/2009) l’area dell’organizzazione amministrativa degli uffici dalla
contrattazione collettiva.
Per qnt attiene gli accordi organizzativi, la norma fondante tale potere in capo alle amm.ni di stipula di qst accordi
è l’art. 15 l. 241/1990 ma anche altre disposizioni speciali come, per esempio, l’art. 30 T.u. enti locali ove si
afferma che “le amministrazioni, mediante convenzioni, possono istituire strutture comuni, caratterizzate da una
notevole flessibilità e duttilità in ragione delle esigenze concrete che le amministrazioni intendono soddisfare”.
3.11.L’organo
Ci si domanda, per qnt attiene l’organizzazione, quali siano le situazioni giuridiche e i rapporti giuridici che fanno
capo all’organo.
Nelle prime elaborazioni teoriche la personalità giuridica era ammessa solo in capo allo stato, per poi estendere
tale capacità in seguito anche ad altre soggettività.
Una questione di particolare intere riguarda il modus attraverso cui la persona giuridica pubblica è in grado di
agire: a riguardo, le soluzioni prospettabili erano 2:
1. ricorso all’istituto della RAPPRESENTANZA proprio del diritto privato e in qst caso gli effetti dell’attività del
rappresentante dell’organo si imputavano in capo al rappresentato
2. altra figura prospettabile era il ricorso alla TEORIA DELL’ORGANO, ove la persona giuridica agisce e
l’azione svolta dall’organo si considera posta in essere dall’ente. Tale modello evita la moltiplicazione dei
rappresentanti dell’ente e consente l’imputazione a questo non solo degli effetti ma anche dell’attività,
pertanto l’organo non viene ad essere separato dall’ente e la sua azione diventa direttamente attività
propria dell’ente. Va cmq precisato che la capacità giuridica spetta cmq all’ente, che è centro di
imputazioni di effetti e fattispecie (secondo alcuni, però, la capacità di agire sarebbe invece direttamente
riferibile all’ente).
L’organo viene dunque ad essere uno strumento di imputazione, ovvero l’elemento dell’ente che consente di
riferire all’ente stesso atti e attività e permette all’ente di rapportarsi con altri soggetti giuridici. A riguardo, si
discute se l’organo rilevi ai fini dell’imputazione dei fatti e di illeciti in dottrina si sostiene che per questi aspetti
non occorre la presenza di un organo poiché l’ordinamento collega gli illeciti alle persone giuridiche in forza del
meccanismo che prescinde dal ruolo dell’organo e applicando le norme di cui agli artt. 2049ss c.c.
L’organo viene identificato nella persona fisica o nel collegio in qnt è investito della competenza attribuita
dall’ordinamento il contratto viene stipulato dal dirigente comunale ma si considera concluso dal comune, il
provvedimento viene adottato dal sindaco ma si considera adottato dal comune etc.
Posto che i poteri vengono attribuiti solo all’ente che ha soggettività giuridica e che si avvale di più organi, ogni
organo, anche se non ne è titolare, esercita una quota di quei poteri esercita perciò una COMPETENZA. La
competenza è ripartita secondo svariati criteri: per materia, per valore, per grado, per territorio.
La competenza va tuttavia distinta dall’ATTRIBUZIONE: questa attiene alla sfera di poteri che l’ordinamento
generale conferisce ad ogni ente pubblico.
3.12.Imputazione di fattispecie in capo agli enti da parte di soggetti estranei alla loro organizzazione
In alcuni casi il fenomeno di imputazione di fattispecie all’ente avviene secondo un meccanismo diverso: non si
imputa la fattispecie all’ente ma alla persona fisica o giuridica, che deve cmq sempre agire, pur essendo estraneo
all’organizzazione amministrativa a favore della quale l’imputazione si realizza è il caso per es. delle funzioni
certificative che spettano al notaio, alla possibilità di affidare a terzi la riscossione dei tributi.
Il privato può agire direttamente in base alla legge o in forza di un atto della pubblica amministrazione; riceverà
un compenso dall’ente pubblico e l’attività si configura nei confronti dei terzi come pubblicistica, alla stregua di
quella che avrebbe posto in essere l’ente pubblico sostituito.
3. Il COORDINAMENTO
è una relazione interorganica che si riferisca ad ogni situazione di equiordinazione tra organi che sono preposti ad
attività che sono destinate ad essere ordinate secondo un disegno unitario. A riguardo il coordinatore ha il potere
di impartire disposizioni idonee al raggiungimento dello scopo e vigilare sulla sua attuazione e osservanza.
Il coordinamento si può configurare come il risultato dell’esercizio di poteri che attengono ad altre relazioni ed
acquisisce autonoma rilevanza nelle relazioni di vera equiordinazione, allorchè sia necessario attribuire a un
organo di coordinamento poteri di contatto, informazione e armonizzazione dell’azione di più soggetti che operano
sullo stesso piano.
Inoltre l’esigenza di coordinamento tra l’azione di più soggetti pubblici è soddisfatta attraverso l’utilizzo della
conferenza di servizi.
4. Il CONTROLLO
è una relazione interorganica che costituisce attività di verifica, esame e revisione dell’operato altrui.
Il controllo consiste in un esame, in genere svolto da un organo ad hoc, di atti e attività imputabili a un altro
organo controllato. Tale attività, svolta nel rispetto delle disposizioni di legge, si conclude con la formulazione di
un giudizio (positivo o negativo) sulla base del quale viene adottata la relativa misura.
Vi sono varie tipologie di controllo: ad esempio il controllo sugli organi territoriali è riservato allo stato in quanto
“espressione di un potere politico di sovranità che non può non rimanere di pertinenza dello stato”; altre forme di
controllo sono quello relativo alla conformità alle norme (controllo di vigilanza), quello di opportunità (tutela),
efficacia, efficienza nonché il controllo sull’attività volto a verificare il raggiungimento di risultati (gestione).
Le misure che possono essere adottate a seguito del giudizi possono essere:
a) repressive (annullamento dell’atto)
b) impeditive (ostano a che l’atto produca i suoi effetti)
c) sostitutive (è il c.d. controllo sostitutivo: è l’organo sostituto ad esercitare quell’atto che invece avrebbe
dovuto esercitare l’organo sostituito).
Nell’ambito dei controlli sugli atti si deve distinguere tra controllo preventivo (prima che si producano gli effetti
dell’atto) e controllo successivo (qnd l’atto ha già prodotto i suoi effetti).
Nell’ambito della riforma costituzionale avvenuta con l. 3/2001 non vengono elencati i controlli che lo stato può
esercitare: tuttavia viene fatta menzione del sistema contabile dello stato e dell’ordinamento e organizzazione
amm.va dello stato e degli enti pubblici nazionali, i quali possono essere oggetto di controllo statale.
Alla luce di qst premessa, i principali controlli statali sono:
1. il controllo di ragioneria nell’amm.ne statale e il controllo della corte dei conti.
Il d.lgs. 123/2011 disciplina il controllo di regolarità amm.va e contabile su tutti gli atti statali di spesa.
Tale controllo viene svolto dal sistema delle ragionerie ovvero dagli uffici centrali del bilancio che operano
presso le amm.ni centrali mentre in periferia tale controllo viene esercitato dalle ragionerie territoriali
dello stato.
Il controllo può essere svolto in via preventiva o successiva per qnt attiene quello preventivo, gli atti di
spesa sono inviati all’ufficio di controllo che effettua la registrazione contabile delle somme relative agli
atti di spesa, rendendo indisponibili ad altri fini le somme ad essa riferite fino al momento del pagamento.
2. controllo di legittimità.
Questo controllo incide sull’efficacia dell’atto: entro 30 gg dal ricevimento, l’ufficio provvede
all’apposizione del visto di regolarità amm.va e contabile
3. controllo della Corte dei conti.
Si tratta di un controllo successivo ed esterno, che non può essere oggetto di impugnazione.
Il controllo della corte dei conti, con la l. 20/1994, è venuto ad essere limitato: oggi essa controlla i
provvedimenti emanati a seguito di deliberazione del consiglio dei ministri e gli atti normativi. Tra i vari
compiti ha il compito di identificare alcune categorie di atti assoggettate a controllo, pur se con carattere
temporaneo, può chiedere, nell’esercizio del potere di controllo, qualsiasi atto o notizia all’amministrazione
nonché predisporre ispezioni.
Nel quadro dei controlli che spettano alla Corte dei conti vi rientrano:
controllo preventivo di legittimità
controllo preventivo sugli atti che il presidente del Consiglio richieda di sottoporre temporaneamente a
controllo o che la Corte stessa deliberi di assoggettare per un determinato periodo a controllo, in
relazione a situazioni di diffusa e ripetuta irregolarità rilevate in sede di controllo successivo
controllo successivo su alcuni atti, come per es i titoli di spesa relativi al costo del personale
controllo successivo sugli atti di notevole rilievo finanziario individuati per categorie e amministrazioni
statali
controllo sulla gestione finanziaria degli enti cui lo stato contribuisce in via ordinaria
controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche nonché
sulle gestioni fuori bilancio e sui fondi di provenienza comunitaria
controlli esterni e sulle gestioni finanziarie degli enti territoriali la corte verifica in particolare il rispetto
degli equilibri di bilancio in relazione al patto di stabilità interno nonchè il perseguimento degli obiettivi
posti dalle leggi statali o regionali di principio o programma, nonché della sana gestione finanziaria degli
enti locali e il funzionamento dei controlli interni
Alla luce degli importanti compiti che le sono affidati, la Corte dei conti viene ad essere soggetto garante degli
equilibri di finanza pubblica.
Per svolgere al meglio qst compito, sono ulteriormente aumentati i controlli che la Corte è tenuta ad effettuare, in
specie sugli enti periferici.
A riguardo, per qnt attiene alle regioni, è stato introdotto il c.d. referto periodico ogni 6 mesi le sezioni regionali
di controllo trasmettono ai consigli regionali una relazione sulla tipologia di coperture finanziarie adottate nelle
leggi regionali approvate nel 2° semestre precedente e sulle tecniche di quantificazione degli oneri.
Sono stati inoltre rafforzati i controlli finanziari le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti esaminano i
bilanci preventivi e i rendiconti consuntivi delle regioni e degli enti che compongono il servizio sanitario nazionale.
Tale controllo è finalizzato alla verifica del rispetto degli obiettivi annuali posti dal patto di stabilità interno.
Sono state inoltre previste delle misure, che possono essere attuate qualora le sezioni regionali accertino
comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria o nel caso di mancato rispetto degli obiettivi contenuti nel
patto di stabilità in questo caso, nel caso di riscontro di violazioni, l’amministrazione ha obbligo di adottare,
entro 60 gg dalla pronuncia di accertamento, tutti quei provvedimenti idonei a eliminare le irregolarità e a
ripristinare gli equilibri di bilancio.
Nel caso in cui la regione non provveda o la verifica dei provvedimenti adottati non dia esito positivo, viene
preclusa alla regione l’attuazione dei programmi di spesa per i quali è stata accertata la mancata copertura o la
non sostenibilità finanziaria. Tale disciplina è stata, con sent. 39/2014, dichiarata parzialmente incostituzionale
nella parte in cui si riferisce al controlli dei bilanci preventivi e dei rendiconti consuntivi delle regioni. Analoga
misura viene prevista anche per gli enti locali che non rispettino il patto di stabilità.
È stato poi introdotto il giudizio di parifica del rendiconto generale per le regioni da parte delle sezioni regionali.
È stato previsto che il presidente della regione è obbligato a trasmette ogni anno alla sezione regionale di
controllo della Corte dei conti una relazione sulla regolarità della gestione e sull’efficacia e sull’adeguatezza del
sistema dei controlli interni.
Inoltre è stato previsto che le regioni sono tenute a redigere una relazione di fine legislatura , sottoscritta dal
presidente della giunta regionale, entro 90 gg dalla data di scadenza della legislatura: tale relazione va trasmessa,
entro 10 gg da qnd viene sottoscritta, alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti che, entro 30 gg
dalla ricezione, deve esprimere le sue valutazioni al presidente della giunta.
Si è detto che la Corte dei conti può esercitare sugli atti un controllo successivo. Per qst atti si discute sia in
dottrina sia in giurisprudenza su quali siano le conseguenze che possono esserci a seguito del controllo successivo
con esito negativo: secondo un certo orientamento, si ha un implicito annullamento dell’atto controllato mentre,
per altro orientamento, l’amm.ne viene obbligata a prendere atto della pronuncia di illegittimità dell’atto e a non
dare corso all’esecuzione dell’atto o annullarlo.
La prevalenza dei controlli preventivi di legittimità sui singoli atti ha impedito, a lungo, di valutare l’attività amm.va
nel suo complesso, trascurando la verifica della convenienza e proficuità dell’attività amm.va e relativa spesa.
Solo con il d.lgs. 286/1999 si sono introdotte 4 tipologie di controlli interni: controllo di regolarità amm.va e
contabile, di gestione, di valutazione della dirigenza e controllo strategico.
Il controllo sulla dirigenza è stato abrogato con il d.lgs. 150/2009 (c.d. riforma Brunetta).
Il controllo strategico viene richiamato dalla disciplina del d.lgs. 150/2009 e viene svolto da un apposito
organismo indipendente di valutazione. Esso mira a valutare l’adeguatezza delle scelte compiute in sede
di attuazione dei piani, programmi e altri strumenti di determinazione dell’indirizzo politico, in termini di
congruenza tra risultanti conseguiti e obiettivi predefiniti.
Il controllo di regolarità è stato valorizzato dal d.lgs. 123/2011 ed è volto a garantire la legittimità,
regolarità e correttezza dell’azione amministrativa.
Il controllo di gestione rimane disciplinato dal d.lgs. 286/1999 ma resta il dubbio se esso debba restare
affidato ai servizi di controllo interno. In ogni caso tale controllo mira a verificare l’efficacia, efficienza ed
economicità dell’azione amministrativa al fine di ottimizzare, anche mediante tempestivi interventi di
correzione, il rapporto tra costi e risultanti.
Con la l. 114/2014 viene previsto un meccanismo di controlli interni con riflessi esterni viene infatti prevista la
sottoposizione di tutte le strutture e di tutti i dipendenti ad apposita valutazione, venendo così a determinare
un’amministrazione che è più orientata ad autocontrollarsi piuttosto che ad agire.
3.15.I rapporti tra gli organi e l’utilizzo, da parte di un ente, degli organi di un altro ente
Talvolta, tra organi tra loro diversi possono instaurarsi dei rapporti, che prescindono dal carattere di stabilità che
connota la maggior parte delle relazioni tra organi.
A riguardo, nel diritto amm.vo esistono diverse figure di rapporti:
AVOCAZIONE un organo esercita i compiti che spettano ad un altro organo in ordine a singoli affari
SOSTITUZIONE ha come presupposto l’inerzia dell’organo sostituito nell’emanazione di un atto cui è
tenuto per legge. Il sostituto viene dunque ad essere un commissario.
In merito alla sostituzione, da questa deve essere tenuta distinta la figura della GESTIONE SOSTITUTIVA
COATTIVA, che è caratterizzata dallo scioglimento dell’organo o degli organi dell’ente e dalla nomina di
altri soggetti quali organi straordinari che devono gestire l’ente per un certo periodo di tempo.
DELEGAZIONE un organo, investito in via primaria della competenza in una certa materia, consente
unilateralmente, mediante atto formale, ad altro organo di esercitare la stessa competenza.
Tale figura richiede un’espressa previsione legislativa affinchè un altro organo possa svolgere le funzioni
che spetterebbero ad altro organo.
Il delegante mantiene in ogni caso i poteri di direttiva, vigilanza, revisione e avocazione. L’organo
delegatario è investito del potere di agire in nome proprio anche se per conto e nell’interesse del
delegante.
Da tale figura va tenuta distinta la c.d. DELEGA DI FIRMA: questa non comporta alcuno spostamento di
competenza. L’atto sarà dunque imputato al delegante mentre il delegato ha solo il compito di
sottoscrivere l’atto.
3.16.Gli uffici e il rapporto di servizio
All’interno degli enti e degli organi si trovano gli uffici, che sono dei nuclei elementari dell’organizzazione, che
svolgono attività non caratterizzata dal meccanismo di imputazione delle fattispecie.
Essi sono costituiti da un insieme di mezzi materiali e personali e sono tenuti a svolgere uno specifico compito
che, in coordinamento con quello degli altri uffici, concorre al raggiungimento di un certo obiettivo.
Tra gli uffici va ricordato l’ufficio relazioni con il pubblico, che ha il compito di curare l’informazione dell’utenza e
garantire i diritti di partecipazione dei cittadini.
Tra gli addetti all’ufficio, figura importante è quella del PREPOSTO: costui è il titolare dell’ufficio.
Nel caso in cui fosse assente, il suo posto viene preso dal supplente. Nel caso in cui invece mancasse un titolare
dell’ufficio, si ha reggenza.
Gli addetti e i titolari che prestano servizio presso l’ente sono legati a questo dal rapporto di servizio, che ha come
contenuto quello di dovere agire prestando una certa attività (il c.d. dovere di ufficio. Questo ha come oggetto
comportamenti che il dipendente deve tenere sia nei confronti della pubblica amm.ne sia nei confronti dei cittadini
e, soprattutto, il dipendente è tenuto al rispetto del codice di comportamento: un’eventuale violazione comporta
responsabilità disciplinare.
Il codice di comportamento viene approvato dal governo e sottoscritto dal dipendente che viene assunto. Esso
prevede che i dipendenti pubblici hanno il divieto di accettare regali, compensi o altre utilità in connessione con
l’espletamento di funzioni), cui si contrappongono una serie di diritti.
È inoltre lo stesso ordinamento a richiedere ad alcuni dipendenti l’adempimento di doveri più gravosi rispetto a
quello in capo ai cittadini si veda l’art. 54 Cost. ove si dispone che “tutti i cittadini hanno il dovere di essere
fedeli alla repubblica e di osservarne la Costituzione”. Ai dipendenti pubblici è però anche richiesto il dovere di
adempiere alle funzioni con disciplina e onore: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di
adempierle con disciplina ed onore”.
Il rapporto di servizio, che lega il dipendente all’amministrazione, prevede che i dipendenti svolgano il proprio
lavoro a titolo professionale, in modo esclusivo e permanente.
Il contenuto di qst rapporto varia a seconda che il soggetto sia funzionario onorario o pubblico impiegato: nel
primo caso il contenuto di qst rapporto ha carattere temporaneo e vi è diritto al trattamento economico a titolo di
indennità ma non vi è diritto alla carriera. Nel secondo caso vi è anche diritto alla carriera.
Il rapporto di servizio viene a distinguersi in modo netto dal rapporto organico: quest’ultimo, infatti, intercorre
solo tra il titolare dell’organo e l’ente e viene in evidenza ai fini dell’imputazione delle fattispecie. Tale rapporto, a
volte, può costituirsi anche in assenza di un apposito atto di investitura, venendo a costituirsi in via di mero
fatto in qst caso l’organo di fatto viene definito funzionario di fatto.
Comunque sia instaurato, una volta instauratosi, il rapporto di servizio a titolo professionale è caratterizzato da
vicende (per esempio congedi, aspettative) e può estinguersi. Tutte le vicende sono cmq disciplinate dalla
normativa che ha ad oggetto il rapporto di dipendenza presso le amm.ni pubbliche.
Tuttavia, l’esigenza di continuità dell’esercizio della funzione pubblica è presente in una serie di istituti, quali la
reggenza e la prorogatio. Per qnt concerne quest’ultima, la l. 444/1994 ha previsto il divieto di prorogatio,
stabilendo che gli organi sono prorogati di 45 gg, decorrenti dalla scadenza del termine di durata previsto per
ciascuno. Scaduto il temine senza che si sia provveduto alla loro ricostituzione, gli organi amm.vi decadono e gli
atti adottati dagli organi decaduti sono nulli.
3.17.La disciplina attuale del rapporto di lavoro dei dipendenti della amministrazioni pubbliche
Il settore ha visto succedersi, nel tempo, diverse ed importanti riforme importante è quella relativa alla c.d.
PRIVATIZZAZIONE del rapporto di impiego presso le amministrazioni, avvenuta con d.lgs. 29/1993.
Con tale riforma si voleva accentuare il ruolo della contrattazione collettiva e individuale, avvicinandosi al mondo
del lavoro privato.
Tale riforma è stata poi novellata nel 1998, qnd si è manifestata un’attenzione specifica alle esigenze di
managerialità e la volontà di ridurre il peso del centralismo regolativo.
Queste 2 riforme sono poi confluite nel d.lgs. 165/2001.
Il contesto normativo è stato nuovamente oggetto di riforma nel 2009: il d.lgs. 150/2009 aveva come obiettivo il
controllo delle performance dei lavoratori pubblici. Con questa riforma si è cercato di ridefinire il ruolo del
dirigente, anche in qualità di datore di lavoro, si è cercato di limitare il ruolo del sindacato nella centralizzazione
della contrattazione collettiva e si è cercato di limitare l’area di incidenza della contrattazione stessa.
Tra gli aspetti più importanti del d.lgs. in questione vi è quello della standardizzazione dell’azioneil rispetto degli
standard viene ad essere infatti oggetto di valutazione delle performance. Una violazione del potere di vigilanza
sul rispetto degli standard quantitativi e qualitativi fissa dall’amm.ne comporta una decurtazione della retribuzione
di risultato del dirigente nonché la possibilità di esercizio dell’azione per l’efficienza delle amministrazioni.
Con l’art. 5 d.l. 95/2012 si è stabilito che la performance dei dirigenti è valutata in relazione a:
raggiungimento degli obiettivi individuali e relativi all’unità organizzativa di diretta responsabilità
comportamenti organizzativi posti in essere e alla capacità di valutazione differenziata dei propri
collaboratori.
I dirigenti che risultano più meritevoli hanno diritto ad un trattamento accessorio maggiorato che varia tra il 10 e
30% rispetto al trattamento accessorio medio attribuito.
La misurazione e valutazione della performance del persone viene invece valutata in base a:
raggiungimento di specifici obiettivi individuali o di gruppo
contributo assicurato alla performance dell’unità organizzativa di appartenenza.
L’art. 74 d.lgs. 150/2009 individua norme che sono espressione di potestà legislativa statale, che sono diretta
attuazione dell’art. 97 Cost.
Sono le norme relative alla misurazione, valutazione e incentivazione delle performance, meccanismi premiali,
progressioni verticali di carriera, assegnazione di incarichi e responsabilità.
Per qnt attiene alla disciplina del lavoro presso le amministrazioni, occorre analizzare alcuni aspetti fondamentali:
a) i rapporti di lavoro sono disciplinati dalle disposizioni del codice civile, fatte salve le diverse disposizioni
contenute nel presente decreto e dalla contrattazione sia sul piano individuale sia su quello collettivo
art. 2 comma 2 d.lgs. 165/2001, che è espressione della c.d. privatizzazione.
Per le categorie di cui all’art. 3 d.lgs. 165/2001, per esempio magistrati e avvocati dello stato o professori
universitari, si applicano le disposizioni vigenti, in attesa della riforma. (non si applica quindi il d.lgs.
165/2001).
Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto che introducono disciplina dei rapporti di lavoro la
cui applicabilità sia limitata ai dipendente delle amm.ni pubbliche possono essere derogate da successivi
contratti o accordi collettivi solo qualora ciò sia espressamente previsto dalla legge.
Viene inoltre disposto che le disposizioni contrattuali nulle per violazione di norme imperative o per
superamento dei limiti stabiliti dalla contrattazione sono sostituite di diritto da quelle legislative ai sensi
dell’art. 1339 cc.
L’art. 40 d.lgs. 165/2001 dispone poi la preservazione di alcune materie dalla contrattazione: viene infatti
stabilito che sono escluse quelle materie che attengono all’organizzazione degli uffici, quelle oggetto di
partecipazione sindacale, quelle afferenti alle prerogative dirigenziali, la materia del conferimento e revoca
degli incarichi dirigenziali.
b) la contrattazione collettiva si svolge a vari livelli (nazionale e integrativa: viene previsto un meccanismo
per controllare la spesa e assicurare la trasparenza).
La struttura contrattuale, i rapporti tra i diversi livelli, la durata di quelli di primo e secondo livello sono
regolati dai contratti nazionali, che vincolano poi la contrattazione integrativa.
Nella contrattazione collettiva nazionale, la parte pubblica è rappresentata dall’agenzia ARAN, che agisce
in forza di indirizzi fissati a monte delle trattativa da appositi comitati di settore o dal governo.
La trattativa prende avvio dopo che la legge individua l’ammontare delle risorse destinate al rinnovo. Qnd
si giunge ad un’ipotesi di accordo, questa viene inviata al governo e ai comitati di settore per ricevere il
parere. Dopodichè l’Aran trasmette la bozza di accordo alla Corte dei conti per ottenere la certificazione di
compatibilità con gli strumenti di programmazione e bilancio.
Il contratto che viene poi sottoscritto ha efficacia erga omnes.
c) compito specifico della contrattazione collettiva nazionale è quello di determinare diritti e obblighi
direttamente pertinenti al rapporto di lavoro nonché le materie relative alle relazioni sindacali in
particolare la contrattazione collettiva nazionale ha l’arduo compito di definire il trattamento economico,
nonché disciplinare le modalità di utilizzo delle risorse destinate a premiare i merito e a migliorare le
performance.
Sarà poi compito della contrattazione integrativa assicurare adeguati livelli di efficienza e produttività dei
servizi pubblici.
d) il d.lgs. 150/2009 fissa alcune regole che sono invalicabili anche per la contrattazione per qnt attiene la
materia del trattamento economico accessorio. Una quota del trattamento accessorio deve essere
destinato al trattamento economico collegato alla performance individuale.
Il trattamento viene dunque ad essere distribuito in base a 3 fasce di merito a solo a seguito di procedure
di valutazione il 25% del personale sarà collocato nella fascia alta, alla quale spetta il 50% delle risorse;
il 50% del personale è collocato nella fascia intermedia, cui spetta l’altro 50% delle risorse; il 25% del
personale restante viene collocato nella fascia bassa, che non ha diritto ad ottenere trattamenti accessori
legati alle performance individuali.
e) per qnt riguarda le determinazioni organizzative attinenti agli uffici e le misure inerenti alle gestione dei
rapporti di lavoro, queste sono assunte dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del
privato datore di lavoro
f) restano invece assoggettati alla disciplina pubblicistica gli organi, uffici, i principi fondamentali
dell’organizzazione, i procedimenti di selezione per l’accesso al lavoro e quelli di avviamento, i ruoli, le
incompatibilità, le responsabilità e la determinazione delle dotazioni organiche (la dotazione organica
indica il n° complessivo dei dipendenti e il loro inquadramento. Questa viene determinata sulla base della
programmazione del fabbisogno del personale ed è effettuata con scadenza triennale.
Il d.l. 95/2012 in materia di spending review ha disposto che gli uffici e le dotazioni organiche delle
amm.ni dello stato sono ridotti in misura consistente tali riduzioni possono essere fatte selettivamente.)
g) il reclutamento del personale avviene mediante concorso pubblico: viene pubblicato un bando che si
conclude con la formulazione di una graduatoria cui segue la stipula del contratto individuale.
I vincitori del concorso devono rimanere nella sede di destinazione per almeno 5 anni.
Il reclutamento può però anche avvenire mente avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento per le
qualifiche e profili per i quali è richiesto come requisito la sola scuola dell’obbligo.
Altra deroga al concorso pubblico è quella relativa alla quota d’obbligo riservata alle categorie protette.
Per qnt riguarda le forme contrattuali, l’art. 36 d.lgs. 165/2001 ammette anche forme contrattuali di tipo
flessibile, in ragione di esigenze temporanee ed eccezionali (altrimenti la regola generale è quella
dell’assunzione a tempo indeterminato).
L’art. 52 dispone poi che il dipendente deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a
mansioni equivalenti nell’ambito dell’area di inquadramento una deroga è costituita dall’art. 34, che
attiene alla c.d. riallocazione, ove si prevede che in caso di posti vacanti in organico anche di qualifica
inferiore ed economicamente inferiori il soggetto può ivi essere collocato.
Accanto al profilo dell’acceso vi è quello della progressione di carriera (a riguardo si distingue tra
progressione orizzontale e progressione verticale). L’art. 52 d.lgs. 165/2001 dispone che le progressioni
orizzontali avvengono secondo principi di selettività, in funzione delle qualità culturali e professionali, delle
attività svolta e dei risultati conseguiti.
Le progressioni verticali invece avvengono tramite concorso pubblico per titoli di studio: a riguardo,
l’amministrazione può prevedere che il 50% (al massimo) dei posti oggetto di concorso sia posto a riserva
per quel personale interno che è in possesso del titolo di studio richiesto nel bando.
h) tutti i dipendenti pubblici sono sottoposti a valutazione.
Si prevede che tale valutazione non riguarda solo gli individui ma anche l’organizzazione nel suo
complesso, le unità organizzative o le aree di responsabilità.
L’esito della valutazione rileva per le progressioni di carriera e per la c.d. responsabilità disciplinare.
Oggi la valutazione viene effettuata dal Dipartimento della funzione pubblica della presidenza del consiglio
dei ministri, che ha il compito di indirizzare, coordinare e sovrintendere all’esercizio indipendente delle
funzioni di valutazione e di garantire la trasparenza dei sistemi di valutazione.
Il Dipartimento deve perciò elaborare modelli, omogenizzare e confrontare le esperienze, fornire
indicazioni e supporto alle amm.ni nella pianificazione, programmazione e gestione dei sistemi di
valutazione.
Accanto al Dipartimento vi sono anche gli Organismi indipendenti di valutazione della performance è
una figura monocratica o collegiale, che viene istituita dall’amministrazione. L’organismo, pertanto, è il
signore dei controlli in sede locale, visto che ad esso spetta la misurazione e valutazione della
performance di ciascuna struttura amm.va nel suo complesso. Esercita inoltre attività di correzione delle
attività di gestione e di indirizzo, evidenzia le criticità cui l’amm.ne locale è soggetta, elabora la relazione
finale sulla performance. Deve poi garantire la correttezza dei processi di misurazione e valutazione e
dell’utilizzo dei premi. Ha anche il potere di formazione delle graduatorie di merito, può proporre
all’organo esecutivo la valutazione annuale dei dirigenti di vertice.
Ma quest’organismo è indipendente dall’esecutivo?
In teoria dovrebbe agire in piena autonomia. Tuttavia il potere di nomina dei suoi membri spetta
all’organo di indirizzo politico- amm.vo; quest’ultimo poi emana le direttive generali contenenti gli indirizzi
strategici, verifica il conseguimento effettivo degli obiettivi strategici.
Per rispondere appieno all’obiettivo di valutazione dei suoi dipendenti, le amministrazioni sono chiamate a
redigere:
1. un piano triennale della performance: tale piano, redatto ogni anno, individua gli indirizzi e gli obiettivi
strategici ed operativi e definisce gli indicatori per la misurazione e valutazione della performance
dell’amm.ne
2. una relazione sulla performance: tale relazione, va redatta ogni anno entro il 30 giugno ed evidenzia a
consuntivo i risultati organizzativi e individuali raggiunti rispetto ai singoli obiettivi programmati e alle
risorse (a monte della relazione si colloca il sistema di misurazione e valutazione delle performance che
individua le fasi, tempi, modalità, soggetti e responsabilità nel processo di misurazione e valutazione della
performance).
Sulla base di questi documenti si procede alla valutazione con cadenza annuale.
Oggetto della valutazione attiene per esempio all’attuazione di piani e programmi, allo sviluppo qualitativo e
quantitativo delle relazioni con i cittadini e alla qualità e quantità delle prestazioni e servizi erogati.
i) i dipendenti, oltre che vincolati a un obbligo di esclusività, sono assoggettati ad una particolare
responsabilità amm.va, penale e contabile, nonché alla c.d. responsabilità disciplinare ex art. 55 d.lgs.
165/2001, riformata nel 2009. L’art. 70 d.lgs. 150/2009 dispone che in caso di sentenza penale nei
confronti di un dipendente la cancelleria del giudice ne comunica il dispositivo all’amministrazione di
appartenenza.
Particolare attenzione è riservata al licenziamento disciplinare: l’art.55 quater tipizza le infrazioni più gravi
che possono dar luogo a licenziamento, nonché si affronta il problemi dei dipendenti fannulloni ivi viene
disposto che il licenziamento può essere disposto in caso di valutazione di insufficiente rendimento. Il
lavoratore, nel caso in cui cagioni un grave danno al normale funzionamento dell’ufficio, in ragione di
inefficienza o incompetenza professionale, viene collocato in disponibilità per massimo 2 anni e può
essere ricollocato presso altre amministrazioni. Trascorso inutilmente qst periodo il rapporto si risolve.
j) sotto il profilo giurisdizionale sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le
controversie riguardanti il rapporto di lavoro dei dipendenti con eccezione di quelle categorie sottratte alla
privatizzazione.
Si ha giurisdizione del giudice amm.vo per quelle controversie attinenti alle procedure concorsuali o a
quelle relative alla progressione di carriera dei dipendenti interni.
3.18.La dirigenza e i suoi rapporti con gli organi politici
I dirigenti hanno autonomi poteri di gestione, con il compito di organizzare il lavoro, uffici e risorse umane e
finanziarie, nonché attuare le politiche delineate dagli organi di indirizzo politico- amm.vo.
Ma il dirigente è anche interlocutore privilegiato della componente politica. Ciò comporta delle frizioni all’interno
del sistema.
Nonostante il d.lgs. 150/2009 mira all’ampliamento e al rafforzamento dell’autonomia dei dirigenti, vi sono alcune
disposizioni che costringono i dirigenti a svolgere funzioni datoriali è il caso degli artt. 55 bis (“Per le infrazioni
di minore gravità, per le quali è prevista l'irrogazione di sanzioni superiori al rimprovero verbale ed inferiori alla
sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per più di dieci giorni, il procedimento disciplinare, se il
responsabile della struttura ha qualifica dirigenziale, si svolge secondo le disposizioni del comma 2. Quando il
responsabile della struttura non ha qualifica dirigenziale o comunque per le infrazioni punibili con sanzioni più
gravi di quelle indicate nel primo periodo, il procedimento disciplinare si svolge secondo le disposizioni del comma
4. Alle infrazioni per le quali è previsto il rimprovero verbale si applica la disciplina stabilita dal contratto
collettivo”), 55 sexies (“La condanna della pubblica amministrazione al risarcimento del danno derivante dalla
violazione, da parte del lavoratore dipendente, degli obblighi concernenti la prestazione lavorativa, stabiliti da
norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e provvedimenti
dell'amministrazione di appartenenza o dai codici di comportamento di cui all'articolo 54, comporta l'applicazione
nei suoi confronti, ove già non ricorrano i presupposti per l'applicazione di un'altra sanzione disciplinare, della
sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da un minimo di tre giorni fino ad un massimo di tre
mesi, in proporzione all'entità del risarcimento”), 55 septies d.lgs. 165/2001 (“Nell'ipotesi di assenza per malattia
protratta per un periodo superiore a dieci giorni, e, in ogni caso, dopo il secondo evento di malattia nell'anno
solare l'assenza viene giustificata esclusivamente mediante certificazione medica rilasciata da una struttura
sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale”).
La dirigenza si articola in 2 fasce del ruolo di dirigenti.
L’accesso alla qualifica di dirigente (seconda fascia) nelle amministrazioni statali e enti pubblici non economici
avviene in 2 modi:
concorso per esami indetto dalle singole amministrazioni
corso-concorso selettivo di formazione indetto dalla scuola della pubblica amm.ne
Ai sensi dell’art. 23 d.lgs. 165/2001 i dirigenti di seconda fascia transitano nella prima qualora abbiano ricoperto
incarichi di direzione di uffici dirigenziali generali o equivalenti per almeno 5 anni nei quali non siano incorsi in
sanzioni.
Ai sensi dell’art. 28 bis si può altresì diventare dirigenti di prima fascia per anzianità.
Ulteriore canale per diventare dirigente è quello dell’incarico diretto senza previo concorso pubblico art. 19
d.lgs. 165/2001: si dispone la possibilità di conferimento di incarichi con contratto a tempo determinato entro il
limite del 10% e 8% dei dirigenti, dandone esplicita motivazione, e solo a persone di particolare e comprovata
qualificazione professionale che non è rinvenibile nei ruoli dell’amministrazione.
Il rapporto di lavoro della dirigenza si fonda su un contratto.
La fase determinativa del rapporto di servizio va tenuta distinta dal momento della preposizione all’organo
mediante incarico della funzione (quest’ultimo comporta l’instaurazione del rapporto organico e l’attribuzione delle
concrete mansioni dirigenziali).
Tale incarico è retto dal principio della temporaneità e per il suo conferimento si tiene conto di vari elementi, tra i
quali le attitudini e le capacità professionali del singolo dirigente, dei risultati conseguiti in precedenza, delle
specifiche competenze organizzative.
Il conferimento dell’incarico dirigenziale è soggetto ad un particolare iter. Anzitutto è la legge che scandisce
l’intero procedimento.
L’art. 1 comma 39 l. 190/2012 prevede che le amministrazioni comunicano al dipartimento della funzione pubblica
tutti i dati utili a rilevare posizioni dirigenziali attribuite a persone individuate discrezionalmente dall’organo di
indirizzo politico senza procedura pubbliche di selezione.
All’atto del conferimento, l’interessato presenta una dichiarazione sull’insussistenza di eventuali cause di
inconferibilità dell’incarico e, nel corso dell’incarico, dovrà annualmente presentare analoga dichiarazione.
Tale dichiarazione è conditio sine qua non per l’acquisto dell’efficacia dell’incarico e un’eventuale mendacio ha
come conseguenza l’inconferibilità di qualsiasi incarico per 5 anni.
Nel provvedimento di conferimento (che ha natura sostanzialmente privatistica, con conseguente affermazione del
giudice ordinario, come stabilito ex sentenza 275/2001 Corte cost.) viene contenuta la definizione dell’oggetto,
degli obiettivi e della durata dell’incarico (tra i 3 e 5 anni).
La retribuzione del personale con qualifica di dirigente è determinata dai contratti collettivi, prevedendo che il
trattamento economico accessorio sia correlato alle funzioni attribuite, alle connesse responsabilità e ai risultati
conseguiti.
Il trattamento accessorio collegato ai risultati deve costituire almeno il 30% della retribuzione.
La giurisprudenza ha poi escluso spazi per l’utilizzo dell’istituto del libero recesso sanzionato, se illegittimo, con il
semplice risarcimento: è stato invece ritenuto applicabile la c.d. tutela reintegratoria.
Gli incarichi dirigenziali possono essere revocati esclusivamente nei casi e con le modalità di cui alla disciplina sulla
responsabilità dirigenziale.
La responsabilità dirigenziale è aggiuntiva rispetto a tutte le altre forme di responsabilità previste ex lege. Essa
sorge allorquando non vengano raggiunti gli obiettivi o in caso di inosservanza delle direttive che sia imputabile al
dirigente.
L’art. 21 d.lgs. 165/2001 prevede un ulteriore caso di responsabilità dirigenziale: è il caso in cui il dirigente ometta
di adempiere al dovere di vigilanza sugli standard qualitativi e quantitativi fissati dall’amm.ne.
Quale la sanzione in caso di resp.tà dirigenziale?
L’impossibilità del rinnovo dello stesso incarico dirigenziale.
L’amministrazione inoltre, previa contestazione, può revocare l’incarico collocando il dirigente a disposizione
ovvero recedere dal rapporto di lavoro secondo le disposizioni del contratto collettivo.
Non tutti i dirigenti hanno titolarità di uffici dirigenziali: in questo caso si tratta di dirigenti che svolgono funzioni
ispettive, di consulenza, studio e ricerca o altri incarichi specifici previsti dall’ordinamento.
Anche i dirigenti sono soggetti alle relazioni interorganiche?
Ai sensi dell’art. 14 d.lgs. 165/2001 il ministro definisce obiettivi, priorità, piani e programmi da attuare ed emana
le conseguenti direttive generali per l’attività amm.va e la gestione.
Il ministro non può però revocare, riformare, riservare o avocare a sé atti di competenza dei dirigenti (in caso di
ritardo o inerzia, il ministro può fissare un termine entro cui l’atto va emanato e, in caso di non rispetto del
termine, il ministro può solo nominare un commissario ad acta).
Pertanto gli atti e provvedimenti dei dirigenti NON sono suscettibili di ricorso gerarchico.
In qst caso quindi la relazione interorganica che opera è quella della direzione, vale a dire vi sono 2 organi in
posizione di diseguaglianza e quello inferiore dispone però di una sfera di autonomia non comprimibile da parte di
quello superiore (in qst caso l’organo politico- amm.vo).
Tuttavia non tutti sono d’accordo nel qualificare la relazione tra dirigente e organo di indirizzo politico-amm.vo nei
termini della direzione: è preferibile qualificare il rapporto in termini di sfere di competenza separate e
differentiil ministro infatti NON può sostituirsi al dirigente, escludendosi dunque un’ingerenza diretta della sfera
politica nell’attività del dirigente.
L’unico momento in cui il potere politico prevale su quello dirigenziale è l’esercizio del potere, da parte degli organi
di governo, di annullare in autotutela gli atti nonché il potere di non rinnovare l’incarico del dirigente decorsi i 90
gg dal voto di fiducia al governo.
I dirigenti che sono preposti agli uffici dirigenziali generali, nei confronti dei dirigenti definiscono gli obiettivi e
attribuiscono le risorse, dirigono, coordinano e controllano l’attività dei dirigenti e dei responsabili dei
procedimenti e decidono sui ricorsi gerarchici contro gli atti e i provvedimenti amm.vi non definitivi dei dirigenti.
Inoltre il dirigente preposto all’ufficio di più elevato livello può delegare compiti ai dirigenti ed è sovraordinato al
dirigente preposto all’ufficio inferiore sembra esserci dunque una relazione gerarchica. Tuttavia, in mancanza
del potere di impartire ordini e la predefinizione delle competenze dei dirigenti fanno propendere per una
relazione gerarchica più ammorbidita, sussistendo infatti una sfera di autonomia non comprimibile in capo ai
dirigenti.
L’art. 17 d.lgs. 165/2001 prevede poi poteri di direzione, coordinamento e controllo in capo al dirigente in
relazione all’attività degli uffici che da lui dipendono e di quella dei responsabili dei procedimenti amministrativi,
anche con poteri sostitutivi in caso di inerzia.
Si dispone inoltre che il dirigente effettua la valutazione del personale assegnato ai propri uffici nel rispetto del
principio del merito.
L’art. 17bis d.lgs. 165/2001 introduce la figura della VICEDIRIGENZA: si prevede che i dirigenti, per specifiche e
comprovate ragioni di servizio e per un tempo determinato, possono delegare con atto scritto e motivato alcune
delle proprie competenze a dipendente che ricoprano le posizioni funzionali più elevate nell’ambito degli uffici ad
essi affidati.
Sovente poi i dirigenti sono soliti avvalersi di consulenze esterne, affidate a soggetti esterni alle amministrazioni.
In qst caso l’oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite all’amm.ne e a obiettivi e
progetti specifici.
L’amm.ne deve avere preliminarmente accertato l’impossibilità di utilizzare le risorse umane interne.
In ogni caso la prestazione del consulente deve essere temporanea e qualificata, determinando preventivamente
durata, luogo, oggetto e compenso della prestazione.
Gli incarichi esterni, come da circolare 5/2005 Pres. Cons. Min. possono essere conferiti solo a esperti di
particolare e comprovata specializzazione.
3.19.I soggetti di diritto nel diritto amministrativo: le formazioni sociali e gli ordinamenti autonomi
Per qnt concerne le organizzazioni sociali, queste , sebbene non sono riconosciute come enti di diritto pubblico,
sono costituite da aggregazioni di individui che perseguono interessi non aventi fine lucrativo.
Il fenomeno delle organizzazioni non lucrative ha avuto una notevole espansione negli ultimi decenni, tanto da
introdurre la definizione di TERZO SETTORE, nel quale vi rientrano organizzazioni no profit e anche quelle di
volontariato, nonché le comunità terapeutiche, le istituzioni pro loco, le organizzazioni impegnate nei settori della
ricerca, dello sport, istruzione, beneficenza, protezione civile, tutela dei beni culturali etc.
