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Lingua Italiana

CARTA PER I DIRITTI


DELLE PERSONE ANZIANE
E I DOVERI
DELLA COMUNITÀ

Monsignor Vincenzo Paglia


Carta per i diritti delle
persone anziane e i
doveri della comunità
A cura della Commissione per la riforma della assistenza
sanitaria e sociosanitaria per la popolazione anziana
Ministero della Salute

Mons. Vincenzo Paglia,


Presidente Prof. Leonardo Palombi, Segretario
Prof. Mario Barbagallo
Signora Edith Bruck
Dott.ssa Velia Bruno
Prof. Silvio Brusaferro
Dott.ssa Maite Carpio
Prof. Giampiero Dalla Zuanna
Prof.ssa Paola Di Giulio
Prof.ssa Nerina Dirindin
Dott.ssa Simonetta Agnello Hornby
Prof. Giuseppe Liotta
Prof. Alessandro Pajno
Dott. Gianni Rezza
Dott. Andrea Urbani
Prof. Paolo Vineis

Indice
Introduzione

Perché una carta dei diritti degli anziani e dei doveri della
comunità

Il contesto
Il diritto alla tutela della dignità della persona anziana
I diritti ad un’assistenza responsabile
Il diritto ad una vita attiva di relazione
Conclusioni

La carta dei diritti delle persone anziane e i doveri della


comunità

Preambolo
Valore della carta
1. Per il Rispetto della Dignità della Persona anche nella Terza Età
2. Per un’assistenza responsabile
3. Per una vita attiva di relazione

Storie
Introduzione
Quando nel Settembre 2020 il Ministro Speranza nominava la Commissione per la
riforma della assistenza sanitaria e sociosanitaria alla popolazione anziana, il quadro
epidemiologico della pandemia da Covid 19 era fosco e denso di incognite.
Soprattutto, dominava a livello planetario la preoccupata constatazione che gli
anziani e particolarmente quelli ospiti delle strutture residenziali rappresentavano le
principali vittime della malattia. Nelle nursing home, nelle case di riposo e nelle RSA
si andava consumando una vera e propria strage aggravata dalle condizioni di
isolamento in cui i malati vivevano e, sfortunatamente, morivano. Dunque un
dramma anche delle famiglie, dei figli e dei nipoti che non avrebbero potuto vedere e
riabbracciare i propri cari per la separazione imposta in questi ambienti.

Era necessario un approccio nuovo ed uno sguardo nuovo a quella età della vita cui
ormai tutti giungono, traguardo felice ma impegnativo del progresso e dello sviluppo
umano degli ultimi due secoli. Per questo si decise, nell’affrontare il programma di
una radicale riforma della assistenza, di partire da una rivisitazione ed enunciazione
dei principi per la difesa dei diritti e per il rispetto dovuto agli anziani – una
popolazione ormai ampiamente al di sopra del 20% del totale in Italia ed in Europa,
ma in crescita ovunque nel mondo.

Di qui la necessità di scrivere la Carta dei diritti degli anziani e dei doveri della
comunità, perché tutte le generazioni potessero ritrovarsi in una alleanza per un
futuro garantito nella dignità e nei servizi futuro al quale tutti, anche i giovani di oggi,
domani arriveremo. La Carta doveva ispirare la riforma e doveva diventare, nelle
nostre intenzioni, il veicolo culturale, politico e programmatico per un radicale
cambio di paradigma, che ponesse l’anziano al centro della vita sociale e collettiva.

Per questo essa è stata posta al principio di tutto il corposo documento prodotto
dalla Commissione Speranza e consegnato al Presidente Draghi nel Settembre 2021.
Si trattava del resto di proporre all’intera società, a tutte le generazioni, i loro doveri
perché venissero rispettati i diritti degli anziani. Di qui l’unione, nel titolo, dei “diritti”
con i “doveri”. La Carta, anche in questo versante, vuole suscitare un nuovo modo di
concepire la società in maniera articolata tra le generazioni. Il premier, in quella
occasione, dichiarava: “Il lavoro elaborato dalla Commissione è straordinario” ha
affermato il Presidente Draghi. “Si tratta – ha aggiunto – di una iniziativa di enorme
rilevanza sociale ed etica. L’Italia deve garantire i diritti degli anziani, il rispetto della
dignità della persona, in ogni condizione. L’assistenza sociosanitaria deve essere
adeguata e responsabile. Perciò il Governo sosterrà la proposta di intervento
presentata oggi”.

Di fatto nasceva nei mesi seguenti la Commissione per le politiche in favore della
popolazione anziana presieduta dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio
Garofoli, con sede a Palazzo Chigi, al fine di dare corpo e concretezza alla riforma
proposta. La riforma si ispira ai principi della Carta e vuole coinvolgere i giovani e
tutte le generazioni in una battaglia che restituisca al vivere da anziani una nuova
dimensione nel rispetto, nella dignità, ma anche in una vita meno emarginata e
meno isolata.

In fondo è un messaggio prezioso che l’Italia, paese tra i più longevi ed anziani,
trasmette a tutto il mondo per un destino comune più umano e rispettoso di chi è
avanti negli anni.

Vincenzo Paglia
Perché una carta dei diritti
degli anziani e dei doveri
della comunità
Monsignor Vincenzo Paglia - Presidente della Commissione

Il contesto
La pandemia ha fatto emergere la contraddizione di una società che per un verso sa
allungare la vita delle persone, ma per l’altro la riempie di solitudine e di abbandono.
Il Covid-19 ha eliminato migliaia di anziani perché noi li avevamo già abbandonati. E
abbiamo un gravissimo debito nei loro confronti. È indispensabile rimuovere alla
radice le gravi carenze di un sistema assistenziale squilibrato, ingiusto, oneroso,
causa esso stesso di tante vittime. Occorre rovesciare un paradigma. Ma questo è
possibile solo se abbiamo una nuova visione della vecchiaia.

La rivoluzione demografica avvenuta dalla metà del secolo scorso ha portato alla
luce come un nuovo continente, quello degli anziani. Non che prima non ce ne
fossero di anziani. Ma oggi è la prima volta nella storia che conosciamo una
“vecchiaia di massa”: milioni di anziani in più. Un continente ignoto, abitato da
persone per le quali non c’è pensiero, né politico, né economico, né sociale, né
spirituale. È una età da inventare. Insomma, c’è bisogno di una nuova visione sulla
vecchiaia. La longevità non è una semplice aggiunta temporale, modifica
profondamente il nostro rapporto con l’intera vita.

Di fronte a questo nuovo scenario, la Commissione ha ritenuto opportuno redigere


una Carta che declinasse alcuni principi ispiratori della nuova prospettiva della
assistenza agli anziani. Nella Carta non si parla unicamente dei diritti degli anziani,
ma parallelamente si indicano i doveri della società verso di loro. In tal modo si
raccorda la vita degli anziani a quella della società, mostrando l’inevitabile legame tra
tutti, anche tra le diverse generazioni. La Carta declina in concreto le indicazioni
contenuti in alcuni documenti internazionali, quali la Raccomandazione del Comitato
dei Ministri CM / Rec (2014) 2 agli Stati membri del Consiglio d’Europa sulla
promozione dei diritti umani delle persone anziane adottata il 19 Febbraio 2014 e la
Carta europea dei diritti e delle responsabilità degli anziani bisognosi di assistenza e
di cure a lungo termine elaborata nel giugno 2010 nell’ambito del Programma
Europeo DAPHNE III contro l’abuso verso le persone anziane da un gruppo di
collaborazione di 10 paesi come parte del progetto EUSTACEA.

Qualcuno potrebbe dire che parlare di diritti è una pia illusione, ben altra è la realtà.
Gli anziani sono spesso visti come un problema per il Paese (basti pensare alla spesa
previdenziale, ospedaliera, farmaceutica ed oltre). Purtroppo, ci si dimentica che gli
anziani, non solo hanno più che guadagnato il necessario sollievo previdenziale e
assistenziale, ma sono spesso protagonisti della assistenza, ad esempio nei confronti
dei nipoti o dei loro coniugi coetanei. E non dimentichiamo che rappresentano una
quota di mercato, e del lavoro ad essa associato, piuttosto ragguardevole, stimata da
alcuni in oltre 200 miliardi annui.
La visione degli anziani proposta dalla Carta li presenta come un possibile motore di
sviluppo inclusivo e sostenibile del Paese. Insomma, gli anziani, da problema
possono diventare una opportunità per la crescita del nostro modello sociale ed
economico. Usando un termine ed un concetto caro alla tradizione ebraica, l’intento
più profondo della carta è quello di promuovere un vero e proprio processo di
Tiqqun Olam: riparare il mondo attorno ai più fragili. Non solo ripararne la dignità e
garantire la tutela dei diritti, ma ridare vita a quel tessuto sociale, umano, familiare e
amicale lacerato dai fenomeni dell’individualismo, dell’impoverimento della famiglia,
del declino demografico e dell’abbandono dei territori che ha segnato l’Italia del ‘900.

La Carta scandisce tre contesti dei diritti e dei doveri in altrettanti capitoli: 1) il
rispetto della dignità della persona anziana, 2) i principi e i diritti per una assistenza
responsabile, 3) la protezione per una vita di relazione attiva.

Il diritto alla tutela della dignità


della persona anziana
Il primo capitolo della Carta, dedicato alla tutela della dignità delle persone anziane,
fissa due importanti principi: «1.1 La persona anziana ha il diritto di determinarsi in
maniera indipendente, libera, informata e consapevole con riferimento alle scelte di
vita e alle decisioni principali che lo riguardano. 1.2 È dovere dei familiari e di quanti
interagiscono con la persona anziana fornirgli, in ragione delle sue condizioni fisiche
e cognitive, tutte le informazioni e conoscenze necessarie per una
autodeterminazione libera, piena e consapevole».

Diritti e doveri qui concorrono a lavorare per un contesto dove la libertà di scelta non
sia una parola vuota, diritto sulla carta. E viene individuato nello stesso tempo uno
dei più grandi problemi della vita da anziani: la privazione della possibilità di
scegliere. Lo spiega bene il commento ai due articoli: «Nella terza età si entra spesso
in un cono d’ombra, determinato apparentemente dalle condizioni di salute e dalla
fragilità, in realtà espressione di un pregiudizio di ageismo, secondo cui le persone
anziane non hanno più capacità di decisione autonoma, così come quella di gestione
indipendente della propria vita. È necessario distinguere una valutazione di
dipendenza fisica o cognitiva dalla presunta incapacità di decisione, spesso
trasformata in implicita interdizione.

