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Riassunto libro "Istituzioni di diritto amministrativo"

Diritto amministrativo (Università di Bologna)

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DIRITTO AMMINISTRATIVO
CAPITOLO 1

1-Le amministrazioni pubbliche sono soggetti che si prendono cura di interessi altrui, amministrazioni che
erogano e forniscono il servizio, che lo regolano, che controllano la sua erogazione e così via. Le regole
amministrative finiscono per condizionare l’esistenza degli individui in modo così ampio e pervasivo da far
dire che il diritto amministrativo è, più del diritto civile, il diritto della società prima ancora che il diritto
dell’amministrazione. L’insieme di questi fenomeni viene definito burocrazia. L’aspirazione burocratica è
quella di far corrispondere ad ogni esigenza sociale un apparato, ma questo è impossibile, e quindi
numerosi fenomeni sociale non trovano una risposta organizzata salvo che non superino, ad esempio, una
certa dimensione minima, o soglia di problematicità, e quindi per la loro rilevanza siano assunti come
funzioni della burocrazia.
Di “amministrazione pubblica” si parla in modi disparati. Si può partire da due nozioni distinte e concorrenti:
l’amministrazione come complesso dei soggetti, degli apparati, cui sono affidati compiti di cura di interessi
pubblici e amministrazione come il complesso delle attività degli atti e dei comportamenti necessari a
quella cura.
Il complesso delle regole di diritto sull’amministrazione è il diritto amministrativo che è anche l’insieme
delle regole prodotte da queste stesse organizzazioni.
Se c’è sempre stata un’amministrazione, come cura di interessi altrui, è solo a partire dal momento in cui
viene meno l’idea “patrimoniale” dello Stato d’ancien regime che si può parlare propriamente di un diritto
dell’amministrazione e quindi di un diritto amministrativo.

2-Nello Stato assoluto vi è certamente un’amministrazione ma questa è al servizio del sovrano: è l’apparato
che cura gli interessi. Poiché la cura di questi interessi avviene in gran parte attraverso l’esercizio di poteri
autoritativi è sempre nel potere del sovrano definire/imporre regole che delimitino i poteri esercitati. Con
l’introduzione di “statuti” o carte costituzionali, la sovranità si distribuisce anche a favore di Parlamenti con
poteri di legislazione di controllo. Il compito di individuare gli obiettivi dell’amministrazione si sposta
progressivamente sulla legge, il cui ruolo diviene anche quello di limitare l’esercizio dei poteri autoritativi
dell’amministrazione, per evitare che questi siano esercitati in modo ingiusto.
Il potere tra legge e potere esecutivo riflette dunque il rapporto tra le forze sociali che sono riuscite a porsi
come contro-potere rispetto al sovrano e il sovrano stesso.
Il successivo passaggio è decisivo: negli Stati in cui tutta la sovranità si concentra nel Parlamento e nella
legge, non vi è più un diverso potere da limitare, ma spetta alla legge non solo individuare gli interessi
generali da curare, ma attribuire i necessari poteri all’amministrazione. Venuta meno la diversa
legittimazione del parlamento e del re, è in ultima istanza sempre nella legge che va trovato il fondamento
del potere attribuito agli apparati del potere dello stato.
È intorno a questo ruolo della legge, di legittimazione del potere e di limite al potere, che dalle regole
sull’amministrazione si passa propriamente al diritto amministrativo: l’amministrazione diviene un elemento
che connota lo stato di diritto. Non basta però il rapporto tra legge e amministrazione, c’è bisogno di un
soggetto terzo che ne sia garante: poiché l’amministrazione è apparato distinto da quello del Parlamento,
sottoposto all’indirizzo dell’esecutivo, vi è sempre il rischio che l’esercizio dei poteri in concreto avvenga in
modo non conforme alla legge. Nell’impostazione classica dello Stato di diritto il principale rimedio sta nella
separazione dei tre poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario; che implica, in primo luogo il controllo del
Parlamento sull’attività del Governo.
Se la separazione tra potere legislativo ed esecutivo non sempre funziona come argine all’illegittimità
dell’azione sull’amministrazione, il vero rimedio sta nel controllo giurisdizionale, cioè nell’esistenza di
un’effettiva separazione tra esecutivo e legislativo da un lato e giudiziario dall’altro. Perché la funzione
giurisdizionale sia indipendente è necessario che vi siano giudici effettivamente indipendenti.

3-La legge non pone solo limiti esterni allo svolgimento di attività libere nel fine, ma predetermina le finalità
da raggiungere e le modalità di azione: fissa i limiti interni allo svolgimento delle attività delle pubbliche

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amministrazioni. Il principio di legalità opera, in duplice veste: di garanzia e di funzionalizzazione. Nella


funzione di garanzia i limiti sono posti a garanzia dei cittadini nei cui confronti il potere viene esercitato. Si
parla di “legalità-garanzia” ovvero la tutela del cittadino contro gli abusi. Accanto a questa funzione il
principio di legalità esprime anche l’assunzione di finalità per l’amministrazione.
Il diritto amministrativo nasce e si afferma progressivamente come complesso di regole che, prima
delimitano e, poi, addirittura, conferiscono i poteri all’amministrazione. Nell’originaria visione liberale del
ruolo del diritto amministrativo vi è anche un nucleo autoritario, si afferma che esista un diritto del potere
intrinsecamente diverso dal diritto comune, quindi un diritto speciale, pubblico, la cui
interpretazione/applicazione è affidata a un giudice anch’esso speciale.
Dalla delimitazione di poteri autoritativi si passa all’assunzione con la legge del Parlamento di nuovi compiti
di cura di nuovi interessi pubblici.
Le costituzioni individuano le grandi finalità dell’azione pubblica e affidano alla legge la realizzazione di
questi compiti. Il principio di legalità acquista pertanto il contenuto della legalità indirizzo, risultato
dell’influsso del pensiero democratico-sociale. La legge legittima i governi e le loro amministrazioni a curare
gli interessi pubblici, la cui soddisfazione è doverosa. Intorno ad un nucleo “liberale” di amministrazioni
chiamate a svolgere funzioni di autorità, troviamo un insieme di nuovi apparati che devono fornire o
garantire prestazioni. L’amministrazione non è più solo esercizio di poteri autoritativi, ma diviene
amministrazione di servizio, di prestazione di attività prima escluse dall’intervento dello Stato.
I due contenuti distinti del principio di legalità non sono in contraddizione: la guida dell’amministrazione
verso la cura di interessi sociali, collettivi, del bene comune, è diretta applicazione del principio di
uguaglianza sostanziale art. 3 della Costituzione, non può andare a scapito della tutela rigorosa dei diritti del
cittadino.
Le due finalità del principio di legalità sono raggiunte attraverso la predeterminazione delle attività che
l’amministrazione è legittimata a svolgere per il raggiungimento di finalità di pubblico interesse, di
attribuzione di queste attività ad un soggetto abilitato a svolgerle, di fissazione delle regole per lo
svolgimento delle attività predeterminate. La predeterminazione delle attività e la loro attribuzione ad
apparati amministrativi rientra nella nozione di funzione amministrativa; la fissazione delle regole per lo
svolgimento delle attività rientra nella nozione di azione amministrativa.
Si può poi discutere dei vi sia più di recente un’evoluzione ulteriore del diritto amministrativo e parlare al
riguardo di amministrazione democratica. Nello sviluppo dei principi costituzionali sull’amministrazione, e
dei valori a questi affidati, il diritto amministrativo diviene un sistema di protezione di una serie di beni
comuni.

4-Le regole sull’amministrazione, come apparato e come attività di cura di interessi pubblici, non sono solo
regole di diritto pubblico, perché crescente è l’apporto del diritto privato.
Il problema nasce dal fatto che, l’individuazione e cura di un interesse pubblico può comportare il sacrificio
degli interessi privati coinvolti. Le amministrazioni, in quanto soggetti di diritto, possiedono una capacità di
agire, ciò che consente loro di utilizzare anche il diritto privato, sia pure con alcune limitazioni e alcune
specificità.
Il più consistente in termini concettuali si pone non già quando l’amministrazione ricorre al diritto privato
per attività di cura di interessi “propri”, ma quando lo fa nella cura di interessi pubblici.
Sul versante dell’organizzazione amministrativa una parte di essa è ormai disciplinata con norme di diritto
privato. Una parte importante dei fini pubblici è affidato a soggetti formalmente privati, tanto che si avverte
l’esigenza di estendere l’area delle regole del diritto amministrativo a un universo di soggetti e
organizzazioni che hanno veste privatistica.
Se parte dell’organizzazione e dell’amministrazione, sempre ai fini della cura dell’interesse pubblico, si può
svolgere secondo regole di diritto privato, non tutto il diritto dell’amministrazione è diritto amministrativo.
Per questo appare convincente qualificare questo diritto come diritto dell’amministrazione pubblica.
L’amministrazione è un fenomeno articolare e differenziato a quanto regole. Si afferma così il pluralismo
amministrativo, che segnala l’esistenza di una serie complessa di soggetti cui sono affidate funzioni
amministrative e, insieme ad esse, anche il potere, di fissare le regole relative al loro esercizio.
L’articolazione pluralistica più rilevante è sicuramente quella costituita dagli enti territoriali autonomi, che
possono essere considerate come forme di decentramento dello Stato centrale. La pluralità di dirittoi che

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regolano l’amministrazione e la pluralità di soggetti con funzioni amministrative impongono di parlare al


plurale del complesso delle norme che le regolano come di diritto delle amministrazioni pubbliche.

5-La più tradizionale distinzione operata in sede di diritto comparato è quella tra sistemi di common law e
sistemi di civil law.
Da un lato il diritto privato come ius commune; dall’altro l’emergere progressivo di un diritto pubblico come
diritto “speciale”, dotato di proprie regole, diverse dalle prime.
Nei sistemi di common law, che trovano il loro archetipo nel modello inglese, la specialità del diritto
pubblico/amministrativo è negata: l’amministrazione è un soggetto di diritto comune come gli altri. Le
controversie tra cittadino e pubblica amministrazione sono portate davanti al giudice ordinario, lo stesso
che risolve le controversie tra le privati. Forte è l’intento democratico, liberale e paritario: tutti sono uguali
davanti alla legge. Forte è la ricerca dell’eliminazione di ogni forma di superiorità dell’amministrazione. La
parità tra amministrazione e cittadino davanti al giudice è solo apparente. Speso il giudice rifiuta o non è in
grado i occuparsi dei casi di esplicito esercizio di un potere amministrativo, finendo per non dare adeguata
tutela al cittadino. È il fenomeno chiamato deference, che segnala come il giudice ordinario finisca per
essere condizionato da un eccessivo rispetto per l’esercizio del potere amministrativo. Anche nei sistemi di
common law nascono giudici speciali e si afferma un diritto amministrativo come diritto speciale.
Nei sistemi di civil law, per i quali si assume come tipo di modello la Francia, il diritto è in gran parte frutto
dell’opera del legislatore, l’amministrazione è un distinto potere, erede del potere sovrano e spesso posto in
una condizione privilegiata e sovraordinata rispetto ai cittadini. L’evoluzione nella limitazione del potere e
nel riconoscimento di adeguate tutele per il cittadino, è di tipo progressivo. Dapprima si creano delle forme
di giustizia amministrativa vicine al sovrano, che poi diventano distinti organi di contenzioso amministrativo,
ma non veri giudici indipendenti. Solo successivamente gli organi di contenzioso evolvono verso una
configurazione più esplicitamente giurisdizionale e si occupano delle controversie tra amministrazione e
cittadino. Anche quando si tratta di un vero giudice, questo rischia di essere troppo vicino
all’amministrazione, di essere cioè giudice dell’amministrazione e non del rispetto delle regole nell’esercizio
del potere. Nonostante questi rischi, i difensori del sistema a diritto amministrativo ricordano che questo
giudice è stato più capace del giudice ordinario di porre regole e limiti all’esercizio del potere. Il problema è
opposto a quello del modello inglese: mentre li c’è un giudice sicuramente indipendente dal potere che non
riesce a dare efficace tutela, qui il processo di progressiva emersione di un organo giurisdizionale deve
essere completato con la creazione di un giudice effettivamente indipendente e terzo rispetto
all’amministrazione.
In questa direzione molto significativa è il sistema tedesco, che nasce sotto il sicuro influsso del modello
francese del giudice speciale vicino all’amministrazione, ma evolve, soprattutto nel sistema federale del
secondo dopoguerra, verso un sistema fondato sul riconoscimento dei diritti fondamentali del cittadino e
quindi verso la piena indipendenza del giudice amministrativo. Da noi resta forte l’influsso francese, anche
sugli strumenti di tutela spesso ci si ispira al modello tedesco.
Gli elementi che toccano il contenuto e la qualità delle regole del diritto delle amministrazioni pubbliche
sono: le regole sull’organizzazione amministrativa che sono assenti nei paesi di common law e scarse anche
nei paesi a grande tradizione come Francia e Germania. Molto presente nella tradizione giuridica italiana; le
regole sull’azione amministrativa , per le quali si individuano strade diverse, che non necessariamente
seguono la grande distinzione tra i due sistemi. Da un lato la fissazione di soli principi generali sull’azione e
dall’altro la fissazione di regole per via legislativa.

6-Il punto di partenza è nettamente nazionale. Ogni paese sceglie il proprio sistema di regole
sull’amministrazione. Si può dire che la natura nazionale di queste regole è strettamente legata alla stessa
idea di sovranità statuale. Esistono dei nuovi fattori che producono convergenza tra sistemi.
Il primo è l’ordinamento europeo, nel quale l’effetto di convergenza può derivare in due modi: in primo
luogo per l’effetto vincolante che i Trattati svolgono nei confronti degli Stati membri, obbligandoli ad
uniformare al diritto europeo le proprie norme interne. In secondo luogo in virtù dell’efficacia diretta che un
numero crescente di norme europee acquistano negli ordinamenti interni degli stati. Il fenomeno
dell’integrazione europea produce processi diversi di avvicinamento dei modelli: da un lato, in positivo,

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armonizzando le legislazione dei paesi europei; in negativo, impedendo ai sistemi amministrativi nazionali di
disciplinare in modo diverso fenomeni qualificati dal diritto europeo.
Il secondo fattore è la cosiddetta globalizzazione del diritto, che può assumere forme che per brevità
individuiamo: nell’affermarsi di standard internazionali in materia di transazioni economiche; l’emanazione
di trattati internazionali contenenti disposizioni che vincolano gli Stati firmatari e ratificanti a modificare le
proprie legislazioni o a dare diretta efficacia a norme di fonte internazionale o a decisioni di autorità
sovranazionali.

7-Il diritto delle amministrazioni è il frutto di diverse attività. Un ruolo non secondario nei confronti di
queste diverse attività è svolto dai cultori della scienza del diritto delle amministrazioni, che conoscono,
interpretano le norme e ne propongono di nuove.
Le amministrazioni pubbliche sono, per il loro peso quantitativo, per il ruolo svolto nelle società
contemporanee, un oggetto di conoscenza imprescindibile anche per le altre scienze sociali. Queste scienze
interagiscono in vario modo con il diritto.
Si consideri l’economia in particolare l’economia pubblica che ha come oggetto di studio le funzioni
allocative, redistributive e di stabilizzazione del settore pubblico.
Si consideri anche l’apporto della sociologia, che si occupa sempre più spesso delle amministrazioni
pubbliche, sia sotto il profilo organizzativo sia sotto il profilo politico avendo al centro della propriaa
riflessione scientifica il comportamento dei diversi settori.
Di grande rilievo anche l’apporto della storia, della storia moderna e contemporanea in generale e della
specifica storia dell’amministrazione, che non può ignorare l’evoluzione della disciplina giuridica delle
amministrazioni pubbliche, ma dà allo studio del diritto un contributo importante.
Minore ma non trascurabile l’apporto della geografia amministrativa, nella quale si intrecciano le
competenze geografiche e quelle amministrative soprattutto quanto alla delimitazione territoriale delle
istituzioni democratiche.
Vi è poi il crescente apporto della statistica, sia come scienza che quantifica fenomeni economici e sociali
sui quali si dovranno esercitare le politiche pubbliche e le funzioni amministrative, sia come scienza che
raccoglie e sistema informazioni preziose sulle stesse amministrazioni.

CAPITOLO 2

1-Nessuna funzione amministrativa, nessuna attività di cura di interesse pubblico, può essere
legittimamente esercitata senza che vi sia una norma che la disciplina. L’organizzazione e l’attività
amministrativa richiede di essere guidata dalla legge, soprattutto se comporta l’esercizio di poteri
autoritativi.
Le amministrazioni svolgono un ruolo attivo: sia perché spesso finiscono per godere di spazi di “scelta del
diritto” e arbitraggio, sia perché ad esse compete una parte significativa proprio nella definizione di quella
“regola di diritto” che ne conformerà l’azione.
La conoscenza della normativa, ed in particolare della legge, è essenziale per comprendere per quali finalità
e con quali obiettivi sono state conferite funzioni amministrative. Negli Stati contemporanei le regole non
sono prodotte solo con la fonte legislativa, ma anche con una pluralità di fonti di carattere secondario, cioè
emanate nel rispetto di disposizioni di legge, a cominciare dai regolamenti.

1.1-Lo schema classico vuole che al centro della produzione di norme giuridiche sia il Parlamento, con la
legge. Il Governo è l’organo esecutivo del parlamento e utilizza lo strumento del regolamento.
Negli Stati contemporanei con forma di governo parlamentare, norme costituzionali o sistemi elettorali
tendono ad assicurare ai governi maggioranze stabili in Parlamento. Cosi facendo la gran parte delle leggi
sono di iniziativa governativa ed i governi hanno strumenti efficaci per ottenere l’approvazione delle leggi.
Inoltre i governi hanno propri poteri di produzione legislativa, su delega del Parlamento o nei casi di
necessità ed urgenza. Infine spesso organi dell’amministrazione emanano norme solo indirettamente
fondate sulla legge.

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1.2-La nostra Costituzione, in sede di distribuzione del potere normativo tra legge e altre fonti, riserva alla
legge determinate materie ed oggetti, proprio al fine di garantire una loro disciplina non solo generale ed
astratta, ma anche durevole, non troppo facilmente modificabile.
Si considerino, le riserve di legge a garanzia dei diritti fondamentali del cittadino. Molte di queste riserve
hanno però un carattere relativo: l’intervento di fonti secondarie non è escluso, ma deve avvenire nel
quadro delle disposizioni di legge.
I regolamenti, nel rispetto della legge, sono però lo strumento fondamentale e potremmo dire ordinario di
emanazione di regole amministrative. All’attribuzione di funzioni ad un’amministrazione corrisponde un
potere regolamentare. La caratteristica più significativa dei regolamenti è che il potere di emanarli spetta, di
regola, allo stesso soggetto cui sono attribuiti i poteri amministrativi, cioè alle stesse amministrazioni
pubbliche. I regolamenti sono quindi, uno strumento di autoregolazione normativa da parte delle
amministrazioni. Il potere regolamentare spetta non agli organi amministrativi interni alle amministrazioni,
ma agli organi di indirizzo politico.
Il controllo sull’uso che l’amministrazione fa del proprio potere regolamentare viene fatto sul piano politico
dal Parlamento e in generale dalle assemblee elettive, nell’esercizio del loro potere di vigilanza sul potere
esecutivo, ma questo non avviene che raramente. Un controllo efficace sempre sul piano politico può essere
anche svolto dal cittadino se funzionano gli strumenti di trasparenza.
Sul piano giuridico, vi sono due tipi di garanzie: una preventiva che consiste nel potere di sindacato del
giudice amministrativo. I regolamenti sono infatti atti amministrativi, sia pure a contenuto normativo, e
devono essere conformi alla legge. In caso di contrasto con le norme di legge è dunque possibile impugnarli
in sede giudiziaria e il giudice amministrativo può annullarli.

1.3-Lo schema della centralità della legge del Parlamento nazionale è contraddetto dalla pluralità di livelli di
governo abilitati a produrre norme sull’amministrazione. L’idea di un diritto amministrativo come diritto
“dello Stato” è dunque solo in parte vera, ma contraddetta dalla crescente importanza delle fonti prodotte
da livelli diversi.
A livello interno questo è particolarmente evidente, dal momento che la riforma del Titolo V ha sottratto
allo Stato, in via generale, la competenza legislativa ed anche quella sull’amministrazione. Lo Stato non è più
il naturale centro di riferimento per la legislazione, ma ad esso sono riconosciute competenze legislative
esclusive in un elenco tassativo di materie e di fissazione dei principi fondamentali nelle materie di
legislazione regionale concorrente, mentre per tutte le materie non elencate la competenza residuale è
delle Regioni, che possono legiferare con il solo limite del <<rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli
derivanti dell’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali>>. Comuni e Province, si vedono
attribuire dalla legge, funzioni amministrative. Essi dispongono di poteri normativi nella forma degli statuti e
dei regolamenti. I regolamenti locali, quindi, nel solo rispetto dei limiti posti dalla legge provvedono a dare
regole sull’amministrazione proprie e differenziate.

2.1-Le costituzioni contemporanee, in particolare la nostra, sono nello stesso tempo fonti sulla produzione
di regole sulle amministrazioni e fonti di produzione diretta.
Le pubbliche amministrazioni sono regolate in Costituzione non solo dalle parti che specificatamente le
riguardano, ovvero il Titolo V, che regola le autonomie territoriali, ma in larga misura dalla sua prima parte.
La Costituzione detta disposizioni che non hanno solo una valore “programmatico” e di indicazione di
obiettivi da raggiungere per il legislatore ordinario.
Sono pochi gli articoli della Costituzione che non chiamino in qualche modo in causa l’amministrazione,
come attività di cura concreta di interessi e quindi di realizzazione degli obiettivi, dei diritto e dei doveri
sanciti dalla Carta Costituzionale. Questa lettura della Costituzione sottolinea una stretta connessione tra la
scienza del diritto amministrativo e la scienza del diritto costituzionale. Non si possono interpretare le regole
sulle amministrazioni pubbliche se non alla luce dei principi delle disposizioni costituzionali.
I principi costituzionali trovano sviluppo in primo luogo nella legislazione che è statale o regionale mentre
dalla Costituzione ricaviamo l’idea di una piena equi-ordinazione della legge, regionale o statale, la
tendenza del legislatore è di porsi su una posizione in qualche modo “superiore”, dal momento che
spetterebbe allo Stato dare traduzione legislativa ai principi costituzionali.

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2.2-In base all’art 117 <<la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della
Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali>>,
questo comporta l’esigenza di confrontarci da subito con le fonti sovranazionali, in grado di condizionare nel
loro sviluppo le norme nazionali.
Il rapporto tra ordinamento nazionale e fonti europee è in ogni caso un problema ben più complesso, che
tende a ricondursi a due possibili impostazioni: la tesi monista, della Corte di Giustizia, per la quale
l’ordinamento nazionale è integrato in quello comunitario, secondo una struttura gerarchica connotata dalla
prevalenza del diritto europeo; la tesi dualista, per la quale i due sistemi sono “autonomi e distinti,
ancorchè coordinati”, il che per un lungo periodo aveva portato a ritenere che il meccanismo da attivare, da
parte dei giudici nazionali, in caso di contrasto tra diritto interno e regole europee, fosse quello
dell’eccezione di incostituzionalità per violazione di un parametro interposto, quindi non con
disapplicazione ma con decisione della Corte costituzionale di illegittimità costituzionale della norma
interna.
Questa seconda linea interpretativa si è progressivamente avvicinata alla prima, ma mantenendo la
possibilità di un sindacato della Corte costituzionale sulle norme europee, laddove fossero queste ad essere
lesive di “principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale” e di “diritti inalienabili della
persona” in questo caso sarebbe l’ordinamento nazionale a prevalere su quello europeo.

2.3-Con atti che hanno ancora natura di convenzioni internazionali, i trattati, gli stati europei che fanno
parte dell’Unione hanno dato luogo ad un ordinamento giuridico del tutto particolare, nel quali essi
compiono a favore dell’Unione una cessione di sovranità in materie predeterminate negli stessi Trattati, ma
anche in materie che di volta in volta siano identificate come di interesse europeo.
Si ha così un sistema che riconosce alla fonti dell’Unione non solo una forza privilegiata, ma una peculiare
capacità di penetrare negli ordinamenti degli stati membri.
Ciò consente alle istituzioni europee di adottare normative, che non hanno il tradizionale effetto
obbligatorio tipico delle convenzioni internazionali, ma un’efficacia diretta. Talune disposizioni europee sono
direttamente applicate negli ordinamenti degli Stati membri. Ciò può avvenire in due modi: in primo luogo
con la possibile dichiarazione di illegittimità costituzionale di norme interne in contrasto con norma
comunitarie. In secondo luogo con la disapplicazione delle norme interne in contrasto.
Le amministrazioni in sede amministrativa, in caso di contrasto, devono applicare la normativa europea; in
sede giurisdizionale: il giudice, in caso di contrasto, non annulla la norma nazionale, che può avere anche
una sua diversa efficacia, ma la disapplica, cioè applica la norma europea nel caso concreto al posto della
norma nazionale.
Fonti <<primarie>> dell’ordinamento comunitario sono, gli stessi Trattati, allorché, fissano principi generali
che limitano o individuano obiettivi di azione per le nostre amministrazioni pubbliche. Fonti <<derivate>>
sono le fonti abilitate dai Trattati a stabilire normative che possono avere l’effetto diretto di cui si è detto.
I Trattati distinguono tra atti legislativi e atti non legislativi. Sono atti legislativi quelli adottati con procedura
legislativa e cioè:
 Il regolamento che ha portata generale. È obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente
applicabile in ciascuno degli Stati membri.
 La decisione, che al pari del regolamento, è obbligatoria in tutti i suoi elementi. Se designa i
destinatari è obbligatoria soltanto nei confronti di questi. A differenza del regolamento non ha
portata generale ed astratta, ma produce i suoi effetti solo nei soggetti cui è rivolta.
 La direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere,
salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi. Il problema più
significativo che pongono le direttive è relativo alla loro efficacia fino all’intervento della normativa
nazionale di recepimento: si parla a riguardo di effetti diretti delle direttive non recepite, con
riferimento alla possibilità per i privati di far valere le previsioni delle direttive allorchè ricorrano:
chiarezza e precisione nella definizione di diritto in capo ai soggetti; possibilità di applicazione delle
disposizioni della direttiva; intervenuta scadenza del recepimento
Anche nell’ordinamento europeo sono oggi previsti atti delegati, cioè atti che la Commissione può adottare
su delega disposta da un atto legislativo, per l’adozione di discipline <<di portata generale che integrano o
modificano determinati elementi non essenziali dell’atto legislativo>>.

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2.4-Di norma i trattati internazionali hanno un’efficacia giuridica solo di tipo obbligatorio. Per recepire i
trattati nel diritto interno occorre, quindi, sempre un atto, che in alcuni paesi coincide con la ratifica. È di
crescente importanza l’applicazione da parte dei giudici nazionali di norme della Convenzione europea dei
diritti dell’uomo. La CEDU consente il ricorso non solo agli Stati, ma anche, direttamente, da parte dei
cittadini alla Corte di Strasburgo, la cui interpretazione della Convenzione diventa dunque vincolante per gli
Stati al pari della Convenzione stessa. Il giudice nazionale, trovandosi di fronte ad una legge italiana
contrastante con i principi della CEDU non potrà disapplicarla, come avrebbe fatto con norme comunitarie,
ma dovrà rimettere alla Corte costituzionale la decisione.
Si sta però facendo strada la teoria della “comunitarizzazione” della CEDU: nel momento in cui le sue
previsioni divengono “diritto interno dell’Unione”, anche per queste si dovrà risolvere il contrasto con le
norme nazionali attraverso la loro disapplicazione.

2.5-La gran parte delle leggi, sia statali che regionali, sono fonti di regole sull’amministrazione.
Il quadro è reso più complesso dalla distribuzione della funzione legislativa tra più livelli: l’art 117 della
Costituzione affida alla legislazione dello Stato concorrente e residuale la disciplina delle diverse materie: è
dunque per competenza che vanno risolti i conflitti tra legge statale(1) e regionale(2).
1. Lo squilibrio tra Governo e Parlamento nella produzione delle leggi finisce per attribuire alla stessa
amministrazione, attraverso il Governo, il potere di stabilire le regole sulla propria organizzazione e
azione, riducendo il Parlamento ad un ruolo di sostanziale ratifica. Si afferma poi il ricorso a
maxiemendamenti di un solo articolo, che ricomprende quindi l’intero intervento legislativo in
centinaia di commi, con evidente pregiudizio non solo della correttezza e trasparenza del dibattito
parlamentare, ma anche della leggibilità dei testi normativi. L’estrema frammentazione normativa,
la difficoltà di stabilire quali siano le disposizioni effettivamente vigenti e applicabili ha dato luogo,
in molte occasioni, a tentativi di unificazione normativa, redatti per consolidare e semplificare le
norme relative a specifici settori amministrativi, materie o oggetti. Se c’è un tratto caratteristico del
diritto amministrativo è l’assenza di un unico codice che ne contenga la disciplina, o la parte
prevalente di questa.
2. La scelta più rilevante della Costituzione italiana, è stata di dotare il nuovo livello di governo da essa
creato, la Regione, di un potere normativo superiore a quello regolamentare tradizionalmente
riconosciuto agli enti locali. La Regione, ha poteri di emanazione di leggi aventi lo stesso rango della
legge statale. Non vi è sovra ordinazione gerarchica tra norme, ma un criterio di competenza per
materia. Questa scelta considera come normale, che in alcune materie la disciplina non sia più
uniforme, ma differenziata, per adeguare la normativa alle condizioni delle diverse aree del Paese.
Con il nuovo Titolo V, si può affermare che la legge regionale può disciplinare la grandissima parte
delle funzioni amministrative che, in applicazione dell’art.118 Cost, sono attribuite agli enti locali e
alle stesse Regioni. La legge regionale è la principale fonte di disciplina dell’amministrazione.

2.6-I regolamenti dello Stato sono previsti e disciplinati dalle legge n.400 del 1998, che regola l’attività del
Governo e l’organizzazione della Presidenza del Consiglio dei ministri.
In quanto fonti del diritto per i regolamenti valgono una serie di principi generali, al pari delle leggi: solo la
violazione di leggi o regolamenti comporta la configurabilità del reato di abuso di ufficio, l’atto adottato in
violazione di un regolamento rientra nel vizio di “violazione di legge”
In quanto “atti soggettivamente amministrativi”, i regolamenti sono soggetti al regime di impugnazione
ordinario. Se direttamente lesivo, il regolamento va impugnato nei termini di decadenza, se invece il
regolamento ha i caratteri astrattezza e generalità che comportano l’esigenza di un atto attuativo perché ne
risulti la lesività, allora sarà l’atto attuativo a dover essere impugnato congiuntamente al regolamento se è
da questo che l’atto trae il vizio che si lamenta.
Il primo comma dell’art.17 individua quattro tipologie di regolamenti governativi, che disciplinano:
l’esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi, l’attuazione e l’integrazione delle leggi e dei decreti
legislativi recanti norme di principio, esclusi quelli relativi a materie riservate alla competenza regionale, le
materie in cui manchi la disciplina da parte di leggi o atti aventi forza di legge, sempre che non si tratti di
materie comunque riservate alla legge, l’organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni
pubbliche.

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Per quanto riguarda i regolamenti indipendenti(la terza categoria), il Governo fissa regole in materie libere,
cioè non coperte dalla legge, sempreché questo potere regolamentare non riguardi oggetti la cui disciplina
sia riservata alla legge. I regolamenti organizzati (la quarta categoria), sono i più utilizzati, soprattutto per la
disciplina dell’organizzazione degli uffici della Presidenza del Consiglio e dei singoli ministeri. Oggi è naturale
riconoscere all’esecutivo il potere di modellare secondo le proprie esigenze la conformazione degli uffici.
Il comma 2 dell’art 117 prevede un’ulteriore categoria di regolamenti governativi, <<per la disciplina delle
materie, non coperta da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione>>. Si tratta di regolamenti
cosiddetti delegati o di delegificazione, perché con la loro entrata in vigore la disciplina di un determinato
oggetto cessa di essere di rango primario. Questo strumento è stato oggetto di preoccupazione di legittimità
costituzionale, non tanto perché vi sarebbe una delegificazione la cui ampiezza sarebbe nelle mani del
potere esecutivo, quanto perché molto spesso la legge, la cui iniziativa proviene dallo stesso potere
esecutivo, non contiene le norme generali regolatrici della materia in grado di contenere l’effetto di
delegificazione. I regolamenti indipendenti e di delegificazione presentano un ulteriore profilo, che li
accomuna: si tratta di fonti secondarie che finiscono per regolare materie e funzioni, in assenza di una
legge.
La riforma del Titolo V è stato uno dei fattori che hanno maggiormente contribuito a ridurre il ricorso a
processi di delegificazione.
In posizione subordinata vi sono i regolamenti ministeriali, disciplinati dal comma 3 art 17: <<Con decreto
ministeriale possono essere adottati regolamenti nelle materie di competenza del ministro o di autorità
sottordinate al ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere>>. Sono adottai soprattutto
per le regole più minute di organizzazione interna degli uffici.
Gli enti pubblici, cioè quelli istituiti dallo Stato si vedono riconoscere il potere di adottare proprie normative,
per adattarle alle loro specifiche esigenze. In generale è riconosciuto un potere di adottare regolamenti. In
qualche caso è previsto anche lo strumento dello statuto, che fissa regole di carattere generale, che poi i
regolamenti devono rispettare.
REGOLAMENTI REGIONALI  Il potere regolamentare spetta alle Regioni sia per le materie di competenza
concorrente sia per le materie di competenza residuale. Lo Stato può adottare propri regolamenti solo per
le materie di competenza esclusiva. Nelle materie concorrenti la fissazione di principi fondamentali non
potrà avvenire che per legge, senza che questa posso rinviare a regolamenti di esecuzione/attuazione.
D’altra parte i regolamenti regionali non potranno che disciplinare le funzioni amministrative svolte a livello
regionale. Non si conosce la tipologia dei regolamenti indipendenti o di delegificazione. Anche questi
regolamenti sono soggetti al sindacato del giudice amministrativo.
GLI STATUTI E I REGOLAMENTI DEGLI ENTI LOCALI  Gli statuti e i regolamenti locali sono fonti dello stesso
rango, anche se i regolamenti dono rispettare le scelte fondamentali operate nello statuto. Entrambe sono
la fonte di produzione più significativa di regole sull’amministrazione. I regolamenti sono atti amministrativi
di competenza dei consigli comunali, salva la materia dell’organizzazione degli uffici che è di competenza
dell’esecutivo. Mentre la giurisprudenza della Corte di cassazione e della stessa Corte costituzionale ha
mostrato interessanti aperture verso il riconoscimento di un ruolo semi primario delle fonti locali, ed in
particolare degli statuti, la giurisprudenza del Consiglio di Stato è stata molto rigida nel leggere in termini
gerarchici il rapporto tra legge e fonti di autonomia, riconoscendo la prevalenza delle legge sulle fonti di
autonomia locale, in quanto fonti secondarie.

2.7-La legge n.57 al fine di snellire la definizione degli uffici dirigenziali di minore importanza, ha aggiunto
un comma che consente di adottare <<decreti ministeriali di natura non regolamentare>>. Lo scopo è
quello di rendere il modello organizzativo interno ai ministeri più facilmente modificabili. Questi decreti
sono sottratti al preventivo parere del Consiglio di Stato. Il fenomeno si è largamente diffuso negli ultimi
tempi con la previsione di decreti che esplicitamente sono destinati a fissare regole, non solo organizzative,
ma di disciplina sostanziale. Questi atti pongono gravi problemi qualora finiscano per essere, in presenza di
una legge “a maglie larghe” e in assenza di regolamento, l’unica fonte di regole per lo svolgimento
dell’azione amministrativa. Si tratta, infatti, di stabilire se una tale prassi sia da considerarsi vietata perché
illegittima di per sé, in quanto viola l’assetto delle fonti normative, o possa essere limitata, considerando
illegittimi solo i casi in cui l’atto abbia un contenuto sostanzialmente normativo.

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2.8-Un caso diverso, ma che può porre problemi analoghi è quello degli atti amministrativi generali, si tratta
di atti di indirizzo.
Questi atti, che fissano obiettivi o regole per l’azione di esercizio delle funzioni amministrative, si avvicinano
molto agli atti amministrativi normativi veri e propri i regolamenti.
Non sono parimenti riconducibili alle fonti del diritto le c.d. “norme interne”, vale a dire gli atti mediante i
quali le amministrazioni si rivolgono al loro interno, dettando regole sul funzionamento e l’organizzazione
degli uffici.
Le circolari costituiscono la tipologia più significativa delle norme interne. Il loro obiettivo è quello di
orientare in modo uniforme il funzionamento di una pluralità di uffici ed assolvono spesso lo scopo di
definire l’interpretazione da dare di una determinata legge. Sarà possibile impugnare la circolare
unitamente all’atto direttamente lesivo, ma questo è una facoltà e non un onere per il ricorrente, che può
anche limitarsi ad impugnare il solo atto finale.

2.9-Le ordinanza di necessità ed urgenza sono di difficile collocazione, dal momento che si tratta di atti a
contenuto atipico, l’amministrazione è autorizzata ad adottare provvedimenti idonei a fronteggiare una
serie di situazioni di necessità “anche derogando alla disciplina di legge”.
Specifiche situazioni di necessità sono alla base dell’attribuzione all’amministrazione di un potere
“derogatorio”, che può assumere anche caratteri, chiaramente normativi: limiti a questo potere sono il
rispetto dei principi generali dell’ordinamento, il carattere necessariamente “provvisorio” del
provvedimento, l’esigenza di motivare l’esercizio del potere.

2.10-Anche atti di diritto privato possono contenere regole per l’amministrazione. Ci riferiamo ai contratti
collettivi stipulati tra amministrazioni pubbliche e organizzazioni sindacali per regolare i rapporti di lavoro
pubblico. Questi atti, che oggi hanno un’esclusiva natura privatistica, contengono non solo la disciplina della
prestazione lavorativa, ma anche norme sullo stato giuridico dei pubblici dipendenti. Sono fonte di regole
sulle pubbliche amministrazioni.

2.11-Le regole generali sulle pubbliche amministrazioni sono prodotte da atti aventi la natura di fonte
normativa e adottati seguendo procedimenti che tengono conto di questa specifica finalità, a garanzia del
cittadino che, conoscendone il contenuto, è in grado di comprendere la portata e i limiti del conferimento di
funzioni pubbliche alle amministrazioni e di comportarsi di conseguenza.
Il giudice nel decidere sulle controversie tra cittadini e amministrazioni, spesso va al di là della mera
interpretazione e applicazione di disposizioni vigenti e arriva ad individuare regole generali, principi, che le
amministrazioni devono rispettare. Tra giudice e legislatore vi è spesso un dialogo, che fa sì che la legge sia
in qualche modo corretta e integrata dalla giurisprudenza.
Nei paesi di common law, l’assenza di una codificazione fa derivare le regole generali dall’applicazione al
caso in esame, per analogia, delle soluzioni adottati in altri singoli casi giudiziari.
L’amministrazione, conoscendo la giurisprudenza del giudice amministrativo, si conforma anticipatamente al
sui orientamento, per evitare di vedersi annullare l’atto adottato.

CAPITOLO 3

1-Nella Costituzione è possibile trovare indicazioni precise sugli aspetti centrali della nostra materia, ed è
così possibile superare una lettura ristretta delle norme costituzionali. Le norme costituzionali sulle
amministrazioni pubbliche sono molto più numerose, e, alla luce della loro interpretazione evolutiva, frutto
della legislazione attuativa e dell’interpretazione della Corte costituzionale, devono essere oggetto di una
lettura integrata in una versione moderna del ruolo delle pubbliche amministrazioni nelle società
contemporanee. Non è secondario il ruolo svolto dall’ordinamento comunitario, il cui intervento, spesso
diretto, nell’ordinamento interno italiano non è solo circoscritto all’affermazione piena del principio di
concorrenza e di libera circolazione, ma è consentito nell’affermazione di nuovi principi e di nuovi diritti
fondamentali del cittadino. Importante in questo senso è la Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Contiene
una lista più aggiornata di quella contenuta nelle Costituzioni dei diversi paesi. L’azione amministrativa
dell’Unione si sviluppa di norma attraverso l’intervento di amministrazioni nazionali.

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La moderna cultura dell’amministrazione vede al centro il cittadino, come componente essenziale della
sovranità popolare e come soggetto titolare di diritti inalienabili. Le pubbliche amministrazioni sono quindi,
al servizio del cittadino. Anche l’esercizio dei poteri autoritativi, con il possibile sacrificio di alcuni interessi
particolari, non è una conseguenza automatica di una posizione di autorità, ma è conferito in modo
strettamente funzionalizzato e proporzionato al raggiungimento di finalità di interesse generale.

2-Il primo contributo fondamentale della nostra Costituzione al diritto amministrativo sta nella definizione
delle funzioni amministrative, cioè delle finalità di interesse generale da conseguire. La Costituzione si
occupa di funzioni amministrative in due modi: indicando le finalità da perseguire e fissando i criteri sulla
distribuzione delle funzioni tra i livelli di governo e sulle condizioni per il loro esercizio.
Nel primo caso la Costituzione assegna compiti all’intero sistema amministrativo. In alcuni casi, la
Costituzione non si limita a definire come doverosa la cura di determinati interessi attraverso servizi
assicurati dalle amministrazioni pubbliche, ma definisce i caratteri delle stesse amministrazioni.
In merito al secondo punto, l’individuazione e distribuzione delle funzioni, centrale è il nuovo art.118 <<Le
funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano
conferite a Province, Città metropolitane. I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di
funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive
competenze>>.
Spetta quindi alla legge, statale o regionale, individuare le funzioni amministrative di cura degli interessi
generali. L’assunzione da parte della Repubblica di compiti e finalità di interesse generale, poiché può
comportare l’esercizio di poteri autoritativi, con la prevalenza su diversi interessi privati deve avvenire per
legge. Le funzioni devono poi essere distribuite tra i diversi livelli di governo.

3.1-L’art.81 Cost prevede che <<Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio,
tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico.
Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa
autorizzazione delle Camere, al verificarsi di eventi eccezionali>>.
Il principio del “pareggio di bilancio” si proietta su tutto il sistema amministrativo, l’art 97 infatti recita che
<< Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’UE, assicurano l’equilibrio dei bilanci e
la sostenibilità del debito pubblico>>.

3.2-La Costituzione individua direttamente compiti e finalità generali da perseguire. Qui si pone il tema,
dell’esistenza di eventuali limiti costituzionali nell’opera di individuazione di finalità generali, cioè, di
funzioni amministrative. Il tema tocca da un lato la libertà di iniziativa economica dei privati, che non deve
essere compromessa in modo eccessivo e dall’altro la necessità di garantire l’interesse generale, il bene
comune, almeno in tutti in casi in cui la libera iniziativa privata non sia in grado di soddisfarlo nella misura
adeguata. Si devono considerare:
L’art. 41: <<L’iniziativa economica privata è libera>>. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in
modo da recare danno alla sicurezza alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i
controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini
sociali.
L’art. 42: <<La proprietà è pubblica o privata. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che
ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale. La
proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, espropriata per motivi di interesse generale.>>
L’art. 43: <<Ai fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante
espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o categorie di imprese, che si riferiscano a
servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiamo carattere di
preminente interesse generale>>.
Dalla lettura di queste disposizioni emerge in tentativo del costituente del 1948 di rendere compatibile il
principio della libertà di iniziativa economica con il perseguimento di finalità di interesse generale. Si tratta
di obiettivi e finalità sociali che vanno lette come realizzazione del principio di eguaglianza sociale dei
cittadini. Nel compromesso costituzionale tra forza ideologiche diverse, queste norme non impongono certo

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politiche di massiccia nazionalizzazione, ma consentono limitazioni dell’iniziativa e della proprietà privata


per la cura di quegli interessi che la Repubblica, con le sue leggi, ritiene perseguibili.
Questa lettura costituzionale si scontrerebbe con le norme dell’ordinamento europeo che avrebbero
assunto a norma fondamentale il libero mercato e la concorrenza. Con il risultato di rendere di fatto
inoperanti le norme costituzionali che autorizzano l’assunzione di funzioni di riequilibrio dell’iniziativa
economica privata a fini sociali.
Nei Trattati, è evidente la ricerca di un equilibrio tra le esigenze del mercato unico, della libera circolazione
dei beni e del lavoro, della libera concorrenza nell’intero territorio dell’Unione, e le esigenze di coesione
sociale. L’art. 3 del TUE dice << L’Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile
dell’Europa, basato su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena
occupazione e al progresso sociale.
L’Unione combatte l’esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e la protezione sociale, la
parità tra donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni e la tutela dei diritti del minore. Promuove la
coesione economica, sociale e territoriale.>>
È aperta la prospettiva per interventi pubblici che non devono essere incompatibili con gli obiettivi
fondamentali dell’UE cui l’Italia ha dato piena adesione; possono comprimere ma solo in modo
proporzionato l’iniziativa economica privata e la concorrenza.

3.3-Va inoltre esaminata la norma costituzionale di recente introdotta dalla modifica del Titolo V <<Stato,
Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e
associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale sulla base del principio di sussidiarietà>>.
Questa nuova sussidiarietà, detta orizzontale, perché regola i rapporti tra enti territoriali e privati, non
contiene un principio sulla libertà di impresa. Qui siamo in presenza di soggetti pubblici che devono
assicurare ai cittadini lo svolgimento di attività con finalità di interesse generale. Si tratta di nuove forme di
concorso della società civile, liberamente organizzata, alla cura di interessi generali, di “beni comuni”.

4-Bisogna ricercare nel testo costituzionale alcuni principi generali che indirizzano il legislatore ordinario
nella definizione delle regole sull’amministrazione, cioè sull’organizzazione e sul concreto esercizio delle
funzioni. L’argomento è complicato perché ci si imbatte in “principi generali del diritto”, in “principi
fondamentali”, in principi costituzionali, in “principi generali dell’ordinamento”, in “principi generali sul
procedimento amministrativo”. Lo scopo del riferimento a questi principi è richiamare l’esistenza di norme
che sono di applicazione generale, che non possono essere disattese né dal legislatore, né dalle
amministrazioni. Lo scopo di fondo è quello di assicurare un’attuazione omogenea di questi principi, che
svolgono, quindi un ruolo di uniformità applicativa, che è uniformità organizzativa, ma anche uniformità
nell’azione.

5-Lo stesso problema si pone all’interno degli Stati con la differenza fondamentale che al loro interno vi
sono amministrazioni dotate di autonomia normativa. Nell’ordinamento italiano dopo l’entrata in vigore del
nuovo Titolo V, si è operata una netta distinzione tra organizzazione e azione. Per la prima il criterio di fondo
adottato è che lo Stato non dispone più dei precedenti poteri di uniformità organizzativa, ma può disporre
solo della propria organizzazione. Spetta agli enti territoriali autonomi stabilire come si debbano svolgere le
funzioni. Lo Stato non rinuncia a fissare regole organizzative che vorrebbe destinate ad un’applicazione
uniforme ed omogenea in tutte le amministrazioni pubbliche.
Rilevante è il ruolo della Costituzione nelle predeterminazione di criteri di distribuzione delle funzioni tra i
livelli di governo. La Costituzione indica al legislatore ordinario il principio di sussidiarietà, che impone di
attribuire le funzioni a partire dagli enti più vicini ai cittadini. La Costituzione esplicita il principio
individuando nei Comuni questi enti, ma consentendo di attribuire alcune funzioni, in ragione della loro
natura oggettiva, a livelli di governo superiori. È questa la cosiddetta “sussidiarietà verticale”.
La Costituzione consente anche agli enti territoriali di assumere funzioni non individuate dalla legge. Sono
queste le funzioni proprie.
La Costituzione si preoccupa di garantire, agli enti territoriali condizioni di autonomia nel loro esercizio.
Riconosce ad essi un’autonomia normativa e un’autonomia finanziaria. Se lo Stato ha perduto poteri di
uniformità organizzativa lo stesso non può dirsi per l’uniformità dell’azione amministrativa.

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6- Nell’art 1, comma2 troviamo l’affermazione di due distinti principi fondamentali.


Il principio democratico, vede nel popolo il detentore ultimo della sovranità, ovvero il soggetto cui riferire
l’assunzione di funzioni pubbliche e il loro esercizio. Il principio democratico viene espresso <<nei limiti della
Costituzione>>. Esso esclude il conferimento, per via di investitura popolare, di poteri che possano forzare
gli equilibri e i contrappesi voluti dalla Costituzione. Il principio democratico, con l’articolazione e la
separazione dei poteri, intende valorizzare la sovranità popolare non come delega illimitata di poteri, ma
come controllo democratico diffuso, di cittadini “attivi” e consapevoli, sull’esercizio dei poteri amministrativi
nei limiti in cui la legge li conferisce.
Il principio di legalità, affida alla legge il compito di individuare e delimitare le funzioni amministrative.

7-Art.97 Cost<<I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il
buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione>>.
Il buon andamento del testo costituzionale viene comunemente tradotto come dovere/obbligo delle
pubbliche amministrazioni di funzionalità, nella loro organizzazione e nel loro funzionamento. L’economia e
in particolare l’economia pubblica si occupa di buon andamento e di funzionalità adattando alle pubbliche
amministrazioni i concetti di:
efficienza, che misura i risultati raggiunti delle pubbliche amministrazioni in rapporto ai costi sostenuti.
efficacia, che è la relazione tra i risultati dell’azione pubblica e gli obiettivi predeterminati in sede di indirizzo
politico. Ovvero tra quei risultati e il grado di soddisfacimento degli interessi e dei diritti dei cittadini.
Il buon andamento, la funzionalità del settore pubblico si rivela, quindi, come un dovere/obbligo da
rispettare per compensare il sacrificio richiesto ai cittadini.
Negli ultimi tempi sulla spinta del movimento del New Public Management, molte riforme sono state
introdotte, in vari paesi, seguendo una filosofia di fondo comune: per avere più funzionalità occorre
considerare le pubbliche amministrazioni come imprese. Se si vuole maggiore efficienza occorre rendere il
lavoro pubblico più produttivo.
Anche sul piano dell’efficacia si è ormai affermato che essa può essere, non solo perseguita genericamente,
ma concretamente misurata. A questo fine occorre che, da un lato, vengano individuati gli obiettivi, non in
termini generici, ma in termini di concreti risultati attesi; dall’altro che questi risultati siano misurabili con
indicatori chiari, predeterminati ed oggettivi, che la misurazione avvenga periodicamente. Si parla sempre di
più di un’amministrazione di risultato. Il buon andamento non è solo un dovere delle pubbliche
amministrazioni ma è anche un diritto dei cittadini perché lo svolgimento tempestivo ed efficace delle
funzioni pubbliche è garanzia del massimo contenimento possibile dei sacrifici che sono chiamati a subire.

