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IL RISORGIMENTO ITALIANO

Nei primi anni dell’800 si avvia in Italia una graduale riscoperta e rivendicazione della
propria identità nazionale, che prenderà poi il nome di Risorgimento, caratterizzato da
una rinascita culturale e politica. Il popolo italiano non era mai stato sotto un unico stato,
ma è quasi da considerare come una vera e propria nazione, in quanto soddisfa i
principali requisiti, ovvero: la condivisione di un territorio comune, stesso linguaggio,
cultura e religione (l’unico elemento diversificante è la presenza di leggi uguali).
Principalmente, la lotta per gli ideali democratici e liberali poteva coincidere, in quel
periodo, con la liberazione dal dominio straniero, cioè dall’Impero asburgico.
L’esempio principale fu il Regno delle Due Sicilie e il Regno di Sardegna nei moti degli
anni ’20-‘21. Nel primo caso, la rivolta scoppiò a Nola, nel Napoletano, e Ferdinando I fu
costretto a concedere una Costituzione, ma, nonostante ciò, la rivoluzione affrontò vari
problemi, tra cui le divisioni tra democratici e liberali; il comportamento ambiguo del re,
ostile alla Costituzione; l’opposizione del governo austriaco. Ad essa si aggiunge anche la
questione siciliana, che ebbe luogo a Palermo, alla quale parteciparono anche le masse
popolari, affiancate dall’aristocrazia locale; quest’ultima rivolta sfocia nel separatismo
(tendenza di un gruppo a distaccarsi dallo Stato a cui appartiene per via di differenze
religiose, storiche e linguistiche), poiché volevano cacciare i Borbone, ma fu duramente
repressa dal governo di Napoli. Queste rivolte accesero anche gli animi dei liberali italiani,
che avevano come obiettivo la Costituzione e la cacciata degli austriaci dal Lombardo-
Veneto per formare un regno costituzionale indipendente nell’Italia settentrionale. In
Lombardia furono subito represse a causa della scoperta di un’organizzazione carbonara;
in Piemonte, invece, scoppiò nel marzo 1821, costringendo il re Vittorio Emanuele I ad
abdicare in favore del fratello Carlo Felice, ma, essendo lontano dal regno, affidò la
reggenza a Carlo Alberto, che aveva tendenze liberali e che, quindi, concesse una
Costituzione: fu richiamato all’ordine da Carlo Felice e sconfisse a Novara i rivoluzionari. Il
ruolo dell’Austria è stato essenziale per la repressione dei moti: a Napoli, Metternich
decise di fare un intervento armato e, così facendo, restaurò il potere del re Ferdinando I,
che mise in atto una dura repressione nei confronti dei rivoluzionari. Avvenne la stessa
cosa in Piemonte, infatti ciò comportò un massiccio esodo all’estero di patrioti. Nella
seconda fase le zone interessate sono: il Ducato di Modena e di Parma, Bologna, Ferrara,
Pesaro e Urbino. Nel Ducato di Modena, il duca Francesco IV inizialmente appoggiò i
cospiratori per diventare sovrano di un Regno d’Italia centro-settentrionale: entrò in
contatto con alcuni tra gli esponenti delle società segrete, tra cui Ciro Menotti. Poi però si
rese conto che l’Austria si sarebbe opposta a questa iniziativa, quindi cambiò totalmente
rotta facendo arrestare i capi della congiura (Ciro Menotti fu condannato a morte). Questa
fase finì rapidamente con la repressione militare e con la condanna dei promotori, ma
presenta alcuni caratteri di novità rispetto alla fase precedente: i ceti borghesi, appoggiati
dall’aristocrazia liberale e da una grande mobilitazione popolare, furono i protagonisti; ma,
nonostante ciò, si riscontrarono gli stessi problemi, tra cui le divisioni tra democratici e
liberali. Gli anni successivi furono caratterizzati da un assolutismo autoritario. Nel settore
agricolo c’era ancora molta arretratezza, in quanto venivano utilizzati ancora i sistemi
tradizionali; la stessa cosa avvenne nel campo dell’industria, specialmente nel settore
tessile: esso si basava ancora sulla manifattura tradizionale. Anche le ferrovie ebbero un
inizio molto lento. Ci furono, però, anche alcuni fattori di sviluppo, tra cui i progressi del
sistema bancario, lo sviluppo dei porti e della marina mercantile, l’incremento del
commercio internazionale; nonostante ciò, l’Italia era ancora limitata rispetto
all’industrializzazione in corso in tutta Europa: infatti, questa situazione comportò danni
dal punto di vista economico in tutta Italia, in quanto non aveva un mercato nazionale e un
efficiente sistema di comunicazioni, quindi si pensò di adottare il progetto di una unione
