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Dalla carità al diri+o di assistenza

• Con l’Illuminismo si compì in modo defini2vo la


fra7ura fra visione medievale dell’assistenza
come carità e visione moderna di assistenza e
beneficenza, a7raverso l’introduzione del
conce.o di diri.o all’assistenza: la carità veniva
spogliata del suo valore religioso per diventare un
dovere sociale dello Stato e ad essa si voleva
sos2tuire la filantropia che, nella sua
formulazione moderna, affermava l'uguaglianza
dei diriC dell'uomo.
La pubblicistica
• Sul ruolo dello Stato in campo assistenziale si sviluppò una significa6va
pubblicis6ca in quel periodo.
• Hobbes prima e Rousseau poi, vedevano la disuguaglianza sociale come
prodo=o prevalentemente storico e poli6co e contribuirono ad affermare,
insieme ad altri riformatori, l'idea del diri=o del ci=adino, e non più della
supplica del povero, a ricevere, se invalido e indigente, assistenza e cure
mediche da parte dell'organizzazione poli6ca centrale della nazione.
• L’ideologia illuminista contestò la massiccia is2tuzionalizzazione degli
emargina2, dei mala2 poveri proclamando l'obbligo della società verso il
povero, le cui sor2 non potevano essere affidate alle cure dei priva2, ma
a un’assistenza e cure mediche a carico dello Stato (ed erogate il più
possibile a domicilio).
• Nacque così un conce=o innova6vo: quello della prevenzione della
povertà. Montesquieu asseriva che “un uomo non è povero perché non
possiede niente, ma è povero perché non lavora”.
Il povero come sogge+o di diri+o
• E’ con la Rivoluzione francese e con i concetti di libertà-uguaglianza-fraternità
• che anche il povero diviene, in quanto cittadino, soggetto di diritto. Con l'affermazione della
Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino circola un’idea specifica riguardante l'assistenza,
riassunta secondo i seguenti punti:

1. Poiché l'assistenza al povero è un debito nazionale, gli ospedali, le


fondazioni e le istituzioni per i poveri, dovranno essere vendute a profitto
della nazione.

2. La società deve provvedere al mantenimento dei cittadini indigenti nel


luogo di loro residenza o mediante occupazione o assicurando gli inabili al
lavoro i mezzi di sostentamento.

3. La cura medica per la popolazione sarà assicurata da un medico con


licenza, al servizio di ogni distretto cantonale.

4. I genitori che sono finanziariamente inabili a sostenere i loro figli


riceveranno un aiuto pubblico dalla nazione.
Il compito dello Stato
• L'assistenza comincia ad essere assunta come compito dello Stato
laico a4raverso le is6tuzioni pubbliche e conseguentemente inizia
la soppressione delle is6tuzioni private di beneficenza, degli en6
religiosi e delle confraternite. I loro beni venivano aliena, e
trasferi, dire1amente ai Comuni (a1raverso l’is,tuzione della
Congregazione di Carità) o pos, in vendita per realizzare, con le
entrate ricavate, altri is,tu, socialmente u,li (scuole, ospedali, en,
di beneficenza).
• In verità, la limitata possibilità di spesa dello Stato non permise di
a1uare il totale passaggio dell'assistenza al se1ore pubblico; quella
privata con,nuò ad esistere, ma fu so1oposta al pubblico controllo.
• Lo scopo era quello di ridurre gli sprechi e far quadrare i bilanci
mediante il controllo statale. Nasceva l’idea di Stato sociale, ma
giuridicamente, per vederne l’a1uazione, bisognerà aspe1are la
seconda metà dell’O1ocento.
Il termine Welfare State
• Il termine inglese Welfare State fu u.lizzato per la prima volta nel 1941
dall’arcivescovo di York (GB) William Temple per soBolineare la specificità dello
stato britannico in an.tesi a quello tedesco definito come War State. TuBavia, se
intendiamo con questo termine l’insieme degli interven. pos. in essere dalle
is.tuzioni poli.che per far fronte ai rischi sociali della popolazione, le sue origini
sono molto più an.che. Esse possono essere individuate nell’insieme di misure per
molto tempo disar.colate, sviluppatesi tra il XVII ed il XX secolo in Europa, e messe
in aBo per rispondere a rischi provoca. dalla modernizzazione della società.
• Si può affermare che l’idea di welfare state nasce e si afferma nella società
moderna nel momento in cui il rischio sociale non viene più visto come la
conseguenza di una colpa individuale, ma legato al funzionamento della società e,
sopraBuBo, ai suoi processi di produzione e redistribuzione delle risorse. Se è la
società, nel suo funzionamento ordinario, a produrre il rischio (povertà,
disoccupazione, indigenza, ecc.) è la società stessa, per il tramite dello stato
nazionale, che ha il compito di far fronte ai problemi e ai bisogni dei propri
membri. Questa è l’idea alla base del moderno Welfare State.
Welfare state
• Dalla seconda metà dell’O0ocento i diri3
sociali hanno giocato un ruolo di primo piano
nella formazione degli Sta;-Nazione
• Lo Stato-Nazione europeo è ;picamente un
welfare-state,
– orientato a garan*re il benessere dei propri
ci1adini
– e a trarre da ciò gran parte della propria
legi3mazione
Lungo percorso storico
• Prima della Rivoluzione francese l’espressione ‘diritti
sociali’ è piuttosto sconosciuta e solo nel secolo
successivo si definisce nei suoi contenuti
• Nelle costituzioni ottocentesche si comincia a parlare
di ‘un dovere di aiuto ai più bisognosi’ come un dovere
della società che si fa carico dei problemi della povertà
e del bisogno
• I diritti soggettivi rimangono nell’ambito del concetto
della libertà, mentre i doveri pubblici cominciano a
radicarsi nel concetto dell’uguaglianza (innovativo) e
quindi a definirsi come criterio direttivo dell’azione
pubblica

Storia sociale Elena Riva


Solidarietà ‘is=tuzionalizzata’
• I programmi del welfare state moderno
me0ono in comune risorse (sopra0u0o
finanziarie) allo scopo di aiutare di fronte alle
avversità (mala3a, vecchiaia, disoccupazione,
infortuni sul lavoro)
• La distribuzione delle risorse avviene sia in
direzione orizzontale (dai danneggia; ai non
danneggia;), sia in senso ver;cale (dai più
ricchi ai più poveri)

Storia sociale Elena Riva


Lo stato sociale: genesi e varietà
(legame indissolubile con l’Europa

• La genesi degli a=uali welfare state EU si colloca tra il 1880 e il 1915:


INSTAURAZIONE

• Fase di ampliamento e CONSOLIDAMENTO fra le due guerre (anni ’20-40):


da assicurazioni dei lavoratori ad assicurazione sociale, ovvero una
protezione minima in base ai bisogni (più 6pi di assicurazione, più assegni
familiari, più altre coperture per popolazione ina_va)

• Fase di massima ESPANSIONE (1945-75: “trentennio glorioso”), con un


notevole miglioramento della protezione offerta dallo Stato.

• Dalla metà anni ‘70 e per tu_ gli anni ‘80: CRISI

• Nel decennio successivo: RIFORME e crisi?


Tra XIX e XX secolo
Età liberale
• In questo periodo gran parte degli stati liberali
cominciano a realizzare le principali modifiche
legislative e sociali che saranno le premesse per il
moderno Stato sociale.
• I governi che hanno dato maggior spinta verso la
direzione del riconoscimento dei ‘diritti sociali’
sono stati estremamente diversi, sia sotto il
profilo ideologico e filosofico di base, sia nelle
premesse politiche
• Sono ancora presenti i privati che erogano
‘assistenza pubblica’.

Storia sociale Elena Riva


Il ruolo dell’industrializzazione
• Fu però il processo di industrializzazione, in
piena espansione tra la fine dell'O6ocento e
l'inizio del Novecento, e la conseguente
diffusione del movimento socialista, a dare
ulteriore slancio all’assistenza: la difesa del
diri6o al lavoro e alla protezione sociale di
tu? i lavoratori, affermava al contempo il
riconoscimento giuridico dei diri? sociali dei
poveri e dei bisognosi.
Forze sociali protagoniste
Diverse sono le forze sociali che spingono per la
realizzazione del welfare state:
- I vertici delle amministrazioni pubbliche
- I movimenti di democratizzazione dello stato
- I sindacati
- Molti imprenditori ‘illuminati’