8-Il principio di imparzialità, è quello che più di ogni altro caratterizza la pubblica amministrazione.
La prima attenzione è relativa all’imparzialità nell’azione, l’amministrazione non può discriminare alcuni
interessi a scapito di altri; deve garantire parità di trattamento. L’imparzialità dell’amministrazione è in
primo luogo applicazione del principio di uguaglianza, sia formale, che sostanziale. Nel sistema
amministrativo repubblicano l’imparzialità è garantita dalla partecipazione dell’interessato al procedimento.
Il principio di imparzialità si precisa quindi, soprattutto nella legislazione ordinaria come principio di diritto
al “giusto procedimento”.
Ma limitarsi a sindacare l’imparzialità dell’azione, in rapporto a singoli atti, non è sufficiente. Occorre
garantire che l’amministrazione in quanto apparato sia, nel suo complesso imparziale. Di qui la crescente
attenzione all’imparzialità nell’organizzazione, sia dal punto di vista oggettivo, sia dal punto di vista
soggettivo.
L’elemento oggettivo dell’organizzazione. L’organizzazione nel suo complesso deve permettere risultati
imparziali nell’azione. L’applicazione più significativa del principio si è avuta con la netta distinzione tra
politica e amministrazione.
La distinzione consiste nella riserva di competenze amministrative e di gestione in capo ai dirigenti
professionali. L’elemento oggettivo si salda con l’elemento soggettivo: la riserva è effettuata a favore della
dirigenza amministrativa, cioè di funzionari professionali, che dovrebbero essere, per condizione e status, in
una posizione di maggiore indipendenza personale. Il funzionario oltre che essere, deve anche apparire
imparziale. Sono espressione dell’imparzialità soggettiva del funzionario professionale anche i principi
dell’accesso per concorso, che impedisce alle amministrazioni di reclutare a piacimento i propri funzionari e

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di piena dedicazione del funzionario alla funzione, espressa dalla disposizione che vuole che i pubblici
impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione. Si afferma , quindi, una nozione allargata di funzionario
pubblico, tenuto a svolgere le proprie funzioni secondo i principi di responsabilità e di disciplina e onore,
regole che rientrano tutte nella nozione di etica pubblica.
Nell’eventuale conflitto con il principio di buon andamento è sempre quello di imparzialità che prevale.
Un’importante applicazione dei principi di uguaglianza e di imparzialità è il principio di laicità. Lo Stato
opera nell’interesse generale, non può essere condizionato, nella sua organizzazione e nella sua azione, da
particolari “visioni del mondo”. Applicazioni più rilevanti del principio sono: la salute, la scuola.

9-Il tema della responsabilità è uno dei più discussi da parte di tutte le scienze sociali. Si considera
responsabile colui che “agisce in modo responsabile”, cioè prevedendo i risultati possibili e scegliendo in
modo consapevole quali atti compiere; colui che, agendo in modo responsabile, dà affidamento verso
l’esterno sui suoi comportamenti e la sua azione; ovvero colui che dimostra sensibilità nei confronti dei
doveri. Assumono un significato giuridicamente più rilevante altre accezione della responsabilità, quali il
dovere di rendere conto del proprio operato ovvero l’essere destinatario delle conseguenza delle proprie
azioni.
Nella nostra Costituzione la responsabilità è citata in tre diverse norme:
Art 95 << i Ministri sono responsabili>>. Questa responsabilità è tipo eminentemente politico.
Art 97 <<…responsabilità proprie dei funzionari>>. Il termine responsabilità è usato in stretta connessione
con la nozione di competenza, centrale nell’organizzazione amministrativa.
Art 28 <<I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili>>. Si è in
presenza di una norma che tocca direttamente le responsabilità giuridiche, distinguendo tra le
responsabilità dei <<funzionari e dipendenti dello Stato>> e la responsabilità delle pubbliche
amministrazioni.
Le prime sono responsabilità personali, individuali, e la norma individua quelle penali, civili e
amministrative. Il funzionario risponde pertanto direttamente, cioè in proprio, per le violazioni ai suoi
doveri.
Più controversa la parte relativa alla responsabilità civile. Secondo alcuni la previsioni di una responsabilità
del funzionario che si <<estende>> all’amministrazione di appartenenza, nasce dall’erronea idea che
l’amministrazione in quanto persona giuridica non potesse essere direttamente responsabile.
La responsabilità civile dell’UE è affermata come principio <<Ogni persona ha diritto al risarcimento da parte
dell’Unione dei danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni>>.

10-Nella nostra Costituzione non vi è, finora, alcun esplicito riferimento al principio di trasparenza, esso è
stato fatto derivare in modo diretto da altri principi costituzionali.
L’amministrazione è organizzata e agisce per la cura di interessi pubblici per finalità predeterminate dalla
legge. L’amministrazione deve essere aperta e conoscibile da parte dei cittadini. La conoscenza generalizzata
sull’amministrazione si acquisisce con i due strumenti di base dell’accesso e della pubblicità.
Accesso e pubblicità sono oggi largamente favoriti dall’utilizzazione delle tecnologie informatiche.
Conoscere diviene un vero e proprio diritto. La trasparenza è quindi diretta applicazione del principio
democratico e del principio di responsabilità. La stessa funzionalità dell’amministrazione può essere favorita
dalla trasparenza: la conoscenza dei risultati raggiunti dall’amministrazione, secondo la legislazione più
recente una forma di pressione dell’opinione pubblica, dei cittadini, sui funzionari, così indotti a migliorare e
rendere più efficiente ed efficace la loro azione.
Nei Trattati UE il principio è più parti direttamente citato.
Il principio di buona amministrazione adottato a livello europeo è quindi più ampio del solo buon
andamento: l’amministrazione, oltre ad essere efficiente, efficace, imparziale, deve anche essere aperta e
dialogante con il cittadino e i suoi legittimi interessi.

CAPITOLO 4

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1-L’assunzione di funzioni e il conferimento di poteri deve avvenire per legge, che ne delimita le attività di
esercizio in modo proporzionato alle finalità da perseguire. Le amministrazioni e i titolari degli uffici devono
essere indipendenti da interessi particolari e agire in modo imparziale, devono rispondere del proprio
operato, sia in termini politici sia in termini giuridici. Le disposizioni che riguardano il principio di
giustiziabilità sono:
ART 24 << Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi>>.
ART 103 <<Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela
nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla
legge, anche dei diritti soggettivi>>.
ART 111 <<La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. Ogni processo si svolge
nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti al giudice terzo e imparziale>>.
ART 113 <<Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei
diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa>>.
La nostra Costituzione accoglie un sistema a doppia giurisdizione in cui accanto al giudice ordinario opera un
giudice amministrativo. Il fondamentale criterio per distinguere le due giurisdizioni è legato all’esistenza di
sue distinte situazioni giuridiche soggettive, il diritto soggettivo e l’interesse legittimo. La tutela della prima
è affidata di norma al giudice ordinario, mentre per la seconda la tutela è affidata al giudice amministrativo,
che può occuparsi in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi.
L’ordinamento europeo, nella Carta de diritti fondamentali, si occupa della tutela con un criterio sostanziale,
che non tocca il modo di organizzare la giustizia, ma i risultati di tutela da raggiungere. Il primo comma
dell’art.47 stabilisce il diritto ad <<un ricorso effettivo dinanzi al giudice>>; al secondo comma il <<diritto a
che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entr un termine ragionevole da un giudice
indipendente e imparziale, precostituito per legge>>.
Secondo l’opinione prevalente, il sistema, pur in presenza di evidenti limiti, è in grado ormai, di fornire al
cittadino quella tutela piena, effettiva e imparziale che la Costituzione impone. Secondo un’altra autorevole
opinione la distanza tra realtà e principi costituzionali, in particolare il principio del giusto processo, è lungi
dall’essere colmata.

2-Prima dell’unificazione, nei diversi Stati preunitari operavano diversificati sistemi di “contenzioso
amministrativo”. Organi amministrativi e non giurisdizionali, molto vicini alle amministrazioni, non dotati
dell’indipendenza che è carattere proprio dei magistrati ordinari. All’atto dell’unificazione del Regno d’Italia
si decise di sopprimere questa forma di “giustizia ritenuta”. La legge “abolitiva del contezioso” ha attribuito
al giudice ordinario il potere di occuparsi di <<tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto
civile o politico, comunque vi possa essere interessata la pubblica amministrazione>>. Il giudice ordinario
però non ha il potere di annullare gli atti amministrativi illegittimi, ma solo di disapplicarli nel caso specifico,
salva la possibilità di rivolgersi all’amministrazione per chiedere ad essa la rimozione completa del
provvedimento ritenuto illegittimo.
Solo 24 anni dopo introducendo una giurisdizione amministrativa si è preferito affiancare alla giurisdizione
del giudice ordinario, che si occupa di diritti soggettivi, la giurisdizione del giudice amministrativo, che, si
doveva occupare di situazioni giuridiche soggettive che andavano nettamente distinte dai diritti, che furono
qualificate come interessi legittimi.
Il nostro sistema si è poi evoluto nel senso che è divenuto centrale il problema del riparto delle giurisdizioni,
cioè della ricerca dei criteri da adottare per stabilire se una situazione è da qualificare come diritto
soggettivo o interesse legittimo. Il giudice amministrativo, che si occupa di tutte le controversie in cui sia in
discussione il cattivo esercizio del potere, mentre al giudice ordinario è riconosciuta la giurisdizione solo in
caso di carenza di potere, cioè di atti cosi gravemente viziati. Si è poi avuto un rafforzamento del giudice
amministrativo, con la progressiva estensione dei casi in cui il giudice amministrativo si può occupare
insieme di diritti e di interessi legittimi, cioè delle materie di giurisdizione esclusiva.
Se un provvedimento produce un danno ingiusto e si realizzano le condizioni previste dal codice civile, il
danneggiato ha un vero e proprio diritto al risarcimento, sul quale si pronuncia il giudice ordinario. Il
conflitto si è risolto, a favore del giudice amministrativo: è stata riconosciuta ad esso una più ampia e piena
giurisdizione, con il potere di condannare le amministrazioni al risarcimento del danno.

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La recentissima adozione del Codice del processo amministrativo (CPA) sembra voler porre una parla
definitiva sulla centralità del giudice amministrativo nell’assetto della giurisdizione a tutela dei cittadini nei
confronti dell’amministrazione.
Il CPA all’art. 7 <<Sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia
questione di interessi legittimi e , nella nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi,
concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo>>. Al comma 4 << Sono attribuite
alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo le controversie relative ad atti,
provvedimenti o omissioni delle pubbliche amministrazioni, comprese quelle relative al risarcimento del
danno per lesione di interessi legittimi>>. Al comma 7 <<Il principio di effettività è realizzato attraverso la
concentrazione davanti al giudice amministrativo di ogni forma ti tutela di interessi legittimi>>.

3-La giurisprudenza del giudice amministrativo si è fortemente evoluta nel tempo, fissando principi di
progressiva estensione della tutela del cittadino, anche se alcuni limiti di fondo hanno caratterizzato a lungo
questa giurisdizione. Il più segnalato di questi limiti è sicuramente la limitatezza delle azioni, con l’assoluta
prevalenza dell’azione di annullamento. L’unica aperura verso una maggiore atipicità delle azioni è
contenuta nell’art 32 <<Il giudice qualifica l’azione proposta in base ai suoi elementi sostanziali.
Sussistendone i presupposti il giudice può sempre disporre la conversione delle azioni>>.
Vi è poi la ristrettezza dei tempi di impugnazione degli atti rispetto ai ben più lunghi termini di prescrizione.
Il terzo limite di fondo sta nella limitatezza dei poteri di cognizione del giudice amministrativo, che non ha gli
stessi poteri di acquisizione delle prove e di valutazione dei fatti del giudice ordinario. Nel giudizio
amministrativo l’interpretazione della separazione dei poteri è rigida: la valutazione dei fatti spetta
all’amministrazione, che dispone anche dei necessari poteri tecnici. Nel nuovo CPA il processo continua,
nonostante sicuri miglioramenti, a presentare limiti rilevanti: nell’acquisizione delle prove e nella
valutazione tecnica dei fatti.

4-Secondo alcuni l’indipendenza del giudice amministrativo è già assicurata, secondo altri il giudice
amministrativo è strutturalmente vicino all’amministrazione, tanto che l’unica strada per rispettare il
principio di terzietà sarebbe l’affidamento della tutela del giudice ordinario.
La mancata indipendenza del giudice amministrativo rispetto all’amministrazione appare ancora evidente
per i magistrati del Consiglio di Stato, per vari aspetti della sua organizzazione.
Il nuovo CPA non si occupa affatto del tema dell’indipendenza del giudice amministrativo, lasciando aperta
la questione della piena coerenza del sistema con i principi costituzionali.
Non è condivisibile, la posizione di chi sostiene la già raggiunta indipendenza del giudice.
Una terza via potrebbe consistere nel completamento consapevole del disegno costituzionale intorno al
giudice amministrativo; per non disperdere e valorizzare appieno la tradizione giurisprudenziale di
progressivo affinamento delle tecniche di sindacato sui poteri amministrativi. Ma si dovrebbe trattare di un
vero giudice dotato di tutti gli strumenti che gli consentano di dare piena tutela al cittadino ingiustamente
leso dall’azione dell’amministrazione, in posizione di effettiva parità. A quel punto sarebbe relativamente
indifferente se questo giudice, fosse un giudice separato dall’ordinamento giudiziario ordinario ovvero
compreso nella sua organizzazione.

5-Il punto di partenza sta nella costruzione della nozione di interesse legittimo. Dappertutto davanti al
giudice, ordinario o amministrativo, vi sono solo diritti. Questa particolare conseguenza dell’esercizio del
potere amministrativo pubblicistico, che si esercita prescindendo dal consenso del destinatario dell’azione
amministrativa ha prodotto una posizione consolidata in giurisprudenza: la situazione giuridica soggettiva
che si confronta con il potere non può essere qualificata come diritto soggettivo; si tratta di qualcos’altro,
che deve trovare una tutela tendenzialmente analoga a quella offerta dal giudice al diritto soggettivo, ma
solo nel caso che il potere venga esercitato in modo illegittimo.
Il diritto soggettivo è <<la fondamentale situazione di vantaggio fatta ad un soggetto dell’ordinamento in
ordine ad un bene e consistente nell’attribuzione al medesimo soggetto di una forza concretantesi nella
disponibilità di strumenti vari, atti a realizzare in modo pieno l’interesse al bene>>. L’interesse legittimo
sarebbe una situazione giuridica analoga, ma minore, per la sua stretta connessione con l’interesse
pubblico. Si è affermato che l’interesse legittimo fosse tutelato solo in forma indiretta, ovvero che

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coincidesse solo con l’interesse all’annullamento dell’atto, ovvero come potere di reazione processuale.
Inoltre si è affermato che l’interesse legittimo sarebbe un interesse occasionalmente protetto o
consisterebbe solo in un interesse alla legittimità dell’azione amministrativa. Infine l’interesse legittimo
sarebbe il risultato di un fenomeno, l’esercizio del potere amministrativo, che fa degradare il diritto
soggettivo a interesse legittimo.
Oggi vi è un largo consenso nel considerare l’interesse legittimo come una vera e propria situazione
giuridica soggettiva di tipo sostanziale: un interesse ad un bene della vita del tutto simile, quanto a
contenuto e struttura, al diritto soggettivo.
La tutela dell’interesse legittimo è però sempre diversa da quella garantita al diritto soggettivo: brevi termini
di decadenza dall’azione, azione di annullamento, insomma tutti i limiti appena segnalati.

6-Si apre ora una finestra su altri ordinamenti. Bisogna distinguere tra norme sull’amministrazione in
generale e norme sull’esercizio delle funzioni e sulle relative responsabilità.
La prevalente attenzione al tema dei funzionari pubblici corrisponde ad un orientamento che vuole
assicurata l’imparzialità dell’amministrazione in primo luogo attraverso l’imparzialità soggettiva dei suoi
funzionari.
Sull’amministrazione in generale le indicazioni sonno scarne, ma significative.
Sia nella Costituzione tedesca che in quella francese viene riportata l’idea, fortemente consolidata,
dell’amministrazione servente, neutrale esecutrice della volontà del Governo.
Qualche indicazione ulteriore è ricavabile dalla Costituzione spagnola che delinea il ruolo complessivo
dell’amministrazione pubblica e alcuni grandi principi per la sua organizzazione e la sua azione.
L’amministrazione spagnola pur restando diretta dal Governo cura gli interessi generali in modo obiettivo.
Sull’azione amministrativa mancano norme significative. L’amministrazione deve essere organizzata per
agire imparzialmente. Il dovere di imparzialità riguarda anche il momento dell’azione. Resta, l’assenza di
principi, quali quelli di trasparenza e di apertura, e gli altri principi codificati più di recente in testi di legge
ordinaria.
Le norme costituzionale sulle responsabilità, che troviamo in Francia, Germania e Italia, realizzano equilibri
diversi tra la responsabilità diretta del funzionario e la responsabilità dell’amministrazione. Mentre in
Francia sembra prevalere una responsabilità diretta dell’amministrazione, nella norma tedesca si configura
una responsabilità diretta dell’amministrazione per fatto del funzionario. In Italia la soluzione è più
complessa: responsabilità diretta del funzionario che si estende all’amministrazione.
Comune è la volontà di estendere al massimo la figura del funzionario, così da affermare la responsabilità
per ogni azione dell’amministrazione, sia essa da imputarsi a funzionari professionali o a titolari di organi di
indirizzo politico, che possa produrre lesioni di situazioni giuridiche soggettive.

CAPITOLO 5

1-L’amministrazione come organizzazione. Poiché il diritto amministrativo nasce per dare tutela al cittadino
rispetto ad atti che possano illegittimamente comprimere, se non annullare, sue situazioni giuridiche
soggettive, il punto di partenza sta nell’attribuire rilevanza giuridica all’azione dell’amministrazione. Lo
svolgimento dell’azione amministrativa deve essere conforme ad una legge che indirizza l’amministrazione,
delimitandone i poteri. La legge funzionalizza l’attività dell’amministrazione e ne disciplina lo svolgimento.
Poiché nella cura di interessi pubblici vi è la possibilità di conferire alle amministrazioni poteri di cura
dell’interesse pubblico mediante l’adozione di atti e questa operazione è riservata alla legge, per il cittadino
destinatario di un provvedimento amministrativo non basta sapere a quale soggetto pubblico l’atto sia
imputabile. Egli deve sapere se quel soggetto era legittimato ad adottare quell’atto. La prima emersione in
termini di rilevanza giuridica dell’organizzazione attiene quindi al profilo, centrale, della competenza.

2-La nozione di funzione è da considerarsi centrale. Centrale nell’organizzazione, non nell’azione.


Secondo Giannini la funzione è l’attività che acquista rilevanza in rapporto alle finalità di interesse pubblico
assunte dalla legge. Secondo Benvenuti solo al momento dell’attività un potere determinato in astratto
acquista rilevanza giuridica.

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La nuova ricostruzione richiede che siano ripercorsi, i passaggi logici necessari: spetta alla legge fissare gli
obiettivi; le attività sono predefinite, perché occorre predefinire i poteri; se l’attività, per acquistare
rilevanza giuridica, deve essere predefinita in rapporto allo scopo che deve raggiungere, il passaggio
fondamentale, sta nell’attribuzione di quell’attività predefinita.
È necessaria la pre-determinazione di attività, la predefinizione di un potere, di un’attività potenziale, che si
tradurrà in atto solo al momento del suo concreto svolgimento. Vi è una stretta correlazione tra functio e
officium, tra attività e soggetto cui essa viene affidata per lo svolgimento in concreto. Perché si abbia attività
giuridicamente rilevante l’attribuzione ad un ufficio è passaggio ineliminabile. La disciplina pubblicistica
dell’organizzazione è funzionale a far emergere quali siano le attività individuate dalla legge in vista del
raggiungimento delle finalità generali da essa prefissate, ad articolare gli uffici in modo che essi
corrispondano alle esigenze di svolgimento delle attività. In questo consiste l’individuazione delle funzioni.
Nella nozione di funzione possiamo trovare tre contenuti diversi e interconnessi. Con la funzione-scopo
possiamo intendere, quindi, la scelta che consiste nell’individuazione della finalità generale da perseguire.
Con la funzione-compito possiamo intendere le attività necessarie al perseguimento dello scopo. Ogni
funzione-scopo consiste in una pluralità di attività che concorrono al raggiungimento dello scopo. Con la
funzione-ufficio si deve intendere il momento, la fase, di attribuzione, assegnazione, incardinamento dei
compiti.
Per funzione si intende quindi quel complesso di attività, predeterminate dalla legge, volte al
perseguimento di finalità generali, attribuite al uffici. In questa definizione per “legge” si intendono tutte
le fonti normative e gli atti organizzativi pubblicistici adottati sulla base della legge; per “attività” di esercizio
della funzione si intendono sia singoli atti che sequenza coordinate di atti; per “uffici” si pubbliche
amministrazioni, sia strutture ad esse interne.
La predeterminazione delle funzioni e delle loro attività di esercizio ha due scopi essenziali. In primo luogo
lo scopo di garanzia del cittadino. In secondo luogo la migliore cura delle finalità di interesse pubblico
assunte dalla legge, perché ne consente la migliore organizzazione. La disciplina dello svolgimento
dell’azione amministrativa, è cosa diversa, da tenere concettualmente distinta, dalla disciplina
dell’organizzazione, perché essa si preoccupa di fornire ulteriori e diverse garanzie, relative al momento
dell’effettivo svolgimento dell’azione.
Il rilievo giuridico che in tal modo viene dato alle scelte organizzative costituisce una funzionalizzazione
dell’organizzazione, parallela al processo di funzionalizzazione dell’azione. L’individuazione della funzione è
il fondamentale strumento per la rilevanza giuridica dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche. In
primo luogo è scelta organizzativa, cioè decisione sulla distribuzione delle funzione e delle loro attività di
esercizio tra amministrazioni e uffici. L’organizzazione è anche il risultato dei processi organizzativi: il
modello organizzativo adottato, i rapporti che si stabiliscono tra amministrazioni, la natura giuridica dei
soggetti cui sono attribuite funzioni e competenze.

3-Le funzioni sono assunte in primo luogo in rapporto allo scopo.


La classificazione delle funzioni in rapporto alle finalità è un’opera cui si è dedicata la scienza del diritto
amministrativo. Ha un valore prevalentemente descrittivo, ma non privo di utilità. Si è operata una
distinzione tra funzioni di conservazione e funzioni di benessere e progresso sociale. Si è distinto tra
funzioni/finalità di: ordine; governo del territorio e dell’ecosistema; benessere ; erogazione di servizi
pubblici; disciplina dell’economia.

4- La predeterminazione delle funzioni avviene con la legge, che le attribuisce ad ufficio. Ciò avviene in due
modi: si individuano attività di esercizio; si individuano singoli atti di esercizio, predeterminandone lo
specifico contenuto. Questa predeterminazione può avvenire per intero con la fonte legislativa.
Le tipologie delle attività non corrispondono alle tipologie di funzioni. Una stessa funzione può essere
esercitata con attività diverse.

4.1-La più rilevante distinzione che tiene conto del loro contenuto è tra attività di regolazione tra cui si
comprendono non solo le regolazioni in senso stretto, ma anche attività puntuali con le quali si cura
l’interesse pubblico ; e attività di prestazione tra cui si comprendono tutte le attività di beni e servizi.

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4.2-In relazione agli effetti prodotti si distinguono le attività ad effetto restrittivo e le attività ad effetto
ampliativo della sfera giuridica dell’interessato. In secondo luogo si distingue tra attività finali e strumentali.
Sono atti finali gli atti con i quali si conclude l’azione di individuazione dell’interesse pubblico, si individuano
i destinatari e si definiscono gli effetti che l’atto produce. Sono strumentali quelle attività preliminari
interne, che contribuiscono alla definizione dell’atto finale. Queste attività possono avere una rilevanza
giuridica diversa: in qualche caso sono del tutto irrilevanti, in altri casi hanno un rilievo giuridico.

4.3- Le attività di esercizio delle funzioni si possono distinguere anche in rapporto alla natura delle regole
che le disciplinano.
Si possono avere, attività che pur tutte preordinate alla cura di interessi pubblici, siano da un lato attività di
diritto pubblico e dall’altro attività di diritto privato. Non esistono funzioni interamente regolate dal diritto
pubblico. Al contrario le attività di prestazione possono essere regolate in modo diverso. Attività a disciplina
diversa possono però concorrere all’esercizio di una medesima funzione.

5-In termini economici, tra le attività di produzione, si distinguono attività che consistono nella prestazione
di servizi, più che nella fornitura di beni. Vi sono servizi collettivi o a consumo collettivo destinati ad un
numero non predeterminato di utenti e servizi a consumo individuale, nei quali il servizio si esaurisce nella
prestazione fornita ad un solo utente.
Non tutte le attività di prestazione di beni e servizi costituiscono servizi pubblici. Vi sono attività di
erogazione di cui l’ordinamento non ritiene necessaria l’assunzione da parte di un soggetto pubblico, che
quindi vengono lasciate all’iniziativa privata, salvo la sottoposizione a regolazioni. Le attività di erogazione di
beni e servizi diventano servizi pubblici quando l’ordinamento giuridico ritiene necessario siano assunte alla
responsabilità di soggetti pubblici, perché la sola regolazione di un servizio privato è ritenuta insufficiente.
Queste attività, infatti, devono essere erogate a condizioni che difficilmente le imprese operanti sul mercato
concorrenziale sono in grado di soddisfare.

6-La Costituzione consente una vasta gamma di interventi pubblici nell’economia che possono consistere:
nella regolazione delle attività per finalità diverse da quelle di impresa; nella regolazione delle stesse attività
di impresa; nella riserva originaria di determinate attività; nella pubblicizzazione di imprese esistenti, con il
loro trasferimento mediante espropriazione e salvo indennizzo a soggetti pubblici; nella costituzione di
imprese pubbliche per lo svolgimento di attività di impresa.
Si è seguita la strada dei servizi privati regolati, ma largo uso è stato fatto dal potere di sottoporre imprese
private a penetranti regolazioni al fine di imporre loro particolari condizioni di esercizio.
Le pubbliche amministrazioni hanno assunto attività che costituivano sicuramente servizi pubblici essenziali,
ma anche semplici attività di produzione di beni, la cui giustificazione non stava nella finalità di interesse
generale direttamente curata, ma nella possibilità di conseguire utili da destinare alle casse pubbliche.
Questa espansione del settore pubblico dell’economia, nei servizi pubblici sottratti al mercato e nella
produzione di beni sul mercato, è stata oggetto di forti critiche.
Nella legislazione degli ultimi 20 anni il settore pubblico nell’economia è stato oggetto di una serie
numerosa di interventi legislativi di riforma, che non sempre hanno conseguito i risultati di razionalizzazione
e di garanzia di funzionalità, almeno nel campo dei servizi pubblici. La critica liberista è stata sicuramente
dominante e ha conseguito risultati significativi, quali la liberalizzazione di interi settori di attività
Minoritaria la posizioni di chi, per salvare la stessa nozione di servizio pubblico, ha concentrato l’attenzione
sulla fase decisiva dell’assunzione dei servizi o sulla ricerca di funzionalità nella loro organizzazione e
erogazione.

7-I SERVIZI PRIVATI Il principio di libera circolazione nel mercato unico ha effetti solo indiretti sui servizi
pubblici. Esso ha imposto da un lato che alcuni servizi privati fossero erogati con l’abbattimento di barriere
che gli ordinamenti dei singoli paesi potevano frapporre; dall’altro ha imposto che i soggetti pubblici dei
paesi membri, sotto l’unitaria denominazione di organismi di diritto pubblico, aprissero le loro procedure di
individuazione delle imprese con le quali stipulare contratti di lavoro. In entrambi i casi ci troviamo di fronte
a servizi provati: nel primo caso servizi privati resi agli utenti, nel secondo caso servizi provati resi alle
pubbliche amministrazioni.

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I SERVIZI PUBBLICI La norma chiave nella materia, diretta applicazione del principio di concorrenza, è di
difficile interpretazione <<1. Gli Stati membri non emanano né mantengono, nei confronti delle imprese
pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme dei
trattati. 2. Le imprese incaricate nelle gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere
di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non
osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata.>>
Il comma 1 diche quando uno Stato operi attraverso imprese pubbliche nella produzione di beni e servizi nel
mercato, queste imprese non possono godere di aiuti che alterino le norme dei trattati sulla concorrenza.
Il secondo comma è meno chiaro, perché è destinato evidentemente al caso dei servizi pubblici, ma non ne
dà un’esplicita e univoca definizione. Ci si limita ad affermare, che in linea di principio le imprese pubbliche
che erogano servizi di interesse economico generale, sono sottoposte al principio di concorrenza, ma che gli
Stati possono stabilire i casi in cui il principio non si applica per consentire alle imprese pubbliche di
adempiere alla specifica missione loro affidata.
L’ordinamento europeo lascia agli Stati un notevole ambito di scelta. L’assunzione del servizio significa che
l’amministrazione assume la responsabilità dell’erogazione del servizio, a condizioni diverse da quelle del
mercato. In applicazione dell’ordinamento comunitario la legislazione italiana, in materia di servizi pubblici
in generale e dei servizi pubblici locali in particolare, ha progressivamente differenziato la disciplina dei
servizi pubblici a rilevanza economica e dei servizi privi di tale rilevanza.
SERVIZI PUBBLICI A RILEVANZA ECONOMICAL’ordinamento comunitario, pur prevedendo che gli Stati
membri possano individuare attività economiche come servizi pubblici, ha spinto verso la liberalizzazione di
quelle attività di erogazione di beni e servizi di interesse economico generale per le quali l’evoluzione
tecnologica consente l’intervento di una pluralità di soggetti privati in concorrenza tra loro, sia pure nel
rispetto di regolazioni pubbliche, volte a conseguire obiettivi di interesse generale, con particolare riguardo
alla promozione della coesione sociale e territoriale. La legislazione italiana si è adeguata, liberalizzando
completamente alcuni settori e parzialmente altri settori. Quasi sempre la liberalizzazione di servizi è stata
parziale, perché accompagnata dall’imposizione di obblighi di servizio pubblico alle imprese private che
erogano il servizio agli utenti. Nell’ordinamento comunitario, quindi, l’intervento pubblico nel settore dei
servizi a rilevanza economica rappresenta un’eccezione rispetto alla regola. Un’eccezione che può essere
anche molto considerevole, ma deve sempre essere fondata e motivata, a giustificare la proporzionalità del
sacrificio che l’intervento pone alla libera circolazione dei mezzi di produzione.
SERVIZI PUBBLICI PRIVI DI RILEVANZA ECONOMICALa discrezionalità degli Stati nell’individuazione dei
servizi pubblici è evidentemente più ampia per l’individuazione di servizi non aventi rilevanza economica,
ovvero di quei servizi che, pur avendo in astratto un possibile mercato, aperto all’intervento concorrenziale
di soggetti privati, sono ad esso sottratti per la particolare importanza delle finalità di interesse generale, e
per questo definiti a carattere sociale.
Si pensi all’istruzione, per la quale la stessa Costituzione pone l’obbligo di <<istituire scuole statali per tutti
gli ordini e i gradi>> che poi significa imporre l’istituzione di un vero e proprio servizio pubblico.
Si pensi alla sanità, servizio che non esclude l’intervento di soggetti privati.

8-Nel campo dei servizi pubblici, quelli erogati a livello locale presentano ancora oggi le problematiche più
rilevanti. Moltissimi servizi pubblici, sono stati storicamente assunti dapprima proprio dagli enti locali.
Il fenomeno, fin che ha riguardato attività economiche di minore importanza è stato ricondotto nell’alveo
dell’autonomia locale, che consente agli enti locali di individuare i bisogni delle popolazioni e di farvi fronte
con le soluzioni organizzative che prescelgono.
Quando i servizi hanno toccato in profondità interi settori di attività economiche, l’ordinamento si è
preoccupato di regolare sempre di più la materia: trasferendo a livello nazionale molte funzioni. Con le
dimensioni attualmente raggiunte dal fenomeno, la legislazione statale, si fa sempre più dettagliata.
Carattere di fondo di questa legislazione, finora, è stata la predeterminazione delle forme di gestione dei
servizi pubblici locali. Disciplinando le sole forme di gestione non si mira alla liberalizzazione dei servizi, ma
all’incremento dei casi di ammissione di imprese private alla gestione di servizi che restano sottratti al
mercato.

9-Oggi si può distinguere tra servizi pubblici in senso oggettivo e in senso soggettivo.

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Nell’evoluzione si è partiti da un approccio di tipo soggettivo: sono servizi pubblici quelli erogati da soggetti
pubblici. Le pubbliche amministrazioni più che assumere attività economiche come servizi, le svolgevano,
direttamente attraverso propri uffici o enti in proprio controllo. Progressivamente però le stesse attività
venivano svolte anche da soggetti privati. Non conta più il carattere del soggetto erogatore, ma il carattere
oggettivo dell’attività: se la sua erogazione deve essere oggetto di un’assunzione pubblica perché ciò è
necessario ai finni della cura di interessi generali, allora siamo in presenza di un servizio pubblico oggettivo.
La distinzione è stata, però, fondamentale soprattutto per orientare la disciplina giuridica dei servizi
pubblici. Essa ha imposto l’attenzione sulla qualità del servizio pubblico da erogare, chiarendo che,
l’erogazione da parte di un soggetto pubblico non garantisce questa qualità. Ha poi imposto di concentrare
l’attenzione sull’individuazione delle attività di servizio pubblico e delle condizioni per la loro erogazione.
Nella fase della gestione ciò comporta un’appropriata conoscenza della situazione del mercato di
riferimento, delle esigenze dei cittadini. Nella fase della gestione ciò comporta un’adeguata capacità di
governo complessivo del servizio. Inoltre ha reso più chiaro il contenuto della scelta in sede di affidamento
del servizio; quello che conta è il risultato della migliore erogazione del servizio, senza che la natura
pubblica possano di per sé costituire una maggiore garanzia di qualità del servizio. Se la natura giuridica
dell’impresa che gestisce il servizio è indifferente, siamo nella nozione oggettiva del servizio pubblico.
Il contributo del diritto comunitario alla nozione di servizio pubblico sta soprattutto nell’obbligo per le
amministrazioni degli Stati membri, che assumono attività economiche di erogazione di beni e servizi, di
giustificare tali assunzioni perché necessarie per il perseguimento di finalità di interesse generale. La
regolazione o l’assunzione devono essere motivate e proporzionate allo scopo da raggiungere, ma è sempre
quest’ultimo, lo scopo dell’intervento, l’elemento caratterizzante della nozione.

10-IMPROPRIE ASSIMILAZIONILe finalità pubbliche nel campo dei trasporti e delle telecomunicazioni o
dell’energia sono coincidenti con i relativi servizi pubblici, cioè consistono nell’erogazione di quei servizi. Vi
sono funzioni da comprendere nella tipologia delle funzioni definite di prestazione, in rapporto al loro
contenuto. In entrambi i casi funzione e servizio pubblico coincidono.
Sono servizi pubblici quelle attività di erogazioni di beni e servizi che concorrono all’esercizio di una
funzione pubblica, ma non la esauriscono. La distinzione giuridicamente rilevante è quella tra attività di
regolazione e attività di prestazione, come attività interne ad una stessa funzione.
Nell’uso corrente sono definiti come servizi pubblici quei complessi di attività a contenuto diverso nei quali
le attività di prestazione sono prevalenti e comunque centrali ai fini della cura dell’interesse generale.
IMPROPRIE DISTINZIONIVa riconsiderata anche una diversa distinzione tra funzione e servizio pubblico,
fondata sulla coincidenza tra funzione e attività. Questa distinzione comporta conseguenze giuridiche sul
piano penale: il codice penale punisce in modo diverso reati contro la pubblica amministrazione compiuti da
un pubblico ufficiale. Secondo la nostra ricostruzione la funzione è sempre una. Il servizio pubblico è
compreso nella funzione.

CAPITOLO 6

1-Nella distribuzione delle funzioni il primo passaggio determinante, che ha una piena rilevanza giuridica,
sta nell’attribuzione di funzioni a uffici dotati di capacità giuridica.
Un principio di legge ordinaria, il principio di unicità vorrebbe che la distribuzione riguardasse intere
funzioni, cioè tutte le attività necessarie per il loro esercizio. In realtà questo avviene molto raramente: le
attività di esercizio di una stessa funzione sono distribuite tra livelli di governo e amministrazione diversi.
La funzione è attribuita ad un ente pubblico, cioè ad un soggetto dotato di personalità giuridica e quindi
capace di agire. L’attribuzione significa che l’ente ne è titolare.
Un ente pubblico può vedersi affidata una funzione a titolo di delega. In questo caso la titolarità della
funzione resta in capo all’ente delegante, che mantiene i poteri di indirizzo, mentre l’ente delegato svolge
l’azione amministrativa.

2-Enti privati ed enti pubblici

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2.1-La costituzione di una persona giuridica nel diritto provato o la costruzione delle pubbliche
amministrazioni come persone giuridiche ha finalità analoghe, cioè l’imputazione delle attività svolte a
soggetti diversi dalle persone fisiche.
Nel diritto privato le persone giuridiche si costituiscono per: la realizzazione di interessi che trascendono la
singola persona fisica; la limitazione della responsabilità patrimoniale. Anche nel diritto pubblico occorre
individuare delle persone giuridiche cui imputare gli effetti delle attività svolte.
La costruzione dell’ente pubblico è utile ad un’attribuzione di funzioni impersonale. L’ente pubblico è
costituito per curare le finalità di pubblico interesse che l’ordinamento gli attribuisce. Ma, l’ente pubblico
può curare l’interesse pubblico anche con atti di diritto privato, così come può curare in autonomia privata
anche interessi diversi da quelli pubblici. L’ente pubblico è soggetto privato che può essere titolare di beni.

2.2-Se si è in presenza di un ente pubblico, si deve ritenere che esso sia titolare del “potere amministrativo”;
può, cioè curare gli interessi pubblici. I dipendenti dell’ente sono dipendenti pubblici: le controversie
relative all’attività dell’ente sono attribuite alla giurisdizione del giudice amministrativo. Se l’ente è privato si
deve ritenere che sia privo di poteri amministrativi e agisca solo con atti di diritto privato. Da un lato le
pubbliche amministrazioni organizzate in enti pubblici, oltre ad essere soggetti di diritto privato, esercitano
le funzioni tanto con atti di diritto pubblico che con atti di diritto privato. Un ente privato può oggi vedersi
attribuire dalla legge tanto attività di regolazione quanto attività di prestazione. Ciò che conta, ormai, non è
la natura dell’ente, ma le attività che esso svolge. Centrale è l’attribuzione di funzioni amministrative. Anche
sul versante della giurisdizione, se le attività di esercizio delle funzioni sono di natura pubblicistica le relative
controversie sono di competenza del giudice amministrativo. Mentre il giudice ordinario si occupa delle
controversie relative ad atti di autonomia privata.

2.3-L’ordinamento comunitario ha contribuito a questa perdita di rilevanza della distinzione tra ente
pubblico e privati con la previsione della figura dell’organismo di diritto pubblico. Secondo la disciplina UE
sono organismi di diritto pubblico sia enti pubblici che enti privati in controllo pubblico. Se il soggetto è in
controllo pubblico è tenuto a seguire procedure competitive per l’aggiudicazione di contratti di lavori,
forniture e servizi.

3-Secondo una tradizionale impostazione statalista, si è a lungo ritenuto che solo lo Stato avesse il potere di
istituire enti. Solo lo Stato, in quanto titolare della sovranità, aveva il potere di distribuire funzioni e poteri
pubblicistici. Si affermarono teorie secondo le quali gli enti pubblici, anche quando esercitavano funzioni
loro attribuite come proprie perseguissero comunque fini non loro propri, ma fini dello Stato.
Negli ordinamenti contemporanei si è affermata ormai una rivoluzione copernicana: non è più lo Stato
persona al centro del sistema amministrativo, ma il pluralismo dei soggetti costituenti la Repubblica.
Nel nuovo art.114 Cost. lo Stato è uno dei livelli di governo costituenti la Repubblica. Tra lo Stato e gli altri
enti territoriali non è stabilita alcuna relazione di sovra ordinazione gerarchica, ma solo una distribuzione di
competenze legislative e funzioni amministrative. Al criterio della gerarchia si sostituisce il criterio della
competenza.
Si attribuisce a ciascuno degli enti territoriali, il potere di organizzazione, cioè di distribuzione delle funzioni
attribuite a quel livello di governo. Lo Stato distribuisce le funzioni di livello nazionale tra le amministrazioni
statali e gli enti pubblici nazionali. La Regione distribuisce le funzioni che le sono attribuite tra i propri
apparati amministrativi e gli enti pubblici regionali.
Si conferma così l’affermazione secondo la quale <<è pubblico l’ente la cui esistenza è considerata
necessaria dall’ente territoriale di riferimento>>. La decisione sull’istituzione di un ente pubblico è una
decisione organizzativa di tipo oggettivo: serve un ente cui attribuire determinate funzioni.

4-La fonte abilitata all’istituzione e alla soppressione di enti pubblici è la legge. La riserva di legge che così si
afferma è contenuta in una norma di legge ordinaria.
Il fondamento dell’attuale riserva di legge, di diritto positivo, sta nel principio di legalità: se l’ente pubblico
da costituire deve svolgere funzioni amministrative che comportano l’esercizio di poteri autoritativi e
unilaterali, la legge costituisce una garanzia di stabilità e conoscibilità della decisione organizzativa. In un
ordinamento nel quale le funzioni possono essere attribuite a soggetti pubblici come a soggetti privati, è

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all’attribuzione di funzioni amministrative che la riserva di legge andrebbe più correttamente riferita. La
riserva di legge si applica anche per le Regioni. Per gli enti locali, essendo questi sprovvisti di un potere
legislativo, ma titolari solo di un potere regolamentare si deve ritenere che essi possano sì istituire enti
pubblici, ma solo se a ciò autorizzati da una legge, cioè solo se la legge attributiva della funzione prevede
espressamente la possibilità di esercitarle attraverso la costituzione di un distinto ente pubblico.

5-Per quanto riguarda la questione relativa al perché l’ente territoriale decida di istituire una separata
struttura, la risposta generale è che si ricerca un distinto centro di responsabilità per lo svolgimento di
specifiche funzioni. Si costituisce un ente pubblico perché occorre un progetto dotato di distinta personalità
giuridica, quindi titolare in proprio di funzioni e capace di agire, sia nell’esercizio di poteri di diritto pubblico
sia come ente di diritto privato.
Un esempio del primo caso: funzioni di carattere altamente specializzato hanno esigenze specifiche, il loro
esercizio con uffici interni dell’amministrazione potrebbe produrre squilibri meglio costituire un distinto
soggetto.
Un esempio del secondo caso: la necessità di coinvolgere più direttamente nell’esercizio di determinate
funzioni interessi collettivi o di gruppi sociali.
Gli enti pubblici esistono per lo svolgimento di attività di interesse generale.
L’ente territoriale di riferimento ha diversi poteri per condizionare l’esercizio da parte dell’ente pubblico
delle proprie funzioni.

6-L’attribuzione di funzioni ad enti esistenti o la costituzione di enti al fine di attribuire loro funzioni è
decisione spettante alla legge.
Si tratta di decisioni organizzative di grande rilevanza. Queste decisioni devono avere stabilità nel tempo e
un notevole grado di rigidità, ad impedire che enti svolgano funzioni che la legge non ha loro attribuito. Lo
svolgimento da parte di un ente di funzioni attribuite ad altri enti configura un’ipotesi di invalidità molto
grave, il <<difetto assoluto di attribuzione>>, anche definito “incompetenza assoluta”, che rende gli atti
compiuti nell’esercizio di tali funzioni nulli.

7- La Costituzione e la legge si occupano ampiamente di stabilire il sistema delle relazioni che devono
intercorrere tra le diverse categorie di enti pubblici. Lo studio delle relazioni tra enti non ha un valore solo
conoscitivo, ma serve a comprendere per quali finalità e con quali limiti un ente pubblico può esercitare
poteri che incidono sull’organizzazione e sull’azione di un altro ente.

7.1-La legge nel costituire un ente, può limitarsi ad attribuire ad esso le funzioni, lasciando allo stesso ente
la disciplina della propria organizzazione. È frequente il caso di una legge istitutiva di un ente pubblico che
ne individui direttamente gli organi di governo. Questi poteri in qualche caso si accompagnano con quelli di
incidenza sulla stessa formazione degli organi. La legge che prevede come organo di governo di un ente il
consiglio di amministrazione spesso riconosce all’ente costituente anche il potere di nominare i suoi
componenti.

7.2-Si ha un potere di vigilanza quando ad un ente viene riconosciuta la possibilità di sovraintendere


all’attività complessiva dell’ente soggetto al potere. Un ente sovraordinato può rilevare l’esistenza di gravi
difetti di funzionamento degli organo di governo o dell’organizzazione dell’ente vigilato e adottare
provvedimenti quali lo scioglimento degli organi o il loro commissariamento, cioè la sottoposizione
dell’attività dell’ente ad un regime di controlli particolarmente restrittivo.
Si hanno poteri di indirizzo, quando un ente può indicare all’altro gli obiettivi da perseguire nella sua
organizzazione e nella sua azione. Si può avere un potere di indirizzo anche quando non si disponga di
poteri di predeterminazione dell’organizzazione.

7.3-In termini generali si definisce come controllo ogni attività di verifica del rispetto di canoni
predeterminati. In termini giuridici si ha controllo quando alla verifica corrisponde l’adozione di misure, che
possono avere diverso contenuto.
I controlli che si pongono nelle relazioni intersoggettive sono per definizione controlli esterni.

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I controlli sono distinti anche tra quelli di legalità e di opportunità. I controlli di legalità sono considerati più
rispettosi della sfera di esercizio delle funzioni da parte dell’ente controllato, anche se ciò dipende dal
contenuto della legge. Se questa contiene la dettagliata indicazione degli obiettivi da perseguire, l’attività di
verifica acquista un effetto conformativo dell’azione all’indirizzo politico contenuto nella legge: l’ente
controllato è indotto a seguire gli obiettivi assegnati.
Controlli esterni possono essere svolti, oltre che dall’ente costituente, anche da terzi, in posizione di
indipendenza. In questi casi i controlli di legalità sono finalizzati proprio al rispetto della legge, ma sono
svolti nell’interesse degli enti controllati.
Si distingue tra controlli sugli atti e controlli su organi e tra controlli preventivi e controlli successivi. Meno
affidabili le distinzioni basate sulla finalità che si intendono perseguire con i controlli. Abbiamo così i
controlli sulla funzionalità, volti alla verifica del rispetto dei limiti complessivi della finanza pubblica, in
particolare tetti di spesa complessiva.
Nel potere di approvazione di atti, l’ente titolare del potere non solo esercita un potere di tipo preventivo,
ma arriva fino alla determinazione in sede di approvazione, del contenuto dell’atto adottato.

7.4-Il forte decentramento nella distribuzione delle funzioni aumenta il rischio dell’inerzia e
dell’inattuazione della legge. Per questo sono previsti, soprattutto in capo ai livello di governo superiori
poteri sostitutivi, cioè il potere di adottare da parte dell’ente superiore, in via eccezionale e transitoria, atti
che sono, in via ordinaria, attribuiti agli enti sostituiti.

8-Si usa individuare figure tipiche di relazione intersoggettiva nelle quali far rientrare i singoli enti pubblici.

8.1-DIPENDENZA. La costituzione da parte dell’ente territoriale di riferimento di un ente dipendente


comporta l’attribuzione ad esso, oltre che della distinta personalità giuridica, di funzioni, che sono, però,
svolte in nome e per conto dell’ente di riferimento. Esse sono assegnate all’ente o in via di delega o come
funzioni in titolarità sul piano formale, ma sottoposte a forti poteri di condizionamento. Siccome l’ente
costituente considera l’ente dipendente come una propria emanazione, di regola esso si riserva poteri
molto penetranti. Pur in presenza di questi poteri si deve ricordare che l’influsso esercitato dall’ente
costituente è sempre indiretto: l’ente dipendente agisce come titolare delle funzioni attribuite. Se l’ente
dipendente non opera secondo le direttive, si rimuovono gli organi o, al limite, si sopprime l’ente.

8.2-STRUEMENTALITA’. La nozione di ente strumentale è molto utile per comprendere una vasta serie di
situazioni nelle quali l’ente costituito esercita funzioni utili alla cura di interessi generali che rientrano nella
più generale competenza dell’ente costituente. La strumentalità giustifica poteri di influire
sull’organizzazione e sull’attività dell’ente dipendente, ma in modo più indiretto. Il finanziamento, a
differenza dell’ente dipendente, è per trasferimenti, ma di tipo istituzionale, destinato a finanziare l’intera
attività dell’ente strumentale.

8.3-AUTONOMIA. L’autonomia pubblica va sempre riferita a soggetti collettivi, ad enti, non a singole
persone.
Per una nozione più ristretta, ma giuridicamente affidabile, di autonomia si deve partire proprio dalla
Costituzione, che la utilizza solo con riferimento alle autonomie territoriali. La Costituzione riconosce
posizioni di autonomia a delle collettività di persone per consentire loro di operare secondo propri indirizzi
di azione, diversi da quelli dello Stato, che può fissare limiti a tale autonomia. L’ordinamento riconosce
quindi posizioni di autonomia politica ad enti rappresentativi di comunità territoriali o posizioni di
autonomia funzionale a comunità di tipo settoriale. La prima, l’autonomia politica, consiste in generale nella
possibilità di darsi, nell’esercizio di funzioni in larga parte fissate dall’ordinamento delle proprie priorità di
indirizzo politico, tanto nell’organizzazione quanto nell’azione di esercizio delle funzioni. L’autonomia
funzionale, è riconosciuta perché solo quelle comunità sono in grado di stabilire quale indirizzo dare alle
loro attività. Mentre, gli enti territoriali sono espressione degli interessi generali della rispettiva comunità e
possono assumere funzioni ulteriori rispetto a quelle attribuite dalla legge, gli enti ad autonomia funzionale
rappresentano le loro comunità, ma solo ai fini dell’esercizio delle funzioni affidate.

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L’autonomia consisterebbe, quindi, in una posizione di minore sottoposizione a poteri da parte di enti di
livello superiore. È possibile definire questa posizione in termini di grado, di misura dell’autonomia,
considerando che tale posizione può modificarsi nel tempo. Si possono però individuare alcuni elementi
minimi, in assenza dei quali si deve ritenere non riconosciuta l’autonomia:
1. Le funzioni sono attribuite come proprie e svolte nell’interesse proprio dell’ente.
2. Per lo svolgimento di queste funzioni è riconosciuto un potere normativo, primario o secondario,
con riferimento all’organizzazione che all’attività: si usa parlare di autonomia normativa.
3. È riconosciuto un potere di autoamministrazione che consiste nel riconoscimento alle comunità
autonome del potere di scegliere liberamente i propri organi di governo.

8.4-INDIPENDENZA. Nel dato costituzionale si fa riferimento all’indipendenza in due occasioni: la rispettiva


indipendenza dello Stato e della Chiesa cattolica; il riconoscimento della magistratura come <<ordine
autonomo e indipendente da ogni altro potere>>.
L’indipendenza è stata predicata, dalle leggi istitutive, per un numero crescente di autorità amministrative
chiamate a svolgere funzioni, di regolazione o di accertamento e di irrogazione di sanzioni. Queste autorità
amministrative, sono state definite indipendenti proprio perché si voleva la sottrazione delle funzioni loro
attribuite all’indirizzo politico. Mentre nel caso dell’autonomia gli enti conciliano il proprio indirizzo politico
con quello dell’ente territoriale di riferimento, con l’indipendenza si vuole che le attività svolte siano
soggette soltanto alla legge. La Costituzione ha voluto indipendente solo la funzione giurisdizionale, mentre
vuole le funzioni amministrative soggette al principio democratico. Non tutte le autorità indipendenti sono
organizzate in enti pubblici. L’indipendenza viene garantita quasi esclusivamente assicurando, in vario
modo, l’imparzialità soggettiva dei componenti degli organi delle autorità.

