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DIRITTO AMMINISTRATIVO

Che cos’è il diritto amministrativo? Lo studio del diritto amministrativo serve a conoscere le regole con le quali Il cittadino dialoga e
si rapporta con la pubblica amministrazione. Conoscere queste regole fa sì che si diventi cittadini più consapevoli. Quindi, il diritto
amministrativo è quell’insieme di regole che disciplina i rapporti all’interno dell’amministrazione e tra l’amministrazione e il
cittadino. Queste regole da un lato sono regole del funzionamento dell’amministrazione (come opera al suo interno), dall’altro lato
sono le stesse nel dialogo con l’utente.
Il diritto amministrativo si fonda sull’interesse legittimo e non sui diritti soggettivi.

Lezione 1
Bisogna distinguere il concetto di amministrazione (nel senso di amministrare, gestione delle cose e delle funzioni) dal concetto di
amministrazione pubblica, in cui non c’è solo la gestione delle cose. Perché nasca il diritto amministrativo sono necessari 3 elementi:
- Amministrazione strutturata;
- Amministrazione che si rivolga ai beni della collettività (la gestione della cosa pubblica tiene conto dell’interesse del cittadino; per
questo, l’origine del diritto amministrativo non può risalire troppo indietro, in quanto nel passato si teneva conto solo degli
interessi della classe dirigente): l’amministrazione diventa pubblica quando il cittadino acquista dei diritti, ai quali chi governa deve
dare conto.
- Legge o principio di preferenza della legge (funzione legislativa del Parlamento, contrapposta al potere dello Stato, cioè la funzione
dell’esecutivo): per questo la Rivoluzione francese viene indicata spesso come momento in cui nasce il diritto amministrativo.
In alcuni Paesi si diceva che non sono Stati a diritto amministrativo (come Gran Bretagna) perché lì c’è una tradizione normativa
antica in cui vige il principio per cui la legge è sovrana e non c’è spazio per altre tipologie di amministrazione, per cui il rapporto è
solo governato dalla legge: il rapporto con i cittadini è governato dal diritto privato. Sono le stesse norme per i cittadini, leggi e
amministrazione. Poi hanno capito che erano necessario delle sezioni specializzate di diritto amministrativo.
Quindi, il diritto amministrativo nasce nel 1800. In Italia, in seguito all’unificazione, si guarda al modello della Costituzione belga,
basato su un sistema duale. C’è un sistema di diritto amministrativo, con un’amministrazione che cura l’interesse pubblico, che è
soggetta alla legge, ma che ha il potere. La legge attribuisce un potere all’amministrazione e l’amministrazione esercita il potere nei
confronti del cittadino. Mentre dove c’è il diritto di ciascuno di noi c’è la norma che dà il potere e si rivolge direttamente al cittadino,
che quindi ha un rapporto di diritto (abbiamo un diritto che discende dalla legge e lo esercitiamo in condizioni di parità con gli altri
soggetti), cioè le norme del diritto privato. Ma ci sono dei poteri, e la nostra Costituzione lo consente, che vengono esercitati
attraverso l’esercizio del potere amministrativo: il mio diritto passa attraverso l’esercizio del potere pubblico (diversamente accade
nei sistemi di Common Law). Cioè lo Stato attribuisce un potere all’amministrazione, che quindi è l’intermediario tra noi e quello che
vogliamo. Noi abbiamo un sistema basato sulla dualità tra diritti ed interessi: entrambi sono situazioni giuridiche soggettive. Le leggi
non si rivolgono tutte e solo al cittadino, ma molte leggi danno il potere all’amministrazione affinché questa dia al cittadino il bene
della vita.
Esiste il principio di SEPARAZIONE DEI POTERI e il diritto amministrativo comporta una sostanziale parità tra potere esecutivo,
potere giurisdizionale e potere legislativo. Infatti, se consideriamo le fonti del diritto, la legge è una di queste, ma vi sono anche gli
atti degli enti pubblici.
Allora come funziona lo Stato? È vero che c’è la separazione dei poteri, ma questa separazione va letta in chiave dinamica nel senso
che il Parlamento fa le leggi, ma le fa anche il Consiglio regionale. Lo schema è quello dell’art. 95 Cost.: “Il Presidente del Consiglio
dei Ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l'unità di indirizzo politico ed amministrativo,
promuovendo e coordinando l'attività dei Ministri.” Cioè amministra lo Stato attraverso i ministri, che sono responsabili degli atti del
loro dicastero. Quindi, il modello di amministrazione è questo: esiste il rappresentante che è titolare dell’indirizzo politico-
amministrativo (l’indirizzo è il programma di Governo sul quale si ottiene la fiducia del Parlamento).
Come si attua l’indirizzo politico-amministrativo? Attraversa la pubblica amministrazione. Quindi, l’amministrazione è lo strumento
che serve al potere esecutivo per tradurre l’indirizzo politico in attività concreta. Tutte le amministrazioni hanno una natura
piramidale, con un vertice (potere esecutivo) e una base; questo vale a livello statale, regionale e comunale. Il vertice è costituito da
soggetti che sono normalmente di carattere elettivo, non sono vincitori di concorso. Siccome l’amministrazione serve a tradurre in
atto concreto la volontà del potere esecutivo, è evidente che ci deve essere un controllo sull’amministrazione, non politico.
Si accede alla pubblica amministrazione solo mediante concorso pubblico. Ciò non vale per il vertice, che viene nominato dal
soggetto politico responsabile.
Dunque, l’amministrazione pubblica serve a tradurre in attività operativa e concreta il principio stabilito dalla legge o lo stesso
indirizzo politico. L’evoluzione dell’amministrazione è l’evoluzione dello Stato, perché la p.a. si evolve, cresce con l’evoluzione dei
beni e dei bisogni dei cittadini. Qui si ha il collegamento con il fatto che il cittadino ha diritti. Quando il cittadino non ha diritti, lo
Stato non si occupa dei cittadini. Quando, poi, si inizia ad affermare il diritto del cittadino, lo Stato incomincia a curarsi dei bisogni
del cittadini (strade, illuminazione).
Il nostro sistema è questo: Dicasteri, Presidente, Giunta o Consiglio dei ministri. I dicasteri sono i ministeri, cioè l’apparato
amministrativo che è coordinato dal ministro, che però risponde a sua volta nel consiglio dei ministri alla politica comune stabilita
dal governo, sul quale c’è la fiducia del parlamento. La caratteristica tipica del nostro ordinamento è il DECENTRAMENTO
AMMINISTRATIVO: la nostra amministrazione non è centralizzata, ma è costituta da articolazioni dello Stato sul territorio (ufficio
territoriale del governo, questure, l’agenzia delle entrate, l’agenzia delle dogane, la capitaneria di porto, commissariati di polizia).
Si tratta delle funzioni amministrative dello Stato che vengono portate sul territorio attraverso un principio fondamentale che deriva
dall’Unione Europea: PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ (che noi conosciamo già da tempo), inteso nel senso di portare il più possibile il
governo vicino al cittadino.

Infatti, in seguito alla riforma del 2001, l’art. 118 Cost.: le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per motivi di
differenziazione e adeguatezza, possono essere portate ad un livello più elevato (della Provincia e della Regione). Quindi tutte le
funzioni amministrative spettano al governo più vicino al territorio.

Partiamo dalla legge 2248/1865 “legge di unificazione amministrativa del Regno d’Italia” in particolare l’allegato E, “legge sul
contenzioso amministrativo”. Questa norma è fondamentale perché ha condizionato il nostro sistema.
Per capire dove si arriva analizziamo l’art. 24 Cost.: “Tutti possono agire in giudizio per la tutela di diritti e interessi legittimi.” Quindi,
la nostra Costituzione costituzionalizza questa differenza, che in altri Paesi non esiste. Questo è presente anche nell’art. 103 Cost.:
“Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica
amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi.” In sostanza, il
concetto di interesse legittimo è in Costituzione. Perché la Costituzione ha fotografato la coesistenza di queste due situazioni
giuridiche soggettive? Perché nel 1865, dovendo dare il nostro Stato una tipologia, diritti e interessi, non si potevano riconoscere
troppe pretese ai cittadini (diritti), allora si puntò su qualcosa di diverso. Nel 1865 non si conoscono ancora gli interessi legittimi.
L’art. 2, ancora oggi vigente, segna il riparto di giurisdizione, in quanto noi abbiamo due ordinamenti giurisdizionali: giudice
ordinario e giudice amministrativo. Il motivo è proprio nell’art. 2: “Sono devolute alla giurisdizione ordinaria tutte le cause per
contravvenzioni (diritto penale) e tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico, comunque vi possa
essere interessata la pubblica amministrazione”. Quindi, sono devolute al giudice ordinario tutte le questioni penali e civili, cioè dei
diritti, ancorché riguardi l’amministrazione. Se c’è la p.a., ma io vado a ledere un diritto soggettivo, la questione va attribuita al
giudice ordinario. Mentre, se c’è violazione di un interesse legittimo, si va dal giudice amministrativo. [In Francia, ad esempio,
quando una delle parti in causa è la p.a. comunque si va al giudice amministrativo, perché non c’è la distinzione tra diritti ed
interessi.]

Art. 3: “Gli affari non compresi all’articolo precedente (tutto quello che non è diritto soggettivo, cioè tutto quello che la legge
riconosca direttamente al cittadino, ma passa attraverso l’esercizio del potere pubblico) saranno attribuiti alle Autorità
amministrative.”

Quindi, la tutela delle questioni amministrative nel 1865 viene affidata alla p.a., attraverso il ricorso gerarchico e altre tipologie di
ricorsi. Nel 2019 i ricorsi amministrativi ancora esistono (ricorsi che si fanno non al giudice, ma alla p.a.). Infatti, ce ne sono tre tipi:
ricorso gerarchico; ricorso in opposizione; ricorso al Capo dello Stato (all’epoca al re).

Quindi, ci si accorge già nel 1865 che esistono i diritti soggettivi ed esiste qualcos’altro che non è diritto soggettivo: si tratta di
situazioni giuridiche che la p.a. deve governare, ma non sono diritti. All’epoca, se un cittadino voleva qualcosa dall’amministrazione,
ma l’amministrazione non gliela dava, si doveva rivolgere ad un soggetto diverso dal giudice ordinario per il principio di separazione
dei poteri: il potere giurisdizionale incide sul potere esecutivo e, dunque, il giudice ordinario non può incidere su scelte che sono
della p.a. Nel 1865 ciò che non è diritto viene chiamato “affari non compresi”.

Art. 4: “Quando la contestazione cade su un diritto che leso da un atto dell’autorità amministrativa, il tribunale si limiterà a
conoscere gli effetti dell’atto stesso in relazione all’oggetto dedotto in giudizio. L’atto amministrativo non potrà essere revocato o
modificato se non con ricorso alle competenti autorità amministrative.” Questo vale ancora oggi: il giudice civile non può mai
annullare il provvedimento amministrativo, lo può solo disapplicare. Solo il giudice amministrativo ha il potere di annullare l’atto
amministrativo. Il riferimento nell’articolo alle competenti autorità è dovuto al fatto che nel 1865 non esisteva il giudice
amministrativo.

Infatti, l’art. 1 fa riferimento ai tribunali speciali. Questa norma è una norma di unificazione del regno che è il frutto di Stati differenti
che avevano i loro tribunali e le loro regole. Succede che con questa norma sono aboliti tutti i tribunali speciali del contenzioso
amministrativo. Questa legge abolisce i tribunali speciali che esistevano e rimane che “le controversie saranno d’ora in poi devolute
alla giurisdizione ordinaria o all’autorità amministrativa.” Questo modello viene poi portato nella nostra Costituzione, che prenderà
atto dell’esistenza di diritti e interessi. Quindi, il modello di Stato si configura con la legge del 1865.

Cosa succede dopo? Nel 1889 ci si rende conto che la P.A. non è in grado di tutelare gli interessi del cittadino in maniera adeguata
(non si può chiedere alla stessa amministrazione che fa un provvedimento di rivederlo): i diritti vanno al giudice ordinario e gli
interessi alla p.a. Con la legge 5992/1889 si istituisce la quarta sezione del Consiglio di Stato, si istituisce il primo giudice
amministrativo. Dice che spetta alla quarta sezione del Consiglio di Stato decidere sui ricorsi per incompetenza, eccesso di potere o
violazione di legge contro atti e provvedimenti dell’autorità amministrativa. Ancora oggi sono questi i vizi di legittimità.
Ogni situazione giuridica ha un suo giudice. La scelta amministrativa è discrezionale ed è fatta in nome e per conto della collettività e
il giudice ordinario non può sindacarla, per cui c’è bisogno di un giudice speciale che abbia il potere e la competenza per sindacare la
scelta della p.a. L’interesse legittimo trova un suo giudice speciale, che è costituzionalizzato.
Lezione 2
1: Nozioni generali sulla p.a.
2: Criteri per qualificare un ente come pubblico (indici sintomatici della pubblicità)
3: Caratteri principali della p.a.
4: Relazioni intersoggettive (legami tra le pubbliche amministrazioni.
Il diritto amministrativo è l’insieme di quelle regole che si applicano ogni qualvolta c’è un soggetto pubblico che esercita un potere.
Lo Stato è l’insieme di tre elementi: territorio; comunità (insieme di soggetti che hanno diritti e obblighi, cittadinanza); potere
sovrano.
Ogni qualvolta c’è un potere c’è un privato in una posizione di soggezione. La P.A., titolare di quel potere, può unilateralmente
incidere sulle posizioni del singolo. Il privato ha un interesse legittimo al rispetto delle regole, cioè alla legittimità dell’uso del potere.
Quando la p.a. è titolare di un potere, il privato è titolare di un INTERESSE LEGITTIMO. Se, invece, la P.A. è in posizione partitaria con
il privato, no è titolare di un potere e si comporta come se fosse un privato; il singolo avrà un DIRITTO SOGGETTIVO.
Il POTERE è una delle caratteristiche fondamentali della p.a.
Legge di abolizione del contenzioso 1865 introduce il sistema duale: da un lato abbiamo i diritti soggettivi, di competenza
dell’autorità giudiziaria ordinaria, dall’altro lato abbiamo gli interessi legittimi, che sono oggetto di cognizione dell’autorità
amministrativa. La legge 1889 ha introdotto per la prima volta la quarta sezione del consiglio di Stato, che ha istituito il giudice
amministrativo, prevedendo che le controversie che hanno ad oggetto interessi legittimi vengano conosciute dal giudice
amministrativo.
Fino al 1889 (art. 2 legge del contenzioso) tutte le questioni aventi ad oggetto le contravvenzioni, diritti civili e politici erano decisi
dal giudice ordinario. Gli affari non compresi (non si parlava ancora di interessi legittimi) venivano decisi dall’autorità
amministrativa.
La difficoltà nel definire la p.a. sta nel fatto che non esiste una norma che dice cosa è una p.a. Nella costituzione c’è una serie di
articoli dedicati alla p.a., ma non una definizione specifica. Oltretutto, abbiamo tanti modelli di amministrazione.
Art. 114 Cost.: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato.” La p.a. è
l’insieme delle amministrazioni statali ovvero territoriali.
Quindi, una prima classificazione che potremmo fare: amministrazioni statali /amministrazioni territoriali.
Art. 5 Cost.: “La Repubblica è una e indivisibile, però riconosce e promuove le autonomie locali (attua il decentramento
amministrativo).”
La Costituzione lascia spazio ad una amministrazione plurale (assume forme diverse).
Art. 95 Cost. fa riferimento alla presidenza del Consiglio e ai ministeri; indica un modello di amministrazione centrale.
1) Amministrazioni statali / territoriali
2) Enti pubblici (hanno una personalità giuridica autonoma diversa dallo Stato)
3) Autorità amministrative indipendenti
4) Pubblica amministrazione esercitata dai privati (es. notai, ma anche società pubblica)
Altre norme rilevanti nella Costituzione sono:
Art. 118 Cost.: “Le funzioni amministrative sono esercitate dai Comuni, salvo che sia necessario garantire l’esercizio unitario di
queste funzioni.” L’idea è che il livello di governo più vicino al cittadino debba gestire tutte le funzioni amministrative (regola
generale). Ma può accadere che, per garantire l’esercizio unitario di queste funzioni, esse devono essere gestite da un ente di livello
di governo superiore, secondo i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.
SUSSIDIARIETÀ VERTICALE: tutte le funzioni amministrative gestite dall’ente più vicino alla collettività, salvo che quell’ente non sia in
grado di gestire quella funzione, perché troppo piccolo, allora saranno attribuite ad un livello di governo superiore. Ad esempio la
gestione di un’autostrada non può essere gestita da un Comune.
DIFFERENZIAZIONE: significa valorizzare le differenze che sussistono tra i vari enti dal punto di vista territoriale.
ADEGUATEZZA: le funzioni devono essere gestite dall’ente più adeguato.
Art. 97 Cost. prevede che i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo tale da garantire imparzialità e
buon andamento. Il principio di legalità regola tutto il diritto amministrativo, in particolare l’organizzazione: c’è una riserva di legge
relativa, in virtù della quale le legge deve fissare i principi fondamentali di organizzazione amministrativa. Dall’art. 97 si ricava che la
legge ci dovrebbe dire cosa è e cosa non è la p.a. Di fatto, però, questa legge non esiste.
Esistono delle norme che in alcune leggi danno delle definizioni di pubblica amministrazione, ma non sono molto utili:
 Art. 1 D.lgs. 165/2001 testo unico del pubblico impiego: “Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le
amministrazioni dello Stato, ivi compresi istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative.”
C’è un elenco di quelle che possono essere le p.a. ma non dà un comune denominatore.
Quindi, vi è la necessità di adoperare degli indici rivelatori della pubblicità, individuati dalla dottrina e dalla giurisprudenza, che ci
dicono quando c’è una p.a.
1) L’ente deve essere istituito da un altro ente pubblico; quindi, anch’esso sarà un ente pubblico.
2) Gli organi direttivi di questo ente devono essere nominati dallo Stato o da amministrazioni pubbliche.
3) L’ente è soggetto a controlli di tipo pubblico (es. della Corte dei Conti).
4) L’ente riceve dallo Stato dei finanziamenti pubblici.
5) L’ente ha dei poteri amministrativi (autoritativi).
6) Per legge l’ente pubblico deve sempre perseguire l’interesse pubblico. Questo porta ad una conseguenza importante: l’ente
non può disporre della disponibilità della propria esistenza (ad esempio non può estinguersi).
 Art. 4 L. 70/1975 sul Parastato è importante: “Nessun ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge.”
Sembrerebbe che un ente, perché sia pubblico, deve esserci necessariamente una legge che ci dica che esso è un ente
pubblico. Ma questa norma è smentita dalla realtà per due ragioni:
- Non sempre la legge, quando istituisce un ente, qualifica l’ente come pubblico. Spesso, è accaduto, soprattutto nell’ambito delle
privatizzazioni, che la legge ha qualificato un ente come privato, mentre la sua natura era pubblica (per eludere spesso le norme
sulla Corte dei Conti).
- Inoltre, non è vero che l’ente pubblico viene istituito solo dalla legge, ma anche con un provvedimento amministrativo
conforme alla legge (per legge).
Questi indici non sono sufficienti a dirci che un ente è pubblico: anche se è presente uno degli indici, non è detto che l’ente si possa
qualificare come pubblico. Questi indici devono essere valutati nella globalità. D’altro canto, non è necessario che sussistano tutti gli
indici.
La pubblica amministrazione può essere intesa:
 IN SENSO SOGGETTIVO: insieme di organi e uffici, che attraverso l’impiego di personale, mezzi finanziari e beni, mobili e
immobili, gestisce un servizio per la collettività ed esercita un potere (definizione di Stato-apparato).
 IN SENSO OGGETTIVO: la funzione pubblica, cioè il potere. Può essere anche esercitata dai privati (es. concessionario di un
servizio).
Le classificazioni principali di p.a.:
- Amministrazioni statali/ amministrazioni territoriali
- Enti pubblici economici/ enti pubblici non economici
L’amministrazione nasce come amministrazione statale, all’indomani dell’unificazione di Italia. Ma accade che più si espande lo
Stato, più c’è la necessità di assicurare alcuni servizi ai cittadini, più c’è la necessità di creare degli enti diversi dallo Stato che
assolvano a determinati funzioni e servizi a favore della collettività. Quindi, vengono creati gli enti pubblici non economici, che
svolgono attività di diritto amministrativo, ma non sono Stato: sono persone giuridiche pubbliche diverse dallo Stato.
Nel periodo fascista lo Stato inizia a diventare imprenditore: nascono gli enti pubblici economici con cui lo Stato interviene
nell’economia. Lo Stato, quindi, non solo svolge attività di diritto amministrativo, ma diventa Stato imprenditore (che produce beni e
servizi), per due ragioni: ci si rende conto che è necessario assicurare determinati servizi (trasporto, distribuzione dell’energia
elettrica) in modo universale e democratico (al privato non conviene gestire il servizio in modo universale, non è nel suo interesse);
inoltre, nel 1929 c’è stata la crisi, risolta in Italia comprando le partecipazioni di alcune società private (si sostituisce al privato, salvo
alcune aziende).
La differenza tra l’ente pubblico economico e l’ente pubblico non economico è che l’ente pubblico non economico svolge un’attività
di diritto amministrativo pura, mentre l’ente pubblico economico è un imprenditore che gestisce un servizio o produce un bene.
Gli enti pubblici economici negli anni '90 sono stati oggetto di PRIVATIZZAZIONI FORMALI (Ferrovie dello Stato, Enel, Eni). Vengono
trasformati in società per azioni, cioè società di diritto privato: ci si rende conto che anche lo Stato può avvalersi di strumenti di
diritto privato che consentono di gestire la cosa pubblica in modo più efficiente.
Seguono le PRIVATIZZAZIONI SOSTANZIALI, con cui queste azioni di queste s.p.a. vengono dismesse e vendute ai privati (lo Stato
vende le partecipazioni in queste società ed esce dal mercato). Le società a partecipazione pubblica diventano società private.
Il rischio, però, è che il servizio venga gestito male a danno della collettività, poiché le società sono privati. Da Stato imprenditore
deve diventare Stato regolatore. Infatti, vengono istituite le Autorità amministrative indipendenti (che si caratterizzano per
l’assoluta indipendenza dalla politica), che controllano che queste società che gestiscono il servizio operino bene. Sono un modello
di importazione staunitense che controllano il mercato. Essi sono indipendenti perché i loro organi di amministrazione sono
nominati dal Governo o dalle Camere, a seconda delle authorities, ma il Governo non li può controllare; una volta nominati sono
indipendenti. Diversamente, il Ministero quando nomina il proprio dirigente apicale può decidere di rimuoverlo.
La nozione di pubblica amministrazione è plurale, sostanziale (non bisogna guardare alla forma, ma alla sostanza). La pubblica
amministrazione è cangiante, secondo la giurisprudenza: le società di diritto privato a partecipazione pubblica possono essere p.a.
per certi istituti e soggetti privati per altri istituti (es. Amtab ai sensi della disciplina del fallimento è un soggetto privato, però per la
fornitura di cambi per gli autobus deve fare una gara d’appalto, e quindi è un soggetto pubblico).
La nozione di p.a. subisce anche l’influenza del diritto dell’Unione Europea. Abbiamo la nozione importantissima di ORGANISMO DI
DIRITTO PUBBLICO.
Art. 3 lettera D del D.lgs. 50/2016 (nuovo codice dei contratti pubblici degli appalti) dice cosa è l’organismo di diritto pubblico.
L’Unione Europea impone agli Stati di considerare p.a. determinati soggetti secondo la normativa degli appalti. Le ragioni per cui
nasce questo organismo sono semplici: il diritto dell’Unione Europea si preoccupa di realizzare un mercato libero, che sia regolato
dal principio di parità di trattamento tra gli Stati. Lo Stato italiano non può mai favorire le sue imprese, ad esempio affidando un
appalto alle imprese senza una gara, perché se così facesse favorirebbe le imprese italiane a scapito delle imprese straniere. Allora,
l’UE impone agli Stati di considerare p.a., come organismo di diritto pubblico, determinati soggetti. L’organismo di diritto pubblico è
il soggetto che ha personalità giuridica, che gestisce un servizio di interesse generale, la cui gestione è soggetta al controllo dello
Stato, la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato o dagli enti pubblici. Quindi, ci sono dei criteri per identificare
l’organismo di diritto pubblico, per evitare che lo Stato italiano possa eludere le norme sull’evidenza pubblica e favorire le imprese
italiane.
Quali sono i caratteri principali dell’ente pubblico? Alcuni di questi caratteri descrivono l’ente pubblico come beneficiario di un
regime di privilegio rispetto al privato. Altri, invece, descrivono l’ente pubblico in una situazione di sfavore rispetto al privato.
- Elementi che descrivono l’ente pubblico come titolare del regime di privilegio:
AUTONOMIA (possibilità esclusiva dell’ente pubblico di prendere delle scelte da sé, indipendentemente dagli altri). Si può declinare
in varie forme: la più importante è l’autonomia normativa, cioè l’ente pubblico può emanare delle norme a carattere generale ed
astratto. L’autonomia normativa può essere legislativa (Regioni possono emanare leggi che hanno rango pari a quelle statali) o
regolamentare (potere di emanare regolamenti) o statutaria (Province, Città metropolitane, Comuni).
AUTARCHIA: potere di realizzare i propri fini con atti di natura amministrativa come se fossero provvedimenti statali.
AUTOTUTELA: distingue l’ente pubblico dal privato. È il potere di farsi giustizia da sé, o meglio il potere di risolvere tutti i conflitti di
interesse (attuali e potenziali) che si frappongono all’ente pubblico senza andare da un’autorità giudiziaria. Se l’amministrazione ha
emanato un provvedimento, può revocarlo o annullarlo; mentre il privato per ottenere l’annullamento o la risoluzione del contratto
deve andare dal giudice a chiedere una sentenza costitutiva.
AUTODICHIA: alcuni organi, come Camera dei Deputati e Senato, si sottraggono all’autorità giudiziaria ordinaria per alcune
controversie; la controversia viene decisa dai loro stessi organi.
AUTOGOVERNO: i governanti sono nominati dai governati, ad esempio il Sindaco è nominato dalla collettività.
- Elementi che descrivono l’ente pubblico come titolare di una posizione di sfavore: soggetto ai controlli della Corte dei Conti;
soggetto a regole di contabilità pubblica; nel diritto penali alcuni reati commessi dall’ente pubblico sono più gravi.
Relazioni intersoggettive che possono sussistere tra enti pubblici:
 VIGILANZA: un ente pubblico può controllare un altro ente. I controlli possono essere di vario tipo. Il controllo è l’attività volta a
verificare che un determinato atto, attività od organo rispondano a determinati parametri di legittimità o di merito (un atto sia
conforme alla legge). In questo caso, non è un mero controllo, ma esso sfocia in atti ulteriori di ingerenza da parte dell’organo
che esercita la vigilanza sull’organo vigilato. Ad esempio, l’organo vigilante può nominare un commissario, negare
un’autorizzazione, in quanto ha un potere di ingerenza.
 SOSTITUZIONE: un ente si sostituisce ad un altro ente, perché l’ente sostituito è rimasto inerte (non ha posto in essere i suo
compiti); esercita al suo posto quella funzione.
 AVVALIMENTO: un ente si avvale degli uffici, delle strutture, del personale di un altro ente per realizzare i propri fini (es.
Comune di Bari si avvale degli uffici della prefettura).
 DIREZIONE: un ente può dare delle direttive (cioè fissare obiettivi) che l’ente diretto deve raggiungere. L’ente diretto, però, è
libero di determinare le modalità attraverso le quali realizzare quei fini.
 DELEGA: un soggetto che ha un potere decide di delegarlo ad un altro ente. È trasferimento di funzione da un ente all’altro.

Lezione 3
Le amministrazioni nascono e si istituiscono per la realizzazione di una finalità pubblica.
La P.A. esercita dei poteri. Il concetto di potere pubblico si collega all’interesse legittimo. Originariamente si diceva che laddove c’è
un potere dello Stato non ci può essere il diritto del cittadino; dove c’è il diritto del cittadino non ci può essere il potere della p.a.
Oggi le situazioni non possono più così nette.
Il concetto di fondo è quello che la pubblica amministrazione esercita un potere attribuito dalla norma, cioè svolge una FUNZIONE
AUTORITATIVA. Essa opera con autorità, quindi quello che decide l’amministrazione automaticamente incide sulla situazione
giuridica del destinatario.
Fonti del diritto - attribuzione del potere all’amministrazione - esercizio di questo potere amministrativo - destinatario
Questo schema del diritto amministrativo si contrappone allo schema del diritto soggettivo (cittadino ha il diritto e lo esercita, in
condizioni di parità, a fronte di altri soggetti).
Il potere della P.A. non è un potere assoluto e arbitrario, perché la modalità attraverso la quale esercita il potere e decide è soggetta
a controllo su istanza del cittadino. Ma esso ha la capacità di incidere perché ha come obiettivo l’interesse pubblico.
L’amministrazione deve perseguire l’interesse pubblico valutando l’interesse del singolo; quindi, deve fare una ponderazione di
interessi, non può compiere una scelta arbitraria.
Il punto si sposta sul controllo della scelta ed esiste un giudice amministrativo che fa questo: il cittadino può sindacare l’esercizio del
potere. Il cittadino può solo sindacare la modalità di esercizio del potere, cioè la procedura, non il contenuto della scelta, perché
persegue l’interesse pubblico (non si può contestare il giudizio dell’amministrazione). Il vizio si chiama vizio di legittimità, non di
merito; il merito è incontestabile.
Ci sono regole procedurali a cui l’amministrazione è obbligata a uniformarsi quando esercita il potere autoritativo. Una tra tutte è
l’obbligo di motivare le sue scelte.
Fonti del potere amministrativo:
I. Primarie. La legge è un atto normativo, si contesta alla Corte Costituzionale,
II. Regolamenti e statuti degli enti locali. Il regolamento è un atto normativo amministrativo e si impugna al giudice
amministrativo, il Tar, con funzioni normative.
La maggior parte delle fonti sono secondarie perché sono regolamenti.
Come si risolvono le antinomie nel mondo del diritto? Nel contrasto delle fonti, quale prevale sull’altra? La complicazione normativa
cade sull’amministrazione pubblica; il funzionario deve decidere quale norma applicare.
La prima cosa da fare è decidere e verificare qual è la norma che attribuisce il potere all’amministrazione, cioè quali sono le regole di
quel procedimento. Nel diritto amministrativo quando si chiede qualcosa all’amministrazione, bisogna studiare le norme. Le fonti
del diritto sino necessarie perché le regole sono differenti. Non esiste un codice e ogni norma è una norma del diritto
amministrativo. Quindi, è impossibile andare a sapere qual è la regola del caso concreto se non leggendo per ogni procedimento la
fonte attributrice del potere alla p.a. Le regole di partecipazione sono sempre diverse.
La complessità del diritto amministrativo sta nel fatto che non ci sono regole, quindi bisogna guardare alle fonti del diritto. Le norme
le deve rispettare anche il cittadino, non solo l’amministrazione. Questo si lega al concetto di cittadinanza consapevole: il cittadino è
consapevole quando sa quali sono le regole e come si applicano, come si deve esercitare il potere; in questo modo, può anche
contestare l’esercizio del potere.

POTERE AMMINISTRATIVO
L’amministrazione ha tanti poteri che corrispondono alla tipologia di amministrazione. Nel diritto amministrativo le fonti sono
infinite. Oggi vale il criterio di competenza, non vale più il criterio gerarchico. All’interno del criterio di competenza, possiamo avere
anche un criterio gerarchico. La competenza è la sfera di potere che viene attribuita a quel livello di governo (attribuita dalla norma).
Il principio di SUSSIDIARIETÀ riguarda soprattutto le funzioni amministrative, che vengono portate sul territorio vicino all’utente. Sta
nell’art. 118, che parla di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.
Schema: Norma dello Stato → funzione statale all’ente locale.
Alcune funzioni non possono essere gestite a livello locale; ci sono casi in cui lo Stato gestisce meglio alcune funzioni. Per questo la
sussidiarietà viene temperata da due criteri: DIFFERENZIAZIONE (la stessa funzione non può essere attribuita a più enti) e
ADEGUATEZZA (portare ad un livello adeguato rispetto al potere e alla funzione).
Quando il Comune riceve la funzione dallo Stato, esso ha una regolamentazione interna degli uffici e dei servizi in cui c’è la
ripartizione del potere all’interno dell’amministrazione (la norma dice quale organo del Comune si occupa di quel caso).
Quindi, la sussidiarietà è una modalità prevista dalla Costituzione che tendenzialmente sposta tutti i poteri a livello locale
(decentramento o federalismo). È l’avvicinamento delle funzioni al cittadino. Formalmente tutte le funzioni amministrative sono
attribuite ai Comuni, ma alcune funzioni devono essere portate ad un livello più elevato.
Queste funzioni vengono gestite attraverso le norme. C’è sempre una fonte primaria generale che attribuisce la funzione, la quale
viene esercitata attraverso le fonti esecutive, che sono i regolamenti.