Storia sociale Elena Riva


Il caso della Germania
• Fu la Germania che si trova ad essere all'avanguardia nella legislazione sociale
europea, per merito del Cancelliere Otto von Bismarck che concretizza la funzione
sociale dello Stato attraverso un sistema di assicurazioni sociali obbligatorie per i
lavoratori dell’industria.
• Questo sistema di assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro (1884), le malattie
(1883), l'invalidità, la vecchiaia e persino la disoccupazione (1889), viene
considerato l’origine dell’attuale concetto di Welfare State.
• Alla gestione ed al finanziamento di tale sistema di sicurezza sociale venivano
chiamati a partecipare i datori di lavoro e lo stesso Stato.
• L’esempio tedesco fu imitato da altri Stati europei tanto che all'inizio del 1900
quasi tutti i Paesi dell'Europa occidentale disponevano di un programma
assicurativo per i lavoratori.
• Le assicurazioni erano articolate fondamentalmente in quattro settori: malattia e
maternità, infortuni sul lavoro, invalidità e vecchiaia, disoccupazione.
• Quest’ultima venne per lo più esclusa dalla legislazione previdenziale; ciò che non
veniva da questa riconosciuto ricadeva sulle strutture assistenziali, le quali, di
tradizione religiosa o municipale, costituivano un universo ancora molto
frammentato e privo di criteri univoci.
Il caso dell’Inghilterra
• In Gran Bretagna, diversamente dalla Germania, la funzione sociale dello Stato fu
assunta solo a seguito di rivendicazioni e campagne di sensibilizzazione da parte
della popolazione. A causa dell’industrializzazione e dell’inurbamento, il numero
degli emargina. aumentava a dismisura e lo Stato, non riuscendo più a sostenere i
provvedimen. di carità legale fino a quel momento pra.ca., passò ad azioni
limita.ve e coerci.ve: vennero aboli. i sussidi alle persone autosufficien. e
impedito l'accesso alle Workhouses agli individui in grado di lavorare. Inoltre la
legge di assistenza ai poveri del 1834 (New Poor Law) inaugurò una forma severa e
puni.va di internamento, in base alla quale nel momento in cui una persona
entrava nei ricoveri di mendicità veniva limitata nei dirib civili ed era soBoposta a
un regime severo, di .po carcerario.
• Si svilupparono così le Trade Unions (già sorte nel XVIII secolo come associazioni di
ar.giani e operai allo scopo di difendere il proprio lavoro minacciato dallo sviluppo
del sistema di fabbrica), unioni sindacali dei lavoratori nate da esigenze di .po
assistenziale, che avanzavano rivendicazioni di caraBere salariale e norma.vo.
Accanto a queste anche altre società di mutua assistenza e soccorso ispirate al
conceBo di solidarietà agivano in difesa e a tutela della classe lavoratrice. Queste
organizzazioni riuscirono ad oBenere riconoscimen. giuridici sul piano della
previdenza sociale e della legislazione del lavoro.
L’assistenza in Italia: dal Piemonte preunitario agli anni
’50 del Novecento
à 1859: obbligo di istituire in tutti i comuni italiani le Congregazioni di carità,
ovvero i comitati locali di beneficenza pubblica
à Legge 753/1862: ribadisce precedente decreto; disciplina gli istituti
assistenziali, tra cui le Opere pie, riconoscendone le funzioni di pubblica utilità
con finalità di beneficenza (e autonomia)
àLEGGE CRISPI n. 6972/1890: riordina il sistema della beneficienza,
secondo il principio di obbligo e controllo per il soggetto pubblico e di
autonomia vigilata verso i soggetti privati. I comuni devono assistere gli
indigenti che vi hanno residenza (domicilio di soccorso). Opere pie e altri enti
morali, religiosi e laici confluiscono nelle Istituzioni pubbliche di beneficenza
(IPB). Vengono istituiti (1904) a livello provinciale i COMITATI PREFETTIZI di
assistenza e beneficenza e alla provincia passano competenze più ampie per
il trattamento di “disgrazie rare”, ovvero disabili, minori illegittimi, malati
mentali
àONMI (1925) + istituti provinciali per l’infanzia e la maternità
àIPB diventano IPAB (1926)
àECA (1937)
à Art. 38 della Costituzione: assistenza sociale a ogni cittadino inabile al
lavoro e povero. Alle regioni la “beneficenza pubblica”. Vecchi e nuovi enti
Evoluzione storica del welfare italiano
Sequenza politico- Andamenti
istituzionale: dell’amministrazione della
à 1861-1919 MONARCHIA protezione sociale:
secondo lo Statuto Albertino à 1861-1920 A+L ossia
à 1919-1922 Crisi REGIME accentramento e laissez-faire
LIBERALE/Avvento à 1920-1975 A+I ossia
FASCISMO accentramento e
à 1922-1943 FASCISMO e interventismo
MONARCHIA à 1975-2000 D+I ossia
à 1943-1948 Avvento decentramento e
PRIMA REPUBBLICA interventismo
IN ITALIA
Ritardo nella nascita della previdenza sociale (ul2mi due decenni 800 e la Prima
guerra mondiale) a causa:
1. ritardo della realizzazione processo di industrializzazione e mutamen2 sociali connessi,
rispe=o ad altri paesi europei
2. Unificazione dell’Italia avvenuta solo nel 1870
3. La classe dirigente, dopo l’unità d’Italia non aveva intrapreso con decisione le riforme
stru=urali

Al momento dell’unificazione d’Italia il sistema assistenziale registra che nel


corso dei secoli l’inizia,va privata, con una preminente presenza della
Chiesa, aveva fa=o sorgere numerosissime is2tuzioni di beneficenza
(ospedali, orfanotrofi, is2tu2 di ricovero…)

Negli anni successivi all’unificazione si afferma l’ideologia della “beneficenza


Legale” (interven2 assistenziali finanzia2 mediante imposizione fiscale) che
avrebbero dovuto sos2tuire l’intervento pubblico a quello della Chiesa
Le ‘grandi questioni’ Inoltre, all’indomani dell’Unità d’Italia, il giovane regno si trovò ad
affrontare alcune grandi questioni, che tradizionalmente sono:

1. la questione sociale: processo di industrializzazione / nascita di un vasto


proletariato urbano. Molti lavoratori vivevano in condizioni di miseria, privi di diritti
civili (es. il voto) e di strumenti di rappresentanza politica. L’ascesa di questo stato
sociale e la sua capacità di organizzarsi in leghe, cooperative, sindacati, partiti
politici daranno vita ad aspre lotte di classe con scontri drammatici.

2. La questione meridionale: vi era un profondo divario tra Nord e Sud del paese,
economico, ma anche sociale e culturale, connesso a una secolare diversificazione
della storia del Mezzogiorno rispetto al resto dell’Italia.

3. La questione romana: interessa il rapporto tra Stato e Chiesa e la funzione di


quest’ultima nella vita nazionale.

4. La questione scolastica: connessa con le altre tre questioni e al tempo stesso dotata
di specificità. Cosa s’intende? In primo luogo la questione dell’analfabetismo, una piaga
che dà al Regno d’Italia un triste primato con punte particolarmente allarmanti al Sud e
tra le donne. L’analfabeta è un vero e proprio invalido civile, non può votare, è
condannato ai lavori più umili, è colui che sta ai margini
Differenze regionali

La situazione più avanzata è quella del Lombardo-Veneto, dove i provvedimen. assun.


dal 1786 da Maria Teresa d’Austria e da Giuseppe II avevano dato vita a una buona rete di
scuole elementari, professionali e normali, per la formazione degli insegnan.. Qui già il
70% dei bambini assolveva l’obbligo scolas.co. Nel censimento del 1861 era la regione
più alfabe.zzata d’Italia (quasi il 50%) con il Piemonte.

Nel Regno lombardo-veneto le donne possono partecipare alle votazioni amministra.ve

Importante ruolo delle donne lombarde, più alfabe>zzate. Il 17 giugno 1850 viene
inaugurato il primo Pio Ricovero per bambini laBan. e slaBa.. Vengono u.lizza. alcuni
locali al piano terreno della stessa casa di Laura Solera Mantegazza, con l'ingresso dalla
contrada di Santa Cris.na 2136 (poi via Mantegazza 7). Collaborano all'inizia.va, oltre al
Sacchi, i doBori Rizzi e Cas.glioni, il parroco di San Simpliciano, Enrico Mylius e Ismenia
Sormani Castelli, che diventerà da questo momento un'inseparabile amica e
collaboratrice della Mantegazza.
Al ricovero erano ammessi bambini da 15 giorni a due anni e mezzo, divisi tra la7an8 e sla7a8. C'era
una veranda sul giardino, due camerate con un grande le7o e una serie di culle, cucina e bagni.
L'inizia8va prevedeva anche elargizioni per le madri che lavoravano a domicilio e quindi potevano
tenere i bambini con sé, ma limitatamente alle famiglie che abitavano nelle parrocchie di San
Simpliciano, San Marco e del Carmine. Il conta7o dire7o con tante madri povere del quar8ere spinge la
Mantegazza ad interessarsi anche della loro formazione e ben presto vengono organizza8 negli stessi
locali dei corsi di alfabe8zzazione e di taglio e cucito. Il grande successo dell'inizia8va spinge Laura ad
aprire l'anno dopo (1851) un secondo asilo a Porta Ticinese (prima in borgo S. Croce, poi in Molino delle
Armi, dal 1880 in via Sambuco). In totale i bambini assis88 sono ormai 200. I fondi provengono da
donatori "perseguita8" con instancabile energia da Laura, che inventa per l'occasione la Fiera di Natale,
un'asta di oggeO dona8 alla quale vengono invitate ogni anno le principali famiglie milanesi. Queste
le7ere di invito, raccolte e pubblicate nella biografia postuma di Laura scri7a dal figlio Paolo
Mantegazza, ci danno un saggio molto interessante dell'eloquenza e della passione della Mantegazza.

La fondazione Laura Solera Mantegazza dal 1870


Nata come scuola professionale femminile per volontà di Laura Solera Mantegazza, la Fondazione che
porta il suo nome ha sede a Milano, nell’imponente palazzo dei primi del novecento in via Ariberto 11.
La Scuola Mantegazza ha iniziato la propria opera nel 1870 e da allora non ha mai smesso di istruire,
educare e formare, secondo quanto indicato nel proprio Statuto, il cui secondo ar8colo è rimasto
sostanzialmente immutato in oltre 144 anni:
"fornire alla donna le cognizioni e le abilità necessarie per provvedere decorosamente a sé stessa
coll’esercizio di qualche u8le arte, industria o professione”.
Nel solco di questa tradizione, la Fondazione Mantegazza, accreditata presso la Regione Lombardia,
forma e prepara personale in prevalenza in ambito socio-sanitario e socio-assistenziale: corsi OSS- ASA e
riqualifica professionale.

Milano sviluppa un’importante tradizione di scuole di ar4 e mes4eri


1800
• Peggioramento delle condizioni materiali dei ceti popolari per gli elevati costi umani
dell’industrializzazione

• I problemi sociali si pongono anche in termini politico-economici, con una progressiva presa
di coscienza da parte dei lavoratori(questione sociale).Si affermano nuove
idee:marxismo,socialismo,dottrina sociale cristiana)

• Lo Stato assicurare un intervento assistenziale minimo agli indigenti che reggerà fino a
quando le masse popolari acquistano maggiore consapevolezza dei loro diritti arrivando,
anche attraverso il diritto di voto, a rivendicare migliori garanzie e tutele.