CAPITOLO 7

1-Si deve considerare ora tra quali uffici, interni agli enti pubblici,, si distribuiscono le attività di esercizio
delle funzioni attribuite.
Qualunque struttura organizzativa complessa, pubblica o privata, per funzionare si regge sull’individuazione
di unità organizzative, cioè di uffici, e sulla distribuzione tra essi delle attività che quell’organizzazione è
chiamata a svolgere. Laddove queste attività siano quantitativamente, consistenti, o abbiano un contenuto
diversificato, occorre ripartirle tra gli uffici.
Per le organizzazioni pubbliche non basta la personificazione giuridica di un ente pubblico cui imputare gli
atti adottati; occorre anche, a garanzia del cittadino e dell’imparzialità dell’amministratore, individuare quali
uffici possano adottare atti che siano imputati all’ente nel suo complesso.
L’imputazione all’ente riguarda la categoria, ampia, degli atti giuridicamente rilevanti e non quella, più
ristretta, di atti a rilevanza esterna. Oggi, con la distinzione tra competenze degli organi politici e
competenze degli organi amministrativi, vi sono atti, come gli atti di indirizzo, che di per sè non producono
effetti esterni, ma solo interni, in quanto condizionano il contenuto dei futuri atti di gestione.

2-Nelle organizzazioni pubbliche vengono svolte, attività giuridicamente rilevanti e attività prove di
rilevanza. Le prime qualificate come competenze, le seconde come meri compiti. A questa distinzione
corrisponde la distinzione tra organi e meri uffici. Se tutte le articolazioni organizzative interne di un ente,
cui sono attribuiti compiti, possono essere definite uffici, solo alcuni degli uffici, gli organi, si vedono
conferire, dagli atti di organizzazione, il potere di adottare atti giuridicamente rilevanti. La competenza
consente di individuare quali attività di esercizio della funzione attribuita all’ente spettano al particolare
ufficio che ha il carattere dell’organo. Si deve quindi condividere la nozione di competenza come la misura
dell’attribuzione. La competenza è il limite, il grado di coinvolgimento dell’organo nell’esercizio della
funzione, espresso nell’assegnazione, in sede di organizzazione, di alcune attività di esercizio.
L’organizzazione interna di un ente pubblico consiste, nell’articolazione degli organi e delle competenze e
nell’articolazione di uffici per lo svolgimento di meri compiti.

3-Poiché nei rapporti di lavoro si assume l’esistenza di un datore di lavoro pubblico, si è ritenuto di lasciare a
tale datore di lavoro un potere di organizzazione privatistico che, come nell’impresa, è giuridicamente

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irrilevante. È quindi ma turata una netta distinzione tra le scelte organizzative sulle competenze, definite di
macro organizzazione perché attengono alla fondamentale articolazione organizzativa dell’ente, e scelte sui
compiti, definite di micro organizzazione, perché attengono all’organizzazione interna agli organi.
Nell’organizzazione degli enti pubblici vi è, quindi, un’area (macro) di maggiore rigidità, che è connessa con
la rilevanza giuridica delle competenze attribuite agli organi, e un’area (micro) di maggiore flessibilità
connessa con lo svolgimento di compiti che non hanno rilevanza giuridica. Per la macro organizzazione è
importante che il cittadino non solo conosca il risultato delle scelte, ma anche come si è arrivati a quelle
scelte.
Sul piano delle finalità, le scelte di macro organizzazione consistono nell’attribuire le competenze agli organi
più adatti alla natura e al contenuto delle attività da svolgere.
Sul piano delle fonti di disciplina giuridica, le scelte di macro organizzazione sono affidata a fonti giuridiche
predeterminate, di diritto pubblico, dotate di una certa stabilità, mentre le scelte di micro organizzazione
sono affidate a meri atti interni. Le scelte di macro organizzazione devono anche essere conoscibili, perché
nella conoscibilità di questi atti organizzativi e nella loro stabilità sta in grande misura la garanzia che
l’organizzazione in quanto tale offre al cittadino. Si può ora cogliere appieno quanto detto a proposito
dell’organizzazione come garanzia anticipata del cittadino. La riserva a fonte normativa di diritto pubblico,
con l’esclusione di fonti private, esclude i contratti collettivi del pubblico impiego, dalle fonti
sull’organizzazione pubblica.
Tra le fonti normative, si è detto come a lungo la legge sia stata considerata la fonte esclusiva di disciplina
dell’organizzazione, soprattutto dell’esecutivo, mentre oggi la riserva è interpretata come relativa, limitata
all’istituzione di Ministeri o enti pubblici nazionali e all’attribuzione loro delle funzioni. Gran parte della
macro organizzazione è disciplinata con fonte regolamentare. Nei Ministeri i regolamenti di organizzazione,
individuano gli uffici di maggiore rilevanza, mentre i decreti ministeriali, anche quelli di natura non
regolamentare, possono ulteriormente articolare gli uffici, sempre al fine di stabilire le relative competenze.
Negli enti pubblici nazionali la macro organizzazione è fissata da fonti secondarie, attuative della legge
istitutiva, quali statuti o regolamenti. Negli enti territoriali: la Regione regola la propria macro
organizzazione con lo statuto, la legge, il regolamento, mentre gli enti locali provvedono con lo statuto, con
atti di indirizzo generale del Consiglio, con regolamento di Giunta e con atti amministrativi generali.

4-La persona giuridica ente pubblico agisce attraverso i sui organi. L’organo è quell’ufficio, cioè
quell’articolazione dell’organizzazione, che adotta atti giuridicamente rilevanti imputati all’ente. Vi è una
prima accezione, oggettiva di organo: è organo l’ufficio competente ad adottare atti imputabili all’ente. Nella
seconda accezione vi è una dimensione soggettiva dell’organo, che si apprezza considerando che
quell’ufficio non è in grado di adottare atti se non attraverso la persona fisica che ne è titolare. Accertato
che l’ufficio che ha adottato l’atto ne aveva la competenza, sarà rilevante anche stabilire se l’atto è stato
firmato dal titolare legittimo dell’organo. La costruzione della nozione di organo, la teoria organica, da un
lato può presentare un carattere autoritario, perché strettamente connessa alle teorie, di origine tedesca,
sullo Stato e sulla sua supremazia sul cittadino. Se risponde sempre l’ente pubblico, le responsabilità
soggettive dei titolari degli organi e dei funzionari pubblici possono attenuarsi. D’altro lato essa ha un valore
positivo perché << ha consentito di ridurre entro sfere giuridiche precostituite autorità originariamente
sovrane>>.
Si deve ritenere che la distinzione tra l’organo nella sua dimensione oggettiva di ufficio, che finisce per
corrispondere alle competenze assegnate e l’organo nella sua dimensione soggettiva, che corrisponde alle
caratteristiche e alla condizione giuridica del funzionario, costituisca un approccio integrato ed equilibrato al
tema della rilevanza giuridica dell’organizzazione.
Tra i profili oggettivi dell’organo vanno esaminati quello delle conseguenze del mancato rispetto della
distribuzione delle competenze tra gli organi, quello delle diverse tipologie di organi e quello delle relazione
tra organi di uno stesso ente.

5-Vi è necessaria stabilità delle regole sull’organizzazione che individuano gli organi e le loro competenze.
Esse non sono modificabili se non con un atto avente lo stesso rango di fonte del diritto. Le regole, rese
conoscibili secondo le forme di pubblicità tipiche delle fonti e dell’applicazione del principio di trasparenza
amministrativa, nel delimitare la competenza, la rendono invalicabile, nel senso che un atto adottato da un

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organo incompetente è un atto invalido. Si tratta di un vizio minore rispetto al difetto di attribuzione, che
produce, una volta impugnato l’atto, il suo annullamento da parte del giudice amministrativo. L’annullabilità
dell’atto serve a indurre quell’amministrazione a rispettare l’ordine delle competenze che essa stessa ha
creato.
Trattandosi di un vizio che non tocca l’attribuzione della funzione, l’amministrazione può sempre sanare
questo vizio, attraverso l’adozione dell’atto da parte dell’organo competente. Dal rispetto delle competenze
il cittadino si aspetta che l’esercizio della funzione sia svolta dall’organo che la disciplina organizzativa ha
individuato come meglio attrezzato per lo svolgimento delle attività predeterminate.

6-Una prima classificazione tra organi è di tipo funzionale, attiene cioè al contenuto delle attività svolte. Si
distingue tra organi di indirizzo e organi di gestione, i primi coincidenti con gli organi di governo e degli enti;
i secondi coincidenti con i dirigenti amministrativi.
Quanto alla struttura, si distingue tra organi monocratici e organi collegiali. Nell’organo monocratico vi è
una sola persona titolare dell’organo, nell’organo collegiale vi sono più persone fisiche che devono agire
collegialmente. La distinzione in rapporto alla struttura ha conseguenze sia quanto al funzionamento degli
organi, si quanto alla tipologia di atti che essi adottano. Un difetto di funzionamento si traduce nella
mancata legittimazione dei titolari a svolgere la funzione, cioè nel vizio di incompetenza degli atti adottati.
Per gli organi monocratici non ci sono regole particolari, se non quella della necessaria verifica dell’esistenza
della titolarità dell’organo. Per gli organi collegiali valgono le regole che si preoccupano di creare le
condizioni minime di operatività degli organi e la validità delle loro decisioni. Le fonti organizzative di diversi
enti distinguono tra regole sulla validità delle riunioni, regole sulla validità delle decisioni, in rapporto
all’atto da adottare e regole sulla registrazione dell’andamento della riunione.
Quanto alla tipologia degli atti in rapporto alla struttura degli organi, gli atti adottati dagli organi monocratici
vengono abitualmente denominati come decreto o determinazione, mentre gli atti degli organi collegiali
sono definiti come deliberazione. Si noti che tali denominazioni riguardano la forma dell’atto. Ciò che conta
è che l’atto corrisponda al contenuto eventualmente predeterminato dalla legge.

7-Per tutti gli organi, indipendentemente dalla loro struttura e dalle loro competenze, sono poste delle
regole comuni che riguardano due importanti profili:
A. La preposizione del titolare all’organo. Le regole relative alla preposizione di persone fisiche
all’organo delineano in primo luogo le forme, le procedure con le quali i titolari vengono individuati
e ammessi alla carica. A tal fine si distingue tra elezione, nomina, designazione, appartenenza di
diritto. Sono regole sulla preposizione all’organo anche quelle relative alla revoca, alla decadenza
dalla carica. Sempre nella stessa materia rientrano le regole sulla prorogatio degli organi, che
mantiene in carica i titolari dell’organo anche oltre la scadenza del mandato qualora non siano state
concluse le procedure per il rinnovo dell’organo. La legge ha stabilito che per gli organi degli enti
pubblici la proroga non possa eccedere i 45 giorni dalla scadenza, decorsi i quali tutti gli atti adottati
dagli organi sono nulli. Diversi dalla prorogatio sono i casi di vera e propria proroga dell’organo,
disposta con distinto provvedimento normativo che modifica le regole di funzionamento degli
organi, consentendo ai titolari in carica di proseguire nella carica o di candidarsi alla carica oltre i
limiti inizialmente previsti. Il titolare dell’organo può essere sostituito, temporaneamente, per cause
che gli impediscono lo svolgimento della carica: con supplenza, reggenza o sostituzione.
B. Il rapporto tra titolare dell’organo e l’ente di cui quell’organo esprime la volontà. La configurazione
del rapporto tra persona fisica preposta all’organo e ente è oggetto di elaborate teorie. Un’attività,
un atto dell’organo è automaticamente imputato all’ente. L’ente agisce, adotta atti giuridicamente
rilevanti, attraverso i suoi organi. A sua volta l’organo coincide con il soggetto che ne è titolare. Tra
titolare e organo e tra organo e ente vi è un rapporto “organico” o di “immedesimazione organica”.
Basta accertare che il titolare dell’organo sia validamente in carica per imputare i suoi atti
direttamente all’ente. L’imputazione degli atti adottati dall’organo all’ente, avviene anche nei casi di
illegittima o mancante investitura del titolare dell’organo; in questi casi il funzionario è considerato
come funzionario di fatto. Chi entra in rapporto con l’ente pubblico deve assicurarsi che la persona
fisica che adotta un atto sia effettivamente titolare di un organo di quell’ente. Se è così, ogni atto
compiuto dal titolare dell’organo è direttamente imputabile all’ente, senza la necessità di ulteriori

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dichiarazioni di volontà. Il rapporto di immedesimazione organizza attiene sempre al profilo


oggettivo del funzionamento dell’organo.

8-Le relazioni interorganiche, cioè tra organi di diverso livello organizzativo, sono relazioni fondate sulla
sovraordinazione di un organo rispetto all’altro. Vi sono poi le relazioni di equiordinazione tra organo dello
stesso livello. Qui ci occupiamo delle relazioni tra organi, con le quali si cerca di definire la posizione
rispettiva di organi diversi, come predeterminata nell’organizzazione e non dei singoli rapporti.

8.1- Nel modello gerarchico tutta l’organizzazione è volta alla concentrazione del potere decisionale nel
vertice dell’organizzazione. Nelle amministrazioni rette dal principio democratico l’organo di vertice è
l’organo politico esecutivo: ogni decisione, ogni atto amministrativo deve non solo corrispondere
all’indirizzo politico, ma essere conforme alla volontà dell’organo di vertice. Ne deriva che all’organo di
vertice, ma molto spesso anche agli organi via via sotto ordinati nella scala gerarchica, sono riconosciuti
poteri che mirano alla conformazione: poteri di ordine, poteri di controllo sugli atti, poteri di approvazione,
con potere di modifica di atti prima della loro adozione. Gli organi sotto ordinati restano competenti,
adottano gli atti, ma è il contenuto di questi ad essere direttamente condizionato dall’esercizio di poteri. Vi
sono, poteri che comportano un’alterazione dell’assetto delle competenze: i poteri di riserva, con i quali
l’organo sovraordinato stabilisce in via preventiva che determinati atti di esercizio della funzione siano
sottratti alla competenza dell’organo sotto ordinato; i poteri di revoca dell’atto; i poteri di avocazione, con i
quali un atto, prima della sua adozione, viene assunto alla decisione diretta dell’organo sovraordinato; i
poteri di annullamento di atti.
Non sono scomparse, ma sono da considerarsi residuali, relazioni di gerarchia in due casi distinti: quando vi
siano più livelli di organi amministrativi e la fonte di disciplina dell’organizzazione abbia attribuito ai livelli
superiori poteri di tipo gerarchico; all’interno degli organi, come relazioni interpersonali, rilevanti ai fini
dello svolgimento del rapporto di lavoro, ma che non toccano le relazioni tra organi.

8.2-I poteri di ordine sono sostituiti da poteri di direttiva, cioè di emanazione di atti di indirizzo, che
condizionano l’azione dell’organo sotto ordinato, atti che devono essere generali, cioè di lasciare all’organo
competente un margine di scelta nella concreta conformazione dell’azione; l’organo politico può solo usare i
poteri sostitutivi in caso di inerzia: si tratta di poteri non diretti, ma solo indiretti; i poteri di controllo sono
sostituiti da poteri di conoscenza degli atti adottati. Il condizionamento resta sugli atti, ma il contenuto
concreto dell’atto resta nella competenza dell’organo sotto ordinato.

8.3-Per delegazione si deve intendere il conferimento, generale o puntuale, del potere di adottare atti in
luogo dell’organo competente, deciso da quest’ultimo. La delegazione era frequente nei modelli
organizzativi che attribuivano agli organi politici di vertice il potere amministrativo finale, il potere di
adottare atti. Oggi, a garanzia dell’inviolabilità della riserva di competenza in capo ai dirigenti, la delegazione
si deve ritenere ordinariamente esclusa, salva la sua espressa previsione nella legge.
La delegazione, che attiene a relazioni interne ad un ente pubblico, cioè all’esercizio di competenze, va
tenuta ben distinta dalla delega di funzioni.

8.4-I poteri di tipo indiretto possono avere degli effetti sullo svolgimento dell’azione da parte dell’organo
sotto ordinato, si pensi ai poteri di coordinamento verticale dell’attività di più organi. È assai frequente che
gli organi amministrativi di livello più elevato siano costruiti come organi di coordinamento: restando ogni
organo amministrativo con le proprie competenze, l’organo sovraordinato promuove l’adozione di atti tra
loro coordinati per il raggiungimento di un comune obiettivo. Si pensi ai poteri di nomina e revoca
dall’incarico, ai poteri relativi al reclutamento e alla progressione nella carriera, ai poteri di assegnazione
delle risorse all’organo, ai poteri di valutazione dell’attività svolta dal titolare o dagli uffici di supporto.

CAPITOLO 10 ( I MODELLI ORGANIZZATIVI IN RAPPORTO ALL’INDIRIZZO POLITICO)

1-Resta da considerare l’organizzazione come risultato delle scelte.

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In coerenza con la costruzione dello Stato come ente, le principali strutture che svolgono compiti di rilievo
costituzionale, il Parlamento, la Corte costituzionale, il Governo, gli organi ausiliari dello Stato sono tutte
qualificate come organi, perché prive di una distinta personalità giuridica ha invece rilevanza nei rapporti tra
lo Stato e gli enti pubblici nazionali: questi sono in effetti distinte strutture con propria personalità giuridica
e con funzioni proprie.
All’interno dell’ente territoriale Stato l’organizzazione più complessa è quella dell’organo Governo, perché in
essa si comprende sia l’organo politico di vertice, il Consiglio dei Ministri, titolare dell’indirizzo politico
generale sia le sue articolazioni interne, i Ministeri.

2.1-L’art.92 Cost. definisce il Consiglio dei Ministri come massimo organo collegiale. Il Presidente del
Consiglio è, dal punto di vista della posizione istituzionale, privo del potere di nomina e di revoca dei
ministri. La nomina dei ministri è atto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del
Consiglio. Fanno parte del Consiglio ministri con e senza portafoglio.
Secondo la vigente Costituzione il Governo deve avere la fiducia di entrambe le Camere. Senza la fiducia, o
in seguito all’approvazione di una mozione di sfiducia, il governo resta in carica, ma può adottare solo atti di
ordinaria amministrazione.

2.2-Il Presidente del Consiglio è il Presidente che <<dirige la politica generale del Governo e ne è
responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei
ministri>>. La Presidenza del Consiglio, intesa come complesso di uffici, ha assunto un rilievo organizzativo
autonomo solo progressivamente. La sua articolazione interna è disciplinata con legge o con decreti del
Presidente del Consiglio. La PCM prevede un Segretariato generale ed è articolata in dipartimenti, uffici e
servizi. Il numero e le competenze dei dipartimenti sono stabiliti con decreti del Presidente del Consiglio. La
responsabilità politica, di indirizzo, nelle materie di competenza dei dipartimenti, può essere affidata a
ministri senza portafoglio o a sottosegretari nominati presso la PCM.
La disciplina organizzativa della PCM non ha fin qui operato la netta distinzione tra organi di indirizzo e
organi di gestione, tanto che si potrebbe affermare che l’intero Segretariato generale della PCM sia da
considerarsi come complesso degli uffici di diretta collaborazione del Presidente del Consiglio, con la
costituzione di uffici dirigenziali, all’interno dei Dipartimenti, è oggi possibile individuare uffici come organi
amministrativi, cui sono riservate le relative competenze amministrative e di gestione.

2.3-I Ministeri sono la principale articolazione del governo. I Ministeri sono strutture organizzative dotate di
proprie attribuzioni stabilite dalla legge. La riserva di legge per l’istituzione di un Ministero in questo caso
non riguarda l’istituzione di un ente con distinta personalità giuridica e con funzioni proprie, ma di un
organo dello Stato, a sua volta articolato in organi, di indirizzo e gestione. Lo scopo della riserva sembra
essere quello di distribuire le competenze tra i ministeri con la stessa stabilità e invalicabilità delle
attribuzioni di funzioni degli enti pubblici. La conseguenza della violazione tratta di incompetenza relativa.
Quelle dei ministeri sarebbe, quindi, delle competenze, non delle attribuzioni di funzioni. La macro
organizzazione è fatta con regolamento per l’individuazione degli uffici di livello dirigenziale generale e con
decreti ministeriali di natura non regolamentare <<per la definizione dei compiti generali>>. La micro
organizzazione è fatta con atti degli stessi dirigenti.
IL MINISTRO<<I Ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri e
individualmente degli atti dei loro Dicasteri>>.
La responsabilità dell’adozione degli atti amministrativi è riservata ai dirigenti, mentre la responsabilità del
ministro è politica. Il ministro, per lo svolgimento dei suoi compiti di indirizzo politico è coadiuvato da
sottosegretari e da uffici di diretta collaborazione, tra cui spicca il Gabinetto, il cui capo è scelto spesso tra i
magistrati amministrativi e contabili. Le relazioni tra Ministro e dirigenti amministrativi sono regolate sul
modello della direzione.
I MODELLI MINISTERIALILa struttura amministrativa di base, costituita dalle Direzioni generali è stabilita
con regolamenti ministeriali.
Le D.G. possono essere comprese in Dipartimenti, ovvero senza la costituzione di dipartimenti: in questo
secondo caso le D.G. sono coordinate da un Segretario generale. Il Segretario generale e il Capo
Dipartimento sono nominati con d.P.R., previa deliberazione del CDM, su proposta del Ministro, decadono

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automaticamente con la fine del mandato del Governo. I loro compiti di coordinamento della dirigenza e di
supporto al Ministro, senza l’attribuzione di poteri di sovra ordinazione gerarchica. I direttori generali sono
nominati con DPCM, su proposta del Ministro.
L’AMMINISTRAZIONE PERIFERICALa gran parte dei ministeri era organizzata anche in uffici periferici, il più
rilevante dei quali è la Prefettura, retta da un Prefetto. Si trattava di uffici equiparati ad uffici ministeriali di
livello generale, che operavano in sede decentrata, con compiti predeterminati. Con il progressivo
decentramento di funzioni a favore delle Regioni ed enti locali, l’amministrazione periferica tende a perdere
la sua importanza. Lo Stato conserva non solo competente legislative, ma funzioni amministrative, anche di
carattere operativo, da tempo è in atto un processo, non concluso, di unificazione di questi uffici in struttura
unica, l’Ufficio territoriale del Governo. Più significativa la riorganizzazione ipotizzata con la legge, che punta
a trasformare la Prefettura-UTG in Ufficio Territoriale dello Stato, riducendone anche il numero.

2.4-Uno degli strumenti di collaborazione, di coordinamento orizzontale sono i comitati di ministri, in


qualche caso mera sede di coordinamento dell’attività di più ministeri, in altri veri e propri organi collegiali,
con competenze distinte.

2.5-Si tratta di un’articolazione intermedia tra gli uffici interni di un ente e la costituzione di distinti enti
pubblici. lo scopo principale da raggiungere è duplice: da un lato una maggiore efficienza nel funzionamento
degli apparati amministrativi; dall’altro consentire lo svolgimento di attività ad elevato contenuto tecnico o
di attività di carattere operativo. Sempre mantenendo le strutture in una posizione di forte dipendenza
dall’indirizzo politico ministeriale. Questi scopi spiegano la ricerca di un modello generale di agenzie, che le
configura come organi privi, con una sola eccezione, della personalità giuridica. L’obiettivo uniformemente
non fu raggiunto. Lo svolgimento di attività ad elevato contenuto tecnico non costituisce più la motivazione
prevalente per l’utilizzazione di questo modello organizzativo.
Sono ad oggi definite “agenzie” strutture amministrative di natura molto diversa: enti di ricerca strumentale,
enti amministrativi strumentali.
L’organizzazione in forma separata di queste funzioni non è, in realtà, quella “piena autonomia” ipotizzata
nel modello generale delle agenzie; essa consiste soprattutto nel riconoscimento di alcune autonomie
organizzative, utile quindi per “proteggere” queste attività da indebite incursioni di interessi esterni, per
assicurare loro una maggiore efficienza operativa. La separazione organizzativa delle Agenzie rispetto agli
organi di indirizzo non ha quindi lo scopo di rafforzare la distinzione tra politica e amministrazione, ma
semmai di attenuarla.
La varietà dei modelli organizzativi adottai dalle diverse agenzie non consente di tracciare un modello
unitario di rapporti interorganici, tra gli uffici. Quando la struttura è articolata in più livelli organizzativi i
rapporti che si creano tra essi e con il vertice monocratico dell’agenzia tendono a seguire il modello della
gerarchia piuttosto che quello della direzione.

3-Il ricorso al modello organizzativo degli enti pubblici è molto significativa. Fin dall’epoca fascista, lo Stato
ha preferito organizzare compiti nuovi attraverso la costituzione di nuovi enti piuttosto che con
l’ampliamento degli uffici ministeriali. La varietà e il numero degli enti pubblici nazionali, costituito dallo
Stato, è tale da sconsigliare ogni opera di classificazione. La loro comprensione tra gli enti dipendenti o tra
gli enti strumentali dipende dal concreto assetto delle relazioni con lo Stato, così come fissato dalla
disciplina vigente.
IL MODELLO ORGANIZZATIVOGli enti pubblici presentano un’articolazione di organi che segue un modello
abbastanza uniforme, ricavato da quello delle società di diritto privato: un Presidente e un Consiglio di
amministrazione. Il Presidente ha la rappresentanza esterna dell’ente e adotta i suoi atti più rilevanti. Il Cda
è organo collegiale destinato alla rappresentanza di diversi orientamenti politico-culturali o diverse
categorie di interessi. La soppressione del Cda allineerebbe gli enti pubblici al modello dell’agenzia, fondato
su un unico organo monocratico di governo.
Al di sotto degli organi di governo, negli enti pubblici la variabilità dei modelli di organizzazione degli uffici è
molto ampia. Gli atti di macro organizzazione devono individuare degli organi interni cui siano riservate le
competenze di gestione.

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4.1-In base alla Costituzione del 1948 lo Stato aveva il potere di stabilire modelli organizzativi non solo per
se stesso, ma anche per l’intero sistema amministrativo italiano. Questo potere è stato soppresso.
ORGANI DI GOVERNOResidua un potere statale di uniformità organizzativa quanto agli organi di governo.
Gli organi di governo sono sempre a formazione elettiva, almeno per quanto riguarda il capo dell’esecutivo
e l’assemblea con poteri normativi e di indirizzo generale.
Per le Regioni è la stessa Costituzione a fissare l’articolazione essenziale degli organi di governo, salvo a
rinviare allo Statuto e alla legge regionale le regole per la loro formazione. Alle Regioni è riconosciuta una
vera autonomia statutaria e un’autonomia legislativa in materia elettorale.
Per gli enti locali, l’articolazione, la configurazione e i sistemi di elezione degli organi di governo sono
riservati alla legge dello Stato.
ORGANIZZAZIONE DEGLI UFFICILa perdita dei poteri di uniformità organizzativa relativamente
all’organizzazione interna agli enti territoriali non ha comportato la fine della consolidata tendenza dello
Stato a predeterminare soluzioni organizzative generali. Il legislatore statale ha cercato di qualificare
determinate disposizioni di legge come rientranti nella competenza legislativa esclusiva dello Stato. Si
impone così a tutte le amministrazioni il principio della privatizzazione del rapporto di lavoro, ma non le
scelte di macro organizzazione che restano nell’autonoma determinazione degli enti territoriali. Lo Stato
ricorre, poi, ad altri titoli di legittimazione, quali il potere statale di fissare i principi direttamente derivanti
da principi costituzionali e i principi generali dell’ordinamento. Le finalità perseguite con questi interventi
normativi dello Stato perlopiù consistono nell’imposizione di principi generali.
Ogni enti territoriale è libero di adottare modelli organizzativi differenziati. Può riprodurre il modello
ministeriale. I modelli adottati sono molto diversi. Ampio è il ricorso a figure amministrative di vertice,
nominate in modo fiduciario. In generale il modello organizzativo dipende dal numero e dalla qualità della
dirigenza operante nell’amministrazione. In generale i modelli organizzativi adottai riflettono la volontà degli
organi politici di mantenere una forte presa sull’amministrazione.

5-Le camere di commercio sono enti pubblici a base associativa, che svolgono compiti attribuiti dalla legge,
tra le quali fondamentali le <<funzioni di supporto e promozione degli interessi generali delle imprese e
delle economie locali>>. La legge predetermina gli organi di governo e rinvia allo statuto la determinazione
delle scelte di macro organizzazione, limitandosi a prevedere la figura del Segretario generale. La macro
organizzazione di questi enti non è pertanto predeterminata dalla legge, ma differenziabile con le norme
statutarie. La necessaria individuazione di uffici dirigenziali garantisce l’applicazione del principio di
distinzione tra politica e amministrazione.
Anche le università si vedono riconoscere l’autonomia normativa, addirittura in Costituzione. Lo statuto,
integrato da regolamento generale di ateneo e di altri regolamenti per oggetti particolari, è la fonte con la
quale le università definiscono gli organi di governo e le strutture interne. Ad un lungo periodo di totale
predeterminazione degli organi e delle loro competenze è seguita una maggiore apertura all’autonomia
statutaria, ma sempre con la necessaria costituzione dei tre organi principali. Dal 2010 la predeterminazione
per legge degli organi è tornata a farsi molto accentuata. Fondamentale è l’articolazione delle università in
strutture didattiche e scientifiche.
L’organizzazione delle competenze è fortemente dialettica: da un lato un’amministrazione centrale di
ateneo, con al vertice il Direttore generale, nominato dal Cda su proposta del Rettore. Ne risulta un modello
organizzativo fortemente gerarchico; dall’altro lato le strutture operative, quelle che svolgono le attività di
ricerca e di insegnamento, il cui organo monocratico è anche responsabile di atti di amministrazione e
gestione.
Anche le istituzioni scolastiche sono considerate come enti ad autonomia funzionale. L’autonomia consiste
in modeste autonomie di tipo organizzativo. Si tratta, di un’autonomia non prevista in Costituzione, ma solo
da leggi ordinarie dello Stato.

6- Le autorità sono istituite con separati provvedimenti di legge, non è possibile definirne un modello
generale, né esiste un atto che abbia provveduto ad elencarle. Solo di recente il d.l n.201 del 2011, che ha
voluto ridurre drasticamente, dimezzandolo, il numero dei componenti degli organi delle autorità, ne ha
elencate 8.

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Sul piano organizzativo, il dato comune alle diverse autorità è che l’indipendenza è assicurata ai titolari degli
organi di governo, mentre alle autorità, complessivamente intese, vengono riconosciute in modo molto
differenziato alcune manifestazioni tipiche dell’autonomia, ivi compresa la stessa distinta personalità
giuridica.
In generale operano delle figure amministrative responsabili del coordinamento degli uffici e dello
svolgimento delle poche funzioni di gestione.

CAPITOLO 11( I MODELLI ORGANIZZATIVI IN RAPPORTO ALLA DISCPLINA PUBBLICA E PRIVATA


DELL’ORGANIZZAZIONE)

1-Per alcune amministrazioni sicuramente pubbliche, enti pubblici attributari di funzioni amministrative,
parte dell’organizzazione è disciplinata da norme di diritto privato.

2-ATTIVITA’ LIBERALIZZATECon la liberalizzazione di attività si comprendono tutte le modificazioni della


disciplina delle attività prima oggetto di penetranti regolazioni pubbliche, che vanno nel senso della
riduzione del numero e dell’estensione delle regole pubblicistiche. Si liberalizzano attività per diversi motivi:
perché determinati servizi si ritiene vengano meglio assicurati dal mercato. In questa direzione molto spinge
l’UE; per rilanciare l’economia, perché si ritiene che nei settori liberalizzati saranno investite risorse che il
settore pubblico in crisi non è più in grado di garantire.
Vi sono liberalizzazioni totali, nelle quali le attività non solo non sono più svolte da soggetti pubblici, ma
vengono sottratte anche a regolazioni pubbliche.
Al contrario, vi è liberalizzazione parziale quando settori di attività economiche vengono sì sottratti al
monopolio di soggetti pubblici, con l’introduzione di regole concorrenziali, ma senza la scomparsa delle
funzioni di regolazione, che restano affidate a soggetti pubblici. Queste funzioni, oltre ad impedire
l’alterazione della concorrenza, possono arrivare fino all’imposizione agli operatori sul mercato di obblighi di
servizio pubblico.
ENTI PUBBLICI PRIVATIZZATILa privatizzazione riguarda, l’organizzazione di enti e soggetti. Con la
privatizzazione si passa da organizzazioni totalmente o prevalentemente disciplinate da norme di diritto
pubblico ad organizzazioni rette da norme di diritto privato; tipico il passaggio dal modello dell’ente
pubblico al modello della società per azioni.
La privatizzazione può accompagnare politiche di liberalizzazione, ma può anche essere disposta in settori
che non vengono affatto liberalizzati. Come esempio di privatizzazioni di soggetti pubblici in settori non
liberalizzati, si pensi alla trasformazione di enti pubblici o alla costituzione di enti di diritto privato cui poi
sono affidati servizi pubblici, cioè quelle attività che sono sottratte al mercato perché legate a finalità di
interesse generale. Si ricordi che costituisce un caso di privatizzazione di soggetti per attività non
liberalizzate anche l’affidamento di vere funzioni pubbliche a soggetti privati, anche con l’attribuzione di
poteri pubblicistici.

3-Si ha privatizzazione formale quando cambia la forma, la natura giuridica dell’ente, la disciplina della sua
organizzazione, ma il nuovo soggetto resta in controllo pubblico, perché sottoposto a poteri di indirizzo, di
vigilanza, di controllo, di finanziamento, da parte dell’ente pubblico territoriale di riferimento. Sono esempi
di privatizzazione formale la trasformazione di imprese pubbliche in S.p.A. in controllo pubblico che
svolgano le tre seguenti tipologie di attività: la produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni
controllanti; la gestione di servizi pubblici; l’esercizio di funzioni amministrative.
Si privatizza per conseguire una maggiore efficienza operativa nei rapporti con i terzi.
Si privatizza per conseguire una maggiore funzionalità nell’organizzazione del lavoro, stabilendo con i propri
dipendenti un rapporto di lavoro di tipo privatistico. È un vantaggio assi relativo oggi, con la privatizzazione
del rapporto di lavoro pubblico: anche l’organizzazione in forma pubblicistica può garantire una più efficace
gestione dei rapporti di lavoro.
Si privatizza per evitare le norme sulla contabilità pubblica e la sottoposizione ai controlli della Corte dei
conti; qui la differenza con l’ente pubblico non è più così rilevante, se si considera che anche questo adotta
contabilità di tipo economico.
Si privatizza per evitare l’applicazione delle regole di concorrenza per l’affidamento di contratti pubblici.

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Si privatizzano enti per aggirare il principio di distinzione tra competenze di indirizzo e competenze di
gestione. Qui lo scopo può essere raggiunto, ma è in contrasto con le attività di pubblico interesse svolte.
Con la privatizzazione, se anche si guadagnasse qualcosa in termini di efficienza, sicuramente si perde in
termini di imparzialità e di garanzia del cittadino quando il soggetto privato svolge rilevanti attività di
pubblico interesse.
Si privatizza per aggirare il principio del reclutamento per pubblico concorso.
Si privatizza, poi, per aggirare le regole dell’imparzialità e della trasparenza.
Si privatizza per aggirare le regole sulla responsabilità; con la forma privatistica si evita la responsabilità
amministrativa e contabile, si riduce quella penale, si attenua la responsabilità politica degli organi di
governo dell’ente pubblico di riferimento.
Il quadro delle privatizzazioni formali è molto controverso. Appare condizionato da presupposti più
ideologici che reali, induce un’aspettativa di efficienza non sempre confortata dai risultati, attenua la
responsabilità, dà minore rilievo all’imparzialità dell’organizzazione, riduce la trasparenza della gestione e
con essa le garanzie del cittadino.
Si ha privatizzazione sostanziale quando nel nuovo soggetto non solo la natura dell’organizzazione è privata,
ma l’ente pubblico di riferimento cede il controllo. La privatizzazione sostanziale si può avere per diretta
trasformazione di un ente pubblico in S.p.A., da società in controllo pubblico a società in controllo privato,
mediante la messa sul mercato delle azioni detenute dall’ente pubblico.

4-Per esternalizzazione si dovrebbe intendere, alla lettera, trasferimento all’esterno di attività prima svolte
all’interno di enti pubblici, cioè organizzate secondo regole pubblicistiche.
Sarebbe esternalizzazione anche una liberalizzazione parziale di attività, prima svolte da soggetti pubblici,
accompagnate dalla privatizzazione solo formale e si agirebbe sia su attività economiche che su servizi
pubblici.
Si possono esternalizzare in primo luogo attività di produzione di beni e servizi sul mercato.
Si possono poi esternalizzare attività di servizio pubblico, cioè di servizi resi alla collettività; i servizi sono resi
da soggetti privati invece che da soggetti pubblici, ma restano attività di interesse generale, soggette ad una
speciale regolazione.
Si possono esternalizzare attività strumentali in precedenza organizzate all’interno dell’ente pubblico.
Queste attività vengono svolte da soggetti esterni a favore dell’ente, per consentire ad esso di svolgere le
proprie funzioni, ma non sono attività di servizio pubblico, rese direttamente dai cittadini.
L’esternalizzazione avviene in due modi: da un lato l’ente pubblico chiude gli uffici che le svolgevano e affida
queste attività a imprese private operanti in regime di concorrenza; dall’altro l’ente pubblico promuove la
costituzione di un soggetto privato di cui mantenga il controllo. In entrambi i casi si tratta di servizi privati
resi all’amministrazione.
Si possono, esternalizzare vere e proprie funzioni pubbliche, che invece di essere organizzate in forma
pubblica, cioè svolte da amministrazioni pubbliche con propri uffici, sono affidate a soggetti privati, cioè
privatizzati in senso solo formale, perché l’ente territoriale di riferimento conserva su di essi un controllo,
spesso voluto come totale direttamente dalla legge che ne prevede la trasformazione. Le attività
esternalizzate sono attività di diretto esercizio delle funzioni. Il fenomeno, è assimilabile ai munera pubblici,
cioè ai casi di funzioni pubbliche affidate a particolari soggetti privati, ma non vi coincide: nei munera
pubblici la funzione è di per sé concepita come da svolgersi da parte di soggetti privati, che sono individuati
con procedure volte a garantirne la competenza e l’imparzialità, mentre l’esternalizzazione consiste nella
costituzione di appositi soggetti privati.
Si ha quindi esternalizzazione quando l’ente pubblico territoriale di riferimento deicide di non svolgere
ulteriormente funzioni o attività connesse con il loro esercizio precedentemente attribuite a propri organi
e uffici e le affida a soggetti esterni di diritto privato.
Nel caso di affidamento di funzioni, la cura dell’interesse generale che viene affidata al soggetto privato
giustifica il mantenimento del controllo pubblico.
Nel caso dei servizi resi all’amministrazione si pongono due distinti ordini di casi. Da un lato le attività
esternalizzate sono sì strumentali, ma lontane dalle funzioni finali servite. Se si esternalizzano queste attività
si tratta di meri servizi privati, per i quali l’amministrazione deve solo ricercare il contraente privato.
Dall’altro lato vi sono le attività esternalizzate che consistono in servizi più qualificati, più vicini alle funzioni

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servite, che potrebbero incidere sul loro esercizio. Per queste l’interesse dell’amministrazione ad una loro
particolare qualità può giustificare soluzioni più attente, ma che non richiedono necessariamente
affidamenti diretti.

5-Del primo modello, quello degli enti pubblici, conosciamo già gli elementi essenziali: è sottoposta a
disciplina tutta l’organizzazione rilevante. La micro organizzazione è retta da norme di diritto privato. Il
personale è stato a lungo oggetto di una disciplina solo pubblicistica e unilaterale, oggi in gran parte
privatistica, ma con tratti pubblicistici. L’azione amministrativa può essere retta da norme di diritto pubblico
o di diritto privato. Il finanziamento è di norma totalmente pubblico, derivante dalla fiscalità generale. Non
sono però escluse entrate autonome di tipo privato. Esempi della categoria: le Agenzie.

6.1-L’IMPRESA ORGANO (SENZA PERSONALITA’ GIURIDICA). Si tratta di un modello organizzativo recessivo,


per alcuni addirittura scomparso. La disciplina dell’organizzazione era, in modo largamente prevalente,
pubblicistica, come nel modello dell’ente pubblico non economico. Gli organi di governo erano
predeterminati dalla legge, spesso l’organo di vertice coincideva con l’organo di governo dell’ente di
riferimento. Il personale era già configurato come di diritto privato. Quando lo scopo dell’attività consisteva
nella sola produzione di beni e servizi, la fornitura agli utenti avveniva nelle forme del diritto privato. Esempi
di questa categoria sono le Aziende e amministrazioni autonome. Il modello è stato superato perché
trasformato in quello, più vicino, dell’ente pubblico economico o in quello, più lontano della S.p.A. in
controllo pubblico.

6.2-L’IMPRESA-ENTE PUBBLICO (CON PERSONALITA’ GIURIDICA). Gli enti pubblici economici costituiscono il
modello organizzativo che ha avuto maggiore applicazione, fino alle recenti politiche di privatizzazioni degli
anni Novanta. Il carattere distintivo sta nel riconoscimento di una distinta personalità giuridica, le attività
sono attività di prestazione, raramente consistono nell’esercizio di poteri autoritativi. Il riconoscimento di
una distinta personalità giuridica vuole segnare un maggiore distacco organizzativo rispetto al modello delle
amministrazioni autonome, anche se lo scopo non è quello di riconoscere vere posizioni di autonomia.
La disciplina dell’organizzazione non è più interamente pubblica; essa è in parte pubblica e in larga parte
privata, senza che ciò costituisca un pregiudizio per le garanzie del cittadino. Per il finanziamento la
situazione può variare: se l’ente svolge attività sul mercato l’ente si finanzia con i ricavi; se l’ente svolge
attività di servizio pubblico si seguono le regole di quest’ultimo.
Il modello è in gran parte superato, anche se non mancano ritorni di fiamma, ma è stato di grande rilievo,
anche per i rapporti che molti di questi enti stabilivano con le S.p.A. in controllo pubblico nel cosiddetto
sistema delle partecipazioni statali. L’ente pubblico economico deteneva quote azionarie di controllo delle
S.p.A. operative ed era quindi in grado di indirizzarne l’attività. A sua volta l’ente, in quanto ente pubblico,
era sottoposto all’indirizzo del Governo.

7-SOGGETTI PRIVATI IN CONTROLLO PUBBLICO. Con questo modello si abbandonano i tratti


dell’organizzazione di diritto pubblico per adottare i modelli organizzativi delle persone giuridiche private,
ma la privatizzazione è solo formale, perché l’ente pubblico di riferimento mantiene poteri di indirizzo e
controllo.
LE S.P.A. IN CONTROLLO PUBBLICOIl controllo sulla S.p.A. si realizza attraverso la partecipazione azionaria
dell’ente pubblico territoriale di riferimento nel capitale sociale. Perché si abbia controllo, la partecipazione
azionaria deve essere maggioritaria o deve comunque assicurare un’influenza dominante. Al controllo
pubblico corrispondono i poteri di nomina degli amministratori della società. Tali poteri di nomina possono
essere riconosciuti dalla legge o dall’atto costitutivo.
La disciplina dell’organizzazione è interamente privatistica. L’organizzazione interna non ha rilevanza
giuridica, non vi sono esigenze di definire, una macro organizzazione con individuazione delle competenze
degli uffici. Le garanzie del cittadino non sono diminuite se l’impresa si limita a produrre beni e ad erogare
servizi; molti maggiori problemi si pongono quando S.p.A. in controllo pubblico sono costituite per
l’esercizio di funzioni pubbliche. Anche se si deve ritenere che nell’azione amministrativa si applicheranno le
regole e le garanzie di diritto pubblico, con l’organizzazione interamente privata si perdono due
fondamentali garanzie: la conoscibilità della distribuzione delle competenze e l’imparzialità soggettiva del

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funzionario. Quanto al finanziamento dipende dalle attività svolte: se di produzione di beni e servizi sul
mercato, esso è costituito dai soli ricavi; se attività di servizio pubblico, in parte da ricavi e in parte da
finanziamento pubblico; se attività di esercizio di funzioni solo da finanziamento pubblico.
LE FONDAZIONI (E ASSOCIAZIONI) IN CONTROLLO PUBBLICOIl ricorso al modello delle fondazioni e delle
associazioni di diritto privato non è meno rilevante. Il modello delle fondazioni è poi utilizzato anche per
l’esternalizzazione di alcune attività prima svolte direttamente dall’ente pubblico. Delle fondazioni e
associazioni in controllo pubblico è difficile definire un modello organizzativo unitario. La conformazione
degli organi e dell’organizzazione interna è largamente rimessa agli atti istitutivi.
Molti istituti di credito prima in controllo pubblico hanno dato luogo a due distinte strutture: da un lato le
banche, totalmente privatizzate, e dall’altro le fondazioni bancarie, soggetti di diritto privato, che in virtù
della gestione di patrimoni molto rilevanti svolgono attività di interesse generale.

8-Si hanno poi i soggetti a prevalente partecipazione privata. La privatizzazione è sostanziale, non ci sono
poteri di controllo pubblici perché le attività svolte non rivestono carattere di interesse pubblico. Due gli
esempi più significativi: il settore bancario, nel quale non operano più gli Istituti di credito di diritto
pubblico, ma solo banche di diritto privato; il settore delle telecomunicazioni nel quale Telecom non è più
un’impresa pubblica, né ha il monopolio delle attività di erogazione dei servizi.

9-Come sappiamo l’ordinamento comunitario consente agli Stati di regolare le forme di gestione; così in
Italia un servizio pubblico può essere affidato in due modi: in via diretta, ad un ente pubblico economico o
a una società in totale controllo pubblico. In entrambi i casi il rapporto tra ente che affida il servizio e
soggetto affidatario è regolato da un contratto di servizio pubblico, nel quale sono fissati: gli obblighi di
servizio pubblico, le condizioni per lo svolgimento del servizio, le tariffe, i diritti degli utenti, gli obblighi di
rendiconto e i poteri di vigilanza spettanti all’ente affidante. Il rapporto tra soggetto affidatario e utenti è
invece retto da ordinari contratti di diritto privato.

10-Il punto di partenza comune per quanto riguarda i modelli organizzativi tra pubblico e privato negli altri
ordinamenti sono le politiche di espansione della sfera pubblica lungo tutto il Novecento, fino agli anni
Ottanta, per l’erogazione di servizi pubblici, ma anche a fini di diretto di intervento dello Stato
nell’economia. Queste politiche spesso si sono accompagnate a diffuse inefficienze nell’organizzare del
settore pubblico. Così si spiega il vasto fenomeno della messa in discussione del welfare state e
dell’affermazione del principio di concorrenza.
Le privatizzazioni si affermano in Gran Bretagna. Sono liberalizzati anche servizi pubblici come le ferrovie,
ma non i servizi a rilevanza sociale come scuola, sanità, previdenza. Le liberalizzazioni sono accompagnate
da una significativa crescita di autorità.
La politica liberalizzatrice dell’UE è progressiva, puntando a settori prioritari per i quali tali politiche si
devono applicare nell’intera unione per poi estendersi a nuovi settori.
Mentre l’Italia è il paese che ha seguito più da vicino il modello inglese, la Germania, che aveva spinto meno
di altri sul versante della pubblicizzazione delle imprese, adotta di conseguenza misure meno drastiche. La
Francia è sicuramente il paese che resiste di più alla ventata delle privatizzazioni.
In molti casi europei le privatizzazioni sono solo formali, per non perdere il controllo pubblico sulle imprese
e per “fare cassa”, cioè per avere entrate straordinarie come frutto della vendita di quote di azioni da
destinare al risanamento delle dissestate finanze pubbliche.

CAPITOLO 12

1-La disciplina giuridica dei beni è tradizionalmente affidata al diritto privato. Il diritto amministrativo tende
ad occuparsi dei beni, perché vede nei beni soprattutto delle risorse strumentali che rendono possibile
l’esercizio di funzioni pubbliche. In realtà la rilevanza giuridica dei beni per l’organizzazione amministrativa
riguarda anche i beni in quanto tali; i beni cioè sono essi stessi l’oggetto e il contenuto di funzioni
amministrative.

2-La proprietà pubblica dei beni

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2.1-Il codice civile si occupa di beni in generale nel titolo I del Libro Terzo. Si occupa dei <<beni appartenenti
allo Stato, agli enti pubblici e agli enti ecclesiastici>>. La disciplina del codice riguarda i beni e si occupa di
regolarne la circolazione, in particolare la possibilità per gli enti pubblici di alienare questi beni.
LE CATEGORIE DI BENI PUBBLICI Si distingue così tra beni demaniali, beni patrimoniali indisponibili, beni
patrimoniali disponibili.
Il demanio pubblico è individuato con un doppio criterio: vi è un demanio necessario e naturale, costituito
da beni esistenti in natura;
vi è un demanio eventuale o accidentale, questa categoria si distingue ulteriormente in: un demanio,
eventuale, per appartenenza, costituito da alcune tipologie di beni che diventano demaniali solo se
<<appartengono allo Stato>> o se <<appartengono alle province o ai comuni>>;
un demanio, eventuale, per destinazione: <<le opere destinate alla difesa nazionale>>;
un demanio, eventuale, per individuazione di legge: <<le altre acque definite pubbliche dalle leggi in
materia>>; <<gli altri beni che sono dalla legge assoggettati al regime proprio del demanio pubblico>>.
Tra i beni demaniali vanno annoverati anche i diritti demaniali su beni altrui, cioè i diritti reali.
Il patrimonio pubblico è individuato in generale applicando il criterio dell’appartenenza << i beni
appartenenti allo Stato alle province e ai comuni, i quali non siano della specie di quelli indicati dagli articoli
precedenti costituiscono il patrimonio dello Stato. Lo stesso articolo definisce le tipologie di beni che fanno
parte del patrimonio indisponibile.
IL REGIME DI CIRCOLAZIONE DEI BENI PUBBLICIIl codice civile parla di <<condizione giuridica dei beni>> e
distingue tra beni demaniali e beni patrimoniali. Questi beni sono inalienabili <<non possono formare
oggetto di diritto a favore di terzi>>, cioè sono impignorabili e non usucapibili. Finche i beni restano
demaniali e patrimoniali indisponibili, per assicurarne l’uso a soggetti privati occorre adottare atti di
concessione. La proprietà resta pubblica, ma è consentito un uso compatibile da parte di privati
concessionari. Agli enti pubblici proprietari sono, poi, riconosciuti particolari poteri di tutela dei beni, gli enti
pubblici hanno la <<facoltà di procedere in via amministrativa>>, cioè di tutelare la proprietà con propri atti
e strumenti. Salvo i beni del demanio necessario, naturale, i beni pubblici per appartenenza o per
destinazione possono passare dall’una all’altra categoria, ma il codice civile impone l’adozione di atti
specifici.
La gestione dei beni demaniali e patrimoniali indisponibili dello Stato è affidata all’Agenzia del demanio.

2.2-La prima fondamentale critica della disciplina del codice civile in materia di beni pubblici riguarda la
stessa idea che la proprietà pubblica sia, di per sé, garanzia della migliore conservazione dei beni; che la
conservazione dei beni in mano pubblica sia, di per sé, garanzia dell’utilizzazione collettiva del bene; che la
proprietà pubblica si garantisce in termini di non commerciabilità; che la concezione di difesa della proprietà
pubblica sia quindi statica. In sostanza queste critiche tendono a negare che il solo regime di riserva del
bene alla proprietà pubblica, per naturalità, per acquisizione o per destinazione, dia adeguate garanzie, se
non accompagnato da precisi doveri/obblighi per gli enti di valorizzarli. Altre critiche non secondarie
riguardano: l’antica distinzione tra beni immobili e mobili, che non tiene conto dei beni immateriali. Critiche
quelle ricordate che mettono in luce i limiti del codice civile anche ai solo fini dell’individuazione dei beni
pubblici, ma che non hanno però condotto a nessuna radicale e organica revisione di questa disciplina.

