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LA Responsabilità Della Violenza

Servizio sociale (Università di Bologna)

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LA RESPONSABILITÀ DELLA VIOLENZA

CAP 1

-VIOLENZA INTRAFAMILIARE
Violenza più frequente, e più nascosta, la violenza maschile contro le donne nelle relazioni di
intimità.
La violenza intrafamiliare o violenza domestica (inserita nel più ampio contesto della violenza di
genere) è definita dalla Convenzione di Istambul come “tutti gli atti di violenza fisica, sessuale,
psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo famigliare o tra
attuali o precedenti, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso
la stessa residenza della vittima”.
Riconosciuta oggi dalla comunità internazionale come una vera e propria violazione dei diritti
umani, essa si caratterizza:
a) Per la specificità della relazione tra autore e vittima
b) Per l’irrilevanza del livello di intimità e convivenza
c) Per l’applicabilità anche ad altri soggetti che gravitano attorno al mondo famigliare, quali
figli e figlie
d) Per il fatto di assumere forme differenti: fisica, psicologica, sessuale, economica
La violenza è negazione del conflitto (classico litigio di coppia) e della sua caratteristica di
rappresentazione dell’interazione tra differenti posizioni, è imposizione del dominio di un partner
sull’altro.
La violenza intrafamigliare rappresenta ancora oggi un tabù socioculturale ed un fatto “lontano da
noi”. Le ragioni sono le più disparate. La violenza maschile contro le donne la si colloca nel
pensiero diffuso in un ambito, erroneamente, ritenuto privato. Esistono coloro che lo ritengono un
tema di esclusivo ordine pubblico e chi tende ad aggrapparsi a quegli stereotipi e pregiudizi che
altro non fanno che rafforzare gli “evitamenti”: strategie e tattiche (negazione, legittimazione,
minimizzazione degli atti, colpevolizzazione delle vittime, ecc) che finiscono per rendere la
violenza invisibile.
In realtà, stiamo parlando di una grande questione culturale e strutturale che ci chiama tutti in causa.

-TRASFORMAZIONE CULTURALE
1967: adozione da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite della Dichiarazione
sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne. È il primo documento nel
quale vengono affermati esplicitamente i pari diritti civili, politici, sociali ed economici delle donne.
In Italia vige ancora il reato di adulterio per la donna; ma è solo nel 1975 che a seguito del
rapimento, la tortura e lo stupro di due ragazze da parte di un branco di giovani romani che la
violenza contro le donne diventa un tema politico. Nello stesso anno entra in vigore il nuovo diritto
di famiglia che abroga alcune norme ancora in vigore, in particolare il diritto di correzione del
capofamiglia nei confronti di moglie e figlie, che diventa abuso di correzione, o di disciplina, e di
maltrattamenti in famiglia.
Nel 1976 nasce a Bruxelles il primo Tribunale internazionale per i crimini contro le donne e nel
1979 il movimento delle donne presenta in Italia una proposta di legge popolare contro la violenza
sessuale, mentre l’unione Donne in Italia attiva il tribunale 8 marzo, un prima rete di Sportelli dove
le donne possono trovare ascolto e supporto legale.

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1979: 184 stati membri dell’ONU ratificano la Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di
discriminazione contro le donne. Essa indica le misure da adottare per il raggiungimento della parità
di genere
In Italia nel 1981 vengono abrogate le norme relative al matrimonio riparatore e le attenuanti per il
delitto d’onore,
inizio anni novanta, nascono i primi centri antiviolenza, alcuni in forma di linee telefoniche, altri in
forma di luoghi fisici dedicati all’accoglienza, all’orientamento e all’ospitalità di emergenza. È il
loro lavoro sul campo che fa emergere che la maggior parte delle violenze avviene all’interno delle
famiglie.
1994: viene fondata a Vienna la Women Against Violence Europe (wawe) una rete che riunisce oggi
i centri antiviolenza di 45 paesi.
1996: in Italia viene approvata la legge Norme contro la violenza sessuale che riconduce la violenza
sul corpo delle donne a reato sulla persona e non alla morale pubblica.
2001: legge misure contro le violenze nelle relazioni familiari, si ufficializza il termine di violenza
in riferimento alle prevaricazioni e ai maltrattamenti subiti dalle donne in contesti intrafamigliari e
si indichi l’allontanamento del partner violento dalla casa famigliare.
2009: viene inserito nel codice penale un articolo (162 bis) relativo al reato di atti persecutori
(stalking).