Lezione 4
La funzione è l’esercizio del potere, secondo i principi fissati dalla Costituzione. Quindi, c’è una attribuzione di autonomia normativa
e regolamentare agli enti diversi dallo Stato. Lo stesso principio lo troviamo nell’art. 117 Cost., comma 6: “La potestà regolamentare
spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in
ogni altra materia.”
Quindi, il regolamento regionale viene adottato dalle Regioni sia nelle materie di competenza esclusiva delle Regioni, sia nelle
materie di competenza concorrente dove lo Stato fa le norme quadro di principio e le Regioni il regolamento attuativo.
“I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione (degli uffici,
cioè la ripartizione interna dei poteri all’interno della p.a.) e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.” Se la legge attribuisce
una funzione all’ente locale, questo può adottare un regolamento per spiegare come esercita questo potere.
Infine, l’art. 118, comma 2, Cost.: “I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di
quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.”
È ovvio che non si può parlare più di gerarchia delle fonti. Se la competenza è regionale e la Regione fa un regolamento che
contrasta la legge dello Stato, è ovvio che prevale il regolamento regionale perché la competenza è sua. Lo stesso vale anche per gli
altri enti territoriali. Il criterio gerarchico ha una funzione limitata e residuale, perché il criterio principale è quello della competenza.
L’operatore del diritto, tanto l’amministrazione quanto il cittadino che si rivolge all’amministrazione, deve capire qual è la fonte che
attribuisce il potere e qual è la norma che disciplina il caso specifico. Non è preventivabile a monte, ma si deve guardare caso per
caso.
Altra cosa è la circolare, che non è una fonte del diritto con efficacia esterna. Essa disciplina all’interno dell’amministrazione una
prassi. Le circolari verso l’esterno non hanno alcuna funzione normativa, infatti non si può mai parlare di violazione di circolare.
L’esercizio del potere amministrativo come va inquadrato? Esiste una norma generale, vincolante per tutte le amministrazioni, che
disciplina la procedura (L. 241/1990). Tante altre cose, però, sono lasciate alla libera autonomia dell’amministrazione, le quali
possono stabilire criteri, tempi o regole parzialmente differenti. La difficoltà nel diritto amministrativo, in assenza di una normativa
generale, chiara ed univoca, sta nell’andarsi a cercare la norma attributrice del potere. Tutte le norme che attribuiscono i poteri alle
amministrazioni possono introdurre delle varianti o eccezioni al principio generale. Se sono norme è più facile, altre volte è un
regolamento. Tutte le fonti del diritto non legislative sono impugnabili al giudice amministrativo.
È prioritario comprendere quali sono le fonti, perché la fonte che attribuisce il potere è quella che detta come il potere viene
esercitato. Perché insistiamo sulle fonti del diritto e sull’esercizi del potere? Perché alcune attività amministrative,
indipendentemente dalla fonte, vengono definite attività vincolate.
L’amministrazione, normalmente, utilizza la discrezionalità, cioè è libera di esercitare il potere come ritiene (sceglie lo strumento) e
sceglie qual è il fine pubblico da perseguire secondo la sua valutazione. Ma la legge è talmente specifica e puntuale nel dettare il
comportamento che deve tenere la p.a. che l’amministrazione deve applicare la norma così come è prevista e non ha una potestà
discrezionale di scelta, quindi esercita una semplice attività vincolata (in questo caso la p.a. non è altro che lo strumento di
esecuzione della norma).
Quindi, la fonte del diritto è importante perché prima di contestare una scelta bisogna guardare se l’amministrazione aveva una
facoltà di scelta o svolgeva un’attività vincolata. Se c’è un’attività vincolata non c’è discrezionalità, allora non c’è la discussione se il
potere è stato esercitato bene o male (non si pone il problema del vizio di legittimità).
La discrezionalità è la capacità di scelta che ha la pubblica amministrazione nel valutare qual è il modo migliore per raggiungere il
pubblico interesse (scegliendo la modalità più idonea). La discrezionalità trova un limite nella legge e nei principi generali
dell’ordinamento giuridico. L’amministrazione esercita dei poteri non solo in chiave repressiva, ma molto spesso dando un
ampliamento della sfera giuridica (es. quando l’imprenditore chiede le autorizzazioni lo fa per guadagnare ed espandere l’azienda).
Gli interessi si distinguono in due categorie: INTERESSI OPPOSITIVI e INTERESSI PRETENSIVI. L’interesse pretensivo si ha quando il
cittadino chiede un ampliamento della propria sfera giuridica (l’amministrazione gli dà lo strumento per raggiungere il proprio
scopo, es. richiesta del passaporto). L’interesse oppositivo si ha quando il cittadino si oppone alla scelta dell’amministrazione, che
adotta dei provvedimenti che incidono negativamente sulla sua sfera giuridica (es. esproprio). Quindi, in questo caso non ‘è il
cittadino che chiede qualcosa, ma è l’amministrazione che agisce d’ufficio. Ma la maggior parte degli interessi sono pretensivi.
Alcune volte l’interesse oppositivo è oppositivo nei confronti del soggetto, ma è comunque un interesse pubblico: la scelta
amministrativa in questi casi danneggia il singolo, ma favorisce i molti. Es. quando l’amministrazione bandisce un concorso pubblico,
il suo scopo è individuare il soggetto migliore. Se uno non rientra nei primi posti della graduatoria lui si opporrà, ma gli altri sopra di
lui nella graduatoria avranno l’interesse opposto al suo, cioè a conservare quella graduatoria.
Per individuare il limite del potere, bisogna vedere a chi spetta la potestà normativa, quindi qual è la legittimazione della p.a. Quali
sono i limiti all’esercizio del potere amministrativo? Dobbiamo guardare ai principi dell’azione amministrativa.
Legge 241/1990 disegna le modalità di esercizio del potere. Indica quali sono i diritti dei cittadini nei confronti della pubblica
amministrazione. Essa stabilisce un modello di procedimento, che vale per tutti, e stabilisce dei principi generali: economicità,
efficacia, imparzialità, pubblicità, trasparenza. Da qui emerge quanto è ampio lo spazio di manovra dell’amministrazione. Il principio
è importante perché disegna il confine del potere. Ma si tratta di principi generali. Per questo bisogna guardarsi le norme specifiche
che disegnano il potere. Concretamente, dov’è il limite del potere? Sta nella fonte che lo attribuisce.
Questi principi sono delineati nell’art. 1 della L. 241/1990. Questa norma è attuativa dell’art. 97 Cost.: “I pubblici uffici sono
organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione.” Ciò
significa che l’amministrazione deve operare secondo buon andamento ed imparzialità. Inoltre, non è vero che i pubblici uffici sono
organizzati secondo disposizioni di legge perché sono organizzati secondo fonti secondarie. Quindi, la legge qui non è da intendersi
in senso formale, ma va interpretata in modo sostanziale. L’interpretazione comune della giurisprudenza è che c’è scritto “legge”,
ma in realtà significa qualunque fonte normativa, ivi compresi i regolamenti.
“Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari.”
Questo è determinato da un regolamento, non da una legge. La p.a. dà una competenza al Comune, il quale la deve organizzare sul
territorio attribuendola all’ufficio competente (che si occupa di una specifica attribuzione). “Agli impieghi nelle pubbliche
amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.” Ma non è sempre così: es disabili, parenti di vittime
della mafia, che rientrano nelle categorie protette.
Quindi, i principi dell’azione amministrativa sono stati individuati nell’art. 1 per dare concreta attuazione ai principi generali di buon
andamento ed imparzialità.
Il principio generale è importante perché è il parametro per poter verificare, controllare e sindacare il potere amministrativo.
Qualsiasi attività dell’amministrazione deve rispettare questi principi generali, che il cittadino deve conoscere per poter valutare
come ha agito l’amministrazione.
Il diritto amministrativo si fonda sulla legittimità, cioè la conformità alla norma del provvedimento, cioè del potere. Ma è il giudice
che valuta se l’amministrazione ha agito bene o male.

Lezione 5
Tra i principi, l’art. 97 Cost. parla di imparzialità e buon andamento. Questi due principi cardine sono stati poi tradotti in maniera
esplicita e puntuale nell’art. 1, co. 1, L. 241/1990. Questi principi hanno una notevole importanza nel diritto amministrativo perché
mentre in altre discipline il principio generale è sempre astratto, non ha un’applicazione concreta; nel diritto amministrativo ogni
principio trova una concreta attuazione in un istituto che sta nella L. 241. Cioè la 241 prevede degli istituti specifici esecutivi dei
principi generali
Il principio generale è IL PRINCIPIO DI LEGALITÀ. Il diritto amministrativo persegue i fini determinati dalla legge ed è retto dai criteri
esecutivi del buon andamento e dell’imparzialità:
- Economicità
- Efficacia
- Imparzialità
- Pubblicità
- Trasparenza
- Principi dell’ordinamento comunitario (non sono indicati nella norma).
Quindi, la p.a., nella sua attività, deve avere sempre queste caratteristiche. I principi dell’ordinamento comunitario sono: principio di
PROPORZIONALITÀ, del GIUSTO PROCEDIMENTO, ma soprattutto il principio del LEGITTIMO AFFIDAMENTO. Il legittimo affidamento
trova esecuzione in un istituto della L. 241.
Nel nostro ordinamento giuridico abbiamo avuto, dopo la Costituzione nel 1948, una serie di normative operative amministrative
classiche e tradizionali sul funzionamento dell’amministrazione: il potere autoritativo, cioè l’amministrazione agisce come autorità e
impone al cittadino la sua scelta; un sistema basato sull’autorizzazione, cioè per ogni cosa che il cittadino doveva fare doveva
chiedere il permesso all’amministrazione (es. aprire un esercizio commerciale).
Il modello di amministrazione così disegnato è rimasto in piedi fino al 1997, quando con tre diverse disposizioni normative, le LEGGI
BASSANINI, si è introdotto nel nostro ordinamento giuridico il concetto di SEMPLIFICAZIONE.
a. SEMPLIFICAZIONE NORMATIVA. Con queste tre norme, L. 59/1997, L. 127/1997, L. 191/1998, si semplifica l’ordinamento, si dà
all’amministrazione l’obbligo di rispettare i nuovi criteri, cioè EFFICIENZA, EFFICACIA ed ECONOMICITÀ, che fino ad allora non erano
mai stati un parametro della p.a. Le leggi Bassanini vengono, poi, riportate nell’art. 1 della L. 241. Quindi, efficienza, efficacia ed
economicità diventano principi fondamentali dell’azione amministrativa.
Le leggi Bassanini sono quelle norme che porteranno alla modifica della Costituzione con la riforma del Titolo V. Ciò perché nelle
leggi Bassanini si punta sulla delegificazione, cioè lo Stato delegifica interi apparati normativi e li sostituisce con i regolamenti (per
molte materie). Quindi, per semplificare lo Stato, meno leggi e più fonti secondarie (regolamenti), cioè più attività amministrativa.
Alla semplificazione normativa si accompagnano altre due tipologie di semplificazione.
b. SEMPLIFICAZIONE PROCEDIMENTALE (della procedura amministrativa). Vengono introdotti alcuni istituti, come la conferenza di
servizi, il potere sostitutivo, silenzio assenso: sono tutti istituti che mirano alla semplificazione del rapporto cittadino-
amministrazione. Mentre prima del 1997 il cittadino doveva sempre chiedere l’autorizzazione, da quel momento in poi tutta una
serie di attività economiche vengono liberalizzate. Infatti, oggi si parla della Scia e Dia, cioè istituti che comportano l’inversione: non
è più il cittadino che chiede l’autorizzazione, ma è il cittadino che inizia a fare determinate cose e l’amministrazione controlla (nel
caso, dice no solo in un secondo momento). Dunque, tanti più compiti al cittadino e meno alla p.a. (es. autocertificazione).
c. SEMPLIFICAZIONE DELLA STRUTTURA, cioè degli organi amministrativi (riduzione dei Ministeri, accorpamento degli enti pubblici,
soppressione di alcuni enti pubblici). Si riformano, dunque, le competenze fra i diversi organi.
Ovviamente, cambiano anche i principi come cambia la p.a. Allora, efficienza, efficacia ed economicità diventano i tre punti di
riferimento dell’azione amministrativa, che troviamo anche nella L. 241.
Economicità: la p.a. deve svolgere la sua attività non sprecando danaro pubblico. Ad esempio, evitando la duplicazione di strutture e
uffici, evitando l’esubero di personale che non serve. Cambia anche il rapporto di pubblico impiego: oggi il dipendente pubblico è
sottoposto ad una serie di controlli e verifiche, di valutazioni sull’operato dell’amministrazione. L’amministrazione ha bisogno della
strumentazione per svolgere la sua attività, quindi compra sul mercato, e lo fa attraverso le procedure ad evidenza pubblica (gli
appalti). Il concetto di economicità non è solo risparmiare e spendere meno, ma è anche spendere attraverso delle regole comuni di
evidenza pubblica: non è legato solo al modo di acquisto, ma anche al corretto utilizzo delle risorse pubbliche. L’amministrazione
può anche spendere di più, l’importante è che lo faccia sulla base delle regole (che ci sia una offerta pubblica sul mercato, libera e
concorrenziale). Bisogna utilizzare le risorse pubbliche per le proprie finalità ed evitare gli sprechi. Ad esempio, il dirigente pubblico
risponde come amministrazione del danno erariale se ha personale che non lavora. La p.a. non deve sperperare pubblico danaro.
Questo ha una ricaduta operativa, perché esiste nel nostro ordinamento giuridico un organo, la procura della Corte dei Conti, che si
occupa del danno erariale, cioè la responsabilità amministrativa contabile, dove vengono chiamati a rispondere i dipendenti pubblici
che utilizzano male il denaro pubblico.
Efficacia: si legge insieme con l’efficienza. L’efficacia è la verifica dei risultati che si sono raggiunti, cioè la corrispondenza dell’attività
rispetto all’obiettivo che si voleva perseguire (si fanno determinate cose per ottenere un risultato). È aver centrato l’obiettivo che
l’amministrazione si era prefissata; quindi, è la verifica del risultato.
Efficienza: è il rapporto tra le risorse impiegate e il risultato raggiunto. È l’utilizzo corretto delle risorse.
L’amministrazione può essere efficiente, ma non efficace; efficace, ma non efficiente. Essa si valuta per l’obiettivo che raggiunge,
non per il numero di atti.
L’imparzialità è fondamentale: l’amministrazione si deve comportare con tutti allo stesso modo. Il procedimento amministrativo
deve essere uguale per tutti. Ma l’imparzialità è anche una presunzione di correttezza. Il modo migliore per dare al cittadino la
sensazione di imparzialità è evitare che negli uffici pubblici l’amministrazione si occupi di cose che riguardano la stessa pubblica
amministrazione (conflitto di interessi). L’art 6-bis L. 241 vieta il conflitto di interessi. Il dipendente pubblico si deve astenere
laddove nel procedimento siano convolte persone con cui si hanno rapporti giuridici particolari (di locazione, di credito, di debito).
Non ci possono essere rapporti tra il funzionario e una persona legata a lui da interessi, il quale si deve rivolgere ad un altro
funzionario che si deve occupare di quella pratica. Quindi, c’è l’obbligo per il dipendente pubblico di segnalare il conflitto di interessi.
L’amministrazione deve essere e deve apparire imparziale.
Imparzialità significa anche che le regole devono essere comuni per tutti.
Art. 12: “La concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonché l’attribuzione di vantaggi economici a persone ed
enti pubblici e privati sono subordinati alla predeterminazione dei criteri e delle modalità cui le stesse amministrazioni devono
attenersi.”
Prima della domanda l’amministrazione deve fissare i criteri. Le commissioni si nominano quando scadono i termini per la
presentazione delle domande (operano senza sapere chi sono i candidati).
L’amministrazione deve organizzare gli uffici in via preliminare. Ha già una strutturazione delle persone che si occupano di alcuni
procedimenti, cioè ha già stabilito le competenze. La responsabilità dell’ufficio è predeterminata.
Pubblicità: l’amministrazione deve rendere conoscibili (comunicare) i suoi atti. Deve pubblicarli sul sito. Se l’amministrazione non
pubblica i dati obbligatori, ci sono delle sanzioni.
Trasparenza: gli interessati possono accedere a tutti gli atti che li riguardano. Ci sono due tipi di trasparenza: accesso durante il
procedimento e accesso alla fine del procedimento. È la capacità data dall’ordinamento al cittadino di partecipare alla formazione
del procedimento e la possibilità per il soggetto interessato da un procedimento di poter verificare che cosa l’amministrazione stia
facendo consultando gli atti.
Si può negare l’accesso quando viene chiesto l’atto da una persona diversa dal diretto interessato. Vale la regola dell’interesse,
personale, diretto e concreto (del singolo), che deve essere collegata all’utilità. Si è legittimati all’accesso dei degli atti degli altri solo
se la loro posizione è collegata alla propria.
L’interesse non personale esiste quando c’è l'interesse generale o diffuso, che riguarda tutti. L’interesse collettivo riguarda una
collettività definita (es. associazione studentesca).
Se il cittadino fa ricorso e ha ragione, ma non ha interesse, verrà respinto, perché il giudice guarda la legittimazione. L’azione nel
diritto amministrativo deve corrispondere ad un interesse personale e concreto.

Lezione 6
Il concetto di trasparenza si è evoluto nel tempo. Il decreto 33/2013 sulla trasparenza e sull’accessibilità totale ha introdotto tre
diverse forme di pubblicità e trasparenza. Esiste un obbligo di pubblicità nei confronti di alcuni documenti: l’amministrazione deve
necessariamente pubblicare alcuni documenti. C’è un diritto di accesso civico generalizzato ad alcune tipologie di documenti e c’è
l’accesso della 241 che riguarda la posizione soggettiva dell’interessato, e qui si pongono problemi della privacy (prevale sempre
l’accesso sulla privacy nel diritto amministrativo).
Oltre i principi direttamente riconducibili all’art. 97 Cost. e all’art. 1 L. 241, ci sono altri principi importanti. Tra questi, l’imparzialità
sotto il profilo civilistico e penalistico della p.a.: il dipendente pubblico deve essere imparziale e deve dare al cittadino la sensazione
di imparzialità. C’è tutta una serie di normative che mirano al potenziamento del concetto della p.a. (es. ineleggibilità,
incandidabilità).
Gli ultimi principi sono quelli di derivazione europea, non espressamente elencati (non scritti).
1) Principio del LEGITTIMO AFFIDAMENTO: è l’affidamento legittimo nell’operato della pubblica amministrazione. Quando il
cittadino si rivolge all’amministrazione, ha l’aspettativa nella correttezza dell’azione amministrativa e sul comportamento della
pubblica amministrazione, specialmente quando non risponde. Sono tutte quelle ipotesi di silenzio assenso; oggi molti
provvedimenti amministrazione sono ottenuti con la mancata risposta della p.a, che non può cambiare risposta dopo.
Il legittimo affidamento è la pretesa della legittimità. Il cittadino nel suo dialogo con l’amministrazione confida nella legittimità
dell’operato della p.a. Quando l’amministrazione elimina un atto che ha fatto, deve tenere conto degli interessi del destinatario.
Significa che l’amministrazione all’inizio un potere assoluto di poter dire sì o no, poi se non ha vigilato e interviene ex post, deve
considerare le conseguenze dell’assenso che ha dato.
2) Principio di PROPORZIONALITÀ: l’azione amministrativa deve essere proporzionata o proporzionale allo scopo che si intende
raggiungere. Deve vincolare l’azione amministrativa. È il rapporto tra l’azione amministrativa e il fine che si intende perseguire. Ci
deve essere proporzione tra esercizio del potere e comportamento della parte.
3) Principio di GIUSTO PROCEDIMENTO: il procedimento deve essere giusto, cioè assicurare i diritti a tutti, e secondo le regole.
L’esempio tipico è la partecipazione, cioè il diritto di partecipare all’azione dell’amministrazione che ci riguarda.
4) Principio di legalità: l’amministrazione deve esercitare il suo potere nei limiti della legge e rispettando le regole.
Esistono altri principi in Costituzione.
Art. 28 Cost. principio di RESPONSABILITÀ: “I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente secondo le
leggi penali, civili e amministrative degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e
agli enti pubblici.” Sono responsabili di quello che fanno, perché possono danneggiare sotto vari profili. L’amministrazione risponde
degli errori che commette. Il risarcimento è richiesto al giudice amministrativo riguarda diritti e interessi. Il danno risarcito è
connesso al compimento di un comportamento contra ius.
La responsabilità amministrativa non è solo quella da comportamento, ma anche la responsabilità contabile: dal comportamento del
pubblico dipendente si ha una perdita di danaro pubblico.
È una norma di vantaggio, a tutela del cittadino e non del dipendente: la responsabilità si estende allo Stato. Lo Stato, poi, si rivale
sul dipendente. Ma il cittadino trova nello Stato il suo soggetto debitore: ha un’azione contro lo Stato, il quale è più solvibile rispetto
al singolo. Il cittadino leso si sente maggiormente tutelato.
Art. 81 Cost. Principio dell’ECONOMICITÀ. L’azione amministrativa ha un limite nella finanza pubblica. “Lo Stato assicura l'equilibrio
tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Ogni legge
che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte.” Oggi non è possibile fare norme prive di copertura finanziaria.
Uno dei nuovi principi dell’azione amministrativa è il principio della parità di bilancio.
Art. 97 Cost.: “Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione Europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e
la sostenibilità del debito pubblico.” L’amministrazione deve tenere conto dell’equilibrio del bilanci e della sostenibilità del debito
pubblico.
Art. 119 Cost.: “I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel
rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti
dall’ordinamento dell’Unione Europea.” Disciplina il rispetto dei vincoli di bilancio.
Quindi, il concetto di economicità va ampliato rispetto alla sua vocazione originaria.
Sono cambiate anche le regole di attuazione della pianificazione pubblica. Mentre prima la p.a. pianificava e gestiva i fenomeni
territoriali con soldi pubblici, oggi si gestiscono le opere con la partecipazione dei privati. È l’apertura ai privati della realizzazione o
gestione delle opere pubbliche.
Anche il personale ha la sua rilevanza nel ciclo produttivo dell’amministrazione, è un bene dell’amministrazione. Sono state
introdotte delle misure di controllo sul lavoro pubblico (es. gestione e valutazione delle performance, obiettivi e risultati).
Tutti gli enti pubblici hanno obbligatoriamente un organo interno di controllo: OIV, cioè organismo interno di valutazione (costituito
da esterni).
Tutti i soggetti pubblici hanno l’obbligo di rispettare il principio generale dell’economicità, ma soprattutto del vincolo del bilancio,
che alla fine dell’anno deve essere in equilibrio. Se l’ente locale non ha l’equilibrio del bilancio, va in dissesto (sostituzione del
sindaco, con la nomina di una commissione dello Stato, la commissione prefettizia). L’amministrazione che va in rosso viene
commissariata dallo Stato.
Il controllo che l’organo di valutazione fa sull’attività pubblica si fonda sulle opinioni del cittadino (questionario di gradimento o
customer satisfaction).
Uno dei sistemi di controllo è la partecipazione del cittadino. Lo scopo è ridurre le criticità. Oggi, l’amministrazione deve gestire
correttamente i beni strumentali e personali dei quali dispone.
L’altro tema importante all’art. 97 Cost.: “Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi
stabiliti dalla legge.” 
Art. 98 Cost.: “I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione. Se sono membri del Parlamento, non possono conseguire
promozioni se non per anzianità. Si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d'iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i
militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all'estero.”
Il lavoro pubblico è stato modificato. Oggi le progressioni si fanno solo ed esclusivamente mediante concorso. Non basta il concorso
per entrare, ma serve anche per passare di livello. È un concorso esterno: ci si confronta con quelli che vengono da fuori.
La Corte Costituzionale ha legittimato la riserva di una piccola quota dei concorsi interni. Le p.a. avevano abusato del sistema dei
concorsi interni (riservando la maggior parte dei posti a quelli che già lavoravano nell’amministrazione). La Corte ha dichiarato
incostituzionali questi principi e oggi accade il contrario: solo una minima parte dei posti è riservata ai dipendenti pubblici interni, gli
altri sono aperti a tutti.
L’accesso alle cariche pubbliche è sempre e solo mediante concorso. Esistono, però, all’interno del livello che uno riveste, ulteriori
sviluppi di carriera, cioè le progressioni orizzontali economiche, che si possono avere per anzianità e sono riservati solo agli interni
(es. da C1 a C2). Invece, è necessario il concorso aperto a tutti per passare da C3 a D1.
Poi, ci sono dei momenti nei quali lo Stato privilegia determinate forme di accesso al lavoro pubblico, es. nel 2007 ci si è resi conto
che esisteva una larga parte di dipendenti pubblici a termine, che avevano i co.co.co.: avevano lavorato per anni
nell’amministrazione, ma mai con un contratto a tempo indeterminato. Allora lo Stato ha fatto dei concorsi di stabilizzazione con
tanti contratti spezzati (sono concorsi riservati). La legge lo consente in casi eccezionali.
Quindi, il dipendente pubblico che partecipa alle elezioni e viene eletto parlamentare rimane esattamente nel ruolo in cui era. Ci
sono delle carriere, invece, che vanno avanti per anzianità: magistratura, carriera militare.
Di recente, è stata introdotta una selezione per la presidenza dei tribunali: uffici direttivi e semidirettivi.
Art. 51 Cost.: “Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di
eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge (ecco l’imparzialità). A tale fine la Repubblica promuove con appositi
provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini.
La legge può, per l'ammissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive, parificare ai cittadini gli italiani non appartenenti alla
Repubblica (non è obbligatorio).
Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo
posto di lavoro.” Questa conservazione è una garanzia per chi svolge una carica pubblica che non venga licenziato.
Quindi, tutti possono accedere in condizioni di uguaglianza e secondo i requisiti previsti dalla legge.

Lezione 7
CONCETTO DI PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Non esiste un modello unico di amministrazione e non esiste neanche una definizione di essa. Il problema è che noi abbiamo un
ordinamento giuridico che è disegnato su una pluralità di amministrazioni pubbliche che svolgono funzioni diverse a seconda di
quelli che sono gli obiettivi che nel corso del tempo la Costituzione e le leggi disegnano. Quindi, è chiaro che non può esistere
un’unica amministrazione; infatti si parla da sempre di pubbliche amministrazioni.
Ogni amministrazione ha un’organizzazione diversa, una modalità diversa di esercizio del potere, funzioni differenziate.
Il concetto di pubblica amministrazione non è solo legato all’amministrazione territoriale (Stato, Regione, Provincia, Comune… che
hanno un territorio di riferimento). Ma esistono anche amministrazioni che non hanno un territorio di riferimento. Le
amministrazioni acquistano un valore differente perché obbediscono a esigenze dello Stato che vengono individuate nel corso del
tempo. Quindi, sono amministrazioni che non hanno una finalità territoriale, ma possono avere una finalità economica (esistono gli
enti pubblici economici e gli enti pubblici economici).
L’ente pubblico è un’organizzazione che la pubblica amministrazione determina (la legge crea l’ente pubblico), che serve a
raggiungere una finalità pubblica. Dunque, la legge individua più amministrazioni pubbliche perché sono plurimi gli interessi che lo
Stato deve perseguire. La p.a. nasce per soddisfare un bisogno. Le pubbliche amministrazioni hanno una regolamentazione generale,
ma sono tutte diverse.
Noi abbiamo un percorso storico-evolutivo importante che deriva dall’ampliamento delle funzioni dello Stato. Lo Stato snello è uno
stato che non si occupa del cittadino e non ha grosse funzioni da svolgere, ma si occupa degli elementi essenziali.
Quando poi, già dall’800, iniziano a porsi degli interessi pubblici da perseguire (strade, ferrovie, elettricità, trasporti) è stato
necessari creare delle pubbliche amministrazioni (inps, inail, iri, enel). Più nascono esigenze di tutela e di perseguimento degli
interessi pubblici, più l’amministrazione crea degli enti pubblici che hanno e perseguono quel tipo di finalità. Ogni settore
dell’ordinamento che ha bisogno di avere una cura pubblica ha bisogno di un’organizzazione amministrativa diversa dallo Stato.
Agli inizi del '900 lo Stato comincia a diventare imprenditore. Quindi, tutta una serie di iniziative economiche passa nelle mani dello
Stato, che diventa proprietario di fabbriche, industrie, banche. Lo Stato crea dei soggetti giuridici che si occupano dell’economia,
cioè gli enti pubblici economici.
Gli enti pubblici svolgono funzioni diverse. Mentre l’ente territoriale (Stato) ha una funzione della cura dell’interesse pubblico (il
bene del cittadino), l’impresa commerciale non ha finalità pubbliche, ma sta sul mercato. È pubblica perché è di proprietà dell’ente
pubblico. Lo Stato, nel corso del tempo, più aumentavano i bisogni dei cittadini, più aveva la necessità di erogare dei servizi, più
doveva creare delle strutture pubbliche.
Oggi leggiamo un’affermazione che è falsa, era vera negli anni ’70: “l’ente pubblico si istituisce con legge”. Questo avveniva quando
l’amministrazione era centralizzata (lo Stato faceva le leggi). Ma oggi l’ente pubblico viene istituito anche dal Comune o dalla
provincia, che non fanno le leggi. È evidente che oggi molti enti vengono istituiti anche con provvedimento amministrativo (non è
più necessaria la legge istitutiva dell’ente pubblico). Tra gli elementi che ci consento di identificare un ente pubblico, può esserci
anche il modello istitutivo (come è stato istituito?).
Il problema è: in presenza di una struttura, come facciamo a capire se quello è un ente pubblico o un ente privato? Ci sono degli
indicatori che ci consentono di capire se il soggetto è pubblico o privato. Se è pubblico si applicano le regole del diritto
amministrativo (concorsi, assunzioni, appalti pubblici), viceversa si applica il diritto privato.
È chiaro che la pubblica amministrazione statale ha ampliato notevolmente la sua sfera di azione. Lo Stato anche a livello più basso
rispetto al Ministero: il Comune ha una sua funzione. Per gestire determinate attività ulteriori e diverse aveva bisogno di
un’organizzazione differente.
Quindi, l’ente pubblico serve a questo: si ha l’istituzione di soggetti pubblici differenti per la cura di particolari interessi.
L’ente costituito deve essere diverso perché persegue finalità distinte. Allora l’amministrazione costituisce al di fuori della sua
organizzazione una serie di enti pubblici.
Quindi, l’amministrazione utilizza gli strumenti che la legge gli consente. Le amministrazioni locali, prima delle ultime riforme,
potevano gestire una serie di attività economiche e commerciali attraverso una serie di strumenti previsti dal testo unico delle
autonomie locali, cioè ad esempio le AZIENDE MUNICIPALIZZATE: i Comuni avevano la proprietà di aziende che gestivano settori
distinti dalla cura dell’interesse pubblico, anche di natura commerciale. Ad esempio, esisteva la centrale del latte di bari, cioè il
comune di Bari, attraverso un’azienda municipalizzata, produceva e vendeva latte.
Questo percorso di ampliamento dei bisogni trova un punto di arresto con la crisi economica e, soprattutto, con i principi dell’UE
(tutela della concorrenza e del mercato), che mettono in crisi il modello di sviluppo dell’impresa pubblica. Un’impresa che sta sul
mercato di proprietà dello Stato non è concorrenziale. Allora, parte il periodo delle privatizzazioni: lo Stato vende sul mercato parte
del proprio patrimonio economico (privatizzazione delle ferrovie, della telefonia mobile, enel energia elettrica).
Quindi, tutti questi enti pubblici economici cessano di esistere con l’avvento del mercato. Lo Stato esce dal mercato. Allora, diventa
necessario regolare il mercato. Lo Stato non è più un soggetto che domina e gestisce il mercato, ma diventa regolatore: vende le
società ed esce dal mercato. Diventa soggetto regolatore, e, quindi, nascono le authorities indipendenti (che devono valutare e
verificare se si possa accedere al mercato in condizioni di parità). Lo Stato sostituisce un potere di direzione di partecipazione con un
potere di regolazione del mercato.
Questo fenomeno delle privatizzazioni si è in parte rinnovato a livello degli enti locali. Oggi esiste un decreto legislativo del 2016
(testo unico delle società pubbliche). Ma già nel 2003 c’erano stati dei decreti che vietano alle amministrazioni pubbliche di poter
gestire o avere la proprietà in società o enti pubblici che non siano strettamente legati alle funzioni dell’ente stesso. Un Comune
oggi non può più avere una società che si occupa di qualcosa che non è attinente alla sua funzione istituzionale.
La stessa cosa è avvenuta negli anni '90 con le banche: le banche pubbliche vengono privatizzate e gestite dalle fondazioni. Si crea
una netta cesura tra lo Stato e le banche, che vengono vendute sul mercato e gestire dalle fondazioni bancarie (originariamente
pubbliche, diventano soggetti privati in una seconda fase).
Altri enti pubblici, cioè gli enti associativi, non si possono eliminare perché svolgono funzioni di particolare interesse per la
collettività, ad esempio gli ordini professionali, CONI.
Quindi, lo Stato persegue le sue funzioni con gli enti pubblici. Ma anche lo Stato è un ente pubblico. Ecco perché esistono tanti enti
pubblici; bisogna vedere qual è la finalità che perseguono.
Oggi perché è cambiato il modello? Prima, sul mercato non c’era il problema della concorrenza: lo Stato aveva un sostanziale
monopolio, cioè produceva beni ed entrava sul mercato con gli enti pubblici. Quando questo monopolio non poteva più averlo (per
l’UE e la concorrenza), doveva dismettere queste cose ed è passato alla regolazione. Cambia il modello: prima l’ente pubblico poteva
svolgere funzioni economiche, ora non più. L’ente per svolgere attività economiche deve costituirsi in società a capitale pubblico.
Ecco perché si parla di SOCIETÀ PUBBLICHE (srl, spa. Società cooperative). L’amministrazione pubblica se vuole stare sul mercato e
avere un’attività economica per gestire un bene pubblico deve costituire un soggetto terzo, cioè una società di capitali. Quella che
era una volta l’azienda municipalizzata si trasforma in società perché sta sul mercato.
Con il d.lgs. 300/1999 si fa la riforma del governo: vengono eliminati alcuni Ministeri e vengono alleggeriti altri attraverso il modello
delle Agenzie. Ad esempio, molte attività del Ministero dell’economia e della finanza vengono trasferite ad enti separati sul
territorio, le agenzie. Es. l’Agenzia delle Entrate è un ente pubblico autonomo gestito dal ministero delle finanze, ma non è più il
ministero. Cambia, dunque, il modello organizzativo: lo Stato esternalizza ad altri soggetti pubblici le proprie funzioni,
controllandole.
Quando esiste l’ente pubblico? Come si fa a capire che si tratta di un ente pubblico? Se è stato istituito con legge o atto
amministrativo, se è controllato dalla p.a. Controllare vuol dire chi nomina gli amministratori, il consiglio di amministrazione, il
presidente? l’amministrazione.
Può l’amministrazione pubblica stare sul mercato? Si. Ci sono delle imprese di totale partecipazione pubblica che stanno sul mercato
come normali privati. Es. Impresa nazionale che si occupa di armamenti partecipa alle gare come se fosse un soggetto privato. È
soggetta alle regole del mercato. Invece, le società a capitale pubblico o integralmente pubbliche possono non stare sul mercato se
sono integralmente controllate dalla p.a.
Non esiste un elenco esaustivo delle pubbliche amministrazioni.
D.p.r. 165/2001 Testo unico del pubblico impiego: Art. 1, co. 2 è l’elenco migliore espresso: “Tutte le amministrazioni dello Stato ivi
compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad
ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni
universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti
gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti i del Servizio sanitario nazionale,
l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie governative (delle entrate, del
demanio, del territorio).” (Mancano le Città metropolitane perché è stato fatto prima della riforma).
Lo Stato, a seconda di quello che deve afre, ha bisogno di un ente pubblico, di una struttura amministrativa che lo aiuti a realizzare il
fine pubblico. Ovviamente, non ci sono gli enti pubblici economici perché sono società che stanno sul mercato. Questo testimonia
l’ambito di applicazione del testo unico del pubblico impiego. È l’elenco che ci fa capire a quali enti si applica la normativa sul lavoro
pubblico.
Cosa succede all’interno dell’ente pubblico? La legge o il provvedimento amministrativo, che istituisce l’ente pubblico, attribuisce
competenze e poteri a quell'ente. L’organizzazione della struttura pubblica deve corrispondere ai poteri che l’ente deve svolgere.
Chi rappresenta l’amministrazione e chi è il soggetto che agisce per conto dell’amministrazione? il potere viene esercitato da una
persona fisica, che agisce in nome e per conto della struttura che rappresenta.
Consideriamo l’Art. 4 “Indirizzo politico amministrativo. Funzioni e responsabilità”. Come funziona qualunque amministrazione?
Co. 1: “Gli organi di governo (sindaco, presidente della giunta, assessore, giunta) esercitano le funzioni di indirizzo politico, definendo
gli obiettivi e i programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e verificano la
rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti.”
Quindi, l’organo di vertice ha una funzione di indirizzo e coordinamento, di programmazione.
Co. 2: “Ai dirigenti spetta l’adozione di atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’amministrazione
verso l’esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa di organizzazione delle
risorse umane, strumentali e di controllo.”
Questo è il principio di separazione tra politica e amministrazione: la politica non ha normativamente nessun rapporto con la p.a.
La responsabilità è solo dell’apparato amministrativo, di chi fa il provvedimento. Quindi, c’è una netta cesura tra il soggetto che può
promuovere l’azione contra legem, ma alla fine che agisce non è quest’ultimo (es. il sindaco che fa la raccomandazione di dare il
permesso di costruire ad una persona che conosce). La responsabilità, quindi, non è più della classe politica.
Co. 4: “Le amministrazioni pubbliche i cui organi di vertice non siano direttamente o indirettamente espressione di rappresentanza
politica, adeguano i propri ordinamenti al principio della distinzione tra indirizzo e controllo, da un lato, e attuazione e gestione
dall’altro.”
Persino per quelli che non sono eletti, ma nominati, c’è la distinzione tra indirizzo e controllo: non può farli la stessa persona.
L’organo è il titolare del potere che rappresenta l’amministrazione. Ma all’interno di un’amministrazione gli organi sono molteplici.
Per questo ci sono dubbi su chi la rappresenta. I dirigenti sono rappresentativi dell’amministrazione, impegnano la volontà dell’ente
al di fuori. All’interno dell’amministrazione esistono più soggetti che sono centri di imputazione degli interessi, che rappresentano
l’amministrazione verso l’esterno. Essi con il loro esercizio del potere vincolano l’amministrazione.