La normativa di settore prevede che queste organizzazioni, che perseguono finalità di interesse generale, possano
ricevere finanziamenti pubblici e siano sottoposte a forme di controllo e vigilanza.
Con riguardo a queste organizzazioni, una figura importante sono le c.d. ONLUS, istituite con d.lgs. 460/1997
sono da considerarsi onlus quelle associazioni, comitati, fondazioni o altri enti di diritto privato i cui atti costitutivi
contengono una serie di indicazioni, tra le quali lo svolgimento di attività in particolari settori e l’esclusivo
perseguimento di finalità di solidarietà sociale.
Accanto alle organizzazioni sociali vi sono poi gli ordinamenti autonomi, che sono caratterizzati dall’avere una
normativa propria. Tra gli ordinamenti autonomi vi sono gli ordinamenti delle confessioni religiose (l’art. 8 Cost.
stabilisce che le confessioni religiose diverse da quella cattolica possono organizzarsi secondo i propri statuti, in
quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano) e l’ordinamento sportivo.
Il d.l. 220/2003 stabilisce che: “la repubblica riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo
nazionale, quale articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale facente capo al comitato olimpico
internazionale”. I rapporti sono regolati sulla base del principio di autonomia, salvo i casi di rilevanza per
l’ordinamento giuridico della repubblica salvo quindi casi particolari, la competenza sulle questioni tecniche
aventi ad oggetto il corretto svolgimento delle attività sportive e i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare
non sono di competenza né del giudice ordinario né del giudice amministrativo.
3.20.I mezzi. In particolare i beni pubblici. Nozione e classificazione codicistica.
Per svolgere le loro funzioni, le amministrazioni pubbliche possono ricorrere all’utilizzo dei beni.
Tra i beni che appartengono agli enti pubblici importanti sono i c.d. BENI PUBBLICI, che sono assoggettati ad una
normativa differente rispetto a quella che si applica agli altri beni per quel che concerne i profili d’uso, circolazione
e tutela.
Tali beni, la cui normativa è presente nel codice civile, sono soggetti anche a disposizioni ad hoc, esterne al codice
civile stesso, come per esempio le leggi a tutela dell’ambiente, quelle sui beni culturali, le leggi sulle reti e le
norme sulla dismissione dei beni pubblici.
A fianco ai c.d. beni pubblici, vi sono poi anche beni che appartengono a enti pubblici soggetti alla normativa di
carattere generale sulla proprietà privata (salvo alcune disposizioni in materia di contabilità pubblica) si tratta
del c.d. PATRIMONIO DISPONIBILE degli enti pubblici (per esempio il patrimonio mobiliare e fondiario, il denaro),
che va tenuto distinto dal PATRIMONIO INDISPONIBILE (quest’ultimo è ricondotto ai beni pubblici).
Come si classificano i beni pubblici?
I beni pubblici vengono classificati dal codice civile in:
beni demaniali
beni del patrimonio indisponibile.
Tale classificazione è però entrata in crisi, in ragione della difficoltà di individuare una linea distintiva tra le 2
categorie nonché in ragione della presenza di regimi speciali, che derogano alle disposizioni del codice civile
stesso.
Un’altra classificazione che viene quindi in rilievo è quella che attiene alla possibilità per i beni disponibili di essere
oggetto di contratti di alienazione. A tal proposito si distingue tra:
contratti attivi questi contratti vengono stipulati attraverso un’asta pubblica
contratti passivi contratti preceduti da gara mediante pubblico incanto o licitazione privata.
I beni pubblici appartengono alle pubbliche amm.ni a titolo di proprietà pubblica.
In forza dell’art. 42 Cost. (ove si afferma “la proprietà è pubblica o privata”) si conferma la possibilità di utilizzare
il concetto di proprietà per descrivere il titolo di appartenenza all’ente dei beni pubblici.
La titolarità della proprietà dei beni pubblici che appartengono agli enti pubblici è disciplinata da diverse fonti:
anzitutto essa è soggetta alla legge è il caso dei beni del demani naturali e del patrimonio indisponibile
nonché dei beni di interesse artistico, storico o archeologico.
La titolarità di questi beni può derivare anche da altre fonti quali:
fatti acquisitivi occupazione, invenzione, accessione, specificazione, unione, usucapione, successione ex
art. 586 cc
atti di diritto comune contratti, donazione, testamento, provvedimenti giudiziari
fatti di diritto internazionale confisca e requisizione bellica, indennità di guerra
atti pubblicistici che comportano l’ablazione di diritti reali su beni di altri soggetti
3.21.Il regime giuridico dei beni demaniali
La disciplina giuridica di questi beni è quella degli artt. 822 ss c.c., del r.d. 2440/1923 e r.d. 827/1924.
I beni demaniali sono TASSATIVAMENTE indicati dalla legge e comprendono:
beni demaniali necessari non possono non appartenere allo stato alle regioni. Sono costituiti a loro
volta da:
1. demanio marittimo--> ai sensi dell’art. 822 cc fanno parte del demani marittimo il lido del mare, spiagge,
porti, lagune, foci dei fiumi e canali
2. demanio idrico--> è costituito da fiumi, torrenti, laghi e altre acque pubbliche, ghiacciai
3. demanio militare--> comprende le opere destinate alla difesa nazionale quali fortezze, piazzeforti nonché
opere quali porti, strade, ferrovie, stazioni radio destinate al servizio delle comunicazioni militari
beni demaniali accidentali strade, autostrade, aerodromi, acquedotti, immobili riconosciuti di interesse
storico, archeologico o artistico, pinacoteche, archivi, biblioteche.
Questi beni possono appartenere a chiunque ma sono tali qualora appartengano ad un ente pubblico
territoriale.
Non sono costituiti esclusivamente da beni immobili, potendo consistere anche in universalità di mobili.
Vi rientrano in questa categoria anche le strade ferrate, sebbene alcune siano state sdemanializzate con l.
210/1985.
NON rientrano nel demanio stradale le strade vicinali, le strade di uso pubblico.
Ai sensi dell’art. 824 comma 2 cc sono beni demaniali accidentali i cimiteri e mercati comunali tali beni
rientrano nel demanio comunale solo se appartengono ai comuni.
I beni demaniali appartengono dunque a enti territoriali, che a sua volta si distingue in: demanio statale, demanio
regionale, demanio provinciale e demanio comunale in ragione del soggetto titolare.
Altra distinzione che riguarda i beni demaniali è quella attinente alla natura:
vi sono i beni demaniali naturali sono tali indipendentemente dall’opera dell’uomo
demanio artificiale beni costruiti dall’uomo
In ogni caso tutti i beni demaniali, ai sensi dell’art. 823 cc, “sono inalienabili e non possono formare oggetto di
diritti a favore dei terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano”. Pertanto i diritti di terzi
su beni demaniali possono essere costituiti solo secondo le modalità previste ex lege; non si potrà perciò
usucapire un bene demaniale.
In ragione della loro incommerciabilità, sono nulli di diritto gli eventuali atti dispositivi da parte della pubblica
amm.ne che dispongono la vendita di beni demaniali i beni demaniali hanno infatti un vincolo reale che ne
rende impossibile la vendita ex art. 1418 cc.
I beni demaniali NON possono nemmeno essere oggetto di esproprio.
Sempre l’art. 823 cc dispone: “spetta all’amministrazione la tutela dei beni che fanno parte del demanio
pubblico” per tutelare questi beni l’amm.ne può esercitare per esempio i poteri di autotutela: invece che
ricorrere ai rimedi giurisdizionali previsti a tutela della proprietà, l’amm.ne può direttamente procedere a tutelare i
propri beni in via amm.va, irrogando sanzioni ed esercitando poteri di polizia demaniale.
Si tratta tuttavia di una norma avente una formulazione generica, che non soddisfa il principio di legalità, pertanto
non consentirebbe di affermare la sussistenza di un generale potere di autotutela in capo agli enti cui
appartengono i beni demaniali.
I beni demaniali naturali acquistano la demanialità per il solo fatto di possedere i requisiti previsti dalla legge.
I beni demaniali artificiali diventano invece demaniali nel momento in cui rientrino in uno dei tipi fissati dalla
legge vale a dire nel momento in cui l’opera viene realizzata purchè siano di proprietà dell’ente territoriale.
La cessazione della qualità di bene demaniale deriva:
dalla distruzione del bene
dalla perdita dei requisiti di bene demaniale
dalla cessazione della destinazione
intervento legislativo che sdemanializza alcuni beni
La sdemanializzazione comporta la cessazione del diritto di uso del bene spettante a terzi e l’estinzione delle
eventuali limitazioni derivanti dalla natura demaniale del bene stesso.
3.22.Il regime giuridico dei beni del patrimonio indisponibile. Il federalismo demaniale. L’amministrazione dei beni
pubblici.
I beni del patrimonio indisponibile sono quelli ex art. 826 cc commi 2 e 3 e ex art. 830 comma 2 cc.
L’art. 826 cc dispone: “Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato le foreste che a norma delle leggi in
materia costituiscono il demanio forestale dello Stato, le miniere, le cave e torbiere quando la disponibilità ne è
sottratta al proprietario del fondo, le cose d'interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e
artistico, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo, i beni costituenti la dotazione della
Presidenza della Repubblica , le caserme, gli armamenti, gli aeromobili militari e le navi da guerra.
Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato o, rispettivamente, delle province e dei comuni, secondo la
loro appartenenza, gli edifici destinati a sede di uffici pubblici, con i loro arredi, e gli altri beni destinati a un
pubblico servizio”.
L’art. 830 dispone: “I beni appartenenti agli enti pubblici non territoriali sono soggetti alle regole del presente
codice, salve le disposizioni delle leggi speciali.
Ai beni di tali enti che sono destinati a un pubblico servizio si applica la disposizione del secondo comma
dell'articolo 828”.
le cose mobili di interesse storico, paletnologico, paleontologico e artistico, appartenenti a qualsiasi ente
pubblico, sono assoggettate alla disciplina dei beni patrimoniali indisponibili, salvo che siano costituite in
raccolte di musei, pinacoteche, archivi e di biblioteche in qst caso sono beni del demanio accidentale.
i beni costituenti la dotazione della presidenza della repubblica, le caserme, gli armamenti, gli aeromobili
militari e le navi di guerra sono beni indisponibili interessati dal c.d. federalismo demaniale.
Si è in precedenza detto di come la classificazione dei beni demaniali di tipo codicistico sia entrata in crisi.
In specie qui rileva come la disciplina posta dal codice civile non risulta del tutto coerente, anche alla luce della
disciplina di settore.
Occorre considerare alcuni aspetti:
1. alcuni beni demaniali sono riservati necessariamente a taluni enti pubblici territoriali
2. analoghe considerazioni valgono per i beni del patrimonio indisponibile: alcuni sono riservati a enti
pubblici sicchè nessun altro soggetto dell’ordinamento è legittimato ad acquistarli
3. alcuni beni del patrimonio indisponibile sono incommerciabili in via assoluta in qnt si tratta di beni
riservati, come ad esempio le miniere
4. altri beni sono soggetti a un regime di inalienabilità, salvo permesso amministrativo, come per esempio i
beni forestali.
La giurisprudenza ha invece esteso al patrimonio indisponibile parte della disciplina dettata per il demanio e il
legislatore ha avvertito l’esigenza di assicurare una gestione più efficace anche del demanio. In qst quadro, i beni
servono sempre più spesso per assicurare entrate, derivanti dalla loro vendita.
Il quadro è però venuto a complicarsi con l’attuazione del federalismo fiscale ciò comporta una decisa riduzione
sia dell’ampiezza del demanio statale sia del n° dei beni pubblici nel loro complesso.
Obiettivo del federalismo fiscale è quello di attribuire i beni al livello territoriale più vicino alla collocazione dei beni
stessi ma anche quello di valorizzare al meglio, da parte degli enti locali, i beni in questione, evitando di lasciarne
la gestione allo stato.
Alcuni beni però non saranno oggetto di trasferimento e rimarranno nella sfera giuridica dello stato tali beni
sono inseriti in un’apposita black list e tra questi vi sono i beni del demanio marittimo direttamente utilizzati dalle
amministrazioni statali, i porti e gli aeroporti di rilevanza economica nazionale e internazionale, giacimenti
petroliferi e di gas.
Gli altri beni saranno invece ceduti e finiranno nel patrimonio disponibile degli enti destinatari e potranno essere
alienati solo previa autorizzazione attraverso le procedure per l’adozione delle varianti allo strumento urbanistico.
Gli enti destinatari di tali beni demaniali saranno regioni e province (l’attribuzione avverrà con decreto del
presidente del consiglio dei ministri) in particolare, alle regioni saranno trasferiti il demanio marittimo e i beni
del demanio idrico (salvo le eccezioni previste dalla legge).
Alle province si attribuiscono invece i laghi chiusi e le miniere.
Per qnt riguarda tutti gli altri beni, altri decreti avranno il compito di individuare gli immobili statali da assegnare e
gli enti destinatari, che dovranno farne richiesta motivata all’agenzia del demanio entro 60 gg dalla pubblicazione
dei decreti.
Sulla base delle domande, lo stato procede all’attribuzione dell’immobile all’ente territoriale. A conclusione del
procedimento viene attribuito il bene all’ente (mediante decreto adottato su proposta del ministero
dell’economia).
(Per qnt riguarda i beni culturali viene previsto un regime ad hoc: le attività di acquisto e alienazione di qst beni
spettano al ministero dell’economia, salvo il caso dei beni del demanio marittimo amministrati del ministero dei
trasporti e quelli del demanio idrico amministrati dal ministero dell’ambiente).
All’agenzia del demanio spetta il compito di individuare i beni del patrimonio immobiliare pubblico con decreti che
hanno effetto dichiarativo della proprietà.
Per qnt attiene al processo di privatizzazione dei beni appartenenti ad enti pubblici (venduti per avere entrate
finanziarie) questo avviene attraverso 3 modalità di dismissione:
1) il ministro dell’economia è autorizzato a sottoscrivere quote di fondi immobiliari istituiti ex l. 86/1994
mediante apporto di beni immobili e diritti reali su immobili appartenenti al patrimonio dello stato.
Il portafoglio dei fondi viene perciò finanziato attraverso la collocazione di quote sul mercato, mentre gli
investitori vengono remunerati dai proventi derivanti dalla gestione dei fondi.
2) i beni immobili di minore valore che appartengono allo stato, non conferiti nei fondi immobiliari, possono
essere oggetto di alienazione.
3) la dismissione può avvenire tramite cartolarizzazione: viene previsto che il ministero dell’economia possa
costituire o promuovere la costituzione di più società a responsabilità limitata (le c.d. Scip) che hanno ad
oggetto esclusivo la realizzazione di una o più operazioni di cartolarizzazione dei proventi mediante
emissione di titoli. Qnd vengono costituite, queste società corrispondono allo stato un prezzo iniziale, con
riserva di versare la differenza ad operazione completata.
Ma il legislatore non si preoccupa solo delle entrate derivanti dalle cessioni di beni.
Esso infatti mira anche alla VALORIZZAZIONE dei beni demaniali a riguardo la l. 133/2008 prevede che gli enti
predispongano un piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari, allegato al bilancio di previsione.
Il d.lgs. 85/2010 (c.d. federlismo fiscale) accentua il profilo della valorizzazione funzionale mediante alienazione.
Ma per raggiungere l’obiettivo della valorizzazione, oltre all’alienazione si può ricorrere anche a CONCESSIONI o
LOCAZIONI a titolo oneroso di beni immobili pubblici mediante procedura a evidenza pubblica.
Altra forma di valorizzazione è quella prevista all’art. 33 d.l. 98/2011 con cui viene ad essere costituita una società
di gestione del risparmio per l’istituzione di uno o più fondi di investimento che partecipino ai fondi di
investimento immobiliare chiusi promossi da regioni, province, comuni al fine di valorizzare o dismettere il proprio
patrimonio immobiliare disponibile.
delle riserve di pesca, delle concessioni di bene pubblico. In qst caso l’amministrazione, così come per i beni ad
uso generale, deve regolamentare e organizzare l’uso da parte dei terzi.
3.25.I beni privati di interesse pubblico: in particolare, i beni culturali appartenenti ai privati. Le reti. I commons.
La dottrina viene ad individuare una categoria ampia di beni che comprende quei beni che appartengono a
soggetti pubblici e beni in proprietà dei privatisi tratta dei beni di interesse pubblico, quali per esempio strade
vicinali, autostrade gestite da privati concessionari.
La ormai totalità dei beni, specie immobili, è ormai sottoposta a regime amministrativo, nel senso che l’uso degli
stessi e le facoltà dei proprietari sono spesso regolati da norme che attribuiscono compiti alle amministrazioni in
qst casi l’interesse pubblico è immanente al bene, come accade nel caso dei beni culturali di proprietà privata, in
specie opere di grande valore oggetto di dichiarazione ministeriale che accerti la sussistenza dell’interesse
culturale ma che sono di proprietà di un privato.
In dottrina si è perciò proposto di configurare il bene culturale come bene immateriale di proprietà pubblica e
distinto dal bene patrimoniale privato di cui quelle cose costituiscono il supporto materiale del bene.
Qualificando il bene come culturale operano quindi 2 regimi:
quello privato relativo alla titolarità formale del bene
quello pubblicistico connesso al rilievo del pubblico interesse del bene.
Emerge dunque un conflitto tra regime demaniale e normativa specifica dei beni culturali stessi. L’art. 822 cc si
riferisce agli “immobili riconosciuti di interesse storico, archeologico e artistico nonché alle raccolte dei musei, di
pinacoteche, archivi, biblioteche” mentre l’art. 53 d.lgs. 42/2004 afferma che “i beni culturali di cui all’art. 822 cc
costituiscono il demanio culturale”.
L’art. 55 d.lgs. 42/2004 dispone che per i beni culturali che facciano parte del demanio culturale e che non
rientrino nel campo di applicazione dell’art. 54 non vige la regola dell’inalienabilità ma quella dell’alienabilità previa
autorizzazione ministeriale.
Ecco dunque prevalere il regime dei beni culturali su quello demaniale.
Un caso analogo a quello dei beni demaniali riguarda le reti (si intendono le reti stradali, autostradali,
comunicative) gestite dai privati e necessarie per erogare servizi.
Le reti costituiscono un fattore di condizionamento della concorrenza tra gli operatori che devono avvalersi di
essere per prestare servizi sul mercato.
Altra categoria è quella dei c.d. commons. Si tratta di risorse che contengono sia aspetti relativi ai beni pubblici
(una volta prodotto il bene diventa impossibile escludere una soggetto dalla fruizione) sia aspetti relativi a beni
privati in senso economico (la fruizione da parte di uno impedisce l’utilizzo ad altro soggetto).
Tali beni, vista la difficoltà di essere classificati, vengono considerati come beni ad appartenenza collettiva ma
nulla viene detto in merito alla loro funzione.
Oggi il dibattito riguarda la possibilità di privatizzare o pubblicizzare questi beni. In ogni caso è pacifico che sia
responsabilità di tutti assicurarne un uso sostenibile, come nel caso dei commons ambientali o ittici.
CAP.4 - L’ORGANIZZAZIONE DEGLI ENTI PUBBLICI
4.1.Cenni all’organizzazione statale: quadro generale.
Lo stato-amministrazione può essere qualificato come ente pubblico. Quello che è problematico è il problema del
carattere unitario della sua personalità, considerando che oggi l’amm.ne statale ha perso la sua originaria
compattezza.
Tuttavia vi sono degli indici che fanno propendere per il carattere unitario dello stato-amministrazione. Tra questi
si ricordano la responsabilità unitaria dello stato verso terzi, la presenza di strutture organizzative di raccordo
orizzontale che uniscono le varie organizzazioni statali.
Ai sensi dell’art. 5 l. 400/1988, il PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI ha i seguenti compiti: “indirizza ai
ministri le direttive politiche e amministrative in attuazione delle deliberazioni del consiglio dei ministri, nonché
quelle connesse alla propria responsabilità di direzione della politica generale del governo”. “Coordina e promuove
l’attività dei ministri in ordine agli atti che riguardano la politica generale del governo”. “Adotta le direttive per
assicurare l’imparzialità, il buon andamento e l’efficienza dei pubblici uffici”. “Può disporre l’istituzione di particolari
comitati di ministri, ovvero di gruppi di studio e di lavoro”.
La presidenza del consiglio ha una sua struttura organizzativa, alla quale fanno capo vari dipartimenti e uffici:
responsabile del funzionamento del segretariato generale e della gestione delle risorse umane e strumentali della
presidenza è il segretario generale.
Ogni dipartimento si riparte in uffici e ogni ufficio è ripartito in unità operative di base (i servizi).
Il presidente individua gli uffici di diretta collaborazione propri e quelli dei ministri senza portafoglio.
Le funzioni del presidente del consiglio dei ministri sono quelle ex art. 2 l. 400/1988: ha funzione di indirizzo
politico- amministrativo ma ha anche poteri di indirizzo e coordinamento, nonché di annullamento di ufficio di atti
amministrativi.
I MINISTRI sono gli organi politici di vertice dei vari dicasteri, il cui numero e la loro organizzazione sono
disciplinati dal d.lgs. 130/1999.
Hanno una doppia anima: da un lato sono organi costituzionali, dall’altro sono i vertici dell’amministrazione.
Per l’esercizio delle funzioni di indirizzo politico- amministrativo, il ministro si avvale di uffici di diretta
collaborazione (staff) che hanno “esclusive competenze di supporto e di raccordo con l’amministrazione” si
tratta di uffici di alta amministrazione, che devono tradurre in obiettivi e programmi gli indirizzi politici.
Una particolare figura di ministro è quella dei c.d. MINISTRI SENZA PORTAFOGLIO: questi, pur essendo membri
del governo, non sono titolari di dicasteri e non hanno un apparato organizzativo di uffici.
Il ministro può poi essere coadiuvato da uno o più SOTTOSEGRETARI nominati con decreto del presidente della
repubblica. Questi giurano davanti al presidente del consiglio dei ministri ed esercitano le funzioni loro delegate
con decreto ministeriale.
A non più di 10 sottosegretari può essere conferito il titolo di VICE MINISTRO nel caso in cui abbiano ricevuto
deleghe relativa all’intera area di competenza di una o più strutture dipartimentali.
Nell’orbita ministeriale operano anche le AGENZIE, che sono strutture che svolgono attività a carattere tecnico-
operativo di interesse nazionale e di natura non economica. Gli obiettivi attribuiti all’agenzia sono definiti da
apposita convenzione da stipularsi tra il ministro competente e il direttore generale.
Esse hanno autonomia nei limiti stabiliti dalla legge e sono sottoposte al controllo da parte della Corte dei conti
nonché ai poteri di vigilanza del ministro.
Esempi di agenzie sono l’agenzia delle dogane e dei monopoli di stato, l’Aran, l’agenzia italiana del farmaco.
Gli uffici centrali del bilancio sono presenti in ogni ministero con portafoglio, sono dipendenti dal
dipartimento della ragioneria dello stato del ministero dell’economia.
L’Istat servizio nazionale di statistica, che si articola in una serie di uffici presenti presso ciascun
ministero
Avvocatura dello stato composta da legali che forniscono consulenza alle amministrazioni statali e
provvedono alla loro difesa in giudizio.
Al suo vertice vi è l’Avvocato generale dello stato, che ha sede a Roma e viene nominato con d.p.r. su
proposta del Presidente del consiglio dei ministri.
Pur facendo capo alla presidenza del consiglio, l’Avvocatura svolge le proprie funzioni in modo
indipendente.
Tesoreria dello stato è costituito dall’insieme di operazioni e atti attraverso i quali il denaro acquisito
dallo stato viene raccolto, conservato e impiegato.
Per gli uffici dell’amm.ne centrale statale il servizio veniva svolto dalla direzione generale del tesoro ma
con il d.lgs. 430/1997 si è stabilito che tale compito veniva affidato alla Banca d’Italia.
Con la l. 196/2009 si è poi previsto che gli enti locali possono gestire fuori dalla tesoreria dello stato tutte
le entrate proprie: questo sistema è stato tuttavia sospeso dal d.l. 1/2012, dove si prevede che gli enti
locali, anche se dotati di un proprio tesoriere, devono mantenere le proprie disponibilità liquide in
contabilità speciali presso le sezioni di tesoreria dello stato.
4.4.Il consiglio di Stato, la Corte dei conti e il Cnel
Il CONSIGLIO DI STATO è l’organo di consulenza giuridico- amministrativa e di tutela della giustizia
dell’amm.ne. Si tratta di un autonomo potere dello stato che può rendere pareri anche alle regioni.
Le sezioni consultive del Cds sono 3 (prima, seconda e terza sezione) cui si aggiunge quella istituita ex l.
127/1997 per l’esame degli schemi di atti normativi in ordine ai quali il parere è prescritto per legge o è
cmq richiesto dall’amm.ne.
La CORTE DEI CONTI esercita sia funzioni di controllo sia funzioni giurisdizionali, esercita altresì funzioni
consultive con riferimento ai disegni di legge governativi che modificano la legge sulla contabilità dello
stato e alle proposte di legge che riguardano l’ordinamento e le funzioni della Corte.
L’art. l. 131/2003 è intervenuta in materia di contabilità pubblica, prevedendo che la corte non possa
esprimere valutazioni su casi specifici.
Accanto a tutte qst funzioni, vi sono poi le funzioni certificative in materia di contrattazione collettiva la
Corte verifica l’attendibilità dei costi quantificati e la loro compatibilità con gli strumenti di
programmazione e bilancio.
La Corte di conto esercita altresì anche funzione referente, che trova fondamento nell’art. 100 Cost. ove si
dispone che “la Corte riferisce direttamente alle camere sul risultato del riscontro eseguito”.
La Corte dei conti è potere dello stato qnd svolge attività di controllo preventivo e successivo sulla
gestione “dal momento che tale funzione, per qnt ausiliare, risulta caratterizzata dalla piena autonomia
dell’organo investito del suo esercizio”, come affermato da Corte cost. sent. 406/1989.
Con sent. 335/1995 la Corte cost. ha escluso la legittimazione delle sezioni di controllo della corte dei
conti a sollevare questioni di costituzionalità in sede di riscontro successivo di gestione mentre la corte
può sollevare questione di legittimità con riferimento alle leggi che la corte dei conti medesima deve
applicare nell’esercizio della sua funzione di controllo preventivo dei decreti governativi.
L’art. 108 comma 2 Cost. prevede che “la legge assicura l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni
speciali”. Sotto il profilo organizzativo, l’indipendenza della corte dei conti è accentuata dalla presenza di
un organo di autogoverno della corte stessa, costituito dal consiglio di presidenza.
La separatezza dall’esecutivo risulta in parte ridotta in ragione del fatto che la nomina di una limitata
quota dei posti di consigliere spetta al governo.
Per l’esercizio delle funzioni amm.ve, la sede di Roma della Corte dei conti è composta da 5 sezioni di
controllo. In ogni regione esiste poi una sezione regionale di controllo, che è composta dal presidente e
da almeno 3 magistrati (l’art. 11 l. 15/2009 prevede che, a seguito dell’introduzione dei controlli interni, vi
sia adeguamento dewll’organizzazione delle strutture di controllo della corte dei conti, stabilendo che il
numero, la composizione e la sede degli organi della corte dei conti adibiti a compiti di controlo
preventivo su atti o successivo su pubbliche gestioni siano determinati dalla corte stessa).
Ulteriore compito della corte dei conti è quello di nomofilachia al fine di prevenire o risolvere contrasti
interpretativi, la sezione centrale di Roma della corte dedita al controllo preventivo degli atti emana una
delibera di orientamento alla quale le sezioni regionali di controllo si conformano.
Il Cnel (consiglio nazionale dell’economia e del alvoro) previsto ex art. 99 Cost. come organo ausiliario del
governo non è inserito nell’apparato amm.vo.
È composto dal presidente e da 64 membri e svolge compiti di consulenza tecnica (rendendo pareri
facoltativi) e di sollecitazione nelle materie dell’economia e del lavoro dell’attività del parlamento, del
governo e delle regioni.
Gli istituti pubblici sono invece organismi che fanno parte di un ente e creati per la produzione e la prestazione di
beni e servizi a terzi.
È il caso degli istituti di istruzione, delle unità sanitarie locali e delle aziende di trasporto e di fornitura di servizi.
Tra gli istituti pubblici si possono ricordare: l’Iss (istituto superiore di sanità), musei e biblioteche statali cui sia
attribuita autonomia scientifica, finanziaria, organizzativa e contabile ex d.lgs. 368/1998.
Si discute se le autorità indipendenti si caratterizzino sotto il profilo funzionale in ragione dello svolgimento di
funzioni omogenee a riguardo è difficile dare una risposta in generale. Si osserva che esse si differenziano da
altri organi dello stato perché esercitano funzioni non già consultive o di controllo, bensì di amministrazione attiva.
Le autorità indipendenti sono titolari di poteri provvedimentali sia sanzionatori sia regolamentari e in alcuni casi
gestiscono procedure di conciliazione. Esercitano anche funzioni giustiziali, risolvendo con decisioni autoritative
dispute e decidendo reclami che non richiedono il previo accordo delle due parti.
Si assiste dunque ad una deroga al principio di separazione dei poteri. Inoltre le autorità di regolazione
dispongono di poteri ulteriori, come ad esempio nel caso dell’Agcm quello di impugnare gli atti amministrativi.
I vertici delle autorità diverse da quelle che operano nel settore delle telecomunicazioni, elettricità e del gas (i
vertici di queste autorità sono nominati con d.p.r. su proposta del Presidente del consiglio) sono nominati o
designati dai presidenti delle camere o eletti per metà dalla camere e per metà dal senato.
I vertici sono collegiali. Alla cessazione dell’incarico i componenti non possono essere nuovamente nominati
componenti di un’autorità indipendente per un periodo pari a 2 anni.
Ciò che caratterizza queste autorità è il requisito dell’INDIPENDENZA DAL POTERE PUBBLICO DEL GOVERNO,
sebbene a questo devono comunque trasmettere reazioni in ordine all’attività svolta. Come conseguenza della loro
indipendenza, le autorità indipendenti non sono tenute a conformarsi all’indirizzo politico del governo e adottano,
in posizione di relativa terzietà, decisioni simili a quelle degli organi giurisdizionali.
Un caratteristica che permette di qualificare le autorità indipendenti è quella della NEUTRALITà, vale a dire esse
sono indifferenti rispetto agli interessi che sono in gioco sotto qst profilo questi soggetti si differenziano dagli
altri enti pubblici i quali sono, in qualche modo, rapportati allo stato. Le amministrazioni indipendenti invece
rispondono alla logica di dislocare “al di fuori della sfera di influenza politica settori amministrativi ritenuti
particolarmente delicati”.
Proprio perché non rispondono politicamente all’esecutivo, alcuni autori hanno sollevato dubbi di legittimità
costituzionale di queste figure si sosteneva che, essendo prive di copertura costituzionale, sfuggissero al
modello generale fondato sul principio delle responsabilità ministeriale.
Alcuni, per legittimarle, sostenevano invece che tali autorità avessero natura squisitamente tecnica dei poteri loro
attribuiti, il cui fine era quello volto alla tutela dei valori costituzionali quali privacy, risparmio, tutela dei
consumatori etc tuttavia tale teoria non regge: infatti molti dei poteri delle autorità indipendenti non sono
squisitamente tecnici.
La dottrina ha cercato di valorizzare, in passato, il rapporto diretto di legittimazione politica che corre tra autorità
e parlamento, il quale vigila e controlla tali soggetti. In forza di ciò, le autorità indipendenti sono state inserite nel
circuito della responsabilità politica, ma esclusi dal meccanismo di quella ministeriale.
Accanto al tema dell’indipendenza, altra questione centrale è quella relativa alla DISCREZIONALITà TECNICA di
cui le autorità indipendenti godono a riguardo, mancando un modello normativo unitario, le autorità
indipendenti sono raggruppate secondo diversi modelli:
autorità che agiscono in modo trasversale al fine di proteggere un determinato interesse esse
esercitano i propri poteri con riferimento alla pluralità di soggetti che operano in un certo ambito
autorità che vigilano su mercati settoriali come ad esempio la Consob e Banca d’Italia
autorità preposte alla vigilanza e regolazione di alcuni mercati dei servizi pubblici che hanno la
caratteristica di essere stati liberalizzati. (in tema di liberalizzazione intesa come apertura del mercato
occorre precisare: un conto è liberalizzare un settore nel senso di rimettere completamente alla dinamica
del mercato la cura di interessi rilevanti, altro conto è intervenire per ridurre limiti e vincoli là dove gli
ostacoli da rimuovere sono giuridici, nel senso che le misure sostanzialmente protezionistiche impediscono
l’accesso di nuovi operatori al mercato, pertanto in qst secondo caso si deve procedere all’abbattimento
delle barriere giuridiche e dei regimi amministrativi).
Nel caso in cui si procede alla liberalizzazione di un certo settore, ne consegue la necessità di interventi
amministrativi che ne accompagnino l’apertura, ma senza eliminare in radice i poteri pubblici: si impone
anche una regolazione, posto che una liberalizzazione pura lascerebbe irrisolto il problema di
salvaguardare esigenze in senso lato collettive a fronte della pluralità di gestori. Vengono quindi ad essere
create delle regole di comportamento suscettibili di evitare il pericolo che la ricerca del profitto frustri
finalità sociali e collettive. Inoltre la regolazione mira a garantire che la competizione avvenga ad armi
pari impedendo ad esempio la formazione di posizioni restrittive della concorrenza.
Ma la nozione di regolazione può anche essere intesa in senso lato quale introduzione di regole applicabili
ai soggetti che operano sul mercato.
Tra le autorità di regolazione si può ricordare l’Autorità per l’energia elettrica e il gas, l’Autorità per le
garanzie delle comunicazioni queste hanno il compito di regolare e controllare un settore sensibile,
proteggendo gli interessi degli utenti e disponendo di poteri di segnalazione, fissazione degli standard,
criteri e parametri di riferimento.
Figura che invece si occupa di questioni diverse da quelle che impegnano le autorità ma che presenta con esse
profili di analogia è il DIFENSORE CIVICO in precedenza vi era il difensore civico comunale che però, con la l.
191/2009, è stato soppresso e le sue funzioni sono ora attribuite al difensore civico provinciale.
È quel soggetto che fa da snodo informale tra cittadini e poteri pubblici, in grado di assicurare una maggiore
trasparenza dell’organizzazione amm.va.
La legge attribuisce a tale organo una pluralità di funzioni che costituiscono il limite stesso dell’istituto tra le sue
funzioni:
la tutela dei cittadini
la difesa della legalità
la ricerca della trasparenza
finalizzare l’azione volta al miglioramento dei rapporti tra cittadini- amm.ne
la responsabilizzazione dei soggetti pubblici.
Il difensore civico NON può annullare o riformare atti, non può imporre misure sanzionatorie o emanare
provvedimenti decisori.
Altra categoria di entri strumentali è quella degli enti pubblici economici: sono enti titolari di impresa e agiscono
con gli strumenti di diritto comune.
La tendenza legislativa è quella di trasformarli in società per società per azioni, sebbene non si tratti di regola
assoluta.
In dottrina e giurisprudenza non vi è unanimità di vedute in merito alla nozione di economicità: talora si richiede
la necessità che l’attività sia svolta per fini di lucro in regime di concorrenza, altre volte per economicità si intende
l’astratta idoneità a conseguire utili previsti in funzione della remunerazione del costo di produzione o di scambio
di beni o servizi.
All’interno degli enti economici si distingue tra:
- enti che svolgono direttamente attività produttiva di beni e servizi
- enti che detengono partecipazioni azionarie in società a capitale pubblico.
Poiché tali enti operano con gli strumenti del diritto comune, si contesta ad essi la riferibilità dell’autarchia in
ogni caso un minimo di potestà pubblica esiste, pertanto essi possono emanare provvedimenti amministrativi.
Gli ordini e collegi professionali sono enti pubblici associativi che sono esponenziali della categoria di professionisti
che realizzano l’autogoverno della categoria stessa.
Normalmente gli ordini riguardano soggetti che per svolgere la professione hanno bisogno della laurea, come nel
caso di avvocati, ingegneri, medici, dottori commercialisti.
Le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura sono enti di diritto pubblico che svolgono funzioni di
interesse generale per il sistema delle imprese. Sono enti ad appartenenza necessaria di tipo associativo, a
competenza territorialmente limitata, che raggruppano commercianti, industriali, agricoltori e artigiani.
In ordine al problema del rapporto, a livello regionale, tra le funzioni amm.ve statali e quelle regionali, deve
essere ricordato che la Costituzione ne affidava il coordinamento al Commissario del governo nella regione tale
figura è stata abrogata con l. cost. 3/2001 per le regioni a statuto ordinario.
Un impulso al perfezionamento del sistema regionale è avvenuto con la l. 59/1997, che ha dato attuazione al
titolo v della Costituzione, che imponeva l’attribuzione alle regioni delle funzioni loro spettanti, nel segno del
rafforzamento delle autonomie territoriali.
La legge in questione ha utilizzato il termine conferimento, comprensivo dei vari istituti mediante i quali funzioni e
compiti potevano essere assegnati, nel quadro costituzionale allora vigente, a regioni, comuni, province, comunità
montane e altri enti locali.
Tale legge era ispirata al principio di sussidiarietà, realizzato attraverso la ripartizione delle funzioni tra stato e
regioni, ove si disponeva che la competenza in generale è della regione, fatti salvi i compiti e le funzioni statali
attinenti ad una serie di materie. Il comma 4 dell’art. 118 Cost. lasciava poi allo stato alcuni compiti in via
esclusiva.
Con il d.lgs. 112/1998 si è concretamente realizzato il conferimento di funzioni e compiti alle regioni tra le
materie interessate dal conferimento vi erano: sviluppo economico e attività produttive, territorio, ambiente e
infrastrutture, servizi alla persona e alla comunità, polizia amm.va locale e regionale.
L’art. 4 comma 1 l. 59/1997 disponeva che la regione conferiva a province, comuni e altri enti locali “tutte le
funzioni che non richiedono l’unitario esercizio a livello regionale”.
Con la riforma del titolo v della Costituzione con l. cost. 3/2001, questa ha comportato la modifica della fisionomia
delle regioni, sia sotto il profilo delle funzioni legislative sia amministrative. In specie, la modifica dell’art. 118
Cost. dispone che i comuni sono titolari di tutte le funzioni amministrative, secondo il modello dei poteri
originari tale lettura si ricava dal coma 1 art. 118 Cost.
Tuttavia un’altra lettura dell’articolo in questione riteneva che le funzioni e i poteri sono ad essi conferiti (a
comuni, province, città metropolitane) da regioni e stato tale lettura si ricava dal coma 2 art. 118 Cost. ove si
parla di “funzioni conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze”.
L’opinione maggioritaria è quella secondo cui occorre una legge per distribuire le funzioni che comportino
l’esercizio di poteri amministrativi, considerando che l’art. 118 Cost. esprime al più un indirizzo per il legislatore a
favore dei comuni. Ciò non esclude che vi sia un’area di funzioni proprie, che eccede l’esercizio di poteri
pubblicistici e che l’ente pubblico, sempre che si tratti di attività espressione dei bisogni della collettività e
connaturate al nucleo storico dell’ente, può svolgere esercitando capacità di diritto privato anche senza copertura
legislativa.
Tuttavia la corte costituzionale, con sentenza, ha negato che esistano funzioni ontologicamente locali sent.
238/2007.
Accanto alle funzioni proprie degli enti locali, vi sono poi le funzioni fondamentali di comuni, province e città
metropolitane, che danno sostanza all’autonomia e alla missione che l’ente è chiamato a svolgere in seno
all’ordinamento. Ai sensi dell’art. 117 comma 2 lett. p) le funzioni di comuni, province e città metropolitane è
rimessa unicamente alla legge dello stato.
La Corte cost. con sent. 22/2014 ha chiarito che l’individuazione delle funzioni fondamentali di tali enti spetta allo
stato, mentre la disciplina e l’organizzazione della funzione spetta a chi, stato o regione, è intestatario della
materia cui la funzione medesima si riferisce.
Quanto ai limiti che le regioni incontrano nell’esercizio delle funzioni amministrative, punto centrale è dato dalla
configurazione di un potere governativo di indirizzo e coordinamento “attinente ad esigenze di carattere unitario”.
L’art. 120 Cost. indica i casi in cui il governo può esercitare poteri sostitutivi tale previsione tipizza le esigenze
unitarie che erano alla base del potere di indirizzo e coordinamento.
La Corte cost. con sent. 303/2003 ribadisce la presenza di istanze unitarie in un ordinamento, attribuendo così al
governo il potere di indicare criteri e di formulare direttive nei confronti di regioni e province autonome “ai fini del
soddisfacimento di esigenze di carattere unitario, del perseguimento degli obiettivi della programmazione
economica”.
Il nuovo art. 120 Cost. disciplina il potere sostitutivo del governo nei confronti degli “organi delle regioni, delle
città metropolitane, delle province, dei comuni in caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della
normativa comunitaria oppure di grave pericolo per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo
richiedano la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali”. L’ultimo comma
poi dispone: “la legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del
principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione”.
La corte cost., con sent. 11/2005, ha ritenuto che l’art. 120 Cost. abbia introdotto un potere governativo
“straordinario”, finalizzato alla tutela di alcuni specifici interessi unitari.
Sempre per qnt attiene ai rapporti stato- regione, importante è poi il potere governativo di annullamento degli atti
amministrativi regionali, il sistema dei controlli statali delineato dall’ordinamento in ordine agli atti regionali e
all’autonomia finanziaria delle regioni per qnt riguarda il potere governativo di annullare atti amministrativi
regionali, la Corte cost. con la sentenza 229/1989 ha dichiarato incostituzionale il potere in questione.
Per qnt riguarda i controlli, ai sensi dell’art. 125 Cost. gli atti amm.vi erano soggetti al controllo di legittimità
esercitato da un organo dello stato con l’abrogazione di detto articolo tale potere è venuto meno, tuttavia
rimangono i controlli esterni, finanziari e sul bilancio esercitati dalla corte dei conti.
Per qnt attiene al controllo sugli organi, l’art. 126 Cost. prevede la possibilità che il consiglio regionale venga
sciolto e il Presidente della giunta rimosso con d.p.r. qnd abbiano compiuto atti contrari alla costituzione o gravi
violazioni di legge. (lo scioglimento del consiglio regionale può però avvenire anche per altre ragioni, quali ad
esempio la sicurezza nazionale, l’approvazione di una mozione di sfiducia del presidente della giunta, la morte o le
dimissioni del presidente della giunta regionale).
In ordine ai rapporti finanziari tra stato e regione, ai sensi dell’art. 119 Cost., “le regioni, comuni, province e città
metropolitane hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa” ma solo “nel rispetto dell’equilibrio dei relativi
bilanci e concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento
dell’Unione europea”. Ai sensi del comma 2, esse “stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia
con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”. Ai sensi
del comma 3, “dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio”.
Per qnt attiene al ruolo dello stato, esso ha competenza esclusiva nella materia dell’armonizzazione dei bilanci
pubblici, mentre il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario è invece materia di legislazione
concorrente lo stato fissa quindi solo i principi fondamentali.
L’art. 119 cost., al comma 4, prevede l’istituzione di un “fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i
territori con minore capacità fiscale per abitante” e, ai sensi dell’ultimo comma, la destinazione da parte dello
stato di “risorse aggiuntive nonché l’effettuazione di interventi speciali in favore di determinate regioni o enti locali
per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere squilibri economici e
sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale
esercizio delle loro funzioni”.
Le regioni e gli enti locali possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento, con la
contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna
regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio.
L’art. 119 cost. ha trovato una prima attuazione con il d.lgs. 42/2009, che prevede che le regioni dispongano di
tributi propri e di compartecipazioni al gettito di tributi erariali. La delega è stata esercitata con d.lgs. 168/2011
sull’autonomia tributaria di regioni e province e sui costi standard del sistema sanitario.
