Sei sulla pagina 1di 82

lOMoARcPSD|11525687

Storia del novecento italiano simona colarizi nona edizione


bur 2010 1
Storia Contemporanea (Università degli Studi di Salerno)

Studocu non è sponsorizzato o supportato da nessuna università o ateneo.


Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)
lOMoARcPSD|11525687

Simona Colarizi
STORIA DEL NOVECENTO ITALIANO
Cent'anni di entusiasmo, di paure, di speranza

1 L'età giolittiana (1900 – 1913)

1. Si chiude un'epoca
Il 29 luglio del 1900 viene ucciso Umberto I (salito al trono nel 1878, dopo la morte di Vittorio
Emanuele II) per mano dell'anarchico Gaetano Bresci. L'attentato al re era maturato in un clima di
fermento delle frange più estreme dei mondi socialista, repubblicano, radicale e anarchico; di un
malcontento presente fino dall'unità del paese stretto tra spinte autoritarie e reazionarie del giovane
regno sabaudo che poco aveva concesso al percorso verso lo sviluppo democratico dello Stato. Il
regno sabaudo aveva assunto la fisionomia di uno Stato liberale: nel Parlamento la maggioranza era
nelle mani delle due correnti liberali (Destra e Sinistra storiche) che si confrontano con
l'opposizione radicale e repubblicana. Le difficoltà nel cammino verso un orientamento democratico
dello Stato e la crescita di una vera e propria coscienza nazionale erano dati da diversi elementi che
davano la tara della situazione arretrata nella quale versava il paese, primo fra tutti il tasso di
analfabetismo (1861: 70% 1881: 57%, la legge Coppino sulla scuola elementare è del 1877). Questo
dato limita notevolmente il diritto di accesso alla piena cittadinanza di gran parte della popolazione
(1990 su 30mil votano solo 3mil ca - la modifica del sistema elettorale del 1876 abolisce la
discriminante del censo ma introduce quella dell'alfabetismo). Dunque, è impossibile trovare
un'identità comune degli italiani, uniti in un unico Stato solo sulla carta. Diversa può essere
considerata la situazione all'interno delle organizzazioni socialiste e cattoliche dove una coscienza
collettiva comincia a svilupparsi e il meccanismo della politicizzazione delle masse entra in gioco
(Psi, nato nel 1892, elezioni del 1895 solo 12 deputati eletti – elettori cattolici sono bloccati del non
expedit di Pio IX). I primi fermenti sociali, il timore di un sovvertimento dell'ordine preoccupano la
borghesia al potere (1893 agitazioni dei fasci minatori e contadini in Sicilia, Lunigiana – Crispi ne
ordina la repressione; 1897-98 i moti di Milano – Rudinì ordina repressione, Bava Beccaris spara
sulla folla). In Parlamento liberali di sinistra, radicali e repubblicani – che spingono per un
allargamento delle basi del consenso – si scontrano con i liberali di destra restii a questa prospettiva
(Sidney Sonnino teorizza il ritorno allo Statuto Albertino del 1848; i governi Pelloux 1898-90
percorrono questa via). Con la forte mobilitazione della sinistra liberale guidata da Giolitti (liberali
costituzionali) appoggiati dai radicali, repubblicani e socialisti per fermare le modifiche al
regolamento della Camera lesive dei poteri parlamentari, si scatenano tafferugli all'interno della
Camera stessa che portano più volte alla sua chiusura. Nel giugno del 1900 vengono indette le
elezioni, il blocco delle opposizioni ha uno straordinario successo (da 67 a 96 deputati: 34 radicali,
33 socialisti, 29 repubblicani). Il governo Pelloux si dimette ed il nuovo presidente del Consiglio
Giuseppe Saracco (liberali conservatori) opta per la normalizzazione del clima politico (viene
ritirata la proposta di modifica del regolamento della Camera). Con l'uccisione di Umberto I si
diffonde la paura di una nuova ondata di repressione, ma l'erede Vittorio Emanuele III è deciso a
spezzare la lunga catena di morti e rinuncia alla strada della vendetta.

2. Il paese tra sviluppo e arretratezza


Notevole peso nell'opinione politica del paese cominciano ad acquisirlo la borghesia
imprenditoriale e la borghesia progressista, favorevoli alla normalizzazione del clima politico. Il
decollo dell'industria siderurgica e meccanica (Vincenzo Breda, la Società anonima altiforni di
Piombino, la Società anonima Elba, la creazione dell'ILVA nel 1905 e della FIAT di Giovanni
Agnelli 1899 – 1906) pongono i primi tasselli della crescita economica dei decenni successivi che
porterà ad una importante mutazione dei consumi e delle abitudini degli italiani. Questo sviluppo
però è ancora limitato a certe aree geografiche. Anche il settore agricolo è segnato da un
incremento, ma permane anche qui il notevole dislivello tra le diverse aree. La frammentazione che
caratterizza lo sviluppo, la crescita ed il processo di modernizzazione, induce (1881-1901) ad un

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

forte fenomeno di emigrazione verso le Americhe (1881-1901: 2mil e 200mila persone in


maggioranza provenienti dal Nord-est e dal Sud Italia).

3. I riformisti alla guida del Partito Socialista (1900-1904)


Agli inizi del Novecento il Psi non è ancora un partito di integrazione di massa e non ha assunto la
fisionomia nazionale (68% delle sezioni e degli iscritti provengono si trovano nel settentrione: vi
confluiscono contadini, operai, gli addetti ai servizi e dalle fila delle classi urbane medio-piccole
delle aree più sviluppate del paese). In questa fase il Psi riesce ad aumentare notevolmente la
propria forza parlamentare (1897: 12 seggi; 1900: 33 seggi), questo grazie soprattutto all'alleanza
con radicali e repubblicani promossa da Filippo Turati (segretario 1895-96, il primo segretario
Carlo Dell'Avalle) che arriva a teorizzare anche un'alleanza con i liberali di sinistra di Giolitti (linea
sancita al congresso del 1900. Giolitti è deciso alla conquista del governo con il coinvolgimento dei
socialisti (esecutivo che si realizza nel 1901: presieduto da Zanardelli, ministro dell'Interno
Giolitti). La leadership del Psi è ancora in mano ai riformisti, ma al suo interno cresce
un'opposizione volta a dar voce alle classi proletarie non ancora incluse nel processo produttivo.
Tale frattura delinea un problema di fondo del Psi persistente fin dalla nascita: il frazionamento e le
divisioni interne in correnti e gruppi contrapposti (daranno luogo ad importanti scissioni – vedi
scissione anarchici nel 1892) in primis tra massimalisti e minimalisti e soprattutto la difficoltà da
parte dei vertici di tracciare una strada comune e creare un collante ideologico tra le diverse
categorie del mondo del lavoro, delle associazioni e delle organizzazioni proletarie. Inoltre, le
differenze geografiche tra aree in cui il processo di industrializzazione e la crescita agricola sono
più rilevanti e le aree del Sud dove la disoccupazione raggiunge ancora livelli molto alti – e le
organizzazioni proletarie sono molto deboli se non inesistenti – rendono difficilmente pregnante la
politica portata avanti dai riformisti volta ad ottenere miglioramenti salariali, riduzione degli orari di
lavoro, istruzione obbligatoria e suffragio universale.

4. Socialisti e cattolici tra collaborazione e intransigenza


Giolitti all'interno dell'esecutivo Zanardelli spinge per portare avanti la questione sociale e favorire
il processo di crescita sociale, economica e politica delle masse. Dunque, è necessario spianare la
strada ai movimenti cattolico e socialista che riescono a riunire migliaia di aderenti soprattutto
grazie alle capillari reti organizzative legate a questi movimenti.
L'Opera dei Congressi era stata creata appositamente per far da contenitore a tutto
l'associazionismo di matrice cattolica (tra '800 e '900 l'Opera è attraversata da diversi scontri interni:
l'area conservatrice si scontra con quella dei democratici cristiani del sacerdote Romolo Murri, che
si stava muovendo al di fuori dei confini dell'Opera avvicinandosi ad un sindacalismo cattolico con
modalità e strumenti di lotta simili a quelli socialisti – nel 1901 il Papa interviene direttamente
facendo aderire il movimento all'Opera, ribadendo l'importanza dell'impegno sociale dei cattolici
ma bandendo ogni tipo di organizzazione politica di essi. Nel 1903 con la morte di Leone XIII e la
successione di Pio X al soglio pontificio, si accelera l'azione intransigente della chiesa verso
l'operato di Murri e nel 1904, con la chiusura dell'Opera e la ristrutturazione del movimento
cattolico, se ne sancisce un netto distacco ribadito dalla sua scomunica). Il pontificato di Pio X è
marcato da una linea più morbida nei confronti dello Stato liberale e dalla necessità di frenare
l'avanzata dei socialisti (non è abolito il non expedit ma nel 1904 c'è l'elezione di due cattolici in
Parlamento): i cattolici cercano un accordo elettorale con i liberali. Il disgelo dei cattolici è
incoraggiato da Giolitti che, una volta passato a guida del governo (1903) cerca di mantenerlo in
equilibrio tra le forze contrapposte, mediando di volta in volta.
Si moltiplicano scioperi e manifestazioni da parte dei socialisti e cattolici, il governo reagisce
pesantemente con la repressione, intervento sostenuto anche dallo stesso Giolitti, che da una parte
deve rassicurare i liberali moderati e dall'altra deve mantenere il sostegno dei socialisti (l'accordo
tra Turati e Giolitti regge: il Psi viene ricompensato con una legge per la protezione delle donne e
dei minori, eleva età lavorativa minima a undici-dodici anni, introduce congedo per maternità). Con
il congresso socialista di Imola (settembre 1902) l'opposizione interna di estreme sinistra ostacola

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

fortemente il vertice dei turatiani minimalisti, chiedendo una azione più rapida e concreta (dopo le
agitazioni del 1901-02 vi era stato un aumento salariale del 15% e la diminuzione delle ore
lavorative a 12). Dopo due anni di battaglie interne al Psi, al congresso di Bologna (1904) i
riformisti vengono messi in minoranza (quando Giolitti succede a Zanardelli 1903, Turati è
costretto a negare l'appoggio all'esecutivo per paura delle correnti più intransigenti del Psi, anche se
il dialogo tra Turati e Giolitti non si ferma).

5. La mobilitazione politica del ceto medio


Il ceto medio si impone sull'agenda politica del governo per ottenere un allargamento delle basi del
consenso, un maggiore sviluppo e le riforme. Giolitti risulta abile nell'opera di mediazione volta a
ribaltare a suo favore gli equilibri parlamentari. Queste pratiche di soddisfazione di interessi
particolari di gruppi e personalità fanno smarrire l'identità politica della maggioranza che sostiene
Giolitti, ma assicurano una stabilità politica tale che gli consente di governare per un decennio. La
politicizzazione della classe media è un processo che risulta fortemente frammentato quanto la
composizione stessa di questo strato sociale: al declino della piccola borghesia urbana e rurale
corrisponde una crescita dei settori legati all'industria e al pubblico impiego. Anche la medio
piccola borghesia risulta frammentata, si rivede negli ideali del liberalismo, del cattolicesimo, del
radicalismo e del socialismo riformista (vedi crescita elettorale del Psi 1897-1900, crescita che si
ferma nel 1904 quando ala massimalista conquista i vertici del partito. Lo sbocco naturale di questi
consensi avrebbe dovuto portare alla formazione di un grande centro democratico – socialisti,
radicali, repubblicani – ma tale ipotesi non si verifica per i tanti elementi di debolezza di questi
schieramenti, i riformisti del Psi sono in minoranza, radicali e repubblicani non hanno struttura
organizzativa nonostante la nascita del Pri nel 1895 e del partito radicale nel 1904. Sia il Pri che il
Pr vengono compresi nella prassi trasformistica giolittiana e ciò determina un generale
offuscamento della loro immagine e un allontanamento dai ceti medi stessi).

6. Sviluppo e modernizzazione
Nel 1882 avveniva la stipula della Triplice Alleanza (patto difensivo stipulato a Vienna tra
Germania, Austria e Regno d'Italia) e ciò aveva permesso una maggiore integrazione dell'Italia nel
sistema europeo. Austria e Germania avevano incoraggiato l'Italia (anche se costretta a rinunciare al
Trentino e alla Venezia Giulia – Austria) per una politica di espansione verso l'Africa mediterranea
(scarsi i risultati della campagna in Abissinia inaugurata da Crispi, sconfitta di Adua 1896 – aveva
alimentato le forze antitripliciste), ciò portò all'incremento delle rivalità con la Francia. Giolitti poco
convinto della svolta espansionista per mancanza di risorse materiali, militari e civili, optò per un
riavvicinamento verso la Francia ed una diminuzione delle mire espansioniste dell'Italia (i
nazionalisti vedevano nel decennio appena passato un'Italia che aveva compiuto enormi passi in
avanti nelle modernizzazione e sviluppo del paese tanto da proiettarla a competere con le grandi
potenze europee). In effetti, la grande crescita economica dell'Italia in pochi anni a cavallo tra
Ottocento e Novecento vi era stata: il sostegno statale alla siderurgia, gli investimenti delle banche
miste, portano il settore ad una forte espansione. Anche le industrie elettriche e meccaniche giovano
delle statalizzazione della telefonia e delle ferrovie. Questi settori oltre al chimico sono i
protagonisti dello slancio produttivo dell'Italia nei primi del secolo, anche se caratterizzato da una
forte discontinuità a livello territoriale (il maggior incremento lo si ha nel triangolo industriale
Milano-Torino-Genova) mentre il Sud detiene ancora il primato di area del paese più arretrata
(nonostante i governi Giolitti abbiano promosso una serie di leggi speciali per il Mezzogiorno).
Legato fortemente al mondo contadino, il Sud risente fortemente del declino dell'agricoltura
(decresce incidenza sul Pil) su cui incidono: la situazione arretrata dei rapporti produzione-lavoro,
la sovrappopolazione (non risolto neppure con la forte ondata di emigrazione). Con le elezioni
politiche del 1909, Giolitti risulta notevolmente indebolito e attaccato da più fronti (incremento del
Psi e dei radicali) nonostante una maggioranza salda, Giolitti lascia la presidenza per evitare di
logorarsi. Viene nominato S Sonnino alla presidenza del Consiglio (rivale di Giolitti) a cui però solo
dopo tre mesi succede Luigi Luzzatti (1910) con un nuovo esecutivo sostenuto dai giolittiani ma

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

che si guadagna anche il sostegno dei radicali, dei repubblicani e socialisti (questo grazie al
programma di governo fortemente avanzato: riforma elettorale volta al suffragio universale e
statalizzazione della scuola elementare). Nel 1911 cade il governo Luzzatti e sale ancora una volta
Giolitti (IV) che mantiene fede al programma di riforme e nel 1912 la Camera approva la riforma
elettorale che sancisce il diritto di voto esteso a tutti i cittadini maschi dai trentanni che avessero
prestato servizio militare – gli aventi diritto passano dal 9,5% al 24% della popolazione.

7. La Chiesa e l'impegno politico dei cattolici


Giolitti però fatica a mantenere gli equilibri parlamentari come aveva fatto in passato, il dialogo con
la sinistra e la destra diventa difficile dato l'incalzare delle ali estreme in entrambi gli schieramenti.
I nazionalisti (nel 1910 l'Associazione nazionalista italiana sostiene il primo congresso) dopo il
fallimento del governo Sonnino, agitano le acque della dx liberale denunciando le pratiche
trasformiste sulle quali si erano adagiati. I conservatori avevano avallato compromessi elettorali con
i cattolici, sostegno fondamentale per la dx liberale (per le elezioni del 1913 – le prime a suffragio
universale maschile – a rilanciare l'accordo con i liberali per paura di una forte avanzata socialista).
Nel campo cattolico vi era un forte desiderio di autonomia e organizzazione: è il sacerdote siciliano
Luigi Sturzo (che dopo la scomunica di R Murri) si fa carico di queste istanze (sarà il futuro leader
del Ppi) evitando di entrare in collisione con la Santa Sede (ancorata, soprattutto con Pio X, a
posizioni antimoderniste: nel 1907 condanna con decreto del modernismo, nel 1910 viene imposto
ai sacerdoti il giuramento antimodernista, si fa ancora più stretto il controllo centrale degli attivisti).
Sulle ceneri dell'Opera dei congressi erano sorte le associazioni: Unione popolare tra cattolici
d'Italia, l'Unione economico-sociale dei cattolici italiani (all'interno si sviluppano una serie di
sindacati di categoria, che nel 1910 confluiscono nel Segretario generale delle unioni professionali
anticamera della Cil), e l'Unione elettorale cattolica italiana – in questo ambito i sindacalisti
cattolici riescono a guadagnarsi il proprio spazio senza incorrere nella persecuzione del Vaticano.
Questo terreno è quello dove don Sturzo agisce per sviluppare l'idea di partito aconfessionale
(progetto iniziato con il discorso del 1905 a Caltagirone) ponendo le basi per la piena affermazione
dell'identità dei cattolici che ogni volta dovevano nascondersi dietro patti elettorali con i liberali per
avanzare timidamente le loro istanze.

8. La guerra di Libia
Segnali di affanno del governo Giolitti vengono anche dalla politica estera: nel 1907, dopo il terzo
rinnovo della Triplice Alleanza, i rapporti tra Italia e Germania (visto appoggio italiano alla Francia
nella crisi marocchina 1906) non migliorano e del resto neanche quelli con l'Austria (Impero
asburgico annette nel 1908 la Bosnia-Erzegovina). L'Italia tiene una linea volta ad assicurarsi la
massima libertà d'azione, questi contrasti non determinano alcuna rottura con i paesi vicini (ciò
permette infatti la trattativa per i territori Balcani con la Russia – rivale austriaca – e allo stesso
tempo la stipula di un patto con l'Austria che imponeva delle consultazioni per l'eventuale modifica
dei territori dell'Impero turco) – in sostanza l'abile politica di compromesso/doppio gioco di Giolitti
viene tradotta anche in politica estera. In ogni caso, Giolitti sempre convinto della linea pacifista
contro lo slancio colonialista, nei confronti della Libia giudica il tipo d'azione in modo diverso: la
penetrazione commerciale e finanziaria del paese era già iniziata da anni soprattutto grazie al
nullaosta delle grandi potenze europee: Giolitti convinto della lentezza con cui andava ancora
condotta questa operazione, viene costretto dai timori di un risveglio del popolo turco (vedi rivolta
Giovani Turchi 1908, e insediamento della Francia in Marocco) ad accelerare questo percorso
(l'entrata in guerra viene decisa in gran segreto dal re, Giolitti e Antonio di San Giuliano ministro
degli Esteri, nell'estate del 1911 con le camere chiuse per ferie e senza l'approvazione di esse; a
settembre l'Italia entra in guerra contro la Turchia; in ottobre le truppe italiane occupano Tripoli,
Bengasi e i principali centri della Tripolitania e Cirenaica; a novembre si riconosce con decreto
regio la sovranità italiana sulla Libia; a febbraio 1912 si vota in Parlamento l'annessione – rimane
aperta la questione Dodecaneso; la Triplice riconosce il possesso italiano della Libia). L'impresa
libica ben riuscita fa guadagnare a Giolitti parte dei consensi dei sostenitori dell'intervento bellico

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

(industriali e banche, ma anche borghesia imprenditoriale e parte del proletariato). Di difficile


conversione in consensi giolittiani sono però i nazionalisti che crescono notevolmente (1911
fondazione a Firenze della rivista L'Idea Nazionale). Nell'ottobre 1911 al congresso del Psi il fronte
riformista si spacca (Turati è contrario all'impresa coloniale, mentre Ivanoe Bonomi e Leonida
Bissolati sono favorevoli al sostegno del governo – il punto di rottura con i ministerialisti si ha
quando questi fanno visita al re dopo uno sventato attentato, ciò provoca la loro espulsione e la
formazione del Partito socialista riformista italiano, di natura prettamente parlamentare. Il più
accanito critico di Bonomi e Bissolati è Benito Mussolini, segretario della federazione socialista di
Forlì, animatore insieme a Pietro Nenni degli scioperi antibellicisti del 1911 e direttore de L'Avanti!
dal 1912). Anche all'interno della Cgl sono in ascesa gli estremisti che nel 1912 abbandonano la
confederazione e fondano l'Unione sindacale italiana (Usi). Nel 1913 esplode lo sciopero generale
contro il governo (sciopero appoggiato da Mussolini e dall'Usi, ma non dai riformisti Cgl e Psi).
Nel 1913 si tengono le prime elezioni con suffragio universale maschile e ciò determina una svolta
irreversibile negli equilibri politici italiani. La preoccupazione diffusa per una crescita inarrestabile
del Psi, determina l'intervento di Ottorino Gentiloni (presidente Unione elettorale cattolica) che con
il patto Gentiloni offre sostegno massiccio dei voti cattolici ai candidati liberali (circa 228 deputati
su 304 saranno eletti grazie a questo meccanismo) ed il Papa sospende il non expedit (in 330
collegi) con il risultato di una alta affluenza di fedeli alle urne. Infatti, lo schieramento delle
opposizioni di sinistra (socialisti, riformisti, radicali, repubblicani) raggiunge un risultato modesto
(169 deputati contro i 115 della vecchia Camera, solo 44 in più – i socialisti solo 79 seggi). Il voto
del 1913 marca una forte discontinuità con il passato e anche se in apparenza Giolitti è ancora il
vincitore, fanno ingresso in Parlamento nuove forze politiche (nazionalisti, radicali meridionalisti,
socialisti e sindacalisti rivoluzionari) in opposizione al governo.

2 La Grande Guerra (1914-1918)

1. La settimana rossa
Al congresso socialista del 1914 l'area intransigente si conferma in maggioranza e la distanza tra le
due anime del Psi comincia ad aumentare. Anche con la vittoria dei riformisti nella Cgl non si ha un
equilibrio. Il prestigio comunque mantenuto dai riformisti turatiani (vedi successo elezioni
amministrative, che vede la conquista da parte del Psi di numerosi province e comuni) non
accontenta i tanti socialisti che invece preferirebbero lottare per il trionfo dell'internazionale
proletaria. L'impazienza ed il desiderio di rivolta delle fasce proletarie si accomuna al crescente
disagio degli strati piccolo-borghesi: è su questo terreno che si verifica la convergenza tra i
repubblicani intransigenti di Nenni, i socialisti rivoluzionari di Mussolini, i sindacalisti
rivoluzionari di Alceste De Ambris e gli anarchici di Errico Malatesta. Proprio Malatesta dettò
l'avvio delle insurrezioni che si svolsero tra il 7 e il 14 giugno 1914 (la settimana rossa dove da
Ancona l'insurrezione si espanse nelle Marche, in Romagna e Toscana – Ancona, Ravenna, Forlì,
Fabriano, Jesi, Parma caddero nelle mani dei rivoltosi).

2. La guerra in Europa
0 500 km

Mar
Il 28 giugno del 1914, a Sarajevo (Bosnia-
Mar del Nord
Baltico
Erzegovina) con l'assassinio dell'arciduca
REGNO UNITO
RUSSIA Francesco Ferdinando d'Asburgo d'Este (erede al
GERMANIA
trono d'Austria e Ungheria) per mano del
OCEANO
ATLANTICO
Cechi Polacchi
rivoluzionario (movimento nazionalista
Slovacchi

FRANCIA
Italiani
AUSTRIA-
Ucraini

jugoslavo Mlada Bosna e poi organizzazione


UNGHERIA

PORTOGALLO
Sloveni

Croati
Rumeni
paramilitare terroristica Crna Ruka) Gavrilo
Serbi ROMANIA

SPAGNA
Sarajevo
SERBIA
Mar Nero

ALLEANZE MILITARI Princip, si ha l'avvio del primo conflitto


MONTÉNÉGRO BULGARIA NEL 1914
ITALIA
ALBANIA Triplice Alleanza
mondiale 1914-15. Per l'Italia l'inizio del
Triplice Intesa
Mar Mediterraneo GRECIA
TURCHIA

Alleati della Russia


conflitto impone la fine della politica estera del
Marocco (Fr) Algeria (Fr) Tunisia (Fr)
Minoranze etniche
in Austria-Ungheria non allineamento inaugurata precedentemente da

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

Giolitti, che l'aveva portata a tessere relazioni amichevoli con tutti gli Stati europei (l'Italia aveva
pagato un alto prezzo alla Triplice Alleanza – vedi rinunce Trentino e Venezia Giulia – ma la
controparte fu proprio un ampio grado di libertà di movimento che al momento dell'impresa
coloniale in Libia risultò essenziale). Inizialmente la prospettiva del conflitto al fianco degli Imperi
centrali non entusiasmava molti (i costi del conflitto apparivano troppo elevati: impreparazione
militare, carente produzione bellica, truppe ancora dislocate in Africa) e fu fatto valere l'accordo
della Triplice secondo il quale l'Italia avrebbe potuto intervenire nel conflitto solo se uno degli
alleati venisse aggredito – e in questo caso l'impero asburgico non ha certo giocato il ruolo della
vittima rispetto alla Serbia. In un primo momento dunque, nei vari ambienti di influenza si pensava
che la neutralità italiana avrebbe potuto rafforzare l'economia in quanto l'Italia avrebbe giocato il
ruolo di rifornitore dei paesi belligeranti (o addirittura – come sostenne Giolitti – ottenere qualche
concessione dall'Austria una volta appurato il non intervento per garantirsi la neutralità dell'Italia).
Queste prospettive risultarono subito illusorie: i commerci si bloccano e i grandi gruppi di interesse,
banche, imprese italiane e industrie - che non vogliono rinunciare alle prospettive di arricchimento
derivanti dal conflitto – cominciano a fare pressione per l'intervento nel conflitto al fianco di
Francia, Inghilterra e Russia (gli industriali pensano alle grandi commesse statali per far ripartire la
macchina della produzione bellica e anche grossi settori della finanza si muovono in questa
direzione: dicembre '14 nasce il colosso bancario Banca nazionale di sconto – sostenuto da gruppi
finanziari francesi e legato alla Ansaldo – che spinge per un rovesciamento dell'alleanza e un
ingresso nel conflitto, in modo da contrastare il capitale tedesco della Banca commerciale –
neutralista di area giolittiana). Parte una corsa al condizionamento dell'opinione pubblica attraverso
l'influenza sulla stampa (molti finanziamenti alla grande stampa nazionale da parte degli
imprenditori). Decisivo in questa svolta bellicista è la mobilitazione del ceto medio insieme ai
piccolo-borghesi nazionalisti, democratici, repubblicani, radicali, socialdemocratici.