doganale italiana. In seguito ai moti del ‘20-‘21, la Carboneria entrò in crisi. All’inizio degli
anni ‘30, subentrò il pensiero di una lotta di popolo tra i patrioti democratici, che si
concretizzò in un programma d’azione, di cui si fece portavoce Giuseppe Mazzini. Egli fu
un personaggio poliedrico: fu un patriota e un pensatore politico; un mistico, quasi
riconosciuto come una figura religiosa a causa del suo pensiero
profondamente religioso (fede nella libertà e nel progresso umano; coscienza di una
missione di popolo come strumento di un disegno divino); un uomo d’azione, poiché
cerca di mettere in pratica le sue idee. Mazzini, riprendendo la tradizione giacobina, non
ammetteva compromessi con la monarchia o soluzioni federalistiche: l’Italia doveva
essere indipendente, con una forma di governo unitaria e repubblicana, e per riuscirci
doveva esserci l’insurrezione di popolo, poiché, partecipando anche ai moti del ‘20-‘21,
si rese conto che la partecipazione popolare era essenziale per la riuscita dei moti.
Mazzini si opponeva alle teorie materialistiche, che escludevano l’intervento divino, e alle
tematiche sulle lotte di classe sociale. Nonostante ciò, attuò varie riforme sociali, pur
difendendo al contempo il diritto di proprietà come base dell’ordine sociale, distaccandosi
dal pensiero socialista. Concretizza le sue tendenze nella Giovine Italia, una nuova
organizzazione che faceva propaganda, diversamente dalle società segrete precedenti,
con il fine di educare le masse popolari all’idea di nazione. Vi furono tentativi
insurrezionali quasi immediatamente, negli anni ‘30-‘40, in Italia: nel 1833 in Piemonte,
subito repressa; nel 1834 fu bloccato invece un progetto basato su una spedizione di
volontari che sarebbe subentrato in Savoia e su un’insurrezione a Genova in
contemporanea, al quale partecipò anche Giuseppe Garibaldi. In seguito a questi
fallimenti, la Giovine Italia stava entrando in crisi e Mazzini passò un periodo buio, che
chiamò “tempesta del dubbio”, ma questa passò velocemente, poiché Mazzini, convinto
della santità della sua causa, giustificò anche i sacrifici più dolorosi. Perciò, qualche mese
dopo, diede vita alla Giovine Europa. Nel 1843 e nel 1845 furono soffocati due moti nelle
Legazioni pontificie e nel 1844 fallì una spedizione in Calabria: il progetto di Mazzini iniziò
a perdere di credibilità, con varie critiche e polemiche. I moti del ‘20-‘21 e del ‘30-‘31 sono
caratterizzati da un forte patriottismo (aspirazione all’indipendenza e all’unità territoriale,
a livello popolare  internazionalismo), mentre dalla seconda metà dell’800 fino a tutto il
‘900 ci sarà il nazionalismo (primato su altri popoli della propria nazione). Negli anni ‘40 ci
fu una rivalutazione del ruolo della Chiesa e del papato come difensori delle “libertà
d’Italia”: questa corrente è definita neoguelfismo, il cui esponente è Vincenzo Gioberti,
che credeva in una “missione” da identificare con il ruolo della Chiesa. La sua soluzione
consisteva in una confederazione tra gli Stati italiani, fondata sull’autorità superiore del
papa e sulla forza militare del Regno di Sardegna. Contrapposto a quest’ultimo, è la
soluzione liberale di Cesare Balbo, che si poneva il problema della presenza dell’Austria e
che proponeva di risolvere con mezzi diplomatici, e di Massimo d’Azeglio, che indicava la
via delle riforme graduali con una soluzione militare affidata alle armi del Regno dei
Savoia. Con l’avvento del neoguelfismo, si origina in Lombardia una corrente
federalista (federalismo: associazione tra diversi Stati e creazione di entità sovranazionali
per la cooperazione e la convivenza), democratica e repubblicana, il cui esponente
fu Carlo Cattaneo, con una formazione laica e illuminista che lo portava a diffidare della
mistica romantica di Mazzini, che mirava ad una confederazione repubblicana, sul modello
degli Stati Uniti o della Svizzera. Un altro esponente fu Giuseppe Ferrari, che criticò sia il
moderatismo cattolico dei neoguelfi sia il nazionalismo unitario dei mazziniani. Nel giugno
1846 fu eletto papa Pio IX, l’arcivescovo di Imola Giovanni Maria Mastai Ferretti, noto per
non avere una personalità politica molto spiccata e perché non simpatizzante per il
liberalismo. Egli concesse un’ampia amnistia per i detenuti politici, che suscitò così tanto
entusiasmo che fu inquadrato come colui che poteva realizzare il programma neoguelfo.
