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CAPITOLO 11

IL TOTALITARISMO IMPERFETTO
In Italia, nella seconda metà degli anni ’20, lo Stato totalitario era già consolidato nelle sue
strutture giuridiche (il partito unico, la milizia, i sindacati del regime). Caratteristica essenziale del
regime era la sovrapposizione di due strutture e di due gerarchie parallele: quella dello Stato, che
aveva conservato caratteristiche del vecchio regime monarchico, e quella del partito. Mussolini,
al di sopra di tutti, esercitava un potere unico e assoluto, riuniva in sé la qualifica di capo del
governo e quella di duce del fascismo. L’apparato dello Stato ebbe fin dall’inizio un’importanza
significativa della macchina del partito. Mussolini si servì dei prefetto per controllare l’ordine
pubblico, mentre la polizia di Stato aveva il compito di reprimere il dissenso, la Milizia ava
funzione di corpo ausiliare. L’iscrizione al partito divenne una pratica di massa, necessaria per
ottenere un posto nell’amministrazione statele.
Una funzione importante nella fascistizzazione del paese fu la svolta di alcuni partiti come i
gruppi universitari fascisti, l’opera nazionale Balilla che inquadrava tutti i ragazzi fra gli 8 e i 18
anni e forniva loro un’istruzione premilitare e indottrinamento ideologico. Attraverso le
organizzazioni di massa il partito fascista cercava di diffondersi anche nella società.
L’ostacolo maggiore fu rappresentato dalla Chiesa: Mussolini cercò un’intesa con il Vaticano per
porre fine allo storico contrasto tra Stato e Chiesa che aveva segnato l’intera vita del Regno
d’Italia. Nel febbraio 1929 Mussolini e il segretario di Stato Vaticano si incontrarono per la firma
della stipula: i patti lateranensi che si articolavano in tre parti distinte: un trattato
internazionale, la Santa Fede riconosceva lo Stato italiano ma manteneva la sovranità sullo Stato
della città del Vaticano; una convenzione finanziaria, l’Italia doveva pagare una forte indennità al
papa; infine un concordato che regolava i rapporti interni tra Stato e Chiesa. Per il regime
fascista i patti lateranensi rappresentavano un notevole successo propagandistico, Mussolini
consolidò la sua area di consenso e la estese alla popolazione che ancora si mostrava ostile. Le
prime elezioni plebiscitarie registrarono un afflusso alle urne senza precedenti (quasi il 90%) e
con un 98% di voti favorevoli, segno indicativo di un diffuso orientamento favorevole al regime.
Se il fascismo tratte vantaggi politici, la Chiesa acquistò una posizione di indubbio privilegio nei
rapporti con lo Stato, tramite l’Azione cattolica, la gerarchia ecclesiastica si assicurava un largo
margine di autonomia ed entrava in concorrenza col fascismo.
La Chiesa non costituì l’unico ostacolo per il fascismo: il re infatti restava la più alta autorità dello
Stato, anche se si tratta di poteri del tutto teorici, destinati a restare tali finché il regime fosse
rimasto forte e compatto attorno al suo capo.