• Per rispondere a tali rivendicazioni gli Stati cercheranno di affrontare i problemi dei lavoratori
non più in maniera solo assistenziale, ma con la nascita della previdenza sociale (forma di
risparmio sul salario al fine di conseguire prestazioni certe al verificarsi degli eventi assicurati,
mediante la sostituzione o l’integrazione dei redditi dei lavoratori
Francesco Crispi
• Si tra'a del periodo che
va dalla morte di Depre2s
(1887) sino al 1896
• Le poli2che crispine sono
legate alla sua
personalità, per questo ha
mol2 nemici
• i risulta2 sul piano
poli2co, sociale ed
economico delle sue
poli2che durarono a
lungo (100 anni circa)
Chi era Crispi
• Crispi era stato un • Ques2 aspeL cara'eriali
mazziniano repubblicano si rispecchiano nella sua
• Ebbe ruoli importanti poli2ca interna ed estera
nell’impresa dei 1000 • Accanto agli aspeL più
• Fu eletto in Parlamento autoritari vi sono però
con la Sinistra elemen2 di
• Era un uomo forte, controtendenza più
autoritario, contrario ad democra2ci
ogni opposizione e ad
ogni sciopero
An=-clericale, ma …
• Si manifestò in diverse • 1888: il diritto di voto per
direzioni approfittando le Amministrative viene
dell’assenza politica dei esteso a:
cattolici » tutti i maschi con
più di 20 anni
• Crispi fece erigere in » che non siano
Campo de’ Fiori una analfabeti
» che paghino almeno
statua a Giordano Bruno £.5 di tasse annue
• Fece poi dimettere il » inoltre i consigli
comunali delle città
sindaco di Roma, Torlonia, con più di 10 mila
perché era andato dal ab. eleggono il loro
sindaco
Papa autonomamente
Il codice Zanardelli
• 1889: primo Codice Penale unificato
• Molto moderno e avanzato
• Aboliva la pena di morte
• Riduceva le pene sui fur;
• Cancellava le norme an;sciopero
• Introduceva i rea; di “Abusi del clero”
• Durò fino al 1930
La riforma sanitaria
• Nasce con essa l’idea di stato sociale
• Nasce la Direzione generale di Sanità
• Ora lo Stato si fa carico della salute dei
cittadini bisognosi
• Si sostituisce il concetto di “carità legale”
LA LEGGE CRISPI DEL 1890
• LEGGE CRISPI n. 6972/1890: riordina il sistema della beneficienza, secondo il principio di obbligo e
controllo per il soggeQo pubblico e di autonomia vigilata verso i soggeR privaS. I comuni devono
assistere gli indigenS che vi hanno residenza (domicilio di soccorso). Opere pie e altri enS morali,
religiosi e laici confluiscono nelle IsStuzioni pubbliche di beneficenza (IPB). Vengono isStuiS (1904)
a livello provinciale i COMITATI PREFETTIZI di assistenza e beneficenza e alla provincia passano
competenze più ampie per il traQamento di “disgrazie rare”, ovvero disabili, minori illegiRmi,
malaS mentali

• Realizza una parziale laicizzazione delle opere pie aGribuendo loro personalità giuridica
trasformandole in IsStuS pubblici di assistenza e beneficenza (IPAB) che dovevano dimostrare di
avere mezzi economici adeguaS per le finalità isStuzionali, predisponendo bilanci prevenSvi e
consunSvi. Ogni aQo amministraSvo doveva essere soQoposto a controllo

• Introduce anche il domicilio di soccorso prevedendo che il soccorso del ciQadino indigente
speQasse al Comune dove quesS avesse dimorato, in modo abbastanza conSnuaSvo, negli ulSmi 5
anni