Il fatto che una persona anziana abbia perso alcune capacità fisiche e strumentali per
vivere la vita quotidiana (lavarsi, alimentarsi, far uso del denaro, dei mezzi di
trasporto, ecc.) non deve tramutarsi automaticamente in un giudizio di incapacità di
decidere, ed essere automaticamente sostituito dalle decisioni della famiglia, dei
caregiver o dell’amministratore di sostegno, abusi che ricorrono ad esempio quando
si impedisce alla persona anziana di scegliere il tipo e la qualità di cibo, di disporre
dei propri documenti di identità o di pagamento elettronico».

Faccio qui una notazione a partire dal dibattito sul green pass, sull’obbligo vaccinale,
che ha animato le pagine dei giornali di questo tempo di pandemia, per la
preoccupazione sui limiti alle libertà personali. Ebbene, non c’è stata una riga sulla
ben più radicale mancanza di libertà presso gli anziani, soprattutto di quelli
istituzionalizzati. Una recente inchiesta del New York Times, dell’11 Settembre 2021,
descrive l’uso di farmaci antipsicotici sistematicamente somministrati agli anziani
ospiti delle nursing home, dei meccanismi per aggirare le norme di legge, dei motivi e
degli effetti. Si tratta di un tragico utilizzo della contenzione chimica, esteso al 21%
degli ospiti delle case di riposo negli Stati Uniti. Una delle scorciatoie utilizzate, ad
esempio, è quella di fare diagnosi di schizofrenia, utilizzata in 1 anziano ogni 9 in
queste strutture, mentre a livello della popolazione generale il dato si ferma ad 1 su
150, una discrepanza enorme. Oltre 200.000 anziani nelle case di riposo statunitensi
hanno ricevuto diagnosi e “cure”. Il fenomeno non è nuovo se si pensa che ad
indagare su di esso, è stata una Commissione senatoriale del lontano 1976
dall’eloquente titolo: “Nursing Home Care in the United States: Failure in Public
Policy”.

La contenzione chimica è diffusa anche in Italia. Non se ne conoscono le esatte


dimensioni, ma rappresenta un esempio davvero scandaloso di privazione delle
libertà personali. È il baratro in cui cadono tanti anziani in strutture, in particolare
quelle abusive, che utilizzano la contenzione chimica per risolvere i problemi di
carenza di personale, di opacità della pianta organica, di utilizzo del precariato fra
case di riposo diverse e via dicendo. La Commissione per la riforma della assistenza
agli anziani, attraverso la Carta, vuole ribadire i diritti degli anziani, denunciando gli
abusi e prospettando il nuovo orizzonte in cui iscrivere il futuro degli anziani. La
condanna della contenzione è chiara anche nell’art. 3.6 “La persona anziana ha il
diritto alla salvaguardia della propria integrità psico-fisica e di essere preservato da
ogni forma di violenza fisica e morale e di forme improprie di contenzione fisica,
farmacologica e ambientale, nonché di abuso e di negligenza intenzionale o non
intenzionale”.

Il relativo commento propone addirittura la soluzione possibile: «Particolarmente


importante appare la lotta a tutte le forme improprie di contenzione fisica,
farmacologica e ambientale.

Tale protezione dovrebbe essere assicurata indipendentemente dal fatto che


violenze, abusi, negligenze avvengano in casa, all’interno di un’istituzione o altrove.

La più efficace forma di prevenzione di questo tipo di abusi non è rappresentata dal
ricorso a mere forme di controllo tecnologico quale ad esempio l’utilizzo delle
videocamere, ma dalla possibilità di coltivare anche nei luoghi di cura la vita di
relazioni e l’interazione con l’esterno da parte delle persone anziane: la presenza di
visitatori e di volontari costituisce la miglior protezione contro gli abusi che possono
perpetrarsi in spazi chiusi».

Queste considerazioni hanno spinto la Commissione a proporre una via di riforma


delle RSA. Cito qui un passaggio della mia presentazione del piano di riforma al
Presidente Draghi il 1° settembre: «1) le RSA debbono essere residenze aperte, alla
famiglia, al volontariato, alla società civile, disponendo al proprio interno della
possibilità di ospitare centri diurni, di telemedicina, di centri erogatori dei servizi di
prossimità e di assistenza domiciliare integrata. Il grado di apertura ed interscambio
con l’esterno entra tra i criteri di accreditamento e di valutazione della qualità delle
singole strutture. Si intende con ciò scongiurare per il futuro la temibile e diffusa
condizione di isolamento e solitudine, che si è purtroppo verificata con la pandemia
da Coronavirus. Nell’ambito del continuum assistenziale ed in relazione agli Ospedali,
le RSA possono assumere un ruolo nelle cure di transizione, in vista del
reinserimento finale dell’anziano riabilitato e stabilizzato presso la propria
abitazione. 2) Proprio per questo cambiamento di funzione, vengono rivisti gli
standard di personale, delle attrezzature obbligatorie e dello staff sanitario,
infermieristico e riabilitativo necessario al buon funzionamento della RSA. 3) Tali
avanzamenti richiederanno una revisione del sistema tariffario da un lato ma anche
la trasparenza e l’obbligo di pubblicazione della pianta organica del personale in
dotazione dall’altro».

Si promuovono, dunque, tre cambiamenti: l’assoluta prescrizione dell'apertura della


struttura all’esterno come criterio di accreditamento, il cambiamento di funzione
delle cure residenziali come parte di un continuum in equilibrio dinamico come
momento transitorio e non come stazione terminale, il rigoroso controllo e la
trasparenza della pianta organica, nonché il suo appropriato potenziamento.
Combattere l’abusivismo significa anche pretendere che tutte le strutture siano
aperte e totalmente trasparenti, accessibili e permeabili, in ingresso ed uscita. Una
delle più significative lesioni della libertà di scelta dell’anziano, è l’impossibilità fisica
di incontrare o uscire da dette strutture, nell’ambito di un regime che si può
correttamente definire carcerario.

Vorrei ora tornare, per un secondo esempio, agli articoli 1 e 2 che tutelano la libertà
di scelta dell’anziano. Dove vivere gli anni della propria vecchiaia? Si tratta di una
delle scelte fondamentali da tutelare: quella di rimanere a casa. Troppo spesso sono
i parenti a decidere, o anche gli amministratori di sostegno, che con troppa
disinvoltura talvolta si prendono competenze che riducono l’anziano al ruolo di
persona implicitamente interdetta. Ma ancor peggio, troppo spesso la scelta è
dettata dalla totale mancanza di servizi di assistenza domiciliare, o dalla impossibilità
economica di accedervi. Se da un lato la scelta di gran lunga maggioritaria degli
anziani, è quella di rimanere a casa, si vede che molti ostacoli concorrono a renderla
difficile, addirittura ardua o impossibile in presenza di malattie e condizioni
invalidanti, o delle difficoltà e volontà di parenti e tutori. Cosa dice la Carta in
proposito? L’Articolo 1.9 enuncia il principio secondo il quale «La persona anziana ha
il diritto di permanere per quanto più a lungo possibile presso la sua abitazione».

Si tratta di una riforma profonda che già dal titolo appare evidente: “l’abitazione
come luogo di cura per gli anziani”. Il motivo è semplice e credo inoppugnabile: per
chi è avanti negli anni la casa è il luogo dei propri affetti e della propria memoria,
della storia e del vissuto. Perderla vuol dire perdere la memoria, come scriveva
Camilleri, abbandonare le proprie radici e, alla fine, se stessi.

Accade tuttavia che l’anziano spesso perde la casa per motivi familiari, per ragioni
economiche, soprattutto per mancanza di servizi. La Commissione ha approfondito,
in collaborazione con ISTAT, il tema delle condizioni degli over 75. Senza dilungarmi
sulle risultanze dello studio, ormai pubblicato, osservo solo che in quella fascia di età
si trovano oltre un milione di anziani con gravi difficoltà motorie e nelle attività
fisiche e strumentali della vita quotidiana, senza aiuto familiare, pubblico o privato,
che vivono soli o con il coniuge anziano. Quale libertà di scelta hanno queste persone
se non le tuteliamo con un adeguato supporto sociale domestico? Si pensi alle
barriere architettoniche, alle case senza ascensore, ai ripidi centri montani, insomma
alle difficoltà di chi vive senza un accompagnamento. Per queste ragioni la
Commissione raccomanda un potenziamento senza precedenti della cosiddetta ADI,
Assistenza Domiciliare Integrata continuativa. L’articolo 1.10 prevede che «La
persona anziana nel caso di mancanza o perdita della propria abitazione ha diritto di
accedere ad adeguate agevolazioni economiche per poter disporre di una dimora
adeguata». Nel relativo commento si spiega che «il diritto della persona anziana di
permanere nella propria abitazione, così come di muoversi liberamente tanto negli
spazi privati quanto in quelli pubblici, richiede un crescente impegno per
l’abbattimento delle barriere architettoniche, intervento molto spesso condizionato
da normative e procedure amministrative complesse e farraginose, che di fatto
finiscono per ledere il diritto alla mobilità delle persone. Il diritto alla casa e
all’abitazione deve sostanziarsi anche nel diritto all’accesso immediato ad una
abitazione a canone agevolato in caso di sfratto o di mancanza di una dimora. Non è
infrequente il verificarsi di ricoveri impropri associati a cause economiche o per altre
problematiche sociali, che comportano sofferenze e disagi sul piano personale per gli
anziani ed ingiustificati costi su quello economico per la collettività. Il mancato ed
inadeguato sostegno dei servizi sociali e sanitari si traduce spesso in una oggettiva
lesione del diritto di abitare presso la propria dimora: si pensi alle centinaia di
migliaia di anziani limitati da barriere architettoniche, la più comune delle quali è la
mancanza di un ascensore per chi vive a piani alti».

Molto altro è racchiuso nella prima sezione ma, in sintesi, ho indicato i due esempi
estremi che descrivono bene questo primo capitolo: dal diritto a non subire violenze,
abusi e contenzione alla possibilità di poter restare a casa e scegliere come e con chi
vivere. La radicale riforma necessaria parte da queste esigenze.