3. Gli interventisti
L'ingresso degli interventisti sulla scena inasprisce notevolmente i toni contro il governo e la
monarchia. Il fronte interventista si presenta molto variegato al suo interno: i nazionalisti fanno
propri gli appelli di Gabriele D'Annunzio che vede nell'intervento dell'Italia nel conflitto il culmine
esaltante della storia nazionale del paese, di un futuro di gloria dei popoli italici (giovani e antichi)
che risorgono contro il nemico esterno e interno (l'italietta giolittiana dei corrotti e trasformisti). La
retorica dannunziana seduce molti tra democratici, riformisti ma anche socialisti, che fanno fronte
comune con nazionalisti, liberali conservatori, radicali, monarchici e repubblicani.

4. La sconfitta dei neutralisti


Il 1° agosto del 1914 il governo proclama la neutralità dell'Italia al conflitto, contentando quella
parte di socialisti (Psi ribadisce la linea neutralista ed espelle Mussolini) e sindacalisti, cattolici,
liberali, borghesi e proletari che vedevano nella guerra solo un male, voluta dalla borghesia
capitalista per loro interesse ma combattuta dai figli delle masse proletarie e rurali (di fatto la
battaglia neutralisti-interventisti è un fenomeno esclusivamente urbano che coinvolge i ceti medi).
Il re invece, è attirato dalla prospettiva di diventare il protagonista dell'unità d'Italia incompiuta: una
vittoria del conflitto avrebbe potuto portare enormi benefici all'immagine della corona, il declino
del sistema giolittiano non garantiva più la stabilità di tutto l'impianto stesso e dell'esistenza della
monarchia (vedi anche rottura della Triplice Alleanza che poneva il mantenimento degli assetti
monarchici nei contrattori del patto Austria, Germania e Italia). Nel settembre '14 viene presentata
una bozza delle richieste italiane in caso di intervento al fianco dell'Intesa, a Parigi e Mosca e
contemporaneamente Sonnino riapre le trattative con Berlino e Vienna – ma queste non rispondono,
e l'Italia parte con l'occupazione di Valona (Albania); nonostante ciò, l'Austria nel febbraio-marzo
del '15 avanza la proposta verso l'Italia per la cessione del Trentino, ma Sonnino e Salandra alzano
la posta convinti nel far naufragare la trattativa e scendere in campo al fianco dell'Intesa. Manca
solo da vincere le resistenze del Parlamento: il governo approva il 7 maggio 1915 il Patto di
Londra (l'Intesa aveva accettato le richieste italiane: Trentino, Venezia Giulia, Tirolo meridionale,

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

l'Istria – ad eccezione di Fiume – e parte della Dalmazia) e Vittorio Emanuele III si dichiara pronto
ad abdicare qualora le Camere non avessero ratificato il patto con Francia, Inghilterra e Russia. Il 20
maggio la Camera concede i pieni poteri al governo (407 favorevoli 74 contrari) come il Senato
(281 su 281 favorevoli); su questo aveva influito fortemente il fronte interventista e l'operato di
D'annunzio (vedi le radiose giornate di maggio).

5. L'Italia in guerra
Il 23 maggio 1915 l'Italia dichiara guerra all'Austria (contemporaneamente vengono ridotte le
libertà dei cittadini e ampliata l'autorità delle forze armate e piano piano esautorato il Parlamento
del potere legislativo). La strategia offensiva dell'Italia scelta dal generale Luigi Cadorna è basata
sull'attacco con l'obiettivo di sfondamento verso Est delle linee nemiche per un ricongiungimento
con le forze russe; tale strategia comportò all'Italia numerose vittime. Di vittorie l'Italia ne accumula
ben poche (solo Gorizia). Nell'ottobre del 1917 comincia il contrattacco degli austriaci sostenuti
anche da truppe tedesche (dopo il crollo del fronte russo) che sfondano le linee italiane e dilagano
fino ad Udine, poi il Tagliamento (fiume del Friuli) e il 9 novembre raggiungono il Piave (Veneto).
La rotta di Caporetto (ora Slovenia) il 24 ottobre 1917 mette in ginocchio l'esercito italiano.

6. Il fronte interno
La prospettiva della guerra lampo come si paventava inizialmente aveva portato a trascurare il
consenso popolare all'impresa e la stragrande maggioranza degli italiani era contraria al conflitto
(fino al 1918 nessuna propaganda ufficiale veniva attivata per dare giustificazione al conflitto e
motivare la popolazione che ne sosteneva le spese). Parimenti, anche il campo dell'assistenza viene
disertato dallo Stato (solo sussidio ai congiunti dei richiamati al fronte) – è dalle associazioni di
privati cittadini che si muove l'attività di assistenza, ed educazione delle classi proletarie (questo
però principalmente nelle città). Nelle campagne (2mil e 600mila contadini chiamati al fronte) la
situazione versa in uno stato di abbandono e isolamento totale che da luogo a rivolte continue
(assalto ai municipi, ai forni) per il carovita, la scarsità di approvvigionamenti (solo da settembre
'17 viene applicato il tesseramento sui generi di prima necessità). Le rivolte scoppiano a catena
dalla primavera del '17 anche nelle grandi città (dagli impianti metalmeccanici e siderurgici
coinvolti nella produzione bellica dove ogni diritti precedentemente conquistato sembra di fatto
annullarsi e si lavora a ritmi serrati ed in condizioni disumane per la produzione di armi - Liguria,
Napoli, Terni, Livorno). Il 1° agosto 1917, il Papa denuncia l'inutile strage (Nota ai capi dei popoli
belligeranti, urbis et orbis) chiedendo la risoluzione repentina del conflitto, ciò ebbe un impatto
enorme sul popolo di fedeli e non, che desideravano la fine della guerra. Dopo la Strafexpedition
dell'Austria, Salandra viene sostituito da Paolo Boselli a guida di un nuovo esecutivo di unità
nazionale (sono presenti anche esponenti dell'interventismo socialdemocratico – Bonomi, Bissolati).
Il Psi è l'unico partito europeo che si oppone fortemente al conflitto, anche se al suo interno non è
coeso (A Zimmerwald nel settembre 1915 si erano riuniti i socialisti contrari al conflitto e l'appello
di Lenin a trasformare la guerra in rivoluzione ha qualche eco nella delegazione italiana ma che
vota unita per la mozione per una pace senza annessioni e senza indennità di guerra; nell'aprile '16,
invece, a Kienthal l'ala estrema del Psi si schiera con Lenin che chiede l'abbandono della Seconda
Internazionale) lo scontro tra riformisti e rivoluzionari che destabilizza il partito e la possibile
creazione di un fronte coeso dai democratici ai socialisti. Nell'ottobre 1917, dopo il disastro di
Caporetto, si paventa un ingresso dei socialisti all'interno del nuovo governo di solidarietà nazionale
(ora guidato da Vittorio Emanuele Orlando, che sostituisce Boselli) ma tale ipotesi tramonta in
quanto la minoranza riformista del Psi non ha voluto forzare la mano per paura di provocare una
scissione. Nel gennaio 1918, i massimi dirigenti del Psi (Serrati, Lazzari, Bombacci) finiscono in
carcere dato l'inasprirsi dei controlli sui socialisti, operai, militanti, simpatizzanti e soldati che
congiuravano contro l'intervento. La Russia, con la salita al potere dei bolscevichi (novembre '17)
pone fine al conflitto (vengono pubblicati tutti i trattati stipulati dalla Russia zarista e ciò mette in
luce le mire espansionistiche anche delle potenze alleate); il messaggio lanciato dalla rivoluzione
Russa ha una eco ed un impatto fortissimo di portata mondiale.

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

7. La vittoria
Il 15 dicembre 1917 viene firmato l'armistizio di Brest-Litovsk con il quale la Russia bolscevica
esce dal conflitto e con l'ingresso degli Stati Uniti al fianco dell'Intesa (dopo il 2 aprile 1917), lo
scacchiere che era sembrato riequilibrarsi si compromette fortemente a discapito di Germania,
Austria, Turchia. In Italia il governo Orlando aveva invertito il senso di marcia per quanto riguarda
l'intervento con misure a sostegno dei combattenti e delle loro famiglie, affiancato ad una
propaganda per motivare e giustificare ad un popolo ormai stremato la continuazione del conflitto
(istituiti gli Uffici di Propaganda UP; varati provvedimenti a favore dei combattenti e famiglie:
licenze per lavori nei campi, polizze assicurative sulla vita, sussidi alle vedove, ai mutilati e
invalidi; istituita l'Opera nazionale combattenti; si parla anche di concessioni di terre ai contadini).
Sul piano militare il governo interviene sostituendo il generale Cadorna con Armando Diaz (si passa
da una strategia offensiva ad una difensiva con forte restringimento del fronte). Novembre-
dicembre 1917 l'offensiva austro-ungarica punta allo sfondamento del fronte sul Piave, ma questa
volta gli italiani riescono a resistere (ingenti rifornimenti erano arrivati da Gran Bretagna e Stati
Uniti). Nella primavera del '18 il conflitto si riapre su tutti i fronti (i tedeschi riescono ad arrivare
fino alle porte di Parigi, gli austriaci aprono altro attacco sull'altopiano di Asiago). L'8 agosto 1918
ad Amiens, gli inglesi rompono le linee tedesche, dopo due mesi l'Italia lancia l'offensiva contro le
armate austriache (29 ottobre l'Impero asburgico chiede armistizio; la Germania firma l'armistizio
l'11 novembre). Il presidente americano Woodrow Wilson presenta al Congresso 14 punti che
delineavano i confini della proposta per il riassetto futuro dell'Europa: niente conquiste e annessioni
per i vincitori, frontiere fissate dalla nazionalità (i punti wilsoniani trovano molti consensi ma poi
tradito nel Trattato di Versailes, perderanno la loro carica utopica mostrando contraddizioni e
compromessi). Il governo Orlando apre il dialogo sull'assetto futuro e già nel gennaio '18 aveva
incontrato a Londra Ante Trumbic (presidente del comitato jugoslavo dei croati, sloveni e dalmati in
esilio). Il dialogo continua a Roma nell'aprile '18 - Congresso dei popoli soggetti all'Impero austro-
ungarico – dove avviene l'approvazione del Patto di Roma che in parte sembra accogliere i principi
wilsoniani.

8. Un paese in crescita
L'Italia del dopoguerra risulta un paese diverso, esce dal conflitto come una potenza mondiale – di
secondo rango rispetto agli altri Stati europei – con una capacità produttiva molto superiore rispetto
al passato (permane una situazione di sviluppo scompensato da settore a settore e diverso in base
all'area geografica). Il conflitto ha accelerato il processo di modernizzazione della burocrazia
(meccanismi di gestione più dinamici ma con una dimensione mastodontica e poco semplificativa
dei processi; potere pubblico frammentato). Le industrie del settore metalmeccanico e siderurgico
hanno subito uno sviluppo straordinario con un aumento degli addetti dei colossi Ansaldo, ILVA,
Odero-Orlando, Breda, FIAT. Colossi che si muovono con la stessa logica dei gruppi di capitale
internazionali: gareggiano per il possesso e l'incameramento degli istituti privati di credito e le
imprese. Questo fenomeno mette in luce la estrema fragilità del sistema finanziario italiano
connaturato a un sistema capitalistico disomogeneo (sono presenti casi di eccesso di capacità
produttiva e altrettanti casi di deficienza degli impianti). Un sistema finanziario che ha bisogno
della costante presenza e sostegno dello Stato (vedi salvataggio Banco di Roma nel 1923). Dunque,
accanto ai colossi industriali c'è un panorama sempre più in crescita di nuove aziende, medio-
piccole-piccolissime imprese che mutano all'improvviso il quadro industriale italiano a cui
parallelamente crescono i settori delle professioni, dei tecnici, dei servizi in generale (assieme agli
impiegati dell'amministrazione pubblica, costituiscono il nuovo ceto medio figlio del progresso).
Nel nuovo ceto medio sono comprese anche le donne (non più signore di famiglia ma comprese a
pieno nei più variegati settori: la partenza degli uomini al fronte aveva reso necessario e fisiologico
il rimpiazzo degli stessi in ambiti prima impensabili per una donna) e nel 1919 vi fu l'approvazione
delle legge sulla capacità giuridica delle donne che sancisce la loro ammissione all'esercizio di tutte
le professionalità a pari titolo degli uomini (agosto '19 Elisa Comani Orsi fu la prima donna laureata

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

in giurisprudenza ammessa all'albo dei procuratori) – però va delusa ancora la forte aspettativa del
suffragio. Mentre era in corso la guerra cominciavano a nascere le prime associazioni di ex
combattenti, reduci, invalidi, mutilati. Questo fenomeno – che ha interessato tutti i paesi coinvolti
nel conflitto – in Italia ha assunto fin da subito un forte segno politico (spesso nascevano su
iniziativa di ufficiali dell'esercito o impiegati dell'UP, da sempre appartenenti al fronte interventista.
Dalle fila dell'Associazione nazionale combattenti ANC (Milano, 1919) - si auto-esclusero i
socialisti - L'ANC riuscì a reclutare una base di massa notevole soprattutto tra i contadini grazie alle
rivendicazioni assistenziali, politiche: scuola, giustizia, fisco, assicurazioni sociali, pensioni. Tra le
loro fila si trovano democratici, nazionalisti, futuristi, arditi, mussoliniani). L'Italia stava
progredendo sulla strada di una moderna democrazia anche se con qualche battuta di arresto e
incertezza dettata dalle pulsioni contrarie a questo percorso che si presentano su questo cammino: la
questione di Fiume. Nel gennaio del '19 il presidente americano W. Wilson viene in visita in Italia
(Wilson incarnava la soluzione a molti problemi del paese, in quanto sono i dollari americani ad
impedire alla lira di cadere nel processo dell'inflazione ed è il grano americano a riempire i
magazzini italiani – questa assicurazione impediva di far andare il paese verso il bolscevismo) e
molti erano convinti che da faro delle libertà dei popoli, Wilson avrebbe favorito il processo di
ricongiungimento con la città di Fiume (Impero austro-ungarico dal 1779 fino al 1919, Stato libero
dal 1920 al 1924, Regno d'Italia dal 1924 al 1945, poi Jugoslavia e infine Croazia nel 1991) città a
maggioranza italiana (nel patto di Londra non era stata compresa per grave errore). Per gli Stati
Uniti però la questione era più complessa: l'accordo siglato nel 1915 esprimeva netto contrasto con
la politica wilsoniana odierna, dunque era contraddittorio chiedere il rispetto del patto di Londra e
pretendere contemporaneamente l'annessione di Fiume (assegnata dall'Intesa alla Jugoslavia).

9. La vittoria mutilata
Il 18 gennaio 1919 a Parigi si apre la Conferenza di pace dove si confrontano rappresentanti di 32
paesi, ognuno con il proprio pacchetto di rivendicazioni da fare (la disgregazione degli imperi
multietnici scatena fermenti ovunque ed i movimenti nazionalisti incalzano). Il governo italiano
(Orlando) chiede il rispetto del patto di Londra con l'aggiunta di Fiume, ma Wilson, Lloyd George e
Clemenceau devono tener conto anche degli Jugoslavi (che pretendono la Dalmazia, l'Istria, Trieste
e Gorizia) e la proposta vede Fiume come città a statuto speciale che ne garantisca l'autonomia (ma
sotto il sistema doganale jugoslavo) – Orlando e Sonnino rifiutano la proposta e rientrano in Italia
acclamati: il Parlamento vota a larga maggioranza la linea di politica estera del governo, ma ciò
serve solo a peggiorare il clima e provoca un maggiore isolamento internazionale e questo fa
successivamente ripiegare Orlando e Sonnino ai limiti del patto di Londra (abbandonando la
questione Fiume di fatto, propongono il silenzio e il segreto sulla politica estera ma la Camera si
oppone ed inizia la crisi di governo). Il 23 giugno 1919 Francesco Saverio Nitti (esponente
dell'interventismo democratico) vara il nuovo gabinetto. La situazione che eredita il nuovo governo
risulta molto deteriorata e negli ambienti interventisti – sempre meno compatti – si registra molto
fervore (nel settembre 1918 era nato il periodico Roma futurista di Filippo Tommaso Marinetti, base
per il partito politico futurista – a loro dopo poco si legheranno gli arditi; nel marzo 1919 nascono i
fasci di combattimento di Mussolini). In questi ambienti matura l'idea del colpo di mano per la
presa e l'annessione forzata di Fiume all'Italia, così da mettere davanti al fatto compiuto Stati Uniti,
Francia, Inghilterra e governo italiano. Padre dell'impresa fiumana è D'Annunzio: il 10 settembre a
Saint-Germain, l'Austria firma il trattato di pace (l'Italia riceve Trentino, Alto Adige fino al
Brennero, la Venezia Giulia, Istria e parte della Dalmazia) e due giorni dopo D'Annunzio con un
gruppo di militari ribelli, volontari irredentisti, sindacalisti rivoluzionari, futuristi e arditi arriva alle
porte di Fiume e sfida il generale Pittaluga - di istanza nella città - che non si oppone, viene
proclamata l'annessione di Fiume. Il 13 settembre il governo Nitti condanna l'accaduto e nomina il
generale Badoglio commissario straordinario per la Venezia Giulia con il segreto incarico di
prendere contatti con D'Annunzio. Due mesi dopo D'Annunzio occupa la città di Zara (Jugoslavia) e
la situazione entra in stallo fino al novembre 1920 con la firma del Trattato di Rapallo tra Italia e
Jugoslavia (modifiche confini a favore dell'Italia e cessione della Dalmazia alla Jugoslavia in

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

cambio di tre isole dalmate e la città di Zara – Fiume viene dichiarata città libera anche se per
smobilitare D'Annunzio fu necessario l'intervento dell'esercito).

3 Il crollo dello Stato liberale

1. Il Ppi arbitro del sistema politico


Con il suffragio universale maschile introdotto nel 1913 iniziano a modificarsi gli equilibri politici
del Parlamento che, insieme alle conseguenze del primo conflitto mondiale, determinarono l'avvio
del declino dello Stato liberale. Le condizioni che avevano garantito a Giolitti di far nascere governi
relativamente stabili – anche eterogenei nella composizione – cominciarono a mancare: le pratiche
consociative utilizzate da Giolitti non risultarono più efficaci nel mantenere compatto lo stesso
fronte liberale in condizione di eccezionalità come era quella del dopoguerra. Anche se non vi erano
ancora forze politiche in grado di sostituire i liberali al potere – nonostante la crescita elettorale del
Psi (politiche 1913, 79 seggi) – un ipotetico schieramento con socialisti, radicali e repubblicani (tot
169 seggi) non avrebbe costituito una vera forza di ricambio alternativa ai liberali. Nel 1919 viene
varata una nuova riforma elettorale (dal sistema uninominale si passa al proporzionale) auspicata da
molti proprio come soluzione all'instabilità governativa. La nuova legge avvantaggiava i partiti con
organizzazione di massa (socialisti e cattolici) in quanto favoriva il voto astratto ed impersonale ad
una lista ed un simbolo, facendo saltare in parte quei legami tradizionali di tipo notabile-clientelare
sui quali i liberali avevano fondato – elezione dopo elezione – il loro consenso. Alle elezioni del
novembre 1919 la sconfitta dei liberali è inevitabile: oltre al vistoso rinnovamento della
rappresentanza, i gruppi liberal-democratici arretrano (da 383 seggi del 1913 a 216 + 32 seggi dei
riformisti di Bissolati e i combattenti= 248) non disponendo dunque di una maggioranza per
formare un governo da soli. I socialisti (avanzano 156 seggi) ed i cattolici (primo successo, 100
seggi) che insieme avrebbero la maggioranza, sono non sommabili politicamente in un governo.
Non resta che un accordo tra liberali e popolari. Il Ppi si costituisce il 18 gennaio 1919 (con il lancio
di un Appello al paese e un programma in 12 punti dai contenuti democratici e di istanze
prettamente cattoliche) un vero e partito di integrazione di massa ispirato ai principi della dottrina
sociale della chiesa, dichiaratamente a-confessionale e autonomo dalle gerarchie ecclesiastiche.
Fondato da don Luigi Sturzo insieme a Giovanni Bertini, Giovanni Longinotti, Angelo Mauri,
Remo Vigorelli, Giulio Rondinò, il Partito popolare italiano dovette impegnarsi da subito per il
superamento dell'antica diffidenza del Vaticano verso i modelli di organizzazione partitica e del
principio di democrazia (non expedit: Pio IX, disposizione Santa Sede 1868). Tuttavia, la
disgregazione delle forze liberali e l'avanzata dei socialisti fanno maturare nel pontefice (Benedetto
XV) nei vescovi e cardinali una visione diversa dello strumento partitico: l'unica arma a
disposizione capace di non estromettere la voce della chiesa dalla vita del regno e riportare l'ordine
turbato dai socialisti. Nel febbraio 1919 viene sciolta l'Unione elettorale e sancito il riconoscimento
pontificio del Ppi, nonché abolito il non expedit garantendo la partecipazione alla vita politica dei
cattolici. Il Ppi diventa ago della bilancia del sistema politico e dello stesso governo (Francesco
Saverio Nitti II) entrando di fatto nella maggioranza governativa. In malo modo accettati dai
liberali, costretti in questa alleanza con una nuova forza di altra cultura politica (il popolarismo)
lontana dal liberalismo: i cattolici-liberali sono una minoranza accanto alle correnti clericali
conservatrici e cristiano-sociali. La novità rilevante sta nella nascita di una forza politica importante
alla quale è legata una galassia sociale, simile per certi versi a quella socialista, rimasta sommersa
fin dall'Unità ma che di fatto è costantemente cresciuta (mondo dell'associazionismo cattolico, laico
e religioso, dalle parrocchie all'Azione cattolica, ai militanti del sindacato Cil).

2. Il biennio rosso (1919-1920)


Si acuisce maggiormente la frattura masse-nazione all'indomani del conflitto mondiale: il fronte
interno al paese è logorato da una situazione di oppressione e povertà dettata dall'intervento bellico.
Proletari delle campagne e operai delle città stremati, per i quali la prospettiva invocata dal
patriottismo non aveva significato nulla, anzi, l'intervento dell'Italia nel conflitto aveva messo a

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

nudo il vero volto dello Stato: spietato, non curante della vita del suo popolo che pure si erano
sacrificati per quella causa non riconosciuta, mandando al macello i propri figli. Alla fine del
conflitto sono 1 milione e 148 mila i morti tra i civili (superiore a quello degli altri paesi e quasi pari
al numero di morti sul fronte: 400 mila morti in combattimento, 169 mila per malattia, 100
prigionia; feriti più di 1 mil di cui la metà invalidi). Inoltre, il debito pubblico è quadruplicato, il
reddito nazionale è sceso (da 94 a 75 miliardi) l'inflazione è alle stelle; tutti dati negativi che
ricadono sul tessuto economico sociale del paese, sempre più disomogeneo. L'Italia è un paese
industrializzato ma ancora troppo fragile e arretrato per sostenersi da solo (materie prime acquistate
dall'estero, oltre ai beni di prima necessità; aumenta l'indebitamento verso Stati Uniti e Gran
Bretagna). Nel 1919 cominciano i moti del caro vita (inizialmente in Toscana e Liguria, poi in tutta
la penisola comprese Roma e Milano) che vanno a sommarsi alle proteste sociali delle campagne: in
rivolta i contadini della pianura padana, in Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Puglia e Sicilia (nel
Centro-sud le proteste mutano in vere e proprie occupazioni delle terre del vecchio potere agrario e
dei latifondisti, quasi alla ricerca di un riscatto). Ad animare i movimenti sono folle di reduci guidati
dalle leghe socialiste e cattoliche. Nel settembre 1919, il ministro dell'agricoltura Achille Visocchi
firma un decreto che autorizza l'esproprio di parte delle terre incolte già occupate dai contadini,
autorizzando la violazione di proprietà che però non bastò ad appagare la sete di terre. I proprietari
costretti a questi atti di sottomissione, inveiscono contro il governo Nitti. Anche tra i popolari tirava
vento favorevole alle rivolte. Al congresso del Ppi (1920) viene affermato il principio della
proprietà privata come diritto inviolabile, ma al contempo si sostengono gli espropri dei terreni
incolti o mal coltivati da parte dei contadini per ragioni di pubblica utilità (Cremona, novembre
1920, caso dell'occupazione delle cascine da parte di nuclei bianchi guidati da Guido Miglioli, ala
estrema del popolarismo “populismo contadino”; provincia di Treviso, si formano nello stesso
periodo nuclei di arditi bianchi; le adesioni ai sindacati cattolici crescono ulteriormente: da 63 mila
nel 1914 a 750 mila iscritti nel 1920). Sul fronte delle lotte in fabbrica nel 1919 si fa più fitto il
ricorso allo sciopero e sempre maggiore l'opera di costituzione di consigli di fabbrica (ispirati
all'esperienza russa). Torino, uno dei centri industriali più importanti, roccaforte del proletariato,
diventa laboratorio della rivoluzione: Antonio Gramsci e Angelo Tasca pubblicano Ordine Nuovo
(rivista vicina all'estremismo del sindacato dei metalmeccanici, federazione aderente alla Cgl).
L'insicurezza sale fra gli industriali, i ceti borghesi e gli ambienti degli affari per paura di una
rivoluzione italiana, soprattutto nella primavera del 1920 con lo “sciopero delle lancette” (contro il
ripristino dell'ora legale) a cui seguirono giorni di scontri (in maggio la Fiom di Bruno Buozzi
presenta un pacchetto di rivendicazioni alle quali gli industriali non vogliono cedere). A Milano in
agosto l'Alfa Romeo chiude i cancelli agli operai, i quali rispondono – sotto la guida della Fiom –
con l'occupazione della fabbrica. L'evento ha una larga eco in tutta Italia, in tutte le fabbriche
italiane viene disposta dai padroni la serrata con una conseguente reazione degli operai, che partono
con le occupazioni. Il governo Nitti II, che aveva scelto la linea del non intervento, entra in crisi.
L'esecutivo passa in mano a Giolitti (V) che – convinto dell'inconsistenza dell'ipotesi rivoluzionaria
– non interverrà fino a quando non si paleserà la volontà della Cgl di rimanere sul piano delle
rivendicazioni sindacali. Solo allora Giolitti, in prima persona, siglerà l'accordo che pone fine
all'occupazione delle fabbriche: prevedendo aumenti di salario e forme di controllo operaio.