Nel 1847 fu convocata una Consulta di Stato e venne istituita una Guardia civica e fu
attenuata la censura sulla stampa. Da qui si sollevarono vari movimenti sollecitati da
una mobilitazione popolare, che costrinsero i governanti a fare prudenti concessioni. In
quest’anno si iniziò a stringere accordi per la Lega doganale italiana, dalla quale si
estraniava solo il Regno delle Due Sicilie, che godeva ancora della protezione austriaca.
L’obiettivo comune in tutte le correnti politiche fu la concessione
di Costituzioni o statuti (costituzioni che riconoscessero il potere del popolo) fondati sul
sistema rappresentativo: nel Regno delle Due Sicilie, Ferdinando II fu costretto a
concedere una Costituzione e ciò comportò il rafforzamento della mobilitazione popolare,
perciò anche altri governanti, come Carlo Alberto di Savoia, concessero Costituzioni di
carattere moderato. La più importante fu lo Statuto albertino (è una carta concessa dal
re, viene ancora dall’alto), promulgato nel 1848, che sarebbe diventato la legge
fondamentale del Regno d’Italia, rimasta in vigore fino al 1948 con la Costituzione
repubblicana: prevedeva una Camera dei deputati (diritto di voto a un censo piuttosto
elevato), un Senato nominato dal re e una stretta dipendenza del governo dal sovrano. In
seguito allo scoppio della rivoluzione in Francia e nell’Impero asburgico, specialmente
della rivolta di Vienna, si sollevarono anche a Venezia e a Milano. A Venezia si richiedeva
la liberazione dei detenuti politici e con un’ulteriore rivolta un governo provvisorio proclamò
la Costituzione della Repubblica veneta. A Milano, invece, ci fu un assalto al palazzo del
governo nelle celebri “cinque giornate” milanesi, che comportò successivamente la
formazione di un governo provvisorio. Il 23 marzo, il giorno dopo la cacciata degli austriaci
da Venezia e da Milano, il Piemonte dichiarò guerra all’Austria per la pressione dei
liberali e dei democratici, che volevano sfruttare la crisi dell’Impero asburgico per liberare
l’Italia dagli austriaci. Per lo stesso motivo, anche Pio IX, Ferdinando II e Leopoldo II di
Toscana si unirono alla guerra antiaustriaca. Però Carlo Alberto mostrò scarsa risolutezza
nel condurre le operazioni militari e si preoccupò di preparare l’annessione del
Lombardo-Veneto al Piemonte, che suscitò la diffidenza degli altri sovrani e l’irritazione
dei democratici. Accorse dal sud America Giuseppe Garibaldi, ma non fu sufficiente. Dopo
alcuni successi iniziali dei piemontesi, il 23-25 luglio si combatté a Custoza, presso
Verona, la battaglia in cui vinsero gli austriaci. Il 9 agosto si firmò l’armistizio con gli
austriaci. L’ideale di una guerra di popolo contrastava con la ristrettezza della loro base
sociale formata dalla piccola e media borghesia urbana e dai certi artigiani delle città.