Lezione 8
ORGANIZZAZIONE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Ripartiamo dall’art. 97 Cost.: “Nell’ordinamento degli uffici sono determinate sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità
proprie dei funzionari.” La Costituzione disegna un modello della pubblica amministrazione articolato in uffici, cioè ripartizioni
interne della p.a. che abbiano una loro sfera di competenza, poteri che esercitano e responsabilità dei funzionari addetti all’ufficio.
Questa è la norma generale.
D.p.r. 165/2001
Art. 1: “Le amministrazioni pubbliche definiscono secondo principi generali fissati da disposizioni di legge e, sulla base dei medesimi,
mediante atti organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti, le linee fondamentali di organizzazione degli uffici; individuano gli uffici
di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi; determinano le dotazioni organiche complessive.” 
Art. 5 ribadisce il principio: “Le amministrazioni pubbliche assumono ogni determinazione organizzativa al fine di assicurare
l’attuazione dei principi che abbiamo visto e la rispondenza al pubblico interesse dell’azione amministrativa.
Nell’ambito delle leggi e degli atti organizzativi, le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione
dei rapporti di lavoro, nel rispetto del principio di pari opportunità, e in particolare la direzione e l’organizzazione del lavoro
nell’ambito degli uffici, sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione, con la capacità e i poteri del privato datore
di lavoro.”
Ritorna la distinzione tra indirizzo e coordinamento, affidati alla politica, e la gestione, affidata ai dirigenti. Oggi, chi viene assunto
dalla p.a. firma il contratto con il dirigente a capo della struttura, non con il politico titolare dell’amministrazione pubblica.
Art. 6 riguarda organizzazione degli uffici e fabbisogni di personale: “Le amministrazione pubbliche definiscono l’organizzazione degli
uffici.” La pubblica amministrazione ha personalità giuridica, è un ente pubblico, ma opera attraverso la persona fisica, che
manifesta all’esterno la volontà della persona giuridica.
Quindi, l’amministrazione ha bisogno di un’organizzazione. Dalla costituzione in poi si parla di uffici. A capo degli uffici c’è l’organo
8soggetto legittimato ad esprimere la volontà), che è una persona fisica e rappresenta la persona giuridica.
L’organo può essere singolo (monocratico) o collegiale e questo dipende dalla modalità di organizzazione che l’amministrazione
sceglie. Alcune modalità di organizzazione sono fissate dalla legge (es. ente locale). L’organizzazione è la modalità attraverso la quale
l’amministrazione dà un ruolo al personale che lavora nell’amministrazione, ma soprattutto attribuisce ai singoli uffici interni la sfera
di attribuzione e le competenze. Quindi, l’organizzazione serve a prendere il potere che si ha e a distribuirlo agli uffici, con una logica
che risponde ai principi visti (economicità…), tenendo conto delle attitudini del personale e dei fabbisogni di personale.
La p.a., a seconda delle proprie competenze, ha determinati fabbisogni di personale. L’amministrazione ha la necessità di erogare
dei servizi minimi, quindi deve assumere e distribuire il personale, assegnarlo agli uffici, in modo tale che l’ufficio possa funzionare
per dare il servizio. Poi, se ha degli obiettivi specifici, può potenziare degli uffici piuttosto che altri. Il minimo garantito ci deve
essere; poi spetta all’indirizzo politico-amministrativo destinare maggiori somme per assumere personale per svolgere funzioni
migliori o in maniera diversa (potenziare) rispetto a quelle che normalmente l’amministrazione deve assicurare.
Così, i fabbisogni sono in parte obbligatori, nel senso che l’amministrazione, sulla base della propria organizzazione, decide chi deve
assumere e come deve assumere. Poi, una parte del fabbisogno corrisponde anche a quello che è l’indirizzo politico.
L’amministrazione bandisce un concorso quando ha delle aree della propria organizzazione prive di personale. Fina a che l’ente ha il
personale che gli serve, concorsi non ne farà mai. Quando il personale viene meno (per anzianità, per trasferimenti, per promozioni),
l’amministrazione ha bisogno e bandirà dei concorsi pubblici.
L’organizzazione è importante perché l’ufficio è l’entità interna che ha una sfera di competenza che serve all’organo per manifestare
la volontà dell’ente. Es. la giunta comunale è un organo collegiale che adotta dei provvedimenti amministrativi. Essa come organo
deve avere alle spalle l’ufficio legislativo, l’ufficio normativo, l’ufficio di segreteria.
Ogni organo ha bisogno alle spalle di un ufficio, cioè di una struttura amministrativa di supporto, con la propria sfera di competenza,
che deve coadiuvare l’organo nella scelta amministrativa.
Tutto ciò è utile perché nel diritto amministrativo uno dei tre vizi fondamentali di legittimità è l’incompetenza. Allora, sapere come
funziona l’organizzazione serve a contestare se il diniego della domanda del cittadino l’ha dato un soggetto che ha quella
competenza (all’interno dell’amministrazione chi si è occupato della sua pratica? Era legittimato?).
Presso l’amministrazione lavora il personale, che va distribuito tra gli uffici (deve essere ripartito all’interno dell’organizzazione),
dove serve, per raggiungere le finalità da perseguire.
Le amministrazioni sono tutte diverse; ecco perché non ci può essere una regola unitaria. Le regole vanno poi riportate nelle
specificità delle singole amministrazioni. Ciascuna amministrazione si dà una propria organizzazione, ma la norma dà il potere.
Qui si trova un riferimento ai piani triennali dei fabbisogni. Nella storia si parlava di pianta organica, poi si è passati alle dotazioni
organiche, adesso ci sono i fabbisogni. In realtà, l’amministrazione ha bisogno di spostare e avere personale in relazione al potere
che esercita e alle finalità da perseguire.
La pianta organica era un modello in base al quale l’amministrazione ex ante decideva quanti dipendenti assumere se aveva delle
scoperture. Ma aveva un carattere di rigidità (se l’amministrazione aveva 50 amministrativi in pianta organica, doveva assumerne 50
anche se in realtà ne servivano 20). Nel corso del tempo, allora, c’è stato un superamento del concetto di pianta organica con la
dotazione organica, anch’essa superata. Oggi si parla di fabbisogni: l’amministrazione deve assumere personale che gli serve
realmente, anche se non era previsto. Perché con il sistema della pianta e della dotazione si prendono dipendenti anche se non
servono. Invece, con il fabbisogno, l’amministrazione fa una programmazione triennale e decide quanto personale deve assumere,
in relazione alle funzioni che deve svolgere.
Bisogna considerare che gli enti acquistano e perdono funzioni. Es. la Provincia aveva una dotazione organica di 400 dipendenti.
All’improvviso le province spariscono e vengono meno le loro funzioni. Allora la provincia che se ne fa di 400 dipendenti? È chiaro
che quella dotazione organica rigida non serve più a nulla.
Co. 2: “Allo scopo di ottimizzare l’impiego delle risorse pubbliche disponibili e perseguire obiettivi di performance organizzativa,
efficienza, economicità e qualità dei servizi ai cittadini, le amministrazioni pubbliche adottano il piano triennale dei fabbisogni, in
coerenza con la pianificazione delle attività e della performance.” L’amministrazione fa la programmazione del personale in relazione
agli obiettivi che deve raggiungere.
Il concetto di ufficio è l’entità minima interna di una p.a. dotata di una sfera di attribuzione, competenza e potere.
L’ufficio può avere efficacia verso l’interno (es. l’ufficio di segreteria del sindaco) o efficacia verso l’esterno (concetto di organo).
L’organo è la persona fisica che rappresenta l’ente.
Oggi questa impostazione della separazione tra amministrazione e politica fa sì che il centro di imputazione di interesse, cioè il
soggetto che impegna verso l’esterno l’amministrazione, non è più solo uno (il rappresentante legale), ma sono tanti soggetti a cui
l’organizzazione interna attribuisce il potere. L’organizzazione interna degli uffici dipende dall’ente, che può modificarli.
Esistono varie classificazioni degli organi:
- MONOCRATICO
- COLLEGIALE, che ha una modalità di funzionamento tipica, cioè il quorum strutturale o funzionale, e ha delle regole diverse.
Perché sia valida una deliberazione dell’organo collegiale, c’è bisogno del quorum strutturale (corrisponde al numero dei
componenti). La maggioranza degli aventi diritto, è la condizione minima per la validità della seduta dell’organo collegiale
(deve essere presente la metà+1 dei componenti). Poi si vede se c’è bisogno di una maggioranza semplice, assoluta o
qualificata. Ma non sempre c’è questo quorum minimo di validità; dipende dal tipo di organo.
Gli organi possono essere:
- PERMANENTI (sindaco)
- TEMPORANEI, che vengono istituiti per una determinata funzione (commissione di concorso: è temporaneo, ma è
necessaria la presenza di tutti i componenti). Poi, vengono sciolti.
Quindi, non tutti gli organi lavorano con le stesse regole.
L’organo può anche essere STRAORDINARIO: svolge una funzione limitata nel tempo perché supplisce la mancanza dell’organo
permanente (es. in caso di scioglimento per mafia di un consiglio comunale si nomina una commissione prefettizia).
Alla fine, il concetto di organo è il concetto di rappresentanza. Infatti, in alcuni casi si parla di IMMEDESIMAZIONE ORGANICA:
l’amministrazione si immedesima nell’organo che la rappresenta.
Nel diritto amministrativo non si possono mai trarre principi generali rispetto a situazioni totalmente differenti. Ci sono enti pubblici
che hanno un’organizzazione interna e soprattutto una modalità gestionale di potere totalmente diversa rispetto a strutture
amministrativa tradizionali (ministero, comune…). Ci sono alcuni enti in cui l’organo di vertice dell’amministrazione ha anche il
potere di rappresentanza e gestionale, lo stabilisce lo statuto, l’organizzazione interna.
“Le amministrazioni pubbliche che non provvedono agli adempimenti di cui al presente articolo non possono assumere nuovo
personale.” È una regole rigida. L’amministrazione che non fa la programmazione del personale o non attribuisce il personale dove
serve non può assumere.
D.p.r. 267/2000 Testo unico degli enti locali
Art. 6: “Lo statuto dell’ente locale stabilisce le norme fondamentali dell’organizzazione dell’ente e, in particolare, specifica le
attribuzioni degli organi, i criteri generali in materia di organizzazione dell’ente, le forme di collaborazione fra comuni e province.”
Art. 7: “Il Comune e la Provincia adottano regolamenti nelle materie di propria competenza, in particolare per l’organizzazione ed il
funzionamento delle istituzioni e degli organismi di partecipazione, per il funzionamento degli organi e degli uffici e per l’esercizio
delle funzioni.”
Il concetto di p.a. non sempre corrisponde ad una effettiva organizzativa amministrativa alla luce di queste norme. Esistono alcune
tipologie di amministrazioni che hanno regole diverse. Gli enti pubblici economici sono società pubbliche con proprie regole. Anche
le autorità indipendenti si danno organizzazioni diverse.
Ma le regole amministrative e procedurali si applicano a tutte. In un’amministrazione c’è un rappresentante legale, ma all’interno ci
sono più soggetti che svolgono una funzione verso l’esterno ed esercitano il potere concreto.
Come si accede alla pubblica amministrazione? Mediante concorso (normalmente), come dice la Costituzione. Ma il concorso è la
maniera ordinaria e preferenziale per l’accesso alle p.a. Ad alcune cariche non si accede mediante concorso (nomina presidente
Anac, Consob). Alcuni funzionari pubblici vengono eletti. Ci sono diverse modalità di accesso.
Ci sono delle regole obbligatorie da seguire. Oggi, qual è il metodo utilizzato per coprire i ruoli pubblici? La crisi economica e la
riorganizzazione della p.a. ha determinato l’insorgere di nuovi istituti, a discapito del concorso: mobilità e scorrimento delle
graduatorie. Quando si sopprimono le amministrazioni, il personale che ci lavorava viene redistribuito dove ci sono le carenze di
organico. Quindi, mentre prima si facevano i concorsi, adesso si ha questo trasferimento di personale. Ciò da un lato risponde ad
una esigenza di riorganizzazione della macchina amministrativa, ma comporta una carenza di concorsi pubblici.
Adesso il testo unico del pubblico impiego dice che prima di indire un concorso, bisogna obbligatoriamente fare la mobilità.
Pensiamo alle graduatorie di concorsi vecchi. La giurisprudenza diceva che chi faceva un concorso e non raggiungeva un punteggio
alto che gli consentisse di essere assunto, comunque aveva un’aspettativa (dopo un po’ di anni veniva assunto). Prima però
l’amministrativa faceva nuovi concorsi, ignorando le esigenze dei partecipanti ai concorsi. Ma il principio normativo è stato
modificato. Chi sta in graduatorie di concorsi vecchi è giusto che poi venga superato da un giovane che fa un concorso ex novo? La
normativa, allora, prevede lo scorrimento delle graduatorie. Quindi, l’amministrazione per coprire le mancanze di organico deve
scorrere le graduatorie dei concorsi del passato.
Il legislatore dice che prima di fare un concorso, bisogna fare la mobilità e lo scorrimento delle graduatorie. Se le graduatorie sono
esaurite, allora si può fare il concorso. Dunque, il concorso oggi è residuale rispetto alle altre modalità di alimentazione del
personale.
La giurisprudenza è stata chiamata su questo fenomeno dello scorrimento delle graduatorie. Il Consiglio di Stato aveva teorizzato un
principio ragionevole che diceva: l’amministrazione fa un concorso per scegliere i migliori; se uno è arrivato 400esimo allora non è
tra i migliori. Quindi, è vero che il soggetto ha un diritto allo scorrimento, ma l’amministrazione ha un diritto ad assumere qualcuno
che conosca le norme e adeguato al lavoro da svolgere. Il legislatore è intervenuto affermando che le graduatorie aperte si devono
esaurire.

Lezione 9
ACCESSO ALL’AMMINISTRAZIONE PUBBLICA
Al lavoro pubblico si accede mediante concorso, anche se ci possono essere delle eccezioni.
Il pubblico impiego dal 1993 è stato privatizzato. Oggi, il conetto di privatizzazione del pubblico impiego va chiarito perché il
dipendente pubblico non è come il dipendente privato e viceversa.
La ragione per la quale si è istituita la categoria dei dipendenti pubblici è stata quella di poter gestire meglio le attività pubbliche
attraverso una carriera di persone che lavorando nella pubblica amministrazione avessero un’autonomia e un’indipendenza, che
non fossero collegate alla politica, che non fossero collegate alle esigenze dei cittadini in maniera troppo spinta. Quindi, una
categoria di dipendenti pubblici, che ha determinate garanzie (di tutela dei principi del diritto).
Oggi il contratto di lavoro è privatizzato. Ma la privatizzazione non ha equiparato il dipendente pubblico al lavoratore privato.
La privatizzazione consiste nel fatto che, mentre c’è una base pubblicistica, che è quella della selezione (il concorso è diritto
pubblico), una volta vinto il concorso il dipendente pubblico stipula il contratto con il dirigente, che acquista la veste del privato
datore di lavoro. Quindi, si ingenera un rapporto di servizio tra dipendente pubblico e amministrazione, ma attraverso il dirigente
che stipula il contratto. Tutto quello che riguarda il contratto di lavoro è privatizzato (si applicano le regole privatistiche).
Infatti, la giurisdizione non riguarda più il diritto amministrativo perché c’è il giudice del lavoro. Quindi, il dipendente pubblico nella
fase di accesso si rivolge al T.A.R. (diritto amministrativo), una volta che sta svolgendo la sua attività professionale, questa attività
sarà oggetto, se ha dei problemi con l’amministrazione, del giudice del lavoro, e quindi diventa privatizzato.
Ovviamente questo sistema di impiego pubblico privatizzato non può coprire tutti gli aspetti della pubblica amministrazione e del
lavoro pubblico. Ad esempio, nel lavoro pubblico rimangono degli aspetti fondamentali (mansioni: un soggetto che viene assunto
per una mansione non può essere adibito ad una mansione diversa da quella oggetto del concorso; valutazione delle performance;
obbligo di formazione) che tipizzano e differenziano il lavoratore pubblico dal lavoratore privato.
Non tutto l’impiego pubblico è stato privatizzato. Ci sono, infatti, delle categorie di dipendenti pubblici che sono rimaste sotto il
controllo della pubblica amministrazione (sotto profilo del contratto di lavoro pubblico) e, quindi, hanno delle garanzie differenti.
Per esempio, una tra tutte, le questioni che riguardano l’attività lavorativa si rivolgono al T.A.R. e non al giudice del lavoro. Dunque,
l’impiego pubblico è una grande categoria, all’interno della quale ci sono delle differenze.
Cosa è rimasto in regime di diritto pubblico? I magistrati, la carriera prefettizia, i militari, i professori universitari. Cioè ci sono delle
categorie di lavoratori pubblici che sono rimasti esclusi dal processo di privatizzazione (per mantenere l’autonomia e
l’indipendenza), e quindi si applicano le regole del diritto amministrativo. Queste categorie, sottratte al regime privatistico, non
hanno un contratto di lavoro perché c’è il regime pubblicistico pieno.
In ogni caso, perché proprio con il dirigente, e non con l’amministrazione, o meglio con il sindaco, con il ministro? Per il concetto di
autonomia (della dirigenza) e il principio di separazione tra politica e amministrazione.
Ciò che è importante è che la pubblica amministrazione, legata al rapporto di impiego pubblico, deve avere continuità, quindi è
slegata dalla persona. L’amministrazione deve, a prescindere da chi esercita il potere, sempre esercitare il potere: eroga dei servizi
che non può interrompere (es. ferie estive). Poiché il dipendente pubblico è pagato con soldi pubblici non può svolgere mansioni
diverse. Ma, soprattutto, la caratteristica fondamentale è che, mentre il lavoratore privato bravo può essere promosso ad una
qualifica superiore, al dipendente pubblico bravo che sa fare altre cose non spetta niente. Il dipendente pubblico deve svolgere il
lavoro per il quale è stato assunto. E se qualcuno gli dà una mansione superiore, la fa nei limiti in cui la legge glielo consente. E se un
soggetto (dirigente) gli lascia svolgere delle funzioni che non dovrebbe svolgere, questo soggetto paga di tasca propria perché è
danno erariale. Lui non avrà niente perché l’attività non gli spetta, soprattutto non avrà il grado superiore.
Art. 36 Testo unico del pubblico impiego: “Per le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario le pubbliche amministrazioni
assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato seguendo le procedure di reclutamento
previste dall’art. 35.” Questa è la norma generale.
Eccezione: “Le amministrazioni pubbliche possono stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, contratti di
formazione e lavoro e contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato, nonché avvalersi delle forme contrattuali
flessibili previste dal codice civile e dalle altre leggi sui rapporti di lavoro nell’impresa, esclusivamente nei limiti e con le modalità in
cui se ne preveda l’applicazione nelle amministrazioni pubbliche. Le amministrazioni pubbliche possono stipulare questi contratti
soltanto per comprovate esigenze di carattere temporaneo ed eccezionale e nel rispetto delle condizioni e modalità di reclutamento
stabilite dall’art. 35.” Cioè è impossibile il rinnovo automatico e, soprattutto, la stabilizzazione. Vige il divieto della trasformazione
del contratto determinato in indeterminato (un’altra differenza tra lavoro pubblico e lavoro privato). Si può trasformare soltanto
mediante concorso pubblico.
Lo Stato, poi, si rende conto che ci sono soggetti (precari del pubblico impiego) che lavorano nell’amministrazione da tanti anni
senza concorso e, quindi, ogni tanto il Parlamento adotta dei provvedimenti di sanatoria previo concorso: si tratta di concorsi
riservati a tutti quelli che hanno maturato una certa anzianità con contratti a termine. Ma sono cose che si possono fare per il
passato, perché d’ora in poi non si possono più fare. Ad esempio, c’è una norma che prevede che quando un soggetto deve
attribuire un contratto a tempo determinato, si possono usare le graduatorie dei concorsi a tempo indeterminato (chi è in attesa di
un contratto a tempo indeterminato può fare, intanto, il concorso per un contratto a tempo determinato).
Il presupposto è che siano “comprovate esigenze”: l’amministrazione se vuole avvalersi di un lavoro temporaneo deve dimostrare
che non ha il personale per poterlo fare. E devono essere esigenze concrete ed effettive, anche perché c’è il danno erariale.
Comma 5-quater: “I contratti di lavoro posti in essere in violazione del presente articolo sono nulli e determinano responsabilità
erariale. I dirigenti che operano in violazione del presente articolo sono, altresì, responsabili ai sensi dell’art. 21. Al dirigente
responsabile di irregolarità nell’utilizzo del lavoro flessibile non può essere erogata la retribuzione di risultato.”
Il dirigente che assume personale temporaneo in violazione della norma paga lui il compenso.
Come funzionano i concorsi pubblici? Ogni rapporto con la pubblica amministrazione presuppone una selezione.
D.p.r. 487/1994 detta le regole su come funziona un concorso pubblico.
Come si viene assunti nella pubblica amministrazione? art. 1:
a. Concorso pubblico aperto a tutti per esami, per titoli, per titoli ed esami, per corso-concorso e per selezione mediante lo
svolgimento di prove volte all’accertamento della professionalità richiesta dal profilo professionale di qualifica o categoria,
avvalendosi anche di sistemi automatizzati.
Esami, titoli… sono le diverse modalità di un concorso pubblico (a seconda della categoria). Più il livello è elevato, più acquista valore
l’esperienza professionale richiesta. Ad esempio, per gli esami ci sono solo modalità scritta e orale (solo prova, non si considera il
curriculum); è per le categorie più basse. Per le categorie superiori non c’è solo l’esame, ma anche la valutazione dei titoli
(esperienza pregressa), cioè titoli ed esami. Poi ci sono concorsi nei quali si accede solo per titoli (es. direttore generale di un’azienda
sanitaria). C’è anche una nuova modalità: corso-concorso (es. per diventare dirigenti della pubblica amministrazione; segretari
comunali), in cui si frequenta un corso e poi si diventa dirigenti quando si è chiamati dall’amministrazione seguendo l’elenco.
b. Mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento (gestite dagli uffici provinciali).
c. Mediante chiamata numerica degli iscritti nelle apposite liste per le categorie protette.

Principi
La linea guida è il bando di concorso. È fondamentale per capire come funziona la selezione pubblica. I bandi non sono tutti uguali:
l’amministrazione li modella come meglio crede, nel rispetto delle regole. Qualunque concorso pubblico deve seguire queste regole.
Il bando è l’atto pubblico che deve contenere tutte le regole e i criteri di valutazione. I principi fondamentali sono trasparenza ed
imparzialità. Ciò significa che, prima di partecipare, bisogna conoscere le regole del gioco. Nel bando bisogna dire come saranno
distribuiti i punteggi.
Con il bando si vuole evitare la discrezionalità della pubblica amministrazione, che nei concorsi pubblici può diventare arbitrio. Il
bando serve a spiegare i criteri attraverso i quali l’amministrazione attribuisce il punteggio e quali sono le regole del gioco (che
vengono predeterminate).
Inoltre, il bando di concorso deve contenere il termine e le modalità di presentazione delle domande (es. in alcuni casi si accettano
solo domande cartacee; o solo spedizione con le poste che offrono una garanzia sul timbro di partenza o di domanda; la domanda
deve pervenire entro un determinato giorno), la sede delle prove, la materie oggetto delle prove, la votazione minima richiesta per
l’ammissione alle prove orali, i requisiti soggettivi generali (cittadino italiano, maggiore età, residenza) e particolari (laurea, aver
svolto un’attività presso un’altra amministrazione, avere un’esperienza minima, avere un’esperienza professionale), i titoli che
danno luogo a precedenza o a parità di punteggio, i termini e le modalità della loro presentazione, i posti riservati.

Lezione 10
Il bando di concorso è la promessa al pubblico, è l’atto attraverso il quale la pubblica amministrazione avvisa la collettività che c’è un
concorso, che si bandiscono dei posti da ricoprire attraverso una selezione. Esso deve anche indicare, oltre ai requisiti, le modalità
delle prove, le materie oggetto di prova scritta e prova orale e le modalità di attribuzione del punteggio. Rimane nel potere della
commissione di concorso la possibilità di individuare meglio le modalità di attribuzione del punteggio stesso, le quale sono già
predeterminate dal bando.
Art. 4 riguarda la presentazione delle domande di ammissione: “Le domande devono essere indirizzate e presentante direttamente o
a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento alla Presidenza del Consiglio dei Ministri o all’amministrazione competente negli
altri casi, con esclusione di qualsiasi altro mezzo, entro il termine perentorio di 30 giorni dalla data di pubblicazione del bando nella
G.U. Per gli enti locali territoriali, invece, si ha la pubblicazione di un avviso di concorso contente gli estremi del bando e l’indicazione
della scadenza del termine per la presentazione delle domande. La data di spedizione delle domande è stabilita e comprovata dal
timbro a data dell’ufficio postale accettante.
L’amministrazione non assume responsabilità per la dispersione di comunicazioni dipendente da inesatte indicazioni del recapito da
parte del concorrente oppure da mancata o tardiva comunicazione del cambiamento dell'indirizzo indicato nella domanda, né per
eventuali disguidi postali.” Inoltre, la Corte Costituzionale ha previsto che non si può rispondere per colpa del terzo. Quindi, è
evidente che se c’è un errore dell’ufficio postale, il soggetto può sostenere comunque la prova concorsuale.
Non c’è una modalità precisa per presentare le domande.
C’è un lungo elenco di categorie che hanno preferenza. Per legge ci sono delle categorie che, a parità di merito, hanno preferenza. È
il problema se arrivano appaiate più persone: chi vince il concorso se hanno gli stessi punteggi? A parità di punteggio, qual è il
criterio per scegliere chi vince? L’ordinamento ha previsto le categorie preferenziali. Es: mutilati, orfani di guerra, invalidi di guerra, i
coniugi dei caduti, chi ha fatto il servizio militare come combattente.
A parità di merito e di titoli, la preferenza è determinata dal numero dei figli a carico, dall’aver prestato lodevole servizio nelle
amministrazioni pubbliche, dalla maggiore età.
Quindi, ci sono dei criteri legali predeterminati.
Per quanto riguarda lo svolgimento delle prove, art. 6: “Il diario delle prove deve essere comunicato almeno 15 giorni prima
dell’inizio delle prove.” In caso di termine minore, c’è un’illegittimità: il cittadino può impugnare e far annullare la prova.
Comma 3: “Ai candidati che conseguono l’ammissione alla prova orale deve essere comunicata l’indicazione del voto riportato in
ciascuna delle prove scritte. L’avviso per la presentazione alla prova orale deve essere dato ai singoli candidati almeno 20 giorni
prima di quello in cui essi debbono sostenerla.”
Nessuno può andare a fare una prova senza conoscere il voto della prova precedente. Questo è un indicatore della serietà del
concorso. Non comunicare agli interessi il voto consente all’amministrazione di poter manipolare.
Un’altra regola è che alla prova orale il voto va comunicato immediatamente, per evitare che si possano fare calcoli. Se il voto non
viene attribuito, questo è un indice di illegittimità.
Ciò è importante perché non si può contestare il voto numerico, ma la procedura (la commissione ha seguito le regole?).
“Le prove orali devono svolgersi in aula aperta al pubblico e al termine di ogni seduta dedicata alla prova orale, la commissione
giudicatrice forma l'elenco dei candidati esaminati, con l'indicazione dei voti da ciascuno riportati che sarà affisso nella sede degli
esami.” È evidente che al termine della sessione la Commissione sia obbligata a prevedere l’indicazione dei voti.
Ogni tipo di concorso ha una sua regola predefinita, la commissione non si inventa nulla (a seconda del profilo professionale sono
previste prove differenziate).
Per quanto riguarda titoli ed esami la regola è: “La valutazione dei titoli è effettuata dopo le prove scritte e prima della correzione dei
relativi elaborati.” Si fanno le prove scritte; dopodiché si valutano i titoli. Poi, si possono correggere le prove scritte e si fa la somma
dei voti conseguiti. Importante è anche il funzionamento delle prove.
La legge spiega come vengono composte le commissioni. La commissione viene nominata soltanto dopo la scadenza del termine di
presentazione delle domande. Nessuno partecipa sapendo che c’è qualcuno che conosce in commissione.
La Commissione, per prima cosa, deve verificare di non avere conflitto di interessi (parentele, rapporti di coniugio…): valuta i
nominativi degli iscritti e dichiara se sussistono o meno conflitti di interessi. Se si scopre che la commissione ha dei rapporti con i
candidati, questo porta all’annullamento della prova. Se il dipendente pubblico fa una dichiarazione falsa (non riscontra e non
evidenzia il conflitto di interessi), non solo c’è l’annullamento della prova, ma c’è anche il reato di falsa dichiarazione.
Questo dovrebbe garantire la terzietà della Commissione.
Come funzionano le prove scritte?
Le prove scritte devono essere anonime (Garanzia dell’anonimato). Quindi, chi firma l’elaborato viene immediatamente escluso dal
concorso. In seduta pubblica la commissione apre la busta con i nominativi e fa gli abbinamenti degli elaborati con i cognomi. Il voto
è attribuito all’elaborato anonimo. La prova orale è in seduta pubblica.
Molto spesso si verifica il segno di riconoscimento (anomalo rispetto a quella che è la normale redazione dell’elaborato): in alcuni
elaborati possono trovarsi dei segni particolari che, ancorché lasciati per mero errore, portano all’espulsione del candidato. Non è
importante dimostrare che quel segno era concordato, ma quello che conta è l’attitudine a poter essere riconosciuto. Nella maggior
parte dei casi è un errore, ma in alcuni casi può essere inteso come segno di riconoscimento. I normali segni della scrittura non sono
segni di riconoscimento, lo sono i segni anomali (es. primo foglio scritto tutti i righi e il secondo a righi alterni; scrivere con penne di
colori differenti; uso dell’evidenziatore).
Le tracce si fanno la mattina del concorso. Nessuno può avere le tracce prima. La commissione si riunisce in un luogo presidiato dalle
forze dell’ordine, stila le tre tracce, viene chiamato uno dei concorrenti volontari il quale sceglie una delle tre trecce. La traccia scelta
viene letta e le due non scelte vengono lette e aperte pubblicamente, in modo tale che si ha la certezza collettiva che le tracce erano
diverse e riguardavano tutte gli argomenti oggetto della prova. Poi, parte il tempo consentito per fare la prova. Nulla vieta in
astratto che la commissione possa aver deciso le tracce 1 mese prima, ma questo è difficile, perché è costituita da più persone.
Art. 12 Trasparenza amministrativa nei procedimenti concorsuali: “Le Commissioni, alla prima riunione, stabiliscono i criteri e le
modalità di valutazione delle prove concorsuali, da formalizzare nei relativi verbali, al fine di assegnare i punteggi attribuiti alle
singole prove. Prima dell’inizio di ciascuna prova determinano i quesiti da porre ai singoli candidati per ciascuna delle materie di
esame. Tali quesiti sono proposti a ciascun candidato previa estrazione a sorte.” La domanda non è predeterminata.
“Nei concorsi per titoli ed esami il risultato della valutazione dei titoli deve essere reso noto agli interessati prima dell'effettuazione
delle prove orali. I candidati hanno facoltà di esercitare il diritto di accesso agli atti del procedimento concorsuale.”
La commissione nella prima riunione, quando non sa ancora chi partecipa, deve stabilire i criteri (come distribuisce i punti?). Queste
regole servono a verificare la correttezza della commissione.
Questa modalità di svolgimento dei concorsi pubblici serve a garantire la trasparenza e l’imparzialità della pubblica amministrazione.
Vincere un concorso pubblico non dà alcun diritto all’assunzione. Nella p.a. c’è una situazione di interesse legittimo, non di diritto.
Diventa diritto all’assunzione quando il vincitore del concorso non ha il lavoro, ma lo riceve un terzo soggetto.

