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L’infanzia in Romania: sviluppo di una comunità

come capitale formativo e capitale sociale

di Elisabetta Marzani, Valentina Giribaldi*1

1. Romania: tra percorso storico e condizioni dell’infan-


zia dalla dittatura ad oggi

L’impegno nell’analisi e nell’intervento sui bisogni e sulle prospettive


formative dell’infanzia in Romania ha valenza pedagogica; si pone il fine
di rilevare elementi significativi per la messa a punto di processi e pratiche
funzionali a restituire chiavi interpretative e organizzative volte a un più
ampio sviluppo della società come capitale.

1.1. Per un sintetico inquadramento storico-politico della Ro-


mania

La Romania oggi, Sighet in particolare, è segnata da risvolti politici, so-


ciali ed economici delle precedenti politiche di regime che, secondo un
modello nazionalista, hanno lavorato ad una forte implementazione del-
la famiglia. I valori e i mezzi di sussistenza della famiglia sono stati su-
bordinati alla difesa del territorio. In generale, sotto un profilo economico,
restano incisive le influenze dei mutamenti politici degli ultimi sessant’an-
ni. Dopo un notevole sviluppo economico iniziale, particolarmente dovuto
all’influenza dell’Unione Sovietica, con la salita al potere nel 1965 del dit-
tatore Nicolae Ceauşescu, in pochissimo tempo, il popolo rumeno venne ri-
dotto alla fame. La miseria fu esito della folle politica nazionalista del di-

* Elisabetta Marzani ha scritto il paragrafo 2. La missione dei frati minori cappucci-


ni: un impegno concreto per la tutela dei diritti dell’infanzia; Valentina Giribaldi ha scrit-
to il paragrafo 1 Romania: tra percorso storico e condizioni dell’infanzia dalla dittatura
ad oggi e Introduzione del paragrafo 2. La missione dei frati minori cappuccini: un impe-
gno concreto per la tutela dei diritti dell’infanzia. Entrambi le autrici hanno curato la Bi-
bliografia.

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Tratto da: Liliana Dozza, Vivere e crescere nella comunicazione. Educazione permanente
nei differenti contesti ed età della vita, © FrancoAngeli 2012 isbn 9788856849165.
Si ringrazia l’editore per la gentile concessione.
dattore, incentrata sull’industria pesante. Nel 1982 si ebbe l’annuncio di una
politica di austerità funzionale a pagare un debito estero di oltre dieci mi-
liardi di dollari. Il dittatore non voleva in alcun modo l’aiuto delle istitu-
zioni finanziarie occidentali e statunitensi; un simile ausilio avrebbe coin-
ciso con il finire nelle mani degli americani, ossia una sconfitta troppo
grande, dopo il tentativo di un intero suo potere nell’allontanare la Roma-
nia dall’influenza sovietica. Diede dunque vita a quella che verrà definita la
“guerra silenziosa di Ceauşescu”. Oltre alla riduzione delle importazioni e
all’aumento delle esportazioni, il dittatore razionalizzò cibo, divertimenti
ed energia. Lo sviluppo industriale venne favorito da una politica natalista,
che fece della capacità riproduttiva femminile un fattore chiave da control-
lare e sfruttare: furono aboliti aborto e contraccettivi nonché istituite sov-
venzioni in denaro destinate alle madri in base al numero dei figli, senza
tuttavia preoccuparsi delle reali difficoltà di sussistenza familiare. La scel-
ta di non dar luogo a differenza tra città e campagna venne perseguita pri-
vando i contadini delle proprie terre e radendone al suolo le abitazioni per
aumentare i campi coltivati. Intere famiglie vennero trasferite nei cosiddet-
ti bloc: rettangoli di cemento di soli sedici metri quadrati, ancor oggi pre-
senti nelle città rumene. Il clima di terrore in quegli anni fu pesantissimo;
il dittatore creò le securitate ossia una polizia segreta formata da militari e
volontari con il compito di individuare i dissidenti allo scopo di eliminare
ogni forma di opposizione (politica, religiosa ed etnica). A questo livello, la
sfiducia nell’altro era presente all’interno dello stesso nucleo famigliare. Le
cariche più importanti vennero affidate a uomini vicini a Ceauşescu, più
spesso a parenti proprio per allontanare il rischio di tradimenti. Ceauşescu
divenne un dittatore a tutti gli effetti; tra le altre, emanò una legislazione
che vietava il diritto all’associazione, vietò le televisioni libere e falsificò
le notizie che vennero divulgate in modo distorto. Per questi motivi, al di
fuori dei confini rumeni, restava, per certi versi, molto difficile capire cosa
stesse realmente accadendo nel Paese.
Fu nel 1989 a Timişoara, paese della Romania occidentale, che si posero
le basi per la rivoluzione e la fine del regime del Conducador. L’insurrezio-
ne del popolo rumeno verrà duramente repressa nel sangue dalla polizia fi-
no al 25 dicembre, quando il dittatore venne condannato a morte in un pro-
cesso sommario insieme alla moglie. Le prime elezioni libere vi furono
nel 1990, mentre un anno dopo, con la promulgazione della Costituzione,
la Romania divenne una Repubblica parlamentare. Nel 2004 il Paese entrò
a far parte dell’ONU e nel 2007 della “Grande Europa”. Nonostante alcuni
cambiamenti positivi che hanno caratterizzato il sistema politico negli ulti-
mi anni, – peraltro contrassegnato dallo sviluppo di una stabile economia
di mercato, dalla libertà degli spostamenti, dell’espatrio, dell’associazioni-
smo e dello svolgimento di attività politica, dalla possibilità di una stampa
libera e indipendente – restano significative le critiche al nuovo regime de-