I diritti ad una assistenza


responsabile
Anche il secondo capitolo, nei suoi primi due articoli, disegna diritti e doveri per una
assistenza responsabile affermando che «2.1 La persona anziana ha il diritto di
concorrere alla definizione dei percorsi di cura, delle tipologie di trattamento e di
scegliere le modalità di erogazione dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria. Le
istituzioni e gli operatori sanitari e sociosanitari hanno il dovere di prospettare alla
persona anziana tutte le opzioni disponibili per l’erogazione dell’assistenza sanitaria
e sociosanitaria».

C’è un diritto alla conoscenza delle possibili alternative, dei pro e dei contro di
ciascuna, nella moderna complessità dei percorsi terapeutici. Si potrebbe dire che
anche nel campo della assistenza occorre formulare un consenso informato,
indispensabile presidio al rischio di informazioni errate quando non apertamente
contraffatte, o semplicemente alla mancanza delle stesse. È esattamente in questa
direzione che muovono gli articoli successivi disponendo che «2.3 Alla persona
anziana deve essere garantito il diritto al consenso informato in relazione ai
trattamenti sanitari così come previsto dalla normativa vigente. 2.4 È dovere dei
medici e degli esercenti una professione sanitaria fornire alla persona anziana in
relazione alle sue condizioni fisiche e cognitive tutte le informazioni e le competenze
professionali necessarie. 2.5 Le istituzioni hanno il dovere di adottare adeguate ed
efficaci misure per prevenire gli abusi».

Illuminanti a questo proposito sono gli esempi riportati nel relativo commento:
«frequenti sono i casi in cui per l’erogazione di un trattamento sanitario è richiesto
impropriamente il consenso all’amministratore di sostegno anche laddove la persona
anziana risulti capace di esprimerlo, così come i casi in cui le informazioni sullo stato
di salute vengono fornite solamente ai parenti e non alle persone anziane
interessate né ad altri soggetti da queste indicati».

I successivi articoli mirano a garantire agli anziani cure della stessa qualità offerte ai
più giovani; che i setting assistenziali non producano, paradossalmente, disabilità o
perdita della autosufficienza; che le terapie e l’assistenza abbiano sempre anche
obiettivi di recupero e di ritorno alle condizioni di salute e di vita precedenti. Erogare
l’assistenza domiciliare rappresenta in sé una garanzia: sappiamo bene infatti come
la istituzionalizzazione rappresenta un fattore intrinseco di invalidità fisica e mentale:
il cosiddetto allettamento, gli stati di confusione che accompagnano inevitabilmente
il distacco da casa, la immobilità cui si è costretti, il cambio di alimentazione, i diversi
ritmi del sonno, la povertà delle attività che è possibile svolgere, l’isolamento sociale
oggettivo, solo per citare le variabili più significative. È questa la ratio degli articoli
che seguono: «2.6 La persona anziana ha diritto a cure di alta qualità e a trattamenti
adatti ai suoi personali bisogni e desideri. 2.7 La persona anziana ha diritto
all’accesso appropriato ed effettivo ad ogni prestazione sanitaria ritenuta necessaria
in relazione al suo stato di salute. 2.8 La persona anziana ha diritto di essere accudito
e curato nell’ambiente che meglio garantisce il recupero della funzione lesa. 2.9 È
dovere delle istituzioni contrastare ogni forma di sanità e assistenza selettiva in base
all’età».

Purtroppo, anche in Italia va affermandosi la tendenza, diffusa in altri paesi europei,


di negare cure di qualità agli anziani. La pandemia ha svelato tendenze preoccupanti
in questo senso: dal “contratto” che i medici olandesi propongono ai loro pazienti
anziani -lunga ventilazione o eutanasia in caso di COVID- alle limitazioni di accesso
alle terapie intensive messe nero su bianco in Svizzera e Spagna per pazienti over 75.
La galleria degli orrori sarebbe molto lunga. Uno studio di eCancer Medical Science
rivela che solo la metà degli anziani in Europa riceve le cure di eccellenza per tumori
riservate ai più giovani. E paradossalmente le neoplasie sono forme assai più diffuse
in vecchiaia! Tuttavia, non è nemmeno necessario scomodare la pandemia e le scelte
che l’hanno accompagnata o le forme tumorali. Purtroppo basta considerare
l’ordinario, almeno negli ospedali inglesi, basato su dati del Parliamentary Service
Ombudsman e il Daily Telegraph: I pazienti anziani sono lasciati senza cibo o acqua,
le loro ferite restano aperte e le medicazioni non vengono cambiate, i pazienti non
vengono lavati, c’è un modo malamente inadeguato di pulirli, lasciando le persone
impregnate di urina o a letto nelle loro feci, in mancanza di farmaci per il dolore, con
terapie scorrette, o persone lasciate sul pavimento dopo essere cadute, e così via.

L’articolo del Daily Telegraph descrive tali abusi come norma negli ospedali inglesi e
conferma ciò che molte famiglie hanno saputo e lamentato per anni. I dati riportati
sono del 2010, ben prima della pandemia, e certamente non in un regime
emergenziale. C’è un argine da ricostruire per evitare di cadere in simili orrori e
perdite di umanità. La carta prova a disegnare garanzie per tutti: che non manchino
le cure, che esse abbiano l’obiettivo di guarire, quando possibile, che ci si occupi
sempre di alleviare ogni forma di sofferenza e dolore. Quest’ultimo punto è stato
ritenuto così importante dalla Commissione, da essere inserito in realtà nel primo
capitolo, dove troviamo il seguente testo: «La persona anziana ha il diritto di
accedere alle cure palliative, nel rispetto dei principi di conservazione della dignità,
del controllo del dolore e della sofferenza sia essa fisica, mentale o psicologica, fino
alla fine della vita. Nessuno dovrebbe essere abbandonato sulla soglia dell’ultimo
passaggio».

Esso è accompagnato dal seguente commento: «Il crescente invecchiamento della


popolazione, l’evoluzione del quadro epidemiologico e i progressi della scienza
medica rendono sempre più attuale la necessità di garantire alle persone anziane un
adeguato accesso alle cure palliative ed un rinnovato sostegno umano, sociale e
spirituale. Come evidenziato dalla letteratura internazionale di riferimento, accanto
agli elementi generali su cui si fondano le cure palliative (identificazione precoce,
multidimensionalità della valutazione e delle cure, continuità delle cure e
pianificazione individualizzata dei percorsi di cura e assistenza), occorre considerare
la specificità dei bisogni espressi dai malati anziani e le modalità con cui questi
bisogni si manifestano. In tal senso, occorre considerare che la solitudine è sempre
una condizione dura, ma nei momenti della debolezza e della malattia lo è ancor più.
Con il dolore è insopportabile; si preferisce la morte al soffrire da soli. La richiesta
della eutanasia spesso parte di qui. I familiari, i corpi sociali, la collettività, hanno il
dovere di non delegare alla sola dimensione medica le necessità del morente, ma di
accompagnarlo degnamente e affettuosamente negli ultimi tempi della vita».

La lotta al dolore attraversa tutti e tre i capitoli del nostro testo: essa è insieme
diritto, tutela di assistenza e cura, accompagnamento umano e sociale nella
consapevolezza che il dolore non può e non deve essere vissuto in solitudine. Da
questo desiderio che è di tutti, semplicemente di essere curati nel migliore dei modi,
e accompagnati nelle diverse difficoltà della vita, nasce la proposta della
Commissione di un modello nuovo di cura, vicino alle abitazioni, attento al sociale,
preoccupato della prevenzione, alla ricerca di sinergie. Lo comprendiamo meglio
andando a sviscerare quanto riportato nella terza sezione della Carta.

Il diritto ad una vita attiva di


relazione
L’incipit della terza sezione è interamente dedicato alla garanzia di una vita di
relazione, alla libertà di scelta della forma di convivenza, alla lotta alle discriminazioni
ed al sostegno di chi si prende cura degli anziani, affermando che «3.1 La persona
anziana ha il diritto di avere una vita di relazione attiva. 3.2 La persona anziana ha
diritto di vivere con chi desidera. 3.3 Istituzioni e società hanno il dovere di evitare
nei confronti delle persone anziane ogni forma di reclusione, ghettizzazione,
isolamento che impedisca loro di interagire liberamente con le persone di tutte le
fasce di età presenti nella popolazione. 3.4 È dovere delle istituzioni garantire il
sostegno ai nuclei familiari che hanno anziani al proprio interno e che intendono
continuare a favorire la vita in convivenza. 3.5 Istituzioni e società hanno il dovere di
garantire la continuità affettiva delle persone anziane attraverso visite, contatti e
frequentazioni con i propri parenti o con coloro con cui si hanno relazioni affettive».

Si intrecciano qui tre temi di estremo rilievo: la consapevolezza che l’anziano nella
sua fragilità dipende ancor più dalle relazioni e dall’affetto, da una rete di contatti
quotidiani che lo circonda e lo sostiene, la lotta ad ogni forma di emarginazione e di
esclusione, il sostegno a chi lo sostiene. Troppo spesso abbiamo dimenticato la vera
e propria pandemia della solitudine e dell’isolamento sociale che ha preceduto quella
da COVID 19 e che con il virus è letteralmente esplosa nelle residenze. Il diritto a non
restare soli (e il dovere di non lasciare soli) coincide nell’anziano e nel fragile con il
diritto alla salute e persino alla vita. La letteratura scientifica è ricca di studi che
dimostrano la forte associazione tra solitudine e malattie cardiovascolari, perdita
della autonomia, demenza, depressione e molti altri disturbi negli over 65. Per
questo è ancora più grave il fatto che molti siano lasciati soli in una incuria sociale
che diviene presto e inesorabilmente domanda sanitaria. Spesso sono lasciati soli
anche i familiari e i caregiver, quei numerosi e preziosi sostegni che però devono
portare avanti il resto della famiglia, lavorare e provvedere alle necessità dei propri
cari senza aiuto.
Conclusioni
Queste tre preoccupazioni hanno trovato grande spazio nella proposta di riforma
della Commissione. La base del continuum assistenziale che abbiamo disegnato,
infatti, è costituita da servizi di rete e di monitoraggio per i più fragili e i più anziani, i
4 milioni di over 80 che vorremmo vedere tutti coinvolti. Riporto qui uno stralcio del
documento di sintesi: «Tali servizi (di rete) consistono essenzialmente in una
procedura di valutazione multidimensionale all’anno (avvicinandoci così allo standard
europeo di molti paesi virtuosi) che permetta di definire, ove necessario, un piano
assistenziale personalizzato, e quindi l’ingresso nel continuum ed anche nel
tracciamento digitale. Tre ulteriori elementi caratterizzano questo servizio a bassa
intensità ma massima diffusione:

a. la facilitazione e l’avvio di processi di inclusione sociale per una lotta sistematica


alla solitudine ed all’isolamento sociale, di inclusione digitale (utilizzo di programmi e
software, elementi di telemedicina) e culturale (corsi, apprendistato, eventi culturali
ecc.)

b. La educazione sanitaria, la promozione della salute e la prevenzione

c. L’aiuto ed il sostegno nelle situazioni di emergenza (ondate di calore, pandemia,


disastri naturali, ecc.)

