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Alma Mater Studiorum – Università di Bologna

Corso di laurea triennale in


Servizio Sociale

Tesi di Laurea in
Sociologia dei Servizi Sociali di Territorio

TITOLO DELLA TESI DI LAUREA

Impatto della Pandemia sulla grave emarginazione adulta nel


territorio di Bologna

Relatore Presentata da
Prof. Maurizio Bergamaschi Sara Benedetti

Sessione: Seconda
Anno accademico: 2021-2022
INDICE
1. INTRODUZIONE

CAPITOLO 1: IMPATTO DELLA PANDEMIA NEL TERRITORIO ITALIANO

2. UNA COMUNITA’ VULNERABILE: UN NUMERO CHE CRESCE


2.1 Una comunità vulnerabile: I Senza Dimora
2.2 I Senza Dimora: Chi sono?

3. ESITI DEL COVID-19 SULLA GRAVE EMARGINAZIONE

4. IMPATTO DELLA PANDEMIA SULLE PERSONE SENZA DIMORA


4.1 I servizi rivolti alla grave emarginazione adulta
4.2 I servizi che cambiano
LA FEDERAZIONE ITALIANA DEGLI ORGANISMI PER LE PERSONE SENZA DIMORA
4.3 Riorganizzazione dei servizi rivolti alle persone senza dimora
4.4 Operatori all’interno dei servizi

CAPITOLO 2: IMPATTO DELLA PANDEMIA NEL TERRITORIO DI BOLOGNA

5. INTERVENTI E PROGETTI DELLA REGIONE EMILIA ROMAGNA IN CONTRASTO


ALLA GRAVE MARGINALITA’ ADULTA

6. IL TERRITORIO DI BOLOGNA: SERVIZI PER CONTRASTARE LA GRAVE


EMARGINAZIONE ADULTA

7. ANALISI STATISTICA DEI SENZA DIMORA

8. LE STRUTTURE DEL TERRITORIO BOLOGNESE


8.1 Centro di accoglienza Rostom
8.2 Il Servizio Sociale a Bassa Soglia
8.3 Housing First
8.4 Help Center
8.5 Unità di Strada

9. L’IMPATTO DELLA PANDEMIA NEI SERVIZI RIVOLTI ALLA GRAVE


MARGINALITA’ SUL TERRITORIO DI BOLOGNA

10. L’IMPATTO SUI SERVIZI: PAROLA CHIAVE RIORGANIZZAZIONE

11. CONCLUSIONI

BIBLIOGRAFIA

SITOGRAFIA

Ringraziamenti

INTRODUZIONE

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Il periodo appena trascorso legato alla pandemia da Covid-19 e lo stesso momento attuale,
pongono il nostro paese di fronte ad uno scenario di grave vulnerabilità sociale ed economica
e inducono a prestare una maggior attenzione alle persone più fragili che rischiano di pagarne
il prezzo più alto.

L’emergenza sanitaria che ha investito il nostro paese, e non solo, ha imposto al Governo, per
motivi di sicurezza nazionale, ad adottare misure di prevenzione (DPCM- 11 Marzo, 2020).
Inoltre, si è reso evidente che un numero consistente di persone con vite precarie, problemi di
salute, fragilità relazionali e condizioni di vita assai difficili, si sono ritrovate a vivere quella
che da subito gli enti del settore hanno definito “Un'emergenza nell’emergenza”.

CAPITOLO 1: IMPATTO DELLA PANDEMIA NEL TERRITORIO ITALIANO

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1. UNA COMUNITA’ VULNERABILE: UN NUMERO CHE CRESCE

Nelle città si annidano molte delle comunità vulnerabili che maggiormente sono state a
rischio per la malattia e per le conseguenze sociali ed economiche delle misure di
distanziamento sociale. Individui a rischio o in condizione di povertà e di esclusione sociale,
anziani soli, senza dimora, famiglie monogenitoriali e/o numerose, migranti, bambini e
giovani residenti in nuclei familiari deprivati: sono tutti esempi di gruppi fragili, che oltre a
vivere in misura maggiore in ambito urbano sono stati, per ragioni varie, più esposti al
contagio e in particolare agli esiti più gravi della malattia e hanno maggiormente accusato
l’interruzione o la limitazione dei servizi assistenziali e di supporto sociale sui quali facevano
affidamento.

È noto come la crisi economica abbia avuto ripercussioni importanti su fasce di popolazione
che fino a poco prima erano considerate e si percepivano del tutto estranee al rischio di
impoverimento. I dati lo confermano. Negli ultimi anni, il numero di persone in condizione di
povertà assoluta è aumentato: da 2 milioni e 427 mila nel 2007 a oltre 5,6 mila individui, vale
a dire il 9,4% della popolazione. (ISTAT, 2007; 2020). Questi numeri impressionanti, in
costante crescita, racchiudono la quotidianità di centinaia di migliaia di famiglie e individui.

In un’analisi di Coldiretti, riportata da Rainews del 24 aprile 2020 (“un milione di nuovi
poveri in Italia per effetto della crisi da coronavirus sottolinea che è il tessuto sociale
dell’intero Paese ad essere colpito, soprattutto nelle sue frange più vulnerabili, come emerge
da molti rapporti di settore. Salgono di oltre un milione i nuovi poveri che hanno bisogno di
aiuto anche per mangiare per effetto delle limitazioni imposte per contenere il contagio con la
conseguente perdita di opportunità di lavoro. Questo è quanto emerge dalla stima della
Coldiretti sui primi due mesi dell’inizio del primo lockdown in tutto il territorio Italiano, sulla
base delle persone che hanno beneficiato di aiuti alimentari con i fondi Fead distribuiti da
associazioni come la Caritas ed il Banco Alimentare; i quali registrano un aumento del 40%
delle richieste di aiuto con picchi anche superiori in alcune zone del Paese.

Tra i nuovi poveri, sottolinea Coldiretti, vi sono coloro che hanno perso il lavoro come:
piccoli commercianti o artigiani che hanno dovuto chiudere e non solo, ma anche persone
impiegate nel sommerso che non godono di particolari sussidi o aiuti pubblici. L’articolo,
inoltre, evidenzia che sono presenti persone e famiglie mai viste prima presso i centri di
distribuzione dei pacchi alimentari e alle mense della solidarietà; le quali non avevano mai
sperimentato, fino ad ora, condizioni di vita così problematiche.

2.1. UNA COMUNITA’ VULNERABILE: I SENZA DIMORA

Per quanto non altrettanto aggiornati (ISTAT, 2012; 2015), anche i dati sulla povertà estrema
delle persone senza dimora restituiscono un andamento preoccupante, sia in termini numerici,
sia rispetto alla tendenza alla cronicizzazione del disagio. A questo proposito, quando
l’esperienza di vita in strada si protrae per più di un anno, la ricerca sociale ha evidenziato
come nella persona si attivino una serie di meccanismi disfunzionali, di “adattamento per
rinuncia”, che rendono sempre più complicato l’esito positivo dei percorsi di reinserimento.
Perché avviene questo? Per rispondere è necessario considerare che dietro a una persona
povera non ci sono solo fragilità individuali, ma anche condizioni sociali e culturali che
contribuiscono a generare marginalità ed esclusione. Non è un esercizio immediato: quando a
livello mediatico si tratta il fenomeno dei senza dimora come esito di traiettorie di vita
segnate da dipendenze, deficit personali, violenza, benché ciò spesso sia vero, si finisce per
“de-politicizzare” la questione della povertà estrema, concentrandosi su l'individualità delle

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persone e attribuendo loro la sostanziale responsabilità della situazione in cui si trovano.
Eppure, come autorevoli studiosi hanno evidenziato, nell’attuale società globalizzata i
problemi hanno una dimensione sistemica, che va al di là del singolo.

Il sociologo Zygmunt Bauman ricordava che «l’insicurezza attanaglia tutti noi, immersi come
siamo in un impalpabile e imprevedibile mondo fatto di liberalizzazione, flessibilità,
competitività ed endemica incertezza, ma ciascuno di noi consuma la propria ansia da solo,
vivendola come problema individuale, il risultato di fallimenti personali e una sfida alle doti e
capacità individuali» (BAUMAN, 2001). Si crea così uno scarto tra la genesi sociale del
malessere e il modo in cui ricade sulle persone: il disagio finisce per essere vissuto in
solitudine ed è affrontato dalle politiche di welfare attraverso l’erogazione di servizi e
prestazioni che si configurano come una spesa a fondo perduto per la collettività. Viceversa,
per essere efficace, l’azione di contrasto alla povertà estrema deve puntare a ricomporre le
fratture nel tessuto sociale che alimentano l’emarginazione, facendosi carico della pluralità di
bisogni (abitativo, lavorativo, socio-assistenziale, sanitario) in cui la povertà si manifesta.

Se si adotta questo approccio, assume particolare rilevanza il contesto urbano. La gran parte
delle persone senza dimora, infatti, tende a convergere nelle grandi città: secondo ISTAT,
nel 2014 il 62,5% dei senza dimora vive nelle aree metropolitane a fronte del 4,1% in comuni
capoluogo di piccole dimensioni; a differenza, nel 2011, sempre dai dati ISTAT si evince che
nelle aree metropolitane viveva il 68,8% dei senza dimora e in comuni capoluogo di piccole
dimensioni solo il 2,7%. (ISTAT, 2011, 2014). La grande convergenza, a distanza di anni,
nelle grandi città è sicuramente dovuta alla maggior concentrazione di servizi e infrastrutture.
D’altra parte, paradossalmente, proprio i servizi e le infrastrutture in certi casi possono
riprodurre le condizioni che sedimentano l’emarginazione: la risposta circoscritta ai bisogni
primari (un pasto, un posto letto, protezione dalle condizioni climatiche avverse) finisce per
rendere le persone senza dimora dipendenti dall’aiuto. Se manca uno sguardo sistemico,
capace di comprendere la condizione di emarginazione alla luce delle sue determinanti non
solo individuali ma anche sociali, le misure di sostegno cadono nella distorsione
dell’assistenzialismo e nella rincorsa dell’emergenza, instaurando un meccanismo vizioso in
cui a perdere sono tutti: la politica, i cittadini, le persone vulnerabili. Questo sguardo mette in
discussione tutti i soggetti che operano nel campo del contrasto alla povertà estrema, dal
privato sociale alle amministrazioni pubbliche.

2.2. I SENZA DIMORA: CHI SONO?

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La condizione di persona senza dimora identifica una pluralità di manifestazioni di grave
esclusione sociale, a volte croniche, connesse a fratture profonde dei vissuti, alla scarsità di
risorse e competenze, alla difficoltà di esercizio dei diritti/doveri sociali, all’accesso alle
opportunità. Come la ricerca ha dimostrato da tempo, non esiste un unico profilo sociologico
o psicologico né i bisogni di cui la persona senza dimora è portatrice si esauriscono in un
pasto e un posto letto; vi sono dimensioni ulteriori, immateriali, giuridiche, relazionali, che
toccano alla radice la dignità della persona, a cui tuttavia l’attuale sistema di servizi e
interventi sociali è in grado di fornire spesso solo risposte frammentarie.

Le definizioni che cercano di descrivere la condizione delle persone senza dimora sono
numerose. In sintesi, si possono identificare due orientamenti: uno di tipo statistico,
indispensabile per misurare la portata del fenomeno ma inevitabilmente limitante nella
comprensione più profonda della sua complessità; uno qualitativo, teso a dar conto della
dinamicità e della molteplicità dei vissuti delle persone senza dimora ma certamente più
problematico dal punto di vista della generalizzazione e della descrizione complessiva del
fenomeno.

A livello statistico, il punto di riferimento internazionale è attualmente la classificazione


ETHOS (European Typology of Homelessness and Housing Exclusion), elaborata nel 2005 e
successivamente aggiornata dell'organismo europeo FEANTSA (Fédération Européenne
d’Associations Nationales Travaillant avec Sans-Abri) in tema di disagio abitativo. Con
riferimento specifico al fenomeno delle persone senza dimora è stata formulata la versione
ridotta denominata ETHOS Light (2017), che riconduce la condizione di homelessness alle
seguenti categorie e situazioni:

● persone che vivono in sistemazioni di fortuna: persone che vivono per strada o
in sistemazioni di fortuna senza un riparo che possa essere definito come alloggio.

● persone che ricorrono a sistemazioni di emergenza: persone senza abitazione


fissa che si spostano frequentemente tra vari tipi di dormitori o strutture di
accoglienza.

● persone che vivono in strutture per senza dimora, come centri di accoglienza,
alloggi temporanei, alloggi temporanei con accompagnamento sociale, dormitori o
centri di accoglienza per donne o per rifugiati.

● persone “istituzionalizzate”, che vivono in istituti penali (carceri) o in strutture


sanitarie, che non dispongono di un alloggio prima del rilascio.

● persone che vivono in situazioni abitative non conformi: persone che vivono in
roulotte, strutture temporanee, accampamenti, ecc. non disponendo di una casa.

● persone senza dimora che vivono in coabitazione temporanea con famiglia o


conoscenti per indisponibilità del proprio alloggio abituale o di altre soluzioni
abitative adeguate nel comune di residenza.

La griglia ETHOS Light restringe la condizione di homelessness a criteri oggettivi e


misurabili come sono le condizioni di deprivazione abitativa dal punto di vista strutturale,
giuridico e sociale. La rilevazione del fenomeno a fini statistici richiede infatti di poter
identificare univocamente ed empiricamente chi rientri nella categoria di senza dimora.
D’altra parte, l’assenza o inadeguatezza di un ricovero per dormire e ripararsi non esaurisce

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l’insieme di problematiche e bisogni che affliggono le persone senza dimora.