2.3-Il tema della proprietà pubblica è tornato improvvisamente all’attenzione del legislatore quando si è
trattato di far fronte a situazioni di emergenza, in particolare alla crisi della finanza pubblica. L’esigenza
primaria è “fare cassa”, racimolare nuove entrate per consolidare le disastrate finanza pubbliche. Per i beni
la strada è simile: quella di una loro privatizzazione solo formale. Le politiche in questione nascono dalla
constatazione, sempre più confermata da dati di fatto, che esistono grandi quantità di beni pubblici
abbandonati e non più destinati ad un uso collettivo, ovvero che anche beni che conservano una piena
utilità generale sono in realtà non utilizzabili a fini collettivi.
Lo scopo delle politiche pubbliche diventa duplice: vendere tutto ciò che può essere venduto, magari
trasferendo intere categorie di beni o singoli beni dalle forme di proprietà più tutelate e rigide a forme più
commercializzabili;

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trasferire beni patrimoniali indisponibili a soggetti privati, senza che questi beni perdano la loro
classificazione e soprattutto senza che perdano la loro destinazione pubblica.
Nel primo caso, quando ci sia una vendita effettiva del bene, siamo di fronte ad una sua dismissione, cioè a
una sua privatizzazione sostanziale.
Nel secondo caso, assistiamo ad una privatizzazione solo formale: il bene appartiene al soggetto privato, ma
mantiene la sua destinazione pubblica.
Per perseguire risparmi di spesa pubblica e per il recupero delle risorse:
L’Agenzia del Demanio è stata dotata del potere di procedere di ufficio all’accatastamento e alla
regolarizzazione catastale degli immobili dello Stato.
Il legislatore ha creato un sistema integrato di fondi, che investe in modo diretto e indiretto nel settore
immobiliare e produce risorse per la valorizzazione.
Dalla riserva alla proprietà pubblica come garanzia di utilizzazione collettiva alla nuova categoria dei beni a
destinazione pubblica, cioè pubblici in senso oggettivo. I beni, chiunque ne sia proprietario, restano
destinato all’uso collettivo, ma si possono esplorare nuove strade per rendere la destinazione pubblica
compatibile con la loro valorizzazione da parte dei privati proprietari. Il privato proprietario conclude con
soggetti privati contratti di diritto privato, che consentono usi particolari del bene, compatibili con la
destinazione pubblica. Il problema non sta nell’inidoneità del contratto a curare un interesse pubblico, ma,
da un lato, nell’imparzialità del soggetto che, con il contratto, deve trovare nel caso concreto strumenti di
compatibilità tra usi particolari e usi collettivi. Dall’altro nell’esercizio di una vigilanza pubblica sulla corretta
esecuzione del contratto.

2.4-Nel 2007 fu insediata una Commissione di studio con il compito di redigere un disegno di legge delega
per la revisione della parte del codice civile dedicata ai beni pubblici. La Commissione ha prodotto uno
studio di grande interesse, fondato sul netto superamento della distinzione beni demaniali/beni
patrimoniali indisponibili e sull’individuazione della categoria dei “beni comuni”. Si distingueva tra <<beni
comuni ad appartenenza pubblica necessaria>>, non privatizzabili e oggetto di provvedimenti pubblicistici di
concessione, e beni privatizzabili, ma con il mantenimento di una destinazione pubblica, definii come
<<beni sociali>>.

2.5-IL DESTINO DEI BENI DI ENTI PUBBLICI PRIVATIZZATI:


 Rete ferroviaria: si sono separati da un lato i soggetti erogatori del servizio e dall’altro la rete,
affidata alla gestione della RFI S.p.A. La RFI, che è un soggetto privato in controllo pubblico, gestisce
beni che restano vincolati alla loro destinazione pubblica.
 Rete elettrica: anche qui si è separata la rete e l’operatore di servizi elettrici ENEL. La rete è affidata
alla Terna S.p.A., anch’essa soggetto privato.
 Rete telefonica: in questo caso Telecom Italia S.p.A., che è società privatizzata in senso sostanziale,
gestisce la rete per l’erogazione dei servizi.
 Rete stradale: rete all’ANAS S.p.A., soggetto in controllo pubblico. Continua ad applicarsi il regime
dei beni demaniali, anche se viene a mancare il presupposto del demanio eventuale.
 Rete di trasporto del gas: rete di trasporto Snam S.p.A., società privata a cui viene affidata la
gestione dell’infrastruttura separandola da Eni S.p.A.
Con queste soluzioni si assicura che i beni costituenti la rete restino a destinazione pubblica, ma nello stesso
tempo si permette la dismissione dei beni non più utili alla rete e comunque una valorizzazione della rete
medesima.

2.6-Di recente, nel quadro dell’attuazione dell’art.119 Cost. sull’autonomia finanziaria degli enti territoriali,
cioè sul cosiddetto “federalismo fiscale”, è stato emanato il d.lgs. n.85, che si propone non solo di trasferire
organicamente in rapporto alle funzioni, ma di attuare un largo trasferimento di beni anche
indipendentemente da esse. Si intende trasferire: i beni appartenenti al demanio marittimo; i beni
appartenenti al demanio idrico; gli aeroporti di interesse regionale o locale; le miniere e le relative
pertinenze; gli altri beni immobili dello Stato. I beni trasferiti entrano a far parte del patrimonio disponibile
degli enti territoriali.

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3-BENI PRIVATI DI INTERESSE PUBBLICO. L’esempio più rilevante è quello dei beni di interesse storico e
artistico. Una volta individuati come tali sono sottoposti a limiti in quanto alla conservazione, alla
circolazione e all’utilizzazione.
A ben vedere la stessa Costituzione, all’art.42, prevede la possibilità di sottoporre la proprietà privata a
<<limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti>>.

CAPITOLO 14

2-La UE è, come sappiamo, un’organizzazione internazionale costituita sulla base di trattati. La cessione di
sovranità nell’ordinamento comunitario avviene in applicazione del principio di sussidiarietà che
nell’ordinamento comunitario che nell’ordinamento ha un contenuto molto diverso da quello che abbiamo
visto introdotto in Italia con il nuovo art.118 Cost.: mentre da noi è un criterio di distribuzione delle funzioni
amministrative nell’ordinamento europeo esso riguardo la possibilità di curare determinati interessi o di
realizzare determinate politiche che possono essere efficacemente perseguiti solo a livello comunitario. Si
tratta di un sistema che ha finalità di salvaguardare nella massima misura possibile le competenze degli Stati
membri. La sussidiarietà UE si applica, nei rapporti tra istituzioni europee e sistemi amministrativi nazionali.

3-Le principali istituzioni della UE:


Il Consiglio è composto dai Ministri in rappresentanza dei singoli Stati , è a composizione variabile: a
seconda delle materie trattate siedono i ministri competenti. E il vero cuore decisionale della UE.
La Commissione non è l’esecutivo comunitario, ma il luogo dove le azioni e le politiche vengono precisate in
vista della proposta da avanzare al Consiglio. La principale differenza tra Commissione e Consiglio: la prima
è l’interprete degli interessi comunitari, al di là della posizione dei singoli Stati; il secondo è la sede della
dimensione intergovernativa, nella quale le decisioni sono il frutto di un contemperamento tra le esigenze e
gli interessi degli Stati membri.

4-Gli Stati cedono alla UE, per materie e politiche determinate, il potere di emanare norme. Gli Stati
accettano, già nei Trattati, che alcune disposizioni siano direttamente applicabili all’interno degli Stati: in
caso di contrasto tra una norma interna e una norma comunitaria; i giudici devono disapplicare nel caso
concreto la norma interna per dare applicazione diretta a quella comunitaria. L’applicazione diretta della
normativa europea è rafforzata dal principio organizzativo di base dell’amministrazione indiretta:
l’attuazione amministrativa del diritto comunitario non comporta la costituzione di un apposito apparato
organizzativo, ma l’attribuzione delle funzioni alle amministrazioni degli Stati nazionali. Per l’ordinamento
europeo l’organizzazione interna degli Stati membri è indifferente, fissa gli obiettivi dell’azione
amministrativa da svolgere, ma non interviene per attribuire poteri di attuazione a questo o a quel livello di
governo.
L’amministrazione indiretta è il modello considerato come il più coerente con la natura intergovernativa,
della UE.
5-E’ andata sempre crescendo un’amministrazione diretta. Ciò è dovuto alla necessità di svolgere
direttamente funzioni che non possono essere affidate agli Stati membri, quali: il supporto alle diverse
istituzioni UE; le funzioni che la Ue svolge nei confronti degli Stati e le funzioni amministrative dirette.

6-L’amministrazione integrata

6.1-Una terza tipologia di attuazione delle normative europee consiste nella creazione di forme di
collaborazione tra amministrazione europea e amministrazioni nazionali, riassunte nel principio
organizzativo della coamministrazione. I casi più rilevanti sono i fondi strutturali e di investimento europei.

6.2-L’integrazione decentrata è una particolare variante organizzativa del principio di integrazione, con la
quale amministrazioni nazionali e amministrazione europea cooperano strettamente all’interno di una serie
di strutture decentrate, localizzate nei diversi paesi.

7-Gli apparati centrali

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7.1-La Commissione è in primo luogo l’organo collegiale. In secondo luogo essa è il complesso degli uffici di
supporto alle attività dell’organo collegiale. Sia l’organo collegiale che gli uffici di supporto sono
caratterizzati da una forte impronta comunitaria, non intergovernativa: i funzionari vi operano al servizio
dell’Unione, non degli Stati di cui sono cittadini. Gli uffici interni della Commissione sono: il Segretariato
generale e le Direzioni generali.

7.2-Le agenzie esecutive sono organizzazioni istituite per svolgere determinati compiti relativi alla gestione
di uno o più programmi comunitari. Queste agenzie hanno una durata determinata e devono essere ubicate
nella sede della Commissione europea, da cui dipendono. Esse sono costituite per lo svolgimento di compiti
della Commissione attraverso strutture separate dalle direzioni generali.

7.3-I Comitati sono organi collegiali composti da funzionari, in rappresentanza degli Stati membri, ovvero
della Commissione e da soggetti terzi. In relazione alle istituzione servite si possono distinguere tre
tipologie: Comitati di supporto alla Commissione; Comitati di supporto alle decisioni del Consiglio; Comitati
con funzioni proprie, di tipo esecutivo.
Tre tipologie in relazione alle funzioni: consultivi (possono dare solo pareri); di gestione (possono bloccare le
decisioni della Commissione); di regolamentazione. I Comitati trovano supporto dagli uffici della
Commissione, anche quando lavorano al servizio del Consiglio.

8-Le agenzie europee sono apparati introdotti in modo specifico per l’integrazione decentrata. Un’agenzia
europea è un organismo di diritto pubblico europeo, distinto dalle istituzioni dell’UE e dotato di personalità
giuridica. È istituita con un atto di diritto derivato e svolge compiti molto specifici di natura tecnica,
scientifica o amministrativa. Con la loro creazione si è voluto dare una risposta al desiderio di decentrare
geograficamente gli organismi comunitari. Ognuna è unica nel suo genere e svolge un compito specifico
definito al momento della sua creazione. Tale funzione può subire variazioni nel corso degli anni, ma esiste
un nucleo di obiettivi generali comuni alle attività delle agenzie nel loro complesso: le agenzie si
introducono un elemento di decentramento nelle attività comunitarie; lo sviluppo di know-how scientifico o
tecnico in alcuni settori specifici; la mediazioni tra vari gruppi di interessi. Malgrado non esista un modello
generale, si segnalano alcuni tratti comuni in termini di struttura e di modalità operative: l’agenzia è punto
di riferimento di una o più reti di soggetti associati dislocati sul territorio dell’Unione europea; gli organi di
governo hanno una struttura simile: un consiglio di amministrazione; l’agenzia viene finanziata attingendo al
bilancio generale dell’UE; tutte le agenzie sono soggette al controllo esterno della Corte dei conti europea.
Le agenzie operano come istituzioni comunitarie, anche se nella loro organizzazione è molto forte la
componente intergovernativa.

9-Anche l’ordinamento europeo conosce lo sviluppo di autorità amministrative indipendenti, che si lega
strettamente con la forte funzione di regolazione assunta dall’UE, soprattutto in campo economico, della
tutela della concorrenza, del mercato unico. Sono esempi del c.d. concerto regolamentare europeo.

9.1-La BCE è un’autorità la cui indipendenza è garantita dallo Statuto. Per la politica monetaria della UE si è
creato un vero e proprio Sistema europeo di banche centrali composto dalle banche centrali dei 28 paesi e
dalla BCE. Il SEBC è concepito con l’idea che esso riguarderà tutti i 28 paesi. All’interno del SEBC opera
l’Eurosistema. L’obiettivo principale del SEBC è il mantenimento della stabilità dei prezzi e il sostegno di
politiche economiche generali nella Comunità al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi di un
elevato livello di occupazione e di una crescita sostenibile e non inflazionistica.

9.2-Il Mediatore europeo è un’istituzione indipendente di garanzia dei diritti dei cittadini europei nei loro
rapporti con le istituzioni comunitarie. Conduce indagini su casi di cattiva amministrazione nell’azione delle
istituzioni ed organi dell’UE, quando un’istituzione comunitaria non agisce nel rispetto della legge, non
rispetta i principi della buona amministrazione oppure viola i diritti umani. Il Mediatore normalmente
conduce le sue indagini sulla base di denunce, ma ha anche la possibilità di aprire indagini di propria
iniziativa ma non nei confronti di autorità nazionali.

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9.3-Il Garante europeo per la protezione dei dati è un’autorità indipendente posta al vertice di una rete di
autorità indipendenti nazionali in materia di riservatezza dei dati personali.

10-La leale collaborazione tra livelli di governo

10.1-PLURALISMO AMMINISTRATIVO E LEALE COLLABORAZIONE. L’entrata in vigore del nuovo Titolo V


dovrebbe comportare un cambio radicale del nostro sistema di raccordi intergovernativi: dalla
partecipazione all’esercizio di poteri riservati al centro, alla leale collaborazione.

10.2-Nel nuovo testo costituzionale prevalgono gli aspetti tecnici, di garanzia, rispetto a quelli dinamici. Il
principio di leale collaborazione non è disciplinato nel nostro ordinamento in modo organico. Vi è un solo
riferimento alla leale collaborazione nell’art.120. il riferimento dell’art.120 è specifico e non estendibile,
anche perché sembra ipotizzare un dovere di leale collaborazione come mero limite, in funzione di garanzia,
all’esercizio di un potere unilaterale dello Stato.
Il principio di leale collaborazione può essere articolato in ulteriori principi applicativi, come dimostrano le
costituzioni di altri paesi. Il principio viene completato da altri: il principio del reciproco rispetto e della
mutua assistenza e informazione; il principio della ricerca preventiva della risoluzione di potenziali conflitti;
il principio della ricerca dell’accordo; il principio della disciplina preventiva; il principio della partecipazione
attiva dei soggetti dotati di autonomia nelle procedure di coordinamento verticale e nei processi decisionali
dei livelli superiori.

11-Strumenti di raccordo

11.1-Gli strumenti di governance, che facilitano il raccordo tra diversi livelli di governo, possono essere di
tipo organizzativo; ovvero di tipo procedurale, con la previsione di particolari procedure o atti con i quali le
amministrazioni provvedono al raccordo.

11.2-Il raccordo della UE con tutti i livelli di governo avviene soprattutto attraverso le rappresentanze
nazionali.
L’UE, dal canto suo, pur restando fedele al principio dell’interlocuzione diretta con i soli Stati membri, è
consapevole della necessità di avere un raccordo anche con le istituzioni regionali e locali. A tal fine ha
costituito il Comitato delle Regioni, che ha compiti solo consultivi. Oggi ha anche il potere di sollevare di
fronte alla Corte di giustizia casi di norme comunitarie che violino il principio di sussidiarietà UE.

11.3-RACCORDI TRA STATO E AUTONOMIE TERRITORIALI IN ITALIA. I raccordi sulla ripartizione delle
competenze e sui criteri di ripartizione delle risorse e raccordi in funzione di partecipazione ai procedimenti
legislativi dello Stato.
Non esiste uno strumento generale di prevenzione dei conflitti di competenza. È prevista solo la
Commissione parlamentare per le questioni regionali integrata da rappresentanti delle Regioni e degli enti
locali.
I raccordi sull’esercizio delle funzioni distribuite tra i livelli di governo.
Se si passa dai raccordi sulla ripartizione dei poteri a quelli sul coordinamento degli interessi, in sede di
esercizio delle funzioni amministrative, questi raccordi si possono distinguere in rapporto a diverse
categorie di oggetti.
A)RACCORDI RELATIVI ALL’ESERCIZIO DI POTERI ATTINENTI INTERESSI UNITARINelle materie di
competenza legislativa esclusiva dello Stato le amministrazioni centrali hanno competenza anche per
l’attuazione della legge. Nel primo caso si pongono esigenze di raccordo in funzione di partecipazione degli
enti territoriali autonomi alle scelte statali che incidono direttamente o indirettamente sull’esercizio delle
loro funzioni. Nel secondo caso si parla di raccordi di coordinamento verticale, diversi dai precedenti: qui un
interesse unitario curato dallo Stato è nella realtà fattuale, connesso con interessi curati da altri livelli di
governo.

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B)RACCORDI DI COOPERAZIONEVi possono essere, interessi comuni a più livelli di governo, curabili solo
con la cooperazione.
IL SISTEMA DELLE CONFERENZE TRA STATO E AUTONOMIE TERRITORIALIIl principale strumento
organizzativo di raccordo, in assenza della Camera delle Regioni, è costituito dal sistema delle Conferenze.
Esso non è previsto dalla Costituzione, ma è disciplinato dal d.lgs. n.281, che ha cercato di razionalizzare la
creazione di: Conferenza Stato-Regioni; Conferenza Stato-Città e autonomie locali; Conferenza Unificata. In
tutti e tre i casi le Conferenze sono sedi di raccordo istituzionale composte da rappresentanti del Governo
centrale e da rappresentanti degli enti territoriali. Le Conferenze sono presiedute dal Presidente del
Consiglio dei Ministri o da un Ministro su sua delega.
In Conferenza si esprimono pareri sui più rilevanti disegni di legge del Governo; in Conferenza si
raggiungono intese o accordi dal più diverso contenuto. I pareri, che sono espressi dalla Conferenza nel suo
insieme non hanno mai un carattere vincolante sul Parlamento. Anche le intese e gli accordi hanno un
valore più politico che giuridico. Si tratta quasi sempre di impegni che vengono assunti dal Governo o dai
rappresentanti delle autonomie territoriali, che ciascuna amministrazione deve poi tradurre in distinti atti,
legislativi o amministrativi, senza che si possa parlare di effetto obbligatorio tra le parti. In generale lo scopo
di pareri, intese e accordi è di autorizzare, con le correzioni concordate, il Governo a realizzare gli interventi,
di legge o di atti amministrativi, portati all’attenzione delle Conferenze.
Si tratta non di organi collegiali, ma di mere sedi di raccordo, per il compimento di atti il cui valore è
soprattutto di tipo politico.

12-In molti paesi a forte decentramento di competenze amministrative esistono, in Costituzione, clausole,
generali che riconoscono allo Stato centrale un potere di indirizzo dell’azione degli enti territoriali autonomi.
In Italia era previsto <<l’interesse nazionale>>, quale limite all’autonomia legislativa delle regioni. Sempre
con legge lo Stato poteva autorizzare il governo nazionale ad adottare atti di indirizzo e coordinamento, che
avevano il potere di limitare non solo le amministrazioni regionali e locali, ma il legislatore regionale. Il
nuovo testo del Titolo V della Costituzione sopprime queste clausole generali, lasciando allo Stato solo
l’utilizzazione delle proprie competenze legislative esclusive o la determinazione dei principi fondamentali
nelle materie di competenza regionale concorrente. Un caso significativo di forzatura è costituito dalla c.d.
chiamata/attrazione in sussidiarietà. Con essa non si realizza una permanente modifica del riparto di
competenze, ma “deroghe” ad esso, che permettono allo Stato non solo di spostare a livello statale, ma di
disciplinarle con propria legge, sia nelle materie di legislazione concorrente, che in quelle di legislazione
regionale residuale.

13-Coerente con la garanzia di competenze legislative e amministrative è apparsa l’abrogazione delle norme
costituzionali, che prevedevano controlli esterni, sulle leggi regionali e sugli atti amministrativi di Regioni,
Province e Comuni. Il controllo non è più, uno strumento che consente allo Stato di indirizzare l’azione del
sistema delle autonomie.

14-L’unica applicazione italiano del principio di leale collaborazione si ha nell’art.120 che prevede il potere
dello Stato di sostituirsi a Regioni ed enti locali <<nel caso di mancato rispetto di norme e trattati
internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza
pubblica. La sostituzione si realizza quando l’autorità superiore viene a sapere di casi gravi di inerzia o
violazione della legge. Si tratta di un potere statale straordinario.

15-Tanto nei rapporti tra amministrazione italiana e amministrazione europea, quanto nei rapporti interni al
sistema amministrativo italiano si deve constare che la tradizionale attenzione ai profili statici, di garanzia
dei poteri e delle competenze, è andata a scapito della ricerca di meccanismi che assicurino maggiore
flessibilità nel riparto di competenze, la necessaria prevalenza di interessi superiori, la necessaria
collaborazione alla realizzazione di interventi che, non sono più realizzabili da parte di un solo livello di
governo ma impongono la cooperazione di tutti.

CAPITOLO 15

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1-Il sistema amministrativo italiano è, da almeno un quinquennio, al centro di processi di riforma, che
vengono qualificate come “strutturali” soprattutto in ambito europeo. Sono strutturali le riforme che mirano
a rimuovere ritardi e storture che impediscono lo sviluppo economico.

2-Nel sistema europeo, il modello istituzionale ha sempre escluso che l’Unione potesse intromettersi nella
definizione dell’assetto dei poteri interno ai singoli stati. L’Unione, naturalmente, può avere interesse a
conoscere come sono organizzati i poteri interni destinato ad attuare le politiche europee.

3-Questa politica di “austerità”, oggetto di crescenti contestazioni perché accusata di essere depressiva
proprio nelle fasi di recessione, è applicata a tutti gli Stati membri, anche a quelli che hanno aderito più di
recente all’Unione, ma è applicata con particolare rigore agli Stati dell’Eurozona.
La difficoltà di compiere questo passo decisivo del processo di unificazione, che comporterebbe anche
l’attribuzione all’Unione delle politiche di perequazione e di solidarietà verso le parti dell’Europa a minore
tasso di sviluppo, ha spinto nella direzione del rafforzamento delle politiche di austerità, non più traducibili
in meri vincoli di bilancio, ma trasformate in vere e proprie “riforme strutturali” che gli Stati devono porre in
essere, al fine di rimuovere ostacoli allo sviluppo.

4-Sul piano delle riforme sociali si segnalano quelle che hanno avuto un impatto più significativo sui diritto
progressivamente acquisiti nel modello del welfare state. La riforma dei trattamenti pensionistici,
consistente in un progressivo innalzamento dell’età pensionabile e nelle trasformazione del sistema di
calcolo da retributivo a contributivo. In secondo luogo le riforme del mercato del lavoro, volte alla riduzione
della protezione del lavoratore.
Sul piano delle riforme economiche sono proseguite, con maggiore intensità, politiche di liberalizzazione e
di privatizzazione, sia sostanziali che formali. Tali politiche hanno evidenti ricadute sul sistema
amministrativo, perché nel caso delle privatizzazioni sostanziali la riduzione delle funzioni pubbliche
dovrebbe comportare una riduzione degli apparati amministrativi e nel caso delle privatizzazioni solo
formali può produrre addirittura una moltiplicazione di soggetti.

6-Dati i caratteri del sistema amministrativo italiano, un ricorrente approccio riformatore adottato in epoca
repubblicana è stato quello di introdurre modificazioni al funzionamento del sistema, ma senza toccare i
suoi elementi strutturali di fondo. Riforme volte a modificare gli assetti organizzativi interni, sia sotto il
profilo del modello organizzativo, sia sotto il profilo della gestione del personale.

6.1-Le riforme “Brunetta” puntano in particolare sull’attivazione più incisiva di strumenti di misurazione e
valutazione della performance. La valutazione deve essere fatta in modo più indipendente, non può
premiare tutti i dipendenti. Accanto alla performance c’è un primo tentativo di rafforzamento della
responsabilità disciplinare e la progressiva affermazione della trasparenza sull’organizzazione come
strumento di controllo diffuso.

6.2-Le politiche restrittive della spesa pubblica hanno invece prodotto da un lato il blocco per diversi anni
della contrattazione collettiva e, dall’altro, il blocco del turn over nelle politiche di reclutamento, il che ha
prodotto un impoverimento retributivo del pubblico dipendente e un mancato ricambio generazionale.

6.3-Molte politiche di riforma hanno puntato sulla informatizzazione delle attività amministrative.

6.4-La qualità delle misure di prevenzione migliorerebbe se programmate e attuate da amministrazioni


meglio organizzate dalle attuali, ma una politica, per quanto rilevante, non poteva da sola comportare
anche la modifica dell’assetto strutturale del sistema.

6.5-Per spending review si comprendono tutte le azioni di riforma volte alla riduzione della spesa pubblica
realizzate non in via generale, ma mirata, proporzionata alla realtà delle singole amministrazioni.

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6.6-Le misure di semplificazione amministrativa più rilevanti sono quelle relative ai procedimenti
amministrativi. Ogni revisione dei procedimenti e dell’azione ha sicuramente un impatto organizzativo, per
lo più all’interno delle singole amministrazioni.

7-La prima riforma strutturale che incide sul sistema amministrativo tocca nel suo complesso il governo
locale, in due direzioni: la riduzione del numero/soppressione delle Province e la semplificazione del livello
comunale.

7.1-SOPPRESSIONE PROVINCE. Dapprima è intervenuta la legge finanziaria per il 2010 con la quale si
interviene solo sull’organizzazione dei Comuni, con riduzione del numero dei consiglieri e degli assessori
comunali. Nel 2011, poi, interviene il d.l.n.138, convertito in legge, che tocca tutti i livelli di amministrazione
territoriale. A livello provinciale ha previsto la soppressione delle Province al di sotto dei 300000 abitanti. A
livello comunale ha imposto la riaggregazione dei Comuni al di sotto dei 1000 abitanti che devono ricorrere
obbligatoriamente, per lo svolgimento di <<tutte le funzioni amministrative e tutti i servizi pubblici loro
spettanti sulla base della legislazione vigente>> alla figura dell’Unione di Comuni.
Con il d.l.n.95 del 2012, convertito in legge n.135 si assume per la prima volta, <<al fine di contribuire al
conseguimento degli obiettivi necessari al raggiungimento del pareggio di bilancio>>, la finalità della
drastica riduzione del numero delle Province. La lunga vicenda dovrebbe aver trovato una conclusione con
la legge n.56 del 2014 con la quale si cerca di disciplinare in modo coerente i tre contenuti fondamentali
delle riforme fino ad allora tentate.
La legge n.56 è stata dichiarata conforme a Costituzione con la sentenza n.50 del 2015, invero contestata
per la povertà delle argomentazioni. La legge trasforma, provvisoriamente, le Province in enti di secondo
grado.
In conclusione una riforma accettabile se si fosse limitata all’obiettivo di ridurre il numero delle Province,
rischia di risolversi dapprima nella creazione di enti associativi in controllo comunale e, alla fine del
processo, nella totale soppressione dell’unico livello di governo che, eliminati gli eccessi, ha una dimensione
territoriale media sicuramente adatta allo svolgimento delle funzioni di area vasta. Una volta soppresso il
riconoscimento in Costituzione, l’istituzione di enti intermedi per lo svolgimento delle funzioni di area vasta
sarà rimesso alla volontà delle singole Regioni. I risparmi di spesa realizzati con la soppressione delle
Province sono stati minimi.

7.2-In tutto il mondo la crescita di vaste conurbazioni ha dato luogo al fenomeno delle “aree
metropolitane”.
L’Italia ha intrapreso la via dell’istituzione di speciali enti metropolitani, le Città metropolitane, ma da allora
nulla è stato realizzato, a causa delle forti resistenze opposte al sistema dei comuni delle aree e della
Regione. Si è sostituito 10 aree metropolitane nelle regioni ordinarie, la soppressa Provincia con la Città
metropolitana, ente anch’esso associativo in controllo comunale presieduto dal Sindaco del Comune
capoluogo. La nuova città metropolitana si limita a esercitare le funzioni della soppressa Provincia.

7.3-Più complicata la riforma del livello base del governo locale, i Comuni.
La sola erogazione dei servizi fondamentali resi ai cittadini, non corrisponde più ad una micro dimensione
comunale, ma richiede lo spostamento delle decisioni ad una dimensione più ampia. Il problema non sta,
quindi, nella riduzione del numero dei Comuni, ma nel raggiungimento di soglie dimensionali che
garantiscano adeguata capacità di governo democratico, pensa il decadimento progressivo dell’autonomia
locale. Questo obiettivo, è attribuito ai livelli di governo locale, a partire proprio dai Comuni, la maggior
parte delle funzioni pubbliche di cura di interessi pubblici in risposta ai bisogni essenziali dei cittadini, è
perseguito in due modi: da un lato la fusione di comuni esistenti; dall’altro con le associazioni tra comuni,
più o meno obbligatorie, più o meno strutturate. La prima strada è stata seguita da molti paesi a governo
locale forte.
La seconda è stata seguita da paesi che hanno mantenuto una mappa territoriale dei comuni molto
frammentata, ma hanno costituito associazioni intercomunali molto forti.
Nel sistema italiano la immobilità della dimensione comunale è aggravata da due fattori specifici: la fusione
di comuni è resa quasi impossibile dal procedimento previsto già in Costituzione; la competenza alla

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modificazione dei confini è attribuita alle Regioni, che negli ultimi 40 anni non si sono affatto occupate del
problema.

7.4-Si discute in Italia, ma ad un livello del tutto embrionale, sull’opportunità di ridurre anche il numero
delle Regioni. Al di là delle difficoltà procedimentali, la ricerca di una nuova mappa territoriale delle Regioni
è fortemente influenzata dall’assetto dei poteri locali sottostanti.

7.5-Ai diversi livelli di governo, ma soprattutto a livello regionale e locale, si conta un numero spropositato
di enti, pubblici o privati, in controllo pubblico e solo partecipati dalle amministrazioni pubbliche, che è
indizio di una serie di mali. In primo luogo lo spreco di risorse pubbliche. In secondo luogo esternalizzazioni
di funzioni e servizi non giustificate. La privatizzazione formale che si è realizzata, è servita soprattutto ad
aggirare regole pubblicistiche sulla contabilità, sulle nomine dei dirigenti e degli amministratori degli enti,
sul reclutamento del personale. In terzo luogo il mondo delle “partecipate” è molto frammentato. Non
sempre la costituzione di un soggetto esterno corrisponde alla necessità di organizzare in forma
esternalizzata una funzione o un servizio pubblico. Molto spesso, poi, i soggetti in tal modo costituiti
sfuggono, viste le dimensioni e il mercato in cui operano, ad ogni controllo da parte degli enti territoriali. Il
primo obiettivo delle legge n.124 è la riduzione della spesa pubblica, anche attraverso la soppressione e
l’accorpamento di enti inutili, la possibile “internalizzazione” di alcune attività impropriamente
esternalizzate, la revisione dei rapporti tra enti controllante e società controllata.

7.6-A questa estrema frammentazione si tenta di rispondere in due modi: da un lato imponendo alle
stazioni appaltanti di avvalersi di centrali unificate di committenza; dall’altro imponendo la riduzione delle
stazioni appaltanti. Nella direzione di una drastica riduzione delle stazioni appaltanti e di una vigilanza
dell’ANAC sulla qualità tecnica delle attività da queste svolte va la legge delega per il recepimento delle
direttive europee in materia di contratti pubblici.

CAPITOLO 16

1-Ora parliamo del passaggio dalla funzione all’azione, cioè delle regole che, una volta individuato l’ufficio
competente al compimento delle attività di esercizio della funzione, si occupano di circoscriverne i modi di
svolgimento. L’attività, noi la consideriamo nozione interna alla funzione, mentre qui si preferisce parlare di
azione, per sottolineare che le regole di cui ci andiamo ad occupare toccano l’aspetto dinamico dell’esercizio
della funzione.

2-Il diritto dell’azione delle amministrazioni pubbliche è in gran parte costituito da regole di diritto
amministrativo perché, nell’impostazione tradizionale, fondata sul conflitto autorità-libertà, prevalgono le
esigenze di garanzia di fronte all’esercizio del potere. Il primo compito delle regole di diritto pubblico è
quello di limitare il potere, riconoscendo al cittadino destinatario del potere adeguate forme di tutela. Uno
stesso interesse pubblico può essere perseguito con attività insieme unilaterali e consensuali.
Resta il fatto che la gran parte della disciplina sull’azione è influenzata dal modello dell’azione unilaterale e
autoritativa, quella che consiste nell’esercizio di un potere che, nell’individuazione e cura dell’interessa
pubblico, prevale sugli interessi privati con i quali si confronta. Così si spiega l’attenzione all’atto, soprattutto
all’atto con rilevanza esterna, quello che produce effetti giuridici, anche negativi per il destinatario, dal quale
ci si può difendere. Secondo questa impostazione è necessario individuare, nel complesso di atti adottati
dall’amministrazione, uno specifico atto, un provvedimento, come momento tipico dell’emersione del
potere e dell’esplicazione dei suoi effetti. L’individuazione dell’atto è utile per consentire all’interessato di
chiedere giustizia, questa consiste, in gran parte, nell’annullamento dell’atto, qualora esso sia illegittimo.
Sono giuridicamente rilevanti anche atti che non producono direttamente effetti esterni. Gli atti con i quali
sono predeterminate le competenze degli uffici hanno una sicura rilevanza sulla legittimazione dell’ufficio al
compimento di atti di esercizio della funzione e quindi hanno effetti sulla qualità dell’atto a rilevanza esterna
che incide sulle situazioni giuridiche dei destinatari.

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3-Il provvedimento è l’atto che viene adottato dal competente organo dell’amministrazione e destinato a
produrre effetti sui cittadini interessati. È intorno al provvedimento che sono stati individuati alcuni caratteri
generali.
Il primo e più generale carattere che è stato attribuito all’atto amministrativo che incide sulle situazioni
giuridiche dei destinatari è quello dell’autoritatività o autoritarietà. Viene usato come sinonimo il termine
imperatività. In entrambi i casi siamo di fronte ad un atto che l’amministrazione adotta nella cura di un
interesse che è individuato come pubblico nel caso concreto, diverso da quello dei privati coinvolti.
L’individuazione dell’interesse pubblico è compito dell’amministrazione, cioè dell’ufficio cui sono state
affidate le attribuzioni di esercizio della funzione; la decisione, la conformazione concreta del contenuto
dell’atto, spetta all’amministrazione che, decide prescindendo dal consenso dei destinatari. L’atto
autoritativo è anche unilaterale.
La coincidenza tra autoritatività/imperatività e unilateralità sarebbe un carattere necessario, permanente,
dell’azione di cura dell’interesse pubblico. L’amministrazione, anche quando si confronta con gli interessi in
gioco, è sola, perché a lei spetta la decisione finale.
Per gli <<atti di natura autoritativa>> vige una riserva di disciplina pubblicistica, mentre per gli altri la
normalità dovrebbe essere il ricorso al diritto privato. Diviene pertanto centrale la delimitazione della
nozione di atto autoritativo, che finisce per coincidere con quella di atto a disciplina necessariamente
pubblica. Per le attività regolative, la disciplina pubblicistica è sicuramente implicata dal contenuto: solo atti
adottati ed emanati secondo regole di diritto pubblico possono acquistare efficacia normativa generale. Per
le attività costitutive di effetti giuridici le attività con effetti restrittivi sono da considerarsi sicuramente
autoritative, quelle con effetti ampliativi non sembrano implicare sempre l’autoritatività/unilateralità. Per gli
ampliativi si pone un ulteriore problema: se si debba considerare decisione unilaterale anche quella che
presuppone una richiesta dell’interessato. Problema che può essere risolto nel senso di considerare
unilaterale/autoritativa ogni decisione che comporta una scelta. Per le attività di mera prestazione, poi, la
normalità non può che essere il diritto privato, dal momento che la configurazione di questa attività come
prestazioni amministrative unilaterali è da ritenersi recessiva.
Sono una manifestazione ulteriore, altri caratteri dell’atto amministrativo, quali l’esecutività: il
provvedimento, una volta divenuto efficace è anche esecutivo, cioè produce effetti, senza la necessità
dell’intervento del giudice. L’esecutorietà: il provvedimento esecutivo è anche esecutorio, cioè produce
effetti anche contro la volontà del destinatario e, ove necessario, con l’uso della forza. In entrambe le
circostanze si usa dire che l’amministrazione può agire in autotutela, cioè è in grado di curare l’attuazione
dei propri provvedimenti da sola, in quanto potere esecutivo, senza l’intervento del giudice. <<Nei casi e
con le modalità stabiliti dalla legge, le pubbliche amministrazioni possono imporre coattivamente
l’adempimento degli obblighi nei loro confronti. Qualora l’interessato non ottemperi, le pubbliche
amministrazioni, possono provvedere all’esecuzione coattiva nelle ipotesi e secondo le modalità previste
dalla legge>>.
Per gli atti amministrativi l’atto deve essere impugnato entro termini brevissimi a pena di decadenza.
Trascorso il termine senza che sia stato presentato un ricorso, l’atto diventa inattaccabile.
Si discute se anche la revocabilità si un carattere tipico dell’atto amministrativo. L’adozione di un
provvedimento costituisce l’emersione concreta della funzione, ma non la esaurisce, almeno fino a che la
funzione è attribuita. Il vero carattere della funzione è la reiterabilità del suo concreto esercizio, che
consente all’amministrazione di adottare nuovi provvedimenti in caso di nuove fattispecie, ma anche di
rivedere proprie decisioni già assunte, sempre che ciò sia nell’interesse generale.

4-PRINCIPI AZIONE AMMINISTRATIVA

4.1-A garanzia dei soggetti destinatari del provvedimento il primo principio da ricordare è quello della
proporzionalità , fatto proprio del legislatore, che vuole che l’amministrazione adotti atti che comprimano i
diritti e gli interessi dei destinatari nella misura minore possibile, tenendo conto dell’interesse pubblico da
curare. Si tratta di un principio, di origine tedesca, fatto proprio dall’ordinamento comunitario, che lo
applica tanto agli atti normativi quanto agli atti amministrativi, introducendo la tecnica detta dei “tre
gradini” che impone la verifica dell’idoneità, della necessarietà, dell’adeguatezza.

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4.2-Tra i principi sull’azione amministrativa a garanzia dei cittadini, va richiamato il principio di giustiziabilità
o di azionabilità. Vi è la piena sottoposizione di tutti gli atti delle amministrazioni pubbliche al sindacato del
giudice, nessun atto può essere sottratto ad una verifica imparziale e indipendente sull’effettiva legittimità.
Fino all’istituzione dei Tar in Italia, l’atto amministrativo non era direttamente impugnabile davanti al giudice
se prima non fosse stato oggetto di un ricorso amministrativo. L’atto diventava definitivo, solo con la
pronuncia dell’amministrazione sul ricorso.
Una seconda limitazione è consistita nell’esclusione del sindacato giurisdizionale su atti a lungo considerati
diversi dagli atti amministrativi: gli atti politici e gli atti di alta amministrazione. Tra i primi sicuramente la
legge o altri atti di grande indirizzo liberi nel fine quali le elezioni, i referendum. Tra i secondi atti propri degli
organi di indirizzo politico, quali le direttive emanate per guidare l’azione dell’amministrazione, le nomine,
fiduciarie e non. Oggi residua solo quella relativa agli atti politici in senso stretto, mentre non si applica agli
atti di alta amministrazione, che sono sempre atti amministrativi e quindi subordinati alla legge. Vi sono casi
di sicura impugnabilità: si pensi ad una nomina, anche fiduciaria, che contravviene a principi generali, quali
l’accertamento di requisiti professionali minimi.

4.3-In applicazione del principio di legalità è stato affermato il principio di tipicità. A fini di tutela la legge
non solo predetermina la funzione e le relative attività di esercizio, ma anche il contenuto tipico del
provvedimento con il quale si esercita in concreto la funzione. Trova la sua applicazione per gli atti che
abbiamo definito come autoritativi/ imperativi/ unilaterali, con particolare riguardo agli atti che curano
l’interesse pubblico incidendo in senso sfavorevole sulle situazioni giuridiche del destinatario. Il cittadino
deve conoscere, anticipatamente, non solo che una determinata amministrazione è titolare di una funzione,
ma anche che l’amministrazione dovrà agire, seguendo un procedimento prefissato. La tipicità vuole che
l’amministrazione segua regole e adotti provvedimenti dal contenuto in buona parta, ma mai totalmente,
predeterminato. Spetta all’amministrazione definire, nell’azione, il contenuto concreto dell’atto, adattato al
caso di cui si occupa. In molti casi la legge, nel predeterminare la funzione, lascia all’amministrazione ampi
margini di discrezionalità cioè di determinazione del contenuto concreto dell’atto al momento dell’azione.
Tipicità non vuole dire azione vincolata.

4.3.1-Un’eccezione al principio di tipicità sono le previsioni di legge che attribuiscono alle amministrazioni il
potere di adottare atti di cui si limitano a prevedere la possibile adozione. È il caso delle ordinanze
contingibili e urgenti di competenza di alcune amministrazioni.
LE ORDINANZE DI NECESSITA’ E DI URGENZA I casi più rilevanti sono quelli previsti dal T.U. pubblica
sicurezza e dal TUE. Le ordinanze sono provvedimenti puntuali che dispongono in via d’urgenza. Le
ordinanze, però, possono anche contenere regole. Il potere di adottare ordinanze di urgenza può essere
conferito anche caso per caso, con decreti legge che lo prevedano. In entrambi i casi la legge, ha già dato
copertura formale a questi poteri atipici.
LA REGOLAZIONE DELL’EMERGENZA: LA LEGGE N.225 DEL 92 IN MATERIA DI PROTEZIONE CIVILELa legge
n.225 del 1992 è intervenuta per dare una disciplina organica agli interventi di protezione civile. Nella
nozione di <<protezione civile>> sono compresi interventi di previsione, di prevenzione, di soccorso, di
superamento dell’emergenza, ma non gli interventi di ricostruzione e in generale gli interventi di ordinaria
gestioni di funzioni o servizi pubblici.
La prima conseguenza dell’emergenza è la modificazione della distribuzione delle funzioni tra i diversi livelli
di governo. La chiave per l’attivazione degli interventi straordinari è la deliberazione dello stato di
emergenza da Parte del Consiglio dei Ministri. La seconda e più significativa conseguenza è la possibilità per
i Commissari delegati dal governo di adottare ordinanze <<in deroga ad ogni disposizione di legge>>, che
costituisce, un potere ben più ampio della mera atipicità degli atti adottai. Si consideri che il ricorso alla
dichiarazione dello stato di emergenza è stato massiccio. Si perviene così ad un’emergenza stabilizzata, che
alimenta se stessa, sostituendo in via permanente l’amministrazione ordinaria, che finisce per esserne
distrutta. Il rientro dall’amministrazione straordinaria a quella ordinaria viene res impossibile dal continuo
rinnovo di provvedimenti emergenziali e dall’oggettiva difficoltà di rimuovere i corposi apparati
amministrativi costituiti intorno ai Commissari e gli interessi da essi direttamente curati.
L’AMMISSIBILITA’ COSTITUZIONALE DELLE ORDINANZA DI NECESSITA’ E URGENZA COME DISCIPLINATE
DALLA LEGGE SULLA PROTEZIONE CIVILE L’ampia deroga a disposizioni di legge, il ricorso massiccio allo

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stato di emergenza, la durata spesso indeterminata dei poteri commissariali, pone seri problemi di
legittimità costituzionale sui quali si confrontano le posizioni di chi ritiene illegittima la stessa legge n.225, di
chi ritiene che l’illegittimità possa riguardare le ordinanze. Per limitare le più gravi conseguenze segnalate,
un intervento normativo sulla legge della protezione civile ha escluso i “grandi eventi” da questi interventi
straordinari e ha circoscritto la durata massima dell’esercizio di poteri di intervento e di regolazione in
deroga.

CAPITOLO 17

1-Molto spesso dal momento che il provvedimento è l’atto conclusivo del procedimento la classificazione
dei procedimenti finisce per essere fatta sempre in rapporto al contenuto, ma soprattutto agli effetti
prodotti dal provvedimento finale. Ci occupiamo ora della classificazione e descrizione dei provvedimenti in
rapporto ai loro effetti.
Da non trascurare, la classificazione degli atti in rapporto alla loro forma, in particolare alla denominazione
attribuita. Questa dipende in gran parte dai caratteri dell’organo che ha adottato l’atto e della procedura
seguita per l’adozione. Si distinguono così, tra gli atti degli organi collegiali, la deliberazione o l’ordine del
giorno; tra gli atti degli organi monocratici la decisione, il decreto, l’ordinanza; tra gli atti destinati alla
conoscenza del contenuto dell’atto da parte dei diretti interessati o in generale della cittadinanza, da un lato
la notifica, la comunicazione e dall’altro l’avviso.

2-Se per atti finali si devono intendere i provvedimenti con i quali si esercitano concretamente le funzioni,
cioè si curano gli interessi pubblici, sono da considerarsi atti strumentali o interni tutti gli atti che
consentono all’organo competente di svolgere pienamente i suoi compiti. Tra gli atti strumentali rientrano
sia gli atti direttamente strumentali alla decisione o che ne integrano l’efficacia, sia gli atti che più in
generale consentono all’amministrazione di funzionare. Quanto ai secondi va richiamata l’attenzione
soprattutto sui provvedimenti organizzativi, cioè su quelle decisioni con le quali si compiono scelte
organizzative destinate alla funzionalità complessiva di un ente pubblico. Si tratta di veri provvedimenti
amministrativi, che dobbiamo tenere distinti dai provvedimenti finali, perché non costituiscono esercizio
delle funzioni finali.

3-Se passiamo ai provvedimenti finali di cura di interessi pubblici si distinguono i provvedimenti costitutivi
che incidono, trasformandole, su situazioni giuridiche soggettive e provvedimenti dichiarativi che mirano a
dare certezze su fatti giuridicamente rilevanti. Vanno considerati i provvedimenti che hanno di per sé effetti
dichiarativi, perché atti di esercizio di una funzione dichiarativa, si distinguono così: provvedimenti e atti di
scienza, con i quali l’amministrazione, in applicazione di valutazioni scientifiche e tecniche, procede
all’accertamento di una determinata situazione reale; provvedimenti e atti di conoscenza, con i quali
l’amministrazione, con riferimento a documenti in suo possesso dà, con l’atto, certezza legale su fatti e
situazioni già accertate. Esempi sono le certificazioni. Si impone alle amministrazione di accettare sempre
queste dichiarazioni, salvi i casi in cui è la legge a richiedere espressamente una certificazione.

4-PROVVEDIMENTI COSTITUTIVI

4.1-PROVVEDIMENTI AMPLIATIVI

4.1.1-LE AUTORIZZAZIONI. Un soggetto interessato richiede ad un’amministrazione un provvedimento con il


quale è autorizzato a svolgere una determinata attività. Secondo la classica definizione della dottrina dei
primi del Novecento, con l’autorizzazione l’amministrazione rimuove un limite posto ad un diritto già nella
disponibilità del soggetto.
Lo schema tipico dell’autorizzazione nel quale l’amministrazione si limita a verificare il diritto dell’interessato
a svolgere l’attività è contraddetto da molte ipotesi nelle quali la disciplina normativa attribuisce
all’autorizzazione un ruolo non più abilitativo, ma conformativo de diritto di svolgere l’attività. Un effetto
diverso, ma simile, lo si trova nelle autorizzazioni generali di attività prima sottoposte a concessione.

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L’attività è autorizzata in via generale, non sono necessari atti di puntuale autorizzazione, ma i
comportamenti da tenere, cioè i modi di svolgimento dell’attività, sono limitati dall’autorizzazione.
L’autorizzazione può costituire, quindi, uno strumento di liberalizzazione di attività, ma può essere oggetto
di processi di semplificazione/liberalizzazione.

4.1.2-LE CONCESSIONI. Le concessioni attribuiscono al destinatario del provvedimento diritti nuovi, che in
molti casi sono nella sfera dell’amministrazione; si è anche descritta la concessione come un trasferimento
di diritti o di potestà pubbliche al privato destinatario del provvedimento.
La forma più tradizionale è la concessione di beni pubblici. Finchè il bene è pubblico ed è indisponibile,
come nel caso dei beni demaniali e del patrimonio indisponibile, la concessione è lo strumento utilizzato
per riconoscere diritti di uso dei beni compatibili con il mantenimento della proprietà pubblica e con la
destinazione del bene ad uso collettivo. La concessione, oltre alla valorizzazione del bene, consente di
perseguire ulteriori finalità, quali: conseguire ricavi finanziari. La concessione è stata poi lo strumento
principe per l’erogazione di denaro pubblico.
Per quanto attiene ai provvedimenti di concessione di benefici economici, sia a fini sociali che commerciali,
va sin d’ora anticipato che la legge sul procedimento prevede in ogni caso, al riguardo, la regola della
doverosa previa predeterminazione dei criteri sulla base dei quali dette “sovvenzioni” saranno erogate.
Questi provvedimenti, ed i loro criteri, sono doverosamente pubblicati nei siti, prestando attenzione a non
diffondere informazioni relative a situazioni di disagio in caso di interventi di tipo “sociale”.
Sono da considerarsi come concessioni anche quelle a contenuto non patrimoniale, quali il conferimento di
status a soggetti che non ne dispongono.
È stata data la denominazione di concessioni anche ad atti che non ne hanno ormai più il contenuto. Ad
esempio le concessioni di servizio pubblico. L’oggetto del provvedimento è sicuramento costitutivo di un
diritto a svolgere attività che il soggetto privato destinatario non aveva. Ma la disciplina dei servizi pubblici
va ormai nella direzione di prevedere come necessario l’affidamento del servizio ad un’impresa. In questo
caso l’amministrazione non trasferisce un suo diritto, ma si limita ad individuare, il soggetto più idoneo allo
svolgimento del servizio. Il termine che più si adatta al provvedimento è quindi affidamento del servizio.
Un altro caso di superamento della denominazione è costituito dalla concessione di lavori pubblici.
Per quanto riguarda il rapporto tra autorizzazione e concessione come strumenti di regolazione di attività
economiche, la tendenza che deriva dall’ordinamento comunitario è nel senso della trasformazione di
regolazioni forti realizzate attraverso la concessione, in regolazioni più “deboli”, contenute in atti normativi a
monte e in atti autorizzativi, che si limitano a verificare l’esistenza di requisiti e presupposti per lo
svolgimento delle attività.
Per quanto riguarda il rapporto tra il provvedimento amministrativo di concessione e il contratto. Spesso la
concessione è accompagnata da un contratto, nel quale sono regolati i rapporti patrimoniali. In questi casi è
mantenuta la gran parte del potere autoritativo/unilaterale dell’amministrazione che con la concessione
individua e cura l’interesse pubblico, ma soprattutto conserva il potere di ritornare sulla propria decisione. Il
contratto è strumento integrativo della cura dell’interesse pubblico.

