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CAP 1
-VIOLENZA INTRAFAMILIARE
Violenza più frequente, e più nascosta, la violenza maschile contro le donne nelle relazioni di
intimità.
La violenza intrafamiliare o violenza domestica (inserita nel più ampio contesto della violenza di
genere) è definita dalla Convenzione di Istambul come “tutti gli atti di violenza fisica, sessuale,
psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo famigliare o tra
attuali o precedenti, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso
la stessa residenza della vittima”.
Riconosciuta oggi dalla comunità internazionale come una vera e propria violazione dei diritti
umani, essa si caratterizza:
a) Per la specificità della relazione tra autore e vittima
b) Per l’irrilevanza del livello di intimità e convivenza
c) Per l’applicabilità anche ad altri soggetti che gravitano attorno al mondo famigliare, quali
figli e figlie
d) Per il fatto di assumere forme differenti: fisica, psicologica, sessuale, economica
La violenza è negazione del conflitto (classico litigio di coppia) e della sua caratteristica di
rappresentazione dell’interazione tra differenti posizioni, è imposizione del dominio di un partner
sull’altro.
La violenza intrafamigliare rappresenta ancora oggi un tabù socioculturale ed un fatto “lontano da
noi”. Le ragioni sono le più disparate. La violenza maschile contro le donne la si colloca nel
pensiero diffuso in un ambito, erroneamente, ritenuto privato. Esistono coloro che lo ritengono un
tema di esclusivo ordine pubblico e chi tende ad aggrapparsi a quegli stereotipi e pregiudizi che
altro non fanno che rafforzare gli “evitamenti”: strategie e tattiche (negazione, legittimazione,
minimizzazione degli atti, colpevolizzazione delle vittime, ecc) che finiscono per rendere la
violenza invisibile.
In realtà, stiamo parlando di una grande questione culturale e strutturale che ci chiama tutti in causa.
-TRASFORMAZIONE CULTURALE
1967: adozione da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite della Dichiarazione
sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne. È il primo documento nel
quale vengono affermati esplicitamente i pari diritti civili, politici, sociali ed economici delle donne.
In Italia vige ancora il reato di adulterio per la donna; ma è solo nel 1975 che a seguito del
rapimento, la tortura e lo stupro di due ragazze da parte di un branco di giovani romani che la
violenza contro le donne diventa un tema politico. Nello stesso anno entra in vigore il nuovo diritto
di famiglia che abroga alcune norme ancora in vigore, in particolare il diritto di correzione del
capofamiglia nei confronti di moglie e figlie, che diventa abuso di correzione, o di disciplina, e di
maltrattamenti in famiglia.
Nel 1976 nasce a Bruxelles il primo Tribunale internazionale per i crimini contro le donne e nel
1979 il movimento delle donne presenta in Italia una proposta di legge popolare contro la violenza
sessuale, mentre l’unione Donne in Italia attiva il tribunale 8 marzo, un prima rete di Sportelli dove
le donne possono trovare ascolto e supporto legale.
1979: 184 stati membri dell’ONU ratificano la Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di
discriminazione contro le donne. Essa indica le misure da adottare per il raggiungimento della parità
di genere
In Italia nel 1981 vengono abrogate le norme relative al matrimonio riparatore e le attenuanti per il
delitto d’onore,
inizio anni novanta, nascono i primi centri antiviolenza, alcuni in forma di linee telefoniche, altri in
forma di luoghi fisici dedicati all’accoglienza, all’orientamento e all’ospitalità di emergenza. È il
loro lavoro sul campo che fa emergere che la maggior parte delle violenze avviene all’interno delle
famiglie.
1994: viene fondata a Vienna la Women Against Violence Europe (wawe) una rete che riunisce oggi
i centri antiviolenza di 45 paesi.
1996: in Italia viene approvata la legge Norme contro la violenza sessuale che riconduce la violenza
sul corpo delle donne a reato sulla persona e non alla morale pubblica.
2001: legge misure contro le violenze nelle relazioni familiari, si ufficializza il termine di violenza
in riferimento alle prevaricazioni e ai maltrattamenti subiti dalle donne in contesti intrafamigliari e
si indichi l’allontanamento del partner violento dalla casa famigliare.
2009: viene inserito nel codice penale un articolo (162 bis) relativo al reato di atti persecutori
(stalking).