Torniamo al d.p.r. 165/2001.


Art. 35 spiega le tre modalità di assunzione e le regole del concorso pubblico: pubblicità della selezione; modalità di svolgimento che
garantiscano l’imparzialità; economicità e celerità dell’accertamento; meccanismi oggettivi idonei a verificare il possesso dei requisiti
attitudinali e professionali richiesti in relazione alla posizione da ricoprire; rispetto delle pari opportunità tra lavoratrici e lavoratori;
composizione delle commissioni esclusivamente con esperti di provata competenza nelle materie di concorso, estranei alle
medesime, che non siano componenti dell'organo di direzione politica dell'amministrazione, che non ricoprano cariche politiche e
che non siano rappresentanti sindacali; facoltà per ciascuna amministrazione di limitare nel bando il numero degli idonei non
superiore al 20%; possibilità di richiedere per i requisiti il dottorato di ricerca, che deve essere valutato pertinente all’incarico che si
vuole ricoprire; la riserva dei posti nel limite massimo del 40% per gli interni, che abbiano almeno 3 anni di servizio all’interno
dell’amministrazione.
Art. 30, comma 2-bis: “Le amministrazioni, prima di procedere al concorso per coprire i posti vacanti, devono attivare le procedure di
mobilità, provvedendo in via prioritaria all'immissione in ruolo dei dipendenti, provenienti da altre amministrazioni, in posizione di
comando o di fuori ruolo, appartenenti alla stessa area funzionale, che facciano domanda di trasferimento.”
Quindi oggi il concorso, per volontà del legislatore, è diventato un’ipotesi residuale. Prima si fa la mobilità; poi lo scorrimento delle
graduatorie aperte.
Fino a poco tempo fa funzionava così: si fa un concorso; chi supera un certo punteggio minimo è idoneo. In alcuni concorsi ci sono
400 idonei che hanno superato il punteggio minimo. Di questi idonei ci sono i vincitori perché il concorso era per 20 posti. Se
qualcuno si licenziava, non prendeva servizio, si scorreva la graduatoria.
Nella pubblica amministrazione ci sono, quindi, graduatorie molto vecchie (quelle del 2008 sono ancora valide). Allora, il legislatore
ha detto che, prima di fare un concorso nuovo, l’amministrazione deve assumere quelli delle graduatorie vecchie, fino ad
esaurimento (che aspettano di essere assunti).
Questo discorso oggi finisce: da oggi in poi non si può più mettere un numero di idonei superiore al 20% dei posti del concorso.
Questo per evitare il fenomeno perverso dello scorrimento delle graduatorie ancora efficaci. Le graduatorie per legge hanno una
validità massima di 3 anni. Ma il legislatore fa la proroga ogni 3 anni.

Lezione 11
Art. 52 d.lgs. 165/2001 stabilisce dei principi particolari in materia di disciplina delle mansioni: “Il prestatore di lavoro (dipendente
pubblico) deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto. Non è possibile utilizzarlo per mansioni diverse. Vi è una
disciplina specifica del mansioni. Vi è una disciplina specifica delle mansioni che corrispondono alla singola qualifica professionale.
“L'esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell'inquadramento del
lavoratore o dell'assegnazione di incarichi di direzione .” Il fatto che uno svolga mansioni diverse, magari maggiori, rispetto a quello
che è il suo ruolo, non gli dà nessun diritto alla progressione in carriera. Quindi, il dipendente pubblico può migliorare la sua
posizione solo con il concorso.
Comma 2: “Per obiettive esigenze di servizio prestatore di lavoro può essere adibito a mansioni proprie della qualifica
immediatamente superiore
a) nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora siano state avviate le
procedure per la copertura dei posti vacanti
b) nel caso di sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto, con esclusione dell'assenza per
ferie, per la durata dell'assenza.”
Non c’è nessun diritto al mantenimento del livello superiore, ma l’unica cosa che spetta è l’aumento salariale.
Comma 4: “Nei casi di cui al comma 2, per il periodo di effettiva prestazione, il lavoratore ha diritto al trattamento previsto per la
qualifica superiore.”
Comma 5: “Il dirigente che ha disposto l'assegnazione risponde personalmente del maggiore onere conseguente, se ha agito con
dolo o colpa grave. Al di fuori delle ipotesi ci cui al co. 2 (motivate, per sei mesi), è nulla l’assegnazione del lavoratore a mansioni
superiori.” Al lavoratore spetta la differenza salariale perché ha comunque prestato il lavoro.
Quello che si perde nel caso di un illegittimo incarico dell’amministrazione sono gli accessori, es. il trattamento pensionistico. Se io
vengo adibito sulla base di un concorso che viene annullato, non devo restituire lo stipendio perché io ho effettivamente prestato
l’attività professionale. Questo, però, non incide sul compenso percepito. Infatti, la norma dice che il dirigente dell’amministrazione
che ha consentito che il dipendente svolgesse una mansione no propria, risponde lui.
Nella p.a. i soggetti che esercitano effettivamente il potere sono i dirigenti della p.a. Questo vuol dire che in tutte le p.a., all’interno
dei propri fabbisogni, è necessario questo ruolo.
Tutta la struttura amministrativa si fonda sulla distinzione tra organi e pubblici uffici. Il dirigente è l’organo di vertice di quel settore
organizzato della p.a. (ministero, assessorato…). Quindi, tutte le norme fanno riferimento ai dirigenti. Tuttavia, accade che nelle
amministrazioni meno numerose di personale, più piccole, non ci siano i soldi per poter conferire incarichi dirigenziali. Molti uffici
pubblici nella realtà hanno a capo il funzionario di livello più elevato (l’amministrazione comunque funziona).
La norma si riferisce sempre al dirigente perché è modellata su un sistema centralizzato (di amministrazione statale), ma si applica
anche agli enti locali.
Esistono varie categorie di dirigenti. Esiste una normativa passata (ancora vigente) e una normativa che guarda al futuro.
La normativa che guarda al futuro prevede che l'incarico dirigenziale sia un INCARICO A TERMINE: le amministrazioni pubbliche
possono conferire ai dirigenti incarichi che abbiano una durata da un minimo di 3 ad un massimo di 5 anni. Quindi, è l’incarico
dirigenziale è contrattualizzato. Questo vale da ora in poi. Nel passato si potevano bandire incarichi dirigenziali a tempo
indeterminato.
Oggi nelle amministrazioni pubbliche coesistono dirigenti a tempo indeterminato e dirigenti a tempo determinato con contratto
(sistema misto). Nel nuovo sistema i dirigenti sono previsti in un elenco di una p.a. (riforma Madìa sulla dirigenza pubblica): elenco
dei dirigenti statali, elenco dei dirigenti territoriali. Queste persone saranno poi incaricate a fare il contratto determinato (potranno,
poi, essere riconfermati o mandati via se non raggiungono gli obiettivi).
Nei ministeri c’è il dirigente di secondo livello e il dirigente di primo livello: anche nella dirigenza che una classificazione per gradi.
C’è un’altra tipologia di dirigenza e un’altra modalità di accesso: dirigenti che fanno parte dello staff. Gli organi di vertice delle
pubbliche amministrazioni possono attribuire incarichi dirigenziali di staff (fiduciari).
Questa organizzazione di supporto politico cade quando cade l’amministrazione (quando finisce la legislatura): automaticamente il
contratto decade.
La Corte Costituzionale ha dichiarato che la dirigenza non decade tutta quando va via l’organo di vertice, ma rimane e può essere
riconfermata se ha lavorato bene e ha raggiunto gli obiettivi (gli deve essere garantita la permanenza del posto); per il principio di
continuità dell’attività amministrativa. Il discorso è diverso per i dirigenti dello staff.
Oggi i dirigenti hanno un ruolo di coordinamento e direzione, non più di gerarchia. Dal 2001 non esiste più il vincolo gerarchico
dell’amministrazione, presente solo negli organi di polizia e nell’amministrazione militare. Il dirigente coordina e dirige le attività
altrui, non può dare ordini e il funzionario non è obbligato ad obbedire.
Art. 19: “Ai fini del conferimento di ciascun incarico di funzione dirigenziale, si tiene conto delle attitudini e delle capacità
professionali del singolo dirigente, dei risultati conseguiti nell’amministrazione e della relativa valutazione, delle specifiche
competenze organizzative possedute.”
La nomina di un incarico dirigenziale presuppone una valutazione anche dei titoli. Il dirigente deve avere maturato un’esperienza
almeno quinquennale nella p.a., o anche nel settore privato, di direzione e coordinamento. Questo non vale per il dirigente
nominato sotto il profilo fiduciario (es. addetto stampa), perché non è necessario in quanto non fa provvedimenti che incidono sul
cittadino, non svolge la sua attività verso l’esterno.
Art. 21 RESPONSABILITÀ DIRIGENZIALE. È cambiato il sistema amministrativo perché oggi il soggetto che risponde di tutti gli errori
dell’amministrazione e delle inefficienze del sistema è il dirigente. Molte responsabilità = stipendio più elevato. Il dirigente o chi
dirige l’ufficio è il collettore di tutti i problemi dell’amministrazione. L’inefficienza del dipendente si scarica sul dirigente.
“Il mancato raggiungimento degli obiettivi accertato attraverso le risultanze del sistema di valutazione ovvero l'inosservanza delle
direttive imputabili al dirigente comportano l'impossibilità di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale. In relazione alla gravità dei
casi, l'amministrazione può, inoltre, revocare l'incarico o non rinnovarlo.”
Il ruolo molto forte del dirigente è soggetto alla verifica del risultato. Siccome il raggiungimento degli obiettivi è accertato da un
organo terzo, l’OIV, imparziale ed oggettivo, il dirigente sa che non può essere mandato a casa perché sgradito o antipatico.
L’unico modo per mandare via un dirigente è il mancato raggiungimento degli obiettivi, o meglio dei parametri oggettivi attraverso
un sistema oggettivo di misurazione delle performance, gestito dall’Anac, dalla funzione pubblica e dall’organo di valutazione
dell’ente. Il dirigente contribuisce all’individuazione degli obiettivi, quindi sa quali sono; ovviamente gestirà gli uffici in modo tale da
raggiungerli, se l’ufficio non riesce è colpa sua.
“Al di fuori dei casi di cui al comma 1, al dirigente nei confronti del quale sia stata accertata la colpevole violazione del dovere di
vigilanza sul rispetto, da parte del personale assegnato ai propri uffici, degli standard quantitativi e qualitativi fissati
dall'amministrazione, la retribuzione di risultato è decurtata, sentito il Comitato dei garanti, in relazione alla gravità della violazione
di una quota fino all'80%.”
È un’ulteriore sanzione: responsabilità dirigenziale. Questo è l’unico strumento attraverso il quale il dirigente può essere escluso dal
contesto della p.a. Quindi, grande autonomia del dirigente, ma anche grandi responsabilità.
D.lgs. 150/2009 ha portato ad un cambiato epocale della p.a. perché ha introdotto nella pubblica amministrazione la valutazione dei
risultati (modificato da ultimo nel 2017): l’efficacia e l’efficienza dell’attività amministrativa (performance) vanno verificate con un
sistema di controllo indipendente. Questo sistema di valutazione della performance organizzativa porta a delle conseguenze
importanti: chi non raggiunge l’obiettivo deve essere sanzionato. Quindi, nel 2009 si è riscritto tutto il profilo sanzionatorio dei
dipendenti pubblici: chi non raggiunge gli obiettivi può essere licenziato per motivi disciplinari, mentre prima la caratteristica del
dipendente pubblico era l’inamovibilità.
In realtà è dal 2017 che queste norme concretamente trovano applicazione. Questa norma ha portato delle modifiche anche al testo
unico del pubblico impiego.
Il sistema di valutazione delle performance ha come suo completamento (si fonda su) la valutazione dell’utente: il cittadino con le
sue valutazioni condiziona il raggiungimento o meno degli obiettivi. L’organo di valutazione dell’ente è tenuto ad effettuare indagini
sulla soddisfazione dei cittadini. La partecipazione dell’utente è necessaria.
Oggi esiste una norma che si chiama class action pubblica: possibilità per il cittadino di contestare dinanzi al giudice le inefficienze
della p.a. Dal 2009 fino ad ora sono stati fatti in tutta Italia 20 ricorsi perché al cittadino non interessa difendere i propri diritti, non
perché l’amministrazione lavora bene. A cosa serve la lutazione delle performance? Qual è l’obiettivo
Art. 1: “Migliore organizzazione del lavoro, rispetto degli ambiti riservati rispettivamente alla legge e alla contrattazione collettiva,
elevati standard qualitativi ed economici delle funzioni e dei servizi, l’incentivazione della qualità della prestazione lavorativa, la
selettività e la concorsualità nelle progressioni di carriera, il riconoscimento di meriti e demeriti, la selettività e la valorizzazione delle
capacità e dei risultati ai fini degli incarichi dirigenziali, il rafforzamento dell’autonomia, dei poteri e della responsabilità della
dirigenza, nonché la trasparenza dell’operato delle amministrazioni pubbliche anche a garanzia della legalità .”
L’obiettivo è fare in modo che tutti quelli che lavorano nell’amministrazione raggiungano gli obiettivi. L’obiettivo deve essere un
obiettivo di miglioramento della qualità dell’amministrazione.
Quando l’amministrazione dichiara un obiettivo, quello diventa una promessa da mantenere per il cittadino. È suo questo che si può
fare il ricorso.
Art. 3: “Ogni amministrazione pubblica è tenuta a misurare ed a valutare la performance con riferimento all’amministrazione nel suo
complesso, alle unità organizzative o aree di responsabilità in cui si articola e ai singoli dipendenti.”
Quindi, il controllo non si fa solo sul dirigente, ma anche su tutto l’ufficio e sul singolo dipendente pubblico, che ha un obiettivo
individuale. Tutti gli obiettivi dei singoli devono coincidere con quelli della struttura. Alla fine dell’ano, se la struttura raggiunge gli
obiettivi, anche il singolo dovrebbe raggiungere l’obiettivo. Se il singolo non fa il suo dovere, la struttura non raggiunge gli obiettivi e
paga il dirigente.
Questo sistema funziona da poco, e quindi non c’è la piena attuazione dei licenziamenti dei dipendenti che, alla terza valutazione
negativa, vengono licenziati. Il dipendente è più garantito con questo sistema perché si toglie l’autorità al dirigente di decidere chi è
bravo e chi non lo è con l’organo di valutazione, che è indipendente e imparziale.
È stata introdotta con questo decreto l’indagine sul benessere organizzativo: l’organo di vigilanza terzo ascolta il personale su come
si comportano i dirigenti (protegge la segretezza del nome) e poi verifica.
Art. 3, comma 5: “Il rispetto delle disposizioni del presente Titolo è condizione necessaria per l’erogazione di premi, rileva ai fini del
riconoscimento delle progressioni economiche, dell’attribuzione di incarichi di responsabilità al personale, nonché del conferimento
degli incarichi dirigenziali.” Ciò vuole dire che l’ente che si rifiuta di applicare questa regola è paralizzato. Chi non rispetta questa
regola della performance non può dare la retribuzione aggiuntiva, e se lo fa è danno erariale.
Comma 5-bis: “La valutazione negativa, come disciplinato nell’ambito del sistema di misurazione e valutazione della performance,
rileva ai fini dell’accertamento della responsabilità dirigenziale e ai fini dell’irrogazione del licenziamento disciplinare.”
Il sistema per funzionare deve essere alimentato in tutte le sue componenti. Oggi manca il controllo del cittadino.
La valutazione viene fatta al termine sulla base degli obiettivi dati all’inizio dell’anno. L’amministrazione può persino premiare il
merito (es. master).

Lezione 12
POTERE AMMINISTRATIVO
a. Che cos’è il potere in relazione alle situazioni giuridiche soggettive
b. Cos’è materialmente il potere
c. Vari tipi di potere.
Il potere è una nozione centrale nell’amministrazione. Quando c’è il potere non c’è diritto, ma il privato è titolare di un interesse
legittimo. Nel diritto amministrativo vige lo schema Norma – potere – effetto, diversamente da quanto avviene nei rapporti di diritto
privato. Ogniqualvolta la legge, per ragioni di tutela di un interesse pubblico prevalente rispetto all’interesse privato, attribuisce un
potere alla p.a., l’amministrazione esercita questo potere.
Il potere è la capacità che ha l’amministrazione di determinare autoritativamente ed unilateralmente una vicenda giuridica, che può
consistere nella costituzione, modificazione o estinzione di una posizione giuridica nella sfera giuridica di un privato, prescindendo
dalla volontà di quest’ultimo.
Quindi, è la capacità di determinare un effetto senza il consenso della persona nella cui sfera tale potere andrà ad incidere.
Nel diritto amministrativo l’amministrazione può fare quello che vuole, benché vi sia il rispetto del principio di legalità, la necessità di
rispettare delle norme di legittimità, nel diritto privato non vale la stessa regola (non si può determinare unilateralmente un effetto
nella sfera giuridica di un altro).
Ci sono poteri ampliativi della sfera giuridica del singolo (l’amministrazione dà qualcosa al singolo). Accanto a questi poteri ampliativi
ci sono i poteri riduttivi (riducono la sfera giuridica del singolo).
Qual è la principale differenza tra questi due poteri in termini di interesse legittimo? L’interesse legittimo è un interesse a un bene
della vita, la cui soddisfazione non avviene in modo immediato, ma in modo mediato (necessita sempre della mediazione del
potere). Il diritto soggettivo è diverso: il credito ha un credito nei confronti del debitore; può agire nei suoi confronti e ottenere la
soddisfazione di quel credito. Quindi, il creditore non necessita di una mediazione del potere.
Rispetto ai poteri ampliativi il soggetto ha un INTERESSE PRETENSIVO, l’interesse a che l’amministrazione eserciti il potere. Rispetto
ai poteri riduttivi, invece, ha un INTERESSE OPPOSITIVO (a che l’amministrazione non eserciti il potere).
La ragione per cui viene attribuito il potere è sempre una. L’ordinamento, quando attribuisce all’amministrazione il potere di fare
qualcosa, la ragione è la prevalenza dell’interesse pubblico rispetta all’interesse privato. Cioè l’ordinamento non considera i soggetti
pari tra loro, ma considera la p.a. in una posizione di supremazia rispetto al privato. Diversamente, nei rapporti di diritto civile.
I caratteri del potere: unilateralità ed autoritatività. Molto spesso, in alcuni manuali, si parla di provvedimenti amministrativi
piuttosto che di poteri. Il motivo è che i caratteri del potere si riverberano sul provvedimento.

Principali classificazioni: Poteri AMPLIATIVI / RIDUTTIVI


Poteri ampliativi:
1) POTERE AUTORIZZATORIO: è il potere che ha l’amministrazione di rimuovere un limite, ovvero un divieto, all’esercizio di un diritto
o facoltà (preesistente) di cui il privato è già titolare. Es. Patente di guida: noi abbiamo il diritto di circolare liberamente. Ma
l’ordinamento per ragioni di sicurezza richiede un’autorizzazione alla rimozione di un divieto all’esercizio di un diritto che già ho
previsto dal legislatore; permesso di costruire: ho il diritto di proprietà su un terreno, che comprende una serie di facoltà, tra queste
c’è il diritto di edificare. Ma l’ordinamento prevede un divieto di costruire liberamente per varie ragioni. Solo con il rilascio del
permesso posso esercitare il mio diritto.
Ci sono varie classificazioni di autorizzazioni. L'abilitazione è un’autorizzazione subordinata alla verifica di requisiti di natura tecnica.
Anche la licenza è un’autorizzazione; riguarda, per lo più, attività commerciali. Anche l’omologazione (riguarda normalmente la
cosa), il nullaosta, l’approvazione e la dispensa (rimozione di un obbligo) sono autorizzazioni.
Quando viene rilasciata l’autorizzazione, di solito il procedimento è ad istanza di parte, cioè il provato chiede di ottenere
l’autorizzazione. Nel procedimento amministrativo la Scia e il silenzio assenso sono istituti che si sostituiscono all’autorizzazione.
Con la Scia viene eliminato il regime autorizzatorio: io posso già avviare l’attività senza ottenere un provvedimento. Il silenzi assenso
vale come autorizzazione.
2) POTERE CONCESSORIO: l’amministrazione ci dà qualcosa che noi prima non avevamo. Con la concessione si ha l’attribuzione di
una situazione giuridica che non preesiste, di cui il privato non è già titolare, ma viene attribuita ex novo. Di solito è onerosa
(prevede un corrispettivo).
Es. Concessione del lido marittimo, che è di proprietà dello Stato, il quale decide di dare in concessione il godimento di quell’area al
privato per la gestione. Gestione di un’autostrada: lo Stato fa un contratto di concessione con una società privata alla quale dà il
diritto di gestione (non c’è un canone in questo caso, perché il privato riceve un vantaggio economico dalla gestione del servizio e
l’amministrazione è avvantaggiata dal fatto che non deve gestire lei il servizio). La società guadagna dagli utenti.
Le concessioni possono essere di due tipi: TRASLATIVE (l’amministrazione trasferisce un diritto che aveva) o COSTITUTIVE (il diritto
attribuito dall’amministrazione non esisteva prima, es. Concessione di cittadinanza).
Il problema delle concessioni è che lo Stato dà un vantaggio al privato, che comporta anche la possibilità di avere una
remunerazione e guadagnare, quindi il problema dell’evidenza di pubblica, cioè di garantire l’imparzialità e la parità di trattamento
tra le imprese che aspirano a gestire quel servizio. Quindi, tutto deve essere conforme alle regole della concorrenza.
Poteri riduttivi:
1) POTERE ABLATORIO: può essere PERSONALE, REALE o OBBLIGATORIO. Il potere ablatorio personale incide sui diritti personali e
limita le facoltà di scelta del singolo, es. ordini della pubblica amministrazione, nella forma dei comandi (ordine di facere) o dei
divieti (ordine di non facere). Il potere ablatorio reale incide sui diritti reali, cioè diritto di proprietà o altri, es. espropriazione per
pubblica utilità. Il potere ablatorio è obbligatorio quando l’amministrazione sta determinando un’obbligazione in capo al privato, per
lo più di natura patrimoniale, es. obbligazione tributaria (obbligo di pagare le imposte).
L’espropriazione, come dice la Costituzione, è un modo di acquisto a titolo originario della proprietà o di altro diritto reale in favore
dell’espropriante (normalmente la p.a., ma potrebbe essere anche un privato), con contestuale estinzione del diritto di proprietà o
di altro diritto reale in capo al privato (espropriato), per motivi di interesse generale e dietro pagamento di un indennizzo nei casi
previsti dalla legge. Quindi, principio di legalità, pagamento di un indennizzo e motivi di interesse generale (es. opera pubblica,
strada, scuola).
Dichiarazione di pubblica utilità: atto con il quale l’amministrazione manifesta la sua volontà di espropriare per motivi di interesse
pubblico. Il d.p.r. 327/2001 regola il procedimento di espropriazione.
Le fasi principali dell’espropriazione per pubblica utilità sono sostanzialmente tre:
a) DICHIARAZIONE DI PUBBLICA UTILITÀ: è un atto con il quale l’amministrazione manifesta la sua volontà di espropriare per
motivi di interesse pubblico. Può essere ESPRESSA, fatta con un atto ad hoc, o IMPLICITA, quindi contenuta in altri atti,
come ad esempio un piano urbanistico, che appone dei vincoli, cioè i vincoli espropriativi.
b) Consiste nell’offerta che l’amministrazione fa di una somma di denaro al privato: quantifica l’indennizzo che spetterà al
soggetto espropriato. Egli può accettare la somma di denaro (indennità provvisoria); viene stipulato un accordo di cessione
volontaria, che è un atto di compravendita, e il procedimento si chiude. Se viene concluso l’accordo, il privato ha diritto ad
una maggiorazione sull’indennizzo del 10% (per incentivare il privato a chiudere l’accordo).
c) La seconda possibilità è che non accetta e non si conclude l’accordo. In questo caso, l’amministrazione emana UN DECRETO
DI ESPROPRIO, con il quale espropria la proprietà o altro diritto reale e versa questa somma.
Nel caso dell’espropriazione entra in gioco l’articolo 1 primo protocollo della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che tutela il
diritto di proprietà. Qui si sono creati i problemi. Il diritto di proprietà non più un diritto inviolabile. Il problema principale è la
quantificazione dell’indennizzo. Prima, con le leggi del 1800, l’indennizzo doveva essere un serio ristoro e doveva essere parificato al
valore venale del bene (di mercato).
Con la Costituzione e il codice civile, il diritto di proprietà non è più fondamentale ed inviolabile. Allora vengono emanate una serie
di leggi che quantificano questo indennizzo in misura molto inferiore rispetto al valore di mercato. Queste leggi prevedevano che
l’amministrazione potesse espropriare la proprietà dietro pagamento di un indennizzo che era pari alla semi somma tra il valore
venale e il valore dominicale ridotto del 40% (era una somma che corrispondeva a circa il 30% del valore venale).
Questo sistema confliggeva con le regole della CEDU, per cui il diritto di proprietà è fondamentale. In questa logica, la Corte europea
dei diritti dell’uomo ha sanzionato l’Italia perché prevede un indennizzo non parificato al valore venale. La Corte Costituzionale le
sentenze gemelle 348-349/2007 ed una successiva sentenza del 2011 ha dichiarato l’incostituzionalità delle norme che prevedevano
l’indennizzo con questo criterio della semi somma e da quel momento in poi l’indennizzo deve essere pari al valore di mercato.
L’indennizzo può variare; può essere aumentato (10% in caso di accordo; può essere ridotto, in un caso specifico, del 25% se
l’intervento dell’amministrazione è di riforma pubblico-sociale (es. edilizia di case popolari).
Altri poteri ablatori reali sono l’occupazione di urgenza, la requisizione d’uso, la confisca e il sequestro.
- L’occupazione d’urgenza è un provvedimento ablatorio reale previsto nel procedimento di esproprio. La pubblica amministrazione,
per ragioni di urgenza, occupa un terreno finalizzato all’esproprio. Ha carattere temporaneo.
- La requisizione d’uso è un potere ablatorio reale a carattere temporaneo, dietro pagamento di un indennizzo, per ragioni di
urgenza (normalmente viene esercitata quando l’amministrazione ha un interesse immediato ed urgente a reperire un immobile per
soddisfare interessi della collettività).
- La confisca è un provvedimento ablatorio reale che ha carattere sanzionatorio (è stato commesso un illecito, es. abuso edilizio →
confisca dell’immobile abusivo). Comporta l’acquisto del diritto di proprietà a titolo originario (da un privato alla p.a.), però con
natura sanzionatoria.
- Il sequestro è un provvedimento ablatorio reale che ha natura cautelare (il bene presenta un pericolo, es. immobile che sta per
crollare, alimenti scaduti).
2) POTERE SANZIONATORIO: è attribuito all’autorità giudiziaria, ma anche all’amministrazione, che può applicare le sanzioni
amministrative, le quali si distinguono da quelle penali. È un potere che ha l’amministrazione di applicare la sanzione in virtù di una
condotta antigiuridica (violazione di una norma non penale). Le sanzioni amministrative sono disciplinate dalla L. 689/1981, che
sancisce alcuni principi in materia di potere sanzionatorio.
Art. 1, comma 1: “Nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore
prima della commissione della violazione.”
Comma 2: “Le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in essi considerati.”
Nel diritto amministrativo, rispetto alle sanzioni amministrative, ritroviamo gli stessi principi del diritto penale:
- Principio di legalità rispetto alle fonti: solo la legge può prevedere sanzioni (legge statale, legge regionale), ma non è
previsto nella Costituzione.
- Principio di tassatività rispetto all’interpretazione: divieto di analogia in malam partem. La norma non può essere applicata
oltre i casi in essa previsti (contro il reo). La differenza è che nel diritto penale esiste anche l’analogia in bonam (anche in
favore del reo), nel diritto amministrativo non c’è (non è in gioco la libertà personale).
- Principio di irretroattività: sfavorevole, ma non principio di irretroattività favorevole (come nel diritto penale). Nessun può
essere assoggettato aduna sanzione amministrativa se non in virtù di una legge entrata in vigore prima della commissione.