3. La promessa della rivoluzione


Il biennio rosso, nonostante la radicalità assunta dal conflitto della classe operaia (culmine agosto-
settembre 1920) si chiude senza esiti rivoluzionari. Il ruolo del Psi era apparso molto marginale nel
perseguire tale fine, tanto da poter escludere che vi fosse un effettivo piano e una matura volontà
per Fare come in Russia (1917); anche se il Psi non nasconde i suoi intenti rivoluzionari. Nel
settembre 1918 al congresso del partito – dove sono in maggioranza le correnti rivoluzionarie –
viene ribadito il no alla collaborazione con il governo borghese. Anche nella Cgl (maggioranza
sindacalisti riformisti) prevale un atteggiamento di cautela. La strategia socialista – descritta nel
Manifesto del lavoratori italiani (1918): repubblica socialista, dittatura del proletariato,
socializzazione dei mezzi di produzione – non viene condivisa dalla dirigenza della Cgl (Ludovico

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

D'Aragona) e della maggioranza del gruppo parlamentare del Psi (Filippo Turati, Giuseppe
Emanuele Modigliani). Nel 1919 al Congresso di Bologna prevalgono ancora i massimalisti (Nicola
Bombacci viene eletto segretario, Giacinto Menotti Serrati alla direzione de L'Avanti!; viene
ratificata l'uscita dalla Seconda Internazionale e l'adesione alla Terza Internazionale – Mosca, 1919).
Alle elezioni politiche del 1919 il Psi ha una forte crescita (32,3 % passano da 52 a 156 seggi) con
un parallelo rafforzamento dell'ala massimalista anche all'interno del gruppo parlamentare.
Nonostante la crescita nel 1920 la rivoluzione non divampa, il passaggio dall'occupazione delle
fabbriche a vera e propria invasione non si concretizza: i vertici confederali della Cgl non vogliono
la rivoluzione e anche nel Psi massimalista e comunista vi sono dubbi (molti optarono per il rinvio,
la realtà è l'inesistenza di una vera e propria strategia rivoluzionaria).

4. I fasci di combattimento
Il movimento viene fondato da Benito Mussolini nel marzo del 1919 (erede del fascio d'azione
rivoluzionaria 1914) raccoglie le frange più estreme dell'arditismo e del futurismo nella galassia
nazionalista, avversari naturali del socialismo del Psi (molti ex combattenti, molti giovani studenti).
Il collante che lega questi gruppi sta nelle delusioni della guerra, nella vittoria mutilata; gli odi ed i
risentimenti della frattura neutralismo/interventismo sono ancora vivi. Il programma venne messo a
punto a Milano (Piazza San Sepolcro – Programma di San Sepolcro su Il Popolo d'Italia, 1914), il
23 marzo (alla riunione erano presenti anche esponenti dell'interventismo rivoluzionario –
sindacalisti, anarchici e socialisti – e un gruppo di futuristi di Marinetti). Il programma richiama
confusamente toni aggressivi del nazionalismo e della rivoluzione ai valori della patria e la cultura
politica dei figli della borghesia. C'è l'invito alla rivolta per un'Italia più bella, giovane, giusta e
pura, che lasci indietro l'esperienza politica del vecchio regno. Già nel primo anno di attività i fasci
di combattimento contano numerose adesioni e consensi: al 31 dicembre si contano 31 fasci con
non meno di 900 aderenti. Iniziano gli scontri. Il 15 aprile un corteo di nazionalisti e fascisti si
scontra con una manifestazione socialista a Milano; l'episodio finisce con l'incendio della sede del
giornale L'Avanti!. Nel successivo scontro, in occasione di una manifestazione antimonarchica, i
fascisti aggrediscono un gruppo di deputati del Psi nella piazza di Montecitorio, a cui segue come
reazione uno sciopero di tre giorni. La forza dei socialisti e la loro ostentata sicurezza non mettono
in moto una concreta reazione a questi attacchi. Alle elezioni politiche del 1919 viene presentata la
lista dei fasci di combattimento, ma non raccoglie molti consensi; ciò sembra confermare la visione
socialista di questi gruppi: sicuri del deflusso di essi, con lo spegnersi dei fervori patriottici che
tanto avevano animato il dibattito post-bellico durante tutto il 1919. Mussolini però era consapevole
del fatto che una minoranza rivoluzionaria come quella dei gruppuscoli fascisti non avrebbe
resistito a lungo senza la conquista, l'aggregazione e il consenso di una base di massa. Proprio qui è
da sottolineare l'importanza del ruolo giocato dalla grande proprietà terriera, dagli industriali, dai
poteri forti che si sentivano soggiogati dalle rivendicazioni dei contadini e dagli operai occupati le
loro terre e le loro fabbriche. A offrire loro una soluzione sono i fasci di combattimento di
Mussolini, che spostano la loro ondata repressiva dalle città anche verso le campagne. Nell'autunno
del 1920 si vedono già i segnali di stanchezza dei socialisti (deflusso agitazioni del biennio rosso)
confermato dall'arretramento alle elezioni amministrative. A Bologna nel novembre 1920 si scatena
una forte offensiva antisocialista che si risolve nel sangue (i fascisti vogliono impedire
l'insediamento dei nuovi amministratori a Palazzo Accursio). L'opinione pubblica borghese,
piccolo-borghese (sulla quale aleggia lo spettro della “proletarizzazione” a fronte delle enormi
difficoltà economiche) guarda con favore i fasci di combattimento, gli unici che sono in grado di
fronteggiare concretamente i socialisti; stesso atteggiamento è tenuto dalle autorità locali e dagli
agenti di polizia (che guardano le squadre fasciste come fiancheggiatrici della azione) anche il
governo resta immobile davanti a questi avvenimenti. Uno degli errori che i socialisti si
rinfacceranno (P. Nenni) fu proprio quello di aver abbandonato nelle braccia dei fascisti i ceti
medio-piccoli dalla crisi del dopoguerra, di averli spinti verso la borghesia capitalistica. Tra il 1920
e il 1921 i fasci di combattimento registrano una crescita impetuosa (estate 1921, più di mille). La
strategia era tutta improntata sulla violenza armata in risposta alle richieste di ripristino dell'ordine;

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

a fornire l'armamentario e piccole sovvenzioni erano gli stessi proprietari terrieri. Nei primi sei mesi
del 1921 la devastazione raggiunge livelli impressionanti (solo in Val Padana 276 sedi distrutte tra
Casa del popolo, Camere del lavoro, cooperative, etc. in tutta Italia se ne contano 726).

5. L'illusione della parlamentarizzazione del fascismo


Dopo la crisi del secondo governo Nitti II, sale di nuovo Giolitti (V), che si dota di una
maggioranza più solida (inglobando nel governo figure come Benedetto Croce all'Istruzione, Carlo
Sforza agli Esteri) guadagnandosi la fiducia del Ppi (al quale concede misure tanto attese:
l'introduzione dell'esame di Stato scuole secondarie e la parità dei diritti per le associazioni
sindacali cattoliche) e del Psi rivoluzionario (offre la legge sulla nominatività dei titoli, aumento
tasse successione, avocazione sovraprofitti di guerra allo Stato); così facendo Giolitti sembra
garantire la sopravvivenza dell'esecutivo come in passato: con la mediazione continua. La
situazione però non è la stessa, il gruppo liberale non è più egemone in Parlamento e Giolitti sembra
soffrire molto i condizionamenti alla sua azione di governo; in questo contesto matura la decisione
di Giolitti che prevede una azione di inclusione dei fascisti a sostegno del governo – domati e
ripuliti dalla violenza dopo aver messo ordine nel paese – in sostituzione dei deputati del Ppi.
L'errore di valutazione sta proprio nel non aver capito la natura antiliberale del fascismo, anch'essa
antitetica alle basi dello Stato liberale. Così Giolitti decide di anticipare la fine della legislatura in
virtù del compromesso con Mussolini e della congettura favorevole data dal ripiegamento del
movimento socialista, piegato dall'offensiva squadrista e dalle lacerazioni interne al partito stesso;
perciò il momento pare propizio per ribaltare gli equilibri parlamentari nati nel 1919. Le elezioni si
tengono la primavera del 1921.

6. La nascita del partito comunista d'Italia


Il 21 gennaio del 1921 al XVII° congresso del Psi di Livorno (teatro Goldoni e poi teatro San
Marco) si consuma la frattura che sancirà la nascita del Pcdi sezione della Terza Internazionale
(Gramsci, Amedeo Bordiga, Angelo Tasca, Togliatti, Umberto Terracini) con la scissione della
frangia comunista in polemica verso il partito non capace di fare la rivoluzione: i socialisti italiani,
dopo l'adesione alla Terza Internazionale 1919, non accettarono a pieno i punti posti da Mosca (es.
espulsione riformisti turatiani, sostituzione nome partito, direzione della rivoluzione da parte dei
bolscevichi). Il Psi è sempre stato al suo interno diviso in tante anime (massimalisti, minimalisti,
ministerialisti e rivoluzionari) fino allo scoppio della rivoluzione russa del 1917 era riuscito a
mantenere l'unità. La prima frattura si ha nel 1912 con la guerra di Libia (vengono espulsi i
ministerialisti legati a Bonomi e Bissolati) e con la guerra mondiale (distacco delle frange
rivoluzionarie guidate da Mussolini). Così quando il vento del fare come in Russia comincia a
soffiare più forte, si registra la grande divisione nel partito: maggioranza massimalista contro
minoranza riformista ed i sindacati, che rifiutano esplicitamente la rivoluzione e la prospettiva della
dittatura del proletariato, portandosi dietro le centinaia di migliaia di lavoratori delle fabbriche e dei
campi. Da qui, la frustrazione della frangia comunista che pretende chiarezza dal segretario e
dall'ufficio politico del partito, ma a cui non viene data risposta dalla direzione massimalista del
partito (rifiuta il volere dei bolscevichi russi da un lato ma ribadisce la strategia rivoluzionaria
dall'altro). Il Pcdi viene inserito nei programmi rispondenti a Mosca, l'obiettivo è quello di
promuovere la nascita di partiti comunisti in tutta Europa e nel mondo. Gli scopi più profondi di
Lenin sono ancora molto dibattuti dalla storiografia di diversa matrice: filoni marxisti, sostengono
che Lenin volesse (nel 1920-21) far esplodere rivoluzioni – su modello bolscevico – in altri paesi;
ciò sarebbe stato favorito dalla presenza di partiti comunisti. Altri sostengono invece che la strategia
del leader della rivoluzione fosse inscritta in una cornice di politica difensiva volta a tutelare gli
interessi della Russia (con il fallimento dei moti rivoluzionari in Germania, Ungheria - 1919 –
Lenin vuole spezzare il “cordone sanitario” creato dagli Stati occidentali, rompendo l'isolamento
con la creazione di una rete di partiti, una “quinta colonna” a protezione della Russia; badando bene
a non placare mai i fuochi che alimentavano il sogno della prospettiva rivoluzionaria nel popolo
russo). All'indomani della grave lacerazione il Psi diventa ancor più debole e non riesce a far fronte

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

all'incalzare dei fascisti (dalle campagne di Emilia, Toscana, Veneto, Piemonte, Lombardia lo
squadrismo si sposta nelle città: a Firenze nel febbraio 1921, ci sono duri scontri tra fascisti
fiancheggiatori delle forze dell'ordine e corteo operaio; in aprile tocca Torino). Le ragioni del
comportamento passivo dei dirigenti del Psi e Pcdi, stanno nell'inconsapevolezza, nel percepire la
gravità della situazione e nel non aver capito la matrice profonda dello squadrismo e del fascismo.
Ad ogni assalto il movimento resta incredulo e nello stesso tempo immobile aspettando un
intervento dello Stato per garanzia dell'ordine. Le uniche risposte alle provocazioni fasciste sono i
tradizionali cortei (operai e contadini italiani sono ben lontani dal dare vita a nuclei di milizia che
possano fronteggiare gli squadristi) così permettendo ai fascisti di avere un alibi per l'azione
(ripristino dell'ordine voluto dalla borghesia capitalista e dai grandi proprietari terrieri).

7. I fascisti entrano in Parlamento


Un altro successo per il movimento fascista è l'ingresso in Parlamento al fianco dei liberali (nei
blocchi nazionali). Mussolini coglie al volo l'occasione offertagli da Giolitti. La strategia del leader
liberale si basava sulla convinzione di una possibile parlamentarizzazione del fascismo una volta
entrato nell'area di governo. Ciò avrebbe garantito, da un lato, al fine del dilagare della violenza
(che sì, era servita allo stesso governo per rispondere alle richieste d'ordine e repressione della
sovversione rossa) la connivenza – ormai troppo vistosa – tra forze dell'ordine e squadracce
(avrebbero “appeso la camicia nera e indossato il doppio petto”) dall'altro lato, la costruzione delle
basi per una rivincita elettorale dei liberali, il ribaltamento del risultato del 1919 con la possibilità di
liberarsi del condizionamento dei popolari, imbastendo questa alleanza nei blocchi liberal-fascisti.
Inutile dire che Giolitti si fosse sbagliato su tutta la linea. Per Mussolini tutto ciò significava
superare l'imminente bivio di fronte al quale si sarebbe trovato di lì a poco il movimento, svoltando
di conseguenza verso più proficui e ampi spazi di manovra politica: paradossalmente era lo stesso
straordinario successo degli squadristi (1920, da 20 mila iscritti ai fasci si passa nel 1921 a 250
mila) ad annebbiare il futuro del movimento. Una volta represso il socialismo, il fascismo agrario-
provinciale da combattimento non sarebbe servito più, anzi avrebbe creato problemi alle ormai
crescenti richieste di quiete manifestati tra i borghesi medio-piccoli. Con la partita elettorale del 15
maggio 1921, Mussolini può giocare su due fronti: quello legale, tramite i blocchi nazionali
(Mussolini può così rafforzare il dialogo con i nazionalisti integrati nella dx liberale e dettare lui le
condizioni del dialogo – cominciando dai nomi dei candidati) e quello della violenza, di cui
Mussolini fa largo uso durante la campagna elettorale – ben consapevole di non poter ancora
normalizzare i ras di provincia forti del successo conquistato con gli scontri. Soprattutto sul primo
fronte il leader fascista ottiene ampio successo: i candidati liberali nei listoni (con il fascio littorio)
sono tutti avversari del primo ministro. I risultati elettorali sono deludenti per i liberali: anche se
guadagnano seggi hanno una risicata maggioranza assoluta alla Camera, per la quale risulta pivotale
l'apporto dei deputati fascisti (Blocchi nazionali: 1.260.007 voti, 19,7% e 105 seggi tra cui 35
fascisti). Giolitti dopo il fallimento si dimette e passa la mano a Ivanoe Bonomi (I) che si regge
sulla medesima maggioranza con i popolari. Mussolini decide di non appoggiare l'esecutivo proprio
per evitare la parlamentarizzazione e l'assorbimento, così mantenendo ampio il suo spazio di
manovra.

8. La marcia su Roma
Dopo le elezioni del maggio 1921, le violenze dello squadrismo fascista continuano senza tregua. Il
governo Bonomi non ha la forza di imposi alla Camera per bloccare i fascisti, dx liberale e
nazionalisti. L'unico tentativo, senza esito positivo, è quello della promozione di un patto di
pacificazione tra socialismo e fascismo: disponibili furono i socialisti (decisi a porre fine alle
distruzioni e violenze che colpivano i propri militanti) e lo stesso Mussolini (preoccupato per la
nascita degli Arditi del popolo e per l'allarme scattato con l'episodio di Sarzana, dove le forze
dell'ordine repressero duramente i fascisti, invece di schierarsi dalla loro parte). L'opposizione dei
ras delle province – questa volta decisi ad andare contro il loro capo – impedì a Mussolini di andare
verso la pacificazione. Il leader fascista optò allora per la costruzione di una struttura di partito

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

facilmente governabile dall'alto: nel novembre del 1921 nacque il Pnf (primo segretario Michele
Bianchi, ex sindacalista rivoluzionario). Fin da subito, accanto al partito si cominciarono a
sviluppare anche i sindacati: nel gennaio 1922 nacque la Confederazione Nazionale delle
Corporazioni Sindacali (Cncs). La nascita di queste due strutture è di segno diverso da quello della
dx conservatrice, sembrano addirittura due strumenti con i quali aprire un ponte, instaurare un
dialogo con il popolo rosso dei lavoratori organizzati sotto la Cgl e la Federterra (a testimonianza
della complessità del progetto di Mussolini, finalizzato alla conquista del potere passando
dall'acquisizione di una forte base di massa formata da strati della piccola borghesia, settori più
avanzati del proletariato industriale e agrario. Il principio della sindacalizzazione può penetrare in
tutti questi strati sociali: i ceti medi manifestano adesso – come lo era stato per operai e contadini –
la volontà di strutturarsi in organizzazioni per costruire dei canali di difesa e di partecipazione di cui
sentivano il bisogno e che il Psi e la Cgl non gli avevano saputo/voluto dare, bannandoli con
disprezzo. Mussolini seppe dare risposta a questo bisogno di ascesa sociale e politica). Per superare
l'azione posta dai suoi avversari, Mussolini può giocare la carta delle alleanze con lo schieramento
liberale (la dx dei Blocchi nazionali) cercando di dare rassicurazioni sulla natura conservatrice dei
fasci di combattimento e mostrandosi fiancheggiatore della loro causa (sul Popolo d'Italia, nato nel
1914, scompaiono gli accenti tendenzialmente repubblicani antiborghesi). Questa carta viene
giocata anche verso i vertici del Vaticano (scompaiono i toni anticlericali): la costruzione di questo
ponte con la chiesa è favorito, con la morte di Benedetto XV, dalla salita al soglio pontificio del
cardinale Achille Ratti (Pio XI) meno benevolo verso il Ppi di Sturzo (le aperture fasciste fanno
tirare un vento nuovo all'interno del Vaticano, favorevole ai clerico-moderati, all'aristocrazia
papalina dei grandi proprietari terrieri e agli esponenti della finanza vaticana, da sempre ostili con la
politica del Ppi). A spianare la strada al progetto di Mussolini fu proprio Sturzo che, nel febbraio del
1922, blocca la candidatura di Giolitti alla presidenza del Consiglio (dopo la caduta del governo
Bonomi) pronto a risalire in sella per prendersi la rivincita su Mussolini. Con questa mossa Sturzo
conferma il ruolo condizionante del Ppi nella formazione dei governi. Viene lanciato un governo
guidato da Luigi Facta (I) esponente della corrente giolittiana, che raccoglie il via libera dei
popolari e del gruppo parlamentare fascista. Mussolini può ancora giocare sui due fronti, quello
legale e della violenza: appoggio del nuovo esecutivo significa il nulla osta per sfruttare ancora le
pratiche eversive dei fasci di combattimento (primavera 1922, assalto ai centri urbani di Bologna,
Ravenna, Ferrara, Ancona, Novara, Cremona. I socialisti non reagiscono, anzi si registrano cali
impressionanti di iscritti alla Federterra e l'inizio dell'esodo di molti militanti; anche le leghe
bianche non ne escono indenni). Gli episodi di violenza costano a Facta le dimissioni, anche se –
nonostante ci sia stata la (tardiva) disponibilità di Turati a dar vita ad un esecutivo con i liberali
(dichiarazioni che fanno da preludio ad un'altra scissione: 1° ottobre 1922 viene fondato il Psu)
Vittorio Emanuele III sarà costretto a riconsegnargli l'incarico, a cui conseguirà la formazione di un
secondo gabinetto (Facta II). Le violenze squadriste non si placano: il clamoroso episodio della
colonna di fuoco guidata da Italo Balbo, in cui vennero devastate in una notte le cooperative
riformiste (di Nullo Baldini) nella pianura di Romagna; l'episodio del fallito sciopero generale
proclamato da Alleanza del lavoro il 31 luglio 1922; a Milano viene occupato Palazzo Marino (sede
del comune a maggioranza socialista) e devastata la sede de L'Avanti!; fu la volta di Genova e
Livorno, poi Parma e Bari. Le violenze si placarono solo in agosto, quando Mussolini decise la
smobilitazione: i prefetti ed i questori dei centri più colpiti avevano passato i poteri alle autorità
militari, dunque, Mussolini volle evitare uno scontro diretto esercito-squadristi, anche perché ormai
– piegati i socialisti – l'obiettivo era il governo ed il Parlamento. Perciò la strategia da perseguire
era quella della perpetuazione dell'illusione – ancora viva in molti – di una parlamentarizzazione
imminente del movimento fascista. Mussolini fa di tutto per accreditare questa l'ipotesi della
disponibilità all'appoggio ad un esecutivo, pensando proprio che la prospettiva di un nuovo
ministero Giolitti avrebbe guadagnato la non opposizione di Sturzo e dei riformisti del Psu; oltre al
compiacere degli industriali, la Casa Reale e l'esercito. Le trattative proseguono fino alla brusca
chiusura dettata dalla decisione di Mussolini di scoprire le carte e cambiare piano di gioco: il 24
ottobre a Napoli, il leader del fascismo chiede la presidenza del Consiglio al re minacciando il

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

ricorso allo squadrismo. Scatta così il piano della marcia su Roma: il segretario Michele Bianchi dà
l'avvio alla mobilitazione e all'occupazione della capitale (15 mila fascisti pronti allo scontro con i
12 mila ben più attrezzati uomini della guarnigione romana). Il governo prepara il decreto di stato
d'assedio (28 ottobre 1922) che Vittorio Emanuele III però, non firmerà scegliendo la strada del
compromesso nominando p residente del Consiglio Mussolini. L'esecutivo viene presentato da
Mussolini (interim dell'Interno ed Esteri) il 30 ottobre, composto da: tre ministri fascisti (Alberto
De Stefani, Giovanni Giuriati, Aldo Oviglio) due popolari (Stefano Cavazzoni, Vincenzo Tangorra)
due democratico-sociali (Gabriello Carnazza, Giovanni Antonio Colonna di Cesarò) un liberale
salandrino (Giuseppe De Capitani d'Arzago) un liberale giolittiano (Teofilo Rossi) due militari
(Armando Diaz, Paolo Emilio Thaon di Revel) un indipendente (Giovanni Gentile). Il 16 novembre
il governo si presenta davanti alla Camera – giorno in cui Mussolini pronuncia le celebri parole “mi
son rifiutato di stravincere […] potevo fare di questa Camera un bivacco di manipoli […]. Potevo:
ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto […]” - ottenendo una grande maggioranza; non
votarono la fiducia i socialisti, i comunisti, i repubblicani e sardi.

4 La nascita della dittatura (1922-1929)

1. Mondo economico e fascismo


Poco dopo aver riscosso la fiducia, il governo Mussolini arriva alla piena operatività in materia
economica e amministrativa (dicembre, unificazione ministero del Tesoro con quello delle Finanze
sotto la guida di Alberto De Stefani). Il primo obiettivo è quello di appagare l'appoggio dato dagli
industriali: si raggiunge l'abolizione delle norme sulla nominatività dei titoli azionari, l'eliminazione
del disavanzo statale, abolizione norme avocazione dei profitti di guerra, fine del monopolio statale
su assicurazioni sulla vita e telefoni, salvataggio dell'Ansaldo e del Banco di Roma; tutti
provvedimenti rivolti alla famiglia Perrone (dal 1904 proprietario dell'Ansaldo) ai gruppi cattolici
moderati e finanza vaticana. Ai gruppi industriali, inoltre, è rivolta la politica generale del ministero
di De Stefani, indirizzo liberista molto gradito dalla Confindustria (viene lasciato ampio margine di
profitto all'iniziativa privata riducendo la spesa statale: sfoltimento del pubblico impiego, in
particolare ferrovie e tranvie). Per quanto riguarda il mondo sindacale, il fascismo è riuscito
nell'obiettivo del crollo del potere contrattuale dei sindacati socialisti (diminuzione scioperi,
manifestazioni, vertenze aumenti di salario e sulla diminuzione delle ore di lavoro) il controllo del
sindacalismo fascista stesso. Confindustria (in cambio) riconosce le corporazioni fasciste e nel 1923
viene siglato un patto a Palazzo Chigi che impegna industriali e sindacalisti nell'opera di
armonizzazione del proprio rapporto con le direttive del governo (anche se ancora siamo lontani
dall'ipotesi di monopolio sindacale fascista); inoltre, Mussolini guarda con favore alla prospettiva
dell'incorporazione dei sindacati rossi (e nell'ala riformista della Cgl si apre uno spiraglio alle
avance del presidente del Consiglio). Lo scopo di Mussolini è quello di consolidare quanto più
possibile la sua posizione e il suo potere perpetuando da un lato, l'ipotesi della normalizzazione,
dell'altro, portando rassicurazioni ai grandi industriali (che hanno in mano i maggiori quotidiani
nazionali e sono sensibili a quanto si dice dell'Italia all'estero, sulla stampa straniera: la marcia su
Roma non era stata ben accolta). Dunque, al primo posto nell'agenda politica del governo troviamo
la lotta al deficit del bilancio statale (3 miliardi): De Stefani persegue una politica di compressione
dei consumi, riduzioni fiscali per stimolare investimenti ed esportazioni (in meno di un anno il
debito pubblico si riduce a 700 milioni; nel 1924 si arriva all'avanzo globale di bilancio). Sul
versante dei debiti (di guerra) con l'estero vengono fatti enormi progressi: Mussolini negozia un
calendario di rimborso con Stati Uniti e Gran Bretagna; ciò ha positive ripercussioni sul piano
finanziario dell'Italia e sul piano della fiducia dei creditori internazionali (i quali operano anche un
grande taglio sul debito). L'Italia entra in piena ripresa economica.