Dal principio di autonomia finanziaria deriva che la regione ha un bilancio autonomo rispetto a quello statale.
-L’organizzazione regionale
Per qnt attiene all’organizzazione regionale, con specifico riguardo al diritto amministrativo, si rileva che:
il consiglio regionale esercita le potestà legislative e le altre funzioni ad esso conferite dalla costituzione e
dalle leggi
la giunta regionale è l’organo esecutivo che esercita potestà regolamentare
il presidente della giunta regionale rappresenta la regione, dirige la politica della giunta e ne è
responsabile, promulga le leggi ed emana i regolamenti regionali. Salvo che lo statuto regionale disponga
diversamente, il presidente della giunta è eletto a suffragio universale e diretto. Il presidente nomina e
revoca i componenti della giunta.
La l. 148/2011 dispone che le regioni debbono adeguare i rispettivi ordinamenti a taluni parametri relativi al
numero massimo di consiglieri e assessori.
Atteso che la regione dispone di funzioni amministrative, esiste anche un apparato amministrativo regionale, che
si distingue in centrale e periferico.
Per la cura degli interessi ad essa affidata, la regione può avvalersi anche di enti pubblici dipendenti, che sono
uffici regionali entificati.
Tra i soggetti di diritto pubblico che operano nell’ambito dell’organizzazione regionale vi sono poi le aziende
sanitarie locali, che hanno il compito di assicurare livelli di assistenza sanitaria uniforme nel proprio ambito
territoriale.
L’art. 118 Cost. dispone: “le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio
unitario, siano conferite a province, città metropolitane, regioni e stato, sulla base dei principi di sussidiarietà,
differenziazione ed adeguatezza”.
Nel definire in cosa consistono gli enti locali occorre considerare l’art. 1 l. 59/1997, che prevede che enti locali
siano anche le comunità montane e consorzi. Tuttavia l’art. 2 T.U. enti locali precisa che per enti locali si
intendono “i comuni, le province, le città metropolitane, le comunità montane, isolane e le unioni di comuni”.
All’art. 3 si dispone che “i comuni e le province hanno autonomia statutaria, nonché autonomia impositiva e
finanziaria nell’ambito dei propri statuti e regolamenti e delle leggi di coordinamento della finanza pubblica”.
Punto importante nel processo di rafforzamento dell’autonomia degli enti locali è la disciplina del federalismo,
nonché le decisioni legislative relative al biennio 2010/12 si è previsto che le province subissero una
razionalizzazione delle loro funzioni.
L’art. 3 T.U. enti locali definisce comune “quell’ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli
interessi e ne promuove lo sviluppo”.
L’art. 13 attribuisce al comune “tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione e il territorio
comunale precipuamente nei settori organici dei servizi sociali, dell’assetto e dell’utilizzo del territorio e dello
sviluppo economico”.
Ma con il 2011, anno in cui si è provveduto alle riforme per qnt riguarda i piccoli comuni, si è previsto che i
comuni con popolazione fino a 5000 abitanti ovvero fino a 3000 abitanti se appartengono a comunità montane
(esclusi i comuni il cui territorio coincide integralmente con quello di una o di più isole e il comune di Campione
d’Italia), esercitano obbligatoriamente in forma associata, mediante unione di comuni o convenzione, le funzioni
fondamentali. Tali convenzioni hanno durata almeno triennale.
Variabile è il numero e la composizione degli organi di governo del comune per i comuni fino a 3000 abitanti
questo è composto dal sindaco, 10 consiglieri e massimo 2 assessori. Per i comuni che vanno da 3000 a 10000
abitanti, questi sono composti dal sindaco, 12 consiglieri e massimo 4 assessori.
Organi di governo sono:
sindaco Il sindaco è l’organo responsabile dell’amm.ne del comune.
Rappresenta l’ente, convoca e presiede la giunta, sovrintende al funzionamento dei servizi e degli uffici e
all’esecuzione degli atti.
Sulla base degli indirizzi stabiliti dal consiglio comunale, provvede alla nomina, designazione e revoca dei
rappresentanti del comuni presso enti, aziende e istituzioni.
È rieleggibile per massimo 2 mandati consecutivi (salvo si tratti di comuni fino a 3000 abitanti). Nel caso
di comuni con più di 15000 abitanti, la carica di sindaco è incompatibile con quella di parlamentare o di
membro del governo.
È eletto a suffragio universale e diretto dei cittadini. Nei comuni con popolazione superiore ai 15000
abitanti è previsto un sistema proporzionale con un premio di maggioranza.
Il sindaco è eletto con un doppio turno elettorale, con ballottaggio tra i 2 candidati che abbiano ottenuto il
maggior n° di voti, salvo il caso in cui nella prima tornata un candidato abbia ottenuto la maggioranza
assoluta dei voti. Dopo la proclamazione, il sindaco giura dinnanzi al consiglio.
I dirigenti comunali sono responsabili, in relazione agli obiettivi dell’ente, della correttezza amministrativa e
dell’efficienza della gestione ed hanno i compito di attuare gli obiettivi e programmi predefiniti con atti di indirizzo
adottati dall’organo politico.
L’art. 108 T.U. enti locali prevede che il sindaco, per quei comuni con popolazione superiore ai 100000 abitanti,
previa deliberazione della giunta comunale, possa nominare un direttore generale (conosciuto anche come city
manager), al di fuori della dotazione organica e con contratto a tempo determinato.
Al vertice della struttura burocratica dell’ente comunale è collocato il segretario comunale, organo alle dipendenze
dello stato e nominato dall’amministrazione degli interni.
svolge compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico- amministrativa nei confronti degli organi
dell’ente in ordine alla conformità dell’azione amm.va alle leggi, allo statuto e ai regolamenti.
Partecipa alle riunioni del consiglio con funzioni consultive e referenti.
Può rogare tutti i contratti nei quali l’ente è parte e autenticare scritture private nell’interesse dell’ente.
Rende il parere di regolarità tecnico- contabile sulle proposte di deliberazione sottoposte alla giunta e al
consiglio allorché l’ente non abbia funzionari responsabili dei relativi servizi.
Vi sono poi tutta una serie di controlli interni degli enti locali ex art. 147 ss T.U. enti locali si tratta di 6 tipologie
di controllo interno.
Tali controlli sono organizzati dagli enti, nell’esercizio della propria autonomia, in osservanza al principio di
separazione tra funzione di indirizzo e compiti di gestione. Partecipano ai controlli il segretario dell’ente, il
direttore generale, laddove previsto i responsabili dei servizi e le unità di controllo.
I controlli sono:
controllo di regolarità amministrativa e contabile su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla
giunta e al consiglio che non sia mero atto di indirizzo deve essere richiesto il parere, in ordine alla sola
regolarità tecnica, del responsabile del servizio interessato e, qualora comporti riflessi diretti e indiretti
sulla situazione economico- finanziaria dell’ente, del responsabile di ragioneria in ordine alla regolarità
contabile. Se giunta o consiglio comunale non intendono conformarsi al parere, devono darne adeguata
motivazione nella delibera.
Il responsabile del servizio di ragioneria è preposto alla verifica di veridicità delle previsioni di entrata e di
compatibilità delle previsioni di spesa e della salvaguardia degli equilibri finanziari complessivi della
gestione e dei vincoli di finanza pubblica. Per qnt attiene alla procedura di controllo, essa consta di 2 fasi:
1. nella fase preventiva il controllo è effettuato in sede di rilascio del parere di regolarità tecnica mentre il
controllo contabile è esercitato attraverso il rilascio del parere di regolarità contabile.
2. nella fase successiva il controllo di regolarità amm.va è assicurato secondo principi generali di revisione
aziendale e modalità definite nell’ambito dell’autonomia organizzativa dell’ente. Sono oggetto di controllo
le determinazioni dell’impegno di spesa, i contratti e gli altri atti amm.vi.
Il controllo sugli equilibri finanziari viene svolto sotto la direzione e il coordinamento del responsabile del
servizio finanziario e mediante la vigilanza dell’organo di revisione.
Controllo strategico l’ente locale definisce metodologie di controllo strategico finalizzate alla rilevazione
dei risultati conseguiti rispetto agli obiettivi predefiniti, degli aspetti economico- finanziari, dei tempi di
realizzazione, delle procedure operative attuate, della qualità dei servizi e del grado di soddisfazione della
domanda espressa.
Controllo di gestione ha ad oggetto l’intera attività ed è disciplinato ex art. 196 T.U. enti locali. È volto
ad ottimizzare il rapporto tra obiettivi e azioni realizzate, nonché tra risorse e risultati. Si articola in 3 fasi:
predisposizione di un piano dettagliato degli obiettivi, rilevazione dei dati relativi ai costi ed ai proventi
nonché rilevazione dei risultati raggiunti, valutazione dei dati predetti in rapporto al piano degli obiettivi al
fine di verificare il loro stato di attuazione e misurare l’efficacia dell’azione intrapresa.
Controlli sulle società partecipate sono esercitati dalle strutture proprie dell’ente locale. L’ente locale
effettua un monitoraggio periodico sull’andamento delle società, analizza gli scostamenti rispetto agli
obiettivi assegnati e individua le opportune azioni correttive.
Controllo della qualità dei servizi erogati viene misurata la soddisfazione degli utenti esterni ed interni
all’ente.
Controllo sugli organi spetta allo stato. Viene esercitato attraverso il potere di scioglimento dei consigli
comunali locali e provinciali in capo al presidente della repubblica, su proposta del ministro dell’interno.
Tra le cause di scioglimento vi sono:
a) compimento di atti contrari alla costituzione
b) impossibilità di assicurare il normale funzionamento degli organi
c) impedimento permanente, rimozione, decadenza, decesso del sindaco o presidente della provincia.
Con il decreto di scioglimento si provvede alla nomina di un commissario che esercita le funzioni fissate
nel decreto.
L’art. 234 T.U. stabilisce poi che “la revisione economico- finanziaria sia affidata ad un collegio dei revisori dei
conti”. I revisori dei comuni sono eletti dai consigli e vengono scelti 1 tra gli iscritti al registro dei revisori contabili,
1 tra gli iscritti nell’albo dei dottori commercialisti, 1 tra gli iscritti all’albo dei ragionieri e rimangono in carica 3
anni, con possibilità di rielezione. NON sono revocabili, salvo che per inadempienza.
Un ruolo chiave nella contabilità dei comuni è rappresentato dal c.d. PATTO DI STABILITà ove si prevede, al fine
di rispettare gli impegni europei, che anche province, comuni debbano ridurre il disavanzo onde concorrere alla
realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica. Il mancato rispetto del patto comporta sanzioni finanziarie che
vanno dalla riduzione del fondo sperimentale di riequilibrio al divieto di ricorrere all’indebitamento per spese di
investimento fino al divieto di adozione di un piano di stabilizzazione.
Il compito di controllare il rispetto di tale patto spetta alla Corte dei conti ai sensi dell’art. 148 bis T.U. si impone
anche agli enti locali di adottare provvedimenti correttivi.
In caso di inerzia dell’ente locale o di accertata inidoneità dei provvedimenti correttivi, la sanzione viene ad essere
gravosa visto che viene preclusa l’attuazione dei programmi di spesa per i quali è stata accertata la mancata
copertura economica.
In capo a province e comuni viene poi previsto il compito di predisporre una relazione di fine mandato, ove è
contenuta la descrizione dettagliata delle principali attività normative e amministrative svolte durante la legislatura
con riferimento al sistema ed esiti dei controlli interni e degli eventuali rilievi della Corte dei conti. La relazione
viene sottoscritta dal presidente della provincia/sindaco non oltre i 60° gg antecedente la data di scadenza del
mandato. Inoltre province e comuni sono tenuti a redigere una relazione di inizio mandato, volta a verificare la
situazione finanziaria e patrimoniale e la misura dell’indebitamento dei medesimi enti.
Le forme associative fin qui viste e disciplinate dal T.U. enti locali possono essere così ordinate:
accordi di programma per la definizione e attuazione di opere e interventi
convenzioni al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati
uffici comuni
delega
consorzi
esercizio associato di funzioni e servizi
unioni di comuni.
In tema di decentramento, accanto ai municipi vengono poi previste anche altre articolazioni del territorio
comunale:
circoscrizioni sono organismi di partecipazione, consultazione e gestione dei servizi di base, nonché di
esercizio delle funzioni delegate dal comune. Stando alla l. 42/2010, esse devono essere soppresse, salvo
il caso di comuni con più di 250000 abitanti.
consorzi di funzioni tra enti locali
frazioni
Quartieri
Per qnt attiene alle comunità montane, queste sembrano destinate ad essere trasformate in Unioni di comuni
montani.
Dalla capacità giuridica si distingue la capacità di agire che, ai sensi dell’art. 2 cc., consiste nell’idoneità a gestire
le vicende delle situazioni giuridiche di cui il soggetto è titolare e che si acquista con il compimento del
diciottesimo anno di età, salvo che la legge non stabilisca un’età diversa”. Si discute se la capacità di agire possa
essere riferita direttamente all’ente o sia in capo all’organo che fa agire lente manca a riguardo un’opinione
unanime. Se si ritiene che l’ente, in virtù dell’immedesimazione organica, abbia capacità di agire, questo risponde
direttamente per gli illeciti compiuti dai propri dipendenti. Se invece si ritiene che la capacità di agire spetta solo
alle persone fisiche preposte agli organi, allora la responsabilità dell’ente, se costoro commettono degli illeciti, è
indiretta.
La capacità di agire, occorre poi precisare, differisce dalla c.d. legittimazione ad agire, la quale si riferisce a
situazioni specifiche e concrete, effettivamente sussistenti. In sostanza per legittimazione si intende la
specificazione in direzioni determinate della capacità di agire, astratta e generale.
Potere e diritto sono termini inconciliabili, infatti dove c’è potere non ci può essere diritto soggettivo e viceversa
tale affermazione va però temperata, poiché esistono numerosi poteri amministrativi che fanno fronte al
riconoscimento di diritti soggettivi. Tuttavia, poiché il diritto amministrativo incide la sfera del privato, il potere
deve essere tipico (=predeterminato dalla legge), in ossequio al principio di legalità: la LEGGE deve quindi
individuare tutti gli elementi del potere (soggetto che lo esercita, oggetto, contenuto, forma etc) onde evitare che
vi siano rischi di auto attribuzione di poteri da parte dell’amministrazione, il che comporterebbe una sua
prevalenza assoluta.
Le norme che riconoscono il potere pubblico e fanno prevalere l’interesse pubblico su quello privato sono le
NORME DI RELAZIONE, che mirano a risolvere conflitti intersoggettivi di interessi. Esse esprimono un giudizio
relazionale tra interessi e tutelano in modo esclusivo quello del privato entro il limite al di là del quale viene
protetto l’interesse della pubblica amministrazione.
Oltre ai poteri, vi sono situazioni sfavorevoli che non sono racchiuse in rapporti concreti queste situazioni sono
qualificate come DOVERE: è un vincolo giuridico a tenere un certo comportamento (facere/ non facere). Ad
esempio un dovere cui è tenuta l’amministrazione è quello di osservare il principio di buona fede e correttezza,
nonché il dovere di rispettare i diritti altrui.
Qnd la necessità di tenere quel comportamento sia correlata al diritto altrui viene a costituirsi un OBBLIGO è il
vincolo del comportamento del soggetto in vista di uno specifico interesse di chi è titolare della situazione di
vantaggio. L’amministrazione può essere soggetta ad obblighi, ad esempio qualora stipuli un contratto, essa è
obbligata ad adempierlo.
-Interesse legittimo
Nei confronti dell’esercizio del potere, il privato si trova in uno stato di soggezione, come ad esempio accade per il
soggetto che partecipa ad un concorso pubblico in qst caso il soggetto ha interesse a farsi assumere ma, di
contro, l’interesse pubblico richiede che siano assunti candidati competenti a ricoprire la mansione. Ecco che di
fronte al potere di selezione del candidato da parte dell’ente pubblico il privato non è titolare di un diritto
soggettivo.
Tuttavia l’interesse può essere di 2 tipi:
interesse pretensivo è il caso del privato che pretende qualcosa dallamm.ne
interesse oppositivo il privato si oppone all’esercizio di un potere da parte dell’am.ne.
in questi casi l’unico interesse che ha il privato è quello a che l’attività della pubblica amm.ne si svolga in modo
corretto e legittimo.
Esistono quindi interessi di soggetti dell’ordinamento che da questo sono tutelati che però non trovano
nell’ordinamento medesimo alcuna garanzia di realizzazione dell’interesse finale.
Questa antinomia rende controversa la figura dell’interesse legittimo si tratta di una situazione soggettiva di
vantaggio, che viene anche prevista in Costituzione agli artt. 24 dove ne viene garantita la tutela giurisdizionale,
103 ove è contemplata quale oggetto principale della giurisdizione amm.va, 113 ove si precisa che la sua tutela è
sempre ammessa contro gli atti dell’amm.ne.
Nel ns ordinamento l’interesse legittimo è talvolta accostato al diritto soggettivo indice del carattere omogeneo
delle 2 situazioni. La differenza tra i 2 va però ricercata nel diverso tipo di garanzia e protezione accordato
dall’ordinamento: una prima tesi mette in evidenza il modo occasionale e/o strumentale della protezione, in qnt
essa è assicurata solo nei limiti in cui l’azione amministrativa sia legittima, per cui il cittadino non può esigere la
soddisfazione dell’interesse al bene, mettendo così in ombra il carattere soggettivo della situazione.
La tesi maggioritaria ritiene invece che la situazione di cui il cittadino è titolare è di vantaggio sostanziale, protetta
non solo in modo strumentale come conseguenza della legittimità dell’operato dell’amm.ne in qnt pone in primo
piano il conseguimento del bene resta però ferma che la soddisfazione del bene è soltanto eventuale.
In definitiva, l’interesse legittimo è una situazione soggettiva di vantaggio a progressivo rafforzamento, la cui
unitarietà permane in ragione dell’attinenza a un medesimo bene finale cui l’individuo aspira.
Nella prima fase, l’interesse legittimo garantisce la mediazione dellamm.ne in forza di poteri tipici, il cui esercizio è
sindacabile dal giudice. Nell’ambito della seconda fase invece rileva il profilo della legittimità dell’azione, limite di
soddisfazione dell’aspirazione del soggetto e, infatti, la tutela è tradizionalmente costituita dall’annullamento
dell’atto. Si evince dunque come per l’interesse legittimo il giudizio di meritevolezza è affidato alla dinamica
dell’esercizio del potere che si svolge in seno all’ordinamento dell’amministrazione.
Per qnt attiene ai poteri riconosciuti al titolare dell’interesse legittimo, alcuni mirtano alla pretesa finale, altri in
vece prescindono da essa.
Tra i poteri si ricordano:
poteri di reazione il loro esercizio si concretizza nei ricorsi amm.vi e nei ricorsi giurisdizionali, volti ad
ottenere l’annullamento dell’atto
poteri di partecipazione partecipazione al procedimento amministrativo, dialogando con
l’amministrazione
potere di accesso ai documenti l’art. 22 l. 241/1990 ammette tale possibilità per i portatori di interessi
giuridicamente rilevanti.
Accanto all’interesse legittimo, vi è poi una peculiare figura, vale a dire quella degli interessi procedimentali
attengono a fatti procedimentali. In dottrina tuttavia si ritiene che siano facoltà che attengono all’interesse
legittimo.
In ogni caso l’interesse legittimo sorge non già tutte le volte in cui un soggetto venga in qualche modo implicato
dall’esercizio di un potere, bensì quando la soddisfazione del suo interesse dipende dall’esercizio di un potere. Ad
esempio, come stabilito dalla Cassazione, “non si può ritenere che, per i solo motivo della partecipazione
procedimentale, l’interesse procedimentale si trasformi in interesse legittimo”. Nel caso invece della partecipazione
a procedimenti ad evidenza pubblica, il Consiglio di stato ha affermato come “la posizione soggettiva tutelabile
sorge solo in capo a chi legittimamente sia stato ammesso alla procedura”.
interesse economico o generale o aventi carattere di monopolio fiscale”, che sono sottoposte alle norme
del Trattato e “in particolare alle regola della concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non
osti all’impedimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata”.
Tutelata è poi anche la libertà di circolazione dei beni.
Inoltre il diritto Ue impone alcuni obblighi di servizio pubblico ai gestori nelle ipotesi in cui occorra soddisfare
determinati criteri di continuità, regolarità e capacità cui il privato non si atterrebbe ove seguisse solo il proprio
interesse economico.
-I poteri amministrativi: poteri autorizzatori (in particolare: potere pubblico, accesso al mercato e liberalizzazione)
Il potere autorizzatorio ha l’effetto di rimuovere i limiti posti dalla legge all’esercizio di una preesistente situazione
di vantaggio. Il suo svolgimento comporta la previa verifica della compatibilità di tale esercizio con un interesse
pubblico.
L’uso del potere produce l’effetto giuridico di modificare una situazione soggettiva preesistente, consentendone
l’esplicazione o l’esercizio in una direzione in precedenza preclusa.
Attraverso l’esercizio del potere autorizzatorio, l’amministrazione esprime il proprio consenso preventivo all’attività
progettata dal richiedente, come ad esempio il permesso di costruire, contemporaneamente esercitando un
controllo preventivo.
L’autorizzazione non si limita in genere a consentire l’esercizio di una situazione di vantaggio preesistente ma,
sempre più spesso, l’ordinamento tende a rendere servente l’interesse privato rispetto a quello pubblico,
conformando l’azione dell’autorizzato in vista del conseguimento dell’interesse pubblico. Spesso poi
l’autorizzazione instaura una relazione tra soggetto pubblico e privato, caratterizzata dalla presenza di poteri di
controllo e di vigilanza in capo in capo all’amministrazione, preordinati alla verifica del rispetto delle condizioni e
dei limiti imposti all’esercizio dell’attività consentita mediante atto autorizzatorio.
In giurisprudenza, poi, si riconosce all’autorizzazione un effetto costitutivo, poiché viene a costituirsi una nuova
situazione giuridica Corte cost. sent. 112/1993.
Dal ceppo del provvedimento autorizzativo, dottrina e giurisprudenza hanno poi individuato alcune figure
specifiche:
abilitazione è un atto il cui rilascio è subordinato all’accertamento dell’idoneità tecnica di soggetti a
svolgere una certa attività.
nullaosta è un atto endoprocedimentale necessario, emanato da un’amministrazione diversa da quelle
procedente, con cui si dichiara che, in relazione ad un particolare interesse, non sussistono ostacoli
all’adozione del provvedimento finale. Il diniego del nullaosta costituisce fatto impeditivo della conclusione
del procedimento ai sensi degli artt. 14ss l. 241/1990 si consente di superare il dissenso manifestato
dall’amministrazione chiamata ad esprimere la compatibilità del provvedimento finale con l’interesse di cui
è portatrice mediante rilascio del nullaosta.
dispensa è espressione del potere che l’ordinamento, pur vietando o imponendo in generale un certo
comportamento, attribuisce all’amministrazione consentendole in alcuni casi di derogare all’osservanza del
relativo divieto o obbligo, come ad esempio la dispensa dal servizio militare
approvazione provvedimento permissivo, che ha ad oggetto non già un comportamento ma un atto
rilasciato, a seguito di una valutazione di opportunità e convenienza dell’atto stesso.
licenza provvedimento che permette lo svolgimento di un’attività previa valutazione della sua
corrispondenza ad interessi pubblici ovvero dalla sua convenienza in settori non rientranti nella signoria
dell’amministrazione ma sui quali essa soprintende a fini di coordinamento.
Per qnt riguarda le liberalizzazioni, la materia è stata oggetto di numerosi interventi legislativi, tra i quali si
ricordano il d.l. 138/2011, d.l. 201/2011, d.l. 1/2012, d.lgs. 59/2010. In questi decreti, oltre alla deliberazione, si
tratta dei temi della deregolamentazione e semplificazione.
Il d.l. 138/2011 prevede che per ciò che attiene alle attività economiche, impone che comuni, province, regioni e
stato adeguino i rispettivi ordinamenti al principio secondo cui l’iniziativa e la libertà economica privata sono libere
ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge. La norma è stata però con sent. 200/2012
dichiarata incostituzionale nella parte in cui dispone la soppressione automatica delle norme con essa in contrasto.
Il d.l. 201/2011 ribadisce il principio della libertà di accesso, di organizzazione e di svolgimento delle attività, fatte
salve le esigenze imperative di interesse generale e abroga immediatamente molte delle restrizioni previste nel
testo precedente.
Il d.l. 1/2012 l’art. 1 introduce un meccanismo di abrogazione basato sull’emanazione di regolamenti
governativi. Le disposizioni che in ogni caso sopravvivono sono cmq interpretate ed applicate in senso tassativo,
restrittivo e ragionevolmente proporzionato.
Alla luce di qst quadro normativo, è probabile che, in applicazione del principio di proporzionalità, si alleggerisca il
condizionamento pubblicistico, riducendo le restrizioni e gli assensi all’accesso al settore di mercato. Nelle aree
liberalizzate saranno ampliati gli spazi di utilizzo della Scia e dell’autocertificazione.
La normativa, per essere pienamente efficace, manca tuttavia dei regolamenti attuativi. A riguardo, occorre però
precisare, che sono state emanate norme specifiche per qnt riguarda la materia del commercio, farmacie e
servizio di trasporto: è stata infatti istituita un’apposita autorità di regolazione dei trasporti.
-I poteri concessori
L’esercizio di tali poteri produce l’effetto di attribuire al destinatario (titolare di interessi legittimi pretensivi)
medesimo status e situazioni giuridiche (diritti) che esulavano dalla sua sfera giuridica in qnt precedentemente
egli non ne era titolare.
Esempi di concessioni sono quelli relativi alla concessione di uso di beni, di esercizio di servizi pubblici, della
cittadinanza, di costruzione e gestione di opere pubbliche.
A livello europeo, autorizzazioni e concessioni vengono spesso accomunate, in generale mirando a ridurre la
discrezionalità pura dell’amministrazione nella prospettiva della liberalizzazione.
-I poteri ablatori
Incidono negativamente sulla sfera giuridica del destinatario, nel senso che impongono obblighi ovvero
sottraggono situazioni favorevoli in precedenza pertinenti al privato, attribuendole all’amministrazione.
Tra i poteri ablatori si ricordano:
espropriazione provvedimento che ha l’effetto di costituire un diritto di proprietà o altro diritto reale in
capo ad un soggetto, previa estinzione del diritto in capo ad altro soggetto, al fine di consentire la
realizzazione di un’opera pubblica o per altri motivi di pubblico interesse e dietro versamento di un
indennizzo come previsto ex art. 42 comma 3 Cost.
La disciplina dell’espropriazione per pubblica utilità è prevista nel d.p.r. 327/2001. La corte cost. con sent.
348/2007 ha affermato l’incompatibilità della disciplina sull’indennizzo introdotta ex art. 5 bis d.l.
133/1992 con quella dell’art. 1 primo protocollo allegato della Cedu, pronunciando l’illegittimità
costituzionale della disciplina per contrasto con l’art. 117 comma 1 Cost.
L’esercizio del potere di esproprio si articola nella previa dichiarazione di pubblica utilità delle opere e nella
successiva espropriazione.
occupazione temporanea può essere disposta quando ciò sia necessario per la corretta esecuzione dei
lavori, prevedendo la relativa indennità.
Caso particolare è quello dell’occupazione d’urgenza e riguarda le situazioni in cui l’avvio dei lavori sia
urgente. Tuttavia a volte succede che l’amministrazione, pur in presenza di un’opera già realizzata durante
la pendenza di occupazione temporanea, l’amministrazione non riesce a concludere nei termini il
procedimento espropriativo a riguardo la Cassazione sostiene che, a condizione che si sia verificata
l’irreversibile trasformazione dell’immobile, l’amministrazione acquista comunque la proprietà
dell’immobile, che deve però risarcire il danno al privato, che si vede preclusa la possibilità di ottenere la
restituzione del bene: si tratta dalla c.d. occupazione acquisitiva o accessione invertita. Secondo la Cedu
l’accessione invertita viola l’art. 1 del protocollo addizionale n. 1 della Convenzione e il principio di legalità
intenso in senso sostanziale come prevedibilità dei comportamenti dell’amministrazione.
requisizioni sono provvedimenti mediante i quali l’amministrazione dispone della proprietà o comunque
utilizza un bene di un privato per soddisfare un interesse pubblico.
Si distingue tra:
a) requisizioni in proprietà riguardano solo cose mobili e possono essere disposte dietro
corresponsione di un’indennità
b) requisizioni in uso ha come presupposto l’urgente necessità. Riguarda sia beni mobili sia
immobili e comporta la possibilità di poter utilizzare il bene. È assistita dai caratteri dell’urgenza,
temporaneità, indennità.
confisca provvedimento ablatorio a carattere sanzionatorio, come conseguenza della commissione di un
illecito amministrativo.
Sequestro provvedimento ablatorio di natura cautelare, che mira a salvaguardare la collettività dai rischi
derivanti dalla pericolosità del bene
Tra i poteri ablatori vi rientrano gli ordini: si tratta di provvedimenti che incidono non sui diritti reali ma sulla sfera
giuridica del privato, privandolo di un diritto o di una facoltà. Impongono un comportamento al destinatario. Si
distinguono in:
comandi ordini da fare
divieti ordini di non fare
-Poteri sanzionatori
Poteri il cui esercizio produce effetti sfavorevoli in capo al destinatario.
Per sanzione si intende la conseguenza sfavorevole di un illecito applicata coattivamente dallo stato o da altro
ente pubblico; per illecito si intende invece la violazione di un precetto compiuta da un soggetto.
La sanzione è quindi la misura retributiva nei confronti del trasgressore o del responsabile dell’illecito.
I caratteri della sanzione sono:
afflittività
conseguenza dell’antigiuridicità di un comportamento tenuto dal soggetto
La sanzione amministrativa non ha un contenuto peculiare, ma si individua in modo residuale, quale misura
afflittiva che non consiste né in una sanzione civile né in una sanzione penale.
Possono coinvolgere solo beni che la Costituzione non assoggetta ad una riserva di giurisdizione.
Si può quindi definire sanzione amministrativa quella misura afflittiva che non consiste in una pena criminale o in
una sanzione civile, irrogata nell’esercizio di potestà amministrative come conseguenza di un comportamento
assunto da un soggetto in violazione di una norma o di un provvedimento amministrativo o, comunque, irrogata al
responsabile cui l’illecito sia imputato.
Quale il fine della sanzione amm.va?
Alcuni sostengono che il fine sia garantire lo specifico interesse affidato alla cura dell’amministrazione
Alcuni sostengono che abbia come fine l’esercizio dell’autotutela
Alcuni sostengono che il fine sia esclusivamente quello punitivo. Per quanto concerne la punibilità, le sanzioni
punitive sono sottoposte ad un regime di garanzie unitario e analogo a quello applicabile alle sanzioni penali. A tal
proposito, la Cedu ha affermato che viola il principio del ne bis in idem la contestuale inflazione di una sanzione
amministrazione e di quella penale Cedu, sent. 4 marzo 2014, ricorso 18640/10.
I principi generali della sanzione amministrativa sono esplicitati nella l. 689/1981 nella quale sono contenuti
principi di tipo garantistico modellati, anche se parzialmente, su quelli penalistici e sono:
il principio di legalità in merito a tale principio, ci si chiede se ricomprende anche la legge regionale.
Dalla lettura dell’art. 9 comma 2 l. 689/1981 si evince l’ammissibilità di una disciplina regionale in materia
di sanzioni amministrative.
divieto di analogia è vietata l’analogia in malam partem, mentre ci si interroga se sia ammissibile
l’analogia in bonam partem
principio di irretroattività l’art. 1 comma 1 l. 689/1981 dispone che “nessuno può essere assoggettato a
sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione
della violazione”. In tema di irretroattivtà è comunque intervenuta la Corte cost. con sent. 196/2010, che
ha dichiarato incostituzionale la normativa interna che prevede la retroattività della sanzione.
La violazione del precetto dà luogo all’illecito amministrativo per il quale la l. 689/1981 prevede una riserva di
legge vuol dire che l’illecito deve essere previsto dalla legge e non può essere disciplinato da fonti di grado
secondario, sebbene la giurisprudenza ammetta la possibilità che le fonti secondarie possano integrare i precetti
normativi.
Per qnt attiene all’elemento psicologico, è richiesto il dolo o la colpa la giurisprudenza ritiene però sufficiente la
coscienza e volontà della condotta ed è il trasgressore che deve dimostrare l’assenza della colpa.
La buona fede può valere come causa di esclusione della responsabilità qnd l’errore sulla liceità del fatto risulti
incolpevole Cass., sent. 14107/2003.
Altresì l’ordinamento prevede in alcune ipotesi la responsabilità delle persone giuridiche, le quali sono quindi
assoggettabili a sanzioni pecuniarie, come ad esempio l’art. 19 l. 287/1990 in relazione all’inottemperanza del
divieto di concentrazione delle imprese o all’obbligo di notifica.
-I poteri di ordinanza, i poteri di programmazione e di pianificazione, i poteri di imposizione dei vincoli, i poteri di
controllo
Il potere di ordinanza, che viene esercitato in situazioni di necessità e urgenza, è caratterizzato dal fatto che la
legge non predetermina in modo compiuto il contenuto della situazione in cui il potere può concretarsi. Tale
potere sembra dunque non rispettare il principio di tipicità dei poteri amministrativi che impone la previa
individuazione degli elementi essenziali dei poteri a garanzia dei destinatari degli stessi.
La Corte cost. (sentenze 26/1961 e 127/1995) ha però fissato alcuni limiti nel rispetto dei quali la legge che
riconosce il potere di ordinanza è compatibile con la Costituzione:
rispetto delle riserve di legge
rispetto dei principi dell’ordinamento generale
necessità di un’adeguata motivazione e di efficace pubblicazione
efficacia limitata nel tempo di tali provvedimenti.
Nelle materie non coperte da riserva di legge, l’ordinanza può addirittura derogare temporaneamente alla
legislazione preesistente.
Esempio di ordinanza è quello delle ordinanze contingibili e urgenti del sindaco di cui all’art. 54 T.U. enti locali, le
ordinanze di pubblica sicurezza, le ordinanze che possono essere adottate nelle situazioni di emergenze sanitarie
o di igiene pubblica.
Tali ordinanze vanno distinte dai provvedimenti d’urgenza, che sono atti tipici e nominati, suscettibili di essere
emanati sul presupposto dell’urgenza ma i cui contenuto è predeterminato dal legislatore, come ad esempio
l’ordinanza che i ministro dell’ambiente può emanare per ingiungere a coloro che siano risultati responsabili di
illecito ambientale il ripristino ambientale a titolo di risarcimento in forma specifica.
Taluni vincoli comportano un’incisione a titolo particolare sui caratteri fondamentali del bene: è il caso dei vincoli
urbanistici a tempo indeterminato di inedificabilità assoluta o preordinati all’espropriazione che, in ragione della
loro indole ablatoria, vale a dire si assiste allo svuotamento della proprietà del suo contenuto essenziale, debbono
essere indennizzati.
Per qnt attiene al potere di controllo, questo ricorre anche nei rapporti dell’amministrazione con i privati. Il
controllo presuppone di norma l’avvenuta instaurazione di una peculiare relazione tra privato e amministrazione,
che può sorgere a seguito di un atto concessorio, autorizzatorio o a seguito della Scia.
Distinti dai certificati sono gli attestati, che sono atti amministrativi tipici ma insuscettibili di creare la medesima
certezza legale creata dai certificati e che, a differenza di questi, non mettono in circolazione una certezza creata
da un atto di certazione.
Differenti sono poi le attestazioni atipiche, ad esempio gli attestati di frequenza a corsi, che creano solo una
presunzione e gli atti di notorietà, che sono atti formati, su richiesta di un soggetto, da un pubblico ufficiale.
Le dichiarazioni sostitutive sono dichiarazioni fatte dal privato che prova, nei suoi rapporti con l’amministrazione,
fatti stati e qualità, a prescindere dall’esibizione dei relativi certificati tale atto sostituisce quindi una
certificazione pubblica, producendone lo stesso effetto giuridico. La mancata accettazione della dichiarazione
sostitutiva costituisce violazione dei doveri d’ufficio.
Vi sono 2 tipi di dichiarazioni sostitutive:
la dichiarazione sostitutiva di certificazione documento sottoscritto dall’interessato in sostituzione dei
certificati
dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà atto con cui il privato comprova, nel proprio interesse e a
titolo definitivo, tutti gli stati, fatti e qualità personali non compresi in pubblici registri, albi ed elenchi,
nonché stati, fatti e qualità personali relativi ad altri soggetti di cui egli abbia diretta conoscenza.
Le dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà da produrre a organi dell’amministrazione oi ai gestori o
esercenti di pubblici servizi sono sottoscritte dall’interessato in presenza del dipendente addetto e non è
richiesta l’autenticazione (a riguardo, l’inesistenza della sottoscrizione è vizio non sanabile di nullità della
dichiarazione, così come l’omessa allegazione della copia del documento rende nullo l’atto per difetto di
forma essenziale).
L’art. 71 T.U. enti locali dispone che il controllo sulle dichiarazioni sostitutive debba avvenire, anche a campione, e
in tutti i casi in cui sorgano fondati dubbi sulla loro veridicità. Tale controllo è effettuato secondo 2 modalità:
consultando direttamente gli archivi dell’amministrazione certificante
ovvero richiedendo alla medesima conferma scritta della corrispondenza di quanto dichiarato con le
risultanze dei registri.
In caso di non veridicità del contenuto delle dichiarazioni, oltre alle sanzioni penali, la legge prevede che il
dichiarante decada dai benefici eventualmente conseguiti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione
non veritiera.
Si è poi previsto che le dichiarazioni sostitutive possono essere utilizzate anche nei rapporti tra privati che vi
consentano: in tal caso, l’amministrazione competente per il rilascio della relativa certificazione, previa definizione
di appositi accordi, è tenuta a fornire, su richiesta del privato corredata dal consenso del dichiarante conferma
scritta della corrispondenza di quanto dichiarato con le risultanze dei dati custoditi.
Per qnt riguarda le certificazioni dei privati, queste attengono alla conformità di prodotti o metodi di produzione a
norme e standard tecnici. In alcuni casi si tratta di certificazioni prodotte da imprese non controllate da soggetti
pubblici ma accreditate da organismi privati.
-Cenni ad alcune tra le più rilevanti vicende giuridiche il cui studio interessa il diritto amministrativo: il decorso del
tempo e la rinuncia
Il DECORSO DEL TEMPO produce la nascita o la modificazione di una serie di diritti ed è alla base degli istituti
della prescrizione e decadenza.
Il potere, in qnt attribuito della soggettività, non è trasmissibile né prescrittibile a seguito del decorso del tempo
a riguardo, la giurisprudenza afferma che anche nell’ipotesi in cui sia scaduto il termine di novanta giorni per
decidere un ricorso gerarchico, non si consuma il potere di decidere il ricorso, sicchè l’amministrazione può
emanare una decisione tardiva.
Il tempo, unitamente all’esercizio di un diritto, è alla base dell’istituto dell’usucapione dei diritti reali ma per qnt
attiene al diritto amministrativo occorre ricordare che NON è ammesso l’acquisto per usucapione di diritti su beni
demaniali.
Tra gli atti che producono vicende estintive di diritti si annovera la rinuncia: negozio che produce effetto
abdicativo cui può seguire un effetto traslativo o estintivo.
Il potere, intrasmissibile e imprescrittibile, non può essere oggetto di un atto di rinuncia.
Sono invece rinunciabili i diritti soggettivi, salvo che il legislatore non imponga un divieto a tutela dell’interesse del
titolare.
L’interesse legittimo NON può essere oggetto di rinuncia in quanto il titolare non può disporre del potere ad esso
correlato: l’interesse legittimo segue il potere e il suo esercizio.
Ciò non esclude che vi sia la tendenza, nell’ordinamento, a espungere alcuni atti vincolati dal novero dei
provvedimenti, sostituendoli con meccanismi diversi e a predisporre forme di tutela particolare con riferimento ai
casi di attività vincolata o qnd non residuino ulteriori margini di discrezionalità.
La discrezionalità, inoltre, si riduce anche in forza del c.d. autovincolo dell’amministrazione, che predefinisce criteri
e modalità cui si atterrà nelle proprie scelte.
La DISCREZIONALITà AMMINISTRATIVA è quindi lo spazio di scelta che residua allorchè la normativa di azione
non predetermini in modo completo tutti i comportamenti dell’amministrazione.
Può attenere a vari profili dell’azione amministrativa, quali il contenuto del provvedimento, la stessa decisione
relativa al “se” e “quando” rilasciare il provvedimento.
La discrezionalità in questione non è esercitata in osservanza di norme predefinite; le regole che presiedono allo
svolgimento della discrezionalità si evincono in occasione della rilevazione della loro violazione, che dà luogo al
vizio di eccesso di potere e si riassumono nel principio di logicità- congruità vuol dire che la scelta deve risultare
logica e congrua tenendo conto dell’interesse pubblico perseguito.
Tale discrezionalità, nota anche come “discrezionalità pura”, va tenuta distinta dalla DISCREZIONALITà TECNICA,
che si collega ad una valutazione si tratta della possibilità di valutazione che spetta all’amministrazione allorchè
sia chiamata a qualificare fatti suscettibili di varia valutazione e si riduce ad un’attività di giudizio a contenuto
scientifico, effettuata da chi gode di specifiche competenze tecniche.
Esiste poi la c.d. DISCREZIONALITà MISTA allorquando coesistono discrezionalità amm.va pura e discrezionalità
tecnica.
L’insieme delle soluzioni ipotizzabili come compatibili con il principio di congruità in un caso determinato definisce
il merito amministrativo, che normalmente è sottratto al sindacato del giudice amministrativo e attribuito alla
scelta esclusiva dell’amministrazione.
Per qnt riguarda le norme di relazione, utilizzando il criterio funzionale- oggettivo che le distingue delle norme di
azione, anche nella Costituzione possono essere individuate norme direttamente attributive di poteri e diritti,
come ad esempio nel caso del diritto alla salute di cui all’art. 32 Cost.--> questo viene considerato sia come fonte
di diritto soggettivo sia come norma che richiede un successivo intervento del legislatore che disciplina l’azione e
l’organizzazione al fine di soddisfare la pretesa dei consociati.
-Cenni ad alcuni riflessi della distinzione tra norme di relazione norme di azione sui problemi della difformità
dell’atto dal paradigma normativo e del riparto di giurisdizione
Le norme di relazione proteggono i diritti soggettivi; alla violazione di una norma di relazione consegue la lesione
di un diritto soggettivo, il quale verrà tutelato dal giudice ordinario, il quale sindaca la violazione delle norme di
relazione.
Il rispetto delle norme di relazione è condizione per la produzione degli effetti. L’atto amm.vo emanato in assenza
di potere è NULLO ed è sindacabile dal giudice ordinario.
Il giudice ordinario ha giurisdizione nei casi in cui l’amministrazione abbia agito in CARENZA DI POTERE, ponendo
in essere un atto nullo. A riguardo, l’art. 21 septies l. 241/1990 dispone: “è nullo il provvedimento amministrativo
che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione” e “negli altri casi
espressamente previsti dalla legge”questi casi sono previsti nel d.lgs. 104/2010 ove si elencano le ipotesi di atto
nullo adottato in violazione o elusione del giudicato e tali provvedimenti sono sotto la giurisdizione del giudice
amministrativo.
Per qnt attiene alle norme di azione, poiché l’azione amministrativa è legittimamente svolta quando sia posta in
essere nel rispetto delle suddette norme e poiché l’interesse legittimo è la pretesa alla legittimità dell’azione
amministrativa, si può concludere che l’interesse legittimo è anche la pretesa all’osservanza delle norme di azione.
La tutela dell’interesse legittimo è giurisdizione del giudice amministrativo.
Tuttavia, se sono rispettate le norme di relazione che attribuiscono il potere, l’atto finale non è nullo gli effetti
prodotti dall’atto sono però precari: in qnt il potere è stato esercitato in modo non corretto, vi è cattivo esercizio
del potere e il giudice che accerta ciò deve eliminare l’atto e i suoi effetti il giudice, ai sensi dell’art. 21 octies l.