Tra le definizioni di stampo qualitativo, che cercano di esprimere la multidimensionalità della


deprivazione estrema, particolarmente autorevole è quella formulata dalla fio.PSD
(Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora), secondo cui: «una persona
senza dimora è un soggetto in stato di povertà materiale e immateriale, portatore di disagio
complesso, dinamico e multiforme, che non si esaurisce alla sola sfera dei bisogni primari ma
che investe l’intera sfera delle necessità e delle aspettative della persona, specie sotto il
profilo relazionale, emotivo ed affettivo».

Nonostante la condizione di povertà estrema non sia ascrivibile a cause univoche, vi sono
alcuni tratti ricorrenti nelle storie di vita delle persone senza dimora che mostrano di poter
concorrere allo scivolamento verso questa condizione.

Sono riconducibili a diversi ordini di analisi: da un lato, sono aspetti legati a fragilità
individuali, come malattie, disturbi psichici, abuso di sostanze, “nuove dipendenze”. Anche le
variabili socio-economiche: il livello di istruzione, il lavoro, la rete sociale contribuiscono a
delineare l’esposizione delle persone al rischio di impoverimento ed emarginazione. Vi sono
poi fattori biografici, legati ad accadimenti critici come: un licenziamento, il divorzio, un
lutto, un incidente, una malattia, ecc., i quali richiedono alla persona di attivarsi per
rielaborare e superare la situazione. Ovviamente questi eventi non spiegano di per sé la
caduta in stato di povertà estrema.

D’altra parte, a fronte delle profonde trasformazioni sociali, della rarefazione delle reti
collettive di sostegno, del restringimento del welfare pubblico, essi possono innescare
dinamiche di esclusione, caricando il peso delle difficoltà esclusivamente sulle spalle del
singolo fino al crollo: come è stato affermato «scomparso il contenitore collettivo, rimaniamo
soli ad affrontare problemi che spesso sono generati a livello sistemico, come la crisi
economica che negli ultimi anni ha impoverito la classe media e spinto molte persone in una
condizione di emarginazione che mai avevano immaginato, sentendosi responsabili»
(Bergamaschi, De Luise, 2017). Tutto questo incide maggiormente su chi sconta fragilità
pregresse come malattie, disabilità, vissuti di violenza, deprivazione.

Infine, esiste una dimensione macro-sociale, che riguarda i processi che investono l’intera
società, come la globalizzazione, il dissolvimento del senso di appartenenza e della
solidarietà sociale, la trasformazione delle città, lo sradicamento dai territori e dai tradizionali
centri di aggregazione, la precarizzazione e al contempo l’iper-specializzazione del lavoro, la
trasformazione dei regimi contrattuali. Tutto questo produce conseguenze sui legami
interpersonali, come l’instabilità relazionale, la tendenza a chiudersi nella dimensione
individuale, la paralisi biografica che deriva dall’impossibilità di compiere determinate scelte
di vita.

Le dinamiche che caratterizzano l’attuale società esercitano ricadute importanti sulle


traiettorie di vita delle persone, e rendono l’esposizione al rischio di impoverimento ed
esclusione sociale differente rispetto ad altri momenti storici.

In definitiva, la condizione di senza dimora può essere ricondotta a un intreccio di situazioni


che, in misura diversa a seconda dei casi, discendono da variabili individuali, biografiche,
contestuali. Quanto più l’articolazione di tali situazioni genera fratture nei vissuti, limitazione

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nelle capacità e condizioni di isolamento, tanto più la persona si troverà esposta al rischio di
povertà estrema

2. ESITI DEL COVID-19 SULLA GRAVE EMARGINAZIONE

Come è noto, gli esiti del Covid-19 non sono stati uguali per tutti: le criticità, per le persone
senza dimora, legate alla malattia risultano amplificate e dilatate. Alla maggiore esposizione
ai fattori di rischio sia per infezione che per conseguenze della malattia della prima ondata, si
aggiunge la problematica delle condizioni atmosferiche della stagione invernale successiva
alla seconda ondata.

Per queste persone, caratterizzate da stili di vita malsani, compresenza di più patologie
croniche, problemi di disagio psichico e dipendenza, fragilità relazionali, difficoltà di accesso
a servizi sanitari e strutture di accoglienza, la prevenzione dal contagio non è stato di fatto
possibile nei riguardi di queste persone attuare una politica di sostegno adeguata. Allo stesso
tempo, chi vive in strada ha subito in modo più marcato le conseguenze del lockdown: con la
chiusura delle attività e le città deserte, i senza dimora non hanno potuto nemmeno contare
sulla solidarietà di cittadini e commercianti, con il conseguente aggravamento dei bisogni
primari in termini di cibo e igiene, maggior solitudine e isolamento. E così seppure venga
spesso affermato che il Covid-19 colpisce qualsiasi individuo senza esclusione, gli esiti della
malattia non sono equi ma correlati a determinati fattori sociali e di rischio fortemente diffusi
nella comunità dei senza dimora, come la carenza di reddito, i bassi livelli di istruzione, la
scarsa coesione sociale e la disoccupazione.

Le principali raccomandazioni di prevenzione del contagio quali: l’utilizzo della mascherina


e l’osservazione delle norme igieniche, risultano particolarmente complicate in questo
contesto, sia per la scarsa accessibilità alle stesse, sia per la scarsa disponibilità personale di
molti individui senza dimora a seguire norme prescrittive. In particolare, nelle fasi iniziali
della pandemia vi è stata una cronica assenza di dispositivi di protezione individuali da
distribuire. Per molti soggetti è stato proprio impossibile rispettare l’isolamento domiciliare,
proprio a causa dell’assenza di una casa. Come viene sottolineato da Michele Marra,
epidemiologo sociale all’interno delle attività del progetto COVID-19, Italy and
Vulnerabilities della regione europea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), si è
arrivati poi ai paradossi registrando in molte aree individui multati per non essere rimasti
presso un’abitazione o una struttura di cui non potevano disporre.

In un articolo di Vita, mensile dedicato al racconto sociale, al volontariato, alla sostenibilità


economica e ambientale e, in generale, al mondo non profit, viene riportata una lettera scritta
e firmata dal Presidente, Cristina Avonto, della federazione Italiana Organismi per le Persone
Senza Dimora indirizzata al Ministro degli Interni e al Ministro del Lavoro e delle Politiche
Sociali. Nel rapporto si sottolinea la condizione che vive la sopracitata categoria durante la
pandemia, persone che vivono per strada, in alloggi precari e insicuri, in promiscuità e in
condizioni igieniche precarie se non del tutto assenti. Queste condizioni vengono accentuate
dalla solitudine, dalla chiusura o limitazioni di servizi essenziali (come pasti caldi, mense al
coperto, docce, centri di ascolto), dalla carenza di informazioni e di strumenti per prevenire la
diffusione della pandemia. Cristina Avonto denuncia quanto per queste persone sia
impossibile rispettare le indicazioni dei Dpcm e delle ordinanze regionali proprio perché le
categorie in questione non possono attenersi alle norme prescritte dall’emergenza, in quanto
prive dei requisiti richiesti dal decreto stesso.

Quello che viene richiesto alle istituzioni e autorità competenti dalla Federazione Italiana

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Organismi per le Persone Senza Dimora è di pronunciarsi con una indicazione di metodo
destinata alle forze incaricate dei controlli. “Le persone intercettate per strada e che
dichiarano di essere senza dimora vanno accompagnate presso i servizi attivi del territorio,
oppure devono essere attivate le unità di strada presenti nel Comune.”

In conclusione, la Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora porta alla
luce le problematiche e criticità sorte con le misure per contenere la diffusione da Covid-19;
in quanto alcune di queste misure vanno a colpire le persone senza dimora che vengono
multate e denunciate perché non possono rimanere in una casa che non hanno.

Successivamente all’appello lanciato al Governo per cercare di sollevare il problema,


Avvocati di Strada ha realizzato un piccolo vademecum per aiutare le persone senza dimora a
superare questa fase, nella speranza che possano essere utili.

Le due indagini nazionali pubblicate dall’Istat il 9 ottobre 2012 e il 10 dicembre 2015 sulle
persone senza dimora e sui servizi ad essi dedicati, emerge un quadro conoscitivo del
fenomeno della grave emarginazione adulta in Italia che presenta una leggera crescita, in
quanto i senza dimora sono passati da poco meno di 48 mila nel 2011 ad oltre 50 mila nel
2014. Svolta su 158 comuni italiani, selezionati in base alla loro ampiezza demografica,
l'ultima indagine conferma le principali caratteristiche delle persone senza dimora: si tratta
per lo più di uomini (85,7%), stranieri (58,2%), con meno di 54 anni (75,8%) o con basso
titolo di studio (solo un terzo raggiunge almeno il diploma di scuola media superiore). La
proporzione rilevata accentua la differenza tra i nuclei familiari composte da più persone
(dall'8% al 6%) e da chi si ritrova a vivere solo (da 72,9% a 76,5%) con le conseguenze che
esso determina; senza dimenticare quelli che possono essere le problematiche di famiglie
monoreddito con figli.

I dati raccontano che la maggior parte di queste persone, prima di diventare homeless, viveva
nella propria casa; quasi un terzo risulta occupato in lavori a termine, saltuari e a bassa
qualifica, senza quindi percepire un reddito dignitoso.

Concentrati soprattutto nelle grandi città che vivono in strada o in sistemazioni di fortuna o
strutture di accoglienza notturna. Si tratta di una “comunità”, probabilmente, destinata a
crescere a causa soprattutto dell’emergenza sanitaria che ha investito il nostro territorio.

Nonostante un gran numero di senza dimora si siano nel tempo avvicinati ai servizi pubblici e
privati attraverso l’inserimento in strutture di accoglienza, permane uno “zoccolo duro”,
costituito da almeno un migliaio di persone, che fatica ad inserirsi in percorsi di inclusione
sociale, anche di bassa soglia.

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Sono tantissime le testimonianze provenienti dalle associazioni operanti sul territorio che
parlano di un forte aumento delle domande di presa in carico da parte di famiglie rimaste
senza lavoro e senza più un reddito, non in grado di soddisfare le spese primarie, tra le quali,
oltre alle spese alimentari, anche le spese per l’abitazione, come riporta Michele Marra.

3. IMPATTO DELLA PANDEMIA SULLE PERSONE SENZA DIMORA

Lo svantaggio implicato dalla pandemia sulle persone senza dimora riguarda anche la
mancanza di mezzi per capire, come riportato in precedenza, quanto effettivamente stava
accadendo e le motivazioni alla base del repentino cambiamento imposto alla loro
quotidianità. A questa situazione si è sommato il pregiudizio diffuso all’interno di alcune
comunità secondo il quale le persone senza dimora sarebbero portatrici del virus, per questo
pericolose e da allontanare.

Le Persone senza dimora, come viene riportato da interviste raccolte dal Report “l’impatto
della pandemia sui servizi per le persone senza dimora”, presentavano un atteggiamento
ostile, da un lato vi era l’idea che le persone senza dimora fossero portatrici del virus e per
questo pericolose, dall’altro, quest’ultimi convinti di essere vittime di un pregiudizio
negativo: non potevano più stare in strada e avvicinare le persone, dovevano indossare la
mascherina, i guanti, disinfettare spesso le mani.

Soprattutto all’inizio del lockdown, come riporta il report Instant , era diffuso un
atteggiamento ostile nei confronti degli operatori che chiedevano a loro di cambiare le loro
abitudini di vita.

La libertà di queste persone veniva meno per cedere il passo ad una quotidianità fatta di
restringimenti, di regole di convivenza forzata. Il lockdown aveva fatto perdere i punti di
riferimento all’interno della loro quotidianità. Le città si svuotavano e le persone senza
dimora erano costrette a cambiare i loro punti di riferimento.

All’atteggiamento di iniziale ostilità agito dai homeless nei confronti degli operatori che
chiedevano loro di rivoluzionare le proprie abitudini e punti di riferimento, ha fatto seguito lo
sviluppo di una lenta e graduale capacità di accettazione, adattamento e partecipazione.
Questo è dovuto ad un rinnovamento della base operativa dei servizi che ha comportato delle
conseguenze in termini di formazione, organizzazione interna e logistica dei servizi.

In particolare, le attività messe in campo dagli operatori dell’informazione e condivisione


delle notizie relative alla pandemia e dell’importanza delle misure di protezione, hanno
contribuito a stimolare un senso di responsabilità collettiva.

Gli operatori si sono attivati per mettere in sicurezza le persone presenti stabilmente nei
servizi o che facevano accesso agli stessi, fornendo loro i dispositivi di protezione necessari e
assicurando il servizio con modalità operative differenti sperimentate direttamente sul campo.
E’ stato essenziale e importante informare, sensibilizzare, orientare le persone su quanto stava
accadendo, cercando di far accettare loro un cambiamento nelle abitudini che inevitabilmente
ne sarebbe seguito.

Le difficoltà legate alla condivisione degli spazi con altre persone, condizione non facile per
chi è abituato a vivere in piena libertà, e alla co-gestione delle attività in funzione alle nuove
esigenze imposte dalla pandemia, hanno progressivamente portato, in alcuni casi, a una
ridefinizione dei ruoli, delle relazioni interpersonali e ad una maggiore consapevolezza

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rispetto alle caratteristiche personali e progetti di vita futuri delle persone senza dimora.

Le situazioni vissute dai senza dimora si sono diversificate sulla base dei contesti sociali e dei
servizi offerti da ogni territorio, ma in generale i fattori che accomunano gli homeless si
possono sintetizzare in maggiore solitudine, maggiore isolamento e aggravamento dei bisogni
primari come: cibo igiene etc.