IL REGIME E IL PAESE
Nel ventennio fascista l’Italia fece emergere l’immagine di uno Stato largamente fascistizzato: i
ritratti di Mussolini nelle scuole e negli uffici; edifici e monumenti erano ornati dall’emblema del
fascio littorio, insegna del potere deo magistrati. Venere celebrati dei riti del regime, infatti le
grandi folle si mobilitavano in occasione delle ricorrenze fasciste.
Durante il periodo fascista, l’Italia continuò a muoversi e a svilupparsi secondo le linee guida
dell’Europa occidentale: aumentò la popolazione, si accentuò l’urbanizzazione, la quota degli
addetti all’agricoltura calò al 51%. Nonostante questi segni di sviluppo, l’Italia era un paese
fortemente arretrato e il suo distacco dalle grandi potenze europee si era accentuato.
L’arretratezza economica e civile della società fu per certi aspetti funzionale al regime e
all’ideologia fascista. Il fascismo lanciò a più riprese la ruralizzazione e cercò di scoraggiare
l’afflusso dei lavoratori verso i centri urbani. Il fascismo inoltre difese ed esaltò la funzione del
matrimonio e della famiglia come garanzia di stabilità, cercò di incoraggiare l’incremento della
popolazione aumentando anche gli assegni familiari dei lavoratori. Il regime ostacolò il lavoro
delle donne, opponendosi al processo di emancipazione femminile, vi erano però delle strutture
organizzative (fasci femminili) ma erano degli organismi poco vitali. Il regime era orientato verso il
futuro, verso la creazione di un uomo nuovo e un sistema di totalitario moderno in cui tutta la
popolazione fosse inquadrata nelle strutture del regime.
La scarsezza delle risorse impediva al fascismo di praticare una politica economica. Le generiche
enunciazioni contenute nella Carta del lavoro non erano sufficienti a ripagare i lavoratori. I
maggiori successi il regime li ottenne presso la media e piccola borghesia, erano i più sensibili ai
valori come la nazione, l’ordine sociale ed erano disposti a recepirne i messaggi. Il partito riuscì a
modificare i comportamenti pubblici ma non a trasformare nel profondo mentalità e società.
CULTURA E COMUNICAZIONI DI MASSA
Il fascismo dedicò un’attenzione particolare al mondo della cultura e della scuola, quest’ultima già
ristrutturata con la riforma Gentile, una riforma che cercava di accentuare la severità degli studi e
sanciva il primato delle discipline umanistiche. La fascistizzazione fu superficiale poiché molti
insegnanti continuarono a svolgere il loro lavoro. l’Università godeva di un’autonomia maggiore
rispetto alla scuola, fu imposto il giuramento di fedeltà a tutti docenti, alcuni per poter continuare
la propria attività si piegarono al fascismo anche se non ne condividevano l’ideologia. Più
capillare fu il controllo esercitato nel campo della cultura e dei mezzi di comunicazione, sottoposti
ad un controllo sempre più ristretto e soffocante, il regime interveniva con precise indicazioni sugli
articoli. La radio e il cinema divennero strumenti fondamentali per la propaganda: il governo
decise di installare apparecchi, grazie ai quali giungevano non solo messaggi propagandistici, ma
anche le canzonette e i servizi sportivi nelle scuole, nelle uffici pubblici e nelle sedi delle
organizzazioni di partito. Sul cinema il regime esercitò un controllo abbastanza elastico, volto più
a bandire dalle pellicole qualsiasi argomento politicamente e socialmente scabroso, tutto ciò si
prestava bene agli scopi di un regime che affidava il suo successo alla forza dell’immagine e alla
sua capacità di persuasione.