Tuttavia i passi verso una normalizzazione dei rapporti tra donne e uomini sono ancora lunghi.
Nel 2011 primo rapporto ombra sull’attuazione in Italia della convenzione per l’eliminazione della
discriminazione contro le donne rivela molti ritardi e omissioni dei governi italiani che sono
confermati nel 2012, da quello dell’inviata speciale delle Nazioni unite, raschida manjoo, e dal
recentissimo Rapporto delle associazioni di donne sull’attuazione in Italia della convenzione di
istambul al group of expert on action against violence against women and domestic violence
(GREVIO).
alle prestazioni e alle opportunità sociali; e di “agente tecnico” per la valutazione del bisogno, e
utilizzo efficace delle risorse istituzionali o afferente al cosiddetto settore.
Il SS può, per questo, contribuire correttamente a far emergere il problema della violenza sulle
donne, ma al contempo è importante che chi vi opera abbia una preparazione adeguata
all’accoglienza di un bisogno così delicato e che sia consapevole degli stereotipi e dei pregiudizi
che rendono così difficile il suo riconoscimento.
Occorre un approccio specialistico.
Partendo dal lavoro di rete occorre considerare che il riconoscimento della violenza è il frutto di un
dialogo in grado di garantire, nel rispetto delle specifiche competenze, una lettura univoca del
fenomeno, un approccio al contrasto condiviso, chiarezza dei compiti e dei micro-obbiettivi di tutti i
soggetti implicati. Appare strategica quindi una “cassetta degli attrezzi condivisa che consenta,
attraverso l’integrazione dei saperi e il lavoro di equipe multiprofessionali, di affrontare in maniera
più efficace il fenomeno. In questa accezione il lavoro di rete non è solo un metodo, ma anche un
diverso modo di considerare la situazione, affrontandola da una nuova prospettiva.
Passando al lavoro di comunità occorre considerare che l’azione del SS deve essere rivolta a tutto il
corpo sociale per stimolarlo ad assumersi responsabilità del cambiamento culturale necessario a far
cessare la violenza ad agire protezione e tutela delle donne che ne sono vittime. Per questo occorre
un impegno condiviso affinchè si diffonda l’adozione di comportamenti anti-violenti e basati su
principi delle pari opportunità.
La comunità non è quindi solo il contesto entro quale opera la rete dei soggetti impegnati per il
contrasto, ma è anche destinataria dell’intervento, affinchè diventi terreno non giudicante, ma
sensibile e accogliente. Lavorare con la comunità significa promuovere l’empowement sociale
ovvero quel processo intenzionale e continuo attraverso il quale le persone di una comunità locale,
in questo caso le donne vittime di violenza, possono accedere più facilmente alle risorse e
accrescere il controllo di esse””, nonché quella trasformazione della cultura necessaria a stabilire
parità di genere e condanna tutte le forme di prevaricazione e di violenza degli uomini nei confronti
delle donne.
-ASC INSIEME
ASC InSieme (azienda dei servizi per la cittadinanza) è un ente pubblico per la gestione dei Servizi
Sociali dell’Unione Valli del Remo, Lavino e Samoggia, nato con l’intento di omogenizzarli
progressivamente sull’intero territorio distrettuale. Gestito dal consiglio di amministrazione
composto da tre membri, ASC svolge funzioni socioassistenziali, sociosanitarie integrate e
socioeducative per quatto aree operative (minori e famiglie, adulti, anziani, disabilità), lavorando in
rete con i servizi comunali e tutti gli attori sociali e sanitari che sul territorio costituiscono il sistema
di Welfare locale. La sua attività è orientata dagli indirizzi elaborati dal piano di zona per la salute e
il benessere sociale ed è ispirata ai principi del rispetto della dignità della porsona, della qualità del
SS e della pari opportunità di eccesso.
Nel 2013 la Regione Emilia-Romagna diffonde due importanti documenti: LINEE DI INDIRIZZO
PER L’ACCOGLIENZA E LA CURA DI DONNE VITTIME DI VIOLENZA e delle LINEE DI
INDIRIZZO PER L’ACCOGLIENZA E LA CURA DEI BAMBINI E ADOLESCENTI VITTIME
DI MALTRATTAMENTO E ABUSO, approvate con un’unica delibera della giunta regionale (DGR
1677/2013). La correlazione è esplicitata nel riferimento alla violenza assistita: nel primo, laddove
dice che le donne che subiscono violenza sono un soggetto indebolito anche nell’esercizio delle
proprie funzioni genitoriali; nel secondo, laddove viene denunciata come grave abuso anche nei
confronti di persone di minore età.
