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Sinistra storica

Sinistra storica

Leader Urbano Rattazzi, Agostino


Depretis, Benedetto
Cairoli, Francesco Crispi, Giovanni
Giolitti, Vittorio Emanuele
Orlando

Stato Italia

Fondazione 1849

Dissoluzione 1912

Ideologia Liberalismo[1]

Collocazione 1849-1882:
Sinistra
1882-1912:
Centro-sinistra

La Sinistra, detta in seguito storica per distinguerla dai partiti e movimenti di sinistra che si sarebbero
affermati nel corso del XX secolo, è stata uno schieramento politico dell'Italia post-risorgimentale. L'epoca
della sinistra storica va dal 1876, anno della "rivoluzione parlamentare" che portò alla caduta della Destra
storica, sino alla "crisi di fine secolo" (1896), che sfociò nell'età giolittiana.

Il primo leader storico della Sinistra storica fu il piemontese Urbano Rattazzi, il quale nel 1852 realizzò
insieme all'allora leader della Destra storica, Camillo Benso di Cavour, il cosiddetto "Connubio". Rattazzi
sarà sia Presidente della Camera dei Deputati che Presidente del Consiglio, con i voti sia della Destra, che
della Sinistra.

Il primo presidente del consiglio a capo di un governo solo della Sinistra storica fu Agostino Depretis,
incaricato dal Re, pochi giorni dopo le dimissioni del Governo Minghetti II, ultimo esponente della destra
storica al governo. La matrice ideologica del raggruppamento era liberale progressista, e, pur non avendo
un precedente storico, si rifaceva alle idee mazziniane egaribaldine.[senza fonte]

Depretis formò un governo che, oltre all'appoggio della Sinistra, schieramento di cui faceva parte, si
reggeva anche sull'appoggio di una parte della Destra, quella che aveva contribuito alla caduta del governo
Minghetti. Nella sua azione di governo, Depretis cercò sempre ampie convergenze su singoli temi con
settori dell'opposizione, dando vita al fenomeno del trasformismo.

Allargamento del suffragio e politiche sociali[modifica | modifica wikitesto]


Gli esponenti della Sinistra storica erano perlopiù esponenti della media borghesia, in maggior parte
avvocati. Tentarono di riconciliare la politica col «paese reale» democratizzando e modernizzando lo stato e
il paese.[2]

Un'importante riforma riguardava l'istruzione: la legge Coppino (1877) rese obbligatoria e gratuita
l'istruzione elementare (dai 6 ai 9 anni d'età). La Sinistra si batté per l'allargamento del suffragio, tramite
una legge del 1882 (legge Zanardelli) che concedeva diritto di voto a tutti i maschi, che avessero compiuto i
21 anni e rispettassero requisiti per il voto: il pagamento di un'imposta di almeno 19,8 lire (invece delle
precedenti 40) o, in alternativa, il conseguimento dell'istruzione elementare appena allargata (era
comunque sufficiente dimostrare di saper leggere e scrivere). Con la suddetta riforma il corpo elettorale salì
al 6,9% della popolazione italiana, rispetto al 2,2% del 1880.[3]

La volontà della Sinistra storica era quella di ampliare il suffragio fino all'universalità basandosi non più
tanto sul censo dei cittadini, quanto sulla loro istruzione.

La Sinistra storica prese provvedimenti anche in campo amministrativo, dove provvide ad un


decentramento dei poteri e in campo sociale, con l'introduzione di prime misure a difesa dei lavoratori.
Furono inoltre avviate numerose inchieste per esaminare le condizioni di vita della popolazione rurale: la
più nota è senz'altro l'inchiesta Jacini, che rivelò una diffusa malnutrizione (pellagra), alta mortalità infantile
(per difterite), grande povertà e scarse condizioni igieniche. Diffuso era il fenomeno dell'emigrazione.

Il protezionismo

La Sinistra storica, in politica interna, ebbe come obiettivo l'abolizione dell'impopolare tassa sul
macinato[4] e in generale una politica di sgravi fiscali e di investimenti nello sviluppo industriale del paese.

La Sinistra perseguì una politica protezionista. In Italia il principale ispiratore della nuova politica tariffaria in
materia di commercio estero fu Luigi Luzzatti. Con la crisi economica in Europa (1873-1895) crebbe la
miseria dei braccianti, e questo provocò i primi scioperi agricoli. Il protezionismo si tradusse nell'intervento
diretto dello Stato nell'economia. I governi italiani della Sinistra, condizionati da gruppi industriali del Nord,
approvarono nel 1878 l'introduzione di tariffe doganali a protezione delle industrie tessili e siderurgiche;
furono inoltre concessi sussidi ai settori in difficoltà e sviluppate le infrastrutture.

