Il termine “diritto” viene impiegato, nel linguaggio tecnico dei giuristi, in almeno due significati diversi:
- in senso soggettivo, indica una pretesa (“io ho il diritto di...”);
- in senso oggettivo, “diritto” indica un insieme di norme giuridiche, ossia un ordinamento giuridico.
LA NORMA GIURIDICA
Definire il diritto oggettivo come un “insieme di norme giuridiche” sposta l’attenzione su “norma giuridica”, dunque che cos’è una
norma giuridica?
La norma giuridica è una regola generale ed astratta rivolta dallo Stato ai consociati, con la quale viene imposta a tutti una certa
condotta, sotto la minaccia di una sanzione.
Non tutte le leggi o norme della condotta umana sono necessariamente collegate alla convivenza sociale: basta pensare alla legge
morale, che è norma interiore del soggetto anche quando abbia comunque riferimento ad altri, o alle norme tecniche.
Le norme giuridiche hanno caratteri particolari. Essi sono:
― la generalità. Le norme giuridiche sono generali poiché il loro comando non si rivolge ad una singola persona (dando così luogo a
privilegi o discriminazioni), ma ad una generalità di persone (ad esempio, a tutti i cittadini dello Stato);
― l’astrattezza. Le norme giuridiche sono astratte perché non descrivono un caso concreto, ma un caso ipotetico, cioè prendono in
considerazione una situazione astratta che diviene concreta e specifica solo nel momento in cui si verifica il fatto (ad esempio, la
legge penale non dice «Il sig. Rossi ha rubato e quindi deve essere arrestato», ma «chiunque ruba deve essere arrestato»). Pertanto, la
norma giuridica non esamina il singolo, particolare, caso concreto, ma ipotizza, prevede una «situazione-tipo» o «fatti- specie» alla
quale tutti i casi concreti potranno ricondursi (il caso del sig. Rossi che ruba rientra nella norma generale che punisce chi ruba);
― la coercibilità (o obbligatorietà o coattività). Le norme giuridiche sono coercibili poiché coloro che non obbediscono
spontaneamente al loro comando sono sottoposti ad una sanzione cioè alla reazione dello Stato, che può consistere in un
provvedimento che li costringe a rimediare alla trasgressione (ad esempio, una multa per divieto di sosta, un risarcimento per il danno
causato ecc.) oppure in una pena come ad es. la reclusione in carcere;
― l’intersubiettività. Le norme creano e regolano le relazioni tra i soggetti della società.
― l’esteriorità. La norma giuridica, a differenza della legge morale, si configura come esterna al soggetto e contrapposta alla sua
volontà.
― la bilateralità. La bilateralità consiste nella simmetrica corrispondenza tra l’obbligo di un soggetto e il diritto di un altro.
Tradizionalmente il diritto oggettivo si scompone in in due grandi sistemi di norme, il diritto pubblico e il diritto privato.
Il diritto pubblico regola i rapporti nei quali una delle parti è un soggetto pubblico, che esercita un potere di supremazia per
soddisfare un interesse generale. All’interno del diritto pubblico possiamo distinguere:
- il diritto costituzionale: comprende le regole fondamentali dell’ordinamento dello Stato e disciplina gli organi
supremi dello Stato ed i rapporti tra lo Stato ed i cittadini.
- il diritto amministrativo: regola l’attività dello stato e degli altri enti pubblici diretta a soddisfare i bisogni della
collettività.
- il diritto penale: è rivolto a reprimere e prevenire i reati.
- il diritto ecclesiastico: riguarda i rapporti tra lo stato e le confessioni religiose (cattoliche e non).
- il diritto privato: regola i rapporti tra privati cittadini o tra cittadini ed enti pubblici.
IL POTERE POLITICO
LO STATO
Stato è il nome dato ad una particolare forma storica di organizzazione del potere politico, che esercita il monopolio della forza
legittima in un determinato territorio e si avvale di un apparato amministrativo. Lo Stato, quindi, è un Ente Territoriale Sovrano.
Gli elementi necessari dello Stato sono il popolo, il territorio e la sovranità:
- il popolo. L’elemento “popolo” significa che l’esserci collettività è il presupposto primo, ma non caratterizza lo
Stato. Soltanto la comune, stabile e generale sottoposizione ad un potere effettivo e indipendente costituisce
una qualsiasi collettività umana in “popolo“ propriamente detto.
Il popolo non si deve confondere con la popolazione, che è l’insieme di coloro che si trovano ad essere comunque, anche se
occasionalmente e temporaneamente, sottoposti all’autorità territoriali di uno Stato (ad esempio gli stranieri di passaggio).
Giuridicamente sono membri del popolo soltanto coloro che sono sottoposti in modo permanente, necessario e generale ad un
potere tendenzialmente illimitato ed esclusivo.
- il territorio. La delimitazione del territorio è una condizione essenziale per garantire allo Stato l’esercizio della
sovranità. Dunque il diritto internazionale ha elaborato un corpo di regole che servono a delimitare l’esatto
ambito territoriale dello Stato: la Terraferma è la porzione delimitata da confini che possono essere naturali o
artificiali stabiliti da trattati internazionali. Il Mare territoriale è quella fascia di mare costiero interamente
sottoposto alla sovranità dello Stato; quasi tutti gli Stati fissano in 12 miglia marine il limite del mare territoriale.
La Piattaforma continentale: è costituita dal cosiddetto zoccolo continentale (quella parte del fondo marino di
profondità costante che circonda le terre emerse), la regola ormai generalmente accettata dagli Stati, è che
possono riservare a sé l’utilizzo esclusivo delle risorse naturali estraibili dalla piattaforma continentale, purché
sia assicurata la libertà delle acque.
- la sovranità. Lo Stato moderno è sovrano secondo due aspetti: quello interno e quello esterno. Il primo consiste
nel potere di comando in un determinato territorio, che non conosce nessun altro potere al di sopra di sé. Il
secondo aspetto consiste nell’indipendenza dello Stato rispetto qualsiasi altro Stato.
Chi esercita effettivamente il potere sovrano?
Vi sono tre diverse teorie della sovranità:
- teoria della persona giuridica: sono stati soprattutto i giuristi tedeschi a configurare lo Stato come persona
giuridica, cioè come soggetto di diritto titolare della sovranità. Questa tesi serviva a dare legittimazione di
carattere oggettivo allo Stato; serviva inoltre, a risolvere il conflitto tra i due diversi principi politici, quello
monarchico e quello popolare, poiché sovrano non era né il popolo né il re, bensì lo Stato personificato.
- teoria della sovranità della Nazione: È stata una delle invenzioni più importanti del costituzionalismo francese
dopo la rivoluzione del 1789. Alla nazione si appartiene perché accomunati da valori, ideali, legami di sangue e
tradizioni comuni, e la sovranità nazionale è sorta con due funzioni precise: era diretta contro la sovranità del re e
metteva fine all’antica divisione del paese in ordini e ceti sociali.
- teoria della sovranità popolare: questa teoria si deve a Rousseau, e fa coincidere la sovranità con la volontà
generale, a sua volta identificata con la volontà del popolo sovrano. Questa è una visione iper-democraticistica
dell’organizzazione politica, per cui il popolo doveva esercitare direttamente la sua sovranità, senza ricorrere al
sistema rappresentativo.
La vigente Costituzione italiana afferma che la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della
Costituzione (art. 1). D’altra parte, però, la sovranità del popolo ha perso quel carattere di assolutezza che aveva nel secolo
precedente e ciò principalmente a causa di tre circostanze:
la sovranità popolare non si esercita direttamente, ma si inserisce in un sistema rappresentativo;
la diffusione di costituzioni rigide superiori alla legge, che possono essere modificate solo attraverso procedure molto
complesse;
l’affermazione di organizzazioni internazionali.
Con le organizzazioni internazionali si è sviluppato un processo di limitazione giuridica della sovranità esterna degli Stati con la
finalità di garantire la pace e tutelare i diritti umani. Tale processo è stato avviato con il Trattato dell’organizzazione delle Nazioni
Unite (ONU) approvato a San Francisco il 26 giugno del 1945, e poi con la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo
approvata il 10 dicembre 1948 dalla stessa assemblea. Ma da quest’organizzazione non discendono vincoli giuridici, è infatti la stessa
ONU ad affermare di essere fondata sul principio della sovrana eguaglianza di tutti i suoi membri. La limitazione alla sovranità
statale diventa più evidente con la creazione in Europa di organizzazioni sovranazionali: e cioè con l’istituzione della Comunità
Economica Europea (1957), della Comunità Europea del Carbone dell’Acciaio (1951) e della Comunità Europea per l’energia
atomica (1957), tutte e tre riunite a partire dal Trattato di Maastricht (1992). La Comunità Europea costituisce il cosiddetto
primo pilastro dell’Unione Europea: gli altri suoi due campi di azione sono quello della politica estera e quello della sicurezza
comune e della giustizia e degli affari interni. Gli Stati membri hanno trasferito a tali organizzazioni poteri rilevanti, comunque
precisando che non possono sostituirsi integralmente allo Stato.
Le di fonti del diritto sono tutto quegli atti o fatti abilitati dall’ordinamento giuridico a produrre norme giuridiche, e cioè ad innovare
l’ordinamento stesso. Le fonti del diritto si differenziano in:
- fonti di produzione: sono i fatti dai quali ogni ordinamento giuridico fa derivare la modifica del diritto
oggettivo.
Esempio: decreti legge e decreti del Presidente della Repubblica.
Le fonti di produzione a loro volta, si distinguono in Fonti Atto, che sono le norme giuridiche scritte emanate dagli organi ai quali
tale potere è riconosciuto dall’Ordinamento giuridico. Esempio: le leggi del Parlamento sono fonti atto. Poi ci sono le Fonti Fatto:
consistono in comportamenti spontanei della collettività, che si ripetono nel tempo, considerati idonei a produrre norme
giuridiche. Esempio: sono fonti fatto gli usi e le consuetudini.
- fonti di cognizione: sono gli strumenti attraverso i quali si viene a conoscenza delle fonti di produzione. In Italia
vi sono fonti ufficiali la Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, i Bollettini ufficiali delle Regioni e la
Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea.
Tutti gli atti normativi devono essere pubblicati sulla fonte ufficiale perché i cittadini e gli organi preposti del diritto li posso
conoscere. Per consentire la conoscenza di nuovi atti, questi non entrano in vigore immediatamente dopo la pubblicazione, ma
soltanto dopo la “vacatio legis”, che dura 15 giorni. Trascorso tale periodo il nuovo atto è pienamente obbligatorio: vige la
presunzione di conoscenza della legge e l’obbligo del giudice di applicarla.
La Costituzione della Repubblica italiana del 1 gennaio 1948 rappresenta il vertice della gerarchia delle fonti dell’ordinamento
italiano. È una Costituzione rigida, lunga (composta da 139 articoli) e a differenza delle Costituzioni flessibili, predispone, per la
propria revisione, un particolare procedimento di formazione della legge costituzionale, che è una variazione del procedimento
legislativo ordinario.
Il procedimento ordinario prevede:
una sola deliberazione, a maggioranza relativa di ciascuna Camera, sullo stesso testo, seguita dalla promulgazione da parte della
Presidente della Repubblica;
Il procedimento per le leggi costituzionali è disciplinato dall’art. 138 della Costituzione e prevede:
due deliberazioni da parte di ciascuna Camera (quattro in totale). La prima deliberazione è a maggioranza relativa, e siccome in
questa fase le Camere possono apportare al progetto di legge qualsiasi emendamento, il progetto è destinato a viaggiare tra Camera e
Senato tante volte quante sono necessarie ad ottenere il voto favorevole di entrambe le camere sul medesimo testo.
La seconda votazione può essere effettuata solo dopo l’intervallo di tre mesi dalla prima. Nella seconda approvazione si aprono due
strade alternative:
a). Se il consenso sulla riforma è così ampio che nella votazione in ciascuna Camera si esprime a favore la maggioranza
qualificata dei due terzi dei membri di essa, la legge viene promulgata dal Presidente della Repubblica;
b). Se ciò non avviene, basta che la legge sia approvata con la maggioranza assoluta; il testo approvato dal Parlamento è
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale ma entro tre mesi dalla pubblicazione può essere richiesto un referendum costituzionale, in modo
da sottoporre il testo ad approvazione popolare (almeno 500.000 firme).
Non tutta la Costituzione è revisionabile: l’articolo 139 pone un limite esplicito: “la forma repubblicana non può essere oggetto di
revisione costituzionale”. Si pongono al riparo dalla revisione tutti quei principi che sembrano indispensabili per definire
“democratico“ un ordinamento politico (il carattere elettivo, la libertà, l’uguaglianza, libertà di associazione, di opinione, nonché i
diritti inviolabili dell’uomo). Tali principi sono definiti dalla Corte Costituzionale come “supremi” e resistono alla revisione
costituzionale e prevalgono sulle norme comunitarie.