Lo studio e la sperimentazione attraverso ben strutturati studi di settore potrebbero


confermare e quantificare i benefici noti in letteratura e cioè la buona riduzione
dell’uso dei Pronto Soccorso e dei ricoveri ospedalieri, della assistenza in RA o RSA e
la miglior aspettativa di vita in condizioni di autosufficienza. La sperimentazione
prevista riguarderà un ampio campione e rappresenterà un primo passo nel
processo di implementazione dell’intero continuum e degli strumenti e sistemi
digitali da introdurre».

Un altro punto cui abbiamo dedicato molto energie è quello dei “Centri diurni” per
portatori di demenze o altre patologie croniche invalidanti, pensati nella duplice
funzione di centri di animazione e cura, vorrei dire di riqualificazione urbana ma
anche sociale, con una funzione già “riparativa” e già di ospitalità per queste persone.
Queste strutture sono anche di sostegno alle famiglie ed ai caregiver, che potrebbero
ricevere il sollievo di 8 ore quotidiane durante le quali i loro cari sono assistiti e si
apre un sereno spazio di libertà per le altre incombenze.

La proposta infine impegna tutto il sistema sociosanitario in uno sforzo di


trasparenza e di lotta all’abusivismo, perché non siano più tollerate le situazioni di
vero e proprio sfruttamento degli anziani in case “abusive” (talora veri e propri lager)
senza regole di accreditamento, senza trasparenza e senza controlli. Non vogliamo
dimenticare gli orrori visti durante la pandemia ed anzi vogliamo farne occasione di
cambiamento profondo e di slancio verso un sistema di cure centrato sulla
abitazione.

La Carta disegna quel maturo senso civile dei diritti e dei doveri che una società ed
una democrazia “alta” devono saper offrire ai loro cittadini anziani. Non è una
proposta utopica. Partire dai più fragili, metterli al centro dell’attenzione, favorirà
uno sviluppo inclusivo e diffuso: gli anziani sono anche un crocevia di economie -
quella digitale, quella dei servizi, quella verde e quella dei consumi.
Carta per i diritti delle
persone anziane e i doveri
della comunità

Preambolo
La Costituzione italiana non contempla una tutela specifica dei diritti delle persone
anziane. La sua stesura in anni in cui le problematiche della Terza Età erano meno
rilevanti nel dibattito pubblico odierno hanno contribuito a far sì che non vi fosse sul
tema alcun preciso riferimento nella Carta costituzionale, che si è limitata a
prevedere misure assistenziali in caso di vecchiaia. Anche per questo in anni più
recenti e in diversi modi si è pensato di ovviare a questa mancanza, ad esempio
introducendo all’art. 3 tra i fattori di non discriminazione l’età.

Diverso è stato invece l’atteggiamento delle istituzioni dell’Unione Europea. La Carta


dei diritti fondamentali, siglata nel 2000, ha dedicato un articolo specifico ai diritti
delle persone anziane, l’art. 25 per il quale “L’Unione riconosce e rispetta il diritto
delle persone anziane di condurre una vita dignitosa e indipendente e di partecipare
alla vita sociale e culturale”. Si tratta di un’efficace base normativa da cui muovere
per una riflessione approfondita ed una proposta innovativa che rispondano ai
crescenti e non rinviabili bisogni espressi dalle persone anziane.

Va detto del resto che l’assenza esplicita del tema nella nostra Costituzione non
impedisce di rinvenire in essa sicure fondamenta alle quali ancorare la definizione
dei diritti delle persone anziane, innanzitutto partendo dai principi di solidarietà e di
uguaglianza. La persona anziana fa naturalmente parte delle formazioni sociali e
nelle relazioni con i componenti di tali formazioni ai diritti delle persone anziane
corrispondono i “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”
sanciti dall’art. 2 e il compito imposto dall’art. 3 alla Repubblica “di rimuovere gli
ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e
l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e
l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e
sociale del Paese”.

Pertanto, la Costituzione, ancorché non parli espressamente delle persone anziane,


esige tuttavia che sia assicurata un’adeguata promozione e protezione ai loro diritti e
l’adempimento dei doveri nei loro confronti.

Valore della Carta


La Carta per i diritti delle persone anziane e i doveri della comunità, frutto del lavoro
della Commissione per la riforma della assistenza sanitaria e sociosanitaria della
popolazione anziana istituita presso il Ministero della salute, rispetto ad una mera
enunciazione astratta dei diritti delle persone anziane e dei doveri della comunità
intende compiere un passo ulteriore in un duplice senso: se da un lato si pone lo
scopo di incidere nell’ordinamento prospettando al legislatore principi fondamentali
e diritti che possono trovare un riconoscimento formale in specifici atti normativi,
dall’altro offre indicazioni operative ed organizzative ad istituzioni ed operatori
chiamati a prendersi cura delle persone anziane.

La Carta intende declinare in concreto le indicazioni contenuti in alcuni documenti


internazionali, quali la Raccomandazione del Comitato dei Ministri CM / Rec (2014) 2
agli Stati membri del Consiglio d’Europa sulla promozione dei diritti umani delle
persone anziane adottata il 19 Febbraio 2014 e la Carta europea dei diritti e delle
responsabilità delle persone anziane bisognose di assistenza e di cure a lungo
termine elaborata nel giugno 2010 nell’ambito del Programma Europeo DAPHNE III
contro l’abuso verso le persone anziane da un gruppo di collaborazione di 10 paesi
come parte del progetto EUSTACEA.

Infine, la Carta obbedisce allo scopo di facilitare la conoscenza per le persone


anziane dei loro diritti fondamentali e di accrescere la loro consapevolezza, nonché
dei doveri che gravano su quanti entrano in relazione con loro.

Si tratta di obiettivi che potrebbero essere perseguiti con immediatezza attraverso


una traduzione dei contenuti della Carta in una direttiva del Presidente del Consiglio
dei Ministri per ispirare ed orientare l’azione delle pubbliche amministrazioni,
nonché in un possibile accordo in Conferenza Unificata per condividerli con regioni
ed enti locali.
CARTA
PER I DIRITTI
DELLE PERSONE
ANZIANE
E I DOVERI
DELLA COMUNITÀ
1
Per il rispetto della dignità della
persona anche nella terza età

1.1
La persona anziana ha il diritto di determinarsi in maniera
indipendente, libera, informata e consapevole con riferimento alle
scelte di vita e alle decisioni principali che lo riguardano.

1.2
È dovere dei familiari e di quanti interagiscono con la persona
anziana fornirgli in ragione delle sue condizioni fisiche e cognitive
tutte le informazioni e conoscenze necessarie per
un’autodeterminazione libera, piena e consapevole.

Esempi e considerazioni

Nella terza età si entra spesso in un cono d’ombra, determinato apparentemente dalle
condizioni di salute e dalla fragilità, in realtà espressione di un pregiudizio di ageismo,
secondo cui le persone anziane non hanno più capacità di decisione autonoma, così come
quella di gestione indipendente della propria vita.

È necessario distinguere una valutazione di dipendenza fisica o cognitiva dalla presunta


incapacità di decisione, spesso trasformata in implicita interdizione.

Il fatto che una persona anziana abbia perso alcune capacità fisiche e strumentali per
vivere la vita quotidiana (lavarsi, alimentarsi, far uso del denaro, dei mezzi di trasporto,
ecc.) non deve tramutarsi automaticamente in un giudizio di incapacità di decidere, ed
essere automaticamente sostituito dalle decisioni della famiglia, dei caregiver o
dell’amministratore di sostegno, abusi che ricorrono ad esempio quando si impedisce alla
persona anziana di scegliere il tipo e la qualità di cibo, di disporre dei propri documenti di
identità o di pagamento elettronico.

1.3
La persona anziana ha il diritto di conservare la propria dignità
anche in casi di perdita parziale o totale della propria autonomia.
1.4
La persona anziana ha il diritto di essere chiamata per nome e
trattata con rispetto e tenerezza.

1.5
La persona anziana ha il diritto alla riservatezza, al decoro e al
rispetto del pudore negli atti di cura della persona e del corpo.

1.6

La persona anziana ha il diritto di essere sostenuta nelle capacità


residue anche nelle situazioni più compromesse e terminali.

1.7

La persona anziana ha il diritto di accedere alle cure palliative, nel


rispetto dei principi di conservazione della dignità, del controllo del
dolore e della sofferenza sia essa fisica, mentale o psicologica, fino
alla fine della vita. Nessuno dovrebbe essere abbandonato sulla
soglia dell’ultimo passaggio.

Esempi e considerazioni

Il crescente invecchiamento della popolazione, l’evoluzione del quadro epidemiologico e i


progressi della scienza medica rendono sempre più attuale la necessità di garantire alle
persone anziane un adeguato accesso alle cure palliative ed un rinnovato sostegno
umano, sociale e spirituale. Come evidenziato dalla letteratura internazionale di
riferimento, accanto agli elementi generali su cui si fondano le cure palliative
(identificazione precoce, multidimensionalità della valutazione e delle cure, continuità
delle cure e pianificazione individualizzata dei percorsi di cura e assistenza), occorre
considerare la specificità dei bisogni espressi dai malati anziani e le modalità con cui
questi bisogni si manifestano.

In tal senso, occorre considerare che la solitudine è sempre una condizione dura, ma nei
momenti della debolezza e della malattia lo è ancor più. Con il dolore è insopportabile; si
preferisce la morte al soffrire da soli. La richiesta della eutanasia spesso parte di qui. I
familiari, i corpi sociali, la collettività, hanno il dovere di non delegare alla sola
dimensione medica le necessità del morente, ma di accompagnarlo degnamente e
affettuosamente negli ultimi tempi della vita.