Nel 1887, per fronteggiare la grande depressione, si diede vita a quel "blocco agrario-industriale", come lo
chiama Antonio Gramsci, tra la classe liberale e progressista del Nord con gli agrari e i latifondisti reazionari
del Meridione, estendendo la tariffa protettiva sulla cerealicoltura che risentiva delle esportazioni
dagli Stati Uniti d'America di grano, che, per la riduzione dei noli dei trasporti, arrivava sul mercato italiano
a prezzi inferiori.

Un dazio che danneggiava evidentemente gli industriali settentrionali che dovevano commisurare il salario
degli operai sul prezzo del pane che aumentava artificiosamente e che pure accettarono di buon grado il
danno economico, compensato, secondo la storiografia marxista, da un'alleanza con gli agrari che avrebbe
tenuto lontani tentativi di riscatto sociale delle masse subalterne.

Una tariffa protettiva, che reintroduceva la tassa sulla fame come ai tempi dell'imposta sul macinato e che
danneggiava inoltre il settore della produzione meridionale del vino e dell'ortofrutta, già in crisi dalla
rottura dei rapporti commerciali con la Francia dai tempi del Congresso di Berlino e della politica
filotedesca di Crispi. In politica economica Crispi adottò una politica di protezionismo commerciale che è
diretta a difendere i prodotti nazionali contro la concorrenza straniera.
Politica estera

In politica estera, la Sinistra storica di Depretis abbandonò la tradizionale alleanza con la Francia, a causa
degli attriti diplomatici generati dalla presa di posizione dei transalpini sulla questione tunisina, entrando
nell'orbita della Triplice Alleanza a fianco degli imperi centrali di Austria-Ungheria e Germania e favorendo
lo sviluppo del colonialismo italiano, innanzitutto con l'occupazione di Massaua in Eritrea.

Fine della Sinistra storica

La fase della Sinistra storica si concluse nel 1896 a seguito delle elezioni politiche. Il governo Depretis,
infatti, si era spostato verso l'ala conservatrice del parlamento, incontrando i moderati più progressisti, che
erano stati inglobati all'interno di una più grande coalizione.

Lentamente furono estromessi gli esponenti più progressisti della Sinistra, dando vita ad un Grande Centro,
che monopolizzava la vita politica del Paese, lasciando a pochi partiti minori il ruolo di opposizione di
estrema sinistra. Questa politica, in cui la dialettica e la differenza ideologica fra le ali del Parlamento
vengono sfumando, è detta trasformismo, e fu resa possibile dalla riforma elettorale.[4]

Dopo Depretis, la figura cardine della politica italiana dal 1887 al 1896 fu Francesco Crispi dove voleva
un'Italia forte e ordinata. Il modello della sua politica era la Germania di Bismarck, dove le tensioni sociali
fra la classe operaia e la borghesia sembravano equilibrate. Crispi represse nel sangue la rivolta dei fasci
operai in Sicilia e sciolse il Partito Socialista, fondato da Turati a Genova nel 1892, tuttavia emanò una serie
di riforme sociali quali la riduzione della giornata lavorativa e la prima legge sull'assistenza sociale, passata
alla storia proprio come "legge Crispi".

Sotto il suo governo la politica coloniale fu ripresa con più vigore, fino alla disfatta di Adua (1896), che
segnò la fine della Sinistra Storica con le dimissioni del primo ministro.

Nella crisi di fine secolo si manifestarono le conseguenze sul piano sociale della politica protezionistica,
come dimostrano i fatti di piazza del Duomo a Milano del maggio 1898 quando il generale Bava
Beccaris non esitò a sparare con i cannoni ad alzo zero sulla folla che chiedeva "Pane e lavoro" durante
la protesta dello stomaco.

Si era infatti verificato un ulteriore aumento del prezzo del grano a causa delle diminuite esportazioni dagli
Stati Uniti, impegnati allora nella guerra per Cuba.

Sarebbe bastato togliere la tariffa protettiva, ma ormai la classe dirigente italiana era terrorizzata
dal socialismo e preferiva ricorrere all'intervento repressivo del Regio Esercito.

Benché la Sinistra Storica tradizionale fosse terminata nel 1896, si continuerà a parlare di questa
denominazione anche successivamente.

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