La Costituzione italiana è così composta:
- principi fondamentali (art. 1-12)
- Parte prima- diritti e doveri del cittadino (art. 13-54)
- Parte seconda- Ordinamento della Repubblica (art. 55-139)
- Disposizioni transitorie e finali.
LE FONTI COMUNITARIE
All’interno delle fonti comunitarie vi è la distinzione tra diritto convenzionale e diritto derivato. Le fonti del diritto convenzionale
sono i Trattati con cui la CE è stata istituita, modificata e sviluppata. Nel Trattato CE sono disciplinati gli organi della comunità e i
loro poteri. Le fonti del diritto derivato si distinguono in:
- ATTI NON VINCOLANTI:
* raccomandazioni: invito rivolti agli Stati a conformarsi ad un certo
comportamento.
* pareri: esprimono il punto di vista di un organo su un determinato oggetto.
- ATTI VINCOLANTI:
* regolamenti CE: sono obbligatori in ogni loro parte e non possono applicarsi parzialmente. La loro caratteristica più
importante è che sono direttamente applicabili negli Stati membri: da qui nascono i problemi di un possibile contrasto tra
Regolamenti CE e leggi interne.
* Direttive: sono atti normativi che hanno come destinatario lo Stato membro. Lo Stato però, ha discrezionalità per quanto
riguarda la scelta delle forme e dei mezzi con cui raggiungere il risultato.
* Decisioni: come i Regolamenti, sono obbligatorie e direttamente applicabili, ma a differenza di questi, essi si rivolgono a
soggetti specifici.
LEGGI ORDINARIE
Le leggi ordinarie sono emanare dal Parlamento e possono riguardare solo le materie indicate nella Costituzione.
Per quanto riguarda il procedimento di formazione di una legge ordinaria, vi è un iter scandito da 4 fasi:
- l’iniziativa legislativa: consiste nella presentazione di un disegno di legge (progetto), costituito da articoli e
corredato da una relazione che ne illustri gli scopi e le caratteristiche. L’iniziativa legislativa può essere affidata
al Governo (unico soggetto che ha potere di iniziativa su tutte le materie), al Parlamento, al corpo elettorale
(da parte di 50.000 elettori), alle Regioni e al Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro.
- La deliberazione legislativa delle Camere: L’art. 72 Cost. vieta che un progetto di legge sia discusso
direttamente dalla Camera: prima deve essere esaminato dalla Commissione permanente competente per materia.
La Commissione e l’Assemblea svolgono funzioni diverse a seconda del procedimento che viene adottato per
l’approvazione della legge ordinaria:
1. PROCEDIMENTO ORDINARIO PER COMMISSIONE REFERENTE: la commissione analizza e discute il progetto, può
arrestare il procedimento o trasmetterlo all’aula. Nomina un relatore che redige una o più relazioni che accompagnano il
progetto. In aula la discussione procede per tre letture: la prima lettura è introdotta dai relatori e consiste nella discussione
generale; la seconda lettura è rivolta alla discussione dei singoli articoli e degli emendamenti; la terza lettura consiste
nell’approvazione finale dell’intero testo di legge.
2. COMMISSIONE IN SEDE DELIBERANTE: il progetto è approvato definitivamente dalla Commissione.
3. COMMISSIONE IM SEDE REDIGENTE: la legge si ritiene approvata quando entrambi i rami del Parlamento avranno
approvato lo stesso identico testo.
- la promulgazione: Conclusa la fase dell’approvazione, la legge è perfetta, ma non ancora efficace. L’efficacia è
data dalla promulgazione da parte del Presidente della Repubblica. È il Governo che deve trasmettere la legge al
Presidente della Repubblica il quale svolge un controllo formale e sostanziale: ha infatti il potere di rinviare la
legge alle Camere con messaggio motivato. È però da considerare che il rinvio può essere compiuto una sola
volta: se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata.
- la pubblicazione: la legge viene pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale; da questo momento decorre la vacatio legis,
periodo che di solito dura 15 giorni e che serve perché i cittadini possano informarsi. Decorso tale termine, la
legge è in vigore e obbligatoria.
DECRETO LEGGE
Il decreto legge (art. 77 Cost) è un atto con forza di legge che il Governo può adottare in casi straordinari di necessità ed urgenza.
Entra in vigore immediatamente dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ma gli effetti prodotti sono provvisori, perché i decreti
legge perdono efficacia sin dall’inizio se il Parlamento non li riconverte in legge entro 60 giorni dalla loro pubblicazione. Il decreto
legge non può essere emanato nelle materie che riguardano la legge di bilancio e i Trattati Internazionali. Il decreto legge deve
essere deliberato dal Consiglio dei Ministri, emanato dal Presidente della Repubblica e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Nel
preambolo è necessaria l’indicazione delle circostanze straordinarie di necessità e di urgenza che ne giustificano l’adozione. Lo
stesso decreto legge stabilisce il momento della sua entrata in vigore: di solito è il giorno della pubblicazione o quello successivo. Il
giorno stesso della pubblicazione il decreto legge deve essere presentato alle Camere che, anche se sciolte, sono convocate e si
riuniscono entro cinque giorni. Presentando il decreto legge il Governo chiede al Parlamento di approvare la legge di conversione.
DECRETO LEGISLATIVO
Il decreto legislativo è un atto avente forza di legge.
Con il Decreto Legislativo il Parlamento, attraverso la legge delega, chiede esplicitamente al Governo di emanare leggi riguardanti
discipline particolarmente complesse e articolate, le quali richiedono pareri tecnici e specifici. Con la legge delega che precede
l’emanazione del Decreto Legislativo il Parlamento, nel rispetto della funzione legislativa attribuita dalla Costituzione, disciplina
materia, tempi di emanazione e limiti della potestà legislativa del Governo.
LEGGI REGIONALI
La legge regionale è una legge ordinaria formale. La “forma” della legge è data dal procedimento che rispecchia il procedimento di
formazione delle leggi statali (iniziativa, deliberazione da parte dell’assemblea elettiva, promulgazione); la collocazione tra le fonti
primarie è giustificata sia perché la competenza della legge regionale è garantita dalla stessa Costituzione, sia perché la Costituzione
la pone su un piano di concorrenza e di separazione di competenza con la leggi statale. Alle leggi regionali solo equiparate le leggi
provinciali emanate dalle Province di Trento e Bolzano, per la particolare autonoma loro riconosciuta dallo Statuto Albertino della
Regione Trentino-Alto Adige.
Il procedimento di formazione della legge regionale è disciplinato in minima parte dalla Costituzione, in parte dallo Statuto e per il
resto dal regolamento interno del Consiglio regionale. Il procedimento si svolge in queste fasi essenziali:
- Iniziativa: oltre alla Giunta e ai suoi consiglieri regionali, l’iniziativa spetta agli altri soggetti individuati dagli
Statuti (i quali in genere, la estendono al corpo elettorale e agli enti locali)
- Approvazione in Consiglio Regionale: è generalmente previsto il ruolo delle Commissioni consiliari in sede
referente, ma alcuni Statuti prevedono anche la Commissione redigente. Sono in genere previste le classiche tre
“letture” in assemblea. La legge è approvata a maggioranza relativa.
- Promulgazione: avviene da parte del Presidente della Regione e pubblicato sul Bollettino Ufficiale Regionale
Allo Stato è consentito di impugnare le leggi regionali successivamente alla loro pubblicazione, cioè quando esse sono già in vigore.
L’art. 117 Cost. stabilisce:
- un elenco di “materie” su cui c’è potestà legislativa esclusiva dello Stato;
- un elenco di “materie” su cui le Regioni hanno potestà legislativa concorrente. La concorrenza consiste in questo:
la legislazione dello Stato determina i “principi fondamentali della materia”, mentre il resto della disciplina
compete alle Regioni, che ovviamente devono rispettare i principi fissati dallo Stato;
- una clausola residuale per cui in tutte le materie non comprese nei due elenchi precedenti, spetta alle Regioni la
potestà legislativa (potestà legislativa residuale delle Regioni).
Un tribunale amministrativo regionale (TAR) è, nell'ordinamento della Repubblica italiana, un organo di giurisdizione
amministrativa.
Il TAR è competente a giudicare sui ricorsi, proposti contro atti amministrativi, da privati che si ritengano lesi (in maniera non
conforme all'ordinamento giuridico) in un proprio interesse legittimo. Si tratta di giudici amministrativi di primo grado, le cui
sentenze sono appellabili dinanzi al Consiglio di Stato. Per il medesimo motivo, è l'unico tipo di magistratura speciale a prevedere
solo due gradi di giudizio. I TAR sono venti, con circoscrizione corrispondente al territorio della relativa regione, e hanno sede nel
capoluogo regionale. In alcune regioni quali Lombardia, Emilia-Romagna, Lazio, Abruzzo, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia
esistono sezioni distaccate. Nel Lazio sono anche istituite tre sezioni in Roma, con competenze di particolare rilievo. In Trentino-
Alto Adige è istituito il Tribunale regionale di giustizia amministrativa (TRGA), con una "sezione autonoma" – del tutto
indipendente – a Bolzano.
A ciascun TAR sono assegnati un presidente e non meno di cinque magistrati amministrativi, denominati, a seconda dell'anzianità di
servizio, "referendari", "primi referendari", "consiglieri". Le decisioni sono assunte con l'intervento di tre giudici.
La sfera di competenza di ciascun TAR comprende i ricorsi volti contro atti di enti o di organi la cui sfera di azione si svolga
esclusivamente nell'ambito regionale (per esempio di comuni, province, e regione; o di prefetti o altri organi periferici dello stato),
nonché i ricorsi che attengano ad atti di organi centrali dello Stato e di enti pubblici ultraregionali, purché gli effetti dell'atto siano
territorialmente limitati alla circoscrizione del TAR. Per gli atti i cui effetti non siano circoscritti in questo modo, è competente, ove
si tratti di atti emanati da enti ultraregionali, il TAR della regione in cui ha sede l'ente stesso.
REGOLAMENTI DELL’ESECUTIVO
I regolamenti dell’esecutivo sono atti normativi spesso complessi emanati dagli organi dell’esecutivo, attraverso un procedimento
che non ha le garanzie di controllo parlamentare che caratterizzano le leggi e gli atti aventi forza di legge.
La disciplina generale del potere regolamentare dell’esecutivo è contenuta:
- nelle Preleggi
- nell’art. 17 della legge 400/1988
Le Preleggi dedicano ai regolamenti due articoli che possono considerarsi ancora in vigore: l’articolo 3 dispone che “il potere
regolamentare del Governo è disciplinato da leggi di carattere costituzionale“; mentre “il potere regolamentare di altre autorità è
esercitato nei limiti delle rispettive competenze, in conformità delle leggi particolari“. L’articolo successivo riporta i regolamenti
nella struttura gerarchica del sistema normativo: “I regolamenti non possono contenere norme contrarie alle disposizioni delle leggi”.
Questa impostazione è ripresa fedelmente dalla legge 400/1988: l’art. 17 ripete la distinzione tra i regolamenti del Governo e i
regolamenti di altre autorità dell’esecutivo, cioè i ministri e le autorità sottordinate ai ministri.
Il procedimento di emanazione dei regolamenti governativi e diverso da quello per l’emanazione di regolamenti ministeriali:
entrambi sono disciplinati dall’articolo 17 della legge 400/1988.
I primi vengono deliberati su proposta di uno i più ministri, dal Consiglio dei Ministri, previo parere del Consiglio di Stato. Si tratta
di un parere obbligatorio ma non vincolante. Il regolamento viene poi emanato con decreto del Presidente della Repubblica. L’atto è
così perfetto, ma non ancora efficace: deve passare il controllo di legittimità della Corte dei Conti, la quale provvede al visto e alla
registrazione. Infine, viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.
I regolamenti ministeriali sono invece emanati dal ministro, sempre previo parare del Consiglio di Stato; con lo stesso procedimento
ma con decreto interministeriale, sono emanati i regolamenti che riguardano materie di competenza di più ministri. Prima
dell’emanazione devono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei Ministri, che può sospendere l’adozione dell’atto e
provocare una deliberazione del Consiglio dei Ministri. Sono soggetti anch’essi al controllo della Corte dei Conti e sono pubblicati
nella Gazzetta Ufficiale.
Tipologie di regolamenti governativi:
- regolamenti di esecuzione: disciplinano l’esecuzione delle leggi, dei decreti legislativi e dei regolamenti
comunitari, svolgendo una funzione applicativa e interpretativa. I regolamenti di stretta esecuzione possono
intervenire anche nelle materie coperte da riserva assoluta di legge.