C’è sempre una legge che dà delle garanzie al privato:


 1^ garanzia: TASSATIVITÀ delle sanzioni amministrative (solo quelle previste per legge possono essere applicate)
 2^ garanzia: esiste un procedimento prevede che quando commetto un illecito l’amministrazione debba accertare e
contestare questo illecito.
 Poi esiste un procedimento che dà la garanzia di partecipare (audizione del privato)
 Notifica (fase finale): la sanzione deve essere portata a conoscenza del singolo perché possa produrre un effetto giuridico.
Non esiste una definizione di sanzione. Questo ha portato dei problemi perché nell’ordinamento europeo ci sono dei principi di
tutela del singolo anche per le sanzioni: divieto di bis in idem, cioè non posso essere soggetto a più sanzioni per lo stesso fatto.
Mentre il nostro ordinamento è formalista (considera soprattutto le sanzioni penali), l’ordinamento europeo è più sostanzialista: è
sanzione non solo quella penale, che limita la libertà personale, ma anche confisca e ingente somma di denaro. Ci sono delle leggi,
come il testo unico in materia finanziaria, che per alcuni reati (es. illecito di abuso finanziario) prevedono una sanzione penale e una
sanzione amministrativa. Inoltre, la somma richiesta è troppo ingente e gravosa, quindi considerata equiparabile alla sanzione
penale. L’UE ha condannato l’Italia perché applica due sanzioni allo stesso fatto, per violazione del bis in idem.
3) POTERE DI PIANIFICAZIONE o programmazione: emanare piani che possono incidere su vari settori, es. paesaggistica, scolastica,
urbanistica. C’è una gerarchia tra i piani: piano superiore (meno dettagliato) detta delle direttive al piano inferiore (più dettagliato),
che deve rispettare.
Il piano, però, è un provvedimento a contenuto generale: non ha dei destinatari predeterminati ex ante al momento
dell’emanazione del piano, ma determinabili ex post. Il piano può apporre dei vincoli sulla proprietà: di tipo conformativo o di tipo
espropriativo. Il primo regola le proprietà di un’area in modo generalizzato e conforme. Il secondo vincola una specifica proprietà al
punto che è come se la espropriasse (equiparato all’espropriazione per pubblica utilità).
4) POTERE DI CERTIFICAZIONE: potere che ha l’amministrazione di attribuire certezza legale a determinati fatti. Il fatto fa piena prova
fino a prova contraria, es. attività del notaio.
5) POTERE DI ORDINANZA: potere di emanare un provvedimento in situazioni di necessità ed urgenza per ragioni contingibili che ha
la particolarità di derogare al principio di legalità. Non ha un contenuto predeterminato dalla legge.
6) POTERE DI CONTROLLO: controllare che un’attività sia conforme ad un parametro di legge o di merito, per poi emanare un
provvedimento successivo.

Lezione 13
IMPIEGO PUBBLICO
Completiamo l’argomento del “Sistema di misurazione e valutazione della performance.”
È uno strumento introdotto dal legislatore che serve a valutare sia l’attività dei dipendenti pubblici, sia l’attività complessiva svolta
dalle pubbliche amministrazioni. Il passaggio epocale introdotto dal d.lgs. 150/2009 è quello di aver costruito un sistema di
monitoraggio delle attività che serve a verificare come ha operato la pubblica amministrazione, se ha raggiunto gli obiettivi che
aveva individuato (la governance) e se è stata efficiente ed efficace nella sua azione. In questo quadro molta importanza ha la
partecipazione del cittadino, il quale parteciperà all’attività valutativa svolta da organi indipendenti, gli oiv, che monitorano e
controllano se effettivamente quanto svolto dall’amministrazione corrisponde al vero.
La valutazione, e quindi il controllo sulla valutazione del personale, spetta ai dirigenti (organi esponenziali della p.a.). Questa
valutazione deve essere a sua volta verificata dall’oiv. Quindi, il dirigente fa una autovalutazione delle sue attività e una valutazione
dell’ufficio che da lui dipende.
La valutazione del personale non è fatta in maniera discrezionale e svincolata da regole, ma è fatta attraverso l’applicazione delle
regole di monitoraggio, stabilite dalla stessa pubblica amministrazione seguendo le linee dell’ANAC. I dirigenti non fanno una
valutazione astratta del personale, ma dipende da quello che il dipendente ha realizzato nel corso dell’anno, da quelli che sono gli
obiettivi raggiunti e, se non li ha raggiunti, sarà una valutazione negativa, che può portare al licenziamento del dipendente. I
dirigenti vengono valutati dall’organo di vertice amministrativo, direttore generale o segretario generale, che a sua volta viene
valutato dall’organismo di vigilanza indipendente. Non esistono soggetti della pubblica amministrazione che non siano a loro volta
controllati e valutati. Ovviamente, la valutazione non si estende all’organo politico, perché la sua valutazione è nelle urne (corpo
elettorale).
Il sistema di monitoraggio, quindi, è un sistema che ciascuna amministrazione adatta alle proprie necessità, ma ovviamente si basa
su regole comuni per tutti, introdotte e approvate dal Dipartimento della funzione pubblica, Presidenza del Consiglio dei Ministri, e
dall’ANAC. Il piano delle performance, cioè il piano con gli obiettivi che l’amministrazione dovrà perseguire, viene approvato entro il
31 gennaio di ogni anno da tutte le amministrazioni. L’anno successivo c’è la validazione, cioè l’organo di vigilanza deve validare il
piano, ossia verificare, se gli obiettivi sono stati effettivamente raggiunti. Solo se l’organo di vigilanza indipendente attesta e accerta
che gli obiettivi sono stati raggiunti o che comunque il piano è stato approvato secondo le regole, a quel punto si potrà dare seguito
alla retribuzione di risultato, alle premialità, alle assunzioni, da parte della p.a.
Quando l’amministrazione detta gli obiettivi, è ovvio che nel corso dell’anno essi possono essere rimodulati.
Quindi, tutti i dipendenti pubblici sono destinatari di obiettivi.
Gli obiettivi si dividono in due categorie:
- OBIETTIVI GENERALI: dettati dal Governo, riguardano tutte le pubbliche amministrazioni. Negli enti locali è il Consiglio comunale
che li detta documento di programmazione. Es. decreto 33/2013 dice che la trasparenza è un obiettivo strategico di tutte le
pubbliche amministrazioni.
- OBIETTIVI SPECIFICI: dati dai singoli dirigenti, riguardano ciascuna amministrazione per la propria competenza e funzione.
Art. 4 d.lgs. 150/2009: “Il ciclo di gestione della performance si articola nelle seguenti fasi:
a) Definizione e assegnazione degli obiettivi (del singolo e dell’intero ufficio, quindi del dirigente), dei valori attesi di risultato e
dei rispettivi indicatori.
b) Collegamento tra gli obiettivi e l’allocazione delle risorse
c) Monitoraggio in corso di esercizio
d) Misurazione e valutazione della performance
e) Utilizzo dei sistemi premianti,
f) Rendicontazione dei risultati agli organi di indirizzo politico-amministrativo, ai vertici delle amministrazioni, nonché ai
competenti organi di controllo interni ed esterni, ai cittadini, ai soggetti interessati, agli utenti e ai destinatari dei servizi.”
Ciò serve a rendere il singolo dipendente partecipe della struttura a cui appartiene. Con la valutazione del singolo dipendente
l’amministrazione è in grado di capire chi lavora bene e chi lavora male. Gli obiettivi sono stabiliti sulla base dei piani e sulla base di
indicatori astratti (regole tecniche stabilite dal sistema di monitoraggio).
Questo sistema si controlla attraverso la verifica del risultato, la partecipazione del cittadino (utente finale) e l’indagine sul
benessere organizzativo, cioè sulla partecipazione anche dei dipendenti pubblici alla valutazione attraverso l’espressione delle loro
opinioni (in maniera anonima). Il dirigente può anche autovalutarsi come il migliore di tutti, ma l’organo quando va a verificare se
l’obiettivo è stato raggiunto può riscontrare un’altra realtà. Questo significa che la responsabilità del dipendente esiste (art. 28
Cost.). Quando abbiamo parlato dell’art. 21, d.lgs. 165/2001, abbiamo visto che i dirigenti possono essere valutati o rimossi solo
sulla base del sistema di monitoraggio delle performance.
Torniamo all’art. 4. L’obiettivo ha un indicatore, un peso. Non tutti gli obiettivi sono uguali, perché è diverso il personale. Gli obiettivi
sono variamente individuati dall’amministrazione a seconda della propria organizzazione.
L’obiettivo per essere raggiunto ha bisogno delle risorse. Infatti vediamo il collegamento tra gli obiettivi e le risorse (mezzi finanziari).
Art. 7. Chi svolge l’attività di misurazione e valutazione delle performance? L’organismo indipendente di valutazione, che può essere
monocratico o composto da tre persone. Si diventa componenti dell’oiv di un ente tramite una selezione pubblica. La cosa che
garantisce è che l'ANAC gestisce l’elenco dei componenti dell'oiv. Chi vuole fare parte di un organismo indipendente si deve iscrivere
all’ANAC in un albo nazionale gestito dall’ANAC (per il controllo attinente alla sussistenza dei requisiti di compatibilità) e dal
Dipartimento della funzione pubblica. I requisiti sono stabiliti da un decreto ministeriale (esperienza, titoli, aggiornamento
continuo). Poi, si fanno dei bandi di selezione. Sulla base delle domande pervenute, si scelgono i componenti. Sull’OIV, c’è il
Dipartimento della funzione pubblica, che a sua volta controlla le valutazioni dell’organo di vigilanza e, quindi, la coerenza del
sistema. Ci deve essere una corrispondenza del sistema con il modello generale predisposto dalle autorità nazionali.
Quali sono gli altri attori del sistema? I dirigenti, che assegnano gli obiettivi, controllano e valutano il personale. Ma anche i cittadini
e altri utenti finali in rapporto alla qualità dei servizi resi, partecipando alla valutazione delle performance.
Come funziona il sistema di misurazione e valutazione? Art. 8: “Il sistema di misurazione e valutazione della performance
organizzativa concerne: a) l’attuazione di politiche e il conseguimento di obiettivi collegati ai bisogni e alle esigenze della collettività;
b) l’attuazione di piani e programmi; c) la rilevazione del grado di soddisfazione dei destinatari delle attività e dei servizi; d) la
modernizzazione e il miglioramento qualitativo dell’organizzazione; f) l’efficienza nell’impiego delle risorse, con particolare
riferimento al contenimento ed alla riduzione dei costi, nonché all’ottimizzazione dei tempi dei procedimenti amministrativi. ”
Questo sistema ha come obiettivo il miglioramento della macchina amministrativa. Non può essere considerato obiettivo svolgere il
compito per il quale si è assunti. L’obiettivo è qualcosa in più. Quello che viene apprezzato non è quello che si deve fare.
Efficienza, efficacia, contenimento dei costi, riduzione dei tempi: la chiave è il miglioramento. Se l’obiettivo si raggiunge ci sono i
premi, se non si raggiunge ci sono le penalità.
Art. 9: “La misurazione e la valutazione della performance individuale dei dirigenti e del personale è collegata: a) agli indicatori di
performance relativi all’ambito organizzativo di diretta responsabilità, ai quali è attribuito un peso prevalente nella valutazione
complessiva; b) al raggiungimento di specifici obiettivi individuali; c) alla qualità del contributo assicurato alla performance generale
della struttura, alle competenze professionali e manageriali dimostrate, nonché ai comportamenti organizzativi richiesti per il più
efficace svolgimento delle funzioni assegnate; d) alla capacità di valutazione dei propri collaboratori, dimostrata tramite una
significativa differenziazione dei giudizi.”
Ci sono funzionari che hanno suggerito al proprio dirigente delle modalità organizzative per semplificare e migliorare i tempi del
procedimento. Il dirigente lo segnale; dunque verrà premiato.
Oltre al piano delle performance organizzative, l’amministrazione deve anche annualmente predisporre il “PIANO DELLA
TRASPARENZA E DI PREVENZIONE DELLA CORRUZIONE”.
La L. 190/2012, legge nazionale anticorruzione, ha previsto che tutte le pubbliche amministrazioni annualmente predispongano un
piano di prevenzione della corruzione. Questo piano poi nel tempo ha inglobato il piano della trasparenza. Ogni soggetto pubblico
deve nominare obbligatoriamente un responsabile per la prevenzione della corruzione. Egli ha il compito, all’interno della p.a., di
valutare, gestire, affrontare i rimedi per prevenire la corruzione all’interno dell’ente. Quindi, nel piano l’amministrazione deve
introdurre delle misure che servono a impedire che nella pubblica amministrazione avvengano fenomeno corruttivi.
Quali sono, ad esempio, i comportamenti che devono essere obbligatoriamente seguiti? Innanzitutto, l’amministrazione individua i
settori sensibili, più esposti alla corruzione nella propria p.a. Il legislatore già dice quali uffici sono più esposti (ufficio appalti…).
Ogni anno l'ANAC predispone il Piano Nazionale Anticorruzione, che costituisce un punto di riferimento per tutti i piani.
Una delle misure più importanti è la rotazione del personale: si fa ruotare il personale nell’amministrazione per evitare che si creino
all’interno degli uffici delle rendite di posizione. Altro elemento di cui tenere conto perché obbligatoriamente previsto nel piano
nazionale è l’aggiornamento professionale: formazione e aggiornamento del personale. Più migliora le sue competenze, meno è
esposto all’attività di corruzione.
Quindi, le misure di prevenzione della corruzione sono obbligatorie, ciascuna amministrazione le deve porre in essere. Esiste in tutte
le amministrazioni il responsabile della prevenzione della corruzione. Questo responsabile, individuato dall’organo di vertice, è il
collettore delle segnalazioni.
C’è una responsabilità oggettiva importantissima. Se succedono fenomeni corruttivi nell’amministrazione, ne risponde il
responsabile per la prevenzione. Ovviamente non risponde se dimostra di aver fatto tutto quello che era in suo potere.
Poiché la trasparenza è fondamentale per la prevenzione della corruzione, la legge sulla trasparenza prevede, a sua volta, un
responsabile per la trasparenza e si richiede che sia la stessa persona. Quindi, c’è uno stretto rapporto tra la performance e la
corruzione.

ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA
Quali sono le coordinate preliminari? Procedimento amministrativo, provvedimento amministrativo, atti amministrativi.
Queste definizioni bisogna approfondirle.
L’ATTO AMMINISTRATIVO è una manifestazione di volontà posta in essere dalla pubblica amministrazione nell’esercizio di un potere
attribuitogli dalla norma. È la modalità attraverso la quale si esprime la pubblica amministrazione.
L’atto amministrativo ha una valenza interna all’amministrazione. Se inserita in un complesso che si chiama procedimento, alla fine
di questo procedimento ci sarà un PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO, che rispetto all’atto ha qualcosa di più, in quanto ha la
capacità di incidere verso l’esterno. Il procedimento è un insieme di atti che in sequenza portano all’adozione del provvedimento
finale (manifestazione di volontà verso l’esterno, contiene la decisione: autorizzazione o diniego). L’attività provvedimentale
dell’amministrazione è quella che vogliamo: cioè la decisione.
Come si ottiene il provvedimento? Attraverso un iter che si chiama PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO, composto da una serie di
fasi e di comportamenti. Se manca il procedimento, non ci può essere il provvedimento.
Perché un atto sia amministrativo deve avere delle caratteristiche. Gli elementi essenziali sono:
 Intestazione (deve essere riferibile ad un’amministrazione)
 Forma scritta (condiziona l’esistenza dell’atto)
 Potere
 Oggetto
 Sottoscrizione (di chi l’ha posto in essere)
 Destinatario (c’è chi dice che è necessario; chi dice che non lo è)
Ci sono, però, delle eccezioni alla regola della forma scritta. Infatti ci sono provvedimenti amministrativi che sono verbali, ma che
hanno comunque valore giuridico, ad esempio gli ordini.
Tutta l’attività della pubblica amministrazione è articolata in procedimenti. La L. 241/1990 disciplina il procedimento amministrativo.
Detta delle regole che costituiscono la modalità imparziale tipica di svolgimento del potere. La p.a. sempre e comunque deve
obbligatoriamente seguire queste regole rispetto ad un’istanza o ad atti d’ufficio. Il procedimento amministrativo è la modalità
attraverso la quale si esercita correttamente il potere. Il procedimento ha una durata massima, oltre la quale non si può andare, ma
può essere breve o lungo a seconda della tipologia del procedimento.
Tutte le regole si fondano su un elemento: l’attività amministrativa deve essere il più possibile giusta, imparziale, efficiente, efficace.
Il cittadino può colpire la modalità attraverso la quale si perviene alla decisione, ma non l’esito.
La L. 241 contiene procedimenti standard e procedimenti specifici. I procedimenti a seconda della materia hanno delle regole
differenti.
Il procedimento amministrativo serve a contemperare gli interessi in gioco e verificare quali sono quelli prevalenti: l’interesse del
richiedente è compatibile o collide con l’interesse pubblico?
Nel procedimento amministrativo è fondamentale la partecipazione dell’interessato. Quindi, l’amministrazione deve dialogare con
chi chiede qualcosa. Questo serve a risolvere prima i problemi che eventualmente si potrebbero porre in un secondo momento.
Lezione 14
SVOLGIMENTO DEL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
L’attività della pubblica amministrazione si esercita con il procedimento amministrativo, che attesta l’esercizio del potere pubblico.
L’attività amministrativa ha due modalità di avvio. Il procedimento può essere avviato:
- Su istanza del richiedente, non necessariamente parte privata, può essere anche un’altra amministrazione, ma diversa da
quella di parte che cura il procedimento amministrativo (es. Comune chiede un finanziamento alla Regione);
- Oppure d’ufficio (da parte della stessa amministrativa, es. procedimento espropriativo, sanzionatorio).
Questa differenza è importante perché cambiano le regole e le modalità di conclusione del procedimento.
La prima fase necessaria del procedimento amministrativo è l’INIZIATIVA: qualcuno deve attivare il procedimento.
Vi è, poi, una fase istruttoria, una fase decisionale e una fase integrativa dell’efficacia, quando si chiude con il provvedimento, che
produce effetti nei confronti del destinatario.
Quali sono le regole del potere?
Art. 1, L. 241/1990: i principi sono quelli che devono essere sempre seguiti dalla p.a. nello svolgimento del procedimento.
Comma 2: “La pubblica amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte
dallo svolgimento dell’istruttoria.”
Questa prescrizione normativa è molto importante perché impedisce alla pubblica amministrazione di aggravare, cioè di introdurre
nei procedimenti amministrativi prescrizioni ingiustificate, e soprattutto impedisce all’amministrazione di chiedere o aggravare
procedimenti nei confronti di qualcuno rispetto agli altri. L’amministrazione, nei confronti di chiunque, deve seguire un
procedimento tipizzato. Può l’amministrazione aggravarlo, cioè chiedere dati in più (supplemento di informazioni) rispetto a quelli
che avrebbe chiesto o che ha chiesto in precedenti attività? Lo può fare, ma deve motivare in maniera esplicita, e solo per
straordinarie esigenze.
La regola è che è vietata la richiesta di attività diversa da quella tipica, perché il procedimento deve essere uguale per tutti. Se si
vuole aggravare il procedimento, è necessaria la motivazione.
Comma 1-bis: “La pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto
privato, salvo che la legge disponga diversamente.”
Questa prescrizione, introdotta in una successiva modifica, dimostra che la pubblica amministrazione non è solo un soggetto
pubblico che esercita un diritto pubblicistico, ma opera anche come un soggetto di diritto privato. Quindi, l’amministrazione se
svolge una funzione pubblica esercita il potere in via autoritativa (la sua decisione vincola ciascuno di noi), quando agisce come
soggetto privato opera secondo le regole del diritto privato.
Comma 1-ter: “I soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei principi di cui al comma 1,
con un livello di garanzia non inferiore a quello cui sono tenute le pubbliche amministrazioni.” Il privato che gestisce un servizio
pubblico diventa a sua volta soggetto alle regole pubblicistiche, e quindi alle regole della L. 241/1990 (es. mediante concessione).
Art. 3 denota il cambiamento epocale dell’amministrazione nazionale e l’esistenza del principio di trasparenza: “Ogni
provvedimento amministrativo (tutti), compresi quelli sull’organizzazione, lo svolgimento dei concorsi ed il personale, deve essere
motivato.
La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione,
in relazione alle risultanze dell’istruttoria.”
Prima del 1990 i provvedimenti amministrativi non dovevano essere motivati necessariamente. Solo negli ultimi tempi (anni '80),
grazie all’interpretazione della giurisprudenza, si è ritenuto che si dovevano motivare solo i provvedimenti negativi. Quindi,
l’amministrazione godeva di un potere quasi assoluto.
Nel 1990 si è chiuso ogni varco: tutti i provvedimenti, positivi e negativi, devono essere motivati. Oggi chiunque abbia interesse può
sapere perché una persona ha avuto qualcosa o perché non l’ha avuta. Tutti i provvedimenti non motivano sono illegittimi (il
soggetto fa ricorso al Tar, che li annulla). Si può contestare la mancata motivazione e la motivazione che non ha le indicazioni
principali. La motivazione deve indicare ed esplicitare in modo chiaro i presupposti di fatto (circostanze fattuali che hanno portato
all’adozione del provvedimento) e le ragioni giuridiche (riferimenti normativi che l’amministrazione deve richiamare per giustificare
la propria decisione).
La mancanza di motivazione è violazione di legge. Un atto privo di motivazione è un atto illegittimo (violazione dell’art. 3 L. 241). Se
l’atto è motivato male, il vizio è eccesso di potere. Se c’è, ma è insufficiente, erronea, è illegittima. Se non metto la motivazione, è
violazione di legge. La mancata motivazione porta alla nullità?
La nullità di un provvedimento è collegata alla mancanza degli elementi essenziali. La motivazione è un elemento importante, ma
non essenziale. Se manca la motivazione, il provvedimento non diventa nullo, ma è viziato per violazione di legge.

Se la motivazione deve essere collegata alle risultanze dell’istruttoria (documenti presenti nel fascicolo del procedimento), vuol dire
che la motivazione si deve fondare su quelle che sono le informazioni che stanno nel procedimento. Quindi l’ente pubblico non può
decidere sulla base di notizie acquisite diversamente.
I dati dell’istruttoria sono accessibili ai terzi. Questo dimostra come l’attività dell’amministrazione debba essere imparziale,
oggettiva, chiara, trasparente.
L’eccezione alla regola generale è al comma 2: “Non si devono motivare gli atti normativi e quelli a contenuto generale (es.
regolamento, bando, piano regolatore).” Il motivo è che non sono atti direttamente lesivi della posizione giuridica del soggetto.
Comma 3: “Se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell’amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla
comunicazione di quest’ultima deve essere indicato e reso disponibile anche l’atto cui essa si richiama.” Questa misura di
semplificazione, che consente il rinvio alle motivazioni di un’altra decisione precedente (allegate o rese disponibili indicando dove
sono), è molto usata nell’ordinamento.
La trasparenza trova la sua concreta attuazione nell’obbligo di motivare i provvedimenti amministrativi.
Comma 4: “In ogni atto notificato al destinatario devono essere indicati il termine e l’autorità cui è possibile ricorrere (per
l’impugnazione).”
Ma qualcosa non quadra rispetto al sistema. Esistono dei provvedimenti amministrativi che oggettivamente non corrispondono a
queste prescrizioni dell’art. 3, ad esempio i voti (non ci sono i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche). La questione è stata
dibattuta per anni in giurisprudenza. È intervenuta la Corte Costituzionale, che ha giustificato l’esistenza del voto numerico come
provvedimento nel nostro ordinamento. Perché è immotivato? Il problema è quello della velocità o rapidità dell’attività
amministrativa. Tuttavia, la graduazione del voto implicitamente spiega il perché (dimostra preparazione sufficiente o meno). Come
ha detto il giudice amministrativo, confermato dalla Corte Costituzionale voto è giustificato ed è motivato se accompagnato da dei
criteri di valutazione certi. Nei concorsi i criteri ci sono.
Art. 2: “Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad una istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio, le pubbliche
amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso (scritto, che deve contenere le
motivazione).”
Questa è la regola generale: l’amministrazione ha l’obbligo di concludere con un provvedimento espresso. Le regole generali si
applicano sempre più in minor parte rispetto alle eccezioni e alle deroghe. Il legislatore mira a semplificare, cioè ad aiutare
l’amministrazione a concludere gli atti. Oggi la maggior parte dei procedimenti si conclude con il silenzio.
“Se ravvisano la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda, le pubbliche amministrazioni
concludono il procedimento con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata, la cui motivazione può consistere in un
sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo.”
La norma mira ad aiutare a semplificare per il cittadino e l’amministrazione l’attività. Prima il sistema era questo: attesa
dell’interessato fino alla risposta dell’amministrazione. Se non risponde, il cittadino non può fare. Il legislatore, invece di semplificare
l’iter, supera il problema dicendo che l’amministrazione non deve più rispondere (fa in modo che non sia più necessario aspettare la
risposta).
Il procedimento diventa sempre più complicato, ma poi si trovano i modi per non fare il procedimento.
- L’istanza è irricevibile perché fuori termine (non è pervenuta entro il termine specifico, collegata alla tardività).
- Inammissibile è quando il soggetto richiedente non ha i requisiti previsti.
- Improcedibile è quando la domanda non può proseguire, perché viene meno una condizione
- Manifesta infondatezza nel merito quando viene richiesto qualcosa che certamente non spetta.

Lezione 15
Art. 29, L. 241/1990 estende la disciplina del procedimento amministrativo a tutte le pubbliche amministrazioni.
Il problema si pone in base al fatto che l’autonomia costituzionale degli enti locali non si concilia bene con l’idea che lo Stato debba
stabilire come si deve svolgere un procedimento e quanto dura. Un ente locale perché non può dettare proprie regole sui propri
procedimenti? Quindi, lo Stato ha dovuto costruire attraverso l’art. 29 un sistema in base al quale tutta l’attività procedimentale
viene attratta nella competenza esclusiva dello Stato. Qualunque normativa degli enti locali che riguarda il procedimento non può
mai prevedere un sistema differente o peggiorativo rispetto a quello che è previsto dalla normativa nazionale.
Il vantaggio della L. 241 è che le norme hanno un carattere generale ed immodificabile da parte dei soggetti.
“Le disposizioni della presente legge si applicano alle amministrazioni statali e agli enti pubblici nazionali.”
Comma 2: “Le Regioni e gli enti locali regolano le materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto del sistema costituzionale e
delle garanzie del cittadino nei riguardi dell'azione amministrativa, così come definite dai principi stabiliti dalla presente legge.”
Questi principi condizionano l’esercizio del potere amministrativo delle Regioni e degli enti locali.
In questa materie nessuna struttura locale può mai derogare: sono temi che non possono essere modificati dagli enti locali.
Comma 2-bis: “Attengono ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117 (cioè alla competenza esclusiva dello Stato) della
Costituzione le disposizioni della presente legge concernenti gli obblighi per la pubblica amministrazione di garantire la
partecipazione dell’interessato al procedimento, di individuarne un responsabile, di concluderlo entro il termine prefissato e di
assicurare l’accesso alla documentazione amministrativa, nonché quelle relative alla durata massima dei procedimenti.”
Comma 2-ter: “Attengono altresì ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117 della Costituzione le disposizioni della
presente legge concernenti la dichiarazione di inizio attività e il silenzio assenso e la conferenza di servizi, salva la possibilità di
individuare casi ulteriori in cui tali disposizioni non si applicano .”
Tutto il contenuto della 241 è rigorosamente attratto nella competenza esclusiva dello Stato. Questo vuol dire che qualunque
normativa regionale collida con una normativa statale, prevale sempre e comunque la disciplina statale (sia fonti primarie, sia fonti
secondarie).
Una volta che noi abbiamo una competenza esclusiva dello Stato sulla 241, mettiamo che c’è una legge regionale sul diritto di
accesso che contrasta con il regolamento governativo esecutivo della L. 241. Quale norma si applica al diritto di accesso? Il
regolamento dello Stato (anche se si tratta di regolamento / legge). Il criterio delle fonti risente del criterio della competenza.
L’art. 2 L. 241 è importante perché disciplina la DURATA del procedimento amministrativo. Esso ha una durata massima
predeterminata dalla legge.
Comma 2: “Nei casi in cui disposizioni di legge ovvero i provvedimenti di cui ai commi 3, 4 e 5 non prevedono un termine diverso, i
procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali devono concludersi entro il
termine di 30 giorni.”
Qualunque procedimento amministrativo deve concludersi entro un termine di 30 giorni, se la legge non dice nulla. Il cittadino che
fa una istanza sa che troverà una risposta o no entro 30 giorni. Questa è la regola generale.
Cosa succede se vengono superati i 30 giorni? La norma dice che il termine è 30 giorni, salvo che la legge non preveda un termine
diverso. Norme primarie possono prevedere termini più lunghi.
Nel diritto amministrativo non si può gestire un procedimento sulla base di quello che si pensa di sapere, ma bisogna guardare le
norme che attribuiscono il potere (se la legge prevede un termine diverso).
Comma 3: “Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri competenti e del ministro della
Pubblica amministrazione, sono individuati i termini non superiori a 90 giorni entro i quali si devono concludere i procedimenti di
competenza delle amministrazioni.”
Quindi, le amministrazioni possono individuare termini più lunghi di 30 giorni, ma entro i 90 giorni.
Lo Stato o le amministrazioni in via preventiva pubblicano sui siti istituzionali o sulla G.U. (nel caso di decreto del P.C.M.) gli elenchi
dei procedimenti che durano 90 giorni.
Quando è stata fatta la legge 241, e fino a pochi anni fa, il termine ordinario per la conclusione dei procedimenti amministrativi non
era di 30 giorni, ma di 90 giorni. Poi, in un periodo nel quale l’amministrazione doveva fare tutto rapidamente, si è ridotto il termine
a 30 giorni.
Comma 4 prevede un’ulteriore deroga: “Nei casi in cui, per motivi organizzativi, la sostenibilità dei tempi, la natura degli interessi
pubblici tutelati, la particolare complessità del procedimento (valutazioni che l’amministrazione fa ex ante) sono indispensabili
termini superiori a 90 giorni, i decreti sono adottati anche su proposta del ministro della pubblica amministrazione e previa
deliberazione del Consiglio dei Ministri.
I termini ivi previsti non possono comunque superare i 180 giorni, con la sola esclusione dei procedimenti di acquisto della
cittadinanza italiana e di quelli riguardanti l’immigrazione .”
Non è più soggettiva, ma è l’intero Consiglio che delibera i termini, che non possono comunque superare i 180 giorni.
Nel nostro ordinamento giuridico, alcuni procedimenti amministrativi possono durare più di 180 giorni, perché è talmente
importante il valore che lo Stato vuole proteggere, che per essere definiti hanno bisogno di molto tempo.
Quindi, i termini sono 30 – 90 - 180. In Italia, non potrebbe esserci nessun procedimento più lungo di 180 giorni (termine massimo).
Ma ci sono delle esclusioni: procedimenti legati alla cittadinanza e all’immigrazione.
Nel comma 2 dell’art. 2 c’è il richiamo al comma 5, che riguarda le autorità di garanzia e di vigilanza, le quali disciplinano, in
conformità ai propri ordinamenti, i termini di conclusione dei procedimenti di rispettiva competenza.
Le authorities indipendenti si danno una propria tempistica, ma quasi sempre coincide con quella di legge.
I 180 giorni non sono ordinari, ma sono una misura temporale eccezionale, che ha bisogno di una previa motivazione
dell’amministrazione.
Quando partono i 30 giorni?
Comma 6: “I termini decorrono dall’inizio del procedimento d’ufficio o dal ricevimento della domanda se il procedimento è ad
iniziativa di parte.” La legge distingue a seconda della modalità di avvio.
La regola generale è che quando noi inoltriamo un’istanza e questa arriva, da quel momento partono i 30 giorni.
L’amministrazione potrebbe oggi ricevere la raccomandata, ma, per problemi organizzativi interni, tra oggi e quando la pratica arriva
all’ufficio del dirigente passano 7 giorni. I 30 giorni partono da quando il cittadino deposita l’istanza e arriva all’amministrazione; il
fatto che arrivi tardi al dirigente (o che il funzionario competente sia in ferie) è irrilevante.
La legge impone all’amministrazione di rispondere dal momento in cui è arrivata l’istanza; l’amministrazione entro il termine deve
completare il procedimento.

L’istanza deve essere sottoscritta? La regola generale è semplice:


- Se il cittadino firma davanti al funzionario che accerta, lui deve accettare la domanda e la fotocopia del documento non serve.
- Se porta il documento firmato a casa o manda un fax o email, deve allegare sempre e comunque una fotocopia del documento di
identità (per capire chi ha firmato, in quanto il funzionario non l’ha visto).
Le autenticazioni sono illegittime. Il documento scaduto vale comunque per legge, in quanto ci sono dati permanenti.
Quando l’utente chiede qualcosa, per qualunque istanza, c’è l’obbligo per l’amministrazione di rispondere. Quindi, è fondamentale
capire quando partono i termini del procedimento.
Art. 18-bis: “Dell’avvenuta presentazione di istanze, segnalazioni o comunicazioni è rilasciata immediatamente, anche in via
telematica, una ricevuta, che attesta l'avvenuta presentazione dell'istanza, della segnalazione e della comunicazione e indica i
termini entro i quali l'amministrazione è tenuta, ove previsto, a rispondere, ovvero entro i quali il silenzio dell'amministrazione
equivale ad accoglimento dell'istanza.” 
La legge obbliga l’amministrazione al rilascio della ricevuta, perché quello è il momento in cui inizia il procedimento e in base al
quale si calcolano i termini (da cui partono i 30 giorni).
Questa norma si legge insieme ad un altro aspetto: quello che obbliga l’amministrazione a pubblicare sui siti.
Quando si dialoga con l’amministrazione è molto importante capire qual è la data, che sta nella ricevuta che si accompagna
all’istanza. Laddove non vi sia la ricevuta, bisogna dimostrare di aver consegnato la prova attraverso i normai mezzi (ricevuta di
ritorno, timbro, email, pec).
Torniamo al comma 6 dell’art. 2. Tutto quello che accade nell’amministrazione (malattie, chiusure, disinfestazioni…) al cittadino non
interessa. Esiste uno strumento giuridico che condanna l’amministrazione, a prescindere dal fatto se l’utente ha diritto o meno a
quello che ha chiesto. La mancata risposta è comunque una penalità, che fa avere il procedimento disciplinare anche nel caso in cui
al cittadino non spettava niente. L’amministrazione deve in ogni caso rispondere (c’è l’obbligo di risposta). Ecco il dovere di
conclusione del procedimento amministrativo.
Comma 7: “I termini possono essere sospesi per una sola volta e per un periodo non superiore a 30 giorni per l’acquisizione di
informazioni o certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell’amministrazione stessa o
non acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni.”
Un procedimento amministrativo non può essere interrotto, ma va completato.
Questa norma è fondamentale perché vuol dire che l’amministrazione non può chiedere all’utente cose che già conosce o dati che
può prendere da altre amministrazioni. Nella fase istruttoria l’amministrazione deve verificare tutti i dati che riguardano il cittadino,
ma non chiedendoli direttamente a lui.
La regola è che l’amministrazione non può chiedere nulla che non possa acquisire da altri, purché il richiedente abbia dato l’indizio
per la ricerca di quello che serve. L’amministrazione scrive all’utente perché gli manca l’indicazione per integrare la
documentazione; se l’utente non risponde l’istanza diventa improcedibile.
Inoltre, la regola oggi è che tutto si autocertifica. L’amministrazione che accetta un certificato commette un illecito; il certificato è
nullo e l’istanza viene rigettata. L’obbligo legale è l’autocertificazione. Ma l’amministrazione rilascia ancora certificati perché
servono nei rapporti tra privati.
Bisogna approfondire la differenza tra le dichiarazioni sostitutive della certificazione e dichiarazioni sostitutive dell’atto notorio.
L’atto notorio non può essere sostituito da un atto pubblico (noi dichiariamo fatti, stati, e qualità che solo noi conosciamo perché
privati); invece la certificazione corrisponde ad un dato che sta nei registri pubblici (noi lo certifichiamo, l’amministrazione
controlla). Nei concorsi pubblici si partecipa solo con le autocertificazioni: quando si vince, prima di essere assunto, si dimostra il
possesso di tutto quello che è stato dichiarato.