241/1990, annulla il provvedimento. “il provvedimento è annullabile quando adottato in violazione di legge o
viziato da eccesso di potere o da incompetenza”.
-Le norme prodotte dalle fonti comunitarie
Tra le fonti che rilevano vi sono:
regolamenti comunitari sono atti di portata generale, obbligatori e direttamente applicabili nei rapporti
verticali tra pubblico potere e cittadini.
Secondo la Corte costituzionale, il regolamento comunitario deve essere applicato dal giudice interno
anche disapplicando la legge nazionale incompatibile, sicchè la norma regolamentare comunitaria finire
per costituire parametro di legittimità dell’atto amministrativo.
Il potere- dovere di disapplicazione della normativa interna riguarda anche il giudice amministrativo.
direttive comunitarie sono vincolanti per lo stato membro in ordine al risultato da raggiungere, salva
restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi per conseguire quel
risultato.
Con riguardo alle direttive, è stata individuata una particolare categoria: le c.d. direttive self executing,
ovvero le direttive direttamente applicabili dall’amministrazione. L’amministrazione italiana, in caso in cui
la normativa italiana contrasti con quella comunitaria, è tenuta a disapplicare la normativa interna, come
affermato già nel 1989 dalla Corte di Giustizia.
La giurisprudenza comunitaria si è poi soffermata sul problema del regime del provvedimento puntuale e concreto
che contrasta con disposizioni comunitarie direttamente applicabili in qst caso il provvedimento interno andrà
disapplicato da parte del giudice.
L’attività amministrativa dell’amministrazione è soggetto non solo al principio di preferenza della legge ma anche a
quello di legalità impone che ogni forma di manifestazione di attività normativa trovi il proprio fondamento in
una legge generale, che indichi l’organo competente e le materie in ordine alle quali esso può esercitarla.
Difficoltosa è poi l’individuazione dei caratteri degli atti normativi soggettivamente amministrativi: a riguardo, la
categoria degli atti amministrativi generali spesso è facilmente differenziabile da quella degli atti normativi.
Alcuni hanno individuato come criterio formale di distinzione tra atti normativi e atti amministrativi il fatto che gli
atti normativi sono sottoposti ad un particolare iter procedimentale cos’ come i regolamenti emanati dal
Presidente della repubblica.
-I regolamenti amministrativi
Si distinguono in:
regolamenti governativi per la loro emanazione, la legge richiede la deliberazione del consiglio dei
ministri, sentito il parere del Consiglio di stato. Sono emanati con d.p.r. e sono sottoposti al visto e alla
registrazione della Corte dei conti. Sono pubblicati in Gazzetta ufficiale e devono essere espressamente
denominati “regolamenti”.
I regolamenti governativi sono poi di diversi tipi:
1. regolamenti esecutivi rappresentano le fonti governative mediante le quali sono poste norme di
dettaglio rispetto alla legge o al d.lgs.
2. regolamenti attuativi e integrativi sono tali rispetto a leggi che pongono norme di principio.
Possono essere adottati al di fuori delle materie riservate alla competenza regionale.
3. regolamenti indipendenti sono emanati per disciplinare le materie in cui ancora manchi la
disciplina da parte di leggi o atti aventi forza di legge, sempre che non si tratti di materie
comunque riservate alla legge.
4. regolamenti che disciplinano l’organizzazione e il funzionamento delle amministrazioni pubbliche.
5. regolamenti di delegificazione possono essere adottati solo a seguito di una specifica previsione
di legge nelle materie non coperte da riserva di legge. Si abroga la disciplina di grado primario e
si passa ad una disciplina di gradi secondario.
6. regolamenti ministeriali regolamento adottato dal ministro competente. Il loro fondamento è la
legge che conferisce il potere al ministro di emanare regolamenti ministeriali per quella materia.
Vanno comunicati al Presidente del consiglio prima della loro emanazione.
7. regolamenti interministeriali regolamenti che attengono a materie di competenza di più ministri.
-Le altri fonti secondarie: in particolare, statuti e regolamenti degli enti locali. I testi unici e le funzioni normative
delle autorità indipendenti.
L’autorità normativa è riconosciuta non solo a stato e regioni ma anche ad altri enti pubblici, che si estrinseca
mediante l’emanazione di statuti e regolamenti.
L’autonomia statutaria e regolamentare degli enti locali è stata riconosciuta dalla l. 142/1990, secondo un modello
nel quale alla legge spetta dettare le linee fondamentali dell’organizzazione dell’ente, lasciando alle scelte
autonome la possibilità di arricchire e integrare tale disegno.
Il rapporto dello statuto con la legge è un rapporto di competenza lo statuto è infatti atto di espressione di
autonomia costituzionalmente riconosciuta, che deve unicamente osservare i principi fissati dalla Costituzione,
senza che vi sia spazio per una diretta ingerenza della legge statale o regionale negli ambiti non espressamente
assoggettati a disciplina legislativa.
Inoltre, l’art. 114 Cost dispone che “comuni, province e città metropolitane sono enti autonomi con propri statuti…
secondo i principi fissati dalla Costituzione”.
Ai sensi della l. 131/2003 art. 4, lo statuto è deliberato dal consiglio comunale, in armonia con la Costituzione e
con i principi generali in materia di organizzazione pubblica, nel rispetto di qnt stabilito dalla legge statale in
attuazione dell’art. 117 comma 2 lett. p).
Ma la normazione degli enti locali non si esaurisce solo con lo statuto. L’art. 117 comma 6 Cost. dispone che
“comuni, province e città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e
dello svolgimento delle funzioni loro attribuite”. Inoltre l’art. 4 comma 4 l. 131/2003 prevede che “la disciplina
dell’organizzazione, dello svolgimento e della gestione delle funzioni dei comuni, delle province e delle città
metropolitane è riservata dalla potestà regolamentare dell’ente locale, nell’ambito della legislazione dello stato o
della regione, che ne assicura i requisiti minimi di uniformità, secondo le rispettive competenze”.
Rimane però il dubbio su come il regolamento sia da qualificare: va inteso come fonte di pari grado o di rango
secondario rispetto allo statuto?
Alla luce dell’art. 114 Cost., il regolamento sembra da intendersi come fonte di rango secondario rispetto allo
statuto: infatti lart. 114 Cost. parla di “propri statuti” e non di regolamenti.
Per qnt attiene ai TESTI UNICI, questi raccolgono in un unico corpus tutte le norme che disciplinano una certa
materia. NON hanno carattere innovativo delle fonti preesistenti ma hanno solo effetto ordinatorio è il caso dei
testi unici compilativi.
L’art. 17 bis l. 400/1988 prevede che il governo possa raccogliere le disposizioni aventi forza di legge regolanti
materie e settori omogenei, anche operando il coordinamento formale del testo delle disposizioni medesime. Il
testo unico viene deliberato dal Consiglio dei ministri previo parere del Consiglio di stato ed è emanato con d.p.r.
L’art. 20 l. 59/1997 prevede poi l’emanazione annuale di una legge per la semplificazione e il riassetto normativo,
che altresì contempla il ricorso a decreti legislativi, cui possono affiancarsi, per le materie di competenza statale,
regolamenti governativi così agendo, si cerca di valorizzare l’istituto della codificazione: si immagina infatti la
redazione di “codici” in relazione a specifiche materie, come ad esempio la tutela dei consumatori, la sicurezza sul
lavoro etc.
La legge riconosce poi potestà normativa ad alcune autorità indipendenti tale scelta è oggetto di critiche poiché
sovente non sono tipizzati i limiti della potestà e la procedura di formazione dell’atto normativo e inoltre tali
autorità sono prive di legittimazione e responsabilità politica.
Il Consiglio di stato ha tuttavia ammesso la possibilità che le autorità indipendenti emanino atti normativi, ed
esclusione dei regolamenti delegati.
-Introduzione
Il provvedimento è l’atto amministrativo che produce vicende giuridiche in ordine alle situazioni giuridiche di
soggetti terzi.
L’emanazione del provvedimento finale, di norma, è preceduta da un insieme di fatti, atti e attività tra di loro
connessi in quanto essi concorrono all’emanazione del provvedimento stesso.
Tali atti confluiscono nel procedimento amministrativo.
Il provvedimento è quindi il filtro attraverso cui ciò che avviene nel procedimento viene ad essere rilevante sul
piano dell’ordinamento in generale. Altri autori, invece, hanno definito il procedimento come “forma della
funzione” vuol intendersi come la produzione dell’atto finale sia contraddistinto da una serie di atti e attività
endoprocedimentali, che costituiscono la funzione.
Il procedimento trova la sua ragion d’essere in una serie di esigenze e di caratteristiche peculiari del diritto
pubblico, tra le quali:
necessità di dare evidenza alle modalità di scelta effettuate dall’amministrazione in vista dell’interesse
pubblico
importanza di enucleare i vari passaggi che conducono alla determinazione conclusiva ai fini del sindacato
operato dal giudice amministrativo
esistenza di norme giuridiche alle quali è soggetta l’amministrazione nel corso della sua attività
il procedimento deve essere strutturato in modo da consentire che la scelta discrezionale possa
proficuamente avvenire.
La recente normativa configura il procedimento come modulo nel cui interno far confluire l’esercizio di più poteri
provvedimentali, in particolare autorizzativi e concessori, in qnt sono riferiti ad una medesima attività del privato.
A riguardo, si segnala la disciplina del c.d. sportello unico, istituita con il d.l. 133/2008, il cui regolamento d.p.r.
160/2010 prevede un procedimento automatizzato e uno ordinario, che può contemplare l’indizione di una
conferenza di servizi.
Inoltre, ai sensi dell’art. 5 d.p.r. 380/2001 si prevede il c.d. sportello unico per l’edilizia, istituito presso le
amministrazioni comunali.
In queste ipotesi il procedimento è, da un lato, istituto preordinato ad acquisire e censire interessi secondari
rispetto ad una finalità primaria ma, dall’altro lato, esso mira a curare interessi pubblici perseguiti non più dalle
varie amministrazioni mediante distinti episodi procedimentali ma considerati unitariamente in un medesimo
contesto.
Il comma 2 bis stabilisce inoltre che “attengono ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’art. 117 comma 2 lett.
m) Cost. le disposizioni concernenti gli obblighi per la pubblica amministrazione di garantire la partecipazione
dell’interessato al procedimento, di individuarne un responsabile, di concluderlo entro il termine prefissato e di
assicurare l’accesso alla documentazione amministrativa, nonché quelle relative ala durata massima dei
procedimenti”.
Il comma 2 ter dispone che “attengono ai livelli essenziali delle prestazioni le disposizioni concernenti la
segnalazione di inizio attività e il silenzio assenso, salva la possibilità di individuare, con intese in sede di
Conferenza unificata, casi ulteriori in cui tali disposizioni non si applicano”.
Ai sensi del comma 2 quater si dispone che “nel disciplinare i procedimenti amministrativi di loro competenza,
regioni ed enti locali, mentre non possono stabilire garanzie inferiori a quelle assicurate ai privati dalle disposizioni
citate, possono prevedere livelli ulteriori di tutela”.
Il comma 2 quinquies dispone che “le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano
adeguano la propria legislazione alle disposizioni dell’art. 29, secondo i rispettivi statuti e le relative norme di
attuazione”.
In ordine agli enti locali, il T.U. enti locali dispone che gli atti autonomia normativa di comuni e province debbano
contenere norme sulla partecipazione procedimentale, sul diritto di accesso agli atti e alle informazioni di cui è in
possesso l’amministrazione.
L’art. 1 comma 1 non richiama il principio di efficienza compare all’art. 3 bis ove si afferma che per
conseguire un’efficienza maggiore della loro attività, le amministrazioni incentivano l’uso della
telematica per qnt attiene all’utilizzo della telematica, il d.lgs. 82/2005 si prevede che le pubbliche
amministrazioni comunicano con il cittadino esclusivamente tramite il domicilio digitale, qualora il soggetto
ne sia in possesso e si prevede anche che le istanze possono essere inviate anche per via telematica.
Altri principi cui la l. 241/1990 è manifestazione sono invece espressione del diritto comunitario. A riguardo, la
suddetta legge ha recepito il principio di proporzionalità, di precauzione, di tutela del legittimo affidamento ( vale
a dire quell’affidamento che si è consolidato in capo al privato come conseguenza di un atto favorevole).
Altro principio importante contenuto nella legge in esame è quello di cui all’art. 2, vale a dire l’azione in via
provvedimentale si dispone che “l’amministrazione deve concludere il procedimento mediante l’adozione di un
provvedimento espresso”.
L’articolazione del procedimento in fasi è importante poiché l’illegittimità di uno degli atti del procedimento
determina l’illegittimità del provvedimento finale, salvo che operi l’art. 21 octies l. 241/1990. In qst caso il
provvedimento finale è quindi affetto da un’invalidità propria, visto che non occorre e non è possibile annullare
l’atto endoprocedimentale.
Si ha altresì illegittimità in caso di mancata adozione di un atto dovuto e nel caso in cui si verifichi un’alterazione
dell’ordine procedurale.
Ma l’atto endoprocedimentale può di per sé produrre effetti all’esterno? Può in qst caso essere impugnato?
A parere della giurisprudenza, taluni atti endoprocedimentali sono impugnabili.
Tale fenomeno si spiega facendo ricorso all’idea della pluriqualificazione degli atti e delle fattispecie giuridiche lo
stesso atto può rilevare sia come mero atto del procedimento sia come atto in senso proprio che ha effetti esterni
e può quindi essere lesivo di posizioni giuridiche di alcuni terzi.
Può accadere che vi siano procedimenti connessi sono connessi quei procedimenti il cui atto conclusivo di un
autonomo procedimento, impugnabile in quanto ex se, condiziona l’esercizio del potere che si svolge nel corso di
un altro procedimento (connessione funzionale).
La connessione più importante è costituita dalla presupposizione: al fine di esercitare legittimamente un potere,
occorre la sussistenza di un certo atto che funge da presupposto di un altro procedimento, in quanto crea una
qualità di un bene, cosa o persona che costituisce l’oggetto anche del successivo provvedere. È il caso, ad
esempio, della dichiarazione di pubblica utilità rispetto all’emanazione del decreto di esproprio e la determinazione
di copertura di un posto rispetto al procedimento che di apre con il bando.
Il presupposto è quindi quella circostanza che deve sussistere affinchè il potere sia legittimamente esercitato.
In altri casi, l’assenza di un provvedimento ovvero la conclusione con un atto di diniego di un procedimento
impedisce la legittima conclusione di altro procedimento.
Vi sono poi ipotesi in cui la presenza di un atto, conclusivo di procedimento, osta all’emanazione di un certo
provvedimento.
Vi è poi la situazione in cui, per svolgere una certa attività, il privato deve ottenere distinti provvedimenti non
connessi sotto il profilo giuridico, ma di fatto tutti attinenti al medesimo bene della vita. In qst casi, il nesso tra i
vari procedimenti non è di presupposizione ma di consecuzione, nel senso che i vari procedimenti corrono in
parallelo, mentre la soddisfazione delle aspirazioni del privato è subordinata alla conclusione dell’ultimo degli
stessi.
In merito ai procedimenti che riguardano la stessa attività, la legge prevede forme di raccordo e di
semplificazione, affidate alla convocazione di conferenze di servizi anche su richiesta dell’interessato “quando
l’attività del privato sia subordinata ad atti di consenso, comunque denominati, di competenza di amministrazioni
pubbliche diverse” art. 14 comma 1 l. 241/1990.
L’istanza intesa in senso proprio proviene esclusivamente dal cittadino ed è espressione della sua autonomia
privata.
A fronte dell’istanza, l’amministrazione deve dar corso al procedimento, ma può anche rilevarne l’erroneità o
incompletezza di questo in qst caso, prima di rigettare l’istanza, opera il principio della sanabilità delle istanze
dei privati, con cui si prevede che l’amministrazione debba procedere alla richiesta della rettifica.
Per qnt attiene al dovere di procedere, la giurisprudenza ha affermato che tale dovere sorge non solo nei casi in
cui la legge tipizzi l’istanza ma anche nelle fattispecie nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongono
l’adozione di un provvedimento.
Quando l’ordinamento non riconosce in capo al privato in interesse protetto e un dovere di procedere per
l’amministrazione, il suo atto è una mera denuncia, mediante la quale si rappresenta una data situazione di fatto
all’amministrazione, chiedendo che essa adotti adeguati provvedimenti.
D’ufficio è prevista dall’ordinamento nelle ipotesi in cui il tipo di interessi pubblici affidati alla cura di
un’amministrazione esiga che questa si attivi automaticamente al ricorrere di alcuni presupposti,
indipendentemente dalla sollecitazione proveniente da soggetti esterni.
-Il dovere di concludere il procedimento
L’art. 2 l. 241/1990 dispone che il termine entro il quale il procedimento deve essere concluso decorre dall’inizio
d’ufficio del procedimento o dal ricevimento della domanda se il procedimento è a iniziativa di parte il comma 1
del suddetto articolo recita che “entro il termine stabilito il procedimento deve essere concluso”. Tuttavia, il
legislatore chiarisce che la pubblica amministrazione ha il dovere di concludere il procedimento “mediante
l’adozione di un provvedimento espresso”: di conseguenza il termine si intende rispettato qnd l’amministrazione,
entro 30 gg, emana il provvedimento finale.
La legge prevede però ulteriori possibilità:
se infatti si ravvisa la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della
domande, le pubbliche amministrazioni concludono il procedimento con un provvedimento espresso
redatto in forma semplificata, la cui motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di
fatto o di diritto ritenuto risolutivo qui la disposizione parla di provvedimento semplificato e non già di
procedimento semplificato: ciò vuol dire che devono comunque applicarsi tutte le garanzie ex l. 241/1990.
L’art. 20 l. 241/1990 ammette altresì la possibilità che il procedimento sia definito mediante silenzio
assenso significa che all’inerzia è collegata la produzione di effetti corrispondenti a quelli del
provvedimento richiesto dalla parte.
Per evitare l’operare del silenzio assenso, l’amministrazione può emanare un provvedimento di diniego.
Per quanto attiene materie di particolare importanza, quali il patrimonio culturale paesaggistico,
l’ambiente, l’asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità e i casi in cui la legge qualifica il
silenzio dell’amministrazione come rigetto dell’istanza si ha invece silenzio rigetto.
Salvo i casi di rigetto, quando l’amm.ne non risponde entro il termine previsto si ha il silenzio
inadempimento il cittadino, a seguito dell’inutile decorso del termine può: rivolgersi al giudice
amministrativo per ottenere un provvedimento da parte dell’amministrazione e, talora, è lo stesso giudice
che può pronunciarsi sulla fondatezza della domanda. Il suddetto ritardo dell’amministrazione nel
rispondere, ai sensi dell’art. 2 bis, può causare a suo carico una responsabilità civile è il c.d. danno da
ritardo.
L’art. 2 l. 241/1990 disciplina i poteri sostitutivi, che sfociano in un’avocazione o commissariamento. L’organo di
governo individua il soggetto cui attribuire il potere sostitutivo in caso di inerzia e, si prevede che, nel caso di
omessa individuazione dell’organo sostitutivo, il potere sostitutivo si considera attribuito al dirigente generale o, in
mancanza, al dirigente preposto all’ufficio o, in mancanza, al funzionario di più elevato livello presente
nell’amministrazione. Tale meccanismo è attivato su sollecitazione di parte: decorso infatti inutilmente il termine
per la conclusione del procedimento, il privato può rivolgersi al responsabile perché entro un termine pari alla
metà di quello originariamente previsto concluda direttamente il procedimento attraverso le strutture competenti
o con la nomina di un commissario.
Il provvedimento tardivo emanato dal sostituto o dall’amministrazione è legittimo sotto il profilo del termine onde
quel termine, fissato dalla legge, appare ordinatorio e non perentorio la questione è legata a quella del
provvedimento tardivo adottato spontaneamente dall’amministrazione competente a prescindere dalle iniziative
quali potere sostitutivo o ricorso contro il silenzio: la giurisprudenza, alla luce del fatto che il potere non si
consuma, ne riconosce la legittimità.
Su questo impianto si è innestata la disciplina ex art. 28 d.l. 69/2013 che ha introdotto l’istituto dell’indennizzo da
mero ritardo, ove si è stabilito che “nella comunicazione di avvio del procedimento e nelle informazioni sul
procedimento pubblicate sui siti internet è fatta menzione del diritto all’indennizzo, nonché delle modalità e dei
termini per conseguirlo e sono altresì indicati il soggetto cui è attribuito il potere sostitutivo e i termini a questo
assegnati per la conclusione del procedimento”. Viene disposto che “la pubblica amministrazione procedente, in
caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento amministrativo, corrisponde all’interessato, a
titolo di indennizzo per il mero ritardo, una somma pari a 30 € per ogni giorno di ritardo, con decorrenza dalla
data di scadenza del termine del procedimento, comunque complessivamente non superiore a 2000 €”.
Tale disciplina si applica solo ai procedimenti iniziati ad istanza di parte. L’istante è però tenuto ad azionare
previamente il potere sostitutivo nel termine decadenziale di 20 gg dalla scadenza del termine di conclusione del
procedimento.
Nel caso in cui anche il titolare del potere sostitutivo non emani il provvedimento nel termine ex art. 2 comma 9
ter o non liquidi l’indennizzo maturato fino alla data della medesima liquidazione, l’istante può proporre ricorso
avverso il silenzio o chiedere un provvedimento ingiuntivo.
Il ritardo nell’emanazione dell’atto rileva per qnt riguarda il profilo della responsabilità del dipendente l’art. 2
comma 9 stabilisce che la mancata o tardiva emanazione del provvedimento costituisce elemento di valutazione
delle performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo- contabile
Del dirigente e del funzionario inadempiente.
L’inadempimento costituisce anche responsabilità civile ai sensi dell’art. 25 d.p.r. 3/1957, il privato può chiedere
il risarcimento dei danni conseguenti all’omissione o ritardo nel compimento di atti o di operazioni cui l’impiegato
sia tenuto per legge o per regolamento. Quando siano trascorsi 60 gg dalla data di presentazione dell’istanza, il
privato deve notificare una diffida all’amm.ne e all’adempimento a mezzo di ufficiale giudiziario; decorsi
inutilmente 30 gg dalla diffida, può proporre azione per il risarcimento.
Per qnt riguarda il ritardo nella conclusione del procedimento, la l. 190/2012 dispone che le amministrazioni
provvedono al monitoraggio periodico del rispetto dei tempi procedimentali attraverso la tempestiva eliminazione
delle anomalie.
Inoltre l’art. 328 c.p. prevede che “il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, il quale, entro 30 gg dalla
richiesta redatta in forma scritta da chi vi abbia interesse, non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per
esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino a 1 anno o con la multa fino a 1032 €”.
Il termine di 30 gg coincide con quello ex l. 241/1990, anche se la disciplina va integrata da altre 6 regole:
per le amministrazioni statali il termine può essere diversamente disposto con uno o più decreti del
presidente del consiglio dei ministri adottati ex art. 17 coma 3 l. 400/1988. Per gli enti pubblici nazionali,
essi stabiliscono, secondo i propri regolamenti, i termini entro i quali devono concludersi i procedimenti di
propria competenza, di conseguenza il termine di 30 gg opera solo quando la legge non indica un termine
diverso.
Il termine stabilito con decreto o dagli enti non può essere superiore a 90 gg
Ove sussistano casi particolari questo termine massimo è elevato a 180 gg
Vi è però l’eccezione costituita dai procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e di quelli
riguardanti l’immigrazione che possono sforare i termini
Una forma specifica riguarda le autorità di garanzia e di vigilanza disciplinano in conformità ai propri
ordinamenti i termini relativi ai procedimenti di loro competenza
Per i procedimenti di verifica o concernenti i beni culturali o paesaggistici restano fermi i termini stabiliti
dalla normativa speciale.
osservazioni. Tale disciplina non si applica alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e
assistenziale.
Per qnt riguarda la sospensione, l’art. 2 comma 7 dispone che “fatto salvo quanto previsto dall’art. 17, i termini
possono essere sospesi, per una sola vota e per un periodo non superiore a 30 gg, per l’acquisizione di
informazioni o di certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso delle
pubbliche amministrazioni.
In relazione al problema del tempo, vige il principio del TEMPUS REGIT ACTUM, vale a dire che ogni atto deve
essere disciplinato dalla normativa vigente al momento in cui esso è posto in essere.
Il principio vale anche per il provvedimento finale sicchè, nell’ipotesi in cui la sua emanazione richieda, ai sensi
della normativa sopravvenuta, l’esistenza di atti endoprocedimentali non previsti dalla legge precedente,
l’amministrazione dovrà rifiutarsi di emanarlo.
Più delicato è il problema dei requisiti e dei presupposti sostanziali previsti per l’emanazione di un
provvedimento la questione rileva specialmente per il rilascio di permessi di costruire: la giurisprudenza ha
introdotto una deroga in relazione alle ipotesi in cui vi sia un contenzioso davanti all’autorità giudiziaria,
prevedendo che nel caso di sopravvenienza di una nuova disciplina nelle more del giudizio amministrativo, tale
disciplina è applicabile dall’amministrazione, che deve ottemperare alla decisione del giudice.
Ove successivamente all’accoglimento del ricorso e all’annullamento dell’atto siano mutate le regole urbanistiche,
si ritiene applicabile da parte dell’amministrazione la disciplina sopravvenuta, anche se sfavorevole per il cittadino
vittorioso viene quindi ad applicarsi il c.d. ius superveniens.
L’art. 2 comma 1 lett. d) d.lgs. 165/2001 chiarisce che le amministrazioni pubbliche sono ordinate secondo il
criterio della “trasparenza dell’azione amministrativa, anche attraverso l’istituzione di apposite strutture per
l’informazione ai cittadini, e di attribuzione ad un unico ufficio, per ciascun procedimento, della responsabilità
complessiva dello stesso”.
L’art. 4 comma 1 l. 241/1990 prevede che le pubbliche amministrazioni individuino l’unità responsabile sicchè, nei
casi in cui il procedimento si articoli attraverso più amministrazioni, si è ritenuto che dovrebbero essere individuati
più responsabili.
L’art. 5 l. 241/1990 utilizza accanto alla locuzione unità organizzativa quella di “dirigente dell’unità organizzativa” e
il comma 2 usa la locuzione “funzionario preposto all’unità organizzativa” ciò vuol dire che il responsabile
dellunità organizzativa può anche essere un dipendente non dirigente.
Uno dei problemi di maggior portata è quello generato dall’art. 4 l. 241/1990 si tratta di capire se ci debba
essere o meno identità tra unità organizzative responsabili dell’istruttoria e unità deputate all’adozione dell’atto
terminale del procedimento. A riguardo, un conto è l’individuazione delle unità organizzative responsabili
dell’istruttoria, altro conto è determinare l’organo competente ad adottare il provvedimento la competenza ad
emanare l’atto finale è eteronomamente prevista in modo vincolante dalla legge cui spetta stabilire gli organi
aventi rilevanza esterna.
Da ciò deriva che:
parrebbe potersi ritenere che l’amministrazione debba necessariamente attribuire all’organo stesso anche
la responsabilità del relativo procedimento. Si è però sostenuta anche la possibilità che unità responsabili
siano anche quelle non competenti ad emanare l’atto.
L’opinione secondo cui l’unità organizzativa responsabile coincide con il settore competente ad adottare il
provvedimento finale ha il pregio di consentire cmq di individuare l’unità responsabile per ciascun tipo di
procedimento, anche in caso di inerzia dell’amministrazione, altrimenti la mancata determinazione
dell’amministrazione impedirebbe di fatto l’applicabilità delle norme sul responsabile del procedimento.
Ecco che quindi il responsabile del tipo di procedimento coincide con l’organo competente ad emanare
latto nei casi di mancata individuazione dell’unità organizzativa da parte dell’amministrazione.
Altro problema è quello che attiene al fatto se vi sia la necessaria coincidenza tra responsabile del singolo
procedimento e organo competente ad emanare il provvedimento finale NO, non vi è necessaria coincidenza:
l’art. 6 comma 1 lett. e) l. 241/1990 dispone che “il responsabile del procedimento identificato ai sensi dell’art. 5
adotti il provvedimento finale soltanto ove ne abbia competenza”.
La coincidenza tra responsabile del procedimento e dirigente dell’unità organizzativa sovente viene prevista dai
regolamenti e leggi regionali che hanno attuato la l. 241/1990 tale scelta appare ragionevole alla luce del fatto
che l’organo competente alla decisione finale è quello più adatto ad operare la selezione di fatti, interessi e di
elementi rilevanti che già nel corso dell’istruttoria deve essere effettuata.
Il riconoscimento di una tale discrezionalità non conduce però necessariamente ad affermare la coincidenza tra
responsabile dell’istruttoria e organo competente ad adottare il provvedimento finale infatti l’organo competente
all’emanazione del provvedimento finale potrebbe riesaminare la completezza dell’attività istruttoria e le scelte
allora operata, rinviando la decisione finale in caso di valutazione negativa e richiedendo un’ulteriore attività
istruttoria.
La soluzione favorevole alla separazione tra le 2 figure apre la via alla configurazione di un nuovo tipo di relazione
interorganica, atteso che il responsabile è pur sempre un soggetto inserito in un’organizzazione amministrativa e,
come tale, destinatario di poteri di direttiva dei superiori, in particolare del dirigente che gli ha affidato il
procedimento e che è il soggetto competente ad emanare l’atto finale.
Ma accanto al problema dell’autonomia di cui deve godere il responsabile nei confronti dei suoi superiori, vi è il
problema dei rapporti tra responsabile e soggetti competenti ad emanare atti del procedimento il responsabile
non necessariamente è competente ad emanare atti endoprocedimentali. Ciò nonostante, deve cmq svolgere
funzioni di impulso, stimolo e informazione. Quest’attività di supervisione, conduzione, sollecitazione e
collegamento condizione l’attività degli organi interessati, facendo sorgere di volta in volta rapporti che possono
riferirsi alla relazione interorganica della direzione.
L’individuazione del responsabile non comporta l’automatica attrazione in capo a costui della responsabilità civile,
penale e disciplinare la responsabilità civile, penale e disciplinare del responsabile del procedimento rimane
soggetta alle regole ordinarie, anche se gli impulsi e le sollecitazioni, conseguenti alle funzioni di vigilanza,
denuncia e di segnalazione affidati al responsabile possono cmq essere presi in considerazione ai fini della
valutazione della legittimità o liceità del comportamento tenuto dal responsabile medesimo.
I provvedimenti cautelari sono posti a garanzia della futura determinazione contenuta nel provvedimento finale, di
cui anticipano il contenuto, assicurando che la sua adozione non risulti inutile. L’ordinamento prevede limitati e
tassativi provvedimenti che possono essere emanati a fini cautelari:
le misure di salvaguardia
gli ordini di immediata sospensione dei lavori nel caso di inosservanza di norme e prescrizioni urbanistiche
poteri di inibizione o sospensione dei lavori in tema di beni paesaggistici e ambientali.
La dottrina ha posto in luce l’esistenza di altri procedimenti sono i c.d. procedimenti riservati, in ordine ai quali
non dovrebbe essere ammessa la partecipazione, alla quale è preordinata la comunicazione dell’avvio del
procedimento.
In qst casi la comunicazione dell’avvio del procedimento e la partecipazione potrebbero frustrare gli interessi
curati dall’amministrazione ovvero la riservatezza dei terzi l’individuazione delle ipotesi di esclusione dovrebbe
essere effettuata dalla legge, ma ciò non è avvenuto. Tuttavia, l’art. 24 l. 241/1990 esclude il diritto di accesso
con riferimento ad alcune categorie di atti corrispondenti a specifici interessi pubblici. L’unico indice normativo che
potrebbe giustificare la sussistenza di procedimenti riservati è quindi la normativa in materia di diritto di accesso,
che conferma il principio secondo cui l’apertura del procedimento può incontrare un limite nell’esigenza di curare
interessi ritenuti particolarmente meritevoli di tutela dall’ordinamento.
La giurisprudenza ha comunque sovente interpretato in modo restrittivo la norma che disciplina l’obbligo di
comunicare l’avvio del procedimento i giudici hanno infatti talora escluso la sussistenza di tale obbligo nelle
ipotesi di attività vincolata o, più in generale, ritenendo che per certi procedimenti non sia utile o rilevante il
contraddittorio perché, ad esempio, non sussistono esigenze di tutela del privato che persista volontariamente in
un comportamento abusivo.
Vi è chi, tuttavia, sostiene che la partecipazione possa essere utile anche nel caso si tratti di attività vincolata il
privato, si afferma, che è in grado di rappresentare dati rilevanti per la ricostruzione dei requisiti e dei presupposti
di fatti, che spesso sono tutt’altro che pacifici e incontestati.
L’omissione della comunicazione di avvio del procedimento costituisce un’ipotesi di illegittimità che, ai sensi
dell’art. 8, può essere fatta valere solo dal soggetto “nel cui interesse la comunicazione è prevista”.
In caso di omissione della comunicazione può cmq trovare applicazione l’art. 21 octies comma 2 l. 241/1990, che
dispone che “il provvedimento amministrativo non è cmq annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del
procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe
potuto essere diverso da quello in concreto adottato” tale norma dequota quindi la rilevanza del vizio di omessa
comunicazione quando la partecipazione sarebbe stata inutile e ciò indipendentemente dal fatto che si tratti di un
procedimento in cui l’amministrazione dispone di poteri vincolati o discrezionali.
L’utilità/inutilità vengono valutate solo in giudizio e su eccezione dell’amministrazione, andando così a recuperare
in fase processuale quel contraddittorio che è venuto meno nella fase procedimentale.
-L’istruttoria procedimentale
L’istruttoria è la fase del procedimento che è volta all’accertamento dei fatti e dei presupposti del provvedimento e
all’acquisizione degli interessi implicati dall’esercizio del potere.
È condotta dal responsabile del procedimento l’art. 6 l. 241/1990 dispone he tra gli obblighi del responsabile vi
è quello di curare “l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria”.
La decisione amministrativa finale deve essere preceduta da un’adeguata conoscenza della realtà esterna, che
avviene mediante istruttoria l’art. 3 dispone poi che vi è il dovere di motivare la scelta provvedimentale in
relazione alle risultanze dell’attività istruttoria. L’art.6 dispone inoltre che “ove diverso dal responsabile del
procedimento, l’organo competente per l’adozione del provvedimento finale non può discostarsi dalle risultanza
dell’istruttoria condotta dal responsabile del procedimento, se non indicandone la motivazione nel provvedimento
finale”.
L’istruttoria del procedimento amministrativo serve per acquisire interessi e verificare fatti. L’accertamento dei fatti
consente all’amministrazione di acquisire la conoscenza circa l’esistenza e il valore di un interesse e, al contempo,
la presa in considerazione di un interesse può rilevare l’esistenza di fatti importanti.
In ogni caso, l’attività conoscitiva in senso proprio, che è volta all’acquisizione della conoscenza della realtà di
fatto, si svolge mediante una serie di operazioni i cui risultati vengono attestati da dichiarazioni di scienza, le quali
vengono acquisite al procedimento.
Tali dati possono essere individuati dall’amministrazione o rappresentati da terzi attraverso la partecipazione
diretta i terzi quindi presenteranno certificazioni, documenti o dichiarazioni all’amministrazione.
L’attività di selezione e di evidenziazione dei fatti e degli interessi non è priva di limiti e deve essere
adeguatamente motivata. Infatti in primo luogo va rispettato il principio di non aggravamento del procedimento.
Al fine di circoscrivere l’ambito della porzione della realtà e del raggio di interessi che l’amministrazione ha il
dovere di acquisire, è importante il riferimento al criterio della pertinenza all’oggetto del procedimento, nonché il
riferimento ai canoni della logicità e congruità che devono guidare verso la decisione finale.
servizi”. In qst caso l’individuazione degli interessi rilevanti avviene a priori, in sede di convocazione della
conferenza, identificando i partecipanti.
Alla conferenza possono partecipare anche soggetti privati si tratta di soggetti specificamente interessati, vale a
dire ad esempio coloro che hanno proposto il progetto dedotto in giudizio.
Tale conferenza viene indetta dal responsabile del procedimento e consiste in una riunione di persone fisiche in
rappresentanza delle rispettive amministrazioni, ciascuna delle quali esprime il punto di vista dell’amministrazione
che rappresenta che confluisce poi in una determinazione conclusiva, di cui viene redatto apposito verbale.
La dottrina ha elaborato la nozione di PARTI DEL PROCEDIMENTO: tale terminologia viene mutuata dalla
disciplina processualistica e consente così di individuare le parti necessarie. Tuttavia il concetto di parte non può
essere riferito in senso proprio alla funzione amministrativa, in qnt il potere è attribuito solo alla pubblica
amministrazione né, tantomeno, vi è alcuna forma di compartecipazione o contitolarità che consenta di accostare
il soggetto privato all’amministrazione.
Relativamente alla distinzione tra parti necessarie (art. 7) e parti eventuali, occorre sottolineare che i soggetti che
intervengono possono tutti alla stessa stregua concorrere alla formazione della decisione finale. Il grado di
rilevanza del loro apporto dipende, infatti, dal materiale istruttorio che sono in grado di rappresentare nel
procedimento.
Unica vera parte necessaria, a parere della dottrina, è comunque l’amministrazione procedente mentre, per qnt
attiene agli altri soggetti pubblici che debbono per legge partecipare al procedimento, spesso la legge prevede gli
strumenti per superare la loro inerzia.
Ai sensi dell’art. 13, le norme relativa al capo sulla partecipazione al procedimento amministrativo NON SI
APPLICANO ai procedimenti volti all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e
programmazione, nonché per i procedimenti tributari.
La ratio di tale scelta consiste nell’esigenza si sottrarre atti di vasta portata e di applicazione generalizzata
all’ingerenza costituita dalla partecipazione di molteplici soggetti.
Alcuni tra i procedimenti di cui all’art. 13 riguardano infatti scelta che sono in grado di coinvolgere interessi diffusi
e interessi collettivi, la cui introduzione nel procedimento è esplicitamente prevista ex art. 9 si è cercato quindi
di derogare parzialmente all’art. 13, quasi a voler spostare la considerazione degli interessi collettivi dai
procedimenti generali, pianificatori e programmatori a quelli relativi agli atti applicativi.
In ordine agli atti amministrativi generali, i quali si rivolgono ad una pluralità indistinta di soggetti che non sono
individuabili a priori, si osserva che questi non sembrano in grado di ledere e pregiudicare qualcuno in particolare
o non comportano comunque la ponderazione di interessi he si appuntino su soggetti peculiari.
Peraltro, in alcuni settori, la normativa ammette la partecipazione anche in ordine a questi procedimenti, come ad
esempio in campo ambientale, dove la l. 108/2001 garantisce “al pubblico” il diritto di accesso alle informazioni
ambientali, la partecipazione ai procedimenti e l’accesso a strumenti di tutela giurisdizionale.
L’unica categoria di procedimenti in relazione ai quali l’esclusione dalla partecipazione non pare creare particolari
problemi è quella relativa agli atti normativi in qst ambito infatti sussiste un pluralità formale e sostanziale di
fonti che non ammette una regolamentazione generale ed unitaria. Tuttavia, per qnt riguarda alcuni settori, la
normativa ammette la partecipazione anche in ordine a questo tipo di procedimento, come ad esempio avviene in
materia ambientale.
Per quanto riguarda l’istituto della presentazione delle osservazioni, l’art. 10 bis lo prevede con riferimento ai
procedimenti ad istanza di parte allorché l’amministrazione abbia comunicato i motivi che ostano all’accoglimento
dell’istanza tale istituto è espressione del principio del giusto procedimento ed è preordinato ad instaurare un
contraddittorio con l’istante, il quale tenta di convincere l’amministrazione a mutare segno al provvedimento
finale.
Viene infatti previsto che “nei procedimenti ad istanza di parte, il responsabile del procedimento o l’autorità
competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i
motivi che ostano all’accoglimento della domanda. Tra i motivi che ostano all’accoglimento della domanda non
possono essere addotti inadempienze o ritardi attribuibili all’amministrazione” si tratta quindi di una seconda
comunicazione, volta a suscitare un vero e proprio contraddittorio scevro di valenze collaborative, sulla base di un
progetto di decisione e non già relativo alla sola fase istruttoria: entro il termine di 10 gg dal ricevimento della
comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate
da documenti.
Dell’eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento
finale.
L’applicazione del suddetto art. 10 bis lascia tuttavia aperti molti dubbi:
In primo luogo, la disposizione pare non essere coerente con l’art. 20, secondo il quale nei procedimenti
ad istanza di parte si forma il silenzio assenso ove l’amministrazione non comunichi entro 30 gg il
provvedimento di diniego.
In secondo luogo, l’interruzione parrebbe non risultare ragionevole laddove il privato non abbia avanzato
osservazioni.
Né è chiaro se l’amministrazione possa comunicare in più occasioni i motivi che ostano all’accoglimento
dell’istanza, interrompendo ulteriormente i termini ovvero se, onde evitare un fenomeno di
frammentazione della comunicazione dei motivi ostativi, debba comunicare in un’unica soluzione
all’istante il progetto di provvedimento di diniego e tutte le ragioni che ostano all’accoglimento
dell’istanza, precludendosi così ulteriori ripensamenti.
In ogni caso, i fatti che vengono rappresentati da coloro che intervengono non possono essere accettati
acriticamente da parte dell’amministrazione: l’autore della rappresentazione potrebbe ad esempio avere alterato la
realtà. Ciò determina che ogni rappresentazione implica una selezione dei fatti, di conseguenza l’amministrazione
può essere chiamata ad estendere l’ambito oggettivo della realtà indagata.
Così facendo, la partecipazione sollecita una serie di attività che costituiscono momenti dell’acquisizione dei fatti e
dell’istruttoria in senso ampio la pubblica amministrazione dovrà più precisamente verificare la pertinenza delle
memorie all’oggetto del procedimento, accertare i fatti introdotti nel procedimento dai privati, identificare altri fatti
ignoti ed elaborare le rappresentazioni dei privati.
Mediante partecipazione è dato introdurre anche ipotesi di soluzione, le quali vanno ad arricchire il quadro delle
possibilità all’interno del quale l’amministrazione opererà la sua scelta finale ciò si evince dell’art. 11 l.
241/1990, ove si prevede la conclusione degli accordi tra amministrazione e privati può avvenire “in accoglimento
di osservazioni e proposte presentate a norma dell’art. 10”.
Per qnt riguarda l’omissione della comunicazione, l’art. 8 ultimo comma prevede che tale omissione possa essere
fatta valere dal solo soggetto nel cui interesse la comunicazione è posta. Non si può però ritenere privo di
conseguenze il comportamento dell’amministrazione lesivo di interessi procedimentali, a meno di privare di
qualsiasi efficacia l’istituto della partecipazione.
La soluzione più logica sarebbe quella di prevedere per gli interessi procedimentali forme di tutela immediate e in
forma specifica e non necessariamente ricorrere all’intervento del giudice amministrativo.
La legge però si è mossa nel senso della limitazione dell’incidenza della violazione delle norme procedimentali
l’art. 21 octies dispone che “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o
sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto
dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo
non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione
dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto
adottato”.
Con il d.lgs. 33/2013 si è poi estesa la possibilità di accesso ai documenti a “chiunque” legittimato, disponendo
l’accesso civico relativamente ad alcune categorie di atti e subordinatamente alla mancata pubblicazione degli
stessi.
L’accesso può quindi essere:
endoprocedimentale se esercitato all’interno del procedimento
esoprocedimentale se relativo agli atti di un procedimento concluso
Per quanto riguarda l’accesso collegato alla partecipazione, i soggetti legittimati ad esercitare il diritto di accesso
sono tutti quelli che abbiano titolo a partecipare al procedimento.
Per tutti gli altri casi, l’art. 22 l. 241/1990 indica, quali soggetti legittimati, “tutti i soggetti privati, compresi quelli
portatori di interessi pubblici o diffusi, he abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una
situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”.