2. Lo squadrismo non disarma


Nel gennaio del 1923 venne decretato lo scioglimento delle squadre d'azione da parte del Gran

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

Consiglio del fascismo* e decisa la costituzione di un corpo armato speciale la Milizia volontaria
per la sicurezza nazionale (Mvsn), 1923. In essa confluirono gran parte degli ex squadristi, posti
sotto diretta dipendenza di Mussolini. Nonostante l'inquadramento formale, le violenze
continuarono a perpetrarsi alimentate dai ras locali (Balbo, Farinacci, Sala, Forni, Ricci, Scorza,
ecc.) per niente intenzionati a cedere il potere acquisito. Certo è che il tentativo di Mussolini con la
costituzione della Mvsn era quello di dare un'immagine migliore del fascismo e allo stesso tempo
imbrigliare le forze che avrebbero potuto un giorno avere ambizioni diverse dall'eseguire gli ordini
di Mussolini. Il presidente del Consiglio però, non deteneva ancora la forza necessaria per imporsi
totalmente sulle diverse anime che componevano l'universo fascista e non aveva l'intenzione di
impegnarsi in una logorante battaglia interna, senza la certezza di vincerla e con il rischio di
ingigantire il già nutrito schieramento dei dissidenti. Le continue violenze mettono in ginocchio i
socialisti ed i comunisti: nel 1923 il Pcdi vive già una situazione di semi clandestinità (in febbraio
viene arrestato Amedeo Bordiga insieme all'intero comitato centrale, 72 segretari federali, 41
esponenti delle organizzazioni giovanili del partito. In marzo anche Giacinto Menotti Serrati e
Ruggero Grieco conoscono il carcere; dopo il processo in ottobre, molti di loro vengono messi in
libertà). Neanche ai popolari, nonostante facessero parte dell'esecutivo Mussolini (dicastero del
Tesoro e del Lavoro) venne risparmiata violenza (24 agosto, uccisione del sacerdote don Giovanni
Minzoni). Il Ppi come partner di governo stava pian piano perdendo autorevolezza nel tiepido
dialogo tessuto in questi anni tra Stato e Chiesa, a favore del ponte costruito tra fascismo e Vaticano
grazie all'abilità dello stesso Mussolini. Don Luigi Strurzo viene nettamente scavalcato, tanto che al
congresso del Ppi nell'aprile 1923, il partito risulta spaccato in una dx clericale (riteneva Mussolini
la figura adatta con cui dialogare per la difesa degli interessi religiosi) e una sx democratica
(contrapposta al fascismo): la spaccatura avviene quando Sturzo decide di intraprendere la strada
della fine della collaborazione con il fascismo. Allora, l'ala dx del Ppi (Cesare Nava, Egilberto
Martire, Giulio Paduni, Livio Tovini) decise di dar vita ad un'altra organizzazione il Partito

* Il Gran Consiglio del fascismo fu istituito il 15 dicembre del 1922, quale organo supremo del Pnf e tenne la sua
prima seduta il 12 gennaio 1923 (si riuniva a Palazzo Venezia, Roma, allora sede del capo del governo). Divenne
organo costituzionale del Regno con la legge 9 dicembre 1928, n. 2693, che lo qualificava come “organo supremo
che coordina e integra tutte le attività del regime sorto dalla rivoluzione dell'ottobre 1922”. Tenne la sua ultima
seduta il 24 luglio del 1943, dopo quattro anni di inattività, segno della sua esautorazione, parallela alla progressiva
personalizzazione del potere da parte di Mussolini. Durante tale seduta fu approvato lo storico ordine del giorno
Grandi, al quale seguì la caduta del governo di Mussolini e il suo arresto. Fu soppresso con regio decreto legge 2
agosto 1943, n. 706, entrato in vigore il giorno 5 dello stesso mese.
Struttura: il Gran Consiglio era presieduto dal capo del governo che aveva il potere di convocarlo e di stabilirne
l'ordine del giorno; la carica fu ricoperta, per tutto il tempo in cui fu in attività, da Mussolini. Segretario del Gran
Consiglio era il segretario del Pnf. Secondo la legge 14 dicembre 1929, n. 2099, che sul punto aveva modificato la
legge 2693/1928, ne erano membri di diritto: i quadrunviri della marcia su Roma (Italo Balbo, Emilio De Bono,
Cesare Maria De Vecchi e Michele Bianchi); il presidente del Senato; il presidente della Camera dei deputati (dal
1939 Camera dei fasci e delle corporazioni); il segretario e i due vicesegretari del Pnf; i ministri Segretari di Stato
per gli affari Esteri, per l'interno, per la giustizia, per le finanze, per l'educazione nazionale, per l'agricoltura e le
foreste e per le corporazioni; il comandante generale della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale; il presidente
dell'Accademia d'Italia; il presidente del Tribunale speciale per la sicurezza dello Stato; i presidenti delle
confederazioni nazionali fasciste e delle confederazioni nazionali dei sindacati fascisti dell'industria e
dell'agricoltura. Oltre ai suddetti membri di diritto potevano essere chiamati a far parte del Gran Consiglio ulteriori
componenti nominati con decreto del capo del governo, che duravano in carica un triennio, con la possibilità di
conferma, ma erano in ogni momento revocabili.
Funzioni: il Gran Consiglio deliberava: sulla lista dei deputati da sottoporre al corpo elettorale (poi sostituiti dai
consiglieri della Camera dei Fasci e delle Corporazioni); sugli statuti, gli ordinamenti e le direttive politiche del Pnf.
Oltre a tali funzioni deliberative, il Gran Consiglio aveva funzioni consultive (legge 2693/1928, lo definiva
“consulente ordinario del governo in materia politica”); i suoi pareri non erano vincolanti. Doveva essere sentito su
“tutte le questioni aventi carattere costituzionale” (tra le quali la legge includeva: successione al trono, attribuzioni e
prerogative della Corona, composizione e funzionamento del Gran Consiglio e delle due Camere, attribuzioni e
prerogative del capo del governo, facoltà del potere esecutivo di emanare norme giuridiche, ordinamento
corporativo e sindacale, rapporti fra lo Stato e la Santa Sede, trattati internazionali che importino variazioni al
territorio dello Stato e delle colonie). Spettava infine al Gran Consiglio formare e tenere aggiornate: la lista dei nomi
da presentare al re per la nomina del capo del governo, primo ministro, segretario di Stato, in caso di vacanza
dell'ufficio; la lista dei nomi delle persone idonee ad assumere funzioni di governo. [Wikipedia]

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

nazionale Popolare (Pnp) per proseguire l'opera di fiancheggiamento del governo. Il declino del Ppi
di Sturzo però venne segnato dalla Santa Sede, che con una nota ufficiale del cardinale Pietro
Gasparri, invitò “chi ha a cuore gli interessi religiosi, a non mescolarsi con partiti politici”. Nel
luglio del 1923 Sturzo si dimette da segretario del partito lasciando il gruppo parlamentare senza
guida: ciò determinò l'approvazione della legge Acerbo grazie al voto non compatto del gruppo
parlamentare. La consistenza del dialogo di conciliazione tra fascismo e Chiesa si fa decisamente
più corposa grazie a numerosi provvedimenti varati dal governo Mussolini a suo favore: stesse tasse
per scuole pubbliche e private; crocifisso nelle aule scolastiche e giudiziarie; nell'aprile 1923 va in
porto la riforma Gentile (Giovanni Gentile, pubblica Istruzione) che prevedeva l'introduzione
dell'insegnamento della religione nelle scuole elementari e l'esame di Stato; una delibera del Gran
Consiglio prevedeva l'introduzione dell'insegnamento della religione nelle scuole elementari e
l'esame di Stato; una delibera del Gran Consiglio prevedeva l'incompatibilità tra fascismo e
massoneria; il ministro dell'Economia nazionale Alberto De Stefani attua il salvataggio del Banco di
Roma; inoltre, in una intervista Mussolini si dichiarò profondamente religioso.

3. La legge Acerbo e le elezioni politiche del 1924


La legge Acerbo (Giacomo Acerbo, parlamentare) ha importanza basilare per garantire una
maggioranza al governo Mussolini, ma soprattutto permette di svincolarsi dai popolari e liberali,
ancora troppo forti in Parlamento per lasciare le mani libere a Mussolini e ai suoi deputati (35).
Mussolini è consapevole dei vantaggi che la legge proporzionale dava ai grandi partiti di massa ed
era facile prevedere come – qualora si fosse votato con la legge del 1919 – i cattolici, i socialisti ed i
comunisti avrebbero comunque mantenuto la loro forza e potuto ostacolare la maggioranza di
governo. Infatti, le resistenze più forti alla riforma elettorale arrivavano dai socialisti e da Sturzo;
resistenze che non ne ostacolarono l'approvazione grazie anche all'aiuto della Santa Sede ma
soprattutto, grazie all'inesistenza di una opposizione liberale (le divisioni interne spiegano la
debolezza del gruppo liberale che non vota mai compatto: nel caso specifico, l'avversione verso il
sistema proporzionale fece propendere favorevolmente verso il ritorno all'uninominale).
Sostanzialmente, i liberali ripetono gli errori che avevano già commesso pochi anni prima con
l'aiuto ai fascisti nell'ingresso in Parlamento e con la fiducia al governo Mussolini dopo la marcia
su Roma: al momento della compilazione della lista ministeriale, sotto il simbolo del fascio littorio
(come nel 1921) si presentarono candidature di prestigio dello schieramento liberale (Orlando, De
Nicola, Salandra, ecc.). Molti esponenti della vecchia classe dirigente liberale interpretarono il voto
al fascismo come volontà continuatrice della tradizione liberale risorgimentale, ormai esaurita e
bisognosa di nuova linfa vitale. Molti altri invece, lessero tra le righe della fiducia a Mussolini, la
presenza di un cancro da estirpare previo la distruzione di tutto il sistema. Giovanni Amendola si
fece padre di un progetto politico che si prefiggeva proprio questo compito: con la nascita
dell'Unione nazionale – novembre 1924 - Amendola puntava a far crescere un fronte di opposizione
al fascismo nel Mezzogiorno. Un movimento di stampo democratico. Quella che si rivelò poi una
illusione per Amendola, partiva dalla convinzione che dal Sud - grazie all'impermeabilità di questi
territori alla penetrazione fascista e le enormi difficoltà dimostrate da Psi e Ppi, nel tentativo di farvi
crescere i propri consensi – potesse partire la controffensiva democratica incanalata nel partito del
ceto medio. La realtà però era ben lontana dalle possibilità di realizzazione di tale impresa: il
proletariato del Sud era troppo lontano dalla politica (impensabile era l'iscrizione in massa ad un
partito, vista la situazione arretrata in cui versava questa parte d'Italia e l'inesistenza di un processo
di politicizzazione avanzato dalle masse stesse); il ceto medio meridionale – l'ossatura del progetto
di Amendola - era legato indissolubilmente a pratiche di conformismo, di perseguimento di interessi
particolari e ben avvezzi al cambiamento, alla sovversione dell'ordine tradizionale delle cose. Non
vi era riuscito il fascismo degli esordi per la mentalità rivoluzionaria e troppo aggressiva, non riuscì
nemmeno Amendola. Il Mussolini: superato in parte il fervore degli esordi (almeno di facciata o se
si vuole, negli intenti più prossimi della presunta normalizzazione del fenomeno) e soprattutto con
la conquista del governo da parte del nuovo fascismo, il meridione indossò ancora una volta i panni
del sostegno al governo. La campagna elettorale in occasione delle politiche del 6 aprile 1924, si

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

apre con un'altra ondata di violenze squadriste, soprattutto al Centro e al Sud della penisola.
Accanto a tutto ciò, viene mostrato il volto legale, garantito grazie ai candidati liberali di spicco
(Salandra, Orlando, ecc.). I risultati attestano il largo successo della lista governativa (64,9% dei
voti, pari al 41% dei votanti) che con il premio di maggioranza conquistano 375 seggi (275 sono
iscritti al Pnf, in media hanno meno di quarant'anni e provengono dalla media e piccola borghesia).
Nell'opposizione – tranne repubblicani e comunisti – vedono dimezzarsi i consensi (tot. 161
parlamentari, pari al 35,1% dei votanti): nelle regioni settentrionali le liste antifasciste raccolgono
complessivamente più voti dei fascisti (tengono Psu, Psi e Pcdi con 24, 22 e 19 seggi; arretrano
molto i popolari, da 107 seggi del 1921 a 39 – tot. 104) a testimoniare l'avvenuto cambiamento del
voto al fascismo: nato e cresciuto nel Nord, adesso vince con i voti del Centro-sud.

4. Il delitto Matteotti e l'Aventino


Alla riapertura della nuova Camera l'On. Giacomo Matteotti dalle file del Psu, denuncia le violenze
ed i brogli di cui i fascisti hanno fatto largo uso nella campagna elettorale; si uniscono nella protesta
Amendola con la pattuglia di 14 deputati, insieme a 10 democratici-sociali di Giovanni Antonio
Colonna di Cesarò. Il 10 giugno 1924, Giacomo Matteotti viene rapito e ucciso (sul lungotevere
Arnaldo da Brescia) da una squadraccia fascista (il cadavere viene nascosto sulla via Flaminia, dove
verrà ritrovato circa un mese dopo, il 16 agosto). La notizia fa scatenare una tempesta, il sospetto
cade subito sui fascisti e Mussolini è costretto a intervenire in Parlamento (13 giugno). Nel suo
intervento viene ancora una volta percorsa la strada delle rassicurazioni e dell'impegno diretto del
governo nelle indagini. Tutto ciò non sembra bastare ed i gruppi parlamentari di opposizione (meno
i liberali) si organizzano in un comitato per decidere un'azione comune: i comunisti puntano allo
sciopero generale, opzione respinta dalla Cgl e antifascisti moderati; Amendola, Bonomi ed i demo-
sociali auspicano l'intervento del re per le dimissioni del governo. Nonostante siano fortemente
divisi gli antifascisti stanno per infliggere un duro colpo al fascismo, che si trova nella fase più
difficile della sua storia: l'opinione pubblica sembra rispondere indignata, si registra un mutato
atteggiamento sui maggiori giornali (Corriere della Sera di Albertini) e soprattutto si cominciano a
formare le prime crepe all'interno della compagine governativa (i ministri De Stefani, Oviglio,
Federzoni, Gentile, presentano le dimissioni). Le indagini intanto proseguono facendo emergere
l'ormai evidente matrice fascista del rapimento (nell'automobile c'erano cinque assassini di cui
quattro erano noti arditi milanesi e uno squadrista toscano, Amerigo Duini; la vettura risultò di
proprietà di Filippo Filippelli, direttore del Corriere italiano; coinvolti negli alti ranghi sono Aldo
Finzi, sottosegretario all'Interno, Cesare Rossi, capo ufficio stampa della presidenza del Consiglio,
il questore e capo della polizia di Roma; lo stesso Mussolini fa un passo indietro cedendo a
Federzoni il dicastero dell'Interno; viene arrestato il segretario amministrativo del Pnf , Giovanni
Marinelli). Il 24 giugno Mussolini si presenta davanti alle Camere e nonostante tutto incassa la
fiducia al governo grazie all'ampia maggioranza composta grazie alla legge Acerbo. Il 27 giugno i
gruppi delle opposizioni si riuniscono a Montecitorio e approvano una mozione che li impegna a
non partecipare ai lavori della Camera fino alla formazione di un nuovo esecutivo, scioglimento
della milizia, ripristino della legalità. I deputati antifascisti si ritirano sull'Aventino delle loro
coscienze (un richiamo storico alla secessio plebis, la secessione dei plebei sul colle romano
dell'Aventino*). Mussolini sceglie però di non raccogliere la sfida dei parlamentari e li ignora (cosa
resa più facile dalle ferie estive del Parlamento). Inoltre, c'è il tentativo di far calare velocemente il
sipario su questo caso e per far ciò si accende la mai spenta macchina di censura fascista: nel 1923
Mussolini era riuscito ad approvare un pacchetto di misure restrittive della libertà di stampa
(vengono colpiti tutti quei giornali che fanno eco alla battaglia aventiniana come Il Mondo di
Amendola, Il Popolo di Donati e Sturzo, La Giustizia del Psu, L'Avanti! e L'Unità) i prefetti hanno
la facoltà di censurare e sopprimere tutte le pubblicazioni che avessero remato contro il governo. Il
16 agosto viene ritrovato il cadavere di Matteotti e neppure allora l'opposizione si decide a cambiare

* tra il V ed il III secolo a.C. fu una forma di lotta adottata dai plebei contro i patrizi, che abbandonavano la città
lasciando chiusi i negozi e le attività da loro guidate, per ottenere una parificazione di diritti. La prima secessione si
tenne nel 494 a.C.

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

tattica: restare sull'Aventino perpetrando la strategia della protesta legale, sembrava la strada
migliore per spingere i fiancheggiatori ad abbandonare il governo Mussolini (dei 365 deputati della
maggioranza circa un'ottantina non sono iscritti al Pnf, a cui aggiungere il gruppo di 19 membri
eletti nelle liste fiancheggiatrici del fascismo e una pattuglia di 15 liberali giolittiani - se tutti questi
fossero passati con l'opposizione non sarebbero certo bastati a far capitolare il governo ma lo
avrebbero messo sicuramente in forte difficoltà). Non tutto il fronte delle opposizioni era concorde
sulla strategia aventiniana, il Pcdi per primo ma anche molti socialisti e democratici: non ritenevano
giusto lasciare in mano ai liberali – la vecchia e sclerotica classe dirigente – l'onere della pesante
soluzione; c'era bisogno di uscire nelle strade a protestare coinvolgendo l'intera popolazione. Alla
riapertura della Camera a Montecitorio, deciso di abbandonare l'Aventino, si presentarono in aula
solo i comunisti*. Qualcosa però si stava muovendo nel fronte liberale e non solo: Giolitti decide di
schierarsi contro il governo; Ettore Conti (Confindustria) esprime il disagio della sua categoria; il
generale Gaetano Giardino si fa portavoce del malessere diffuso nell'esercito; in dicembre arrivano
le dimissioni di Salandra dalla presidenza della commissione bilancio della Camera; infine, su Il
Mondo vengono pubblicati stralci del memoriale di Cesare Rossi (ex capo ufficio stampa presidenza
del Consiglio) in cui sembra saltare fuori la diretta responsabilità di Mussolini nell'omicidio
Matteotti. Mentre la strategia aventiniana sembra cominciare a dare i suoi primi frutti, il 3 gennaio
1925, Mussolini si presenta alla Camera e pronuncia un discorso in cui si assume tutte le
responsabilità del delitto al deputato socialista; anche se questa ammissione presenta ancora molti
dubbi sotto il profilo storico*'. Il resto del discorso di Mussolini alla Camera conferma la volontà
concreta di porre fine allo Stato di diritto e al sistema liberale. Alle parole segue subito l'azione
concreta e diretta: viene dato l'ordine ai prefetti di impedire qualsiasi manifestazione pubblica e
posti sotto stretto controllo circoli, ritrovi e gruppi di potenziali sovvertitori; il 12 gennaio seguono
altre limitazioni per la libertà di associazione tramite decreto legge. In contemporanea, Mussolini
riprende in mano l'opera di riorganizzazione delle fila fasciste: il Pnf (nuovo segretario Roberto
Farinacci) e l'Associazione nazionale combattenti, sono colpiti da una grande operazione di
epurazione. Con una legge del giugno 1925 veniva prevista la possibilità di allontanamento di tutti i
funzionari pubblici che non avessero dimostrato fedeltà e adempiuto al dovere di applicazione ceca
delle direttive date dal governo centrale. Arrivati a questo punto il solo che adesso avrebbe potuto
fermare Mussolini era Vittorio Emanuele III, che però non rispose all'appello delle opposizioni (in
ricevimento dallo stesso) nel voler dimissionare Mussolini e rompere la svolta dittatoriale
imminente. Il re aveva certo giudicato gravi i fatti del delitto Matteotti e le continue violenze
fasciste, ma non tali da poterlo indurre a percorrere la strada delle dimissioni forzate del Capo della
banda, convinto che ciò avrebbe provocato lo scoppio di una guerra civile tra fascisti in rivolta nelle
piazze contro i comunisti ormai intolleranti e pronti ad agire vista l'enorme forza acquistata rispetto
al 1922. Inoltre, il re si sente poco rassicurato dall'appello di Amendola della volontà di mantenere
l'ordine pubblico qualora avesse agito in tal senso, in contrasto con Mussolini. A convincere il
monarca intervenne soprattutto un provvedimento nel 1925 con il quale si istituiva la Commissione
dei 18 o dei Soloni: una delle commissioni per le riforme costituzionali (composta anche dai
membri della prima, la Commissione dei 15: 5 senatori, 5 deputati, 5 studiosi, presieduta da
Giovanni Gentile e interna al Pnf, che lavora negli ultimi mesi del 1924; ne diventa leader Santi
Romano) che avrebbe potuto intervenire direttamente sui poteri del re e sull'istituto della Corona.

5. La sconfitta degli antifascisti

* Secondo la Colarizzi, una mobilitazione del paese avrebbe sortito l'effetto opposto a quello sperato dall'opposizione
in Parlamento, dove i liberali ed i fiancheggiatori di Mussolini – per scampare al pericolo rosso – avrebbero fatto
muro intorno al governo.
*' Per il delitto Matteotti sono stati celebrati tre processi di cui il primo, nel marzo 1926, si concluse con la condanna
di tre dei cinque esecutori materiali, quattro di questi poi condonati per amnistia. Gli altri processi si tennero dopo la
seconda guerra mondiale. Dalle risultanze processuali viene confermato il quadro criminoso già delineato in
precedenza. Recentemente, alcune ricerche hanno messo in luce aspetti inediti, - affaristici e criminali – della
vicenda: Matteotti sarebbe stato ucciso perché in possesso di materiale provante la corruzione del fascismo in un
giro di tangenti nella provincia di Rovigo.

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

Il dissenso verso l'Aventino si diffonde a macchia d'olio nel fronte della stessa opposizione,
espresso in primo luogo dal Pcdi ma anche da molti socialisti e dai giovani antifascisti. Risulta
incomprensibile per molti di loro la passività di socialisti, popolari, democratici e liberali che hanno
addirittura votato la fiducia al primo governo Mussolini. Su questo fronte, troviamo i nomi di Carlo
e Nello Rosselli, Ernesto Rossi e Nello Traquandi (il dibattito su questo tema si svolge soprattutto
sulle riviste Non mollare di Salvemini e Il Quarto Stato di Carlo Rosselli, fondata nel 1926).
Sempre in questo periodo si apre una stagione di complotti e attentati alla vita di Mussolini: 1925, il
deputato socialista Tito Zaniboni e il generale Luigi Capello vengono arrestati, sospettati di voler
attentare alla via del capo del governo; nel 1926 Mussolini viene ferito di striscio da un proiettile
esploso dall'irlandese Violet Gibson; nello stesso anno, l'anarchico Gino Lucetti lancia una bomba
contro l'automobile di Mussolini, che ne esce illeso; segue il tentativo di un altro anarchico, Anteo
Zamboni. I frequenti attentati diventano l'occasione per dare il colpo di grazia alle opposizioni. Tra
il 1924 e 1926, i più autorevoli esponenti dell'opposizione antifascista scompaiono dalla scena: Nitti
in esilio in Francia, Sturzo a Londra, Giuseppe Donati e poi Salvemini; muoiono in Francia, dopo le
percosse fasciste subite, Gobetti e Amendola; esule anche Carlo Sforza. L'esodo diventa sempre più
massiccio dal 1926, dopo la promulgazione delle leggi speciali per la difesa dello Stato: Treves,
Saragat, Nenni, e l'anziano Turati (aiutato nell'espatrio clandestino da Rosseli, Parri, Pertini e altri,
che pagheranno il loro gesto con il carcere). Il 5 novembre 1926, il governo adotta provvedimenti
atti allo scioglimento di tutti i partiti, le organizzazioni e associazioni in opposizione al fascismo,
con pene severe per la loro ricostruzione; viene istituito il confino di polizia, introdotta la pena di
morte per gli attentatori alla vita del re, regina, principe e capo del governo; viene prevista l'entrata
in funzione del Tribunale speciale per la difesa dello Stato (inizia la sua attività il primo febbraio
1927, giudica i reati di spionaggio, incitamento alla guerra civile, ricostituzione partiti sciolti,
propaganda contro il regime; esso applica le norme del Codice pena militare di guerra e alle sue
sentenze non si può presentare appello). In stretta collaborazione con questo tribunale, l'Ovra
Organizzazione per la vigilanza e la repressione antifascista (ipotesi del significato della sigla) la
polizia riorganizzata nel 1927 da Arturo Bocchini. Dal 1926, parte un'onda di arresti importanti tra
le fila dell'antifascismo: Antonio Gramsci (nonostante goda dell'immunità parlamentare, viene
rinchiuso a Regina Coeli) e l'intero gruppo di deputati del Pcdi (1928 si celebrano i processi, tutti
con condanne pesanti). Nel 1927 è la volta di Alcide De Gasperi (incarcerato e messo in libertà
l'anno successivo su pressioni della Santa Sede); il confino tocca poi a Domizio Torrigiani
(Massoneria). Liberatosi dalla presenza fisica degli avversari, Mussolini deve impedire che la loro
voce abbia comunque eco sull'opinione pubblica: impedendo pubblicazioni dei giornali
dell'opposizione (1923-24 non arrivano più in edicola). Atteggiamento più cauto si ha nei confronti
dei grandi quotidiani nazionali (La Stampa, Corriere della Sera, Il Mattino) le testate legate ai
grandi industriali, che hanno larga influenza sull'opinione pubblica borghese in Italia e all'estero.

6. Il regime fascista si consolida


1925, non c'è ancora il pieno sostegno del mondo industriale/imprenditoriale al fascismo (manifesta
incertezza sui grandi quotidiani nazionali di proprietà dei grandi industriali; la Confindustria aveva
fatto monito per la normalizzazione della vita politica dopo il delitto Matteotti, 1924). Mussolini
doveva ottenere a tutti i costi il sostegno di questi settori: il governo aveva varato provvedimenti in
materia di riordino del settore bancario, assai sgraditi dagli industriali (De Stefani e Nava).
Mussolini fece pressioni sui ministeri per il ritiro dei provvedimenti (sostituendo con ministri
graditi agli ambienti industriali: Volpi di Misurata e Belluzzo). Il favore dei grandi proprietari
terrieri arrivò con il il ripristino del dazio sul grano (inaugurando la fase della battaglia sul grano).
A vantaggio di Mussolini gioca anche la ripresa delle lotte nelle fabbriche: la paura degli
imprenditori per un nuovo biennio rosso (1919-21) lega con maggiore forza questi settori al
fascismo garante dell'ordine. Compiuti questi passi, si aprì la strada per far finire Confindustria
nelle braccia del fascismo: nel 1925 viene siglato il patto con il fascismo (Patto di palazzo Vidoni)
dove c'è il riconoscimento reciproco con le corporazioni quali rappresentanti del mondo del lavoro.
Nel 1927 con la Carta del lavoro vengono ampliate tutte le disposizioni atte a limitare l'esercizio

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

dei diritti sindacali (dei sindacati prefascisti); la Cgl viene sciolta. Conquistati gli industriali, la
sottomissione dei loro quotidiani di riferimento diventa più facile: vengono rimossi direttori
(Frassati, Albertini) e scelte direzioni in linea con l'indirizzo fascista. L'appiattimento della quasi
totalità dei quotidiani all'indirizzo del governo provoca deficit di credibilità stessa (le testate
perdono le più importanti firme, effetto avversato da Mussolini che avrebbe voluto ottenere anche la
benedizione degli intellettuali italiani, per smentire l'incompatibilità dell'accostamento del mondo
intellettuale con il pensiero fascista).

