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1. Persona
3. Autorit
Auctoritas deriva da augere, che non significa accrescere, nella
sua accezione originaria, ma produrre, portare alcunch
allesistenza.
In linea generale, il rapporto che potremmo indicare con
autorit quella circostanza in cui, allinterno di una pluralit di
individui, qualcuno dice che cosa si debba fare.
Non solo: non lo dice come se fosse un consiglio; lo dice con
la pretesa di ottenere obbedienza.
In ragione di che cosa lo dice? e in ragione di che cosa
dovrebbe venire ascoltato?
In termini cos generali, immaginiamo che finita la lezione
andiamo tutti a cena insieme, io dico che si va in birreria, la
signorina, magari potrebbe preferire un ristorante vegano.
Come si perviene a produrre una decisione reciprocamente
impegnativa in presenza di pi di una possibile opzione?
E poi; se usciamo dal parlare comune, dobbiamo riconoscere
che autorevolezza ed autorit non sono proprio la stessa cosa:
lautorit presso Hobbes che ho evocato, ma evidentemente non
solo presso Hobbes ha un carattere vincolativo: non un caso
che parliamo di carattere autoritativo dei provvedimenti.
Del resto: se viene approvata una legge che vieta di guidare
senza la cintura di sicurezza, la legge ha carattere autoritativo: non
un suggerimento di buona pratica, prevede sanzioni in caso di
violazione.
E se pure io non fossi daccordo, come in effetti non sono,
non c dubbio che sia tenuto comunque ad osservarla, come in
effetti faccio.
Si pone poi la questione che, se pure non ci sono sanzioni
previste nella norma, in ogni caso sarei tenuto ad osservarla in
quanto sono un consociato.
E per questa sola ragione, per il fatto che gli altri consociati e
la stessa autorit si aspettano che io mi adegui alla direttiva.
Ma potrei non rispettare la direttiva per moltissime ragioni.
Come vedete, fra autorit e dobbiamo ancora vedere di che
si tratti e intenzioni o sensibilit soggettive sempre possibile
un contrasto.
Tutto questo lo diciamo in presenza dellautorit come
fenomeno; al solito si pone la questione di metodo: procedere da
principi e quindi per deduzione, o tentare di assumere un punto di
vista osservativo.
Possiamo dunque partire da una classificazione orientativa:
Jospeh Raz, un filosofo del diritto e della politica, individua tre
principali significati di autorit.
In un primo significato, autorit autorit pratica. Che vuol
dire?
Vuol dire che si presenta come la facolt di imporre un modo
di agire, emanare regole che influiscano sul comportamento altrui.
In una prima possibile declinazione, queste norme sono
portatrici di obblighi (devi fare x; non devi fare y) e in una
secondaria accezione, in questo campo dellautorit pratica, sono
portatrici di opzioni legittime, ossia autorizzano a fare qualcosa, il
che non significano che obblighino a farla o vietino di farla.
Posso aprire un chiosco di granite a Tarquinia lido una volta
che la mia richiesta soddisfi taluni requisiti; questo non significa
certo che io sia obbligato a farlo, n che mi sia in principio
precluso.
In una seconda accezione, che deriva dalla prima, autorit
implica una deroga al comportamento comune a seguito di
espressa autorizzazione.
Io ad esempio non sono per nulla autorizzato a guidare
lautomobile di qualcuno se non ne ho espressa autorizzazione, ma
una volta che ho espressa autorizzazione, ho lautorit di farlo.
Vi poi il caso dellautorit epistemica o teoretica, ossia
quello dellesperto, che per la sua autorevolezza, pu essere
ritenuto affidabile nel suo dare giudizi o informazioni su di un
dato ambito.
Lautorit epistemica da assumersi come una buona ragione
per ritenere qualcosa.
Il gemmologo che d il suo expertise sulla purezza di un
diamante, considerabile come una autorit epistemica, e quindi,
io che di diamanti capisco pochissimo, dovr prendere per valido
ci che lesperto mi dice.
Se dovessi comprare un diamante, farei bene ad ascoltare il
parere di un esperto.
Allora, lautorit pratica pu essere collegata a quella
epistemica.
piuttosto frequente che si connettano laspetto pratico e
quello epistemico nella giustificazione della autorit: si deve fare
ci che dice lautorit, in quanto lautorit sa che cosa meglio
fare.
Ora, in riferimento allautorit politica, cio allautorit dello
Stato e anche a quella del diritto, il primo significato ad essere
prevalente.
Avere autorit significa avere il diritto ripeto: avere il
diritto di regolare il comportamento altrui.
Questa forma di autorit pratica quella che in definitiva
presiede allattivit e allo stesso stabilirsi dello Stato e del diritto;
avere autorit pratica significa:
1. essere in condizione di poter produrre una differenza nelle
ragioni per lazione dei soggetti singoli;
2. la presenza autorit implica lobbligo di attenersi alle
prescrizione dellautorit.
Questultimo punto, come comprenderete, controverso.
Lobbligo infatti impone di fare ci che lautorit prescrive, e in
senso stretto, dovremmo accettarlo in ogni caso, anche in presenza
di una direttiva che ci apparisse del tutto irragionevole.
Alcuni per esempio ritengono che non vi sia obbligo in senso
stretto, ma una interrelazione critica, ossia tale da implicare una
certa soglia di discernimento da parte dei consociati anche in
presenza del comando.
Coloro che inclinano verso queste posizioni, debbono
concludere che lautorit non consiste nel diritto di conformare a
direttive lazione altrui, ma nella responsabilit di agire a
vantaggio dei consociati.
In definitiva, viene ad essere fortemente modificato il profilo
deontico del concetto di autorit.
Al di l di ci, abbiamo un terzo punto da prendere in
considerazione.
3. lesistenza dellobbligo di conformarsi alle direttive da
riferirsi al solo fatto che lautorit la direttiva in questione lha
emanata.
Detto pi precisamente: non solo necessario che ci si
conformi alla direttiva dellautorit, ma altres necessario che
questo avvenga sulla base di un riconosciuto diritto dellautorit a
prescrivere comportamenti.
In sostanza, se avete presente Il Padrino di Francis Ford
Coppola, potete ben capire a cosa mi riferisco.
Una rivoltella alla tempia sicuramente una ragione valida
per conformare il proprio comportamento a quanto ci viene
richiesto da parte di chi la impugnasse; ma questo non costituisce
il diritto di emanare direttive, costituisce semplicemente un
obbligo di fatto dietro minaccia della vita.
Lautorit, come osserva Arendt, non va confusa con la mera
coercizione n con la persuasione, ma ha un significato ulteriore.
Se lunica ragione la possibilit di avere a patire
conseguenze indesiderabili in determinate circostanze, in senso
giuridico non si configura un obbligo ad attenersi alle direttive
dellautorit, ma solamente una costrizione di fatto, che come
vedremo altra cosa.