Le masse contadine, cioè la maggioranza della popolazione italiana, rimase estranea
e spesso ostile alle battaglie, in quanto attaccati alla Chiesa. A Roma il papa
abbandonò la città e si rifugiò a Gaeta sotto la protezione dei Borbone e, nel mentre,
nella capitale presero il sopravvento i gruppi democratici e furono eletti Mazzini e Garibaldi
nell’Assemblea costituente, che proclamò la decadenza del potere papale e che denominò
lo Stato “Repubblica romana”, governata da un triumvirato. In Piemonte, il 23 marzo,
Carlo Alberto abdicò in favore del figlio Vittorio Emanuele II per non mettere in pericolo le
sorti della dinastia. Egli firmò un nuovo armistizio con gli austriaci e iniziò la restaurazione
dell’ordine da parte degli austriaci in tutta la penisola italiana. Intanto, a Roma, si
effettuò una laicizzazione dello Stato e un rinnovamento politico e sociale e Pio IX si era
rivolto alle potenze cattoliche per ristabilirsi nei suoi territori, quindi l’Austria, la Spagna, il
Regno di Napoli e la Repubblica francese risposero all’appello: il presidente Bonaparte
ebbe il ruolo principale nella restaurazione pontificia e, nonostante Mazzini, Saffi e Carlo
Armellini avessero creato una buona difesa, subirono una duplice sconfitta, sia delle
ipotesi liberali e moderate, sia di quelle democratiche.
L’UNITÀ D’ITALIA

Dopo il fallimento di tutti i moti insorti nel ‘48-49, il ritorno dei sovrani legittimi e il
consolidamento dell’egemonia austriaca, venne bloccato ogni esperimento riformatore e
sviluppo economico. Divenne grande anche il distacco tra sovrani e l’opinione pubblica
borghese, soprattutto tra lo Stato della Chiesa e il Regno delle Due Sicilie (che ritornò
totalmente ad un sistema assolutistico); come anche il territorio del Lombardo-Veneto fu
sottoposto ad una pesante occupazione militare, che portò ad una forte pressione
fiscale. Nel Piemonte sabaudo invece, l’esperimento dello Statuto albertino poté
sopravvivere; nel regno di Vittorio Emanuele II, inoltre, si scontrarono duramente la
Corona e la Camera: quando si concluse la pace di Milano con l’Austria (agosto ‘49), la
Camera si rifiutò di riapprovarla. Quindi la Corona e il governo, guidato da Massimo
d’Azeglio, sciolsero la Camera e diedero nuove direttive: nel proclama di Moncalieri, il re
invitava gli elettori a scegliere dei rappresentanti di orientamento più moderato. La nuova
Camera approvò la pace di Milano e fu così che il governo d’Azeglio portò avanti il
progetto di modernizzazione dello Stato. Venne deciso inoltre di porre fine ai privilegi di
cui il clero ancora godeva: iniziò una battaglia per l’approvazione di queste norme e ad
emergere sarà la figura di Camillo Benso di Cavour (Torino, 1810), aristocratico e uomo
d’affari, liberalista moderato dai tratti pragmatici, convinto che l’ampliamento della
partecipazione politica dovesse riguardare prevalentemente l’ambito del sistema
monarchico-costituzionale, promotore di riforme e sviluppi. Proprio per questo motivo,
entrò a far parte del governo d’Azeglio nel 1850, come ministro per l’Agricoltura e il
Commercio; successivamente fu incaricato di formare un nuovo governo. Prima di
diventare presidente del consiglio dei ministri, promuove un accordo tra l’ala progressista
dei moderati (centro-destra) e la componente moderata dei democratici (centro-
sinistra), dalla cui unione nacque una nuova maggioranza centrale, che emarginava i
clericali-conservatori, sia i democratici-liberali. Oltre questo, Cavour sviluppò l’economia
del suo paese, tramite l’adozione di una politica liberoscambista: stipulati trattati con
Francia, Belgio, Austria e Gran Bretagna; abolito il dazio sul grano; Cavour porta notevoli
progressi nel campo delle opere pubbliche (costruzione di strade e canali); sviluppato il
sistema dei trasporti ferroviari e meccanici; istituita una banca nazionale. L’attività dei
mazziniani invece, proseguiva nonostante diverse sconfitte, anche se la repressione
austriaca ebbe la meglio come nel caso delle impiccagioni avvenute nella fortezza di
Belfiore (Mantova, fine del 52- inizio 53). Mazzini, comunque convinto che l’unità d’Italia
potesse ottenerli solo tramite l’insurrezione del popolo, rafforzò gli aspetti organizzativi,
fondando, a Ginevra nel 1853 il Partito d’azione, una nuova formazione politica con il
mero scopo di battaglia. Nel frattempo, tra i democratici c’era chi credeva che la strategia
mazziniana non fosse la migliore e che per raggiungere l’unità d’Italia ci fosse bisogno o di
collaborazione tra tutte le forze interessate all’unità o di un programma socialista aperto
ai problemi sociali delle classi subalterne. Vedremo come due intellettuali, quali Giuseppe
Ferrari, ma soprattutto Carlo Pisacane, all’interno dei loro libri, portarono l’alternativa
socialista nel dibattito: sostenevano entrambi che solo legandosi alle masse popolari e alla
loro lotta per l’emancipazione sociale ed economica, si sarebbe raggiunta l’indipendenza.
