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L’Italia giolittiana

La crisi di fine secolo e l’inizio di un nuovo corso politico


La fine dell’età umbertina
L’ultimo decennio del secolo, era stato per l’Italia un periodo di profonda crisi, per via dei conflitti sociali e dai
tentativi falliti di espansione imperialistica.
I vecchi governi di Depretis e Crispi avevano condotto un’aggressiva politica coloniale verso l’Eritrea e l’Etiopia. Le
iniziative militari non solo non avevano prodotto i risultati sperati, ma si erano rilevati un disastro.
1896, battaglia di Adua, gli italiani furono sconfitti dall’esercito etiope, e come conseguenza l’Italia decise per il
momento di mettere da parte l’espansione.
I governi italiani dovettero fronteggiare una drammatica conflittualità sociale: determinata principalmente dalla
volontà di mantenere in pareggio il bilancio dello Stato.
A questo scopo furono introdotte nuove forme di tassazione e furono aumentate le tasse sui consumi che
andavano a colpire soprattutto i ceti popolari. Si erano moltiplicati gli scioperi, e le agitazioni nelle campagne.
Di fronte alle manifestazioni di protesta, il governo reagì ricorrendo all’esercito e a varie misure poliziesche, anche
senza consultare il Parlamento.
Parte della classe politica italiana riteneva che l’instabilità sociale dipendesse dall’eccessivo potere del
Parlamento.
A tale scopo vari ministri, in accordo con il re Umberto I, tentarono di far votare una serie di leggi per limitare la
libertà di stampa e il diritto di riunione, di associazione e di sciopero.
Tutte queste iniziative illiberali e le durissime repressioni nelle piazze (1898, quando Beccaris a Milano utilizzò i
cannoni contro la folla che manifestava per il rincaro del pane) allargarono il fronte dell’opposizione unendo
socialisti e sinistra liberale.
Il culmine dello scontro sociale fu raggiunto con l’attentato mortale contro Umberto I, il 29 luglio 1900 il re fu
ucciso dai colpi sparato da Gaetano Bresci (per vendetta della strage di Milano).

Il governo Zanardelli
In seguito alla morte di Umberto I, salì al trono il figlio Vittorio Emanuele III, che aveva idee più progressiste del
padre, espresse sin da subito la volontà di aprirsi al dialogo per cercare di risolvere i problemi sociali.
Nel febbraio del 1901, affidò il compito di formare un nuovo governo al leader della sinistra liberale Giuseppe
Zanardelli, che nominò come ministro degli Interni Giovanni Giolitti.
Nel 1890, Zanardelli aveva emanato un nuovo Codice penale con il quale si aboliva la pena di morte e si concedeva
un limitato diritto di sciopero.
Giolitti sostegno i fasci siciliani.
Il 4 febbraio del 1901, Giolitti aveva tenuto un discorso in parlamento, ribadendo l’importanza che i governi
mantenessero una posizione di neutralità e di mediazione rispetto ai conflitti nel mondo del lavoro: solo attraverso
un confronto allargato a tutte le parti sociali sarebbe stato possibile ricomporre i conflitti in corso.
Durante i primi tre anni del governo Zanardelli, furono introdotte diverse riforme, come una nuova legislazione
sociale per tutelare il lavoro delle donne e limitarne quello minorile, e garantendo un sistema di sostegno
assicurativo e pensionistico per la vecchiaia e per gli infortuni sul posto di lavoro.
Fu istituito il Consiglio superiore del lavoro che aveva la funzione di mediare tra i rappresentanti delle diverse
categorie di lavoratori e avanzare proposte in materia di legislazione sociale.
Fu elaborata una norma sulla municipalizzazione, cioè un provvedimento in base al quale la gestione dei servizi
pubblici (trasporti, erogazione dell’energia elettrica e gas) fu sottratta ai privati e assegnata ai comini.