Ci infatti significa che la nozione di autorit deve essere
distinta da quella di potere.
Daltra parte neppure la persuasione da s giustifica
lobbligo, perch assume le sembianze di un consiglio.
Del resto, il gemmologo pu rassicurarmi sulla purezza del
diamante che sto per acquistare, ma potrei comunque non
acquistarlo, e decidere di comprare uno smeraldo o un
abbonamento a teatro, in alternativa.
Tutto questo ci porta a concludere che uno studio sul concetto
di autorit, deve in definitiva essere uno studio del concetto di
autorit come portatrice di vincoli cogenti, ma di vincoli cogenti
che riconosciamo come legittimi.
In campo giuridico e politico non si pu eludere la questione
della legittimit di una autorit.
Se pensiamo al concetto kantiano di autonomia, del quale
abbiamo gi parlato, la questione ci si para davanti.
Al di fuori di una dimensione unicamente impositiva, quale
quella hobbesiana, lantinomia fra libert come
autodeterminazione e autorit come facolt di conformare a
direttive che richiedono obbligo di adeguazione il comportamento
altrui si presenta chiarissima.
Lemergere e lestendersi del concetto di libert, come ha
rilevato Arendt, ha messo in crisi la nozione tradizionale di
autorit.
Lautorit, per essere tale, non pu solo poter conformare al
suo volere laltrui comportamento, come chi impugna una pistola,
deve poterne rivendicare il diritto.
E quindi questo impone una giustificazione del comando
dellautorit, che vada oltre la semplice costatazione della
presenza della forza.
Intendiamoci: autonomia non assenza di vincolo, che sare
a-nomia, ma presenza di vincolo che il soggetto stesso si dato,
avendolo liberamente e responsabilmente scelto.
Ora, escludendo in principio il caso della presenza di forme
di governo non democratiche, rispetto alla questione dellautorit
politica, resta il fatto che un concetto di autonomia cos assunto
pare incompatibile con il concetto di autorit come fonte
sufficiente per regolare il comportamento altrui.
una questione molto seria.
Da un punto di vista per cos dire formale, in un contesto
democratico, governanti e governati coincidono: il popolo che
governa se stesso.
Bene, allora dove starebbe il problema, o per meglio dire: i
problemi?
Anzitutto la formulazione governo del popolo equivoca;
sarebbe giustificata in linea teorica in senso stretto unicamente
in un ipotetico caso di democrazia diretta permanente e unanime.
Perch unanime?
Perch anche nel caso in cui fosse il popolo a votare sempre e
su tutto, resterebbe il problema di ammettere come legittimo
sempre e comunque il criterio della maggioranza.
Se qui siamo sette, tre votano per x e quattro per y, il fatto
che i tre che hanno votato x debbano sempre e comunque
adeguare il loro comportamento individuale alle direttive di chi ha
votato y non di per s evidente: deve essere giustificato.
Resta comunque il fatto che le democrazie contemporanee
non funzionano cos: ci sono organi eletti in base a procedure che
fanno le leggi, si chiamano in generale parlamenti.
Fra laltro gli eletti debbono essere dipendenti dai loro
elettori nel momento in cui svolgono la funzione per la quale sono
stati eletti: il sindaco di Viterbo il sindaco di Viterbo, non dei
viterbesi che sono andati a votare, n tanto meno solo di quelli che
hanno votato per lui\lei.
Peraltro, in alcune circostanze ci sono elettori che votano
candidati che risultano non essere letti, o votano per
raggruppamenti che non ottengo seggi, e ci fa s che io debba
soggiacere alla volont di chi non ho votato, per il fatto che altri
hanno preso pi voti.
Ora, Aldo Schiavello autore del saggio sul concetto di
autorit che vi sto qui spiegando opportunamente cita Churcill,
quando osserva che la democrazia la peggior forma di governo,
eccezion fatta per tutte le altre sino ad ora sperimentate, e quindi
non stiamo qui discettare della preferibilit di una dittatura rispetto
ad un democrazia.
Evidentemente non questo il punto. Il punto il problema
teorico se, e a che condizioni, si possa conciliare lantinomia che
sorge fra autorit ed autonomia.
Al di l di considerazioni di carattere probabilistico ( pi
probabile che il parere di molti sia pi sensato di quello di pochi),
argomento di per s infondato; o di natura pratica: preferibile
che la maggioranza governi legalmente anzich dover far pesare i
numeri in altro modo, il punto che c una aporia fondamentale.
Questa relativa la fatto che altri, sebbene in maggioranza,
decidano per me, che pur essendo in minoranza, non per questo
cesso di avere una volont.
Basta questo solo il fatto?
Indubbiamente una prassi che funziona meglio di altre, non
c dubbio, ma qui non facciamo statistica, ci occupiamo dei
concetti fondamentali, e il criterio prudenziale, non sempre di
per s evidente.
Un argomento pi sensato quello che si regge sul concetto
di promessa: implicitamente, nel momento in cui accetto di
prendere parte al processo decisionale, rispetto al quale il voto il
momento di esito, non essendo lunico momento, prometto di
accettare il risultato.
E per come potremmo replicare?
Grosso modo cos: sembra una proposta ragionevole, ma la
sua ragionevolezza consiste appunto nel fatto che si accetta di
rimettere la propria autonomia alla composizione di tutte le altre
analoghe autonomie che avviene col voto.
Autonomamente, nella migliore delle ipotesi, ma non fino
in fondo cos, rimetto al mia autonomia alla somma delle altre
autonomie.
Questa non una composizione fra autonomia ed autorit,
la volontaria rinuncia allautonomia.
Ossia: accetto volontariamente di non essere autonomo, o di
esserlo limitatamente a quelle sfere di possibile azione non
interessate dal vincolo autoritativo.
Eccezion fatta per il mondo ateniese classico, che per si
fondava sul concetto di schiavit e quindi non rientra nel
perimetro delle nostre discussioni, le tradizioni classiche che pi si
sono interessate al concetto di autorit in rapporto a quello di
autonomia, sono quelle contrattualistiche.
I contrattualismi, tanto quelli classici che quelli
contemporanei, si fondano sul concetto di consenso.
Secondo la visione contrattualistica, lautorit del diritto il
risultato di una iniziale (effettiva o ipotetica che sia) convergenza
in ordine alla questione fondamentale, ossia la vicendevole
promessa di accettare le disposizioni dellautorit che deriva dalla
stesura del patto.
La forma di questa posizione quella di natura morale di
rispettare la promessa o la parola data.
Al suo interno il contrattualismo conosce una notevole
variet di interpretazioni e di presupposti iniziali.
Si prenda lantropologia negativa di Hobbes, la quale vede
nella quasi totale remissione della propria autonomia allautorit
sovrana del Levitano, Hobbes le definisce Dio mortale, affinch
il sovrano renda possibile la convivenza degli individui, che
nellipotetico stato di natura attenterebbero di continuo ciascuno
alla vita altrui.