In particolare Pisacane, ritenendo che l’Italia meridionale offrisse un terreno più adatto alla
rivoluzione, nel giugno del 1857, si imbarcò a Genova appropriandosi di uno piroscafo di
linea e fece rotta verso l’isola di ponza, fino a toccare le coste meridionali della Campania
e sbarcando a Sapri, dove iniziò la marcia. Purtroppo la spedizione fallì perché i
rivoluzionari furono immediatamente sbaragliati dalle truppe borboniche; Pisacane si
uccise per non finire prigioniero. Parallelamente al fallimento dei rivoluzionari, nacque un
movimento indipendentista filopiemontese promosso da Daniele Manin (capo del
governo repubblicano di Venezia) che puntava ad un unione di tutte le forze (moderate e
democratiche) sotto la forza di Vittorio Emanuele II, l’unica che avrebbe portato all’unità.
Aderì a questo progetto anche Garibaldi. Nel luglio del 1857 il movimento si diede una
struttura organizzativa e prese il nome di Società nazionale, che dichiarava di anteporre
l’unità a qualsiasi altro progetto. Inizialmente Cavour rimase legato agli obiettivi della
monarchia sabauda in politica estera: estendere i confini del Piemonte verso l’Italia
settentrionale a scapito dei domini austriaci. Però alla fine, sfruttando le ambizioni politiche
di Napoleone III, riuscì a trascinare la Francia in una guerra contro l’Austria, tramite alcuni
passaggi decisivi: mandò prima un contingente militare in Crimea, guidati da Alfonso La
Marmora, al fianco della Gran Bretagna e della Francia, occupate in una spedizione in
difesa dell’Impero ottomano, dai russi. In questo modo, il Piemonte partecipò al
congresso di Parigi nel 1856, in cui Cavour sollevò la questione italiana, puntando sulle
ambizioni egemoniche di Napoleone III, spaventato dalle agitazioni mazziniane, spavento
che venne reso reale quando il repubblicano Felice Orsini, attentò alla vita dell’imperatore
per vendicare la repressione della Repubblica romana. A questo punto Napoleone III si
fece promotore dell’iniziativa francese in Italia, con un’alleanza franco-piemontese che
venne poi sancita in segreto a Plombières. Gli accordi prevedevano una nuova
sistemazione dell’intera penisola, divisa in tre stati: un regno dell’Alta Italia (Piemonte,
Lombardo-Veneto ed Emilia Romagna) sotto la monarchia sabauda, che in cambio
avrebbe ceduto alla Francia Nizza e la Savoia; un regno d’Italia centrale (Toscana e
province pontificie); un regno meridionale, liberato dalla dinastia borbonica; al papa
invece (mantiene la sovranità su Roma e dintorni) viene offerta la presidenza della futura
Confederazione italiana. A questo punto, era necessario che la guerra sembrasse mossa
dall’Impero asburgico: il governo piemontese fece di tutto affinché le tensioni
aumentassero. La tensione dello stato asburgico arrivò al limite quando vennero messe in
atto manovre militari al confine, insieme all’armamento di corpi volontari, i Cacciatori delle
Alpi, comandati da Garibaldi: a questo punto gli asburgici inviarono nel 1859 un ultimatum
al Piemonte, che venne respinto da Cavour. Scoppiò la seconda guerra d’indipendenza,
in cui le truppe franco-piemontesi sconfissero gli austriaci a Magenta ed un successivo
contrattacco austriaco venne respinto dalle due battaglie di Solferino e San Martino.