- Regolamenti d’attuazione e integrazione: attuano ed integrano le norme di principio contenute nelle leggi e nei
decreti legislativi. Questi regolamenti si distinguono dai regolamenti di esecuzione perché non si limitano a
portare ad esecuzione la norma di legge, ma contribuiscono ad integrarla dettando la normativa di dettaglio.
- Regolamenti indipendenti: possono regolare le materie in cui manca la disciplina da parte delle leggi o di atti
aventi forza di legge. Non possono intervenire nelle materie riservate alla legge.
- Regolamenti di organizzazione: provvedono all’organizzazione e al funzionamento delle pubbliche
amministrazioni.
USI E CONSUETUDINI
Gli usi normativi sono norme giuridiche non scritte che si formano spontaneamente mediante la ripetizione uniforme e costante di
determinati comportamenti da parte di una collettività, per un determinato periodo di tempo e nella convinzione di obbedire ad una
norma giuridica obbligatoria.
Proprio per questa ragione gli usi sono detti normativi o giuridici, perché costituiscono norme obbligatorie e, per questo motivo, si
differenziano da altri comportamenti tenuti dai membri della collettività che non hanno carattere obbligatorio e non sono, per questa
ragione, norme giuridiche.
Affinché un uso possa dirsi normativo esso deve presentare due requisiti:
- l'elemento materiale, ovvero la ripetizione costante ed uniforme di un dato comportamento da parte dei membri
della collettività;
- l'elemento psicologico, cioè la convinzione di obbedire ad una norma giuridica obbligatoria.
- in base al territorio, in generali e locali: gli usi normativi generali sono quelli che sono diffusi su tutto il territorio
dello Stato, mentre gli usi locali sono quelli che trovano applicazione solamente in alcune località.
- in base alla materia, in generali e speciali: gli usi generali regolano tutti i rapporti di qualsiasi genere, mentre gli
usi speciali regolano solamente alcuni rapporti.
- in base alla loro posizione rispetto alla norma scritta in usi secondo la legge, usi al di fuori della legge e usi
contro la legge:
- usi secondo la legge (consuetudo secundum legem). Si tratta degli usi normativi richiamati dalla legge stessa al
fine di completare il loro contenuto. Esempio: l'art.2099 del Codice civile stabilisce le regole da applicare in
materia di retribuzione del lavoro subordinato. Esso prevede che "la retribuzione del prestatore di lavoro deve
essere corrisposta nella misura determinata dai contratti collettivi, con le modalità e nei termini in uso nel luogo
in cui il lavoro viene eseguito".
In questo modo si stabilisce che la misura della retribuzione deve essere quella prevista nel contratto collettivo, ma le
modalità e i termini di pagamento dipendono dagli usi in vigore nel luogo dove viene svolto il lavoro;
- usi al di fuori della legge (consuetudo prater legem). Si tratta degli usi normativi che introducono nuove norme
quando le norme scritte non dispongono nulla in merito.
Esempio: è consuetudine che il Presidente della Repubblica, prima di conferire l'incarico di formare il nuovo Governo,
effettui delle consultazioni con i rappresentanti dei partiti politici. Tale consuetudine non è richiamata da nessuna
norma costituzionale. Se una norma scritta interviene a disciplinare una materia nella quale vige una consuetudine
preter legem, quest'ultima viene meno.
- usi contrari alla legge (consuetudo contro legem). In questo caso l'uso normativo è in contrasto con la norma
scritta. Questi usi non hanno efficacia.
Il compito principale del giudice è di ridurre ad un sistema coerente di norme un groviglio incoerente di disposizioni; tale compito è
perseguibile con lo strumento dell’interpretazione. Con il termine antinomie si intendono i contrasti tra norme. È compito
dell’interprete risolvere e talvolta ciò è possibile mediante interpretazione, ma laddove non si riesca, bisogna scegliere la norma da
applicare al caso secondo criteri: cronologico, gerarchico, della specialità e della competenza.
Il criterio cronologico dice che, in caso di contrasto tra due norme, si deve fare riferimento a quella più recente. La prevalenza della
nuova norma sulla vecchia si esprime attraverso l’abrogazione: essa toglie efficacia alla ex norma giuridica. Secondo l’articolo 15
delle disposizioni preliminari, una norma può essere abrogata:
- esplicitamente, cioè per dichiarazione espressa del legislatore;
- implicitamente, per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti;
- tacitamente, perché la nuova legge regola l’intera materia.
Diversa dall’abrogazione, è la deroga, che è semplicemente un’eccezione alla regola. La norma derogata non perde efficacia, ma ne
viene limitato il campo d’azione.
Il criterio gerarchico dice che in caso di contrasto tra due norme si deve preferire quella che nella gerarchia delle fonti occupa il posto
più elevato. La prevalenza della norma superiore su quella inferiore si esprime tramite l’annullamento, che è l’effetto di una
dichiarazione di illegittimità che un giudice pronuncia nei confronti di una auto, di una disposizione o di una norma. A seguito
dell’illegittimità la norma perde la sua validità.
Il criterio della specialità dice che in caso di contrasto tra due norme, si deve preferire la norma speciale a quella generale. Le norme
in conflitto rimangono entrambe efficaci e valide: l’interprete opera solo una scelta circa quale norma deve essere applicata. L’altra
norma è semplicemente non applicata. Il criterio di specialità appartiene alle tecniche interpretative.
Il criterio della competenza non è un criterio prescrittivo, ma esplicativo: ci spiega come è organizzato il sistema delle fonti. La
gerarchia delle fonti non basta più a darci un quadro esatto del sistema, perché all’interno dello stesso grado gerarchico, vi sono
suddivisioni non spiegabili in termini di forza, ma di competenza. Per decidere quale norma si debba applicare bisogna:
- distinguere gli ambiti di applicazione delle due norme;
- scegliere la norma competente per ambito;
- disapplicare la norma non competente.
La riserva di legge, inserita nella Costituzione, prevede che la disciplina di una determinata materia sia regolata dalla
legge primaria e non da fonti di tipo secondario.
La riserva di legge ha una funzione di garanzia e vuole assicurare che in materie particolarmente delicate, come nel caso
dei diritti fondamentali del cittadino, le decisioni vengano prese dall’organo più rappresentativo del potere sovrano cioè
dal parlamento come previsto dall’articolo 70 della Costituzione.
Il principio di legalità prescrive che l’esercizio di qualsiasi potere pubblico si fondi su una previa norma attributiva
della competenza: la sua funzione è di assicurare un uso regolato, non arbitrario, controllabile e giustificabile del
potere.
TIPI DI MAGGIORANZA
La Costituzione, nell’articolo 64, stabilisce le maggioranze necessarie affinché le Camere possono deliberare
validamente:
- la maggioranza assoluta consiste nella metà +1 dei membri che compongono ciascuna Camera.
- La maggioranza relativa rappresenta la metà +1 dei membri presenti in quel momento in aula.
- La maggioranza qualificata corrisponde ai 2/3 o ai 3/5 dei componenti.
IL PROCEDIMENTO LEGISLATIVO
Per quanto riguarda il procedimento di formazione di una legge ordinaria, vi è un iter scandito da 4 fasi:
- l’iniziativa legislativa: consiste nella presentazione di un disegno di legge (progetto), costituito da articoli e
corredato da una relazione che ne illustri gli scopi e le caratteristiche. L’iniziativa legislativa può essere affidata
al Governo (unico soggetto che ha potere di iniziativa su tutte le materie), al Parlamento, al corpo elettorale
(da parte di 50.000 elettori), alle Regioni e al Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro.
- La deliberazione legislativa delle Camere: L’art. 72 Cost. vieta che un progetto di legge sia discusso
direttamente dalla Camera: prima deve essere esaminato dalla Commissione permanente competente per materia.
La Commissione e l’Assemblea svolgono funzioni diverse a seconda del procedimento che viene adottato per
l’approvazione della legge ordinaria:
1. PROCEDIMENTO ORDINARIO PER COMMISSIONE REFERENTE: la commissione analizza e discute il progetto, può
arrestare il procedimento o trasmetterlo all’aula. Nomina un relatore che redige una o più relazioni che accompagnano il
progetto. In aula la discussione procede per tre letture: la prima lettura è introdotta dai relatori e consiste nella discussione
generale; la seconda lettura è rivolta alla discussione dei singoli articoli e degli emendamenti; la terza lettura consiste
nell’approvazione finale dell’intero testo di legge.
2. COMMISSIONE IN SEDE DELIBERANTE: il progetto è approvato definitivamente dalla Commissione.
3. COMMISSIONE IM SEDE REDIGENTE: la legge si ritiene approvata quando entrambi i rami del Parlamento avranno
approvato lo stesso identico testo.
- la promulgazione: Conclusa la fase dell’approvazione, la legge è perfetta, ma non ancora efficace. L’efficacia è
data dalla promulgazione da parte del Presidente della Repubblica. È il Governo che deve trasmettere la legge al
Presidente della Repubblica il quale svolge un controllo formale e sostanziale: ha infatti il potere di rinviare la
legge alle Camere con messaggio motivato. È però da considerare che il rinvio può essere compiuto una sola
volta: se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata.
- la pubblicazione: la legge viene pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale; da questo momento decorre la vacatio legis,
periodo che di solito dura 15 giorni e che serve perché i cittadini possano informarsi. Decorso tale termine, la
legge è in vigore e obbligatoria.
LEGGI RINFORZATE
Le leggi “rinforzate” sono tali perché è reso più complesso il procedimento di formazione del progetto di legge. In questo caso, il
Governo presenta un disegno di legge con delle regole e delle modalità particolari. Quando la proposta di legge dovrà essere
approvata dal Parlamento, dovrà rispettare gli accordi prefissati dal Governo.
FONTI ATIPICHE
Le fonti atipiche sono tutti quegli atti che ha una posizione particolare nel sistema delle fonti per quanto riguarda la forza. Esse
producono effetti ma non sono approvate con l’iter delle leggi ordinarie. Esempio: referendum abrogativo, sentenze delle Corte
Costituzionale e leggi di Bilancio.
REFERENDUM
Il referendum è la richiesta fatta al corpo elettorale di esprimersi su una determinata questione. È dunque lo strumento di democrazia
diretta con cui il popolo esercita la propria sovranità: il corpo elettorale può incidere direttamente sull’ordinamento giuridico
attraverso l’abrogazione di leggi o di atti aventi forza di legge dello Stato.
Il referendum può essere richiesto da 500.000 elettori o da 5 Consigli regionali.
Richiesta popolare. Richiesta regionale
Presso la Cassazione si costituisce l’Ufficio centrale per il referendum che esamina le richieste per giudicarne la conformità alla
legge ordinaria; la decisione sulla legittimità viene assunta entro il 15 dicembre. I quesiti dichiarati legittimi sono trasmessi alla Corte
Costituzionale per il giudizio di ammissibilità. Se la Corte dichiara ammissibile il referendum, il Presidente della Repubblica deve
fissare il giorno della votazione tra il 15 aprile e l’11 giugno. Gli elettori possono votare “sì” o “no”. L’Ufficio centrale accerta che
alla votazione abbia preso parte la maggioranza degli aventi diritto al voto e, se i “no” superano i “sì” lo stesso quesito non può
essere riproposto prima che siano trascorsi cinque anni. Se il risultato è favorevole all’abrogazione, il Presidente della Repubblica,
con proprio decreto dichiara l’avvenuta abrogazione della legge, dell’atto o della disposizione. Il decreto del Presidente della
Repubblica è pubblicato immediatamente in Gazzetta Ufficiale e l’abrogazione ha effetto dal giorno successivo alla data di
pubblicazione.
La Costituzione italiana prevede 4 tipi di referendum:
- il referendum di revisione costituzionale;
- Il referendum abrogativo di una legge o di un atto avente forza di legge;
- Il referendum consultivo per la modificazione territoriale delle Regioni, Province e Comuni.
- I referendum abrogativi e consultivi su leggi e provvedimenti amministrativi delle Regioni.
GIUDIZIO DI AMMISSIBILITÀ DEL REFERENDUM ABROGATIVO
Il giudizio di ammissibilità è introdotto con l’ordinanza dell’Ufficio Centrale per il referendum, che dichiara la legittimità della
richiesta di referendum. Il referendum non è ammesso per le materie elencate dall’art. 75 Cost. : leggi tributarie, legge di bilancio,
leggi di amnistia ed indulto, leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali.
La Corte ha poi elaborato ulteriori motivi di inammissibilità: sono sottratti a referendum la Costituzione e le leggi costituzionali, le
leggi rinforzate e quelle a contenuto costituzionalmente vincolato; i limiti posti dall’art. 75 sono da interpretarsi estensivamente;
sono inammissibili i referendum il cui quesito non sia omogeneo.