Essendo gli individui nello stato di natura liberi ed eguali, ed
essendo al contempo inemendabilmente egoisti, necessitano di una
autorit che permetta loro di vivere non attentando ciascuno alla
vita dellaltro.
Per contro una tipizzazione canonica c la versione
lockeana del contrattualismo.
Locke non muove da una considerazione antropologica
orientata al pessimismo.
Il fatto che gli individui siano nello stato di natura liberi ed
eguali non implica per necessit che si uccidano lun laltro.
Perch. Perch Locke non muove dal presupposto che la
legge di natura non sia lastratta ambizione alla onnipotenza di
ciascun individuo, e quindi non crede chela libert in natura sia
sconfinata - ius in omnia n leguaglianza sia una equivalenza
delle qualit soggettuali.
E dunque la legge di natura sarebbe di per s in grado di
mantenere un ordine nella collettivit.
una diversa caratterizzazione antropologica a definire le
differenze.
Hobbes ha il pregio di essere molto chiaro a proposito del
perch sia necessario il patto sociale; ma perch se luomo non
del tutto e sempre egoista, come vuole Locke dovrebbe dare
luogo al patto?
Perch lordine pu comunque essere turbato dalla eccessiva
pretesa di uno, senza per questo dover estendere questo fatto al
rango di legge universale della sopraffazione, come fa Hobbes, ma
ci non toglie che sia possibile.
Lordine della legge naturale deve essere ristabilito.
In caso di violazione, in natura, la persona offesa dovrebbe
avere i diritto di punire chi offende; ma nessuno, assume Locke,
giudice imparziale delle sue questioni private.
Il patto necessario, allora, non perch in natura non ci siano
leggi in grado di assicurare una convivenza tendenzialmente
possibile in regime di pi o meno costante pace sociale, ma perch
in natura manca un organo terzo in grado di dirimere le
controversie.
Non che non ci sia la legge: non c il giudice. E dove c
una legge, suggerisce Locke, serve un giudice.
Come vedete, sono due concezioni molto differenti
dellautorit, allinterno dello stesso contrattualismo.
Lautorit, per Hobbes, affinch sia autenticamente autorit,
deve essere potenzialmente assoluta; per Locke un organo che
interviene unicamente quando chiamato in causa della necessit
di dirimere controversie.
Nel primo caso lautorit di fatto non implica alcuna
giustificazione al suo porsi come tale; nel secondo caso, poich la
legge c gi ed la legge di natura, lautorit e il vincolo di
obbedienza allautorit perci si motiva unicamente sulla base
delladempimento di un compito da parte dellautorit.
Il compito dellautorit rendere effettiva la legge di natura:
se lo fa legittima, se non lo fa no.
E lobbedienza, chiosa Locke, si deve solo alle autorit
legittime, alle mere autorit de facto non dovuta alcuna
obbedienza.
In questo secondo caso ed noto che Locke fra i padri
nobili del pensiero liberale lautorit deve essere circoscritta.
Bene. Ma voi avete firmato un qualche contratto sociale?
Rispondo io per voi: no.
Se stiamo sul piano schiettamente contrattualistico, io sono
vincolato da un contratto che ho firmato, non da un contratto che
non ho firmato.
Non solo: un contratto deve avere delle clausole di
scioglimento. Il contratto sociale, ad occhio e croce, non ne
prevede.
Di fatto, lunico diritto di dissociazione, che la controparte
del diritto di associazione, sarebbe lemigrazione; ma 1. cambiare
Stato non come revocare ladesione al wwf; 2. comunque
anche emigrando andresti in un altro ordinamento, non nellisola
di Robinson Crusoe, e quindi ti ritroveresti in un altro patto
sociale che non hai mai firmato.
Neppure le tesi consensualiste reggono alla prova
dellantinomia fra autorit ed autonomia.
Chiaramente ci sono altri punti di vista intorno ai quali si pu
tentare di risolvere in qualche modo lantinomia fra autonomia
individuale e autorit.
Ad esempio, se ripensiamo alle tesi istituzionaliste,
potremmo pure convenire che, sia pure senza contratto, una
societ che presenti un certo gradi articolazione interna, e di
efficienza, paragonabile ad una impresa cooperativa.
Nel momento in cui coopero con altri soggetti, implicita la
reciprocit.
Ossia, nel momento in cui coopero, rimetto parte della mia
autonomia alla volont comune, sulla base del perseguimento
comune di un comune interesse, lo faccio unicamente sulla base di
una analoga espressione di volont da parte degli altri consociati.
Questo il cos detto argomento della equit. O, altrimenti
detto, argomento del fair play.
Ossia di una equa devoluzione di quote di autonomia in
ragione dellequo ottenimento di benefici da questa devoluzione.
Da un lato la gratitudine sarebbe dovuta agli altri consociati,
che come me si mettono nellottica del cooperare; dallaltro la
gratitudine si deve allautorit politica, che coordinando le attivit,
garantendo ciascuno dei consociati in fatto di vantaggi e cessione
di autonomia, renderebbe possibile la cooperazione.
Naturalmente, si tratta di definire un concetto concordato di
equit, e di che cosa sarebbe equo, perci.
Implicitamente, e torniamo alle obiezioni precedenti, si
assume che lottenere benefici implichi di per s lequa
corresponsione di quote di autonomia a questo fine: ma possiamo
considerare equo un accordo che non ho mai sottoscritto?
Senza dubbio sarebbe equo che acquistare il mio libro su
Platone, per fare un esempio vagamente interessato, comporti
lesborso del prezzo di copertina; ma questo suppone la volont di
comprarlo.
Non posso venire da voi con una copia del mio libro, metterlo
nel vostro zainetto e strapparvi i soldi di mano.
Certo, dovreste poi poter questionare, o comunque orientare
la vostra eventuale decisione di comprare il libro, circa lequit
delle mi pare 22 euro del prezzo di copertina.
Come vedete, ad una critica serrata, anche largomento del
fair play non si presenta come inattaccabile.
Eppure assistiamo a questo incredibile fatto: il diritto una
autorit, le autorit politiche esistono, in un modo o nellaltro,
deviazioni circostanziali a parte, stiamo nellautorit del diritto e
in quella politica.
Per spiegare questo fenomeno, le interpretazioni sono
numerose: un punto di dibattito attualmente molto in evoluzione.
Joseph Raz, del quale ho parlato un po gioved scorso, tenta
di elaborare una teoria dellautorit intesa come servizio.
un po pi sofisticata di quelle che abbiamo osservato sono
ad ora.
Il servizio implica la corresponsione di un beneficio richiesto.
Mi rivolgo a un medico, mi cura per esempio la gastrite, lo pago
per il servizio reso.
Non un esempio neutro il mio, un esempio orientato.