Inoltre, è stato osservato che la pandemia ha provocato in tanti senza dimora rimasti in strada,
un incremento di alcuni stimoli di scarsa salute mentale, quali angoscia, ansia, una grave
insonnia (talvolta auto-medicata con l’abuso di alcool) e disturbi somatoformi tali da essere
ascritti, in alcuni casi, in un disturbo acuto da stress e che possono sfociare in disturbi post
traumatico da stress. L’impatto della pandemia sulla salute non è ancora stato quantificato in
termini di vite e di altri indicatori di salute, ma è chiaro che all’impatto direttamente associato
all'infezione da covid-19, sarà da aggiungere un aumento del burden of disease ( nonché una
misura dell’impatto complessivo di una malattia che tiene conto sia della disabilità che della
morte precoce) del futuro prossimo, causato dalla riduzione dell’assistenza e dell’effetto del
peggioramento dei determinanti sociali della salute, di cui si cominciano a intravedere gli
effetti.

4.1. I SERVIZI RIVOLTI ALLA GRAVE EMARGINAZIONE ADULTA

Nel dicembre del 2015, con la pubblicazione da parte del Governo italiano delle Linee di
indirizzo per il contrasto alla grave emarginazione adulta in Italia, l’homelessness viene
riconosciuta come ambito di intervento sociale, aggiungendosi alle categorie socio-
assistenziali consolidate dell’azione pubblica.

Alla grave emarginazione adulta quale area di intervento dell’azione pubblica, viene attribuita
una posizione sociale e un insieme eterogeneo di individui sono riconosciuti come parte
integrante della collettività politica. Il senza dimora è definito come figura che necessità di un
intervento sociale e a tal fine viene istituita un’area distinta di servizi ad esso esclusivamente
destinata. (Ripensare la città: senza dimora e intervento sociale, Maurizio Bergamaschi,
2017)

4.2. I SERVIZI CHE CAMBIANO

Le trasformazioni intervenute nel trattamento dell homelessness sono rivelatrici e aiutano a


comprendere dinamiche in atto nelle città e nei loro sistemi di protezione sociale.

A partire dalla prima età moderna, l’azione dei poteri pubblici nei confronti del
vagabondaggio e della mendicità oscilla tra repressione e assistenza.

In età moderna viene definita una nuova politica sociale di Governo che risponde alla logica
dell’esclusione mediante la reclusione. Adottata dalle autorità locali, essa si applica ad un
ampio spettro di figure, accusate di turbare l’ordine dello spazio sociale. Per sopprimere la
povertà, si rinchiusero i poveri non meritevoli del soccorso pubblico. Adottarono, inoltre, una
rigorosa ripartizione differenziale dello spazio urbano, strutturata dalla dicotomia
dentro/fuori. La dinamica della separazione orientata ad aumentare la distanza tra la città e i
suoi poveri e non potendola sradicare era necessario rendere invisibili i poveri, ed in questa
prospettiva, ordine sociale e ordine urbano si combinano e rimandano l’uno all’altro.

Solamente nel Ventesimo secolo, periodo investito da processi di industrializzazione e

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urbanizzazione, nasce una nuova riformulazione della questione sociale, applicati poi,
successivamente, in tutta Europa nuovi dispositivi di gestione e controllo delle forme estreme
assunte dalla povertà urbana.

Ignorato dai sistemi di Welfare europei, in quanto non classificabile nelle categorie di
intervento e considerato come soggetto cui non sono assicurati prestazioni e diritti sociali,
diventa una figura residuale dell’intervento pubblico.

Nascono, nelle città europee, luoghi di relegazione spaziale, in particolare dormitori, i quali
si limitano ad assicurare un posto letto all’interno di grandi camerate, liberato nella prima
mattinata, garantendo unicamente una soluzione notturna. Al loro interno non era presente
nessuna figura professionale.

Dalla seconda metà degli anni Ottanta, inizialmente a livello locale, si affermarono nuove
forme di intervento a contrasto della grave emarginazione: molte strutture di accoglienza
notturna vengono ristrutturate, vengono attivati nuovi servizi, coinvolte nuove figure
professionali nella gestione dell'ospitalità e dell’accoglienza.

Tale processo si è concluso con l’approvazione da parte del Governo delle Linee di indirizzo
per il contrasto alla grave emarginazione adulta in Italia.

In questo contesto ha svolto un importante ruolo la Federazione Italiana degli Organismi per
le Persone Senza Dimora, in quanto ha contribuito a rappresentare il punto di vista e i diritti
degli homeless, sostenendole e promuovendo la partecipazione alle decisioni che riguardano
le persone senza dimora.

Tra gli anni Ottanta e Novanta, la “Grande Trasformazione” dell’intervento sociale ha dato
possibilità di poter destinare un “posto” ai senza dimora, figure emblematiche dell’esclusione
sociale, che sono divenute target group di dispositivi specifici gestiti, nella maggior parte dei
casi, dal terzo settore e finanziati dall’Ente Locale.

LA FEDERAZIONE ITALIANA DEGLI ORGANISMI PER LE PERSONE SENZA DIMORA

La fio.PSD nasce all'inizio degli anni novanta in seguito ad un importante convegno svoltosi
a Brescia; un incontro tra gli operatori dei servizi senza dimora provenienti da differenti città
e regioni Italiane. Tra le diverse finalità della Federazione, oltre a quelle canoniche di
promozione e sensibilizzazione del problema degli attori istituzionali e non, alla
rappresentazione nelle opportune sedi dei bisogni e degli obiettivi degli organismi e servizi, si
collocava anche la proposizione di momenti di studio e formazione al problema dei senza
dimora ed in genere al problema della grave emarginazione adulta.

A metà degli anni novanta, in alcune città, si avviarono i primi progetti e programmi di
“Emergenza Freddo” che impegnava varie amministrazioni pubbliche con la finalità di
attivare programmi e progetti a protezione delle persone che vivono in strada, avviando una
progettualità che prevede dei percorsi oltre che di protezione anche di ri-uscita dalla strada.

Fino agli anni Duemila, il servizio socio-sanitario era disciplinato dalla legge 17 luglio 1890,
n.6972, cosiddetta “Legge Crispi”; la quale ,trasformò le Opere Pie in Istituti pubblici di
assistenza e beneficenza, che passarono sotto il controllo pubblico dei Comuni, attraverso le
Congregazioni di Carità. La legge offre al sistema delle Opere Pie personalità giuridica.

In un secondo momento, con la Legge 328 del 2000 intitolata "Legge quadro per la
12
realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali", si pone l’obiettivo di
promuovere interventi sociali, assistenziali e socio-sanitari che possano garantire un aiuto
concreto alle persone e alle famiglie in difficoltà. Lo scopo principale della legge, oltre, la
semplice assistenza del singolo, è il sostegno della persona all’interno del proprio nucleo
familiare. La qualità della vita, la prevenzione, la riduzione e l'eliminazione delle disabilità, il
disagio personale e familiare e il diritto alle prestazioni sono gli obiettivi della legge.

Con la sua approvazione, per la prima volta, viene istituito un fondo nazionale per le politiche
e gli interventi sociali, aggregando e ampliando i finanziamenti settoriali esistenti e
destinandoli alla programmazione regionale e degli enti.

Attraverso l’entrata in vigore di tale legge il servizio per la grave emarginazione adulta
diventa parte integrante del servizio per il disagio adulto e gli interventi per istituire un
alloggio e un’opportunità lavorativa diventano interventi prioritari per contrastare il disagio
più grave e l’emarginazione adulta.

4.3. RIORGANIZZAZIONE DEI SERVIZI RIVOLTI ALLE PERSONE SENZA DIMORA

Prima dell’esplosione dell’emergenza sanitaria, i servizi rivolti alle persone senza dimora
garantivano una reintegrazione di queste ultime all’interno del tessuto sociale, attraverso
l’acquisizione di competenze mediante la partecipazione a varie attività con differenti
finalità: educative, lavorative, linguistiche etc.

Nello specifico, le prestazione effettuate si possono suddividere in: Servizi volti a erogare un
aiuto temporaneo ed immediato, come mense, centri diurni, centri con servizi docce, e in
servizi volti ad una reintegrazione delle persone senza dimora all’interno della comunità,
attraverso una presa in carico.

I servizi rivolti al contrasto della grave emarginazione adulta, con l’inizio della pandemia,
hanno dovuto riorganizzare velocemente il proprio assetto funzionale a causa della necessità
di distanziamento fisico posta dalle norme per contrastare l’emergenza sanitaria.

Le principali esigenze emerse durante il periodo di Lockdown si ricollegano alla necessità di


mettere in sicurezza le persone presenti nei servizi (volontari, utenti e operatori), fornendo
loro i dispositivi di protezione necessari e assicurando al servizio mediante modalità
operative inedite; e, infine, la necessità di informare e sensibilizzare le persone sulla
pandemia in atto, stimolando l'accettazione del cambiamento.

Al fine di ridurre il rischio dei contagi, quei servizi improntati all’ascolto e alla ricezione
delle domande, hanno ridotto o completamente annullato gli incontri in presenza utilizzando
come modalità principale di erogazione del servizio gli incontri telefonici oppure su
appuntamento, una modalità operativa mantenuta ed adottata anche nella fase successiva
dell’emergenza.

La pandemia ha colpito, in particolare, i dormitori e le grandi strutture di accoglienza che


hanno dovuto mettere in atto una serie di processi ri-organizzativi, al fine di limitare il rischio
di contagio e garantire il distanziamento fisico delle persone accolte. Questi servizi hanno
dilatato gli orari di apertura e consentito alle persone accolte di trascorrere le ore diurne
all’interno della struttura. Una strategia di coping rapida e necessaria per garantire la
continuità delle accoglienze, proteggere le persone presenti dal rischio di contagio in strada e
garantire una sicurezza maggiore sul luogo di lavoro per gli operatori. Inoltre, gli spazi fisici

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sono stati rimodulati per garantire una fruibilità qualitativamente diversa dei servizi.

Anche le mense hanno riorganizzato la loro attività, assicurando pasti da asporto e


intercettando al tempo stesso una platea di beneficiari più ampia rispetto al periodo
precedente al Covid-19.

Durante la fase più acuta dell’emergenza sanitaria le Unità di Strada, le cui caratteristiche
operative e modalità di contatto “onside” delle persone in condizione di grave disagio hanno
comportato una ri-organizzazione sul fronte interno (dei volontari, operatori e dei mezzi usati
per portare in strada il servizio) che ha richiesto un tempo maggiore e a volte una breve
sospensione dell’attività. Allo stesso tempo quando tanti servizi sul territorio erano chiusi, le
Unità di Strada rimaste attive hanno fornito alle persone in strada informazioni e indicazioni
sui servizi ancora disponibili e si sono prestate per la distribuzione dei pasti e dei dispositivi
di protezione individuale; tutto questo per evitare che le persone andassero presso le mense e
i dormitori, già saturi. Oltre a garantire un sostegno assistenziale e sanitario cercano di creare
con gli individui una relazione .

Nei servizi a bassa soglia, ovvero quei servizi che si caratterizzano per la possibilità di
accesso diretto da parte dell’utenza senza l’obbligo di invio formale da parte di assistenti
sociali, è stato impossibile mantenere le norme di sicurezza che le linee guida per il
contenimento del Covid-19 hanno imposto.

Il modello di accoglienza per le persone che si trovano sprovviste di un’abitazione presenta


una problematicità importanti ma, come in altri casi, le conseguenze della pandemia
esasperano le condizioni in cui si trova la popolazione in condizione di grave emarginazione
sociale e rendendo ancora più visibili e significative le criticità del paradigma di intervento
predominante.

Allo stesso tempo, vi è la presenza di persone che si trovano in condizioni di maggiore tutela
poiché hanno avuto accesso a programmi di Housing First, e dunque a un vero e proprio
alloggio.

Il programma sopracitato prevede l’uso di appartamenti per l’accoglienza. In questi casi,


infatti, avere una abitazione in cui rimanere durante il lockdown è stato fondamentale per
garantire la sicurezza degli ospiti. Dal punto di vista operativo, le équipe hanno ridotto gli
accessi domiciliari, per salvaguardare la salute delle persone e degli operatori e volti a
diminuire le occasioni di contatto, compensati comunque dai contatti telefonici.

Il programma di Housing first ha avuto la capacità di offrire sicurezza fisica agli ospiti e di
far emergere le risorse delle persone senza dimora e di metterne alla prova la capacità di
autonomia e responsabilizzazione, e, da ultimo, di garantire un vero e proprio
accompagnamento personalizzato alle persone accolte.

A livello nazionale non vi è uniformità di interventi vincolante, per cui la predisposizione


degli interventi è lasciata in gran parte all’iniziativa delle singole amministrazioni locali. E’
mancata, quindi, una strategia coordinata a livello nazionale di protezione delle persone senza
dimora dalla pandemia Covid-19 e tanto più risorse dedicate.

Come riportato nella rassegna stampa del 16 Novembre 2020, pubblicata da fio.PSD, la
governance dell’emergenza è stata delegata a livello regionale e spesso alla creatività,
all’intraprendenza e alla “resistenza” messa in atto dal mondo del terzo settore e

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dell’associazionismo. In particolare, soluzioni e sperimentazioni per tentare di approcciare i
bisogni dei senza dimora e di dare continuità ai servizi sono state osservate quasi
esclusivamente laddove la gestione del problema è più radicata e dove vi erano risorse ad hoc
già stanziate.

Daniela Leonardi, dottoressa di Ricerca Sociologia Applicata e Metodologia della Ricerca


Sociale, nel suo articolo “La pandemia raccontata dalla Bassa Soglia”, nel quale propone
alcune riflessioni sull’attuale contesto di emergenza provocato dalla pandemia in corso,
focalizzando lo sguardo sui servizi per le persone senza dimora, al suo interno riporta un
modello di intervento utilizzato durante la pandemia, il quale prevede il passaggio da un
servizio di livello inferiore a uno di livello superiore in base ad una logica progressiva fino a
raggiungere una condizione di autonomia abitativa, che prende il nome di “Staircase
Approach”. La dottoressa Leonardi, considera tale paradigma come un intervento
predominante, in sintesi, i servizi di accoglienza notturna si convertono, durante la pandemia
Covid-19, in strutture polifunzionali aperti anche nelle ore diurne, garantendosi come punto
informativo e di distribuzione di dispositivi di protezione individuali; inoltre, offrendo la
disponibilità di bagni e servizi doccia.