• Milano si oppone fortemente a tuQe queste riforme


Il nuovo secolo: il Novecento
• Nel nuovo secolo che si apre, gli europei hanno ormai conquistato il mondo e nessuna civiltà nella
storia è mai stata ‘mondiale’ come quella europea. L’Europa dominatrice ha un’immensa fiducia
nel progresso e lo esprime nell’Esposizione universale a Parigi, inaugurata nell’aprile del 1900 e
che, come tutte le precedenti, celebra il nuovo. Ma quale nuovo? Certamente l’elettricità, la nuova
dea esaltata dall’Esposizione parigina, una nuova energia che muta radicalmente la vita delle
persone e che simbolicamente rappresenta il trionfo della scienza sull’ignoranza e del progresso
sulla miseria. I contemporanei sono consapevoli di vivere in un mondo che corre velocemente
verso il futuro. Le rivoluzioni economiche, politiche, sociali, culturali ma soprattutto tecnologiche
realizzate nel corso della seconda metà dell’Ottocento hanno infatti mutato radicalmente la storia
dell’umanità con una velocità senza precedenti.
• L’industrializzazione e la tecnologia hanno reso il mondo più piccolo: i trasporti sono diventati più
veloci sia per mare che per terra, mentre il telegrafo e il telefono consentono una comunicazione
delle informazioni immediata, impensabile solo qualche decennio prima. L’entusiasmo per il
progresso è quindi enorme: gli uomini e le donne del 1900 sperano anche che esso si possa
tradurre in un miglioramento delle condizioni di vita.
• Nuovo come sinonimo di moderno è la parola d’ordine del secolo appena nato e la si ritrova
ovunque, nelle arti, nella letteratura, nella scienza, nella moda. La rapida crescita della popolazione,
più che raddoppiata in Europa in un secolo, fa pensare alla potenza della vita sulla morte, a un
progresso che fa crescere la popolazione non perché si nasce di più, ma perché si muore di meno. E
le folle e le masse sono le nuove protagoniste della storia. Non più l’Europa dei principi e dei
sovrani, ma dei popoli, fisicamente presenti negli stati e nelle città e non solo in un’astratta idea
politica.
Grandi ambiguità
• L’idea diffusa è che il nuovo secolo sarà la primavera dell’umanità alla quale seguirà un mondo di
pace e di prosperità. Nel 1899 si riunisce all’Aja la prima Conferenza che discute della possibilità di
una pace universale su iniziaSva di Nicola II, zar di Russia, mentre in Svezia nel 1901, Alfred Nobel
decide che uno dei premi da lui inventaS per celebrare le conquiste dell’uomo sia dedicato alla
pace.
• Ma il futuro è anche pieno di ambiguità. Se guardiamo alla poliSca europea, essa è
prevalentemente monarchica; ovunque sono infaR presenS re e imperatori e le repubbliche sono
solo tre: Francia, Svizzera e San Marino. Ciò appare in contraddizione con la grande esigenza delle
masse di protagonismo. Inoltre non tuR gli europei hanno fiducia nel progresso Nel 1900 esce un
libro a Vienna, L’interpretazione dei sogni, pubblicato da un medico, Sigmund Freud, che meQe a
nudo le fragilità dell’uomo moderno che si considera il padrone del mondo, ma è invece una fragile
creatura. PotenS sono infaR le forze negaSve che la modernità sta creando e sono messe in
evidenza da filosofi e sociologi, da Nietzsche, che muore proprio nel 1900, a Guglielmo Ferrero,
Cesare Lombroso, Wilfred Pareto e tanS altri.
• L’Italia sembra essere la carSna al tornasole di questa ambiguità. In effeR, per il giovane paese che
nonostante i suoi ritardi e le sue difficoltà ha compiuto enormi progressi, l’OGocento si conclude
con tumulR e massacri e il Novecento inizia con un evento che potrebbe geGare la nazione nel
caos. Il 29 luglio 1900 l’anarchico Gaetano Bresci uccide re Umberto I a Monza. Con questo gesto
estremo vuole vendicare le viRme milanesi del 1898 morte per mano del generale Bava Beccaris, a
cui il re ha conferito un’onorificenza. In realtà Umberto I paga sopraQuQo il progeQo di
restaurazione autoritaria da lui appoggiato negli ulSmi decenni dell’OQocento, mirante a togliere il
potere al Parlamento per resStuirlo al monarca. Solo il forte ostruzionismo dei liberali di sinistra,
dei democraSci e dei socialisS ha impedito che ciò si realizzi.
Giovanni GioliR
• Il nuovo secolo inaugura anche la leadership di Giovanni
Giolitti che rimane al potere ininterrottamente dal 1903 al
1914. Consapevole che nella politica “non vi sia una scelta
fra il bene e il male, ma fra mali diversi”, egli vuole
rafforzare la monarchia, ma senza usare metodi autoritari
che la indebolirebbero. Durante gli anni del suo governo, la
società italiana cambia e migliora rispetto al passato dal
punto di vista sociale, sindacale, politico. Diminuisce
l’analfabetismo, si sviluppano le organizzazioni sindacali,
migliorano le condizioni delle donne. L’Italia si muove,
seppur lentamente, verso la modernità, sebbene il sistema
politico sembri entrare talvolta in cortocircuito, dando
l’impressione di non riuscire a reggere il passo di una
società che si muove più velocemente della politica
Nazione e nazionalismi
• In Italia e in Europa il decennio 1909-1919 ha come protagonis. il processo di
nazionalizzazione delle masse e la costruzione dei ciBadini delle nazioni, ovvero
ideali di comunità poli.che omogenee che superano e unificano le differenze
interne al popolo e si pongono un obiebvo comune da raggiungere. In altre parole
il nazionalismo che condurrà gli sta. europei nel baratro del primo grande confliBo
mondiale del Novecento.
• La nazione si rifleBe anche nel primo anniversario importante dell’Italia unita. Nel
1911, infab, l’Italia compie anche i suoi primi 50 anni e le celebrazioni diventano
l’occasione per dare a tub gli osservatori stranieri giun. a Roma l’idea di una
nazione finalmente moderna e progredita. Pure i da. del Censimento del 1911 ci
mostrano un’Italia che ha compiuto enormi progressi nello sviluppo economico e
qualche passo in avan. nella loBa all’analfabe.smo. È migliorata anche la
collocazione internazionale del Paese che siede al tavolo delle grandi potenze
europee, alleato con Austria e Germania, sebbene non disdegni talvolta di traBare
segretamente con Francia, Russia e Inghilterra. TuEavia una parte della penisola è
ancora arretrata e l’estrema povertà di alcune regioni si traduce in un flusso
migratorio eccezionale.
Inclusioni ed esclusioni
• In virtù del processo di nazionalizzazione i popoli europei si omogeneizzano: gli italiani popolano
l’Italia, gli inglesi l’Inghilterra, i francesi la Francia. Chi non fa parte del gruppo identitario di
riferimento è escluso, come ad esempio le minoranze etniche. L’esclusione è infatti l’altra faccia
della medaglia della costruzione del cittadino delle nazioni.
• In effetti il potenziamento della nazione rafforza le esclusioni (le donne, i popoli colonizzati, il
Meridione), ma al tempo stesso potenzia le inclusioni nel contenitore della nazione attraverso la
scuola, la stampa, il servizio militare, la guerra. Riforme come la ridefinizione del corpo elettorale e
il suffragio universale si basano proprio su un processo di inclusione (la nazione e la patria) o di
esclusione (le donne, i coloni).
• Su questa ambivalenza, la narrativa della nazione del decennio si traduce spesso in conflitti
provocati dalla resistenza di identità plurime a omogeneizzarsi che, attraverso la lotta e la protesta,
esprimono la loro diversità: cattolici contro socialisti, operai contro padroni, scuola di stato contro
scuola comunale o privata. Gli scioperi, ad esempio, sono uno degli strumenti principali attraverso
cui, in tutto il continente, viene espresso un dissenso contro lo stato e contro l’industrializzazione.
Oppure l’espansione coloniale e la rivendicazione dei territori esemplificati in Italia dalla Guerra di
Libia diventano un terreno di conflitto e di forti tensioni nazionaliste, dove l’idea di nazione viene
usata a vantaggio del più forte.
• Ma dove si impara a diventare cittadini della nazione? La scuola è il principale luogo di produzione
di cittadinanza. L’estensione dell’obbligo scolastico – imposto in Italia si dalla legge Credaro del
1911 – è un’esperienza diffusa in gran parte delle potenze europee. Nelle aule scolastiche si
insegna ad essere cittadini, ad amare la patria, a servirla, ma anche a distinguere l’amico dal
nemico.
Il problema della scuola
• L’istruzione è uno dei temi ‘caldi’ della nuova Italia. A parSre dagli OQanta dell’OQocento la scuola
italiana, vero motore dell’unità nazionale, è infaR soQoposta a grandi riforme (CasaS 1859,
Coppino 1877, Orlando 1904) che mirano a eliminare l’analfabeRsmo cronico della popolazione.
• TuQavia tale riformismo faSca ad essere efficace. Numerose sono le problemaSche che affliggono
ancora il paese e rendono spesso vano il tentaSvo della scuola di migliorare la condizione di
partenza dei giovani. Molte famiglie, a Nord e a Sud del paese, vivono sempre in condizioni di
scarsità igienica e di spazio, oltre che di denutrizione. Inoltre, l’insufficiente dislocazione delle
scuole pubbliche sul territorio - in molte sue parS ancora privo di strade decenS – crea problemi di
frequenza scolasSca, nonostante l’obbligo imposto dalla Legge Coppino.
• A tuQo ciò si deve aggiungere la scarsa aGraSva della scuola per le famiglie contadine e operaie, le
quali non vedono nell’istruzione alcuna garanzia di ascensore sociale e non vogliono rinunciare
all’aiuto nei campi dei figli o al loro lavoro nelle fabbriche per un’istruzione a cui ancora non
credono.
• la baQaglia per la libertà d’insegnamento che non si vuole solo gesSta dallo Stato. La polemica si
inserisce nel vivace dibaRQo sulla statalizzazione della scuola elementare, fino ad allora gesSte dai
comuni che pagano anche gli insegnanS. Ma la baQaglia rimane al momento sospesa e verrà risolta
dalla Legge Daneo-Credaro nel 1911, votata durante il governo GioliR, che trasformerà la scuola
elementare in scuola statale, senza però spegnere la baQaglia per la libertà di insegnamento che
confluirà sempre più nella polemica tra scuole statali e scuole paritarie.
Tra scuola e assistenza
• La pubblicistica dell’epoca dedica ampio spazio al problema e avvia un acceso
dibattito pubblico ogni volta che dalla politica giungono sollecitazioni in materia. È
il caso, ad esempio, della discussione sugli orari del doposcuola che dovrebbero
essere organizzati sulla base della situazione locale del mondo del lavoro, e non su
un ordinamento “tronco e incerto” che non contestualizza il reale bisogno. Si
chiede, da più parti, di sollecitare a livello locale una riforma che “avvii l’istruzione
elementare a conseguire vantaggi maggiori e dal lato pedagogico e da quello
dell’igiene” e di “supplire a quella funzione veramente integratrice della famiglia”.
• Lo scopo dovrebbe essere quello di usare il doposcuola come strumento di
assistenza per i genitori che lavorano, stanno fuori casa tutto il giorno e non
possono curare i figli che rimangano così soli e abbandonati e a rischio di incidenti.
Contrari a una estensione del doposcuola oltre il normale orario scolastico sono
però gli insegnanti stessi, i quali usano ogni scusa per sottrarsi a tale impegno:
dall’eccessiva lontananza da casa che rende impossibile prolungare l’orario di
presenza a scuola alle sedicenti motivazioni igienico-pedagogiche che sconsigliano
una lunga permanenza degli studenti negli stessi ambienti.
La Grande Guerra
• E tu0o ciò che gli italiani e gli europei
imparano a scuola in termini di nazionalismo,
lo me0ono in pra;ca tra il 1914 e il 1918, nella
più feroce guerra tra nazioni comba0uta sul
con;nente. Tu0o ciò che accade nel decennio
sembra correre verso il suo esito finale, ovvero
la Grande Guerra, che lascerà sul campo circa
17 milioni di vi3me, tra militari e civili, e due
generazioni di maschi europei annientate
Il decennio delle antitesi
• Nel decennio 1919-1929 si assiste alla drammatica esplosione delle antitesi che, in
gran parte del mondo occidentale, conducono non solo al crollo
dell’eurocentrismo, ma anche a una forte contrapposizione fra masse ed élites. La
profonda frattura economica e politica che oppone chi governa a chi è governato
sviluppa una forte conflittualità sociale e ideologica e annuncia una rivoluzione
generazionale che porterà, almeno in Italia, all’affermazione dell’ “uomo nuovo”
fascista quale unica e ultima speranza di rinnovamento del paese.
• Le origini di questo sconquasso sociale vanno cercate nella Grande Guerra.
Deposte le armi, infatti, il costo del conflitto appare ovunque spaventoso. In Italia,
ad esempio, il reddito netto scende dai 94 miliardi e 691 milioni del 1914 ai 76
miliardi e 997 milioni del 1918, mentre il debito pubblico che è di 15 miliardi e 705
milioni nel 1914, sale a 69 miliardi e 199 milioni nel 1919. Enormi sono inoltre i
debiti contratti con gli Stati Uniti e con la Gran Bretagna. Sebbene sia uno dei paesi
vincitori della guerra, all’interno l’Italia si trova nelle condizioni proprie di un paese
vinto. E anche durante le trattative di pace, le principali potenze europee e gli Stati
Uniti lo trattano come una potenza di secondo rango, esasperando la frustrazione
di tutti quegli ambienti che nel paese hanno fortemente sostenuto il conflitto.
Cresce nel paese, soprattutto nelle fila degli ex combattenti e del ceto medio, la
retorica della ‘vittoria mutilata’ e di una pace punitiva umiliante.
Violenta confli4ualità tra masse e ce7
dirigen7
• Nelle sue implicazioni poli/che, economiche e sociali, tale situazione fa
divampare una violenta confli8ualità tra le classi dirigen/ e le masse
popolari e, in sostanza, tra coloro che con la guerra si sono molto arricchi/
e quan/ si sono invece enormemente impoveri/.
• Il malcontento provoca da un lato la crescita del Par/to socialista, e
dall’altro la formazione di un par/to dei ca8olici italiani, fondato nel 1919
dal sacerdote Luigi Sturzo, che prende il nome di Par/to Popolare Italiano.
La sua nascita sollecita però la svolta nei rappor/ non solo fra ca8olici e
stato italiano, ma anche nei rappor/ con i liberali, perché segna la fine del
processo di avvicinamento fra i ca8olici modera/ e la classe dirigente
liberale iniziata nel periodo gioliHano. se da un lato Sturzo condivide con i
modera/ l’intento di intervenire in poli/ca in funzione an/socialista,
dall’altro ri/ene che i ca8olici debbano farsi interpre/ di un nuovo corso
riformatore da a8uare con la messa in crisi del conservatorismo liberale e
di quei ca8olici reazionari che non comprendono le richieste di
avanzamento sociale dei ce/ operai e contadini.
Il Biennio rosso
• Tra il 1919 e il 1920 si assiste alla più vasta ondata di agitazioni economico-sociali che l’Italia
unitaria abbia mai visto e che lo Stato liberale, uscito a pezzi dalla Grande Guerra, non riesce a
fronteggiare. Benché vittorioso, infatti, il paese si è lasciato alle spalle oltre 600.000 morti,
altrettanti mutilati e invalidi e più di un milione di feriti. A ciò si è aggiunta la crisi economica
provocata dalla fine del conflitto: la produzione bellica, di fatto, non è riuscita a convertirsi in una
produzione industriale civile e ciò ha determinato una forte disoccupazione di massa e
un’incontrollata spinta inflazionistica. Il biennio 1919-20, definito in seguito “biennio rosso”, segna
un ciclo di lotte che interessa molti paesi europei ed extraeuropei, evidenziando un nuovo e inedito
protagonismo delle masse, non solo operaie, ma anche contadine e del ceto medio salariato, certe
di essere le uniche a dover pagare il conto del conflitto appena terminato.
• Solo nel 1919 si contano oltre 1600 scioperi nell’industria e più di 200 nel settore agricolo per un
totale di più di 1.500.000 scioperanti coinvolti. Le agitazioni sono ovunque nel paese, nelle
industrie, nelle campagne, nel settore pubblico (insegnanti, magistrati, tecnici), anche se appaiono
spesso caotiche e prive di direzione. Gli obiettivi dei tanti sono molto diversi: gli operai e gli
impiegati pubblici lottano per gli aumenti salariali e migliori condizioni di lavoro; i braccianti
vogliono ottenere l’imponibile di manodopera e il monopolio del collocamento; i contadini senza
terra vogliono occupare fondi, mentre i quadri dell’esercito smobilitati, appartenenti per lo più al
ceto medio, vogliono vedere riconosciuti i sacrifici fatti al fronte e fondano, tra il 1918 e il 1919, i
Movimenti degli ex combattenti che, rivendicando i valori e gli ideali della guerra, avanzano
l’esigenza di una maggiore giustizia sociale e di un nuovo assetto del paese.
Arrivano i fascis=
• Al di là del dato quanStaSvo, occorre soQolineare la rilevanza qualitaRva delle loGe del periodo,
sopraQuQo operaie, che superano la semplice rivendicazione sindacale e meQono in discussione gli
aspeR dell’organizzazione padronale del lavoro e della produzione e il regime economico nel suo
insieme, fondendo così ulteriormente la loQa economica con quella poliSca.
• È stata la fondazione del ParRto popolare, che indirizza ormai autonomamente le masse caQoliche,
a cambiare completamente lo scenario dell’arena poliSca, sia nazionale che locale, e a condizionare
quello economico aQraverso l’azione dei movimenS sindacali bianchi.
• Nel pieno di questa crisi sociale e poliSca si inserisce anche l’azione dei neonaR Fasci di
combaRmento, fondaS a Milano da Benito Mussolini il 23 marzo 1919, il quale dà qualche
pennellata progressista al suo programma per dare un’idea di cambiamento e sfruQare a suo
vantaggio le proteste.
• Le agitazioni e le occupazioni delle fabbriche provocano però la reazione rabbiosa dei padroni che
passano infaR all’offensiva: si dimostrano intransigenS nel ridimensionare i movimenS operai,
aQuando una dura repressione nelle fabbriche, e sempre più propensi ad appoggiare uno stato
forte. InfaR, mentre il ParSto socialista tenta la traRva con il nuovo governo presieduto da
Giovanni GioliR, numerosi industriali e i laRfondisR cominciano a garanRre il loro appoggio, anche
economico, alle squadre dei ras fascisR che, in molte ciGà del paese, intervengono con violenza a
spezzare gli scioperi, aggredendo i partecipanS, pestando deputaS e simpaSzzanS socialisS.
• GioliR rifiuta di far intervenire le forze dell’ordine e l’esercito nelle fabbriche aspeQando che le
agitazioni e le occupazioni si esauriscano da sé, ma contemporaneamente favorisce le traQaSve fra
industriali e sindacaS, obbligando i primi a concedere ai lavoratori i salari richiesS e la giornata di 8
ore. TuQavia i faR del ‘Biennio rosso’ spaventano gli industriali, i possidenS e anche il ceto medio
e tale Smore li porterà, di lì a breve, ad appoggiare l’ascesa al potere di Benito Mussolini.
Il Welfare state fascista
• Il periodo fascista ha posto «le basi di quel sistema “particolaristico-
clientelare” di welfare che si sarebbe poi sviluppato e intensificato nel
secondo dopoguerra» e che avrebbe rappresentato il tratto piú distintivo
dell’esperienza italiana
• Per il caso italiano il fascismo si è rivelato un momento decisivo nel dare
l’imprinting allo Stato sociale nazionale.
• Negli anni Trenta, la notevole espansione della previdenza – in ordine
all’estensione delle forme di tutela, del numero degli assistiti e soprattutto
in materia di sistematizzazione organizzativa – venne perseguita
dal regime tramite «una densa stratificazione normativa che differenziava
puntigliosamente le spettanze dei vari gruppi».
• Lo Stato sociale è funzionale alla politica del consenso e ciò si nota proprio
nell’operazione fascista di centralizzazione dell’amministrazione della
previdenza in tre grandi enti pubblici Inps (Istituto nazionale previdenza
sociale), Inail (Istituto nazionale Assicurazione sul lavoro), Inam (Istituto
Nazionale di assicurazione contro le malattie)
Il ruolo del par=to
L’elemento disDnDvo delle poliDche sociali fasciste
riguarda l’importanza assunta dal parDto. Il
caraFere strumentale impresso alla nuova legislazione
sociale portò a una sua esasperata presenza nella vita
delle isDtuzioni previdenziali, confermandone la natura
di tramite fondamentale tra i ciFadini e il piú generale
sistema isDtuzionale.
Proprio questa forte presenza del Pnf negli apparaD
amministraDvi dei grandi isDtuD previdenziali e nelle
isDtuzioni preposte alla gesDone dell’assistenza sociale,
ha guidato le ricostruzioni dell’ulDma stagione di studi
fioriD su questo tema.
Una moderna ingegneria di controllo
sociale
• Come Bismarck aveva provveduto a concedere «le prime leggi pubbliche
di welfare per impedire che su questo obiettivo crescesse la forza
organizzativa della classe operaia e della socialdemocrazia», il
regime aveva l’obiettivo analogo di ostacolare una pericolosa alleanza
tra le organizzazioni dei ceti medi e quelle dei lavoratori. Di qui la
pesante eredità successiva, di uno spirito di cittadinanza sociale «monco».
Ciò ha avuto profonde conseguenze sull’oggi.
• Il fascismo aveva in pratica spianato la strada alle logiche clientelari in
termini di previdenza sociale. Il fascismo propagandò in ogni modo le
proprie realizzazioni, come un debito del paese verso il suo duce; usò i
programmi di assistenza per una moderna ingegneria del controllo sociale,
disciplinando i beneficiari «ammessi» a parteciparvi.
• Si creò un rapporto tra politica e amministrazione, tra realtà locali e
dirigenza nazionale, tra processi di centralizzazione amministrativa, dei
quali il fascismo fu promotore, e strutturazione di una rete di servizi
disseminati sul territorio dotati di articolazioni periferiche ed erogatori di
prestazioni pubbliche previdenziali.
Un sistema binario tra par7to e stato
• Dall’analisi della poli,ca fascista emergono i nessi tra
amministrazione sociale e poli,ca, i rappor, tra i numerosi soggeJ
coinvol, (dallo Stato, al par,to, agli en, pubblici, alla Chiesa, alle
nuove e vecchie élites ), e piú in generale le peculiari cara1eris,che
nazionali del processo di modernizzazione – autoritaria – in
a1o negli anni Trenta .
• Si fa così luce sulle contraddizioni esisten, tra processi di
razionalizzazione e ammodernamento da un lato, e tenuta dei
tradizionali sistemi di governo della società e del territorio,
dall’altro; tra spinte alla creazione di un sistema universalis,co e
permanenza di pra,che e a1eggiamen, individualis,ci; nonché, si
potrebbe aggiungere, su quella natura «binaria» del sistema
is,tuzionale del fascismo, fondato tanto sulla forza del nuovo stru-
mento del par,to e delle sue organizzazioni, quanto su quella della
stru1ura portante dello Stato nelle sue ar,colazioni.
Prevale la politica
• L’assistenza, spesso sconfinante nella beneficenza, venne concepita non
come funzione pubblica, ma come espressione del partito unico, che
a sua discrezione sceglieva campi e soggetti di azione; venne infatti gestita
da un suo organo sino al 1937 (anno in cui furono istituiti gli Enti comunali
di assistenza), attraverso interventi mirati di tipo politico e clientelare.
• Per il contesto italiano gli obiettivi di natura politica sono stati quindi
riconosciuti come preponderanti nella gestione previdenziale ed
assistenziale a partire dal fascismo e in ordine alla priorità del controllo
sociale. Ne è emerso come quadro generale che gli obiettivi
della propaganda e dell’irreggimentazione hanno in larga parte plasmato
le misure adottate in questi ambiti. L’uso che il regime fece della
legislazione sociale ebbe infatti il fine di consolidare la propria forza
egemonica, in specie su alcuni settori strategici della
società. A questo fine il fascismo diede una propria impronta anche agli
strumenti» della previdenza, in primis al maggior ente, l’Istituto nazionale
fascista di previdenza sociale.
Cara4ere discrezionale delle riforme
• Se in alcuni contesD europei si andava realizzando
un welfare universalista, esteso a tuL i ciFadini,
indipendente dalla posizione ricoperta sul mercato e
dai versamenD contribuDvi, ovvero dallo status
occupazionale, in Italia le misure adoFate dal fascismo
ebbero un caraFere discrezionale, e furono rivolte a
singoli seFori e categorie di lavoratori/lavoratrici. Il
fascismo molDplicò forme e regimi assicuraDvi diversi e
differenziaD nella misura, nella qualità e nel
tempo. A ciò fu fortemente legato il faFo che esso
giocò la carta della concessione di alcune provvidenze
sociali (peraltro molto ben delimitate), a fronte
del disconoscimento dei diriL poliDci.
Un’eredità indelebile
• Le politiche del fascismo si esprimevano in forma di incentivi economici e di
ammortizzatori sociali anche al fine di compensare la carenza di diritti politici e
libertà fondamentali, riformulando in modo nuovo, rispetto all’Ottocento, i termini
del rapporto tra Stato e società.
• Si trattò, oltre tutto, di concessioni , e non di conquiste legate alla
cittadinanza, inquadrabili in un progetto di governo teso a prefigurare il corpo
unico, ma fortemente differenziato, della Nazione. Con questo carattere, le
provvidenze sociali furono condizionate cosí dall’approvazione del regime, dalla
«risposta» dei beneficiari (nei termini di adesione e integrazione), dalla
discrezionalità delle molteplici istituzioni atte a occuparsi a livelli diversi del
sistema assicurativo, previdenziale ed assistenziale.
• L’utilizzo strumentale della legislazione sociale e della risorsa previdenziale
da parte del regime ebbe il fine di consolidarne il sistema di potere, in specie
in relazione ad alcune fasce sociali, rimaste per certi aspetti fuori della
portata dello Stato. Fu questo d’altronde che impresse una cifra peculiare alla
forma italiana del welfare Quest’ultima, «con i suoi aspetti clientelari che
nascevano dal ricondurre le prestazioni erogate non tanto a garantiti diritti dei
cittadini quanto alla provvidenziale benevolenza del regime», lasciò una eredità a
tratti indelebile.
L’assistenza sociale in età fascista
• Complessità del regime fascista
• Forte legame delle riforme sociali con la poli4ca economica