Perch? Perch il medico ( del resto una metafora molto
antica per significare il concetto di autorit) tale in quanto ha
delle competenze, titolare di saperi specifici attraverso i quali
cura, migliora le condizioni di chi soffre.
Al di l di questo, se volessi sapere qualcosa su come
funziona la gravitazione dei pianeti, forse mi rivolgerei ad un
astrofisico.
Allastrofisico io riconosco una autorit di carattere
epistemico. Sa quello che dice quando parla di pianeti.
Raz elabora una teoria dellautorit che non limitata al
concetto di autorit politica ( la Hobbes, per intenderci) ma una
teoria dellautorit in generale, entro la quale far rientrare anche il
problema della autorit politica.
Questo perch il problema, ormai sar chiaro, non lautorit
come fatto: lautorit come diritto di essere autorit, e in ragione
di questo diritto, ottenere lobbedienza in regime di obbligo, non
di costrizione di fatto.
Lesempio della pistola alla tempia, per essere chiari. Non ci
serve discutere dellautorit come mera costrizione, ci serve
discutere dellautorit legittima.
Raz individua tre fattispecie, in ordine alle quali una autorit
di fatto anche una autorit legittima.
1. la condizione di dipendenza. Ossia: le direttive che
lautorit emana debbono poter presupporre le ragioni che
avrebbero guidato lazione degli individui qualora non ci fosse
stata lautorit.
Questo vuol dire che lautorit non pu emanare direttive
patentemente contrastanti con ci che sarebbe ragionevole - la
questione quella della ragionevolezza, su questo punto fare in
una determinata circostanza.
Siamo qui sul piano di una consistente, e per certi aspetti
inevitabile, indeterminatezza; ma non pu imporre il suicidio di
massa, per fare un esempio estremo.
2. in secondo luogo, deve manifestarsi la condizione di
esclusione (o svuotamento). Le direttive dellAutorit non
debbono sovrapporsi o sommarsi, per essere pi precisi, alle
disposizioni individuali allazione.
Debbono sostituirsi. Non quindi e\e, e\o, ossia le direttive
dellautorit insieme alle diposizioni individuali, e neppure le
direttive dellautorit in alternativa non necessaria, ma
circostanziale (per essere pi chiaro: qualche volta s, qualche
volta no) rispetto alle individuali disposizioni ad agire in
qualunque circostanza data; ma aut aut.
Se c la disposizione dellautorit vengono a cadere quelle
individuali. Lautorit tale se obbliga, non se si limita a
consigliare.
Per dirla con Raz, sono ragioni escludenti; questo significa
che una volta che lautorit emana direttive queste sono le uniche
direttive che debbono essere seguite.
3. in terzo e decisivo luogo, si deve riconoscere che
unautorit legittima tale quando le direttive dellautorit le
ragioni escludenti consentono ai consociati di agire meglio di
come avrebbero agito per conseguire la realizzazione delle ragioni
di primo livello.
Le ragioni di primo livello sono quelle che lintervento
dellautorit esclude.
Ossia ci che ciascun soggetto individualmente avrebbe
elevato a ragione per fare una determinata azione.
Le ragioni di primo livello sono quindi potenzialmente, nei
fatti questo avviene, in contrasto tra di loro.
Ciascuno di noi pu avanzare ragioni dal suo punto di vista
pro o contro su moltissime questioni.
Lautorit, nel momento in cui emana le sue direttive che
sono ragioni escludenti, cio che tolgono dal campo altre ragioni,
le ragioni inziali ossia quelle di primo livello, opera una
bilanciamento.
O per meglio dire: per essere una autorit legittima, deve
tener presenti le ragioni di primo livello, ma poi decide.
Il modello che ha intesta Raz, per tagliar corto, quello del
giudice, che udite le parti, soppesate le ragioni che ciascuna
avanza, assume una decisione che escludente.
Ovviamente in presenza di una azione criminosa, la questione
entro certi limiti pi semplici, qui stiamo parlando non del fatto
che chi ruba lo fa violando delle leggi e quindi sar soggetto a
provvedimenti censori di vario tipo.
Stiamo discutendo della statuto o meno di legittimit di una
autorit, autorit che occorre ricordarlo limita lautonomia dei
soggetti individuali.
Il giudice emana le sue sentenze sulla base di una valutazione
epistemica delle ragioni: il giudice conosce il diritto, non sorteggia
le sue decisioni, n interpella loracolo, e neppure esercita una
autorit incontrollata o incontrollabile.
Riconduce fatti a norme: non occorre che ripeta che non
mai una azione puramente meccanica, che esercita una soglia di
interpretazione nel ricondurre fatti a norme, e norme a norme, ma
anche questo parte del suo sapere.
Raz propone una visione del concetto di autorit, soprattutto
nei rapporti di questa con le autonomie soggettive, che si fonda sul
concetto di competenza, oltre che su quello di prudenza.
Lautorit legittima produce norme, che sono ragioni
escludenti rispetto alle ragioni di primo livello, certamente
attraverso bilanciamento prudenziale delle ragioni iniziali, ma pu
operare un bilanciamento prudenziale, per il fatto che dispone di
saperi che possono costituire una retta ragione per decidere in
un senso anzich in altri.
Lautorit pratica di Raz una autorit epistemica in primo
luogo, cio caratterizzata da saperi, e poi una autorit pratica,
ossia una autorit che dice in maniera autoritativa, cio vincolante,
che cosa si debba fare, che cosa si debba non fare, che cosa si
possa fare o non fare.
Capite bene che tutto questo ampiamente controverso.
In primo luogo lecito domandarsi se non abbia ragione
Michelet, quando scrive che migliaia e migliaia di voti non fanno
la verit; fanno una volont.
Cio che il processo di costituzione di una autorit, di
riconoscimento a qualcosa o qualcuno della autorit di decidere
non ha niente a che vedere con la ricerca della verit, ma
unicamente con lassunzione di responsabilit che ciascuno
chiamato in un consesso democratico (parliamo dellautorit
legittima, lo ricordo) ad operare perch poi sar comunque
soggetto allautorit.
Sono state anche mosse critiche da un punto di vista interno
alla teoria di Raz.
Non le riassumo qui, le trovate argomentate con finezza da
Aldo Schiavello nel volume in esame.
Ci che conta qui osservare che una prospettiva metaetica
non cognitivista, ossia non realista, per stare alla terminologia che
abbiamo affrontato insieme a Luzzati, non pu in alcun modo
accettare questo punto di vista.
Infatti, la retta ragione, se la decliniamo attraverso contenuti,
ossia attraverso il che cosa meglio fare, implica una valutativit
necessaria: del resto la riduzione dellautorit pratica ad un caso di
autorit epistemica non pu che basarsi sulla pretesa di oggettivit
del sapere di questultima, e questo non pu che reggersi solo in
presenza di una visione realistica dei contenuti morali.
In sostanza, deve assumere il termine spesso: non pu
limitarsi a quello sottile.