Le fonti del diritto e gli atti normativi pongono regole generali (rivolte a tutti) e astratte (che valgono in qualsiasi tempo e
circostanza). La Pubblica Amministrazione agisce attraverso atti amministrativi che sono dei veri e propri “atti giuridici” in quanto
“comportamenti consapevoli e volontari che danno luogo ad effetti giuridici”. Attraverso questi atti, la Pubblica Amministrazione
esercita dei poteri che sono ad essa attribuiti per la cura degli interessi pubblici.
La categoria degli atti amministrativi è molto generica. In essi rientrano:
- Atti normativi
- Regolamenti amministrativi dello Stato, delle Regioni o degli Enti Locali
- Atti di programmazione
- Dirette amministrative
- Atti amministrativi
Gli atti amministrativi che producono effetti esterni, e quindi influiscono sulle situazioni giuridiche dei soggetti cui sono destinati,
creando nuovi diritti e doveri, si chiamano provvedimenti amministrativi.
Il provvedimento amministrativo è l’atto finale di un procedimento amministrativo, che articolandosi in diverse fasi (l’iniziativa,
l’istruttoria, l’acquisizione di pareri, la decisone, ecc), nelle quali vengono prodotti diversi atti amministrativi privi di rilevanza
autonoma, culmina appunto con il “provvedimento”.
Con il provvedimento amministrativo l’autorità amministrativa fa valere la prevalenza dell’interesse pubblico sull’interesse privato. I
provvedimenti amministrativi hanno alcune caratteristiche in comune:
- Unilateralità e autoritarietà: l’autorità amministrativa agisce unilateralmente perché non è condizionata dal
consenso del destinatario, e autoritariamente per la prevalenza dell’interesse pubblico che persegue.
- Tipicità: con questo termine si indicano le conseguenze dell’applicazione del principio di legalità.
- Esecutività e esecutorietà: con questi termini si indica l’idoneità dei provvedimenti amministrativi ad essere
direttamente esecutivi, senza la necessità di un preventivo intervento del giudice (esecutività), nonché la capacità
che la legge riconosce talvolta all’amministrazione di portare direttamente in esecuzione coattiva determinati
provvedimenti (esecutorietà).
Incompetenza e eccesso di potere sono delle ipotesi specifiche di violazione di legge, sicché quest'ultimo vizio di legittimità si
atteggia come residuale rispetto agli altri due.
Il vizio dell'incompetenza si verifica quando l'organo che adotta l'atto non è quello competente per grado, materia (valore) o per
territorio.
L'eccesso di potere è il vizio specifico della discrezionalità amministrativa. Nasce nel tentativo storico del giudice di annullare i
provvedimenti amministrativi che, benché non presentassero contrasti puntuali con le disposizioni vigenti, si manifestassero
chiaramente viziati nel ragionamento e nelle valutazioni attraverso le quali si è formata la volontà dell’organo amministrativo. I vizi
di questo tipo sono classificati in figure sintomatiche dell’eccesso di potere, che sono le ipotesi tipiche di difetti nel processo di
formazione delle scelte discrezionali della pubblica amministrazione. Le principali figure sintomatiche sono:
- Sviamento di potere: il potere amministrativo è “sviato” quando un provvedimento, previsto per tutelare un
determinato interesse, viene impiegato per un fine tutto diverso.
- Travisamento dei fatti: si ha quando il provvedimento si basa su una erronea ricostruzione delle circostanze.
- Contraddittoria interna: colpisce il provvedimento “stupido”, che muove da premesse in contrasto con la
decisione o di per sé inconsistenti.
- Disparità di trattamento: è la violazione del principio di uguaglianza.
- Vizi della motivazione: tutte le figure sintomatiche portano il giudice al controllo della motivazione. La
motivazione dei provvedimenti amministrativi discrezionali è obbligatoria, e dalle motivazioni il giudice può
ricostruire non solo le fasi del procedimento, ma anche gli elementi che hanno portato alla decisione e quindi
pure agli eventuali “sintomi” dell’eccesso di potere.
- Violazione delle prassi amministrative: si ha quando l’amministrazione, senza un’adeguata motivazione, si
discosta da circolari, direttive od anche dalla precedente costante interpretazione di una disposizione.
- Ingiustizia manifesta: per esempio per lesione della proporzionalità tra infrazione e sanzione.
La violazione della legge è il contrasto tra il provvedimento e qualsiasi norma vigente (comprese le norme di origine europea).
LA CITTADINANZA
La cittadinanza è uno status cui la costituzione riconnette una serie di diritti e di doveri. La costituzione italiana stabilisce che
nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici; i modi in cui la cittadinanza può essere acquistata, perduta e
riacquistata sono disciplinati dalla legge 91/1992:
- ius sanguinis: acquista la cittadinanza il figlio di madre o padre in possesso della cittadinanza italiana, qualunque
sia il luogo di nascita;
- ius soli: acquista la cittadinanza italiana colui che è nato in Italia da genitori ignoti o apolidi;
- La cittadinanza può essere richiesta dal coniuge di un cittadino italiano; da uno straniero che possa vantare un
ascendente in linea retta di secondo grado che sia cittadino italiano per nascita; da uno straniero maggiorenne
che, adottato da un cittadino italiano sia residente nel territorio nazionale da almeno cinque anni successivi
all’adozione; da uno straniero che ha prestato servizio alle dipendenze dello Stato per almeno cinque anni; da un
cittadino di uno degli Stati membri della Comunità Europea dopo almeno quattro anni di residenza nel territorio
della Repubblica; dall’apolide dopo almeno cinque anni di residenza; da uno straniero dopo 10 anni di residenza
in Italia. In questi casi, colui che richiede la cittadinanza deve presentare un’istanza rivolta al sindaco del comune
di residenza o all’autorità consolare (e su di essa decide il Ministro dell’Interno o il presidente della Repubblica).
Perde la cittadinanza:
- il cittadino che possiede/acquista una cittadinanza straniera e risiede stabilmente all’estero;
- il cittadino che svolge funzioni di dipendenze di uno Stato estero.
LA CITTADINANZA EUROPEA
La cittadinanza dell'Unione europea è stata istituita dal Trattato di Maastricht del 1992. Completa e non sostituisce la
cittadinanza statale. Con l'acquisizione della cittadinanza di un paese facente parte dell'Unione europea si acquista, automaticamente,
anche la cittadinanza europea.
Le situazioni soggettive comprendono:
- il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri;
- La possibilità di godere della tutela da parte delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro,
alle stesse condizioni dei cittadini dello Stato stesso;
- Il diritto di petizione al Parlamento Europeo il diritto di rivolgersi al mediatore europeo;
- Il cittadino dell’Unione Europea ha il diritto di elettorato attivo e passivo alle elezioni comunali dello Stato
membro in cui risiede, nonché alle elezioni del parlamento europeo.
Forma di Stato: è un concetto che esprime il modo in cui si relazionano tra loro gli elementi costitutivi dello Stato, cioè il rapporto
che intercorre tra le autorità che detengono i poteri sovrani e la società civile.
Forma di Governo: si intende l’insieme delle regole che determinano la distribuzione dei poteri tra gli organi costituzionali dello
Stato e le relazioni tra essi.
LO STATO ASSOLUTO
Lo Stato assoluto è nato in Europa nel ‘400-‘500, ed è la prima forma di Stato moderno. Il potere sovrano è concentrato nelle mani
del Re, il quale è titolare del potere legislativo ed esecutivo; il potere giudiziario invece spettava a Corti e Tribunali formati da
giudici da lui nominati. Il potere del Re non incontrava limiti legali in quanto era ritenuto di origine divina. L’assolutismo regio si
affermò in quei paesi dove riuscì a limitare drasticamente il peso delle corporazioni e della nobiltà feudale (ciò avvenne in Francia
dove gli Stati Generali non vennero convocati per la maggior parte del 1600 e fino al termine del 1700); diversa è stata l’evoluzione
di altri paesi: per esempio in Inghilterra l’assolutismo si affermò solo parzialmente nel 1500 con la dinastia dei Tudor, mentre fallì il
tentativo degli Stuart; in altri paesi come la Prussia e l’Austria, si affermò il cosiddetto assolutismo illuminato, secondo il quale il
compito del sovrano era quello di promuovere il benessere della popolazione. L’economia dello Stato assoluto era di tipo
mercantilistica.
LO STATO LIBERALE
Tra la fine del ‘700 e la prima metà dell’800, nasce lo Stato liberale, che ha le seguenti caratteristiche:
- è garantista, in quanto garantisce e tutela la libertà e i diritti degli individui.
- È minimo, in quanto si astiene dall’intervenire nella sfera economica, affidata all’autonomia dei privati.
- È caratterizzato dal principio della libertà individuale, dalla separazione dei poteri, dal principio di legalità e
dal principio rappresentativo.
- Ha una base sociale ristretta ed è pertanto uno Stato monoclasse.
L’economia di mercato si basa sul libero incontro tra domanda ed offerta di un determinato bene; lo Stato liberale riconosce e
garantisce la capacità della società civile di autoregolarsi e di sviluppare autonomamente i propri interessi.
LO STATO DI DEMOCRAZIA PLURALISTA
Lo Stato di democrazia pluralista si afferma a seguito di un lungo processo di trasformazione dello Stato liberale. Si parte
dall’allargamento della base sociale, cosicché lo Stato monoclasse si trasforma in Stato pluriclasse. Queste trasformazioni hanno
determinato il modo di essere dello Stato di democrazia pluralista:
- l’affermazione dei partiti di massa;
- la configurazione degli organi elettivi come luogo di confronto e di scontro di interessi opposti;
- il riconoscimento dei diritti sociali come strumenti di integrazione dei gruppi sociali più svantaggiati;
- lo Stato di democrazia pluralista si basa sul suffragio universale, sulla segretezza e la libertà del voto, sulla
tolleranza, sul pluripartitismo.
DIFFERENZE TRA PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA E PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI D’AMERICA:
Negli USA:
Il Presidente degli Stati Uniti è un cittadino americano di almeno 35 anni. Egli detiene il potere esecutivo e prima di entrare in
carica, deve giurare solennemente di adempiere con lealtà ai suoi doveri. Deve inoltre giurare di impegnarsi a preservare, difendere e
proteggere la Costituzione degli Stati Uniti. La sua carica dura 4 anni e può essere rieletto.
In Italia:
Il Presidente della Repubblica Italiana è un cittadino italiano che ha compiuto almeno 50 anni e che può godere di pieni diritti civili e
politici. Prima di assumere le sue funzioni, presta un giuramento di fedeltà alla Repubblica e alla Costituzione, dinnanzi al
Parlamento in seduta comune. Il suo incarico dura 7 anni e può essere rieletto.
- SISTEMA SEMIPRESIDENZIALE (Francia): nella Repubblica semipresidenziale il Capo dello Stato è eletto direttamente dal
corpo elettorale dell’intera Nazione. Egli è indipendente dal Parlamento perché non ha bisogno della sua fiducia, tuttavia non può
governare da solo, ma deve servirsi di un Governo da lui nominato. Il Governo deve avere la fiducia del Parlamento.
La Costituzione stabilisce che “nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non controfirmato dai Ministri proponenti
che ne assumono la responsabilità” ed aggiunge che “gli atti che hanno valore legislativo e gli altri indicati dalla legge sono
controfirmati anche dal Presidente del Consiglio dei Ministri” (art. 89).
La controfirma è la firma apposta da un membro del Governo sull’atto adottato e sottoscritto dal Presidente della Repubblica; essa
è requisito di validità dell’atto e la sua apposizione rende irresponsabile il Presidente per l’atto adottato, trasferendo la relativa
responsabilità in capo al Governo.
Nel sistema costituzionale italiano, la controfirma adempie a delle funzioni ulteriori: si può dire che essa rappresenti uno degli assi
portanti dell’intera forma di Governo.
IL PARLAMENTO
La struttura dei Parlamenti moderni può essere bicamerale o monocamerale. L’art. 55 della Costituzione prevede l’articolazione del
Parlamento in due camere: la Camera dei Deputati e la Camera del Senato della Repubblica. La Costituzione italiana ha optato
per un bicameralismo perfetto con due Camere dotate delle medesime funzioni, aventi lievissime differenze strutturali: Camera e
Senato hanno una consistenza numerica differente (630 deputati e 315 senatori); solo per il Senato è previsto che il presidente della
Repubblica possa nominare 5 senatori a vita; sono stabilite età diverse per essere eletti deputati e senatori (rispettivamente 25 e 40
anni) ed età diverse per eleggere deputati e senatori (rispettivamente 18 e 25 anni). La legge ha stabilito per entrambi i rami del
Parlamento una durata di 5 anni.