Ai sensi dell’art. 24 l. 241/1990, “non sono ammissibili istanze di accesso preordinate a un controllo generalizzato
dell’operato delle pubbliche amministrazioni”.
Il Consiglio di stato in adunanza plenaria n. 16/1999 ha affermato che, a fronte del potere amministrativo, la
posizione del privato che esercita la pretesa all’accesso si atteggia a interesse legittimo. L’Adunanza plenaria n.
6/2006, ritornando sull’argomento, ha negato l’autonomia della posizione giuridica relativa all’accesso chiarendo
che il c.d. diritto di accesso non sarebbe volto a “fornire utilità sociali” ma ad “offrire al titolare dell’interesse
poteri di natura procedimentale volti in senso strumentale alla tutela di un interesse giuridicamente rilevante”.
Secondo l’Ad. Plen. n. 7/2012 comunque, onde evitare che l’istituto si traduca in una forma di azione popolare,
essere titolare di una situazione giuridicamente tutelata non è condizione sufficiente per esercitare il diritto di
accesso, essendo anche necessario che la documentazione di cui si chiede di accedere sia collegata a quella
posizione sostanziale, impedendone o ostacolandone il soddisfacimento, sicché occorre avere riguardo al
documento cui si intende accedere, per verificarne l’incidenza, anche potenziale, sull’interesse di cui il soggetto è
portatore.
Tuttavia, vi sono normative ad hoc che estendono lo spettro di coloro che hanno diritto di accesso: ad esempio il
d.lgs. 195/2005 stabilisce che le autorità pubbliche sono tenute a rendere disponibili le informazioni relative
all’ambiente “a chiunque ne faccia richiesta, senza che questi debba dichiarare il proprio interesse”.
Si può altresì esercitare l’accesso telematico art. 52 d.lgs. 82/2005. Tale strumento è stato valorizzato con la l.
190/2012 e l’art. 30 del d.lgs. citato dispone che “le amministrazioni, nel rispetto della disciplina del diritto di
accesso ai documenti amministrativi, hanno l’obbligo di rendere accessibili in ogni momenti agli interessati,
tramite strumenti di identificazione informatica, le informazioni relative ai provvedimenti e ai procedimenti
amministrativi che li riguardano, ivi comprese quelle relative allo stato della procedura, ai relativi tempi e allo
specifico ufficio competente in ogni singola fase”.
Con il termine RISERVATEZZA si indica quel complesso di dati, notizie e fatti che riguardano al sfera privata della
persona e la sua intimità. La pretesa del cittadino alla riservatezza implica l’esclusione di altri dalla conoscenza di
certi fatti e situazioni. Ma la privacy talvolta si scontra con l’esigenza di diffondere atti che siano in possesso della
pubblica amministrazione e che contengono indicazione relative a dati attinenti alla sfera personale dei soggetti.
L’art. 4 d.lgs. 195/2005 dispone che l’amministrazione debba sottrarre all’accesso le informazioni relative
all’ambiente qualora si tratti si salvaguardare anche la riservatezza dei dati personali o riguardanti una persona
fisica, nel caso in cui essa non abbia acconsentito alla divulgazione dell’informazione al pubblico.
La riservatezza è da tempo presidiata dalla figura del Garante per la privacy ex d.lgs. 196/2003. Al di fuori
dell’area coperta dalla privacy, il diritto all’accesso dovrebbe essere superato in forza della realizzazione dell’e-
government e del dovere dell’amministrazione di mettere a disposizione del pubblico i propri dati.
Nella direzione dell’aumento della trasparenza si muove anche la disciplina dell’anticorruzione il d.lgs. 33/2013
introduce infatti il c.d. accesso civico, la cui richiesta non è sottoposta ad alcuna limitazione quanto alla
legittimazione soggettiva del richiedente, che non deve essere motivata. È gratuita e va presentata al responsabile
della trasparenza, che si deve pronunciare.
Nel caso di ritardo o mancata risposta, il richiedente può ricorrere al titolare del potere sostitutivo di cui all’art. 2
comma 9 bis l. 241/1990 che, verificata la sussistenza dell’obbligo di pubblicazione, è obbligato ad adempiere al
dovere.
I documenti, le informazioni e i dati sono pubblicati in formato tipo aperto e sono riutilizzabili nei limiti di legge,
senza ulteriori restrizioni diverse dall’obbligo di citare la fonte e di rispettarne l’integrità.
La l. 241/1990 rinvia poi al d.lgs. 196/2003 vale a dire al codice di protezione dei dati personali ad esempio
l’art. 7 del decreto testé citato dispone che l’interessato ha diritto di ottenere dai soggetti pubblici la conferma del
fatto che essi detengano dati personali che lo riguardano, nonché la loro comunicazione in forma intellegibile.
L’interessato ha il diritto di ottenere l’indicazione della provenienza dei dati personali trattati dall’ente pubblico,
delle finalità e modalità di trattamento, dei soggetti cui potrebbero eventualmente essere comunicati tali dati
personali.
È dato personale “qualunque informazione relativa a persona fisica, persona giuridica, ente o associazione,
identificati o identificabili, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso
un numero di identificazione personale”.
Una conosciuti i dati personali e le informazioni detenuti da un ente pubblico, l’interessato ha diritto di ottenerne
l’aggiornamento, la rettificazione, l’integrazione, la cancellazione, la trasformazione in forma anonima, la mera
conservazione. Ha altresì i diritto di opporsi, per motivi legittimi, al trattamento dei dati che lo riguardano, nonché
al trattamento finalizzato all’invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o al compimento di ricerche di
mercato o di comunicazione commerciale.
Il diritto all’accesso non invece essere utilizzato allorché l’esibizione documentale comporti anche la conoscenza di
dati personali di soggetti terzi rispetto al richiedente l’art. 10 comma 5 codice della privacy esclude che questo
accesso possa riguardare dati personali relativi a terzi, salvo che la scomposizione dei dati trattati o la privazione
di alcuni elementi renda incomprensibili i dati personali relativi all’interessato.
L’art. 59 codice della privacy precisa poi che “i presupposti, le modalità, i limiti per l’esercizio del diritto di accesso
a documenti amministrativi contenenti dati personali, e la relativa tutela giurisdizionale, restano disciplinati dalla l.
241/1990 e dalle altre disposizioni di legge in materia, nonché dai relativi regolamenti di attuazione, anche per ciò
che concerne i tipi di dati sensibili e giudiziari e le operazioni di trattamento eseguibili in esecuzione di una
richiesta di accesso”.
La legge non prevede espressamente alcuna partecipazione del controinteressato al procedimento che si instaura
al momento della presentazione dell’istanza di accesso tale lacuna è stata colmata con il d.p.r. 184/2006, che
impone all’amministrazione di comunicare ai controinteressati la richiesta di accesso, prevedendo altresì che
costoro possano presentare opposizione motivata alla richiesta entro 10 gg dalla relativa presentazione.
La l. 241/1990 dispone comunque che ai richiedenti deve essere garantito l’accesso ai documenti amministrativi la
cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici, spettando quindi
all’amministrazione la relativa valutazione.
L’art. 24 comma 7 l. 241/1990 prevede poi che, nel caso di documenti contenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso
sia consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile.
Ove si tratti di dati idonei a rilevare lo stato di salute e la vita sessuale, l’accesso è consentito solo nei termini di
cui all’art. 60 codice privacy il trattamento dei dati supersensibili è consentito se la situazione giuridicamente
rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi è di rango almeno pari ai
diritti dell’interessato ovvero consiste in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e
inviolabile.
Alla luce della disciplina ex l. 241/1990 e del codice della privacy, la dottrina ha elaborato diverse figure di diritto
di accesso:
l’accesso esoprocedimentale volto alla conoscenza dei soli dati personali del richiedente
l’accesso esoprocedimentale volto alla conoscenza dei soli dati personali di soggetti terzi rispetto
all’istante
La disciplina del diritto di accesso è poi completata dalla previsione di particolari forme di tutela il d.lgs.
204/2010 assegna al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva la tutela giurisdizionale contro le
determinazioni concernenti il diritto di accesso e nei casi di rifiuto.
L’art. 25 comma 4 l. 241/1990 con specifico riferimento ai casi di rifiuto espresso o tacito e di differimento,
consente al richiedente di chiedere di riesaminare la determinazione negativa nel termine di 30 gg al difensore
civico se agisce contro enti locali o alla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi se agisce contro
amministrazioni statali.
Il codice della privacy affida invece la tutela del diritto di accesso volto a ottenere la comunicazione in forma
intellegibile dei propri dati personali al Garante del trattamento dei dati personali o al giudice ordinario il ricorso
o si presenta al Garante o al giudice ordinario.
La l. 241/1990 istituisce poi presso la Presidenza del consiglio una Commissione per l’accesso ai documenti, che
viene nominata con d.p.r. su proposta del Presidente del consiglio, sentito il Consiglio dei ministri. La Commissione
vigile affinché venga attuato il principio di piena conoscibilità dell’azione amministrativa, redige una relazione
annuale sulla trasparenza dell’amministrazione e propone al governo le modificazioni normative necessarie per
realizzare la garanzia del diritto di accesso.
Sotto il profilo della disciplina procedimentale, l’art. 17 l. 241/1990 si riferisce nello specifico alle valutazioni
tecniche (ma tale articolo si applica, pur nel silenzio della norma, anche agli accertamenti) nella prospettiva della
semplificazione. La norma si occupa del caso in cui le suddette valutazioni, previste da una legge o da un
regolamento, siano richieste a enti o organi appositi e questi non provvedano entro 90 gg dal ricevimento della
richiesta o in quello previsto specificamente dalla legge: in qst caso, la legge o il regolamento prevede che il
responsabile dl procedimento deve chiedere le suddette valutazioni ad altri organi dell’amministrazione pubblica
da o ad altri enti pubblici che siano dotati di qualificazione e capacità tecnica equipollenti.
Ai sensi dell’art. 14 ter l. 241/1990, allorché sia intervenuta la valutazione di impatto ambientale “le disposizioni di
cui agli artt. 16 comma 3 e 17 comma 2 si applicano alle sole amministrazioni preposte alla tutela della salute dei
cittadini, del patrimonio storico- artistico e della pubblica incolumità”.
L’art. 17 comma 3 si occupa anche del caso in cui l’ente o l’organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie
all’amministrazione procedente in qst caso si ammette che “il termine possa essere interrotto 1 sola volta e la
valutazione debba essere prodotta entro 15 gg dalla ricezione degli elementi istruttori da parte
dell’amministrazione interessata”.
La scelta che è stata fatta con la previsione di cui all’art. 17 impone di procedere in ogni caso alla valutazione
tecnica, senza introdurre meccanismi che conducano comunque alla conclusione del procedimento.
Ciò segna una netta differenza rispetto a qnt previsto per il caso di pareri, in ordine ai quali, in caso di particolari
circostanze, è consentito all’autorità procedente di proseguire indipendentemente dalla loro acquisizione.
La diversità di disciplina sembra da ricollegare alla necessità che l’istruttoria sia completa ma non solo questo:
nell’ipotesi delle valutazioni, a differenza di qnt accade per i pareri, l’amministrazione procedente non ha di norma
la competenza tecnica e la possibilità di sostituire il giudizio espresso dall’organo o ufficio tecnico. Ciò si nota
ancor di più nelle ipotesi di valutazioni prodotte da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-
territoriale e della salute dei cittadini, ove neppure è possibile una sostituzione si viene quindi a configurare una
sorta di riserva di valutazione tecnica in capo ad alcuni organi ed enti: ne deriva quindi che la valutazione non è
sostituibile o superabile né dalla parte privata né dall’amministrazione decidente.
Delicato è poi il tema della resistenza di tale riserva nei confronti del giudice eventualmente chiamato a sindacare
la legittimità del provvedimento finale che si basi su quella valutazione in linea di principio non dovrebbero
operare dei limiti al sindacato del giudice. Inoltre, la riserva dovrebbe esistere solo quando sia espressamente
prevista dalla legge o da un regolamento, anche se vi è la tendenza ad affermare che alcuni soggetti, come ad
esempio le autorità indipendenti, agiscano sempre in un’area riservata.
Un eventuale problema di limite al sindacato si pone solo qnd si tratti di verificare un fatto che sia suscettibile di
varia valutazione e, come tale, risulti opinabile infatti, pur in presenza di un potere, se il presupposto è semplice
e non complesso il giudice, in linea di principio, può e deve verificarne la sussistenza, atteso che non può
affermarsi la legittimità dell’attività amministrativa che assuma come esistente un fatto inesistente o viceversa.
Nei casi in cui sussista effettivamente possibilità di scelta, tradizionalmente si ritiene che il giudice amministrativo
possa sindacare la valutazione tecnica solo da un punto di vista esterno (vale a dire esaminando la logicità
dell’operazione seguita dall’amministrazione).
Alcune pronunce più recenti tuttavia, richiamando il principio del giusto processo, ammettono che il giudice possa
spingersi anche oltre la pura verifica formale dell’attività valutativa compiuta dall’amministrazione alla luce di
generici criteri di esperienza, potendosi avvalere eventualmente anche di regole e di conoscenze tecniche
appartenenti alla medesima scienza specialistica applicata all’amministrazione vuol dire che sarebbe consentito
al giudice verificare direttamente l’attendibilità delle operazioni tecniche (la Cass. con sent. 3712/2012 ha però
statuito che non spetta al giudice amministrativo sostituirsi all’amministrazione operando un sindacato diretto
della discrezionalità tecnica).
L’attribuzione di ampi poteri istruttori al giudice amministrativo ha così consentito un miglior accesso al fatto,
rafforzando così l’orientamento favorevole ad una verifica diretta, da parte del giudice, delle valutazioni
amministrative ciò rischia però di aprire la strada alla sostituzione delle valutazioni tecniche elaborate
dall’amministrazione con le conclusioni raggiunte dal consulente.
La dottrina ha criticato la sussistenza della riserva di valutazione tecnica, sottolineando come il carattere opinabile
di un giudizio non sia ragione sufficiente per configurare un potere generale riservato in capo all’amministrazione,
il quale confligge altresì con il principio di legalità.
Per qnt riguarda i poteri istruttori, ci si chiede se questi siano necessariamente implicati dalla titolarità del potere
di provvedere o richiedano una norma di legge che li attribuisca in modo separato in ogni caso si esclude che
l’amministrazione disponga di poteri impliciti che consentano di indagare la realtà anche incedendo sulla sfera
giuridica dei terzi.
In presenza di una tale incidenza vige sempre il principio di tipicità e nominatività dei poteri amministrativi di
conseguenza, i poteri il cui esercizio potrebbe comportare un’incisione nella sfera giuridica del terzo debbono
essere espressamente conferiti dalla legge.
I poteri che si esplicano in atti i quali non incidono sui diritti dei privati si possono invece ritenere connaturati al
potere di disporre.
Per acquisire la conoscenza della realtà e degli interessi, l’amministrazione si avvale di numerosi strumenti. Alcuni
atti istruttori sono previsti come obbligatori dalla legge.
L’istruttoria però non si esaurisce necessariamente nel compimento di questi atti l’amministrazione può infatti
porre in essere atti “all’uopo necessari”, indipendentemente dall’attribuzione di specifici poteri da parte
dell’ordinamento. Il soggetto pubblico ha così facoltà di disporre la rinnovazione o il completamento di
un’istruttoria non soddisfacente o lacunosa è il c.d. principio inquisitorio, che è anche applicabile alla scelta dei
mezzi istruttori che l’amministrazione può utilizzare per acquisire la conoscenza di fatti rilevanti ai fini della
determinazione finale. L’ampia possibilità di decisione in ordine alla natura e all’estensione dei mezzi istruttori
incontra però un limite che è quello del principio del non aggravamento del procedimento.
Con riguardo alla risultanze che emergono dai mezzi istruttori, queste di norme sono liberamente valutate
dall’amministrazione. Un’eccezione è costituita dalle certificazioni che creano certezze erga omnes, le quali sono
vincolanti anche nei confronti delle amministrazioni.
Ha avvio con un atto indirizzato all’organo o all’ufficio competente, il quale dovrà compiere l’ispezione.
L’atto ha però come vero destinatario il soggetto terzo che è sottoposto all’ispezione. Di solito il
procedimento si conclude con una relazione o con un rapporto o con un verbale.
Spesso è strumentale a procedimenti di controllo o si inserisce nell’ambito di rapporti organizzativi in cui
la soggezione alla potestà ispettiva è permanente.
Il subprocedimento consultivo inizia con la richiesta del parere, che consiste nella formulazione di un quesito,
prosegue con lo studio del problema, con la relativa discussione, con la determinazione e si conclude con la
comunicazione all’autorità richiedente.
Il procedimento consultivo è disciplinato dall’art. 16 l. 241/1990 nonché dall’art. 139 T.U. enti locali.
Il parere obbligatorio deve essere reso entro 20 gg.
L’art. 2 comma 2 l. 241/1990 non fa cenno alla possibilità che, durante l’acquisizione del parere, rimangano
sospesi i termini del procedimento nel suo complesso.
La disciplina legislativa distingue a seconda che si tratti di parere obbligatorio o facoltativo decorso il termine
previsto senza che sia stato comunicato il parere obbligatorio o senza che l’organo adito abbia rappresentato
esigenze istruttorie, è facoltà dell’amministrazione richiedente di procedere indipendentemente dall’espressione
del parere. Se il parere richiesto era facoltativo, l’amministrazione richiedente ha il dovere di procedere
indipendentemente dall’espressione del parere.
La ratio che sta dietro questa scelta legislativa del procedere indipendentemente anche in mancanza del parere è
rinvenibile nel principio di non aggravamento del procedimento: si vuol così evitare che l’amministrazione
procedente rimanga bloccata in attesa del parere che ha richiesto questa normativa NON SI APPLICA però nei
casi in cui il parere debba essere reso da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistica,
territoriale e della salute dei cittadini.
Per qnt attiene ai pareri resi dal Consiglio di stato in qualità di organo di consulenza giuridico- amministrativa,
l’art. 17 l. 127/1997 individua i casi in cui essi sono richiesti in via obbligatoria e abroga “ogni diversa disposizione
di legge che preveda il parere del Consiglio di stato in via obbligatoria”. Tali pareri sono pubblici e recano
l’indicazione del Presidente del collegio e dell’estensore.
Tra gli atti e le operazioni che condizionano l’efficacia del provvedimento e che confluiscono nella fase integrativa
dell’efficacia vi sono alcune forme di pubblicità e di comunicazione quali:
operazioni di partecipazione—> condizionano l’efficacia degli atti recettizi, vale a dire di quegli atti che
diventano efficaci solo al momento in cui pervengono nella sfera di conoscibilità del destinatario.
La legge, pur non parlando espressamente di atti recettizi, ai sensi dell’art. 21 bis l. 241/1990 attribuisce
natura recettizia ai provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei privati. Si dispone, infatti, che tali atti
“acquistano efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione personale. Essa può
essere effettuata anche nelle forme stabilite per la notifica agli irreperibili nei casi previsti dal codice di
procedura civile”.
La comunicazione è costitutiva dell’efficacia del provvedimento e apre la strada alla relativa esecuzione.
Nel silenzio della disciplina, si ritiene che i provvedimento ampliativi producano effetti a prescindere dalla
comunicazione, fatte salve le specifiche disposizioni di legge, anche se vi sono coloro che sono propensi
ad un’estensione dell’obbligo di comunicazione ai controinteressati rispetto a provvedimenti ampliativi.
La regola ex art. 21 bis l. 241/1990 ha una sua ratio: vi è l’esigenza di mettere i destinatari nella condizione di
attivare i rimedi giurisdizionali e giustiziali. La disposizione, tuttavia, prevede una prima eccezione e una seconda
eccezione legale:
infatti il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati può contenere una motivata clausola di
immediata efficacia e ciò a prescindere per definizione dalla conoscenza che ne abbiano i privati
i provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei privati aventi carattere cautelare e urgente sono
immediatamente efficaci.
La disciplina ex l. 241/1990 va tuttavia letta in combinato disposto con quella ex d.lgs. 33/2013 sulla trasparenza,
che condizione l’acquisto dell’efficacia di alcune categorie di atti alla pubblicazione.
Per quanto attiene al controllo sull’atto come fase procedimentale va ricordato che se l’efficacia dell’atto risulta
sospesa in attesa dell’esito del controllo si rientra nell’ipotesi di controllo preventivo.
Il controllo può però anche essere successivo, vale a dire che può svolgersi posteriormente alla produzione degli
effetti da parte dell’atto controllato ciò non impedisce l’efficacia del provvedimento dal momento della sua
emanazione e funge da condizione risolutiva ove a seguito di esso venga pronunciato l’annullamento.
Il potere di controllo deve comunque essere esercitato entro il termine fissato e non può essere esercitato per
una seconda volta.
L’art. 3 comma 4 l. 241/1990 stabilisce l’obbligo per l’amministrazione di indicare in ogni atto notificato al
destinatario “il termine e l’autorità cui è possibile ricorrere”.
La giurisprudenza ha interpretato la violazione di suddetto articolo come mera irregolarità, che quindi non è in
grado di determinare l’illegittimità dell’atto, affermando inoltre che essa non comporta la sospensione dei termini
per ricorrere contro il provvedimento.
La giurisprudenza però riconosce che tale violazione consente l’applicazione dell’errore scusabile, con la
conseguenza che qualora il destinatario dell’atto avesse adito un giudice incompetente o avesse lasciato decorrere
i termini per ricorrere potrebbe beneficiare della rimessione in termini.
Tuttavia, se da un lato è evidente la volontà di mettere al centro dell’attenzione i principi di economicità, efficacia
ed efficienza e speditezza dell’azione amministrativa, dall’altro lato si rischia di far venir meno e comprimere il
momento dell’istruttoria e del procedimento stesso. Al fine di bilanciare gli interessi qui rilevanti, occorre dire che
in ogni caso l’interesse dei cittadini è fatto salvo, poiché viene loro garantita la rapida conclusione del
procedimento ma, al contempo, si garantisce loro la partecipazione.
Occorre però affermare che non tutti gli interessi tollerano una disciplina procedimentale che comporti una
semplificazione in grado di sacrificare il corretto bilanciamento tra interessi ad esempio ciò accade in materia
ambientale e sanitaria, ove si prevede che in ordine a pareri e valutazioni tecniche la loro obbligatorietà.
-Gli atti determinativi del contenuto del provvedimento, l’atto complesso, il concerto e l’intesa
L’amministrazione conclude il provvedimento emanando una decisione (è bene precisare che durante tutto il corso
del procedimento l’amministrazione effettua una serie di decisioni).
La fase decisoria può essere costituita da una serie di atti, da un atto proveniente da un unico organo, da un
accordo, da un fatto (ad esempio il silenzio).
Se la fase decisoria consiste nell’emanazione di atti o deliberazioni preliminari determinativi del contenuto
del provvedimento finale, si assiste all’adozione, da parte di un organo, di un atto che, per produrre
effetti, deve essere esternato ad opera di un altro organo è ad esempio il caso del nullaosta, che è
l’atto con cui un’amministrazione dichiara che nulla si oppone all’adozione di altro provvedimento.
Un altro modello è quello della decisione su proposta si tratta di un atto di impulso procedimentale, che
si colloca immediatamente prima della decisione finale, ed è atto necessario perché possa essere
emanata la suddetta decisione, l’organo al quale la proposta è rivolta ha sempre il potere di rifiutare
l’adozione dell’atto finale ma non può modificare il contenuto della proposta.
Vi è poi il modello dell’atto complesso qui le manifestazioni di volontà, di pari dignità, tutte attinenti alla
fase decisoria e convergenti verso un unico fine, si fondo in un medesimo atto.
Vi è poi il modello dell’atto complesso ineguale l’ineguaglianza tra le parti giustifica la possibilità per una
di esse di modificare unilateralmente i contenuto dell’atto. La modifica unilateralmente introdotta
impedisce la concordanza dei contenuti e il convergere delle volontà verso un ambito omogeneo che
caratterizzano l’atto complesso.
l’art. 11 l. 241/1990 prevede che gli accordi che l’amministrazione conclude con i privati siano preceduti
da una “determinazione dell’organo che sarebbe competente per l’adozione dell’accordo medesimo”.
l’art. 10 bis, nel caso di procedimenti ad istanza di parte, impone di comunicare agli istanti “i motivi che
ostano all’accoglimento della domanda”.
l’art. 6 prevede che l’organo che emana il provvedimento finale, se diverso dal responsabile del
procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria, se non indicandone le motivazioni nel
provvedimento finale.
Ai sensi dell’art. 14 ter l. 241/1990, la determinazione finale della conferenza “sostituisce, a tutti gli effetti, ogni
autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominati di competenza delle
amministrazioni partecipanti o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti, alla predetta conferenza”.
I termini di validità di tutti i pareri, autorizzazioni, concessioni, nulla osta o atto di assenso comunque denominati
acquisiti nell’ambito della Conferenza di Servizi, decorrono a far data dall’adozione del provvedimento finale.
La Conferenza dei Servizi tende ad un accordo tra amministrazioni e gli effetti di tale accordo sono imputati alle
singole amministrazioni e non alla conferenza sent. 179/2012 Corte cost.
La tesi dell’accordo trova riscontro normativoinfatti l’art. 15 l. 241/1990 dispone che “al di fuori delle ipotesi
previste dall’art. 14, le amministrazioni possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento
in collaborazione di attività di interesse comune”.
Ai sensi dell’art. 14 ter l. 241/1990 anche in caso di dissenso espresso da un soggetto convocato alla conferenza,
sulla base delle risultanze della conferenza, l’amministrazione procedente adotta una determinazione conclusiva
del procedimento finale anche se manca l’accordo, si può quindi giungere alla determinazione finale.
La medesima disciplina si applica nel caso di inutile decorso del termine per l’adozione della decisione conclusiva.
Così agendo, si realizza un’alterazione dell’ordine delle competenze.
L’altro modello di conferenza di servizi decisoria è quella esterna che, anche su richiesta dell’interessato,
può essere convocata dall’amministrazione competente per l’adozione del provvedimento finale “quando
l’attività del privato sia subordinata ad atti di consenso, comunque denominati, di competenza di più
amministrazioni pubbliche”.
Rilevante è poi la facoltà, da parte del privato, di richiedere l’indizione della conferenza, consentendogli di
assumere un’importante iniziativa per indurre le amministrazioni ad esercitare in un’unica soluzione i differenti
poteri permissivi.
La conferenza può poi essere convocata per l’esame contestuale di interessi coinvolti in più procedimenti
connessi, riguardanti medesime attività o risultati: in qst caso, su richiesta di una qualsiasi delle amministrazioni
coinvolte, la conferenza è indetta “dall’amministrazione o, previa formale intesa, da una delle amministrazioni che
curano l’interesse pubblico prevalente” art. 14 comma 3 l. 241/1990.
Tale ipotesi si differenzia da quella di cui al comma 4 in qnt si configura come conferenza istruttoria, sia pura
interprocedimentale e, inoltre, si caratterizza per l’esistenza di poteri di richiesta in capo ai privati e non riguarda
solo procedimenti destinati a sfociare nell’adozione di atti di consenso.
L’art. 14 ter disciplina il procedimento della conferenza di servizi prevedendo regole che mirano a garantire la
celere e positiva conclusione del subprocedimento.
Viene stabilito che:
previo accordo tra le amministrazioni coinvolte, la conferenza di servizi è convocata e svolta avvalendosi
degli strumenti informatici disponibili, secondo i tempi e le modalità stabiliti dalle medesime
amministrazioni art. 14 comma 5 bis
la prima riunione della conferenza di servizi è convocata entro 15 gg ovvero, in caso di particolare
complessità dell’istruttoria, entro 30 gg dalla data di indizione
la conferenza assume le determinazioni relative all’organizzazione dei propri lavori a maggioranza dei
presenti e può svolgersi in via telematica
la convocazione alla prima riunione deve prevenire, anche per via telematica o informatica, almeno 5 gg
prima della relativa data. Entro i successivi 5 gg le amministrazioni convocate possono richiedere, qualora
impossibilitate a partecipare, l’effettuazione della riunione in una diversa data e l’amministrazione
procedente concorda una nuova data, entro i 10 gg successivi alla prima.
le amministrazioni stabiliscono il termine per l’adozione della decisione conclusiva, rispettando la regola
secondo cui i lavori non possono superare i 90 gg
Ogni amministrazione partecipa ad essa con un “unico rappresentante, legittimato dall’organo competente a
esprimere in modo vincolante la volontà su tutte le decisioni di competenza della stessa”.
In sede di conferenza possono essere richiesti, per 1 sola volta, ai proponenti dell’istanza o ai progettisti
chiarimenti o ulteriore documentazione, che debbono essere forniti entro 30 gg.
A seguito delle innovazioni introdotte con l. 69/2009 alla conferenza possono essere convocati anche i soggetti
proponenti il progetto dedotto in conferenza e possono partecipare i concessionari e i gestori di pubblici servizi,
nonché le amministrazioni preposte alla gestione delle eventuali misure pubbliche di agevolazioni qst soggetti
NON hanno diritto di voto.
Ai sensi dell’art. 14 ter comma 7 l. 241/1990, una volta convocata la conferenza, si considera acquisito l’assenso
dell’amministrazione il cui rappresentante non abbia “espresso definitivamente la volontà dell’amministrazione
rappresentata” meccanismo volto a superare la c.d. presenza non collaborativa.
Ai sensi del comma 6 bis, la determinazione motivata di conclusione del procedimento, adottata valutate le
specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede,
sostituisce, a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato
di competenza delle amministrazioni partecipanti o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti” in qst
caso si verifica la c.d. assenza- assenso.
La medesima disciplina si applica anche per qnt attiene al mancato rispetto del termine stabilito per la conclusione
dei lavori e al caso del dissenso. In sostanza, l’amministrazione procedente non adotta la determinazione motivata
di conclusione del procedimento sulla base del mero criterio della maggioranza ma deve “tener conto delle
posizioni prevalenti espresse in conferenza” Cons. Stato, sent. 5084/2013.
In ordine agli effetti della conferenza: la determinazione motivata conclusiva “sostituisce, a tutti gli effetti, ogni
autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle
amministrazioni partecipanti o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti”.
Il comma 3 quater ex art. 14 quater introduce una disciplina che deroga a qst meccanismi di semplificazione,
fondata sull’esigenza di rispettare l’autonomia costituzionalmente garantita ad alcuni enti con riferimento ai casi di
motivato dissenso espresso da una regione o da una provincia autonoma in una delle materie di propria
competenza, ai fini del raggiungimento di un’intesa, entro 30 gg dalla data di rimessione della questione alla
delibera del Consiglio dei ministri.
Ove cmq non sia raggiunta l’intesa, in un ulteriore termine di 30 gg, le trattative, con le medesime modalità delle
fasi precedenti, sono finalizzate a risolvere e comunque a individuare i punti di dissenso. Se all’esito delle suddette
trattativa l’intesa non è cmq raggiunta, la deliberazione del Consiglio dei ministri può essere comunque adottata
con la partecipazione dei Presidenti delle regioni o delle province autonome interessate un analogo meccanismo
si applica in caso di dissenso manifestato da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-à
territoriale, del patrimonio storico- artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità.
In alcuni casi le conferenza di servizi sono trasformate in momenti obbligatori del procedimento qst è un
carattere che vale a distanziare tale istituto dal modello previsto dall’accordo.
Nell’ipotesi di silenzio- significativo l’ordinamento collega al decorso del termine la produzione di un effetto
equipollente all’emanazione di un provvedimento favorevole (silenzio- assenso) o di diniego (silenzio diniego) a
seguito di istanza del privato titolare di un interesse pretensivo.
Pochi sono invece i casi di silenzio diniego e cmq previsti dalla legge ad esempio è il caso dell’art. 53 comma 10
d.lgs. 165/2001, ai sensi del quale l’autorizzazione richiesta da dipendenti pubblici all’amministrazione di
appartenenza ai fini dello svolgimento di incarichi retribuiti si intende definitivamente negata qnd, a seguito della
presentazione della richiesta che non attenga a incarichi da conferirsi da amministrazioni pubbliche, sia
inutilmente decorso i termine di 30 gg per provvedere.
Più rilevante è il campo di applicazione del silenzio assenso che oggi costituisce la regola nel nostro ordinamento
per i procedimenti ad istanza di parte, anche se temperata da una serie di eccezioni presupposto del silenzio
assenso è quello secondo cui la legge effettua una preliminare valutazione astratta della compatibilità dell’attività
privata con l’interesse pubblico.
L’art. 20 l. 241/1990 dispone che “fatta salva l’applicazione dell’art. 19, nei procedimento ad istanza di parte per il
rilascio di provvedimenti amministrativi, il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di
accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non
comunica all’interessato, nel termine di cui all’art. 2, il provvedimento di diniego ovvero non procede ai sensi del
comma 2”.
Il comma 4 prevede tuttavia delle eccezioni ordine alle quali il silenzio non può valere come assenso è il caso
dei procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la difesa nazionale, la pubblica
sicurezza e immigrazione, asilo e cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità, i casi in cui la legge qualifica il
silenzio dell’amministrazione come rigetto dell’istanza, nonché i provvedimenti individuati con decreto dal
Presidente del Consiglio.
Al fine di evitare la formazione del silenzio, l’amministrazione competente può operare in 3 modi:
può provvedere espressamente, atteso che rimane fermo il principio di cui all’art. 2, in forza del quale
l’amministrazione ha il potere/dovere di provvedere con atto espresso
In caso di dichiarazioni mendaci o di false dichiarazioni il dichiarante è punito con la sanzione di cui all’art. 483
c.p.
In tali ipotesi “non è ammessa la conformazione dell’attività e dei suoi effetti a legge o la sanatoria prevista dagli
artt. 19 e 20”.
In ogni caso la dichiarazione falsa o mendace impedisce la formazione del silenzio.
Ai sensi dell’art. 21 comma 2 “le sanzioni attualmente previste in caso di svolgimento dell’attività in carenza
dell’atto di assenso dell’amministrazione o in difformità di esso si applicano anche nei riguardi di coloro i quali
diano inizio all’attività ai sensi degli artt. 19 e 20 in mancanza dei requisiti richiesti o, comunque, in contrasto con
la normativa vigente”.
La circostanza che l’amministrazione disponga di un potere amministrativo, ancorché non lo eserciti emanando un
provvedimento, ha come conseguenza che il privato, autorizzato a svolgere una certa attività a seguito del
formarsi del silenzio, trova il titolo legittimante dell’attività stessa non già direttamente nella legge, bensì negli
effetti collegati al silenzio.
Il silenzio rigetto si forma nei casi in cui l’amministrazione, alla quale sia stato indirizzato un ricorso
amministrativo, rimanga inerte. Oggi la disciplina è disciplinata dal d.p.r. 1199/1971, che dispone che il
ricorso si ritiene respinto trascorsi 90 gg dalla presentazione del ricorso gerarchico.
Il silenzio devolutivo è quello previsto dagli artt. 16 e 17. L’inutile decorso del termine consente al
soggetto pubblico procedente di completare il procedimento pur in assenza di un parere obbligatorio
ovvero di rivolgersi ad un’altra amministrazione al fine di ottenere una valutazione tecnica non resa
dall’amministrazione alla quale è stata inizialmente richiesta.
della dichiarazione e pur se sono stabiliti presupposti peculiari al ricorrere del quale i poteri possono essere
esercitati anche dopo che sia decorso un certo periodo.
La norma prevede un meccanismo di sostituzione con una segnalazione di un ampio spettro di provvedimenti: si
tratta di ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque
denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale,
commerciale o artigianale, il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti
richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente
complessivo.
La segnalazione va corredata dalle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell’atto di notorietà per qnt riguarda
tutti gli stati, le qualità personali e i fatti previsti ex d.p.r. 445/2000 nonché dalle attestazioni e asseverazioni di
tecnici abilitati, ovvero dalle dichiarazioni di conformità da parte delle Agenzie delle imprese.
Si tratta quindi di un meccanismo che opera con riferimento a fattispecie permissive, pur se l’assenza di un elenco
tipizzato di casi crea incertezze applicative.
Sono comunque previste delle eccezioni in ordine all’applicazione della Scia si tratta dei casi in cui sussistano
vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa
nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia,
all’amministrazione delle finanze, nonché gli atti previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche e di
quelli imposti dalla normativa comunitaria.
In luogo della necessità di ottenere un provvedimento di consenso che abbia i caratteri previsti dalla legge, il
privato può limitarsi a presentare una segnalazione, iniziando immediatamente l’attività questo è l’unico onere
per il privato, che non deve più avanzare una domanda, ma deve porre in essere un’attività informativa cui è
subordinato l’esercizio del diritto e il compito dell’amministrazione sarà quello di controllare successivamente
l’attività.
L’amministrazione dispone di 5 tipi di poteri per ripristinare la legalità:
potere di verificain caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti, nel termine di 60 gg dal
ricevimento della segnalazione, l’amministrazione “adotta motivati provvedimenti di divieto di
prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo che, ove ciò sia
possibile, l’interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro
un termine fissato dall’amministrazione in ogni caso non inferiore a 30 gg”.
potere di autotutela tale potere può essere esercitato solo in presenza di specifici presupposti quali il
pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza
pubblica o la difesa nazionale.
L’art. 19 comma 4 dispone che entro il termine di 60 gg per l’adozione dei provvedimenti di divieto o
ordine, all’amministrazione è consento bensì di “intervenire” ma solo in presenza di un danno per il
patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa
nazionale e previo motivato accertamento dell’impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante
conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente.
L’art. 19 comma 3 prevede che in caso di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà
false o mendaci, l’amministrazione può sempre e in ogni tempo adottare i provvedimenti di ripristino della
legalità.
L’art. 21 comma 2 dispone che “le sanzioni attualmente previste in caso di svolgimento dell’attività in
carenza dell’atto di assenso dell’amministrazione o in difformità di esso si applicano anche nei riguardi di
coloro i quali diano inizio all’attività ai sensi degli artt. 19 e 20 in mancanza dei requisiti richiesti o,
comunque, in contrasto con la normativa vigente”.
Parte della dottrina e della giurisprudenza ricercavano un momento provvedimentale all’interno della vicenda per
poter assicurare tutela al terzo pregiudicato dall’attività oggetto di segnalazione. L’istituto coinvolge infatti 3 classi
di interesse: quello del richiedente, quello pubblico e quello del terzo.
La questione viene ora affrontata dalla legge, che consente al terzo di sollecitare i poteri di intervento
dell’amministrazione utilizzando, a fronte dell’eventuale inerzia, lo strumento del ricorso avverso il silenzio il
problema è che decorsi i 60 gg si restringe la possibilità di ottenere un ripristino della legalità. Inoltre può
accadere che il terzo venga a conoscenza della Scia già quando sia trascorso il suddetto termine e quindi in un
momento in cui l’amministrazione non può più adottare provvedimenti di divieto o di ordine la questione è
oggetto di questione di legittimità che è stata sollevata dal Tar Piemonte con sent. 1124/2015.
Questione di particolare interesse attiene invece all’interpretazione del provvedimento, mediante la quale si
perviene alla qualificazione giuridica del provvedimento stesso, del suo contenuto e dei suoi effetti.
Il provvedimento è composto:
dall’intestazione viene indicata l’autorità che emana il provvedimento
preambolo vengono enunciate le circostanze di fatto e di diritto
motivazione indica le ragioni giuridiche e i presupposti di fatto del provvedere
dispositivo rappresenta la parte precettiva del provvedimento e contiene la concreta statuizione posta in
essere dall’amministrazione (in sostanza è il comando: ordina, autorizza, revoca etc).
dalla data
dalla sottoscrizione
indicazione del luogo dell’emanazione
Rilevanti sono anche gli elementi estrinseci quali gli atti preparatori, concomitanti e successivi, mentre non riveste
importanza decisiva la denominazione data all’atto.
Si applicano comunque agli atti amministrativi le seguenti norme del codice civile in materia di interpretazione dei
contratti:
1. art. 1362 in ordine alla rilevanza dell’intenzione del soggetto e al comportamento complessivo
2. art. 1363 in ordine al quale le clausole si interpretano una per mezzo delle altre
3. art. 1364 per qnt siano generali le espressioni usate nell’atto, esso non si riferisce che agli oggetti suoi
propri
4. art. 1367 le disposizioni debbono interpretarsi nel seno in cui possono avere qualche effetto
5. art. 1366 viene applicato dalla giurisprudenza, ai sensi del quale il contratto si deve interpretare
secondo buona fede.
NON si applicano invece le norme che, in caso di oscurità dell’atto, impongono di interpretarlo nel senso meno
gravoso per l’obbligato o nel senso che realizzi l’equo contemperamento degli interessi delle parti se è a titolo
onerosotale criterio confligge infatti con l’esigenza che l’atto persegua l’interesse pubblico.
NON è ammissibile l’interpretazione autentica vincolante per i terzi da parte dell’amministrazione autrice dell’atto.
La legge assegna il provvedimento ad un figura soggettiva, ai fini dell’imputazione formale dello stesso. Di regola
tale imputazione è fatta dalla legge a una persona giuridica diversa dalla persona fisica dal cui comportamento il
provvedimento è prodotto di conseguenza imputazione psicologica e imputazione giuridica non coincidono,
onde la volontà della persona fisica è cosa diversa da quella che si suola chiamare volontà dell’atto.
Il provvedimento è un atto di disposizione in ordine all’interesse pubblico che l’amministrazione deve perseguire e
che si correla con l’incisione di altrui situazioni soggettive.
Quando si afferma che l’incisione delle situazioni soggettive è caratteristica del provvedimento amministrativo
sembra che si faccia riferimento ad un effetto del manifestarsi di un fatto o fenomeno per lo più dannoso non
sempre è così: vi sono infatti tutta una serie di provvedimenti cui l’ordinamento collega effetti vantaggiosi per i
loro destinatari, come accade ad esempio per le concessioni e autorizzazioni.
Laddove vengano prodotti effetti favorevoli e dove il provvedimento incontri il consenso degli interessati non
dovrebbe potersi parlare di provvedimenti amministrativi, a meno di abbandonare la tesi della necessaria incisione
autoritativa di altrui situazioni soggettive per la configurabilità del provvedimento stesso. Tuttavia è stato
sostenuto in dottrina che, anche laddove si determinano effetti favorevoli, si abbia cmq un’incidenza negativa nei
riguardi di altri soggetti.
Per tipicità del provvedimento si intende che la pubblica amministrazione, nel caso in cui debba produrre in un
caso puntuale e concreto una vicenda giuridica, disponga del potere in forza di una legge che glielo conferisce
la legge deve inoltre prescrivere gli elementi in cui il potere si articola, vale a dire che bisogna indicare il soggetto,
oggetto, contenuto, interesse pubblico, forma.
Per nominatività del provvedimento si fa riferimento al fatto che la pubblica amministrazione, per conseguire gli
effetti tipici, può ricorrere solo agli schemi individuati in generale dalla legge.
Per qnt riguarda la distinzione tra tipicità e nominatività, questa non è stata particolarmente approfondita dalla
dottrina e spesso i 2 termini vengono usati come sinonimi. Tale distinzione rileva invece ove, ad esempio, si faccia
riferimento alle ordinanze di necessità ed urgenza si tratta di atti nominati ma i cui effetti non sono
predeterminati dalla legge.
L’art. 1 comma 1 bis l. 241/1990 dispone che “la pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non
autoritativa, agisca secondo le norme di diritto privato, salvo che la legge disponga diversamente”.
La norma è stata oggetto di riflessioni in dottrina, alcune delle quali favorevoli a considerare come atti non
autoritativi quelli che, essendo ampliativi della sfera giuridica del destinatario, sono in grado di produrre effetti
solo subordinatamente al consenso del destinatario.
Altri sostengono invece che i provvedimenti autoritativi sono solo quelli limitativi della sfera giuridica dei privati
tale tesi non è condivisibile atteso che l’autoritatività sembra far perno sull’unilateralità della gestione
dell’interesse pubblico, che ricorre anche nei provvedimenti ampliativi.