Tuttavia i passi verso una normalizzazione dei rapporti tra donne e uomini sono ancora lunghi.
Nel 2011 primo rapporto ombra sull’attuazione in Italia della convenzione per l’eliminazione della
discriminazione contro le donne rivela molti ritardi e omissioni dei governi italiani che sono
confermati nel 2012, da quello dell’inviata speciale delle Nazioni unite, raschida manjoo, e dal
recentissimo Rapporto delle associazioni di donne sull’attuazione in Italia della convenzione di
istambul al group of expert on action against violence against women and domestic violence
(GREVIO).

Le ultimi leggi in materia confermano il prevalere dell’ottica punitiva e quindi la necessità di


lavorare perché la loro applicazione sia compagnata da azioni che incentivino la trasformazione
culturale, soprattutto attraverso l’informazione, la formazione e l’educazione, in particolare delle
giovani generazioni.

-RESPONSABILITÀ DELLA POLITICA


Di chi è la responsabilità della trasformazione culturale?
La parità è una qualità delle relazioni tra donne e uomini che non può prescindere dal contesto nel
quale si sviluppa la loro convivenza e dalla visione di chi ha l’incarico di governarla. Le comunità
nelle quali viviamo sono realtà complesse e in continua evoluzione. Gli stimoli al loro progresso
sono l’apporto di differenti idee della vita, credenze tradizioni, culture. Fare di questo insieme una
comunità è il compito della politica e farlo nel rispetto e nella valorizzazione delle differenze è il
principale obiettivo delle politiche di pari opportunità.

-RESPONSABILITÀ DEL SERVIZIO SOCIALE


La presenza sul territorio di Servizi specifici è condizione imprescindibile per dare valide risposti
sia a chi subisce violenza sia a chi la agisce.
Il SS ha un ruolo cardine nella rete di istituzioni preposte all’accoglienza delle donne vittime di
violenza e nell’orientamento degli uomini che la agiscono, affiancando la propria professionalità
alle altre coinvolte, tra le quali incarna un duplice ruolo: di “porta di accesso”. Filtro e orientamento

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alle prestazioni e alle opportunità sociali; e di “agente tecnico” per la valutazione del bisogno, e
utilizzo efficace delle risorse istituzionali o afferente al cosiddetto settore.
Il SS può, per questo, contribuire correttamente a far emergere il problema della violenza sulle
donne, ma al contempo è importante che chi vi opera abbia una preparazione adeguata
all’accoglienza di un bisogno così delicato e che sia consapevole degli stereotipi e dei pregiudizi
che rendono così difficile il suo riconoscimento.
Occorre un approccio specialistico.

-LAVORO DI RETE E DI COMUNITÀ


È importante riuscire a lavorare in modo multidisciplinare e su più livelli: sul singolo caso, sulle
istituzioni e sulla società.
“Lavoro mosaico”: capacità di tenere in considerazione, con sguardo strabico, l’unicità e la
complessità di una comunità in divenire, cucendo le trame dei percorsi che, in diverso modo,
contribuiscono ad accrescere consapevolezza sociale, dignità umana e parità di diritti.

Partendo dal lavoro di rete occorre considerare che il riconoscimento della violenza è il frutto di un
dialogo in grado di garantire, nel rispetto delle specifiche competenze, una lettura univoca del
fenomeno, un approccio al contrasto condiviso, chiarezza dei compiti e dei micro-obbiettivi di tutti i
soggetti implicati. Appare strategica quindi una “cassetta degli attrezzi condivisa che consenta,
attraverso l’integrazione dei saperi e il lavoro di equipe multiprofessionali, di affrontare in maniera
più efficace il fenomeno. In questa accezione il lavoro di rete non è solo un metodo, ma anche un
diverso modo di considerare la situazione, affrontandola da una nuova prospettiva.