È ampiamente citato il lavoro dei Centri antiviolenza dei quali si riconosce il valore politico di
presidio storico per il contrasto e il ruolo fondamentale nella rete dei soggetti attivi sul tema.
Essi adottano la definizione della convenzione di Istanbul di violenza e individuano nei Servizi
integrati, nel lavoro di rete e nella formazione multidisciplinare degli operatori, le chiavi di
contrasto.
Riprendono anche:
- Riferimento al sistema dei valori patriarcale come determinante della violenza
- Il fattore caratterizzante del genere rispetto alla ricorrenza e alla gravità della violenza
- L’importanza del lavoro di prevenzione nella decostruzione del sistema di valori patriarcale
Relativamente al lavoro con gli uomini autori di violenza il documento toglie ogni dubbio relativo
all’eventuale attribuzione della violenza a stati patologici, riconducendola invece alla normalità e
alla normalizzazione delle relazioni di genere così come concepite e istruite dal sistema culturale
patriarcale cui aggiunge l’incapacità degli uomini di sostenere con adeguati processi di
cambiamento l’emancipazione delle donne. Ribadita importanza che i luoghi di aiuto per uomini
collaborino con quelli per donne.
Critica: si concentra sul piano esclusivamente penale, senza affrontare il tema culturale che dà
origine alla violenza. (solo art.5 si parla di prevenzione).
Conclusioni:
La convenzione di Istanbul segna una svolta nell’impianto argomentativo a sostegno del contrasto
della violenza contop le donne:
La definisce una violazione dei diritti umani
Individua e nomina il sistema culturale e patriarcale all’origine della disparità storica di
potere tra donne e uomini
Riconosce al femminismo il valore epistemologico in grado di scardinarlo
Attribuisce la responsabilità della violenza agli uomini e sollecita la responsabilizzazione
Riconosce il valore politico dei centri antiviolenza
Invita alla collaborazione tra centri di aiuto per uomini e centri di aiuto pe donne
Importanza dell’educazione di genere
-CENTRI ANTIVIOLENZA
I centri antiviolenza sono luoghi deputati ad accogliere le donne, con o senza figli, che hanno subito
violenza. Sono luoghi in cui una volontà politica si unisce a una pratica di supporto e accoglienza
verso le donne che intendono uscire dalla violenza. Questi due aspetti sono intimamente legati nella
metodologia già sviluppata dei centri nel corso degli anni, poi validata via via da tutte le principali
organizzazioni internazionali che si sono occupate d standard di qualità dell’aiuto offerto alle
vittime di violenza. Dunque un punto essenziale dei centri antiviolenza è la questione politica e
culturale: la promozione di buone prassi, le campagne di prevenzione sul tema della violenza contro
le donne e la costante battaglia contro la violazione dei loro diritti.
I centri antiviolenza rappresentano un soggetto di centrale importanza per rendere socialmente
visibili le radici e la complessità delle violenze maschili, oltre che una risorsa concreta di
fondamentale importanza per le donne.
I primi centri antiviolenza nascono in Italia nel 1990 a Bologna, Modena, Milano, Roma, Merano.
Fin da subito mirano a creare un coordinamento e a diffondere l’esperienza in tutta l’Italia. Oggi
sono più di 300.
Punto peculiare dei Centri antiviolenza che nascono dal movimento delle donne è l’ottica di genere
e il basarsi sulla relazione tra donne, legittimando il punto di vista delle donne che chiedono aiuto,
valorizzando la loro esperienza per superare il ruolo tradizionale di vittima.
Un lavoro importante è stato quello di nominazione della varie forme di violenza.
Un Centro antiviolenza è una struttura a indirizzo pubblico in cui si svolge l’ascolto telefonico,
personale e di gruppo, l’orientamento e il supporto legale, psicologico e lavorativo, il sostegno alla
funzione di madre nel rapporto coi figli, servizi per le donne migranti e di uscita dalla tratta e dallo
sfruttamento sessuale e lavorativo, al fine di costruire, insieme alla donna, un piano di protezione
personalizzato, adeguato alla valutazione del rischio di recidiva e femicidio, flessibile e congruente
alla sua situazione, stabilendo un percorso di uscita dalla violenza, condotto per tappe successive,
nei modi e nei tempi concordati tra la donna e l’operatrice che la segue. Molti centri sono anche
dotati di una o più case rifugio, di emergenza, a breve o medio periodo di permanenza, in cui le
donne vengono supportate nella vita in comune dall’intervento di operatrici ed educatrici
specializzate.