Sono comunque rimaste delle criticità nell’intervento tempestivo in quanto molte persone
sono rimaste in strada perché le nuove accoglienze erano bloccate, non avendo lo spazio
fisico per nuovi ingressi. I centri ascolto, gli sportelli e il segretariato sociale, durante la
pandemia, sono stati chiusi al pubblico. A differenza, nei primi permangono operativi e
collaborativi con la rete.

L’interruzione dei colloqui, delle prese in carico e dei progetti personalizzati ha provocato un
fattore di rischio per le persone a cui erano rivolti.

Aumenta, inoltre, la richiesta di aiuto da parte di “ nuovi gruppi a rischio di povertà ( badanti,
colf, lavoratori in nero, lavoratori saltuari…).

Per prevenire i contagi e contenere l’affollamento e per gestire la quarantena fiduciaria,


periodi di sorveglianza sanitaria e isolamento fiduciario di persone senza dimora, vengono
messi a disposizione dal Comune, dal terzo settore e dal patrimonio ecclesiastico alloggi per
l’accoglienza. Non solo, vengono utilizzati anche alberghi convenzionati con posti letto a
richiesta da parte di ospedali e centri di accoglienza, strutture multipiano messe a
disposizione dalle Regioni per ospitare Persone senza dimora, persone vulnerabili, persone
positive asintomatiche e potenzialmente assistibili a domicilio.

Sempre per gestire la quarantena e il periodo di isolamento fiduciario, per persone che ne
necessitano, vengono offerti alloggi singoli co-gestiti da Comune (alloggio), aziende
sanitarie locali (monitoraggio per tenere controllato la condizioni di salute) e dal terzo settore
(garantendo un supporto socio-assistenziale).

Per le esigenze sanitarie imposte dalla pandemia, i servizi di accoglienza per le persone senza
dimora hanno dovuto limitare o negare nuove accoglienze, con la conseguenza di lasciare
fuori chi si è ritrovato in strada durante il lockdown. Tuttavia, come viene riportato dal report
“L’impatto della pandemia sui servizi per le persone senza dimora”, alcune amministrazioni
locali o le stesse organizzazioni hanno messo a disposizione ulteriori spazi in grado di
accogliere quanti ne facevano richiesta. La chiusura, totale o parziale, verso nuovi ingressi ha

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interessato anche quei servizi, come le docce, il guardaroba e la distribuzione di indumenti,
settori più sensibili per un possibile contagio, anche perchè questi servizi rappresentano
spesso importanti occasioni di socializzazione tra gli ospiti.

Nei servizi aperti gli ingressi sono stati contingentati, su appuntamento, oppure aperti
solamente alle persone già inserite all’interno di altri servizi. Questo, in parte ha alleggerito il
lavoro degli operatori, impegnati non solo nelle accoglienze ma anche nelle operazioni
gravose di sanificazione degli ambienti, dall’altra parte, ha prodotto una riduzione degli
accessi e quindi un effetto negativo sulla vita delle persone senza dimora.

Dove si sono verificati casi di positività ha richiesto non solo l’individuazione di spazi isolati
in strutture già piene o di nuovi spazi, ma anche, la ricollocazione di risorse umane ed
economiche. Essa è stata completamente a carico degli operatori senza alcun supporto da
parte dei servizi sanitari pubblici. Anche nel campo dell’accoglienza alle persone senza
dimora, l’emergenza ha fatto emergere tutte le fragilità dell’integrazione socio-sanitaria sui
territori. La reazione dei servizi è stata, tuttavia, rapida e di adattamento, e ha portato
all’adozione di soluzioni, come l’utilizzo per l’isolamento di uffici chiusi al pubblico, camere
di albergo, ex residenze assistite.

4.4. OPERATORI ALL’INTERNO DI SERVIZI

Gli effetti della pandemia hanno prodotto importanti impatti anche sul lavoro degli operatori,
volontari e altre figure coinvolte nell’erogazione dei servizi di supporto per le Persone Senza
dimora.

L’instant Report “L’impatto della pandemia sui servizi per le persone senza dimora” curato
da Iref, Fio.PSD in collaborazione con Caritas Italiana, porta alla luce gli effetti che la
pandemia, non solo ha prodotto, ma sta producendo sulla grave marginalità adulta, la quale,
non ha impattato solamente sulle persone senza dimora, ma ha anche inciso sul lavoro degli
operatori e volontari; che si sono trovati ad affrontare i problemi connessi all’emergenza
sanitaria nel pieno di una situazione già di per sé critica: nella quale il personale aveva un
carico di lavoro elevato, derivante dalla messa in atto dei programmi del “Piano Freddo”,
finalizzati ad offrire una sistemazione notturna per fronteggiare le conseguenze delle basse
temperature. L’esplosione dei contagi da Covid-19 ad inizio Marzo ha causato il ribaltamento
dei piani prima programmati: imponendo una serie di adattamenti e reazioni da parte degli
addetti ai lavori.

In un momento iniziale, nel contesto delle primissime fasi dell’emergenza predomina


l’obiettivo di ricostruire le condizioni per dare continuità ai servizi; inoltre, come viene
trattato dal Report sopracitato, i piani di ri-organizzazione hanno dovuto tenere conto delle
inevitabili inquietudini degli operatori, ricostruendo la motivazione e la fiducia. Solo in un
secondo momento, è stato possibile osservare una ripresa, più o meno a pieno ritmo, dei
servizi rivolti alle persone senza dimora e pertanto è prevalsa la spinta verso la mobilitazione
al fine di assicurare la migliore prestazione possibile.

I cambiamenti hanno riguardato alcuni aspetti specifici. Primariamente è mutata la tipologia e


la numerosità del personale a disposizione: si è assistito ad un assottigliamento del numero
del personale all’interno delle strutture, in accordo con le disposizioni del Governo e con le
raccomandazioni dei medici del lavoro interni ai vari enti, sono stati esonerati dal servizio
volontari e operatori in età avanzata, immunodepressi o in condizioni di fragilità. Inoltre, si
sono aggiunte le scelte personali di coloro che, mossi da preoccupazioni per la salute propria

16
e della propria famiglia, hanno preferito ridurre il rischio di contagio, restando a casa.

A fronte della carenza di personale, colpendo così molte strutture, ha fatto seguito l’afflusso
inaspettato di nuovi volontari di giovane età, che ha condotto in alcuni casi ad un vero e
proprio “ribaltamento del profilo tipo” dei volontari. La partecipazione di giovani è stata
stimolata da appelli ad hoc veicolati dai media. Questo rinnovamento della base operativa dei
servizi ha avuto delle conseguenze in termini di formazione, organizzazione interna e
logistica dei servizi.

L’esigenza di rendere operative ventiquattr'ore su ventiquattro le strutture destinate


all’accoglienza delle persone senza dimora e la diminuzione del personale a disposizione
hanno provocato un aumento sensibile dell’orario di lavoro, al fine di poter garantire la
continuità del servizio, in particolare, è stata richiesta agli operatori ancora attivi una
maggiore reperibilità che si è concretizzata nel passaggio a turni lavorativi più lunghi. Sono
aumentati anche il senso di smarrimento e disorientamento degli operatori, e la necessità di
ricevere maggiori indicazioni per fronteggiare una situazione estranea alle procedure
standard.

Le conseguenze comportate dall’estensione degli orari di lavoro, dai cambiamenti a livello


sociale, economico, sanitario e, in generale, alla richiesta di un “nuovo modo di vivere”,
hanno generato negli operatori forti ripercussioni sul morale e sul loro stato d’animo, messi a
dura prova. Dal Report “l’impatto della pandemia sui servizi per le persone senza dimora”
vengono riportate le testimonianze degli operatori, nelle quali emergono i loro sentimenti di
paura e apprensione per la propria salute e per quella dei colleghi. Dalle interviste si evince il
bisogno degli operatori di comunicare con maggiore frequenza cosa si stava facendo e come
tale richiesta era rivolta sia ai coordinatori e responsabili, sia agli operatori stessi: l’ansia per
la situazione che si stava vivendo andava in qualche modo condivisa.

Nel vissuto personale degli operatori si evidenzia, inoltre, una dinamica di rinforzo della
pressione psicologica. Non può essere, infatti, trascurabile il ruolo della comunicazione
pubblica: “ E’ stato necessario gestire le reazioni alle notizie riportate dai media, spesso
caratterizzate da un frame di allarme. News il più delle volte discordi se non addirittura in
contraddizione tra loro, ha avuto l’effetto di intensificare alcuni segnali di rischio, con il
conseguente impatto sulle reazioni emotive e comportamentali, degli operatori così come
degli ospiti.” (Report Instant,”Intervista ad un operatore”, 2020).

A fronte delle difficoltà il mondo che assiste le persone senza dimora è, come sottolineano i
ricercatori “un settore che non si è mai fermato” e il racconto emerso dalle interviste è quello
di enti che hanno mostrato una capacità di gestire scenari di emergenza mai visti prima, di
una resilienza territoriale fatta di capacità organizzative, strategie di adattamento continuo,
operatori agili, reti, soluzioni creative e condivise, attivazione di un ripensamento dei servizi
per le persone senza dimora che superassero la logica stringente dei servizi bassa soglia, un
clima di collaborazione, anche tra operatori e persone ospiti, che è stata un elemento di forza
per poter fronteggiare le settimane di emergenza.

Si evince, in generale, che la gestione degli operatori e dei volontari, a fronte delle carenze di
personale, è stato uno degli aspetti più complessi, particolarmente per quanto riguarda la
dimensione psicologica.

Dopo un inizio di ri-organizzazione, presi da un forte spirito di solidarietà, sono sorte


strategie di adattamento alla pandemia che hanno permesso alle organizzazioni di fare il

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proprio lavoro nel migliore dei modi possibili.

Uno dei primi elementi di cambiamento che emerge dalle interviste fatte dal Report Instat
“l’impatto della pandemia sui servizi per le persone senza dimora” riguarda il ruolo che
operatori e volontari rivestono all’interno della struttura organizzativa , se infatti prima della
pandemia alcuni addetti erano impegnati in mansioni specifiche, con le nuove necessità
organizzative ha visto “de-qualificare” il proprio ruolo ad un carattere più generale, in base
anche alla necessità del momento.

Con il diffondersi dell’emergenza sanitaria il focus, prima l’impegno delle strutture era quello
di reintegrare le persone senza dimora nel tessuto sociale attraverso l’acquisizione di
competenze all’interno di laboratori e seguiti da personale specializzato, si sposta verso le
prime e più impellenti necessità, costringendo le organizzazioni ad abbandonare i progetti più
complessi a vantaggio di incarichi come l’aiuto nelle mense, il monitoraggio dell’afflusso
nelle docce, la pulizia dei locali o la sicurezza.

La gran parte degli enti impegnati nella gestione dei servizi per le persone senza dimora
agisce all’interno di una rete di collaborazioni, accordi, partenariati, più o meno sollecitati
dagli enti pubblici. Questa modalità operativa è stata messa a dura prova dalla pandemia.
Molte organizzazioni , nell’incertezza, hanno mantenuto i servizi che erano in grado di
controllare autonomamente e si sono limitati i contatti con gli altri enti ad un coordinamento
minimo.

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4. INTERVENTI E PROGETTI DELLA REGIONE EMILIA ROMAGNA IN
CONTRASTO ALLA GRAVE MARGINALITA’ ADULTA

Le azioni della Regione Emilia Romagna sulla grave marginalità fanno riferimento alle
"Linee di indirizzo per il contrasto alla grave emarginazione adulta" approvate in sede di
Conferenza Unificata Stato-Regioni il 5 novembre 2015.
Tali Linee di indirizzo, per la prima volta, disegnano il sistema di servizi e prestazioni in un
settore caratterizzato da diverse criticità ed in cui, storicamente, la maggior parte dei servizi
ha avuto origine da organismi di volontariato.
La condizione di povertà estrema è il risultato di fattori sociali, sanitari, economici e
psicologici che conducono alla deprivazione ed alla marginalità.

Le linee di indirizzo hanno guidato la progettazione coordinata dalla Regione del progetto
"INSIDE" (Interventi Strutturati e Innovativi per contrastare la grave emarginazione adulta
senza Dimora in Emilia-Romagna) finanziato dall'Avviso pubblico n. 4/2016 Decreto
Direttoriale n. 256 del 3.10.2016 PON "Inclusione" FSE 2014-2020 e PO I FEAD 2014-
2020.
Il progetto INSIDE ha la finalità sia di potenziare la rete dei servizi per il pronto intervento
sociale e il sostegno delle persone senza dimora nel percorso verso l’autonomia, sia di
attivare interventi innovativi (housing first, unità di strada, etc.). Sostiene, inoltre, i servizi e
gli interventi a bassa soglia, quali la distribuzione di beni di prima necessità (indumenti,
prodotti per l’igiene personale, kit di emergenza, etc.); il progetto si rivolge agli Enti
territoriali con i quali il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali hanno messo a
disposizione risorse per finanziare interventi conformi alle "Linee di Indirizzo per il
contrasto alla grave emarginazione adulta in Italia".
La Regione Emilia-Romagna ha presentato un unico progetto che vede come attuatori delle
progettazioni territoriali i Comuni di Piacenza, Parma, Modena, Reggio Emilia, Ferrara,
Ravenna, Rimini e l’Unione dei Comuni della Valle del Savio per Forlì e Cesena.
Grazie al progetto INSIDE si è costituito nel 2018 un Tavolo tecnico di coordinamento
regionale di cui fa parte, fin dall'inizio, anche la Città Metropolitana di Bologna, destinataria
di fondi nazionali specifici e che si è allargato anche ai Comuni destinatari delle risorse
nazionali. Il Tavolo tecnico è luogo di condivisione e di confronto da cui emergono anche

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eventuali bisogni di approfondimento e formativi nell'ambito del contrasto alla grave
emarginazione adulta.
Non si tratta dell'unico progetto attivo in Emilia-Romagna: la Città metropolitana di Bologna
ha infatti un proprio progetto con un’assegnazione di specifiche risorse. La Regione, in
collaborazione con ARTE-E, svolge le funzioni di coordinamento tecnico e gestionale,
monitoraggio e supporto alle azioni territoriali. Gli ambiti territoriali realizzano le azioni
progettate in relazione alle specifiche caratteristiche e necessità territoriali.