Passando al lavoro di comunità occorre considerare che l’azione del SS deve essere rivolta a tutto il
corpo sociale per stimolarlo ad assumersi responsabilità del cambiamento culturale necessario a far
cessare la violenza ad agire protezione e tutela delle donne che ne sono vittime. Per questo occorre
un impegno condiviso affinchè si diffonda l’adozione di comportamenti anti-violenti e basati su
principi delle pari opportunità.
La comunità non è quindi solo il contesto entro quale opera la rete dei soggetti impegnati per il
contrasto, ma è anche destinataria dell’intervento, affinchè diventi terreno non giudicante, ma
sensibile e accogliente. Lavorare con la comunità significa promuovere l’empowement sociale
ovvero quel processo intenzionale e continuo attraverso il quale le persone di una comunità locale,
in questo caso le donne vittime di violenza, possono accedere più facilmente alle risorse e
accrescere il controllo di esse””, nonché quella trasformazione della cultura necessaria a stabilire
parità di genere e condanna tutte le forme di prevaricazione e di violenza degli uomini nei confronti
delle donne.

-ASC INSIEME
ASC InSieme (azienda dei servizi per la cittadinanza) è un ente pubblico per la gestione dei Servizi
Sociali dell’Unione Valli del Remo, Lavino e Samoggia, nato con l’intento di omogenizzarli
progressivamente sull’intero territorio distrettuale. Gestito dal consiglio di amministrazione
composto da tre membri, ASC svolge funzioni socioassistenziali, sociosanitarie integrate e
socioeducative per quatto aree operative (minori e famiglie, adulti, anziani, disabilità), lavorando in
rete con i servizi comunali e tutti gli attori sociali e sanitari che sul territorio costituiscono il sistema
di Welfare locale. La sua attività è orientata dagli indirizzi elaborati dal piano di zona per la salute e
il benessere sociale ed è ispirata ai principi del rispetto della dignità della porsona, della qualità del
SS e della pari opportunità di eccesso.

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CAP 7. RIFERIMENTI NORMATIVI


Definire la violenza contro le donne come in problema pubblico significa riconoscerne la
dimensione culturale pervasiva, richiamare la necessità di un’epistemologia che ne analizzi le
ragioni e chiamare in causa i governi perché la definiscano dei piani strutturali di contrasto a partire
dalla necessità di un’azione culturale complessiva.
Un nuovo paradigma parte dal riconoscimento della responsabilità degli uomini nella violenza
contro le donne e dalla necessità di una loro responsabilizzazione: individuale, nelle singole
situazioni di violenza; collettiva in quanto genere maschile che ha costruito la propria falsa
superiorità sulla subordinazione del genere femminile; sociale perché per poter incidere
decisamente sulla trasformazione dei modelli dominanti ci vuole forte impegno degli uomini.

La CONVENZIONE DEL CONSIGLIO DI EUROPA SULLA PREVENZIONE E LA LOTTA


CONTRO LA VIOLENZA NEI CONRONTI DELLE DONNE E LA VIOLENZA DOMESTICA O
CONVENZIONE DI ISTANBUL, è un documento del 2011, ratificato come legge nazionale
dall’Italia nel 2013. Essa è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante per gli Stati
membri del Consiglio d’Europa. L’elemento saliente è che, per la prima volta, definisce la violenza
contro le donne come una “violazione dei diritti umani” con esplicito riferimento al sistema
culturale patriarcale.
Essa riconosce inoltre la sproporzione del fenomeno della violenza di genere e della violenza
domestica contro le donne e nomina la violenza assistita come forme di violenza contro bambini e
bambine.
Sotto il profilo degli impegni fa riferimento a un quadro globale di interventi nominando anche la
cooperazione internazionale.
Con riferimento agli obblighi cita espressamente gli uomini invitando alla loro
responsabilizzazione, sia sul piano della prevenzione che su quello del trattamento degli autori di
violenza. Rispetto a quest’ultimi indica la necessità di una sinergia tra luoghi di aiuto rivolto alle
donne e luoghi di aiuto rivolti agli uomini.
Il documento dedica anche una parte al lavoro di prevenzione, che associa prevalentemente
all’azione educativa e formativa svolta dalla scuola