• Gli agrari e gli industriali avevano appoggiato sin dai primi anni il fascismo, che con la violenza delle sue milizie aveva
riportato l’organizzazione nelle fabbriche e nelle campagne e aveva soffocato il movimento sindacale e le organizzazioni
socialiste. Per sdebitarsi di questo appoggio, nei primi anni del suo governo Mussolini aAuò una poliCca economica di Cpo
liberista, che permise agli industriali e agli agrari di aumentare in modo consistente i loro profiE, a scapito dei salari degli
operai.
• InfaE Mussolini fece approvare una riforma fiscale favorevole ai grossi capitali, la privaCzzazione dei servizi telefonici e delle
Assicurazioni, il salvataggio da parte dello Stato di industrie e banche in crisi, il contenimento dei salari e l’allungamento
dell’orario di lavoro a nove ore.
• Grazie a questa poliCca di liberismo economico, nella prima metà degli anni VenC si verificò un forte sviluppo industriale e le
maggiori imprese, come la FIAT, la MontecaCni (che produceva ferClizzanC) o la Snia (produArice di fibre arCficiali)
aumentarono notevolmente le loro esportazioni.
• Nel seAore dell’agricoltura , la poliCca economica del fascismo seguì due indirizzi fondamentali: aumentare la produzione del
grano, anche aAraverso una bonifica di zone incolte, e accrescere il numero di mezzadri e piccoli colCvatori direE, frenando
l’esodo verso le ciAà.