7. Fascismo, cultura e società (NO)

8. La Conciliazione tra Stato fascista e Chiesa cattolica


Mussolini – nell'ottica della conciliazione tra Stato fascista e Chiesa cattolica – aveva cercato
garanzie e l'assenso della Santa Sede per la conquista del potere in primo luogo, per mettere fuori
gioco l'opposizione del Ppi in secondo luogo (soprattutto al momento dell'approvazione della legge
Acerbo). Il Vaticano aveva sempre risposto positivamente alle avance di Mussolini, anche nei
momenti più duri in cui il fascismo ha rischiato di toccare il fondo. La Santa Sede non ha fatto passi
indietro quando si è trattato di lasciare al proprio destino il partito di Sturzo e il popolarismo (luglio
1923, Sturzo costretto alle dimissioni, nel 1924 viene nominato segretario De Gasperi che sceglie la
strada dell'Aventino, nel 1925 si ha l'ultimo congresso dei popolari, 1926 i cattolici abbandonano
l'Aventino e ritornano alla Camera): nel settembre 1924 infatti, in un discorso di Pio XI (davanti
agli studenti della Fuci – Federazione universitaria cattolica italiana) viene ribadita
l'incompatibilità tra cattolici e socialisti; una sconfessione piena del Ppi che collabora con Psu e Psi
nell'esperienza aventiniana. La Santa Sede era convinta di aver trovato con il fascismo l'occasione
adatta per ricostruire lo Stato italiano conformemente ai principi della religione cattolica e chiudere
finalmente quel contenzioso che risale al 1870. Le trattative cominciano nell'agosto del 1926 tra il
consigliere di Stato Domenico Barone e l'avvocato Francesco Pacelli. Ad agevolare la strada delle
trattative interviene direttamente il governo Mussolini con provvedimenti a favore della Chiesa:
novembre 1926, le leggi che travolgono tutto l'associazionismo politico-sindacale dei cattolici-
popolari ma non le organizzazioni ecclesiastiche (vivono un periodo di forte espansione: Uomini
Cattolici nel 1923 sono circa seimila, nel 1926 si contano oltre i quarantamila; gennaio 1927, la
Gioventù cattolica conta circa duecentomila giovani). Sia la Chiesa che il fascismo, lottano
instancabilmente per guadagnare terreno nel campo dell'istruzione e dell'educazione delle nuove
generazioni, facendone il vero e proprio campo di battaglia. In ottobre 1928, il re delega Mussolini
per stipulare l'accordo finale con il cardinale Gasparri: 11 febbraio vengono firmati gli atti ufficiali,
i Patti lateranensi ed il Concordato* mettendo fine alla questione romana ed eliminando l'ultima
riserva giuridica all'unità nazionale (la ratifica arriva dal Parlamento: alla Camera 317 favorevoli e
due contrari; al Senato ci sono più oppositori – 6 – appartenenti alla vecchia classe liberale:
esponenti di spicco come Albertini, Croce, Bergamini, Paternò di Serra, Ruffini e Sinibaldi).
Concedendo alla Chiesa quello che il regime liberale non avrebbe probabilmente mai concesso –
disciplina dei matrimoni e insegnamento religioso – il fascismo cerca un avallo ufficiale di fronte
agli italiani e all'estero (molte voci screditanti vengono dagli esuli antifascisti che denunciano la
natura liberticida del regime fascista di fronte all'opinione pubblica estera). Certo, è pur vero che la
Chiesa in fondo, non è rimasta del tutto indifferente alle voci di protesta di quei fedeli interdetti

* I Patti Lateranensi consistono in tre distinti documenti: il primo riconosce l'indipendenza e la sovranità della Santa
Sede che fondava lo Stato della Città del Vaticano; secondo: la "Convenzione Finanziaria" che prevedeva un
risarcimento di 750 milioni di lire a beneficio della Chiesa. Regolava cioè le questioni sorte dopo le spoliazioni degli
enti ecclesiastici a causa delle leggi eversive; e terzo: il Concordato che definiva le relazioni civili e religiose in Italia
tra la Chiesa e il governo (prima d'allora, cioè dalla nascita del Regno d'Italia, sintetizzate nel motto: «libera Chiesa in
libero Stato»). È stata inoltre prevista l'esenzione, al nuovo Stato denominato «Città del Vaticano», dalle tasse e dai dazi
sulle merci importate e il risarcimento di "1 miliardo e 750 milioni di lire e di ulteriori titoli di Stato consolidati al 5 per
cento al portatore, per un valore nominale di un miliardo di lire", per i danni finanziari subiti dallo Stato pontificio in
seguito alla fine del potere temporale.

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

nell'adesione al fascismo dai loro ideali politici, ma allo stesso tempo confermanti la loro fede e
obbedienza al Papa. Le gerarchie ecclesiastiche – nonostante le grandi contraddizioni – seppero
muoversi verso la volontà di tutela e di ricomposizione di questa frattura con il popolarismo,
aprendo le porte ai suoi esponenti naufraghi del Ppi (De Gasperi e lo stesso Sturzo per esempio).
Rispetto a tutti gli altri antifascisti – costretti alla clandestinità e all'esilio – i cattolici hanno avuto
l'opportunità di continuare la loro azione politica protetti dalla Chiesa e ciò ha permesso loro di
preparare le nuove élites che, dopo il fascismo, avrebbero costituito la nuova classe dirigente a
guida dello Stato. Dunque, l'adesione della Chiesa al fascismo va letta necessariamente con due
chiavi: una in termini di lungo periodo, per la quale fa fede il progetto di dotazione degli strumenti
necessari per esercitare un ruolo egemone nello Stato; la seconda chiave di lettura, riferita al breve
periodo, porta alla lettura del fascismo come soluzione dei problemi a cui il regime liberale non ha
saputo dare risposte: l'incapacità di mantenere l'ordine, conservare i principi morali in uno Stato in
profondo cambiamento verso una nuova modernità stridente con le prerogative delle gerarchie
ecclesiastiche, in contrasto con la stessa visione del mondo della Chiesa. Ecco perché il Vaticano
plaude alle iniziative del fascismo come la battaglia del grano* nell'ottica di una ruralizzazione e
rilancio del modello di paese contadino, oppure per il rilancio della campagna demografica del
1927. La Chiesa aveva trovato un regime disposto a portare avanti il trinomio Dio, Patria, Famiglia
e la Santa Sede ricambiò ulteriormente il favore spingendo – il 13 marzo 1929 – l'Azione cattolica
verso il voto per il fascismo. Nelle elezioni del 1929 abbiamo un sistema elettorale nuovo per il
rinnovo della Camera (legge elettorale 1927 in sostituzione alla legge Acerbo: viene preferito un
collegio nazionale unico e una sola lista di candidati redatta dal Gran Consiglio su indicazione dei
datori di lavoro e dei lavoratori, i votanti possono esprimere un sì o un no per l'accettazione o il
rifiuto in blocco della lista). Circa 9 mil e mezzo di italiani erano aventi diritto (12 mil erano nel
1924) il risultato fu un plebiscito per i fascisti: più di 8 mil furono i voti che raccolse, pari al 98,4%
dei voti validi (i no erano circa centomila, l'1,6%).

5 Lo Stato totalitario (1929-1939)

1. Stato fascista ed economia: dalla politica della quota 90 alla grande crisi
In tutta Europa si abbatte la crisi economica iniziata nell'ottobre del 1929 negli Stati Uniti con il
crollo di Wall Street. In Italia, Mussolini riuscirà a mantenere il suo potere nonostante l'economia
italiana non sia rimasta immune dagli effetti recessivi, aumento dei fallimenti, crescita della
disoccupazione, diminuzione delle entrate dello Stato. Tra il 1928 e 1929, gli italiani cominciano a
credere in una illusoria ripresa dopo tanti sacrifici imposti dagli indirizzi politico-economici volti
alla stabilizzazione e alla rivalutazione della lira (indirizzi perseguiti fin dal primo governo
Mussolini con De Stefani e poi Giuseppe Volpi) al prezzo di una forte deflazione (diminuzione del
livello generale dei prezzi). In questo quadro si inserisce l'obiettivo quota 90 (una politica di
rafforzamento della lira segnato dal traguardo di 90 lire per una sterlina inglese): tale linea è
giustificata dalla volontà di rilancio del ruolo internazionale dell'Italia come interlocutore all'altezza
delle grandi potenze e di imporre l'autorità fascista a industriali, proprietari e banchieri. Nel 1926
viene inaugurata la politica dell'austerità: blocco delle costruzioni di abitazioni di lusso (per un
anno) vietata l'apertura di nuovi locali notturni e bar, riduzione del numero delle pagine dei giornali
(6 pgg.) imposizione nell'utilizzo di miscela benzina-alcool per le automobili, aumento di un'ora di
lavoro al giorno per operai e impiegati, tagli indennità, carovita e salari (1927, il governo decide
una riduzione generale dei salari dei dipendenti pubblici, a cui segue una diminuzione del salario
degli operai voluta dagli industriali; pari perdite si registrano per i contadini: Augusto Turati –
nuovo segretario del Pnf – sollecita i proprietari terrieri a ridurre le paghe per alimentare il processo
* Nel 1925 il Regno d'Italia risultava importatore netto di 25 milioni di quintali di frumento, su un consumo totale di
75 milioni di quintali. Per ribaltare questa situazione, provocante un enorme passivo nella bilancia commerciale
italiana, venne studiata la Battaglia del grano, campagna che aveva lo scopo di far raggiungere la completa
autosufficienza dall'estero di questa fondamentale fonte alimentare per la nazione, nell'ambito della politica
autarchica inaugurata dal regime. La campagna venne proclamata durante la seduta notturna della Camera del 20
giugno 1925.

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

deflattivo dei generi alimentari) diminuzione dei canoni d'affitto e alleggerimento del prelievo
fiscale. Accanto a questi provvedimenti troviamo anche una ridefinizione del ruolo della Banca
d'Italia (diventata banca centrale con possibilità di emissione di biglietti bancari e poteri di controllo
sul sistema di credito). Il primo effetto di queste politiche è la deflazione che fa aumentare il potere
d'acquisto degli stipendi, nonché una sempre maggiore stabilità della lira dota di maggiore forza i
risparmi della piccola borghesia, estinguendo la paura della perdita del proprio status quo: il
fascismo era riuscito a difendere lo stile di vita della piccola borghesia italiana, allontanando il
pericolo della proletarizzazione, dell'essere confusi con il mondo operaio. In questo periodo si
consolida la pratica dell'intervento pubblico dello Stato in economia (lo Stato si impone sempre
come maggiore cliente dell'imprenditoria privata: commesse per le infrastrutture, esercito, opere di
bonifica, ecc.) ciò preoccupa molto il mondo industriale a maggior ragione con la crisi del 1929,
con la quale questa tendenza sembra andata a rafforzarsi. Tuttavia, tra il 1926 ed il 1929, gli
imprenditori maturano la consapevolezza della necessità di sacrifici per dare forza e stabilità alla
moneta in modo da ottenere la ripresa del commercio con l'estero. Tali sforzi avevano portato
enormi vantaggi in termini di pace sociale, abbassamento dei salari, sgravi tributari e maggior
autonomia degli industriali nella gestione delle loro aziende. Il trend positivo viene bloccato con il
crollo di Wall Street del 1929, che apre un nuovo periodo di profonda crisi (1930, la quotazione dei
titoli azionari crolla del 40%). La mano dello Stato è sempre più visibile nei suoi interventi in
soccorso degli stessi imprenditori dell'industria: 1931, viene costituito l'Imi (Istituto italiano
immobiliare) per il riordino del sistema bancario (la Cassa depositi e prestiti, l'Ina, la Cassa
nazionale assicurazioni sociali, il Banco di Napoli, il Banco di Sicilia, altre compagnie di
assicurazioni e casse di risparmio sottoscrivono un capitale di oltre mezzo miliardo di lire,
costituente un fondo di rilascio credito per il salvataggio delle industrie in crisi). Nel 1933 nasce l'Iri
(Istituto per la ricostruzione industriale) finanziato dagli azionisti dell'Imi, con il compito di
finanziare le società in dissesto (Stet – Società torinese di esercizi telefonici, Unes – Unione servizi
elettrici, la Puricelli un'impresa di costruzioni statali). L'istituto era diviso in una sezione
finanziamenti ed una smobilizzi (in questo ramo furono intraprese tante operazioni di acquisto di
partecipazioni azionarie, fino al raggiungimento del 21% del capitale azionario di tutte le S.p.a
italiane; a questo risultato si arriva grazie all'accordo del 1934 con la Banca commerciale, Banco di
Roma, Credito italiano, con il quale l'Iri acquisisce il controllo degli stessi istituti di credito e dei
pacchetti azionari delle industrie da loro posseduti). Vengono poste le basi per l'impianto di un vero
e proprio “capitalismo di Stato”. Contro tale impostazione di politica economica si è mossa molta
storiografia liberista, che imputa a tale indirizzo l'aver prodotto una situazione di ristagno
economico: in effetti, saranno solo le commesse statali per la guerra di Etiopia a portare una reale
ripresa e una riqualificazione dell'apparato industriale. Tuttavia, non verranno risolti i problemi di
crescita economica squilibrata e dell'occupazione (nel 1938 rimasta ai livelli del 1926). Un'altra
questione che viene sollevata in merito a questa fase del ventennio è legata all'evidente
contraddizione che c'è tra l'ispirazione a un sistema reazionario e l'utilizzo di elementi di
modernizzazione che hanno innescato la crescita e l'omologazione ai modelli culturali, sociali ed
economici delle nazioni occidentali avanzate; la modernità è stata il peggior nemico del fascismo, il
riferimento al trinomio Dio, Patria, Famiglia prefigura come obiettivo la creazione di una società
rurale, ordinata, gerarchica, ontologicamente fondata sulla tradizione. Molte interpretazioni hanno
bene accostato la conquista del potere dopo la marcia su Roma a fattori regressivi: la fragile
economia, i conflitti di classe molto forti, l'incapacità dell'élites liberali nel gestire questi conflitti,
hanno dato l'immagine di un'Italia non adatta al sistema liberaldemocratico; ecco perché un regime
autoritario con governi forti sembrava l'unica soluzione a questi problemi strutturali. I punti di
questa contraddizione di fondo (riferiti soprattutto alle iniziative del regime volte a far crescere il
potenziale industriale italiano) possono essere spiegati con l'impossibilità, da parte del fascismo, di
una rottura totale con il precedente ordine liberale sul quale era nato lo Stato unitario: nonostante gli
elementi di rottura siano pur presenti, il filo con l'Italia liberale non viene mai tagliato del tutto,
anzi, Mussolini prosegue proprio su quelle linee di impostazione anche nella lenta fase di
trasformazione da Stato liberale in dittatura e poi Stato totalitario (soprattutto, sotto il profilo

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

economico, si seguono la tendenza alle concentrazioni oligopolistiche e il profilo di protezione


dell'industria). Più recenti interpretazioni, invece, hanno voluto mettere in risalto l'anima moderna,
dinamica e progressista del fascismo, riconoscendogli la capacità di un rinnovamento atto a
risolvere le profonde distorsioni strutturali di uno sviluppo squilibrato e disomogeneo: solo lo Stato
può porre un freno allo strapotere dalla grande industria (un ceto imprenditoriale avido, richiedente
una azione dello Stato ma senza che esso possa imporre vincoli e controlli).

2. Operai e contadini nella grande crisi


L'ondata di conflittualità sociale che era esplosa in Francia, Inghilterra, Germania, preoccupava non
poco Mussolini consapevole di come il suo consenso presso gli industriali, la Chiesa e il re era
dovuto alla promessa di pace sociale che il fascismo aveva saputo fino ad allora rispettare. Dal
1930, l'inquietudine e il malessere – derivanti dall'acuirsi della della crisi economica – si
cominciano a moltiplicare già dai primi tentativi di sciopero. A Legnano ed a Como le operaie
scendono in piazza, la tensione cresce nei cantieri industriali di Castellammare di Stabia, dalle
Officine Ferroviarie Meridionali di Napoli, nelle acciaierie di Terni, poi all'Osva, alla Marelli, alla
Magneti-Marelli, alla Breda, alle Acciaierie ferriere Lombarde. Stessa situazione a Torino alla Fiat e
alla Lancia, poi alla Pirelli Bicocca. In questa fase sembra che la classe operaia sia in attesa della
scintilla che faccia scoppiare la rivolta. Era quello in cui speravano in molti, soprattutto tra coloro
che tenevano in vita anche nella clandestinità la rete antifascista (primo fra tutti il Pcdi che dal 1930
al 1931 vide aumentare le adesioni, da circa 3.000 militanti a più di 4.500). Il Pcdi sognava di
guidare le masse insofferenti verso la rivolta, anche se tale prospettiva era destinata a naufragare.

3. Andare verso il popolo: assistenza e lavori pubblici


La situazione di estrema gravità determinata dalla crisi economica, è dato comune di tutti i paesi
europei e dagli Stati Uniti d'America. In Italia la macchina dell'assistenza (costituita tra il 1926 e
1929) posta in essere dai fasci locali, lavora a pieno regime per la distribuzione di sussidi e viveri,
per la creazione di ricoveri, di ranci del popolo e le colonie marittime e montane per i figli dei
lavoratori. I dopolavoro diventano piccoli bar, sale per lo svago per i più poveri. I fasci femminili, le
organizzazioni giovanili e lo stesso Pnf diventano strumenti per la raccolta e la distribuzione di
fondi. Tutte le strutture del regime fascista vengono mobilitate per sopperire al fabbisogno primario
della popolazione. Nonostante ciò, i sussidi raccolti ogni volta si esauriscono in fretta; c'è una
continua richiesta da parte di questori, prefetti e federali fascisti di contributi e soccorsi straordinari.
La crisi si abbatte soprattutto sulle campagne (tra il 1929-1930, il settore agricolo subisce una
perdita dell'11% sulla produzione). Sul piano politico, l'attività assistenziale si rivela un'operazione
vincente e trova largo riscontro nell'opinione pubblica (prima di allora nessun governo liberale ha
mai profuso tanto impegno nell'assistenza concreta del popolo); ne giova anche l'immagine del
regime fascista all'estero. Da parte di Mussolini c'è piena consapevolezza dell'importanza
dell'immagine del fascismo e del suo Duce: una politica vicina alla strada, che non resta
asserragliata all'interno dei palazzi; ciò è testimoniato dall'assidua presenza degli uomini in camicia
nera nelle città, ormai parte integrante della vita degli stessi centri urbani e delle campagne. Una
presenza visibile (e vigile) delle istituzioni del regime fascista sul territorio. Questi tratti delineano
una nuova fase della politica, la quale segna un forte distacco rispetto alla politica liberale: la
propaganda politica diventa arma necessaria per il mantenimento del consenso (Mussolini dispone
dell'Istituto Luce che confeziona documentari e cinegiornali ad hoc per la costruzione di un vero e
proprio mito mussoliniano: note sono le immagini del Mussolini a torso nudo che miete le messi nei
campi; il Mussolini sul trattore che vendemmia; il Mussolini con elmetto e fiamma ossidrica nelle
acciaierie; il Mussolini padre di famiglia circondato da bambini e mamme festanti). Questo profilo
popolare attira le simpatie di molti (anche tra gli stessi socialisti). Altra carta contro la crisi, giocata
senza risparmio dal regime, è quella dei lavori pubblici. In primo luogo, l'opera di bonifica (messe
in cantiere con una legge del 1928): la canalizzazione, l'installazione di sistemi di irrigazione,
rimboschimento e costruzione di nuovi collegamenti stradali su terreni paludosi e infestanti dalla
malaria. Alle porte di Roma l'area interessata e quella dell'Agro Pontino (65.000 ettari che saranno

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

resi coltivabili e ripartiti in 3.000 poderi dotati di casa colonica, stalla, pozzo, assegnati alle famiglie
che hanno lavorato alle opere di bonifica). L'organo preposto per il collegamento dei disoccupati
(soprattutto in questo settore) è il Commissariato per le migrazioni nato nel 1931 (es. i lavoratori
delle miniere del Grosseto, in via di chiusura, vengono sollecitati al trasferimento nelle zone
paludose della Maremma, anch'essa soggetta ad opera di bonifica; molte famiglie venete ed
emiliane – piegate dalla crisi – invece, trovano impiego nell'Agro Pontino). Rispetto alle premesse, i
risultati dei piani di bonifica furono deludenti (nel 1938 solo 200-250.000 ettari furono bonificati su
600.000 previsti). Non si riuscì nel rilancio della produttività del mondo agricolo e nella
generazione in questo settore di nuovi posti di lavoro per i disoccupati delle città (in questo periodo
il regime lancia una vera e propria demonizzazione del disoccupato, alla stregua del criminale:
l'aumento della disoccupazione intacca l'immagine dell'Italia fascista, paese sereno e laborioso). I
magri risultati del progetto delle bonifiche è in parte il fallimento di quel processo di ruralizzazione
avanzato dal regime, testimoniato anche dall'opposto processo di urbanizzazione (nel 1921 la
popolazione delle città era il 45% del totale degli italiani, nel 1931 il 51%, nel 1936 il 55%): le
nuove città e il potenziamento della rete viaria, sono il risultato stesso delle bonifiche e dei lavori
pubblici (al centro dell'Agro Pontino nel 1932 nacque Littoria, ovvero Latina; doveva rappresentare
il modello di città ideale fascista dove si integravano ruralità e urbanesimo, in una visione
razionalizzatrice dello spazio. Questa mano si avverte anche nelle attività di recupero e restauro
degli antichi centri cittadini: il quartiere dell'Eur esempio dell'edilizia fascista, la risistemazione dei
Fori imperiali, Via della Conciliazione). Che lo Stato italiano ed il fascismo siano ormai la stessa
cosa, viene provato dallo stato dell'arte all'inizio degli anni Trenta: nel 1932 si riapre il tesseramento
del Pnf – chiuso dal 1928 per paura di un afflusso in massa di nuovi iscritti che avrebbero potuto
snaturare il partito – adesso, che la Mvsn era entrata a far parte delle forze armate (con obbligo di
giuramento alla Corona) il saluto fascista diventa gesto in uso nell'amministrazione pubblica (1925)
il fascio littorio divenuto emblema dello Stato nuovo, si poteva provvedere a spegnere tutti gli
organi portanti del Pnf all'interno delle strutture dello Stato (il Gran Consiglio diventa organo dello
Stato nel 1928). La tessera del Pnf era diventata ormai obbligatoria per molti incarichi statali:
rettori, presidi, membri delle giunte provinciali; nel 1933 la tessera diventa obbligatoria per
l'ammissione a molti concorsi di accesso ai pubblici impieghi. Del resto, non ci si può meravigliare
del grado di consenso raggiunto dal regime nel secondo plebiscito, tenutosi nel 1934: 99,84% sì e
0,15% no (su 10.041.997 votanti 10.026.513 elettori approvano le liste fasciste).

4. Gli antifascisti in esilio e nella clandestinità


Il Pcdi attraversa una delle fasi più controverse della sua storia nel momento in cui si apre al
Cremlino la faida tra gli eredi di Lenin (muore il 21 gennaio 1924). Josif Stalin, che nel 1924 guida
lo Stato sovietico, attua – sul piano della politica interna un'azione repressiva nei confronti di ogni
opposizione alla sua leadership, mentre tenta la sottomissione dei partiti comunisti di ogni paese
(sezioni periferiche della Terza Internazionale, il Comintern) sotto una unica direzione, quella di
Mosca. Le decisioni prese centralmente non possono essere discusse solo poste in essere dai
segretari di partito anche quando sono palesemente non realizzabili (è il caso della fusione tra Pcdi e
Psi decisa nel 1922 al congresso dell'Internazionale, destinata fallire prima di nascere) Nel 1924, al
V congresso, viene deliberata la linea della non collaborazione con i partiti dell'Aventino (nessuna
collaborazione con i partiti dell'antifascismo democratico e socialista, bollati come social-fascisti)
decisione che porterà ad un maggior isolamento dei comunisti italiani. Stessa linea viene ribadita
alle assise del Pcdi, a Lione in Francia nel marzo 1926. Poco dopo tutto il gruppo dirigente
comunista verrà arrestato: fatta eccezione per Togliatti, nel momento a Mosca. Tocca a Togliatti –
nominato segretario nel 1927 – guidare la riorganizzazione del partito durante gli anni della
clandestinità. Viene creato un centro estero a cui spetta la direzione ideologica e politica, un centro
interno (guidato da Ignazio Silone) finalizzato alla lotta clandestina (questo tipo di militanza si
articola in uno schema rigido formato di cellule collegate fra loro, che garantivano una quasi
assoluta impenetrabilità e segretezza; chi faceva parte delle cellule veniva considerato vero e
proprio professionista della rivoluzione. Alla fine del 1927 però, il centro interno viene sgominato e

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

molti militanti finiscono in carcere). Non mancano certo i fronti di opposizione interna alla linea
dura dettata da Stalin (Angelo Tasca, uno dei primi a dissentire, venne espulso dal partito). Nel 1930
viene decisa la ricostruzione del centro politico interno al partito: Pietro Tresso, Alfonso Leonetti.
Paolo Ravazzoli con Ignazio Silone e Umberto Terracini (forse anche Gramsci) dissentono sulla
linea di Togliatti. Le purghe staliniane iniziate al Cremlino si riverberano anche sul partito
comunista italiano: i trotskisti italiani vengono espulsi dal partito (Amedeo Bordiga). Tra il 1931 ed
il 1932 la scure fascista, grazie all'Ovra, si abbatte di nuovo sul centro politico interno del partito,
decimandone ancora i quadri con molti arresti (Pietro Secchia). Anche nello schieramento
democratico e socialista si avverte questo senso di impotenza e quasi rassegnazione a cui si tenta di
reagire erigendo una nuova opposizione: nel 1927 si organizza a Parigi la Concentrazione d'azione
antifascista (vi aderiscono i due partiti socialisti Psu e Psi, il partito repubblicano, la Cgl, la Lega
dei diritti dell'uomo – Lidu). La concentrazione nelle sue linee d'azione reimposta le dinamiche e le
idee seguite dall'opposizione aventiniana, acquisendone anche i difetti: l'idea del fascismo come
fenomeno transitorio; la fiducia quasi incondizionata in un risveglio delle coscienze degli italiani
grazie a campagne stampa e mobilitazione dell'opinione dall'estero (il giornale della Concentrazione
era La Libertà diretto da Claudio Treves, che inaugura sulle sue pagine una campagna di diffusione
delle notizie che mettevano in risalto la volontà liberticida del regime fascista). Nel 1930 il Psi di
Nenni si riunifica con il Psu di Turati, un'unione fortemente auspicata dall'Internazionale operaia
socialista (Ios) anche se l'unità non porta alla risoluzione del problema dell'azione dell'opposizione
nella clandestinità (Sandro Pertini tentò la costruzione di una rete clandestina socialista al suo
ritorno in Italia nel 1929, ma fu catturato e messo in carcere). Il movimento Giustizia e Libertà nato
a Parigi nel 1929 dai fondatori Carlo Rosselli ed Emilio Lussu, si proponeva l'obiettivo di suscitare
la ribellione antifascista in Italia (sul piano ideologico e politico questa formazione si colloca tra le
forze di ispirate al socialismo liberale). I due giellisti Giovanni Bassanesi e Gioacchino Dolci
l'impresa condotta nel cielo di Milano a scopo propagandistico, dove sorvolando la città con un
aereo lanciano centinaia di volantini (impresa imitata l'anno successivo da Lauro De Boris –
militante del gruppo antifascista liberal-monarchico Alleanza nazionale, Colonna di Cesarò – ex
leader di Democrazia sociale e Vinciguerra – socialista).