La legge nazionale DISPOSIZIONI URGENTI IN MATERIA DI SICUREZZA E IL CONTRASTO


DELLA VIOLENZA DI GENERE, nonché IN TEMA DI PROTEZIONE CIVILE E DI
COMMISSARIAMENTO DELLE PROVINCE (l. 119/2013) è la conversione di un precedente
decreto legge noto come legge sul femminicidio.
La legge introduce un inasprimento delle pene e delle misure cautelari nei confronti degli uomini
autori di violenza indicando la misura dell’arresto obbligatorio in caso di flagranza di reato per
maltrattamenti in famiglia e lo stalking, e quella dell’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare
ed divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla donna. Essa introduce inoltre l’aggravante di
avere o avere avuto con la donna una relazione sentimentale, quella della gravidanza della donna e
quella della presenza di bambine o bambini agli atti violenti.
Essa infine da riferimento ai percorsi trattamentale per gli uomini autori di violenza indicandoli
come un possibile elemento di mitigazione della pena.

Nel 2013 la Regione Emilia-Romagna diffonde due importanti documenti: LINEE DI INDIRIZZO
PER L’ACCOGLIENZA E LA CURA DI DONNE VITTIME DI VIOLENZA e delle LINEE DI
INDIRIZZO PER L’ACCOGLIENZA E LA CURA DEI BAMBINI E ADOLESCENTI VITTIME
DI MALTRATTAMENTO E ABUSO, approvate con un’unica delibera della giunta regionale (DGR
1677/2013). La correlazione è esplicitata nel riferimento alla violenza assistita: nel primo, laddove

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dice che le donne che subiscono violenza sono un soggetto indebolito anche nell’esercizio delle
proprie funzioni genitoriali; nel secondo, laddove viene denunciata come grave abuso anche nei
confronti di persone di minore età.
È ampiamente citato il lavoro dei Centri antiviolenza dei quali si riconosce il valore politico di
presidio storico per il contrasto e il ruolo fondamentale nella rete dei soggetti attivi sul tema.
Essi adottano la definizione della convenzione di Istanbul di violenza e individuano nei Servizi
integrati, nel lavoro di rete e nella formazione multidisciplinare degli operatori, le chiavi di
contrasto.
Riprendono anche:
- Riferimento al sistema dei valori patriarcale come determinante della violenza
- Il fattore caratterizzante del genere rispetto alla ricorrenza e alla gravità della violenza
- L’importanza del lavoro di prevenzione nella decostruzione del sistema di valori patriarcale

Nel 2014 viene pubblicata la LEGGE QUADRO PER LA PARITÀ E CONTRO LE


DISCRIMINAZIONI DI GENERE (legge regionale 6/2014) della Regione Emilia-Romagna.
La parola chiava del documento p la democrazia paritaria che la legge intende promuovere
guardando la vita delle donne e individuando nel persistere delle discriminazioni di genere la causa
di una differente accessibilità ai luoghi di potere. In 45 articoli, organizzati in 10 ambiti di
intervento, sono trattati tutti i temi salienti della partecipazione delle donne alla vita pubblica e
un’ampia parte del documento è dedicata alla violenza contro le donne nelle relazioni di intimità e
alle relative azioni di contrasto.
Si ribadisce l’importanza di educazione e formazione al genere a scuola e gli interventi di
trattamento degli uomini autori di violenza, quali leve fondamentali del cambiamento culturale.
Molto importante è l’articolo relativo al linguaggio di genere che denuncia nell’uso non
differenziato della lingua la prima forma di “indifferenziazione” alla base dell’invisibilità delle
donne.

La RIFORMA DEL SISTEMA NAZIONALE DI ISTRUZIONE E DORMAZIONE E DELEGA


PER IL RIORDINO DELLE DISPOSIZIONI LEGISLATIVE VIGENTI (legge nazionale
107/2015), nota anche come legge della buona scuola, è un provvedimento di riordino generale che
definisce il ruolo della scuola rispetto agli obiettivi della promozione della conoscenza,
dell’innalzamento dei livelli di istruzione e di competenza di studenti, del contrasto delle
disuguaglianze socioculturali e territoriali, della prevenzione e del recupero dell’abbandono
scolastico. In esso è contenuto un riferimento esplicito alle pari opportunità, all’educazione alla
parità e alla prevenzione della violenza di genere. In esso si fa riferimento al sistema culturale
patriarcale come determinante dei modelli stereotipati di genere e alla necessità del suo contrasto
attraverso l’azione educativa e formativa.