4.2-PROVVEDIMENTI RESTRITTIVI

4.2.1-PROVVEDIMENTI ABLATORI. I provvedimenti che esprimono in massimo grado


l’autoritatività/imperatività dell’atto amministrativo si distinguono in: ablazioni reali, ablazioni personali e
ablazioni obbligatorie. Nelle prime il provvedimento adottato dall’amministrazione estingue, in modo
permanente o temporaneo, il diritto di proprietà con automatico trasferimento dello stesso diritto in capo al
soggetto espropriante, ma con l’obbligo di dare adeguato ristoro al sacrificio subito. Nelle altre i diritti
individuali subiscono delle limitazioni, anche gravi, ma di norma temporanee.
Per questi provvedimenti sono applicati in misura rigorosa i principi di legalità-garanzia e di tipicità. Si può
far prevalere l’interesse pubblico fino al punto di limitare fortemente, il destinatario dei suoi diritti, solo se
la legge ha chiaramente attribuito questi poteri e solo se li ha resi tipici, cioè esercitabili nelle forma e con il
procedimento che la stessa legge ha stabilito. Secondo una raffigurazione di questi atti, il privato
proprietario di fronte all’esercizio del potere espropriativo “perderebbe” il suo diritto soggettivo, che
verrebbe “degradato” ad interesse legittimo. Il proprietario non potendo impedire l’esercizio di un potere

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effettivamente attribuito all’amministrazione dalla legge, avrebbe un mero interesse all’uso legittimo del
potere da parte dell’amministrazione. Il privato in realtà conserva un diritto alla conservazione del bene, che
si confronta con il legittimo esercizio del potere e si trasforma nel diritto all’indennizzo, tutelato in caso di
esercizio illegittimo del potere espropriativo.

4.2.2-PROVVEDIMENTI SANZIONATORI. Per la cura di interessi generali alle amministrazioni vengono


conferiti dalla legge poteri sanzionatori, con i quali si cura direttamente un interesse pubblico. Le sanzioni
amministrative hanno al fondo la stessa struttura e la stessa finalità delle sanzioni penali: indurre
comportamenti di rispetto delle regole stabilite dalla legge. La sanzione ha un valore preventivo di
deterrenza e un valore successivo, di interdizione o ripristinatorio. Valgono i principi di tassatività e
irretroattività. I più classici esempi di sanzioni amministrative consistono, da un lato, nelle contravvenzioni e
dall’altro, nelle sanzioni disciplinari per i pubblici dipendenti.
Più che nella severità della sanzione, l’effetto dissuasivo si ottiene soprattutto con la continuità e con
l’efficacia nell’azione di individuazione dei comportamenti illeciti.
Quanto ai rapporti con il diritto penale, si ricordi che esistono sanzioni assimilabili a sanzioni amministrative,
ma che mantengono la natura di sanzioni penali: si veda il caso dell’interdizione dai pubblici uffici.

CAPITOLO 18

1-La natura discrezionale del potere amministrativo, che noi possiamo definire come il potere di scelta, nella
configurazione concreta dell’azione di cura dell’interesse pubblico, che la legge conferisce
all’amministrazione nell’esercizio delle proprie funzioni.
La legge, nel definire il contenuto delle funzioni, non è in grado di prefigurare pienamente tutte le diverse
situazioni di concreto svolgimento delle attività; essa ricorre spesso ad espressioni “aperte” a contenuti
diversi. L’impossibilità di una totale predeterminazione della futura azione può presentarsi anche per
decisioni relativamente semplici.
È necessari, quindi, un’opera di “completamento della legge”. Questo compito è affidato
all’amministrazione. Vi è una gamma di situazioni che va dalla piena predeterminazione della decisione ad
una situazione che appare simile all’agire libero del privato che opera in autonomia privata. Nel passaggio
dalla previsione di legge alla decisione amministrativa concreta, vi possono essere diversi momenti di
progressiva definizione dei contenuti della futura azione.

2-CONTENUTO POTERE DISCREZIONALE. Su un edificio di interesse artistico si stanno realizzando dei lavori;
il Comune, cui è attribuita la funzione dell’ordinato assetto urbanistico della città , messone a conoscenza,
ha competenza a intervenite. Il Comune ha la possibilità di scegliere tra più soluzioni, tutte consentite dalla
legge. La scelta, consiste nella valutazione contestuale e comparativa degli interessi in gioco, ai fini della
determinazione del contenuto dell’atto da adottare. Viene valutato l’interesse primario, quello curato in via
principale dall’amministrazione. Il Comune dovrà, poi, acquisire gli interessi secondari.
Da un lato la posizione di altre amministrazioni pubbliche eventualmente coinvolte. Il Comune dovrà poi
valutare la posizione dei privati coinvolti. Dalla comparazione, discrezionale, tra interesse primario e
interessi secondari deriva la scelta finale. L’interesse primario è l’interesse generale curata
dall’amministrazione.
INTERESSE PUBBLICO ASTRATTO E CONCRETOQuello che viene definito come interesse primario coincide
con l’interesse pubblico “astratto” predeterminato nella funzione. Esso costituisce un criterio di riferimento
dell’azione, ma non deve essere considerato come interesse preesistente all’azione. Solo con l’azione
amministrativa, solo con la scelta tra le varie soluzioni possibili, la finalità di pubblico interesse da
perseguire si confronta con tutti gli interessi in gioco e diventa interesse pubblico nel caso concreto. La
scelta è il risultato dell’esercizio di un potere discrezionale che consiste nella ponderazione comparativa di
questi interessi.
LE DIMENSIONE DELLA DISCREZIONALITA’Vi sono almeno 4 dimensioni, 4 contenuti della discrezionalità:
a. La discrezionalità nell’an; l’amministrazione si può trovare nella possibilità di scegliere se adottare
un provvedimento o ritenere non necessario intervenire.

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b. La discrezionalità nel quid; l’amministrazione si può trovare nella possibilità di stabilire cosa fare,
perché la legge le lascia questo margine decisionale.
c. La discrezionalità nel quando; l’amministrazione si può trovare nella possibilità di stabilire quando
adottare un provvedimento e quando questo provvedimento avrà efficacia.
d. La discrezionalità nel quomodo; l’amministrazione può stabilire in che modo con quali strumenti
operativi e con quali procedure esecutive si realizzerà la propria decisione.
È sufficiente che ve ne sia anche solo uno perché si possa parlare di potere discrezionale.
IL PROCEDIMENTO LOGICO. ACCERTAMENTO DEI PRESUPPOSTI E VALUTAZIONE DISCREZIONALEVisto che
si tratta di adottare una decisione fondata sulla valutazione dei fatti e degli interessi in gioco, il potere
discrezionale consiste in un preliminare accertamento dei presupposti di fatto. Accertati i fatti,
l’amministrazione procede alla valutazione degli interessi in gioco, alla individuazione delle soluzioni
alternative, alla decisione.

3-L’agire libero è proprio dell’autonomia privata. Il contenuto della propria scelta non è in alcun modo
predeterminato dalla legge. La legge, rispetto alla scelta autonoma del provato, può solo porre limiti esterni.
L’amministrazione, invece, opera nell’interesse generale e con poteri che sono attribuiti dalla legge in modo
prefissato: non tutte le scelte sono possibili, ma solo quelle compatibili con l’interesse pubblico
predeterminato nella funzione. La scelta spazia in un ambito non solo circoscritto esternamente, ma anche
internamente, da norme che indirizzano la scelta dell’amministrazione, che non è libera, ma è finalizzata.
L’agire discrezionale non è mai libero.
La specificità dell’azione dell’amministrazione sta nell’esercizio della discrezionalità. Oggi la Costituzione
repubblicana, impone il principio della piena sindacabilità delle decisioni delle amministrazioni pubbliche.
La discrezionalità è sempre al servizio della funzione, del raggiungimento della finalità predeterminata dalla
legge.

4-Ad una situazione di discrezionalità massima si contrappone la situazione limite del potere vincolato, che
si verifica quando la legge predetermina nel dettaglio non solo le attività della funzione in astratto, ma la
stessa azione da compiere, l’atto da adottare. Si ricordi sempre che è sufficiente che uno solo dei contenuti
della decisione sia lasciato alla discrezionalità dell’amministrazione, perché non si possa più parlare di
potere vincolato, ma discrezionale. Sempre più frequentemente l’ordinamento giuridico ipotizza l’esistenza
di un potere vincolato e ne fa discendere delle conseguenza giuridiche. I casi di potere totalmente vincolato
sono rarissimi: una legge che tende a vincolare l’amministrazione è una legge rigida e spesso non utile alla
cura dell’interesse pubblico.
Secondo un’autorevole, ma minoritaria, corrente di pensiero, la distinzione tra potere discrezionale e
vincolato inciderebbe sulla natura delle situazioni giuridiche soggettive che si confrontano con il potere
dell’amministrazione: quando il potere è vincolato, si è affermato, la posizione degli interessati non sarebbe
più di interesse legittimo, ma di diritto soggettivo. La posizione qui riportata, nasce dalla ricordata radicata
sfiducia nell’indipendenza del giudice amministrativo.

5-Vi è una discrezionalità dell’amministrazione che misura il grado di scelta che ad essa è lasciato dalle
disposizioni di legge.
Il riconoscimento del potere discrezionale non riguarda solo l’amministrazione nel suo complesso ma anche
l’organo dell’amministrazione competente all’adozione di atti che sono imputati all’amministrazione. Se la
legge stabilisce una finalità generale e affida la relativa funzione ad un Comune, il Consiglio comunale può
adottare un regolamento con il quale precisa le finalità della legge; la Giunta adotta un regolamento
sull’organizzazione degli uffici che distribuisce tra essi la competenza. In esito a queste scelte organizzative,
l’organo competente alla decisione avrà un potere di scelta tanto maggiore quanto “larghi” siano rimasti la
legge e gli atti di indirizzo nella predeterminazione dei contenuti. All’interno dell’amministrazione la
discrezionalità consiste nel potere di scelta che residua in capo all’organo amministrativo.
Gli atti di indirizzo riducono, ma non possono annullare la discrezionalità di chi deve decidere. È il
provvedimento l’atto a rilevanza esterna dell’amministrazione, l’atto che produce gli effetti, l’atto
impugnabile, quello di cui si deve valutare la discrezionalità, è all’organo che il potere discrezionale deve

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essere riferito. Il giudice, chiamato a valutare la legittimità del provvedimento considererà la discrezionalità
che la legge ha riconosciuto al soggetto che ha assunto la decisione.

6-Poiché le attività di esercizio della funzione, possono essere tanto di diritto pubblico che di diritto privato,
se nell’esercizio delle proprie competenze l’organo ha discrezionalità, cioè ha il potere di scegliere sui modi
di cura dell’interesse pubblico, tra essi c’è anche la possibilità di curare l’interesse pubblico con strumenti di
diritto privato. Si tratta dei casi in cui l’amministrazione può adottare il contratto come strumento di cura
concreta dell’interesse pubblico. Nell’attuazione del contratto vi sono solo obblighi reciproci tra le parti,
l’amministrazione non potrà che adempiere agli obblighi assunti. Resta una discrezionalità a monte, che
consente all’organo amministrativo di decidere, nel caso specifico, se ricorrere o no al contratto e quali
contenuti dare ad esso. Vi è una fase resa necessaria dall’obbligo imposto dalla LPA di far precedere la
stipula da una determinazione a contrattare, di valutazione discrezionale dell’interesse pubblico.

7-In una prospettiva storica la discrezionalità nasce addirittura come “potere riservato”
dell’amministrazione. In un successivo passaggio, con l’affermarsi dello Stato costituzionale e di diritto, si
impone una versione diversa, ma sempre riservata, dalle discrezionalità; in applicazione del principio di
separazione dei poteri, il potere discrezionale comporta un’azione di individuazione dell’interesse pubblico
che è proprio dell’amministrazione, sotto l’indirizzo della legge. Il giudice interpreta e applica la legge;
l’amministrazione le da attuazione. Si tratta di due poteri separati. Il giudice non può sostituirsi
all’amministrazione nel suo compito specifico di valutare la situazione e di considerare gli interessi in gioco e
di decidere.
Ma già nel corso dell’800 la discrezionalità cessa di essere zona riservata. Si comincia a considerare come
vizio dell’atto l’eccesso di potere, cioè i casi in cui l’amministrazione, nell’uso dei suoi poteri discrezionali,
vada al di là di quanto stabilito dalla legge. Si è affermato così, il principio della sindacabilità dell’atto
amministrativo e tanto più dell’atto amministrativo discrezionale. La sottoposizione allo scrutinio di un
giudice di un atto dell’amministrazione, non è però esente da problemi, il primo dei quali è l’incertezza sui
limiti di questo scrutinio : fino a che punto il giudice possa spingersi senza invadere la sfera di attribuzioni
propria dell’amministrazione. L’ordinamento impone quindi la ricerca di un equilibrio tra le esigenze di cura
degli interessi pubblici e quelle di tutela dei cittadini.

8-Nel caso di un potere totalmente o largamente vincolato, l’accertamento della violazione della legge da
parte dell’amministrazione è relativamente agevole. Più complesso per il giudice sindacare l’azione
discrezionale dell’amministrazione. Il giudice amministrativo conosce della legittimità dell’atto, ma non del
merito della decisione, perché la valutazione dell’opportunità del provvedimento spetta
all’amministrazione.
Il giudice potrà verificare “esternamente” la discrezionalità, cioè il rispetto delle regole sul procedimento e il
processo logico seguito dall’amministrazione.
Il giudice, dall’esterno, valuta l’atto in rapporto alla legge, alle limitazioni che la legge pone. Anche quando
giudica un atto sproporzionato, lo annulla perché lo giudica illegittimo, non perché lo giudica inopportuno.
Un atto solo inopportuno non è necessariamente illegittimo.

9-Nel mondo contemporaneo è sempre più frequente che scelte dell’amministrazione, siano condizionate
dallo stato delle conoscenze tecniche e scientifiche relativamente ai fenomeni che si intende regolare. Lo
stesso progresso scientifico pone di fronte ai decisori nuove rappresentazioni della realtà, spesso in
contrasto tra loro.
Molto spesso sia il regolatore, sia l’organo di indirizzo, sia l’organo amministrativo competente all’azione nel
caso concreto, sono costretti ad orientarsi tra le diverse soluzioni tecnico-scientifiche a disposizione e a
sceglierne una. Si parla di una discrezionalità tecnica. Anche se la scelta della soluzione tecnica da adottare
sicuramente è in grado di condizionare il contenuto delle scelte sull’assetto degli interessi coinvolti, le
valutazioni tecniche di cui si avvalgono i decisori non riguardano direttamente il cuore della discrezionalità,
cioè il contenuto vero delle scelte, cioè la comparazione tra gli interessi coinvolti e la decisione sul loro
assetto. Più che di discrezionalità tecnica si deve parlare del contributo di valutazioni tecniche a decisioni
amministrative.

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VALUTAZIONI TECNICHE NELL’ACCERTAMENTO DEI FATTI E NELLA DECISIONEL’amministrazione compie o


si avvale di valutazioni tecniche nella fase dell’accertamento dei presupposti di fatto. In qualche caso la
valutazione tecnica è al cuore della stessa scelta discrezionale dell’amministrazione, la sostanza della
decisione è rinviata ad organi di natura tecnica.
LA SINDACABILITA’DELLA DISCREZIONALITA’ TECNICA DA PARTE DEL GIUDICE AMMINISTRATIVOLa
giurisprudenza costante del giudice amministrativo ha continuato a lungo a parlare di discrezionalità tecnica
come se si trattasse di cosa diversa, ma paragonabile alla discrezionalità amministrativa. È questa un’altra
conseguenza del principio della separazione dei poteri. Per il giudice amministrativo, si trova di fronte
un’amministrazione che già si è avvalsa, per la sua decisione, di valutazioni tecniche. Occuparsi di
valutazioni tecniche, rivederle con propri periti, significava, per il giudice amministrativo, trasformarsi in un
giudice ordinario costretto a valutazioni troppo complesse. In presenza di scelte tecniche opinabili il giudice
preferiva non intervenire, rimettendosi alla valutazione già compiuta dall’amministrazione.
Nella prospettiva di assicurare pienezza di tutela nel giudizio davanti al giudice amministrativo, l’art.16 ha
previsto che questo possa avvalersi di una consulenza tecnica d’ufficio stabilita dal giudice anche
indipendentemente da una richiesta delle parti. <<Qualora reputi necessario l’accertamento di fatti o
l’acquisizione di valutazioni che richiedono particolari competenza tecniche, il giudice può ordinare
l’esecuzione di una verificazione ovvero, se indispensabile, può disporre una consulenza tecnica>>.

CAPITOLO 19 (LA LEGGE N.241 DEL 1990)

1-DALL’ATTO AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO. Il procedimento amministrativo viene qualificato come


sequenza di atti, a diversa rilevanza giuridica, ma tutti concorrenti alla definizione del provvedimento finale.
Ha avuto esiti importanti sul piano conoscitivo, perché l’accurata analisi di tutte queste fasi e degli atti che in
essa si compiono ha reso più comprensibile il contributo da essi apportato alla conclusione del
procedimento. L’apporto di Sandulli ha riguardato i profili strutturali del procedimento. L’apporto di Giannini
ha riguardato i profili funzionali, soffermandosi per le diverse fasi, sulle finalità delle attività svolte. La fase
dell’avvio come funzionale alla costituzione del contraddittorio tra gli interessi in gioco in modo che essi
possano essere adeguatamente rappresentati. La fase dell’istruttoria come acquisizione degli interessi. La
fase decisoria come individuazione, sulla base della valutazione degli interessi in gioco. Nell’impostazione di
Sandulli già appare chiaro che non esiste solo l’atto finale, ma che questo deriva, quasi meccanicamente,
dagli atti compiuti in precedenza. L’esito sul piano della tutela è molto importante, perché contribuisce a
superare la tradizionale teoria dell’atto, secondo la quale per avere tutela il cittadino doveva aspettare che
l’amministrazione adottasse l’atto finale per poi impugnarlo, teoria che considerava tutti gli atti immediate
delle situazioni giuridiche del cittadino coinvolto.
Nell’impostazione di Giannini, il nesso che collega gli atti del procedimento e il provvedimento si fa ancora
più chiaro: se si evidenzia l’importanza delle diverse fasi, diventa fondamentale per il cittadino da un lato
sapere come l’amministrazione si stia orientando ancora prima di decidere, dall’altro far conoscere per
tempo all’amministrazione la propria posizione rispetto al provvedimento da prendere. La partecipazione al
procedimento costituisce una nuova e anticipata forma di tutela dei soggetti coinvolti.

2-PROCEDIMENTO COME FORMA DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA. Si scoprì che la legislazione dell’epoca era
molto frammentaria e diversificata. L’indifferenza al tema del procedimento portava con sé quella per i
tempi della decisione finale, quasi mai definiti preventivamente, attribuendo in tal modo un ingiustificato
privilegio all’amministrazione. La mancata conoscenza dei procedimenti aveva poi riflessi anche
sull’organizzazione amministrativa, perché questa si organizzava in rapporto ad esigenze diverse da quelle
del corretto e sollecito svolgimento del procedimento.
Dalla piena conoscenza del tema e dei modi diversificati di articolazione delle fasi dei procedimenti
scaturisce il problema della revisione delle regole sull’azione amministrativa, che non può limitarsi alla
disciplina del provvedimento, ma deve riguardare il procedimento. Questo diventa la forma dell’azione
amministrativa.
Si pongono per il procedimento amministrativo problemi analoghi al procedimento legislativo e
giurisdizionale. Per il primo da tempo si tratta di rendere trasparente l’emersione degli interessi da
considerare e contemperare ai fini della decisione politica. Il processo è il luogo della massima

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formalizzazione delle diverse fasi e delle trasparente valutazione della situazione di fatto. L’approccio
normativo al procedimento, quello che si propone di tradurre le acquisizioni scientifiche in nuove regole, è
fortemente ispirato a principi di tutela e guarda soprattutto al modello giurisdizionale come modello da
imitare.

3-AFFERMAZIONE DI REGOLE GENERALI SUL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO. Lo spostamento di


attenzione dall’atto al procedimento, per non restare nella sola analisi scientifica, deve tradursi
nell’adozione di regole generali sul procedimento, che assicurino l’anticipata tutela dei cittadini per tutti i
procedimenti amministrativi, per l’intera azione delle pubbliche amministrazioni.

3.1-FONTI DI DISCIPLINA DEL PROCEDIMENTO PRIMA DELLA L.241.


L’ORIGINARIA FRAMMENTAZIONE DELLA DISCIPLINA DEL PROCEDIMENTOSe si considera dapprima lo
stato della legislazione, si riscontrava non solo l’assenza di una legge generale sul procedimento, ma la
ricordata frammentazione delle discipline di settore, molto diversificate. Questa frammentazione si è
riprodotta, amplificata, nelle fonti di natura secondaria, regolamentare e di atto amministrativo generale,
con le quali le stesse amministrazioni decidevano fino anche punto spingersi nella disciplina dei
procedimenti di esercizio delle funzioni loro attribuite.
I PRINCIPI GENERALI DI ORIGINE GIURISPRUDENZIALEE’ su questo materiale differenziato, frutto più di
autoregolamentazione delle amministrazioni che dell’introduzione legislativa di regole generali, che è
intervenuta la giurisprudenza amministrativa, individuando principi che non erano contenuti nella disciplina
dei procedimenti portati al suo scrutinio. Un provvedimento è adottato da un’amministrazione senza alcuna
motivazione: il giudice interviene, annulla il provvedimento finale perché l’assenza della motivazione non
consente di comprendere le ragioni che hanno indotto l’amministrazione alla decisione. In questo modo la
necessità della motivazione diviene principio generale, che tutte le amministrazioni dovranno applicare in
tutti i successivi procedimenti.
Le possibili fonti di disciplina del procedimento sono pertanto: la legge, generale e speciale;
l’autoregolamentazione dell’amministrazione; la giurisprudenza.
In questa problematica di fondo si inserisce il tema della necessità o meno di una legge generale sul
procedimento, di una legge che fissi regole destinate ad essere applicate non in un singolo procedimento,
ma in una serie indeterminata di procedimenti.

3.2-MODELLI DI PRODUZIONE DELLE REGOLE GENERALI SUL PROCEDIMENTO. Negli anni antecedenti la leggi
n.241 del 1990 il dibattito italiano sui modi per introdurre nell’ordinamento giuridico le regole generali
sull’azione amministrativa nella forma di regole generali sul procedimento era improntato sui diversi modelli
adottati negli ordinamenti cui allora si guardava. Tutti i modelli considerati sono figli di una comune visione
dei principi generali essenziali per una regolazione del procedimento. Questa comune visione individua
come principi generali: l’imparzialità e la neutralità, la trasparenza, l’equità, il diritto di essere ascoltati, la
ragionevolezza, la proporzionalità, l’obbligo di motivazione. La motivazione di fondo per nuove regole sul
procedimento sta nella partecipazione come disponibilità di informazioni per una decisione più vicina
all’interesse pubblico. Partecipazione degli interessati, diversa dalla partecipazione democratica, dei
cittadini, per concorrere all’individuazione dell’interesse pubblico e per controllare il potere.
1. PRINCIPI GENERALI SUL PROCEDIMENTO IN COSTITUZIONE. Troviamo i paesi che hanno ritenuto
necessario fissare i principi generali sul procedimento amministrativo in Costituzione. Negli USA con
l’introduzione del principio del due process of law. In Grecia è fissato il principio del diritto ad essere
ascoltati. In Portogallo è stabilito il diritto a partecipare e ad essere informati. In Spagna si
introducono gli istituti dell’inchiesta, dell’accesso ai documenti, del diritto ad essere ascoltati.
Questi principi costituzionali sono tutti ispirati all’affermazione, in analogia al principio del giusto
processo, di un principio generalissimo di giusto procedimento.
2. PRINCIPI GENERALI SUL PROCEDIMENTO IN LEGGE ORDINARIA. In questo secondo modello si
dettano regole generali nella forma di principi da applicarsi alle diverse tipologie di procedimenti.
L’antecedente più significativo è dato dall’esperienza degli USA, che adottano, il Federal
Administrative Procedure Act, legge breve che ha lo scopo di indurre tutte le pubbliche

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amministrazioni federali all’adozione di regole sui propri procedimenti amministrativi, ispirate al


principio costituzionale del due process of law, dell’amministrazione aperta, della partecipazione.
3. DISCIPLINA DEL PROCEDIMENTO IN LEGGE ORDINARIA. Troviamo paesi che hanno adottato una
legge generale di disciplina dettagliata del procedimento, la “codificazione” del procedimento, che
consiste nella prefigurazione di un procedimento-tipo, di cui vengono disciplinate fasi, atti,
comportamenti e termini, in analogia al processo giurisdizionale. Il primo caso nella storia è quello
dell’Austria poi seguita da Germania, Spagna, Portogallo e Olanda. Questo modello ha suscitato
ricorrenti critiche, quali l’eccessiva formalizzazione del procedimento.
4. ASSENZA DI UNA DISCIPLINA SUL PROCEDIMENTO. Non conoscono alcuna disciplina del
procedimento due paesi quali la Francia e il Regno Unito. In Francia il Conseil d’Etat ha sempre
sconsigliato, con successo, il legislatore dall’adottare una qualsivoglia legge generale del
procedimento. L’approccio tradizionale è quello per il quale, secondo il giudice amministrativo
francese, si può fare a meno della legge. Ci si affida alla giurisprudenza del giudice amministrativo,
che ha anche il notevole pregio di adattarsi continuamente al mutare delle esigenze e delle realtà
delle amministrazioni pubbliche. Nel Regno Unito ha operato contro una legislazione sul
procedimento un doppio ostacolo: da un lato il rifiuto, dello stesso diritto amministrativo come
diritto speciale; dall’altro la tradizione della formazione prevalentemente giurisprudenziale del
diritto nell’esperienza di common law, che impedisce di codificare regole.

3.3-LA SCELTA ITALIANA. LA LEGGE N.241. I modelli che hanno influenzato l’esperienza italiana sono da
un lato quello degli USA e dall’altro quelli di Francia e Germani. In Francia nessuna legge sul
procedimento, ma principi di origine giurisprudenziale. In Germania, una legge sul procedimento molto
dettagliata: se il procedimento è molto formalizzato, le esigenze di informazione dell’interessato
dovrebbero essere soddisfatte nel procedimento. L’Italia con l’approvazione delle legge n.241 del 1990,
opta per un modello misto: una legge generale contenente i principi sul procedimento, all’americana,
che contenga anche una normativa sull’accesso, per quanto è ad un provvedimento a parte che si
intende affidare la disciplina di forme di accesso democratico sul modello del Freedom of Information
Act statunitense. L’idea è quella di affermare una forte innovazione, senza irrigidire l’azione delle
amministrazioni, che sono semmai indotte ad attivare processi di innovazione.

4-LA FORMAZIONE INIZIALE E LE SUCCESSIVE MODIFICHE DELLA LEGGE. La legge n.241 è frutto del
lavoro di una Commissione di studio, presieduta da Nigro, che ha predisposto un test molto “leggero”,
sul quale è stato chiesto il parere del Consiglio di Stato. Successivamente il Governo ha trasformato il
testo della Commissione in un disegno di legge portato all’approvazione parlamentare. Il testo
approvato nel 1990: ha pochi articoli concepiti come norma di principio, articolati in 5 Capi: Principi
generali, Responsabile del procedimento, Partecipazione al procedimento, Semplificazione, Accesso ai
documenti amministrativi. Non si propone di sostituire o abrogare discipline esistenti, ma di fissare
principi e soluzioni innovative che nel tempo condurranno a progressive modifiche delle discipline di
settore. La legge è stata oggetto di numerose modificazioni: la prima ha avuto come oggetto l’istituto di
semplificazione della conferenza di servizi; la seconda ha avuto l’impatto più significativo, inserendo un
intero nuovo Capo dedicato a principi sull’efficacia ed invalidità del provvedimento amministrativo sulla
revoca e recesso. La terza introduce modifiche sparse, ma si concentra in un’ampia rilettura del capo
sull’accesso.

5-L’AMBITO SOGGETTIVO DI APPLICAZIONE DELLA LEGGE.


L’APPLICAZIONE DA PARTE DEI SOGGETTI PUBBLICI E PRIVATIVediamo il problema dell’applicazione
distinguendo tra amministrazioni pubbliche e soggetti privati. Per le prime l’applicazione è certa, per i
secondi vale il doppio criterio del controllo pubblico (si applica alle società con totale o prevalente
capitale pubblico) e dello svolgimento delle funzioni (limitatamente all’esercizio delle funzioni).
L’APPLICAZIONE DELLA LEGGE NEGLI ENTI TERRITORIALI AUTONOMILa versione originaria dell’art.29
dava per scontato che la legge si applicasse a tutte le amministrazioni, compresi gli enti locali, e si
preoccupava, per le Regioni, di distinguere tra Regioni ordinarie e speciali. Una prima modifica
dell’art.29 prevedeva l’applicazione diretta della legge <<alle amministrazioni statali e degli enti pubblici

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nazionali>><<e per quanto stabilito in tema della giustizia amministrativa>> a tutte le amministrazioni
pubbliche. Per poi affermare il dovere delle Regioni e degli enti locali di regolare i propri procedimenti
<<nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino>>. È intervenuta una seconda
modifica che ha adottato un triplice criterio: una serie di disposizioni elencate sono dichiarate di diretta
applicazione; viene mantenuta la previsione del rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del
cittadino; un’altra serie di disposizioni viene dichiarata applicabile da parte delle Regioni e degli enti
locali in quanto attinente ai <<livelli essenziali delle prestazioni>>. La legge statale può stabilire che ci
deve essere un responsabile del procedimento e che deve avere determinati compiti di guida del
procedimento, ma non come si individua o a quale livello organizzativo esso debba essere collocato.

6-LA DISCIPLINA DEL PROCEDIMENTO NEGLI ALTRI ORDINAMENTI. Nell’impossibilità di descrivere nel
dettaglio i diversi sistemi di disciplina si tenta qui di dare una classificazione dei modelli più significativi,
cioè della finalità generale della disciplina, del rapporto tra disciplina positiva legislativa e produzione di
principi giurisprudenziali, dei contenuti della disciplina del procedimento. Sotto il primo profilo di
tratterà di comprendere se lo scopo principale della disciplina del procedimento sia quello della tutela
anticipata. Sotto il secondo profilo si tratta di vedere quali paesi, hanno scartato la disciplina legislativa
del procedimento per affidarsi ai soli principi giurisprudenziali. Sotto il terzo profilo si tratta di vedere
quali materie vengono comprese nelle discipline del procedimento.

6.1-FINALITA’ DELLA DISCIPLINA DEL PROCEDIMENTO. Capisaldi del modello cosiddetto “giudiziario”
sono le leggi dapprima dell’Austria e poi della Germania. È forte l’idea che con la partecipazione al
procedimento l’interessato può difendere anticipatamente i propri interessi, rappresentandoli nelle
diverse fasi in cui l’amministrazione forma la sua decisione. Nella legge dell’Austria la funzione giustiziale
era molto forte e la tutela si realizzava in tutte le fasi, fino all’adozione dell’atto finale. Nella legislazione
tedesca vi è un più diretto influsso del rafforzamento della disciplina del processo amministrativo
avvenuto negli anni antecedenti la legge. La disciplina del procedimento assume così i contenuti di un
codice dell’azione amministrativa, una disciplina che garantisce imparzialità dell’amministrazione e
tutela nello svolgimento dell’azione.
Su un diverso versante troviamo l’idea del procedimento come luogo della rappresentanza e della
composizione degli interessi, rappresentato dagli USA, che hanno una legge generale, l’Administrative
Procedure Act, applicata ai procedimenti federali. Sono regolati i procedimenti tanto di decisione di
specifici provvedimenti ad effetto puntuale quanto di formazione di atti normativi e amministrativi
generali. L’esigenza dell’acquisizione e della comparazione degli interessi in gioco arriva fino al punto di
costruire l’amministrazione procedente e gli interessati privati, come parti distinte, affidando la
decisione finale ad un’autorità terza, che ha tratti molto vicini a quelli giurisdizionali. Un modello
fortemente dialettico, che garantisce soprattutto coloro che sono parti del procedimento e che presenta
problemi non secondari: notevole formalizzazione del procedimento, complessità nella presenza dei
diversi interessi, costi alti di partecipazione.

6.2-RAPPORTO TRA FONTI LEGISLATIVE E PRINCIPI GIURISPRUDENZIALI. Anche i paesi che si sono dotati
di leggi sul procedimento amministrativo hanno largamente utilizzato il notevole apporto dato dalla
giurisprudenza. Francia e Regno Unito hanno deciso di non dotarsi di una legge sul procedimento,
mentre altri paesi quali Germani e Spagna, hanno seguito la strada opposta di una legge di dettagliata
disciplina del procedimento. Il caso più significativo è quello della Francia, dove la tradizione di
monopolio del Consiglio di Stato nella costruzione stessa del diritto amministrativo ha dato forza alla
tesi, solo recentemente messa in discussione, dell’inutilità di una legislazione di principi e, a maggior
ragione, di una “codificazione” del procedimento. Nei principi generali ricavati espressamente dal
giudice amministrativo nel corso del tempo, le amministrazioni trovano enunciate tutte le regole
fondamentali di partecipazione e garanzia delle posizioni giuridiche soggettive, senza che vi sia bisogno
di irrigidire regole, più agevolmente modificabili con un mutamento di giurisprudenza che con una
modificazione di disposizioni di legge.
In tutti gli altri paesi che hanno adottato una legge i due modi non sono ritenuti incompatibili. Alla
giurisprudenza il compito di individuare casi e principi innovativi in rapporto al mutevole atteggiarsi

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della realtà; alla legge il compito di stabilire regole ad applicazione generalizzata in tutte le
amministrazioni.

6.3-PRINCIPALI CONTENUTI DELLE DISCIPLINE SUL PROCEDIMENTO. Mentre gli USA hanno distinte leggi
sul procedimento e sulla trasparenza, il Regno Unito, in assenza di una legge generale sul procedimento,
si è dotata di una legge sull’accesso ai documenti amministrativi molto larga. La Francia, sin qui priva,
per i motivi già indicati, di una legge generale sul procedimento, ma prima in Europa nell’adozione di
una disciplina avanzata sul diritto di accesso.
In Germania e Spagna il punto di partenza comune è la codificazione del procedimento: nella
partecipazione al procedimento a lungo si sono compresi i diritti dei partecipanti a tutte le informazioni
detenute dall’amministrazione utili alla loro partecipazione. Il modello italiano è ormai noto: legge
generale, ma di principi, sul procedimento che contiene al suo interno la disciplina dell’accesso.

CAPITOLO 20 (L’AVVIO DEL PROCEDIMENTO E L’ISTRUTTORIA)

1-LA LEGGE N.241 E FASI DEL PROCEDIMENTO. La struttura della LPA non individua direttamente le fasi,
ma si limita a fissare principi sul responsabile del procedimento e sulla partecipazione.

2-IL RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO. La figura del responsabile del procedimento rappresenta bene
il tipo di intervento che la LPA compie sui diversi procedimenti amministrativi. Non una disciplina
formalizzata di ogni fase, ma la previsione obbligatoria, per tutte le amministrazioni pubbliche di una
figura cui sono affidati importanti compiti di svolgimento delle diverse attività. Conoscendo, attraverso
la pubblicità assicurata alle scelte organizzative, l’unità organizzativa competente a compiere gli atti del
procedimento, il cittadino sa che da quell’ufficio si può attendere l’adozione dei provvedimenti di sua
competenza. Coerentemente con questa esigenza di conoscibilità, dei responsabili dei procedimenti va
data pubblicità attraverso i siti delle amministrazioni. Se istruttoria e decisione finale sono di
competenza dello stesso ufficio, non è affatto necessario che vi sia coincidenza tra responsabile del
procedimento e titolare dell’organo. La legge lascia la decisione al dirigente di ciascuna unità
organizzativa.
La LPA è molto attenta nella definizione dei compiti del responsabile che possono essere classificati in
tre categorie: la formazione del contraddittorio; spetta al responsabile individuare i soggetti interessati
al procedimento al fine di garantire la partecipazione. L’interlocuzione con gli interessati, l’acquisizione
dei documenti da loro presentati, le eventuali fasi di chiarimento. L’accertamento d’ufficio dei fatti. Il
responsabile è considerato come figura chiave , destinata a dare impulso al procedimento. La soluzione
imposta dalla legge è una soluzione organizzativa pienamente in linea con la riserva in capo al dirigente
titolare dell’organo della competenza all’adozione del provvedimento.
Le responsabilità connesse all’adozione del provvedimento non possono che ricadere su chi ha in effetti
adottato il provvedimento, mentre non sono affatto escluse altra responsabilità, quali quella disciplinare
o quella penale, laddove il responsabile operi dolosamente per indurre l’organo competente d
assumere un provvedimento illecito. Se la legge ha investito molto sulla figura del responsabile è perché
ne ha voluto fare un punto di riferimento stabile dei cittadini. È una misura di trasparenza e
partecipazione.

3-LA PARTECIPAZIONE AL PROCEDIMENTO E LE SUE RAGIONI:COMPARAZIONE DI INTERESSI E TUTELA. È


l’obiettivo il contenuto imprescindibile della nuova normativa. Ci si sofferma ora sul tema dell’ampiezza
e delle finalità della partecipazione. Quanto all’ampiezza si deve tener conto di due disposizioni
apparentemente contraddittorie. Da un lato la partecipazione non è limitata ai solo diretti destinatari,
ma è estesa a qualunque soggetto portatore di interessi pubblici o privati; d’altro lato, però, si esclude
l’applicazione delle norme sulla partecipazione nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione
diretta all’emanazione di atti normativi. La partecipazione è allargata, quindi, ad una vasta serie di
potenziali soggetti coinvolti dall’azione amministrativa, ma sempre nell’ambito di procedimenti volti
all’adozione di provvedimenti amministrativi di puntuale cura di interessi pubblici. Il principale obiettivo
della partecipazione è la tutela, anticipata nel procedimento, delle situazioni giuridiche soggettive. Gli

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interessati intervengono nel procedimento per tutelare i loro diritti. Si sostanzia in questa finalità il
profilo soggettivo della partecipazione. La legge non esplicita l’altro versante dell’istituto: la
partecipazione nell’interesse dell’amministrazione, finalizzata cioè, all’acquisizione da parte di
quest’ultima, di tutte le informazioni utili alla decisione. La partecipazione può essere vista come un
contributo alla migliore individuazione e cura dell’interesse pubblico. La partecipazione come
strumento di cura dell’interesse pubblico è perfettamente coerente con le finalità dell’azione. Questa
finalità sostanzia il profilo oggettivo della partecipazione. La finalità della tutela è comunemente
prevalente, perché gli interessati non sono obbligati alla partecipazione, ma possono decidere anche di
non partecipare. Per quanto riguarda la partecipazione democratica, la LPA non dà il necessario rilievo,
mentre il contributo attivo dei cittadini alla decisione pubblica e alla su realizzazione è strumento
imprescindibile di rafforzamento della democrazia e di legittimazione delle sue istituzioni.

4-L’AVVIO DEL PROCEDIMENTO E LA FORMAZIONE DEL CONTRADDITTORIO. La LPA non disciplina nel
dettaglio la fase di inizio del procedimento, ma regola solo la comunicazione del suo avvio, che deve
essere diretta ai destinatari e agli interveniente. Il dovere di comunicazione è posto dalla legge in capo
all’amministrazione. La comunicazione è necessaria sia per i procedimenti ad iniziativa d’ufficio sia per i
procedimenti ad iniziativa di parte. Per i primi per la buona ragione che i destinatari ignorano che un
procedimento è stato avviato. Per i secondi in tutti i casi in cui l’atto di parte non individua i potenziali
controinteressati all’adozione del provvedimento richiesto. Solo conoscendo l’avvio di un procedimento
gli interessati sono in condizione di decidere se e come parteciparvi. La comunicazione avviene nella
forma della comunicazione personale. Le conseguenze della mancata comunicazione di avvio del
procedimento: il provvedimento adottato è annullabile, salvo il caso in cui l’amministrazione dimostri in
giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso. È un caso di prevalenza
della sostanza sulla forma. La legge richiede la forma della comunicazione come condizione della
corretta formazione dell’atto, perché vuole imporre alle amministrazioni che si aprano alla piena
partecipazione degli interessati. L’avvenuta partecipazione da parte dell’interessato sano il vizio della
mancata comunicazione.

5-PROCEDIMENTI AD ISTANZA DI PARTE/D’UFFICIO. Condizioni giuridiche rilevanti sono attribuite dalla


LPA con la distinzione tra procedimenti ad istanza di parte e procedimenti d’ufficio. Nei primi
l’ordinamento tende a tutelare la posizione di coloro che attivano il procedimento perché positivamente
interessati al provvedimento finale. In questo processo, il ruolo regolativo dell’amministrazione
retrocede a vantaggio di un ruolo protagonista del soggetto privato, il quale diventa colui che accerta i
fatti legittimanti lo svolgimento delle attività. L’amministrazione interviene in questi casi in via
secondaria, con procedimenti di accertamento successivo e con l’eventuale irrogazione di sanzioni in
caso di constatata non coerenza con le previsioni di legge. La LPA richiama i procedimenti ad istanza di
parte nei seguenti casi: obbligo per l’amministrazione di concludere il procedimento nel termine
previsto; obbligo di comunicazione tempestiva dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza;
applicazione delle misure di semplificazione delle s.c.i.a. e del silenzio assenso. Rilievo particolare è
dato alla garanzia dei terzi coinvolti dal provvedimento finale: il rischio della tutela prioritaria data al
soggetto presentatore della domanda sta nella possibile pretermissione dell’adeguata valutazione degli
interessi dei terzi.
Nei procedimenti di ufficio, l’attenzione del legislatore è spostata sulle garanzie di tutti coloro che
possono subire conseguenze negative dal provvedimento. Di qui la particolare attenzione alla fase
istruttoria. Nei procedimenti d’ufficio la comunicazione di avvio del procedimento assume un rilievo
particolare, perché il provvedimento, soprattutto quando è potenzialmente negativo per i destinatari,
deve essere adottato con tutte le garanzie partecipative volute dalla legge. La principale differenza sta
nel ruolo di guida del procedimento.

6-L’ISTRUTTORIA. All’avvio segue una fase, nota come istruttoria, nella quale l’amministrazione
procedente pone le premesse per una decisione corretta, fondata, frutto del confronto con gli
interessati. La realtà delle nostre amministrazioni prevede però numerosi casi nei quali altre
amministrazioni debbano intervenire nel procedimento o debbano svolgere un diverso procedimento o

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debbano svolgere un diverso procedimento connesso, ma necessario ai fini della decisione finale. In
questi casi di istruttoria complessa i doveri del responsabile del procedimento consistono nella distinta
e separata acquisizione di atti, fatti e documenti di altre amministrazioni. A questi fini la LPA ha
introdotto una serie di misure di semplificazione del procedimento ed in particolare un meccanismo di
semplificazione denominato conferenza di servizi, che consente all’amministrazione procedente di
convocare contestualmente in apposita riunione tutte le amministrazioni coinvolte perché esprimano li
le proprie determinazioni. Le conferenze di servizi convocate sono denominate conferenze di servizi
istruttorie.

7-I DIRITTI E LE FACOLTA’ DELL’INTERESSATO NEL PROCEDIMENTO. Tra i doveri del responsabile vi sono,
da un lato, la valutazione delle condizioni di ammissibilità, dei requisiti di legittimazione, dei presupposti
che siano rilevanti per l’emanazione del provvedimento, dall’altro l’accertamento d’ufficio dei fatti.
Spetta sempre al responsabile l’acquisizione di pareri o di valutazioni tecniche necessarie ai fini
dell’adozione del provvedimento. La LPA non disciplina i comportamenti del responsabile, propone di
rendere più agevole le sue attività. Questo ampio riconoscimento di poteri istruttori corrisponde ad un
potere inquisitorio di accertamento. Il dovere del responsabile è accertare fatti e valutare situazioni,
anche di interesse particolare, senza esserne vincolato.
Tra i diritti dei partecipanti al procedimento la legge ne specifica due: di prendere visione degli atti del
procedimento, salvo quanto previsto dall’ art.24; di presentare memorie scritte e documenti, che
l’amministrazione ha l’obbligo di valutare ove siano pertinenti all’oggetto del procedimento. Il primo
diritto è un diritto di accesso ai documenti riconosciuto in generale a tutti gli interessati. Il secondo
diritto, di presentare memorie scritte e documenti, corrisponde specularmente ai doveri di
accertamento e di valutazione del responsabile del procedimento. I documenti possono essere ispirati
anche alla sola tutela delle proprie situazioni giuridiche soggettive, ma la loro valutazione e la
composizione degli interessi, ai fini dell’individuazione dell’interesse pubblico concreto, spetta
all’amministrazione.
L’istruttoria si conclude quando il responsabile del procedimento ha raccolto tutti gli elementi necessari
per la decisione. La legge non formalizza nessun atto conclusivo dell’istruttoria. Prevale l’informalità,
che consente di adeguarsi ad entrambe le tipologie di rapporto tra responsabile e decisore finale. Nel
caso della coincidenza non avrebbe senso formalizzare atti distinti, tutti di competenza dello stesso
funzionario. Nel caso della distinzione, l’informalità consente al dirigente di organizzare il rapporto tra le
due fasi nel modo più funzionale alla decisione.

8-L’ISTRUTTORIS COME ATTIVITA’CONOSCITIVA DIRETTA ALLA DECISIONE. Il procedimento svolge una


funzione che è di scelta e di garanzia. L’amministrazione opera nella cura di interessi pubblici, essa deve
fondare le sue decisioni su elementi di razionalità.
Nel procedimento si scaricano dunque esigenze diverse, peraltro tra loro intimamente legate: nella
prospettiva dei principi e valori dell’ordinamento democratico, un rigoroso accertamento dei fatti nel
quadro di un’istruttoria adeguata risulta essere uno dei fattori più rilevanti nella prospettiva
dell’imparzialità ed è strettamente connesso al principio di legalità.
Mediante il procedimento l’amministrazione ha il compito di chiarire la portata del fatto in tutte le sue
implicazioni. La valutazione dei provvedimenti conseguenti e quindi la decisione segue la conoscenza
del fenomeno.
Il procedimento dunque, per stadi successivi di conoscenza, produce la decisione pubblica “giusta”.
L’amministrazione sviluppa, una fondamentale attività per conoscere la situazione di fatto, in senso lato
sociale, in cui si trova ad operare. L’azione amministrativa è anzitutto attività conoscitiva e si sviluppa, in
sostanza, attraverso la costruzione dei fatti, l’inquadramento della fattispecie concreta nella fattispecie
astratta.

9-PRINCIPIO INQUISITORIO NEL PROCEDIMENTO. Il carattere fondamentale dell’istruttoria nel


procedimento consiste nel principio inquisitorio.
In esito alla fase dell’istruzione, si determina una rappresentazione che deve corrispondere alla natura
dei fenomeni così come presenti nella realtà. L’amministrazione ha uno specifico dovere di conoscere la

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realtà sulla quale è chiamata ad incidere, deve cogliere compiutamente la corrispondenza tra la
previsione normativa ed il fenomeno concreto. Ne deriva l’obbligo di acquisire al procedimento il
maggior numero di fatti utili ai fini dell’individuazione dell’interesse pubblico concreto.
L’amministrazione non è, spettatore neutrale della dinamica conoscitiva che si limita ad applicare la
legge ai fatti presentati dai partecipanti al procedimento, ma sulla base del principio inquisitorio, è
tenuta a sviluppare tutta l’attività istruttoria che ritiene necessaria per la definizione, la conoscenza e la
comprensione dei dati in base ai quali sarà assunta la decisione.
L’istruttoria è quindi tesa ad assicurare la raccolta di dati ed informazioni, la verificazione dei fatti
introdotti nel procedimento, l’identificazione di fatti ulteriori, la loro elaborazione. Nell’istruttoria
procedimentale, la pubblica amministrazione acquisisce, e valuta nella loro consistenza, fatti semplici e
complessi, per la conoscenza dei quali ultimi risulta a volte necessario ricorrere a specifiche strutture.
L’istruttoria si può articolare poi attraverso passaggi tra loro non necessariamente consequenziali, in
modo che l’ordine logico acquisizione dei fatti-verificazione-identificazione-elaborazione in vista della
decisione è visto dalla dottrina come dato tendenziale, non costitutivo.

10-PRINCIPI SULL’ISTRUTTORIA NELLA LEGGE SUL PROCEDIMENTO. La ricostruzione del ruolo e delle
regole che disciplinano lo svolgimento dell’attività conoscitiva nell’istruttoria procedimentale ha trovato
una significativa emersione nella disciplina generale del procedimento amministrativo italiano.
Il principale riferimento è l’art.6 della LPA, che codifica il principio dell’adeguatezza e completezza
dell’istruttoria procedimentale, in base al quale l’amministrazione è tenuta ad accertare d’ufficio la
realtà dei fatti e degli atti che costituiscono il presupposto per la sua decisione.
Il responsabile del procedimento valuta, ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di
legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l’emanazione di provvedimento. Può chiedere il
rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete. Al responsabile del
procedimento è affidato, in sostanza, il compito di governare l’istruzione dell’affare e, potrà dunque
compiere gli atti necessari per la conoscenza della realtà e degli interessi e disporrà dei mezzi istruttori
ritenuti necessari.
La legge affida, in modo specifico e con intenti di semplificazione, al responsabile il compito di acquisire
di ufficio fatti, stati e qualità di cui l’amministrazione sia in possesso.
L’art.6 della legge sul procedimento, nel disciplinare le funzioni del responsabile del procedimento
definisce, in sostanza, il principio di completezza istruttoria: è rimesso al responsabile del procedimento
che ha assegnati dalla legge i compiti di valutare i presupposti rilevanti, accertate d’ufficio i fatti
disponendo il compimento di atti necessari e di adottare ogni misura per l’adeguato svolgimento
dell’istruttoria. La scelta dei mezzi istruttori sarà sindacabile in sede di legittimità solo allorché appaia
chiaramente incongrua o conduca a risultati aberranti. La LPA contiene ora un nuovo articolo, il 6-bis,
dedicato ad assicurare l’assenza di conflitti di interesse nella fase istruttoria: <<Il responsabile del
procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti
endoprocedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi,
segnalando ogni situazione di conflitto anche potenziale>>.

11-L’ISTRUTTORIA TRA ACCERTAMENTO DEI FATTI E RICERCA DELLA VERITA’. Informalità e metodo
inquisitorio sono i caratteri fondamentali del processo conoscitivo pubblico. Fino ad oggi dottrina e
giurisprudenza hanno assunto un atteggiamento prudenziale: la giurisprudenza è ricca nel qualificare la
conoscenza come corretta, ma è scarna nel fornire indicazione sulle modalità da seguire per garantire
questa idoneità dell’istruttoria, ferma la richiesta di una piena acquisizione dei fatti rilevanti. La dottrina
ha teso a sottolineare che la realtà può essere conosciuta in termini relativi e l’amministrazione nella
sua attività conoscitiva raggiunge delle certezze. In questa prospettiva il dovere di accertare i fatti ai fini
dell’istruttoria adeguata e completa costituisce un preciso dovere di ricerca ai fini della verità.
La posizione dell’amministrazione nel procedimento non sarebbe molto diversa da quella del giudice nel
processo. Se si intende come giusta la decisione più adeguata e consapevole, allora il procedimento non
può che essere volto all’accertamento della verità, che costituisce il presupposto per la decisione. Il
ruolo dell’istruttoria, ed il suo posto nel procedimento, è dunque decisivo nella complessiva dinamica

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procedimentale, come attività di indagine, di acquisizione di dati di fatto, siano essi semplici o
complessi, su cui si fonderà la decisione.