5. Gli anni del consenso all'interno e all'esterno


Nel 1932-33 l'antifascismo prende atto di aver subito un'altra sconfitta, essendosi notevolmente
assottigliata la schiera di sostenitori, anche tra la popolazione – ancora maggioritaria tra il 1922-29
e adesso ridottasi drasticamente, schiacciata dalla dominazione fascista. Il consenso di Mussolini –
raccolto tra il 1933-34 grazie all'avvio della macchina dell'assistenza ed il ricorso a lavori pubblici –
comincia (1934-35) a contagiare anche i settori più ostili. Molte di queste conversioni erano dovute
alle difficoltà a cui si andava incontro cercando di vivere ai margini del sistema fascista; sistema
che aveva completamente rinnovato il rapporto cittadini-Stato, politica-società. Il fascismo invadeva
ogni spazio della vita pubblica e privata degli italiani (per lavorare serviva la tessera del fascio o
l'iscrizione ai sindacati, i figli andavano iscritti alle organizzazioni fasciste, ecc.). La politica
nell'Italia fascista non va considerata un mondo a sé stante, ma lo stesso fascismo ha da sempre
scoraggiato la partecipazione e l'interesse attivo per la politica: confronto, critica, discussione erano
consentiti soltanto in ambienti protetti dove cresceva la nuova classe dirigente (nei Guf, nella
Scuola di Mistica fascista nata a Milano 1930). Una delle mosse più abili di Mussolini nel favorire
la resa dei suoi avversari fu quella di affiancare il pugno di ferro contro gli irriducibili al fare
benevolo e indulgente per chi avesse manifestato l'abbandono dell'atteggiamento di ostilità verso il
fascismo (un primo atto di clemenza verso 500 antifascisti risale al 1928, ma fu soprattutto
l'amnistia concessa nel 1932 ai condannati per reati di antifascismo: su 1000 ne uscirono più di
600). Gesti del genere (da segnalare anche i casi dei leader riformisti della Cgl, Rigola e D'Aragona:
avevano accettato lo scioglimento del sindacato confederale ed era stato loro concesso uno spazio di
libertà ed autonomia intorno ad alcune riviste) uniti alle opere di realizzazione dello Stato
corporativo (che certamente aveva una eco socialista) le iniziative dei lavori pubblici, l'assistenza,
destarono non poca ammirazione negli ambienti del socialismo (famoso il caso dell'ex sindaco

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

socialista di Milano Emilio Caldara che, nel 1934, chiese udienza a Mussolini per instaurare un
rapporto di collaborazione). Molte furono le conversioni e altrettanto fu lo sconcerto di chi, come
Rodolfo Morandi (forma nel 1930 un'organizzazione clandestina socialista Centro socialista)
continua la lotta cercando di unificare tutte le forze rimaste in campo, tentando di porre in essere
una strategia di logoramento del fascismo dal suo stesso interno (quanto teorizzato da Lelio Basso
sulla rivista Politica socialista). Le stesse direttive vengono adottate dal Pcdi: generare l'esplosione
delle contraddizioni del regime attraverso un'operazione di lavoro legale all'interno delle
organizzazioni fasciste. Anche gli altri fronti dell'antifascismo sono in crisi in questa fase (popolari,
democratici e liberali): la diffidenza verso il sistema fascista resta certo tra i convertiti, ma la chiave
di volta utilizzata da Mussolini – ovvero la promozione dell'immagine stessa di duce-uomo di Stato
che manovra con abilità la finanza pubblica, la politica estera – fa breccia tra molti avversari
borghesi, democratici e liberali. Il duce si era guadagnato il rispetto delle grandi potenze sul piano
internazionale e ciò ebbe forti riflessi sul piano del consenso interno e dell'appeal della propria
figura di politico (non ultimi i complimenti e l'ammirazione riscossa da parte di Winston Churchill e
da larghi settori dell'opinione pubblica inglese che, dalla marcia su Roma fino al 1934, avevano
apprezzato la politica estera italiana per la riconferma di quei rapporti di amicizia tra Roma e
Londra, instaurati fin dall'epoca dei governi liberali). L'indirizzo di politica estera del fascismo
tenuto fino al 1934 è apparso a molti fortemente contrastante con la politica di stampo bellicista
degli anni successivi. Nel ventennio del suo dominio, il fascismo ha reciso lentamente i legami con
il vecchio Stato liberale, affermando una più marcata identità: subito dopo la presa del potere,
Mussolini è stato frenato nel porre lo sguardo fuori dai confini nazionali, dall'incerta situazione
interna, che gli aveva imposto una prosecuzione delle linee già tracciate in precedenza, o comunque
di seguire strade di alto gradimento per la base di massa del fascismo (es. accordi italo-jugoslavi
del 1924, Fiume passa sotto sovranità italiana, simbolo della vittoria mutilata). Già tra il 1926-27, il
progressivo consolidamento del regime porta Mussolini ad ampliare la sua capacità di movimento
sulla scena internazionale; la politica revisionista (1922-34) ha portato l'indubbio vantaggio di far
passare il duce come il difensore degli interessi di tutte le nazioni che avevano subito un torto al
tavolo di Versailles e di proiettare l'Italia verso un rilancio del ruolo all'interno della Società delle
Nazioni (dove i contenziosi sui confini e gli assetti nazionali tra Germania, Francia e Belgio, ma
anche tra i paesi dell'ex impero asburgico, dei Balcani e tutta l'area danubiana, sono ancora aperti).
Mussolini gioca bene le sue carte cercando il rilancio del suo prestigio da un lato, la creazione di
nuovi rapporti di amicizia con gli Stati “giovani” (mercati appetibili per la penetrazione
economica): in questo senso vanno gli accordi italo-ungheresi, il trattato con l'Albania nel 1927 e la
politica di amicizia verso l'Unione sovietica (fin dal 1922 Mussolini aveva cercato il riconoscimento
dell'Urss, prima con una serie di accordi commerciali fino ad arrivare ad un patto di non
aggressione e neutralità nel 1933). Stessa politica instaurata con il governo sovietico viene seguita
nel disegnare i rapporti con la Germania e Inghilterra (nel 1925 vi erano stati gli Accordi di
Locarno: Francia, Belgio e Germania si impegnavano a non violare le frontiere stabilite a
Versailles*). La credibilità dell'Italia sul piano internazionale come partner garante del
mantenimento della pace in Europa aumenta all'inizio degli anni Trenta, quando crisi economica,
ascesa di Hitler in Germania e l'aggressione da parte del Giappone alla Cina, rischiarono di mettere
in pericolo l'equilibrio tra potenze europee e mondiali: l'Italia giocò un ruolo chiave nel
mantenimento di questi equilibri (1932 Mussolini assume in prima persona il dicastero degli Esteri,
* Noti nel loro complesso come Patto di Locarno (1925) i trattati e le convenzioni sono di diversa tipologia, e non
sono stati firmati tutti dalle stesse potenze. Il trattato principale fu il cosi detto Patto renano (tra Germania, Francia,
Belgio, Gran Bretagna e Italia) secondo il quale Germania da una parte, Francia e Belgio dall'altra, “riconoscevano”
i confini stabiliti a Versailles. Tale accordo sancì inoltre la smilitarizzazione di una zona sulla sponda sx del Reno, il
divieto di ogni aggressione e l'obbligo di ricorrere all'arbitrato pacifico in caso di controversie. Italia e Gran
Bretagna, quali garanti del patto, si impegnavano a difendere quella delle due parti che fosse stata attaccata. Due
convenzioni firmate dalla Germania, l'una con la Francia e l'altra con il Belgio, definivano la procedura arbitrale da
seguire in caso di conflitto. La Germania, in quest'occasione nuovamente trattata alla pari delle altre potenze, accettò
così i confini occidentali scaturiti dalla guerra (ed in particolare la cessione dell'Alsazia-Lorena). La Germania
concluse inoltre trattati con la Polonia e con la Cecoslovacchia, in cui si stabiliva di voler regolare secondo il diritto
internazionale e mediante una procedura d'arbitrato pacifico le eventuali divergenze. [Wikipedia].

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

prima guidato da Dino Grandi). Nel 1933, Mussolini avanza la proposta di un patto a quattro per la
parità degli armamenti (tra Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia). Intanto, nello stesso anno, si
è insediato al potere Hitler a capo di un movimento simile, per certi versi simile al fascismo; la
minaccia nazista e il risorgere della potenza germanica preoccupavano non poco le altre potenze:
tale minaccia gravava sull'Austria e sull'area danubiana, dove proprio l'Italia aveva instaurato
profittuosi rapporti economico-commerciali. Per tentare di porre freno all'avanzata e alle pretese
tedesche, viene firmato l'accordo tra Roma, Vienna e Budapest (1934) decisamente in senso anti-
tedesco. Il 25 luglio del 1934 fu assassinato il cancelliere austriaco Engebert Dollfuss in un
tentativo di colpo di Stato da parte dei nazisti. Anche in questo caso, l'Italia si fece garante degli
equilibri di pace, mobilitando le truppe al confine del Brennero, facendo desistere Hitler da un
intervento. Il 1934 è l'anno di cesura per quanto riguarda la caratteristica linea di politica estera
tenuta dall'Italia: all'indomani dell'evento austriaco, c'è chi aveva paventato (e auspicato) una svolta
del fascismo in senso liberale (viste le premesse); ma così non fu, nel 1935 – con la guerra in
Etiopia – la politica estera del regime marca una svolta irreversibile, preludio dell'alleanza con la
Germania e della dichiarazione di guerra alla Gran Bretagna e Francia.

6. La guerra in Etiopia
Molti hanno sottolineato come la politica revisionista (1922-35) portata avanti dal regime, possa
essere letta come il preludio della politica (apparentemente in contraddizione) bellicista ed
imperialista seguita dal 1935 fino al 1940. Il revisionismo mussoliniano insieme al delinearsi dei
caratteri fondamentali dell'ideologia fascista, costituirebbero i fattori destabilizzanti degli equilibri
internazionali (nonostante il duce abbia optato inizialmente per lo strumento del dialogo e della
trattativa, emerge costantemente la sua insofferenza verso la Società delle Nazioni; la convinzione
che “i trattati non sono eterni perché il mondo cammina”; l'elemento della guerra come unico
strumento che “porta tutte le energie umane alla loro più alta tensione e imprime il marchio di
nobiltà a quei popoli che hanno il coraggio di affrontarla”). Questa versione dei fatti risponderebbe
in parte a quella domanda tanto ricorrente: se il fascismo abbia avuto un effettivo progetto al quale
sono seguite coerentemente le tappe che conosciamo, oppure le sue scelte siano sempre state il
frutto di una sorta di improvvisazione, condizionate ogni volta da esigenze di politica interna. Al
cambio di rotta dal pacifismo al bellicismo hanno concorso due elementi fondamentali: il quadro
interno, dove Mussolini si sente più sicuro: il fascismo ha ormai messo radici stabili nel paese; e il
quadro internazionale dove, con l'ascesa di Hitler si ha un immediato collasso degli equilibri di pace
fra le potenze. La lungimiranza dell'analisi di Carlo Rosselli (editoriale su Quaderni di Giustizia e
Libertà del 1933) da il senso del repentino capitolo della situazione, di cui solo pochi si rendono
conto. La similitudine tra la situazione internazionale a ridosso della prima guerra mondiale e quella
del 1933 è illuminante: in Europa si confrontavano due schieramenti Gran Bretagna, Francia e
Russia (l'Intesa) contro Germania, Austria ed Italia (la Triplice) e anche se nel 1933 l'Italia non
aveva rapporti con la Germania (anzi protegge l'Austria, è alleata delle democrazie occidentali e
dell'Unione sovietica) Rosselli lesse le personalità di Hitler e Mussolini come fattore incontrastabile
che avrebbe ricompattato il vecchio fronte d'unione delle due potenze, manifestanti di lì a poco tutta
la loro pulsione imperialista in una nuova guerra. Infatti, due anni dopo, per l'Italia si presentava la
possibilità concreta di intraprendere l'impresa coloniale etiope (già dal 1928 le mire
espansionistiche dell'Italia verso queste terre si erano manifestate, anche se fino ad allora l'interesse
si era limitato alla penetrazione economica: l'accordo di collaborazione italo-etiopico per la
costruzione di una rete stradale) che rovescia il sistema di alleanze e stabilisce i primi legami con la
Germania nazista. Alcune motivazioni retrostanti l'impresa di conquista coloniale, possono essere
alla manifesta volontà del fascismo di far acquisire all'Italia lo status di potenza al pari delle altre.
Accanto a questo, sicuramente, dobbiamo richiamare anche le esigenze interne: la crisi economica,
la crisi occupazionale da un lato (i settori dell'industria pesante, interessati alle commesse sugli
armamenti, premono per la soluzione bellica); dall'altro, il successo derivante da una guerra a
vittoria immediata, dove il fascismo avrebbe potuto mostrare tutti i suoi muscoli davanti al suo
popolo e al mondo intero. Nel 1935, l'Italia ottiene l'assenso per l'impresa etiopica da parte della

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

Francia, grazie alla rinuncia italiana a tutte le rivendicazioni sulla Tunisia. La Gran Bretagna risultò
un osso duro più del previsto: Mussolini interpretò probabilmente il loro silenzio sulla faccenda
come tacito assenso all'impresa italiana; oppure – altra interpretazione che si da della vicenda –
Mussolini si sentiva certo del nulla osta britannico in quanto, ostacolare l'Italia avrebbe potuto far
perdere a Londra quella preziosa vicinanza essenziale per il mantenimento degli equilibri europei.
Al contrario, la reazione dell'Inghilterra subito dopo l'inizio delle ostilità – nell'ottobre del 1935 –
immediata e severa: il governo conservatore chiese alla Società delle Nazioni l'applicazione delle
sanzioni economiche previste, anche se era al corrente che ciò avrebbe portato solo effetti negativi
in quanto l'Italia intratteneva rapporti di fornitura con Germania (ormai fuori dalla SdN, 1933)
Unione sovietica e altri paesi dell'Europa orientale, e ciò avrebbe potuto favorire il riavvicinamento
italo-tedesco, temuto anche dalla Francia (che infatti applica le sanzioni in modo lieve e non sul
settore militare). A questo punto, la macchina della propaganda si mette in moto facendo credere
agli italiani che le sanzioni imposte fossero durissime: l'immagine dell'Italia descritta come una
giovane nazione proletaria soffocata dalle vecchie nazioni plutocratiche che vogliono fermare la sua
ascesa e calpestare il sacro diritto di espandersi (risuona ancora una volta il mito pascolino della
Grande proletaria). Le prime vittorie militari italiane arrivano nel febbraio del 1936, con le
battaglie dell'Amba Aradam, Amba Alagi e Addis Abeba in maggio (il 3 maggio il re etiope Hàilè
Selassiè fugge in Gran Bretagna e il 9 maggio Vittorio Emanuele III assume il titolo di imperatore
d'Etiopia). Il consenso del regime fascista è al culmine e anche sulla scena internazionale Mussolini
appare come vincitore (anche se, in realtà l'impresa in Etiopia si rivela un disastro dal punto di vista
degli introiti economici, rispetto alle aspettative montate dalla propaganda). Poco dopo l'Inghilterra
decide di porre fine alle sanzioni economiche verso l'Italia e viene firmato un patto – il Gentlemen's
agreement – per conservare la fragile pace in Europa. Proprio con questo patto Mussolini si sente
ancor di più le mani libere nel portare a termine i progetti di potenza per l'Italia. Dunque, il duce
tiene viva quella rete di rapporti soprattutto con la Gran Bretagna e con gli altri paesi della vecchia
Europa, in un gioco di equilibrio molto sottile che si romperà ufficialmente solo nel 1940 (con
Londra e Parigi).

7. La guerra di Spagna (1936-39)


Tappa successiva è il conflitto di Spagna, scatenato nel luglio 1936 da una congiura di militari
guidati da Francisco Franco*, appoggiati dai monarchici e dai falangisti, cercando di rovesciare il
governo repubblicano a guida socialista (instaurato dopo il successo elettorale della sinistra: vittoria
del Fronte popolare di Santiago Casares Quiroga). Il generale Franco chiede aiuto all'Italia fascista
e la Germania nazista, in poco tempo si era aperto un fronte interno alla Spagna riproducente gli
schieramenti che di lì a poco si sarebbero scontrati nel secondo conflitto mondiale. Da un lato,
Germania e Italia, dall'altro, Francia, Inghilterra e Unione sovietica. Importante è capire la portata
ideologica dello scontro, il quale porta alla luce lo schieramento antifascista in più paesi come
risposta all'ascesa in tutta Europa delle dittature e regimi totalitari (nel 1934 in Francia è il timore di

* Francisco Franco (1892-1975) era nazionalista e anticomunista, con una concezione rigida e conservatrice della
religione e una visione chiara della storia della Spagna. Secondo la sua interpretazione i secoli passati erano stati
dominati dalla lotta perenne tra forze tradizionali, religiose, patriottiche e gruppi antinazionali legati alla
Massoneria. In seguito al successo elettorale del Fronte Popolare, il 19 febbraio 1936, Franco venne allontanato dal
paese e inviato alle isole Canarie. Il 23 giugno dalle Canarie il generale Franco inviò al presidente del Consiglio
Santiago Casares Quiroga, una lettera protestando per il trattamento tenuto nei confronti degli ufficiali dell'esercito
considerati di dx che erano stati sostituiti con altri di tendenza repubblicana. La lettera non ottenne risposta da
Quiroga che semplicemente la ignorò. Franco, che fino a quel momento aveva tentennato, si schierò decisamente
con i futuri insorti. Quando il 13 luglio José Calvo Sotelo fu assassinato da un commando degli Asaltos, Franco si
unì ad un gruppo di generali guidati da José Sanjurjio e Emilio Mola, con cui preparò l'Alzamiento del 18 luglio
1936. Franco era alla guida dell'esercito di ribelli che entrò in Spagna sbarcando dal Marocco. Il 24 luglio fu
nominato membro della giunta militare e divenne comandante delle forze dell'Aire. Il 3 ottobre 1936 fu nominato
capo dello Stato e, dopo la morte di Mola, il 30 gennaio 1938 divenne capo del governo. Una sanguinosa guerra
civile, nella quale fu sostenuto dalla Germania nazista e dall'Italia fascista proseguì per tre anni, vinta la quale,
nell'aprile del 1939 il Generalissimo assunse la guida definitiva della Spagna, instaurando un apparato dittatoriale
che represse violentemente ogni opposizione al regime. [Wikipedia].

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

una dx interna filofascista che porta al governo il fronte popolare guidato dal socialista Leon Blum
nel 1936; l'Urss fin dal 1933-34, per paura della Germania nazista, riallaccia i ponti con la Francia e
mobilita tutti i partiti del Comintern): l'antifascismo è l'ideale cementificatore di un'entità composita
e complessa, che assomiglia più ad una galassia. Nel 1934-35, il riavvicinamento dell'Unione
sovietica alle democrazie occidentali ha effetti positivi sul movimento antifascista e soprattutto sul
fascismo italiano: viene rinnegata la teoria del social-fascismo (VII congresso del Comintern nel
1935) e si arriva alla firma – tra comunisti e socialisti – di un patto d'azione e la creazione di un
grande schieramento comprensivo anche delle forze democratiche borghesi. Accanto all'impegno
dell'Urss nella difesa della Spagna repubblicana, troviamo la passività degli Stati democratici:
Francia ed Inghilterra, bloccati in ogni tentativo di reazione dalla paura di detonazione di un nuovo
conflitto europeo. Uno degli alfieri italiani della mobilitazione antifascista internazionale è Carlo
Rosselli, che incita alla mobilitazione “oggi in Spagna, domani in Italia”. Nelle file delle brigate
internazionali che valicano i Pirenei ci sono liberali, democratici, socialisti, comunisti, anarchici
accorsi da tutto il mondo. La guerra civile Spagnola – vista la copiosità dell'intervento antifascista –
si protrarrà oltre quanto previsto e sperato dai dittatori e lo schieramento antifascista darà filo da
torcere fino al 1938, con non pochi imprevisti molto costosi in termini di energie, mezzi e uomini in
capo soprattutto all'Italia fascista. Mussolini aveva sperato in un bis dell'impresa etiopica: vittoria
immediata, successo, entusiasmo e basso costo in termini di uomini e risorse – cosa di cui si dovette
immediatamente ricredere. Il conflitto prolungato ha anche il merito di aver rafforzato l'asse Roma-
Berlino stringendo l'Italia in quella morsa fatale con la Germania di Hitler che porterà
inevitabilmente al secondo conflitto mondiale: nel 1936 era stato contratto tra tedeschi e giapponesi
il patto anti-Cominter, a cui adesso aderisce anche l'Italia. Nel marzo del 1938, contrariamente a
quanto accaduto in precedenza, l'Italia resta passiva davanti all'annessione dell'Austria da parte
della Germania e questo suggella un legame forte tra due i paesi. Nonostante la partecipazione alla
guerra di Spagna non avesse raccolto il favore e l'entusiasmo degli italiani, non si può dire neppure
che il paese abbia voltato le spalle al fascismo. Ancora una volta l'appoggio del Vaticano risultò
preziosissimo, in quanto impresse alla guerra il valore di crociata contro il comunismo minacciante
la sorte del clero spagnolo (nel 1937 papa Pio XI emana l'enciclica Divini redemptoris per
denunciare l'ateismo e il sovversivismo dell'ideologia comunista). Con la fine della guerra spagnola
e la vittoria dei franchisti, il nuovo pontefice papa Pio XII (Eugenio Maria Giuseppe Giovanni
Pacelli) eletto il 2 marzo del 1939, diffonde alla radio un messaggio proclamante la Spagna
franchista “baluardo inespugnabile della fede cattolica”.