Il PIANO DI AZIONE STRAORDINARIO CONTRO LA VIOLENZA SESSUALE E DI


GENERE adottato nel 2015 con decreto del presidente del consiglio dei ministri, segue la legge
nazionale 119/2013 e rappresenta la definizione della governance e l’impegno economico necessari
alla realizzazione di un sistema integrato di politiche pubbliche nazionali orientate alla prevenzione
e al contrasto della violenza contro le donne. Esso è organizzato in otto capitoli di contenuto e in
una serie di allegati con le relative linee di indirizzo. Relativamente alla prevenzione, esso
promuove progetti e campagne di comunicazione per il contrasto delle discriminazioni di genere,
progetti di educazioni al genere, in particolare delle nuove generazioni attraverso il sistema
scolastico nazionale, progetti di formazione di operatori attivi nel lavoro di contrasto, anche
attraverso la rete interistituzionale.

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Relativamente al lavoro con gli uomini autori di violenza il documento toglie ogni dubbio relativo
all’eventuale attribuzione della violenza a stati patologici, riconducendola invece alla normalità e
alla normalizzazione delle relazioni di genere così come concepite e istruite dal sistema culturale
patriarcale cui aggiunge l’incapacità degli uomini di sostenere con adeguati processi di
cambiamento l’emancipazione delle donne. Ribadita importanza che i luoghi di aiuto per uomini
collaborino con quelli per donne.

Il PIANO REGIONALE CONTRO LA VIOLENZA DI GENERE è un documento approvato


dall’assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna con delibera 69/2016. È articolato in
quattro aree di intervento /prevenzione, protezione, trattamento per uomini autori di violenza, azioni
di sistema) e attribuisce alla politiche di pari opportunità un ruolo strategico nel contrasto della
violenza contro le donne.
Esso cita i centri antiviolenza come presidi incostituibili nel lavoro di contrasto riconoscendone il
valore di luoghi di saperi e di pratiche.
Riprende i contenuti fondamentali di
 Comunicazione: realizzando un’informazione rispettosa della rappresentazione di genere;
attuare trasmissioni esterne e interne alla pubblica amministrazione rispettose del genere e
inclusive; favorire l’emersione del fenomeno della violenza di genere e la conoscenza dei
servizi.
 Educazione: consolidamento di azioni di prevenzione della violenza intrafamigliare; la
promozione delle risorse personali per evitare di diventare vittime di violenza; il lavoro sui
conflitti di genere e la prevenzione della violenza sessuale.
 Formazione continua

Le LINEE GUIDA NAZIONALI EDUCARE AL RISPETTO: PER LA PARITÀ TRA I SESSI, LA


PREVENZIONE DELLA VIOLENZA DI GENERE E TUTTE LE FORME DI
DISCRIMINAZIONE sono l’emanazione degli orientamenti operativi per l’applicazione
dell’articolo 1 comma 16 della legge nazionale 107/2015. Il testo fa riferimento al paradigma
patriarcale della superiorità-inferiorità uomo-donna disegnando l’esclusione e l’invisibilità delle
donne e quindi gli elementi del processo di decostruzione necessario a prevenire la violenza
maschile contro le donne tra i quali l’uso di un linguaggio rispettoso delle differenza di genere.
Si fa riferimento alla pervasività del fenomeno e ai meccanismi di sottovalutazione che ne
sminuiscono la portata culturale.
Il testo richiama l’attenzione alla responsabilizzazione.

Il PIANO STRATEGICO NAZIONALE SULLA VIOLENZA MASCHILE CONTRO LE DONNE


è un documento approvato dalla ministra delegati alla Pari opportunità nel 2017. È articolato n tre
macrotemi: prevenzione, protezione e sostegno, azione penale.
Usa il linguaggio di genere come uno strumento attivo di trasformazione.
Assunzione dell’intersezionalità nella descrizione multifattoriale della violenza contro le donne.
Da particolare rilievo agli aspetti di persecuzione e punizione dei reati di violenza contro le donne.