La Costituzione prevede anche il Parlamento in seduta comune, che è un organo collegiale composto da tutti i parlamentari per lo
svolgimento di alcune particolari funzioni:
- l’elezione del Presidente della Repubblica;
- l’elezione di 5 giudici costituzionali;
- elezione di 1/3 dei componenti del Consiglio Superiore della Magistratura;
- la votazione dell’elenco dei cittadini dal quale si sorteggiano i membri aggregati alla Corte Costituzionale per
giudicare sulle accuse costituzionali;
- la messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica;
1) Funzione ispettivo-finanziaria: il Parlamento approva i bilanci dello Stato, predisposti dal Governo.
2) Funzione di indirizzo e controllo politico : i parlamentari possono rivolgere interrogazioni al Governo per sapere se intende
prendere provvedimenti, o interpellanze sul comportamento del Governo. Il Governo è tenuto a presentarsi in
aula a rispondere.
Le Camere possono proporre e votare delle mozioni su un particolare argomento,
rivolte al Governo che non può ignorarle.
Anzi dalla mozione di fiducia o di sfiducia (art. 94 Cost.) dipende la “vita” o la
“morte” del Governo.
È il Parlamento che autorizza il Presidente della Repubblica a ratificare i più
importanti Trattati internazionali.
3) Funzione elettiva : il Parlamento in seduta comune elegge:
- Il Presidente della Repubblica (art. 83 Cost.);
- 1/3 (cioè 10) membri del Consiglio Superiore della Magistratura;
- 1/3 (cioè 5) dei giudici della Corte Costituzionale.
I GRUPPI PARLAMENTARI
I gruppi parlamentari sono unioni dei membri di una Camera, espressione dello stesso partito o movimento politico, che si
costituiscono con organizzazione stabile e disciplina di gruppo.
Le Commissioni parlamentari sono organi collegiali che possono essere permanenti, temporanei, monocamerali o bicamerali. La
costituzione sia delle Giunte che delle Commissioni deve avvenire in modo da rispecchiare proporzionalmente i gruppi parlamentari.
- Commissioni temporanee: assolvono compiti specifici e durano in carica il tempo stabilito per l’adempimento
della loro particolare funzione;
- Commissioni permanenti: sono organi stabiliti e necessari di ciascuna Camera, titolari di importanti poteri
nell’ambito del procedimento legislativo; si riuniscono per ascoltare e discutere le comunicazioni del Governo.
Ciascuna Commissione permanente ha competenza in una determinata materia.
- Commissioni bicamerali: sono formate in parti uguali dai rappresentanti delle due Camere. La Costituzione
prevede solo una Commissione bicamerale: quella per le questioni regionali.
Le Giunte sono organi collegiali previsti dai regolamenti parlamentari per l’esercizio di funzioni diverse da quelle legislative e di
controllo:
- per l’esercizio di compiti di garanzia della corretta osservanza del regolamento e di elaborazione di proposte di
modifica dello stesso (Giunta per il regolamento);
- per la verifica dell’assenza di cause di ineleggibilità o di incompatibilità (Giunta per le elezioni) e per la garanzia
delle prerogative parlamentari (Giunta per le autorizzazioni a procedere);
- al Senato vi è anche la Giunta per gli affari delle comunità europee con poteri consultivi.
IL GOVERNO
Nell’ambito della teoria della separazione dei poteri dello Stato, il Governo è il capo del potere esecutivo e svolge l’attività
amministrativa o esecutiva che consiste nella realizzazione concreta delle leggi approvate dal Parlamento. Nello Stato moderno
però l’attività del Governo non è un’attività soltanto esecutiva, ma anche un’attività di iniziativa e di impulso, in quanto comprende:
- l’attività amministrativa, in senso stretto, rivolta a seguire le leggi e a soddisfare concretamente i bisogni
collettivi;
- l’attività politica o di indirizzo politico, diretta a realizzare un determinato programma politico nei rapporti
interni e internazionali.
Mentre l’attività amministrativa viene esercitata dai singoli Ministri, l’attività politica è svolta dall’intero Consiglio dei Ministri, sotto
la direzione e il coordinamento del Presidente del Consiglio. Nel nostro ordinamento il Governo è un organo costituzionale in quanto
è contitolare della sovranità, ma è sottoposto al controllo politico del Parlamento.
La costituzione dispone che il Governo è composto dal Presidente del Consiglio e dai Ministri, che costituiscono insieme il
Consiglio dei Ministri.
Questi organi sono organi necessari del Governo e in mancanza anche soltanto di uno di loro il Governo sarebbe illegittimo.
L’organizzazione e il funzionamento del Governo sono stati regolamentati verso la fine degli anni 80, precisando le attribuzioni dei
diversi organi governativi, e disciplinando l’ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il primo organo necessario del
Governo è il Consiglio dei Ministri.
Il Consiglio dei Ministri ha il compito di determinare l’indirizzo politico del Governo e di assicurarne l’unità dell’azione. Il Consiglio
dei Ministri o Gabinetto è un organo collegiale e complesso, perché è formato da più persone fisiche e da più organi semplici,
ciascuno con propri compiti e con proprie responsabilità. In particolare il consiglio dei ministri
- stabilisce la politica generale del Governo e delibera sulle questioni riguardanti l’indirizzo politico del Governo;
- definisce l’indirizzo generale dell’azione amministrativa;
- risolve i conflitti di attribuzione che possono sorgere tra i ministri.
Inoltre il Consiglio dei Ministri è competente per tutti gli atti di maggior rilievo, ai quali la legge richiede una deliberazione del
consiglio dei ministri o per i quali il Presidente del Consiglio ritiene opportuno una deliberazione dell’intero Governo. Un altro
organo necessario del Governo è il Presidente del Consiglio.
Il presidente del Consiglio dei Ministri ha il compito di dirigere la politica generale del Governo e di promuovere e coordinare
l’attività dei singoli Ministri, al fine di mantenere l’unità dell’indirizzo politico e amministrativo del governo.
In base alla Costituzione, il Presidente del Consiglio deve svolgere una funzione di “timoniere” dell’attività dell’intero Governo e di
slancio dell’azione dei singoli Ministri.
Sono:
- il C.N.E.L. (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) è composto da esperti e rappresentanti delle
categorie produttive. E’ organo di consulenza tecnico-politica del Parlamento e del Governo per le materie che
gli sono attribuite dalla legge, in particolare in campo economico-sociale. Dispone di iniziativa legislativa ( può
presentare proposte di legge in campo economico-sociale).
- Il Consiglio di Stato è organo di consulenza giuridico - amministrativa e di tutela della giustizia nell’ambito
della Pubblica Amministrazione (è giudice d’appello nei confronti delle sentenze dei Tribunali Amministrativi
Regionali).
- La Corte dei Conti esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo e quello successivo sulla
gestione del bilancio dello stato; partecipa al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo stato
contribuisce in via ordinaria; riferisce alle Camere sugli esiti dei controlli contabili eseguiti.
Il CSM rappresenta lo strumento con il quale l’ordinamento garantisce l’indipendenza istituzionale della magistratura rispetto gli altri
poteri dello Stato.
Composizione del CSM
È composto da 27 membri: 3 di questi sono membri di diritto e 24 sono membri elettivi. I membri di diritto sono il Presidente della
Repubblica, che è anche il presidente del CSM, il procuratore generale della Corte di Cassazione. Dei 24 membri elettivi, 8 sono
eletti dal Parlamento in seduta comune e 16 sono eletti da tutti i magistrati.
Funzioni del CSM
Il suo compito principale è quello di garantire l’indipendenza e l’autonomia della Magistratura dagli altri poteri dello Stato.
Il CSM procede ad adottare tutti i provvedimenti che incidono sulla carriera di un magistrato (promozioni, trasferimenti ad altro
ufficio, sanzioni disciplinari, ecc). Il Consiglio Superiore della Magistratura si occupa anche di organizzare i concorsi per il
reclutamento di nuovi magistrati.
LA CORTE COSTITUZIONALE
I provvedimenti che la Corte può prendere sono, come per tutti i giudici, la sentenza, l'ordinanza e il decreto, quest'ultimo è preso dal
presidente della Corte, mentre le ordinanze sono succintamente motivate.
1. Ordinanza: la Corte ritiene inammissibile la questione, senza quindi entrare nel merito, per mancanza dei requisiti
soggettivi per poter proporre la questione ( ad es. non è stata sollevata da un giudice) o oggettivi, oppure per mancanza dei
requisiti soggettivi ( es. questione manifestamente infondata, irrilevante per il giudizio in corso), o in relazione a questioni
procedurali, oppure, ancora, quando la questione aveva natura politica e quindi riservata al potere discrezionale del
Parlamento, in questi casi la Corte non entra nel merito della questione.
2. Sentenza: la Corte, superato il vaglio delle questioni procedurali soggettive e oggettive entra nel merito e decide il
giudizio.
Le sentenze possono essere:
- Accoglimento: la Corte dichiara l'illegittimità costituzionale della disposizione di legge impugnata; in tal caso la
stessa Corte dichiara, nei limiti dell'impugnazione, quali sono le disposizioni legislative illegittime. Essa dichiara
altresì, quali sono le altre disposizioni legislative, la cui illegittimità deriva come conseguenza dalla decisione
adottata.
- Rigetto: la Corte dichiara non fondata la questione di incostituzionalità.
- conflitto di attribuzioni tra i poteri dello Stato, tra poteri, quindi appartenenti allo stesso soggetto: il conflitto
può sorgere sia da un atto di usurpazione del potere (vindicatio potestatis), sia dal comportamento di un organo
che intralci il corretto esercizio delle competenze altrui (conflitto di competenza). Il conflitto non sorge
necessariamente da un atto: anche un semplice comportamento (anche omissivo) può dar luogo al conflitto.
Il giudizio è introdotto dal ricorso presentato dalla parte che si ritiene lesa direttamente alla corte costituzionale, senza notificazione
alla controparte. Il ricorso deve contenere l’esposizione sommaria delle ragioni del conflitto e l’indicazione delle norme
costituzionali che regolano la materia. Viene poi depositato in cancelleria e pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Il giudizio inizia con
una decisione della Corte circa l’ammissibilità del conflitto: essa decide con ordinanza se il conflitto ha presupposti soggettivi e
oggettivi per essere giudicato.
- conflitto di attribuzione tra Stato e Regione: l'oggetto del conflitto può riguardare l'usurpazione del potere o il cattivo uso dello
stesso, come nel caso di conflitto tra i poteri dello Stato.
Il termine per produrre ricorso è di 60 giorni a decorrere dalla notificazione o pubblicazione ovvero dall'avvenuta conoscenza
dell'atto impugnato.
Il ricorso deve essere proposto per lo Stato dal Presidente del Consiglio dei ministri o da un Ministro da lui delegato e per la Regione
dal Presidente della Giunta regionale in seguito a deliberazione della Giunta stessa.
Il ricorso per regolamento di competenza deve indicare come sorge il conflitto di attribuzione e specificare l'atto dal quale sarebbe
stata invasa la sfera di competenza, nonché le disposizioni della Costituzione e delle leggi costituzionali che si ritengono violate, e
l'esecuzione degli atti che hanno dato luogo al conflitto di attribuzione fra Stato e Regione ovvero fra Regioni può essere in pendenza
del giudizio, sospesa per gravi ragioni, con ordinanza motivata dalla Corte.
Il giudizio di ammissibilità è introdotto con l’ordinanza dell’Ufficio Centrale per il referendum, che dichiara la legittimità della
richiesta di referendum. Il referendum non è ammesso per le materie elencate dall’art. 75 Cost. : leggi tributarie, legge di bilancio,
leggi di amnistia ed indulto, leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali.
La Corte ha poi elaborato ulteriori motivi di inammissibilità: sono sottratti a referendum la Costituzione e le leggi costituzionali, le
leggi rinforzate e quelle a contenuto costituzionalmente vincolato; i limiti posti dall’art. 75 sono da interpretarsi estensivamente;
sono inammissibili i referendum il cui quesito non sia omogeneo.
Nella democrazia diretta il popolo direttamente decide sulle questioni concernenti le scelte politiche dello Stato, questo costituisce
la vera sovranità popolare; la democrazia diretta si esprime con:
- le elezioni;
- l’iniziativa legislativa popolare;
- la petizione;
- il referendum.
Nella democrazia rappresentativa o indiretta (Italia): i cittadini eleggono i rappresentanti del Parlamento ai quali delegano
l’esercizio della propria sovranità, in altre parole essi decidono in via esclusiva sulle politiche che lo Stato deve operare. Perciò il
popolo è titolare della sovranità ma la esercita indirettamente. Comunque anche se il modello seguito dalla nostra Costituzione è
quello della democrazia indiretta, essa prevede delle ipotesi nelle quali il popolo è chiamato a esprimere direttamente la propria
sovranità.