• hAp://www.raistoria.rai.it/arCcoli/fascismo-economia-e-lavoro/7149/default.aspx
Crisi economica e statalizzazione
• Ma alla fine degli anni Venti l’economia italiana fu scossa da una grave crisi provocata da cause
interne e internazionali. Mussolini, per frenare la continua svalutazione della lira, aveva imposto
una rivalutazione forzata, che aveva provocato una forte riduzione delle esportazioni.
• La situazione precipitò quando anche in Italia si fecero sentire gli effetti della crisi internazionale del
1929: molte fabbriche fallirono, la disoccupazione aumentò sensibilmente (nel giro di pochi anni i
disoccupati passarono da 300.000 a un milione) e i salari dei lavoratori furono diminuiti.
• Per combattere la crisi, nel 1933 il fascismo diede vita all’IRI (Istituto per la Ricostruzione
Industriale) un ente statale che, attraverso il controllo delle banche, finanziava le industrie
siderurgiche, cantieristiche e meccaniche. A partire dal 1935 la ripresa industriale fu favorita dalla
politica di riarmo del fascismo e dalla guerra d’Etiopia.
• Complessivamente l’intervento dello stato nell’economia fu così ampio che alla vigilia della seconda
guerra mondiale nessun paese al mondo, ad eccezione dell’URSS, aveva, proporzionalmente, un
numero di aziende statizzate maggiore dell’Italia; ma con questa caratteristica, e cioè che nello
stato fascista la mano pubblica interveniva in difesa di interessi privati e addirittura settoriali. Il
sistema, in altri termini, sanciva sia l’intervento dello stato nelle industrie e nelle banche del paese,
sia per converso l’influenza dei più potenti gruppi industriali e finanziari sulla politica economica
del governo. Con ciò esso legava più strettamente fra loro, in un rapporto di reciproco controllo e di
interessi solidali, il regime fascista, la grande industria e l’alta finanza.
• Corporativismo come politica economica
La ba+aglia del grano
• Meno massicci, ma pur assai rilevan,, furono gli interven, dello
Stato nel campo dell’agricoltura. La ba#aglia del grano, iniziata sin
dal 1925, era rivolta a diminuire l’importazione di grano, che
incideva pesantemente sulla nostra bilancia commerciale.
Ampiamente propagandata e sostenuta con incen,vi, essa conseguì
notevoli risulta,, culmina, nel 1933 con una produzione copriva
quasi per intero il fabbisogno nazionale (mentre nel 1922 si erano
dovu, importare oltre 22 milioni di frumento). Da un punto di vista
globale essa determinò peraltro la conversione alla cerealicoltura
anche di terreni poco adaJ, sicché il grano raggiunse sul mercato
interno prezzi di molto superiori a quelli del mercato internazionale,
con ovvio svantaggio immediato delle classi meno abbien,,
costre1e a comprimere i consumi, e con svantaggio indire1o dello
sviluppo generale della produzione.
Le bonifiche
• Nel 1928 fu anche iniziato un ambizioso programma di bonifiche integrali, per il
quale lo Stato avrebbe provveduto alle opere fondamentali (risanamento di terreni
paludosi, rimboschimenti, drenaggio e controllo delle acque, rete centrale
d’irrigazione) lasciando ai privati il compito di completare a proprie spese le
bonifiche, con piantagioni, dissodamenti, costruzioni rurali, allacciamento ai canali
d’irrigazione, eccetera. Sennonché, per l’inadempienza dei proprietari, il progetto
rimase in parte inattuato o si risolse in una serie di finanziamenti a fondo perduto
a vantaggio di grandi agrari.
• Esito nettamente positivo ebbe invece la bonifica dell’Agro Pontino, che fra Roma e
Terracina trasformò radicalmente oltre 60.000 ettari di terre incolte, malariche e
scarsamente popolate, facendovi sorgere circa 3000 poderi, adeguatamente
sistemati e attrezzati. I lavori ebbero inizio nel novembre del 1931, furono portati
avanti alacremente secondo progetti razionali e contribuirono fra l’altro ad
alleviare la disoccupazione, che a causa della crisi era enormemente incrementata.
• Allo stesso scopo, fra il 1929 e il 1934 il fascismo diede un particolare impulso ai
lavori pubblici, sviluppando la rete stradale, autostradale e ferroviaria (come del
resto avveniva in tutti i paesi industrializzati) e incrementando l’edilizia pubblica
(municipi, poste, palazzi di giustizia, scuole) con opere di proporzioni talvolta
grandiose, ma di dubbia funzionalità e di gusto monumentale e retorico.
Giornali e radio al servizio del fascismo
• Durante l’epoca fascista, dopo la soppressione dei giornali contrari al
regime come l’Avan/, l’Unità o la Voce Repubblicana, tuH gli altri giornali
furono pos/ so8o il controllo delle autorità fasciste che li u/lizzavano per
fare una con/nua propaganda e di esaltazione del regime. Oltre ad
esaltare con/nuatamene il DUX e le opere del fascio, i giornalis/ dovevano
assolutamente evitare di riportare no/zie che me8essero in luce i
problemi della società italiana.
• Il fascismo si servì per fini propagandis/ci anche della radio, che proprio
negli anni Ven/ compiva i suoi primi passi in Italia. Nel 1927 fu is/tuito
l’EIAR (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche) l’antenato dell’a8uale RAI, un
ente di monopolio statale u/lizzato in modo sempre più esplicito come
uno strumento di propaganda del regime. Ma, poiché erano poche le
famiglie che potevano acquistare un apparecchio radio e pagare il canone
di abbonamento, il governo fece distribuire apparecchi nelle scuole rurali,
nei Municipi, nei dopolavori e fece installare altoparlan/ nelle piazze e nei
luoghi di ritrovo, cosicché nessuno potesse sfuggire all’azione di
indo8rinamento del regime.
Il cinema
• Il fascismo diede una grande importanza anche al cinema, che negli anni Trenta era
diventato la principale forma di divertimento e di passatempo della popolazione
italiana, soprattutto dopo l’avvento del sonoro, nel 1930. Nel 1924 fu istituito il
LUCE (L’Unione Cinematografica Educativa), principale strumento della
propaganda fascista, e nel 1937 fu inaugurata a Roma Cinecittà. Anche la
produzione cinematografica, come quella radiofonica, era sotto lo stretto controllo
politico del regime.
• La propaganda diretta era affidata ai Cinegiornali LUCE, che erano proiettati
obbligatoriamente nelle sale cinematografiche prima dei film. I principali filoni dei
film del ventennio erano quello storico, e quello dei cosiddetti “telefoni bianchi”.
Le autorità del regime incoraggiavano la produzione di pellicole a carattere storico
come Scipione l’Africano o Ettore Fieramosca, che dovevano servire per
riaffermare agli occhi del popolo le radici storiche del fascismo. I film dei cosiddetti
“telefoni bianchi” erano invece ambientati nel mondo della borghesia, dove
appunto il telefono bianco era un simbolo di agiatezza economica. Si trattava di
storie intricate e incredibili, senza alcun riscontro con la realtà; ambientate in
improbabili Paesi stranieri; infarcite di uno zuccheroso ottimismo con protagonisti
spensierati, privi di problemi, se non quelli amorosi.
Lo sport
• Le autorità fasciste profusero grandi energie e finanziamen. per lo sviluppo delle
abvità spor.ve in Italia, dal momento che nulla più dello sport rispondeva alle
esigenze fondamentali del regime. Inoltre lo sport inteso come compe.zione
agonis.ca altro non era per il fascismo che una preparazione alla guerra e
quindi “quanto più profonda è la disciplina impar=ta nelle libere manifestazioni
spor=ve, tanto più facile l’alles=mento di quella militare”.
• Inoltre il fascismo si serviva delle viBorie italiane in campo spor.vo per rafforzare
lo spirito nazionalis.co degli italiani e come forma di propaganda del fascismo.
Alcuni dei maggiori campioni u.lizza. a scopi propagandis.ci dal regime furono il
pugile Primo Carnera, campione dei pesi massimi nel 1933, i ciclis. Binda e Guerra,
i campioni automobilis.ci Nuvolari e Ascari.
• Per obbedire all’impera.vo mussoliniano “sport per tub”, l’educazione fisica
diventò obbligatoria in ogni ordine di scuola; le associazioni e gli en. del par.to
organizzavano abvità di educazione fisica e di sport per tub i ciBadini dai bambini
più piccoli alle donne, dai gerarchi ai lavoratori nelle fabbriche; inoltre ogni anno si
tenevano rassegne ginnico-militari come i “LiBoriali dello Sport” e i “Campi Dux”.
• Fonda il CONI
Libro e mosche+o fascista perfe+o
• Mussolini era consapevole che il regime per perpetuarsi doveva educare le nuove generazioni ai
principi del fascismo. Il processo di fascistizzazione della gioventù fu realizzato attraverso due
strumenti fondamentali: la scuola e le istituzioni giovanili, create appositamente dal regime, l’Opera
Nazionale Balilla e la Gioventù Italiana del Littorio (GIL) ei Gruppi Universitari Fascisti (GUF).
• Nel 1923 fu approvata la riforma della scuola chiamata “Riforma Gentile”, dal nome del filosofo
Giovanni Gentile che fu incaricato da Mussolini di elaborarla. Questa riforma prevedeva, tra le
altre innovazioni, l’esame di stato, l’insegnamento religioso obbligatorio nella scuola elementare,
l’estensione del latino ai licei e agli istituti magistrali. Si trattava quindi di una riforma che tendeva
a privilegiare le materie umanistiche rispetto a quelle scientifiche e differenziare nettamente una
scuola superiore destinata a formare la futura classe dirigente e una destinata alla massa dei
cittadini.
• Ma il processo di fascistizzazione della scuola fu realizzato soprattutto attraverso l’adozione del libro
di testo unico per la scuola elementare, che naturalmente doveva rispondere alle esigenze politico-
culturali del regime.
• Nel 1926 fu fondata l’Opera Nazionale Balilla, che raccoglieva tutti i giovani dagli otto ai diciotto
anni e impartiva loro un’educazione soprattutto fisica e paramilitare; infatti i giovani indossavano
una divisa e imparavano a usare il moschetto, che nel caso dei ragazzi più piccoli era di legno.
• Dal 1937 l’ONB fu trasformata nella Gioventù Italiana del Littorio, che raccoglieva tutti i giovani da
sei ai ventun anni: dai sei agli otto anni i bambini erano “figli della lupa” e indossavano la prima
camicia nera; a otto anni diventavano “balilla” o “piccole italiane”, poi a quattordici “avanguardisti”
e “giovani italiane” e infine “giovani fascisti”
La donna e la famiglia
• La “poliSca demografica” del fascismo era stata lanciata da Mussolini con un discorso nel 1927, nel
quale il Duce aveva deQo: “TuR gli Imperi hanno senSto il morso della loro decadenza quando
hanno visto diminuire il numero delle loro nascite”. Perciò il popolo italiano se voleva fare senSre la
sua potenza e la sua “forza nella storia nel mondo” doveva crescere di almeno dieci milioni di
persone. L’obieRvo fondamentale della poliSca demografica fascista era quello di “combaQere la
denatalità” incoraggiando le coppie a meQere al modo molS figli e a non spostarsi dalle campagne
alle ciQà, dove si verificava una diminuzione delle nascite.
• Così nel 1928 era stata approvata una legge che concedeva agevolazioni fiscali e facilitazioni nelle
assunzioni ai coniugi con molS figli; inoltre le autorità distribuivano ogni anno migliaia di “premi di
nuzialità” e premi per la prole numerosa”. per favorire lo sviluppo demografico il fascismo cercava
di scoraggiare le donne a intraprendere gli studi o un lavoro.
• Così con alcune leggi erano staR dimezzaR i salari delle donne rispeGo a quelli degli uomini, erano
state raddoppiate le tasse nelle scuole e nelle università, era stato proibito alle donne di insegnare
leQere e filosofia nei Licei e di essere assunte nelle Amministrazioni dello Stato. Per giusSficare
queste discriminazioni il fascismo sosteneva apertamente l’inferiorità della donna rispeQo
all’uomo: “la cui cultura della donna non può in nessun modo essere pari alla cultura maschile”; “il
cervello femminile non è per natura preparato alle scienze, alla matemaSca, alla filosofia,
all’architeQura”. In conclusione il compito della donna fascista era quello di essere una “madre
prolifica”.
• hQps://www.youtube.com/watch?reload=9&v=udOy7EvupVc
• hQps://patrimonio.archivioluce.com/luce-
web/search/result.html?temi=%22poliSca%20demografica%20del%20fascismo%22&acSveFilter=te
mi
L’ONMI, l’Opera Nazionale Maternità
Infanzia
• L’Onmi è stati uno dei grandi enti pubblici sorti negli anni Venti, ma che è diventato
celebre negli anni trenta, quando la propaganda del regime fascista lo ha
trasformato in uno dei pilastri della campagna demografica del regime.
• L’ONMI ha poi proseguito la sua esistenza fino alla vigilia della creazione del
sistema sanitario nazionale. La legge la istituisce il 10 dicembre 1925.
• L'ONMI ha cessato di esistere con la legge 23 dicembre 1975, n. 698. Tale legge ha
anticipato il d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616 sul trasferimento di poteri dallo stato alle
regioni e la soppressione di enti tra i quali gli ECA e il loro passaggio ai comuni.
A decorrere dal 1 gennaio 1976 sono state infatti trasferite alle regioni a statuto
ordinario e speciale le funzioni amministrative esercitate dall'ONMI previste
dall'art. 4 punto 4 del R.D. 24 dicembre 1934, n. 2316, e successive modificazioni,
nonché le funzioni di programmazione e d'indirizzo. Sono ugualmente trasferiti alle
regioni i poteri di vigilanza e di controllo su tutte le istituzioni pubbliche e private
per l'assistenza e protezione della maternità e dell'infanzia. Tali funzioni di
controllo erano previste dall'articolo 5 del R.D. 24 dicembre 1934, n. 2316,
comprese le funzioni che tale articolo riservava alla tutela e alla vigilanza
governativa a norma della legge 17 luglio 1890, n. 6972, e del R.D. 30 dicembre
1923, n. 2841; nonché quelle derivanti dal R.D.L. 8 maggio 1927, n. 798, convertito
nella legge 6 dicembre 1928, n. 2838, e relativo regolamento di esecuzione.
OMNI – Mortalità infan=le
L’Opera nazionale maternità infanzia, ente parastatale creato dal
fascismo con un ambizioso programma assistenziale a favore di
madri e bambini, si rivelato un osservatorio par/colarmente
sensibile da cui guardare all’intervento del regime nella lo8a ad
uno dei più gravi problemi sociali che affliggevano il nostro
paese, cioè l’elevata mortalità infan/le.