LA POLITICA ECONOMICA
I movimenti fascisti si presentarono come portatori di soluzioni nuove e originali; il fascismo
italiano decise di attuare la formula del corporativismo: l’idea corporativa proveniva dal
nazionalismo, la gestione dell’economi era diretta dalle categorie produttive, organizzate in
corporazioni distinte per settori di attività, questo sistema tuttavia non trovò mai una vera
attuazione. Il fascismo riuscì comunque a realizzare interventi importanti nell’economia ma senza
inventare un sistema economico. Il fascismo adotto una linea liberista provocando un riaccendersi
dell’inflazione, crescente deficit e deterioramento del valore della lira. La politica economica subì
una svolta quando cambiò il ministro delle Finanze (da De Stefani a Volpi) e venne inaugurato un
nuovo corso fondato sul protezionismo. Il primo provvedimento fu l’inasprimento del dazio sui
cereali: una misura volta a favorire la produzione agricola ma fu accompagnata dalla “battaglia
del grano”, il suo scopo era il raggiungimento dell’autosufficienza nel settore dei cereali che
fu in buona parte raggiunto. La seconda battaglia fu quella per la rivalutazione della lira. Nel 1926
il duce annunciò di voler riportare in alto il valore della lira e fissò l’obiettivo di quota novanta
poiché nutriva il desiderio di offrire un’immagine di stabilità monetaria. I prezzi interni diminuirono
per effetto della politica deflazionistica e la lira recuperò il potere d’acquisto. Nel settore agricolo
la nuova linea economica provocò crisi nelle piccole e medie aziende, tutto questo avvantaggiò le
grandi industrie e favorì i processi di concentrazione aziendale. L’economia italiana non si era
ancora ripresa dalla cura deflazionistica quando cominciarono a farsi sentire le conseguenze della
grande crisi mondiale. La recessione fu pesante anche in Italia: il commercio con l’estero si
ridusse drasticamente e l’agricoltura subì un duro colpo a causa del calo delle esportazioni e del
tracollo dei prezzi; la disoccupazione nell’industria e nel commercio aumentò bruscamente. La
risposta del regime alla crisi si attuò su due direttrici fondamentali: lo sviluppo dei lavori pubblici
per rilanciare la produzione e attutire le tensioni sociali e l’intervento dello Stato a sostegno dei
settori in crisi. La politica dei lavori pubblici ebbe il suo maggiore sviluppo nella prima metà degli
anni ’30: furono realizzate strade, ferrovie; fu varato il risanamento del centro storico della
capitale; fu avviato un programma di bonifica integrale che avrebbe dovuto portare al recupero e
alla valorizzazione dei terreni incolti. Fu portata a termine la bonifica dell’Agro Pontino e furono
costruiti villaggi rurali e vere e proprie città come Sabaudia e Littoria. Fu nel settore dell’industria e
del credito che lo Stato assunse le forme più originali e incisive, in difficoltà erano soprattutto le
grandi banche miste che si erano trovate a controllare quote azionarie sempre più consistenti. Per
salvare queste banche in fallimento fu l’istituto mobiliare italiano, successivamente istituto per
la ricostruzione industriale (IRI) dotato di competenze ampie. L’IRI doveva essere un ente
provvisorio, ma la riprivatizzazione risultò impraticabile e l’IRI diventò un ente permanente. Lo
Stato italiano si trovò a controllare una dell’apparato industriale e bancario superiore: diventò cioè
Stato-imprenditore oltre che Stato-banchiere. I maggiori gruppi privati furono aiutati a
rafforzarsi e a ingrandirsi e accolsero con favore l’intervento statale. A partire del 1935 Mussolini
si lanciò in una politica di dispendiose imprese militari che sottrasse risorse ai consumi e agli
investimenti produttivi e accentuò l’isolamento economico del paese senza nemmeno ottenere
quegli effetti positivi che il riarmo produsse sulla ben più forte struttura industriale della Germania
nazista. Cominciava per l’Italia una lunga stagione di guerra destinata a protrarsi fino al secondo
conflitto mondiale.