L’attribuzione degli ulteriori fondi nazionali per il contrasto alla grave emarginazione adulta,
previsti dal D.lgs. 147/2017 (art. 7 co. 9), ha consentito l’attivazione e/o implementazione
delle azioni anche nei Comuni con più di 50.000 abitanti non coinvolti nel progetto INSIDE
(Imola, Carpi, Faenza), definite nel Piano regionale per la lotta alla povertà 2018-2020
approvato con Deliberazione dell’Assemblea Legislativa n.157 del 6 giugno 2018.

Per sostenere il forte impegno dei Comuni nell’implementare ed adeguare i servizi finalizzati
a garantire accoglienze continuative alle persone senza dimora durante l’emergenza Covid-19
è stato approvato, con Deliberazione di Giunta regionale n. 1184/2020, un Fondo finalizzato
regionale di 815.000 euro destinato ai 13 ambiti con Comuni con più di 50.000 abitanti.

Gli interventi, finanziati dai fondi nazionali, regionali e comunali, rivolti agli adulti in
condizione di grave emarginazione e senza dimora, rientrano nella programmazione dei Piani
di Zona ed hanno una validità triennale (2018-2020). La programmazione triennale delle
risorse consente il rafforzamento, ma soprattutto la messa a sistema da parte dell’ente locale,
degli interventi a favore delle persone in condizione di grave emarginazione e senza dimora e
della rete dei soggetti pubblici e del terzo settore che svolgono azioni ed interventi.
Tra le soluzioni innovative si è attivato, da alcuni anni, il modello denominato Housing First
basato sull'inserimento diretto in appartamenti indipendenti di persone senza dimora con
problemi di salute mentale o in situazione di disagio socio-abitativo cronico, allo scopo di
favorirne percorsi di benessere e integrazione sociale. Difatti nell’anno 2014, la Regione
Emilia-Romagna ha avviato la sperimentazione del modello Housing First attraverso
iniziative formative, di accompagnamento e valutazione delle esperienze territoriali ed, in
particolare, ha finanziato il progetto dal titolo "Progettare Housing First - Metodi e strumenti
per la progettazione di interventi innovativi per le persone che vivono in condizioni di grave
marginalità".

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CAPITOLO 2: L’IMPATTO DELLA PANDEMIA NEL TERRITORIO DI BOLOGNA

5. IL TERRITORIO DI BOLOGNA: SERVIZI PER CONTRASTARE LA GRAVE


EMARGINAZIONE ADULTA

Approfondito come agisce istituzionalmente la Regione Emilia Romagna in riferimento alla


grave marginalità, questa tesi mira, in particolare, a focalizzare l’attenzione sul territorio di
Bologna, che da anni, attraverso una rete di servizi, accoglie quotidianamente senza dimora e
adulti fragili.

Un’importante premessa, prima di focalizzarsi sul territorio di Bologna, da tenere a mente è


che ogni realtà territoriale presenta specificità sociali e storiche che devono essere assunte per
orientare efficacemente l’intervento sociale. All’interno di specifiche comunità vi sono,
quindi, individui con bisogni, fragilità differenti.

Il sistema dei servizi del territorio bolognese interagisce con cambiamenti di assetto e
cambiamenti culturali. A partire da una piccola esperienza di gestione di un centro di
accoglienza notturno, che ha impiegato modalità innovative, grazie alla collaborazione con
una realtà del privato sociale bolognese, si è dato vita ad una rete di servizi che ha permesso
di progettare servizi efficaci , capaci così di attivare prassi operative in grado di affrontare la
complessità del lavoro con l'utenza senza dimora, con compromissioni psichiatriche, segnata
da alcolismo e tossicodipendenza e da malattie correlate alla vita di strada.

6. ANALISI STATISTICA DEI SENZA DIMORA CON PARTICOLARE


ATTENZIONE AL TERRITORIO DI BOLOGNA

Nel 2014 è stata realizzata la seconda indagine sulla condizione delle persone che vivono in
povertà estrema, a seguito di una convenzione tra Istat, Ministero del Lavoro e delle Politiche
Sociali, Federazione italiana degli organismi per le persone senza dimora (fio.PSD) e Caritas
Italiana. A quanto si può osservare dall’indagine, la maggior parte dei senza dimora che
utilizzano i servizi vive nel Nord del paese ( 38% nel Nord-Ovest e 18% nel Nord-Est). Il

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risultato è fortemente legato all’offerta dei servizi sul territorio e alla concentrazione della
popolazione nei grandi centri; infatti, più di un terzo dei servizi ha sede nel Nord-Ovest, un
quarto (24,1%) nel Nord-est.
In particolare, nel territorio di Bologna dall’anno 2011 al 2014, come si evince dal grafico
sottostante (Prospetto 2), si può notare un calo dei servizi (rispettivamente dal 3,0% nel 2011
al 2,5% nel 2014).
Inoltre, nell’anno 2014, sono 768 i servizi di mensa e accoglienza notturna per le persone
senza dimora nei 158 comuni italiani in cui è stata condotta la rilevazione. Rispetto al 2011, il
numero è diminuito del 4,2%: i servizi di mensa passano da 328 a 315 e le accoglienze
notturne da 474 a 453. Tuttavia, se si considerano le prestazioni (pranzi, cene, posti letto)
mensilmente erogate si osserva un aumento del 15,4% (da 749.676 a 864.772), soprattutto per
le mense, dove l’aumento è stato pari a circa il 22% (da 402.006 a 489.255).
Ne deriva che, complessivamente, i servizi attivi nel 2014 erogano, in media, più prestazioni
di quelli attivi nel 2011: da 1.226 pasti a 1.553 per le mense e da 733 posti letto a 829 per le
accoglienze notturne. (Istat, 2015)

In sintesi, alla diminuzione dei servizi corrisponde un aumento delle prestazioni, il quale non
si accompagna ad un aumento del numero di persone senza dimora; è quindi evidente che
molte delle prestazioni in più sono state erogate a persone che già ne usufruivano, seppur con
dinamiche differenziate, sul territorio. (prospetto 4)

Nel Nord-est, alla diminuzione dei servizi (da 209 a 185) corrisponde un leggero aumento
delle prestazioni ma, anche, un leggero calo del numero di persone senza dimora; la

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diminuzione degli homeless che utilizzano accoglienze notturne (conseguente alla
contrazione del numero dei servizi e delle prestazioni erogate) viene solo parzialmente
compensata dall’aumento di quelle che utilizzano mense, aumento più contenuto di quello
rilevato per le prestazioni, dato che più pasti vengono erogati allo stesso utente (la media
passa da 2,9 a 3,1 per i pranzi, da 1,6 a 2 per le cene).

Prima di analizzare come i servizi del territorio di Bologna hanno contrastato l'emergenza
sanitaria da Covid-19, è essenziale mettere in luce alcune delle strutture e servizi che creano
la rete del bolognese, e che operano nel contrasto alla grave marginalità.

7. LE STRUTTURE DEL TERRITORIO BOLOGNESE

La città di Bologna si caratterizza per una consistente presenza, abbastanza prolungata nel
tempo, di non residenti a vario titolo, attratti da alcune peculiarità della città, la quale, pur
avendo una popolazione ridotta, ha le caratteristiche di un’area decisamente metropolitana.
La possibilità per questa casistica di persone di ricevere una presa in carico sociale è data
dalla valutazione del bisogno indifferibile ed urgente, che è enunciato dalla Legge Regionale
n°2 del 2003 (Art. 3, comma 3) e dal Regolamento Generale in materia di Servizi Sociali del
Comune di Bologna (Art. 4, comma 2).
Gli atti legislativi infatti stabiliscono che possano accedere a prestazioni indifferibili anche le
persone temporaneamente presenti sul territorio comunale, qualora i loro bisogni abbiano
caratteristica di urgenza.

Il target che maggiormente viene preso in esame da questo assetto è principalmente quello del
senza dimora il quale oscilla tra lo 0,2% e lo 0,3% di presenze sulla città di Bologna.
Alle persone italiane, da lungo tempo in strada, con stato di salute molto precario e scarsa
scolarizzazione, si affiancano persone straniere, per lo più giovani, che rischiano
un’esposizione prolungata alla vita di strada con conseguente progressiva compromissione
delle condizioni psichiche e fisiche, nonché forme pesanti di adattamento negativo rispetto
alla consapevolezza di sé, delle proprie capacità e delle proprie possibilità di immaginare un
percorso evolutivo rispetto alla situazione di esclusione. Inoltre si riscontra una presenza
nelle biografie individuali di rotture familiari precoci, violenze, istituzionalizzazioni.

Il Comune di Bologna assieme ad ASP Città di Bologna ha lavorato alla progettazione e


all'avvio di un percorso di ridisegno del sistema dei servizi per adulti, attraverso il quale sono
stati assegnati nuovi servizi dedicati al disagio adulto. A partire da ciò gli operatori del
territorio bolognese sono stati sempre più chiamati ad interagire con questa riorganizzazione
del sistema dei Servizi per Adulti. Le diverse organizzazioni implicate hanno assunto una
posizione di alta riflessività sui funzionamenti organizzativi per produrre servizi innovativi di
qualità.

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8.1. CENTRO DI ACCOGLIENZA ROSTOM

Con riferimento alla legge Regionale n°2 del 2003 (Art. 3, comma 3) e del Regolamento
Comunale in materia di Servizi Sociali del Comune di Bologna (Art. 4, comma 2), nel
territorio è presente una struttura dedicata all'accoglienza delle persone che versano in una
condizione di indifferibilità ed urgenza del bisogno.
Il percorso di formazione della struttura è stato lungo, ricco di significati e cambiamenti
culturali.
Nello specifico, il progetto è nato nell'inverno 2010/2011, durante il Piano Freddo, all'interno
di una delle strutture dedicate e gestita dal privato sociale. La modalità di gestione proposta
ha tenuto conto di alcune peculiarità delle persone che vivono in strada ed ha cercato di
offrire degli strumenti e delle strategie tali da permettere un reinserimento di queste persone
all'interno della comunità. Oltre a fornire un riparo notturno, infatti, è stato messo in atto un
percorso di conoscenza individuale degli ospiti; il quale ha permesso agli operatori di porre
ogni persona al centro del proprio percorso di vita, restituendogli la possibilità di scegliere e
di decidere per sé, ed offrendogli il sostegno necessario per realizzarlo. Con questa finalità si
ha avuto la possibilità di poter creare un legame con le persone senza dimora, un sostegno e
soprattutto un punto fermo e di fiducia all’interno delle loro vite.
Le attività, per raggiungere l’obiettivo proposto dalla struttura, erano semplici attività
quotidiane: anche un semplice accompagnamento presso uffici specifici, quali banche, poste,
patronati. Tutto questo è divenuto il nucleo da cui ripartire, il “motore di ricerca” di biografie
interrotte.
Il risultato emerso da questa esperienza ha dato la possibilità di comprendere che il modo
utilizzato per approcciarsi alle persone senza dimora era in grado di produrre dei risultati.
In conseguenza di ciò, nel marzo del 2011, a ridosso della conclusione del Piano Freddo e
della conseguente chiusura della struttura sita in via Capo di Lucca a Bologna, all’interno di
un ex deposito Hera, ha portato ad una grande mobilitazione da parte di più attori, volta a
scongiurare la chiusura della struttura. La modalità di protesta ha dato il risultato sperato: la
riapertura del dormitorio con un nuovo nome ed una nuova finalità: Progetto per
l’Accoglienza di persone in grave emergenza socio-sanitaria.
Il nome “Centro di Accoglienza Rostom” è stato attribuito dopo qualche anno (Luglio 2013),
in concomitanza con il suo trasferimento in un'altra zona della città, in uno stabile
ristrutturato e più consono alle esigenze degli ospiti ed in memoria di una persona ospitata
per un lungo periodo finalizzato all'accompagnamento alla fase terminale della sua vita.
L’esperienza nata dal Centro di Accoglienza “Rostom” dimostra come una progettazione,
per così dire, “dal basso” possa portare a dei risultati migliori rispetto ad un progettazione
autoreferenziale che non tiene conto delle reali esigenze del territorio e dei suoi fruitori.

8.2. IL SERVIZIO SOCIALE A BASSA SOGLIA

L’esperienza del Centro di Accoglienza Rostom ha dato l’opportunità di comprendere che,


andando oltre alla rigidità burocratica, fatta di criteri, regole e limitazioni, si potevano
realmente sbloccare anche le situazioni più complesse, dando così alle persone delle speranze

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e delle prospettive reali di cambiamento. Per questo motivo, l'Amministrazione comunale ha
recepito la necessità di prevedere un servizio sociale specializzato che lavorasse proprio in
questo senso.
Difatti, nel maggio del 2012 è stato istituito il Servizio Sociale a Bassa Soglia . Esso si
rivolge a persone adulte (18-65 anni) , che attraversano un momento di difficoltà dovuto ad
una mancanza di risorse o di riferimenti significativi, temporaneamente presenti a Bologna
senza una residenza in città, con residenza in una via fittizia, Via Tuccella, oppure con una
residenza acquisita presso una struttura di accoglienza del Comune di Bologna a seguito di un
inserimento da parte del servizio stesso.