Nell’Italia post-unitaria i bambini morivano per molte delle cause


che oggi uccidono 22.000 bambini ogni giorno. I livelli di
mortalità in Italia prima del quinto compleanno erano addiri8ura
superiori a quelli che oggi l’UNICEF registra in alcuni dei Paesi più
poveri del mondo.
Omni – mortalità infan=le
Se oggi l’Italia registra tassi di mortalità soBo i 5 anni tra i più bassi del mondo lo si deve
dunque a riforme e poli.che sanitarie nazionali promosse su tuBo il territorio, che
sarebbero state impensabili senza l’unificazione, oltre che ai progressi della scienza e della
medicina e allo sviluppo di una cultura dei dirib dell’infanzia che riconosce il bambino
protagonista e al centro di ogni intervento.

Ancora a metà OBocento, ad esempio, non esisteva la pediatria come disciplina autonoma,
né esistevano is.tuzioni pediatriche significa.ve. I primi ospedali pediatrici a nascere furono
l’Ospedale Bambino Gesù di Roma nel 1869 e successivamente l’Ospedale dei Bambini di
Palermo nel 1882 e il Meyer di Firenze nel 1884
Mortalità infan=le
Nel corso del secolo e mezzo osservato, gli italiani hanno guadagnato mediamente
quaEro mesi di vita l’anno. Al momento dell’unificazione le condizioni di vita medie
erano fortemente arretrate. Il dato per il 1861 evidenzia progressi modes.ssimi rispeBo
al passato, anche remoto: se, per esempio, consideriamo il caso dell’an.ca Roma, le
s.me della speranza di vita indicano valori che oscillano intorno ai 25 anni, ed
esprimono bene l’idea di quanto le condizioni di vita a metà OBocento fossero più simili
a quelle prevalen. due millenni addietro che non a quelle rilevate oggi, a distanza di
«appena» centocinquant’anni.

Se il confronto avviene con i paesi coevi, emerge come in Italia nel 1861 si vivesse in
media 10 anni di meno rispeEo alla vicina Francia e 16-17 anni di meno rispeEo alla
Svezia

Nel 1881 si moriva sopraBuBo a causa delle malaRe infeRve, responsabili di circa il 30
per cento delle mor.. Seguivano, in ordine di importanza, le malabe dell’apparato
respiratorio (bronchi., polmoni. e influenza), le malabe gastroenteriche, responsabili di
un altro 25 per cento del totale dei decessi.
Nel 1863 il tasso di mortalità infantile in Italia era pari a 232 (ossia, di mille bambini nati
vivi, 232 morivano entro il primo anno di vita), un valore inferiore a quello registrato nello
stesso periodo in Germania, ma superiore di quasi il 50 per cento a quello riscontrato in
Francia, e del 100 per cento a quello di Inghilterra e Galles. L’arretratezza economica
dell’Italia all’indomani dell’Unità aveva dunque un chiaro riflesso nell’elevato tasso di
mortalità infantile registrato alla metà dell’Ottocento. Nei decenni successivi all’unificazione
la mortalità infantile in Italia si riduce e prima del finire del secolo l’Italia raggiunge i livelli
della Francia.

Oltre questi aspetti è opportuno tenere in considerazione che non tutte le regioni hanno
partecipato al miglioramento allo stesso modo. Dall’Unità d’Italia, gli abitanti delle regioni
centro-settentrionali registrano – nel loro insieme – una speranza di vita sistematicamente
maggiore di quelle meridionali. L’immagine romantica del Meridione come terra
relativamente meno ricca delle contrade settentrionali, ma più accogliente e salubre
richiede, alla luce dei dati presentati, un ripensamento.
Gli abitanti di Basilicata e Campania registravano i valori minimi della speranza di vita
(rispettivamente 23,6 e 24,2 anni), mentre quelli di Liguria e Puglia i valori massimi
(rispettivamente 35,4 e 36,1 anni).
Sebbene la convergenza della speranza di vita fra le diverse regioni del paese abbia
richiesto un tempo considerevole per compiersi, alla fine convergenza c’è stata: lenta e
discontinua, ma c’è stata. I dati più recenti mostrano che la massima longevità è raggiunta
nelle Marche (82,7 anni), mentre quella minima è in Campania (80,3 anni): 2,4 anni di
differenza rappresentano ancora una distanza significativa per gli standard di oggi, ma
incomparabilmente inferiore ai livelli storici registrati nel passato.
Neona> a rischio
il processo d’industrializzazione e il conseguente aumento dell’occupazione femminile
nel seBore, non faceva che incrementare i livelli di mortalità infan.le poiché, a causa
dei ritmi estenuan. di lavoro e la mancanza di tutele, molte donne erano costreBe ad
abbandonare i neona. nei brefotrofi – dove la mortalità toccava livelli molto al. – o a
interrompere troppo precocemente l’allaBamento al seno, faBori che aumentavano la
vulnerabilità della salute dei neona.. Anche la pra>ca diffusa del balia>co meBeva a
rischio la vita dei bambini, specie quando essi venivano allontana. dalle mura
domes.che e dunque dalla protezione della famiglia.
A Milano, alle soglie dell’Unità, quasi un terzo di tuR i neona> era affidato al
brefotrofio che ospitava i bambini abbandona.. A Torino e a Napoli, alla vigilia della
presa di Roma, i bambini abbandona. erano oltre duemila. Di questo esercito di piccoli
disereda., oltre il 60% non sopravviveva.