La nascita di nuove organizzazioni sindacali


Nell’Italia settentrionale e centrale si diffusero le Camere del Lavoro.
Nel 1906 a Milano, fu fondata la Confederazione Generale del Lavoro (CGdL) che operava su scala nazionale ed era
suddivisa in differenti categorie professionali (operai metalmeccanici, tessili, ferrovieri, braccianti).
Nacquero poi nuove organizzazioni che riunivano i soli lavoratori agricoli. Nel 1901 nasce a Bologna la Federterra
(battaglie per l’aumento del salario e per la riduzione della giornata lavorativa)
Molte di queste associazioni erano d’ispirazione socialista, ma in questo periodo anche i cattolici iniziarono. In
ambito industriale sorsero le Società di mutuo soccorso, cui si deve la fondazione delle “casse rurali”, banche che
prestavano denaro ai contadini a bassi interessi.
Da Zanardelli a Giolitti
Il 3 novembre 1903, Zanardelli rassegnò le dimissioni a causa di gravi problemi di salute e il suo posto fu preso da
Giolitti (che rimase capo del governo fino alla Prima guerra mondiale) -> età giolittiana.
Nonostante le nuove organizzazioni sindacali e le leggi sul lavoro, non erano scomparsi i conflitti fra le classi dei
lavoratori e i ceti padronali. Giolitti continuò a evitare l’uso della forza di fronte alle numerose manifestazioni
operaie, contemporaneamente si sforzò di allargare la base sociale dello Stato liberale, assumendo un nuovo
atteggiamento nei confronti delle due culture politiche in quel momento ostili ai liberali: quella socialista e quella
cattolica.

Socialisti e cattolici, nuovi protagonisti della vita politica italiana


Riformisti e rivoluzionari
Il Partito Socialista Italiano (PSI) era nato nel 1892 (inizialmente con il nome di Partito dei Lavoratori) su iniziativa
dell’avvocato Filippo Turati. Primo partito di massa a essere fondato in Italia, diventano il principale riferimento
politico per le masse operaie, anche se inizialmente rimase privo di seguito in meridione e si affermò soprattutto a
Nord.
All’interno PSI si crearono due correnti:
- Quella riformista, guidata da Turati, che affermava la necessità di prendere parte alla vita parlamentare in
accordo con le altre forze politiche, in modo da approvare alcune riforme politiche e sociali, per poi
successivamente realizzare il socialismo. Il compromesso con la borghesia liberale sarebbe stato provvisorio
e finalizzato aa rendere effettive e irreversibili tali riforme. “programma minimo”, elaborato da Turati e
Treves, aveva come obbiettivo il suffragio universale, la rinuncia alla politica coloniale e l’obbligo di
istruzione elementare.
- Quella rivoluzionaria, guidata da Artura Labriola, rifiutavano l’idea di un compromesso con la borghesia
liberale: secondo loro la visione socialista si sarebbe potuta realizzare solo attraverso un “programma
massimo”, ovvero una rivoluzione armata.
Durante il congresso sociale, tenuto a Roma nel 1900, il programma minimo fu approvato. Essa guidava le Camere
del lavoro di città importanti e nel 1904 promosse uno sciopero generale nazionale, per solidarietà contro la
repressione delle manifestazioni di Buggerru e Castelluzzo (Sardegna e Sicilia). Si trattò del primo sciopero generale
nazionale svolto in Europa.

I cattolici e la politica: verso una maggiore partecipazione


Papa Pio IX aveva rifiutato ogni rapporto con il nuovo Stato e aveva proibito ai cattolici la partecipazione alla vita
politica “non expedit”, ma che iniziò a danneggiare la Chiesa, allontanandola dai cittadini del nuovo regno.
Inoltre, erano sempre più numerosi i lavoratori cattolici che pensavano fosse giusto lottare per una maggiore
giustizia sociale. In modo graduale i cattolici cominciarono a partecipare alla vita politica italiana, inizialmente si
limitarono a sostenere i liberali alle lezioni. A seguito della pubblicazione nel 1891 dell’enciclica Rerum Novarum di
Leone XIII, nacquero le prime organizzazioni di orientamento cattolico.

Le anime del cattolicesimo


Anche nel cattolicesimo esistevano diverse correnti:
- Intransigenti, che si opponevano al tentativo di integrazione dei cattolici nello Stato liberale
- Moderati, aperti a una possibilità di partecipare alla vita pubblica italiana, in accordo con i liberali e con lo
scopo principale di arginare i socialisti
- Modernismo, di Romolo Murri, che criticò il sistema liberale, accusato di non tutelare le classi popolari e
volle costruire un movimento democratico cristiano attento soprattutto ai problemi sociali.
Le sue idee però furono troppo rivoluzionarie, e incontrarono l’opposizione sia di Leone XIII e di Pio X, che lo
scomunicò, quando decise di candidarsi come deputato radicale alle elezioni nazionali.