In conclusione, gli atti non autoritativi sono quelli che non costituiscono espressione di un potere amministrativo
in qnt l’ordinamento a monte ha conformato in senso privatistico un certo ambito di rapporti che vede coinvolte le
pubbliche amministrazioni, come accade per il settore del pubblico impiego presso le amministrazioni.
In tema di forma dei provvedimenti rilevano anche le c.d. determinazioni con esse ci si riferisce nella prassi agli
atti dirigenziali, come ad esempio quelli che comportano impegni di spesa.
In qst ipotesi la determinazione chiude la fase amministrativa che genera l’obbligazione e, comportando
l’impegno, apre quella di attuazione del suo contenuto. In linea di massima, l’impegno deriva dal perfezionamento
dell’obbligazione, anche se vi sono ipotesi in cui le spese formano impegno pur se non presuppongono l’esistenza
di un’obbligazione già perfezionata.
Ai sensi dell’art. 2 d.l. 78/2009, “il funzionario che adotta provvedimenti che comportano impegni di spesa ha
l’obbligo di accertare preventivamente che il programma dei conseguenti pagamenti sia compatibile con i relativi
stanziamenti di bilancio e con le regole di finanza pubblica; la violazione dell’obbligo di accertamento comporta
responsabilità disciplinare ed amministrativa”.
(per qnt attiene l’impegno, questo può essere inteso come effetto contabile e, in qnt tale, consegue all’operazione
di registrazione da parte dei competenti uffici di ragioneria. Dopo la registrazione, comporta la costituzione di un
vincolo sul bilancio e l’accantonamento della relativa somma e la riduzione della disponibilità finanziaria, nonché la
legittimazione del dirigente responsabile alla successiva fase dell’ordinazione.
Gli impegni possono poi derivare dall’approvazione dei contratti stipulati da organi statali.
Il mancato o illegittimo impegno NON libera l’amministrazione, sotto il profilo civilistico, dell’adempimento
dell’obbligazione: il creditore potrebbe infatti esperire le azioni civili ordinarie per ottenere l’adempimento.
Le altre fasi del procedimento contabile sono:
liquidazione consiste nella precisa determinazione della soma, certa e liquida, da pagare sulla base dei
giustificativi documentali che dimostrino ad esempio la consegna dei beni
ordinazione del pagamento rivolto alla tesoreria e che consiste nell’emissione dei titoli di pagamento
pagamento)
-Difformità del provvedimento dal paradigma normativo: la nullità e illiceità del provvedimento amministrativo.
Nel caso in cui il provvedimento sia emanato in violazione delle norme attributiva si ha la nullità.
Nel caso in cui sia difforme dalle norme di azione che disciplinano l’esercizio del potere il provvedimento è
annullabile, salvo l’operatività dell’art. 21 septies l. 241/1990.
La dottrina riconduce nullità e annullabilità nella categoria delle INVALIDITà, che consiste nella difformità dell’atto
dalla normativa che lo disciplina.
L’art. 21 septies l. 241/1990 si occupa della nullità tipizzando alcuni casi in cui essa ricorre. Tale articolo, tuttavia,
non detta il regime compiuto, sicchè questo va mutuato da quello previsto dal codice civile assenza di effetti,
insanabilità, rilevabilità d’ufficio e in qualsiasi tempo, possibilità di conversione dell’atto, impossibilità
dell’annullamento in via di autotutela. Tali effetti mutuati dal diritto civile vanno combinati con gli aspetti
processuali relativi all’azione volta all’accertamento della nullità.
(A differenza della disciplina codicistica, nel diritto amministrativo non si parla espressamente di contrarietà a
norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume, né di mancanza dei requisiti di determinatezza,
determinabilità e possibilità dell’oggetto poiché altrimenti avrebbe comportato un’abnorme moltiplicazione dei casi
di nullità. La categoria generale della violazione delle norme imperative, nel diritto amministrativo, è quindi
l’annullabilità nel senso che, salvo eccezioni, l’atto contrario a norma pubblicistica è annullabile).
La prima categoria di nullità che rileva è quella relativa alla mancanza degli elementi essenziali del
provvedimento a tal proposito, la legge non fa cenno alcuno alle categorie dell’atto illecito e di quello
inesistente.
I tentativi di individuare casi concreti in cui venga violata una norma delimitativa del potere sono
scolastiche e ad essa va riferita la nullità (o inesistenza del provvedimento). Con riferimento a uno di qst
casi, quello relativo a vizio che attiene al profilo soggettivo, l’art.21 septies parla di difetto assoluto di
attribuzione.
La questione del contrasto con una norma di relazione sorge invece nella situazione di carenza del potere
in concreto. Va tuttavia precisato che l’art. 21 septies non fa cenno a questa figura, poiché vi è chi
considera tale omissione come conferma della sua scomparsa o inesistenza, ritenendo assorbito l’istituto
nell’annullabilità.
(Il problema in questione, tuttalpiù, si pone al confine tra il piano sostanziale e quello processuale:
secondo la giurisprudenza, il criterio di discriminazione tra giurisdizione del giudice amministrativo e
giudice ordinario si fonda sulla contrapposizione tra cattivo esercizio del potere e carenza del potere. Nel
caso di carenza di potere, poiché il privato è titolare di un diritto, dovrebbe sussistere la giurisdizione del
giudice ordinario.
Per qnt riguarda la mancanza del potere, questa può presentarsi sia come carenza in astratto sia come
carenza in concreto in qst secondo caso, i potere non manca in toto in qnt, anche se ridotta,
un’estrinsecazione del potere sussiste poiché in astratto il potere c’è in qnt le norme attributive del potere
sono state osservate, e ciò basta perché il suo esercizio mantenga quel tanto di autoritatività che gli
consente di esplicare effetti giuridici. La formula dell’inesistenza in concreto del potere deve quindi essere
intesa come rilevatrice dell’esistenza di un potere in astratto che, anche se male esercitato, produce pur
sempre un effetto.
In ogni caso, sul piano sostanziale, il regime del provvedimento emanato in una situazione di carenza di
potere in concreto si riconduce in senso proprio a quello che in dottrina è stato denominato come
illiceità questa è l’unica ipotesi di atto posto in essere in violazione di norme di relazione che trova un
abbozzo di disciplina positiva differente da quella ricavabile ex art. 21 speties l. 241/1990 la quale non ne
fa cenno. L’art. 2 della legge abolitrice del contenzioso amministrativo individua la giurisdizione del giudice
ordinario con riferimento alla lesione di un diritto soggettivo “ancorchè siano emanati provvedimento del
potere esecutivo o dell’autorità amministrativa” l’atto lesivo di una norma di relazione, perchè emanato
in carenza di potere in concreto produce quindi effetti, indipendentemente dell’esecuzione materiale
dell’atto illecito e infatti esso è causa di responsabilità in capo all’amministrazione per risarcimento del
danno; l’atto però non è annullabile dal giudice ordinario né dal giudice amministrativo, ecco che quindi
va individuato uno strumento per eliminare gli effetti di un atto posto in essere in violazione di un diritto
soggettivo che non può essere annullato dal giudice amministrativo il rimedio sarà quindi la mera
disapplicazione da parte del giudice ordinario).
Altre ipotesi di nullità, prevista dall’art. 133 cpa sono la violazione o l’elusione del giudicato, come già
affermato dal Cons. stato in Ad. Plen. 6/1984. Viene precisato che “le questioni inerenti alla nullità dei
provvedimenti amministrativi in violazione o elusione del giudicato sono attribuite alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo”.
L’art. 114 comma 4 lett. c) cpa si occupa anche degli atti in violazione o elusione di sentenze non ancora
passate in giudicato, stabilendo che essi (i provvedimenti) sono considerati dal giudice inefficaci.
Ulteriore ipotesi di nullità è quella ove si prevede che la nullità sia prevista espressamente dalla legge
l’art. 21 septies afferma infatti che “l’atto è nullo negli altri casi espressamente previsti dalla legge”.Ad
esempio la l. 444/1994 in relazione agli atti adottati dagli organi decaduti, decorsi 45 gg dalla scadenza ex
art. 11 l. 241/1990, in ordine agli accordi tra amministrazione e privati che non siano rivestiti di forma
scritta sono nulli.
Al cospetto di un atto nullo, il privato dovrebbe essere titolare di un diritto soggettivo e quindi vi sarebbe
giurisdizione del giudice ordinario. Tuttavia una parte della giurisprudenza ritiene che, a fronte di un atto nullo,
sussista un interesse legittimo, perciò vi sarebbe giurisdizione del giudice amministrativo Tar Lombardia III sez.
sent. 5426/2008: tale soluzione è stata recepita dal cpa, che infatti dispone l’azione di nullità davanti al giudice
amministrativo (ma con riguardo alle sole nullità previste per legge).
L’elenco delle cause di illegittimità si ricava dall’art. 21 octies l. 241/1990 ove si dispone che “è annullabile il
provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza”.
L’art. 21 nonies si occupa dell’annullamento d’ufficio dell’atto illegittimo e della sua convalida.
Vi sono poi disposizioni processuali che determinano l’annullamento degli atti amministrativi da parte del giudice
amministrativo a seguito di impugnazione da parte dei soggetti titolari di interessi legittimi qst norme vanno
coordinate con l’art. 21 octies comma 2 che ne ha ridotto il campo di applicazione: infatti, talvolta si prevede che
il provvedimento difforme dal paradigma normativo non è annullabile. Il riferimento è ai vizi formali, che indicano i
casi in viene violata una norma il cui rispetto non avrebbe assicurato una decisione diversa che, quindi, non va
annullata.
Nel nostro ordinamento ciò accade ove l’atto sia adotta in violazione di norme sul procedimento o sulla forma
degli atti ma sia palese che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
Inoltre il provvedimento amministrativo non è annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento
qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere
diverso da quello in concreto adottato.
Bisogna chiarire perché un atto difforme dal paradigma normativo possa essere considerato valido si potrebbe
immaginare che esso sia tale perché originariamente idoneo a conseguire lo scopo, secondo qnt disposto ex art.
156 comma 2 cpc.
Ammettendo che nei casi ex art. 21 octies il privato sia titolare di un interesse legittimo si dovrebbe però
concludere che la l. 241/1990 nega la facoltà di reazione processuale, in contrasto con gli artt. 24 e 113 Cost.
Si è sostenuto che la disciplina costituzionale possa ritenersi rispettata in qnt alla violazione della norma
procedimentale o di forma l’ordinamento potrebbe ricollegare sanzioni differenti all’annullamento del
provvedimento, come ad esempio la risarcibilità della lesione dell’interesse legittimo.
Vi è però una difformità rispetto al paradigma normativo per qnt riguarda la dinamica di esercizio del potere. Si
potrebbe pensare che, pur sussistendo l’illegittimità del provvedimento relativo ad una certa attività, quell’attività
verrebbe sanata dal provvedimento finale che raggiungerebbe così lo scopo voluto dalla legge.
La legittimità del provvedimento verrà poi svelata nel corso del giudizio infatti sarà il processo la sede in cui si
deciderà se alla violazione di una norma consegue o meno l’illegittimità dell’atto.
Alla luce della disciplina si osserva che:
il legislatore avrebbe fatto meglio ad abrogare le incombenze procedimentali ritenute non rilevanti
la soluzione prescelta determina un forte disincentivo per il provato ad impugnare i provvedimenti
l’impressione è che l’art. 21 octies dequoti il significato complessivo della l. 241/1990 come fonte che
contiene le basilari regole tra privato e amministrazione
in altri settori dell’ordinamento non vi è graduazione tra i vizi di violazione di legge
tra i vizi che possono essere salvati con il meccanismo dell’art. 21 octies non compare l’incompetenza,
anche se, nella logica del risultato, ciò appare non giustificabile
norme internazionali e comunitarie in materia ambientale prevedono che la partecipazione procedimentale
debba essere assistita da tutela giurisdizionale.
Nelle 2 ipotesi disciplinate dall’art. 21 octies comma 2 vi è differenza: la prima ipotesi concerne i vizi
procedimentali e di forma e si richiede che l’attività sia vincolata e che sia palese che il suo contenuto dispositivo
non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. La seconda ipotesi consente di salvare il
provvedimento dall’annullamento a seguito della dimostrazione in sede processuale da parte dell’amministrazione
dell’immutabilità del suo contenuto dispositivo quando sia mancata la comunicazione dell’avvio del procedimento.
Ricapitolando, l’area dell’illegittimità del provvedimento si configura a geometria variabile raggruppando i seguenti
casi:
A. con riferimento all’attività discrezionale: scelta irrazionale o incongrua ovvero violazione di legge
B. nel caso di vizio per omessa comunicazione di avvio, il recupero dell’atto può però avvenire anche se l’atto
è discrezionale, rendendo in sostanza irrilevante quello specifico vizio
C. con riferimento all’attività discrezionale e vincolata: mancato rispetto delle norme sulla competenza,
indipendentemente dal fatto che il contenuto potesse essere o meno diverso da quello in concreto
adottato
D. con riferimento all’attività vincolata debbono ricorrere 2 requisiti: violazione di una norma di azione sulla
forma o sul procedimento e prova che il contenuto del provvedimento avrebbe potuto essere diverso da
quello in concreto adottato.
eccesso di potere è il risvolto patologico della discrezionalità. Sussiste qnd la facoltà di scelta che spetta
all’amministrazione non è correttamente esercitata.
Tale vizio nasce dalla violazione di quelle prescrizioni che presiedono allo svolgimento della funzione che
non sono ravvisabili in via preventiva ed astratta. Tali regole si sostanziano nel principio di logicità-
continuità applicato al caso concreto e la loro violazione è evidenziata dal giudice amministrativo in
occasione del sindacato dell’eccesso di potere.
Il giudizio di logicità- continuità, che racchiude in sé anche il principio di proporzionalità, va effettuato
tenendo conto dell’interesse primario da perseguire, degli interessi secondari coinvolti e della situazione di
fatto.
Eccesso di potere non significa però straripamento del potere: questo infatti darebbe luogo alla nullità
dell’atto.
L’eccesso di potere è predicabile solo con riferimento agli atti discrezionali. Tuttavia un sindacato di
congruità e ragionevolezza delle valutazioni operata è compiuto dal giudice amministrativo anche con
riferimento alla c.d. discrezionalità tecnica.
Classica forma dell’eccesso di potere è lo sviamento, che ricorre qnd l’amministrazione persegua un fine
diverso da quello per il quale il potere le è stato conferito.
La giurisprudenza ha poi elaborato una serie di figure sintomatiche che sono sintomo del non corretto
esercizio del potere in vista del suo fine:
I. violazione della prassi
II. manifesta ingiustizia sproporzione tra sanzione e illecito
III. contraddittorietà tra più parti dello stesso atto o tra più atti
IV. disparità di trattamento tra situazioni simili
V. travisamento dei fatti si assume a presupposto dell’agire una situazione che non sussiste in
realtà
VI. incompletezza e difetto dell’istruttoria
VII. inosservanza dei limiti, dei parametri di riferimento e dei criteri fissati per lo svolgimento
dell’azione
VIII. vizi di motivazione ricorre eccesso di potere qnd la motivazione sia:
insufficiente
incongrua (=si dà indebito peso ad alcuni profili)
contraddittoria
apodittica
dubbiosa (=quella motivazione che richiama fatti che si assumono non certi)
illogica
perplessa.
In tutti qst casi vi è DIFETTO DI MOTIVAZIONE.
L’assenza di motivazione dà luogo al vizio di violazione di legge in qnt la motivazione è
obbligatoria ex art. 3 l. 241/1990
IX. violazione delle circolari, di ordini, istruzioni e delle norme interne tali atti e fatti non pongono
norme giuridiche.
La circolare è un atto non avente carattere normativo, mediante la quale l’amministrazione
fornisce indicazioni in via generale e astratta in ordine alle modalità con cui dovranno comportarsi
in futuro i propri dipendenti e i propri uffici. È sintomo di una scelta non congrua adottare un atto
in difformità dalle indicazioni in via preventiva fornite nell’ambito dell’organizzazione, salvo la
possibilità di motivare adeguatamente la scelta che si discosta dal contenuto della circolare.
La prassi amministrativa è invece il comportamento costantemente tenuto da un’amministrazione
nell’esercizio del potere. L’inosservanza della prassi consiste dal discostarsi dalla coerenza che
essa richiede nei comportamenti delle amministrazioni.
Per qnt riguarda le norme interne, sono norme che non operano per l’ordinamento generale, non
hanno natura di norme giuridiche e sono destinate solo a disciplinare solo i rapporti interni, ad
esempio si usano per valutare il comportamento del dipendente che non si è ad essere
conformato.
Tali vizi conseguono alla violazione delle norme di azione.
Pur avendo previsto l’obbligo della motivazione, rimane aperta la questione relativa al “come” motivare a tal
proposito la motivazione, oltre che esistere, deve essere sufficiente per sottrarsi alle censure di eccesso di potere
e deve quindi chiarire i fatti che giustificano la decisione amministrativa adottata.
In specie, l’amministrazione dovrà puntualmente motivare se disattende le rappresentazioni dei privati interessati
e deve dar conto delle risultanze istruttorie.
L’esclusione del dovere di motivare degli atti a contenuto generale non impedisce che, qnd in essi siano contenute
clausole specifiche di peculiare applicazione, queste possano essere considerate provvedimentali e quindi debbano
essere motivate.
-I vizi di merito
L’illegittimità dei vizi di merito si verifica nei casi in cui la scelta discrezionale confligge con il canone di logicità e
congruità che regola l’azione discrezionale: l’inopportunità del provvedimento è quindi irrilevante, nel senso che la
legge si limita a richiedere che la scelta discrezionale sia legittima alla stregue del canone di congruità e logicità
ossia non risulti viziata per eccesso di potere. Tuttavia, a vote, l’inopportunità assume rilevanza perché
l’ordinamento prevede la sua sindacabilità e quindi la sostituzione della valutazione di un terzo a quella compiuta
dall’amministrazione ciò viene effettuato mediante:
controllo di merito
ricorso amministrativo
autotutela
ricorsi giurisdizionali
sanatoria del provvedimento non è disciplinata dall’art. 21 nonies l. 241/1990. Ricorre qnd il vizio
dipende dalla mancanza, nel corso del procedimento, di un atto endoprocedimentale la cui adozione
spetta a soggetto diverso dall’amministrazione competente ad emanare il provvedimento finale.
-Conversione, inoppugnabilità, acquiescenza, ratifica, rettifica e rinnovazione del provvedimento
La conversione riguarda gli atti nulli in luogo dell’atto nullo è da considerar esistente un differente atto
purchè sussistano tutti i requisiti di questo e risulti che l’agente avrebbe voluto il secondo atto ove fosse
stato a conoscenza del mancato venire in essere del primo.
La conversione opera ex tunc in base al principio della conservazione dei valori giuridici.
Dottrina e giurisprudenza talora ammettono la possibilità della conversione anche di atti annullabili in
qst casi si verifica un fenomeno complesso, costituito dall’annullamento dell’atto originario e dalla sua
sostituzione con altro atto di cui sussistono nel primo tutti i requisiti.
L’inoppugnabilità è la condizione in cui l’atto viene a trovarsi ove siano decorsi i termini per impugnarlo in
via giudiziale tuttavia l’atto rimane pur sempre annullabile d’ufficio e disapplicabile dal giudice ordinario.
La ratifica ricorre allorquando sussista una legittimazione straordinaria di un organo ad emanare a titolo
provvisorio e in una situazione di urgenza un provvedimento che rientra nella competenza di un altro
organo il quale, ratificando, fa proprio quel provvedimento.
La rinnovazione del provvedimento annullato consiste nell’emanazione di un nuovo atto che ha effetti ex
nunc, con la ripetizione della procedura a partire dall’atto endoprocedimentale viziato.
L’efficacia incontra limiti territoriali di norma corrispondono a quelli della competenza dell’autorità, sebbene non
manchino eccezioni, come nel caso del passato, il quale viene rilasciato dalla questura ma ha efficacia su tutto il
territorio nazionale.
L’efficacia del provvedimento può essere subordinata al compimento di determinate operazioni, al verificarsi di
alcune circostanze o all’emanazione di ulteriori atti rispetto all’adozione del provvedimento in sé.
Ma l’efficacia del provvedimento non incontra solo limiti spaziale ma anche limiti temporali: pur sussistendo il
principio secondo cui gli atti di norma producono effetti al momento in cui sono venuti ad esistenza, non mancano
esempi di atti ad efficacia differita (l’operatività è subordinata al completarsi della fattispecie operativa) o
retroattiva a riguardo, di norma, l’atto amministrativo è irretroattivo.
Tuttavia si riconosce che l’efficacia di alcuni atti si spieghi prima del fatto che ne è causa. Esistono infatti atti che
sono retroattivi per natura, che sono però soggetti, secondo quanto affermato da dottrina e giurisprudenza, ad
una gradazione dell’effetto derivante dall’annullamento del provvedimento. Al di fuori di qst ipotesi, la
retroattività, in qnt mira a soddisfare un interesse del singolo, è ammessa solo se l’atto produce effetti favorevoli
per il destinatario e non sussistono controinteressati ovvero se vi è i consenso dell’interessato.
Diversa dalla retroattività è la retrodatazione, che viene conferita ad atti adottati “ora per allora”, vale a dire a
quegli atti che l’amministrazione sarebbe tenuta ad emanare ma che non ha adottato tempestivamente.
Per qnt attiene ai limiti temporali dell’efficacia, si deve inoltre distinguere tra atti ad efficacia istantanea per i quali
l’effetto si produce in un dato momento e riguarda un singolo accadimento e atti a efficacia durevole o
prolungata, che si protraggono e proiettano nel tempo.
Tipico atto amministrativo che incide sull’eseguibilità e sull’efficacia è la sospensione amministrativa, che è
espressione di un potere generale di autotutela ed è quel provvedimento con il quale viene temporaneamente
paralizzata l’efficacia o l’eseguibilità di un provvedimento efficace, sia esso ampliativo o limitativo della sfera del
destinatario.
L’art. 21 quater comma 2 l. 241/1990 dispone che l’efficacia ovvero l’esecuzione del provvedimento
amministrativo può essere sospesa, per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario, dallo stesso organo
che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge.
Il termine della sospensione è esplicitamente indicato nell’atto che la dispone e può essere prorogato o differito
per 1 sola volta, nonché ridotto per sopravvenute esigenze.
La proroga è il provvedimento con cui si protrae ad un momento successivo il termine finale dell’efficacia di un
provvedimento durevole. Va adottata prima della scadenza del provvedimento di primo grado.
Ove sia emanata successivamente, si tratta invece di rinnovazione, che consiste in un nuovo atto, identico a
quello precedente, che è autonomamente impugnabile, la cui legittimità va valutata al momento della sua
adozione.
La revoca è il provvedimento che fa venire meno la vigenza degli effetti di un atto a conclusione di un
procedimento volto a verificare se i risultati cui si è pervenuti attraverso il precedente provvedimento meritino di
essere conservati.
L’art. 21 quinquies l. 241/1990 dispone che, per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di
mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento o, salvo che per
i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, di nuova valutazione dell’interesse
pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato.
(In dottrina, si parla anche di revoca per indicare il provvedimento di natura sanzionatoria che l’amministrazione
pone in essere a seguito della violazione di un obbligo dell’interessato).
Alla radice del potere generale di revoca si profilano più situazioni:
può accadere che siano sopravvenuti motivi di interesse pubblico
siano mutate le circostanze di fatti esistenti al momento dell’adozione del provvedimento di primo grado
l’amministrazione valuti nuovamente la stessa situazione già oggetto di ponderazione al momento
dell’adozione dell’atto di primo grado.
La legge intende cmq rafforzare la posizione del privato—>lo fa in diversi modi:
1. in primo luogo se il privato ha ottenuto vantaggi economici o autorizzazioni, quel ripensamento derivante
da nuova valutazione non è possibile, nel senso che il provvedimento non è revocabile per una nuova
valutazione dell’interesse pubblico.
2. In secondo luogo, il mutamento della situazione di fatto deve essere non prevedibile al momento del
rilascio del provvedimento favorevole.
3. In terzo luogo, a fronte di eventuali pregiudizi, è previsto un indennizzo.
La revoca incide sull’efficacia dell’atto e non sull’atto ed è cmq collegata al problema delle sopravvenienze che
incidono sull’efficacia di un atto legittimo, al principio della costante rispondenza dei rapporti amministrativi
all’interesse pubblico e al tema della tutela del legittimo affidamento del privato.
La connessione con il tema della sopravvenienza spiega perché essa abbia effetti ex nunc ai sensi dell’art. 21
quinquies la revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre effetti ulteriori.
Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l’amministrazione ha l’obbligo di
provvedere al loro indennizzo.
L’art. 21 quinquies comma 1 bis si occupa della quantificazione dell’indennizzo con specifico riferimento ai casi in
cui la revoca di un atto a efficacia durevole o istantanea riguardi un atto originariamente non compatibile con
l’interesse pubblico e incide su rapporti negoziali.
L’indennizzo è parametrato al solo danno emergente. Si esclude comunque il lucro cessante, che può essere
conseguito solo dimostrando la presenza di un illecito.
L’indennizzo tiene poi conto sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà
dell’atto amministrativo all’interesse pubblico sia dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti
all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico.
Si può poi prospettare l’ipotesi di indennizzo liquidato a terzi che abbiano instaurato rapporti con un
concessionario e che risultino pregiudicati dalla revoca della concessione che pure direttamente non li riguarda ma
che è il presupposto dei contratti stipulati con il concessionario la legge infatti, al momento di individuare i
beneficiari dell’indennizzo, fa generico riferimento agli interessati e accenna al concorso di altri soggetti.
La competenza a disporre la revoca viene disciplinata dall’art. 21 bis qst compito spetta all’organo che ha
emanato l’atto ovvero ad altro previsto dalla legge.
Figura simile alla revoca è quella del recesso dagli accordi, mentre differente è l’ipotesi di cui all’art. 21 sexies l.
241/1990 secondo cui il recesso unilaterale dai contratti della pubblica amministrazione è ammesso nei casi
previsti dalla legge o dal contratto.
Nella prassi amministrativa e nel linguaggio comune si parla di revoca anche per indicare la RIMOZIONE, per la
quale un provvedimento vincolato ne viene fatta cessare la permanenza della vigenza di atti legittimi ad efficacia
prolungata allorché venga meno uno dei presupposti specifici sul fondamento dei quali tali atti erano stati
emanati.
La rimozione ha efficacia a partire dal momento in cui si realizza la situazione di contrarietà al diritto della
perdurante vigenza dell’atto di primo grado.
Ai sensi dell’art. 123 Cost. si prevede poi che lo statuto delle regioni regoli l’esercizio del referendum su
provvedimenti amministrativi della regione: l’esito del referendum può consistere nel ritiro del provvedimento con
efficacia ex nunc.
Considerando che l’art. 8 T.U. enti locali non fa più riferimento al referendum consultivo (si parla solo di
referendum), il ritiro degli atti amministrativi a seguito dello svolgimento del referendum può interessare anche gli
atti degli enti locali.
autotutela, direttamente e coattivamente dalla pubblica amministrazione, senza dover ricorrere previamente a un
giudice.
Se il contenuto del provvedimento da portare ad esecuzione comporti la diretta incisione della sfera dl soggetto e
un obbligo di dare o consegnare o cmq richieda un’attività esecutiva alla quale deve prestare la propria
collaborazione il privato, a fronte del suo rifiuto l’amministrazione può conseguire il risultato pratico l’art. 21 ter
l. 241/1990 dispone che, nei casi e con le modalità stabiliti dalla legge, le pubbliche amministrazioni previa diffida,
possono imporre coattivamente l’adempimento degli obblighi nei loro confronti.
Il riferimento alla diffida vale a introdurre una sorta di procedimentalizzazione dell’esercizio del potere di
esecutorietà l’esecutorietà è rimessa alla scelta del soggetto pubblico: in mancanza di determinazione in tal
senso l’attuazione del provvedimento potrà avvenire in sede giurisdizionale.
L’art. 21 ter riduce invece la discrezionalità in ordine alle modalità di esercizio di tale potere ed esclude che
l’esecutorietà costituisca una facoltà generale dell’amministrazione o un riflesso dell’autorità dell’atto.
L’articolo in questione dispone altresì che il provvedimento costitutivo di obblighi indica il termine e le modalità
dell’esecuzione da parte del soggetto obbligato. Nell’ipotesi in cui il provvedimento costituisca obblighi di fare
infungibili, l’amministrazione può procedere alla coercizione diretta, se ammessa dalla legge e se compatibile con i
valori costituzionali ovvero può minacciare e infliggere sanzioni per ottenere l’esecuzione spontanea.
Se l’obbligo di fare consiste invece in una prestazione fungibile, può essere prevista l’esecuzione d’ufficio
l’amministrazione esegue direttamente, con i propri mezzi ma a spese del terzo, l’attività richiesta.
Nel caso di obblighi di dare relativi a somme di denaro o si esperisce l’esecuzione forzata mediante iscrizione a
ruolo o opera l’ingiunzione.
La l. 241/1990 consente che le amministrazioni pubbliche possano sempre concludere tra loro accordi per
disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune.
Inoltre l’art. 11 l. 241/1990 dispone che “in accoglimento di osservazioni o proposte a presentate a norma dell’art.
10, l’amministrazione procedente può concludere senza pregiudizio dei diritti dei terzi e, in ogni caso, nel
perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale
del provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo”.
L’accordo si caratterizza per il necessario coinvolgimento di profili diversi da quelli patrimoniali, in particolare
dell’esercizio di potere amministrativo che può essere qualificato come bene sottratto alla comune circolazione
giuridica.
Tuttavia l’introduzione della figura dell’accordo di diritto amministrativo come forma differente dal provvedimento
di definizione del procedimento lascia irrisolto il problema della sua qualificazione.
accordi integrativi di provvedimento non elimina la necessità del provvedimento nel quale confluisce,
sicché il procedimento si conclude pur sempre con un classico provvedimento unilaterale produttivo di
effetti. Il controllo ha ad oggetto il provvedimento finale.
Quanto alla possibile qualificazione di tali accordi come contratti, le maggiori perplessità nascono in relazione
all’incompatibilità del regime cui sono assoggettati con il modello civilistico di contratto.
L’esercizio del potere dà luogo all’emanazione di atti o di accordi mentre ove agisca in modo non autoritativo,
l’amministrazione è soggetta alle norme di diritto privato di cui all’art. 1 bis l. 241/1990.
A differenza di qnt accade nelle fattispecie contrattuali, l’interesse affidato alla cura di una delle 2 parti assume
all’interno dell’accoro un ruolo del tutto differente rispetto a quello del privato l’accordo deve essere stipulato
“in ogni caso nel perseguimento dell’interesse pubblico” e “per sopravvenuti motivi di pubblico interesse
l’amministrazione recede unilateralmente dall’accordo”.
Gli accordi vanno stipulati con atto scritto a pena di nullità, salvo che la legge disponga diversamente. Devono
essere motivati e le controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione rientrano nella c.d.
giurisdizione esclusiva.
L’amministrazione può recedere unilateralmente dall’accordo per sopravvenuti motivi di pubblico interesse
corrispondendo un indennizzo.
All’accordo, in linea di principio, si applicano i principi civilistici in materia di obbligazioni e contratti in qnt
compatibili.
L’accordo è strettamente legato al tema della partecipazione: esso può essere concluso “in accoglimento di
osservazioni e proposte”. La giurisprudenza ammette l’applicazione della disciplina di cui all’art. 11 anche agli
accordi conclusi a monte di un procedimento, a conferma del carattere generale che ha assunto l’istituto.
Ai sensi dell’art. 11 coma 4 bis, a garanzia dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione amministrativa, in
tutti i casi in cui una pubblica amministrazione conclude accordi, la stipulazione è preceduta da una
determinazione dell’organo che sarebbe competente per l’adozione del provvedimento.
Si è detto che l’amministrazione può recedere unilateralmente dall’accordo, “salvo l’obbligo di provvedere alla
liquidazione di un indennizzo in relazione agli eventuali pregiudizi verificatisi in danno del privato”.
Ai sensi dell’art. 11, il recesso è ammissibile solo “per sopravvenuti motivi di interesse pubblico”, sicché si profila
insufficiente, ai fini del legittimo recesso, una rinnova valutazione dell’interesse pubblico.
Il temine contratto di programma ha più significati: esso può essere impiegato per indicare gli atti mediante i quali
soggetti pubblici e privati in sostanza raggiungono intese mirate al conseguimenti di obiettivi comuni in qst
senso i contratto di programma si contrappone all’accordo di programma, il quale coinvolge solo soggetti pubblici.
Il termine può altresì indicare il disciplinare relativo ad alcuni servizi.
Con riguardo alla prima forma di contratti, si accostano altre figure, come ad esempio quella ex l. 622/1996
recante la disciplina delle attività di programmazione negoziata che coinvolgono una molteplicità di soggetti
pubblici e privati. Essa individua quali specifici strumenti:
intese istituzionali di programma
accordi di programma quadro
patti territoriali
contratti di programma
contratti d’area.
Gli accordi tra amministrazioni sono impiegati come strumenti per concordare lo svolgimento di attività in comune
in un contesto in cui la frammentazione dei poteri richiede costantemente misure di raccordo e di semplificazione.
L’art. 15 l. 241/1990 prevede che le amministrazioni pubbliche possano sempre concludere tra loro accordi per
disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune. Inoltre si osservano, in quanto
applicabili, le disposizioni dell’art. 11 cod. civ. e 2- 3- 5 l. 241/1990.
Vengono sottoscritti con firma digitale, con firma elettronica avanzata ovvero con altra firma elettronica
qualificata, pena la nullità.
Uno dei problemi principali è quello relativo alle conseguenze del dissenso espresso da una delle parti interessate:
l’ordinamento prevede strumenti appositi per superare l’eventuale dissenso, affidando ad esempio allo stato poteri
sostitutivi da esercitarsi secondo modalità garantistiche in caso di mancato raggiungimento dell’accordo.
Altro strumento è quella dell’impugnazione del rifiuto dell’intesa o, nei casi di rapporti stato- regioni, sollevamento
del conflitto dinnanzi alla Corte costituzionale.
Va poi operata una distinzione tra accordi che si inseriscono all’interno di un procedimento amministrativo che
sfocia nell’adozione di un formale atto finale e quelli che invece hanno una rilevanza autonoma: si osserva che in
relazione alla prima tipologia di accordi l’ordinamento di solito si preoccupa di prevedere strumenti per superare il
mancato raggiungimento dell’intesa atteso che esiste un’amministrazione procedente titolare di un interesse
primario mentre per qnt attiene alla seconda tipologia se manca un’amministrazione titolare di un interesse
primario, lo stallo si supera sul piano dei rapporti politici tra i soggetti.
Ci si chiede inoltre se in seguito all’intesa e all’accordo le amministrazioni interessate debbano formalizzare tali
negozi mediante un atto di adesione: la soluzione adottata è negativa non si vede infatti quale ruolo avrebbe un
atto di adesione.
Infine, per qnt attiene al problema di partenariato pubblico- pubblico, la questione pone in rilievo il problema di
confine tra la disciplina degli accordi ex art. 15 l. 241/1990 e la disciplina degli appalti.
In linea di principio, laddove la prestazione dedotta nell’accordo non sia qualificabile come appalto, si applica l’art.
15 l. 241/1990 come affermato da Cons. stato sent. 1178/2015.
-Il regime delle obbligazioni pubbliche tra diritto comune e deviazioni pubblicistiche
Con riferimento alle obbligazioni a carico dell’amministrazione, si parla talora in dottrina di obbligazioni
pubblicistiche, sebbene le obbligazioni siano sottoposte alla disciplina dettata dal codice civile.
Tale termine viene quindi usato solo a fini descrittivi, per indicare la natura pubblica del soggetto alle quali si
riferiscono: esse gravano infatti su enti pubblici.
La sottoposizione delle obbligazioni che fanno capo all’amministrazione al diritto comune conosce importanti
deroghe almeno sotto 2 profili:
da un lato, quelle scaturenti da accordi amministrativi sono soggette alla disciplina ex art. 11 l. 241/1990
dall’altro lato, sotto il profilo processuale, le controversie relative ad alcune obbligazioni in materie
devolute alle giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sono sottratte alla cognizione del giudice
ordinario.
In attuazione delle direttive comunitarie 18/2004 e 17/2004 è stato approvato il d.lgs. 16/2006 (c.d. codice dei
contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture).
Si tratta di una disciplina dei contratti tendenzialmente onnicomprensiva, anche se alcune ipotesi sono escluse
dall’applicazione della disciplina in questione.
Nel 2014 sono state emanate a livello comunitario 3 direttive: 23/2041 in tema di concessioni, 24/2014 in tema di
appalti pubblici, 25/2014 sugli appalti nei settori dell’acqua, energia, trasporti e servizi postali tali direttive
mirano alla semplificazione delle norme, a una maggiore snellezza e flessibilità delle procedura, a una
valorizzazione degli aspetti legati alla trasparenza, alla qualità, innovazione e tutela di interessi ulteriori, nonché a
favorire l’accesso al mercato delle commesse pubbliche delle PMI.
Per qnt riguarda gli appalti, è stata introdotta la procedura competitiva con negoziato e il partenariato per
l’innovazione che hanno lo scopo di dotare la stazione appaltante degli strumenti necessari a comprendere in
maniera più accurata il lato dell’offerta del mercato.
È stato inoltre introdotto a livello codicistico la previsione dell’obbligo di indicare nel bando di gara o nel capitolato
d’oneri le modalità di ponderazione e valutazione prescelti; viene inoltre previsto che il contratto che viene
stipulato tra amministrazione e impresa debba contenere un impegno serio da parte dell’impresa e l’oggetto deve
essere individuato in modo compiuto, esplicito, esauriente, determinato e specifico.
La Corte costituzionale, con sent. 401/2007 ha salvato gran parte delle disposizioni contenute nel codice dei
contratti pubblici, riconducendo le stesse alla competenza statale in materia di tutela della concorrenza di cui
all’art. 117 comma 2 lett. e) Cost., inglobando nel concetto di concorrenza sia gli interventi PER, sia quelli NEL
mercato con riguardo specifico alla tutela della concorrenza, questa viene letta come materia trasversale: infatti
una volta verificato se l’intervento statale sia astrattamente riconducibile ai principi della concorrenza nel mercato
o della concorrenza per il mercato, si deve stabilire se siano stati rispettati i limiti interni alla materia stessa e
quindi si valuta se l’intervento statale sia effettivamente proporzionato e adeguato rispetto all’obiettivo perseguito.
Secondo la predetta sentenza, occorre registrare “il definitivo superamento della cosiddetta concezione
contabilistica, che qualificava tale normativa interna come posta esclusivamente nell’interesse
dell’amministrazione, anche ai fini della corretta formazione della sua volontà negoziale”. La Corte ha quindi
affermato che la disciplina sulla contrattazione delle pubbliche amministrazioni deve raccordarsi con le esigenze di
un mercato comune in cui vanno preservate le aspettative delle imprese.
Oltre alla fonte comunitaria, i contratti della pubblica amministrazione sono disciplinati da altre 2 fonti:
L. 241/1990
Codice civile l’art. 3 ultimo comma l. 241/1990 stabilisce che “per qnt non espressamente previsto nel
presente codice, l’attività contrattuale dei soggetti di cui all’art. 1 si svolge nel rispetto, altresì, delle
disposizioni stabilite dal codice civile”.
In relazione al contenimento delle spese, la disciplina dei contratti della p.a. si caratterizza anche per la tipologia
di conseguenze (vale a dire la nullità del contratto) nonché per il fatto che viene sacrificata la stabilità del
rapporto contrattuale nel senso che, ricorrendo alcune condizioni, l’amministrazione può recedere dai contratti che
essa ha stipulato in precedenza il d.l. 95/2012 prevede che “sono nulli, costituiscono illecito disciplinare e sono
causa di responsabilità amministrativa i contratti stipulati dalle amministrazioni in violazione del dovere di cui
all’art. 26 l. 488/1999, di ricorrere alle convenzioni stipulate dal ministero del tesoro, del bilancio e della
programmazione economica oppure stipulati in violazione degli obblighi di approvvigionarsi attraverso gli
strumenti di acquisto messi a disposizione della Consip S.p.a.”.
Sempre nella prospettiva del risparmio di spesa, la l. 89/2014 prevede la figura dei c.d. soggetti aggregatori, che
sono costituiti dalla Consip e da una centrale di committenza per ogni regione e in totale sono 35 membri. Tali
soggetti acquisiscono lavori, forniture o servizi destinati ad altre amministrazioni.
Il d.lgs. 163/2006 contiene disposizioni comuni a tutte le tipologie contrattuali (forniture, servizi, lavori). Per qnt
attiene i lavori pubblici, l’art. 3 del d.lgs. predetto specifica che essi comprendono “le attività di costruzione,
demolizione, recupero, ristrutturazione, restauro e manutenzione di opere”.
Ai sensi dell’art. 53 codice dei contratti pubblici, i lavori pubblici possono essere realizzati esclusivamente
mediante contratto di appalto o di concessione, fatto salvo il caso dei lavori in economia, ammessi sino a
200000€.
L’appalto di lavori pubblici si distingue dall’analogo contratto previsto nel codice civile in forza della NATURA
PUBBLICA di uno dei 2 contraenti e perché ha ad oggetto la realizzazione di opere pubbliche.
Stando all’art. 3 codice dei contratti pubblici, tale contratto è a titolo oneroso, viene concluso in forma scritta tra
un operatore economico e una stazione appaltante o un ente aggiudicatore e ha ad oggetto la sola esecuzione dei
lavori pubblici ovvero, congiuntamente, la progettazione esecutiva e l’esecuzione, ovvero ancora l’esecuzione, con
qualsiasi mezzo, di un’opera rispondente alle esigenze specificate dalla stazione appaltante o dall’ente
aggiudicatore sulla base del progetto preliminare posto a base di gara.
Tale contratto si differenzia da quello civilistico in relazione ai seguenti aspetti:
la presenza di un direttore dei lavori, funzionario tecnico dell’amministrazione che svolge funzioni di
controllo e vigilanza
sussistenza di regole specifiche in materia di contabilità in relazione all’accertamento e ai fatti idonei a
produrre spese
esistenza del regime delle riserve l’appaltatore deve far valere qualsiasi pretesa di maggiori compensi o
indennizzi relativamente a tutti i fatti idonei a produrre spese, mediante riserve da inserire a pena di
decadenza nei documenti contabili. A riguardo, al fine di risolvere eventuali controversie economiche tra
stazione appaltante e imprenditore, può essere attivato un accordo bonario al fine di giungere ad una
soluzione conciliativa della spesa.
sussistenza della possibilità dell’amministrazione di apportare varianti al progetto originario
istituto del collaudo l’amministrazione, a seguito di una relazione stesa da tecnici e da una commissione
all’uopo incaricata accerta e attesta che il lavoro è stato eseguito a regola d’arte
sistema del prezzo chiuso consiste nell’aumento di una percentuale che viene fissata con decreto del
ministro dei lavori pubblici da applicarsi, nel caso in cui la differenza tra tasso di inflazione reale e quello
programmato nell’anno precedente sia > del 2% all’importo dei lavori ancora da eseguire per ogni anno
intero previsto per l’ultimazione dei lavori.
attribuzione all’Autorità nazionale anticorruzione di funzioni di vigilanza sui contratti pubblici di lavori,
servizi e forniture.
istituzione di una commissione per la soluzione delle controversie presso l’Autorità la quale, su istanza
delle parti, svolge compiti di composizione delle liti.
introduzione del principio di obbligatorietà della programmazione dei lavori pubblici.
istituzione per gli appalti aventi valore > 150000€ di un sistema di qualificazione degli esecutori dei lavori
fondato sulle categorie dei lavori e per importi che sostituisce il meccanismo dell’iscrizione all’Albo
nazionale costruttori. L’attestazione di qualificazione ha durata di 5 anni e certifica l’esistenza di requisiti
generali e speciali nonché del possesso del certificato di sistema di qualità e della dichiarazione della
presenza di elementi del sistema di qualità, che costituisce condizione necessaria e sufficiente per la
dimostrazione dei requisiti di capacità tecnica e finanziaria.
viene prevista una disciplina minuziosa in relazione alla progettazione, direzione dei lavori, pubblicità,
garanzie assicurative e del contenzioso.
vi è la possibilità di istituire uno sportello dei contratti pubblici relativi a lavori, forniture e servizi.
viene ammessa la disciplina del subappalto per le categorie di lavorazioni prevalenti indicate nel bando
entro i limiti fissati dalla legge (vale a dire il 30% del totale della spesa).