Tutti i servizi offerti dai centri antiviolenza sono complessivi, gratuiti, aperti a tutte le donne che
subiscono violenza, indipendentemente da provenienza geografica, ceto sociale, condizione
personale, sono basati sulla riservatezza e improntati all’empowerment, e mirano a rispondere a tutti
i bisogni delle vittime, anche se questo ovviamente è in relazione alle risorse disponibili.
Il personale è esclusivamente femminile, retribuito o volontario, appositamente formato e
specializzato, con supervisione e aggiornamento continui. È importante che le operatrici siano
donne perché la donna possa sentirsi in una condizione di rispecchiamento e relazione con chi la sta
aiutando. È la relazione che si instaura tra la donna che ascolta e la donna che si racconta il tramite
che permette a quest’ultima di raggiungere un cambiamento, una maggiore consapevolezza di se
stessa e delle proprie capacità. Si avvia un percorso di realizzazione di sé. Alle donne viene offerto
un sostegno specifico e informazioni adeguate, affinchè possano trovare la soluzione adatta alla
propria situazione.
Le operatrici hanno una formazione multidisciplinare che va dalla capacità relazionale e di ascolto,
mutuate dalle discipline psicologiche, alle competenze sociologiche e legali, oltre che una
conoscenza approfondita dei servizi territoriali.
Inoltre sono presenti, se previste, operatrici di accoglienza, educatrici, psicologhe, avvocate, ecc.
Perché avere due i luoghi separati? Le donne si devono poter sentire al sicuro nel Centro
Antiviolenza, in un luogo solo per loro, dove non rischiano di incontrare uomini maltrattanti e di
veder violata la propria privacy.
Se gli operatori fossero gli stessi si troverebbero in difficoltà nel contatto terapeutico o nella
relazione di aiuto verso chi lo chiede, si finirebbe per operare di fatto una mediazione familiare, non
riuscendo a tenere separate le due relazioni.
Le professionalità preferibili nei due centri sono operatrici di accoglienza per i centri antiviolenza,
psicoterapeuti o counselor per gli uomini maltrattanti, perché devono aiutare un cambiamento
profondo dell’agire e sentire. Anche il sesso di questi è significativo: per le donne solo personale
femminile; per gli uomini preferibilmente uomini, ma anche donne, in particolare nei percorsi di
gruppo. Gli operatori che supportano gli uomini lavorano sull’assunzione di responsabilità della
violenza e su una sorta di dis-empowerment.
I due tipi di centri devono essere in una relazione trasparente e metodologicamente corretta tra di
loro per quanto riguarda gli invii reciproci, il monitoraggio dei percorsi, lo scambio di informazioni
nel rispetto della privacy, e la collaborazione nelle iniziative di sensibilizzazione e formazione sulla
violenza.
L’innovazione presente nel discorso sulla responsabilità maschile delle violenze contro le donne
consiste nell’essere incentrato sulle pratiche di intervento. Pratiche che riconoscono la complessità
della questione, fondate sulla necessità di chiedere conto agli uomini delle violenza agite in modo
concreto attraverso la proposta di percorsi formativi incentrati tanto sull’aumento di consapevolezza
e su un0assunzione di responsabilità da parte di coloro che riconoscono di avere un problema con
l’uso della violenza, quanto sulla messa in gioco personale, professionale e politico culturale degli
operatori e delle operatrici coinvolti nei percorsi.
azione sia nei confronti di chi vive il problema in prima persona e chiede aiuto per risolverlo, sia nei
confronti di chi affronta lo stesso problema da operatore di un soggetto istituzionale o associativo
deputato all’intervento. In quest’ultimo caso esso può produrre una focalizzazione sui singoli
soggetti, sui loro problemi e sulla ricerca di soluzioni possibili, che conferisce all’analisi spessore
dell’esperienza, liberando il campo di contrapposizioni ideologiche così spesso controproducente o
infruttuose.