12-ISTRUTTORIA E DECISIONE. Solo al termine dell’istruttoria l’amministrazione è in grado di assumere


una decisione “non casuale” ma legata ad una seria valutazione dei fatti e degli interessi coinvolti.
Nella legge sul procedimento il collegamento tra istruttoria e decisione è esplicitato, con formule simili,
in due articoli: l’art 6. che prevede che <<l’organo competente per l’adozione del provvedimento finale,
ove diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria
condotta dal responsabile del procedimento se non indicandone la motivazione nel provvedimento
finale>>; l’art 3 che prevede che <<la motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni
giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze
dell’istruttoria>>.
Le risultanze dell’istruttoria costituiscono una base che potrà essere letta alla luce degli interessi, ma
non stravolta: una certa cura è necessaria, anche se essa si rivela particolarmente costosa.

CAPITOLO 21 (IL PROCEDIMENTO E LA DECISIONE AMMINISTRATIVA)

1-PROCEDIMENTO E DECISIONE. La decisione è spesso vista dalla dottrina come una fase del
procedimento.
Il rapporto tra procedimento e decisione si riflette sulla forma del provvedimento, ed in particolare sulla
sua “motivazione” che darà conto della complessità delle dinamiche procedimentali.
È lo stesso contenuto della decisione che retroagisce sul procedimento comportandone un
aggravamento o meno: è il caso della decisione con contenuto negativo rispetto ad una istanza che
comporta l’esigenza di preavvisare l’interessato, con una comunicazione apposita.

2-LA DECISIONE SEMPLICE. LA DECISIONE ESPRESSA. Nella fase finale del procedimento, completata
l’istruttoria e sulla base delle sue risultanza, l’amministrazione, attraverso il titolare dell’organo
competente deve adottare una decisione nella forma di un provvedimento espresso. Le che la LPA ha
voluto imporre, ai fini della tutela dei destinatari è quella del provvedimento espresso. La decisione
finale può essere semplice, se la funzione è attribuita ad una sola amministrazione e il provvedimento è
di competenza del titolare di un suo organo, complessa, quando la decisione deve essere presa da più
amministrazioni.

2.1-IL PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO.


2.1.1-LA FORMA. La legge non si sofferma sugli aspetti formali del provvedimento, ma richiede
sicuramente la forma scritta e la sottoscrizione del documento che contiene il provvedimento, perché si
impone l’obbligo di motivazione e l’obbligo di notificare agli interessati. La motivazione deve essere
espressa in forma scritta, si deve ritenere soddisfatto il requisito della forma scritta anche per i
documenti in formato elettronico.
Il legislatore non si sofferma, altresì, sulle modalità di redazione degli atti, per quanto numerosi atti di
indirizzo abbiano cercato di porre attenzione al problema della comprensibilità.

2.1.2-IL TERMINE. La LPA impone la predeterminazione e il rispetto di un termine temporale entro il


quale la decisione finale deve essere assunta, a decorrere <<dall’inizio del procedimento d’ufficio o dal
ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte>>. Non un termine interno al
procedimento , ma un termine complessivo, che decorre dall’effettivo avvio del procedimento. Quella
vigente prevede un termine generale suppletivo di 30 giorni, con la possibilità per le amministrazioni di
fissare termini più lunghi adottando particolari e rafforzate procedure: così possono essere fissati
termini non superiori a 90 giorni con regolamenti ministeriali e termini non superiori a 180 giorni con
regolamenti governativi. Il meccanismo indicato si applica anche agli enti pubblici nazionali. Nelle
Regioni e negli enti locali: il termini è livello essenziale delle prestazioni. Si deve ritenere che il livello
essenziale corrisponda al termine generale suppletivo di 30 giorni. Si deve ritenere che Regioni ed enti
locali possano individuare procedimenti di durata maggiore.

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CONSEGUENZE DEL RITARDO La fissazione del termine da parte della LPA è restata a lungo senza
conseguenze. Salva l’applicazione del principio del silenzio inadempimento. La mancata adozione del
provvedimento in un termine ragionevole costituisce da tempo una violazione della legge, che
consentiva all’interessato di ottenere una sentenza con la quale il giudice imponeva all’amministrazione
di adottare il provvedimento e in caso di ulteriore inerzia, di esercitare un potere sostitutivo. Con la
fissazione del termine la violazione diviene più facilmente riscontrabile.
Un primo tentativo di ricerca di una soluzione generale è stata la proposta di considerare nullo, cioè
radicalmente viziato, non sanabile, il provvedimento adottato fuori termine. L’amministrazione decorso
il termine non avrebbe più la possibilità di curare l’interesse pubblico connesso alla funzione attribuita.
La tesi non è accettata perché ipotesi di consumazione della funzione si hanno solo nei casi di
attribuzione temporalmente limitata.
Oggi il procedimento contro il silenzio inadempimento davanti al giudice amministrativo è stato
semplificato; il CPA ne fissa i requisiti e lo svolgimento. Il riconoscimento di una tutela degli interessati
di fronte all’inerzia dell’amministrazione riguarda però i casi in cui il cittadino voglia intraprendere la via
giurisdizionale, ma non risolve il problema generale della celerità dell’azione dell’amministrazione che
un interesse più generale dell’ordinamento.
La strada poi intrapresa dal legislatore, con successive modifiche della LPA è stata quella dell’attivazione
di specifiche responsabilità, è stato aggiunto alla LPA un art che prevede il risarcimento del danno
ingiusto per inosservanza dolosa o colposa del termine, nonché indennizzi per mero ritardo che
prescindono dalla prova di un danno subito. L’amministrazione, poiché resta attributaria della funzione
la esercita, ma fuori del termine fissato dalla legge. Questo può produrre un danno per il cittadino, che
in questo caso si rivolge al giudice amministrativo per la tutela di un diritto al risarcimento che si
prescrive in 5 anni; è il giudice a stabilire un risarcimento proporzionato al danno subito dal cittadino
per il mancato o ritardato provvedimento; è stato introdotto il principio della responsabilità dirigenziale,
che comporta conseguenze sulla retribuzione o sul mancato rinnovo dell’incarico, per il titolare
dell’organo colpevole della mancata emanazione del provvedimento nei termini. Il privato può
direttamente rivolgersi ad un dirigente individuato dall’organo di governo di ciascuna amministrazione
pubblica perché eserciti un potere sostitutivo, adottando il provvedimento in un luogo del funzionario
inadempimento o nominando un commissario ad acta.

2.1.3-LA MOTIVAZIONE. L’obbligo di motivazione costituisce uno degli obiettivi maggiormente perseguiti
dalle discipline generali sul procedimento amministrativo. La motivazione è parte integrante del
provvedimento finale. Può rinviare alla motivazione espressa in altri adottati dall’amministrazione, ma
in questo caso l’atto cui si rinvia deve essere reso disponibile. L’obbligo di motivazione ha tre finalità
essenziali: è uno strumento di tutela delle situazioni giuridiche soggettive coinvolte <<deve indicare i
presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in
relazione alle risultanza dell’istruttoria>>. Con la conoscenza, per tempo, della motivazione l’interessato
è posto nelle migliori condizioni per difendersi in giudizio; è uno strumento di ragionevolezza
complessiva dell’azione amministrativa, perché impone alle amministrazione di adottare atti legittimi,
proporzionati e coerenti con gli accertamenti e le valutazioni effettuate; è uno strumento di
conoscenza/trasparenza: l’amministrazione garantisce la comprensibilità esterna dei propri atti,
facilitando anche il controllo democratico dei cittadini.
Quanto all’obbligo di motivazione <<la motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a
contenuto generale>>.

2.2-LA DECISIONE IMPLICITA. IL SILENZIO. Se la legge considera via maestra l’adozione di un


provvedimento espresso, essa non trascura di regolare le ipotesi di silenzio dell’amministrazione. Il
silenzio diniego è equiparato a provvedimento negativo. Una situazione di inerzia si trasforma così in
una dichiarazione di volontà, sia pure negativa, che ha il pregio di consentire al cittadino di difendersi,
impugnando proprio il provvedimento di rifiuto. Equiparato a provvedimento positivo è il silenzio
assenso: sulla domanda dell’interessato, l’amministrazione resta silenziosa e lascia decorrere il termine
per l’adozione del provvedimento espresso. In questo caso, il silenzio dell’amministrazione deve essere
inteso come volontà positiva, di adozione di un provvedimento favorevole.

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2.3-LA DECISIONE NEGOZIATA (RINVIO). Nei due casi della decisione espressa e della decisione implicita
il provvedimento è riferito all’amministrazione, che agisce secondo uno schema sempre unilaterale. La
LPA non esclude che già in fase di partecipazione all’istruttoria procedimentale, l’amministrazione
intavoli con i partecipanti delle vere e proprie negoziazioni, che possono condurre alla conclusione di
accordi tra amministrazione e privati. Si tratta degli accordi, integrativi o sostitutivi del provvedimento
finale. Nel caso degli accordi integrativi il provvedimento resta e svolge la funzione di fondo di diretta
cura dell’interesse pubblico. È definito integrativo perché regola alcuni aspetti patrimoniali necessari a
dare attuazione al provvedimento. Nel caso di accordi sostitutivi il provvedimento non è adottato ed è
sostituito dall’accordo. La LPA impone che l’amministrazione adotti una determinazione a contrattare. È
sempre necessaria una determinazione del titolare dell’organo competente per stabilire se la
configurazione degli interessi risultante dall’accorso è coerente con l’interesse pubblico.

2.4-DECISIONE E CONFLITTI DI INTERESSE. L’imparzialità dell’amministrazione, che abbiamo esaminato


sotto il profilo organizzativo va garantita anche nell’azione. Un primo profilo concerne la responsabilità
che possono ricadere sui funzionari che partecipano allo svolgimento dell’azione, in quanto titolari della
competenza all’adozione del provvedimento finale. Un secondo profilo riguarda regole generali che
assicurano la necessaria distanza del funzionario dagli interessi in gioco. Una volta applicate le regole
sull’accesso alla funzione e le regole sulla compatibilità tra incarico e altri interessi possono residuare
dei casi in cui il funzionario si trovi, in una situazione di conflitto di interessi. Qui si applica l’istituto del
dovere di astensione. Il funzionario che sappia di trovarsi nella condizione di conflitto deve astenersi dal
partecipare alla decisione. Il dovere dovrebbe essere accompagnato da un obbligo di dichiarazione del
conflitto.

3-LA DECISIONE COMPLESSA. Quando la manifestazione di volontà debba provenire da due


amministrazioni in posizione di parità, si parla di intese o di concerti. Nel caso in cui un atto sia
predisposto da un’amministrazione ma approvato definitivamente da un’altra, in posizione di sovra
ordinazione, si parla di atti complessi ineguali. Oltre all’istruttoria, vi è la fase di ricerca dell’accordo sul
contenuto del provvedimento, che può non essere agevole quando le amministrazioni sono titolari di
funzioni diverse o addirittura in conflitto. Ad esse si tenta di applicare la disciplina della conferenza di
servizi decisori.

4-LA FASE INTEGRATIVA DELL’EFFICACIA DEL PROVVEDIMENTO. Il provvedimento per essere esecutivo
deve acquistare efficacia. Nel caso di sottoposizione al controllo, il provvedimento non acquista efficacia
fino all’avvenuto esito positivo del controllo. Dopo il controllo o subito dopo l’adozione dell’atto, l’atto
non è ancora efficace, ma lo diventa solo dopo l’esperimento di procedure volte ad assicurare la sua
conoscenza da parte dei destinatari.
Per molti atti amministrativi è necessaria la pubblicazione, che tradizionalmente avveniva nella forma
dall’affissione nei fogli annunzi legali <<gli obblighi di pubblicazione di atti e provvedimenti
amministrativi aventi effetto di pubblicità legale si intendono assolti con la pubblicazione nei propri siti
informatici da parte delle amministrazioni e degli enti pubblici obbligati>>.
La LPA si preoccupa di disciplinare l’acquisto di efficacia per particolari tipologie di provvedimento. Così,
i provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei privati acquistano efficacia nei confronti di ciascun
destinatario con la comunicazione allo stesso effettuata.
Per questi provvedimenti la legge vuole assicurare l’effettiva conoscenza da parte del destinatario,
soprattutto per garantirgli il diritto alla tutela. Tra i provvedimenti restrittivi la LPA prevede particolare
regime per quelli aventi carattere sanzionatorio, che non possono contenere una motivata clausola di
immediata efficacia. Vi è poi la categoria dei provvedimenti restrittivi aventi carattere cautelare ed
urgente, che, invece, sono dichiarati dalla legge come immediatamente efficaci.

CAPITOLO 22 (L’INFORMAZIONE AMMINISTRATIVA E L’EGOVERNMENT)

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1-L’INFORMAZIONE DEL SETTORE PUBBLICO COME RISORSA CONOSCITIVA. L’attività conoscitiva


costituisce elemento essenziale ed imprescindibile dell’azione amministrativa. La conservazione
generalizzata delle informazioni, costituisce un carattere distintivo dei poteri pubblici di predisporre ed
alimentare gli archivi, con lo scopo, di consentire la perpetuazione della memoria delle scelte compiute
nel passato.
Le informazioni sono oggetto di una specifica attività di organizzazione al fine di renderne più agevole
ed efficiente l’utilizzo, mediante la costituzione di banche dati. Questa attività di conservazione
strutturata dell’informazione ha finito per assumere un autonomo e distinto rilievo giuridico. Alcune
banche dati assumono pertanto la consistenza di pubblici registri.
Il complesso delle informazioni raccolte o comunque nella disponibilità delle amministrazioni,
soprattutto quando organizzato e strutturato, si pone dunque come risorsa conoscitiva a disposizione
non soltanto per l’amministrazione che gestisce la singola banca dati, ma anche per le altre
amministrazioni, per il sistema pubblico nel suo complesso.

2-LA CIRCOLAZIONE DELLE INFORMAZIONI NEL SISTEMA PUBBLICO: FRUIBILITA’ DEL PSI. L’esigenza che
le informazioni detenute dal settore pubblico possano circolare al suo interno al fine di rendere più
efficiente l’esercizio dell’azione amministrativa e di potenziarne le capacità conoscitive trova un primo
ostacolo, nella scarsa attitudine delle amministrazioni a condividere le informazioni di cui sono in
possesso.
Dal punto di vista giuridico, è chiaramente riconosciuta l’esigenza che il PSI debba costituire una risorsa
conoscitiva effettivamente disponibile ed accessibile da parte di tutte le componenti del sistema
pubblico. Tale esigenza trova innanzitutto soddisfazione nell’istituto dell’accesso interamministrativo
telematico, in base al quale alle amministrazione che hanno la necessità di avere la certezza o verificare
l’esattezza di determinate informazioni è riconosciuta la possibilità di acquisire direttamente tali
informazioni mediante accesso alla banca dati dell’amministrazione certificante, che è tenuta a
consentire tale accesso e a disciplinare le modalità mediante apposita autorizzazione.
La fruibilità dei dati è oggi assicurata dalla possibilità, da parte di ciascun ente del sistema pubblico, di
accedere direttamente e gratuitamente alle banche dati di cui sono titolati le diverse amministrazioni.

3-LA CIRCOLAZIONE DELLE INFORMAZIONI NEL SISTEMA PUBBLICO: LA QUALITA’ DEI DATI. La fruibilità
del PSI consente al settore pubblico di acquisire le informazioni senza reiterare il processo di conoscenza
diretta dei dati di fatto. Per un verso l’amministrazione interessata si troverà ad assumere decisioni sulla
base di informazioni e dati che non ha provveduto a formare; l’affidabilità circa la correttezza del dato
utilizzato può risultare significativa ai fini della responsabilità della stessa amministrazione. Si pone il
problema di come assicurare la qualità dei dati messi in circolazione all’interno del sistema pubblico. La
qualità dei dati si articola in una serie di requisiti, declinabili in termini di accuratezza, rilevanza,
rappresentatività, accessibilità. L’ordinamento nazionale dedica un’attenzione specifica alla qualità dei
dati prodotti e resi disponibili nel sistema pubblico solo con riferimenti ad alcuni settori specifici.
Spiccano l’informazione statistica e l’informazione in materia ambientale. Nel caso dell’informazione
statistica, l’ordinamento garantisce un notevole grado di autonomia dalla politica al sistema
istituzionale. La qualità corrisponde al rispetto di criteri metodologici definiti nello specifico settore
disciplinare, ed è funzionale all’affidabilità in termini di credibilità dell’informazione così prodotta.
Nel caso dell’informazione ambientale, la qualità viene declinata come necessità di aggiornamento,
precisione e confrontabilità dei dati raccolti, ma comporta anche la diffusione al pubblico delle
metodologie con le quali le informazioni sono state formate e raccolte.

4-LA CIRCOLAZIONE DELLE INFORMAZIONI NEL SISTEMA PUBBLICO: IL COORDINAMENTO DEI DATI. I
criteri con i quali le amministrazioni procedono alla formazione, alla raccolta, alla conservazione ed in
generale alla gestione dei dati di cui sono titolari sono strettamente legati alle modalità con le quali le
stesse amministrazioni sono concretamente organizzate. Per questa ragione, il riconoscimento a livello
costituzionale di spazi rilevanti di autonomia organizzativa ai diversi livelli di governo può comportare il
rischio di una frammentazione informativa, nella misura in cui le amministrazioni procedano a formare
le rispettive banche dati in base a criteri, modalità, ed anche rispetto ad oggetti non uniformi. Tale

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frammentazione può ostacolare la circolazione dei dati all’interno del sistema. L’esigenza di unitarietà e
coerenza del PSI si concretizza nel riconoscimento alla competenza esclusiva del legislatore statale della
materia coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale,
regionale locale. È possibile vincolare tutti i livelli di governo ad indicazioni univoche non soltanto con
riferimento alle modalità di gestione del PSI, ma anche relativamente a quali informazioni sottoporre a
determinati trattamenti.
Una significativa manifestazione di tale ultima funzione di coordinamento consiste nell’enucleazione
della nozione di base di dati di interesse nazionale, intesa quale insieme delle informazioni raccolte e
gestite digitalmente dalle pubbliche amministrazioni, omogenee per tipologia e contenute e la cui
conoscenza è utilizzabile dalle pubbliche amministrazioni. Le più intense esigenze di coordinamento nel
settore della contabilità e della finanza pubblica comportano, la riserva alla competenza statale dei
principi di coordinamento della finanza pubblica, nonché, della materia “armonizzazione dei bilanci
pubblici”.

5-LA CIRCOLAZIONE DELLE INFORMAZIONI NEL SISTEMA PUBBLICO: LA TUTELA DEI DATI PERSONALI. Le
regole che disciplinano il trattamento dei dati personali da parte delle pubbliche amministrazioni non
sono tenute a fornire l’informativa agli interessati al momento della raccolta dei dati, né sono tenute ad
acquisire il consenso al trattamento dei dati. Tale assetto derogatorio si spiega con la legittimazione
funzionale delle amministrazioni, che possono porre in essere i soli trattamenti dei dati personali
necessari per l’esercizio delle rispettive funzioni. Nel caso in cui la comunicazione ad altra
amministrazione dei dati personali, pur se giustificata dell’esercizio della funzione, non sia
esplicitamente prevista da una disposizione legislativa o regolamentare, va preceduta dalla notifica al
Garante per la protezione dei dati personali.

6-IL RIUTILIZZO DEL PSI DA PARTE DEI PRIVATI. Il complesso delle informazioni raccolte e detenute dal
settore pubblico, oltre che una risorsa conoscitiva del sistema pubblico, può essere visto anche come
insieme di beni. È in questo senso che si parla di riutilizzo del PSI, con riferimento alle attività di
produzione di beni e servizi, ed in generale di costruzione di nuova informazione e di nuova conoscenza
a partire dal PSI. Anche con riferimento a questa attitudine a concorrere ad alimentare la produzione e
la distribuzione di beni e servizi nel mercato, si usa spesso la nozione di patrimonio informativo
pubblico.
La direttiva è stata oggetto di una significativa revisione ispirata alla filosofia degli Open Data, secondo
cui il PSI andrebbe reso disponibile per il riutilizzo sempre, gratuitamente e informato aperto, perché si
ritiene che la società abbia già pagata per la raccolta e la formazione del PSI e perché si giudicano tali
beni come appartenenti alla categoria dei beni comuni. Nell’ordinamento italiano il regime di Open Data
si applica, infatti, a tutti i dati che le amministrazioni sono obbligate a pubblicare sui siti istituzionali a
fine di trasparenza. Con il recepimento delle modifiche alla direttiva UE tutte le amministrazioni
pubbliche sono tenute a rendere disponibili le informazioni di cui siano titolari ed a consentirne il
riutilizzo, fatte salve le sole eccezioni previste dalla legge. Sono escluse dal regime di riutilizzo le
informazioni coperte da diritti di uso esclusivo, i dati personali, nonché i dati che non siano pubblici.

7-L’EROGAZIONE DEI SERVIZI ON LINE E L’INTERAZIONE CON L’AMMINISTRAZIONE MEDIANTE LE ICT:


L’EGOVERNMENT. L’irruzione delle tecnologie dell’informazione ha costituito un fattore di cambiamento
ed una sfida notevole per le pubbliche amministrazioni.
Le tecnologie informatiche facilitano grandemente lo svolgimento delle attività delle amministrazioni. La
loro diffusione è oggetto di una serie di interventi e di politiche pubbliche che a sotto il nome di
eGovernment. Per eGovernment si intende <<l’uso delle tecnologie dell’informazione e della
comunicazione nelle pubbliche amministrazioni, coniugato a modifiche organizzative e all’acquisizione
di nuove competenze al fine di migliorare i servizi pubblici e i processi democratici e di rafforzare il
sostegno alle politiche pubbliche>>. Ha tre oggetti, tre dimensioni principali: la modernizzazione delle
amministrazioni, attraverso la gestione informatica dei documenti; l’interoperabilità e lo scambio di
informazioni tra amministrazioni, oggi possibile utilizzando la rete internet; l’attenzione ai rapporti con
i cittadini e le imprese; si pensi da un lato ai servizi on line, dall’altro alla trasparenza.

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L’Italia risulta stabilmente nelle ultime posizioni nelle classifiche europee relative alla funzione on-line
dei servizi.
I processi di eGovernment sfruttano la tecnologia di rete operando su due fronti, complementari tra
loro. Per un verso, le tecnologie di rete abilitano modalità di integrazione dell’istruttoria procedimentale
tra più amministrazioni fondate sullo scambio e la circolazione delle informazioni. Per altro verso, le
medesime tecnologie consentono al cittadino di attivare la relazione con l’amministrazione e fruire del
servizio mediante un terminale connesso alla rete.

8-LE POLITICHE DI DIGITALIZZAZIONE TRA LOGICA DEI DOCUMENTI E LOGICA DEI DATI. Il processo delle
politiche di eGovernment consiste appunto nelle opportunità aperte dalla digitalizzazione, ovvero dalla
disponibilità di codificare le informazioni in sequenze bit, di gestirle mediante applicazioni software e
farle circolare attraverso la rete. Da una parte, la digitalizzazione ha teso ad imitare la logica dei
documenti. Pertanto parte significativa della disciplina normativa è dedicata a definire i caratteri del
documento e degli strumenti di segnatura elettronica, in termini di formazione, gestione, circolazione e
conservazione.
Accanto alla logica documentale, il CAD dedica una significativa attenzione anche ad una diversa logica,
più coerente con l’ambiente dell’ICT, ossia la logica dei dati. Qui l’informazione viene presa in
considerazione non in quanto contenuto strutturato in forma di documento, ma in quanto insieme di
particelle informative elementari, strutturate e collegate tra loro secondo un particolare modello logico:
le banche dati. La disciplina delinea gli istituti che regolano la formazione, la diffusione, la circolazione
dei dati, all’interno del settore pubblico. La logica dei dati non sostituisce, ma piuttosto integra quella
dei documenti.

9-LE RINNOVATE ESIGENZE. Una delle ragioni che hanno determinato il ritardo nello sviluppo di coerenti
politiche di eGovernment può essere individuata nella prevalenza, ovvero la tendenza a progettare e
realizzare applicativi o piattaforme di eGovernment da parte di una singola amministrazione, sulla base
di soluzioni tecnologiche dedicate, e quindi disomogenee tra loro.
Questa constatazione ha posto in primo piano l’esigenza di adottare requisiti e standard condivisi a
livello nazionale per consentire la circolazione dei dati. Su questa linea si pone, ad esempio, l’approccio
per la definizione del Sistema Pubblico di Identità Digitale un meccanismo di identificazione unico.
A questi fini, risulta centrale l’esercizio della funzione di coordinamento informatico. Si prevede che
l’oggetto della funzione statale di coordinamento vada oltre i dati, per estendersi ai processi e alle
relative infrastrutture e piatta-forme informatiche delle amministrazioni statali, regionali e locali.
10-DIGITALIZZAZIONE E DIRITTI DEI CITTADINI. Vi è stata l’evoluzione dell’eGovernment, da fatto tecnico
a diritto dei cittadini <<I cittadini e le imprese hanno diritto a richiedere ed ottenere l’uso delle
tecnologie telematiche nelle comunicazioni con le pubbliche amministrazioni>>. A questo diritto all’uso
delle tecnologie si affiancano una serie di diritti che sono strumentali a questo o ne sono specificazione.
È dedicata specifica attenzione alla qualità dei servizi resi in rete, prevedendo il principio della loro
organizzazione e ri-organizzazione sulla base delle esigenze dell’utenza, ed alla soddisfazione
dell’utenza.
Lo Stato promuove iniziative volte a favorire l’alfabetizzazione informatica dei cittadini con particolare
riguardo alle categorie a rischio di esclusione.
La capacità di accesso alla rete diventa così uno strumento fondamentale per fruire non solo dei servizi
dell’amministrazione digitale, ma anche delle opportunità di conoscenza e partecipazione offerte da
Internet e si afferma cos’ l’importanza del superamento del divario digitale e si promuove una Carta dei
diritti nella quale sono definiti i principi e i criteri volti a garantire l’accesso universale della cittadinanza
alla rete internet.
È in ogni caso necessario tenere a mente che sono diversi i fattori che possono determinare ostacoli alla
possibilità di fruire delle opportunità della digitalizzazione tanto che si parla di “digital divides”.
La legge n.124 afferma il principio generale di riorganizzazione dei procedimenti e dei servizi mediante
una disciplina basta sulla loro digitalizzazione e per la piena realizzazione del principio innanzitutto
digitale. Questo principio tende a configurare la rete come luogo naturale di relazione tra
amministrazioni ed utenti.

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Il principio di esclusività digitale ha invece un carattere necessariamente eccezionale: in alcuni contesti il


legislatore prevede che la relazione tra amministrazioni ed utenti avvenga esclusivamente mediante
l’uso delle ICT. È evidente che il passaggio a formule di esclusività digitale rischia di produrre effetti
negativi in presenza di situazioni di divario digitale.

CAPITOLO 23 ( LA TRASPARENZA AMMINISTRATIVA)

1-COS’E’ LA TRASPARENZA. Il principio di trasparenza non è esplicitato in Costituzione, ma può derivare


da quello democratico e da quello di responsabilità e di imparzialità.
La trasparenza non era tra i principi generali della LPA nella sua versione originale, ma è stato introdotto
all’art.1 della legge n.15 del 2005. In realtà la LPA realizzava già dall’inizio la trasparenza in due modi:
con la normativa sull’accesso ai documenti amministrativi e con una disposizione sulla pubblicità. Molto
trascurato lo strumento della pubblicità, il cui scopo principale è stato fatto coincidere con la sola
pubblicità legale, cioè con la conoscenza che si presumeva raggiunta dei provvedimenti amministrativi
adottati dalle amministrazioni ai fini dell’acquisto di efficacia giuridica.

2-GLI SCOPI DELLA TRASPARENZA. L’amministrazione rende disponibili alla conoscenza dei cittadini: la
sua organizzazione, le sue regole di funzionamento, le attività svolte, i risultati conseguiti con l’azione. In
questa prospettiva la trasparenza coincide con la conoscenza, con la disponibilità effettiva delle
informazioni e si pone come strumento di controllo democratico, che i cittadini hanno il diritto di
esercitare sull’esercizio di funzioni che la legge ha conferito alle amministrazioni. Nella trasparenza si
intrecciano due principali finalità: la tutela dei diritti individuali e il controllo democratico diffuso
sull’amministrazione.
La trasparenza può rivelarsi strumento anche per il raggiungimento di finalità di interesse generale,
quali da un lato il buon andamento dall’altro l’imparzialità.

3-GLI STRUMENTI DELLA TRASPARENZA:L’ACCESSO. La LPA definisce oggi l’accesso come diritto, che
consiste nel <<diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti
amministrativi>>. L’accesso è un diritto soggettivamente delimitato ai soli interessati che la legge
formula così <<tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano
un interesse diretto, concreo e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e
collegata al documento al quale è chiesto l’acceso>>. L’accesso è poi oggettivamente delimitato. La LPA
prevede l’esclusione dall’accesso di alcune categorie di documenti.
L’interessato presenta una richiesta di accesso, motivata e con l’indicazione del documento di cui si
vuole prendere visione o estrarre copia. Sulla richiesta di accesso l’amministrazione pone i documenti
richiesti a disposizione entro il termine di 30 giorni, decorsi i quali la richiesta si ritiene negata. Il
richiedente, di fronte ad un diniego espresso o tacito, può allora rivolgersi al Difensore civico o alla
Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi; può rivolgersi anche direttamente al giudice
amministrativo. Il giudizio amministrativo si svolge con un rito abbreviato <<Il giudice decide con
sentenza in forma semplificata; sussistendone i presupposti, ordina l’esibizione dei documenti
richiesti>>.
Il diritto di accesso disciplinato nella LPA si configura come strumento funzionale alla tutela degli
interessati, mentre la sua utilizzazione come strumento di vera trasparenza, cioè di controllo
democratico diffuso, non solo è resa difficile, ma è esplicitamente vietate. Resta un oggettivo limite
dell’accesso: esso non può che riguardare singoli documenti e può consentire, anche se non vi fossero le
limitazioni soggettive e oggettive che abbiamo ricordato, solo visioni parziali dell’amministrazione,
legittimate dalle sole esigenze di tutela della situazione giuridica soggettiva del richiedente.

4-GLI STRUMENTI DELLA TRASPARENZA: LA PUBBLICITA’. La pubblicità nasce, come si è detto, come
forma di pubblicità legale, volta ad attribuire efficacia ad atti normativi e amministrativi. Una sua prima
utilizzazione come strumento di trasparenza sull’amministrazione si ha con l’art.26 che rende
obbligatoria la pubblicità nella forma della pubblicazione. Si noti, che in questa prima previsione della

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LPA, non si imponeva la pubblicazione né di provvedimenti, né di sintesi grafiche rappresentative


dell’organizzazione adottata ma, delle regole relative all’organizzazione e all’azione.
La LPA chiarisce che nei casi di pubblicazione di un documento, non vi è più bisogno di attivare richieste
di accesso. Le pubbliche amministrazioni, inizialmente solo a fini di comunicazione realizzano propri siti
informatici. Su questa scelta generalizzata delle amministrazioni si innesta il codice dell’amministrazione
digitale che disciplina il contenuto obbligatorio dei siti delle pubbliche amministrazioni centrali, gli
obblighi comprendono <<l’organigramma, l’articolazione degli uffici, le attribuzioni e l’organizzazione di
ciascun ufficio>>; <<l’elenco delle tipologie di procedimento svolte da ciascun ufficio>>; <<il nome del
responsabile e l’unità organizzativa responsabile dell’istruttoria>>; <<l’elenco di tutti i bandi di gara e di
concorso>>. Il codice dell’amministrazione digitale stabilisce anche la gratuità nell’uso dei documenti
pubblicati on-line e la qualità delle informazioni pubblicate.
Interviene poi la legge n.15 del 2009 <<La trasparenza è intesa come accessibilità totale, anche
attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti istituzionali delle amministrazioni pubbliche, delle
informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione, allo scopo di favorire forme diffuse di
controllo del rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità>>.
Contestualmente, nell’ambito più generale di politiche di eGovernment, di semplificazione e di
dematerializzazione, la pubblicazione via web tende sostituire le modalità tradizionali di pubblicità,
anche ai fini notiziali e di integrazione dell’efficacia.

5-IL REGIME SPECIFICO DELLA PUBBLICITA’ COME STRUMENTO DI TRASPARENZA. L’affermazione della
pubblicità, sotto forma di pubblicazione obbligatoria di documenti e informazioni nei siti delle
amministrazioni pubbliche, quale strumento preferenziale di realizzazione della trasparenza, trova il suo
compimento con l’emanazione di una disciplina organica.
In primo luogo, il testo legislativo esplicita che gli obblighi di pubblicazione sono direttamente funzionali
a soddisfare il diritto a conoscere dei cittadini. definisce in modo esteso i caratteri e le finalità della
trasparenza:<<1. La trasparenza è intesa come accessibilità totale delle informazioni concernenti
l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni>>; 2. La trasparenza, nel rispetto delle
disposizioni in materia di segreto, concorre ad attuare il principio democratico e i principi costituzionali
di eguaglianza, di imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di
risorse pubbliche, integrità e lealtà nel servizio alla nazione.
Il d.lgs. n.33 del 2013 disegna un regime giuridico specifico e differenziato destinato ad applicarsi agli
obblighi di trasparenza in esso previsti. Il decreto prevede che i documenti, le informazioni ed i dati
siano pubblicati in una specifica sezione del sito per un periodo di tempo prestabilito e che tali
contenuti siano indicizzabili dai motori di ricerca generalisti e immediatamente attingibili dal web.
A fronte dell’eventuale inadempimento degli obblighi di pubblicazione, è riconosciuto l’accesso civico,
una pretesa conoscitiva attivabile da parte di chiunque in modo gratuito e senza necessità di motivare la
richiesta, con la quale si può rivendicare il diritto di ricevere le informazioni di cui è stata omessa la
pubblicazione. Si realizza così, anche in termini di rimedi il collegamento tra obblighi di pubblicazione e
diritto a conoscere.
Oltre al diritto di accesso civico, ulteriori strumento di enforcement della disciplina in materia di
trasparenza sono affidati all’Autorità nazionale anticorruzione, cui sono assegnati compiti di regolazione
e precisazione degli obblighi informativi, sia poteri di vigilanza, controllo e sanzione in caso di
inadempimento da parte delle amministrazioni di questi obblighi.

6-LA RELAZIONE TRA PUBBLICITA’ E ACCESSO. Con l’adozione del d.lgs. n.33 del 2013 il modello italiano
di realizzazione della trasparenza amministrativa si consolida come affatto peculiare, rispetto al
panorama internazionale, ed europeo in particolare, dove il riconoscimento di un diritto di accesso
generalizzato alle informazioni costituisce oramai un common legal standard. Il diritto di accesso
generalizzato ai documenti è oggetto di una specifica convenzione del Consiglio d’Europa; è riconosciuto
tra i diritti fondamentali dell’UE della Carta dei diritti fondamentali.
Nell’ordinamento italiano, invece, la pubblicità, è diventata fino alla riforma del 2015 il solo strumento
di trasparenza volta al controllo democratico da parte dei cittadini, in grado di realizzarne il diritto a
conoscere; mediante la pubblicità, che abilita anche una fruibilità uniforme e generalizzata, è assicurata

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la conoscibilità delle sole informazioni oggetto di pubblicazione obbligatoria, così come individuate dal
legislatore. L’accesso pur con le limitazioni intrinseche che abbiamo considerato, resta invece un
strumento la cui utilizzazione è rimessa al cittadino. Il legislatore del 2015 ha ritenuto necessario
allineare la nostra disciplina a quella di altri ordinamenti, verso un accesso generalizzato, aperto a
chiunque ne faccia richiesta, senza doverla motivare.

7-TRASPARENZA E PRIVACY. Sia l’accesso che la pubblicità, in quanto strumentali alla


trasparenza/conoscibilità, si pongono in potenziale ed oggettivo contrasto con le esigenze di tutela della
riservatezza dei dati personali.
Per dati personali si intende: <<qualunque informazione relativa a persona fisica, persona giuridica,
ente o associazione, identificati o identificabili, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi
altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale; per dati sensibili invece si
intendono<< dati idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, nonché i dati personali idonei a rivelare lo
stato di salite e la vota sessuale>>; a tale categoria sono equiparati i dati giudiziari. Si ricava la categoria
dei dati personali comuni costituita da tutti i dati personali diversi da quelli sensibili o giudiziari. Lo
scopo di fondo della disciplina del Codice privacy sta nella limitazione dell’accessibilità a questi dati, in
via generale e in particolare quando questi dati sono detenuti da pubbliche amministrazioni. Il Codice
privacy distingue tra comunicazione(dare a conoscenza dei dati personali a uno o più soggetti
determinati diversi dall’interessato) e diffusione (dare a conoscenza dei dati personali a soggetti
indeterminati, in qualunque forma).
ACCESSO E PRIVACICon riferimento all’accesso occorre distinguere tra richieste di accesso che
riguardino direttamente i dati personali dell’istante e richieste che riguardino i documenti
amministrativi contenenti questi dati. Nel primo caso si applica l’art.7 del codice privacy, che garantisce
all’interessato il diritto di conoscere quali dati siano in possesso dell’amministrazione e di chiederne la
rettificazione. Nel secondo caso si applica la LPA, che da un lato considera i dati personali come esclusi
dall’accesso e dall’altro fa prevalere, nel bilanciamento tra esigenze di tutela ed esigenze di riservatezza,
l’accesso, quando questo sia necessario <<per curare o per difendere i propri interessi giuridici>>.
Questa prevalenza è oggetto di una specifica graduazione: quando si tratta di dati personali comuni,
l’accesso prevale senz’altro; quando si tratta di dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti
in cui sia strettamente indispensabile; quando si tratta di dati super-sensibili l’accesso può essere
consentito solo se la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di
accesso ai documenti amministrativi è di rango almeno pari ai diritto dell’interessato; quando si tratta
di informazioni di carattere psico-attitudinale nei procedimenti selettivi, l’accesso è escluso tout court
dal legislatore, trattandosi di dati inaccessibili.
PUBBLICITA’ E PRIVACYCon la pubblicazione di documenti detenuti dall’amministrazione contenenti
dati personali o sensibili, le informazioni vengono portate alla conoscenza di un numero indeterminato
di persone. Il Codice della privacy disciplina le diverse ipotesi di diffusione dei dati personali: le
amministrazioni pubbliche, possono trattare dati di carattere personale, anche sensibile e giudiziario, ai
soli fini del loro esercizio; la diffusione da parte di un soggetto pubblico è ammessa unicamente quando
prevista da una norma di legge o di regolamento; la diffusione dei dati sensibili e giudiziari può essere
disposta solo se prevista da espressa disposizione di legge; la diffusione di dati idonei a rivelare lo stato
di salute è sempre vietata. La tendenza è la prevalenza della riservatezza sulla pubblicità. Nel caso di
espliciti obblighi di pubblicazione relativa a dati personali comuni, essa comporta senz’altro la loro
diffusione, cos’ come la loro indicizzazione da parte dei motori di ricerca. Fanno eccezione i dati
identificativi qualora consentono di ricavare informazioni non solo quanto allo stato di salute ma anche
in relazione alla situazione di disagio economico-sociale degli interessati.
Nel caso di obblighi di pubblicazione previsti da altre disposizioni normative le amministrazioni sono
tenute a ridurre al minimo l’utilizzazione dei dati personali. Anche in presenza di un obbligo di
pubblicazione di determinati documenti o informazioni spetta alle amministrazioni l’onere di <<rendere
intelligibili i dati personali non pertinenti rispetto alle specifiche finalità della pubblicazione>>.
Rispetto al diritto al riutilizzo dei dati personali esso è ritenuto ammissibile solo se le relative attività
risultano compatibili con le finalità della pubblicazione.

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Si deve segnalare la tendenza recente del legislatore a imporre la pubblicazione di dati relativi ai
funzionari pubblici. Si tratta di una pubblicazione imposta in vista del rafforzamento dell’imparzialità del
funzionario e di lotta alla corruzione.

8-L’APPLICAZIONE DEGLI OBBLIGHI DI TRASPARENZA NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE.

8.1-LA TRASPARENZA COME LIVELLO ESSENZIALE DELLE PRESTAZIONI. Le distinte discipline, dell’accesso
e della pubblicità, sono emanate da leggi dello Stato e sono dichiarate immediatamente applicabili per
le amministrazioni statali e per gli enti pubblici nazionali, mentre la loro estensione anche agli enti
territoriali, può apparire problematica per l’assenza di un ‘esplicita riserva di competenza legislativa in
capo allo Stato. Il titolo principale esplicitamente invocato dal legislatore statale al fine di imporre
l’osservanza della disciplina di tali discipline a livello regionale e locale è rappresentato dalla loro
configurazione quali livelli essenziali delle prestazioni. Con la conseguenza che Regioni ed enti locali
devono rispettare il livello minimo previsto dalla legge statale, ma possono prevedere livelli ulteriori di
tutela.

8.2-IL COORDINAMENTO DEI DATI. Sia la legge delega che il d.lgs. n.33 del 2013 richiamano
esplicitamente anche questo titolo di legittimazione, quale fondamento del potere di determinare il
contenuto degli obblighi di pubblicazione, così come anche le specifiche modalità, uniformi, di
assolvimento di tali obblighi. L’ANAC definisce criteri, modelli e schemi standard per l’organizzazione, la
codificazione e la rappresentazione dei documenti, delle informazioni e dei dati oggetto di
pubblicazione obbligatoria ai sensi della normativa vigente, nonché relativamente all’organizzazione
della sezione “Amministrazione trasparente”.

9-LA TRASPARENZA NEGLI ALTRI ORDINAMENTI. Il modello primigenio è quello scandinavo, in


particolare svedese, dove si afferma il diritto del cittadino di accedere alle informazioni già nel XVII
secolo. In tutti questi casi lo strumento principale di trasparenza è l’accesso ai documenti detenuti dalle
amministrazioni pubbliche, accesso che si configura necessariamente come ampio, non limitato
soggettivamente e non sottoposto a obblighi di motivazione della richiesta.
Per l’incertezza sull’applicazione concreta e a causa delle resistenze che ovunque le amministrazioni
pubbliche oppongono agli obblighi di trasparenza, le discipline si occupano di rendere il più possibile
operative le loro disposizioni. In Francia viene istituita la Commission d’acce aux documents
administratifs, cui è attribuito un potere di parere sulle richieste dei cittadini che lamentano un rifiuto
dell’amministrazione. Nel Regno Unito la legge 2000 non solo prevede l’adozione da parte del Governo
di un Code of Practice, in grado di guidare le amministrazioni nelle azioni positive necessarie per
organizzarsi adeguatamente al fine di rispondere tempestivamente alle richieste di accesso, ma
istituisce un Information Commissioner e un Infrmation Tribunal, entrambi autorità amministrative e
non giurisdizionali, ma indipendenti dalle amministrazioni e dotate di penetranti poteri nei casi di
diniego di accesso. In Germania il diritto di accesso è stato considerato come compreso nella
partecipazione dell’interessato al procedimento amministrativo. Nel 2005 è stata adottata una disciplina
a livello federale che riconosce un diritto di accesso generalizzato alle informazioni detenute dalle
amministrazioni e dagli enti pubblici federali.
Quanto agli obblighi di pubblicità sono ancora pochi i casi paragonabili a quello italiano, di forte
investimento sulla diffusione obbligatoria di informazione da parte della amministrazioni. In Francia
sono pubblicati atti contenenti normative, direttive, istruzioni , interpretazioni di legge, descrizioni di
procedure amministrative, ma non documenti direttamente concernenti l’organizzazione o l’azione
amministrativa. In Germania l’estensione dello strumento pubblicità dipende dall’interpretazione che
Bund e Lander vogliono dare alla nozione di libertà di informazione. Diverso il caso spagnolo: qui la
legge impone ai soggetti pubblici una serie di obblighi informativi, da realizzarsi mediante la
pubblicazione obbligatoria su siti istituzionali. Più avanzata risulta la soluzione inglese: il FOI ACT del
2000, impone alle pubbliche amministrazioni l’attiva diffusione via web di una serie di informazioni.

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10-LA PROSPETTIVA DEL DIRITTO DI ACCESSO GENERALIZZATO. Nella recente legge delega di riforma
complessiva della pubblica amministrazione vi è una delega esplicitamente diretta a riconoscere <<la
liberà di informazione attraverso il diritto di accesso, anche per via telematica, di chiunque, a dati e
documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, salvi i casi di segreto o di divieto di divulgazione
previsti dall’ordinamento e nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati, al fine
di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali>>.
La delega, dunque, è finalizzata a riconoscere in capo a chiunque un diritto di accesso generalizzato, non
subordinato ad una specifica legittimazione soggettiva, ma limitato solo in termini oggettivi. Il testo
della delega reca in sé una contraddizione, nella misura in cui indica il diritto di accesso come
strumentale a garantire una condizione di libertà, ed allo stesso tempo ne esplicita una specifica finalità.
In questo modo si ribadisce il legame tra esercizio del diritto a conoscere e trasparenza amministrativa.

CAPITOLO 24 (LE SEMPLIFICAZIONI)

1-PERCHE’ E COSA SEMPLIFICARE?.La legge n.241 del 1990 dedica un apposito Capo alla semplificazione
dell’azione amministrativa. Sono interventi coerenti con l’impostazione di fondo della LPA: non scrivere
una disciplina di dettaglio del procedimento-tipo dell’azione amministrativa, ma introdurre delle norme
che spingano le amministrazioni ad autoriformare.
L’azione si svolge sulla base di regole che individuano le funzioni, le attribuiscono ad enti e disciplinano
poi il compimento delle diverse attività del procedimento. Non sono stati considerati gli effetti sui tempi
dell’azione, sulla sua efficienza ed efficacia, sugli oneri amministrativi che ricadono sui soggetti privati.
La semplificazione si occupa proprio di ridurre, se non eliminare, le conseguenze negative segnalate.
Essa tende a intrecciarsi, ma non va confusa, con la liberalizzazione di attività, che consiste nella
riduzione o eliminazione di regolazioni di attività. Le semplificazioni hanno lo scopo di ridurre gli effetti
indesiderati di regolazioni eccessive, ma non mirano ad eliminare del tutto queste regolazioni.

2.SEMPLIFICAZIONI NORMATIVE E AMMINISTRATIVE. L’azione amministrativa può essere resa più


difficile, da una serie di fenomeni. In primo luogo l’azione può essere complessa perché essa risulta
regolata da un numero eccessivo di norme, con la possibile ulteriore complicazione del mandato
coordinamento tra disposizioni. Allorché l’oggetto della semplificazione sono le norme si parla di
semplificazione normativa, volta alla riduzione di quello che viene definito come stock normativo. Si
pensi alla redazione di testi unici; si pensi all’introduzione di regole per l’analisi dell’impatto della
regolazione ancora prima dell’emanazione formale delle norme con le quali si procede a simulazioni
dell’attuazione delle norme e se ne valuta l’impatto sui tempi.
In secondo luogo l’azione è resa complessa dal necessario intervento, nei procedimenti amministrativi di
altri soggetti con poteri consultivi o decisionali. Questo può rendere molto lungo l’iter procedimentale.
Dal coinvolgimento di amministrazioni diverse discende l’esigenza, che l’amministrazione procedente sia
messa nelle condizioni di assicurare comunque il tempestivo svolgimento del procedimento, e questo
avviene riconoscendo al responsabile del procedimento la possibilità di prescindere da pareri non dati
nei tempi previsti. Il legislatore ha previsto un nuovo istituto, il silenzio inter-amministrativo.
In terzo luogo l’azione può dipendere dal compimento da parte dei soggetti privati interessati di una
serie di adempimenti. Gli ultimi due ordini di problemi sono affrontati con la cosiddetta semplificazione
amministrativa, perché l’oggetto della semplificazione sono procedimenti amministrativi, da rendere
meno complessi e meno onerosi. Nella semplificazione amministrativa si comprendono almeno tre
tipologie di interventi.
1. SEMPLIFICAZIONI ORGANIZZATIVE Sono semplificazioni cui si giunge non attraverso l’analisi di
singoli procedimenti, ma con analisi di tipo funzionale e organizzativo in generale. Di queste
semplificazioni è utile sottolinearne due aspetti. Il primo è che l’organizzazione, intesa come
articolazione e distribuzione delle funzioni è finalizzata alla cura degli interessi pubblici e al
minor sacrificio possibile degli interessi privati coinvolti. Il secondo è l’accentuazione recente
delle semplificazioni organizzative in funzione economica. Se esse consentono di raggiungere
una riduzione degli apparati al servizio delle funzioni e una semplificazione dell’azione si

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attendono da questi interventi importanti contributi ai risparmi di spesa e alla crescita


economica.
2. SEMPLIFICAZIONE DEI PROCEDIMENTI AMMINISTRATIVI Vi sono due modi per semplificare i
procedimenti amministrativi: da un lato la semplificazione in via generale con norme applicabili
ad un numero indefinito di procedimenti che abbiano determinate caratteristiche, dall’altro la
semplificazione di singoli procedimenti. La prima strada è quella assunta dalla LPA, la seconda
dalla legislazione successiva. Questa seconda strada diventa una vera e propria strategia della
semplificazione, che prevede una legge annuale di semplificazione avente ad oggetto
l’individuazione dei procedimenti da semplificare e l’adozione dello strumento della
delegificazione. La legge, individua i procedimenti e fissa i criteri per una loro disciplina, con
regolamento delegato. In questo modo la regolazione dei procedimenti avviene con normative
più flessibili e più facilmente modificabili. A partire dal 2003 si è modificata la disciplina di base
della legge n.59: la politica di semplificazione diventa anche di riassetto normativo. Lo
strumento principe di attuazione delle leggi annuali sono i decreti legislativi e solo in subordine i
regolamenti governativi. Si ricordi sempre che le due strade indicate non sono tra loro
incompatibili perché mentre da un lato si persegue l’obiettivo della semplificazione con norme
generali, ben può rivelarsi utile un’opera di revisione puntuale di singoli procedimenti al fine
della loro semplificazione.

3-LE SEMPLIFICAZIONI IN VIA GENERALE DELLA LPA(3 TIPO).

3.1-IL TERMINE. La prima semplificazione prevista dalla LPA è la necessaria individuazione del termine finale
per l’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento. L’obbligo del rispetto del termine costringe
le amministrazioni, che non vi siano obbligate per altra via, a rivedere i propri procedimenti e a semplificarli
a questo fine. Per rafforzare l’attenzione al rispetto dei termini dell’azione amministrativa il legislatore ha
introdotto da ultimo anche una specifica forma di indennizzo forfetario per mero ritardo.