Inoltre, per controllare il fenomeno mafioso e corruttivo, ai sensi dell’art. 1 l. 190/2012 è previsto che le stazioni
appaltanti possono prevedere negli avvisi, bandi di gara o lettere di invito che il mancato rispetto delle clausole
contenute nei protocolli di legalità o nei patti di integrità costituisce causa di esclusione dalla gara.
Inoltre, in materia di offerte anomale (di cui è obbligatoria la verifica), è previsto dal codice dei contratti pubblici
l’esclusione automatica delle offerte che presentino un ribasso superiore al valore individuabile sulla base di un
complesso calcolo matematico disciplinato dall’art. 86 tale calcolo avviene determinando la media aritmetica dei
ribassi percentuali, previa esclusione delle offerte estreme (il c.d. taglio delle ali) in misura pari al 10% delle
offerte presentate; dopodiché si calcola sulle offerte che restano dopo il taglio delle ali lo scarto medio dei ribassi
con lo scarto medio aritmetico dei ribassi.
Il d.lgs. 163/2006 riconosce alla parte pubblica che abbia stipulato contratti relativi all’esecuzione di contratti di
appalto una serie di poteri peculiari e tassativi ad esempio ex art. 136 cod. contr. pubbl. l’amministrazione può
risolvere il contratto per grave inadempimento, grave irregolarità e grave ritardo: l’appaltatore deve provvedere al
ripiegamento dei cantieri già allestiti e allo sgombero delle aree di lavoro nel termine assegnato dalla stessa
stazione appaltante. In caso contrario, la stazione appaltante provvede d’ufficio addebitando all’appaltatore i
relativi oneri e spese.
Inoltre, ai sensi dell’art. 134 d.lgs. 163/2006 l’amministrazione può recedere in qualunque tempo dai contratti,
verso la corresponsione del pagamento dei lavori eseguiti, dei materiali esistenti in cantiere e del decimo
dell’importo dei lavori rimasti ineseguiti.
Secondo la giurisprudenza, l’atto con cui l’amministrazione esercita questi poteri NON ha natura provvedimentale
e non è idoneo a incidere autoritativamente sulle posizioni soggettive del contraente, sicché la giurisdizione sulle
relative controversie spetta al giudice ordinario Cons. stato Ad. Plen. 6/2014.
Gli appalti, ai sensi dell’art. 54 cod.contr.pubbl. sono affidati mediante procedura aperta o ristretta e, in caso
eccezionali, negoziata, con o senza pubblicazione del bando.
Per qnt attiene ai criteri di scelta, è previsto l’impiego del sistema del prezzo più basso o dell’offerta
economicamente più vantaggiosa: in qst ultimo caso, l’aggiudicazione è effettuata a favore dell’offerta che, nel
complesso, appaia la più conveniente in base ad una valutazione tecnico- discrezionale.
Gli appalti di forniture sono disciplinati ex art. 3 comma 9 cod. contr. pubbl. che li definisce come “contratti a titolo
oneroso aventi per oggetto l’acquisto, la locazione finanziaria, la locazione, l’acquisto a riscatto con o senza
opzioni per l’acquisto, di prodotti”.
Gli appalti di servizi sono gli appalti diversi dagli appalti di lavori e dei fornitura aventi ad oggetto la prestazione di
servizi indicati in 2 appositi allegati (II a e II b).
Tradizionalmente la differenza tra un appalto di lavori e uno di servizi consiste nel fatto che solo nell’appalto di
lavori vi è la trasformazione fisica della res oggetto del contratto.
La distinzione tra appalto di servizi e appalto di forniture consiste nel fatto che l’attività dell’appalto di servizi
consiste in un facere e non in un dare.
Vi sono poi alcune tipologie contrattuali che sono assoggettate a una disciplina di specie, come ad esempio i
contratti di prestito pubblico, di scommessa e contratti stipulati nell’ambito dei rapporti di utenza pubblica tutti
qst sono contratti atipici, per i quali è prevista una disciplina ad hoc, che derogano alle normali disposizioni
contenute nel codice civile o alle norme di contabilità.
-Le principali scansioni del procedimento ad evidenza pubblica: la deliberazione di contrattare il progetto di
contratto.
Il procedimento ad evidenza pubblica si apre con la determinazione a contrattare ovvero con la predisposizione di
un progetto di contratto—> tali atti determinano il contenuto del contratto e la spesa prevista ed individuano
altresì le modalità di scelta del contraente.
I capitolati generali definiscono le condizioni che possono applicarsi indistintamente a un determinato genere di
lavoro, appalto o contratto e le forme da seguirsi per le gare. La giurisprudenza afferma che i capitolati non hanno
carattere normativo, sicchè la fonte della loro efficacia risiede nell’adesione ad essi prestata dalle parti.
Anche per qnt riguarda i capitolati speciali, dottrina e giurisprudenza affermano che non hanno carattere
normativo. Essi riguardano le condizioni che si riferiscono più in particolare all’oggetto proprio del contratto e
pongono parte della regolamentazione dello specifico rapporto contrattuale. L’art. 5 cod.contr.pubbl. prevede che i
capitolati menzionati nei bandi e negli inviti costituiscano parte integrante del contratto, senza richiederne
l’accettazione.
La determinazione a contrattare e il progetto possono essere soggetti a controlli e pareri. Inoltre sono considerati
tradizionalmente atti amministrativi interni, che non rilevano per i terzi e quindi non sono né impugnabili né
revocabili.
Tuttavia la giurisprudenza riconosce una posizione giuridica strumentale a quei terzi estranei alla trattativa privata
che siano interessati ad ottenere l’annullamento della determinazione di procedervi, onde giovarsi della successiva
indizione di una gara pubblica.
Il parere obbligatorio del Consiglio di stato è previsto solo “sugli schemi generali di contratti- tipo, accordi e
convenzioni predisposti da uno o più ministri”.
Una funzione consultiva in ordine alla stesura di schemi di capitolati e nelle questioni relative alla progettazione e
all’esecuzione delle opere pubbliche è svolta sia dall’Avvocatura dello stato sia dal consiglio superiore dei lavori
pubblici. (Con riguardo alla progettazione, questa si articola in progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva ai
sensi dell’art. 93. Viene però consentita l’omissione di uno dei primi 2 livelli di progettazione purchè quello
successivo contenga tutti gli elementi previsti per il livello omesso).
Ai sensi dell’art. 3 r.d. 2440/1923 l’asta pubblica è obbligatoria per i contratti dai quali derivi un’entrata per lo
stato (c.d. contratti attivi), salvo che per circostanze e ragioni particolari non sia opportuno ricorrere alla
licitazione.
Premesso che le direttive del 2014 non sono intervenute in ordine a qst aspetto, in ordine ai contratti attivi
emergono i principi di imparzialità e buon uso delle risorse pubbliche piuttosto che quelli di concorrenza.
L’ASTA PUBBLICA è il pubblico incanto aperto a tutti gli interessati che posseggano i requisiti fissati nel bando
ricorrendo alla nuove terminologie, essa è conosciuta come PROCEDURA APERTA
La LICITAZIONE PRIVATA è la gara caratterizzata dal fatto che ad essa sono invitate a partecipare solo le ditte
che, in base ad una valutazione preliminare, sono ritenute idonee a concludere il contratto ricorrendo alla nuove
terminologie, essa è conosciuta come PROCEDURA RISTRETTA
Da qnt premesso, deriva che nell’asta pubblica e nella licitazione privata l’amministrazione predefinisce
compiutamente lo schema negoziale, lasciando in bianco il nome del contraente e il prezzo, senza che il privato
possa negoziare i contenuti del contratto.
La struttura della gara è caratterizzata dalla presenza del bando di gara nell’asta pubblica e dall’invito, indirizzato
agli interessato, nel caso della licitazione. Sia il bando sia l’invito (i quali hanno rilevanza sul piano negoziale ma
NON sono da qualificarsi come offerta al pubblico di cui all’art. 1336 cc) devono indicare:
le caratteristiche del contratto
il tipo di procedura seguita per l’aggiudicazione
i requisiti per essere ammessi
i termini
modalità da seguire per la presentazione delle offerte.
Con riferimento ai contratti più rilevanti, ai fini di limitare la discrezionalità nella scelta della rosa dei possibili
concorrenti e di superare i limiti di conoscenza del mercato da parte dell’amministrazione, la legge ha introdotto
una fase di preselezione nelle procedure ristrette l’amministrazione non procede direttamente all’invito, ma
pubblica un bando indicando i requisiti di qualificazione e le imprese dotate dei requisiti richiesti possono fare
richiesta di partecipazione alla licitazione. Così agendo, l’amministrazione conosce in anticipo le ditte che
parteciperanno alla gara.
Il procedimento di gara si articola nelle fasi della pubblicazione del bando e della presentazione delle offerte nel
caso si tratti di procedura aperta, mentre per quella ristretta si svolge di norma con le seguenti scansioni:
avviso o bando
invito a partecipare rivolto dalla stazione appaltante agli interessati
valutazione delle offerte
scelta dell’offerta migliore
aggiudicazione.
I soggetti ammessi alle gare per affidamento di contratti pubblici non sono solo imprese e società ma anche
consorzi tra società cooperative e tra imprese artigiane, consorzi di concorrenti, soggetti che abbiano stipulato il
contratto di gruppo di interesse economico, gli operatori economici stabiliti in altri stati membri e, come affermato
dalla giurisprudenza (Cons. stato 5956/2010), anche le Onlus, le fondazioni, le università e gli enti di ricerca.
La Corte di giustizia Ue ha poi ammesso la possibilità che gli appalti possano essere stipulati anche tra
amministrazioni, in quanto “i contratti che istituiscono una cooperazione tra enti pubblici finalizzata a garantire
l’adempimento di una funzione di pubblico servizio comune a questi ultimi” merita riconoscimento, “a condizione
che essi siano stipulati esclusivamente tra enti pubblici e che nessun operatore privato sia posto in una situazione
privilegiata rispetto ai suoi concorrenti e che la cooperazione sia retta unicamente da considerazioni ed esigenze
connesse al perseguimento di obiettivi di interesse pubblico”.
È previsto che il concorrente debba immediatamente impugnare il bando ove contenga disposizioni
immediatamente lesive relative a situazioni preesistenti della gara stessa e non condizionate dal suo svolgimento,
in deroga al principio secondo cui può impugnare solo chi abbia legittimamente partecipato alla gara, come
affermato da Cons. stato Ad. Plen. 1/2003.
I concorrenti presentano l’offerta: nel caso in cui si segua il metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa,
essa consiste in 3 buste, che contengono la documentazione amministrativa, l’offerta tecnica e l’offerta
economica.
Le operazioni di gara volte a prendere cognizione delle offerte e a compararle sono verbalizzate dall’ufficiale
rogante in seduta pubblica mentre la valutazione avviene in seduta riservata.
In senso proprio, l’aggiudicazione è l’atto amministrativo con cui viene accertato e proclamato il vincitore da parte
del soggetto che presiede la celebrazione dell’asta o la commissione di valutazione delle offerte in sede di
licitazione privata.
Si parla di aggiudicazione provvisoria nei casi in cui l’aggiudicazione debba essere seguita da una fase di
approvazione del verbale di aggiudicazione. Vi è poi una verifica del possesso dei requisiti da parte
dell’aggiudicatario.
L’art. 53 comma 3 d.lgs. 163/2006 definisce l’appalto integrato prevedendo che l’appalto di lavori pubblici possa
avere ad oggetto non solo l’esecuzione, ma anche la progettazione esecutiva e l’esecuzione oppure, ancora, la
progettazione definitiva, esecutiva e l’esecuzione dei lavori sulla base della progettazione preliminare
dell’amministrazione.
In altri casi, la formazione del contratto non può che avvenire sulla base di una trattativa privata con la
controparte nella trattativa privata, prevista per casi tassativi quali la gara andata deserta, nei casi di urgenza o
qnd sul mercato vi sia un unico soggetto in grado di stipulare il contratto, l’amministrazione dispone di una
maggiore discrezionalità nella scelta del privato contraente e il procedimento amministrativo risulta più snello in
qnt vi è negoziazione diretta tra amministrazione e privato e manca l’aggiudicazione.
Oggi, invece che parlare di trattativa privata, si usa il termine procedura negoziata, prevedendo una procedura
distinta a seconda che sia necessaria la pubblicazione di un bando di gara. La soglia per la procedura senza bando
è fissata a 1mln€.
La semplicità e l’informalità della procedura comportano però minori garanzie per i privati interessati. In caso di
trattativa il momento pubblicistico si colloca prima e dopo la formazione del contratto, investendo la
determinazione a contrattare e l’approvazione del contratto.
La giurisprudenza riconosce poi la sussistenza di interessi legittimi nelle ipotesi in cui la determinazione di
procedure venga ad incidere sui rapporti obbligatori preesistenti o su situazioni di affidamenti scaturenti dal
comportamento dell’amministrazione in particolare, qst accade qnd l’amministrazione abbia proceduto ad indire
una previa gara informale per determinare il soggetto con cui trattare, autolimitando così quello spazio di scelta
discrezionale e riconducendo agli schemi pubblicistici l’azione amministrativa.
Il Cons. stato con sent. 454/1995 ha però affermato la legittimazione ad impugnare la deliberazione di stipulare il
contratto a trattativa privata in capo ad ogni imprenditore operante nel settore e che aspiri a partecipare alla gara.
contratto a riguardo opera il c.d. istituto dello stand still: la conclusione del contratto non può avvenire
prima dello scadere di un termine che decorre dal giorno successivo alla data in cui la decisione di
aggiudicazione è stata inviata agli interessati. Tale termine è di 35 gg e viene fatto decorrere dall’invio
dell’ultima comunicazione del provvedimento di aggiudicazione definitiva.
Un secondo periodo di stand still impedisce la stipula o l’esecuzione del contratto nel caso di proposizione
di un ricorso avverso l’aggiudicazione definitiva che contenga anche la domanda cautelare.
Il divieto in qst caso opera per 20 gg a condizione che, entro tale termine, intervenga la pronuncia del
provvedimento cautelare di primo grado o la pubblicazione del dispositivo della sentenza di primo grado
se tali provvedimenti sono assunti dopo, il termine di sospensione viene prolungato mentre se sono
assunti prima dei 20 gg, in ogni caso la sospensione copre tutti e 20 i giorni.
approvazione l’esecuzione del contratto concluso può essere subordinata all’approvazione da parte
dell’autorità competente. Si tratta di una condictio iuris di efficacia del contratto.
Così agendo, l’amministrazione si trova in una posizione di preminenza, che dà luogo a una situazioni in
cui all’obbligo del privato non si contrappone un analogo vincolo per l’amministrazione, la quale dispone di
alcuni poteri che potrebbero impedire l’esecuzione del contratto stesso: a riguardo in dottrina si parla di
contratto claudicante, per indicare la supremazia dell’amministrazione nella fase successiva all’espressione
del consenso.
Il rifiuto di approvazione del contratto concluso è riconosciuto come legittimo da parte della
giurisprudenza quando sia giustificato dalla presenza di vizi di legittimità presenti nella procedura o
dall’inesistenza della copertura finanziaria o dalla sussistenza di gravi motivi di interesse pubblico o
dall’incongruità dell’offerta o dall’eccessiva onerosità del prezzo.
L’art. 12 cod.contr.pubbl. stabilisce che, una volta decorso il termine previsto dai singoli ordinamenti o, in
mancanza, quello di 30 gg, il contratto si intende approvato.
Controllo
Successivamente alla conclusione e al perfezionamento degli eventuali procedimenti di approvazione e controllo, il
contratto è efficace e viene eseguito dai contraenti nel rispetto delle norme civilistiche, fatte salve le prescrizioni
relative ai poteri riconosciuti in capo all’amministrazione nell’ipotesi di lavori pubblici, come ad esempio il potere di
revoca dell’appalto al ricevimento di informazione antimafia interdittiva del Prefetto.
Le concessioni di lavori pubblici sono contratti a titolo oneroso, conclusi in forma scritta, che hanno ad oggetto la
progettazione esecutiva e l’esecuzione, ovvero la progettazione definitiva, la progettazione esecutiva e
l’esecuzione di lavori pubblici o di pubblica utilità e di lavori ad essi strutturalmente e direttamente collegati,
nonché la loro gestione funzionale ed economica. Il corrispettivo dei lavori consiste unicamente nel diritto di
gestire l’opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo.
La durata della concessione può essere superiore a 30 anni qnd sia necessario assicurare il perseguimento
dell’equilibrio economico- finanziario degli investimenti.
Tuttavia, è possibile ai sensi dell’art. 158 cod.contr.pubbl. che l’amministrazione possa revocare la concessione per
motivi di pubblico interesse.
Al termine del periodo stabilito nella concessione, l’opera realizzata dal concessionario e da lui gestita, considerata
dalla giurisprudenza bene privato di interesse pubblico, passa in proprietà dell’ente.
La concessione di costruzione e di gestione è stata considerata sia dalla dottrina sia dalla giurisprudenza come
comprensiva di attività diverse “che vanno dalla mera manutenzione dell’opera alla più complessa attività
necessaria per consentire all’opera di essere utilizzata per il fine cui è destinata”.
La commissione europea ha precisato che nel diritto dell’Ue il carattere peculiare della concessione di lavori
sarebbe costituito dal trasferimento al concessionario dell’alea relativa alla gestione dell’opera si tratta del c.d.
rischio di mercato.
Per lungo tempo la normativa comunitaria ha escluso dal proprio ambito di applicazione gli appalti relativi ai
settori (c.d. settori esclusi) quali quello del gas, energia termica, acqua, elettricità, trasporti, servizi postali e
sfruttamento di area geografica di rilevanza comunitario si tratta di mercati chiusi che offrono resistenze a
essere assoggettati alla stessa disciplina cui sono sottoposti gli appalti pubblici.
In relazione a qst settori, la parte III del codice individua il proprio ambito soggettivo di applicazione anche con
riferimento alla imprese pubbliche e a peculiari soggetti privati che agiscono sulla base di diritti speciali ed
esclusivi.
Proprio in virtù del fatto che le attività di gestione nei settori in esame sono di competenza non solo degli enti
pubblici ma anche di privati, occorre prescindere dalla natura giuridica del soggetto aggiudicatore.
Inoltre si prevede che la gara possa essere avviata non solo sulla base del bando tradizionale ma anche a seguito
di un avviso periodico o sulla base di un sistema di qualificazione istituito e gestito dall’ente aggiudicatore.
-Interessi legittimi, vizi del procedimento amministrativo e riflessi sulla validità del contratto
Gli atti compiuti dall’amministrazione in vista della conclusione del contratto sono sempre finalizzati al
perseguimento di interessi pubblici e quindi non sono riconducibili agli atti di autonomia dei privati.
Gli atti del c.d. procedimento ad evidenza pubblica non producono direttamente modificazioni giuridiche
unilaterali, almeno nel senso che sono destinati ad essere integrati dal consenso privato e che la disciplina
giuridica del rapporto deriva non già da essi bensì dal contratto.
Gli interessi legittimi sono correlati normalmente all’esercizio di tradizionali poteri amministrativi destinati ad
incidere sulle posizioni giuridiche dei privati in modo unilaterale: tuttavia anche un atto del procedimento ad
evidenza pubblica può incidere direttamente sulle situazioni giuridiche degli amministrati sicchè la questione va
risolta come quella dell’agire provvedimentale la delibera a concludere un contratto a trattativa privata, che
pregiudica l’interesse protetto dell’imprenditore il quale aspira a partecipare alla gara e l’aggiudicazione o
l’approvazione del contratto possono quindi essere lesivi di interessi legittimi e di conseguenza venire
autonomamente impugnati.
A seguito dell’annullamento degli atti amministrativi e dei loro effetti si producono conseguenze che si riverberano
sulla validità del contratto secondo una risalente giurisprudenza del giudice ordinario, l’annullamento con effetto
ex tunc degli atti amministrativi emanati in vista della conclusione del contratto incide sulla sua validità in qnt
priva l’amministrazione della legittimazione e della capacità stessa a contrattare, determinando l’annullabilità del
contratto. Tale annullamento può essere pronunciato solo su richiesta dell’amministrazione, la quale sarebbe
l’unica parte interessata ai sensi dell’art. 1441 cc.
Un’altra tesi sostiene invece che il contratto che viene stipulato a seguito di un’aggiudicazione illegittima sarebbe
destinato alla caducazione automatica come conseguenza dell’annullamento dell’aggiudicazione Cons. stato
2332/2003.
Si è inoltre anche sostenuto che il contratto risulterebbe affetto da inefficacia sopravvenuta relativa: al fine di
tutelare i terzi in buona fede, si è invocata l’applicazione analogica degli artt. 23 e 25 cc che, con riferimento alle
associazioni e fondazioni, fanno salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede in base ad atti compiuti in esecuzione
della deliberazione.
Si dibatteva poi in ordine all’individuazione del giudice cui spettasse la giurisdizione sulle controversie attinenti alla
sorte del contratto da un lato nel 2007 la Cassazione affermava la giurisdizione del giudice ordinario mentre nel
2010 viene affermata la giurisdizione del giudice amministrativo.
Le questioni relative alla sorte del contratto dopo l’annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione, della sua sorte
a seguito dell’annullamento in via di autotutela dell’aggiudicazione e della spettanza delle controversie alla
giurisdizione del giudice ordinario o amministrativo hanno impegnato a lungo dottrina e giurisprudenza i
problemi in questione sono stati parzialmente risolti con il d.lgs. 53/2010 che, sul piano processuale, ha ricondotto
alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la cognizione delle controversie che attengono anche alla
sorte del contratto a seguito dell’annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione mentre, sul piano sostanziale,
viene previsto che il contratto possa essere in qst casi dichiarato inefficace dal giudice.
Si discute invece se l’annullamento dell’aggiudicazione in via di autotutela a opera dell’amministrazione comporti
l’inefficacia automatica del contratto nel frattempo stipulato* il tema si intreccia con quello dei poteri
dell’amministrazione che vanno ad incidere unilateralmente sul rapporto negoziale: ai sensi dell’art. 21 sexie l.
241/1990 il recesso unilaterale dai contratti dell’amministrazione è ammesso nei casi previsti dalla legge o dal
contratto. L’art. 21 quinquies che menziona la revoca di atti amministrativi che incidono su rapporti negoziali
sembra indurre ad ammettere che l’amministrazione, anche dopo la stipula del contratto, possa revocare
l’aggiudicazione, così sciogliendosi automaticamente dai vincoli contrattuali, salvo l’obbligo di corrispondere un
indennizzo ciò pare in contrasto con il fatto che, nel contratto, l’impegno negoziale resta insensibile alla
variazione dell’interesse del contraente, con il carattere non retroattivo della revoca e con la tassatività dei casi di
possibile recesso unilaterale dal contratto di cui all’art. 21 sexies.
Sul piano processuale, l’inefficacia del contratto può talora essere pronunciata ma solo dal giudice.
In ogni caso, l’art. 21 quinquies non parla espressamente di contratti e rinvia alle ipotesi in cui la revoca incide sui
rapporti negoziali, senza introdurre in generale il relativo potere.
L’Ad. Plen. 14/2014 ha sottolineato che l’applicazione dell’art. 21 quinquies va limitata ai casi di revoca già
disciplinati dalla legge.
*si pone il problema della sorte del negozio, non direttamente interessato dal vizio che colpisce solo l’atto
presupposto di aggiudicazione.
L’Ad. Plen. 14/2014 ha ribadito la tesi della caducazione automatica del contratto secondo il principio del simul
stabunt simul cadent.
La Cass. sent. 14260/2012, proponendo un’interpretazione estensiva della disciplina, ha statuito che
appartengono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche le controversie relative all’inefficacia
del contratto come conseguenza dell’annullamento in via di autotutela dell’aggiudicazione. Occorre però
constatare come non siano mancate a riguardo oscillazioni giurisprudenziali: infatti, in precedenza si era orientati
a ritenere che la giurisdizione fosse del giudice ordinario con riferimento a situazioni in cui la vicenda era stata
ricostruita in termini esclusivamente privatistici, in specie nelle ipotesi in cui il contratto non sia stato preceduto da
una procedura pubblicistica e dall’aggiudicazione risulta non semplice qualificare la misura adottata
dall’amministrazione che voglia svincolarsi dal contratto.
La questione è stata nuovamente affrontata con sent. 12110/2013 e la Cassazione ha stabilito che l’atto
amministrativo di accertamento “si traduce nell’affermazione di una delle 2 parti del contratto di non considerare
vincolanti gli atti che hanno dato vita al contratto stesso” sicchè la sua cognizione spetta al giudice ordinario.
Un regime diverso dal contratto stipulato in violazione delle regole che l’amministrazione deve osservare è stabilito
da alcune disposizioni che perseguono la finalità di garantire il buon uso delle risorse pubbliche e che richiamano
la figura della nullità.
Per qnt concerne l’arricchimento senza causa, qst è disciplina ex art. 2041-2042 cc che prevedono che “chi, senza
giusta causa, si è arricchito a danno di un’altra persona è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a indennizzare
quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale”.
L’arricchimento consiste nel vantaggio che può essere rappresentato da un incremento del patrimonio, da un
risparmio di spesa o della mancata perdita di beni.
Nell’ambito del diritto amministrativo, rileva il caso in cui sia l’amministrazione ad arricchirsi è previsto che
l’amministratore, funzionario o dipendente sia titolare nei confronti dell’ente pubblico che si sia eventualmente
arricchito, dell’azione diretta di indebito arricchimento. Il contraente privato è a sua volta legittimato ad agire
contro l’ente medesimo, anche contestualmente alla domanda nei confronti del funzionario, in via surrogatoria ex
art. 2900 cc per assicurare che siano soddisfatte o conservate le ragioni del proprio debitore.
Ai sensi dell’art. 194 T.U. enti locali, gli enti locali hanno la possibilità di riconoscere i debiti fuori bilancio derivanti
da acquisizione di beni e servizi senza delibera autorizzata o impegno contabile, purchè siano accertati e
dimostrati l’utilità e l’arricchimento per l’ente nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di
competenza.
La giurisprudenza, in relazione all’arricchimento senza causa, individua un ulteriore presupposto per l’esercizio
dell’azione giurisdizionale nei confronti dell’amministrazione: è il riconoscimento esplicito o implicito dell’utilità
dell’opera da parte del soggetto pubblico.
Per qnt attiene al pagamento di indebito, questo trova applicazione nelle ipotesi in cui l’amministrazione abbia
disposto a favore dei propri dipendenti il pagamento di somme in eccedenza rispetto a quelle che avrebbe dovuto
versare.
L’art. 2033 cc prevede che “chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato”. La
giurisprudenza ha poi introdotto il principio della tutela dell’affidamento ingenerato nel privato in buona fede: si è
previsto che la legittimità della scelta dell’amministrazione di agire per la ripetizione dell’indebito viene valutata
anche alla stregua di qst affidamento.
-La responsabilità civile dell’amministrazione e dei suoi agenti: l’art. 28 Cost. e la responsabilità extracontrattuale.
Aspetto rilevante è quello per cui bisogna conciliare la necessità di tutelare i cittadini di fronte agli illeciti dannosi
perpetrati dai pubblici poteri e, dall’altro lato, salvaguardare le pubbliche finanze da risarcimenti insostenibili.
La Costituzione pone per la prima volta disposizioni concernenti la responsabilità dell’amministrazione e dei suoi
agenti: l’art. 28 Cost. recita che “ i funzionari e i dipendenti dello stato e degli enti pubblici sono direttamente
responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti.” “In tali casi
la responsabilità civile si estende allo stato e agli enti pubblici” è una sorta di responsabilità indiretta per fatto
altrui di cui all’art. 2049 cc.
Il richiamo all’applicazione delle leggi civili permette di completare la fattispecie di illecito lacunosamente
disciplinata dall’art. 28 Cost. con la indicazione del solo requisito della lesione dei diritti.
Per qnt riguarda gli altri requisiti, occorre far riferimento all’art. 2043 cc ovvero:
condotta
danno pregiudizio economico o cmq valutabile in termini economici
dolosità o colposità della condotta
nesso di causalità tra condotta e danno.
Affinchè l’obbligo di risarcimento sorge in capo all’amministrazione, occorre che tra amministrazione e agente
intercorra un rapporto di servizio, presupposto necessario per l’estensione della responsabilità agli enti pubblici di
cui all’art. 28 Cost.
Tuttavia, l’essenza del rapporto di servizio non è sufficiente a determinare la responsabilità dell’ente pubblico
occorre infatti che l’illecito sia stato commesso nell’esercizio delle incombenze inerenti al posto ricoperto.
-La disciplina posta dal legislatore ordinario: il t.u. degli impiegati civili dello stato
Tale disciplina è il d.p.r. 3/1957, le cui disposizioni sono state successivamente estese, in via legislativa o
interpretativa, a tutti i soggetti contemplati nell’art. 28 Cost. con successive modifiche intervenute con il d.lgs.
165/2001.
L’art. 22 d.p.r. 3/1957 sancisce la personale responsabilità dell’impiegato “che cagioni ad altri un danno ingiusto” e
l’art. 23 definisce ingiusto il danno “derivante da ogni violazione dei diritti dei terzi commessa con dolo o colpa
grave”.
Viene poi previsto che “tutti i membri sono responsabili in solido, salvo il caso di dissenso espresso e fatto
constatare nel verbale” e, all’art. 30, si prevede che “il mancato esercizio dell’azione del terzo nei confronti del
dipendete, la reiezione della domanda, la presenza di rinunce o di transazioni non escludono che il
comportamento del dipendente medesimo sia valutato dall’amministrazione al fine di farne valere la responsabilità
nei propri confronti”.
Tale disciplina è rivolta ad alleggerire la responsabilità civile dei funzionari e dipendenti pubblici discostandosi dal
requisito della colpa di cui all’art. 2043 cc e prevedendo invece il requisito della colpa grave, che consiste,
secondo la giurisprudenza, in una “sprezzante trascuratezza dei doveri d’ufficio”.
-I riflessi di tale disciplina su dottrina e giurisprudenza: la responsabilità diretta della pubblica amministrazione e
la responsabilità dei suoi funzionari e dipendenti
Visto che veniva consentito, in base all’interpretazione della Corte Costituzionale, limitare mediante leggi
amministrative la responsabilità dei funzionari e dei dipendenti pubblici, analoghe limitazioni si sarebbero dovute
applicare anche alla responsabilità degli enti pubblici cosi facendo però la tutela dei diritti dei terzi sarebbe stata
compressa.
Viene quindi adottata la tesi della c.d. responsabilità diretta o per fatto proprio della pubblica amministrazione.
Tale fattispecie viene individuata in quella prevista dall’art. 2043 cc e in essa l’elemento soggettivo non è la colpa
grave bensì la colpa dell’uomo medio.
Tale colpa veniva richiesta solo ove si trattasse di attività c.d. materiale dell’ente pubblico e non anche qnd il
danno derivasse da atto amministrativo o dalla sua esecuzionetale orientamento del 1994 è stato abbandonato
con la storica pronuncia sent. 500/1999 da parte della Cassazione, che ha affermato che il giudice dovrà
effettuare un’indagine estesa alla valutazione della colpa, non del funzionario agente, ma della pubblica
amministrazione intesa come apparato, che sarà configurabile “nel caso in cui l’adozione o l’esecuzione dell’atto
illegittimo sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle
quali l’esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi e che il giudice ordinario può valutare, in qnt si
pongono come limiti esterni alla discrezionalità”.
Ove l’ente pubblico sia ritenuto responsabile ex art. 2043 cc del danno arrecato al terzo, il funzionario o
dipendente, ai sensi dell’art. 18 d.p.r. 3/1957 dovrà a sua volta ristorare il danno subito dall’ente (è la c.d. azione
di rivalsa, ove si prevede che l’amministrazione si rivale agendo contro il dipendente) in qnt da lui cagionato in
violazione di obblighi di servizio, salvo il caso in cui abbia agito per un ordine che era obbligato ad eseguire,
mentre la sua responsabilità non viene meno se ha agito per delega del superiore.
Appare evidente come la fattispecie di illecito dei dipendente presenti differenze nei confronti di quella
dell’amministrazione.
Per i dipendenti è richiesta la colpa grave, mentre per l’amministrazione è sufficiente la colpa dell’uomo medio o,
qnd il fatto dannoso consista nell’emanazione di un atto amministrativo, la colpa intesa come colpa dell’apparato.
Muta il giudice: la responsabilità dell’amministrazione per i danni cagionati da attività provvedimentale è giudicata
dal giudice amministrativo mentre quella del dipendente spetta alla giurisdizione del giudice ordinario.
Inoltre, una volta risarcito il terzo, l’amministrazione agirà contro il dipendente non a titolo di regresso di cui
all’art. 1299 cc ma sulla base della violazione di dovere d’ufficio da lui compiuta, pertanto la giurisdizione sarà
quella della Corte dei conti.
-I recenti indirizzi ampliativi della responsabilità della pubblica amministrazione. In particolare: la responsabilità
precontrattuale.
Ad esempio, la giurisprudenza estende con sempre maggior ampiezza agli enti pubblici quelle norme del codice
civile del libro IV titolo IX che prevedono ipotesi particolari di illecito e che in passato erano state ritenute
inapplicabili nei confronti della pubblica amministrazione ad esempio si sosteneva che, con riferimento ai danni
subiti dagli utenti di pubbliche strade, non si applicasse tout court l’art. 2051 cc ma, anzi, sovente veniva invocato
l’art. 2043 cc, escludendo la responsabilità dell’ente pubblico qnd la considerevole estensione del bene che ha
prodotto il danno e il suo uso generalizzato e diretto da parte dei terzi non consentano l’adempimento dei doveri
di vigilanza.
In tema di appalti, la giurisprudenza ammette, nei confronti degli enti pubblici, l’applicazione dell’istituto della
responsabilità precontrattuale per violazione dell’art. 1337 cc, vale a dire la violazione del dovere di buona fede
nelle trattative e nella formazione del contratto, e dell’art. 1338 cc, vale a dire la violazione del dovere di
comunicare all’altra parte le cause di invalidità del contratto, come affermato da Cass. 4382/2012 e 15620/2014,
che ritiene che, anche prima dell’aggiudicazione rileva, a prescindere dalla legittimità dell’atto di revoca, il
comportamento complessivo dell’amministrazione.
Il Consiglio di stato, con sent. 1864/2015, opta per un orientamento più restrittivo e tradizionale, affermando che
se un affidamento tutelabile ex art. 1337 cc non presuppone necessariamente l’aggiudicazione definitiva, lo stesso
non può cmq prescindere dal compimento di un atto della procedura dal quale non possa ritenersi sorto in capo
all’impresa partecipante un ragionevole affidamento circa l’esito positivo del concorso.
Il problema prospettato nei termini di risarcibilità degli interessi legittimi è mal posto.
Fino al recente passato, occorreva distinguere alcune ipotesi principali.
L’annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo che comprimesse illegittimamente un diritto consolidato,
eliminando la causa di compressione del diritto, apriva la via, in presenza degli altri elementi dell’illecito, al
risarcimento del danno patito dal privato per il periodo di indebita limitazione della sua situazione di diritto
soggettivo.
In qst caso però il risarcimento deriva dalla lesione del diritto e non dell’interesse legittimo.
Nell’ipotesi di lesione di diritti “in attesa di espansione”, nonostante il precedente orientamento negativo della
giurisprudenza, non sussistevano ostacoli ad ammettere il risarcimento dl danno patito dal privato: il pregiudizio
del privato a seguito del ritardo nel rilascio del provvedimento che già in precedenza l’amministrazione avrebbe
potuto e dovuto rilasciare è pur sempre correlato alla violazione di un diritto, seppure in attesa di espansione, e
non dell’interesse legittimo la cui lesione, di per sé, non è sufficiente ai fini del risarcimento.
Occorre poi considerare che l’ordinamento risolve i conflitti intersoggettivi fornendo tutela agli interessi dei privati,
la cui lesione dà luogo al risarcimento ex art. 2043 cc, ma non è affatto escluso che altri interessi meritevoli di
tutela possano essere individuati come protetti e che la loro lesione apra la via al risarcimento.
Tali interessi vivono sul piano dell’ordinamento generale, indipendentemente dall’azione amministrativa e sono
protetti da norme diverse da quelle che disciplinano l’attività amministrativa.
La Cassazione, con la sent. 500/1999, qualificando l’art. 2043 cc come norma che pone automaticamente i criterio
per considerare come ingiusto il danno ha affermato che “potrà pervenirsi al risarcimento solo se l’attività
illegittima della pubblica amministrazione abbia determinato la lesione di un bene della vita al quale l’interesse
legittimo, secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega e che risulti meritevole di
protezione alla stregua dell’ordinamento”. Viene inoltre precisato che il diritto al risarcimento del danno “è distinto
dalla posizione giuridica soggettiva la cui lesione è fonte di danno ingiusto che può avere, indifferentemente,
natura di diritto soggettivo, di interesse legittimo o di interesse cmq rilevante per l’ordinamento ”.
Si sottolinea quindi come l’atto lesivo di interessi meritevoli di tutela risarcibili e collegati a interessi legittimi,
illecito perché causa di danno ingiusto, è tale solo se risulta anche illegittimo, sicché tale illegittimità diventa un
presupposto dell’illiceità, come affermato da Cons. stato sent. 4072/2011 e successivamente art. 41 d.lgs.
104/2010.
Circa la meritevolezza dell’interesse, essa è in re ipsa qnd siano in gioco interessi oppositivi come affermato da
Cons. stato 2187/2014. Viceversa, per gli interessi pretensivi occorre svolgere un giudizio prognostico sulla
fondatezza dell’istanza ipotizzando un’azione legittima: se il giudizio è positivo, il privato ha affidamento serio,
l’interesse è meritevole di tutela e la sua lesione è risarcibile.
Ove sia soltanto possibile accertare una concreta ed effettiva probabilità di conservazione o di acquisizione del
bene, si potrà procedere a risarcire la perdita di chance sul punto però vi sono oscillazioni giurisprudenziali:
alcuni decisioni ancorano la risarcibilità per lesione della chance a un criterio statistico/ probabilistico come Tar
Liguria sent. 483/2007, dove la perdita sarebbe risarcibile ove si provi una probabilità superiore al 50% di
ottenere il bene finale, altre decisioni come Tar Lombardia 2152/2014 distinguono la perdita di chance da
aspettativa di risultato favorevole, nel senso che la perdita di chance presuppone la “necessaria incertezza
oggettiva del decorso causale” mentre il sacrificio subito dal privato si configura come situazione autonoma
risarcibile.
La chance opera come criterio di quantificazione del quantum, anche se rimane il problema di comprendere quale
sia la soglia di probabilità superata oltre la quale la situazione giuridica assume consistenza.
La Corte cost. con sent. 204/2004 afferma la giurisdizione del giudice amministrativo delle questioni risarcitorie
connesse all’attività provvedimentale dell’amministrazione tale soluzione è stata recepita dal cpa all’art. 7.
Tuttavia, qnd il problema sembrava superato, la Cassazione con 3 sentenze 6594-6595 e 6596 del 2011 ha
affermato nuovamente uno spazio di giurisdizione a favore del giudice ordinario.
Nel caso di pretese risarcitorie a seguito dell’annullamento di un provvedimento favorevole la Cassazione afferma
che, i privati, “sulla base di qst situazione non possono invocare né la tutela demolitoria di qualche atto, né quella
risarcitoria alla possibilità di quel tipo di tutela strettamente legata” vale a dire che la legittima privazione del
diritto conseguente a un provvedimento illegittimamente favorevole, non aprendo la via alla tutela demolitoria,
neppure consentirebbe di agire dinnanzi al giudice amministrativo per ottenere la tutela risarcitoria
consequenziale alla prima.
Poiché dopo essere stato annullato, il provvedimento continuerebbe a rilevare per il soggetto che ne aveva tratto
vantaggio “esclusivamente quale mero comportamento”, l’unico rimedio sarebbe la tutela risarcitoria fondata
sull’affidamento, relativa ad un danno “che oggettivamente prescinde da valutazioni sull’esercizio del potere
pubblico, fondandosi su doveri di comportamento i cui contenuto certamente non dipende dalla natura privatistica
o pubblicistica del soggetto che ne è responsabile, atteso che anche la pubblica amministrazione, come qualsiasi
privato, è tenuta a rispettare nell’esercizio dell’attività amministrativa principi generali di comportamento quali la
perizia, prudenza, diligenza e la correttezza”.
-La responsabilità contrattuale della pubblica amministrazione, la responsabilità da contatto e il danno da ritardo
La responsabilità contrattuale è fondata sulla violazione di un rapporto obbligatorio già vincolante tra le parti,
sorto in virtù di contratto, in forza di legge, per atto unilaterale o da un precedente fatto illecito.
La responsabilità contrattuale della p.a. è stata oggetto di dibattito in dottrina, la quale si limita a rinviare alle
norme di diritto privato mentre occorre invece affrontare la questione dal punto di vista amministrativo accanto
ai contratti di diritto privato, esiste un campo vastissimo peculiare alla responsabilità contrattuale, come ad
esempio il settore dei servizi pubblici, in cui l’obbligazione sorge oltre che in forza della legge anche a seguito di
atti della pubblica amministrazione.
Se l’inadempimento fa sorgere la responsabilità in capo alla sola amministrazione, unica obbligata, risulta
irrilevante la distinzione tra responsabilità diretta e responsabilità indiretta propria della responsabilità
extracontrattuale.
Il funzionario o il dipendente rimane estraneo alla responsabilità ex art. 1218 cc e contro di lui non si potrà
rivolgere il terzo, poiché il diritto leso prevede solo l’obbligo dell’amministrazione e non anche quello della persona
fisica agente.
Si potrebbe però obiettare che l’art. 28 Cost. prevede la responsabilità civile del funzionario per violazione di diritti
e qst avviene anche nel caso di responsabilità contrattuale dell’ente tale tesi viene però respinta: sembra
illogico ammettere la responsabilità di 2 soggetti diversi per lo stesso fatto dove da un lato vi è la responsabilità
contrattuale dell’ente e dall’altro lato sorgerebbe la responsabilità extracontrattuale del funzionario o dipendente.
Tuttavia in giurisprudenza si è ammesso il concorso della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, anche
se, ad esempio, vi è confusione in merito alla responsabilità per trattamenti medici ci si domanda infatti se la
responsabilità delle aziende ospedaliere verso i pazienti abbia natura contrattuale o extracontrattuale.
Due illeciti sono cmq ipotizzabili allorché l’ente pubblico risponda con responsabilità contrattuale e, ove il terzo si
rivolga contro di esso, direttamente o come obbligato solidale per il fatto del dipendente, anche a titolo di
responsabilità extracontrattuale. Il dipende risponde invece a titolo di responsabilità extracontrattuale ex art. 28
Cost.
Con riguardo viene ricordata la Cass. sent. 589/1999 secondo cui il medico potrebbe incorrere in una
responsabilità in forza di un rapporto contrattuale di fatto originato dal contatto sociale.
La soluzione seguita dalla sent. Cass. 500/1999 è quella di ritenere la responsabilità dell’amministrazione di natura
extracontrattuale tale responsabilità si riferisce alle situazioni in cui non preesiste un rapporto particolare tra
danneggiato e danneggiante.
Parte della dottrina e della giurisprudenza sul presupposto che, rispetto al privato coinvolto dall’azione,
l’amministrazione non può considerarsi come terzo qualunque la cui responsabilità è disciplinata dall’art. 2043 cc,
sembrano propendere per il riconoscimento di un nuovo modello di responsabilità: la c.d. responsabilità da
contatto, che è collegata alla violazione di obblighi di protezione esistenti in capo all’amministrazione.