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mocratico, per diversi aspetti ancora legato a uomini e strutture del vecchio
regime autoritario.

1.2. Le condizioni dell’infanzia in Romania

In un tale scenario è facile immaginare come l’infanzia sia stata l’e-


tà della vita e/o dell’educazione maggiormente colpita e violata. Fu pro-
prio negli anni del regime che i fenomeni dell’abbandono e dell’istituzio-
nalizzazione dei minori vennero segnati da uno sviluppo sconcertante. Con
la richiesta alle donne di diventare eroine della produzione socialista e con
la disposizione di privatizzare servizi come le scuole, gli asili e l’assisten-
za sanitaria, si assistette alla nascita di moltissimi bambini, i cosiddetti “fi-
gli del Decreto” il cui destino era necessariamente l’istituto. Lo Stato, in
questo periodo, considerava privilegiati tutti i minori istituzionalizzati, per-
ché con maggiori possibilità e non soggetti in difficoltà. La Legge 28 mar-
zo 1970, n. 3, regolamentò l’istituzionalizzazione prevedendo strutture spe-
cifiche in base all’età e allo stato di salute dei bambini abbandonati (Rioli,
2006). L’ultimo triennio del Novecento fu segnato dai risvolti positivi dei
principi sanciti dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia
dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Grazie al censimento opera-
to dall’allora neonato Dipartimento di protezione minorile, si palesò che
l’1,7% dei minorenni rumeni viveva in istituto. Il Governo, acquisita tale
consapevolezza, mise in cantiere alcuni obiettivi, ritenuti fondamentali per
diminuire il numero dei minori in istituto e favorire il ricongiungimento
famigliare. Venne varata la Legge n. 108/1998 che, da un lato, interpreta-
va per la prima volta l’istituzionalizzazione come una condizione tempora-
nea e, dall’altro lato, decentralizzava l’amministrazione mentre le responsa-
bilità per la protezione dei minori vennero affidate alle autorità nazionali e
ai Consigli regionali. Peraltro fu abbandonata la rigida suddivisione inizia-
le degli istituti, che vennero sostituiti con nuovi centri di accoglienza per
bambini e ragazzi di tutte le età al fine di promuovere una cultura del rico-
noscimento e del rispetto dei diritti dell’infanzia. Con l’ingresso nell’Unio-
ne Europea, infine, la Romania dovette adoperarsi nel rispetto dei program-
mi per la tutela dell’infanzia stessa, come previsto per tutti gli stati annessi.
Tali programmi prevedevano, tra l’altro, chiusura dei grandi istituti e lo-
ro sostituzione con servizi di cura alternativa, funzionali a prevenire l’ab-
bandono. Tuttavia l’emergenza abbandono resta molto alta. Sono ancora nu-
merose le famiglie rumene che vivono in case fatiscenti, senza luce, acqua
corrente e riscaldamento e che versano in gravi condizioni finanziarie, ta-
li da non consentire di soddisfare nemmeno i bisogni primari, tanto da sa-
crificare i loro bambini, allontanati e abbandonati in strada. Non abbiamo
dati precisi, ma il Rapporto EuroChild del 2010 riferisce di circa 80 mi-