3.2-LA CONFERENZA DEI SERVIZI. Laddove si tratta di un esame contestuale di vari interessi pubblici
coinvolti in un procedimento amministrativo, l’amministrazione procedente indice di regola una conferenza
di servizi che si presente come una forma di collaborazione volontaria tra le amministrazioni. I problemi
nascono con le successive modificazioni di queste norme, tutte caratterizzate dall’intento di trasformare la
conferenza istruttoria in conferenza decisoria, che viene indetta <<quando l’amministrazione procedente
debba acquisire intese, concerti, nullaosta o assensi comunque denominati di altre amministrazioni
pubbliche>>. L’indizione delle conferenza a fini decisori è stata resa obbligatoria.
Lo scopo principale di queste successive modificazioni è l’adozione di modelli decisionali che consentano di
superare, il dissenso di altre amministrazioni.
La disciplina della conferenza non sembra aver trovato una sua definizione stabile, come è confermato dal
fatto che la legge n.124 delega il governo per un ridisegno complessivo della materia, ponendo una serie di
indicazioni per la riforma dell’istituto destinate ad incidere sulle due principali questioni. La prima riguarda
la ricerca di meccanismi di superamento dei dissensi espressi in conferenza. La seconda, la natura giuridica
della conferenza.
IL SUPERAMENTO DEI DISSENSI Siamo in presenza di una conferenza convocata obbligatoriamente, alla
quale quindi le amministrazioni convocate devono intervenire. Formata regolarmente la conferenza,
confrontate le posizione delle amministrazioni, se vi è accordo unanime la conferenza ha raggiunto il suo
obiettivo di semplificazione. Nel caso, in cui una o più amministrazioni manifestino il proprio dissenso sul
provvedimento finale si pone il problema di adottare sistemi di legittimo superamento dei dissensi espressi,
problema non piccolo perché si tratta sempre di dissensi qualificati espressi da amministrazioni che
esercitano funzioni amministrative di cura di interessi pubblici. Sono stati tentati vari accorgimenti. Una
prima revisione integrale della disciplina arrivò ad ipotizzare che la decisione potesse essere presa a
maggioranza delle amministrazioni partecipanti alla conferenza. La legge n.15 ha rivisto ancora una volta la
materia, attribuendo all’amministrazione titolare dell’interesse pubblico prevalente il potere di decidere,
<<valutare le specifiche risultanza della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in
quella sede>>.

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Al criterio della maggioranza si sostituisce il criterio della prevalenza valutata.


Il legislatore prevede in ogni caso che il dissenso, per essere considerato tale debba essere espresso
esplicitamente. Per essere considerato legittimamente reso, il dissenso deve intervenire durante i lavori
della conferenza, deve essere manifestato nella conferenza e <<deve essere congruamente motivato, non
può riferirsi a questioni connesse che non costituiscono oggetto della conferenza medesima>>. La legge
prevede in ultima istanza un meccanismo che, attraverso il coinvolgimento della Presidenza del Consiglio
dei Ministri, mira al superamento del dissenso nel rispetto del principio di leale collaborazione.
La conferenza è un istituto nato per la composizione di interessi tra amministrazioni equiordinate. Quando
viene applicato ad interessi non paritari la conferenza può favorire l’accorso, ma, laddove fallisca, l’ultima
parola non può che aspettare all’autorità superiore.
In caso di dissenso legittimamente ed esplicitamente espresso da amministrazioni preposte (tutela
ambientale, territoriale, patrimonio storico, salute…) la legge prevede una complessa fase decisionale che
rimette la decisione finale ad istanze amministrative superiori, con il coinvolgimento della Presidenza del
Consiglio.
La legge n.124 mira a rivedere questo impianto, favorendo la formazione di una posizione unitaria delle
diverse amministrazioni statali coinvolte sin dall’avvio dei lavori della conferenza, prevedendo che le
posizioni statali, regionali o locali siano unitariamente rappresentate in conferenza. In conferenza è in ogni
caso assicurata <<la necessaria composizione degli interessi pubblici>>.
LA NATURA GIURIDICA DELLA CONFERENZA DI SERVIZI. Basti qui ricordare le diverse posizioni sostenute in
dottrina: da un lato chi ha visto nella conferenza un nuovo organo collegiale; dall’altro chi vi vedeva niente
più che un modello procedimentale, una soluzione per l’acquisizione delle volontà delle amministrazioni
coinvolte, ma senza la creazione di alcun nuovo organo. La conferenza solo istruttoria non pone in realtà
alcun problema: le amministrazioni esprimono contestualmente il proprio parere. La conferenza decisoria,
invece, soprattutto nella vigenza della norma che prevedeva di adottare decisioni a maggioranza, aveva fatto
sorgere legittimamente il dubbio sulla sua natura di specialissimo organo collegiale. Oggi, con la
disposizione prima richiamata che attribuisce la decisione finale all’amministrazione procedente la
configurazione della conferenza come organo collegiale dotato di proprie competenze non regge più: resta
un modulo procedimentale semplificato.

3.3-SILENZIO ENDOPROCEDIMENTALE. La legge n.241appronta strumenti per il superamento delle inerzie


interne al procedimento; si tratta di strumenti di carattere generale applicabili ad un numero indeterminato
di procedimenti. In alcuni casi la disfunzione non dipende dall’amministrazione procedente, ma
dall’inoperosità di altri soggetti pubblici, che non compiono tempestivamente gli atti istruttori loro richiesti
e necessari perché l’amministrazione procedente possa assumere la loro decisione finale. Questa attività
consultiva può avere carattere amministrativo, perché con il parere l’amministrazione esprime la propria
valutazione sul provvedimento da adottare in rapporto alla funzione di cui è attributario.
Il superamento del silenzio per pareri amministrativi è disciplinato dall’art.16 LPA, che in primo luogo fissa
un termine molto corto per l’emissione di pareri, siano essi obbligatori o facoltativi; l’amministrazione
procedente può prescindere da pareri obbligatori se non resi nel termine, ovvero deve prescindere se i
pareri sono facoltativi. Nel caso di pareri obbligatori, vi è sì un’inerzia dell’amministrazione che li dovrebbe
esprimere, ma l’amministrazione procedente può ritenere comunque necessario acquisire un parere che
ritenga importante ai fini della decisione; nel caso di parere facoltativo è l’amministrazione procedente che
richiede il parere, ma la mancata emissione di questo non può essere motivo di ritardo nell’adozione del
provvedimento finale.
Per le valutazioni tecniche, l’art 17 LPA non consente all’amministrazione procedente di prescinderne, ma di
richiedere il parere ad altri organi.
Il nuovo art.17-bis disciplina un’ipotesi che a prima vista appare di ordine generale, ma che a ben vedere
attiene alle ipotesi in cui l’attività consultiva di altre amministrazioni non si collochi nella fase istruttoria, ma
in quella decisoria: lo “schema di provvedimento”, deve essere stato previamente comunicato ed il silenzio
equivale ad assenso rispetto al provvedimento stesso. I termini ordinari per la formazione di questo silenzio-
assenso interamministrativo sono di trenta giorni.
In caso di dissenso tra amministrazioni statali rispetto allo schema di provvedimento, sposta a livello di
Presidenza del Consiglio la definizione della questione.

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3.4-LA SEGNALAZIONE CERTIFICATA DI INIZIO ATTIVITA’ (SCIA). Siamo in presenza di uno strumento di
semplificazione molto tormentato. Lo scopo di fondo della disciplina è quello di sostituire provvedimenti
amministrativi di carattere autorizzatorio con atti dei privati interessati che abilitano il privato allo
svolgimento di attività prima soggette ad autorizzazione. La versione originaria dell’art.19 attribuiva alle
amministrazioni il compito di individuare i provvedimenti autorizzatori che potessero essere sostituiti con
un atto del privato interessato, definito come denuncia di inizio attività; tale denuncia consentiva l’inizio
delle attività, ma l’amministrazione aveva il dovere di verificare la sussistenza dei requisiti e in caso di loro
mancanza, notificare, entro 60 giorni, il divieto di prosecuzione dell’attività. Per rendere la semplificazione
più immediata si ricercò un meccanismo di tipo automatico, nel quale era la stessa legge a individuare con
una disposizione di carattere generale i casi di possibile sostituzione dell’atto del consenso con la d.i.a. Per
limitare la portata della nuova disciplina si confinò l’applicazione della d.i.a ai soli casi di provvedimenti
fortemente vincolati dalla disciplina di settore e si escluse l’applicazione dell’istituto ad una lunga serie di
provvedimenti in materie sensibili. La terza modificazione manteneva il carattere automatico della
sostituzione del provvedimento con la dichiarazione di inizio attività, che però non consentiva l’immediato
inizio dell’attività sottoposta ad atto di consenso. Occorreva attendere 30 giorni dalla prima dichiarazione
per presentare una seconda comunicazione di inizio attività. Restava la limitazione ai provvedimenti
vincolati e restava una lunga elencazione di materie, attinenti a interessi pubblici sensibili, nelle quali la d.i.a
non si applicava. La quarta e ultima modificazione ha cambiato la denominazione dell’atto del privato, che
diviene segnalazione certificata di inizio attività, ed è tornata a consentire l’immediato inizio delle attività
alla data di presentazione della s.c.i.a e a lasciare all’amministrazione il termine di 60 giorni per adottare
motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività.
Di questa disciplina è opportuno qui sottolineare alcuni tratti essenziali. In primo luogo essa si applica solo
ad atti amministrativi vincolati o comunque privi di un’ampia discrezionalità. In secondo luogo gli effetti
della sostituzione del provvedimento espresso con l’atto privato. Si è a lungo discusso in dottrina e in
giurisprudenza se l’atto del privato sia da considerarsi un provvedimento tacito dell’amministrazione o no.
Nel primo caso l’amministrazione, che deve comunque svolgere un’attività di verifica dei requisiti e dei
presupposti di legge, con il suo silenzio operoso non interviene in una fattispecie che fa derivare dall’atto del
privato il diritto allo svolgimento dell’attività. Nel secondo caso il provvedimento è effettivamente sostituito
dall’atto del privato e questo non ha caratteri di provvedimento amministrativo. Questa interpretazione è
oggi obbligata perché il testo vigente contiene un nuovo comma che dichiara che gli atti dei privati <<non
costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili>>. In terzo luogo una simile disciplina lascia
aperta la questione della tutela dei terzi interessati, soprattutto di coloro che dall’inizio delle attività
ricevono un danno. Il terzo può impugnare il silenzio dell’amministrazione, il quale è oggetto di eventuali
provvedimenti di revoca o di annullamento di ufficio. Ci si chiede se si sia di fronte a una semplificazione
procedimentale o a una liberalizzazione di attività. L’espressa esclusione del carattere di provvedimento
tacito dell’atto del privato sembra andare nel senso della liberalizzazione. Anche se l’atto amministrativo è
sostituito dall’atto del privato, l’attività resta sottoposta a una regolazione amministrativa.
Una riforma introdotta nel 2014, successivamente rivista nel 2015, limitava l’esercizio di potere di
autotutela della amministrazioni alle sole ipotesi di pericolo in concreto per il patrimonio artistico e
culturale, per l’ambiente, la salute: questo significava l’idea di una soluzione di liberalizzazione, con
salvaguardia di un ruolo dell’amministrazione solo in presenza di questi interessi.
Nel 2015 pur restando presente l’attenzione a limitare i poteri di revoca dell’amministrazione, la nuova
formulazione dell’art.19 ammette di nuovo in via generale la possibilità per l’amministrazione di intervenire
anche decorsi i termini di verifica delle segnalazioni, ma con due limiti: prevede che vadano per quanto
possibile salvaguardate le attività che possono essere conformate adottando le necessarie misure; dispone
che i poteri di autotutela dovranno rispettare i requisiti richiesti per l’annullamento d’ufficio e non quelli
previsti per la revoca.
Ci troviamo pur sempre di fronte ad attività regolare, semplificate quanto al procedimento di accertamento
delle condizioni che ne permettono l’inizio, con una limitazione del potere di autotutela
dell’amministrazione ed un rafforzamento della posizione del richiedente.

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Per quanto attiene all’applicazione dell’istituto alle amministrazioni regionali l’art.29 comprende queste
disposizioni tra quelle attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni, come tali direttamente applicabili anche
agli enti autonomi.

3.5-SILENZIO ASSENSO (ART.20 LPA). Anche con il silenzio assenso si intende semplificare lo svolgimento di
attività private sottoposte a regolazione. Nei procedimenti ad istanza di parte il privato presenta una
domanda di provvedimento, avviando così il procedimento.
Questo procedimento ha, un termine di conclusione. Entro il termine l’amministrazione può adottare il
provvedimento di accoglimento o un provvedimento di diniego, che comunica all’interessato. Decorso
infruttuosamente il termine senza che l’amministrazione abbia provveduto, il silenzio <<equivale a
provvedimento di accoglimento della domanda>>. Il privato, dopo aver ottenuto il provvedimento positivo
può svolgere l’attività. I procedimenti interessati sono quelli <<ad istanza di parte>>, cioè avviata dai privati
interessati a provvedimenti ampliativi della loro sfera giuridica, quali autorizzazioni o concessioni.
Per il silenzio assenso, come per la s.c.i.a, sarà il diretto interessato, interpretando la norma e considerando
il proprio caso, a stabilire se può ritenere maturato il silenzio assenso: per ridurre l’incertezza che può
derivarne, la legge affida al governo il compito di individuare con precisione i casi in cui si applicano i diversi
regimi autorizzatori.
Anche per il silenzio assenso la disciplina prevede un lungo elenco di materie escluse dalla sua applicazione
(atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico). È consentito al Governo individuare,
con decreto del P.C.M, singoli provvedimenti sottratti al silenzio assenso. Per gli enti territoriali per entrambi
gli istituti è prevista <<la possibilità di individuare, con intese in sede di Conferenza unificata casi ulteriori in
cui tali disposizioni non si applicano>>.

3.6-DIFFERENZE TRA SEGNALAZIONE CERTIFICATA DI INIZIO ATTIVITA’ E SILENZIO ASSENSO. Vi sono anche
importanti differenze tra i due strumenti generali di semplificazione.
La prima riguarda la formazione di un provvedimento tacito: oggi questa evenienza è esclusa per la s.c.i.a,
mentre è espressamente prevista per il silenzio assenso. Anche i poteri di autotutela hanno nei due casi
oggetti diversi: nel caso della s.c.i.a oggetto di revoca o annullamento d’ufficio è il silenzio tenuto
dall’amministrazione che non ha impedito l’inizio dell’attività del privato; nel caso del silenzio assenso
oggetto dell’autotutela è il provvedimento tacito formatosi con il silenzio.
La seconda differenza riguarda il carattere dei provvedimenti semplificati: la s.c.i.a si applica solo agli atti
vincolati, mentre tale limitazione non vale per il silenzio assenso.
La terza differenza: nonostante la volontà del legislatore di rendere la disciplina nei due casi automatica,
questo vale sicuramente per la s.c.i.a, mentre i casi di esclusione del silenzio assenso possono essere
ulteriormente individuati dalle amministrazioni.
La quarta differenza attiene all’inclusione di questi istituti tra quelli di semplificazione o di liberalizzazione.
Per il silenzio assenso nessun dubbio è possibile: le attività sottoposte ad autorizzazione o le prestazioni che
il privato che il privato richiede all’amministrazione restano sicuramente oggetto di un provvedimento
amministrativo. Il silenzio assenso semplifica, accelera, il formarsi del provvedimento, sicuramente non lo
elimina.

4-LE SEMPLIFICAZIONI GENERALI AL DI FUORI DELLA LPA.

4.1-SPORTELLI UNICI. Nel nostro ordinamento da tempo sono in atto politiche di semplificazione
denominate “sportelli unici”. Con lo sportello unico si crea un solo punto di riferimento per il cittadino per
l’ottenimento in via accelerata di tutte le autorizzazioni. Nel caso degli Suap, il Comune si pone come
l’amministrazione di riferimento e sarà poi suo compito raccordarsi con tutte le amministrazioni competenti
al rilascio di atti, pareri, intese, e provvedimenti finali necessari. Ogni Stato membro era tenuto a costituire
entro il dicembre del 2009 uno sportello unico per assicurare lo start u delle imprese e <<per la
realizzazione e la modifica di impianti produttivi di beni e servizi>>. L’Italia ha recepito la direttiva servizi con
la legge n.133 che rinvia a regolamento di delegificazione la disciplina dello sportello unico, che costituisce
<<l’unico punto di accesso per il richiedente in relazione a tutte le vicende amministrative riguardanti la sua

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attività produttiva fornisce, altresì, una risposta unica e tempestiva in luogo di tutte le pubbliche
amministrazioni comunque coinvolte nel procedimento.
La novità più rilevante è data dal fatto che nel caso dello sportello unico questa soluzione diviene
percorribile anche in presenza di una pluralità di procedimento che interessano una stessa attività, in
particolare in occasione dell’avvio di nuove attività economiche o di realizzazione di interventi in campo
edilizio.

4.2-IL TAGLIA-ONERI AMMINISTRATIVI. La legge n.133 del 2008 prevede l’approvazione di un <<programma
per la misurazione degli oneri amministrativi derivanti da obblighi informativi nelle materie affidate alla
competenza dello Stato, con l’obiettivo di giungere alla riduzione di tali oneri>>. Questa politica viene
ripresa dalla legge del 2011 che da un lato impone che i regolamenti e gli atti amministrativi generali
contenenti regolazioni di <<poteri autorizzatori, concessori o certificatori>> debbano <<recare in allegato
l’elenco di tutti gli oneri informativi>> che consistono in <<qualunque adempimento che comporti la
raccolta, elaborazione, la trasmissione, la conservazione e la produzione di informazioni e documenti alla
pubblica amministrazione>> e dall’altro prevede la <<compensazione degli oneri regolatori, informativi e
amministrativi>>, che consiste nell’obbligo, in caso di introduzione di nuovi oneri, di <<ridurne o eliminarne
altri, per un pari importo stimato, con riferimento al medesimo arco temporale>>.
Il d.l. n.5 del 2012 ha previsto un rafforzamento di questo impianto.

4.3-LE LIBERALIZZAZIONI CON PROVVEDIMENTI GENERALI E D’URGENZA. Negli ultimi tempi si segnala una
netta accelerazione di provvedimenti legislativi, adottati addirittura con decreto-legge, per liberalizzare le
attività di impresa. Il primo è attuato con la legge n.148 del 2011: si introduce <<il principio secondo cui
l’iniziativa e l’attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente
vietato dalla legge>>; segue l’indicazione di una serie di finalità che consentono alla legge di vietare
determinate attività economiche. Tutti i livelli di governo sono tenuti ad adeguare i propri ordinamenti a
questo nuovo principio entro un anno. Alla scadenza del termine <<sono in ogni caso soppresse le
disposizioni normative statali incompatibili. Si intrecciano poi, in modo non limpido, due processi: di
riassetto normativo, perché oggetto degli interventi sono le norme che prevedono le regolazioni
amministrative; di semplificazione amministrativa, perché è la conseguenza dell’abrogazione è
l’eliminazione di tipologie di provvedimenti.
Il secondo intervento è attuato con il d.l. n.1 del 2012, che all’art.1 pone di nuovo al centro << il principio di
libertà di iniziativa economica sancito dalla Costituzione e il principio di concorrenza sancito dal Trattato
dell’UE>> per abrogare tutte le disposizioni di legge che <<prevedono limiti numerici, autorizzazioni, licenza,
nulla osta o preventivi atti di assenso dell’amministrazione comunque denominati per l’avvio di un’attività
economica>> o che <<pongono divieti e restrizioni alle attività economiche non adeguati o non
proporzionali alle finalità pubbliche perseguite>>. Questi criteri, così ampi e di difficile applicazione, sono
resi operativi da un largo rinvio a regolamenti di delegificazione con i quali sono individuate <<le attività per
le quali permane l’atto preventivo di assenso dell’amministrazione, e disciplinare i requisisti per l’esercizio
delle attività economiche>>.
Il ricorso allo strumento dei regolamenti di delegificazione solleva gravi problemi di costituzionalità: esso è
non solo ampio, ma assistito da criteri e principi direttivi del tutto vaghi e generici.
Una diversa soluzione adottata, sempre nel senso della massima liberalizzazione, è quella delle “Zone a
burocrazia zero”, che viene estesa all’intero territorio nazionale al di fuori delle aree <<soggette a vincolo
paesaggistico territoriale o del patrimonio storico-artistico>>. Si prevede che nell’ambito di un sistema
sperimentale, siano definiti i casi in cui il rilascio delle autorizzazioni per le nuove iniziative produttive è
sostituito da una comunicazione dell’interessato allo sportello unico delle attività produttive.

5-LE POLITICHE DI SEMPLIFICAZIONE E LA LORO ORGANIZZAZIONE. Quanto all’organizzazione delle politiche


di semplificazione, due i profili più rilevanti. In primo luogo le incertezze a livello centrale tra la costituzione
di quadri operativi centralizzati, privi, però, di effettivi poteri e l’affidamento delle politiche alle stesse
amministrazioni. In secondo luogo la necessità di operare le semplificazioni a livello regionale e locale, dove
si esercitano ormai la gran parte delle funzioni amministrative.

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Nelle recenti riforme viene posta attenzione allo sviluppo di apposite politiche di semplificazione, che
investono la dimensione amministrativa nel suo complesso: si è previsto un’apposita “Agenda di
semplificazione amministrativa”, ovvero un programma triennale che tutte le amministrazioni devono
realizzare. L’Agenda, concordata con le autonomie territoriali in sede di Conferenza unificata, definisce
obiettivi comuni a tutto il sistema pubblico.
In attuazione di queste previsione, il Consigli dei Ministri del 1 dicembre 2014 ha approvato l’Agenda per la
semplificazione 2015-2017, già condivisa nella Conferenza Unificata: si tratta di un documento che definisce
le strategie di semplificazione da sviluppare nel corso del triennio, ed individua i settori prioritari di
intervento ponendo una serie di strumenti ed un cronoprogramma.

6-SEMPLIFICAZIONI NEGLI ALTRI ORDINAMENTI. Molti altri paesi hanno intrapreso politiche analoghe.
Importante in questa direzione l’impulso che proviene dall’ordinamento europeo, che ha un diretto
interesse ad uno svolgimento sollecito dell’azione amministrativa. L’Ue impone da un lato strumenti a tutti i
paesi, dall’altro manifesta una certa sfiducia nei confronti della sostituzione dei provvedimenti espressi con
provvedimenti taciti o impliciti. Diversi paesi europei hanno intrapreso politiche di semplificazione, che
restano molto differenziate tra loro. In Francia, in assenza di una legge generale sul procedimento, si
continua a ritenere che i principi giurisprudenziali sul procedimento siano adeguati al bisogno.
In Germani, la priorità affidata alla definizione di un procedimento tipo, fondato sulla partecipazione e sulla
formalizzazione della procedura, non ha certo considerato la semplificazione come problema centrale.
Anche in Spagna la presenza di una legge generale sul procedimento non ha favorito una sua revisione nella
direzione della semplificazione.

CAPITOLO 25 (INVALIDITA’ E IRREGOLARITA’ DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA)

1-PRINCIPIO DI LEGALITA’ E VALIDITA’ DEGLI ATTI AMMINISTRATIVI. Così come esistono regole sul corretto
svolgimento dell’azione, l’ordinamento si preoccupa di disciplinare l’accertamento della violazione e le
conseguenze giuridiche.

2-EFFICACIA E VALIDITA’. Le regole, oggi codificate nella LPA, sull’acquisto di efficacia del provvedimento
amministrativo, a conclusione del procedimento, sono in gran parte volte ad assicurare la conoscenza che i
destinatari devono acquisire del provvedimento. Una volta divenuti efficaci , i provvedimenti diventano
anche immediatamente esecutivi ed esecutori. Un provvedimento divenuto efficace ha, quindi, la forza
giuridica per produrre gli effetti che l’ordinamento prevede e consente di esplicare. Non significa che il
provvedimento sia anche necessariamente valido.
L’atto che presenta dei vizi, divenuto inoppugnabile perché nessuno degli interessati ha ritenuto di doverlo
impugnare, continua a mantenere la sua efficacia. Un atto valido può non essere efficace, perché non ha
ancora acquistato l’efficacia.
L’interesse generale al rispetto del principio di legalità trova un bilanciamento nell’interesse delle
amministrazioni pubbliche alla certezza sulla validità della loro azione. Il principio di legalità è curato in due
modi assai diversi; da un lato le misure che le stesse amministrazioni adottano per verificarne il rispetto;
dall’altro i diritti di reazione degli interessati che attivano il sindacato del giudice.

3-L’INVALIDITA’ NEL DIRITTO PRIVATO. Nel codice civile le categorie di invalidità del contratto sono due: la
nullità e l’annullabilità. <<Il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative di legge, salvo che la
legge disponga diversamente>>. <<Il contratto è annullabile se una delle parti era legalmente incapace di
contrattare. Si aggiunge che <<Il contraente il cui consenso fu dato per errore, estorto con violenza o carpito
con dolo può chiedere l’annullamento del contratto>>. Ne risulta una distinzione fondata da un lato su
elementi vizianti di tipo oggettivo e dall’altro su elementi di tipo soggettivo, attinenti alla formazione della
volontà del contraente. Nel primo caso basta rilevare il contrasto tra il contratto e le norme imperative di
legge, nel secondo occorre dimostrare il vizio del consenso. L’invalidità ha un carattere generale, l’azione è
imprescrittibile. Nel secondo caso l’azione spetta a una delle parti del contratto ed è soggetto ai normali
termini di prescrizione.

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4-L’INVALIDITA’ NEL DIRITTO AMMINISTRATIVO:LA NULLITA’. I profili soggettivi che sono rilevanti nel diritto
privato per distinguere nullità da annullabilità, non trovano spazio. Si è arrivati alla configurazione di una
sorta di categoria unica di invalidità dell’atto amministrativo: l’illegittimità.

4.1-LA NULLITA’ COME VIZIO ACCERTABILE DAL GIUDICE ORDINARIO. Si deve ricordare il particolarismo
assetto della giustizia relativa ad atti amministrativi autoritativi/unilaterali nel nostro paese, che ha visto il
giudice amministrativo affiancarsi al giudice ordinario, senza sostituirlo, con la conseguenza che si è andati
alla ricerca dei casi in cui, per rispettare le disposizioni della legge del 1865, mai abrogata, restava una
giurisdizione del giudice ordinario anche di fronte ad atti amministrativi. La soluzione è stata attribuire al
giudice ordinario una giurisdizione relativamente agli atti amministrativi da considerarsi nulli, perché
adottati in carenza di potere. Si tratta di atti che sono talmente viziati che l’ordinamento non li ritiene
espressione di un potere. Se si è in presenza di un diritto soggettivo, si giustifica il mantenimento della
giurisdizione del giudice ordinario, mentre il giudice amministrativo si deve occupare dei vizi collegati al
cattivo esercizio del potere, cioè di vizi che danno luogo alla diversa categoria dell’annullabilità.
Questa disciplina della nullità di origine giurisprudenziale è stata, con correzioni, recepita dal legislatore. La
legge n.15 del 2005 ha disciplinato i casi di nullità: <<E’ nullo il provvedimento amministrativo che manca
degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione
o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge>>. Si attribuiscono al
giudice ordinario i casi di nullità per difetto degli elementi essenziali e per difetto assoluto di attribuzione e
negli altri casi espressamente previsti dalla legge. L’azione può essere fatta valere da chiunque sia
interessato, è rilevabile d’ufficio e non è soggetta a prescrizione.
MANCANZA DEGLI ELEMENTI ESSENZIALIPuò ad esempio mancare il soggetto, cioè è considerato nullo
l’atto in cui non sia identificabile l’autore; può mancare l’oggetto e in questo caso sono nulli gli atti aventi
oggetto inesistente, indeterminato o indeterminabile, o inidoneo; può mancare la forma, qualora prescritta
dalla legge.
DIFETTO ASSOLUTO DI ATTRIBUZIONESi tratta delle già ricordata carenza di potere, vizio accertabile da
parte del giudice ordinario. Un atto adottato in carenza di potere non è in grado di conformare in senso
restrittivo un diritto soggettivo. Questa ipotesi corrisponde quindi a quella che è stata definita come carenza
di potere in astratto, per distinguerla dalla carenza di potere in concreto, che non attiene all’attribuzione
della funzione ad un ente, ma al suo esercizio che conduce all’annullabilità.
VIOLAZIONE O ELUSIONE DEL GIUDICATODopo che un giudice si è pronunciato con una sentenza passata
in giudicato, indicando all’amministrazione quali comportamenti deve tenere per tutelare le situazioni
giuridiche soggettive coinvolte, il comportamento tenuto da un’amministrazione che non si adegui alla
sentenza, in violazione o in elusione di quanto la sentenza ha stabilito è considerato dall’ordinamento come
particolarmente grave. L’attribuzione di questi casi di nullità alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, si giustifica con la maggior capacità del primo di comprendere il carattere violativo o elusivo
del provvedimento dell’amministrazione.
ALTRI CASI PREVISTI DALLA LEGGEE’ applicato il regime di nullità agli atti adottati da organi i cui titolari
siano scaduti dalla carica, al di là del termine di ulteriori 45 giorni di prorogatio ordinaria. In materia di
poteri espropriativi, la legge prevede, il potere di espropriazione; ma qualora esso sia esercitato senza la
previa declaratoria di pubblica utilità, il relativo atto è considerato nullo.

4.2- CASI DI NULLITA’ ACCERTABILI DAL GIUDICE AMMINISTRATIVO. Una norma del nuovo CPA ha spostato
sul giudice amministrativo la giurisdizione su alcuni casi di nullità: a) la nullità per violazione o elusione del
giudicato; b) la nullità negli altri casi, ma solo nelle materie di giurisdizione esclusiva. In entrambi i casi si
abbandona l’imprescrittibilità di derivazione privatistica; nel secondo caso la nullità si avvicina molto
all’annullabilità.

5-L’INVALIDITA’ NEL DIRITTO AMMINISTRATIVO:L’ANNULLABILITA’. Con l’annullabilità siamo nel cuore del
regime delle invalidità degli atti autoritativi/unilaterali dell’amministrazione. Si tratta di un regime diverso
dalla nullità. Siamo sempre in presenza di un contrasto oggettivo tra l’atto e le norme che hanno conferito e
delimitato le funzioni dell’amministrazione. L’elemento differenziale del regime dell’annullabilità
amministrativa sta nell’attivazione del sindacato del giudice amministrativo solo su istanza degli interessati e

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in un termine di decadenza brevissimo. Il giudice non dispone di un potere autonomo di sindacato, ma


interviene solo se un soggetto privato, direttamente coinvolto dal provvedimento, lo impugna con un
ricorso e chiede al giudice di pronunciarsi sulla sua conformità con il diritto. Se l’atto non viene impugnato
diventa inoppugnabile. Il termine brevissimo di decadenza è anch’esso un tratto caratteristico
dell’annullabilità amministrativa. Se entro 60giorni l’interessato non presenta ricorso, decade dal diritto alla
tutela contro l’atto che ha leso la sua situazione giuridica soggettiva. Nel processo amministrativo permane
la centralità della tutela mediante l’annullamento dell’atto illegittimo. L’illegittimità dà luogo a sentenza
costitutiva, che rimuove l’atto e i suoi effetti; nell’annullabilità il giudice interviene con un atto che modifica
la situazione di precedente efficacia del provvedimento, rimuovendolo. Una volta rimosso il provvedimento,
si pongono ulteriori esigenze di tutela, quali l’adozione al suo posto di un atto legittimo il risarcimento dei
danni. Il provvedimento annullabile è anche sanabile.

5.1-I VIZI DEL PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO. I vizi dell’atto che dovevano essere evidenziati, a pena di
inammissibilità, nel ricorso erano l’incompetenza, la violazione di legge, l’eccesso di potere. Per effetto
dell’art.113 Cost., che riconosce in modo pieno la tutela giurisdizionale contro gli atti dell’amministrazione
che <<non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione>>, la stessa tripartizione
sembrerebbe avere perso di significato, a favore di una possibilità più ampia dell’interessato di impugnare
un atto lamentando dei vizi anche non strettamente riconducibili ai tre vizi canonici. <<E’ annullabile il
provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere
incompetenza>>. Il CPA ribadisce la tripartizione <<L’azione di annullamento per violazione di legge,
incompetenza ed eccesso di potere si propone nel termine di decadenza di 60 giorni>>.

5.1.1-L’INCOMPETENZA. Il vizio dell’incompetenza riguarda la violazione delle regole sull’organizzazione, ma


solo di quelle sulla competenza, interna agli enti pubblici, degli organi. Sono viziati per incompetenza gli atti
adottati da un organo diverso da quello individuato negli atti di macro organizzazione come competente.
L’incompetenza è anche definita come “relativa” perché riguarda organi diversi di una stessa
amministrazione che è comunque attributaria della funzione.
Al polo opposto vi sono le regole che abbiamo definito di micro organizzazione. Ma la violazione di tali
regole non ha una rilevanza giuridica.
La violazione della competenza assume oggi un rilievo del tutto particolare con l’affermazione del principio
di distinzione tra competenze degli organi politici e degli organi amministrativi. Un atto adottato da un
Sindaco invece che da un dirigente è da considerarsi gravemente viziato e quindi annullabile.
L’AUTONOMA E PRELIMINARE RILEVANZA DEL VIZIO DI INCOMPETENZAMolto spesso si nota, una
tendenza a svalutare il vizio di incompetenza, quasi esso fosse solo un vizio attinente alla forma. Questa
tendenza è scientificamente non corretta, perché non tiene conto della distinzione tra macro e micro
organizzazione. Laddove si opera con la prima e si definiscono regole, stabili e conoscibili,
sull’organizzazione della funzione, si offre anche una tutela al cittadino sull’effettiva assegnazione all’organo
di competenza. La violazione di queste regole non può che essere sanzionata con l’annullamento. Se, invece,
si intende dare maggiore flessibilità organizzativa, si potrà individuare un minor numero di organi e lasciare
alla micro organizzazione la distribuzione di compiti al loro interno. In questo caso la violazione delle regole
non conduce all’annullamento. Se in un ricorso vengono lamentati diversi vizi dell’atto tra i quali
l’incompetenza, questa ha la priorità logica nel suo sindacato. L’incompetenza è quindi un vizio sempre
dell’azione, ma per violazione delle regole sulla funzione.

5.1.2-L’ECCESSO DI POTERE. Originariamente il vizio è stato intese come straripamento, cioè come un caso
di un’amministrazione che usa poteri che non le sono stati attribuiti. Una volta scartata la presenza di un
vizio attinente all’organizzazione, siamo in presenza di vizi che attengono allo svolgimento dell’azione:
l’eccesso di potere esprime la situazione in cui l’amministrazione eccede i poteri conferiti dalla legge, ma
solo per quanto riguarda le regole sullo svolgimento dell’azione.
Quando l’azione è vincolata, cioè è talmente predeterminata, nei suoi contenuti e nei suoi effetti, dalla
legge, la violazione delle regole poste si configura come violazione di legge.
L’eccesso di potere trova invece la sua applicazione in presenza di margini di discrezionalità che la legge ha
lasciato all’amministrazione nelle determinazione del contenuto del provvedimento. Per questo si usa dire

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che esso si configura come il vizio della discrezionalità amministrativa. Non spetta al giudice stabilire il
contenuto del provvedimento ma solo di sindacare la coerenza dell’azione con le finalità previste dalla
legge.
LE FIGURE SINTOMATICHELa giurisprudenza ha escogitato un prova indiretta, attraverso la formulazione
delle figure sintomatiche: figure tipiche, il cui riscontro può essere considerato la spia, del verificarsi di un
vizio di eccesso di potere. Si tratta di operazioni logiche non prive di limiti ma che hanno consentito al
giudice amministrativo di sindacare, anche in modo penetrante ed efficace l’azione delle amministrazioni.
Diverse figure sintomatiche possono essere comprese in riferimento al principio di ragionevolezza
dell’azione: si considerino la contraddittorietà, che può essere interna all’istruttoria, tra istruttoria e atto.
Altre figure sintomatiche rientrano nei principi di uguaglianza e imparzialità: si consideri la figura della
disparità di trattamento. Sempre più si applica il principio di proporzionalità per annullare i provvedimenti
che presentino evidenti difformità tra mezzi impiegati e finalità da conseguire.
ECCESSO DI POTERE E MERITOL’eccesso di potere fornisce gli strumenti per valutare lo svolgimento
dell’azione amministrativa, in termini di coerenza, logicità e ragionevolezza dell’iter che ha condotto alla
decisione. L’eccesso di potere è uno strumento di valutazione della legittimità dell’atto. Il giudice
ricostruisce, attraverso il contenuto dell’atto e gli atti del procedimento, la decisione e i passaggi logici. Se
riscontra dei difetti , annulla il provvedimento.
L’ordinamento mantiene netta la distinzione tra legittimità e merito, quando prevede casi nei quali la
giurisdizione del giudice amministrativo è estesa anche al merito. Si tratta di casi nei quali la decisione non
può essere assunta senza entrare nel merito, ma nei quali in sostanza la decisione non è amministrativa, ma
totalmente giurisdizionale. Si può dire che più l’amministrazione gode di un’ampia discrezionalità, più il
sindacato del giudice rischia di toccare l’opportunità della decisione.

5.1.3-LA VIOLAZIONE DI LEGGE. La violazione di legge, viene considerato come residuale rispetto agli altri
due. In realtà esso è residuale nel senso che il suo contenuto non è determinabile come gli altri due, ma
ricorre in ogni circostanza in cui l’azione dell’amministrazione è in contrasto con disposizioni di legge. Perché
vi sia violazione di legge, questa va intesa nel senso più ampio del termine, che coincide con le regole
sull’organizzazione e sull’azione amministrativa. Il giudice amministrativo può annullare un atto di
un’amministrazione italiana che sia legittimo rispetto alla legge italiana, ma illegittimo per la normativa
europea che sia prevalente su quella italiana.
In secondo luogo ricordiamo il rilievo che questo vizio assume con il moltiplicarsi delle regole di legge. Si
pensi non solo alla naturale tendenza espansiva delle regole sull’amministrazione, ma anche agli effetti
prodotti dalla legge sul procedimento amministrativo, che ha trasformato principi e regole giurisprudenziali
in norme di legge.
In terzo luogo possiamo cogliere meglio i rapporti con gli altri due vizi tipici dell’atto. Quanto ai rapporti con
l’incompetenza, si deve affermare che, ormai, alla luce di quanto abbiamo ricordato sulle regole di macro
organizzazione, i due vizi finiscano per coincidere. L’incompetenza è, infatti, una violazione di legge, relativa
alle regole sulla distribuzione delle competenze tra organi, in tutti i casi in cui queste sono definite con atto
a contenuto normativo.
Diverso il discorso sui rapporti con il vizio dell’eccesso di potere. Tra i due vizi non c’è coincidenza, ma
reciproca esclusione. Laddove non si riscontri una precisa disposizione violata, si deve valutare se si rientri
nel vizio dell’eccesso di potere. Tanto più l’azione è vincolata più si potrà fare riferimento al vizio di
violazione di legge.
La violazione di legge non è poi così facilmente riscontrabile perché la legge non sempre è di facile
interpretazione e perché molte disposizioni, in qualche caso in contraddizione tra loro, possono concorrere
a disciplinare una stessa fattispecie.

6-L’IRREGOLARITA’. La difformità dell’atto dalle regole sull’amministrazione non sempre dà luogo ad


un’invalidità: nel caso in cui tali difformità siano lievi o di rilevanza minima, la loro presenza produce mera
irregolarità dell’atto. Si tratta di difetti nel procedimento o nella formazione del provvedimento che in
generale sono sanabili, con atti di merda ratifica.
Come esempi di irregolarità si possono indicare: la mancata indicazione, in sede di comunicazione del
provvedimento. L’irregolarità non coinvolge la validità dell’atto, ma può determinare sanzioni disciplinari per

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l’autore, e rende doverosa l’eliminazione dell’irregolarità. <<Non è annullabile il provvedimento adottato in


violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del
provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in
concreto adottato>>. <<Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata
comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto
del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato>>. Il giudice non
annulla il provvedimento quando si può dimostrare che la partecipazione non avrebbe in ogni caso
modificato la decisione dell’amministrazione.

CAPITOLO 26 ( I PROCEDIMENTI AMMINISTRATIVI DI SECONDO GRADO)

1-RIESAME E REVISIONE. In presenza di vizi più o meno gravi, del provvedimento amministrativo vi è la
possibilità che sia la stessa amministrazione a intervenire su un proprio provvedimento, al fine di annullarlo
o rimuovere i vizi riscontrati; un’azione che si svolge attraverso procedimenti, che per questo sono definiti
procedimenti di secondo grado.
L’amministrazione può sottoporre un proprio provvedimento già adottato ad una nuova valutazione per due
motivi di fondo: a) perché ha riscontrato che il provvedimento originario presenta difetti, errori,
manchevolezze o veri e propri vizi di legittimità sui quali è opportuno intervenire; b) perché l’interesse
pubblico curato con il provvedimento di primo grado si è nel frattempo modificato. Nel caso a) i
procedimenti sono definiti come riesame, nel caso b) come procedimenti di revisione. Essi possono
intervenire prima che il giudice si sia pronunciato. In entrambi i casi si interviene su un provvedimento
efficace.
I procedimenti di secondo grado sono espressione di una potestà generale di autotutela in base alla quale le
amministrazioni, di propria iniziativa possono sempre condurre uno scrutinio in relazione
all’opportunità/legittimità dei propri atti. Si vuole sottolineare il potere-dovere dell’amministrazione di
assumere una seconda decisione avente ad oggetto il primo provvedimento. Per questo si usa definirla
come autotutela decisoria.

2-FALSI PROCEDIMENTI DI SECONDO GRADO. In molti casi anche se l’amministrazione interviene di nuovo
con distinti atti e provvedimenti, abbiamo l’esercizio della funzione con riferimento ad una medesima
vicenda amministrativa. È questo il caso della proroga, nel quale un provvedimento viene adottato con una
durata stabilita nella legge o nello stesso provvedimento. Alla scadenza, se l’amministrazione ritiene che
esso debba continuare a produrre i suoi effetti potrà adottare un atto di mera proroga.
Diversa dalla proroga è la rinnovazione, con la quale l’amministrazione adotta un nuovo provvedimento.
Non costituisce provvedimento di secondo grado la sospensione dell’efficacia del provvedimento originario.
Il provvedimento e il rapporto amministrativo che esso ha creato restano validi e il contenuto dell’atto non
viene modificato. La sospensione può operare solo per un periodo di tempo limitato e viene adottata per
specifiche ragioni di interesse pubblico, che vanno esplicitate.

3-ESITI DEL PROCEDIMENTO DI SECONDO GRADO. Il procedimento di secondo grado nell’intervenire sul
provvedimento originario può avere tre tipi di esiti:
1. LA CONFERMA DEL PROVVEDIMENTO A seguito di un nuovo procedimento l’amministrazione
arriva a concludere che l’originario provvedimento era conforme a legge, e quindi privo di vizi. La
conferma va distinta dall’atto confermativo, che si ha quando l’amministrazione, senza ritornare a
valutare il provvedimento originario si limita a rispondere all’interessato, confermando il
provvedimento, l’atto confermativo, poiché in realtà esso non è un nuovo provvedimento, non è
autonomamente impugnabile, mentre la conferma sì. Diverso ancora è l’effetto confermativo,
risultato del rifiuto di un ricorso amministrativo.
2. LA RIFROMA DEL PROVVEDIMENTOIn caso di riscontro di un difetto sanabile, si procede
all’adozione di un provvedimento nuovo, di identico contenuto sostanziale, corretto dai difetti.
L’esempio più rilevante è costituito dalla convalida. Nella categoria generale si comprendono diversi
tipi di atti che hanno l’effetto di sanare il provvedimento originario. La convalida si applica per
rimuovere vizi di legittimità, non mere irregolarità. Si può trattare di vizi di forma o di vizi di

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competenza. In quest’ultimo caso la convalida si realizza con l’adozione, da parte dell’organo


competente, di un provvedimento avente lo stesso contenuto di quello originario, che era stato
adottato dall’organo incompetente. In questo caso si parla di ratifica. È da escludere l’uso della
convalida in caso di provvedimento nullo o di provvedimento viziato per eccesso di potere. Nel
primo caso l’invalidità è tale da richiedere la misura radicale della rimozione; nel secondo il vizio ha
riguardato la stessa individuazione dell’interesse pubblico e non può essere sanato. La convalida ha
effetti retroattivi, cioè rende il provvedimento originario sanato, cioè fin dal momento dell’acquisto
della sua efficacia. Si discute sulla possibilità di convalidare un provvedimento già impugnato.
Nessun dubbio sull’ammissibilità di una convalida in corso di giudizio, se questa avesse valore solo
per il futuro.
3. LA RIMOZIONE DEL PROVVEDIMENTOSi tratta della conseguenza più grave: in esito ad un
procedimento di secondo grado, l’amministrazione arriva alla conclusione che il provvedimento
adottato in primo grado è affetto da vizi non sanabili e deve essere rimosso. Nei procedimenti di
riesame si adottano provvedimenti di annullamento del primo provvedimento; nei procedimenti di
revisione si adottano provvedimenti di revoca del primo provvedimento.

4-L’ANNULLAMENTO D’UFFICIO. L’annullamento è detto d’ufficio, perché la decisione è assunta dalla


stessa amministrazione che ha adottato il provvedimento originario. Quindi si tratta di un
provvedimento che l’amministrazione adotta nell’esercizio della funzione attribuita dalla legge. <<Il
provvedimento amministrativo illegittimo può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di
interesse pubblico, entro un termine ragionevole…>> e <<tenendo conto degli interessi dei destinatari e
dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato>>.
IN CHE CIRCOSTANZE SI ANNULLA? La legge richiede che per l’annullamento sussistano <<ragioni di
pubblico interesse>>. L’esistenza di un vizio non è sufficiente per giustificare, da sola, l’annullamento
d’ufficio. Questo è esercizio di attività discrezionale: esso va dunque motivato sulla base di un interesse
pubblico specifico ed attuale. L’annullamento è doveroso, nel senso che l’amministrazione ha il dovere
di avviare un procedimento di annullamento d’ufficio, nel caso il cui l’invalidità sia stata accertata con
sentenza del giudice ordinario. In questo caso, resta all’amministrazione la valutazione sull’esistenza di
ragioni di interesse pubblico che impediscano l’annullamento. L’interesse pubblico ad annullare deve
esser valutato in rapporto all’interesse dei destinatari a vedere conservare il provvedimento e
all’interesse dei controinteressati a veder annullato il provvedimento.
CHI HA IL POTERE DI ANNULLARELa stessa amministrazione che ha adottato il provvedimento. Ci sono
casi in cui il potere è riconosciuto ad amministrazioni diverse. Nella stessa amministrazione il potere
spetta allo stesso organo che ha adottato il provvedimento: organi politici per gli atti di indirizzo, organi
amministrativi per gli atti di gestione. Costituisce eccezione il caso del potere di annullamento
riconosciuto al ministro. Ciò potrebbe condurre ad una possibile alterazione dei rapporti tra organi
politici e organi amministrativi. A questo rischio si può ovviare in due modi. Il primo modo consiste nel
sottolineare che l’organo che annulla si limita alla rimozione del provvedimento, non si appropria del
potere di adottare un provvedimento positivo, lasciando all’organo competente l’adozione di tutti i
provvedimento positivo, lasciando all’organo competente l’adozione di tutti i provvedimenti
conseguenti. Il secondo modo consiste nel distinguere tra due situazioni diverse: il vizio è grave, incide
sulla valutazione dell’interesse pubblico, ma siamo sempre nell’ambito di discrezionalità riconosciuto al
dirigente amministrativo. In questo caso il ruolo dell’organo politico può essere di stimolo all’adozione
dell’atto di annullamento; il vizio non solo è così grave da comportare l’annullamento, ma comporta una
valutazione dell’interesse pubblico che tocca l’indirizzo politico.
QUANDO SI PUO’ ANNULLARE? La legge stabilisce che il provvedimento possa essere annullato
<<entro un termine ragionevole>>
Al fine di ridurre l’incertezza in cui grava il privato, la legge quantifica questo termine ragionevole in non
più di 180 giorni quando ci si trovi in presenza di provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di
vantaggi economici.
QUALI LE CONSEGUENZE DELL’ANNULLAMENTO? L’efficacia dell’annullamento è retroattiva, perché ad
essere annullato è il provvedimento che presentava, fin dal momento in cui ha acquistato efficacia, dei
vizi di legittimità.

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Diverso dall’annullamento d’ufficio è l’annullamento su ricorso. Qui non siamo in presenza di


un’amministrazione che di propria iniziativa riesamina un proprio provvedimento e lo annulla, ma di un
ricorso di parte, diretto al superiore gerarchico o ad altro organo che denuncia sia vizi di legittimità che
di merito. L’autorità decidente è vincolata ai motivi denunciati dal ricorrente e, poiché lo strumento ha
funzione contenziosa con finalità di tutela, nella decisione l’autorità dispone di un limitatissimo spazio
discrezionale di scelta.
LA NATURA GIURIDICA DELL’ANNULLAMENTOL’annullamento, è espressione di un generale potere di
autotutela, che consente all’amministrazione di ritornare sui propri passi e disporre diversamente dal
primo provvedimento. Il potere è riconosciuto, ma nei limiti del conferimento della funzione.
L’annullamento è un provvedimento di secondo grado con il quale l’amministrazione agisce nell’esercizio
della medesima funzione.

5-LA REVOCA. Con la revoca l’amministrazione rivede l’assetto degli interessi determinato da un
precedente provvedimento ad efficacia durevole e lo rimuove, provocando l’interruzione degli effetti
fino allora prodotti. Il potere di revoca è stato oggetto di un’abbondante giurisprudenza del giudice
amministrativo che ne ha progressivamente configurato caratteri e limiti. Oggi questo potere è previsto
e disciplinato in via generale dalla LPA. <<Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso
di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, il
provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell’organo che lo ha
emanato. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se
la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l’amministrazione ha
l’obbligo di provvedere al loro indennizzo. Le controversi in materia di determinazione e corresponsione
dell’indennizzo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo>>.
OGGETTO DELLA REVOCAOggetto di revoca sono i provvedimenti ad efficacia durevole. Esempi:
l’affidamenti di un servizio pubblico. Si tratta di provvedimenti per definizione non solo efficaci, ma
anche validi. Prima differenza con l’annullamento d’ufficio. Se l’amministrazione riscontrasse un vizio di
legittimità in un provvedimento di concessione dovrebbe annullarlo. Se, invece, il provvedimento non
presenta vizi di legittimità, ma solo una configurazione dell’interesse pubblico che merita di essere
posta in discussione, l’amministrazione può decidere di revocarlo. Il fondamento sta nel mutamento
dell’interesse pubblico. La legge prevede che l’istituto della revoca si applichi anche ai provvedimenti
amministrativi ad effetti istantanei, nel caso di collegamento tra provvedimento e rapporti negoziali.
CONDIZIONI PER LA REVOCALa legge codifica tre ipotesi per giustificare un provvedimento di revoca:
a) Sopravvenuti motivi di pubblico interesse
b) Mutamento della situazione di fatto
c) Nuova valutazione dell’interesse pubblico originario
Le prime due ipotesi costituiscono attualmente, le ipotesi ordinarie che legittimano la revoca.
La terza ipotesi è stata oggetto di maggiori critiche, perché sembra lasciare all’amministrazione una
discrezionalità piena e rischia di compromettere il legittimo affidamento del privato sulla stabilità degli
effetti del provvedimento.
A CHI SPETTA IL POTERE DI REVOCA? Alla stessa amministrazione che ha adottato il primo provvedimento,
anzi allo stesso organo, salvo che la legge non attribuisca il potere di revoca al altro organo. La revoca non
può essere disposta da un organo politico se il provvedimento è stato adottato da un organo amministrativo
perché di sua competenza riservata. Con la revoca siamo in presenza di atti di gestione, che implicano una
valutazione discrezionale che spetta, sia nel provvedimento originario che in che di revoca, all’organo
competente.
QUALI LE CONSEGUENZE DELLA REVOCA  In primo luogo con la revoca si adotta un nuovo provvedimento
che rimuove il provvedimento di primo grado con efficacia ex nunc, stabilisce l’<<inidoneità del
provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti>>. Terza differenza con l’annullamento d’ufficio, che
opera retroattivamente. La revoca non può disporre che per il futuro.
La seconda importante conseguenza sta nel riconoscimento di un indennizzo, che viene qualificato come
obbligo. Si tratta di un ristoro dei pregiudizi economici che il destinatario può subire per la revoca del
provvedimento prima della scadenza.