La politica interna di Giolitti


Giolitti e Turati
Giolitti si era dimostrato disponibile al dialogo con i socialisti.
Anziché ritenerli antagonisti dello stato liberale, li considerava come una delle forze vive della nazione e, secondo
lui, il loro coinvolgimento nella vita pubblica aveva portato risultati positivi, così da rendere il paese una potenza
industriale alla pari di altri Stati Europei.
Per questo Giolitti si adoperò affinché i socialisti entrassero nel governo e si rivolse a Turati, la cui linea riformistica
era compatibile con il suo progetto: una simile alleanza avrebbe potuto isolare la frangia rivoluzionaria dei socialisti.
Turati tuttavia rifiutò.
Il PSI era mutato a favore dei rivoluzionari e per il leader Turati, non sarebbe stato saggio collaborare con un governo
borghese.

Il sistema giolittiano
Per mantenere un ruolo di grande potere nella vita politica italiana, Giulitti cercò sempre l’appoggio di gruppi
parlamentari diversi, dai liberali progressisti, poi dei cattolici e dei conservatori.
Alcuni storici, infatti, parlano di “dittatura giolittiana”.

Le principali riforme
- Legge Orlando, con la quale portò l’obbligo scolastico fino a 12 anni
- Leggi per il Mezzogiorno, contenenti provvedimenti per lo sviluppo e la modernizzazione di alcune regioni
del sud
Napoli, avvio programma industriale e nell’azione di risanamenti economico.
Basilicata, aiutata nel modernizzare il lavoro agricolo.
Puglia, fu iniziata la costruzione di un acquedotto.
- Progetto di nazionalizzazione delle ferrovie -> 1905 nascono le Ferrovie dello Stato.
Motivazioni: volontà di porre fine alla cattiva gestione delle società private e di venire in contro alle esigenze dei
grandi gruppi industriali (questi chiedevano l’intervento per ridurre i costi del trasporto delle merci e per facilitare le
importazioni di materie prime preziose, come il ferro e il carbonio)
- Allargamento del diritto di voto, con il suffragio maschile universale (1912)
La legge concedeva il diritto di voto a tutti i cittadini maschi di 21 anni in possesso della licenza elementare, e anche
agli analfabeti sopra i 30 anni. Il diritto di voto passò dal 9% della popolazione al 24%.
- Monopolio statale delle assicurazioni sulla vita
Giolitti, intendeva dar vita a un fondo utile per la previdenza sociale e le pensioni.

Il patto Gentiloni
Patto Gentiloni, prende il nome dal cognome del presidente dell’Unione elettorale cattolica italiana Vincenzo
Gentiloni, viene stipulato questo patto in vista delle elezioni del 1913, dove i cattolici accettarono di votare
candidati liberali per fermare la strada a quelli socialisti. In cambio ottennero da Giolitti la promessa che il
Parlamento non avrebbe approvato nessuna legge che andasse contro i cattolici e danneggiasse gli interessi della
chiesa: fra queste quella del divorzio.
Per la prima volta nella storia dell’Unità d’Italia, i liberali vinsero le elezioni con l’appoggio esplicito dei cattolici e
della chiesa.
Le problematiche, tra la borghesia liberale e il papato erano ormai state superare, grazie alla ostilità verso il
socialismo.

Il decollo dell’industria e la questione meridionale


Una fase di crescita
- Decollo dell’industria
Si trattò di un processo di ammodernamento che ebbe inizio a partire dal 1896 e che trasformò l’Italia in una
nazione parzialmente industrializzata, anche se non ancora in grado di competere con la Gran Bretagna, Francia e
Germania.
Nel corso dell’800 era stato sviluppato il settore tessile, e tentativi di promuovere l’industria dell’acciaio
(fondazione del 1884 delle Acciaierie di Terni), si trattava però di realtà produttive ancora deboli.
A cavallo tra i due secoli, in Italia si concretizzò nello sviluppo della produzione industriale.
Il PIL (prodotto interno lordo), tra il 1890 e il 1913 aumentò in media del 6% annuo, con una fase di crisi intorno al
1907, per via di una breve crisi mondiale. Si innalzò inoltre il reddito pro capite, ovvero il reddito medio di ciascun
italiano, con la crescita dei consumi da parte delle famiglie.