Lezione 16
Concludiamo l’esame dei principi e termini del procedimento amministrativo.
D.lgs. 33/2013 “Codice della Trasparenza”. In questo decreto sono elencati tutti i documenti che l’amministrazione
obbligatoriamente deve pubblicare sui propri siti istituzionali.
Art. 13: “Le pubbliche amministrazioni pubblicano e aggiornano le informazioni e i dati concernenti la propria organizzazione,
corredati dai documenti anche normativi di riferimento. Sono pubblicati, tra gli altri, i dati relativi
a) agli organi di indirizzo politico e di amministrazione e gestione, con l'indicazione delle rispettive competenze; 
b) all'articolazione degli uffici, le competenze e le risorse a disposizione di ciascun ufficio, anche di livello dirigenziale non generale, i
nomi dei dirigenti responsabili dei singoli uffici;
c) all'illustrazione in forma semplificata, ai fini della piena accessibilità e comprensibilità dei dati, dell'organizzazione
dell'amministrazione, mediante l'organigramma o analoghe rappresentazioni grafiche;
d) all'elenco dei numeri di telefono nonché delle caselle di posta elettronica istituzionali e delle caselle di posta elettronica certificata
dedicate, cui il cittadino possa rivolgersi per qualsiasi richiesta inerente i compiti istituzionali.”
Il cittadino invia la sua richiesta all’indirizzo che l’amministrazione ha messo sul sito. L’amministrazione deve organizzarsi in modo
tale da poter gestire l’informazione e farla andare avanti nei singoli uffici. Poi ci sarà la necessità di far transitare l’informazione
all’ufficio competente. I 30 giorni decorrono da quando il cittadino ha comunicato la richiesta all’amministrazione.
Questo perché nelle pubbliche amministrazioni esiste anche un sistema di protocollazione automatica, che porta tutto ad un ufficio,
che deve distribuire l’informazione ad uffici differenti. Altre amministrazioni, invece, hanno un sistema differenziato: la richiesta
arriva direttamente al funzionario.

Torniamo all’art. 2, comma 8, d.lgs. 241/1990: “La tutela in materia di silenzio dell’amministrazione è disciplinata dal codice del
processo amministrativo (cioè le conseguenze rispetto al silenzio della p.a.). Le sentenze passate in giudicato che accolgono il ricorso
proposto avverso il silenzio inadempimento dell'amministrazione sono trasmesse, in via telematica, alla Corte dei conti.”
La p.a. ha il dovere di concludere il procedimento con un provvedimento espresso; il procedimento ha una durata; c’è l’obbligo di
risposta. Si è posto un problema: se io non rispondo nel termine previsto, cosa succede? La mancata risposta dell’amministrazione
nei termini equivale a silenzio. Si parla di SILENZIO INADEMPIMENTO.
La mancata risposta non vuol dire che il cittadino ha diritto a quello che ha chiesto. Non è né un’accettazione, né un rifiuto.
Quali sono le conseguenze per l’amministrazione?
A) Contro il silenzio dell’amministrazione si fa ricorso al Tar: il cittadino può rivolgersi immediatamente al giudice amministrativo per
difendersi contro l’inerzia dell’amministrazione. Lo schema è Istanza – domanda – mancata risposta – silenzio. Questo vale anche se
il procedimento è d’ufficio.
Se una sentenza accerta che l’amministrazione ha sbagliato, quale è la conseguenza ulteriore per il singolo funzionario? Le sentenze
vengono trasmesse alla Corte dei Conti. La Corte dei Conti (giudice contabile) si occupa di accertare gli eventuali danni al pubblico
erario, cioè alle risorse pubbliche. Se non avendo risposto, il funzionario ha causato un danno patrimoniale all’amministrazione e al
cittadino, la Corte dei Conti potrebbe condannare il funzionario che non ha risposto.
B) Comma 9: “La mancata o tardiva emanazione del provvedimento costituisce elemento di valutazione della performance
individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente.” Quindi, il
funzionario è passabile di una sanzione disciplinare da parte dell’amministrazione. Inoltre, in sede di valutazione delle performance,
verrà valutato in negativo per inadempimento.
Questa forma di responsabilità non è necessariamente collegata al cittadino che denuncia. Se aspettiamo il cittadino che segnala,
nessuno fa niente. Per questo esiste il sistema di valutazione delle performance: anche se nessuno si è lamentato, l’amministrazione
va a controllare come il funzionario si è comportato.
Comma 9-quater: “Il responsabile, entro il 30 gennaio di ogni anno, comunica all’organo di governo comunica all'organo di governo,
i procedimenti, suddivisi per tipologia e strutture amministrative competenti, nei quali non è stato rispettato il termine di conclusione
previsto dalla legge o dai regolamenti.”
Quindi anche se nessuno citta si lamenta dell’attività l’amministrazione, si va verificare, tenendo conto della lista dei procedimenti,
chi ha violato i termini e chi li ha rispettati. Questo serve nell’ottica della valutazione della performance. Il risultato negativo incide,
poi, sul raggiungimento degli obiettivi. Quindi, ciò che dice il dirigente viene confrontato dall’organo di vigilanza indipendente sulla
base dei dati oggettivi.
Comma 9-quinquies: “Nei provvedimenti rilasciati in ritardo su istanza di parte sono espressamente indicati il termine previsto dalla
legge o dai regolamenti e quello effettivamente impiegato.”
L’amministrazione dovrebbe confessare nel provvedimento di aver fatto tardi. Ovviamente, questa prescrizione normativa non è
sempre seguita dalla p.a.
Esistono degli inadempimenti che non hanno un effetto negativo. Ciononostante l’amministrazione dovrebbe punire il funzionario.
Le azioni su istanza dell’interessato sono condizionate dall’esito del procedimento, perché se ho ottenuto quello che volevo, anche
in ritardo, sono contento. Manca, in questo caso, la segnalazione del cittadino. Per la p.a. è diverso: l’ufficio ha comunque operato in
ritardo. L’importante è che il funzionario segnali la situazione di insofferenza. Il dirigente lo sa ma non fa nulla. L’amministrazione
continua a pagare per ritardo, ma in questo caso il funzionario è esente da responsabilità. Dunque, risponderà l’amministrazione.
L’altro caso è quello in cui il funzionario non avvisa il dirigente del ritardo e viene chiamato a rispondere. In questo caso, c’è la
responsabilità in capo all’ente e la responsabilità individuale.
È evidente che un ufficio in carenza di organico non può rispettare i tempi del procedimento. Il legislatore deve consentire di
recuperare gli organici rimasti scoperti, non inasprire le sanzioni. Invece funziona così: blocco delle assunzioni; carenza di fondi;
chiusura degli uffici; sanzioni per chi non fa le cose (anche se non ce la fa perché troppe cose da fare).
Proprio perché le amministrazioni non riescono a fare fronte a tutto il carico che pende sulle loro spalle, possono superare il
problema grazie al SILENZIO SIGNIFICATIVO: cioè in una molteplicità di procedimenti la mancata risposta equivale o a risposta
negativa o a risposta positiva. Le norme ci dicono quando il silenzio è significativo e quando non lo è.
Lo Stato deve perseguire l’efficienza della p.a. È previsto un termine breve di 30 giorni per fare un provvedimento. In 30 giorni molti
procedimenti non possono essere completati. Il legislatore invece di semplificare la procedura e dare gli strumenti
all’amministrazione si è inventato il silenzio significativo.
Oltre il 70% delle istanze non viene controllato. I controlli si fanno a campione; quindi il legislatore consente che quelli non
controllati possono fare quello che vogliono. Il controllo si fa consultando le banche dati che non esistono, quindi si fa chiamando o
mandando email all’altra amministrazione.
Il silenzio inadempimento non ha alcun significato giuridico, è inerzia della p.a.
La legge ci dice che in taluni casi, a protezione del cittadino per semplificare le attività economiche, il legislatore ha detto che il
silenzio equivale ad accoglimento della domanda, in altri casi equivale al rigetto della domanda. Il cittadino lo sa studiando il diritto
amministrativo.
Comma 9-bis: “L’organo di governo individua, nell’ambito delle figure apicali dell’amministrazione (dirigenti, segretario generale,
direttore generale, quindi funzionari di alto livello), il soggetto cui attribuire il potere sostitutivo in caso di inerzia (inadempimento).
Nell’ipotesi di omessa individuazione il potere sostitutivo si considera attribuito al dirigente generale o, in mancanza, al dirigente
preposto all’ufficio o in mancanza al funzionario di più elevato livello presente nell’amministrazione. Per ciascun procedimento sul
sito internet istituzionale dell’amministrazione è pubblicata, in formato tabellare e con collegamento ben visibile nella homepage,
l’indicazione del soggetto a cui è attribuito il potere sostitutivo e a cui l'interessato può rivolgersi.”
Vale solo per l’inadempimento. Il legislatore è furbo perché l’amministrazione deve nominare un funzionario, ma se non lo fa allora
il cittadino non può far niente. Quindi, aggiunge una regola: la legge individua il titolare del potere sostitutivo. Il cittadino si può
rivolgere a lui, il quale nella metà del tempo originariamente previsto provvede lui al posto del funzionario.
Il cittadino ha 4 soluzioni all’inadempimento dell’amministrazione:
a) Si rivolge al Tar
b) Fa il ricorso al potere sostitutivo
c) Fa una diffida notificata per l’omissione di atti d’ufficio
d) Non fa niente e aspetta.
Il funzionario inadempiente non sa cosa può fare il cittadino.
“Tale soggetto, in caso di ritardo, comunica senza indugio il nominativo del responsabile, ai fini della valutazione dell’avvio del
procedimento.”
Il funzionario apicale segnala il responsabile per l’avvio del procedimento disciplinare.
Comma 9-ter: “Decorso inutilmente il termine per la conclusione del procedimento, il privato può rivolgersi al responsabile di cui al
comma 9-bis perché, entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto, concluda il procedimento attraverso le
strutture competenti o con la nomina di un commissario.”
Il cittadino utente ha uno strumento formidabile per ottenere in un tempo brevissimo quello che cerca.

Lezione 17
La p.a., dovendo completare la sua attività in un termine definito, laddove non riesca a concluderlo nel termine previsto, si parla di
silenzio inadempimento o silenzio non significativo (non ha valore giuridico). Però, l’ordinamento, poiché ha voluto semplificare il
sistema e cercare di evitare che il ritardo dell’amministrazione nelle decisioni comportasse un pregiudizio per gli interessi dei privati,
ha ritenuto di introdurre una nuova fattispecie di silenzio, cioè il silenzio significativo, che si divide in due forme: silenzio assenso;
silenzio rifiuto.
Che cosa significa silenzio assenso? Il legislatore ha individuato alcune categorie di procedimenti amministrativi che si concludono
senza una risposta dell’amministrazione.
Il decorso del tempo senza risposta configura il provvedimento favorevole, equivale ad accoglimento della domanda. Si sostituisce il
pesante lavoro dell’amministrazione di fare il provvedimento con il silenzio. Nell’ipotesi di silenzio rifiuto vale il contrario: decorso il
termine, l’interessato ha ottenuto il provvedimento negativo, quindi la domanda è stata respinta.
Autotutela: l’ordinamento consente all’amministrazione di rivedere i propri provvedimenti. Si parla di annullamento retroattivo.
Quindi, così come può annullare un provvedimento scritto, l’amministrazione può anche annullare un provvedimento orale.
Il legislatore ha semplificato la vita dell’utente, dall’altro lato semplifica l’attività dell’amministrazione.
C’è una ulteriore indicazione. Il silenzio rifiuto o silenzio rigetto, cioè quando il decorso del termine dall’istanza ha valore negativo, è
tassativamente indicato dalla legge. Necessita di una norma specifica.
Il silenzio assenso è generalizzato, non è previsto caso per caso.
Art. 20 L. 241/1990: “Nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio
dell’amministrazione equivale ad accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide.”
Quindi, il silenzio assenso non esiste nei procedimenti d’ufficio. La regola generale è che, qualunque provvedimento il cittadino
chieda, il procedimento ad istanza di parte si chiude con il silenzio assenso.
Una volta passato il silenzio assenso, non si può avere un diniego. Il potere dell’amministrazione si consuma nel termine. Una volta
decorso il termine, non può esercitare il potere, ma può agire con l’autotutela.
La finzione giuridica è come se il 30° giorno l’amministrazione avesse fatto il provvedimento formale favorevole. Quindi, per
rimuoverlo deve essere tolto dal mondo del diritto (non può dire che non spetta più il provvedimento).
“Il silenzio equivale ad accoglimento se la medesima amministrazione non comunica nel termine il provvedimento di diniego ovvero
non procede ai sensi del comma 2. Tali termini decorrono dalla data di ricevimento della domanda del privato. L'amministrazione
competente può indire, entro 30 giorni dalla presentazione dell'istanza, una conferenza di servizi. Nei casi in cui il silenzio
dell'amministrazione equivale ad accoglimento della domanda, l'amministrazione competente può assumere determinazioni in via di
autotutela.”
Il provvedimento negativo, in questo caso, deve essere cartaceo e formale, con le motivazioni.
Comma 4 contiene l’eccezione alla regola del silenzio assenso: casi nei quali non vale il silenzio assenso; l’ordinamento
espressamente lo vieta. Sono tutti quei procedimenti che riguardano materie sensibili, sulle quali lo Stato ha una particolare
attenzione. Sono i procedimenti riguardanti patrimonio culturale e paesaggistico, ambiente, tutela dal rischio idrogeologico, difesa
nazionale, pubblica sicurezza, immigrazione, asilo, cittadinanza, salute, pubblica incolumità.
Tutti questi procedimenti sono equiparati agli atti d’ufficio. La mancata risposta vale come silenzio inadempimento.
Il decorso del termine di conclusione ha vari significati. La norma attributrice del potere lo dice, a seconda dell’istanza.
Art. 19 amplia le ipotesi di silenzio assenso. Riguarda la Scia, segnalazione certificata di inizio attività. Essa diverge da un’istanza
perché ha delle caratteristiche particolari. Essa ha valore per le attività economiche, artigianali, commerciali, edilizie. È una
specificazione dell’art. 20, che è la regola generale.
Non vale per tutte le attività economiche. Il silenzio assenso può valere solo quando l’amministrazione deve verificare la presenza
dei requisiti da parte dell’interessato, non deve esprimere una valutazione tecnica. Invece, ci sono attività economiche che
presuppongono una valutazione dell’amministrazione; quindi, non è possibile la scia.
Art. 17-bis disciplina il silenzio assenso tra le pubbliche amministrazioni. Valgono le stesse regole applicate tra cittadino e
amministrazione: “Nei casi in cui è prevista l'acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati (si chiede qualcosa
all’altro ente che deve rispondere) di amministrazioni pubbliche e di gestori di beni o servizi pubblici, per l'adozione di provvedimenti
normativi e amministrativi di competenza di altre amministrazioni pubbliche, le amministrazioni o i gestori competenti comunicano il
proprio assenso, concerto o nulla osta entro 30 giorni dal ricevimento dello schema di provvedimento.”
Comma 2: “Decorsi i termini di cui al comma 1 senza che sia stato comunicato l'assenso, il concerto o il nulla osta, lo stesso si
intende acquisito.” Nel caso in cui il procedimento riguardi le materie protette, il silenzio vale lo stesso, ma il termine è di 90 giorni. Il
procedimento dura 30 giorni quando non si deve pronunciare un altro ente, non riguarda materie sensibili.

ITER PROCEDIMENTALE
Siamo ancora nella fase istruttoria. La prima cosa da fare (obbligatoria) è nominare il responsabile del procedimento. Qualsiasi
procedimento amministrativo è affidato ad una persona fisica dell’amministrazione, che assume il ruolo di responsabile del
procedimento. Questa persona è a disposizione del cittadino (per qualsiasi informazione). Le norme che ci riguardano sono
artt. 4-5-6 L. 241/1990
Art. 4: “Ove non sia già direttamente stabilito per legge o per regolamento, la pubblica amministrazione è tenuta a determinare per
ciascun tipo di procedimento relativo ad atti di loro competenza l'unità organizzativa responsabile della istruttoria e di ogni altro
adempimento procedimentale, nonché dell'adozione del provvedimento finale. Queste disposizioni sono rese pubbliche.”
L’amministrazione ha l’obbligo individuare ex ante quale ufficio ha quella determinata competenza. Quando arriva la domanda, il
dirigente affida la pratica ad uno dei dipendenti che afferiscono all’ufficio.
Art. 5: “Il dirigente di ciascuna unità organizzativa provvede ad assegnare a sé o ad altro dipendente la responsabilità dell’istruttoria
e di ogni altro adempimento, nonché eventualmente l’adozione del provvedimento finale.” La responsabilità dell’adozione del
provvedimento finale è un’eventualità perché il dirigente firma in quanto titolare del potere. L’addetto può fare quasi tutto, tranne il
provvedimento.
Comma 2: “Fino a quando non sia effettuata l'assegnazione, è considerato responsabile del singolo procedimento il funzionario
preposto alla unità organizzativa.” Se l’ente non nomina il responsabile, il richiedente ha diritto a rivolgersi al titolare del potere.
Comma 3: “L’unità organizzativa competente e il nominativo del responsabile del procedimento sono comunicati agli interessati.” La
nomina e il nominativo de responsabile vanno comunicati al richiedente; altrimenti può rivolgersi al dirigente.
Lezione 18
Nel procedimento amministrativo abbiamo distinto varie fasi.
1. Fase di avvio, di iniziativa
2. Fase istruttoria (il provvedimento viene costruito attraverso la valutazione dei documenti)
3. Fase decisione (esito favorevole o contrario)
4. Fase integrativa dell’efficacia del provvedimento
La parte più importante è la fase istruttoria, nella quale avviene quella composizione degli interessi pubblici e privati (controllo e
verifica sulla prevalenza degli interessi). È la fase che precede la decisione. Di tutto questo se ne occupa il responsabile del
procedimento.
Ora dobbiamo passare alla fase pratica o operativa. Come avviene la decisione della p.a.? quali sono i compiti del responsabile?
Quando noi abbiamo un rapporto con la p.a., noi dichiariamo il possesso di alcuni requisiti, necessari per ottenere il provvedimento
che vogliamo. Ovviamente dobbiamo dare all’amministrazione affinché possa decidere tutte le informazioni necessarie ai fini del
procedimento stesso.
Oggi, rispetto a ieri, per motivi di semplificazione, si va avanti con le autocertificazioni. Normalmente, sono i privati, cioè i
richiedenti, che forniscono spontaneamente tutte le informazioni alla p.a. Questo consente di alleggerire il lavoro
dell’amministrazione e di limitare il controllo dell’amministrazione semplicemente alla verifica di quanto dichiarato dall’interessato.
Questo favorisce anche le ipotesi di silenzio (l’amministrazione controlla soltanto e dà esito favorevole attraverso il silenzio). Ma
l’istanza deve essere corredata di tutto quello che serve.
Art. 6 ci dice quali sono i compiti e le funzioni del responsabile del procedimento. Bisogna conoscerle perché leggendole al contrario
si può capire cosa non può fare l’amministrazione: “Il responsabile del procedimento:
a) Valuta ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per
l'emanazione di provvedimento; → [Quindi è colui che, una volta letta la documentazione del richiedente verifica le
condizioni di ammissibilità, che riguarda la domanda. Una domanda è ammissibile se contiene tutto quello che la legge
prevede (se l’istanza contiene tutto quello che la legge prevede, è arrivata nei termini, ha la sottoscrizione, ha la forma
necessaria); non si può proseguire nel procedimento se manca almeno una condizione per l’ammissibilità. Verifica anche i
requisiti di legittimità, che sono quelli soggettivi. La legittimazione, che invece riguarda il richiedente, è la capacità del
richiedente di ottenere quel provvedimento chiesto. Chi è legittimato è soggettivamente destinatario di un provvedimento
favorevole.]
b) Accerta d’ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all'uopo necessari, e adotta ogni misura per l’adeguato e
sollecito svolgimento dell’istruttoria. In particolare, può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o
istanze erronee o incomplete e può esperire accertamenti tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni documentali; → [Vuol
dire che i fatti hanno trovato ingresso nel procedimento attraverso le dichiarazioni dei richiedenti. Il responsabile del
procedimento ha anche una funzione attiva, cioè lui deve porre in essere dei comportamenti per accelerare il
procedimento amministrativo e fare in modo che non subisca intoppi, adottando delle misure adeguate. Quando adotta
queste misure, non può violare il divieto di aggravamento previsto dall’art. 2 (non può chiedere atti ulteriori rispetto a
quelli necessari per decidere).
Inoltre, il cittadino che ha dimenticato di depositare dei documenti non può più avere un provvedimento negativo motivato
sul fatto che manca qualcosa. Il responsabile del procedimento, infatti, se vede che manca qualcosa, chiede l’integrazione
dell’informazione mancante. Il “soccorso istruttorio” è uno strumento di semplificazione, per evitare che l’iter sia ripetuto
due volte. Ci sono dei settori del nostro ordinamento giuridico in cui il “soccorso istruttorio” non può funzionare, cioè non si
possono chiedere documenti che mancano. Ciò accade nei concorsi, quando l’interesse riguarda più persone.
Oggi non può più accadere (e se accade è una illegittimità che compie l’amministrazione) che una domanda priva di
documentazione venga respinta per mancanza di documentazione: l’amministrazione invita il richiedente a integrare o
correggere la documentazione. La correzione o l’integrazione dell’istanza non è possibile quando c’è la dichiarazione falsa
non è possibile. L’amministrazione è tenuta a rigettare la domanda e a denunciare alla Procura della Repubblica il reato di
falso in atto pubblico.]
c) Propone l'indizione o, avendone la competenza, indice le conferenze di servizi di cui all’art. 14.
d) Cura le comunicazioni, le pubblicazioni e le notificazioni previste dalle leggi e dai regolamenti.” → [Il responsabile del
procedimento deve gestire le informazioni. Come lo fa? L’Art. 18 L. 241 parla delle autocertificazioni: “I documenti che
attestano atti, fatti, qualità e stati soggettivi, necessari per l’istruttoria del procedimento, sono acquisiti d’ufficio quando
sono in possesso dell’amministrazione procedente, ovvero sono detenuti, istituzionalmente, da altre amministrazioni.
L'amministrazione procedente può richiedere agli interessati i soli elementi necessari per la ricerca dei documenti.” Quindi,
l’amministrazione non deve chiedere al richiedente di dimostrare nulla, ma deve verificare il dato che le ha fornito, e lo fa
d’ufficio. Il richiedente deve dare gli elementi indicativi affinché l’amministrazione possa cercare il dato.
D.p.r. 445/2000 fonte primaria che disciplina le autocertificazioni. È la normativa attuativa dell’art. 18 L. 241.
Art. 43 ACCERTAMENTI D’UFFICIO: “Le amministrazioni pubbliche sono tenute ad acquisire d’ufficio le informazioni oggetto delle
dichiarazioni sostitutive, nonché tutti i dati e i documenti che siano in possesso delle pubbliche amministrazioni, previa indicazione,
da parte dell'interessato, degli elementi indispensabili per il reperimento delle informazioni o dei dati richiesti, ovvero ad accettare la
dichiarazione sostitutiva prodotta dall'interessato.”
L’autocertificazione vale se il cittadino dichiara atti, fatti, stati e qualità che l’amministrazione è in grado di controllare. Sono tutti
quei dati contenuti nei registri pubblici. Cosa si può autodichiarare? Es. reddito. Tutto quello che non è nei registri pubblici non si
può accertare d’ufficio. Se si deve dichiarare una situazione che non è all’interno di certificato, si ha il caso dell’atto notorio: dichiara
e l’amministrazione chiederà il deposito della documentazione cartacea.
Si distinguono le autocertificazioni che controlla d’ufficio l’ente pubblico dai dati che l’amministrazione non può conoscere, ma
conosciamo noi. Questi sono dichiarati dal cittadino, poi una volta che ha ottenuto il beneficio, è tenuto a portare in forma cartacea.
Quindi, quando il richiedente fa un’istanza, allega alla domanda tutte le autocertificazioni.
Comma 2: “Fermo restando il divieto di accesso a dati diversi, si considera operata per finalità di rilevante interesse pubblico la
consultazione diretta, da parte di una pubblica amministrazione degli archivi dell'amministrazione certificante.” 
L’amministrazione che riceve l’autocertificazione deve poter controllare i dati. Inoltre, se l’amministrazione non risponde alla
richiesta dell’altra amministrazione, questa mancata risposta costituisce inadempimento, valutabile ai fini della performance e
illecito disciplinare.
Comma 6: “I documenti trasmessi da chiunque ad una pubblica amministrazione tramite fax o altro mezzo telematico o informatico,
soddisfano il requisito della forma scritta e la loro trasmissione non deve essere seguita da quella del documento originale.” Quindi,
l’amministrazione non può chiedere di portare la documentazione originale. La comunicazione inviata secondo le regole tecniche del
codice dell’amministrazione digitale equivale a piena validità.
Art. 45. Molti dati (es. per la partecipazione ad un concorso) non devono essere mesi per iscritto, ma la legge dice: “I dati relativi a
cognome, nome, luogo e data di nascita, la cittadinanza, lo stato civile e la residenza attestati in documenti di identità o di
riconoscimento in corso di validità, possono essere comprovati mediante esibizione dei documenti.
Qualora l'interessato sia in possesso di un documento di identità o di riconoscimento non in corso di validità, gli stati, le qualità
personali e i fatti in esso contenuti possono essere comprovati mediante esibizione dello stesso, purché l'interessato dichiari, in calce
alla fotocopia del documento, che i dati contenuti nel documento non hanno subito variazioni dalla data del rilascio.”
Se il documento è scaduto, vale lo stesso. Tutte le informazioni hanno validità, purché l’interessato dichiari che non hanno subito
variazione.
Art. 46 costituisce l’elenco di ciò che si può autocertificare. Riguarda le dichiarazioni sostitutive di certificazioni. Si tratta di tutti quei
casi in cui il certificato pubblico non può più essere utilizzato; quindi di dati in possesso delle pubbliche amministrazioni.
Art. 47 si tratta di dichiarazioni sostitutive dell’atto notorio, sempre nell’ambito delle certificazioni. Cioè l’atto di notorietà riguarda
stati, qualità personali o fatti che siano a diretta conoscenza dell’interessato (non sono nei registri dell’amministrazione).
Questi atti notori valgono all’inizio, poi bisogna dimostrarli all’amministrazione, che non può verificarli d’ufficio.
Art. 40, comma 01: “Le certificazioni rilasciate dalla pubblica amministrazione in ordine a stati, qualità personali e fatti, sono valide e
utilizzabili solo nei rapporti tra i privati. Nei rapporti con gli organi della pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi i
certificati e gli atti di notorietà sono sempre sostituiti dalle dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47.”
Nessuna p.a. può chiedere e ricevere un certificato, opera solo sulle autocertificazioni.
Comma 02: “Sulle certificazioni da produrre ai soggetti privati è apposta, a pena di nullità, la dicitura: “Il presente certificato non può
essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi””.
I certificati esistono ancora perché servono tra i privati.
Che questo sia certo lo ritroviamo nella parte relativa alle sanzioni.
Art. 74. Il legislatore ha modificato le sanzioni: “Costituisce violazione dei doveri d’ufficio la mancata accettazione delle dichiarazioni
sostitutive di certificazione o di atto di notorietà rese a norma delle disposizioni del presente testo unico.
Costituiscono altresì violazione: la richiesta, ma anche l’accettazione di certificati (il funzionario deve accettare solo
l’autocertificazione). Costituisce violazione il rifiuto da parte del dipendente di accettare, mediante l’esibizione del documento, il
possesso di alcuni requisiti.”
Art. 73 assenza di responsabilità. L’utente potrebbe dichiarare il falso. Il funzionario deve avere una norma di esenzione, altrimenti
paga lui: “Le pubbliche amministrazioni e i loro dipendenti, salvo i casi di dolo o colpa grave, sono esenti da ogni responsabilità per
gli atti emanati quando l’emanazione sia conseguenza di false dichiarazioni o di documenti falsi o contenenti dati non più rispondenti
a verità, prodotti dall'interessato o da terzi.” Nel rapporto quotidiano il funzionario si fida dell’autodichiarazione perché non c’è
responsabilità. Quindi, l’errore non può essere imputabile all’amministrazione. Il funzionario può essere chiamato a rispondere nei
casi di dolo o colpa grave. Il dolo è quando volontariamente si commette un illecito. La colpa grave è quando con l’ordinaria
diligenza si sarebbe potuto accorgere della falsità.
Art. 72: “Le amministrazioni sono tenute a rispondere alla richiesta di verifica e la mancata alle richieste di controllo entro trenta
giorni costituisce violazione dei doveri d'ufficio e viene in ogni caso presa in considerazione ai fini della misurazione e della
valutazione della performance individuale dei responsabili dell'omissione.”
Art. 71 dice che i controlli si fanno anche a campione. Il controllo deve presupporre che dall’altra parte ci sia qualcuno che risponda.
Nel 2005 è entrato in vigore D.lgs. 82/2005 “Codice dell’amministrazione digitale”. Esso presupponeva l’esistenza di un sistema di
connettività tra pubbliche amministrazioni. Questo sistema di fatto non esiste. Quindi, il legislatore presuppone che le
amministrazioni siano tutte in rete e che attraverso degli strumenti informatici possano accedere ai dati (accesso diretto a banche
dati). Ma ciò non esiste. Ecco perché il legislatore ha introdotto delle norme che puniscono l’ente che non risponde.
Art. 38: “Tutte le istanze o le dichiarazioni da presentare alla p.a. possono essere inviate per fax o in via telematica. Le istanze e le
dichiarazioni inviate per via telematica sono valide: se effettuate con i criteri dell’art. 65 del codice dell’amministrazione digitale.
Le istanze e le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà sono sottoscritte dall'interessato in presenza del dipendente addetto
ovvero sottoscritte e presentate unitamente a copia fotostatica non autenticata di un documento di identità del sottoscrittore.” 
Bisogna allegare la fotocopia del documento d’identità alla domanda, se spedita per posta ordinaria o elettronica, e deve essere
firmata. La mancanza della firma equivale a nullità della domanda (manca l’assunzione di responsabilità). La mancanza della
fotocopia del documento non è sanabile, è proprio nulla. In caso di concorso pubblico, il soggetto verrà mandato via. Se si tratta di
un procedimento amministrativo che è possibile rifare (riguarda solo se stessi) il cittadino sarà invitato ad integrare la domanda.
Ovvero, quando l’istante o il dichiarante è identificato attraverso il sistema pubblico di identità digitale (SPID),
Le istanze quando sono valide?
Art. 65, d.lgs. 82/2005 indica quando sono valide le istanze: “Le istanze e le dichiarazioni presentate alle pubbliche amministrazioni
per via telematica sono valide:
- Se sottoscritte secondo una delle modalità dell’art. 20 (firma digitale, firma elettronica certificata, firma qualificata, cioè attraverso i
sistemi elettronici di identificazione; si sa che la provenienza è certificata).
- Quando l’istante o il dichiarante è identificato attraverso il sistema pubblico di identità digitale (SPID) (problema è quando dall’altra
parte non c’è una posta certificata: come si fa a sapere chi è il soggetto?)
- Ovvero sono sottoscritte e presentate unitamente alla copia del documento d’identità
- Ovvero se trasmesse dall’istante o dal dichiarante dal proprio domicilio digitale.”
Basta una email con fotocopia scannerizzata dell’istanza firmata con allegato il documento d’identità.
Comma 1-ter: “Il mancato avvio del procedimento da parte del titolare dell’ufficio competente a seguito di istanza o dichiarazione
inviate ai sensi e con le modalità di cui al comma 1, comporta responsabilità dirigenziale e responsabilità disciplinare dello stesso.”
Se mandiamo un’istanza di avvio che sia conforme a queste regole, essa è valida e se il procedimento non viene portato avanti c’è
una responsabilità ulteriore da parte della p.a.