La legge nazionale MODIFICHE AL CODICE PENALE, AL CODICE DI PROCEDURA


PENALE E ALTRE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI TUTELA DELLE VITTIME DI
VIOLENZA DOMESTICA E DI GENERE, conosciuta come codice rosso, interviene sul diritto
penale per individuare nuove fattispecie di reato, velocizzare i procedimenti, introdurre aggravanti e
inaspire le pene.

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Critica: si concentra sul piano esclusivamente penale, senza affrontare il tema culturale che dà
origine alla violenza. (solo art.5 si parla di prevenzione).

Conclusioni:
La convenzione di Istanbul segna una svolta nell’impianto argomentativo a sostegno del contrasto
della violenza contop le donne:
 La definisce una violazione dei diritti umani
 Individua e nomina il sistema culturale e patriarcale all’origine della disparità storica di
potere tra donne e uomini
 Riconosce al femminismo il valore epistemologico in grado di scardinarlo
 Attribuisce la responsabilità della violenza agli uomini e sollecita la responsabilizzazione
 Riconosce il valore politico dei centri antiviolenza
 Invita alla collaborazione tra centri di aiuto per uomini e centri di aiuto pe donne
 Importanza dell’educazione di genere

CAP 8. LUOGHI PER DONNE E UOMINI

-CENTRI ANTIVIOLENZA
I centri antiviolenza sono luoghi deputati ad accogliere le donne, con o senza figli, che hanno subito
violenza. Sono luoghi in cui una volontà politica si unisce a una pratica di supporto e accoglienza
verso le donne che intendono uscire dalla violenza. Questi due aspetti sono intimamente legati nella
metodologia già sviluppata dei centri nel corso degli anni, poi validata via via da tutte le principali
organizzazioni internazionali che si sono occupate d standard di qualità dell’aiuto offerto alle
vittime di violenza. Dunque un punto essenziale dei centri antiviolenza è la questione politica e
culturale: la promozione di buone prassi, le campagne di prevenzione sul tema della violenza contro
le donne e la costante battaglia contro la violazione dei loro diritti.
I centri antiviolenza rappresentano un soggetto di centrale importanza per rendere socialmente
visibili le radici e la complessità delle violenze maschili, oltre che una risorsa concreta di
fondamentale importanza per le donne.
I primi centri antiviolenza nascono in Italia nel 1990 a Bologna, Modena, Milano, Roma, Merano.
Fin da subito mirano a creare un coordinamento e a diffondere l’esperienza in tutta l’Italia. Oggi
sono più di 300.
Punto peculiare dei Centri antiviolenza che nascono dal movimento delle donne è l’ottica di genere
e il basarsi sulla relazione tra donne, legittimando il punto di vista delle donne che chiedono aiuto,
valorizzando la loro esperienza per superare il ruolo tradizionale di vittima.
Un lavoro importante è stato quello di nominazione della varie forme di violenza.

Un Centro antiviolenza è una struttura a indirizzo pubblico in cui si svolge l’ascolto telefonico,
personale e di gruppo, l’orientamento e il supporto legale, psicologico e lavorativo, il sostegno alla
funzione di madre nel rapporto coi figli, servizi per le donne migranti e di uscita dalla tratta e dallo
sfruttamento sessuale e lavorativo, al fine di costruire, insieme alla donna, un piano di protezione
personalizzato, adeguato alla valutazione del rischio di recidiva e femicidio, flessibile e congruente
alla sua situazione, stabilendo un percorso di uscita dalla violenza, condotto per tappe successive,
nei modi e nei tempi concordati tra la donna e l’operatrice che la segue. Molti centri sono anche
dotati di una o più case rifugio, di emergenza, a breve o medio periodo di permanenza, in cui le
donne vengono supportate nella vita in comune dall’intervento di operatrici ed educatrici
specializzate.