I fattori della crescita


L’Italia era un paese povero di materie prime, e solo con difficoltà avrebbe potuto conoscere uno sviluppo di tipo
industriale. (paese prevalentemente agricolo)
Per riuscire a sviluppare l’industria, fu necessario l’intervento dello stato. Nell’età giolittiana lo stato fu il
principale committente delle industrie siderurgiche e meccaniche: intervenne per portare a termine la costruzione
della reta ferroviaria, per potenziare i trasporti terresti e marittimi, e per rafforzare la flotta di guerra.
Gli effetti del protezionismo doganale, promosso dai governi Crespi e Depretis: i dazi imposti durante la guerra delle
tariffe con la Francia, avevano permesso alle industrie italiane di vendere i loro prodotti a prezzi abbastanza alti
senza temere la concorrenza straniera.
Fu fondamentale anche la modernizzazione delle infrastrutture, necessaria per rendere efficiente gli scambi e il
trasporto di materiali.
Ci fu, anche il riordino del sistema bancario, con la nascita della Banca d’Italia, che svolse un ruolo di controllo e di
coordinamento dell’intero sistema.
Furono create le banche miste, ovvero istituti bancari che si occupavano dello stesso momento del credito ordinario
e del finanziamento delle imprese (sostegno per le industrie più attive).
Credito italiano ->settori chimico e siderurgico
Banca Commerciale -> Industria elettrica

Settori strategici: la siderurgia


Furono rafforzati soprattutto tre settori: quello siderurgico, meccanico e quello elettrico.
La siderurgia si sviluppò intorno a poli industriali e cantieri navali disseminati, soprattutto lungo la costa ligure e
tirrenica (principalmente Ansaldo di Genova).
Quella siderurgica era l’industria più impegnativa in termini di costi di produzione. Era necessario per questo
motivo che la richiesta di prodotti siderurgici fosse continua e sufficiente per fronteggiare le spese.
Inizialmente quest’industria doveva chiedere allo stato misure protezionistiche e un sostegno finanziario.

Industria meccanica, elettrica e chimica


Il comparto meccanico non aveva potuto usufruire della protezione garantita della tariffa doganale del 1887, ma
aveva subito la concorrenza straniera. Nonostante ciò, a fine secolo si verificò un segno positivo, soprattutto nel
settore automobilistico con la nascita nel 1899 dell’industria torinese FIAT.
Il comparto elettrico, in particolare l’industria idroelettrica permise all’Italia di ridurre le importazioni di carbone,
materia prima di cui era quasi del tutto sprovvista.
Tra il 1896 e il 191, in Italia si passò da 20 a più di 250 società elettriche, diffuse principalmente nel Nord.
Edison -> fondata a Milano nel 1883 ottené il controllo sulle società più piccole, giungendo a creare un vero e
proprio impero.
L’industria chimica, si sviluppò soprattutto nella lavorazione della gomma. (Pirelli di Milano)
Crescita della produzione industriale prima della Prima guerra mondiale viene definita “primo miracolo economico
italiano”

Lo squilibrio fra Nord e Sud


Il decollo industriale dell’Italia aveva un punto debole: la sua limatezza territoriale, al solo Settentrionale,
escludendo il Mezzogiorno. Infatti, ci fu un grande divario di sviluppo e di ricchezza fra Nord e Sud.
Prima della Prima guerra mondiale, la modernità dell’Italia si concentrava nel TRIANGOLO INDUSTRAIALE (Milano,
Torino e Genova).

Ma quali erano le cause?


Gaetano Salvemini, le individuò nella permanenza del latifondo, cioè delle grandi proprietà terriere in mano a
ricchissimi notabili locali, che erano poco interessati a rendere le loro terre più produttive, e le lasciavano spesso
incolte o le cedevano in affitto a contadini poverissimi e privi di mezzo.
Mancava una riforma agraria, che avrebbe previsto la distribuzione di terre ai contadini da sempre attesa e sempre
negata.
Per consentire lo sviluppo del Mezzogiorno occorreva, secondo Salvemini, porre fine al latifondo, consentire la
formazione di una piccola e media proprietà terriera e realizzare riforme orientate al decentramento
amministrativo (maggiore democrazia e autonomia nella società rurale)
Per Giolitti, tutto ciò era troppo, in quanto per ottenere voti e consensi, si appoggiava proprio ai grandi latifondisti
meridionali e persino alla criminalità organizzata, come la mafia siciliana.
Il partito socialista, si concentrò sulla questione operai nelle fabbriche a Nord, ed era poco interessato del meridione.
La povertà del sud si aggravò con l’eruzione del Vesuvio 1906, e un terremoto che distrusse Reggio Calabria e
Messina nel 1908.
I contadini del sud spesso decisero di abbandonare il sud e di emigrare,

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