Il termine dell’attività istruttoria per il responsabile del procedimento deve essere racchiuso nel termine per la conclusione del
procedimento: tutto questo deve accadere entro i 30 giorni.
Art. 71 d.p.r. 445/2001 modalità dei controlli: “Le amministrazioni procedenti sono tenute ad effettuare idonei controlli, anche a
campione, e in tutti i casi in cui sorgono fondati dubbi, sulla veridicità delle dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47.”

Lezione 19
Il responsabile del procedimento, quindi, svolge la sua attività istruttoria analizzando e valutando le autocertificazioni o le
dichiarazioni sostitutive che gli interessati presentano nel procedimento.
Quando affronteremo la scia, vedremo come nella segnalazione certificata l’interessato debba depositare insieme all’istanza una
serie di documentazioni asseverate, firmate dai tecnici.
Quindi, si distinguono i procedimenti d’ufficio e quelli ad istanza di parte. I procedimenti ad istanza di parte vanno sulla base delle
autocertificazioni.
Abbiamo visto che l’art. 6 elenca una serie di poteri e compiti che il responsabile del procedimento deve necessariamente porre in
essere. Non è un elenco completo, ma indicativo: “Il responsabile del procedimento:
Adotta, ove ne abbia la competenza, il provvedimento finale, ovvero trasmette gli atti all’organo competente per l’adozione”. → [Dà
la dimostrazione concreta di comune funziona il procedimento amministrativo e qual è il riparto di competenza all’interno della p.a.
Ciò significa che il più delle volte il provvedimento finale non è adottato dal responsabile del procedimento. Secondo le regole
dell’ufficio, il dirigente non è il responsabile, ma affida la pratica ad un funzionario, quindi ad un soggetto diverso da lui. Il
funzionario svolge la funzione istruttoria e alla fine adotta, se ne ha la competenza, il provvedimento finale; se invece il responsabile
non è il dirigente, che ha il potere di adottare il provvedimento, trasmette gli atti. Il responsabile è il soggetto incaricato dal dirigente
titolare del potere, svolge l’attività istruttoria, formula la proposta di motivazione, legge le carte, acquisisce i documenti mancanti,
scrive la motivazione. La motivazione è, quindi, la conclusione del procedimento, favorevole o contrario. Una volta che ha esaminato
la documentazione e formulato la sua proposta di decisione, la trasferisce al dirigente. Il dirigente, se la condivide, firma e adotta il
provvedimento finale. Se non la condivide: “L’organo competente per l’adozione del provvedimento finale (dirigente), ove diverso
dal responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria condotta dal responsabile del provvedimento,
se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale.”
Questo dimostra che il dirigente, colui il quale adotterà il provvedimento finale, non è il soggetto che ha compiuto l’istruttoria. Se il
titolare del potere è il responsabile, farà tutto lui.
Il dirigente non si può discostare da quello che ha letto le carte e ha fatto la proposta. Ad esempio, nel provvedimento finale ci deve
essere scritto: l’istruttoria era negativa, tuttavia io ritengo che il permesso vada dato per questi motivi (o viceversa). Il dirigente,
avendo il potere, spiega perché cambia la sua decisione.
Questo ha una doppia valenza: una all’interno del procedimento amministrativo, l’altra sotto il profilo della correttezza dell’azione
amministrativa (c’è sia la proposta del funzionario, sia la decisione del dirigente). Nessun funzionario può dire che la sua proposta
era diversa. Quindi, se ci sarà una responsabilità di danno erariale il funzionario che ha studiato non risponderà perché il dirigente
ha dato una decisione diversa. Quindi, i ruoli sono ben definiti e il legislatore lo riconosce.]
Di solito, la regola prevede che il dirigente non sia il responsabile del procedimento. Se lui fosse il responsabile del procedimento,
non potrebbe fare il lavoro di coordinamento e direzione, tipico di una figura apicale. Il responsabile del procedimento, invece, ha
una cura continua rispetto agli atti (ad esempio, controlla tutte le domande) perché gli è stata attribuita la responsabilità dei
procedimenti. Il dirigente, alla fine, legge la motivazione: se la motivazione lo convince, firma il provvedimento; se non lo indicherà
le ragioni per le quali cambia la decisione proposta dal responsabile.
- Qual è il primo atto che deve essere necessariamente compiuto dal responsabile del procedimento, dopo la nomina del
responsabile? Il primo atto obbligatorio è la COMUNICAZIONE DI AVVIO DEL PROCEDIMENTO. L’amministrazione è obbligata a
comunicare all’interessato l’avvio del procedimento.
Art. 7: “Ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento, l’avvio del
procedimento stesso è comunicato ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti e a
quelli che per legge debbono intervenirvi (es. associazioni). Ove parimenti non sussistano le ragioni di impedimento predette, qualora
da un provvedimento possa derivare un pregiudizio a soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari,
l’amministrazione è tenuta a fornire loro con le stesse modalità notizia dell’inizio del procedimento.” L’amministrazione ha l’obbligo
di comunicazione anche a coloro i quali possano avere un interesse qualificato all’avvio del procedimento.
Cosa deve contenere obbligatoriamente per legge la comunicazione di avvio? Alcuni dicono che quando il procedimento è ad istanza
di parte non si dovrebbe fare la comunicazione di avvio (l’interessato ha fatto la domanda, sa già che c’è un procedimento che lo
riguarda, quindi non c’è bisogno della comunicazione). Ma il legislatore ha ben presente questa ipotesi e l’ha risolta, perché anche
l’istante ha bisogno di informazioni che possono essergli comunicate solo con la comunicazione di avvio del procedimento.
Art. 8: “Nella comunicazione debbono essere indicati:
a) L’amministrazione competente
b) L’oggetto del procedimento promosso
c) L’ufficio e la persona responsabile del procedimento (per sapere a chi si deve rivolgere l’interessato)
d) La data entro la quale, secondo i termini previsti nell’art. 2, deve concludersi il procedimento e i rimedi esperibili in caso di
inerzia dell’amministrazione.
e) Nei procedimenti ad iniziativa di parte, la data di presentazione della relativa istanza.
f) L’ufficio in cui si può prendere visione degli atti.”
Il più delle volte questa comunicazione non viene fatta. Questo è una violazione di legge (dei doveri di ufficio). Quindi, come tale,
laddove non rientri nei casi in cui questa può essere omessa, l’interessato può segnalare all’ufficio competente l’illecito disciplinare
(il dipendente ha violato al norma).
La comunicazione deve essere fatta tempestivamente, all’interno dei 30 giorni. La comunicazione di avvio va fatta in un termine
compatibile con l’esercizio alcuni poteri. Deve consentire l’esercizio dei poteri attribuiti all’interessato nell’esercizio del
procedimento amministrativo.
Eccezione alla comunicazione: “Qualora per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti
particolarmente gravosa, l’amministrazione provvede a rendere noti gli elementi di cui al comma 2 mediante forme di pubblicità
idonee di volta in volta stabilite dall’amministrazione medesima.” Ad esempio, i pubblici proclami. Sono modalità legali che
sostituiscono al comunicazione personale nei procedimenti rivolti ad una pluralità indefinibile o indistinta di persone.
Art. 21-opties dice che l’atto può non essere annullato se manca la comunicazione di avvio, in certe condizioni. Ma riguarda
l’annullamento del provvedimento finale. Invece, è certo che la mancata comunicazione è una violazione sotto il profilo disciplinare.
Bisogna distinguere la legittimità dell’azione rispetto al comportamento.
Art. 9 riguarda l’intervento nel procedimento: “Qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di
interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio da provvedimento, hanno facoltà di intervenire
nel procedimento.” Non sono soggetti che devono avere la comunicazione personale, ma sono soggetti che possono intervenire. Se
l’associazione vuole intervenire (ad esempio per l’interesse ambientale; il sindacato), ne ha facoltà.
Art. 10 è una norma fondamentale; disciplina i diritti dei partecipanti al procedimento (nessuno può impedire di esercitarli): “I
soggetti di cui all’art. 7 (destinatari della comunicazione di avvio) e quelli intervenuti ai sensi dell’art. 9 hanno diritto:
a. Di prendere visione degli atti del procedimento (per vedere cosa sta accadendo)
b. Di presentare memorie scritte e documenti, che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare ove siano pertinenti all’oggetto
del procedimento (è legato al punto a.).”
L’interessato prende visione degli atti, si accorge che c’è un parere negativo; fa fare un parere legale all’avvocato e lo porta, insieme
ad altri documenti, amministrazione. Si capisce che l’amministrazione ha letto la documentazione dalla motivazione finale.
Il procedimento amministrativo è soggetto al segreto d’ufficio. Fino a che il procedimento è in corso, il funzionario pubblico è
soggetto all’art. 326 cp.: “Chiunque divulga informazioni che riguardano un procedimento in corso a soggetti che non ne hanno
diritto vien denunciato per divulgazione.”
Laddove l’amministrazione abbia un dubbio, la partecipazione al procedimento può condizionare la scelta dell’amministrazione. Ci
può essere un apporto conoscitivo che l’amministrazione non possiede, e potrebbe servire a farle cambiare idea. Non bisogna
aspettare di avere il provvedimento negativo, ma bisogna partecipare e cercare nel dialogo di risolvere i problemi.
Art. 16 disciplina i pareri (attività consultiva). L’amministrazione, nell’ambito della sua gestione del procedimento, può chiedere
pareri. I pareri sono degli atti amministrativi che sono esercizio della funzione consultiva. Il parere è un apporto conoscitivo
all’amministrazione che deve decidere: utilizza il parere per decidere in un modo o nell’altro, ma può anche discostarsi dal parere
(dando le motivazioni). Le amministrazioni hanno tre funzioni:
 FUNZIONE ATTIVA: l’amministrazione fa i provvedimenti.
 FUNZIONE CONSULTIVA: rilascia pareri agli enti pubblici, cioè delle valutazioni tecnico-giuridiche sull’interpretazione delle
norme.
 FUNZIONE DI CONTROLLO: si occupa di controllare l’esercizio del potere (es. Corte dei Conti).
Il parere può essere previsto dalla legge nel procedimento o può essere chiesto dall’amministrazione, in assenza di una norma.
Infatti, i pareri si distinguono in:
 Pareri OBBLIGATORI: quando è previsto dalla legge all’interno del procedimento amministrativo
 Pareri FACOLTATIVI: non è previsto per legge, ma l’amministrazione ritiene di dover chiederlo per sciogliere un dubbio.
I pareri sono espressione di un apprezzamento tecnico-giuridico; mentre gli accertamenti tecnici sono valutazioni tecnico-
scientifiche.
La prima distinzione dei pareri, richiesti durante il procedimento, in quanto costituiscono un supporto per la decisione, è tra
obbligatori e facoltativi. Una volta che il parere è stato chiesto, i pareri si distinguono in tre ulteriori categorie:
- PARERI VINCOLANTI: vincolano la decisione amministrativa, ma l’amministrazione può discostarsene con un onere
motivazionale rafforzato rispetto a quelli parzialmente vincolanti (discrezionalità minima).
- PARERI PARZIALMENTE VINCOLANTI
- PARERI CONFORMI: vincolano in maniera assoluta l’amministrazione, la quale non può mai discostarsi.
Normalmente, i pareri non sono vincolanti: ci si può discostare da esse, ma è necessaria la motivazione. Quindi, il parere costituisce
un limite all’esercizio del potere dell’amministrazione, che deve spiegare perché lo disattende. Questo accade quando il parere non
è definito dalla legge come conforme. Se è conforme, l’amministrazione non ha discrezionalità (non può in nessun caso discostarsi).
La legge definisce se il parere è conforme o no.
Art. 17 parla degli accertamenti tecnici che sono tecnico-scientifici.

Lezione 20
Consideriamo ora la disciplina normativa dei pareri.
Tutta la normativa spinge l’amministrazione alla celerità dello svolgimento del procedimento amministrativo. L’amministrazione
procedente che chiede un parere ha un termine fisso entro il quale il parere deve essere reso. In caso di mancata risposta,
l’amministrazione procede alla conclusione del procedimento amministrazione. Non è più obbligata ad aspettare che il parere venga
reso. Ovviamente, si pone un problema di responsabilità.
Art. 16 prevede un’esenzione di responsabilità. Il responsabile che chiede un parere e non lo riceve, se conclude, decide e sbaglia,
non risponde dell’errore. “Gli organi consultivi della p.a. sono tenuti a rendere i pareri a essi obbligatoriamente richiesti entro 20
giorni dal ricevimento della richiesta. Qualora siano richiesti pareri facoltativi, sono tenuti a dare immediata comunicazione alle
amministrazioni richiedenti del termine entro il quale il parere sarà reso, che comunque non può superare i 20 giorni dal ricevimento
della richiesta.” L’amministrazione ha 20 giorni per dare il parere all’amministrazione richiedente.
Il parere viene reso in maniera telematica, in modo tale da favorire la velocità del procedimento. I 20 giorni del parere vengono
inclusi nei 30 giorni, cioè nel termine complessivo del procedimento.
Cosa dice la norma sulle conseguenze della mancata emissione del parere?
Comma 2: “In caso di decorrenza del termine senza che sia stato comunicato il parere obbligatorio o senza che l’organo adito (di
consulenza) abbia rappresentato esigenze istruttorie, è in facoltà dell’amministrazione richiedente di procedere indipendentemente
dall’espressione del parere. In caso di decorrenza del termine senza che sia stato comunicato il parere facoltativo o senza che
l’organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie, l’amministrazione richiedente procede indipendentemente dall’espressione
del parere.” 
Sembrerebbe che, laddove il parere è facoltativo, si va avanti comunque; laddove il parere è obbligatorio, è facoltà di procedere.
Quindi, l’amministrazione valuta se aspettare o procedere. Detto così, sembra che l’amministrazione può aspettare.
Questa norma va letta in combinato con l’art. 1, co. 2 (divieto di aggravamento del procedimento). Nel momento in cui la norma
dice che l’amministrazione può andare avanti, perché deve aspettare? È più logico andare avanti. Quindi, la ‘amministrazione deve
motivare perché decide di attendere: c’è un onere per l’amministrazione di spiegare le ragioni. I principi più importanti sono la
celerità del procedimento e il rispetto dei termini.
“Salvo il caso di omessa richiesta del parere, il responsabile del procedimento non può essere chiamato a rispondere degli eventuali
danni derivanti dalla mancata espressione dei pareri.” Questa norma ci fa capire che comunque l’amministrazione deve andare
avanti (tanto non risponde, se ha chiesto il parere e non l’ha ricevuto).
Questa prescrizione non si applica ai pareri che devono essere rilasciati per la tutela ambientale e paesaggistica e la salute dei
cittadini. In questo caso, prevale sulla velocità del procedimento il rispetto della disciplina di tutela di queste materie sensibili.
Art 17: Diversi dai pareri sono le VALUTAZIONI TECNICHE, sono valutazioni tecnico-scientifiche. Quindi, sono dati che difficilmente
l’amministrazione può discutere. Le valutazione tecniche si fondano su conoscenze scientifiche che normalmente non sono in
possesso della p.a. Ad esempio l’esame delle centraline sull’inquinamento dell’aria.
L’Art. 17 prevede un termine molto più lungo per l’attesa, di 90 giorni. La particolarità di questa disciplina è che l’amministrazione
non può andare avanti senza quel tipo di accertamento tecnico; l’amministrazione è obbligata ad aspettare che l’organo investito
della questione risponda. “Ove per disposizione espressa di legge o di regolamento sia previsto che per l'adozione di un
provvedimento debbano essere preventivamente acquisite le valutazioni tecniche di organi od enti appositi e tali organi ed enti non
provvedano entro 90 giorni, il responsabile del procedimento deve chiedere le suddette valutazioni tecniche ad altri organi
dell’amministrazione o ad enti pubblici dotati di qualificazione e capacità tecnica equipollenti, ovvero ad istituti universitari.”
Se io chiedo una valutazione tecnica e il soggetto non mi risponde nel termine previsto, io non posso fare a meno di quella
valutazione; quindi, mi rivolgo ad un altro soggetto pubblico che viene incaricato di dare la valutazione. Non si può procedere in
assenza di valutazione.
Ma se il termine è di 90 giorni, quanto dura un procedimento? Il legislatore prevede termini casuali senza armonizzare il testo. Nel
1990, quando il procedimento durava 90 giorni, questa prescrizione andava bene. Ma con la modifica del termine a 30 giorni, le due
cose non si conciliano. Ogni volta si deve andare a guardare la fonte, primaria o secondaria, che impone una valutazione tecnica
nell’ambito del procedimento. Per decidere, in questi casi, non si può prescindere da una valutazione tecnica. Il dirigente dell’ufficio
deve sapere quali sono le regole. Qui vengono disciplinate le valutazioni obbligatorie (non si può parlare di valutazioni facoltative).
Eccezione: “La disposizione di cui al comma 1 non si applica in caso di valutazioni che debbano essere prodotte da amministrazioni
preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e della salute dei cittadini.” In questo caso, non ci si può rivolgere ad un
altro soggetto, ma bisogna aspettare la valutazione di quella specifica amministrazione (a.s.l., sovrintendenza).
Art. 10-bis è una norma importante e quasi sempre disattesa dall’amministrazione. Riguarda la COMUNICAZIONE DEI MOTIVI
OSTATIVI ALL’ACCOGLIMENTO DELL’ISTANZA. Questa prescrizione vale solo nei procedimenti ad istanza di parte, non si applica ai
procedimenti d’ufficio. Prima di adottare il provvedimento negativo, all’interno dei 30 giorni, l’amministrazione ci deve comunicare
le ragioni del diniego: il legislatore punta alla partecipazione del cittadino. “Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del
procedimento, prima della formale adozione di un provvedimento negativo (in fase endoprocedimentale), comunica
tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda. Entro il termine di 10 giorni dal ricevimento della
comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti.”
Quindi, il cittadino può partecipare due volte al procedimento. La prima volta, ai sensi dell’art. 10, per sapere cosa sta facendo
l’amministrazione; una volta che l’amministrazione ha letto tutto e che l’istanza sarà respinta per determinate ragioni, l’istante ha
un termine di 10 giorni da quando gli è stato comunicato il preavviso di diniego per cercare di far cambiare idea alla p.a. Questo va
ad allungare il termine di conclusione del procedimento. Questa è una ulteriore garanzia per il cittadino, che gli consente di
Partecipare alla formazione dell’atto e convincere l’ente a cambiare decisione già presa.
L’amministrazione comunica il preavviso dei motivi ostativi, finestra di 10 giorni. Può accadere che il soggetto non risponda; in
questo caso, l’amministrazione chiude il procedimento con i motivi che ha comunicato. Se l’istante ha risposto, l’amministrazione
deve motivare sul perché non ha ritenuto fondate le sue opposizioni.
“La comunicazione di cui al primo periodo interrompe i termini per concludere il procedimento che iniziano nuovamente a decorrere
dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo. Dell'eventuale
mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale.”
Da ciò si vede come il silenzio sia uno strumento di semplificazione dell’attività dell’amministrazione, in quanto il procedimento
tradizionale è molto complesso. Queste disposizioni non si applicano ai concorsi e ai procedimenti in materia previdenziale e
assistenziale.
Art. 11 è l’ennesima modalità di conclusione alternativa del procedimento amministrativo. Il cittadino ha la facoltà di concludere
accordi con la p.a. che sostituiscono il provvedimento amministrativo. È una deroga all’art. 1, comma 1-bis L. 241/1990 (“La pubblica
amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato”) perché in tutti i
procedimenti in cui l’amministrazione agisce con potere autoritativo, il cittadino può non attendere il provvedimento
amministrativo, in quanto è possibile pervenire ad un accordo con la p.a.
Qual è l’obiettivo del legislatore e dell’amministrazione? Fare in modo che l’esercizio del potere amministrativo sia legittimo e che
regoli il caso concreto senza opposizioni. Il legislatore sta introducendo dei meccanismi per prevenire la contestazione e il
contenzioso. Gli accordi sono di due tipi:
- ACCORDI INTEGRATIVI del provvedimento: il contenuto del provvedimento è concordato (insieme si accordano).
- ACCORDI SOSTITUTIVI del provvedimento: non c’è il provvedimento, ma solo il negozio giuridico.
Il negozio giuridico ha valore provvedimentale (non è un illecito). Es. convenzioni di lottizzazione nell’urbanistica. L’accordo deve
avere causa lecita. Quando l’accordo è integrativo, il procedimento si conclude con il provvedimento. Quando l’accordo è
sostitutivo, alla fine del procedimento ci sarà il contratto. È facoltà delle parti convenire la migliore soluzione per la definizione della
questione giuridica.
“In accoglimento di osservazioni e proposte presentate a norma dell’art. 10, l'amministrazione procedente può concludere, senza
pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di
determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo.”
Consideriamo la prima parte della disposizione. Ci dice che non è l’amministrazione che può proporre l’accordo, ma è il privato che
deve aver partecipato ai sensi dell’art. 10. Inoltre, se l’amministrazione non fa la comunicazione di avvio, condiziona il
procedimento. Quindi, è grave omettere le fasi del procedimento.
Prima della riforma del 2005 c’era scritto “nei casi previsti dalla legge” al posto di “in sostituzione di questo”. Quando è nata norma,
l’accordo si poteva fare solo laddove la norma lo consentiva. Per la semplificazione questa parte è stata tolta. Quindi, oggi gli accordi
possono essere fatti sempre, in qualunque materia, fatta eccezione per le procedure concorsuali.
Negli appalti pubblici, in realtà, molti contratti vengono sottoscritti sotto forma di accordo con l’imprenditore, entro una certa soglia.
Ma questa è un’eccezione.

Lezione 21
Accordi sostitutivi del provvedimento nel procedimento
Art. 11 L. 241/1990 consente all’amministrazione, quando il cittadino partecipa al procedimento e deposita osservazioni e proposte
(nella fase istruttoria), di addivenire ad un accordo (conclusione concordata) che conclude il procedimento.
Ci sono delle condizioni affinché questo accordo possa essere stipulato.
Comma 2: “Gli accordi devono essere stipulati, a pena di nullità, per atto scritto. Ad essi si applicano, ove non diversamente previsto,
i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili. Gli accordi devono essere motivati.” Gli accordi
devono essere formalizzati in un atto scritto. Quindi, si applica la disciplina privatistica dei contratti anche agli accordi con la p.a.
L’ultima è stata un’introduzione non necessaria, perché tutti gli atti devono essere motivati.
Comma 1-bis: “Al fine di favorire la conclusione degli accordi, il responsabile del procedimento può predisporre degli incontri cui
invita, separatamente o contestualmente, il destinatario del provvedimento ed eventuali controinteressati.” 
Quindi, l’accordo è una fase dinamica del procedimento amministrativo, nel senso che si possono fare più riunioni con gli interessati
per raggiungere l’obiettivo, che è quello di trovare un accordo.
Chi gestisce questo tipo di attività all’interno del procedimento non è il titolare del potere, ma è il responsabile del procedimento, il
quale è lui che, per concludere e arrivare alla definizione del provvedimento, fa gli accordi con gli interessati. Conseguentemente,
presenzia le riunioni per addivenire alla stipula dell’accordo.
La caratteristica di questi accordi è che devono perseguire l’interesse pubblico e non pregiudicare i diritti dei terzi.
Comma 3: “Gli accordi sostitutivi di provvedimenti sono soggetti ai medesimi controlli previsti per questi ultimi.”
L’accordo, anche se è un contratto privatistico, deve essere soggetto ai controlli a cui sarebbe stato soggetto il provvedimento. Si
applica all’atto privato il controllo pubblico perché è sostitutivo. Questa regola non funziona per gli accordi integrativi, perché il
procedimento si conclude con il provvedimento finale.
Comma 4-bis: “A garanzia dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione amministrativa, in tutti i casi in cui una pubblica
amministrazione conclude accordi, la stipula dell’accordo è preceduta da una determinazione dell'organo che sarebbe competente
per l'adozione del provvedimento.” 
Il titolare del potere (dirigente dell’ufficio), colui il quale avrebbe adottato il provvedimento finale, deve espressamente prevedere
che al posto del provvedimento si farà il negozio giuridico. La particolarità di questa disposizione normativa è che lo stesso soggetto
è quello che poi firma di fatto l’accordo: è come se autorizzasse se stesso a firmare e sottoscrivere l’accordo. In realtà è una norma
che introduce un’ulteriore forma di controllo. Il soggetto, in maniera consapevole, anticipa la sostituzione del provvedimento finale
con la sostituzione di un accordo.
Quindi, l’accordo a quali controlli è sottoposto? Quelli postumi, sono gli stessi a cui sarebbe stato soggetto il provvedimento; in via
preliminare, il soggetto che avrebbe fatto il provvedimento deve autorizzare la stipula del negozio giuridico.
La normale definizione del procedimento è: faccio la domanda e decide l’ente. Ma esiste un’alternativa: partecipo, ti suggerisco una
modalità alternativa, ti chiedo di fare un accordo, concludiamo un accordo in maniera consensuale (nessuno dei due si può
lamentare, per cui non c’è il ricorso e quindi l’interruzione dell’attività amministrativa).
Il cittadino propone l’accordo, ma l’amministrazione non è obbligata. In caso negativo, l’amministrazione deve motivare il suo
rifiuto. Infatti, l’amministrazione può concludere: rimane l’esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione di poter
eventualmente non accogliere la domanda dell’utente; in questo caso, continua il normale iter procedimentale.
Comma 4: “Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse l'amministrazione recede unilateralmente dall'accordo, salvo l'obbligo di
provvedere alla liquidazione di un indennizzo in relazione agli eventuali pregiudizi verificatisi in danno del privato.”
Noi stiamo parlando del potere pubblico. Il potere pubblico si relaziona con l’interesse del privato. Il pubblico ha una forza maggiore
rispetto al privato. Nei rapporti contrattuali si ha armi pari. Questo non è vero, però, se c’è un’amministrazione. Per quanto si usino
categorie privatistiche, di fronte c’è l’amministrazione, che, poiché ha un interesse collettivo da perseguire, ha un vantaggio che
l’ordinamento le riconosce.
Nel contratto se una parte recede unilateralmente, c’è il risarcimento del danno. In questo caso, invece, l’amministrazione può
sciogliersi unilateralmente dal contratto. Se esiste il motivo di interesse pubblico (c’è la norma di favore), è legittimo il recesso
unilaterale, quindi l’amministrazione si scioglie. Se il giudice riconosce che non esiste il motivo di interesse pubblico, allora si tratta
di due privati; in questo caso il cittadino può agire come se l’amministrazione fosse un privato. Dunque, è molto importante capire la
causa: la scriminante è l’esistenza o meno dell’interesse pubblico.
Il cittadino può rivolgersi al giudice amministrativo, il quale deve verificare la legittimità della motivazione: se non c’è l’interesse
pubblico, il cittadino può agire per l’adempimento del contratto o per il risarcimento del danno. Se, invece, sopraggiunge l’interesse
pubblico, la legge consente il recesso dal contratto. Se si tratta di questioni patrimoniali, è previsto un indennizzo, una somma
inferiore a quello che sarebbe il danno patito dalla parte.
Art. 12: “Ogniqualvolta la pubblica amministrazione deve erogare vantaggi economici (contributi, sussidi, sovvenzioni, ausili
finanziari), è obbligata alla predeterminazione dei criteri e delle modalità attraverso cui effettua la sua scelta.” Non può decidere di
erogare un contributo ad un’associazione se prima non ha stabilito i criteri attraverso i quali distribuire le somme. Se
l’amministrazione viola questa norma, c’è sia il danno per l’amministrazione, che il recupero delle somme date.
Imparzialità è predeterminare le modalità attraverso le quali si fa qualcosa, in modo tale nessuno può dire che è stato favorito uno
piuttosto che l’altro.
Art. 15 disciplina gli ACCORDI TRA LE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI: “Le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra
loro accordi per disciplinare in collaborazione attività di interesse comune. Si applicano le disposizione dell’art. 11.” Le
amministrazioni sono parti del procedimento. Il provvedimento viene sostituito da una convenzione tra queste.

Conferenza di servizi
Nel 1990 nasce in maniera chiara e semplice, ma i diversi legislatori hanno cambiato vari pezzi, complicandola.
È oggettivamente uno strumento di semplificazione procedimentale che serve a coinvolgere nella stessa sede tutte le
amministrazioni coinvolte in un unico procedimento che devono esprimere la loro opinione.
Nel 1990, epoca in cui viene approvata la legge 241, la realtà delle pubbliche amministrazioni era diversa da quella attuale. La
conferenza di servizi cos’è? Si tratta di procedimenti nei quali sono coinvolte più amministrazioni.
Prima del 1990 la regola era questa: se in un procedimento dovevano partecipare altre amministrazioni (es. autorizzazione edilizia o
commerciale), l’imprenditore o cittadino doveva chiedere l’autorizzazione al Comune, ma era necessario il parere dell’azienda
sanitaria, della prefettura, della questura, dei vigili del fuoco. Finché tutte le amministrazioni non rilasciavano il documento, il
procedimento al Comune rimaneva bloccato. Raccoglieva gli atti di assenso e alla fine li portava all’ente, che finalmente istruiva la
sua pratica. Allora il legislatore inventa la conferenza di servizi.
Prima l’interessato doveva andare agli uffici; d’ora in poi sono le amministrazioni che tra di loro si riuniscono e nello stesso
momento esprimono tutti gli atti necessari per il procedimento unico. Il cittadino si rivolge all’amministrazione procedente, la quale
chiama le altre amministrazioni.
Questa normativa viene introdotta nella legge 241 come disciplina di carattere generale. La conferenza di servizi nasce con alcuni
aspetti negativi. Quale era l’errore? Si mise che la conferenza di servizi decideva all’unanimità. La condizione per semplificare era
che tutti gli enti fossero d’accordo. Questa cosa è fallita: bastava che uno dicesse no e si paralizzava tutto (e non c’era nessuno
strumento legale per obbligarlo).
Il legislatore, per renderla più efficiente, ha fatto in modo che si possa superare il dissenso delle amministrazioni che non sono
favorevoli, attraverso gli strumenti della conferenza di servizi. L’opposizione dell’ente territoriale oggi è irrilevante rispetto a quello
che è l’interesse collettivo (superiore).
Mentre prima tutti gli enti potevano avere un termine per chiedere il loro procedimento; oggi in un termine unico tutte le
amministrazioni esprimono insieme le loro opinioni. In modo tale che l'interessato sa che decorso quel termine avrà un’unica
decisione.
Ogniqualvolta nei procedimenti si devono coinvolgere più amministrazioni, si utilizza la conferenza di servizi: ci devono essere più
amministrazioni diverse che obbligatoriamente devono intervenire nel procedimento (attraverso pareri, atti di assenso…).
Oggi esiste il SUAP (Sportello Unico delle Attività Produttive): esso riceve la domanda dell’imprenditore ed è lo sportello che chiama
tutte le altre amministrazioni all’interno di questo procedimento, non è più l’imprenditore (che si rivolge solo ad una struttura,
quella competente all’adozione del provvedimento finale). L’amministrazione procedente convocherà e sentirà le altre.
Art. 14 elenca tre diverse modalità di conferenza di servizi:
- ISTRUTTORIA
- DECISORIA
- PRELIMINARE
La più importante è la conferenza decisoria, che determina il contenuto del provvedimento finale (favorevole o contrario all’istanza).
Quella istruttoria è la meno utile (l’amministrazione procedente convoca le altre in base istruttoria, ma decide da sola).
Comma 1: “La conferenza di servizi istruttoria può essere indetta dall'amministrazione procedente, anche su richiesta di altra
amministrazione coinvolta nel procedimento o del privato interessato, quando lo ritenga opportuno per effettuare un esame
contestuale degli interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo, ovvero in più procedimenti amministrativi connessi,
riguardanti medesime attività o risultati. Tale conferenza si svolge con le modalità previste dall'articolo 14-bis.”
La decisione è dell’ente al quale l’interessato si è rivolto. È facoltativa. Essa serve all’amministrazione solo per acquisire indicazioni
su come si deve comportare prima di adottare il provvedimento. Le altre amministrazioni possono scegliere discrezionalmente di
intervenire.
Comma 2: “La conferenza di servizi decisoria è sempre indetta dall'amministrazione procedente quando la conclusione positiva del
procedimento è subordinata all'acquisizione di più pareri, intese, concerti, nulla osta o altri atti di assenso, comunque denominati,
resi da diverse amministrazioni. Quando l'attività del privato sia subordinata a più atti di assenso, comunque denominati, da
adottare a conclusione di distinti procedimenti, di competenza di diverse amministrazioni pubbliche, la conferenza di servizi è
convocata, anche su richiesta dell'interessato, da una delle amministrazioni procedenti.”
La conferenza di servizi decisoria condiziona l’esito del procedimento. È obbligatoria. Il cittadino può sollecitare la conclusione
quando deve svolgere un’attività procedimentale che riguarda più amministrazioni, che devono intervenire obbligatoriamente.
Poi, c’è la conferenza di servizi preliminare. Questa è una norma che nasce a tutela esclusiva dell’imprenditore. Prima accadeva
questo: l’imprenditore realizzava un progetto e presentava al Comune la richiesta per realizzarlo. Spendeva e poi accadeva che non
otteneva l’autorizzazione. Il legislatore, allora, ha inventato questo: l’imprenditore avanza una proposta su un progetto
all’amministrazione (è su istanza dell’interessato). Si fa la conferenza preliminare (preliminare al procedimento): se la proposta è
accettata, si va avanti nella progettazione. In questo modo, si evita di presentare il progetto avanzato e pagare le spese.