1.8

Quanti interagiscono con le persone anziane hanno il dovere di


adottare comportamenti riguardosi, onorevoli, premurosi e cortesi,
di prestare ascolto ed adeguata attenzione alle segnalazioni e
osservazioni avanzate dalle persone anziane.

Esempi e considerazioni

Un’abitudine molto diffusa, specie nei luoghi di cura, è il rivolgersi alle persone anziane in
maniera impersonale e poco rispettosa. Chiamare la persona anziana con appellativi
falsamente confidenziali oppure sostituire il nome con un numero identificativo sono due
modalità di relazione apparentemente opposte, ma che denotano entrambe la mancanza
di rispetto per la persona anziana. Si tratta di una mancanza che spesso si manifesta
nella poca attenzione per la cura dell’aspetto esteriore della persona anziana: lo scambio
dei capi di abbigliamento fra gli assistiti, l’utilizzo di vestiario scadente e impersonale
rientrano in questo genere di abusi.

1.9

La persona anziana ha il diritto di permanere per quanto più a


lungo possibile presso la sua abitazione.

1.10

La persona anziana nel caso di mancanza o perdita della propria


abitazione ha diritto di accedere ad adeguate agevolazioni
economiche per poter disporre di una dimora adeguata.

1.11

È dovere delle istituzioni garantire alle persone anziane adeguati


servizi a fronte di particolari condizioni fisiche e di salute o
dell’esistenza di barriere architettoniche.

Esempi e considerazioni

Il diritto della persona anziana di permanere nella propria abitazione, così come di
muoversi liberamente tanto negli spazi privati quanto in quelli pubblici, richiede un
crescente impegno per l’abbattimento delle barriere architettoniche, intervento molto
spesso condizionato da normative e procedure amministrative complesse e farraginose,
che di fatto finiscono per ledere il diritto alla mobilità delle persone. Il diritto alla casa e
all’abitazione deve sostanziarsi anche nel diritto all’accesso immediato ad una abitazione
a canone agevolato in caso di sfratto o di mancanza di una dimora. Non è infrequente il
verificarsi di ricoveri impropri associati a cause economiche o per altre problematiche
sociali, che comportano sofferenze e disagi sul piano personale per gli anziani ed
ingiustificati costi su quello economico per la collettività. Il mancato ed inadeguato
sostegno dei servizi sociali e sanitari si traduce spesso in una oggettiva lesione del diritto
di abitare presso la propria dimora: si pensi alle centinaia di migliaia di anziani limitati
da barriere architettoniche, la più comune delle quali è la mancanza di un ascensore per
chi vive a piani alti.

1.12
La persona anziana ha diritto alla tutela del proprio reddito e del
proprio patrimonio ai fini del mantenimento di un tenore di vita
adeguato e dignitoso.
1.13
È dovere delle istituzioni garantire alla persona anziana forme di
integrazione del reddito in caso di parziale o totale indigenza o di
inadeguate risorse economiche.

1.14
È dovere delle istituzioni garantire l’effettiva gratuità delle cure e
delle prestazioni sanitarie e sociosanitarie.

Esempi e considerazioni

Molteplici e ricorrenti sono gli abusi riguardanti l’utilizzo delle risorse economiche e
patrimoniali da parte delle persone anziane. A tal riguardo l’intervento
dell’amministratore di sostegno non sempre appare appropriato, e spesso si rivela più
come momento di tutela del patrimonio che della persona.

Rispetto alla garanzia finanziaria dei livelli essenziali di assistenza sanitaria, la fruizione
delle prestazioni sociali da parte delle persone anziane risulta fortemente condizionata
dalla disponibilità di adeguate risorse finanziarie da parte dell’ente chiamato a garantirne
il godimento.

Inoltre, le prestazioni sociosanitarie fornite dalle istituzioni pubbliche molte volte non
riescono a soddisfare le necessità assistenziali delle persone anziane, che sono pertanto
costrette a ricorrere ai fornitori privati con conseguenti elevati e non sempre sostenibili
costi economici.

Ciò comporta da un lato l’opportunità di riformare i criteri reddituali per definire i


sostegni economici a favore delle persone anziane, dall’altro un costante impegno dei figli
a prendersi cura dei propri genitori anziani che versano in condizioni di indigenza.

1.15
La persona anziana ha il diritto di chiedere supporto e aiuto a
persone di propria fiducia e scelta nella presa di decisioni
finanziarie.
Esempi e considerazioni

Soprattutto quando soffrono di problemi cognitivi gli anziani necessitano di un supporto


per migliorare i livelli di “competenza finanziaria” in modo da permettere loro di
comprendere le implicazioni legali e finanziarie e prendere decisioni informate su
problemi sanitari, sulla morte di un parente o sul trasferimento in una struttura
assistenziale. Questo è particolarmente importante perché permettere alla persona
anziana di non perdere il controllo delle proprie finanze ed essere quanto più possibile
indipendente nella sua vita quotidiana.

1.16
La persona anziana ha il diritto di ricevere un sostegno adeguato
nel prendere le sue decisioni, anche attraverso la nomina di un
soggetto di sua fiducia che, su sua richiesta, e in conformità con la
sua volontà e le sue preferenze, sia di ausilio alle sue decisioni.
Esempi e considerazioni

Appare sempre più necessario rendere le persone anziane informate e consapevoli del
diritto di poter scegliere una persona di fiducia per l’adozione delle proprie decisioni e per
la cura dei loro interessi anche riguardo ad aspetti cruciali della propria vita come la
salute. In questa direzione si muove la recente istituzione della figura del “fiduciario” che
può essere indicato nella DAT (dichiarazione anticipata di trattamento), persona che non
deve essere necessariamente un parente, né l’amministratore di sostegno, ma che può
essere indicato liberamente nella dichiarazione. Tale scelta potrebbe contribuire a
diffonderne maggiormente l’utilizzo sul territorio nazionale e a rendere effettiva la
sottoscrizione delle dichiarazioni da parte delle persone anziane.

2
Per un’assistenza responsabile

2.1

La persona anziana ha il diritto di concorrere alla definizione dei


percorsi di cura, delle tipologie di trattamento e di scegliere le
modalità di erogazione dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria.

2.2
Le istituzioni e gli operatori sanitari e sociosanitari hanno il dovere
di prospettare alla persona anziana tutte le opzioni disponibili per
l’erogazione dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria.
Esempi e considerazioni

L’esercizio di tale diritto non viene facilitato dalle differenti scelte non sempre adeguate
effettuate in materia di assistenza sanitaria e sociosanitaria. Ad esempio, se l’assistito
sceglie di rimanere presso la propria dimora invece che ricorrere al ricovero presso
strutture sociosanitarie tutte le spese sanitarie devono essere sostenute dallo stesso o
dalla sua famiglia a fronte dell’insufficiente offerta di servizi di assistenza domiciliare
sanitaria e integrata. Appare auspicabile se non necessario un impegno economico delle
istituzioni pubbliche volto ad assicurare la libertà e parità di scelta tra le diverse forme di
assistenza sanitaria e sociosanitaria. La scelta dell’ambiente di cura deve essere fatta in
accordo con i desideri della persona anziana che riceve assistenza, e in sintonia con le sue
esigenze e le risorse finanziarie. Non sono rari i casi di abuso come la prassi del
trasferimento nei reparti di post-acuzie e lungodegenza delle persone anziane che
necessitano di cure riabilitative, trasferimento spesso effettuato senza il consenso
dell’interessato.

2.3

Alla persona anziana deve essere garantito il diritto al consenso


informato in relazione ai trattamenti sanitari così come previsto
dalla normativa vigente.

2.4
È dovere dei medici e degli esercenti una professione sanitaria
fornire alla persona anziana in relazione alle sue condizioni fisiche e
cognitive tutte le informazioni e le competenze professionali
necessarie.

2.5

Le istituzioni hanno il dovere di adottare adeguate ed efficaci


misure per prevenire gli abusi.

Esempi e considerazioni

Frequenti sono i casi in cui per l’erogazione di un trattamento sanitario è richiesto


impropriamente il consenso all’amministratore di sostegno anche laddove la persona
anziana risulti capace di esprimerlo, così come i casi in cui le informazioni sullo stato di
salute vengono fornite solamente ai parenti e non alle persone anziane interessate né ad
altri soggetti da queste indicati.

2.6
La persona anziana ha diritto a cure di alta qualità e a trattamenti
adatti ai suoi personali bisogni e desideri.
2.7
La persona anziana ha diritto all’accesso appropriato ed effettivo ad
ogni prestazione sanitaria ritenuta necessaria in relazione al suo
stato di salute.

2.8

La persona anziana ha diritto di essere accudito e curato


nell’ambiente che meglio garantisce il recupero della funzione lesa.

2.9

È dovere delle istituzioni contrastare ogni forma di sanità e


assistenza selettiva in base all’età.

Esempi e considerazioni

L’assistenza e la cura delle persone anziane dovrebbero fin quando è possibile essere
garantite a domicilio, essendo questo l’ambiente che meglio stimola il recupero o il
mantenimento della funzione lesa, fornendo ogni prestazione sanitaria e sociale ritenuta
praticabile ed opportuna. Il ricovero della persona anziana in struttura ospedaliera o
riabilitativa dovrebbe svolgersi per tutto il periodo strettamente necessario per la cura e
riabilitazione, avendo chiaro che il ritorno alla propria abitazione è un obiettivo
prioritario.

2.10

Gli operatori sanitari e sociosanitari hanno il dovere di mantenere


l’indipendenza e l’autonomia della persona anziana bisognosa di
cure.

2.11

Gli operatori sanitari e sociosanitari hanno il diritto di conseguire


una formazione professionale adeguata alle esigenze delle persone
anziane.

Esempi e considerazioni

Alcune prassi assistenziali, quali ad esempio alzare dal letto i pazienti solo quando è
disponibile il personale di servizio, favorire l’allettamento delle persone per evitare le
cadute, fino all’adozione di forme di contenzione, limitano di fatto e non promuovono
l’autonomia delle persone anziane. Si tratta di comportamenti spesso giustificati
adducendo ragioni di organizzazione del lavoro che finiscono per prevalere sul rispetto
della persona.
3
Per una vita attiva di relazione

3.1
La persona anziana ha il diritto di avere una vita di relazione attiva.

3.2
La persona anziana ha diritto di vivere con chi desidera.

3.3

Istituzioni e società hanno il dovere di evitare nei confronti delle


persone anziane ogni forma di reclusione, ghettizzazione,
isolamento che impedisca loro di interagire liberamente con le
persone di tutte le fasce di età presenti nella popolazione.