LA POLITICA ESTERA E L’IMPERO


Diversamente dalla Germania, l’Italia fascista non aveva da avanzare rivendicazioni territoriali
plausibili: era pur sempre una potenza vincitrice e aveva risolto in modo soddisfacente la
questione adriatica. Così, fino ai primi anni 30, le aspirazioni del fascismo rimasero vaghe e
contraddittorie. L’accordo di Stresa del 1935 fu la manifestazione più significativa (e ultima) di
questa fase della politica estera fascista. Mussolini stava già preparando l’aggressione all’impero
etiopico, unico Stato indipendente del continente africano.
Il vero obiettivo di Mussolini era quello di creare una nuova occasione di mobilitazione popolare
che facesse passare in secondo piano i problemi economici e sociali del paese.
I governi francese e inglese erano disposti ad assecondare le mire italiane, ma non potevano
accettare che lo Stato indipendente fosse cancellato dalla carta geografica. Così, Francia e Gran
Bretagna decisero di condannare ufficialmente l’azione adottando delle sanzioni, consistenti del
divieto di esportare in Italia merci necessarie per la guerra. Le sanzioni ebbero un’efficacia molto
limitata, ma ebbero l’effetto di approfondire il contrasto fra il regime fascista e le democrazie
europee, consentendo a Mussolini di montare un imponente campagna propagandistica tesa a
presentare l’Italia come vittima di una congiura popolare.
Le piazze si riempirono di folla inneggianti a Mussolini e alla guerra, il paese fu percorso da
un’ondata di imperialismo popolaresco.
Sul piano militare l’impresa fu più difficile del previsto : Gli etiopici si batterono per più di sette
mesi, ma il loro esercito era mal organizzato. Mussolini riuscì a conquistarla, ma da un punto di
vista economico rappresentò per l’Italia un peso non indifferente; sul piano politico il successo fu
clamoroso e indiscutibile. Mussolini diede a molti la sensazione, illusoria, di aver conquistato per
l’Italia una posizione di grande potenza.
Inebriato dal successo, Mussolini credette di poter condurre una politica ambiziosa e
spregiudicata. Nel 1936 firmò un patto di amicizia a cui fu dato il nome di asse Roma Berlino in cui
sanciva il riavvicinamento dell’Italia alla Germania. Tuttavia non assunse la forma di una vera
alleanza militare, ma Mussolini lo considerava come uno strumento che consentisse di lucrare
qualche ulteriore vantaggio in campo coloniale. In realtà il duce fu sempre più condizionato
dall’amicizia tedesca, al punto da dover accettare passivamente tutte le iniziative di Hitler. Finché
nel 39 firmò un formale patto di alleanza con la Germania (il patto d’acciaio) che legava
definitivamente le sorti dell’Italia quelle dello Stato nazista.

L’ITALIA ANTIFASCISTA
Quando il dissenso politico fu proibito anche a termini di legge, un numero crescente di italiani
dovette affrontare il carcere o l’esilio. La maggior parte si appartarono in volontario silenzio.
I cattolici liberali trovarono un importante punto di riferimento in Benedetto croce. Protetto dalla
sua notorietà internazionale, poté proseguire senza eccessivi fastidi la sua attività culturale e
pubblicistica.
Per coloro che intendevano opporsi attivamente al fascismo restavano aperte solo due strade:
l’esilio all’estero e l’agitazione clandestina in patria. A praticare quest’ultima forma furono
soprattutto i comunisti. Anche altri gruppi fascisti cercarono di tenere in vita qualche isolato
nucleo clandestino di Italia. Buona loro attività si svolse quasi esclusivamente all’estero. Nel 1927
questi gruppi si federare in un organizzazione unitaria, la concentrazione antifascista dove impulso
all’azione concreta contro fascismo venne dal movimento di giustizia libertà fondato del 29 da
Emilio Lussu e Carlo Rosselli (che sarà assassinato da sicari fascisti assieme al fratello Nello) il
partito il movimento si proponeva come punto di raccordo fra socialisti, repubblicani e liberali, ma
anche come nucleo di una nuova formazione che sapesse coniugare gli ideali di libertà politica e
giustizia sociale.
Se si volesse tracciare un bilancio del movimento antifascista, si dovrebbe concludere che la sua
incidenza sulla situazione italiana fu poco più che nulla. Eppure rese possibile il sorgere, dopo il
43, di un movimento di resistenza armata al nazifascismo.
APOEGO E DECLINO DEL REGIME
II consenso ottenuto dal regime cominciò a incrinarsi dopo l'impresa etiopica. La politica
dell'«autarchia», finalizzata all'obiettivo dell'autosufficienza economica in caso di guerra, ottenne
solo parziali successi e suscitò un diffuso malcontento. L'avvicinamento alla Germania e la politica
discriminatoria nei confronti degli ebrei suscitarono timori e dissensi nella maggioranza della
popolazione. Soltanto fra le nuove generazioni il disegno mussoliniano di trasformare in senso
fascista la vita e la mentalità degli italiani ottenne qualche successo.

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