Nonostante la vittoria però, Napoleone III, un po’ allucinato dai costi della guerra ma anche
timoroso delle reazioni dell’opinione francese, offrì un armistizio agli austriaci, firmato a
Villafranca, a Verona, l’11 luglio. Tramite questo accordo l’impero asburgico rinunciava
alla Lombardia e la cedeva alla Francia, che l’avrebbe poi girata al Piemonte. Tutto il resto
d’Italia rimase intatto. A questo punto, tramite le annessioni fatte dopo la guerra, il regno
sabaudo aveva posto tutte le premesse per uno Stato nazionale italiano. Saranno i
democratici a rilanciare l’iniziativa nel Mezzogiorno e nello Stato della Chiesa. Esclusa
l’opportunità di un’azione nei confronti di Roma perché troppo difesa, venne proposta da
due mazziniani siciliani del Piemonte, ovvero Francesco Crispi e Rosolino Pilo,
un’azione verso il Regno delle Due Sicilie: i due organizzarono si una rivolta locale ma si
assicurarono anche un’efficiente guida militare e l’appoggio del governo piemontese. A
questo punto, Garibaldi venne scelto come unica guida possibile per la rivolta, ma era
anche l’unico leader capace di riunire forze sia democratici intransigenti, sia moderati filo-
cavouriani. Garibaldi accettò pur essendo un’impresa rischiosa poiché sapeva che era
forse l’unico che probabilmente sarebbe riuscito a portarla a termine. Nella notte tra il 5 e il
6 maggio, mille volontari con scarso equipaggiamento e pessimo armamento partirono
da Quarto, presso Genova, impadronendosi di due navi a vapore, la Piemonte e la
Lombardo. Dopo alcuni giorni, sbarcarono a Marsala, in Sicilia, e il 15 maggio a Calatafimi
riuscirono a sconfiggere le truppe borboniche; in seguito a questo successo, Garibaldi
decide di raggiungere Palermo, che, al suo arrivo, insorse contro i Borbone. Ci furono tre
giorni di combattimenti, dopo i quali i volontari vinsero, e fu istituita da Garibaldi la
decadenza della monarchia borbonica con la conseguente formazione di un governo
civile provvisorio sotto la guida di Crispi. Nel mentre accorrevano altre truppe dal resto
della penisola, così che Garibaldi formasse un esercito in grado di sconfiggere
definitivamente le truppe dei Borbone, cosa che avvenne il 20 luglio a Milazzo.

LE GRANDI POTENZE EUROPEE

Il ventennio 1850-70 fu caratterizzato da un alto tasso di conflittualità e di instabilità,


soprattutto causato dalla Francia di Napoleone III, che, con una politica estera ambiziosa
e aggressiva contro l’Austria, ormai indebolita, e la nuova potenza emergente: la Prussia.
La Francia di quel tempo aveva un modello politico di nuovo genere, il “bonapartismo”,
che si basa sulla forza delle armi, che comporta un centralismo autoritario, riformismo e
conservatorismo. Nonostante ciò, vi era un vasto consenso popolare e quello della
borghesia urbana, attiva e influente. Il Secondo Impero è di tipo “tecnocratico”, cioè che
dà maggior potere ai tecnici a favore del bene comune, poiché lo sviluppo si stava
propagando con la costruzione di ferrovie e di grandi opere pubbliche. Per quanto riguarda
la politica estera, Napoleone III entrò nella guerra di Crimea con la Gran Bretagna per
liberare l’Impero ottomano dall’espansione russa; essa finì nel 1855 con la caduta di
Sebastopoli, nel Mar Nero, precedentemente occupata dalle flotte britanniche. La
neutralizzazione del Mar Nero fu sancita nel congresso di Parigi, chiudendo l’ingresso alle
navi da guerra. Nel mentre l’Impero ottomano confermò la sua sovranità nominale su
Serbia, Moldavia e Valacchia (le ultime due si unirono nel 1859 nello Stato di Romania).