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la bambini senza famiglia, fra cui: 24 mila collocati in strutture di prote-
zione dell’infanzia, 45 mila in affido temporaneo sotto la tutela delle Assi-
stenti Maternali e 2 mila posti in altre strutture di assistenza. Il fenomeno
dei bambini di strada (copii strazii) è sempre più stabile; nella sola capita-
le, sono cinquecento i minori che vivono in strada e millecinquecento quel-
li che elemosinano giornalmente facendo un ritorno a casa soltanto la se-
ra, per un periodo medio di nove anni. L’infanzia – orfana, abbandonata in
strada, collocata in famiglia e in istituti – si confronta quotidianamente con
violenza e/o sfruttamento fisico, sessuale, psicologico e lavorativo. Dun-
que i rischi di morbilità e mortalità sono altissimi. Molti bambini si trova-
no nelle condizioni: di “orfani bianchi”, fenomeno in aumento considerato
ormai una vera e propria emergenza, conseguente alle forti emigrazioni nel
paese (che coinvolgono circa quattro milioni di rumeni). Vivono senza uno
o entrambi i genitori (affidati alle cure di parenti o vicini) migrati per ga-
rantire ai figli, più o meno consapevolmente, un futuro migliore. Tali mino-
ri risultano affidati a parenti o conoscenti, con genitori all’estero che spesso
ricostituiscono una nuova famiglia. Secondo il rapporto de L’Albero della
Vita (realizzato rielaborando dati Istat, Unicef e Alternative Sociale)2, so-
no circa quattrocento mila i minori romeni che si sono trovati ad affron-
tare, per un periodo più o meno lungo, l’assenza dei genitori con conse-
guenze emotive assolutamente identiche a quelle di cui soffrono i bambini
realmente orfani: ansia e depressione. In tali condizioni di disagio materia-
le e/o umano, ovviamente, il rischio di devianza è altissimo. Nello specifi-
co è riferito di 224 mila bambini con una sola figura genitoriale all’estero
(aumenta sempre di più il numero di madri che partono per inseguire “mi-
raggi di salvezza”, richieste come badanti e baby-sitter, mentre, diversamen-
te e a causa della crisi economica, per i padri scarseggiano i posti nei can-
tieri) e di 126 mila privati di entrambi; la metà di questi minori ha meno di
dieci anni. Nonostante alcuni emigranti affermino di aver migliorato il te-
nore di vita della famiglia, le conseguenze in patria sono allarmanti; il 2%
dei bambini coinvolti in tale problematica sociale ha abbandonato la scuo-
la, il loro tempo libero è meno controllato e si è assistito ad un aumento di
episodi di aggressività e violenza che li coinvolgono. Peraltro quello che
possiamo considerare il numero degli “orfani bianchi” è calcolato per difet-
to, perché non tutti i minori con genitori emigrati vengono dichiarati. Sol-
tanto il 7% dei genitori denuncia la propria partenza migratoria al comune,
per continuare ad assicurare alla famiglia il sussidio statale, possibile dagli
anni del comunismo soltanto se questi vivono in patria. Dunque molti mi-
nori affermano che la mamma e il papà lavorano in paesi vicini, restando

2. Si veda Romania. Allarme per gli “orfani bianchi” in: www.vita.it/news/view/


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senza tutela legale; fattore di ostacolo per l’iscrizione scolastica come per
eventuali ricoveri. Le difficoltà per l’infanzia abbandonata non terminano
al raggiungimento della maggiore età quando, sospesi i servizi di assisten-
za da parte dello Stato, i neoadulti vengono catapultati privi di sostegno nel
mondo, senza pensare (in ragione di un passato di deprivazione) alle diffi-
coltà d’integrazione sociale e di autonomia individuale. Sono proprio que-
ste difficoltà ad amplificare l’emarginazione, come i rischi di acquisire stili
di vita deviante e di fuga in altri paesi. Ulteriore aspetto negativo, princi-
palmente dovuto all’ingresso della Romania nell’UE, coincide con la chiu-
sura repentina degli istituti, nel tentativo di sollevare le economie e la visi-
bilità dello stato. Questo iter comporta, in alcuni casi, un forzato e troppo
veloce ricongiungimento famigliare, trascurando sia l’effettiva adeguatez-
za del nucleo d’origine, tanto da indurre i minori a fuggire nonchè determi-
nando violenze e danni psicologici di natura intrafamiliari, sia l’assenza di
sussistenza sociale al raggiungimento della maggiore età, tanto da indurre
– come anticipato – l’esodo in altre nazioni.