La mortalità entro il primo mese di vita era eleva.ssima, associata a basso peso,
infezioni e mancanza di assistenza qualificata al parto. Dopo il primo mese di vita, le
principali cause di morte dei bambini erano rappresentate, con il morbillo e la per-
tosse, dalle infezioni gastroenteriche e da quelle a carico di bronchi e polmoni.
Quando i bambini superavano il primo anno di vita, le malabe infebve con.nuavano a
essere le principali cause di mortalità rappresentate in gran parte da tubercolosi e
di]erite. E la malnutrizione contribuiva e aggravava il decorso di quasi tuEe le malaRe
infeRve.
Nel Sud e in Sardegna, nelle zone paludose e nelle risaie, la malaria mieteva le sue vibme
in tuBe le fasce d’età e cos.tuiva un faBore di indebolimento fisico e psichico che apriva la
strada a molte altre malabe, oltre a spopolare intere regioni

Oggi la malaria è la terza causa di mortalità soEo i 5 anni a livello globale e uccide un
bambino ogni 45 secondi. La gran parte delle mor> si verifica nell’Africa subsahariana e i
più espos> sono i bambini soBo i 5 anni perché hanno una bassissima immunità. Durante
la gravidanza la malaria provoca quasi il 20% delle nascite soBopeso nelle aree endemiche,
oltre ad anemia, morte intrauterina e decesso materno. La malaria si può ridurre
sostenendo azioni preven.ve, come dormire soBo zanzariere traBate con insebcida di
lunga durata per evitare le punture dell’inseBo
Nel 1895 la mortalità soBo i 5 anni in Italia era pari a 326 per mille na. vivi e dovuta
quasi per il 50% dei casi a malabe infebve: tra queste influenza, bronchite e
polmonite (23%), pertosse (3%), morbillo (3%) e malaria (2%). (cfr. Tabelle 1 e 2, p.8).
Quasi un decesso su tre era dovuto a gastroenteri., febbri .foidi e para.foidi. Un 27%
moriva di altre cause, gruppo eterogeneo che include le malabe non deBagliate nelle
tabelle 1 e 2 tra le quali si annoverano altre infebve (come il colera), cause di morte
connesse alla malnutrizione (come rachi.smo e pellagra), dissenteria e cause di
origine perinatale e malformazioni congenite.
Il tasso di mortalità complessivo si dimezza nel periodo tra le due guerre, nel 1931 era
di 170 per mille na. vivi mentre scende soBo il 50 negli anni Sessanta fino a
raggiungere ai giorni nostri il 4 per mille.
Alla riduzione della mortalità nel tempo si va progressivamente accompagnando
un’evoluzione del quadro della mortalità, che vede la progressiva scomparsa delle
malabe infebve e l’emergere in termini rela.vi del peso delle altre cause di morte,
gruppo che passa dal 27% nel 1895 al 55% nel 1961 al 92% nel 2008. Questo grande
gruppo oggi include prevalente- mente le malformazioni congenite e le condizioni di
origine perinatale.
La peste bianca: lo;a alla tubercolosi
sebbene le tracce della tubercolosi siano state riscontrate dall'an2chità – Ippocrate descriveva
de=agliatamente la 2si come causa di distruzione del polmone – solo nel 1882 Robert Koch iden2ficò e
descrisse il bacillo responsabile della mala[a. Una scoperta straordinaria che gli valse il premio Nobel
per la medicina nel 1905. Koch cercò anche di preparare una sostanza da u2lizzare a scopi cura2vi: la
tubercolina, che non riuscì però ad avere l'effe=o terapeu2co sperato.
Nel corso della prima guerra mondiale la mala[a assunse le proporzioni di una piaga endemica tra
solda2 e popolazione civile, ma solo al termine del confli=o i governi predisposero una prima
organizzazione an2tubercolare preven2va e terapeu2ca centrata sulla creazione di ospedali specializza2
(sanatori), sui dispensari, sui consorzi an2tubercolari e sulle colonie es2ve per i bambini. Ques2
interven2 contribuirono a contrastare gli effe[ della patologia e iniziarono a ridurre l’incidenza della
mortalità, anche se non a debellarla
Durante la seconda guerra mondiale e nel periodo successivo l’incidenza delle mala[e era aumentata
ver2ginosamente nelle popolazioni debilitate. In par2colare, una forma di tubercolosi, la “peste bianca”,
aveva assunto proporzioni epidemiche. e anche in italia in quegli anni si registra un nuovo aumento del
livello di mortalità so=o i 5 anni a causa dei questa mala[a.
Intanto grazie alla scoperta della penicillina da parte dello scienziato Alexander Fleming, e
successivamente degli an2bio2ci, furono avvia2 tra=amen2 più efficaci per l’eliminazione di questa
terribile infezione.
Nel 1947, le società scandinave della croce Rossa avevano chiesto aiuto all’UNICEF per una campagna
internazionale contro la tubercolosi per immunizzare tu[ i bambini europei che non erano sta2 ancora
infe=a2. Fu la più grande campagna di vaccinazione mai organizzata e anche la prima a impiegare il
vaccino di calme=e-Guérin (BcG) fuori delle condizioni controllate degli ospedali. La campagna
internazionale contro la tubercolosi rappresentò il punto di partenza dell’impegno dell’UNICEF
nell’assistenza sanitaria, dopo la prima fase di sostegno nutrizionale durante l’emergenza.
ONMI
• L’OMNI è una macchina clientelare anche se si disKngue da
altre organizzazioni assistenziali perché ha una chiarezza di
missione e una specificità che altri organismi non hanno: si
traOa infaP della prima esperienza di assistenza a caraOere
universalisKco, rivolta a tuOe le madri e alla prima infanzia,
cui dovevano essere offerK servizi dalle visite mediche in
gravidanza ai refeOori, cui dovevano essere servizi dalle
visite mediche in gravidanza ai refeOori materni, agli asili
nido. La sua azione poteva esplicarsi sia con intervenK
direP, che mediante un coordinamento di struOure
sanitarie e assistenziali esistenK, fino alle tradizionali forme
di sussidio monetario. La principale e spesso unica risorsa
era il contributo statale.
OMNI
Nel dicembre 1924 il ministro dell’Interno Federzoni decideva di esumare
dagli archivi un progetto di legge elaborato nel 1922 riguardante
l’organizzazione e regolamentazione delle forme di protezione per la
maternità e l’infanzia, provvidenze che si trovavano all’epoca disperse in un
insieme di norme incompleto e frammentario, non in grado di assicurare, di
fatto, la benché minima tutela della donna e del bambino, visto anche che
risultava per la maggior parte inapplicato

Ad un panorama legislativo piuttosto desolante si contrapponeva un numero


sempre crescente di istituzioni che svolgevano attività assistenziali a favore
soprattutto dei fanciulli bisognosi — alla nascita dell’Onmi, nel 1925, se ne
potevano contare circa 6.000.
Anni ’60…verso i servizi sociali
à Servizi sociali aperti a tutti su base territoriale: Unità locale dei servizi
àDIVORZIO, NUOVO DIRITTO DI FAMIGLIA, CONSULTORI FAMILIARI,
ASILI NIDO COMUNALI, ADOZIONE E AFFIDO,ORGANI COLLEGIALI
NELLA SCUOLA, SER.T

à Anni ‘70: nascono le Regioni a statuto ordinario

àDpr 616/1977: primo decentramento

àSoppressione enti assistenziali nazionali ed ECA

à CULTURA DEI SS: globalità della persona, prevenzione dei rischi,


decentramento, partecipazione sociale alla gestione dei servizi
La previdenza: dal XIX secolo a oggi
à 1898: prima assicurazione sociale obbligatoria contro infortuni
à 1910: introduzione indennità di maternità x lavoratrici dipendenti

à 1919: assicurazione sociale obbligatoria sulla vecchiaia

La Cassa nazionale delle assicurazioni sociali diventa all’inizio degli anni ’30
Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale, poi INPS con l’avvento
della Repubblica.

à 1969: riforma dell’INPS (L. 153), dalla capitalizzazione alla ripartizione;


metodo retributivo di calcolo
à1970: Statuto dei diritti dei lavoratori (L. 300)

à1981: L. 155 distingue prestazioni previdenziali e assistenziali


à1989: GIAS (gestione interventi assistenziali) dell’INPS, finanziati attraverso
la fiscalità generale

à1995: “riforma Dini” (L. 335)

à Dal primo al secondo e terzo pilastro


2 modelli di copertura
Nella prima metà del XX secolo è avvenuta una grande
biforcazione tra i due modelli di “copertura”, ovvero le regole di
accesso e affiliazione ai principali schemi di protezione sociale
(pensionis?ci e sanitari):
• modello occupazionale orizzontale (bismarckiano), dove gli
schemi di protezione sociale sono rivol? ai lavoratori => adoEato
sopraEuEo dai paesi europei-con?nentali
• modello universalis:co o ver?cale (beveridgiano), in cui gli
schemi di protezione sociale coprono tuG i ciEadini, al di là dello
loro posizione lavora?va => adoEato dai paesi anglo scandinavi.

Nella fase di massima espansione => ulteriore diversificazione dei


percorsi nazionali:
q universalismo “puro”/ “misto” (Scandinavia/Gran Bretagna);
q occupazionalismo “puro”/ “misto” (Germania/Italia).

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