3.4

È dovere delle istituzioni garantire il sostegno ai nuclei familiari che


hanno anziani al proprio interno e che intendono continuare a
favorire la vita in convivenza.

3.5

Istituzioni e società hanno il dovere di garantire la continuità


affettiva delle persone anziane attraverso visite, contatti e
frequentazioni con i propri parenti o con coloro con cui si hanno
relazioni affettive.

Esempi e considerazioni

La possibilità di una vita di relazione attiva non risulta garantita non solo quando le
persone sono confinate in casa o nelle strutture di cura con una ridotta possibilità di
incontri e visite, ma anche quando i luoghi di cura sono separati dalla vita dei quartieri.
Pertanto deve costituire impegno delle istituzioni e delle comunità alimentare ad ogni
livello il rapporto fecondo tra giovani ed anziani e stimolare le molteplici forme di
integrazione.
3.6
La persona anziana ha il diritto alla salvaguardia della propria
integrità psico-fisica e di essere preservato da ogni forma di
violenza fisica e morale e di forme improprie di contenzione fisica,
farmacologica e ambientale, nonché di abuso e di negligenza
intenzionale o non intenzionale.

3.7
Quanti interagiscono con le persone anziane hanno il dovere di
denunciare ogni forma di abuso, violenza e discriminazione operata
nei loro confronti.
Esempi e considerazioni

Al fine di contrastare con decisione ogni forma di violenza nei confronti delle persone
anziane potrebbe essere considerata l’introduzione di aggravanti di pena nel caso di
violenze morali e fisiche, maltrattamenti, privazioni di cure elementari, minacce,
estorsioni, umiliazioni, intimidazioni, violenze economiche o finanziarie, specialmente se
avvengono in ambito protetto o in strutture di cura o assistenza. Particolarmente
importante appare la lotta a tutte le forme improprie di contenzione fisica, farmacologica
e ambientale.

Tale protezione dovrebbe essere assicurata indipendentemente dal fatto che violenze,
abusi, negligenze avvengano in casa, all’interno di un’istituzione o altrove.

La più efficace forma di prevenzione di questo tipo di abusi non è rappresentata dal
ricorso a mere forme di controllo tecnologico quale ad esempio l’utilizzo delle
videocamere, ma dalla possibilità di coltivare anche nei luoghi di cura la vita di relazioni e
l’interazione con l’esterno da parte delle persone anziane: la presenza di visitatori e di
volontari costituisce la miglior protezione contro gli abusi che possono perpetrarsi in
spazi chiusi.

Un ulteriore strumento di prevenzione è rappresentato dal diritto delle persone anziane di


scegliere i luoghi e le persone con cui vivere, anche attraverso la promozione dei servizi
per la domiciliarità ed il cohousing come possibilità alla portata di tutti.

3.8

La persona anziana ha il diritto di partecipare attivamente alla vita


sociale anche attraverso lo svolgimento di forme di lavoro flessibili
ed adeguate alle sue condizioni e possibilità o di attività di
volontariato.
3.9
La persona anziana ha il diritto di conservare la possibilità di
accedere a servizi culturali e ricreativi, nonché di manifestare il
proprio pensiero e di accrescere la propria cultura, pur in presenza
di limitazioni psicofisiche.

3.10
È dovere delle istituzioni garantire servizi di inclusione digitale, di e-
learning, di facilitazione dell’apprendimento attraverso mezzi
informatici.
Esempi e considerazioni

La garanzia di questo diritto richiede l’esercizio di una protezione pubblica da parte di


enti ed amministrazioni, chiamati a trovare idonee soluzioni atte ad evitare processi di
emarginazione.

A tal fine le istituzioni devono fornire idonei ausili, non solo quelli previsti per ipovedenti o
portatori di ipoacusie o per la mobilità, ma anche per le attività di partecipazione sociale
e digitale.

Inoltre, la concreta e verificabile possibilità di accesso a centri diurni rappresenta una


indispensabile forma di tutela di tali diritti.

Non si deve trascurare il diritto della persona anziana di esercitare le attività che
preferisce, incluso il lavoro e l’apprendistato, seppure attraverso forme idonee ed
effettivamente praticabili e disponibili. Un diffuso pregiudizio porta infatti a ritenere la
persona anziana incapace di attività ed impegno. Emerge dalle evidenze scientifiche che
un invecchiamento attivo nella terza età, in grado non solo di assicurare una maggior
sopravvivenza, ma anche un più lento declino, determina una domanda più contenuta di
servizi sociali e sanitari ed una miglior qualità della vita.

3.11

La persona anziana ha il diritto di conservare e veder rispettate le


proprie credenze, opinioni, sentimenti.

Esempi e considerazioni

Il diritto di esercitare le pratiche religiose da parte delle persone anziane è vanificato dalla
mancanza di luoghi di culto, nonché dalla ricorrente scelta di chiudere i servizi religiosi
presso i luoghi di accoglienza e cura.
3.12
La persona anziana ha il diritto di muoversi liberamente e di
viaggiare.

3.13
Le istituzioni hanno il dovere di adottare misure per agevolare la
mobilità delle persone anziane e un adeguato accesso alle
infrastrutture loro destinate.
Esempi e considerazioni

L’ambiente urbano non è privo di impedimenti e barriere per la mobilità delle persone
anziane, le quali subiscono, come le altre persone fragili, notevoli limitazioni negli
spostamenti sui mezzi di trasporto, nei luoghi pubblici ed aperti al pubblico. Pertanto
deve costituire impegno crescente e costante di tutte le istituzioni pubbliche la rimozione
di ogni forma di limitazione alla libertà di movimento.
STORIE
Storie | 1
Quando a decidere sono gli altri....

Mario aveva 82 anni e alcune limitazioni fisiche. Per spostarsi gli era
necessario l'appoggio di un deambulatore e un po' di aiuto per andare al
bagno. Aveva un reddito pensionistico dignitoso dopo 40 anni di lavoro. Aveva
anche ottenuto il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento e viveva
in una casa popolare che gli era stata assegnata quando lui era ancora giovane
e suo figlio aveva solo 15 anni.

Da qualche anno il figlio si era trasferito a vivere con lui perché sfrattato dalla
casa dove abitava con la sua famiglia. Un giorno il figlio inizia a dire al padre
che la convivenza tra loro non era più possibile, che sia lui che sua moglie
dovevano andare a lavorare e non potevano occuparsi di lui nel corso della
giornata. Gli propone la casa di riposo, ma Mario cerca di opporre resistenza.

La proposta del figlio, che ormai era già più di una proposta, lo sconvolge e
per far valere i suoi diritti lo contrasta con tutte le sue forze lasciando
riemergere a volte anche il suo carattere litigioso. Mario assume questi
atteggiamenti perché è consapevole che in realtà non riuscirà a contrastare la
proposta del figlio che ormai era una decisione presa. Piange, si dispera ma è
costretto a fare quello che il figlio gli impone: prende con sé una borsa con
qualche indumento, un telefono, gli occhiali e si avvia, senza parlare, con il
figlio in una villetta isolata che confina con la campagna ed affaccia su una
strada di intenso scorrimento. Al suo arrivo lo saluta un assistente che gli
mostra la stanza che avrebbe dovuto condividere con altre due persone.
Alcuni anziani lo guardano, qualcuno lo saluta.

Così nella casa popolare intestata a Mario resta a vivere il figlio con la sua
famiglia e lui, non più considerato parte della famiglia, è costretto a vivere in
una struttura tra sconosciuti, isolato da tutti e da tutto.

Gli resta solo il cellulare per mantenere qualche contatto. Così telefona a
qualcuno che conosce e racconta la sua vicenda assurda che gli sembrava un
incubo dal quale non riusciva più a svegliarsi. Dice che lì si trovava male, a
disagio, che non si mangiava bene anzi il cibo era insufficiente ed aveva
sempre fame.

Dopo pochi giorni, il figlio, venuto a conoscenza delle sue telefonate, va in


istituto porta via il telefono al padre. Dice al direttore che era meglio evitare
che lo tenesse perché quelle chiamate lo agitavano e lo facevano star male.

Mario queste cose non ha più potuto raccontarle a nessuno, lo hanno chiuso
nel silenzio.
Storie | 2
Quanto costa far vestire bene una anziana? Storie di abusi
ordinari.

Adalgisa dall’età di 20 anni aveva lavorato nei cabaret. Le piaceva cantare,


ballare e si vantava con tutti di aver conosciuto anche attori poi diventati
famosi. Tutti le facevano i complimenti perché aveva una bella voce e un fisico,
che come diceva lei stessa: “non per niente ma facevo girare la testa a tutti”.
Nell’abbigliamento era molto ricercata e raccontava sempre che, finita la
guerra, aveva potuto finalmente iniziare a comprarsi vestiti nuovi e seguire la
moda del tempo. Raccontava sempre queste stesse scene mentre sedeva,
arrotolata nelle lenzuola, nel letto ortopedico della stanza a 4 letti della RSA
dove era stata ricoverata da due anni perché “non poteva più stare sola”. “Ma
che non puoi camminare? Perché non ti alzi?” Adalgisa fa il gesto di abbassare
la voce e chiede al suo interlocutore di avvicinarsi un po’. “Parliamo piano qui
anche i muri hanno le orecchie. Vede io mi sono sempre vestita in un certo
modo, non si immagini chissà che, ma mai un capello fuori posto, una macchia
sul vestito... qui mi fanno vestire con la tuta da ginnastica perché dicono che è
più comoda. Ma per chi è più comoda? Per loro. Io la tuta, e mi sa che questa
che ho indosso non è neanche la mia, dicevo io la tuta non l’ho mai usata in
vita mia, non mi è mai piaciuta e neanche ho mai fatto ginnastica, già ballando
mi muovevo abbastanza. Qui invece tutti con la tuta, uomini e donne, certe
volte ti tagliano i capelli così corti che fai pure fatica a riconoscere il genere di
una persona. Con la tuta siamo tutti uguali, io ovviamente non ho fatto il
militare, ma qui è peggio di una caserma. Io non ricevo mai visite ma è meglio
così perché mi vergognerei a farmi vedere in queste condizioni. Mi piacerebbe
tanto avere un vestito elegante e uscire a spasso in città”. Quanto costa allo
Stato, alla società, far vestire bene un’anziana?