La sussistenza di un contatto tra amministrazione e privato comporta il sorgere di alcuni obblighi senza
prestazione in capo all’amministrazione, la cui violazione determina una responsabilità riconducibile all’art. 1218 cc
qnt al riparto dell’onere della prova relativo all’elemento psicologico (l’onere della prova sarà a carico del
danneggiante, che dovrà provare che l’inadempimento è dovuto a causa a lui non imputabile) e al termine di
prescrizione (opera il termine decennale).
In tema di alleggerimento dell’onere probatorio del danneggiato va cmq osservato che parte della giurisprudenza,
pur mantenendosi fedele al modello dell’art. 2043 cc, ammette che la colpa possa essere provata dall’attore
mediante presunzione.
La Corte di giustizia dell’Ue 314/2010 ha affermato che il diritto dell’Ue osta a una normativa nazionale che nelle
ipotesi di violazione della disciplina sugli appalti pubblici subordini il diritto ad ottenere il risarcimento dei danni al
carattere colpevole di tale violazione, precisando che non sono ammesse né presunzioni di colpevolezza in capo
all’amministrazione né la possibilità di far valere un difetto di impugnabilità soggettiva della violazione lamentata
si configura quindi una responsabilità oggettiva. Tuttavia tale regola si applica esclusivamente nel settore delle
procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di rilevanza comunitaria, come affermato da Cons. stato
1672/2014: in qst caso il rimedio risarcitorio costituisce un’alternativa alle altre procedure di ricorso, sicchè esso
può considerarsi compatibile con il principio di effettività solo se il risarcimento non è subordinato alla
constatazione dell’esistenza di un comportamento colpevole dell’amministrazione aggiudicatrice.
La suddetta decisione attiene al problema dell’elemento psicologico all’interno dell’illecito. Rilevante è però anche
il profilo del nesso di causalità qui l’onere probatorio è in capo alla vittima e con Ad. Plen. 3/2011 si è affermato
che non sono risarciti i danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso
l’esperimento dell’azione di annullamento.
La necessità della sussistenza di colpa o di dolo ai fini della configurazione dell’illecito è stata riconosciuta dall’art.
2 bis l. 241/1990, che dispone che “l’inosservanza del termine di conclusione del procedimento che cagioni un
danno ingiusto dà luogo a responsabilità in capo all’amministrazione e ai soggetti privati preposti all’esercizio di
attività amministrative solo se l’inosservanza è dovuta a colpa o dolo”.
Secondo un precedente orientamento invece in tema di danno da ritardo, il ristoro patrimoniale richiedeva la
dimostrazione del pregiudizio derivante dalla mancata tempestiva concessione del bene della vita cui cmq si
avrebbe titolo.
Secondo l’art. 2 bis il mero ritardo lo si ritiene risarcibile in qnt tale su tale posizione si colloca anche il Cons.
stato 1739/2011, secondo cui il ritardo è elemento sufficiente per configurare un danno ingiusto nel caso
procedimento lesivo di un interesse pretensivo dell’amministrato, laddove tale procedimento sia da concludere con
un provvedimento favorevole o se sussistano fondate ragioni per ritenere che l’interessato avrebbe dovuto
ottenerlo.
Una parte della giurisprudenza ritiene invece che la parte abbia preventivamente reagito all’inerzia impugnando il
silenzio rifiuto, confermando così la sussistenza di un onere di preventiva attivazione in capo al soggetto che
domanda il risarcimento sul punto Tar Lombardia 35/2011.
Rimane il problema se tale omissione possa incidere sull’entità del danno.
Va cmq constatato che richiedendo dolo o colpa, qst disciplina sembra sconfessare la tesi della responsabilità da
contatto.
Tale disciplina non esclude però l’impiego del meccanismo della presunzione.
Lo spazio per il danno da mero ritardo è venuto man mano ad assottigliarsi a seguito dell’entrata in vigore della
disciplina dell’indennizzo da ritardo ex art. 28 d.l. 68/2013 che dispone che le some corrisposte o da corrispondere
a titolo di indennizzo sono detratte dal risarcimento.
Secondo Cons. stato 2638/2014 la previsione di un indennizzo conferma la tesi secondo cui il risarcimento non è
dovuto come conseguenza del mero superamento dei termini, ponendosi l’inosservanza del termine come
presupposto causale del danno ingiusto eventualmente cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o
colposa del termine.
Un’altra impostazione vede invece la responsabilità dell’amministrazione come una responsabilità speciale poiché
retta unicamente dal diritto pubblico e disancorata dal diritto civile.
Con la locuzione RESPONSABILITà AMMINISTRATIVA si intende però solo quella in cui incorre il soggetto persona
fisica avente un rapporto di servizio con un ente pubblico il quale, in violazione dei doveri che derivano da tale
rapporto, abbia cagionato un danno alla sua pubblica amministrazione.
L’obbligo di risarcimento permette di qualificare tale responsabilità come responsabilità civile qst tesi viene
ulteriormente avvalorata dal fatto che l’art. 18 d.p.r. 3/1957 stabilisce che “di fronte alla responsabilità civile fatta
valere dal terzo nei confronti della sola pubblica amministrazione, l’impiegato è tenuto a risarcire i danno a questa
cagionato, consistente nella somma pagata da essa al terzo”.
Pertanto, mutando il titolo di responsabilità, muterà anche il giudice che deve pronunciarsi che sarà la Corte dei
conti e non invece il giudice ordinario.
Una parte della dottrina, risalente agli anni ’70, ha affermato la necessità di staccare in modo definitivo la
responsabilità amministrativa dagli schemi civilistici, affermandone il suo carattere autonomo.
Tale natura pubblicistica della responsabilità amministrativa veniva dedotta sulla base di alcuni elementi quali:
la nascita nell’ambito del pubblico impiego
l’azione di responsabilità promossa dal Procuratore generale della Corte dei conti
l’interesse tutelato è quello pubblico
l’operare del principio della divisibilità del danno in luogo del principio di solidarietà previsto dal codice
civile
il potere riduttivo attribuito alla Corte dei conti e non al giudice ordinario
la responsabilità estesa anche a coloro che avessero omesso di denunciare gli autori del fatto dannoso.
Tale orientamento dottrinale è stato recepito dalla Corte dei conti.
Carattere peculiare assumono poi alcune forme di responsabilità tipizzate dal legislatore, che sono però staccate
dalla prospettiva risarcitoria- compensativa. Si discute se queste, che sembrano avvicinarsi ad una forma di
responsabilità formale che prescindono dal danno e dall’elemento psicologico, siano riconducibili alla
responsabilità amministrativa o costituiscano altra materia cui la giurisdizione contabile può essere estesa dalla
legge ordinaria secondo qnt prescritto dall’art. 103 Cost., nel rispetto del principio di legalità e tipicità proprio di
ogni fattispecie sanzionatoria.
Si dibatte inoltre se per qst forme di responsabilità si possano applicare le altre disposizioni proprie della
responsabilità amministrativa: la risposta sembra essere positiva in qnt si tratta di una disciplina garantistica ed
essenziale ai fini dell’integrazione di un illecito.
Tra le forme principali di responsabilità amministrativa troviamo:
art. 30 comma 15 l. 289/2002 che prevede che qualora gli enti territoriali ricorrano all’indebitamento per
finanziare spese diverse da quelle di investimento, i relativi atti e contratti sono nulli e le sezioni
giurisdizionali della Corte dei conti possono irrogare agli amministratori che hanno adottato la delibera la
condanna ad una sanzione pari ad un minimo di 5 e fino da un massimo di 20 volte l’indennità di carica
percepita al momento della commissione della violazione.
Art. 3 comma 44 l. 244/2007 che prevede in materia di tetto al trattamento economico onnicomprensivo a
favore di chi riceva emolumenti pubblici una sanzione che è pari a 10 volte la somma illecitamente
consentita ed erogata.
Art. 3 commi 53 e 59 che prevedono la nullità dei contratti di assicurazione stipulati in favore degli
amministratori per le conseguenze derivanti da condotte illecite poste in essere ai danni dello stato o di
altri enti pubblici.
Art. 12 d.l. 98/2011 che prevede una sanzione pecuniaria a carico degli amministratori e responsabili del
servizio economico- finanziario che artificiosamente abbiano rispettato il patto di stabilità.
Art. 248 T.U. enti locali che prevede una pena accessoria interdittiva con riferimento alle procedura di
dissesto finanziario per sindaci e presidenti di provincia ritenuti responsabili del dissesto.
Art. 53 d.lgs. 165/2001 che prevede l’ipotesi di responsabilità erariale relativa all’omissione del
versamento del compenso da parte del dipendente pubblico non autorizzato dall’amministrazione di
appartenenza e indebito percettore.
Per qnt attiene gli aspetti sostanziali della responsabilità amministrativa atipica, le fonti che disciplinano qst aspetti
sono:
artt. 82- 83 r.d. 2440/1923 recante disposizioni sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità
generale dello stato.
L’art. 82 dispone che “l’impiegato che per azione od omissione, anche solo colposa, nell’esercizio delle sue
funzioni, cagioni danno allo stato, è tenuto a risarcirlo. Quando l’azione od omissione è dovuta al fatto di
più impiegati, ciascuno risponde per la parte che vi ha presa, tenuto conto delle attribuzioni e dei doveri
del suo ufficio, tranne che dimostri di aver agito per ordine superiore che era obbligato ad eseguire”.
L’art. 83 assoggetta i dipendenti che hanno cagionato il danno alla giurisdizione della Corte dei conti.
art. 52 T.U. delle leggi sulla Corte dei conti
artt. 18, 19 e 20 T.U. sugli impiegati civili dello stato d.p.r. 3/1957 l’art. 18 dispone che “se l’impiegato
ha agito per un ordine, va esente da responsabilità, salva la responsabilità del superiore che ha impartito
l’ordine”. L’impiegato è invece responsabile se ha agito per delega.
Si discute se, ferma restando la natura civilistica della responsabilità, la responsabilità suddetta sia contrattuale o
extracontrattuale: in origine veniva qualificata come responsabilità extracontrattuale e qst fino all’immediato
dopoguerra. Man mano però la Corte dei conti ha cambiato orientamento, ritenendo tale responsabilità come
contrattuale, in base allo “speciale rapporto tra l’amministrazione e i suoi dipendenti dal quale nascono specifici
doveri e obblighi, alla cui infrazione e osservanza si riconnette la speciale responsabilità”. A riguardo, l’art. 82 della
legge di contabilità stata infatti inserita nel d.p.r. 3/1957 ed è stata mutata in quella “danni derivanti dalla
violazione di ordini di servizio”: così facendo, si è evidenziata la preesistenza del rapporto di servizio, che è una
nozione interpretata in modo estensivo dalla giurisprudenza, tanto da ritenerla presente non solo nei casi di
pubblico impiego ma anche per gli organi elettivi, funzionari onorari e soggetti privati incaricati di svolgere
un’attività pubblicistica.
Il rapporto di servizio è alla radice della responsabilità in questione, sebbene l’art. 1 comma 4 l. 20/1994 estenda
la giurisdizione della Corte dei conti a controversie nelle quali un tale rapporto non sussiste con l’amministrazione
danneggiata.
La Cassazione, inoltre, in passato ha affermato la giurisdizione della Corte dei conti anche per i fatti commessi
dagli amministratori e dipendenti di enti pubblici economici e nei riguardi degli amministratori della s.p.a. miste
per i danni erariali cagionati al patrimonio dell’ente pubblico locale.
L’art. 16 bis d.l. 248/2007 ha per altro previsto che per le s.p.a. quotate in mercati regolamentati, con
partecipazione diretta dello stato o di altri enti pubblici inferiore al 50%, la responsabilità degli amministratori e
dei dipendenti è regolata dalle norme del diritto civile e la giurisdizione è quella del giudice ordinario tale scelta
finisce però per riconoscere la sussistenza della giurisdizione contabile in tutte le altre ipotesi di società pubbliche
diverse da quelle di cui all’art. 16 bis: ciò viene confermato dall’art. 7 l. 97/2001 ove si prevede di comunicare al
procuratore generale le sentenze irrevocabili di condanna per i delitti ex capo I, titolo II c.p. emesse nei confronti
dei dipendenti di enti a prevalente partecipazione pubblica.
In realtà occorre distinguere il caso della società pubblica come soggetto danneggiato dalle persone fisiche, in
ordine al quale, secondo la Cassazione, sussiste tendenzialmente la giurisdizione del giudice ordinario in qnt viene
colpito il patrimonio sociale che, in ragione della personalità giuridica, è distinto da quello dei soci pubblici.
Tuttavia lo spazio per il giudice contabile sussiste in alcune situazioni specifiche come ad esempio laddove la
società sia a totale capitale pubblico nonché nelle ipotesi di società in house dove svanisce la distinzione tra
società ed ente come affermato da Cass. 3201/2014.
Diversa è poi l’ipotesi in cui l’amministratore o il componente di organi di controllo della società partecipata
dall’ente pubblico danneggi direttamente l’ente medesimo: qui la Cassazione a SS.UU. afferma la giurisdizione
contabile .
La Cassazione ha poi chiarito che il criterio per discriminare la giurisdizione ordinaria da quella contabile in
materia di azione di responsabilità per danno erariale consiste nel verificare la natura del denaro e degli scopi
perseguiti esiste quindi giurisdizione della Corte dei conti con riguardo ai giudizi nei confronti di società o
associazioni nei quali si contesti l’illegittima erogazione di fondi pubblici.
Per qst forma di responsabilità finanziaria, a parere della dottrina, “risulta meno rilevante il criterio del rapporto di
servizio, al più da concepire come nesso funzionare tra risorse pubbliche e perseguimento di interessi pubblici,
mentre assume importanza decisiva la sussistenza di un qualsivoglia titolo in forza del quale il soggetto, pur
privato, venga ad agire in vista di finalità pubbliche”.
Per qnt attiene il danno, consiste in un ammanco e in un pregiudizio alle casse pubbliche. Secondo la
giurisprudenza della Corte dei conti, tale nozione va interpretata in modo estensivo sulla base di determinate
caratteristiche: si parla a riguardo di una figura di danno “connessa alla violazione di norme di tutela aventi per
oggetto non già beni materiali che costituiscono il patrimonio in senso proprio del soggetto- persona, ma
l’interesse a utilità non suscettibili di godimento ripartito e quindi riferibili a tutti i membri indifferenziati della
collettività”.
Inoltre, la Corte afferma che adeguata tutela va connessa anche a quegli interessi “che attengono agli equilibri
sostanziali dell’economia della nazione e della finanza pubblica, il cui fondamentale rilievo in funzione sociale trova
riconoscimento nella Costituzione… e che appartengono specificamente alle materie assegnate alla competenza
della Corte dei conti”.
È ivi ricompreso nella nozione di danno anche il c.d. danno morale, quale effetto lesivo consistente nel discredito
subito dall’ente pubblico in conseguenza dell’attività illecita dei propri amministratori o dipendenti, nonché del
danno all’immagine dell’ente la l. 190/2012 ha ampliato l’area del c.d. danno all’immagine della pubblica
amministrazione: viene stabilito che questo deriva dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica
amministrazione accertato con sentenza penale passata in giudicato.
L’entità del danno si presume, salva prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore
patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente.
La suddetta legge prevede che, in caso di commissione all’interno dell’amministrazione di un reato di corruzione
accertato con sentenza passata in giudicato, il responsabile risponda anche per il danno erariale e all’immagine
della pubblica amministrazione, salvo che provi di aver predisposto, prima della commissione del fatto, un piano di
prevenzione della corruzione, di aver osservato le prescrizioni della l. 190/2012 e di aver vigilato sul
funzionamento e sull’osservanza dello stesso.
L’art. 1 l. 95/2012 prevede l’ipotesi di danno erariale come conseguenza della stipula di contratti in violazione delle
norme sul buon uso delle risorse pubbliche.
Altre ipotesi di danno sono:
il danno da disservizio
danno al prestigio
danno alla concorrenza questo scaturisce da un gara illegittima.
In relazione al nesso di causalità, questo consiste nell’appurare il rapporto di causazione che intercorre tra
l’inadempimento costituito dalla violazione di uno o più obblighi e/o doveri e modalità di comportamento derivanti
dal rapporto di servizio e il danno subito dall’amministrazione.
La base normativa su cui si fonda la giurisprudenza della Corte dei conti è l’art. 1223 cc e si afferma che la
trasgressione dei doveri emergenti dal rapporto di servizi non va valutata in se stessa ma solo in rapporto alla
concreta efficacia svolta nella provocazione del danno e, nella valutazione fatta ex ante in merito all’idoneità della
causa a produrre quell’effetto, non si deve tenere conto degli eventuali effetti straordinari o atipici della condotta
tenuta.
Dalla lettura degli artt. 82/83 della legge sulla contabilità dello stato, si ricavavano altri principi inerenti alla
responsabilità amministrativa:
divisibilità del danno oggi disciplinato dalla l. 639/1996 che stabilisce che se il fatto dannoso è causato
da più persone, la Corte dei conti, valutate le singole responsabilità, condanna ciascuno per la parte che
vi ha preso.
Ai sensi dell’art. 1 l. 20/1994, fermo restando il potere di riduzione, deve tenersi conto dei vantaggi cmq
conseguiti dall’amministrazione o dalla comunità amministrata in relazione al comportamento degli
amministratori o dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità.
potere riduttivo attribuito alla Corte dei conti.
La l. 20/1994 e successive modificazioni introduce una disciplina della responsabilità amministrativa uniforme per
tutti i soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti.
L’art. 1 l. cit. introduce delle novità:
1. il carattere personale della responsabilità stessa e la trasmissibilità del debito agli eredi secondo le leggi
vigenti nei casi di illecito arricchimento del dante causa e di conseguente indebito arricchimento degli
eredi stessi
2. la responsabilità imputata esclusivamente a coloro che hanno espresso voto favorevole nel caso di
deliberazioni di organi collegiali
3. la limitazione della responsabilità a fatti e alle omissioni commesse con dolo o colpa grave
4. la condanna a ciascuno per la parte che vi ha preso, valutate le singole responsabilità, da parte della
Corte dei conti, se il fatto dannoso è causato da più persone
5. la circostanza che la “Corte dei conti giudica sulla responsabilità amministrativa degli amministratori e dei
dipendente pubblici anche qnd il danno sia stato cagionato ad amministrazioni ed enti diversi da quelli di
appartenenza”. Alla luce di tale norma, la giurisprudenza ritiene che la Corte dei conti possa esercitare la
propria giurisdizione in relazione alle azioni di responsabilità anche in mancanza di un rapporto di impiego
o di servizio tra danneggiante e danneggiato
6. la prescrizione del diritto al risarcimento del danno in 5 anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il
fatto danno. In caso di mancata denuncia da parte degli organi al vertice di fatti dannosi che abbia fatto
prescrivere il diritto al risarcimento, la prescrizione per qst secondo illecito decorre dalla data in cui è
maturata la prescrizione per il primo fatto illecito non denunciato.
Qnd il diritto al risarcimento nasce da un fatto previsto dalla legge come reato, il termine di prescrizione
comincia a decorrere dal momento in cui il danno si manifesta all’esterno.
In relazione al termine prescrizionale di 5 anni e della tendenziale intrasmissibilità agli eredi della responsabilità
amministrativa ha creato polemiche.
Il principio secondo cui la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di
contabilità pubblica è personale: ciò non è in sintonia con la configurazione della responsabilità amministrativa
quale responsabile contrattuale, cui dovrebbe invece conseguire la trasmissibilità in ogni caso agli eredi
dell’obbligo di risarcimento.
Una specie particolare di responsabilità amministrativa è la c.d. responsabilità contabile, che riguarda solo gli
agenti che maneggiano denaro e valori pubblici e che sono tenuti al rendiconto (= obbligo di documentare i
risultati della gestione effettuata e dimostrare le diverse operazioni effettuate nel corso della gestione).
I contabili, che hanno l’obbligo strumentale della custodia dei valori loro assegnati, si distinguono in:
contabili di diritto che svolgono tale funzione in base a norme, a rapporto di impiego o contratto
contabili di fatto soggetti che hanno cmq maneggio di denari e beni, come ad esempio il funzionario
che non abbia conservato in cassaforte una somma rilevante eccezionalmente giacente in ufficio e poi
scomparsa.
Gli agenti contabili si distinguono in:
1. agenti della riscossione
2. agenti pagatori
3. agenti consegnatari di oggetti o beni pubblici.
NON sono agenti contabili coloro che hanno in consegna mobili d’ufficio, quadri ed altri oggetti ornamentali “per
solo debito di vigilanza o di ufficio”.
Esempi di agenti contabili sono: l’economo, l’impiegato che tra i suoi compiti ha quello di riscuotere i proventi di
un’attività dell’ente e versare le somme al relativo ufficio, l’ufficiale giudiziario in caso di tardivo versamento di
tasse all’erario.
I conti che l’agente deve rendere sono i conti giudiziali, chiamati così perché sono sottoposti al vaglio del giudice
contabile. Questi ricomprendono:
il carico è dato dalla somma del resto della precedente gestione e degli incrementi avvenuti nel corso
della gestione
lo scarico somme o valori da decurtare
resto differenza tra carico e scarico.
Gli elementi della responsabilità contabile, che deriva in sostanza dal mancato adempimento di un’obbligazione di
custodia o restituzione, sono analoghi a quelli della responsabilità amministrativa ai quali si aggiunge però la
qualifica di agente contabile.
La l. 639/1996 richiede l’elemento della colpa grave senza operare alcuna distinzione tra responsabilità
amministrativa e responsabilità contabile.
Giurisprudenza e dottrina oscillano sul regime del profilo psicologico.
Viene richiesto di provare l’esistenza dell’obbligazione del contabile e spetta all’attore (procuratore) dimostrare
anche la colpa grave o il dolo.
Altra opinione accosta invece l’illecito dell’agente contabile alla responsabilità contrattuale ex art. 1218 cc e invoca
quindi l’inversione dell’onere probatorio, affermando che il Procuratore debba provare esclusivamente il fatto
costitutivo e l’ammanco mentre l’agente deve provare i fatti impeditivi o estintivi.
(Talora si parla anche di dolo c.d. contrattuale sicché sarebbe sufficiente affinché ricorra il dolo che i dipendenti
tengano scientemente un comportamento che viola un obbligo di servizio).
I conti degli agenti contabili, al compimento del procedimento di rendimento del conto, debbono essere presentati
presso la Corte dei conti. Per qnt riguarda l’amministrazione statale, entro i 2 mesi successivi alla chiusura
dell’esercizio finanziario i conti sono trasmessi alla competente ragioneria dello stato e sono trasmessi alla Corte
dei conti entro i 2 mesi successivi.
Il giudizio di conto si instaura necessariamente con la presentazione del conto giudiziale. Ai sensi dell’art. 2 l.
20/1994, decorsi 5 anni dal deposito del conto senza che sia stata depositata presso la segreteria della Corte dei
conti la relazione su di esso o siano stata elevate eventuali contestazioni, il giudizio sul conto si estingue.
L’art. 93 T.U. enti locali dispone che gli agenti contabili degli enti locali non sono tenuti alla trasmissione della
documentazione occorrente per il giudizio di conto, salvo che non sia la Corte dei conti a richiederlo. L’art. 233
T.U. cit. dispone che “entro i termine di 2 mesi dalla chiusura dell’esercizio finanziario l’economo, il consegnatario
di beni e gli altri agenti contabili rendono il conto della gestione all’ente locale, il quale lo trasmette alla
competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti entro 60 gg dall’approvazione del rendiconto”.
Ai sensi dell’art. 18 d.l. 67/1997 le amministrazioni di appartenenza debbono rimborsare ai dipendenti pubblici, nei
limiti riconosciuti congrui dall’avvocatura dello stato, le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile,
penale e amministrativa instaurati per fatti connessi all’attività istituzionale e conclusi con sentenza che escluda la
loro responsabilità.
La giurisprudenza tende però ad interpretare in modo estensivo la nozione di pubblico sembra tuttavia
preferibile ritenere nel senso che tra gli elementi che caratterizzano il servizio pubblico figuri anche quello
dell’effettiva produzione ex novo di beni e attività che prima non esistevano.
Il servizio pubblico è assunto dal soggetto pubblico con legge o con atto generale tale momento è espressione
di una scelta politica che consegue ad una valutazione dei bisogni della collettività.
(Ai sensi dell’art. 42 T.U. enti locali, l’assunzione dei pubblici servizi locali è di competenza del consiglio dell’ente
locale; in ordine al servizio di istruzione scolastica, l’assunzione di questo trova diretto fondamento nella
Costituzione e nella legge ordinaria, mentre la programmazione avviene anche mediante la definizione dei
programmi scolastici).
Al fine di garantire la continuità dell’offerta di una prestazione, la normativa prevede talora il meccanismo
dell’imposizione ai privati già presenti sul mercato e operanti come imprenditore di obblighi di servizio, che
riguardano la sicurezza, regolarità, qualità e il prezzo di alcune prestazioni.
Un tema rilevante è quello relativo alla competenza legislativa.
In ordine ai servizi pubblici privi di rilevanza economica, la Corte cost. con sent. 272/2004 ha sottolineato che in
qst ambito non si può individuare un mercato concorrenziale e ha dichiarato incostituzionale l’art. 113 bis T.U. enti
locali, che aveva ad oggetto siffatti servizi. Oggi la disciplina relativa a qst ambiti è rimessa alle fonti regionali e
locali, anche se non si può escludere in radice un intervento statale sulla base dell’art. 117 comma 2 lett. m) in
materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni.
Il suddetto art. 113 bis T.U. enti locali prevedeva che gli affidamenti diretti potevano avvenire a favore dei
seguenti soggetti:
istituzione “organismo strumentale dell’ente locale per l’esercizio di servizi sociali, dotato di autonomia
gestionale”
aziende speciali si tratta di un ente pubblico strumentale che è dotato di personalità giuridica, di
autonomia imprenditoriale e di un proprio statuto
società a capitale interamente pubblico.
Nel settore sanitario la legge prevede che la partecipazione dei privati allo svolgimento del servizio pubblico possa
fondarsi sull’istituto dell’accreditamento, in forza del quale, subordinatamente all’accertamento del possesso dei
requisiti fissati dall’amministrazione, la struttura privata è riconosciuta idonea ad operare a favore degli utenti.
La Corte cost. con sent. 325/2010 è intervenuta sulla legittimità dell’art. 23 bis d.l. 112/2008 concernente i servizi
a rilevanza economica. Nella sentenza in questione, la Corte ha posto in luce la corrispondenza tra le nozioni di
servizi pubblici e di servizi di interesse economico generale affermando la competenza legislativa statale alla tutela
della concorrenza, aggiungendo che “non appare irragionevole, anche se non costituzionalmente obbligata, una
disciplina tesa a rendere più stringenti le regole della concorrenza in ordine alla scelta dei gestori riducendo le
eccezioni al principio della gara”. Inoltre, “è compito dello stato definire le condizioni di rilevanza economica dei
servizi e indicare i presupposti per l’applicazione della disciplina generale”.
A livello di Tue, il servizio pubblico costituisce oggetto di disciplina indiretta, sul presupposto che, se economico,
possa incidere sul libero gioco della concorrenza e, più in generale, nella prospettiva della coesione sociale e
territoriale.
In specie, la normativa europea definisce i confini entro i quali sono ammesse deroghe al rispetto delle norme del
Trattato: viene infatti stabilito che le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale
sono sottoposte alle norme del Trattato e al regime della concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme
non osti all’adempimento della specifica missione loro affidata si vuole impedire che la situazione di vantaggio
riconosciuta all’impresa che eroga il servizio si estenda al di là di qnt necessario.
L’art. 14 Tue stabilisce che “L’Unione e gli stati, in considerazione della loro importanza nell’ambito dei valori
comuni dell’unione, nonché del loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale, provvedano
affinché i servizi di interesse economico generale funzionino in base a principi e condizioni che consentano loro di
assolvere i loro compiti”.
Alla luce di qnt visto, i servizi costituiscono un ambito nel quale i poteri pubblici, anche europei, debbono
impegnarsi per la promozione della coesione sociale e territoriale.
Accanto alle norme del Tue vi sono diverse direttive che si occupano di settori specifici nella prospettiva della
liberalizzazione.
In relazione ai servizi pubblici vengono in evidenza tutta una serie di classificazioni quali:
la distinzione tra servizi a rilevanza economica e servizi primi di rilevanza economica (questi ultimi sono collocati
fuori dal mercato, come ad esempio i servizi sociali).
Il diritto comunitario non prevede un’elencazione tassativa dei servizi nelle 2 categorie, in qnt il carattere
economico del servizio dipende dalle scelte organizzative dello stato membro e, in particolare, dalle modalità di
remunerazione delle prestazioni da parte degli stati stessi.
La Costituzione parla di servizi pubblici essenziali all’art. 43 Cost.--> tale articolo si occupa della riserva operata
con legge allo stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti di determinate attività ed individua
quale oggetto della riserva le imprese che si riferiscono a servizi pubblici essenziali con tale formulazione
sembra quasi volersi chiudere il mercato dei servizi pubblici essenziali, escludendo quindi la libertà di iniziativa
economica. Gli artt. 33, 34 e 38 Cost. si oppongono invece all’instaurazione di un monopolio pubblico per i servizi
di istruzione e di assistenza.
Con riferimento agli enti locali, la legge si riferisce ai servizi indispensabili e a quelli ritenuti necessari per lo
sviluppo della comunità tali servizi sono finanziati dalle entrate fiscali, che vanno cmq ad integrare la
contribuzione erariale per l’erogazione dei servizi indispensabili.
I servizi sociali sono caratterizzati invece da elementi quali:
finalizzazione alla tutela e alla promozione del benessere della persona
doverosità della predisposizione degli apparati pubblici necessari per la loro gestione
assenza del divieto per i privati di svolgere tale attività.
La l. 328/2000 prevede una disciplina completa in materia di assistenza, considerando unitariamente i differenti
servizi oggetto di discipline settoriali e precisando che per interventi e servizi sociali si intendano “tutte le attività
previste dall’art. 128 d.lgs. 112/1998” si tratta di tutte quelle attività che sono volte a combattere l’esclusione e
a promuovere l’integrazione, le quali comportano indubbiamente un sacrificio a livello economico. I tradizionali
servizi sociali possono essere inquadrati giuridicamente richiamando il principio del dovere di solidarietà ex art. 2
Cost.
Di recente è poi emersa la categoria di servizio universale che è un “insieme minimo definito di servizi di qualità
determinata, accessibili a tutti gli utenti a prescindere dalla loro ubicazione geografica e ad un prezzo accessibile”.
Da quanto emerso, l’intervento pubblico è imposto dall’ordinamento ma non è subordinato al fallimento del
mercato anzi viene garantito uno spazio di intervento per i privati.
Le forme di affidamento del servizio pubblico, ala luce della copiosa legislazione sia interna sia comunitaria, sono
tipizzate dal legislatore e in alcuni casi l’amministrazione si avvale della propria organizzazione mentre altre volte
si rivolge ad altri soggetti per attuare i servizi previsti dalla legge.
Rilevano in particolare i servizi pubblici locali, che rientrano nella titolarità di comuni e province e hanno ad
oggetto “la produzione di beni e attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e
civile delle comunità locali” ma la cui disciplina, secondo Corte cost. sent. 22/2014, non può ascriversi nell’ambito
delle funzioni fondamentali ai sensi degli artt. 112 ss. T.U. enti locali si distingue tra servizi a rilevanza
economica e servizi che non hanno rilevanza economica: tra i servizi aventi rilevanza economica rientrano ad
esempio i servizi dell’energia elettrica, trasporto, raccolta rifiuti. NON esiste però un criterio per qualificare in
modo chiaro e preciso un servizio come avente o meno rilevanza economica a riguardo, la giurisprudenza valuta
caso per caso.
(Con riguardo alla disciplina dell’affidamento e della gestione dei servizi locali a rilevanza economica, la disciplina
era prevista all’art. 113 Tuel e poi trasposta nella l. 133/2008, la quale è stata oggetto di referendum abrogativo
avente ad oggetto la consultazione sulla gestione dell’acqua: tale referendum andava però ad incidere anche
sull’intero sistema della gestione dei servizi pubblici locali. Successivamente al referendum il legislatore è
intervenuto con l. 148/2011 disciplinando l’assunzione e l’organizzazione dl servizio.
Tuttavia la Corte cost. sent. 199/2012 ha dichiarato tale disciplina incostituzionale nella parte in cui, in contrasto
con l’esito del referendum del 2011, riproduceva la precedente norma oggetto di abrogazione referendaria).
Dal punto di vista organizzativo, nella parte della l. 148/2011 che è rimasta in vita dopo il referendum si prevede
che le regioni definiscano lo svolgimento dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica per ambiti o bacini
territoriali ottimali ed omogenei, di norma non inferiori al territorio provinciale, tali da garantire economie di scala
ed assicurare l’efficienza del servizio.
È però prevista una deroga: infatti, le regioni possono individuare specifici bacini territoriali di dimensione diversa
da quella provinciale, motivando tale scelta in base a criteri di differenziazione territoriale e socio- economica e in
base ai principi di proporzionalità, adeguatezza ed efficienza rispetto alle caratteristiche del servizio, anche su
proposta dei comuni.
Viene inoltre chiarito all’art. 3 bis l. 148/2011 che le funzioni di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di
rilevanza economica, compresi quelli appartenenti al settore dei rifiuti urbani, di scelta della forma di gestione, di
determinazione delle tariffe all’utenza, di affidamento della gestione e relativo controllo sono esercitate
unicamente dagli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei istituiti o designati.
Per qnt attiene all’affidamento, l’art. 34 d.l. 179/2012 dispone che quello del servizio pubblico locale a rilevanza
economica è effettuato sulla base di apposita relazione, pubblicata sul sito internet dell’ente affidante, che dà
conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsto dall’ordinamento ue per la forma di affidamento
prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale.
Tale norma, come si vede, è sintetica, anche se deve ritenersi ferma quantomeno la possibilità di procedere con le
modalità compatibili con il diritto europeo e garantite dalla Corte costituzionale, vale a dire:
la gara
l’affidamento a società mista con gara per la scelta del socio operativo
affidamento in house.
Ci si domanda se tra queste forme vi sia una gerarchia: sul punto vi sono opinioni tra loro differenti, anche se vi è
chi sostiene che la scelta di procedere all’affidamento in house debba essere giustificata alla luce del tipo di
servizio da erogare e delle sue caratteristiche.
In relazione alle forme di affidamento, in passato la giurisprudenza aveva ammesso la possibilità per l’ente di
esercitare i servizi pubblici nella forma dell’amministrazione diretta, come si evince da Cons. stato sent. 552/2011
(la sentenza riguardava la gestione e manutenzione delle lampade votive all’interno dei cimiteri comunali).
Tuttavia l’art. 34 d.lgs. 179/2012 ammette ulteriori forme di affidamenti diretti solo in un caso, disponendo che il
servizio di illuminazione votiva deve essere affidato in concessione ai sensi dell’art. 130 d.lgs. 153/2006 o 125
d.lgs. cit. (il c.d. affidamento in economia).
In ogni caso, la disciplina impone che la scelta di affidamento sia il risultato di un’istruttoria e sia supportata da
adeguata motivazione. L’art. 113 comma 11 Tuel stabilisce l’obbligo di stipulare il contratto di servizio per la
regolazione dei rapporti tra p.a. e soggetto erogatore del servizio pubblico.
Con riguardo ai servizi pubblici in generale, la dottrina ha individuato i principi giuridici applicabili al settore che
sono:
doverosità
continuità
parità di trattamento
tipicità dei modelli di gestione
eguaglianza
economicità
qualità
tutela
partecipazione art. 11 d.lgs. 286/1999. La norma in questione prevede che i casi e le modalità di
adozione delle carte dei servizi, i criteri di misurazione della qualità dei servizi, le condizioni di tutela degli
utenti, nonché i casi e le modalità di indennizzo automatico e forfettario all’utenza per mancato rispetto
degli standard di qualità sono stabilite con direttive del Presidente del consiglio.
Trasparenza ai sensi dell’art. 10 d.lgs. 33/2013 la trasparenza rileva come dimensione principale ai fini
della determinazione degli standard di qualità dei servizi pubblici da adottare con le carte dei servizi.
Universalità
Accessibilità.
Sulla scorta dell’influenza esercitata dal diritto dell’Ue, l’Italia ha avviato in modo deciso il processo di
liberalizzazione di alcuni mercati. Tale fenomeno ha alcune connessioni con la tematica dei servizi pubblici nel
senso che le attività liberalizzate in passato erano gestite in situazioni di monopolio da concessionari di servizi
pubblici, laddove la liberalizzazione comporta l’eliminazione di barriere all’ingresso e l’apertura alla concorrenza.
L’apertura del mercato è spesso compensata attraverso la regolamentazione del mercato medesimo, con la
conseguenza che alcune prestazioni possono essere svolte da più imprenditori, spesso in regime di autorizzazione
e talora con l’imposizione di obblighi di servizio.
La liberalizzazione può essere anche parziale. Ad esempio in tema di mercato dell’elettricità la normativa prevede
una riserva a favore dello stato circa l’attività di trasmissione e dispacciamento dell’energia, mentre assoggetta a
regime concessorio l’attività di distribuzione dell’energia.
L’art. 133 cpa devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “le controversie in materia di pubblici
servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi,
ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio, e
alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore nonché afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e
sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di pubblica utilità”.
che erogano servizi pubblici o di pubblica utilità devono contemplare la possibilità per l’utente o per la categoria di
utenti che lamenti la violazione di un diritto o di un interesse giuridico rilevante di promuovere la risoluzione non
giurisdizionale della controversia. (In tema di carte dei servizi rileva la disciplina di cui all’art. 8 d.l. 1/2012 ai sensi
della quale tali carte indicano in modo specifico i diritti, anche di natura risarcitoria, che gli utenti possono esigere
nei confronti dei gestori del servizio e dell’infrastruttura.
L’azione sull’efficienza di amministrazioni e concessionari di cui al d.lgs. 198/2009 in qnt preordinata al ripristino
delle condizioni organizzative attinente anche alla migliore erogazione dei servizi pubblici potrebbe costituire uno
strumento anche per fornire tutela all’utente il cui interesse sia leso dalla non corretta prestazione del servizio.
L’art. 21 bis l. 287/1990 attribuisce all’autorità garante della concorrenza e del mercato la legittimazione ad agire
in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione
pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato.
La disciplina del procedimento contabile stabilisce che i pagamenti avvengano “nel tempo stabilito dalle leggi, dai
regolamenti e dagli atti amministrativi generali”. La direttiva 35/2000 Ue in materia di lotta contro i ritardi di
pagamento nelle transazioni commerciali viene ritenuta applicabile anche alle transazioni effettuate con soggetti
pubblici per transazione commerciale si intende qualunque contratto tra imprese o tra imprese e pubblica
amministrazione che comporti la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo.
Il termine per il pagamento è di 30 gg dal ricevimento della fattura, o delle merci o dalla data di prestazione dei
servizi o dall’accettazione o dalla verifica di merci e servizi. Si stabilisce che ove il debitore sia una pubblica
amministrazione, le parti possono pattuire in modo espresso un termine per il pagamento superiore, qnd ciò sia
giustificato dalla natura o dall’oggetto del contratto o dalle circostanze esistenti al momento della sua
conclusione in ogni caso i termini NON possono essere superiori a 60 gg. I termini sono però raddoppiati per gli
enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria e che siano stati debitamente riconosciuti a tal fine e per le
imprese pubbliche.
In merito agli interessi di mora, si stabilisce che questi decorrono, senza che sia necessaria la costituzione in
mora, dal giorno successivo alla scadenza.
Stando alle statistiche, risulta che la pubblica amministrazione sia un pessimo pagatore e ciò ha generato
un’ingente entità di debito commerciale l’ordinamento ha tentato di porre rimedio al problema del pagamento
dei debiti delle amministrazioni disciplinando prima la certificazione dei crediti delle imprese e poi adottando un
intervento più organico con le l. 64/2013 e 89/2014, ove viene stabilito che le amministrazioni che registrano
tempi medi di pagamento notevolmente superiori a quelli previsti, nell’anno successivo a quello di riferimento, non
possono procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo.
Particolarmente rilevante è poi il profilo della ricognizione dei debiti contratti dalle amministrazioni le
comunicazioni relative all’elenco completo dei debiti certi, liquidi ed esigibili non estinti dalla data del 31 dicembre
di ciascun anno sono trasmesse dalle amministrazioni pubbliche per il tramite della piattaforma elettronica entro il
30 aprile dell’anno successivo.
Il meccanismo di certificazioni dei crediti riguardava in origine le somme dovute per somministrazione, forniture e
appalti, ma è stato esteso anche a quelle dovute ai professionisti. I crediti certificati come certi, liquidi ed esigibili
possono essere ceduti dal creditore pro soluto o pro solvendo a favore di banche o intermediari finanziari
riconosciuti dalla legislazione vigente.
Un’ulteriore misura attiene alla semplificazione dei certi, liquidi ed esigibili maturati nei confronti delle pubbliche
amministrazioni per somministrazioni, forniture ed appalti.
Altra misura prevista per porre rimedio alle inadempienze di pagamento della pubblica amministrazione è la
compensazione è la possibilità che viene riconosciuta a favore dello stato di operare compensazioni tra propri
crediti e propri debiti, mentre il privato, in forza del principio dell’integrità del bilancio, non può operare una
compensazione tra un proprio debito con un credito vantato nei confronti dello stato: tale principio trova però una
deroga con la l. 64/2013 dove si prevede che i crediti possono essere compensati con le somme dovute a seguito
di iscrizione a ruolo.
Si ritiene inoltre inapplicabile alla pubblica amministrazione l’art. 1181 cc sicché il creditore privato non può
rifiutare un adempimento parziale della pubblica amministrazione.
Istituto peculiare è poi il c.d. fermo amministrativo ex art. 69 della legge di contabilità dello stato, che prevede
che “qualora un’amministrazione dello stato che abbia, a qualsiasi titolo, ragione di credito verso aventi diritto a
somme dovute da altre amministrazioni, richieda la sospensione del pagamento, questa deve essere eseguita in
attesa del provvedimento definitivo” vuol dire che l’amministrazione creditrice verso un creditore di altra
amministrazione chiede la sospensione provvisoria dei pagamenti dovuti all’amministrazione debitrice senza la
necessità di utilizzare lo strumento del pignoramento o sequestro.
La responsabilità patrimoniale è invece l’istituto che è posto a presidio delle ragione dei creditori e disciplinato dal
c.c.
Ai sensi dell’art. 2740 cc il titolare del diritto di credito vede tutelate le sue ragioni dal fatto che il debitore
risponde dell’adempimento delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.
Si prevede inoltre in capo al creditore diritti e strumenti giuridici che hanno il fine di garantire la conservazione del
patrimonio del debitore, evitando così eventuali depauperamenti in pendenza del rapporto di obbligazione. Tali
meccanismi sono:
azione surrogatoria
azione revocatoria
sequestro conservativo
diritti reali di garanzia.
In caso di inadempimento dell’obbligazione ove il credito risulti da titolo esecutivo ex art. 474 cpc, il creditore può
procedere ad esecuzione forzata.
Tuttavia, alcuni beni dell’amministrazione NON possono essere oggetto di esecuzione forzata, come per qnt
concerne i beni riservati all’amministrazione e i beni destinati a funzioni e servizi pubblici (non possono essere
pignorati).
In linea di massima quindi l’esecuzione forzata è possibile SOLO nei confronti di beni patrimoniali disponibili.
Analogo discorso viene fatto in ordine al sequestro conservativo ex art. 671 cpc i beni demaniali e quelli
patrimoniali indisponibili non sono sequestrabili, poiché sono riservati o destinati ad una funzioni o ad un servizio
pubblico.
Inoltre alcune deroghe sono previste da leggi speciali ad esempio l’art. 5 bis l. 69/2001 prevede che non
possono essere effettuati atti di sequestro o pignoramento presso la tesoreria centrale e le tesorerie provinciali
dello stato.