2. La missione dei frati minori cappuccini: un impegno


concreto per la tutela dei diritti dell’infanzia

Le iniziative offerte al territorio di Sighet si forgiano dalla convinzio-


ne che la formazione e il benessere sociale dei suoi individui, soprattutto
quelli più bisognosi, siano una capitale ineludibile per la crescita, l’integra-
zione e l’emancipazione dei soggetti coinvolti. Tali finalità sono consegui-
bili anche e soltanto, da un lato, se non si pone una scissione fra teoria e
prassi nella formazione e, dall’altro lato, se si forma ponendo in ricorsivi-
tà il conoscere e il progettare, sventando casualità e determinismi che com-
promettono riconoscimento dell’uguaglianza delle opportunità nel segno
della giustizia sociale e riconoscimento delle differenze nel segno della li-
bertà individuale. La lingua (dunque l’istruzione che consente l’alfabetiz-
zazione) e il lavoro (dunque l’educazione che consente la socializzazione)
non possono che essere riconosciuti fini e mezzi di partecipazione attiva e
di integrazione sociale. La responsabilità collettiva e l’autonomia individua-
le devono essere alla base dei processi e delle pratiche di costruzione del-
le identità e delle appartenenze. Il progetto socio-educativo di Sighet, nel-
le sue articolazioni interne, inclusive di centro giovanile, case-famiglia,
cooperativa sociale, formazione-lavoro, prevede tutoring fornito da figu-
re adulte e/o esperte, che si prendono cura del contesto materiale e umano,
ed educazione fra i pari che costituiscono il target di riferimento. Il gruppo
viene concepito come fattore di espressione della società e di educazione al
sociale, capace di modificare – tramite interazione, interdipendenza e inte-
grazione – regole e, dunque, condizioni di cittadinanza (di genere, integrità/

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deficit, di status sociale e culturale). Identità e appartenenze si ristrutturano
fra membership e groupship.

2.1. Storia di una presenza: la nostra esperienza a Sighet

L’Associazione Frati Minori Capuccini, costituita da giovani volonta-


ri rumeni e sostenuta dal Gruppo di Solidarietà Missionaria “Amici di Si-
ghet” di Scandiano (RE) e Fidenza (PR), fornisce dal 2002 sostegno nel
territorio di Sighet.
Il supporto apportato ha inteso dapprima rispondere all’emergenza, ossia
a quei bisogni irrinunciabili per l’uomo come il cibo, il riparo, la difesa e la
cura dalle malattie, poi caratterizzarsi come risposta di prevenzione educa-
zione e recupero tramite la cura del contesto, secondo un modello ecologi-
co di comunità, e la riattivazione e/o coscientizzazione dei soggetti singo-
li e collettivi. Lo sviluppo di una comunità come valore formativo e sociale
è stato supportato da un intervento legato tanto all’alfabetizzazione/istru-
zione quanto alla socializzazione/educazione dei soggetti coinvolti, secon-
do un modello segnato da responsabilità collettiva e autonomia individuale.
A Sighet, pur essendo cittadina relativamente piccola (45.000 abitanti),
l’abbandono minorile è una vera e propria piaga: in città si contano due or-
fanotrofi; un centro di prima accoglienza per un periodo medio-breve rivol-
to a mamme e bambini di età prescolare in situazione di emergenza; dodici
case di tipo familiare, di cui cinque per minori con problemi di handicap;
quattro case-famiglia. Si tratta di confrontarsi con circa 500 minori in si-
tuazione di abbandono: una buona concentrazione per una città di 45.000
abitanti! Il progetto socio-educativo, nelle sue articolazioni interne inclusi-
ve di case-famiglia, centro giovanile, cooperativa socio-educativa, forma-
zione-lavoro, – come anticipato – prevede tutoring fornito da figure adulte
e/o esperte, che si prendono cura del contesto materiale e umano, ed educa-
zione fra i pari che costituiscono il target di riferimento. La comunità edu-
cativa propone un modello che promuove sia la presa in cura del target di
riferimento, sostenendo processi di crescita, formazione, emancipazione in-
dividuale e collettiva, nonché la revisione del profilo educativo delle figure
parentali e/o professionali (genitori, insegnanti, educatori sociali, studenti
tirocinanti di corsi di studio a carattere educativo e volontari).
L’associazione gestisce in prima persona il centro giovanile “S. France-
sco”, la casa famiglia Santa Chiara, una piccola attività commerciale (ge-
lateria-pizzeria), la cooperativa socio-educativa “Il Piccolo Principe”. At-
tualmente si sta portando a termine un nuovo progetto “Una casa per tutti”,
riferibile ad una struttura che ospiterà dai 25/30 ragazzi usciti dagli orfano-
trofi e che necessitano di un adeguato inserimento in società e nel mondo
lavorativo.