8. La svolta totalitaria e le leggi razziali


In questa fase viene individuato un importante punto di svolta nella storia del fascismo, che
indirizza in modo diverso le scelte di politica estera e interna; non sfuggendo alle critiche dei settori
più influenti della società: monarchia, Chiesa e mondo economico non gli riservano più il loro
favore come in passato, ostili alla trasformazione della dittatura in totalitarismo. Questo passaggio
inizia tardi e deve essere inserito nella cornice che comprende il rapporto con la Germania di Hitler
(l'ascesa di Hitler e del movimento nazista in Germania è avvenuta undici anni dopo rispetto a
quella del fascismo in Italia, ricalcandone i tratti iniziali, poi distaccandosi in maniera più netta e
assumendo i connotati di una dittatura totalitaria. Mentre il fascismo si evolve con estrema lentezza
senza riuscire mai a raggiungere l'obiettivo della fascistizzazione integrale della società italiana). Il
progetto totalitario comincia ad essere perseguito con più tenacia dagli anni Trenta, infatti, la
macchina del consenso subisce una brusca accelerazione nel 1937 (il ministero della Stampa e
Propaganda viene trasformato in ministero della Cultura popolare, il Minculpop, avocando a se la
gestione, il controllo e la promozione di tutte le manifestazioni culturali: cinema, radio, teatro,
editoria, ecc. Solo la scuola ne resta fuori: il ministro dell'Educazione nazionale Giuseppe Bottai,
presenta nel 1939 la Carta della Scuola, un progetto di riforma generale del sistema scolastico il cui
punto focale è l'istituzione di una scuola media unica *). L'accelerazione del processo di

* Una parentesi sulle adesioni del mondo della cultura al nuovo impianto: pochissimi manifestarono dissenso, tra il
1928 ed il 1931, solo 6 insegnanti rifiutarono il giuramento di fedeltà al fascismo: su 1.200 accademici solo 12

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

fascistizzazione passa anche dal porre argine alla penetrazione dei modelli culturali francese,
inglese e soprattutto americano: moda, costume, spettacolo, musica letteratura e cinema (dal 1927
l'Enic assume il monopolio dell'importazione e della distribuzione della produzione
cinematografica; partono nello stesso anno i lavori di una commissione per la “bonifica libraria”,
una operazione di censura su tutta la produzione editoriale circolante in Italia; dal 1933 c'è il fermo
alle pubblicazioni di novelle di autori stranieri; significativa anche l'operazione di “bonifica
linguistica” e “controsanzioni linguistiche” imbastita al fine di depurare il vocabolario italiano dei
numerosi vocaboli stranieri). L'accentuarsi della propaganda imperialista e dei toni bellicisti che
accompagnano la svolta totalitaria, preoccupano molto sia i grandi appaltatori di opere pubbliche,
sia parte degli industriali e in generale il mondo dell'imprenditoria: chi aveva plaudito alla politica
autarchica e all'impresa in Africa (enormi i guadagni delle commesse di guerra) adesso,
intravedendo all'orizzonte una situazione non pacificata, rabbrividisce davanti all'aumento delle
tasse e dell'interventismo statale* (derivanti dal proseguo della politica autarchica). La politica
autarchica viene sommata alla politica estera filotedesca, il mondo industriale si spacca in due:
finanzieri, banchieri, i principali nuclei industriali (lombardi e veneti, rappresentati da Giuseppe
Volpi di Misurata) appaiono favorevoli a continuare i rapporti con la Germania; diversamente, la
Fiat e il settore delle fibre artificiali sono favorevoli alla prosecuzione dei rapporti con gli ambienti
economici inglese e americano (ciò che accomuna questi due tronconi è la volontà di far proseguire
il periodo di pace). Oltre ai settori economici più dinamici, gli stessi dubbi e incertezze venivano
presentati alla Corona: l'equilibrio diarchico, che fino ad allora aveva visto convivere la figura del
re e il duce, entra adesso in crisi: la condivisione del potere con Vittorio Emanuele III dimostra
un'intollerabile handicap per Mussolini che aveva sott'occhio l'esempio di Hitler supremo capo del
Terzo Reich (nel 1938 il Fuhrer viene in visita in Italia, Mussolini tocca con mano la sua
inferiorità). Intanto, va avanti l'opera di smantellamento dello Stato, rimasto in piedi sulle
fondamenta dello Statuto Albertino (mai ufficialmente abrogato): nel 1936 parte il progetto di
riforma della Camera (1938 la sua ultima seduta) e nel gennaio 1939 entra in vigore la nuova
Camera dei fasci e delle corporazioni, all'interno della quale siedono i membri del Consiglio
nazionale del Pnf, del Consiglio nazionale delle corporazioni e del Gran Consiglio (scompare ogni
carica elettiva e viene abolita ogni distinzione tra potere legislativo ed esecutivo). Questa
operazione infonde in Vittorio Emanuele III il timore di un intervento anche sulla monarchia; tale
convinzione riduce ogni sua iniziativa di contrasto con il dittatore: vengono approvate le leggi
razziali (passo significativo della omologazione del fascismo al nazismo; in realtà, in Italia non
esiste una vera questione semita: le comunità ebraiche della penisola sono esigue, concentrate a
Roma, Livorno, Ferrara e Trieste. La perfetta integrazione degli ebrei italiani non presentava
condizioni favorevoli perché l'antisemitismo possa tradursi in elemento aggregante). Mussolini però
si convince della funzionalità delle teorie razziali al disegno totalitario (l'uomo nuovo fascista
andava dotato di coscienza razziale, attributo indispensabile per forgiare l'intera personalità dei
cittadini guerrieri della nuova potenza imperiale): nel 1937, vengono regolamentati i rapporti tra
italiani e popolazione locali con un decreto prevedente la rigida separazione in difesa della razza;
nel 1938 parte la campagna antisemita (Il Giornale d'Italia pubblica Il Manifesto degli scienziati
razzisti, approvato poi dal Pnf); a settembre viene varato un pacchetto di misure dal carattere
antisemita (viene tolta la cittadinanza ottenuta dopo il 1918; insegnanti ebrei vengono licenziati e
viene vietata l'iscrizione alla scuola secondaria pubblica agli studenti, mentre per i bambini ebrei
delle elementari vengono previste sezioni speciali; in ottobre vengono proibiti i matrimoni con
italiani di razza ariana, inoltre alla esclusione dal servizio militare e da tutte le cariche pubbliche,
nonché forti limitazioni alle attività economiche). La pubblica opinione italiana non capisce il senso
dei provvedimenti razziali e forti critiche vengono esposte soprattutto dagli ambienti cattolici. La
preferiscono lasciare la cattedra.
* Nel 1936 abbiamo un riordino del sistema bancario: scompaiono le banche miste e dalla Banca d'Italia abbiamo
l'estromissione degli azionisti privati; nel 1938 la mano pubblica si allunga anche sulla Banca commerciale, il
Credito italiano e sul Banco di Roma, vincolandole alle decisioni dello Stato. Nell'ambito dell'Iri (dal 1937 divenuto
ente permanete) nascono la Finsider e la Finmare, per il controllo finanziario del settore siderurgico e di quello
cantieristico e delle costruzioni navali.

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

svolta totalitaria aveva raffreddato i rapporti con il Vaticano: nel 1937 papa Pio XI emana l'enciclica
Mit Brennender Sorge per denunciare il razzismo pagano di Hitler, l'ostilità del governo nazista
verso la Chiesa cattolica in Germania (nel maggio 1938 in occasione della visita di Hitler in Italia, il
Papa si ritira a Castelgandolfo in segno di protesta). Mussolini però tira dritto, convinto che il
mondo ecclesiastico cattolico non sia così compatto (infatti, la rigidità di Pio XI è condivisa solo da
una parte del clero e dai cattolici antifascisti, ma apertamente osteggiata dalla corrente clericale
antisemita a favore delle leggi razziali; in mezzo a questi due fronti si trova la maggioranza dei
prelati e del laicato cattolico desiderosi di ricucire lo strappo con lo Stato fascista). Le critiche del
Vaticano generano una forte risposta da parte del regime: sulla stampa cattolica si abbatte la
censura, arrivano le minacce causa dei provvedimenti contro l'Azione cattolica; ciò induce ad un
atteggiamento di prudenza delle alte gerarchie ecclesiastiche (i massimi esponenti delle Giunte
diocesane preparano statuti in base ai quali la guida delle organizzazioni passa nelle mani del clero,
marginalizzando il laicato cattolico). Questa linea prudente della Santa Sede genera attacchi
dall'antifascismo cattolico, deciso nella rottura dei rapporti tra Chiesa e fascismo. Nonostante ciò,
negli anni successivi (prima Pio XI, poi Pio XII) cercheranno di evitare il trauma della rottura
definitiva che avrebbe potuto turbare gli equilibri del paese, rendere più difficile al clero il controllo
delle masse e la possibilità di coltivare indisturbatamente una nuova classe dirigente che dopo il
tramonto del fascismo avrebbe dovuto guidare l'Italia.

6 La Seconda guerra mondiale (1939-1945)

1. La guerra in Europa
Tra il 29-30 ottobre del 1938 a Monaco, si tiene un vertice tra i quattro grandi d'Europa (Francia,
Inghilterra, Germania e Italia) chiamati a dare una risposta a quello che un mese prima era sembrato
il fatto determinante per lo scoppio di un nuovo conflitto mondiale: la Germania di Hitler presenta
l'ultimatum alla Cecoslovacchia (le rivendicazioni tedesche vertono sul territorio dei Sudeti) di
conseguenza, Francia e Inghilterra mobilitano le truppe, pronte a dare avvio alle ostilità. La
soluzione giunge grazie alla mediazione dell'Italia. L'accordo accontenta tutte le parti in gioco meno
la Cecoslovacchia, costretta a cedere i terreni contesi. Mussolini fa rientro in patria come il
protettore degli equilibri europei, l'eroe della pace di Monaco, toccando il culmine della popolarità
e dell'apprezzamento. Il duce però sapeva della precarietà di tale accordo, costituiva solo una pausa
prima dell'inevitabile scoppio della guerra che Hitler voleva a tutti i costi. Inoltre, nonostante la
mediazione fosse stata compiuta grazie a Mussolini, certo era che le concessioni furono fatte con il
cedimento della Francia e dell'Inghilterra, disposte anche ad altro prima di far imboccare all'Europa
la strada della guerra. Infatti, nel marzo del 1939, le truppe naziste entrarono a Praga: la
Cecoslovacchia cessò di esistere e Hitler avanzò pretese sul corridoio di Danzica*. Dopo tali
prevaricazioni gli Stati democratici non furono più disposti a subire l'espansione del Terzo Reich.
Mussolini - che aveva tutto l'interesse a dilazionare il più possibile l'inizio delle ostilità rispetto
all'alleato tedesco – stavolta era consapevole di non trovare soluzione: l'Italia, impreparata
materialmente e con un'opinione pubblica di certo non favorevole alla guerra, trovava convenienza
nella politica di apeasement (politica di pacificazione, acquiescenza) generante quel manifesto
atteggiamento passivo di Francia e Inghilterra (dopo pochi giorni dell'invasione tedesca di Praga,
l'Italia mira dritto su Tirana e inizia le operazioni per la conquista dell'Albania: re Zogu fugge in
Grecia e il aprile 1939 un'assemblea di notabili locali offrono la corona a Vittorio Emanuele III). Il
22 maggio 1939, Hitler – desideroso di rafforzare i rapporti con l'alleato italiano – sigla il patto
d'acciaio (firmato dai ministri degli esteri Galeazzo Ciano e Joachim Von Ribbentrop) alleanza

* Il corridoio di Danzica detto anche corridoio polacco, è la striscia di territorio istituita con il trattato di Versailles
(1919) per dare alla Polonia uno sbocco sul Mar Baltico. La città di Danzica era stata proclamata “città libera” dalla
SdN, la sua popolazione era costituita da più del 40% di tedeschi. Hitler, con le rivendicazioni su questa striscia di
terra voleva dotare la Germania (Prussia occidentale) di un passaggio di collegamento (tramite autostrada e ferrovia)
con la Prussia orientale, per la libera circolazione di persone e merci, senza dazi o controlli doganali. Inoltre,
l'interesse per questo territorio va letto in ottica politica pangermanica: punto fondamentale della quale era il
ricongiungimento del popolo di lingua tedesca.

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

politico-militare che impegnava entrambe le nazioni a intervenire l'una in soccorso dell'altra in caso
di conflitto ed a non firmare eventuali trattati di pace separatamente; inoltre, veniva affermata
l'inviolabilità dei confini dei due paesi. Tutto questo in contemporanea affermazione da parte di
Mussolini dell'impreparazione dell'Italia di fronte alla prospettiva della guerra nel breve periodo.
Secondo Mussolini, l'Italia, che non aveva mai spinto forte sulla politica degli armamenti (a dispetto
di quello che potevano far pensare i toni della propaganda) non sarebbe stata pronta prima di tre
anni. La prospettiva della guerra immediata al fianco della Germania e l'insicurezza di Mussolini
nel proseguire in questo senso, hanno fatto paventare secondo alcune interpretazioni, la possibilità
di un ribaltamento delle alleanze e un riallineamento dell'Italia con Francia e Gran Bretagna
(l'illusione di Mussolini era rappresentata dall'idea di un periodo pacificato notevole che egli
credeva di avere davanti prima dello scoppio di una guerra generale). Quello che smentisce l'ipotesi
del riallineamento con gli Stati democratici sono proprio la conquista dell'Albania e la
sottoscrizione del patto d'acciaio: Mussolini infatti prosegue a fianco della Germania nazista,
disposta ad andare in fondo al progetto bellico anche con la consapevolezza dell'insolvenza certa
dell'Italia dell'alleanza militare appena sottoscritta; con o senza Mussolini, il Terzo Reich trascinerà
l'Europa sul campo di battaglia. Il 23 agosto 1939 – violando il patto anticomintern siglato da
Germania, Giappone, Italia – Hitler firma con Stalin un patto di non aggressione, il patto Molotov-
Ribbentrop (ed un protocollo segreto che regola la spartizione della Polonia, il nullaosta tedesco
all'annessione degli Stati baltici e della Bessarabia-Moldavia, all'Urss). Il 1° settembre 1939, le
truppe tedesche valicano i confini della Polonia, mentre Mussolini annuncia la non-belligeranza
dell'Italia; il 3 settembre Gran Bretagna e Francia dichiarano guerra alla Germania.

2. Dalla “non belligeranza” all'intervento in guerra


Mussolini era stato costretto suo malgrado a dichiarare lo stato di non belligeranza, tradendo il mito
fascista della grande Italia venuto il momento di misurarsi con le armi. Decisione che fa tirare un
sospiro di sollievo alla popolazione depressa e spaventata, tra gli ambienti di corte, gli industriali, la
Chiesa e tra le forze armate, si registrano gli stessi umori. Tra il 1939 e il 1940, gli occhi e le
orecchie del regime descrivono al duce i primi segnali di disaffezione presso l'opinione pubblica; il
malessere si sta diffondendo all'interno di tutto il fascismo. Parte di questo disagio crescente viene
riprodotto all'apertura delle porte del partito: accanto a una minoranza di fascisti fedeli e convinti vi
è una massa di tesserati per convenienza, obbligo, conformismo (tale constatazione si risolverà nel
cambio di segreteria: Achille Starace cede il posto ad Ettore Muti nell'ottobre del 1939). Il Pnf era
diventato un organismo mastodontico, burocratizzato, ingovernabile, mentre il fascismo – che non
era mai stato un corpo monolitico – adesso accentua la sua frantumazione in tanti piccoli centri di
potere: il duce era stato sempre costretto a mediare per mantenere l'armonia tra gerarchi divisi
sostanzialmente in due tronconi: i moderati (fautori della continuità con lo Stato prefascista) e gli
intransigenti (volti alla realizzazione del vero Stato fascista). Mussolini non riuscirà mai a risolvere
la contrapposizione ma terrà un perfetto controllo sulla macchina fascista almeno fino al luglio
1943, fase culminante della divisione interna. Soprattutto, il duce era preoccupato degli
atteggiamenti tenuti dalla Corona e dal pontefice (il 27 dicembre 1939, Vittorio Emanuele III e la
moglie Elena del Montenegro sono ricevuti da Pio XII che, il giorno dopo, ricambia la visita a Villa
Savoia): entrambi sono soddisfatti della non belligeranza (anche se preferirebbero la formula della
neutralità, che non lascerebbe scampo a equivoci). Il pontefice guarda con orrore alla distruzione
della Polonia e della cattolicissima Finlandia, consegnata ai comunisti da Hitler. Il sovrano contesta
fortemente la prospettiva di una guerra dell'Italia al fianco della Germania, asse che con tutta
probabilità avrebbe segnato la fine della monarchia; inoltre, anche un rovesciamento delle alleanze
verso gli Stati democratici non allettava il sovrano, strada non priva di ombre per la monarchia (in
questo periodo furono diffuse voci sull'eventualità di un colpo di Stato operato dallo stesso Vittorio
Emanuele III, che abdicherà in favore del figlio Umberto e si avrà una dittatura militare con a capo
Badoglio e Graziani – le forze armate sono vincolate al sovrano dal giuramento di fedeltà e, anche
se nel 1938 Mussolini si era fatto nominare dal Parlamento Primo Maresciallo dell'impero, ciò non
bastò ad imporre il marchio fascista sull'esercito, ancora rimasto impermeabile alla fascistizzazione,

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

specie negli alti gradi; Mussolini sarà destituito). Comunque, né il re né il pontefice erano in grado
di mantenere il paese sulla strada della non belligeranza; velocemente l'evoluzione della guerra
verso Ovest paventa sempre più la possibilità dell'accrescimento del conflitto: in aprile viene
liquidata la Polonia, poi la Norvegia e la Danimarca; a maggio per aggirare le difese francesi lungo
il confine (linea Maginot) i tedeschi invadono i neutrali Belgio, Olanda e Lussemburgo. Per
Mussolini la decisione di intervenire nel conflitto è già stata presa il 18 marzo 1940 (in un incontro
con Hitler al passo del Brennero): Hitler, certo dell'imminente vittoria nazista, cerca di dissipare i
dubbi dell'alleato con l'offerta di tutto il carburante necessario ad azionare l'industria bellica italiana
(secondo le previsioni, solo nel 1942 l'Italia sarebbe stata in grado di produrre a pieno ritmo). Presa
la decisione, Mussolini impartisce l'ordine di elevare il tono della propaganda al Minculpop
battendo forte il tasto della guerra: l'Italia si riscopre interventista, l'ammirazione di parte degli
italiani è direttamente proporzionale allo sfoggio della potenza di guerra tedesca. La prospettiva
irresistibile di Mussolini è ancora una volta quella di poter sedere al tavolo dei vincitori senza
spendere fatiche, senza provocare sofferenze agli italiani. Il 12 maggio a Sedan le armate tedesche
sfondano le difese francesi e sospingono le forze alleate verso la manica costringendole ad
imbarcarsi per l'Inghilterra, evitando il massacro totale (solo 300 mila soldati si salvarono). Il 30
maggio, Mussolini è pronto ad intervenire, il 10 giugno 1940 l'Italia dichiara guerra a Francia e
Inghilterra (famoso l'annuncio dell'inizio degli scontri da Palazzo Venezia). Il 14 giugno i tedeschi
entrano vincitori a Parigi e il 17 giugno il maresciallo Henri Philippe-Omer Pétain, il nuovo capo
del governo, chiede l'armistizio. L'Italia viene esclusa dalla trattativa (la resa della Francia viene
firmata il 22 giugno, mentre l'esercito italiano spara i primi colpi nell'offensiva che si conclude il 24
a Mentone, città al confine: ciò fa guadagnare all'Italia un corridoio alle frontiere con la Francia e
tra Tunisia e Libia, nonché il porto di Gibuti).

3. La “guerra parallela” dell'Italia


L'entusiasmo interventista si esaurisce in poco tempo: la guerra per potenza dell'Italia fascista non
ha lo stesso fascino della grande guerra (gli interventisti avevano fatto appello a un sentimento
nazionale, si lottava per l'unità nazionale, per liberare le terre italiane irredente e ciò era condiviso
nei sentimenti anche dai neutralisti). L'appello allo scontro vede gli Stati proletari alla ricerca dello
spazio vitale, contro gli Stati plutocratici (è lo stesso messaggio posto al momento dell'impresa in
Etiopia applicato al conflitto europeo, palesando però contraddizioni di fondo molto vistose: l'Italia
si è messa sotto l'ala della potente Germania di Hitler per mettere le mani su qualche briciola del
bottino del vincitore). Quando Mussolini decide di dare il suo apporto alla guerra questa sembra già
per finire, con le truppe tedesche in procinto di invadere l'Inghilterra (Mussolini offre all'alleato un
intero corpo di spedizione per affrontare la campagna inglese, ma Hitler rifiuta): l'Italia fascista ha
bisogno di combattere per sedere al tavolo dei vincitori e il duce ha bisogno di recuperare credibilità
di fronte all'alleato (solo a settembre Hitler concederà di partecipare ai bombardamenti su Londra).
Il progetto dell'Italia è quello di una guerra parallela per raggiungere obiettivi inscritti già nelle
direttrici espansionistiche del paese: c'è la prospettiva di aumentare le colonie africane (a danno
degli inglesi e francesi): a luglio Mussolini fa avanzare le truppe in Sudan, in Kenya, nella Somalia
britannica e il 13 settembre inizia l'invasione dell'Egitto; anche in Europa ci sono terre che
diventano obiettivo primario per l'Italia*: cercando di informare l'alleato il più tardi possibile,
Mussolini da avvio alle operazioni belliche in Grecia. La guerra parallela dell'Italia dura meno di
due mesi e si conclude con una serie di rovinose sconfitte sul fronte greco e in Africa (gli inglesi
passano al contrattacco in Sudan, Kenya ed Egitto, costringendo gli italiani ad abbandonare le terre
conquistate; sempre gli inglesi compiono un attacco contro la flotta italiana: nel porto di Taranto, la
notte del 11 e 12 novembre – affondano la Cavour, danneggiando altre due corazzate). Con
* La guerra ancora non è finita. La resistenza degli inglesi offre ancora margine di tempo a Mussolini, impaziente di
inserirsi totalmente nel conflitto su più fronti possibili. Le truppe tedesche si stavano muovendo anche nel bacino
danubiano e nei Balcani (in Romania, a fine settembre si insedia al potere il generale Antonescu, sostenuto dal
movimento filonazista della Guardia di ferro; in novembre Romania, Ungheria, Slovacchia aderiranno alla guerra
dell'Asse). Tale mossa dell'alleato tedesco – proprio in un'area da sempre ambita dall'italia – convince Mussolini a
dare il via alla strategia della guerra parallela dei Balcani.

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

l'ennesima cocente umiliazione, Mussolini è costretto a chiedere l'intervento di soccorso a Hitler in


Grecia ed Africa, riducendo il suo ruolo non di poco. Il duce è in collera con i militari incapaci di
vincere, anche se consapevole dell'impreparazione della macchina bellica italiana; se questa volta il
duce fallisse sarebbe la fine del fascismo: nel dicembre 1940, il generale Badoglio viene costretto
alle dimissioni – è un segnale esplicito a Vittorio Emanuele III e ai suoi generali: non si diserta dalla
guerra fascista, monarchia e forze armate sono inscindibilmente legate al fascismo da un comune
destino, chi tenta di remargli contro rimarrà schiacciato. Anche all'interno del Pnf Mussolini compie
una sferzata contro i gerarchi (molti dei quali sono ormai alleati con il “partito anti-tedesco”
divenuto sinonimo del “partito della monarchia”) e in gennaio 1941 viene lanciata la mobilitazione
generale del partito e l'ordine di arruolarsi come volontari a tutti i ministri per dare l'esempio. Tra
gennaio e marzo 1941 si scatena una violenta ondata squadrista (in Val Padana) contro i disfattisti, i
sovversivi all'interno del partito. La fiducia delle masse sembrava conquistabile solo portando a
casa successi in battaglia e, nel più breve tempo possibile, la vittoria finale. Agli occhi della
maggioranza degli italiani il fascismo aveva solo una colpa: la guerra. I successi cominciarono ad
arrivare a marzo, quando Erwin Rommel (comandante del Deutsches Afrikakorps, mandato in aiuto
del generale Rodolfo Graziani) iniziò la controffensiva sul fronte africano*. Nonostante le vittorie e
le conquiste italiane, l'entusiasmo per il conflitto non esplode come vorrebbe Mussolini, anzi, la
tensione e la depressione delle masse sale per la moltiplicazione dei fronti (il 22 giugno 1941 la
Germania attacca la Russia e la tensione sale tra Stati Uniti e Giappone, nel Pacifico) e il protrarsi
in avanti della sperata fine della guerra. La Germania decide di attaccare l'Urss sottovalutando la
capacità degli inglesi di resistere*'. La partecipazione dell'Italia alla campagna sovietica ha due
motivazioni principali: da una parte, c'è il desiderio di recuperare prestigio all'interno e all'esterno
del paese; dall'altra parte, c'è il tentativo di rilanciare il conflitto italiano alla stregua di una battaglia
anticomunista, che tanto consenso aveva sempre collezionato, soprattutto all'interno della Chiesa e
Mussolini cercava proprio l'applauso dei cittadini che certamente sarebbe venuto se la benedizione
di Pio XII avesse consacrato la “guerra santa” contro il comunismo. La Chiesa diserta quest'appello.
Costretta a scegliere se appoggiare Hitler e Mussolini che sì, promettevano l'allettante crociata
contro il comunismo, ma d'altro canto, una vittoria del nazismo avrebbe certo gettato un'ombra
scura sul futuro della Chiesa in occidente. Oppure, fiancheggiare Roosevelt, Churchill e Stalin,
consapevole del fatto che un ingresso degli Stati Uniti nel conflitto, avrebbe potuto determinare la
sconfitta del nazi-fascismo e magari anche una maggiore tolleranza religiosa dei sovietici in Russia.
L'appoggio della Santa Sede era decisivo anche per il presidente degli Stati Uniti Roosevelt (che
rischiava all'interno del Congresso – chiamato a decidere sui prestiti per sostenere lo sforzo bellico
dell'Urss – un'opposizione durissima dei cattolici e all'esterno il voto contrario degli elettori
cattolici, da aggiungere a quello degli isolazionisti, contrari all'intervento). Il 14 novembre 1941, la
National Catholic Conference delibera l'appoggio agli Usa. Il 7 dicembre del 1941, i giapponesi
attaccano la flotta statunitense nel porto di Pearl Harbor (Hawaii), prima della dichiarazione
esplicita di inizio delle ostilità. L'11 dicembre Germania e Italia dichiarano guerra agli Stati Uniti.

4. La sconfitta dell'Italia
Malumore, ansia, scetticismo, sono questi i sentimenti diffusi nella maggior parte della popolazione,

* I tedeschi e gli italiani conquistarono Bengasi e tutta la Cirenaica in aprile (anche se non ci sono solo vittorie: a
Capo Matapan nel Peloponneso ed in Eritrea a Massaua, gli inglesi infliggono agli italiani pesanti sconfitte e in
maggio le truppe asserragliate ad Amba Alagi sono costrette alla resa). Sul fronte greco invece, i tedeschi iniziano
l'invasione dalla Bulgaria mentre gli italiani cominciano ad avanzare dall'Albania: il 20 aprile la Grecia chiede
l'armistizio; il 27 aprile le truppe tedesche entrano ad Atene, il 20 maggio a Creta, assicurandosi il controllo su tutto
il mediterraneo – tranne Cipro e Malta, ancora inglesi; gli italiani occupano poi la Slovacchia, la Dalmazia,
Montenegro e insieme agli alleati minori (Bulgaria e Ungheria) liquidano la Jugoslavia, l'armistizio è il 18 aprile. Il
bottino degli Italiani è consistente: maggio del 1941 la Slovenia viene annessa all'Italia; viene designato re della
Croazia il principe Aimone di Savoia d'Aosta.
*' L'atteggiamento degli inglesi era cambiato rispetto alla passività pre-conflitto. Hitler si era illuso della possibilità di
trattativa con gli inglesi che, potevano riconoscere la Germania contro il comunismo sovietico, come una sponda
verso quello che avevano considerato da sempre una minaccia; ma la Gran Bretagna, contrariamente a quanto
auspicato da tedeschi, fu ben felice di trovare un alleato contro il nazismo nell'Unione sovietica di Stalin.