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Tutti i servizi offerti dai centri antiviolenza sono complessivi, gratuiti, aperti a tutte le donne che
subiscono violenza, indipendentemente da provenienza geografica, ceto sociale, condizione
personale, sono basati sulla riservatezza e improntati all’empowerment, e mirano a rispondere a tutti
i bisogni delle vittime, anche se questo ovviamente è in relazione alle risorse disponibili.
Il personale è esclusivamente femminile, retribuito o volontario, appositamente formato e
specializzato, con supervisione e aggiornamento continui. È importante che le operatrici siano
donne perché la donna possa sentirsi in una condizione di rispecchiamento e relazione con chi la sta
aiutando. È la relazione che si instaura tra la donna che ascolta e la donna che si racconta il tramite
che permette a quest’ultima di raggiungere un cambiamento, una maggiore consapevolezza di se
stessa e delle proprie capacità. Si avvia un percorso di realizzazione di sé. Alle donne viene offerto
un sostegno specifico e informazioni adeguate, affinchè possano trovare la soluzione adatta alla
propria situazione.
Le operatrici hanno una formazione multidisciplinare che va dalla capacità relazionale e di ascolto,
mutuate dalle discipline psicologiche, alle competenze sociologiche e legali, oltre che una
conoscenza approfondita dei servizi territoriali.
Inoltre sono presenti, se previste, operatrici di accoglienza, educatrici, psicologhe, avvocate, ecc.

-CENTRI PER UOMINI


Diversi centri antiviolenza hanno sostenuto l’apertura per Centri per uomini. (apertura senza
violenza- luogo di ascolto e aiuto per uomini che usano violenza nelle relazioni intime).
La Casa delle donne sottoscrive insieme al comune di Bologna e ad ASP città di Bologna il
protocollo per l’apertura del centro senza violenza di bologna, mentre partner, insieme al comune di
bologna, del progetto MOVE ON, promosso da Senza Violenza per sviluppare le proprie attività, sia
rafforzando il servizio, che accrescendo la sensibilizzazione verso professioniste e professionisti che
a vario titolo intervengono, o possono intervenire, nel contrasto della violenza.
La casa delle donne ha sostenuto l’apertura di un centro per uomini tenendo fede alla progettazione
sociale che ha sempre caratterizzato il suo intervento:
 Progettare dal basso a partire dai bisogni nelle donne e nel territorio
 Le donne vogliono che la violenza cessi e chiedono che vi sia un posto per i loro partner
dove possano intraprendere un percorso di cambiamento
 Aderire a un modello ecologico
 Accogliere gli stimoli delle prassi internazionali
 Rispondere alle esigenze delle donne anche attraverso l’interrogare maschile

Perché avere due i luoghi separati? Le donne si devono poter sentire al sicuro nel Centro
Antiviolenza, in un luogo solo per loro, dove non rischiano di incontrare uomini maltrattanti e di
veder violata la propria privacy.
Se gli operatori fossero gli stessi si troverebbero in difficoltà nel contatto terapeutico o nella
relazione di aiuto verso chi lo chiede, si finirebbe per operare di fatto una mediazione familiare, non
riuscendo a tenere separate le due relazioni.
Le professionalità preferibili nei due centri sono operatrici di accoglienza per i centri antiviolenza,
psicoterapeuti o counselor per gli uomini maltrattanti, perché devono aiutare un cambiamento
profondo dell’agire e sentire. Anche il sesso di questi è significativo: per le donne solo personale
femminile; per gli uomini preferibilmente uomini, ma anche donne, in particolare nei percorsi di
gruppo. Gli operatori che supportano gli uomini lavorano sull’assunzione di responsabilità della
violenza e su una sorta di dis-empowerment.

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I due tipi di centri devono essere in una relazione trasparente e metodologicamente corretta tra di
loro per quanto riguarda gli invii reciproci, il monitoraggio dei percorsi, lo scambio di informazioni
nel rispetto della privacy, e la collaborazione nelle iniziative di sensibilizzazione e formazione sulla
violenza.