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Il centro giovanile S. Francesco è stata la prima attività realizzata
dall’Associazione; aperto poco più di cinque anni fa, è in pratica un Orato-
rio con diverse stanze attrezzate per il lavoro, lo studio, il gioco; qui i gio-
vani si incontrano quotidianamente e ricevono una formazione umana, spi-
rituale e lavorativa in un clima di amicizia e fraternità.
I ragazzi vivono il centro come se fosse la loro casa: ne hanno cura, an-
che sul piano della gestione e passano gran parte della giornata svolgen-
dovi le attività quotidiane di studio, assistiti dai ragazzi più grandi, dai
frati e da alcuni volontari italiani, ospitati periodicamente presso la struttu-
ra. Sempre nel centro sono presenti una piccola falegnameria e una sarto-
ria dove si realizzano prodotti artigianali e mobili d’arredo. Ai ragazzi che
prestano la loro opera nei laboratori viene corrisposta una retribuzione ta-
le da permettere l’autosufficienza economica. L’oratorio è anche la sede del
Gruppo Speranza, una realtà di volontariato giovanile a cui i frati hanno
dato vita. Il gruppo è composto da circa trenta giovani (dai 14 ai 24 anni)
che, attraverso l’opera settimanale di volontariato, animano le case famiglie
del Comune e gli orfanotrofi, realizzano attività di doposcuola domicilia-
re, organizzano, durante il periodo estivo, campi-gioco che vedono coinvol-
ti più di quattrocento bambini della città in età compresa tra i 4 e i 14 an-
ni. Questi giovani, grazie alla fiducia di cui hanno potuto fare esperienza,
si incaricano di rispondere alle necessità dei loro amici più piccoli offren-
do l’esempio di una vita che, se opportunamente sostenuta, può sempre ri-
scattarsi.

2.2. La collaborazione con le Istituzioni

Già dai primi anni si è posta una particolare attenzione al contesto isti-
tuzionale, chiave di accesso per un cambiamento interno della comunità ci-
vile. Grazie al contributo di alcuni Enti ed Associazioni italiane e al volon-
tariato generoso dei ragazzi del Gruppo Speranza, si sostiene lo sforzo di
accoglienza intrapreso dalle organizzazioni locali (ospedali, centri di prima
assistenza, orfanotrofi e case famiglia). Lo Stato e gli Enti territoriali co-
me il Comune intervengono solo marginalmente sul piano dell’aiuto e del
finanziamento, mentre le realtà di assistenza sociale devono spesso fare i
conti con l’inadeguatezza di mezzi e delle risorse finanziarie necessarie al-
la sussistenza quotidiana. Si interviene, come anticipato, nel rinnovare alcu-
ni ambienti, ma anche fornendo medicine, garantendo alimenti di prima ne-
cessità, mensilmente consegnati. Inoltre si sostengono alcuni ragazzi negli
studi (in particolare quelli universitari) nei termini del pagamento delle loro
rette e/o di tasse che le famiglie, altrimenti, non riuscirebbero a garantire.
L’associazione, in collaborazione con la Regione Emilia Romagna, la
CISL di Reggio Emilia, la Provincia e il Comune di Reggio Emilia, ha ri-

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strutturato l’orfanotrofio cittadino, riorganizzato in sei appartamenti-fami-
glia ciascuno; inoltre, all’interno della struttura, sono stati realizzati labora-
tori artigianali nei quali si avvia la formazione professionale dei ragazzi in
vista dell’ingresso nel mondo del lavoro.