LA LEGISLAZIONE ELETTORALE
Articolo 48 della Costituzione afferma che sono elettori tutti i cittadini uomini e donne, che hanno compiuto la maggiore età (25
anni per poter eleggere i Senatori). Il voto è:
- personale;
- uguale;
- libero;
- segreto;
- un dovere civico.
Tutti coloro che possiedono i requisiti richiesti, vengono iscritti d’ufficio alle liste elettorali. Vi sono però, cause di incapacità:
- civile: minori e interdetti;
- per effetto di sentenze irrevocabili: per delitti fascisti, per delitto o per altre contravvenzioni che portano alla
sospensione della capacità per 5 anni;
- per indegnità morale: i falliti, coloro che sono temporaneamente esclusi dagli uffici pubblici, i condannati a
pena che comporta l’interdizione perpetua dai pubblici uffici in via definitiva.
L’elettorato passivo è la capacità di essere eletto: per essere eletti alla Camera dei Deputati occorre aver compiuto 25 anni,
mentre per essere eletti al Senato, occorre aver compiuto almeno 40 anni.
I SISTEMI ELETTORALI
Il sistema elettorale è il meccanismo attraverso cui i voti espressi dagli elettori si trasformano in seggi. Si compone di tre parti:
1. il tipo di scelta che spetta all’elettore: categorica (scelta secca) o ordinale (ordine di preferenza);
2. la circoscrizione elettorale indica ciascuna delle parti in cui è suddiviso il territorio di uno Stato per l’elezione di un
organo collegiale. La circoscrizione è uninominale quando elegge un solo membro collegiale, plurinominali quando ne
elegge più di uno.
3. la formula elettorale è il meccanismo attraverso il quale si procede alla ripartizione dei seggi tra i soggetti che hanno
partecipato alla competizione elettorale. Vi sono:
- SISTEMI ELETTORALI MAGGIORITARI: il seggio in palio è attribuito a chi ottiene la maggioranza dei voti.
Se è richiesta la maggioranza assoluta e nessuno la raggiunge, è previsto un secondo turno di votazione, detto
ballottaggio, nel quale riceve il seggio chi ottiene il maggior numero di voti.
- SISTEMI ELETTORALI PROPORZIONALI: i seggi sono distribuiti secondo la quota dei voti ottenuti da
ciascuna lista in competizione.
Sono al 1993 le due Camere del Parlamento erano elette con sistema proporzionale. La legge elettorale proporzionale assicurava a
tutte le forze politiche garanzie di sopravvivenza, evitava la concentrazione di potere nelle forze maggioritarie. Le trasformazioni
della società italiana, hanno prodotto una spinta verso una democrazia maggioritaria; tale spinta ha avuto il momento di più alta
tensione politica con il referendum elettorale del 1993, che ha avuto una delle più elevate percentuali di sì (oltre l’80%) dell’intera
storia del referendum in Italia: esso riguardava l’abrogazione di alcune norme della legge elettorale al Senato. Nel 2005 il sistema
elettorale maggioritario è stato abbandonato e al suo posto è stato introdotto un sistema elettorale proporzionale. Il nuovo sistema
proporzionale si caratterizza per i seguenti elementi:
- lista bloccata, per cui l’elettore vota per una delle liste in competizione ma non può esprimere alcuna preferenza
per i candidati;
- possibilità che i partiti dichiarino il collegamento di più liste in un’unica coalizione, che dovrà presentare un
unico programma elettorale;
- preventiva indicazione del capo della coalizione, il quale si candida a diventare, in caso di vittoria, Presidente del
Consiglio;
- clausola di sbarramento (4% alla Camera e 8% al Senato);
- premio di maggioranza.
Agli enti locali sono attribuite funzioni amministrative sulla base dei principi dell’art. 18 Cost. I principi ispiratori di tale articolo
sono quelli della sussidiarietà, della differenziazione e dell’adeguatezza.
L’attribuzione di dette funzioni avviene con legge statale o regionale secondo la competenza per materia, mentre l’amministrazione
compete in primis ai comuni, salvo che la legge non ne conferisca la titolarità ad altro livello di governo per esigenze di unitarietà
della funzione.
Veniamo all’analisi dei tre principi che regolano l’attribuzione delle funzioni:
- principio di sussidiarietà secondo cui la dislocazione delle funzioni amministrative tra i vari livelli di governo deve essere guidata
dall’imputazione delle funzioni medesime alla struttura più prossima al cittadino utente e, laddove possibile, sempre a livello locale.
Solo nel caso in cui la dimensione degli interessi assuma un ambito territoriale più ampio, la dislocazione delle funzioni
amministrative può avvenire in capo all’ente di dimensioni più ampie.
Ad ulteriore specificazione del principio in esame va sottolineato che esso impone al livello di governo superiore di intervenire con la
propria azione a supporto del livello di governo inferiore, nell’ambito delle proprie funzioni e compiti, ove l’ente titolare delle
funzioni non disponga di forza e capacità, anche economiche, sufficienti; tuttavia, giova rilevare che tale principio non può
comportare uno spostamento dell’ordine delle competenze relativamente alla titolarità di poteri amministrativi in senso tecnico.
Deve,-in sostanza, essere comunque rispettato il principio di legalità, in virtù del quale ogni, potere amministrativo, deve trovare la
sua fonte in una norma.
- principio di differenziazione recentemente introdotto, che impone al legislatore di allocare le funzioni amministrative tenendo
conto delle diverse caratteristiche (associative, demografiche, territoriali e strutturali) dei vari enti riceventi;
- principio di adeguatezza, già presente nella nostra legislazione a partire dalle leggi cd. Bassanini (n. 59/97), si pone quale
indirizzo politico rivolto al legislatore e tendente alla ristrutturazione del governo locale, in modo da rendere le dimensioni dei vari
enti, e conseguentemente la loro capacità di governo, adeguata alle funzioni amministrative loro attribuite, con un assetto
organizzativo tale da risultare atto a garantire la buona riuscita dei compiti di amministrazione. In mancanza di tale assetto
organizzativo, le funzioni devono essere assegnate all’ente di dimensione superiore.
LE REGIONI
La Costituzione italiana del 1948 aveva previsto uno Stato regionale ed autonomista basato su Regioni dotate di:
- autonomia politica;
- autonomia legislativa;
- autonomia finanziaria.
Accanto alle 15 Regioni ordinarie, disciplinate direttamente dalla Costituzione, ci sono cinque Regioni speciali (Sicilia, Sardegna,
Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta) dotate di una autonomia più ampia di quella delle altre Regioni e definita
nei suoi contenuti dallo statuto di ciascuna di queste Regioni approvato con legge costituzionale. Le Regioni sono state istituite solo
nel 1970 e il concreto trasferimento delle funzioni amministrative dallo Stato alle Regioni è avvenuto prima nel 1972 e poi nel 1977,
ma si trattò di un trasferimento parziale, perché i ministeri hanno conservato molte competenze nelle materie che la Costituzione
affidava alle Regioni.
Una svolta nella ripartizione delle funzioni amministrative c’è stata con la legge 59/1997: legge Bassanini. Alle Regioni e agli Enti
locali dovevano essere attribuite tutte le funzioni ed i compiti amministrativi relativi alla cura e la promozione dello sviluppo delle
rispettive comunità, nonché i compiti amministrativi localizzabili nei rispettivi territori. Prima della riforma la Regione esercitava
esclusivamente le funzioni amministrative nelle materie in cui aveva competenza legislativa; con la riforma le funzioni
amministrative venivano attribuite in linea di principio a Regioni ed Enti locali anche nelle materie in cui lo Stato aveva
titolarità legislativa.
Nel 2001 il Parlamento ha approvato la legge costituzionale 3/2001 di riforma organica del Titolo V della parte seconda della
Costituzione, che è entrata in vigore a seguito dell’esito positivo del referendum costituzionale dell’articolo 138. La nuova disciplina
costituzionale ha profondamente cambiato l’assetto dei rapporti tra Stato, Regioni, ed Enti locali, realizzando un forte
decentramento politico: ha disegnato una Repubblica delle autonomie articolata su più livelli territoriali di governo (Comuni,
città metropolitane, Province, Regioni) ciascuno dotato di autonomia costituzionale garantita.
La legge ha introdotto una forma di Governo regionale basata sull’elezione popolare diretta del Presidente della Regione, più
precisamente ha previsto una Forma di Governo transitoria, vigente fino a quando la Regione non disciplinerà autonomamente la
sua Forma di Governo attraverso il proprio Statuto ed una propria legge elettorale. La Forma di Governo regionale transitoria si basa
su due strutture:
- il Consiglio regionale: detiene la funzione legislativa;
- il Presidente della Regione: eletto a suffragio universale e diretto dall’intero corpo elettorale regionale, dirige la
politica della Giunta (organo esecutivo), promulga le leggi ed emana i regolamenti regionali, dirige le funzioni
amministrative delegate dallo Stato alla Regione.
Secondo la Costituzione, ogni Regione ha uno Statuto che ne determina la Forma di Governo ed i principi fondamentali di
organizzazione e funzionamento. La Costituzione attribuisce quindi alla Regione la facoltà di discostarsi dalla Forma di Governo
transitoria.
La legge dice che la Forma di Governo degli Enti locali si basa sull’elezione popolare diretta del Sindaco e del Presidente della
Provincia. Per quanto riguarda l’elezione dei Consigli comunali e provinciali è prevista una combinazione di elementi del sistema
maggioritario e proporzionale, che si realizzano secondo modalità diverse:
- per i comuni con popolazione fino a 15.000 abitanti è eletto Sindaco il candidato che ottiene la maggioranza
relativa dei voti e la lista a lui collegata ottiene i 2/3 dei seggi del Consiglio;
- per i comuni con oltre 15.000 abitanti e le province è eletto Sindaco il candidato che ottiene la maggioranza
assoluta.
Gli organi di Governo del Comune e delle Province sono: il Consiglio, il Sindaco e la Giunta.
La libertà è un elemento fondamentale per la definizione della stessa forma di stato, in quanto influenza in. modo determinante i
rapporti tra lo Stato e la società civile. È necessario tuttavia introdurre alcune nozioni.
Si parla di situazioni giuridiche soggettive per indicare le posizioni giuridiche attive o di vantaggio, quali le libertà e i diritti, e le
posizioni giuridiche passive o di svantaggio, quali i doveri e gli obblighi che la Costituzione disciplina.
La libertà sottolinea l’aspetto negativo, di non costrizione. Il termine diritto privilegia l’aspetto positivo, di pretesa.
La libertà negativa sarebbe quella di impostazione liberale, e consiste in una generale libertà dell’individuo da vincoli esterni, primo
tra tutti lo Stato. Si dice “negativa” per rimarcare il fatto che l’attenzione è posta sui vincoli all’azione degli individui, e non sugli
scopi che si prefiggono. Le libertà negative sono garantite ad esempio, dall’inviolabilità del domicilio, segretezza della
corrispondenza, libertà da perquisizioni sommatorie e detenzione preventiva. A questo, si aggiungono tutte le norme sulla privacy e
quelle a garanzia della proprietà privata.
Le libertà positive sono tali perché consistono nella libertà di fare qualcosa. Rientrano in queste la libertà di riunione, di associazione,
di professione religiosa ecc.
Queste distinzioni hanno più un rilievo ideologico che un significato tecnico, infatti l’aspetto
negativo (la richiesta di non essere costretto) e l’aspetto positivo (la richiesta di strumenti per realizzare i propri obiettivi) sono
sempre presenti e strettamente legati in ogni “libertà”
e in ogni “diritto” sanciti dalla Costituzione. Così, per esempio, il “diritto” alla salute, come pretesa di ricevere dal potere pubblico
prestazioni sanitarie obbligatori; mentre la libertà, classicamente negativa, di poter esprimere il proprio pensiero ha un riflesso
“positivo” nella richiesta allo Stato di garantire il più ampio accesso ai mezzi di comunicazione.
Un’altra distinzione assai comune è tra diritti assoluti e diritti relativi:
- “assoluti”: non vuol dire illimitati, poiché i diritti illimitati non esistono, ma che si possono far
valere nei confronti di tutti, cioè erga omnes. Essi possono essere diritti della persona, per esempio, la libertà personale, la libertà di
domicilio o il diritto alla privacy) o diritti reali, per esempio, la proprietà, ma hanno comunque per contenuto una libertà in cui
esercizio non richiede prestazioni da parte di terzi se non l’astensione: l’effetto erga è perciò essenzialmente un divieto di
interferenza per gli altri soggetti. Di contro, “relativi” sono i diritti che possono essere fatti valere solo nei confronti di soggetti
determinati, ai quali si chiede una prestazione: il diritto che i minori vantano nei confronti dei genitori al mantenimento e
all’educazione (art. 30 Cost.), il diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro (art.