Storie | 3

Quanto costa far vestire bene una anziana? Storie di abusi


ordinari.

Fulvio ha 79 anni, ha lavorato come ingegnere, progettava ascensori. È stato a


lavorare in Svizzera e in Olanda. Successivamente è divenuto dirigente di una
ditta a La Spezia e quando questa ha preso degli appalti a Roma ben volentieri
si è trasferito nella capitale.

La sua pensione gli consente di vivere agiatamente ma sopraggiunti i primi


problemi di salute gli viene consigliato, dai suoi nipoti, di trasferirsi in una casa
di riposo “molto buona” che si trova fuori Roma.

Fulvio era molto incerto e alla fine si lascia convincere pensando che dopo il
primo periodo di cure avrebbe recuperato le sue energie e sarebbe tornato a
casa. Sì, perché lui aveva una bella casa nella zona di Piazza Sempione. I nipoti
nello stesso periodo presentano per Fulvio una richiesta di amministrazione di
sostegno perché pensano che sia meglio che qualcuno lo affianchi nella
gestione economica e nelle scelte quotidiane. Lui viene a conoscenza di questa
iniziativa solo quando si vede recapitare dal Tribunale Civile di Roma una
convocazione. I nipoti minimizzano e insistono nel dire che sarà per lui un
aiuto importante. Loro pensavano che, conoscendo le stravaganze dello zio,
sarebbe stato meglio un estraneo come amministratore di sostegno piuttosto
che loro stessi ai quali lo zio non ha mai voluto dare retta.

Così viene nominato un avvocato che improvvisamente entra nella sua vita
privata, fino negli angoli più remoti.

Bene, pensa Fulvio, ora voglio far valere i miei diritti e spiegherò che prima di
tutto voglio tornare a casa, magari pagherò un assistente familiare per farmi
aiutare. Così si prepara un bel discorso ma nel primo incontro non percepisce
molta disponibilità di ascolto da parte dell'avvocato che, mostrato il decreto di
nomina, ha fretta di farsi consegnare il bancomat, i documenti e le chiavi di
casa. Fulvio pensa che forse non era il giorno giusto, forse era solo il primo
incontro e continua a pensare che se il giudice ha deciso così significa che sarà
questa la strada per far valere i propri diritti e le proprie richieste.

Ma dopo il primo incontro Fulvio non riesce più ad avere occasione per parlare
di nuovo con l'amministrazione di sostegno. Chiede alla direzione della casa di
riposo di chiamarlo ma loro dicono di non preoccuparsi perché si farà vivo lui.
Fulvio protesta e loro gli dicono di stare attento a quello che dice perché
avrebbero riferito tutto all'avvocato. Allora racconta tutto ai suoi amici che
ogni tanto vanno a trovarlo. Loro, non si sa come, riescono a parlare con
l'amministratore di sostegno e, per tutta risposta, lui li diffida dal continuare
ad occuparsi di Fulvio e creargli false aspettative. Aggiunge che lui non si vuole
assumere la responsabilità di far tornare Fulvio a casa e quindi questa attuale
è la situazione migliore, ovviamente migliore per lui.

Gli amici di Fulvio gli fanno presente che è proprietario di una bella casa dove,
grazie anche al suo reddito, potrebbe vivere bene. L'amministratore di
sostegno non vuole sentire ragioni e ribadisce che va bene così come ha già
deciso. Insistono a dire che la volontà di Fulvio è un'altra. L'avvocato va su
tutte le furie: “Ma che volontà e volontà, bisogna essere realisti e poi io non
devo rendere conto a voi dei motivi per i quali ho preso questa decisione. Non
ho altro da aggiungere”. Fulvio parla con tutti solo di casa sua, di poter uscire
ma non riesce a parlare più con il suo amministratore di sostegno e non lo
incontra mai. Non riesce a capire come sia possibile che uno sconosciuto, mai
visto prima, possa decidere tutto di lui, senza ascoltare la sua volontà.
Storie | 4
A proposito della scelta degli amministratori di sostegno...
una storia esemplare

Giovanni ha quasi 90 anni e una mente lucidissima. In particolare, una cosa ha


chiara: che in istituto non ci vuole andare. Lo ripeteva a tutti anche per
ripeterlo sempre a sé stesso. Certo il futuro lo preoccupava. Era in buona
salute ma non aveva parenti, solo una gentile vicina di casa che gli faceva la
spesa e altre commissioni. E che lui ricompensava sempre. La sua casa era
molto ben organizzata ma al terzo piano senza ascensore era diventato
faticoso per lui uscire. Un giorno una piccola buca nel cortile di casa gli fu
fatale. Cadde e si fratturò il femore.

Iniziò così un percorso che aveva sempre temuto. La vicina che va a trovarlo gli
confida le sue preoccupazioni per il rientro in casa: lei non avrebbe potuto
aiutarlo più di quello che faceva. Parla anche con i medici e con l’assistente
sociale dell’ospedale spiegando che lei può fare molto poco e poi c’è anche il
problema della gestione della pensione, delle spese per la casa e tutto il resto
e lui non ha nessuno. Per questo i servizi decidono di fare subito una richiesta
di amministratore di sostegno. Non che Giovanni non fosse in grado di
decidere come gestire i soldi e il suo futuro ma è un vecchio di 90 anni e la
cosa più semplice, in assenza di un parente, sembra quella di affidarlo ad una
figura istituzionale.

Intanto, superata la fase acuta, decidono anche di trasferirlo in un’altra


struttura. Non proprio una riabilitazione perché si tratta di un anziano, andrà
in un post acuzie riabilitativo: intensità di cure riabilitative più bassa. Così fa
solo alcuni minuti di riabilitazione al giorno e poi trascorre il resto delle ore nel
letto: nessuno lo alza. È facile immaginare quanto questa riabilitazione non lo
aiuti a recuperare sensibilmente le sue capacità motorie.

Un giorno un medico della struttura si avvicina al suo letto e gli spiega che per
lui era preferibile continuare le cure trasferendosi in un’altra struttura un po’
fuori Roma, ma molto buona, verso Velletri. Per il trasferimento avrebbe
dovuto firmare il modulo che gli porgeva con insistenza: “ecco deve firmare
qui”.

Giovanni esita, non capisce, vorrebbe parlare del suo futuro per preparare il
rientro a casa, vorrebbe avere delle spiegazioni sulle sue condizioni di salute,
chiedere perché ancora non cammina...e tante altre cose: insomma vorrebbe
parlare con qualcuno. Ma il tempo per lui ormai è scaduto, il medico ha fretta
e già ha iniziato a rivolgersi ad un altro paziente. Riesce solo a dire: ma io
vorrei andare a casa. Il medico lo guarda con uno sguardo pietoso che lascia
intendere che stesse come vaneggiando: “Ma certo però adesso deve stare
qui”. Giovanni alla fine firma, senza sapere di che cosa si trattasse. Aveva dato
il consenso per un trasferimento in una RSA. Dopo quella firma i mesi passano
senza che nessuno gli spieghi più nulla. Aspetta di continuare le cure
riabilitative ma ogni giorno per qualche motivo vengono rinviate. Un giorno si
presenta vicino al suo letto uno sconosciuto: buongiorno sono l’avvocato
Bianchi, sono stato nominato suo amministratore di sostegno. Mi occuperò
della sua pensione e di quello che le occorre.

Giovanni inizia a intravedere una via d’uscita. “Bene io vorrei tornare a casa
sono qui già da 5 mesi”. L’avvocato risponde senza spazio per repliche:
“Ancora è presto per uscire, ne riparleremo. Intanto mi occuperò del
pagamento della retta di questo istituto. Poi vedremo. Tornerò a trovarla
quando mi sarà possibile perché qui è lontano da Roma.” Giovanni chiede di
avere la disponibilità di una somma di denaro perché non ha nulla con sé e
potrebbe servirgli qualcosa. La risposta dell’avvocato è ancora più lapidaria:
“Ma che ci deve fare qui con i soldi non le manca niente, pensano a tutto loro.”
Giovanni aspetta ancora qualcuno che gli spieghi per quale motivo deve stare
lì dentro.

Storie | 5
Cure appropriate nell’ambiente appropriato: l’abitazione.

Come spesso accadeva alle donne nubili di un tempo e malgrado i giudizi


malevoli che le circondavano, Maria, oggi 88 anni ben portati, è stata una
donna forte, indipendente e risoluta. E lo è ancora, malgrado l’età avanzata e
le tante vicissitudini che ha dovuto attraversare. Ha sempre vissuto da sola,
ma questo non le ha impedito di avere una vita sociale e professionale molto
soddisfacente. Donna colta, studiosa, appena terminati le scuole superiori, si
era iscritta ad un corso di dattilografia per poter iniziare a lavorare il più
presto possibile e mantenersi autonomamente. Non erano certo tempi di
grandi opportunità, allora, per le donne che volevano avviarsi ad una brillante
carriera professionale. E così, ancora giovane, terminato il percorso di
formazione, venne assunta dalla Democrazia Cristiana, dove presto si fece
valere. Conobbe Aldo Moro ed entrò nella sua segreteria, ove rimase a lungo.
Fu, la sua, una vita molto attiva e assai piena di soddisfazioni. Si comprò una
bella casa a Roma, vicino a Piazzale Clodio, il quartiere di chi esercita una
professione giuridica e dove vive tuttora. Due anni fa, già molto anziana e da
tempo pensionata, Maria ha cominciato ad avere problemi di salute di una
certa importanza per cui aveva bisogno di una serie continua di accertamenti.
Niente di particolarmente specialistico o sofisticato, solo la necessità di
ripetere alcune analisi, come ad esempio la misurazione del valore
dell’emocromo, per tenere sotto controllo la situazione.
Nonostante non le mancasse una certa disponibilità economica e avesse fatto
richiesta di un servizio domiciliare, le fu detto che sarebbe dovuta ricorrere ad
un ricovero ospedaliero. E dopo l’ospedale, come in un circolo vizioso
ininterrotto, ecco il trasferimento in una RSA, dove ha dovuto passare molti
mesi e dove forse era destinata a rimanere per sempre. Tutto per un controllo
frequente e regolare dell’emocromo!