La casa famiglia Santa Chiara


Il progetto, nato nel 2008, ha come obiettivo primario quello di offrire
stabilità affettiva ai minori che vivono situazioni d’abbandono. Nella col-
laborazione con gli istituti di accoglienza (pur importanti per il loro ruo-
lo di risposta ai tanti bisogni dell’infanzia) si tocca con mano come l’espe-
rienza dell’orfanotrofio sia comunque insufficiente a formare questi ragazzi
che rimangono segnati da rifiuto e solitudine. Al contrario, il frutto del la-
voro che una casa-famiglia riesce a concretizzare lascia un segno nella vi-
ta di queste persone in correlazione alla stabilità dei metodi educativi e ad
una relazione educativa individualizzata e personalizzata insieme, che favo-
risce continuità e coerenza al rapporto affettivo.

La cooperativa socio-educativa
La cooperativa, intitolata al Piccolo Principe, vuole essere segno costrut-
tivo e propositivo di una vita bella, segnata da relazioni umane rispettose e
fiduciose con lo scopo di far intravedere come sia indispensabile avere fi-
ducia nell’altro per costruire una società più giusta e solidale. Essa accoglie
stabilmente circa cinquanta ragazzi in età scolare che vengono seguiti nel-
le attività di studio. La scelta del campo educativo e dell’accompagnamento
di questi minori nelle attività scolastiche di doposcuola è nata dal convin-
cimento che investire sul bene istruzione sia l’unica strada per offrire una
concreta possibilità di riscatto: possedere gli strumenti culturali significa
avere l’opportunità per pensare e progettar-si un futuro migliore. I ragazzi
ospitati vengono seguiti da quattro educatori rumeni del Gruppo Speranza
che hanno terminato gli studi universitari.

Il nuovo progetto “Una casa per tutti”


Il punto di fragilità del complesso cammino di reinserimento sociale
dei ragazzi istituzionalizzati è costituito dal raggiungimento della maggio-
re età, cioè quando lo Stato sospende i servizi di assistenza, garantiti fino a
quel momento, senza farsi carico del reinserimento sociale e lavorativo. Nel
2008 in tutta la Romania 7.000 ragazzi hanno abbandonato gli orfanotro-
fi e lo stato ha reso disponibili per loro solo 467 appartamenti sociali. La
formazione umana di questi ragazzi è fragile: le esperienze vissute li han-
no indeboliti a tal punto da non essere capaci di scegliere e perseguire un

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proprio progetto di vita e in genere sono visti con diffidenza dalla gente del
luogo; ben presto vengono etichettati ed emarginati. Usciti dall’orfanotrofio,
il primo problema che incontrano è quello di trovare un alloggio e un lavo-
ro e, inizialmente, occorre far fronte ai bisogni primari di vita e sussisten-
za, ma, allo stesso tempo, diviene indispensabile progettare insieme a loro
un percorso protetto di inserimento.
Da questa emergenza è nato quest’anno il progetto Una casa per tutti. Il
Comune di Sighet, probabilmente sensibilizzato dalle tante iniziative di so-
lidarietà realizzate in questi anni, ha risposto positivamente alla richiesta di
collaborazione più volte presentata, offrendo all’associazione, in comodato
gratuito, una centrale termica in disuso ubicata nel centro della città. Que-
sta struttura, in via di ristrutturazione, permetterebbe la realizzazione di
tredici monolocali con lo scopo di reinserire gradualmente in società i gio-
vani implicati. Nel progetto sono previsti alcuni educatori rumeni che ac-
compagnerebbero per un periodo di tre anni i ragazzi accolti nella struttu-
ra, sostenendoli in un cammino di progressiva autonomia, proprio a partire
dall’inserimento nel mondo del lavoro.

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Sitografia
www.vita.it/news/view/105311 Romabia Allarme per gli “orfani bianchi”.
http://amicidisighet.it/Reinserimentofamiliare.htm, L’ipocrisia della Romania sul-
la chiusura degli orfanotrofi e del reinserimento in famiglia dei minori, in
Amici di Sighet.

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