36.1 Cost.) o tutti i c.d. diritti sociali che si possono vantare nei confronti dello stato, per esempio, il diritto alle cure mediche
gratuite: art. 32.1 Cost.; oppure il c.d. diritto allo studio: art. 34.4 Cost.).
Questa distinzione ha però più una funzione classificatoria che riflessi pratici.
Tutti i diritti hanno bisogno di una disciplina normativa: anche quelli “assoluti” necessitano
di regole che fissino i modi con cui essi possono essere limitati (per esempio l’esportazione della proprietà privata per pubblica
utilità: artt. 42.3 Cost. e 834 cod. civ.; oppure le ispezioni domiciliari per esigenze della giustizia: art. 14.2 Cost.) e il punto
d’equilibrio tra l’interesse di chi li vanta e gli altri soggetti.
Per cui non è affatto detto che la legge non possa far dipendere anche il godimento di determinati “diritti assoluti” da prestazioni di
altri soggetti: basti pensare al regime di autorizzazione, concessione cui è sottoposto lo sfruttamento edilizio della proprietà fondiaria.
Dall’altra parte, anche i c.d. diritti relativi hanno un riflesso “negativo” che opera nei confronti di tutti: il mio diritto alla salute, che si
incarna in una pretesa alle prestazioni sanitarie dello Stato, mi garantisce anche dall’azione pregiudizievole degli altri privati,
attraverso la tutela penale e civile. Come pretesa alle prestazioni sanitarie, esso opera solo se e in quanto tali prestazioni siano
disciplinate dalla legge: si tratta di un diritto garantito dalla Costituzione, per cui la legge, che non mi assicurasse prestazioni
adeguate o che non mi tutelasse a sufficienza da pregiudizi arrecatimi da terzi, potrebbe essere dichiarata illegittima.
Un notevole credito ha avuto in passato la distinzione tra diritti individuali e diritti funzionali. La differenza starebbe in questo:
- i diritti individuali: sono attribuiti alla persona in quanto tale, per un suo vantaggio personale
e per le finalità che il singolo è libero di scegliere ed apprezzare, indipendentemente dai vantaggi o dagli svantaggi che ne possono
derivare per la collettività;
- invece, diritti funzionali: sono attribuiti al singolo per il perseguimento di finalità predeterminate a vantaggio della comunità e non
liberamente scelte dall’individuo. Classico diritto “individuale” sarebbero quindi, per esempio, la libertà personale, la libertà di
domicilio, la libertà di corrispondenza, ecc; i diritti “funzionali” sarebbero invece il diritto
di proprietà, le potestà familiari, ecc.
Oggi questa distinzione ha perso qualsiasi utilità. Tutti i diritti, “individuali” o”funzionali” che siano, subiscono la concorrenza di
altri diritti o interessi con cui devono conciliarsi: il “bilanciamento degli interessi” è la regola dell’applicazione di ogni diritto, di cui
fissa il limite”negativo”. D’altra parte, nessuno pensa che i diritti possano essere caratterizzati da un limite “positivo”, un vincolo di
scopo che ne condiziona l’esercizio. E’ la legge che può fissare i limiti dell’esercizio della libertà imprenditoriale (art. 41.2), limiti al
godimento della proprietà (art. 42.2), o i limiti all’eguaglianza dei coniugi al fine di salvaguardare “l’unità familiare” (art. 29.2): e
queste leggi potranno essere sottoposte al giudizio della Corte costituzionale, perché valuti se il bilanciamento tra le opposte esigenze
compiuto dal legislatore sia equilibrato e ragionevole, esattamente come valuterebbe i limiti che il legislatore introducesse, per
esempio, alla libertà personale, alla libertà di domicilio o alla libertà di corrispondenza per assicurare, poniamo, le esigenze della
giustizia o del fisco.
I diritti soggettivi pubblici comprendono facoltà o pretese che si possono far valere nei confronti:
- dello Stato;
- degli altri enti pubblici.
IL PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA
Art. 3 Cost.
COMMA 1- “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di
lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.”
COMMA 2- “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la
libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. “
Nel primo comma, si esprime il principio di uguaglianza formale, non che una serie di specifici divieti di discriminazione; nel
secondo comma si esprime il principio di uguaglianza sostanziale.
Il principio di uguaglianza formale prescrive che si devono trattare in modo eguale situazioni uguali, e in modo diverso situazioni
diverse: questa è una prescrizione rivolta al legislatore, il quale deve evitare privilegi o discriminazioni ingiustificate.
Il principio di eguaglianza sostanziale punta a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono, di fatto,
l’uguale godimento dei diritti e delle libertà. È un programma di intervento rivolto alle legislatore, il cui compito è di eliminare gli
handicap sociali.
I due aspetti del principio di uguaglianza si limitano e si completano a vicenda: l’uguaglianza sostanziale impedisce l’eccesso di
rigore dell’uguaglianza formale; l’eguaglianza formale impedisce alle azioni positive di diventare a loro volta, fonte di giustizia
dando luogo a casi di “discriminazione al contrario“. Il punto di equilibrio ci viene indicato nel giudizio di ragionevolezza, che
ammette trattamenti differenziati solo se esistono ragioni particolari che giustificano il trattamento diverso. La ragionevolezza è un
criterio che solitamente subentra quando il legislatore ha libertà di scelta, ovvero per quel determinato caso non è prevista una norma
giuridica (fattispecie concreta). Proprio perchè ha questa libertà, deve fare in modo di essere più ragionevole possibile, cioè deve
evitare di effettuare discriminazioni o scelte che vadano contro la legge.
CITTADINI E STRANIERI
In quale misura i diritti che la Costituzione riserva espressamente ai cittadini possono essere estesi agli stranieri, dato che tale
estensione non può essere considerata automatica solo sulla base del principio di uguaglianza (che si riferisce espressamente ai soli
cittadini)?
Va preso in considerazione innanzitutto L’art. 10 comma 2 Cost:
“ La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali“.
È sulla base di questa disposizione che si possono giustificare estensioni di diritti fondamentali agli stranieri anche nei casi in cui la
costituzione sembrerebbe riservarli ai soli cittadini.
In secondo luogo si consideri l’art. 2 Cost. : “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come
singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di
solidarietà politica, economica e sociale.”
L’art. 2 sancisce il riconoscimento e la garanzia dei diritti inviolabile dell’uomo; tale articolo si ricollega ai diritti che gli articoli 13 e
seguenti definiscono specificamente inviolabili, cioè appartenenti all’uomo inteso come essere libero.
Diritto d’asilo: agli stranieri la Costituzione riserva alcuni diritti riassunti sotto l’etichetta di “diritto d’asilo”. Esso è il diritto
soggettivo riconosciuto dall’articolo 10 della Costituzione allo straniero “al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle
libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana”, di trovare rifugio nel territorio italiano. Il riconoscimento del diritto di
asilo ha conseguenze importanti, perché chi lo consegue non può essere sottoposto ad estradizione o ad espulsione:
- l'estradizione è un istituto che prevede la consegna di un soggetto da parte dello Stato in cui si trova, a quello che
ne fa richiesta, per procedere penalmente nei suoi confronti (estradizione processuale) o per dare esecuzione a
una sentenza definitiva di condanna (estradizione esecutiva).
- l’espulsione è un provvedimento amministrativo, dettato da motivi di ordine pubblico o di sicurezza, con il quale
lo straniero viene inviato verso lo Stato di appartenenza.
Art. 13 Cost. :
“ La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa alcuna forma di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né
qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi
previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica
sicurezza può adottare i provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro 48 ore all’autorità giudiziaria e, se
questa non li convalida nelle successive 48 ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto. È vietata ogni violenza
fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. La legge stabilisce i limiti massimi della
carcerazione preventiva.”
Libertà personale. Tutto questo articolo avrebbe potuto esaurirsi nel primo comma, tanto sono dirompenti la sua portata e la sua
essenzialità. Si è voluto, però, specificare come e quando la libertà personale possa subire limitazioni da parte dello Stato, nel timore
che si potesse ricadere nel passato, quando ogni diritto di libertà era stato cancellato. Ciò ha reso necessario fare ricorso a un articolo
molto lungo, composto da ben cinque commi.
Qualsiasi restrizione alla libertà personale deve essere indicata da apposite leggi votate dal Parlamento, nel rispetto dei principi della
Costituzione. Soltanto i magistrati, inoltre, possono adottare misure restrittive della libertà personale. Si tratta di atti motivati, non
arbitrari poiché il giudice deve spiegare i motivi per i quali è ricorso a una misura detentiva nei confronti di un soggetto.
Necessità e urgenza. Nonostante le numerose cautele descritte, in casi eccezionali di necessità e urgenza l’autorità di pubblica
sicurezza può adottare provvedimenti restrittivi della libertà personale. Questi hanno, però, carattere provvisorio e devono essere
comunicati e convalidati dal giudice.
Violenza fisica. Nessuno, imputato o detenuto dichiarato colpevole, può subire violenza fisica o morale, da parte della pubblica
autorità, allo scopo di estorcere una confessione o per puro accanimento personale.
Carcerazione preventiva. In attesa del processo vi è la possibilità che l’imputato venga sottoposto a un periodo di carcerazione
preventiva. Questo è fissato dal magistrato ed è un provvedimento provvisorio e urgente nei confronti di colui che potrebbe inquinare
le prove o fuggire o commettere ulteriori reati. Naturalmente la carcerazione preventiva non deve essere di durata superiore rispetto
alla pena detentiva collegata al presunto reato.
Attualmente, in luogo dell’espressione “carcerazione preventiva”, si utilizza custodia cautelare. È stato, inoltre, istituito il Tribunale
della libertà, che, dietro richiesta dell’interessato o di un suo difensore, deve decidere entro tre giorni, previa riesamina del
provvedimento, se il detenuto in attesa di giudizio possa attendere il processo in stato di libertà.
Art. 14 Cost. :
“Il domicilio è inviolabile.
Non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie
pre- scritte per la tutela della libertà personale.
Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini economici e fiscali sono regolati da leggi
speciali.”
Domicilio. Questo concetto va inteso estensivamente, non solo come abitazione del soggetto, ma come l’insieme dei luoghi entro i
quali si svolge la sua vita privata e la sua attività professionale. Nessuno può penetrarvi arbitrariamente, compreso lo Stato. Di qui il
carattere di inviolabilità.
Art. 15 Cost. :
“La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione
può avvenire soltanto per atto motivato dall’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge.”
Libertà e segretezza. La tutela di ogni forma di comunicazione tra i soggetti si accompagna alla necessità di segretezza della stessa.
Oggi il concetto di comunicazione si è enormemente dilatato, a causa della grande varietà di forme di comunicazione esistenti grazie
all’apporto della tecnologia. Solo il magistrato può adottare provvedimenti restrittivi, indicandone i motivi.
Per tutelare gli individui rispetto al trattamento dei dati personali, è stata istituita nel 1996 l’Autorità garante per la protezione dei dati
personali. Si vuole, con questo organismo, garantire maggiormente quei soggetti che, dovendo nella vita quotidiana fornire i propri
dati personali, devono essere rassicurati circa il fatto che tali dati non saranno divulgati. Chiunque intenda utilizzare in qualsiasi
modo i dati personali altrui deve comunicarlo all’Autorità garante e deve ottenere il con- senso espresso degli interessati in forma
scritta. Il D.Lgs. n. 196/2003 ha sostituito (incorporandola) la legge sulla privacy del 1996.
Art. 16 Cost. :
“Ogni cittadino può circolare e soggiornare in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge
stabilisce in via generale per motivi di sanità e sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche.
Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge.”
Libertà di circolazione e soggiorno. È riconosciuta la libertà di circolazione e soggiorno in qualsiasi zona del territorio nazionale, a
eccezione di particolari situazioni che ne richiedano la limitazione per motivi di sanità e di sicurezza. Ciò che prima riguardava solo i
cittadini, dal momento dell’adesione dell’Italia alla Comunità Europea, è stato esteso a tutti i cittadini comunitari. Inoltre i cittadini
degli Stati aderenti agli accordi di Schengen possono attraversare liberamente i confini tra gli Stati aderenti a tale accordo, senza
subire alcun controllo.
Ragioni politiche. È interessante la specificazione che chiude il primo comma, vietando restrizioni dovute a motivi di carattere
politico.
Essa si riferisce (negandone il ripristino) alla sanzione del confino, utilizzata durante il fascismo per isolare i dissenzienti del regime.
Con la legge costituzionale del 23 ottobre 2002, anche i membri di casa Savoia sono stati autorizzati a recarsi liberamente in Italia,
abrogando la XVIII Disposizione transitoria, primo e secondo comma.