Si potrebbe tentare di risolvere la questione dicendo che il
servizio reso alla comunit da parte dellautorit un servizio di
coordinamento.
Ma questo mette in secondo piano il carattere epistemico, e fa
emergere solamente quello pratico prudenziale.
Ad ogni modo, Raz ha il pregio di non trascurare il problema
politico che riguarda inevitabilmente il diritto.
Il diritto esercita una autorit de facto; questo un punto
ineludibile.
Questo implica che il diritto per essere tale non pu non
rivendicare la sua autorit in ultimo effettivamente escludente.
Una volta che il diritto assume un punto di vista su un tema, non
scrive un saggio: emana dei provvedimenti che si basano anche su
di un apparato sostanzialmente coercitivo.
Il fatto che il diritto avanzi inevitabilmente questa pretesa,
perch non pu non avanzarla, se diritto, non significa che
questa pretesa sia legittima per il solo fatto che il diritto la avanzi.
Lautorit de facto, torniamo al punto iniziale, non
necessariamente una autorit de jure.
Raz ovviamente si pone questa questione.
Individua due presupposti di legittimit rispetto allautorit
politica:
1. una direttiva vincolante solamente se , o giustificata se
non altro in questi termini, il punto di vista di qualcuno su come ci
si deve comportare;
2. se la direttiva costituisce la ragione sufficiente per la quale
il comportamento deve essere ad essa conformato.
Altrimenti detto: una direttiva deve assumere un punto di
vista per lazione, non per la credenza o la persuasione e per tanto
deve dire che cosa si debba fare, e niente affatto che cosa in
assoluto giusto fare.
Inoltre, deve poter essere compresa senza far ricorso a
nessuna delle ragioni di primo livello, ma deve costituire in s una
ragione. Questo implicato dalla condizione di esclusione o
svuotamento.
Le due prerogative fuse insieme avalutativit quanto ai
contenuti e incompatibilit della norma, una volta che norma
giuridica, con qualunque altra possibile ragione, e perci carattere
sopraordinato (escludente!) della norma rispetto a qualunque altra
ragione ci dicono una sola cosa: positivismo giuridico esclusivo,
cio nella sua versione per cos dire pi pura.
diritto solamente il ci che promana da una determinata
fonte (sentite Kelsen parlare) e che viene disposto in ragione di
procedure conseguenti, il diritto in quanto diritto non pu
consentire deroghe. Una legge non un consiglio n un precetto
morale: un comando a carattere vincolante.
Autorit e autonomia: la questione si presenta di nuovo, non
essendo per la verit mai stata elusa.
Raz ritiene di aver risposto attraverso la scissione fra ragioni
di primo livello, le inclinazioni individuali ad agire in un certo
modo anzich in un altro, e le ragioni di secondo livello: il
bilanciamento a carattere sapienziale e prudenziale che lautorit
legittima compie quando emana ragioni di secondo livello, ragioni
escludenti e cio norme giuridiche.
La soluzione sarebbe nel riconoscimento da parte degli
individui di una autorit come autorit legittima: una volta che
questo avvenuto non ci si deve (e non ci si pu) tirare indietro.
Nel momento stesso i cui accetti lautorit come autorit
legittima, rimetti quote di tua autonomia, che sarebbero le ragioni
di primo livello, al complesso comune.
Suppone cio che lautonomia sia nellaccettare la vita come
un fatto comune, e di poterlo fare autonomamente, e perci
esercito la mia autonomia nel momento in cui concorro a scegliere
lautorit
Del resto, quando faccio causa a tizio, implicitamente
riconosco lautorit di giudici e tribunali; questo perch non solo
decidono con prudenza, ma anche in virt di un sapere.
La concezione dellautorit come servizio, che
perfettamente rappresentata da Raz, ovviamente non esente da
critiche, alcune delle quali stringenti.
Le ragioni di secondo livello dovrebbero rappresentare non
solo la media ponderata delle ragioni di primo livello, ma
dovrebbero rappresentare una scelta intrinsecamente migliore
rispetto a ciascuna delle ragioni di primo livello.
E per: poniamo il caso che una direttiva, per errore per
esempio, non sia affatto migliore di una ragione di primo livello:
perch la dovremmo seguire?
Ho fatto prima lesempio del suicidio di massa come caso
estremo di irragionevolezza; ma se ne possono immaginare di pi
sottili.
Ad esempio dichiarare guerra ad un paese straniero, o
decidere di aderire ad un certo trattato internazionale che
danneggia palesemente la comunit che dovrebbe comunque
sottostare alla direttiva.
Perch in questo e in casi simili dovrei decidere di obbedire?
Negando obbedienza, disconosco la ragione escludente, che quindi
cessa di essere per s comprensibile e soprattutto autoritativa.
Qui leccezione non conferma per nulla la teoria: la smentisce
patentemente.
E per contro, se invece anche contro i miei convincimenti
comunque tenessi fede al patto inziale ed obbedissi, e si dovesse
poi verificare che effettivamente le conseguenze della direttiva
sono catastrofiche: che servizio avrebbe mai reso lautorit?
Teoria dellAutorit come appartenenza
Altri tentativi sono stati proposti.
Si muove, ad esempio, dallappartenenza alla comunit come
fatto assodato; da qui si fanno discendere obblighi di carattere
comunitario.
Perci questa in sostanza la tesi di Ronald Dworkin chi
muove da questa assunzione assume la comunit politica, retta dal
diritto, come una comunit semplice.
Per semplice dobbiamo considerare comunit nucleari, nelle
quali c un vincolo di reciprocit implicito. Perci si ha che la
comunit di per s un complesso di obblighi reciproci.
Lesempio di Dworkin la famiglia. Nella famigli ci sono
vincoli stabiliti, c una spontanea tendenza alla cooperazione.
Parlo di tendenza e non di necessaria e costante aderenza
perch lidea di fondo che nella comunit semplice non si mette
in discussione lappartenenza: so possono registrare anche accesi
contrasti, ma questi non mettono in discussione il vincolo di
reciprocit e di mutuo riconoscersi nella comunit.
La reciprocit che riconosciuta alla base del vincolo
associativo deve soddisfare quattro condizioni:
1. obblighi che valgono solamente allinterno della comunit
(non certo una prospettiva cosmopolitista). Il vincolo che ci lega
in un rapporto di amicizia, per non dire in una relazione parentale,
non lo stesso che ci lega ad estranei;
2. gli obblighi comunitari sono in prima istanza personali, e
secondariamente sono collettivi. Ovvero: il vincolo
principalmente nei riguardi del singolo associato, pi che dalla
istituzione in senso formale. Per stare allesempio della famiglia io
ho in primo luogo lobbligo di sostenere il congiunto in un
momento di difficolt, e secondariamente quello di non
disonorare, per cos dire, il buon nome della famiglia.