In particolare il Servizio si rivolge a:


● Persone non residenti e temporaneamente presenti sul territorio;
● Persone senza dimora, residenti nella via fittizia del Comune, a tal fine istituita
(via M. Tuccella);
● Persone presenti nelle strutture residenziali del privato sociale, all’interno delle
quali hanno ottenuto la residenza in modo autonomo, senza alcuna presa in carico
da parte di un servizio sociale;
● Coloro che sono stati inseriti dal Servizio Sociale a Bassa Soglia all’interno delle
strutture di accoglienza del Comune di Bologna gestite da Asp Città di Bologna
fino al momento del termine di tale procedura di gara e dal momento
dell’assegnazione fino a tutta la durata del contratto;
● Coloro che sono stati inseriti dal Servizio Sociale a Bassa Soglia negli alloggi di
transizione abitativa, fino al momento del termine di tale procedura di gara e dal
momento dell’assegnazione fino a tutta la durata del contratto;
● Coloro che sono stati inseriti dal Servizio Sociale a Bassa Soglia in alloggi con
metodologia “Housing First” dal momento dell’inserimento e per i 12 mesi
successivi. Trascorso tale periodo la competenza passa al servizio sociale
territoriale di riferimento, dopo un opportuno confronto tra i servizi;
● Anziani (over 65) non residenti a Bologna con i quali il servizio effettua una
prima valutazione e un eventuale successivo invio al servizio sociale territoriale in
base al criterio della turnazione;
● Adulti privi di risorse e prossimi all’uscita dalla casa circondariale di Bologna;
● Adulti non residenti (temporaneamente presenti sul territorio cittadino) o residenti
in dimissione da strutture ospedaliere e privi di abitazione (progetto “interventi
temporanei integrati rivolti a casi multiproblematici”).

La finalità del Servizio sociale a Bassa Soglia è pertanto la presa in carico di questo target di
utenza promuovendo processi di gestione dei bisogni indifferibili e urgenti nonché percorsi
per l’autonomia e inclusione sociale.
Il Servizio, dopo aver rilevato il bisogno espresso, fornisce informazioni e indicazioni rispetto
alle organizzazioni presenti sul territorio; costruisce il contatto tra la persona ed un eventuale
ulteriore servizio individuato idoneo alle esigenze e caratteristiche presentate; effettua prese
in carico che hanno la finalità di costruire percorsi condivisi con l'utente, che permettano il
25
miglioramento delle sue condizioni di vita mediante attivazione di un Piano Assistenziale
Individualizzato.
Il Servizio a Bassa Soglia ha come obiettivi specifici il rilevare i bisogni delle persone
presenti sul territorio, anche se solo temporaneamente, fornire informazioni e orientare
l'utenza rispetto all'offerta dei Servizi presenti sul territorio, sulla base delle esigenze e delle
caratteristiche specifiche di ognuno, valutare le situazioni di indifferibilità ed urgenza del
bisogno facendosene carico e attivando risorse volte alla risoluzione o al contenimento
dell'emergenza, attivare collaborazioni e convenzioni che possano facilitare la costruzione dei
percorsi, costruire contatti e relazioni con gli altri Comuni italiani per condividere e definire i
percorsi con le persone residenti che si trovano sul territorio di Bologna, effettuare prese in
carico per la costruzione di percorsi condivisi e individualizzati sulla base delle esigenze
personali e delle risorse disponibili
Le prese in carico hanno la finalità di costruire percorsi condivisi con la persona consentendo
il miglioramento delle sue condizioni di vita, ed essa è attivata anche dopo il primo colloquio,
con lo scopo ultimo di sostenere la persona nella costruzione del suo percorso di vita, in base
alle risorse di cui dispone ed in base a quelle presenti sul territorio e si modula secondo le
condizioni sociali e sanitarie proprie di ogni utente.
Nel caso in cui l'utente abbia una residenza in un altro Comune italiano, il lavoro del Servizio
Sociale Bassa Soglia consiste nel prendere contatti con tale Comune ed avviare una presa in
carico condivisa, in base a quanto stabilito a livello normativo. Differentemente, se la persona
non ha alcuna residenza, si valuta con la stessa quali possibili strade percorrere, sia rispetto
alla possibilità di stanziarsi a Bologna e diventarne cittadini, sia rispetto alla possibilità di
rientrare nell'ultimo Comune di residenza o al proprio paese d'origine. Le diverse prese in
carico sono effettuate anche in collaborazione con altri servizi del territorio, come i SerT, i
CSM, i centri di accoglienza notturna o gli enti del privato sociale.

8.3. HOUSING FIRST

I Programmi di Housing First sono un'innovazione relativamente recente nel panorama dei
servizi rivolti alle persone senza dimora, e si pongono in netta discontinuità con il sistema di
accoglienza prevalente nella maggior parte dei paesi industrializzati. Questo paradigma
tradizionale, definito “staircase approach” o “continuity of care”, ha un tratto caratteristico:
l’idea che la persona senza dimora debba attuare un percorso all’interno delle istituzioni
assistenziali per dimostrare di essere, o divenire, in grado di vivere in una abitazione propria
[Wong e altri, 2006]. In altre parole, la persona senza dimora non è “ready to house” e quindi
necessita dell’intervento di una serie di servizi, unità di strada, dormitorio d’emergenza,
servizi sociali, centri diurni, Sert, Csm, appartamenti di pre-autonomia, che aiutino la persona
a divenire “autonoma”. Questi servizi tendono ad assumere una relazione gerarchica con
l’utente. Una gerarchia che si esprime in una serie di regole ferree che l’utente deve rispettare
per dimostrare il proprio progresso nell’attività di cura, senza aver alcuna possibilità di
mettere in discussione queste norme.
I Programmi di Housing First sviluppano una strategia orientata alla persona, in cui si tutela
la libertà, l’autodeterminazione, il rispetto e l’empatia verso di essa. Nel modello tradizionale
la persona è concepita come il recettore passivo degli aiuti materiali forniti dal pubblico, in

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una relazione di dono senza reciprocità che crea dipendenza da parte di colui che riceve. Nei
Programmi di Housing First la persona è concepita, a differenza, come un soggetto capace di
decidere autonomamente. L’accento posto sulla libertà di scelta della persona permette di
favorire l’assunzione di responsabilità, la fiducia e la stima di Sé della persona coinvolta nella
relazione di aiuto. E come viene definito dal Dr. Tsemberies, fondatore del primo programma
di Housing First: Abitare è un diritto umano; i partecipanti hanno diritto di scelta e di
controllo.
L’approccio del Programma Housing First, uno dei più innovativi per intervenire nel
contrasto alla grave marginalità adulta, è stato sviluppato negli anni Novanta dal Dr. Sam
Tsemberis a New York. Questo modello si è rilevato di successo nei tentativi di risolvere la
condizione di senza dimora di persone con disagio multifattoriale attraverso le opportunità
offerte dai servizi sociali territoriali di entrare in un appartamento autonomo “senza passare
dal dormitorio” godendo dell’accompagnamento di una equipe di operatori sociali, Supported
Housing, direttamente in casa.
In questo approccio le priorità sono dare accesso ad una casa e poter mettere la persona nelle
condizioni ottimali per agire, reagire e scegliere, guidate da un ambiente supportato e sicuro.
L’obiettivo ultimo è di promuovere la riduzione del danno e offrire un accompagnamento per
tutto il tempo necessario.

8.4. HELP CENTER

Help Center è un servizio di accoglienza e orientamento rivolto a tutte le persone in


condizioni di marginalità e di grave esclusione sociale.
Il servizio è nato con l’obiettivo di poter dare la possibilità di rivolgersi allo sportello e
ricevere indicazioni precise su indirizzi, orari e modalità d’accesso ai servizi presenti sul
territorio, con l’obiettivo di rispondere nella maniera più idonea e tempestiva possibile, alla
richiesta che le persone esplicitano.
Qualora la situazione lo richieda, saranno gli stessi operatori a prendere contatto con i servizi,
per facilitare l’ingresso attraverso un passaggio di informazioni mirate.
E’ un servizio rivolto a persone con consumo problematico e/o dipendenza da sostanze
psicoattive, persone senza dimora o in situazione di grave disagio sociale e abitativo o che
rientrano nelle “fasce fragili” (migranti, donne in difficoltà, ecc.).
Al suo interno è composto da uno “Sportello Help center” che , come già stato riportato, offre
informazioni e orientamento tra i servizi pubblici e privati presenti sul territorio, e da una
“Unità mobile”, la quale previene e limita i rischi o i danni correlati alla grave esclusione
sociale che dimorano abitualmente in strada.
Lo sportello Help Center offre:
● Accesso a posti letto nei dormitori e agli servizi per le persone che vivono in
strada (docce pubbliche, mense, laboratori diurni per senza dimora).
● Raccordo e accesso al Servizio sociale a bassa soglia nei casi in cui è necessaria
una presa in carico del servizio.
● Orientamento e prevenzione da sostanze psicoattive.
● Servizi di prevenzione e riduzione del danno per le persone che vivono in strada
(distribuzione di bevande calde e coperte, attivazione dei servizi sanitari).

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8.5. UNITA’ DI STRADA

Unità di Strada offre un servizio di riduzione dei rischi e dei danni correlati al disagio sociale
delle persone che dimorano abitualmente in strada, con particolare riguardo alle persone
tossicodipendenti. Il servizio è svolto in zone specifiche della città, attraverso l’utilizzo di
un’autovettura attrezzata (messa a disposizione dal servizio) ed uscite a piedi.
Inoltre, presso lo “sportello” dedicato sono effettuate le attività di segretariato sociale e i
colloqui individuali in caso di necessità e/o bisogno, anche finalizzati alla presa in carico
dell’Unità Mobile dell’AUSL per la somministrazione del metadone.
L’accesso al servizio da parte dell’utente è diretto, avviene direttamente dalla strada, e
ripetibile nel tempo.
L’obiettivo primario è la messa a disposizione a favore del target di utenza cui si rivolge, di
uno spazio nel quale la persona può avviare un proprio progetto iniziale di accoglienza e
conoscenza che, da un lato possa supportarlo nella risposta ai bisogni primari e, dall’altro,
configurarsi come spazio per la costruzione di relazioni. Fornire informazioni e orientare
l'utenza rispetto all'offerta dei Servizi presenti sul territorio, sulla base delle esigenze e delle
caratteristiche specifiche di ognuno e connettersi con la rete dei servizi per effettuare invii
dedicati, in particolare verso il Servizio Sociale Bassa Soglia, quale servizio di presa in carico
delle persone senza dimora.

8. L’IMPATTO DELLA PANDEMIA NEI SERVIZI RIVOLTI ALLA GRAVE


MARGINALITA’ SUL TERRITORIO DI BOLOGNA

L'emergenza Covid-19 ha messo la popolazione mondiale in uno stato di allerta tuttora in


corso, sia dal punto di vista sanitario sia dal punto di vista economico, con significative
ricadute in ambito sociale, che hanno principalmente coinvolto le fasce di popolazione che
già vivevano in condizioni di bisogno, di povertà, di isolamento o malattia. Ad essi si sono
aggiunti altri milioni di persone che stanno affrontando all'improvviso incertezze e difficoltà
gravi e inaspettate.
Tutti i Paesi si sono attivati per contrastare la diffusione del Coronavirus, rafforzando le
misure preventive, attivandosi per individuare ed isolare i casi, mettere in campo adeguate
procedure gestionali e di contenimento.
L'Italia, primo paese occidentale ad affrontare l'emergenza, ha risposto con l'introduzione di
molteplici ordinanze restrittive, tese a limitare al massimo la diffusione dell'epidemia, che

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hanno mutato le condizioni di vita, lavorative e di relazione dell'intera popolazione,
stravolgendo in pochi giorni ogni quotidianità.
Nelle difficoltà di affrontare un fenomeno del tutto sconosciuto, i diversi livelli di governo
hanno prontamente reagito adeguando schemi di programmazione, finanziamento, gestione,
intervento e avviando sperimentazioni, interventi e servizi o potenziando quelli esistenti.
In particolare, i Servizi Sociali dei Comuni hanno sostenuto le fasce di popolazione più
fragili, non soltanto recependo le indicazioni arrivate dal livello centrale, ma anche
ripensando e riorganizzando i propri servizi e mettendo in campo inedite forme di vicinanza
alle persone, alle famiglie, e in alcuni casi coinvolgendo attivamente la comunità locale.
I Comuni, anche a livello di Ambito territoriale, hanno avviato numerosi servizi e iniziative
nei propri territori per rispondere alle necessità della popolazione, hanno innovato e
rafforzato esperienze già presenti, modificando in maniera flessibile le loro modalità di
intervento. In questo contesto le tecnologie informatiche hanno spesso dato un supporto
fondamentale nell'erogazione del servizio, nella comunicazione, nella gestione dei flussi
informativi e nella relazione con gli stakeholder, prefigurando migliorie nel processo
complessivo di digitalizzazione della Pubblica Amministrazione.