Lezione 22
Partiamo dalla conferenza di servizi preliminare. È una conferenza di servizi preliminare al procedimento e alla conferenza di servizi
decisoria. Quindi, è una conferenza preliminare all’avvio del procedimento amministrativo.
Comma 3: “Per progetti di particolare complessità e di insediamenti produttivi di beni e servizi l'amministrazione procedente, su
motivata richiesta dell'interessato, corredata da uno studio di fattibilità, può indire una conferenza preliminare finalizzata a indicare
al richiedente, prima della presentazione di una istanza o di un progetto definitivo, le condizioni per ottenere, alla loro presentazione,
i necessari pareri, intese, concerti, nulla osta, autorizzazioni, concessioni o altri atti di assenso, comunque
denominati. L'amministrazione procedente, se ritiene di accogliere la richiesta motivata di indizione della conferenza, la indice entro
5 giorni lavorativi dalla ricezione della richiesta stessa. La conferenza preliminare si svolge secondo le disposizioni dell'articolo 14-bis,
con abbreviazione dei termini fino alla metà. Le amministrazioni coinvolte esprimono le proprie determinazioni sulla base della
documentazione prodotta dall'interessato.”
È l’interessato che chiede la conferenza preliminare perché non esiste un procedimento in corso (chiede una valutazione
preventiva). Quando si deve realizzare un’opera, si fa un progetto esecutivo. I progetti di realizzai opere sono articolati in: studio di
fattibilità, progetto preliminare, progetto definitivo, progetto esecutivo. Ogni stadio di un progetto è più dettagliato e l’ultimo è
quello che consente di realizzare l’opera. Lo studio di fattibilità è semplicemente un’ipotesi di intervento, poco impegnativo sotto il
profilo economico per l’imprenditore. Si chiede e si fa una verifica preventiva su quelle che saranno le condizioni per ottenere
l’assenso quando verrà fatta l’istanza di avvio del procedimento amministrativo.

Vediamo il punto nodale della conferenza preliminare. Qual è il punto che vincola l’amministrazione e la decisione presa?
Perché la conferenza preliminare sia utile, il legislatore ha dovuto creare un sistema in base al quale chi ha espresso un parere
favorevole nella conferenza non lo può cambiare. L’amministrazione deve avere una continuità dell’attività. Infatti:
“Ove si sia svolta la conferenza preliminare, l'amministrazione procedente, ricevuta l'istanza o il progetto definitivo, indice la
conferenza simultanea.  In sede di conferenza simultanea, le determinazioni espresse in sede di conferenza preliminare possono
essere motivatamente modificate o integrate solo in presenza di significativi elementi emersi nel successivo procedimento anche a
seguito delle osservazioni degli interessati sul progetto definitivo.”
La norma dice che solo se emergono successivamente significativi elementi di novità o di differenza rispetto al progetto presentato
in sede di conferenza preliminare è possibile la modifica.
Quindi, la conferenza preliminare è utile per l’imprenditore e vincola l’amministrazione, altrimenti non avrebbe senso.
Simultanea indica che la conferenza è fatta, anche in via telematica, in presenza di tutte le amministrazioni nello stesso momento;
asincrona o non simultanea indica quando ciascuno lavora nel suo ufficio e alimenta il procedimento.
Comma 4: “Qualora un progetto sia sottoposto a valutazione di impatto ambientale di competenza regionale, tutte le autorizzazioni,
intese, concessioni, licenze, pareri, concerti, nulla osta e assensi comunque denominati, necessari alla realizzazione e all'esercizio del
medesimo progetto, vengono acquisiti nell'ambito di apposita conferenza di servizi, convocata in modalità sincrona ai sensi
dell'articolo 14-ter.” Nel nostro sistema nazionale esistono degli strumenti di valutazione dell’impatto delle opere sull’ambiente.
Sono dei procedimenti particolari obbligatori per la realizzazione delle grandi opere. Quando si realizza un’opera che impatta
sull’ambiente in maniera significativa, è necessaria una valutazione di impatto ambientale. La valutazione viene fatta anche
considerando l’opera all’interno del contesto nel quale va inserita. Non è solo l’impatto inquinante, ma tiene conto anche del
consumo del suolo, dell’acqua, lo smaltimento dei rifiuti.
Poiché la valutazione di impatto ambientale viene suddivisa tra una valutazione di impatto per i progetti di grandi dimensioni, dove
per la valutazione è competente il Ministero dell’ambiente, e le opere di livello più basso, la cui competenza è attribuita dalla legge
alle Regioni. Le Regioni, a loro volta, possono subdelegare le piccole valutazioni anche agli enti territoriali. L’autorità investita
dell’esame dell’impatto ambientale deve essere convocata in conferenza di servizi, in cui si deve esprimere.
Art. 14-bis: “La conferenza decisoria si svolge in forma semplificata e in modalità asincrona, salvo i casi di cui ai commi 6 e 7. Le
comunicazioni avvengono in via telematica” 
Comma 2: “La conferenza è indetta dall’amministrazione procedente entro 5 giorni lavorativi dall’inizio del procedimento d’ufficio o
dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte. A tal fine l'amministrazione procedente comunica alle
altre amministrazioni interessate:
a) l'oggetto della determinazione da assumere (gli manda la documentazione, con le credenziali di accesso);
b) il termine perentorio, non superiore a 15 giorni, orni, entro il quale le amministrazioni coinvolte possono richiedere, ai sensi
dell'articolo 2, comma 7, integrazioni documentali o chiarimenti;
c) il termine perentorio, comunque non superiore a 45 giorni (rispetto a quelli che sono previsti per l’avvio del procedimento),
entro il quale le amministrazioni coinvolte devono rendere le proprie determinazioni relative alla decisione oggetto della
conferenza. Il termine per decidere viene elevato a 90 giorni se fra le amministrazioni coinvolte ci sono quelle che
riguardano la tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali, o alla tutela della salute dei cittadini;
d) la data della eventuale riunione in modalità sincrona, da tenersi entro 10 giorni dalla scadenza del termine.”
L’indizione è diversa dalla convocazione, perché l’indizione spetta al soggetto che ha il potere.
Il legislatore ha sbagliato, perché la conferenza di servizi è un modo per mettere d’accordo le amministrazioni e per consentire di
superare il dissenso di chi si oppone, attraverso il dialogo, per trovare soluzioni per fare sì che il no diventi sì. Per questo l’ultima
riunione necessariamente deve avvenire in presenza.
Comma 3: “Entro il termine di 45 giorni, le amministrazioni coinvolte devono rendere il loro parere sul progetto oggetto della
conferenza.” In cosa consiste l’opinione che ciascuna amministrazione deve esprimere?
“Tali determinazioni, congruamente motivate, sono formulate in termini di assenso o dissenso e indicano, ove possibile, le modifiche
eventualmente necessarie ai fini dell'assenso.”
Se uno dice no senza il motivo viene considerato favorevole al progetto. Il no senza motivo è illegittimo. Non andare in conferenza di
servizi equivale ad essere favorevole al progetto (la mancata partecipazione equivale ad assenso).
Comma 4: “Fatti salvi i casi in cui disposizioni del diritto dell'Unione europea richiedono l'adozione di provvedimenti espressi, la
mancata comunicazione della determinazione entro il termine di 45 giorni, ovvero la comunicazione di una determinazione priva dei
requisiti previsti dal comma 3 (non motivata, non prevede il superamento…), equivalgono ad assenso senza condizioni. Restano
ferme le responsabilità dell'amministrazione, nonché quelle dei singoli dipendenti nei confronti dell'amministrazione, per l'assenso
reso, ancorché implicito.” Il dipendente può, poi, essere chiamato a rispondere dei danni alla sua amministrazione; ma il progetto
oggetto della conferenza di servizi va avanti.
La conferenza di servizi consente di addivenire al contenuto dell’atto, favorevole o contrario. L’atto lo deve fare l’amministrazione
procedente. Quindi, ci sono dei termini successivi che sono quelli assegnati all’amministrazione per tradure quello che si è deciso in
conferenza nel provvedimento finale. 45 giorni indica il termine per decidere; poi ci sono i termini per la conclusione del
procedimento.
Comma 5: “Scaduti i termini, l’amministrazione procedente adotta entro 5 giorni la determinazione motivata di conclusione positiva
della conferenza di servizi, qualora abbia acquisito esclusivamente atti di assenso non condizionato, anche implicito, ovvero qualora
ritenga, sentiti i privati e le altre amministrazioni interessate, che le condizioni e prescrizioni eventualmente indicate possano essere
accolte senza necessità di apportare modifiche sostanziali alla decisione oggetto della conferenza.” In questi casi, l’amministrazione
chiude la conferenza di servizi in maniera favorevole.
“Qualora, invece, abbia acquisito uno o più atti di dissenso che non ritenga superabili, l'amministrazione procedente adotta, entro il
medesimo termine, la determinazione di conclusione negativa della conferenza che produce l'effetto del rigetto della domanda. Nei
procedimenti a istanza di parte la suddetta determinazione produce gli effetti della comunicazione di cui all'articolo 10-bis.”
La conclusione della conferenza sarà negativa. Gli effetti 10-bis riguardano la comunicazione del preavviso di rigetto.
Comma 6 e 7 sono le deroghe alla procedura semplificata.
Comma 6: “L'amministrazione procedente, ai fini dell'esame contestuale degli interessi coinvolti, svolge, nella data fissata ai sensi
del comma 2, lettera d), la riunione della conferenza in modalità sincrona, ai sensi dell'articolo 14-ter.”
Comma 7: “Ove necessario (se il procedimento è complesso), l'amministrazione procedente può comunque procedere direttamente
in forma simultanea e in modalità sincrona, ai sensi dell'articolo 14-ter. In tal caso indice la conferenza comunicando alle altre
amministrazioni le informazioni di cui alle lettere a) e b) del comma 2 e convocando la riunione entro i successivi 45 giorni.”
Art. 14-ter: “La prima riunione della conferenza si svolge in forma simultanea e sincrona nelle date previste. I lavori della conferenza
si concludono non oltre quarantacinque giorni decorrenti dalla data della riunione. Il termine è di 90 giorni laddove è previsto.”
Comma 3: “Ciascun ente o amministrazione convocato alla riunione è rappresentato da un unico soggetto abilitato ad esprimere
definitivamente e in modo univoco e vincolante la posizione dell'amministrazione stessa su tutte le decisioni di competenza della
conferenza, anche indicando le modifiche progettuali eventualmente necessarie ai fini dell'assenso.”
L’amministrazione partecipa in conferenza di servizi attraverso un unico soggetto che ha il potere decisionale, cioè il dirigente
dell’ufficio ovvero un funzionario con la delega (che abbia il potere). Poiché l’amministrazione possa essere validamente presente,
deve avere un rappresentante munito di questi poteri. Infatti, l’amministrazione che non esprime definitivamente la volontà
(partecipa con un soggetto non dotato di potere) si intende non partecipante, quindi assente, e conseguentemente favorevole.
L’amministrazione deve indicare in conferenza di servizi un soggetto che abbia il potere di decisione.
Comma 4: “Ove alla conferenza partecipino anche amministrazioni non statali, le amministrazioni statali sono rappresentate da un
unico soggetto abilitato ad esprimere definitivamente in modo univoco e vincolante la posizione di tutte le predette amministrazioni,
nominato dal Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero, ove si tratti soltanto di amministrazioni periferiche, dal Prefetto. Ferma
restando l'attribuzione del potere di rappresentanza al suddetto soggetto, le singole amministrazioni statali possono comunque
intervenire ai lavori della conferenza in funzione di supporto.”
Per quanto riguarda le amministrazioni dello Stato, laddove ce ne siano più di una, è possibile che sia partecipe un solo
rappresentante di tutte le amministrazioni, le quali possono avere opinioni differenti. Ciò è previsto anche per gli enti locali.
Comma 6: “Alle riunioni della conferenza possono essere invitati gli interessati, inclusi i soggetti proponenti il progetto
eventualmente dedotto in conferenza.”
Comma 7: “All’esito dell’ultima riunione, e comunque non oltre il termine di cui al comma 2, l'amministrazione procedente adotta la
determinazione motivata di conclusione della conferenza, con gli effetti di cui all'articolo 14-quater, sulla base delle posizioni
prevalenti espresse dalle amministrazioni partecipanti alla conferenza tramite i rispettivi rappresentanti. Si considera acquisito
l'assenso senza condizioni delle amministrazioni il cui rappresentante non abbia partecipato alle riunioni ovvero, pur partecipandovi,
non abbia espresso ai sensi del comma 3 la propria posizione, ovvero abbia espresso un dissenso non motivato o riferito a questioni
che non costituiscono oggetto della conferenza.” Questo comma spiega qual è il criterio attraverso il quale si decide la conferenza di
servizi.
Nel 1990 venne previsto il criterio dell’unanimità. L’ordinamento nel 1998 introdusse il criterio della maggioranza (si vota a
maggioranza sui presenti), che non tiene conto di un elemento fondamentale, l’interesse pubblico. La Corte Costituzionale ha
dichiarato illegittimo sotto il profilo costituzionale il criterio della maggioranza, perché con questa regola si vanno a violare i principi
di competenza normativa.
Oggi, il criterio attraverso il quale si decide è quello della posizione prevalente espressa nella conferenza: non basata sul numero, ma
sulla prevalenza dell’interesse pubblico. In teoria, se uno solo è contrario, ma tutela l’interesse pubblico, l’istanza viene rigetta.
Quindi, l’amministrazione procedente deve capire qual è la prevalenza dell’interesse.
Negli ultimi casi si considera assenso senza condizioni. Il no deve essere accompagnato dalla motivazione.

Lezione 23
Alla fine, nella riunione in modalità sincrona, l’amministrazione decide valutando la prevalenza dell’interesse. Poi c’è un termine
riservato all’amministrazione procedente all’esito della conferenza di servizi, dove si adotta il provvedimento finale, che avrà come
contenuto il risultato della conferenza di servizi risultato che può essere determinato sulla valutazione della prevalenza delle
posizioni espresse. Per determinare la prevalenza delle posizioni si deve pesare l’interesse pubblico prevalente in quel momento a
seconda del tipo di procedimento che si sta svolgendo.
Vediamo ora sia l’effetto che produce la decisione; ma soprattutto il rimedio che hanno le amministrazioni dissenzienti.
14-quater, comma 1: “La determinazione motivata di conclusione della conferenza, adottata dall'amministrazione procedente
all'esito della stessa, sostituisce a ogni effetto tutti gli atti di competenza delle amministrazioni che vi hanno partecipato.”
Spiega a cosa serva la conferenza di servizi. È evidente che il provvedimento della conferenza di servizi sostituisce tutti gli atti formali
delle altre singole amministrazioni (nullaosta della sovrintendenza, provvedimento della città metropolitana, parere della
Regione…).
Cosa può fare l’amministrazione che aveva espresso un dissenso? Il legislatore ha previsto una forma diversa sull’efficacia del
provvedimento.
Comma 2: “Le amministrazioni, i cui atti sono sostituiti dalla determinazione motivata di conclusione della conferenza, possono
sollecitare con congrua motivazione l’amministrazione procedente ad assumere, previa indizione di una nuova conferenza,
determinazioni in via di autotutela. Possono altresì sollecitarla, purché abbiano partecipato, anche per il tramite del rappresentante
di cui ai commi 4 e 5 dell'articolo 14-ter (unico), alla conferenza di servizi o si siano espresse nei termini, ad assumere determinazioni
in via di autotutela.”
Questa disposizione demolisce il principio della certezza del diritto. L’amministrazione convoca la conferenza, aspetta il termine, ha
il provvedimento, ma le amministrazioni che vi hanno partecipato possono sollecitare una nuova conferenza sullo stesso tema.
Questo è un ulteriore vincolo per chi non ha partecipato. L’autotutela è la capacità delle amministrazione di rivedere gli atti che
hanno adottato.
Comma 3: “In caso di approvazione unanime, la determinazione di cui al comma 1 è immediatamente efficace. In caso di
approvazione sulla base delle posizioni prevalenti, l'efficacia della determinazione è sospesa ove siano stati espressi dissensi
qualificati ai sensi dell'articolo 14-quinquies e per il periodo utile all'esperimento dei rimedi ivi previsti.”
Il provvedimento non è ancora efficace. Ecco perché non si sa quanto dura la conferenza di servizi.
Art. 14-quinquies riguarda i rimedi per le amministrazioni dissenzienti. La ragione della complicazione della norma sta nell’assetto
costituzionale del nostro ordinamento giuridico. Se c’è un contrasto tra le amministrazioni sul provvedimento finale, qualcuno la
decisione la deve prendere. Chi risolve il contrasto? Il Governo lo può risolvere, perché si tratta di enti statali. Ma se ci sono enti non
statali, come può il governo imporre una decisione agli enti locali, che sono stati resi autonomi dalla riforma del Titolo V del 2001?
Quando il legislatore nell’originaria formulazione aveva detto che decideva il governo in caso di contrasto tra regione e ministero la
Corte Costituzionale è intervenuta, dicendo che il governo non può decidere se non c’è l’intesa della regione. E se la regione non è
d’accordo? Ad ordinamento attuale, non esiste una possibilità in base alla quale qualcuno possa imporre ad un ente autonomo di
fare qualcosa. Allora, si sono dovuti inventare questa procedura che comporta passaggi infiniti tra governo e regione fino a quando
non si trovi un’intesa, senza la quale il procedimento non sii potrà mai concludere. È un contrasto insanabile, perché il problema è
che non c’è nessuno che può decidere.
Comma 1: “Avverso la determinazione motivata di conclusione della conferenza, entro 10 giorni dalla sua comunicazione (termine in
cui non c’è l’efficacia del provvedimento), le amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni
culturali o alla tutela della salute e della pubblica incolumità dei cittadini possono proporre opposizione al Presidente del Consiglio
dei ministri a condizione che abbiano espresso in modo inequivoco il proprio motivato dissenso prima della conclusione dei lavori
della conferenza. Per le amministrazioni statali l'opposizione è proposta dal Ministro competente.”
Le amministrazioni preposte alla tutela ambientale non sono necessariamente amministrazioni dello stato, ma possono essere
regionali. Quindi, l’opposizione non è fatta necessariamente da un ente statale; fa riferimento a qualunque amministrazione che
tutela il vincolo. Se il dissenso è insuperabile, il provvedimento è negativo. In questo caso l’esito è favorevole al progetto, quindi il
dissenso è stato superato. L’amministrazione che si è opposta fa ricorso al Presidente del Consiglio.
Comma 2: “Possono altresì proporre opposizione le amministrazioni delle regioni, il cui rappresentante, intervenendo in una materia
spettante alla rispettiva competenza, abbia manifestato un dissenso motivato in seno alla conferenza.”
Comma 3: “La proposizione dell'opposizione sospende l'efficacia della determinazione motivata di conclusione della conferenza.”
L’amministrazione deve aspettare che si possano fare le opposizioni (e questo sospende). Quando fa l’opposizione, la delibera viene
sospesa ex lege.
Nel primo caso la sospensione è limitata fino a che non c’è il ricorso. Se il ricorso non c’è, la delibera diventa efficace. Se, invece,
viene fatta l’opposizione, la delibera positiva diventa sospesa fino alla conclusione del procedimento.
Comma 4: “La Presidenza del Consiglio dei ministri indice una riunione con la partecipazione delle amministrazioni che hanno
espresso il dissenso e delle altre amministrazioni che hanno partecipato alla conferenza. In tale riunione i partecipanti formulano
proposte, in attuazione del principio di leale collaborazione, per l'individuazione di una soluzione condivisa, che sostituisca la
determinazione motivata di conclusione della conferenza con i medesimi effetti.”
Comma 5: “Qualora alla conferenza di servizi abbiano partecipato amministrazioni delle regioni e l'intesa non venga raggiunta nella
riunione, può essere indetta, entro i successivi 15 giorni, una seconda riunione, che si svolge con le medesime modalità e allo stesso
fine.”
Comma 6: “Qualora all'esito delle riunioni di cui ai commi 4 e 5 sia raggiunta un'intesa tra le amministrazioni partecipanti,
l'amministrazione procedente adotta una nuova determinazione motivata di conclusione della conferenza. Qualora all'esito delle
suddette riunioni l'intesa non sia raggiunta, la questione è rimessa al Consiglio dei ministri. Alla riunione del Consiglio dei ministri
possono partecipare i Presidenti delle regioni interessate. Qualora il Consiglio dei ministri non accolga l'opposizione, la
determinazione motivata di conclusione della conferenza acquisisce definitivamente efficacia. Il Consiglio dei ministri può accogliere
parzialmente l'opposizione, modificando di conseguenza il contenuto della determinazione di conclusione della conferenza.”
1^ riunione: se non c’è l’accordo → 2^ riunione: se non c’è l’accordo → 3^ riunione: si va al Consiglio dei Ministri, il quale deve
valutare e ponderare in via definitiva la decisione finale (si deve raggiungere l’intesa per risolvere la conferenza di servizi)
Stiamo ancora discutendo se il dissenso che era stato superato già in conferenza di servizi blocca o no la stessa conferenza. Questi
termini non hanno alcun carattere di perentorietà: non si può imporre nulla al Consiglio dei Ministri.
Laddove l’opposizione non porti a questa procedura, rimane l’applicazione dell’art. 14-quater, quindi la possibilità di sollecitare la
decisione attraverso un provvedimento di autotutela.
Quindi, questa fase della conferenza di servizi, laddove sia decisoria, conclude il procedimento.
Il procedimento amministrativo può, dunque, chiudersi:
- con l’accordo con il privato;
- con la conferenza decisoria;
- con il provvedimento espresso;
- con il silenzio.

SEGNALAZIONE CERTIFICATA DI INIZIO ATTIVITÀ (SCIA)


È un procedimento amministrativo, che ha delle caratteristiche particolari, il quale produce come effetto giuridico il silenzio assenso.
È una specificazione dell’art. 20.
Si chiama così perché la domanda si accompagna alle certificazioni dei tecnici qualificati. Si fa tutto in via telematica. Si attiva nei
confronti dello sportello unico delle attività produttive (suap) oppure lo sportello unico dell’edilizia. Sono procedure telematiche che
possono prevedere le conferenze di servizi, ma attivate d’ufficio dalla p.a. Il provvedimento (scia) sostituisce il rilascio
dell’autorizzazione dell’amministrazione.
Qual è l’ambito di applicazione? Si applica in tutte quelle attività economiche, commerciali e artigianali, per le quali non sia previsto
normativamente un limite, ovvero che non siano soggette ad una valutazione di competenza della p.a.
Art. 19: “Ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le
domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l'esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio
dipenda esclusivamente dall'accertamento dei requisiti e presupposti di legge o da atti amministrativi a contenuto generale (limite),
e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti
stessi, è sostituito da una segnalazione dell'interessato, con la sola esclusione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali,
paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza,
all'immigrazione, all'asilo, alla cittadinanza, all'amministrazione della giustizia, alla amministrazione delle finanze, ivi compresi gli
atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonché di quelli previsti dalla normativa per le
costruzioni in zone sismiche e di quelli imposti dalla normativa comunitaria.”
La scia vale solo quando l’amministrazione deve valutare i requisiti; non deve dare un giudizio tecnico.
Fatta eccezione per i limiti legali e per le attività soggette ad una autorizzazione espressa, per tutti gli altri casi qualunque attività
viene sostituita da una segnalazione certificata di inizio attività.
Che cosa deve contenere? “La segnalazione è corredata dalle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell’atto di notorietà per
quanto riguarda tutti gli stati, le qualità personali e i fatti, nonché, ove espressamente previsto dalla normativa vigente, dalle
attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati (sono tutti atti privati), ovvero dalle dichiarazioni di conformità da parte dell’Agenzia
delle imprese, relative alla sussistenza dei requisiti e dei presupposti di cui al primo periodo; tali attestazioni e asseverazioni sono
corredate dagli elaborati tecnici necessari per consentire le verifiche di competenza dell’amministrazione.” I tecnici iscritti agli albi
devono attestare la conformità di quello che si vuole fare con le norme.
“Nei casi in cui la normativa vigente prevede l'acquisizione di atti o pareri di organi o enti appositi, ovvero l'esecuzione di verifiche
preventive (da parte degli organi pubblici), essi sono comunque sostituiti dalle autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o
certificazioni di cui al presente comma, salve le verifiche successive degli organi e delle amministrazioni competenti.” Gli atti delle
p.a. sono sostitute, quindi, dalle asseverazioni e autocertificazioni. Queste sono corredate dagli elaborati tecnici per consentire le
verifiche di competenza dell’amministrazione.
Comma 2: “L’attività oggetto della segnalazione può essere iniziata dalla data della presentazione della segnalazione
all’amministrazione competente.” Si deposita telematicamente l’istanza, subito dopo si può avviare il progetto. L’attività economica
si inizia nel momento in cui si deposita l’amministrazione. (Il legislatore qui si è spinto troppo oltre la semplificazione).

Lezione 24
La scia è la modalità che oggi si utilizza per avviare le attività economiche, imprenditoriali e artigianali nel nostro ordinamento,
purché queste attività presuppongano una valutazione da parte dell’amministrazione degli elementi di fatto previsti dalla norma.
Quindi, queste autorizzazioni non sono soggette ad una valutazione discrezionale dell’amministrazione. Certificata vuol dire che
l’istanza deve essere accompagnata dalle autocertificazioni e dalle dichiarazioni dei tecnici, che fanno le asseverazioni.
Cosa può accadere nel periodo nel quale si deve fare il controllo? L’amministrazione, una volta che riceve l’istanza, ha la possibilità
di controllare e, se manca qualche dato fondamentale, di chiedere al privato di integrare la documentazione (soccorso istruttorio).
Se il controllo non avviene, l’attività economica si intende autorizzata, perché il criterio che si utilizza è quello del silenzio assenso.
L’art. 19, comma 3, si occupa del controllo dell’amministrazione. Prima, bisogna dire che:
1. L’amministrazione ha il potere di controllare solo entro i termini di legge (oltre i termini, perde il potere), perché esiste il
principio del legittimo affidamento.
2. Se c’è una dichiarazione falsa, l’amministrazione può sempre intervenire (si può annullare o eliminare il provvedimento
conseguito sulla base di una dichiarazione falsa).
3. La complessità di questa disciplina sta nel fatto che queste norme sono state tutte poste a tutela del cittadino.
L’amministrazione è il soggetto debole in questa procedura. La protezione del terzo va a scapito della p.a.
Comma 3: “L’amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1, nel termine
di 60 giorni dal ricevimento della segnalazione, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione
degli eventuali effetti dannosi di essa.” L’amministrazione deve guardare le carte, cioè deve fare l’accertamento. Quindi, il silenzio
assenso deve presupporre un esame della documentazione.
Per il legislatore è già avviata l’attività economica (infatti dice divieto di prosecuzione). Quindi, l’amministrazione blocca una cosa
che è già iniziata, con i possibili danni già prodotti.
L’amministrazione, laddove si accorga che i requisiti non ci sono, chiede la rimozione degli effetti dannosi eventualmente prodotti.
Ma non sempre si possono rimuovere gli effetti dannosi già prodotti.
Il legislatore ha bilanciato il rischio che qualcosa si sia prodotta e non si può tornare indietro con l’esigenza della celerità delle
attività economiche, che è l’obiettivo primario. Quindi, il legislatore è consapevole dei rischi, ma ha scelto la facilità per
l’imprenditore di svolgere l’attività economica.
“Qualora sia possibile conformare l’attività intrapresa e i suoi effetti alla normativa vigente, l’amministrazione competente, con atto
motivato, invita il privato a provvedere prescrivendo le misure necessarie con la fissazione di un termine non inferiore a 30 giorni per
l’adozione di queste ultime. In difetto di adozione delle misure da parte del privato, decorso il suddetto termine, l'attività si intende
vietata.” Fa riferimento alla possibilità di conformare l’attività, cioè di correggere l’errore (quando non c’è il falso).
Quindi, se c’è l’omissione di una certificazione, dichiarazione o asseverazione (una carenza documentale), l’amministrazione deve
chiedere all’imprenditore di correggere l’errore, dando un termine non inferiore a 30 giorni. In questi 30 giorni l’attività economica
prosegue. In questo termine che si allunga, il privato, dunque, deve provare a mettersi in regola.
“In presenza di attestazioni non veritiere, o di pericolo per la tutela dell'interesse pubblico in materia di ambiente, paesaggio, beni
culturali, salute, sicurezza pubblica o difesa nazionale, l'amministrazione dispone la sospensione dell'attività intrapresa.”
Il legislatore condiziona il potere di sospendere l’attività del privato solo se c’è un pericolo per i principi fondamentali
dell’ordinamento giuridico. La sospensione in sede di controllo e verifica può essere irrogata solo in concrete situazioni di pericolo e
quando gli atti non sono veritieri.
“In assenza di ulteriori provvedimenti, decorso lo stesso termine, cessano gli effetti della sospensione eventualmente adottata.” 
L’amministrazione può chiedere di integrare i documenti e il privato li fornisce. Può succedere che l’amministrazione non risponde
più. Allora, rivive il silenzio assenso. Riprendono a decorre i termini per i 60 giorni; una volta che sono spirati, il privato può pensare
che l’amministrazione ha ritenuto quei documenti sufficienti. Quindi, l’amministrazione è comunque tenuta ad adottare un
provvedimento espresso. L'assenza di comunicazioni, anche dopo una sospensione, equivale ad accoglimento della domanda.
È una norma che impone all’amministrazione un facere, cioè un provvedimento espresso.
Comma 4: “Decorso il termine per l’adozione dei provvedimenti, l’amministrazione può adottare i provvedimenti cautelari (di
sospensione) in presenza delle condizioni previste dall’art. 21-nonies (autotutela).” Le condizioni per le quali si può ex post
intervenire sono molto più rigorose dove l’interesse del privato (e anche dei controinteressati) deve essere temperato con
l’interesse pubblico.
Decorso il termine, l’amministrazione dovrà porsi delle domande che in prima battuta (nei 60 giorni) non si deve porre: che danno
crea alla persona dell’imprenditore e agli eventuali controinteressati, cioè i terzi che da quel provvedimento hanno un vantaggio (es.
fornitori, lavoratori dipendenti).
Comma 6: “Ove il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni che corredano la
segnalazione di inizio attività, dichiara o attesta falsamente l’esistenza dei requisiti o dei presupposti di cui al comma 1 è punito con
la reclusione da 1 a 3 anni.”
Comma 6-bis: “Nei casi di Scia in materia edilizia, il termine di sessanta giorni è ridotto a 30 giorni.” Per le attività edilizie il termine è
di 30 giorni (più breve), per le attività economiche di 60 giorni.
Il termine (30 o 60 giorni) è riferito al controllo.
Deposito della scia. Termine per il controllo. Nell’ambito di questo termine (30 o 60 giorni) io posso fare i controllo. Quando decorre
quel termine, ho perso il potere. L’eccezione sta nella dichiarazione di falso, che presuppone un reato. Conseguentemente, i termini
sono più ampi. Se mancano i documenti (non sono stati allegati; è mancanza di requisiti), comunque l’amministrazione ha perso il
potere.
Nel diritto urbanistico gli abusi edilizi costituiscono un illecito permanente. Laddove il privato commette un abuso edilizio: “Restano
altresì ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia previste dal decreto del Presidente della Repubblica
380/2001.” Vale l’azione penalistica della demolizione. Non si può sanare l’abuso edilizio attraverso l’assenso della scia.
Il problema si pone perché come può il terzo dire che c’è un abuso edilizio quando l’amministrazione ha dato il provvedimento (il
privato ritiene di poter fare quella cosa in nome del legittimo affidamento)?
- Se c’è un provvedimento dell’amministrazione, questo viene pubblicato. In dottrina ci si è posto una domanda: il provvedimento è
impugnabile? La giurisprudenza per anni si è spaccata tra chi riteneva il provvedimento favorevole come un provvedimento
amministrativo impugnabile e la giustizia civile, che lo riteneva un atto privatistico.
Il giudice amministrativo competente ha sempre ritenuto che il silenzio dell’amministrazione fosse un provvedimento impugnabile.
Quindi, il terzo che si oppone può impugnare il silenzio assenso.
Il legislatore ha cambiato questo orientamento e stabilito una cosa diversa.
Comma 6-ter: “La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono
provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono semplicemente sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti
all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione.” Questo è un altro vantaggio per l’imprenditore. Chiunq