3. lobbligo scaturisce da una naturale sollecitudine, cio
buona disposizione di sentimenti nei riguardi della comunit della
quale sono parte.
4. la buona disposizione deve essere rivolta in modo
equanime a tutti i membri della collettivit.
Ci evidentemente non implica che non possano esservi ruoli
anche gerarchici, ma questi sono concepiti in quanto realizzino un
comune interesse, che in quanto comune, e eguale e reciproco.
Solo a queste condizioni, sostiene Dworkin, la comunit un
vincolo legittimo, e quindi pu validamente produrre obblighi.
Le autorit legittime sono quelle allora che suppongo un
vincolo di coappartenza fra liberi ed eguali. Le societ a carattere
castale, ad empio, non rientrano in questa fattispecie, e quindi non
potrebbero validamente vincolare allobbedienza i propri membri.
Se cos, le comunit che sono tali unicamente de facto non
possono considerarsi autorit legittime.
Per comunit de facto dobbiamo intendere dei
raggruppamenti che si costituiscono sulla base della somma di
interessi egoistici che si concepiscono come pi facilmente
raggiungibili collaborando con altri.
La ragione chiara: i membri in una collettivit di questo tipo
sono sostituibili, e se arrivasse uno da fuori, che potrebbe garantire
lottenimento dei fini egoistici in modo pi efficace potrebbe
sostituire un altro membro.
Sarebbe un po come se, dato che io andavo abbastanza male
in matematica, ad un certo punto i miei genitori avessero deciso di
sostituirmi in qualit di figlio con uno che aveva regolarmente otto
in matematica.
Poniamo invece il caso in cui il vincolo non risieda
semplicemente nella considerazione circostanziale per la quale
pi utile cooperare per ottenere ciascuno un vantaggio privato, ma
ci sia una circostanza nelle quale, datici delle regole, non si ponga
il caso che i membri siano sostituibili, ma prevale il vincolo del
rispetto delle regole che ci siamo dati.
Parrebbe pi convincente.
Ma osserviamo questo elemento: se il vincolo risiede
unicamente nella dichiarazione di rispetto delle regole che
comunemente ci siamo dati, ma questo non implica una
sollecitudine che vada, appunto, oltre le regole.
Sar un vincolo societario, non comunitario, se mi passate
lespressione.
Non ci sarebbe lespressione di una comunione reciproca di
carattere spirituale (nel senso di morale) tale per cui riconosco nel
consociato un centro di sollecitudine indipendentemente da altro.
Affinch la comunit sia effettivamente tale, e perci in
grado di esprimere una autorit legittima, deve raccogliersi non
intorno a regole, n tanto meno intorno alla realizzazione di scopi
egoistici, ma intorno ad un nucleo di valori.
Poich questi non saranno assoluti, il patto implicito che
ciascuno accetter la declinazione prevalente di questi valori nella
singola circostanza, perch in ogni caso prevalrebbe lo spirito di
comunit.
Proprio perch nella declinazione circostanziale, o se
preferite, interpretazione, in quanto membro della comunit il mio
punto di vista stato preso in considerazione.
Questa visione tende a sovrapporre ladesione spontanea allo
spirito della comunit al concetto di Autorit. Col risultato che
dellautorit una comunit simile potrebbe fare a meno.
Ci rimane da dare uno sguardo alla teoria del diritto come
pianificazione.
Questa teoria assume in tesi che la caratteristica prevalente, o
per meglio dire differenziale dellessere umano consista nel
pianificare.
Pianificare non significa limitarsi al meccanismo causa \
effetto nella sua versione pi semplice (qualcosa come rompere il
guscio mangiare noce); insomma: non siamo la versione bipede
del cane di Pavlov.
I nostri desideri, i nostri obiettivi si strutturano in modo
altamente complesso, spesso hanno un traguardo immateriale,
legato anche alla realizzazione di valori.
Questo implica per sua costituiva necessit una dimensione
relazionale, che in ragione di obiettivi complessi, necessita di una
strutturazione organizzativa a sua volta complessa e stratificata.
Lesigenza della coordinazione, che si determina intorno alla
realizzazione di piani, una delle possibili giustificazioni iniziali
per lautorit. Autorit come autorit di coordinazione.
La tesi di Scott Shapiro assume il problema dellautorit nel
diritto a partire dalla considerazione della natura pianificatrice
delluomo.
Lattivit giuridica una attivit di pianificazione sociale.
Lautorit tale se e in quanto pianifica, questa pianificazione si
risolve nel dare direttive con la pretesa che siano obbedite, e
nellautorizzare alcuni membri del gruppo a pianificare per conto
di altri.
Naturalmente si tratta di una attivit di pianificazione assai
sofisticata.
Intorno ad un piano di carattere molto generale master plan
si determinano una serie di piani sottordinati; questi sono coloro
che a vari livelli amministrano lattivit giuridica e le norme
giuridiche.
Potreste obiettare, e fareste benissimo a farlo: questo vale per
molte altre possibili attivit. Anche organizzare la festa del paese
implica una cosa di questo tipo, pi o meno.
Anche la politica cos, se prendiamo per buoni gli assunti di
partenza.
In cosa dovrebbe differire, allora, il diritto?
Shapiro si posto la questione, e ha tentato di proporre
cinque prerogative che dovrebbero permetterci di rispondere alla
domanda che cos il diritto?.
1. il diritto una attivit retta da funzionari. Per funzionari
non dobbiamo intendere la persona fisica di tizio e caio, ma
dobbiamo intendere le funzioni: non Matteo Renzi, ma la
presidenza del Consiglio dei Ministri.
La differenza ovvia: lindividuo fungibile senza che il
sistema nella sua struttura ne abbia modificazioni sostanziali, il
funzionario ossia la funzione no.
2. la pianificazione del diritto una attivit istituzionale. Le
norme debbono essere prodotte attraverso procedure che in linea
di principio, e anche in linea di fatto, prescindono dalla volont
dei singoli.
Questo vuol dire che una norma giuridica valida se prodotta
in un certo modo e secondo certe procedure, indipendentemente da
quel che ne pensa chi lha votata o chi lha emanata.
3. il diritto impone una governance obbligatoria. In ragione
del master plan non possiamo decidere se pagare o meno le tasse,
o se attenermi alla norma che vieta il furto con destrezza.
Questo un tratto differenziale rispetto alle organizzazioni di
carattere privatistico: se non sono contento col mio lavoro mi
posso licenziare, se non vado pi daccordo con i miei soci posso
sciogliere la societ.
4. il diritto una attivit di coordinazione del tutto
particolare. Non vogliamo una soluzione pur che sia; vogliamo
augurabilmente la soluzione, a tutti i livelli del piano, che si
sembri o che siamo disposti a considerare giusta.
Il diritto, per essere diritto secondo la teoria della
pianificazione, deve avanzare la pretesa di essere giusto.