-LAVORO DI RETE E FORMAZIONE


Esperienze di rete: coordinamenti regionali tra centri antiviolenza autonomi, come il coordinamento
dei centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna, o quella nazionale DiRe, quello WAWE.
Iniziative promosse: stesure di mappature dei centri e l’istituzione del numero verde nazionale
antiviolenza 1522; gli interventi coordinati sulla violenza; la predisposizione di protocolli, piani di
azione e tavoli territoriali e nazionali, per l’adeguamento dell’ordinamento giuridico.
Formazione del personale all’interno dei centri e delle persone che all’esterno possono incontrare
donne o minore vittime di violenza/maltrattamenti/abusi, perché sia in grado di individuare la
violenza, sostenere adeguatamente le vittime, prevenire la violenza nelle giovani generazioni,
mettendo in stretta relazione informazione e cambiamento effettivo.
È proprio la formazione l’elemento cardine del lavoro di rete:
 Di prossimità: cioè quella intorno alla donna, nell’attivazione del supporto a lei necessario
 Territoriale: lavoro di multiagency, tra associazioni e istituzioni per la stesura di protocolli e
accordi integrati, linee guide, normativa amministrative, leggi regionali, diffusione di buone
prassi, ecc.
 Nazionale: istituzione di organismi, tavoli interministeriali, commissioni parlamentari di
inchiesta che possono prevedere o meni la presenza delle associazioni che gestiscono i centri
con lo scopo di applicare i piani nazionali antiviolenza, ecc.
Soltanto attraverso la formazione si può creare una rete esperta che permetta lo scambio tra le
diverse culture disciplinari e professionali, superando l’ottica ristretta a favore del raggiungimento
dell’obbiettivo comune: le quattro P= proteggere le vittime, punire gli autori, prevenire la violenza e
pianificare l’intervento.

CAP 9 CHIEDERE CONTO AGLI UOMINI DELLA VIOLENZA

L’innovazione presente nel discorso sulla responsabilità maschile delle violenze contro le donne
consiste nell’essere incentrato sulle pratiche di intervento. Pratiche che riconoscono la complessità
della questione, fondate sulla necessità di chiedere conto agli uomini delle violenza agite in modo
concreto attraverso la proposta di percorsi formativi incentrati tanto sull’aumento di consapevolezza
e su un0assunzione di responsabilità da parte di coloro che riconoscono di avere un problema con
l’uso della violenza, quanto sulla messa in gioco personale, professionale e politico culturale degli
operatori e delle operatrici coinvolti nei percorsi.

-LA CENTRALITÀ DELLE PRATICHE


È a partire dalla pratica “separata” dell’autocoscienza, incentrata sulla relazione fra donne e
sull’esperienza del partire da sé, che i gruppi delle donne hanno innescato processi trasformativi di
rilevanza epocale, alimentando una critica dell’emancipazionismo, inteso come adeguamento al
modello patriarcale, radicalmente innovativi.
Dal racconto del vissuto e dalle esperienza delle donne nasce la percezione della diffusione e della
trasversalità della violenza maschile, confermata dall’afflusso di donne in cerca di aiuto nei primi
spazi pubblici conquistati dal femminismo.
Il confronto a partire dalla pratiche apre infatti uno spazio di incontro che può sospendere
appartenenze e identità originarie e innescare interrogazioni nuove e quindi nuove possibilità di

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azione sia nei confronti di chi vive il problema in prima persona e chiede aiuto per risolverlo, sia nei
confronti di chi affronta lo stesso problema da operatore di un soggetto istituzionale o associativo
deputato all’intervento. In quest’ultimo caso esso può produrre una focalizzazione sui singoli
soggetti, sui loro problemi e sulla ricerca di soluzioni possibili, che conferisce all’analisi spessore
dell’esperienza, liberando il campo di contrapposizioni ideologiche così spesso controproducente o
infruttuose.

-PERCHÉ LAVORARE CON GLI UOMINI CHE USANO LA VIOLENZA


La necessità di agire anche sul versante degli uomini autori di violenza con azioni in ambito
comunitario, al fine di contrastare la violenza contro le donne, appare oggi con un certo grado di
evidenza. Sono numerosi infatti i documenti e le direttive internazionali, nazionali e regionali che vi
fanno riferimenti, predisponendo risorse promuovendo interventi ad essi specificamente rivolti
(convenzione di istanbul, art 16).

-EFFICACIA DEGLI INTERVENTI:


Diverse ricerche evidenziano la possibilità di ottenere dei risultati positivi per un buon numero di
partecipanti a un percorso trattamentale, purchè vengano rispettate alcune condizioni, in particolare:
la disponibilità di operatori adeguatamente formati; la partecipazione continuativa al percorso
proposto; l’integrazione del centro in un sistema di intervento che garantisca risposte coordinate e
coerenti.

Scaricato da Sara Benedetti (benedettisara98@gmail.com)

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