Un altro aspetto della sua politica estera fu la guerra contro l’Austria al fianco del
Piemonte cavouriano nel 1859. L’Impero asburgico in questo periodo era riorganizzato
sulla basa del vecchio sistema assolutistico, revocando la Costituzione nel 1851. Fu
appoggiato dalla Chiesa cattolica e dalla maggioranza dei contadini, a causa
dell’abolizione della servitù della gleba, ma sfavorì i settori industriali, bloccando così lo
sviluppo economico. Nel mentre, emergeva la potenza della Prussia, che mirava
alla guida degli Stati tedeschi, uniti dal 1834 in una Lega doganale. Essa subì
uno sviluppo molto avanzato, grazie ad un efficiente sistema di comunicazioni interne,
una rete ferroviaria sviluppata e un’alta diffusione dell’ostruzione, affiancato da un
grande conservatorismo sociale (c’erano ancora ai vertici dello Stato gli Junker, gli
aristocratici proprietari terrieri), legato al potenziamento militare, che favoriva un legame
anche con le aspirazioni nazionali della borghesia. Il personaggio principale che portò
avanti questa politica fu Otto von Bismarck, un rappresentante degli Junker eletto nel
1862 come primo ministro da Guglielmo I: egli attuò una riforma dell’esercito che
comportò l’aumento degli organici e il prolungamento del servizio di leva per raggiungere
l’obiettivo dell’unificazione; ma, per farlo, la Prussia doveva prima sconfiggere Francia e
Austria. 
La Prussia trovò un pretesto di guerra con l’Austria nel 1866: essa si conteneva
l’amministrazione dei Ducati di Schleswig, Holstein e Lauenburg. Alleata con l’Italia,
sconfisse l’Impero asburgico nella battaglia di Sadowa in Boemia grazie alla perfetta
organizzazione militare con il generale von Moltke, la qualità degli armamenti, la
tempestività degli spostamenti con le ferrovie (prima guerra di movimento). Nella pace di
Praga l’Austria perse solo il Veneto, ceduto poi all’Italia, e subì lo scioglimento della
vecchia Confederazione germanica, per lasciare spazio alla Confederazione Germanica
del Nord a guida prussiana. Subita questa sconfitta, l’Austria spostò l’attenzione verso
l’area danubiano-balcanica e nel 1867 l’Impero fu diviso in due Stati: uno austriaco e
l’altro ungherese, accomunati solo dalla sovranità e da ciò che concerne tutto lo Stato, e
forniti di un proprio Parlamento e governo. In Prussia, intanto, l’obiettivo dell’unificazione
progrediva e la borghesia liberale era ormai sconfitta all’interno del Parlamento a causa
del rapporto diretto tra cancelliere e sovrano. L’ultimo ostacolo che rimaneva era
la Francia, quindi Bismarck approfittò di una questione dinastica: nel 1868 la sovranità
della Spagna fu offerta ad un parente del re di Prussia e quest’idea spaventava la Francia,
quindi Bismarck decise di scrivere un comunicato stampa in modo volutamente
provocatorio. Ciò provocò un’ondata di furore nazionalistico nel popolo francese, quindi
l’imperatore decise di dichiarare guerra nel 1870 alla Prussia, che si concluse con grande
rapidità: metà dell’esercito francese fu circondata a Metz, in Lorena, e l’altra metà a
Sedan, in Belgio, e la Francia costretta ad arrendersi. Si abbatté l’impero e fu proclamata
la repubblica con un governo provvisorio, ci fu un tentativo di resistenza da parte della
Francia, che fu sconfitta, quindi si richiese l’armistizio nel 1871. Nel 1870 fu proclamato
così l’Impero tedesco, il Secondo Reich (il primo fu nel medioevo, dopo il Sacro romano
impero di Carlo Magno): esso era una fusione tra Regno di Prussia, gli Stati della
Confederazione del Nord con gli Stati della Germania del Sud. Nel 1871 nella Reggia di
Versailles, simbolo della potenza dei re francesi, Guglielmo I fu incoronato imperatore
tedesco. Con la pace di Francoforte, la Francia fu costretta a cedere la Lorena e
l’Alsazia, oltre alla pesante indennità di guerra: fu vissuta dai francesi come una vera e
propria umiliazione nazionale, quindi nacque il “revanscismo”, che era il desiderio di
riparare a questa umiliazione (in francese, “rivincita”). 

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