Tra i gruppi vulnerabili maggiormente colpiti dalla pandemia di Covid-19 e dalle misure di
distanziamento sociale, è presente l’area di intervento della grave marginalità adulta. Per
questa comunità le criticità legate alla malattia risultano amplificate e dilatate. Alla maggiore
esposizione ai fattori di rischio sia per infezione che per conseguenze della malattia della
prima ondata, si è aggiunta la problematica del freddo contrassegnante i mesi invernali della
seconda.
La pandemia ha colpito duramente non solo le persone senza dimora, ma anche i servizi
rivolti a questi. Attraverso una serie di interviste a referenti di servizi rivolti alla grave
marginalità del territorio di Bologna, si è messo in luce gli effetti che l’emergenza sanitaria
da Covid-19 ha prodotto sulla grave marginalità adulta, i cambiamenti che molte
organizzazioni hanno dovuto adottare per mettere in sicurezza le persone più fragili e
accogliere nuove istanze, le modalità operative che, in alcuni casi, hanno stravolto i servizi
stessi.

Questa parte di relazione vuole, quindi, presentare i risultati emersi dalle interviste a
operatori che lavorano nel contrasto alla grave marginalità adulta. I contenuti ripercorrono i
tempi della gestione della pandemia: i processi di riorganizzazione dei servizi, le risposte
adottate ad inizio lockdown, la stabilizzazione dell’emergenza, il rapporto con le persone
accolte e la collaborazione inter-istituzionale.
In particolare, le persone che hanno collaborato alla realizzazione della relazione sono dei
seguenti Servizi all’interno dell’area del Territorio Bolognese: il Servizio Sociale di Bassa
Soglia, Help Center, Housing First e Unità di Strada.

9. L’IMPATTO SUI SERVIZI: PAROLA CHIAVE RIORGANIZZAZIONE

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I servizi rivolti al contrasto della grave marginalità hanno dovuto riorganizzare velocemente
il proprio assetto funzionale a causa della necessità di distanziamento fisico posta
dall’emergenza sanitaria.
Dall’analisi sulle varie interviste effettuate emergono strategie differenti a seconda della
struttura di riferimento. L’eccezionalità della situazione, i tempi differenti con i quali il virus
si è diffuso ed anche l’impatto in termini di contagio e vite umane sono certamente da
considerarsi come variabili che hanno ulteriormente orientato la riorganizzazione dei servizi.
La priorità per i servizi intervistati è stata mettere in sicurezza il personale e informare le
persone.
L’obiettivo principale da una parte è stato mettere in sicurezza le persone presenti nei servizi
o che ne facevano accesso , fornendo loro i dispositivi di protezione necessari, gli interni
delle strutture e gli uffici sono stati più volte igienizzati in modo specifico e quotidianamente
igienizzata la postazione usata dagli utenti.
Dall’altra parte era fondamentale informare, sensibilizzare, orientare le persone su quanto
stava accadendo, cercando di far accettare loro un cambiamento nelle “abitudini” che
inevitabilmente ne sarebbe seguito.
Sono stati, inoltre, rimodulati gli interventi che si svolgevano in presenza: al fine di ridurre il
rischio di contagi, i servizi che prevedevano l’accompagnamento al lavoro, i tirocini e altri
percorsi di inclusione, hanno sospeso le attività, pur assicurando il servizio con modalità
operative inedite sperimentate sul campo.
In particolare, il Servizio Bassa Soglia e il Servizio di Help center, sempre rimasti attivi e
aperti durante tutto il periodo del lockdown, riuscendo così a garantire un'operatività
continua. Come prima sottolineato, le modalità di accesso sono state differenti, il Servizio
SBS per contrastare il rischio del contagio, ha utilizzato come modalità principale di
erogazione incontri telefonici oppure su appuntamento svolti all’esterno dell’ufficio e
nell’area antistante; questa modalità operativa è stata mantenuta anche nella seconda Fase
dell’emergenza.. Il Servizio di Help Center, già operativo dal dicembre 2019 in modalità
“mobile”, ha mantenuto la medesima modalità. Nello specifico, garantire una reperibilità
telefonica negli orari di apertura, inoltre, grazie alla presenza dell’automobile di servizio, le
persone valutate dagli operatori necessitanti di un incontro in presenza, venivano raggiunte
direttamente in strada.

In un tale contesto la distribuzione alimentare e materiale è stata un elemento di forza nella


gestione dei bisogni primari. La forte presenza di volontari e del servizio di Unità di Strada
nella distribuzione dei pasti o nelle pratiche per i buoni spesa ha fatto in modo che venissero
snellite e velocizzate le enormi richieste che pervenivano ai servizi, nonché di poter
raggiungere capillarmente il territorio.

I dormitori e le strutture di accoglienza grandi hanno immediatamente percepito l’impatto


della pandemia e del lockdown sulle loro attività. Le strutture di accoglienza notturna hanno
dilatato gli orari di apertura e consentito alle persone accolte di trascorrere le ore diurne nella
struttura (h24). Una strategia di coping necessaria per garantire la continuità delle
accoglienze, proteggere le persone presenti dal rischio di contagio in strada e garantire una
sicurezza maggiore sul luogo di lavoro per gli operatori. Per esempio, all’interno del Centro

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di Accoglienza Rostom, come ci raccontano i referenti dei servizi intervistati, sono stati
rimodulati gli spazi. Le persone accolte sono state invitate a co-gestire gli spazi, i turni, gli
orari, le sale e i servizi. La compartecipazione e un maggiore livello di autonomia nelle scelte
e nei comportamenti sono stati assai utili per affrontare la situazione. Al contempo, si sono
verificati casi di chi “non ce l’ha fatta a rimanere dentro” e ha subìto in maniera più incisiva
le restrizioni legate agli ingressi contingentati e alle regole igieniche imposte dalla maggior
parte dei servizi.
Sono nate anche strutture ibride, infatti nel marzo 2020 è stato predisposto il prolungamento
dell'apertura delle strutture predisposte per il Piano Freddo 2019/2020 fino al Giugno 2020,
garantendo la possibilità di permanenza in struttura h24.
Una struttura di Piano Freddo è stata dedicata alle persone che avevano necessità di rimanere
in isolamento obbligatorio. A fine anno 2020 in occasione dell'inizio del Piano Freddo
2020/2021 è stato predisposto dal servizio Igiene pubblica in accordo con ASP Città Bologna
un piano di verifica, tramite tampone orofaringeo, a tutte le persone che facevano accesso alle
strutture.
Nelle situazioni in cui si è verificata la positività al virus, sospetti o conclamati, le difficoltà
di gestione non sono state poche. In particolare, ha costituito un problema la gestione delle
quarantene, in quanto ha richiesto non solo l’individuazione di spazi isolati in strutture già
piene o di nuovi spazi, ma anche la ricollocazione di risorse umane ed economiche. Essa è
stata, in molti casi e soprattutto nella prima fase, completamente a carico degli operatori
senza alcun supporto da parte dei servizi sanitari pubblici. La reazione dei servizi è stata,
tuttavia, rapida e di adattamento, e ha portato all’adozione di “soluzioni fai da te”, come
camere di albergo, ex residenze assistite, alloggi riservati al social housing, e simili. Inoltre,
in caso di positività, in un primo momento, è stata gestita tramite l’utilizzo di una struttura
cittadina dedicata allo svolgimento dell’isolamento. Successivamente, nell’estate 2020, con la
diminuzione dei casi, sono stati messi a disposizione diversi alberghi in cui era possibile
svolgere il periodo di isolamento obbligatorio dal quale si poteva uscire solo dopo aver
effettuato un tampone con risultato negativo.

Molti servizi hanno dovuto affrontare la gestione del tempo e delle attività interne. In alcune
strutture si è potuto continuare a svolgere i laboratori già previsti, adottando le precauzioni
necessarie per assicurare il distanziamento sociale. Per esempio, all'interno del Centro di
Accoglienza Rostom si è riuscito a dare continuità a laboratori o attività, per le persone
accolte. Questa è stata un'opportunità per condividere la complessità del momento. Nelle
situazioni in cui, per la carenza sopravvenuta di operatori, non si è riusciti ad attivare
laboratori o a portare avanti i laboratori preesistenti, per le persone accolte si è osservata una
crescente ‘apatia’, la quale si è aggiunta alla fragilità relazionale e all’isolamento
normalmente sofferti.

La chiusura, totale o parziale, verso nuovi ingressi ha interessato anche quei servizi, come le
docce, il guardaroba e la distribuzione di indumenti, settori più sensibili per un possibile
contagio, anche perché questi rappresentano spesso importanti occasioni di socializzazione
tra gli ospiti. Nei servizi ancora aperti, come il Servizio Sociale di Bassa Soglia e Help
Center, gli ingressi sono stati contingentati e fissati su appuntamento. Nonostante le difficoltà

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e la riorganizzazione per contrastare la diffusione di nuovi contagi, le nuove prese in carico
sono sempre state possibili. Come viene riportato dal Servizio di Help Center, si è evidenziata
una maggior richiesta di contributi economici per sopperire alla diminuzione di entrate,
garantite in precedenza dalla colletta che molte persone svolgevano per mantenersi. Altre
richieste economiche sono giunte da persone che prima dell’emergenza sanitaria da Covid-19
erano in una condizione di precarietà e la mancanza di lavoro, in precedenza svolto in modo
irregolare, hanno fatto precipitare in una condizione di grave crisi economica.

Le mense coinvolte prima dello shock pandemico nell’allestimento quotidiano di pranzi e


cene per le persone senza dimora e quanti vivono situazioni di forte deprivazione materiale,
hanno riorganizzato le attività, assicurando pasti da asporto. Anche per questi servizi i
cambiamenti sono stati introdotti in maniera rapida e le attività non hanno subito una
flessione negativa, anzi, spesso è stato garantito un maggiore numero di pasti ed è stata
intercettata una platea di beneficiari più differenziata rispetto al periodo pre-covid. Inoltre,
sulle mense e la distribuzione di cibo si sono registrate azioni da parte dell’Unità di Strada,
che hanno consentito di raggiungere anche le situazioni di “nuove povertà” emerse con
l’aggravarsi della crisi e il successivo lockdown. In particolare, le sue caratteristiche
operative e modalità di contatto on-side delle persone in condizione di grave disagio hanno
comportato una ri-organizzazione sul fronte interno ma allo stesso tempo, proprio nel
momento più acuto dell’emergenza, quando tanti servizi sul territorio, compresi quelli
pubblici, erano chiusi, così come le attività commerciali, l’Unità di Strada rimasta attiva ha
fornito alle persone in strada informazioni e indicazioni sui servizi ancora disponibili, si è
prestata per la distribuzione dei pasti e dei dispositivi di protezione individuale, per evitare
che le persone andassero presso le mense e i dormitori, già saturi e ingolfati.

Sicuramente una migliore risposta alla situazione di emergenza è stata possibile per il
Servizio di Housing first. In questi casi, infatti, avere una casa in cui rimanere durante il
lockdown è stato fondamentale per garantire la sicurezza degli ospiti. Dal punto di vista
operativo, l’équipe ha ridotto gli accessi domiciliari, per salvaguardare la salute delle persone
e degli operatori e diminuire le occasioni di contatto, e aumentato i contatti telefonici.

Per quanto riguarda i beneficiari degli interventi, dalle interviste emerge che le persone senza
dimora, subito dopo il lockdown, avevano difficoltà a comprendere la gravità della situazione
che si stava vivendo e le motivazioni del repentino cambiamento delle loro abitudini di vita.
La situazione si mostrava particolarmente complessa perché sia i beneficiari sia la comunità
intorno, molto spesso, avevano un atteggiamento ostile. Da un lato le persone senza dimora
erano convinte di essere vittime di un pregiudizio negativo: non potevano più stare in strada e
avvicinare le altre persone, dovevano indossare la mascherina, i guanti e disinfettare spesso le
mani. Dall’altro lato vi era l’idea che le persone senza dimora fossero portatrici del virus e
per questo pericolose. Inoltre, come viene riportato da un operatore del Centro di
Accoglienza Rostom, durante il primo lockdown previsto dal Governo, si era creato un
atteggiamento di ostilità da parte delle persone senza dimora nei confronti degli operatori;
dovuto principalmente al fatto che vedevano la loro libertà limitata per cedere il passo ad una
quotidianità fatta di restringimenti, di regole e di convivenza forzata, tutto ciò li sconvolgeva

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e provocava non poche situazioni di tensione. Il lockdown aveva fatto perdere loro i
riferimenti della vita quotidiana: la relazione con le persone o le associazioni che li
supportavano, il bar in cui veniva offerto loro il caffè o del cibo e che offriva la possibilità di
usufruire dei servizi igienici, il negoziante che dava un supporto materiale e anche emotivo.
Con il passare dei giorni e delle settimane, all’interno del Centro di Accoglienza Rostom, si è
riuscito a comprendere la portata del pericolo anche grazie anche alle attività di informazione
messe in atto dagli operatori: essere informati dagli operatori, partecipare alle attività di
condivisione delle notizie sulla pandemia contribuiva a stimolare un clima partecipativo e di
comunanza. Le attività di informazione sulle misure di protezione erano utili a far capire che
il problema era condiviso, era un problema di tutti e presupponeva un atto di responsabilità
condivisa. Al coinvolgimento fattivo ed emotivo, le persone senza dimora pian piano
rispondevano con una certa positività, nel senso che comprendevano che la loro
collaborazione tutelava tutti, loro compresi.

Nonostante ciò, restare dentro uno stesso luogo per tanto tempo e condividere gli spazi con
altre persone non era una condizione facile per chi è abituato a vivere in piena libertà.
La convivenza forzata, con il passare delle settimane, faceva emergere lati inusuali del
carattere di ciascuno: fino a febbraio i rapporti interpersonali tra le persone senza dimora
erano limitati al momento del pasto e al momento di accingersi a dormire; condividere i
tempi e gli spazi della quotidianità comportava una ridefinizione dei rapporti e delle relazioni
interpersonali non sempre facili da gestire.