I diritti della sfera pubblica dell’individuo sono posti a tutela della dimensione sociale della persona. Essa si esprime in due direzioni:
da un lato vi è la libertà di espressione del proprio pensiero, dall’altro vi è la libertà di riunirsi e di associarsi dando luogo a quelle
formazioni sociali in cui si svolge la personalità dell’individuo. L’iniziativa politica delle persone si svolge usando le riunioni, le
associazioni, i canali di comunicazione... per cui la tutela di tali libertà ha il significato di garantire la sfera degli interessi sociali dei
cittadini, ma anche di garantire il buon funzionamento del dibattito democratico. I meccanismi repressivi dell’esercizio delle libertà
della sfera pubblica servono a proteggere altri interessi della collettività, come il “buon costume” e “l’ordine pubblico”.
Art. 17 Cost. :
“ I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senza armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico
deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica”.
Libertà di riunione. Per riunione si intende l’aggregazione di più soggetti che, incontrandosi in un luogo determinato, soddisfano così un interesse di varia natura (sociale, culturale,
politico ecc.). La libertà di riunione è prevista in modo ampio dalla Costituzione, che riconosce al cittadino la possibilità di esercitarla nelle sue varie forme, alla sola condizione che ciò
avvenga con modalità pacifiche.
Luoghi di riunione. Le riunioni possono svolgersi sia in luoghi chiusi, sia aperti al pubblico o pubblici. In quest’ultimo caso, per motivi di sicurezza, occorre dare un preavviso
all’autorità di pubblica sicurezza che, nel caso in cui ravvisi un pericolo per la sicurezza o l’incolumità pubblica, può arrivare a vietarla.
***Per luogo pubblico si intende il luogo in cui tutti possono accedere liberamente.
Per luogo aperto al pubblico si intende quello nel quale l’accesso è possibile solo dopo l’espletamento di particolari formalità: pagamento del biglietto, esibizione dell’invito ecc.
Art. 18 Cost. :
“ I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge
penale. Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante
organizzazioni di carattere militare.”
Libertà di associazione. Anche questa libertà è prevista dalla Costituzione in modo ampio, in quanto non è richiesta autorizzazione.
A differenza della riunione, l’associazione ha un carattere di stabilità e fini di varia natura, di interesse comune a tutti gli associati.
Vi sono tuttavia alcuni limiti. Il divieto riguarda, naturalmente, quelle associazioni che perseguono fini vietati dalla legge penale.
Questi, infatti, raggiungono i loro scopi attraverso la commissione di reati; si pensi alle associazioni a delinquere o a quelle che
possono compromettere l’ordine costituito dello Stato o sradicare il sistema democratico.
Associazioni segrete. Sono tali quelle associazioni che, per la segretezza dell’identità degli associati, delle sedi e dei fini perseguiti,
possono creare turbative allo Stato e ai suoi organi. A questo proposito, nel 1982 fu sciolta la loggia massonica P2, per la sua natura
di associazione segreta, con finalità e modi di operare lesivi della sicurezza dello Stato.
***Le associazioni segrete in un regime democratico, che garantisce la libertà di associazione, sono vietate perché possono solo
perseguire finalità illecite e svolgere attività dirette ad interferire sull'esercizio delle funzioni degli organi statali.
Le associazioni che perseguono scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare sono vietate perché in un regime
democratico i fini politici vanno perseguiti con un dibattito pacifico e civile senza ricorrere alle armi e alla violenza.
“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
Libera manifestazione del pensiero. Questo articolo va associato all’art. 13, a massima garanzia della libertà del soggetto.
I sei commi che compongono l’art. 21 sanciscono compiutamente gli ambiti e i limiti riconosciuti a questa fondamentale libertà
democratica. Ogni mezzo può servire a diffondere il pensiero. La stampa non è soggetta a preventiva censura, come accadeva in
epoca fascista. Il sequestro può avvenire, come extrema ratio, per opera del magistrato, con atto motivato e soltanto nei casi
espressamente previsti dalla legge o per violazione di norme relative all’indicazione dei responsabili delle pubblicazioni.
Il penultimo comma prevede il preciso riferimento alla trasparenza dei mezzi di finanziamento della stampa periodica. In questo
modo il lettore è a conoscenza di quali siano gli interessi che persegue chi finanzia quella pubblicazione.
Limiti. Anche in relazione alla libertà di manifestare il pensiero si incontra il limite del buon costume, concetto dalla portata
variabile a seconda del momento storico di riferimento. Altri limiti sono riconducibili alla sfera privata della persona e al rispetto del
segreto giudiziario. Permane, infine, il segreto militare e il segreto di Stato, a tutela della difesa nazionale e degli interessi statali
interni ed esterni.
I DIRITTI SOCIALI
Per “diritti sociali” si intendono i diritti dei cittadini a ricevere determinate prestazioni dagli apparati pubblici. La costituzione non
predispone particolari strumenti di tutela per i diritti sociali: è attraverso la legislazione ordinaria che essi vengono organizzati in
prestazioni e servizi, e gli strumenti di tutela di cui il cittadino dispone sono quelli comuni apprestati dall’ordinamento. Il contenzioso
che si genera in relazione ai diritti sociali è sempre teso all’allargamento delle prestazioni e della spesa pubblica.
Art. 39 Cost. :
“L’organizzazione sindacale è libera. Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso
uffici locali o centrali, secondo le norme di legge.
È condizione per la registrazione che tutti gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica. I
sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti,
stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto
si riferisce.”
Tale articolo non è mai stato applicato, salvo il primo comma che sancisce la libertà di organizzazione sindacale; per cui gli attuali
sindacati sono semplici associazioni di diritto privato e i contratti che essi stipulano non hanno efficacia normativa, ma hanno un
valore vincolante solo per i soggetti che hanno stipulato e per i loro iscritti.
Art. 40 Cost. :
“Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano.”
Lo sciopero è la sospensione collettiva temporanea delle prestazioni di lavoro rivolto alla tutela di un interesse dei lavoratori: è un
diritto perché chi sciopera non può subire conseguenze negative sul piano penale, civile o disciplinare. L’unica disciplina riguardante
il diritto di sciopero è quella sui “servizi pubblici essenziali”, nei quali devono essere garantite le prestazioni indispensabili.
Art. 41 Cost. :
“L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla
sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni e perché l’attività
economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.
Libera iniziativa economica. Gli articoli compresi fra il 41 e il 47 hanno la funzione di sottoporre l’iniziativa economica, la
proprietà, il sistema creditizio a una nuova regolamentazione, conforme ai principi della Repubblica appena nata.
Dopo aver sancito la libertà per i privati di svolgere una qualsiasi attività imprenditoriale che realizzi un profitto economico, si limita
l’assolutezza di questa libertà, in quanto si vieta che questa entri in contrasto con l’utilità socia- le o con i valori di libertà a cui la
società democratica si ispira.
Indirizzo e coordinamento dell’attività economica. Sebbene libera, l’attività economica è organizzata attraverso un sistema a
economia mista in cui lo Stato, soggetto economico al pari delle imprese, impone a queste un sistema di regole affinché non
intacchino la libertà dei singoli individui e dei lavoratori.
Per buona parte del secolo scorso lo Stato ha svolto massicciamente l’attività economica, in quanto proprietario di numerose imprese.
Negli ultimi venti anni tale ruolo dello Stato è andato riducendosi e molte imprese di proprietà pubblica sono state privatizzate (cioè
vendute ai privati). Questo processo, però, avrebbe potuto contribuire alla tendenza alla creazione di monopoli e oligopoli.
Per evitare che il mercato perdesse in modo eccessivo le caratteristiche di concorrenzialità che lo rendono efficiente ed equo per i
consumatori, si è resa così necessaria la creazione di una Autorità garante della concorrenza e del mercato, l’Antitrust.
Art. 42 Cost. :
“La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, a enti o a privati.
La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo
scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.
La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse
generale.
La legge stabilisce le norme e i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.”
Proprietà privata. Dopo avere affermato che la proprietà può essere sia pubblica sia privata, entrambe con pari dignità, la
Costituzione specifica un principio importante. Pur essendo riconosciuti e tutelati dall’ordinamento giuridico, gli interessi del
proprietario devono piegarsi dinanzi a quelli della collettività.
È compito della legge stabilire i modi di acquisto e godimento della proprietà, poiché non tutti i beni economici hanno uguale natura
e funzione. La legge deve anche rendere accessibile a tutti il diritto di proprietà. A questo proposi- to si possono ricordare le misure
atte a favorire l’acquisto della prima casa e le relative agevolazioni fiscali.
Espropriazione. Come abbiamo visto, il diritto di proprietà non può prevaricare l’interesse collettivo. Nei casi in cui si verifichi la
necessità di destinare a un uso pubblico una proprietà privata o parte di essa, la legge prevede l’espropriazione, cioè l’acquisto
forzoso del bene da parte dell’ente pubblico, in cambio di una somma di denaro, detta indennizzo. L’importo funge da
compensazione per il danno subito dal privato e non deve essere simbolico, ma sufficiente a ripagare il proprietario della perdita
subita, anche se non necessariamente pari ai valori di mercato.
Successione. L’ultimo comma dell’art. 42 contiene una riserva di legge circa le norme e i limiti delle successioni legittime e
testamentarie.
Il coniuge e i figli sono particolarmente tutelati in quanto congiunti più prossimi. Non possono, quindi, essere privati della loro parte
di eredità.
I vantaggi derivanti agli eredi sono soggetti a tassazione. Nel caso in cui non vi fossero parenti entro il sesto grado, l’eredità viene
devoluta allo Stato.
Politici sono i diritti riconosciuti ai cittadini di partecipare alla vita politica e alla formazione di decisioni pubbliche. È attraverso di
essi che si teorizza il principio della sovranità popolare enunciato dall’art. 1 Cost. Questi diritti sono elencati negli articoli 48-51 e
riguardano: l’elettorato attivo e passivo, i vari tipi di referendum, la libertà di organizzazione dei partiti, il diritto di petizione,
il diritto di accedere agli uffici pubblici. I diritti politici si possono perdere in conseguenza della perdita della capacità di agire per
infermità mentale o di una condanna per gravi reati. L’interdizione dai pubblici uffici è una pena accessoria che accompagna le
condanne più gravi. La sospensione dei diritti politici è prevista per i falliti e per i sottoposti a misure di prevenzione, libertà vigilata
ecc.
I DOVERI COSTITUZIONALI
La costituzione contiene vari riferimenti ai “dovere” dei cittadini, ma perlopiù si tratta di principi non facilmente traducibili in regole
di comportamento.
Così, per esempio, i “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” posti dall’art.2 Cost., oppure il “dovere di
svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attiva o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale
della società” posto dall’art.4.2 Cost., non impediscono certo a nessuno di vivere di rendita sperperando le proprie ricchezze in
egoistiche dissolutezze.
Difficile è l’interpretazione del “dovere di fedeltà alla Repubblica” previsto dall’art. 54.1 Cost. Nell’ordinamento italiano non si è
fatta strada la tendenza a fare del dovere di fedeltà un principio capace di bilanciare e “funzionalizzare” i diritti di libertà, di
giustificare cioè la repressione del dissenso politico “radicale” che ha caratterizzato certe democrazie “protette” come la Germania
federale e gli Stati Uniti d’America.
Il dovere di fedeltà esprime il suo significato normativo essenzialmente nei confronti di chi assume cariche pubbliche, mentre per la
la generalità dei cittadini si risolve nell’obbligo di rispettare la Costituzione e le leggi.
Insomma, i doveri costituzionali si riconducono essenzialmente a due: il sacro dovere di difesa della patria (articolo 52 della
Costituzione) e il dovere di concorrere alle spese pubbliche in ragione delle proprie capacità contributive (articolo 53 della
Costituzione).
Al primo corrisponde l’obbligo del servizio militare, se e come lo disciplina la legge ordinaria; ma i riflessi del dovere di difesa
possono essere assai più vasti, toccando in caso di guerra, tutti cittadini, non solo i militari. Al dovere di “concorrere alle spese
pubbliche in ragione delle (propria) capacità contributive” corrisponde l’obbligo per lo stato di costruire un sistema tributario
“informato a criteri di progressività”. In questo articolo ricompare la doppia anima del principio di uguaglianza: la regola che
proporzione ai tributi alla capacità contribuita rispecchia il principio di uguaglianza formale, mentre la regola della progressività è
ispirata all’esigenza di uguaglianza sostanziale.
I livelli essenziali di assistenza (abbreviato in LEA) indicano, in Italia, l'insieme di tutte le prestazioni, servizi e attività che i cittadini
hanno diritto a ottenere dal Servizio sanitario nazionale (SSN), allo scopo di garantire in condizioni di uniformità, a tutti e su tutto il
territorio nazionale.
Sono detti "livelli essenziali" in quanto racchiudono tutte le prestazioni e le attività che lo Stato ritiene così importanti da non poter
essere negate ai cittadini.