Quindi non una pianificazione funzionante e basta, ma una
pianificazione che funzioni in ordine al conseguimento di un
master plan che siamo disposti a considerare giusto.
Questo, comprenderete, il fatto essenziale circa il problema
dellautorit.
5. in ragione di questo le autorit giuridiche, in quanto
immediatamente connesse al master plan, non possono non essere
allapice della catena della pianificazione.
Nessuna altra autorit pianificatrice pu porre in dubbio o in
questione lautorit del diritto.
Quali problemi si pongono?
Perch che se ne pongano evidente.
Per poter funzionare, la teoria della pianificazione giuridica
quella descritta dai cinque punti che vi ho menzionato test,
implica il soddisfacimento almeno di due condizioni.
In primo luogo chi pianifica deve essere autorizzato a farlo (il
funzionario deve avere una legittima autorit nello svolgimento
delle sue funzioni) e in secondo luogo i membri della comunit
debbono prestare ascolto.
Il piano deve autorizzare qualcuno a pianificare; il piano deve
obbligare altri ad attenersi ai sottopiani.
Indubbiamente, sul piano della razionalit strumentale il
discorso funziona; e funziona perch ha una razionalit che per
quanto riguarda il punto di vista interno, per dirla con Hart,
senzaltro ben congegnata.
La razionalit intrinseca di questa costruzione ha per un
grave difetto, e se mi avete fin qui seguito dovreste essere in grado
di individuarlo.
Tutto questo pu essere vincolante solo per chi ha accettato
di condividere il piano.
Se io non ho condiviso il piano, per quale oscura ragione
dovrei accettare di sottomettermi allautorit del diritto?
Perch master plan, sottopiani, funzionari, norme, agiscono
sulla e attraverso la governance necessaria del diritto: cio se non
voglio pagare le tasse o mi costringono a pagarle, o mi sanzionano
in altro modo.
Abbiamo gi osservato la tesi sul rapporto fra diritto e morale
di Uberto Scarpelli.
In ultimo, una decisione di ordine morale che ci porta a
permanere nellordinamento.
Non c dubbio che la teoria del diritto come pianificazione
descrive in maniera sofisticata ed anche ragionevole il come si sta
in un sistema giuridico, una volta che ci si sta.
La concezione dellautorit come servizio, quella esposta da
noi attraverso Raz, condivide questa caratteristica.
Sono tesi sofisticate, che si servono di argomenti eleganti e
cesellati per spiegare il meccanismo dellautorit.
Ma non possono fare a meno di rintracciare altrove (Raz nella
presunta superiorit che lautorit implicherebbe nel valutare
quale sia la retta ragione); Shapiro nella capacit morale di
individuare il master plan e in quella pratica di organizzare
lattivit della comunit in vista della realizzazione tendenziale del
piano.
Questo ci spiega molto bene come, ripeto: ma in ultimo non
ci dice perch.
Le aporie relative alla mancata (inevitabilmente, mancata)
adesione al piano iniziale, che valevano per i contrattualismi
classici, si ripresentano tutte; ma non solo quelle.
Poniamo che il master plan, per il solo fatto che non me ne
vado dalla mia comunit abbia invece ottenuto adesione unanime.
Chi ci sta ci sta perch ci vuole stare e non perch ci si trova.
Se si dovesse emanare una norma che si discosta dal master
plan: dovrei obbedire? Teoricamente no, perch se il vincolo
ladesione iniziale al master plan, e questa condizione non mi
appare soddisfatta dalla norma in questione, io non solo non sono
tenuto ad obbedire, ma sono tenuto a non obbedire.
E questo proprio in virt alladesione al master plan.
4. Giustizia
13. Argomentazione
14. Giudizio
Possiamo mettere in luce tre significati:
il giudizio come capacit di valutare e definire;
il giudizio come specifica attivit del connettere casi singoli a
norme;
atto dellemettere un verdetto o sentenza.
Il giudizio, il giudicare, nel diritto ha una funzione fondamentale.
Il giudice decide casi, dirime controversie, accerta diritti e
obblighi, ricostruisce i fatti, emette sentenze, impone sanzioni,
interpreta e applica la legge.
Possiamo sintetizzare affermando che in tutti quei casi, in tutte
quelle funzioni, il giudice procede attraverso il ragionamento
giuridico(un processo mentale, attraverso il quale si perviene ad
una conclusione, un discorso che esibisca ragioni a sostegno di
una certa tesi, una argomentazione).
Abbiamo gi visto che lo strumento principale dellinferenza,
ossia delle deduzioni a carattere logico che connettono premesse e
conclusione, il sillogismo (Premessa maggiore, premessa
minore, conclusione).
Nel ragionamento che si svolge nel mondo del diritto, ossia
attraverso leggi e fatti interpretati come fatti che hanno una
rilevanza giuridica, importante tenere presente almeno questi
quattro elementi seguenti:
1. il ragionamento giuridico giudiziale ha a che fare con norme, la
conclusione avr perci un carattere normativo;
2. nel ragionamento giudiziale, almeno una una norma giuridica
valida, la quale esprime una disposizione a carattere normativo;
3. la forma del ragionamento giuridico giudiziale un sillogismo,
di cui una delle premesse una norma giuridica valida e la
conclusione non potr non essere normativa;
4. nel valutare un ragionamento giuridico giudiziale non dobbiamo
prestare attenzione ai percorsi mentali del giudice, ma alla
concatenazione degli argomenti posti a sostegno della eventuale
sentenza, del pronunciamento, della disposizione e cos via.
Ora, norma giuridica valida significa disposizione a carattere
normativo, con o senza sanzione, tale da avere un carattere quanto
pi possibile astratto e generale.
Il sillogismo giudiziale svolge una funzione di verifica ex post, di
chiarificazione della linearit del ragionamento giudiziale che il
giudice ha svolto per condannare o assolvere; non dimostra nulla
a proposito del fatto in s.
Uno strumento di chiarificazione e quindi di verifica della
concatenazione degli argomenti; il che non esaurisce la questione
del ragionamento giudiziale.
Il sillogismo pratico si caratterizza per due tipologie di
giustificazione che lo riguardano: la giustificazione interna, che
riguarda la concatenazione di premesse e conclusione fra loro; e la
giustificazione esterna, che riguarda la fondatezza delle premesse.
Il carattere indeterminato delle norme che debbono essere
quanto pi possibile generali non pu certo essere eliminato da
una sequela sillogistica.
E daltra parte la stessa riconduzione dei fatti al caso, ossia la sua
interpretazione giuridica non un fatto di per s evidente. Sono
necessarie della garanzie.
La giustificazione esterna una questione anche pi complessa
della corrispondenza interna fra premesse e conclusione. Se la
conclusione implicita nella premessa maggiore, lutilit pratica
di un sillogismo inesistente.
I ragionamenti giudiziali pratici sono quasi sempre ragionamenti
molecolari ossia costituiti da gruppi di argomentazioni, che si
connettono fra loro in vario modo.