La mancanza della sostanza che creava dipendenza spingeva le persone a voler uscire per
sedare gli episodi di astinenza: in alcuni casi è stato determinante l’aiuto dei servizi preposti
alle dipendenze. Quello che però emerge in maniera significativa dalle interviste è che il non
poter soddisfare i bisogni legati alla dipendenza, spesso ha spostato l’attenzione verso la cura
e la tutela di sé: in molti casi il sentire la comunanza e la vicinanza delle altre persone e degli
operatori è stata il giusto supporto per diventare consapevoli di avere un problema di
dipendenza e correre ai ripari facendosi aiutare attraverso supporti specifici.

Gli effetti della pandemia hanno inevitabilmente inciso sul lavoro degli operatori impegnati
nell’erogazione dei servizi di supporto per le persone senza dimora.
Hanno dovuto affrontare i problemi connessi all’emergenza sanitaria nel pieno di una
situazione di per sé già critica: i mesi più rigidi dell’anno sono quelli in cui il personale ha un
carico di lavoro elevato, derivante dalla messa in atto dei programmi del “Piano freddo”,
finalizzati ad offrire una sistemazione notturna per fronteggiare le conseguenze delle basse
temperature. A inizio marzo, l’esplosione dei contagi da Covid-19 ha rivoluzionato i piani,
imponendo una serie di adattamenti e reazioni da parte degli addetti ai lavori.
Dai racconti è possibile identificare due fasi di ri-organizzazione. In un momento iniziale, nel
contesto delle primissime fasi dell’emergenza, dalle interviste emerge innanzitutto l’esigenza
di ricostituire le condizioni per dare continuità ai servizi; in parallelo, i piani di ri-
organizzazione hanno dovuto tenere conto delle inevitabili inquietudini degli operatori,
ricostruendo la motivazione e la fiducia. Successivamente, anche a seguito delle disposizioni
normative nazionali, si è assistito ad una ripresa, più o meno a pieno ritmo, dei servizi rivolti

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alle persone senza dimora e ha quindi prevalso la spinta verso la mobilitazione al fine di
assicurare la migliore prestazione possibile.
In particolare, il Servizio Sociale di Bassa Soglia è rimasto sempre aperto e attivo durante
tutto il periodo del lockdown 2020 e anche per tutto il periodo successivo, riuscendo quindi a
garantire una operatività continua. Le strategie adottate per il personale del servizio sono state
la messa a disposizione dei presidi sanitari specifici quali mascherine e disinfettante. I locali
dell'ufficio sono stati più volte igienizzati in modo specifico e quotidianamente igienizzata la
postazione usata dagli utenti. Il personale presente in ufficio è stato ridotto, a rotazione
veniva svolto smart working per chi non era in presenza. I turni venivano impostati in modo
tale che i gruppi in presenza fossero composti sempre dalle stesse persone in modo da evitare
che, in caso di positività da Covid-19, solo un gruppo rischiasse l'infezione.
Il Servizio Help Center, che già era operativo in modalità “mobile” dal dicembre 2019, ha
mantenuto la modalità “mobile”. Nello specifico, significava essere sempre reperibili al
telefono negli orari di apertura e con l'utilizzo dell'auto di servizio le persone che
richiedevano un incontro, che venivano valutate necessitanti un'osservazione diretta,
venivano raggiunte direttamente in strada.
All’interno del Centro di Accoglienza Rostom, è stata utilizzata la medesima strategia
adottata dal Servizio Sociale di Bassa Soglia. Sono stati impostati turni di lavoro in modo tale
che i gruppi di operatori in presenza fossero composti sempre dalle medesime persone.
Durante i turni di lavoro era obbligatorio rispettare tutte le normative per evitare la diffusione
del virus, con l’utilizzo dei presidi sanitari.

Questo rinnovamento della base operativa dei servizi ha, tuttavia, avuto delle conseguenze in
termini di formazione, organizzazione interna e logistica dei servizi. Turni doppi e tempi di
lavoro prolungati. Nel periodo del lockdown, ovviamente, il lavoro richiesto agli operatori è
sensibilmente aumentato. L’esigenza di rendere operative h24 le strutture destinate ad
ospitare le persone senza dimora, ha comportato l’estensione degli orari di lavoro. Al fine di
garantire la continuità del servizio, è stata richiesta, agli operatori ancora attivi, una maggiore
reperibilità che si è concretizzata nel passaggio a turni più lunghi. È chiaro come queste
necessità abbiano determinato ritmi di lavoro spesso estenuanti e faticosamente sostenibili.
La minaccia rappresentata dal nuovo Coronavirus ha avuto forti ripercussioni sul morale e
sullo stato d’animo degli operatori, messi a dura prova anche dall’aumento del carico di
lavoro in termini di orari di servizio. Le interviste testimoniano tuttavia un quadro piuttosto
eterogeneo di reazioni emotive.
In generale, la gestione degli operatori, a fronte delle carenze di personale, è stata uno degli
aspetti più complessi: non tanto per le implicazioni organizzative quanto per la dimensione
psicologica.
Nonostante la tentazione di ripararsi in un luogo sicuro fosse comunque presente, ha
predominato nel pensiero di molti il desiderio di aiutare invece chi un riparo non lo aveva. È
su questo forte spirito di solidarietà che si sono potute poggiare strategie di adattamento alla
pandemia che hanno permesso alle organizzazioni di fare il proprio lavoro nel miglior modo
possibile.
Inoltre, sono state messe in atto politiche per la salute e assistenza delle persone contemplati
nell’agenda pubblica, come riporta l’operatrice del Servizio Sociale di Bassa Soglia, . Igiene
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Pubblica ha messo in atto azioni tese a diminuire l'impatto del virus sulle persone in stato di
grave marginalità, in particolare, mettendo a disposizione tamponi gratuiti per le persone che
entravano nelle strutture di accoglienza e la possibilità di svolgere un isolamento obbligatorio
in albergo in modo gratuito per chi non aveva una dimora dove svolgerla.
La gran parte degli enti impegnati nella gestione dei servizi per le persone senza dimora
agisce all’interno di una rete di collaborazioni, accordi, partenariati, più o meno sollecitati
dagli enti pubblici. Tale modalità operativa è stata messa a dura prova dalla pandemia.
All’interno del Territorio di Bologna è sempre stata presente una forte concertazione e
collaborazione tra pubblico e non profit. Dai colloqui emerge che dove prima non erano
presenti, si sono attivate delle reti di collaborazione in modo molto rapido.

E’ importante sottolineare anche i diversi elementi di forza riscontrati in tali servizi nel
territorio di Bologna, quali capacità di adattamento continuo, agilità e flessibilità degli
operatori, condivisione e creazioni di reti. L’insegnamento più importante per i servizi rivolti
alle persone senza dimora apportato dall’emergenza sanitaria riguarda però una maggiore
consapevolezza circa la necessità di ripensare complessivamente tali servizi. La pandemia ha
messo in luce l’importanza dell'inserimento dei servizi rivolti alla grave marginalità
all’interno di una programmazione territoriale strategica; della promozione di servizi che
puntino all’attivazione delle persone nella gestione degli spazi, delle relazioni e dei percorsi;
del consolidamento delle reti pubbliche e private con investimenti adeguati in relazione al
mutato contesto socio-economico.

35
10. CONCLUSIONI

Con la seguente tesi si è voluto mettere in luce gli interventi proposti dai Servizi alle persone
con grave marginalità nel periodo colpito dalla pandemia di Covid-19. Sottolineando ed
evidenziando le criticità e le condizioni prima e dopo l’emergenza sanitaria.
Nello specifico, il periodo appena trascorso legato alla pandemia e lo stesso momento attuale,
pongono i servizi di fronte ad uno scenario di grande vulnerabilità sociale ed economica e
inducono a prestare una maggior attenzione, grazie a strategie innovative e differenti rispetto
alle precedenti, alle persone con grave marginalità.
All’interno di questo contesto risulta importante portare all’attenzione due figure presenti nel
tessuto sociale: le persone senza dimora e i nuovi poveri. Questi ultimi, nel periodo
antecedente all’emergenza sanitaria, già versavano in una condizione di precarietà e
incertezza, e ad oggi, a causa delle conseguenze portate dal Covid-19, vivono una situazione
mai vissuta prima. Come precedentemente è stato riportato, all’interno del contesto sociale i
servizi sottolineano un grande afflusso di nuove richieste da parte di persone che, fino a quel
momento, non avevano mai fatto accesso.
I numeri riportati nella seguente tesi sottolineano l’impatto che questa pandemia ha provocato
alle persone che già vivevano una condizione di povertà, creando ripercussioni, non solo nel
momento attuale, ma anche in un futuro prossimo.
I servizi si sono così ritrovati a dover fronteggiare due problematiche all’interno della
pandemia, per questa definita, da molti, “l’emergenza nell’emergenza”.
Da subito sono state messe in atto strategie e soluzioni per contrastare i danni provocati dalla
pandemia da Covid-19. In un primo momento, come si è visto, sono state adottate soluzioni
per ‘tamponare’ la mancanza di chiare linee di intervento, provocando, sia dal punto di vista
degli operatori e delle persone con grave marginalità, momenti di caos e senso di
smarrimento. In un secondo momento i servizi, a livello locale, sono stati in grado di rii-
organizzare il proprio intervento a scapito di persone, che in quel momento, necessitavano di
un aiuto e di un sostegno. Organizzando e reinventando il proprio modo di lavorare in rispetto
delle normative per contrastare l’emergenza sanitaria, pubblicate dal Governo. Attraverso
l’uso di dispositivi di protezione individuale, gli operatori hanno dato continuità al proprio
servizio, garantendo, per esempio, colloqui individuali, quando possibile, in aree che
potessero rispettare le normative vigenti, e quando non possibile un incontro in presenza a

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causa di norme che non lo permettevano, gli operatori sono stati in grado di reinventarsi
attraverso numeri strumenti per dare continuità di comunicazione alle persone, come,
dispositivi telefonici, incontri attraverso vie telematiche. Grazie a questi nuovi modi di
comunicazione, gli operatori hanno potuto mantenere un legame con le persone senza dimora.

Il lavoro dell’Assistente Sociale in questo periodo di emergenza sanitaria, come viene


definito da molti operatori del settore, è mutato ed è stato in grado di evolversi acquistando
all’interno della società una visibilità nuova e positiva.
Da molti, il lavoro dell’Assistente Sociale è limitato alla figura di ‘ colui che porta via i
bambini’, uno stereotipo che da molti anni vive all’interno della nostra società. A differenza,
la sua figura è come un maglione, a primo impatto appare come un semplice indumento utile
solo al suo fine ultimo: scaldare. Solo se, con attenzione lo si osserva, si può notare le sue
componenti più piccole, un immenso intreccio di fili di lana assemblati per produrre il
maglione da te indossato. Ecco, la figura dell’assistente sociale metaforicamente parlando è la
medesima: in un primo momento lo si focalizza nella sua individualità come un semplice
maglione, solo se lo si osserva attentamente, si può notare la grande rete che lo compone, dai
colleghi, alle strutture con cui collabora, ai servizi presenti nel medesimo territorio. Tutte
queste componenti lavorano all'unisono, collaborando assieme, per garantire ad ogni
individuo i suoi diritti inviolabili. Anche all’interno del nuovo Codice Deontologico
dell’Assistente Sociale dell’anno 2020, viene fatto riferimento ai diritti inviolabili della
persona, in cui la figura dell’assistente sociale fa propri i principi fondamentali della
Costituzione della Repubblica Italiana. Riconosce il valore , la dignità intrinseca e l’unicità di
tutte le persone e ne promuove i diritti civili, politici, economici, sociali, culturali e
ambientali così come previsti nelle disposizioni e nelle Convenzioni internazionali. Nonché,
la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo sia nelle
formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l'adempimento dei doveri
inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.(art. 2 Costituzione Italiana).
Non solo, all’interno del Codice Deontologico, contenente le esigenze etiche della
professione, costituisce l’elemento di identità, lo strumento attraverso il quale l’assistente
sociale si presenta alla società e contestualmente, è lo strumento che orienta e guida nelle
scelte di comportamento, nel fornire i criteri per affrontare i dilemmi etici e deontologici, nel
dare pregnanza etica alle azioni professionali. Si tratta, quindi, di un Codice incentrato tutto
sulla responsabilità di una professione a servizio delle persone, delle famiglie, della società,
dell’organizzazione di lavoro, nonché dei colleghi e della professione stessa. E’ un
documento vincolante a cui gli assistenti sociali devono fare riferimento nel loro lavoro, in
particolare nel processo di aiuto alle persone, ai gruppi, alle comunità.

L’assistente sociale durante tutto il periodo trascorso, e non solo, ha dato modo di
reinventarsi e di riorganizzare la propria professione. In particolare, all’interno di questa tesi
è possibile, nel dettaglio, osservare e comprendere quali siano state le strategie adottate per
contrastare l'emergenza sanitaria.
In conclusione, il Territorio di Bologna ha dato dimostrazione di quanto all’interno del
tessuto sociale sia presente una rete di servizi, pubblici, no profit, associazioni private, che

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collaborano assieme in modo efficiente e, soprattutto, con buoni risultati. In poco tempo, i
servizi del Territorio di Bologna sono stati in grado di adottare strategie per contrastare
l’emergenza e per sostenere, supportare, ascoltare le persone che necessitavano di aiuto.
Durante le interviste effettuate ad operatori dei servizi bolognesi, è stato domandato se, in
caso di un'ulteriore ondata, avevano individuato un ‘piano’ di lavoro in grado di non essere
colti impreparati. La risposta è stata chiara e positiva, già nei mesi estivi sono stati effettuati
tavoli di lavoro con vari servizi presenti all’interno del Territorio di Bologna, per pianificare
un eventuale terzo Lockdown.

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La pandemia raccontata dalla bassa soglia | welforum.it

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http://www.iperbole.bologna.it

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