Sembrava una situazione kafkiana e senza via d’uscita. Nel frattempo, in RSA,
la salute di Maria peggiorava: era caduta in uno stato depressivo e cominciava
ad essere confusa. In più sembrava che i suoi parenti non avessero alcun
interesse a farla tornare a casa sua, piuttosto il contrario.

È stato solo grazie ad una assistente sociale sensibile e attenta, che è poi
divenuta sua amministratrice di sostegno, se Maria cinque mesi fa è riuscita a
tornare a casa sua, dove ora vive con una badante rumena, dolce ed energica
allo stesso tempo, che lei chiama “la mia pupetta”.

Storie | 6
Il dramma del COVID 19:
storie di isolamento e di libertà ritrovata

Aurelia ha 85 anni e da 5 vive in una casa di riposo al centro di un popoloso


quartiere di Roma. Ha una vita di relazione molto ricca. Tutti i giorni va a
trovare le amiche, gira i negozi e fa lunghe conversazioni con i commercianti
della zona che la sconoscono, si va a consigliare dal medico curante che è
anche diventato una persona di fiducia. Arriva la pandemia e le porte
dell’istituto si chiudono: non si può più uscire. Neanche quando il periodo di
maggiori restrizioni per la circolazione delle persone è passato, dall’istituto
non è possibile uscire. Chi esce non può più rientrare. Aurelia si sente
oppressa da questa situazione ma è consapevole dell’emergenza che tutto il
mondo sta vivendo e della tragedia che ha travolto la vita di tanti. Si lamenta
un po’ ma cerca di resistere aspettando di vedere la fine di questa terribile
epidemia. Ma con la nuova ondata della pandemia il virus entra anche nella
casa di riposo dove lei viveva: si ammalano quasi tutti gli anziani e le suore
anziane della casa. Anche Aurelia è positiva, ma fortunatamente riesce a
superare la malattia senza doversi ricoverare. Invece altri anziani dell’istituto e
anche le suore anziane sono costretti a ricoverarsi e alcuni non tornano più,
forse sei, muoiono.

Aurelia è sconvolta e, quando prima dell’estate iniziano a calare i contagi e ad


attenuarsi le restrizioni, chiede di uscire così come era permesso a tutti i
cittadini italiani di uscire dalla propria abitazione e di circolare liberamente.

Le viene ripetuto che non era autorizzata ad uscire e che se lo avesse fatto
non sarebbe più potuta rientrare. Così dopo qualche giorno prepara i bagagli,
prenota una stanza in un bed and breakfast e varca la porta dell’istituto per
riconquistare la libertà persa. Lei ce l’ha fatta.

Storie | 7
Quando la vera malattia è la solitudine, e quando l’amicizia e
la vicinanza potrebbero fare la differenza

Marisa e Antonio erano una coppia affiatata. Un matrimonio lungo e tutto


sommato felice, sebbene col rimpianto di non aver avuto figli. La pensione e la
vecchiaia avevano aumentato le ore passate insieme. L’affetto era quello di
sempre e si facevano tanta compagnia. Ogni tanto si dicevano l’un l’altro che
erano fortunati perché non erano soli e la solitudine è tanto brutta quando si
è deboli e non più giovani.

Antonio era un uomo buono e premuroso, tenero nei confronti della sua
compagna, anche quando, con l’avanzare dell’età, lei aveva cominciato ad
avvertire i segni della malattia. Lui l’assisteva fedelmente nelle sue infermità. A
casa loro, finché era stato possibile. Tuttavia, col tempo Marisa dava segni
sempre più allarmanti di confusione: prigioniera dei suoi incubi e delle sue
paure, quasi non si accorgeva degli altri. Su chi poteva contare il marito? Era
invecchiato anche lui e gli mancava un sostegno necessario. Alla fine, per
disperazione, aveva dovuto accettare la prospettiva del ricovero in istituto.

Marisa era stata ricoverata lontano dalla loro casa, fuori città, a trenta
chilometri. Antonio però, continuava a farle visita tutti i giorni. Non poteva fare
a meno di lei, si sentiva solo e, soprattutto, era l’unico affetto che gli era
rimasto. Così ogni giorno prendeva il pullman che si inoltrava lungo la statale,
tra le colline coperte di ulivi. Sopportava le curve e i sobbalzi, indifferente a
tanta bellezza, chiuso nei suoi pensieri.

Un giorno, proprio davanti al cancello dell’istituto, il suo cuore non ha retto


più. È morto d’infarto proprio lì, a pochi metri dalla moglie, che non ha mai
saputo o capito quello che gli era successo. Aveva ormai ottantacinque anni.

Marisa ha continuato a invocare il suo nome. A volte si sentiva tradita; più


spesso immaginava che fosse successo qualcosa di brutto e si disperava.
Nessuno ha più voluto perdere tempo a spiegarle quello che era successo. I
suoi singhiozzi si confondevano con il vociare di tanti altri ricoverati. Dopo
poco tempo è morta anche lei. Sola.
Storie | 8
La lettera di Maria

Molti anni fa è stata pubblicata su numerosi quotidiani nazionali e locali, una


appassionata lettera – appello di un’anziana ricoverata in istituto che ci
sembra riassumere bene il senso e le finalità del documento. Ci sembra
significativo per la sua espressività e la sua chiarezza metterla a conclusione di
questo nostro lavoro.

Ho quasi settantacinque anni, vivo da sola a casa mia, la stessa in cui stavo con
mio marito, quella che hanno lasciato i miei due figli quando si sono sposati.

Sono sempre stata fiera della mia autonomia, ma da un po’ non è più come
prima, soprattutto quando penso al mio futuro. Sono ancora autosufficiente,
ma fino a quando? Tra me e me m’accorgo che i gesti diventano giorno per
giorno un po’ meno disinvolti, anche se mi dicono ancora: “Fossi io come lei
alla sua età ...”. Uscire per la spesa e tenere la casa mi fa una fatica crescente.

E allora penso: “Quale sarà il mio futuro?”. Quando ero giovane la risposta era
semplice: con tua figlia, col genero, con i nipoti. Ma adesso come si fa, con le
case piccole e le famiglie in cui lavorano tutti? Allora anche adesso la risposta è
semplice: l’istituto.

È martellante, lo dicono tutti, però tutti sanno anche, e non lo dicono, che
nessuno vorrebbe lasciare la sua casa per andare a vivere in un istituto.

Non posso credere davvero che sia meglio un comodino, uno spazio angusto,
una vita tutta anonima alla propria casa, dove ogni oggetto, un quadro, una
fotografia, ricordano e riempiono anche una giornata senza tante novità.
Sento spesso in giro chi dice: “L’abbiamo messo in un bell’istituto, per il suo
bene”. Magari sono sinceri, ma loro non ci vivono.

Ammettiamo pure di non capitare in uno di quei posti da telegiornale, dove gli
fa fatica pure darti l’acqua se hai sete, o ti maltrattano solo perché si sentono
frustrati del lavoro che fanno.

Però non credo proprio che sia un istituto la risposta a chi sta un po’ male e,
soprattutto sta solo.

Ritrovarsi a vivere all’improvviso con persone estranee, non volute e non


scelte è davvero un modo per vincere la solitudine? So bene come si vive in
istituto. Succede che vuoi riposare e non ci riesci perché non sopporti il
rumore degli altri, i colpi di tosse, le abitudini diverse dalle tue.

Si dice che da vecchi si diventa esagerati. Ma non è un’esagerazione


immaginarsi che se vuoi leggere c’è chi vuole la luce spenta o che se vuoi
vedere un programma, o se ne guarda un altro o non è orario.

In un ricovero anche i problemi più banali diventano difficili: avere ogni giorno
il giornale, riparare subito gli occhiali quando si rompono, comprare le cose
che ti servono se non puoi uscire.

Capita spesso che ti scambino la biancheria con quella di un’altra dopo la


lavanderia e poi non puoi tenere niente di tuo. Quello che è peggio - ammesso
che il mangiare non sia cattivo - è che non si può decidere quasi niente:
quando alzarsi e quando restare a letto, quando accendere e quando
spegnere la luce, quando e cosa mangiare. E poi, quando uno è più anziano
(ed è più imbarazzato perché si sente meno bello di una volta), è costretto ad
avere tutto in comune: malattia, debolezze fisiche, dolore, senza nessuna
intimità e nessun pudore.

C’è chi dice che in istituto “hai tutto senza pesare su nessuno”. Ma non è vero.
Non si ha tutto e non è l’unico modo per non dare fastidi ai propri cari.

Un’alternativa ci sarebbe: Poter stare a casa con un po’ di assistenza e, quando


si sta peggio o ci si ammala, poter essere aiutati a casa per quel tempo che
serve. Siamo in tanti, infatti, che potremmo rimanere a casa anche soltanto
con un piccolo aiuto, o con l’assistenza sanitaria a domicilio. E non è vero che
tutto questo costa troppo. Questi servizi costano tre o quattro volte meno di
un mio eventuale ricovero in una lungodegenza o in istituto. Succede che
finisci in un istituto e che nemmeno l’hai deciso tu. Non capisco perché si
rispettano le volontà di un testamento e invece non si viene ascoltati da vivi se
non si vuole andare in istituto.

Ho sentito alla TV che qui in Italia sono state stanziate migliaia e migliaia di
miliardi per costruire nuovi istituti. Se abitassi in una baracca ne sarei pure
contenta. Ma io una casa e un letto, il mio “posto letto” già ce l’ho, non c’è
bisogno di creare nuove cucine per prepararmi il pranzo, potete usare la mia.
Non ho bisogno che mi costruiate una nuova grande sala per vedere la TV, ho
già la mia televisione in camera. Il mio bagno funziona ancora bene. La mia
casa, semmai, necessita soltanto di qualche corrimano e maniglia al muro: vi
costerebbe molto meno.

Quello che desidero per il mio futuro è la libertà di poter scegliere se vivere gli
ultimi anni della mia vita a casa o in istituto. Oggi questa libertà non ce l’ho.
Per questo, anche se non più giovane, voglio ancora far sentire la mia voce e
dire che in istituto non voglio andare e che non lo auguro a nessuno. Aiutate
me e tutti gli anziani a restare a casa e a morire fra le proprie cose. Forse vivrò
di più, sicuramente vivrò meglio.

Maria.

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