Per riuscire ad individuare le premesse del giudizio giudiziale, il
giudice compie numerose operazioni complesse. Le principali
potremmo identificarle cos:
1. individua fonti giuridiche valide(a quale diritto si deve fare
riferimento)
2. individua le disposizioni normative valide ictu oculi, il che non
detto che esaurisca, nel farsi del caso, tutte le questioni di questa
natura;
3. determina il significato delle disposizioni normative;
4. nel caso in cui vi fossero antinomie contrasto fra disposizioni
normative implicate nel caso o lacune, le deve tentare di
risolvere;
5. lindividuazione di eventuali eccezioni implicite;
6. deve ricostruire i fatti;
7. deve qualificare giuridicamente i fatti (in che termini i fatti in
questione hanno una rilevanza processuale?).
Ora, nei termini da noi assunti, ossia giustificazione interna al
ragionamento giuridico giudiziale e giustificazione esterna,
possiamo assumere le precedenti qualificazioni dividendole
appunto in quello schema.
Perci le questioni relative alla individuazione delle disposizioni
normative, la lor qualificazione, la loro interpretazione, la oro
valutazione in termini di eventuali antinomie, lacune, eccezioni e
cos via attengono alla questione della giustificazione interna.
In questo senso, va detto che lattivit interpretativa del giudice
non avviene per cos dire nel vuoto; il ragionamento giuridico
implica limpiego di alcuni argomenti e lesclusione di altri
possibili argomenti.
In particolare, un prodotto interpretativo pu essere uno strumento
di chiarificazione ex post del giudizio o pu essere un modo di
qualificazione della disposizione normativa contenuta
nellenunciato della legge.
Tuttavia, anche questultimo elemento emerge particolarmente nel
risultato del ragionamento giudiziale.
Non un caso, infatti, che il giudice sia tenuto a scrivere le
motivazioni della sua decisione. Il giudice deve dare conto della
correttezza del ragionamento giudiziale che ha svolto per maturare
le sue conclusioni; soggetto a controllo.
Molti sistemi giuridici prevedono al loro interno delle disposizioni
normative in ordine ai limiti che il giudice deve osservare nella
sua attivit di interpretazione.
In sistemi di costituzione cos detta rigida, come il nostro,
essenziale che il significato attribuito o attribuibile ad una
determinata disposizione normativa non contrasti con la
Costituzione, sino allinteressamento della Corte costituzionale.
Leccezione implicita una circostanza specifica, che la legge non
prevede espressamente rende la legge defettibile, ossia non
applicabile al caso.
Veniamo al problema della giustificazione interna, ossia alla
questione della giustificazione della ricostruzione dei fatti.
Si tratta dellattivit che il giudice compie per ottenere il
posizionamento e soprattutto per accreditare la premessa minore
del sillogismo giudiziale.
La premessa minore identifica il singolo caso che deve essere
riconnesso con la premessa maggiore.
Occorre un ragionamento probatorio che permetta di garantire la
validit della premessa minore in questione.
In questo senso possiamo considerare la cos detta prova
abduttiva.
Linferenza abtuttiva ha un carattere probabilistico.
Linferenza abduttiva considera un indizio di carattere fattuale e lo
riconnette ad una ipotesi probabilistica.
La conclusione di un argomento abdutivo non pu avere carattere
necessario: un caso nel quale non vale la reciproca fra
condizione e conseguenza.
Si tratta di un X allora Y; non di un Y allora necessariamente X.
La conseguenza pu essere riconnessa alle premesse, ma non pu
escludere da un punto di vista logico la validit di altre premesse.
Questo non toglie che si facciano inferenze abduttive; dovrebbe
semplicemente metterci in guardia dal considerare conseguenze,
anche altamente probabili, come se fossero necessarie.
Ora, sino a questo punto abbiamo ragionato di cosa fa il giudice,
di quali siano le principali problematiche in termini di teoria
generale del diritto che si trova a dover affrontare.
Abbiamo altres escluso che siano rilevanti, nel giudizio
giudiziale, inclinazioni di carattere psicologico.
Ma evidentemente questo non esaurisce lo spettro delle
caratteristiche che deve possedere un giudice.
Cominciamo col dire che non tutti i sistemi giuridici hanno la
medesima strutturazione della funzione del giudice.
Il giudice in alcuni ordinamenti ha una legittimazione
democratica: eletto; in altri come il nostro quella del giudice
una funzione alla quale si accede mediante pubblico concorso.
un funzionario dello stato.
L dove il giudice eletto ha nel mandato popolare il suo
principale fondamento di legittimit e a quello soggetto.
Nei sistemi in cui il giudice funzionario, a cosa sar soggetto. Il
nostro ordinamento dice soltanto alla legge, come dispone la
Costituzione art. 101 comma 2.
Incidentalmente, abbiamo usato indifferentemente la parola
giudice quando si trattava di spiegare il ragionamento; ma nel
nostro sistema giudice e magistrato non sono sinonimi e vi sono
delle fattispecie che differenziano la cosa.
Il pubblico ministero, colui che in un processo sostiene la pubblica
accusa, certamente un magistrato: ma non un giudice, nel
senso che non ha funzione giudicante.
Tornando alla questione della soggezione alla legge, va osservato
in primo luogo che in assenza di altra forma di legittimazione,
questo lunico nesso effettivo fra il giudice e lo stato di diritto.
La soggezione alla sola legge del giudice il nesso che ci permette
di vedere le tre prerogative essenziale che deve poter esibire chi
giudica: indipendenza; imparzialit; terziet.
Quanto allindipendenza, ossia alla condizione di piena libert da
condizionamenti indebiti nellatto del giudicare, essa si differenzia
in due aspetti: interna ed esterna.
Per indipendenza interna dobbiamo intendere lesigenza di
tutelare il giudice da possibili pressioni che provengano dalla
magistratura intesa come corpo.
Lindipendenza esterna invece riferita alla possibile
intromissione di fattori esterni allambito della magistratura
rispetto alla quale il giudice deve essere tutelato nello svolgere le
sue funzioni.
Il giudice deve poter vantare la prerogativa dellmparzialit nello
svolgimento delle sue funzioni: dunque imparziale deve
significare equidistante dalle parti e dagli interessi in causa.
Per terziet, invece, dobbiamo intendere la condizione tecnica di
non essere parte in causa. Che non la stessa cosa della
imparzialit in senso generale.
Esempio: se si deve discutere delle possibili compensazioni a
seguito di una serie di violazioni da parte poniamo di un
istituto bancario nei confronti per esempio di obbligazionisti, il
giudice non pu essere titolare di obbligazioni bancarie che sono
oggetto del processo, perch non potrebbe essere in alcun modo
terzo e questo esporrebbe la sua decisioni a contrasti e ricorsi di
ogni tipo.