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LA NATURA GIURIDICA DELLA REVOCASecondo alcuni la revoca, a differenza dell’annullamento d’ufficio,


incidendo sullo stesso rapporto, non sarebbe altro che un atto nell’esercizio dello stesso potere pubblico
originario. L’opinione deve essere corretta, perché tutti i provvedimenti di secondo grado sono espressione
di un generale potere di autotutela, il potere di revoca è una conseguenza dell’attribuzione della funzione. Il
fondamento di entrambi i provvedimenti di rimozione del provvedimento originario resta il medesimo.
EFFETTI DELLA REVOCA SUI RAPPORTI NEGOZIALI La revoca del provvedimento originario ha dei riflessi
sul rapporto negoziale: comporta la dichiarazione d’inefficacia del contratto e il già ricordato obbligo di
indennizzo, a ristoro dei pregiudizi subiti dai destinatari del provvedimento. Il nuovo comma 1-bis non muta
il rapporto tra revoca e contratto, ma introduce dei possibili comportamenti dei contraenti privati che
consentono di non corrispondere un indennizzo pieno, ma ridotto.
Se gli effetti sul contratto derivano direttamente dalla revoca evidentemente cosa diversa dal
provvedimento di revoca è il recesso unilaterale <<1. Il recesso unilaterale dai contratti della pubblica
amministrazione è ammesso nei casi previsti dalla legge o dal contratto>>. Il potere non è quindi generale,
ma deve essere specificamente attribuito dalla legge, ovvero inserito nel contratto come clausola
liberamente accettata dalla controparte privata.

CAPITOLO 29 (L’AZIONE AMMINISTRATIVA E RESPONSABILITA’)

1-LE DIVERSE FORME DELLA RESPONSABILITA’ NELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI. Il generale principio di
responsabilità si articola da un lato come dovere di rendere conto delle proprie azioni e dall’altro come
soggezione alla misure previste dall’ordinamento per far fronte alle conseguenze prodotte da questa azione.
Per comprendere le forme di effettiva attivazione delle responsabilità occorre distinguere tra quelle che
ricadono sui singoli funzionari e quelle che l’ordinamento fa ricadere sull’amministrazione come ente, come
persona giuridica.
Sotto il primo profilo il funzionario è personalmente responsabile sul piano penale, disciplinare e
amministrativo/contabile. Il funzionario risponde per violazione di doveri di comportamento fissati dalla
legge. L’amministrazione risponde per i danni prodotti, da un suo atto amministrativo o dai suoi
comportamenti in sede contrattuale o extracontrattuale. Salvo che l’atto non abbia prodotto un danno
ingiusto né l’amministrazione né il funzionario rispondono per atti amministrativi invalidi.
Le responsabilità, penali e disciplinari, si muovono su un piano diverso: qui l’ordinamento vuole reprimere
comportamenti devianti, indipendentemente dalla validità degli atti compiuti.

2-LA RESPONSABILITA’ DEI FUNZIONARI PUBBLICI PER VIOLAZIONE DEI DOVERI DI COMPORTAMENTO. I
funzionari pubblici, delle diverse categorie sono al servizio esclusivo della Nazione; devono svolgere le
funzioni affidate con disciplina ed onore. L’ordinamento impone che i funzionare siano e appaiano
imparziali, dediti alla cura dell’interesse generale e non condizionati da pressioni o interessi particolari.
L’ordinamento disciplina i comportamenti vietati e quelli consentiti ai funzionari. L’ordinamento penale
opera con la previsione di reati, il cui compimento comporta l’irrogazione di sanzioni disciplinari. Laddove
non arriva il potere di deterrenza delle sanzioni pensali e disciplinari, si da sempre più ampio ricorso a
norme di soft law, quali codici di condotta o etici, che non hanno natura di norme giuridiche, ma possono
accrescere il campo dei doveri.

2.1-LA RESPONSABILITA’ PENALE. Il codice penale contiene un Titolo II dedicato ai <<delitti contro la
pubblica amministrazione>> che distingue tra delitti dei pubblici ufficiali e delitti dei privati. Il codice penale
avvicina le due figure del pubblico ufficiale e dell’incaricato di pubblico servizio, sulla base di una definizione
di funzione amministrativa, caratterizzata dalla disciplina con norme di diritto pubblico e da atti autoritativi.
L’effetto della distinzione sta nella previsione di pene edittali più basse per i delitti compiuti da o nei
confronti degli incaricati di pubblico servizio. La responsabilità pensale è sempre personale.
L’amministrazione, l’ente pubblico, in quanto persona giuridica, non è punibile in caso di compimento di
reati. L’accertamento del reato non sempre è agevole per il giudice penale, perché le norme
sull’organizzazione non consentono di stabilire in quale misura il funzionario partecipa al compimento del
reato. Queste difficoltà di accertamento dovrebbe comportare termini di prescrizione dei reati più lunghi di
quelli oggi previsti.

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Accanto alle pene principali va considerata la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, che può
essere perpetua o temporanea ed è irrogata dal giudice in rapporto alla gravità del reato e alla pena
principale.

2.2- LA RESPONSABILITA’ DISCIPLINARE. La violazione dei doveri di condotta comporta l’irrogazione di


sanzioni amministrative. Esistono diversi regimi di responsabilità disciplinare. Per i funzionari onorari
(contratto di prestazione d’opera), poiché non si stabilisce un rapporto di lavoro non vi è la possibilità di
configurare responsabilità disciplinare. Per i funzionari professionali, invece, il rapporto di lavoro esiste.
DIPENDENTI IN REGIME DI DIRITTO PUBBLICO (NON CONTRATTUALIZZATI)  Il modello TU del pubblico
impiego comporta una disciplina unilaterale del rapporto e un’articolazione dei doveri del funzionario che
tende ad assicurare, in pari misura, l’adempimento della prestazione lavorativa e il corretto esercizio delle
funzioni pubbliche affidate. Il modello, fondato sulla supremazia speciale della PA. Gli obblighi del
dipendente sono altrettanto speciali: oltre all’ordinaria diligenza, è richiesto, a salvaguardia dei beni morali
dell’amministrazione e del prestigio del funzionario della società; le sanzioni sono provvedimenti
amministrativi, di competenza di un organo dell’amministrazione, sindacabili dal giudice amministrativo.
DIPENDENTI IN REGIME DI DIRITTO PRIVATO  Per questi dipendenti la fonte di disciplina del rapporto di
lavoro diventa il contratto. Ciò comporta, sul piano disciplinare, l’applicazione ai dipendenti pubblici
dell’art.2106 che prevede sanzioni disciplinari per inosservanza del dovere di diligenza e dell’obbligo di
fedeltà. Nelle pubbliche amministrazioni il compito di individuare la tipologia delle infrazioni e delle relative
sanzioni è affidato dalla legge ai contratti collettivi. La centralità del contratto del determinare doveri e
sanzioni ha attribuito alla prestazione lavorativa un peso decisivo. Le misure adottate per compensare
questo squilibrio, a favore di una maggiore considerazione dei doveri di comportamento volti ad assicurare
lealtà, diligenza e imparzialità nell’esercizio delle funzioni pubbliche: da un lato abbiamo i doveri di
comportamento fissati in codici di comportamento; dall’altro la tendenza alla parziale rilegificazione della
materia della responsabilità disciplinare. Poiché la materia delle sanzioni disciplinari è compresa nel
rapporto di lavoro, per i dipendenti contrattualizzati la giurisdizione per le relative controversie spetta al
giudice ordinario. Manca una disciplina che garantisca l’indipendenza degli organi sanzionatori rispetto ai
dipendenti delle amministrazioni interessate. I doveri di comportamento fissati nei codici valgono ai fini
disciplinari per tutte le categorie di dipendenti: contrattualizzati e non contrattualizzati.

3-LA RESPONSABILITA’ DEL FUNZIONARIO PER LE CONSEGUENZE PRODOTTE DALLA SUA AZIONE.

3.1-LA RESPONSABILITA’ AMMINISTRATIVA. Il funzionario che produce un danno all’amministrazione può


essere chiamato a risponderne: può essere condannato al pagamento di una somma in rapporto al danno
prodotto. L’accertamento del danno e della responsabilità del funzionario spetta alla Corte dei Conti, che
opera in questo caso come organo giurisdizionale. La responsabilità amministrativa presuppone l’esistenza
di un rapporto con l’amministrazione. Anche i funzionari onorari sono soggetti alla responsabilità
amministrativa.
Le attività da cui può derivare il fatto dannoso sono indicate nella maniera più ampia, potendo consistere
nel compimento di atti o in attività materiali. Il danno prodotto può essere diretto: il funzionario adotta un
comportamento o un atto dell’amministrazione, ovvero omette un comportamento o un atto da cui deriva
un danno. Il danno può essere indiretto: l’amministrazione viene condannata al risarcimento di un danno
per un fatto o per un atto imputabile al funzionario. La responsabilità dl funzionario si ha solo per condotte
dolose o gravemente colpose. La Corte ha il potere riduttivo, che consente al giudice di porre a carico del
responsabile solo una parte del danno accertato o del valore perduto, tenuto conto di particolari
circostanza, quali: la complessità del lavoro svolto: la delicatezza e pericolosità della prestazione. Date
queste particolarità, si discute sulla natura della responsabilità amministrativa, sostenendo alcuni la sua
natura sanzionatoria, di tipo pubblicistico; altri la natura risarcitoria, di tipo privatistico. Si deve dar conto
della maggior peculiarità della Corte dei conti, che sembra confortare la tesi sulla natura sanzionatoria:
l’ordinamento consente di ridurre in modo drastico l’importo della condanna perché non mira al ristoro
economico, ma all’effetto di deterrenza della sanzione.

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3.2-LA RESPONSABILITA’ CONTABILE. La particolarità della responsabilità contabile è che essa riguarda gli
agenti contabili, cioè quei funzionari che non restituiscono denaro, beni o altri valori pubblici che hanno
avuto in consegna o di cui hanno avuto la disponibilità materiale. La responsabilità viene accertata con il
giudizio di conto, che inizia con la stessa presentazione del conto alla competente sezione giurisdizionale
della Corte dei conti e si conclude con il discarico o con la condanna dell’agente contabile. Il giudizio di
conto che non si conclude entro 5 anni dal deposito del conto si estingue.

4-LA RESPONSABILITA’ CIVILE NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE. Secondo l’art.2043 <<qualunque fatto
doloso o colposo che cagione ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il
danno>>. Nel diritto privato possono essere tenute al risarcimento del danno tanto le persone fisiche che le
persone giuridiche. L’art.28 Cost. prevede sia la responsabilità diretta del funzionario sia la responsabilità
dell’amministrazione. La previsione di una responsabilità fa sì che il soggetto che si rivolge ad un giudice per
chiedere il risarcimento di un danno subito chiami in causa l’amministrazione senza dover identificare in
modo preciso il funzionario agente.
A lungo si è mantenuta la tesi della non risarcibilità dei danni prodotti nell’esercizio dei poteri
autoritativi/unilaterali, che derivava dal timore che il rischio di una condanna al risarcimento del danno
limitasse la discrezionalità dell’amministrazione e aumentasse l’incertezza dell’amministrazione nella sua
azione. L’ordinamento prevede espressamente che l’amministrazione possa rispondere dei danni prodotti
dalla sua azione di cura degli interessi pubblici, tanto nei casi di lesione di diritti soggettivi che in quelli di
lesione degli interessi legittimi.
IL PROFILO SOGGETTIVOL’amministrazione agisce sempre attraverso un suo agente. L’azione compiuta va
riferita all’amministrazione; deve sussistere quindi un rapporto organico in essere. La disciplina della
responsabilità civile diretta del funzionario si applica quando il danno è causato dal funzionario,
nell’esercizio delle sue azioni. Tale rapporto non sussiste quando il comportamento del funzionario è
determinato da fini strettamente personali.
IL DOLO E LA COLPAPoiché l’amministrazione agisce attraverso il proprio agente è a questi che va riferita
la condizione soggettiva al momento del compimento dell’azione, se ricorrono cioè gli elementi del dolo o
della colpa. Laddove venisse chiamato in giudizio direttamente il funzionario, questi risponderebbe solo per
dolo e colpa grave, cioè violazione dei doveri di comportamento che a anche le persone meno diligenti e
caute sono solite osservare. Sempre che egli non agisca al di fuori del rapporto di servizio, poiché in quel
caso sarebbe considerato come un soggetto privato; in tal caso non soltanto non si verifica l’estensione della
responsabilità all’amministrazione, ma il soggetto risponde anche per colpa lieve. Quando viene chiamata in
giudizio l’amministrazione, essa risponde anche per colpa lieve dei suoi agenti.
RESPONSABILITA’ CIVILE DELL’AMMINISTRAZIONE E RESPONSABILITA’ AMMINISTRATIVA DEL
FUNZIONARIOAnche se non viene chiamato direttamente in giudizio, all’agente che ha prodotto il danno
può essere applicata la responsabilità amministrativa. In questo senso, i profili di colpa, tornano in primo
piano, perché il funzionario risponde solo per dolo e colpa grave. In base al potere riduttivo è poi possibile
far valere in sede di responsabilità amministrativa quelle quote di responsabilità imputabili ai singoli
funzionari che possono essere più facilmente selezionate ed isolate nel giudizio davanti alla Corte dei conti.
LA FINALITA’ DELLA RESPONSABILITA’ CIVILENei rapporti tra privati il risarcimento del danno ha
sicuramente una funzione riparatoria, di ristoro del danno economico subito. Vi è la possibilità di chiamare
in giudizio direttamente l’amministrazione e la configurabilità di una responsabilità per colpa lieve. Non
mancano, elementi che fanno pensare ad una finalità sanzionatoria, volta cioè, oltre al ristoro del
danneggiato, a responsabilizzare il funzionario ad adottare comportamenti corretti.

4.1-RESPONSABILITA’ CONTRATTUALE. Finché il contratto è efficace tra le parti l’amministrazione deve


rispondere degli obblighi assunti. Il mancato o ritardato pagamento di quanto dovuto o il mancato
compimento di attività previste nel contratto costituisce inadempimento che può dar luogo alla condanna al
risarcimento dei danni prodotti.

4.2-RESPONSABILITA’ EXTRACONTRATTUALE. Al di fuori dei rapporti contrattuali, un danno può essere


prodotto in due modi: con il compimento di un’azione materiale; con l’adozione di atti amministrativi. È

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sufficiente che l’agente abbia un rapporto che lo lega all’amministrazione e che agisca nel compimento del
rapporto di servizio.

4.3-RESPONSABILITA’ PER DANNI PRODOTTI DALL’AZIONE AMMINISTRATIVA DI CURA DELL’INTERESSE


PUBBLICO.
L’AZIONE ILLEGITTIMAPerché si possa parlare di responsabilità civile l’azione dell’amministrazione deve
aver prodotto un danno ingiusto. L’amministrazione fa prevalere l’interesse pubblico. In molti casi le
limitazioni non producono neanche danni quantificabili. In altri casi, invece, il danno è quantificabile e
meritevole di ristoro, ma quando l’azione dell’amministrazione è legittima questo assume la forma
dell’indennizzo e non del risarcimento. Il problema del vero risarcimento del danno si pone nei casi di
azione amministrativa invalida perché adottata in contrasto con la legge.
IL DANNO PRODOTTOSi è rapidamente preso atto che erano risarcibili le lesioni prodotte a diritti
soggettivi, tanto nei casi di diritti non comprimibili quanto nei casi di diritti comprimibili. Molto più lenta è
stata l’evoluzione della disciplina per i casi in cui l’azione illegittima leda gli interessi legittimi, che
costituiscono la grande maggioranza delle situazioni giuridiche soggettive sulle quali incide l’azione
discrezionale dell’amministrazione. Il giudice amministrativo ha voluto proteggere il suo sindacato
sull’azione discrezionale, senza che esso fosse condizionato dalla valutazione, privatistica del danno. Questo
principio è stato superato, prima nella giurisprudenza, poi nella legislazione. Nel primo caso la Cassazione
intendeva affermare, con la risarcibilità, la giurisdizione del giudice ordinario. Nel secondo caso si è finito
per affermare la giurisdizione del giudice amministrativo <<Sono attribuite alla giurisdizione generale di
legittimità del giudice amministrativo le controversie relative ad atti, provvedimenti o omissioni delle
pubbliche amministrazioni, comprese quelle relative al risarcimento del danno per lesione di interessi
legittimi>>. Il risarcimento del danno può, quindi, configurarsi sia per gli interessi legittimi cosiddetti
oppositivi ( di fronte ad un provvedimento amministrativo restrittivo) sia per quelli pretensivi ( di un
provvedimento accrescitivo). La determinazione del danno appare realizzabile in modi diversi. Nel primo
caso, esistendo una situazione precedente lesa, la quantificazione sarà più agevole. Nel secondo caso,
dipendendo l’ampiezza del vantaggio attribuito con il provvedimento da una valutazione discrezionale, il
giudice dovrà compiere delle valutazioni più complesse.
IL PROFILO SOGGETTIVOL’invalidità dell’atto ha un carattere del tutto oggettivo e prescinde da elementi
soggettivi, mentre l’illiceità dell’azione e del danno prodotto presuppone la considerazione della situazione
soggettiva dell’agente. La Cassazione aveva evocato una colpa non più degli agenti, ma dell’apparato,
configurando così una sorta di responsabilità oggettiva dell’amministrazione. Idea ormai superata: perché il
danno sia ritenuto ingiusto occorre che l’agente abbia operato con dolo o colpa, che si ha quando l’errore
compiuto non sia scusabile.
LA GIURISDIZIONEConsiderata la natura privatistica del diritto al risarcimento de danno, la conseguenza
naturale sarebbe la giurisdizione del giudice ordinario. Spettano sicuramente al giudice ordinario i casi di
responsabilità contrattuale o extracontrattuale da compimento di azioni illecite, ma fuori dall’azione
amministrativa di cura di interessi pubblici, più complessa la situazione dell’esercizio della funzione, per la
quale, si pone il problema del contrasto tra il termine brevissimo di decadenza entro il quale può essere
impugnato un atto amministrativo illegittimo e il termine di prescrizione entro il quale si può ricorrere a
tutela di un diritto come quello al risarcimento. Il giudice amministrativo, in una reiterata giurisprudenza, ha
affermato il principio della cosiddetta pregiudiziale amministrativa, secondo il quale il risarcimento poteva
essere disposto solo dopo aver esperito l’azione di annullamento davanti al giudice amministrativo. La
soluzione adottata dal legislatore attribuisce ora al giudice amministrativo la giurisdizione sul risarcimento
del danno per lesione degli interessi legittimi, ma fissa un termine breve di decadenza, per la proposizione
dell’azione di condanna al risarcimento.
LA NATURA DELLA RESPONSABILITA’Sulla natura della responsabilità civile dell’amministrazione si sono
confrontate opinioni diverse: la più consolidata è quella natura extracontrattuale, perché l’amministrazione
agisce nell’esercizio di poteri che possono conformare gli interessi dei destinatari in modo unilaterale.
Questa posizione si fonda sulla piena estraneità tra amministrazione e danneggiato che è tipica della
responsabilità extracontrattuale, ma sembra non tenere conto della disciplina del procedimento
amministrativo. Per questo motivo sono intervenute significative teorie volte ad affermare il carattere
contrattuale o precontrattuale della responsabilità civile per illegittimità dell’azione amministrativa. La

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giurisdizione del giudice amministrativo, se questi saprà operare ai fini della piena tutela del soggetto
privato danneggiato, applicando le regole pubblicistiche sull’azione e determinando il danno secondo le
regole del codice civile, fa ritenere preferibile la ricostruzione della responsabilità come di tipo
extracontrattuale.

5-LA RESPONSABILITA’ DIRIGENZIALE. La responsabilità dirigenziale, con la quale si intende la disciplina volta
a incentivare la qualità della prestazione professionale dei dirigenti amministrativi, in rapporto al
raggiungimento di obiettivi fissati per la loro azione in qualità di organi dell’amministrazione. Il dirigente si
vede riconosciuta una quota di retribuzione, se raggiunge gli obiettivi prefissati. Nei casi più gravi
l’amministrazione può giungere fino al recesso dal rapporto di lavoro con il dirigente. Si tratta di una
responsabilità per risultato.

6-LA RESPONSABILITA’ PER INEFFICIENZA. Con la legge n.15 e il successivo d.lgs. n.198 è stata introdotta una
nuova forma di responsabilità, attivabile con azioni collettive nei confronti di pubbliche amministrazioni
nonché dei concessionari di servizi pubblici. L’azione può essere promossa davanti al giudice amministrativo
dai titolari di interessi giuridicamente rilevanti, che possono agire in giudizio quando abbiano subito un
danno: a) <<dalla violazione di termini o dalla mancata emanazione di atti amministrativi generali
obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine;
b) <<dalla violazione degli obblighi contenuti nelle carte di servizi; c) <<dalla violazione di standard
qualitativi ed economici>> preventivamente stabiliti sia per l’erogazione dei servizi pubblici sia per le attività
delle pubbliche amministrazioni. L’azione, se accolta, conduce ad un ordine del giudice all’amministrazione
di provvedere entro un termine determinato, ma non comporta alcun risarcimento del danno a favore dei
soggetti che hanno proposto l’azione giudiziale.

CAPITOLO 30( LA TUTELA DEI CITTADINI DEI CONFRONTI DEGLI ATTI E DEI COMPORTAMENTI DELLE
AMMINISTRAZIONI)

1-LE DIVERSE FORME DI TUTELA. Abbiamo visto come la tutela viene garantita già in forma anticipata,
attraverso la definizione dell’organizzazione. Abbiamo visto come l’ordinamento fornisca al cittadino la
possibilità di rivolgersi immediatamente ad un giudice, terzo e indipendente dall’amministrazione, perché
stabilisca se il provvedimento è legittimo o se debba essere annullato. È ora giunto il momento di esaminare
il complesso degli strumenti di tutela del cittadino verso l’amministrazione, che va sotto il nome di giustizia
amministrativa. Con questo termine si comprendono, sia gli strumenti di giustizia nell’amministrazione, sia
quelli di tutela giurisdizionale.

2-LA GIUSTIZIA NELL’AMMINISTRAZIONE

2.1-I RICORSI AMMINISTRATIVI. In presenza di un provvedimento adottato, il cittadino che ritenga che
quell’atto, non solo leda una sua situazione giuridica, ma sia illegittimo, ha davanti a sé l’alternativa tra
richiedere all’amministrazione di riesaminare il proprio atto o ricorrere direttamente al giudice. Nel primo
caso presenta un ricorso amministrativo, nel secondo un ricorso in sede giurisdizionale. L’utilità del ricorso
amministrativo sta nella relativa semplicità e rapidità del procedimento.
La materia dei ricorsi amministrativi è disciplinata in via generale dal d.P.R. n.1199 del 1971 emanato
contestualmente alla legge istitutiva del TAR. La disciplina vigente distingue tra ricorsi ordinari e ricorso
straordinario al Presidente della Repubblica.
I ricorsi ordinari presentano elementi comuni e alcuni caratteri differenziali. Primo elemento comune è il
carattere amministrativo, non giurisdizionale, della decisione dell’amministrazione sul ricorso. Il cittadino
chiede all’amministrazione di riesaminare un suo provvedimento; l’amministrazione apre un procedimento,
che si deve concludere con una decisione entro il termine di 90 giorni. La decisione sul ricorso è un atto
amministrativo, a sua volta impugnabile davanti al giudice. La decisione amministrativa sul ricorso ha un
carattere contenzioso, mentre il provvedimento di secondo grado è un atto di amministrazione attiva, di
ulteriore esercizio della funzione. Secondo elemento comune: il cittadino può presentare nel ricorso non
solo vizi di legittimità, ma anche di merito. Netta è la differenza con il ricorso giurisdizionale:

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l’amministrazione può ritornare su suoi provvedimenti perché titolare della funzione amministrativa. Il terzo
elemento comune ai ricorsi amministrativi consiste nel contenuto delle decisioni dell’amministrazione: oltre
a dichiarare inammissibile il ricorso o a rigettarlo, può annullare il provvedimento, modificarlo o rinviarlo
all’organo competente. Il giudice amministrativo, al contrario, in caso di accoglimento del ricorso, ha solo il
potere di annullare l’atto.
RICORSO GERARCHICOSi tratta dell’ipotesi base, l’unica con carattere generale, che consente di rivolgersi
in un'unica istanza all’organo sovraordinato a quello che ha adottato l’atto, entro 30 giorni dalla conoscenza
dell’atto. Questo ricorso è costruito sull’ipotesi che le amministrazioni siano organizzate secondo un
modello gerarchico. La LLP esclude la proponibilità di un ricorso gerarchico contro <<i provvedimenti
adottati dai dirigenti posti al vertice dell’amministrazione e dai dirigenti di uffici dirigenziali generali>>, cioè
contro gli atti di organi amministrativi che abbiano, al di sopra, solo organi politici. Vi possono essere dei
casi, residui, di sovra ordinazione gerarchica solo quando il modello di macro organizzazione adottato
preveda più livelli di organi amministrativi. (es regioni).
RICORSO GERARCHICO IMPROPRIOSi tratta di un ricorso disciplinato dal comma 2 dell’art.1 (<<contro gli
atti amministrativi dei Ministri, di enti pubblici o di organi collegiali>>), ma non ha un’applicazione generale
perché il ricorso deve essere previsto dalla legge. Non esistono più atti di amministrazione attiva adottati dai
Ministri o da organi collegiali. È una previsione molto generica. Vista la notevole espansione delle posizioni
di autonomia la sua applicazione risulta limitata ai soli rapporti di forte dipendenza.
RICORSO IN OPPOSIZIONEE’ il ricorso disciplinato dall’art.7 del d.P.R. n.1199 del 1971 presentato allo
stesso organo amministrativo che ha adottato l’atto. Si applicano le regole del ricorso gerarchico. È uno
strumento assai poco utilizzato, a causa della sfiducia dei cittadini sulla possibilità che lo stesso organo
possa ritornare su una propria decisione.
RICORSO STRAORDINARIO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICAE’ un residuo storico, figlio dell’antica
giustizia ritenuta, nella quale il cittadino si rivolgeva al massimo vertice dello Stato per chiedere a lui tutela
contro un atto illegittimo. È ammesso solo <<contro gli atti amministrativi definitivi>> e solo <<per motivi di
legittimità>>. Il ricorso può essere presentato, entro 120 giorni dalla conoscenza del provvedimento,
all’organo che ha adottato il provvedimento, che provvede a trasmetterlo al Ministero competente. Il
Ministero compie l’istruttoria sul ricorso e ne trasmette i risultati al Consiglio di Stato ai fini dell’emissione di
un parere. Il parere è vincolante. L’alternativa data dall’art 8 esclude il ricorso straordinario, qualora, sul
medesimo atto, sia stato presentato un ricorso giurisdizionale. È una disciplina che desta notevoli
perplessità. La prima perplessità riguarda il carattere nettamente centralista dell’istituto, solo in parte
attenuato dal parere vincolante del Consiglio di Stato. La seconda perplessità sta nel coinvolgimento in una
funzione giustiziale di una sezione consultiva del Consiglio di Stato, che è organo di supporto
all’amministrazione, non di giudizio terzo e indipendente. Il ricorso straordinario è ancora utilizzato con una
certa frequenza: a causa del termine di decadenza più lungo rispetto al ricorso giurisdizionale; perché i
tempi medi di decisione sono mediamente più brevi di quelli del ricorso giurisdizionale.

2.2-IL DIFENSORE CIVICO. Si tratta di una figura originale, tratta dall’esperienza del nord Europa
dell’Ombudsman, che opera per la giustizia nell’amministrazione, anche se spesso con poteri incerti. È
organo esterno all’amministrazione e non ha il potere di ritornare su decisioni amministrative illegittime. La
sua azione, riguarda in gran parte la facilitazione dei rapporti tra cittadino e amministrazione. La LPA gli
riconosce un ruolo in materia di accesso ai documenti amministrativi.

3-LA TUTELA DAVANTI AL GIUDICE AMMINISTRATIVO. Il cittadino che abbia deciso di chiedere tutela delle
proprie situazioni giuridiche soggettive ad un giudice si rivolge al giudice amministrativo o al giudice
ordinario, in applicazione del criterio di riparto tra giurisdizioni, che in Italia è ancora fondato sulla
distinzione tra le due categorie di situazioni giuridiche: da un lato gli interessi legittimi, dall’altro i diritti
soggettivi. Questo criterio viene spesso modificato con l’espressa attribuzione della giurisdizione ad uno dei
due giudici: è il caso del frequente ricorso alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

3.1-L’ORGANIZZAZIONE DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO. IL DOPPIO GRADO DI GIURISDIZIONE. Per un


lunghissimo periodo, all’istituzione dei TAR il giudice amministrativo era costituito dal solo Consiglio di
Stato, che sindacava gli atti delle amministrazioni pubbliche in unica istanza, cioè con un solo grado di

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giudizio. Le sentenze del Consiglio di Stato erano quindi definitive e impugnabili davanti alla Corte di
Cassazione solo per motivi attinenti alla giurisdizione. Con l’istituzione dei TAR , questi sono oggi il giudice
amministrativo di primo grado, mentre il Consiglio di Stato è solo giudice amministrativo di appello. Il
ricorso deve quindi essere presentato, entro il termine di decadenza di 60 giorni dalla conoscenza del
provvedimento, al TAR competente per territorio. La competenza si stabilisce in base alla sede
dell’amministrazione pubblica che ha adottato il provvedimento. I ricorsi contro gli atti delle amministrazioni
dello Stato e degli enti pubblici nazionali devono essere presentati al TAR del Lazio. La competenza è
inderogabile. Vi sono anche casi di competenza di tipo funzionale, per i quali si applica il criterio
dell’attribuzione della funzione e non della sede.

3.2-L’ARTICOLAZIONE DELLA GIURISDIZIONE. TAR e Consiglio di Stato esercitano la giurisdizione


amministrativa che <<si articola in giurisdizione generale di legittimità, esclusiva ed estesa al merito>>.
GIURISDIZIONE GENERALE DI LEGITTIMITA’Costituisce il modello di base della giurisdizione
amministrativa, quello che viene disciplinato quanto ad azioni esperibili, poteri del giudice e svolgimento
del processo. Il criterio di fondo per la sua individuazione è la tutela degli interessi legittimi: <<sono
attribuite alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo le controversie relative ad atti,
provvedimenti o omissioni delle pubbliche amministrazioni, comprese quelle relative al risarcimento del
danno per lesione di interessi legittimi e agli altri diritti patrimoniali consequenziali. Vi è poi la tutela
risarcitoria, per lesione di interessi legittimi, come completamento della tutela fin qui offerta con
l’annullamento.
LA GIURISDIZIONE ESCLUSIVAQuesta particolare giurisdizione, che consente al giudice amministrativo di
occuparsi anche di diritti soggettivi, è espressamente prevista dalla Costituzione che però la considera
un’eccezione al criterio di riparto fondato sulle diverse categorie di situazioni giuridiche soggettive. La
nozione è ora disciplinata dal CPA << Nelle materie di giurisdizione esclusiva, indicate dalla legge e
dall’articolo 133, il giudice amministrativo conosce, pure ai fini risarcitori, anche delle controversie nelle
quali si faccia questione di diritti soggettivi>>. La giustificazione della giurisdizione esclusiva sta nella
semplificazione della tutela da fornire al cittadino. La cautela nella sua utilizzazione è fondata sul fatto che,
la tutela del giudice amministrativo è diversa da quella del giudice ordinario, con il rischio che in tal modo la
tutela dei diritti soggettivi possa essere attenuata.
Uno dei campi di maggiore applicazione della giurisdizione esclusiva è stato per molti anni il pubblico
impiego. Con la privatizzazione del rapporto di lavoro la giurisdizione è totalmente transitata in capo al
giudice ordinario. I casi più significativi sono quelli delle controversie che riguardano da un lato gli atti di
concessione/affidamento di servizi pubblici e di concessione di beni pubblici e dall’altro gli accordi.
Nell’art.133 si contano ben 26 materie di giurisdizione esclusiva, tra le quali le controversie in materie di
urbanistica o di espropriazione per pubblica utilità, o quelle relative ai provvedimenti delle autorità
indipendenti. Alle materie indicate all’art.133 CPA va poi aggiunta la speciale competenza in materia di
declaratoria di nullità, nei casi diversi dalla nullità per violazione o elusione del giudicato.
LA GIURISDIZIONE ESTESA AL MERITO Il terzo tipo di giurisdizione amministrativa è quella estesa al
merito. Le controversie di giurisdizione di merito sono tassativamente elencate nell’art.134 del CPA: <<a)
l’attuazione delle pronunce giurisdizionali esecutive o del giudicato>>; <<b) gli atti e le operazioni in materia
elettorale, attribuiti alla giurisdizione amministrativa>>; <<c) le sanzioni pecuniarie la cui contestazione è
devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo>>; <<d) le contestazioni sui confini degli enti
territoriali>> ; <<e)il diniego di rilascio di nulla osta cinematografico>>. Si tratta di casi nei quali il giudice,
per dare effettiva tutela, deve risolvere direttamente la controversia con la decisione. Ciò implica che si
debba, in questi casi, superare il limite del rispetto della divisione dei poteri. Il giudice può sostituirsi
all’amministrazione.

3.3-LE AZIONI NEL PROCESSO AMMINISTRATIVO. I POTERI DEL GIUDICE. Nel codice di procedura civile le
azioni si distinguono in azioni di accertamento, di condanna, costitutiva. Questa tripartizione è solo in parte
applicata nel processo amministrativo, nel quale si trovano azioni di annullamento, di condanna e di
accertamento.
L’AZIONE DI ANNULLAMENTO Il processo amministrativo si fonda ancora sul ricorso contro un
provvedimento amministrativo ritenuto illegittimo perché il giudice lo rimuova, privandolo di efficacia. La

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relativa azione è quindi un’azione di annullamento, di carattere costitutivo. Il giudice non si limita ad
accertare ma opera direttamente modificando la situazione esistente, cioè rimuovendo il provvedimento
con efficacia retroattiva. L’azione presuppone necessariamente che l’azione amministrativa si sia svolta, con
l’adozione di un provvedimento. <<In nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri
amministrativi non ancora esercitati>>.
L’AZIONE DI CONDANNALa disciplina vigente, fino all’introduzione del risarcimento del danno per lesione
di interessi legittimi, era molto restia a configurare in capo al giudice amministrativo un potere di condanna.
Queste resistenze sono ormai superate e il principale potere di condanna è proprio quello comminato in
sede di tutela risarcitoria nei confronti di una pubblica amministrazione, riservato in via esclusiva al giudice
amministrativo. L’azione di condanna può essere proposta tanto nel giudizio generale di legittimità quanto
in giurisdizione esclusiva. Nel primo caso l’azione è presentata insieme ad altre tipologie di azione, in
particolare insieme all’azione di annullamento. Si può chiedere il risarcimento anche quando la lesione sia
stata prodotta da un provvedimento non più impugnabile. In giurisdizione esclusiva l’azione di condanna è
espressamente qualificata come autonoma dal CPA. L’autonomia dell’azione di condanna per risarcimento
del danno risolve definitivamente il problema della pregiudizialità amministrativa: non è necessario
ottenere l’annullamento del provvedimento per poter chiedere il risarcimento. Nella tutela risarcitoria la
condanna è di norma di natura pecuniaria: il giudice condanna l’amministrazione a risarcire il danno
attraverso la dazione di denaro, ma è previsto anche il risarcimento del danno in forma specifica. Il giudice
può condannare l’amministrazione ad un risarcimento consistente in un facere. Al di fuori della tutela
risarcitoria, l’azione può essere esperita per ottenere dal giudice la condanna al pagamento di somme o ad
un facere.
L’AZIONE DI ACCERTAMENTOIl CPA disciplina questa azione prevedendone due contenuti: a)l’azione di
accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere decorso il termine di conclusione del
provvedimento; b) l’azione di accertamento della nullità di un provvedimento, quando questo potere è
riconosciuto al giudice amministrativo.
Nel caso del silenzio inadempimento l’azione, anche se limitata ai casi di atto vincolato sembra avere un
contenuto diverso dal mero accertamento dell’inadempimento, perché, in caso di accoglimento del ricorso,
il giudice ordina all’amministrazione di provvedere entro un termine non superiore, di norma a 30 giorni.
L’azione dà luogo ad un rito semplificato: a) il ricorso avverso il silenzio è proposto, anche senza previa
diffida con atto notificato all’amministrazione e ad almeno un controinteressato; b)l’azione può essere
proposta fintanto che perdura l’inadempimento; c) il ricorso è deciso con sentenza in forma semplificata; d)
il giudice nomina ove occorra un commissario ad acta.
IL MANCATO RICONOSCIMENTO DI UN’AZIONE DI ADEMPIMENTODa tempo una parte importante della
dottrina auspica la trasformazione, sull’esempio di altri ordinamenti del processo amministrativo da giudizio
sull’atto a giudizio sul rapporto, cioè sulla relazione che si stabilisce tra amministrazione e cittadino con
l’azione amministrativa. In questo modo il ricorrente, riceve una tutela più ampia, perché potrebbe ottenere
direttamente dal giudice quelle utilità che l’annullamento gli assicura solo in via indiretta. Se fosse
riconosciuta l’azione di adempimento, la sua sentenza potrebbe consistere nella condanna
dell’amministrazione all’adozione di un provvedimento, favorevole agli interessi del ricorrente, a contenuto
predeterminato, o nell’adozione di un provvedimento direttamente da parte del giudice. La dottrina è
andata alla ricerca nel CPA di qualche traccia di adempimento. L’ha trovata nell’art 34 che autorizza il giudice
all’adozione delle misure idonee a tutelare a situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio. Ad una
valutazione più meditata risulta che le norme richiamate autorizzano il giudice a assicurare una tutela
effettiva, ma non a creare fattispecie di azione che non sono espressamente previste.

3.4-LO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. Il processo amministrativo si regge su alcuni principi fondamentali
quali quello della domanda, cui si collega il principio dell’impulso di parte e del contraddittorio costituite le
parti necessarie. Il processo si attiva con la presentazione del ricorso all’amministrazione interessata entro il
termine fissato. Il ricorso deve contenere i motivi di impugnazione, deve essere depositato presso il TAR
competente entro 30 giorni dalla notifica.
L’ISTRUTTORIA L’istruttoria risulta condizionata dai fatti posti a basa del giudizio, che possono essere
allegati solo dalle parti. L’onere della prova dell’illegittimità del provvedimento ricade sul ricorrente. Il
giudice ha comunque poteri di acquisizione d’ufficio dei mezzi istruttori. Nel processo amministrativo vige

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quindi un principio acquisitivo. Ci si è posti il problema del rapporto tra istruttoria che si è svolta nel
procedimento e quella nel processo. Alcuni ritengono che la seconda avrebbe un ruolo di mera revisione
dell’istruttoria procedimentale. Si tratta di un’opinione errata, perché scopo dell’istruttoria nel processo è
sempre l’accertamento dei fatti allegati dalle parti ai fini della decisione, mentre l’amministrazione gode di
discrezionalità nella valutazione dell’interesse pubblico il giudice deve solo valutarne la conformità al diritto.
Un processo in sostanza cartaceo, su documenti, che escludeva gli altri mezzi di prova tipici del processo
civile. Con il CPA la disciplina dei mezzi di priva è unitaria: ai mezzi di prova tradizionali si aggiungono la
verificazione, la consulenza tecnica d’ufficio, la prova testimoniale che in omaggio al ricordato modello del
processo documentale è sempre assunta in forma scritta ai sensi del codice di procedura civile, l’ispezione.
Restano esclusi l’interrogatorio formale e il giuramento.
LA TUTELA CAUTELARE<<Se il ricorrente, allegando di subire un pregiudizio grave e irreparabile durante il
tempo necessario a giungere alla decisione sul ricorso, chiede l’emanazione di misure cautelari, compresa
l’ingiunzione a pagare una somma in via provvisoria, che appaiono, secondo le circostanze, più idonee ad
assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso. Analogamente a quanto avviene nel processo
civile, il giudice può adottare misure di garanzia della posizione di una delle parti per evitare che, nell’attesa
della decisione del giudice, questa possa essere irreparabilmente compromessa. Mentre nel processo civile
trova applicazione il principio dell’atipicità delle misure cautelari; il giudice stabilisce quale misura sia la più
adatta nella situazione data, nel processo amministrativo si è a lungo affermata praticamente una sola
misura cautelare, per questo definita come misura cautelate tipica, la sospensione del provvedimento. La
proposizione del ricorso non comporta l’applicazione automatica della misura che va richiesta al giudice.
Il mancato accoglimento del principio dell’atipicità della tutela cautelare è oggi in larga misura superato:
dapprima si è provveduto ad estendere l’atipicità alla giurisdizione esclusiva poi si è giunti con il nuovo CPA
ad applicare questo principio a tutta la giurisdizione.
LA DECISIONE DEL GIUDICEIl giudice adotta diversi tipi di atti, nel corso del giudizio. Le sentenze possono
essere di merito, quando il giudice si pronuncia sul contenuto del ricorso, e di rito, quando si pronuncia su
questioni procedurali che impediscono la pronuncia di merio. Il contenuto delle sentenze di accoglimento
può essere vario: il giudice, infatti ordina all’amministrazione, rimasta inerte di provvedere entro un
termine; condanna al pagamento di una somma di denaro, anche a titolo di risarcimento del danno e
dispone misure di risarcimento in forma specifica ai sensi dell’articolo 2058 del codice civile<, nei casi di
giurisdizione di merito, adotta un nuovo atto; dispone le misure idonee ad assicurare l’attuazione del
giudicato. Con le sentenze di rito <<il giudice dichiara, anche d’ufficio, il ricorso: irricevibile se accerta la
tardività della notificazione o del deposito; inammissibile quando è carente l’interesse o sussistono altre
ragioni ostative ad una pronuncia sul merito; improcedibile quando nel corso del giudizio sopravviene il
difetto di interesse delle parti alla decisione. il giudice, poi, <<dichiara estinto il giudizio: se, nei casi previsti
dal presente codice, non viene proseguito o riassunto nel termine perentorio fissato dalla legge o assegnato
dal giudice.
3.5-GIUDICATO ED ESECUZIONE DELLA SENTENZA. IL GIUDIZIO DI OTTEMPERANZA. La sentenza del giudice
amministrativo passa in giudicato quando non è più attaccabile. La sentenza, anche non passata in giudicato
è immediatamente esecutiva. Ciò comporta un preciso dovere dell’amministrazione di darvi piena
esecuzione.
Se l’amministrazione non dà esecuzione alla sentenza, la legge prevede e disciplina uno speciale giudizio,
detto di ottemperanza, che consente al giudice, la cui giurisdizione è estesa al merito di adottare tutti i
provvedimenti necessari a dare effettiva tutela ai diritti maturati con la sentenza. Il processo si svolge
secondo un rito semplificato: i termini sono ridotti alla metà, il giudice si pronuncia con una sentenza in
forma semplificata.

4-LA TUTELA DAVANTI AL GIUDICE ORDINARIO. Quando l’amministrazione agisce nella cura di interessi
privati la giurisdizione del giudice ordinario non è in dubbio. Diverso il caso in cui l’amministrazione agisca
con strumenti di diritto privato, ma nell’interesse pubblico, perché qui abbiamo riscontrato la tendenza del
legislatore a ripartire la giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo. Il punto più delicato sta
nei casi in cui l’amministrazione agisca con atti autoritativi/unilaterali nella cura di un interesse pubblico.
Qui l’adozione di un criterio di riparto fondato sulle diverse situazioni giuridiche soggettive, rende in astratto
possibile che di fronte all’esercizio di poteri amministrativi vi siano diritti soggettivi, con l’intervento del

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giudice ordinario. Questa astratta possibilità è stata fortemente ridotta dall’applicazione del criterio della
carenza di potere che attribuiva la giurisdizione al giudice ordinario solo in caso di atto nullo, mentre il
giudice amministrativo si occupava degli atti adottati in cattivo esercizio del potere, cioè degli atti
annullabili. In secondo luogo la progressiva espansione della giurisdizione esclusiva in materie centrali
nell’intervento delle amministrazioni pubbliche sembra aver ridotto al minimo i casi di intervento del
giudice ordinario in presenza di provvedimenti amministrativi.

4.1-LE CONTROVERSIE DI DIRITTO PRIVATO. Nelle controversi relative ad atti o comportamenti nei quali
l’amministrazione agisca nella cura di interessi privati, il giudice ordinario è il giudice naturale, perché è
sicuramente terzo rispetto alle parti ed è portato a considerarle su un piano di parità. In tutti questi casi il
giudice ordinario è dotato di tutti i poteri conoscitivi, cautelari e decisionali che assicurano piena tutela alla
parte privata contro l’amministrazione. Il giudice può adottare sentenze di condanna, anche ad un facere
che consista nell’adozione di un atto amministrativo, senza doversi limitare, in presenza di un atto
amministrativo alla sola condanna al risarcimento del danno.

4.2-I POTERI DEL GIUDICE ORDINARIO NEI CONFRONTI DELL’ESRCIZIO DELLA FUNZIONE. La legge del 1865,
oltre al divieto di annullamento di un atto amministrativo ha previsto il potere di disapplicazione: qualora il
giudice incontri atti amministrativi che incidono sulla controversi che deve risolvere li applicherà in quanto
siano conformi a leggi. La disapplicazione ha conseguenze giuridiche molto diverse dall’annullamento,
perché quest’ultimo rimuove il provvedimento con i suoi effetti, mentre la disapplicazione si limita a
considerare non efficaci gli effetti prodotti dal provvedimento nella controversi in giudizio, ma lascia in vita il
provvedimento e i suoi effetti. Intanto il provvedimento amministrativo deve avere effetti sulla controversia
solo incidentalmente, perché se gli effetti fossero diretti la giurisdizione spetterebbe al giudice
amministrativo. I casi possono essere: di un atto amministrativo su cui si fonda una pretesa del privato; la
legittimità di un titolo costituito con atto amministrativo nel caso di controversie tra privati.
Si ricorsi che anche per l’esecuzione della sentenza del giudice ordinario che comporti l’adozione di atti da
parte dell’amministrazione si applica il giudizio di ottemperanza.

5-LA RISOLUZIONE ALTERNATIVA DELLE CONTROVERSIE. Poiché il ricorso al giudice, ordinario o


amministrativo, si rivela sempre più oneroso, soprattutto relativamente ai tempi del processo, molti
ordinamenti consentono il ricorso a strumenti alternativi per la risoluzione di controversie con la pubblica
amministrazione. L’attenzione deve essere, posta solo sulle procedure di tipo negoziale: la conciliazione
stragiudiziale, introdotta però solo per fattispecie specifiche e l’arbitrato, la cui utilizzazione potenzialmente
generalizzata è oggi disposta dall’art.12 del CPA << Le controversie concernenti diritti soggettivi devolute alla
giurisdizione del giudice amministrativo possono essere risolte mediante arbitrato rituale di diritto>>.
6-LA TUTELA DEI CITTADINI NEI CONFRONTI DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE NEGLI ALTRI
ORDINAMENTI. Sia pure con soluzione organizzative diverse, tutti i paesi considerati hanno oggi un giudice
amministrativo, considerato speciale perché opera secondo regole diverse da quelle del giudice ordinario. Si
possono enucleare tre modelli organizzativi diversi: quello francese, fondato su un giudice amministrativo
nettamente differenziato da quello ordinario, sicuramente appartenente all’ordine giudiziario, ma non
completamente indipendente rispetto alle amministrazioni; quello tedesco, con un giudice amministrativo,
distinto nettamente da quello ordinario, ma che condivide con questo la piena indipendenza
dall’amministrazione; quello rappresentato dal Regno Unito e Spagna, paesi nei quali il giudice
amministrativo è costituito come parte dell’unico ordine giudiziario ordinario.
Il comune modello europeo si avvicina anche quanto a criteri di riparto tra le due giurisdizioni: dappertutto,
in presenza di un giudice amministrativo speciale, il giudice ordinario si occupa delle sole controversie nelle
quali l’azione dell’amministrazione si svolga secondo il diritto privato. Quando è in gioco l’esercizio della
funzione amministrativa, scatta la giurisdizione del giudice speciale, che si occupa quindi delle controversi
che si possono definire di diritto pubblico. L’Italia ha trasferito in capo al giudice amministrativo controversie
nelle quali l’amministrazione agisce con moduli contrattuali e sono in gioco diritti soggettivi.
Anche quanto al tipo di azioni esperibili si registra la convergenza dei vari sistemi in un modello unitario, nel
quale il punto di partenza è sicuramente rappresentato dall’azione di annullamento del provvedimento
amministrativo illegittimo. Nel sistema tedesco si è affermata quell’azione di adempimento che

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l’ordinamento italiano ancora non riconosce. In Francia si afferma il contentieux de pleine juridiction che
conferisce al giudice vasti poteri di condanna e di adempimento.

7-LA TUTELA COMUNITARIA DEI DIRITTI: LA CORTE DI GIUSTIZIA. Un cenno è necessario alla tutela del
cittadino italiano quando l’azione amministrativa che lo riguarda è svolta in attuazione del diritto europeo.
Come sappiamo l’esecuzione del diritto comunitario è compito degli Stati membri e delle loro
amministrazioni. In questo caso, di amministrazione indiretta, competenti a sindacare l’applicazione della
normativa comunitaria sono gli organi giurisdizionali del paese nel quale la normativa è applicata. Questi
giudici hanno il dovere di interpretare la disciplina comunitaria e di valutare se nel caso specifico questa
andava applicata in luogo della contrastante norma di diritto interno. Nell’applicare il diritto europeo i
giudici nazionali devono assicurare una tutela piena ed effettiva. Il principio di effettività della tutela è stato
così il principale strumento di uniformizzazione della giurisdizione amministrativa nei vari paesi europei.
Qualora il giudice interno abbia dubbi sull’interpretazione da dare alla disciplina comunitaria o sulla sua
legittimità può rivolgersi alla Corte di Giustizia dell’UE. <<La Corte di giustizia dell’UE comprende la Corte di
giustizia, il Tribunale e i tribunali specializzati. Assicura il rispetto del diritto nell’interpretazione e
nell’applicazione dei trattai>>. La richiesta della Corte europea viene definita come rinvio pregiudiziale.
Nel caso di amministrazione europea diretta, la Corte di giustizia opera quale giudice amministrativo per
sindacare la legittimità degli atti adottati dalle istituzioni comunitarie. Gli Stati membri, il Parlamento
europeo, il Consiglio, la Commissione possono presentare ricorso. Un ricorso può essere presentato anche
da qualsiasi persona fisica contro gli atti adottati nei suoi confronti o che la riguardano direttamente e
individualmente.
In entrambi i casi, il rinvio pregiudiziale e il ricorso diretto , il ricorso è esaminato dal Tribunale, le cui
decisioni possono essere impugnate davanti alla Corte, ma solo per i motivi di diritto. La Corte opera ormai
come un giudice di sola legittimità.

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