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

incurante dei successi della campagna di Russia (dove in pochi mesi le truppe nazifasciste sono
riuscite a penetrare fino alle porte di Leningrado, vicinissime a Mosca) non potevano far
dimenticare le precedenti e le nuove sconfitte in Africa, oltre che sul piano interno (anche se nel
gennaio 1942 sono gli italiani ed i tedeschi a riprendersi la Cirenaica). Il fascismo non riesce a
recuperare la fiducia degli italiani: le spese di guerra hanno superato gli 80 miliardi, il debito
pubblico aumenta a vista d'occhio insieme al costo della vita (settembre 1941, il pane viene
razionato a 200gg a persona, a marzo scende a 150gg; mancano i beni di prima necessità, anche se
la produzione agricola si era mantenuta a livelli discreti grazie alle politiche agrarie varate
precedentemente, l'annata disastrosa sarà quella del 1945); in crisi anche le industrie meccaniche e
tessili – che avrebbero dovuto garantire la piena produzione per le richieste militari (nonostante i
grossi guadagni fatti negli anni di conflitto grazie alle commesse statali) – per mancanza di
combustibile e materie prime; sul fronte del lavoro in questi settori, nel gennaio 1942 – con la
riduzione dei consumi industriali di energia elettrica del 20% - c'è una riduzione dell'orario di
lavoro e della paga degli operai, che cadono in ulteriore sconforto (oltre 200 mila italiani sono
costretti ad andare nelle fabbriche in Germania, dove c'era la possibilità di lavorare, visti i vuoti
lasciati dagli operai tedeschi richiamati al fronte). Nel giugno 1942, in Russia, l'armata nazifascista
stava avanzando in direzione di Stalingrado, messa sotto assedio a settembre. In Africa, sembra
imminente la caduta di Alessandria d'Egitto, con gli inglesi in ritirata ma che comunque resistono,
fermando le truppe dell'Asse ad El Alamein. La situazione di stallo prosegue fino a novembre,
quando l'armata rossa accerchia i nazifascisti a Stalingrado costringendoli ad una estenuante
resistenza. Nello stesso mese in Libia gli inglesi recuperano e travolgono i nazifascisti, mentre in
Algeria e Marocco sbarcano gli americani (da qui partono i bombardamenti sull'Italia). Il disagio
interno al paese si fa sempre più importante, di pari passo con il costante calo dei consensi al
fascismo (gli umori popolari sono influenzati moltissimo, fino dal 1939, dalle trasmissioni
clandestine di Radio Londra, da dove gli italiani apprendono il vero andamento della guerra e
soprattutto il messaggio di solidarietà che gli inglesi mandano alla popolazione italiana). Tra il 1942
e il 1943, il re e il Papa maturano l'idea di uscita dell'Italia dal conflitto passando necessariamente
dall'abbandono di Mussolini: Pio XII compie un primo passo invocando la pace, la difesa dei diritti
e delle libertà calpestate dai nazifascisti; mentre Vittorio Emanuele III resta immobile, timoroso nel
giocare le sue carte ancora quando il fascismo – nonostante i consensi perduti e la conduzione
tragica del conflitto – avrebbe potuto rivoltarsi contro la monarchia. Nel marzo del 1943, ad
aggravare la situazione per il regime, intervengono i grandi scioperi delle fabbriche del Nord (5
marzo a Torino, poi in tutto il Piemonte; il 23 a Milano, Porto Marghera ed in Liguria) aprendo
lentamente piccoli focolai in tutta la penisola; il fascismo non reagisce come in passato davanti alle
sommosse ed al dissenso, Mussolini sa bene che ciò renderebbe più profondo il divario con il paese,
segno dell'inarrestabile declino del regime.

5. Il crollo del fascismo


Per l'antifascismo la guerra ha significato una vera e propria paralisi che si è risolta con lo
smantellamento delle reti clandestine estere di Parigi e Bruxelles (molti fuggono verso la Svizzera,
la Gran Bretagna, gli Stati Uniti). Al dramma della sopravvivenza, si unisce la crisi politica generata
all'inizio del 1939, con il patto di non aggressione tra Stalin e Hitler, per la spartizione dei territori
baltici e polacchi: per molti di coloro che erano rimasti folgorati dalla potenza sovietica, baluardo
dell'antifascismo nella guerra di Spagna, significò tradimento (meno i partiti comunisti satelliti
dell'Urss). La frattura tra il Pcdi e gli altri partiti dell'arco antifascista, venne faticosamente
ricomposta con l'attacco della Germania all'Unione Sovietica, nell'estate del 1941, quando a Mosca
venne rovesciato il piano di marcia: Stalin e Churchill firmano un accordo contro il nemico
nazifascista; di conseguenza, seguendo gli ordini del Comintern, i comunisti italiani lanciano il
fronte unico antifascista, chiedendo il sostegno dei socialisti e democratici (nell'ottobre del 1941, a
Tolosa, Pcdi, Psi e Gl danno vita ad un comitato unitario per la lotta in Italia). Anche l'antifascismo
cattolico si mobilita, mentre emerge un nuovo antifascismo senza legami con i vecchi partiti
(composto dai giovani cresciuti nelle scuole fasciste). Tra il 1942 ed il 1943, l'antifascismo è in

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

piena ebollizione ed espansione (le reti clandestine comuniste vengono a ricostituirsi; il Psi viene
rifondato da Romita e Lizzadri, Roma 1942; nasce il Mup guidato da Lelio Basso che poi prenderà
il nome di Psiup – Partito socialista italiano di unità proletaria; anche sul fronte liberale c'è
movimento, con la rivitalizzazione del Pli; i giellisti – Carlo e Nello Rosselli erano stati assassinati
nel 1937 in Francia dai fascisti – ma soprattutto i repubblicani, liberaldemocratici e liberal socialisti
di Aldo Capitini e Guido Calogero, vanno a fondare il nuovo Partito d'Azione; la chiamata degli
antifascisti cattolici viene attuata della Democrazia cristiana, De Gasperi riunisce i vecchi
esponenti del Ppi, delle organizzazioni cattoliche, dei sindacati cattolici o imprenditori come Enrico
Falck*). In pochi mesi si consuma la sconfitta militare dell'Italia destinata a trascinare dietro di sé
anche il fascismo ed il suo duce: sul fronte orientale l'Armir (Armata italiana in Russia) si è dissolta
con l'avanzare ormai inarrestabile degli angloamericani in Africa (gennaio 1943 cade Tripoli ed in
maggio viene firmata la resa di italiani e tedeschi in Tunisi; è da qui che gli angloamericani
preparano le operazioni per lo sbarco in Italia). Anche la corona compie i suoi timidi passi per
staccarsi dal fascismo: comunica a Mussolini l'opportunità di separare le sorti dell'Italia da quelle
della Germania; incontra Bonomi, che gli offre l'appoggio dell'antifascismo moderato per un
eventuale governo di militari; si incontra con Dino Grandi, presidente della Camera dei fasci e delle
corporazioni, che gli comunica l'appoggio dei gerarchi fascisti antitedeschi nel compito di liquidare
Mussolini (la proposta di Bonomi intimorisce il re, considerando l'appoggio degli antifascisti molto
pericoloso per la monarchia; mentre accetta la prospettiva di Grandi, che gli permetterebbe di
scaricare parte del peso del colpo di Stato dalle sue spalle). Il profilo della congiura è ormai
tracciato e seguirà la strada ipotizzata in passato, dal continuo girare di voci, come uno spettro che
ha da sempre aleggiato sul fascismo accompagnandolo nella sua parabola. In maggio, il colonnello
delle Ss Dollmann, avverte Hitler dell'imminente colpo di Stato in Italia, il punto di avvio era
l'ormai vicino sbarco degli alleati in Italia*. L'11 giugno, Pantelleria e Lampedusa vengono
occupate; il 9 luglio i reparti americani del generale Patton sbarcano in Sicilia (Licata, Gela,
Scogliti e tra Pachino e Siracusa) il 22 entrano a Palermo; contemporaneamente i reparti inglesi di
Montgomery avanzano verso Messina; il 19 luglio Roma viene bombardata. Il 24 luglio 1943,
durante una drammatica riunione del Gran Consiglio del fascismo, viene messo in votazione
l'ordine presentato da Dino Grandi, l'ordine Grandi (imponendo la remissione dei poteri di
Mussolini nelle mani del re); su 28 gerarchi presenti alla riunione, 19 votarono a favore. Il 25
luglio, dopo un breve colloquio con il re a Villa Savoia, il duce viene scortato (in ambulanza) alla
caserma di via Legnano dove viene arrestato. Poco prima, il maresciallo Badoglio ha controfirmato
alla presenza di Vittorio Emanuele III il decreto reale di successione, che lo nomina presidente del
Consiglio (alle 22:45 in radio viene comunicato l'accaduto; tutto il popolo è in festa e plaude il re).

6. Quando l'Italia era tagliata in due


Vittorio Emanuele III si decise nel firmare l'armistizio al momento dell'arrivo degli angloamericani
a Roma, per garantirsi da una certa rappresaglia dei nazisti. Hitler decise di stare al gioco del
sovrano senza reazioni istintive che avrebbero portato un'immediata azione punitiva, ma favorito gli
alleati; Hitler mantiene per il momento l'alleanza con l'Italia e gli impone il suo aiuto contro
l'avanzata angloamericana, occupando in pochi giorni la penisola. Il protrarsi in avanti nel tempo
dell'ascesa degli alleati lungo la penisola e delle trattative per siglare l'armistizio (cominciare cinque
giorni dopo il colpo di Stato) preoccupano non poco il sovrano, deciso a convincere gli alleati che la
guerra combattuta dall'Italia era solo colpa del fascismo e del suo capo; gli italiani – ma soprattutto
il re – non dovevano pagare al tavolo della pace per colpe non loro. Alla fine, il 1° settembre 1943

* A Milano, la Democrazia cristiana viene fondata in clandestinità nell'ottobre del 1942 nell'abitazione dell'industriale
Enrico Falck, a cui concorsero Alcide De Gasperi, Piero Malvestiti, Achille Grandi, Stefano Jacini, Giovanni
Gronchi. Intorno ad essi si aggregarono nel corso dei mesi successivi alcuni professori dell'Università Cattolica
guidata da padre Agostino Gemelli, tra cui Giuseppe Dossetti, Amintore Fanfani, Giuseppe Lazzati e Giorgio La
Pira. [www.storiadc.it].
* Operazione Husky: le grandi unità impegnate appartenevano alla 7a Armata Usa (generale George S. Patton) e l'8a
Armata britannica (generale Bernard Law Montgomery) riunite sotto il 15° Gruppo di Armate (sotto la
responsabilità del generale inglese Harold Alexander). [Wikipedia].

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

si arriva alla decisione della resa: il generale Giuseppe Castellano firma la resa dell'Italia (lo stato
maggiore dell'esercito dota i soldati delle disposizioni in caso di attacco tedesco, la Memoria 44
Op). Il 3 settembre, a Cassibile, viene siglato l'armistizio (in presenza del generale Eisenhower) reso
pubblico l'8 settembre con lo sbarco alleato sulle coste della penisola (Salerno). Intanto il re e la
famiglia reale, il presidente Badoglio e il suo governo, fuggono da Roma fino a Pescara, dove si
imbarcano per Brindisi. Nell'esercito ma non solo, regna la confusione più totale: dall'oggi al
domani chi prima era l'alleato è diventato nemico e viceversa (l'episodio di Cefalonia è
esemplificativo delle difficoltà in cui versano i soldati italiani all'indomani dell'8 settembre: 10 mila
uomini della divisione Acqui vennero sterminati dalle truppe tedesche). L'Italia è divisa tra gli
eserciti stranieri: al Sud gli angloamericani (che non riconoscono il governo Badoglio e
amministrano il meridione tramite il comando militare dell'Amgot – Allied military government of
occupied territories) al Nord e Centro i tedeschi (il governo è garantito dalla Rsi – la Repubblica
sociale italiana o Repubblica di Salò, nata il 23 settembre del 1943, dopo la liberazione di
Mussolini dal carcere di Campo imperatore sul Gran Sasso, attuata dai tedeschi *). Intanto, i dirigenti
dell'antifascismo avevano fondato il CLN – Comitato di liberazione nazionale (il 9 settembre 1943,
a Roma) facendo appello alla resistenza e alla riscossa nazionale per la liberazione del
nazifascismo*'. Inoltre, la resistenza rappresenta lo strumento per arrivare alla piena legittimazione
degli antifascisti, quasi dimenticati dagli italiani per il lungo isolamento subito ed il sovrano sembra
attribuirgli un ruolo portante di classe dirigente, in cambio del colpo di spugna necessario per
spazzare via vent'anni di fiancheggiamento ed accondiscendenza verso il fascismo; elemento
fondamentale il marchio antifascista per legittimarsi anche agli occhi degli alleati, per un
riconoscimento del governo del governo Badoglio. Un passo importante della monarchia – non
sufficiente sia per gli alleati (non accettarono gli italiani nel ruolo di alleati, ma solo come
cobelligeranti) sia per il Cln (non si accontenta di una semplice concessione del sovrano, anzi, nel
gennaio 1944 – al congresso di Bari – viene votato un odg contenente la richiesta di abdicazione del
re, la convinzione di un referendum popolare che decida sulle sorti della monarchia, a guerra
conclusa).

7. La resistenza e gli alleati


La guerra di liberazione inizia in sordina dopo l'8 settembre per iniziativa di piccoli gruppi.
Mancava l'organizzazione, il coordinamento tra le bande costrette a rifugiarsi sulle montagne, nelle
valli per sopravvivere ai rastrellamenti tedeschi (unico episodio clamoroso è quello della rivolta di
Napoli, dove gruppi di antifascisti e gente comune tengono in scacco le truppe tedesche per quattro
giorni, poi costrette a ritirarsi il 1° ottobre del 1943). Nel novembre del 1943, in molte città vanno
organizzandosi i Gap – Gruppi di azione patriottica, che iniziano la guerriglia nei centri urbani
(dopo l'attentato di via Rasella a Roma nel marzo del 1943 – un gruppo partigiano fa esplodere una
bomba contro alcuni tedeschi, 33 rimasero uccisi – il colonnello Herbert Kappler, comandante della
Gestapo*'', ordinò la strage delle Fosse Ardeatine, dove vennero uccise 335 persone). La crescita

* La Rsi fu creata per volontà dei nazisti. Trentino, Altro Adige, Istria e Venezia Giulia vengono annesse al Terzo
Reich, compresa Roma che passa sotto comando tedesco. Mussolini ha pochissimi poteri e tutto deve passare sotto il
vaglio tedesco: l'Italia diventa di fatto un paese occupato dai nazisti e come tale viene trattato: lo stesso Mussolini
parlò di “Stato fantoccio” (16 ottobre 1943, le Ss liquidarono il ghetto di Roma, deportando più di mille ebrei in
Germania; stessa cosa accade per le altre comunità ebraiche italiane; in totale dall'Italia furono deportati 8.369 ebrei
di cui solo 980 torneranno vivi).
*' In particolare il Cln ha coordinato e diretto la resistenza italiana. Si divise in Clnai (Comitato di liberazione
nazionale Alta Italia) con sede nella città di Milano, durante la sua occupazione, ed il Clnc (Comitato di liberazione
nazionale centrale). L'organizzazione operò come organismo clandestino durante la resistenza ed ebbe per delega
poteri di governo nei giorni di insurrezione nazionale. Era una formazione interpartitica formata di movimenti di
diversa estrazione culturale ed ideologica, composta da rappresentanti del partito comunista, Democrazia cristiana,
Partito d'azione, Partito liberale italiano, Partito socialista di unità proletaria, Democrazia del lavoro. Rimasero fuori
dal Cln il Partito repubblicano italiano, pur partecipando alla resistenza, per la sua posizione istituzionale che
comportava la pregiudiziale antimonarchica, ed anche alcuni gruppi di sx che non accettavano il compromesso
dell'unità nazionale su cui si basava il Cln.
*'' Geheime Staatspolizei, la polizia segreta di Stato, abbreviato in Gestapo.

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

delle fila della resistenza è progressiva e raccoglie numerosi consensi soprattutto tra le masse
proletarie; la speranza nella liberazione si fa sempre più concreta e vicina con l'arrivo degli alleati,
che riprendono ad avanzare dopo un inverno passato sul fronte di Cassino. Mussolini è consapevole
del risveglio del popolo rosso e tenta la carta, giocata anche in passato, della socializzazione delle
imprese e dell'appello alla riconciliazione nazionale (compiuto da Gentile, ucciso poi da un gruppo
gappista, a Firenze, nell'aprile del 1944). Ormai il fosso scavato tra fascismo e popolo italiano è
incolmabile. La risposta ai ribelli rossi viene dalle brigate nere (la banda Carità, la banda Koch)
che riaprono le violenze squadriste di una ferocia mai vista. Questa volta i partigiani rispondono con
altrettanta violenza affiancata dagli scioperi che scoppiano nel marzo del 1943, dai centri industriali
fino alle campagne. La crescita del movimento partigiano mette in crisi gli equilibri politici
all'interno del Cln, sull'orlo di una spaccatura nel marzo del 1944. L'eterogenea composizione di
questo organismo, riflettente la diversa provenienza politica dei suoi aderenti, porta in seno anche i
diversi significati dell'antifascismo. Ogni partito antifascista stava cercando consensi alla lotta
anche in vista del futuro da costruire sulla base di determinati valori e ideali di riferimento, non
condivisi unanimemente all'interno del comitato; è come se ci fossero tante resistenze quante erano
le anime che componevano il Cln. Ne possiamo individuare almeno tre: la guerra patriottica, la
guerra di classe, la guerra civile. La guerra patriottica è quella combattuta dagli antifascisti
moderati, fanno appello ai sentimenti nazionali, sono fiancheggiatori della Corona e mirano a
coinvolgere il ceto medio nella liberazione dai tedeschi e la ricostruzione del regno sabaudo. La
guerra di classe, invece, è ampiamente diffusa tra le classi operaie e contadine, rivitalizza il mito
della rivoluzione, dell'ammirazione per l'Unione sovietica e per il bolscevismo russo, la lotta di
liberazione è vissuta come preludio della rivoluzione (brigate Garibaldi, Matteotti). La guerra civile
è quella che combattono i militanti del Partito d'Azione: parlano di dovere di riscatto, dovere
dell'impegno politico, della partecipazione e nella lotta a costo di sacrificare la vita e pagare per
quella responsabilità morale che grava su ogni italiano per quanto avvenuto con il fascismo. Il
messaggio degli azionisti non era gradito dagli italiani, borghesi e proletari, che si sono sentiti
innocenti dopo il 25 luglio, come se nessuno avesse mai appoggiato il fascismo ed il duce: vent'anni
di fascismo avevano impedito la formazione di una vera cittadinanza consapevole, il senso civico
era stato soffocato insieme al senso dello Stato. Tale stato d'animo rappresentava una seria minaccia
per l'antifascismo. Il messaggio più forte per la mobilitazione era stato lanciato dai partiti marxisti.
Gli altri partiti, come la Dc, non furono capaci di un messaggio simile nella sua portata: la stessa
Chiesa e Pio XII – dopo aver appoggiato e visto fallire il progetto del re per un superamento del
fascismo grazie all'instaurazione di un regime autoritario – non guardarono con benevolenza alla
lotta partigiana, decidendo di ripiegarsi quasi nel silenzio e nell'immobilismo, per evitare ritorsioni
fasciste e tedesche; anche se il pontefice non vuole fermare l'azione della Dc di Alcide De Gasperi,
che rappresentava l'emissario del nuovo panorama politico in gestazione. Papa Pio XII si rende
conto fin da subito che la lotta antifascista potrà giovare solo alle sinistre, dunque, lasciare il campo
totalmente sgombro dalla presenza della Chiesa risulterebbe un passo falso; ecco perché De Gasperi
ottiene il lascia passare della Santa Sede per l'azione all'interno del Cln. I comunisti ed i socialisti
erano nettamente superiori rispetto ai democristiani all'interno del comitato, ma consapevoli di
come la partita per la determinazione del futuro sistema, si sarebbe giocata su un altro piano: sul
numero dei consensi nel paese, non certo sul numero di militanti. Ben presto, anche tra i comunisti,
questo orizzonte si fece più chiaro: nell'inverno 1943-1944, con i discorsi agli italiani (Radio
Mosca), Togliatti volle rassicurare le altre componenti antifasciste con l'annuncio dell'abbandono
della rivoluzione – tanto sperata dai partigiani comunisti – come priorità d'azione: la lotta armata
dell'antifascismo era finalizzata all'instaurazione di un regime democratico in Italia. Togliatti
parlava a nome di Stalin: l'alleanza con gli Stati democratici aveva reso necessario lo scioglimento
della Terza Internazionale comunista – maggio 1943 – e un riposizionamento di tutti i partiti
comunisti* nello scacchiere in mano allo Stato sovietico. L'Urss doveva garantire alla Gran
Bretagna e Stati Uniti il rispetto dell'accordo di spartizione dell'Europa, in base alla collocazione
delle rispettive forze sul continente: le armate sovietiche avanzavano da Est verso Ovest, gli

* Il Pcdi cambia nome in Pci.

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

angloamericani dal Sud Italia e dal Nord della Francia – sbarco in Normandia, primavera 1944; i
territori rispettivamente conquistati avrebbero subito l'imposizione della visione politica dei
vincitori. I comunisti italiani devono rispettare questo schema, tutelando gli interessi dell'Urss, certo
non rinunciando ad assicurarsi una qualche influenza sui territori conquistati dagli angloamericani;
così come cercheranno di fare questi ultimi nei territori dell'Est conquistati dall'armata rossa.
Dunque, diventa compito prioritario del Pci, evitare l'emarginazione dal gioco politico: compito
meglio perseguito se i comunisti ottengono la piena legittimazione nel sistema politico democratico
in formazione. L'occasione perfetta in questo senso, si presenta con l'ingresso all'interno dei governi
Badoglio (I e II)*'', che Stalin riconosce a pieno (contemporaneamente, Vittorio Emanuele III accetta
di ritirarsi a vita privata ed il figlio Umberto I assume la luogotenenza; la questione della direzione
istituzionale del paese viene rinviata al dopoguerra). Questo equilibrio trovato nel governo
antifascista è funzionale alla stessa lotta partigiana, che così ottiene la legittimazione e l'appoggio
ufficiale degli alleati. Per tutta l'estate del 1944 la resistenza guadagna enormi successi: a giugno gli
alleati liberano Roma; ad agosto i partigiani insorgono contro i tedeschi e difendono Firenze fino
all'arrivo degli alleati; nelle città industriali del Nord scoppia un'ondata di scioperi; in Piemonte,
Lombardia, Friuli ed Emilia Romagna, intere zone passano sotto la giurisdizione dei Cln: nascono
tante piccole repubbliche partigiane. Nel marzo del 1945, Mussolini offre la capitolazione agli
alleati, chiedendo alcune garanzie per sé e per i fascisti di Salò, che gli angloamericani non
concedono: a Milano si svolsero le trattative tenute con il Cnai, dal cardinale Alfonso Schuster; i
capi del comitato concessero due ore di tempo a Mussolini per arrendersi, Il 25 aprile 1945,
l'offensiva alleata ha sfondato le linee tedesche e si appresta a dilagare oltre il Pò; Torino, Genova e
Cuneo insorgono insieme a Milano; i tedeschi in ritirata tentano di scortare Mussolini vestito da
militare tedesco) ma, il 27 aprile, un gruppo partigiano ferma il convoglio e Mussolini e gli altri
fascisti vengono riconosciuti, condannati a morte e fucilati il giorno dopo (anche Claretta Petacci
viene uccisa). Il 29 aprile i corpi dei fascisti insieme a quello di Mussolini e la sua amante vennero
appesi in piazzale Loreto*.

7 La ricostruzione (1945-1953)

1. Il dopoguerra nel Sud


La rottura tra popolo e fascismo è ormai consumata in tutto il paese. In modo più profondo lo si
avverte nel meridione, in particolare in Sicilia; dove il regime fascista non è mai riuscito a mettere
radici forti. Tutto il Sud Italia si era buttato nelle braccia di Mussolini nel momento in cui con la
marcia su Roma, il fascismo si è fatto di governo. La classe dirigente aveva indossato la camicia
nera e garantito per vent'anni fedeltà incondizionata al duce, così come aveva sempre fatto in
passato con i Borbone o i Savoia, con Crispi, Bava Beccaris o Giolitti al governo. Perdurava questa
peculiare caratteristica: sostegno al governo (importa poco di chi) in cambio di un trattamento
particolare da parte di esso; immutabile era il potere dei notabili locali. La politica agraria del
fascismo non aveva avuto risultati visibili in queste zone del paese, dove la produzione agricola
restava a livelli inferiori del resto d'Italia (negli anni Trenta, il governo aveva messo in agenda la
questione dei grandi latifondi, delle terre incolte). Con la guerra si arrivò al vero tracollo
dell'economia del Sud: da una parte, il sistema degli ammassi per le esigenze del conflitto, assorbì
*'' Il governo Badoglio II era sostenuto da Dc, Pci (Togliatti era vicepresidente del Consiglio), Psiup (già Psi), Pli, Pdl,
Pda (convinti insieme ai socialisti da Togliatti, a cedere sulla pregiudiziale antimonarchica) e alcuni militari, tecnici
indipendenti.
* I corpi di Benito Mussolini e Claretta Petacci, vennero esposti alla folla il 29 aprile del 1945, attaccati per i piedi ad
una pensilina di un distributore dell'Esso, insieme agli altri fascisti uccisi il giorno prima a Dongo (nella famosa
foto: Nicola Bombacci, Benito Mussolini, Clara Petacci, Alessandro Pavolini, Achille Starace). Piazzale Loreto
venne scelto per vendicare simbolicamente quindici partigiani e antifascisti uccisi nello stesso luogo il 10 agosto del
1944. Aneddoto sulla gonna della Petacci: non appena comprese che c'era l'intenzione di appendere per i piedi anche
il cadavere della Petacci alla pensilina, don Pollarolo, cappellano dei partigiani, prese l'iniziativa di chiedere ad una
donna presente tra la folla, la sarta Rosa Fascì, una spilla da balia per fissare la gonna indossata dalla Petacci. Tale
soluzione si rivelò però inefficace e così intervennero i pompieri, sopraggiunti con gli idranti a sedare l'ira della folla
e provvedere a mantenere ferma la gonna con una corda.

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

quasi tutta la produzione delle terre; dall'altra, la distruzione dei bombardamenti fece il resto. Nel
1942 arrivarono i tedeschi per allestire le difese nel Mezzogiorno, dove gli alleati stavano per
sbarcare. L'arrivo degli angloamericani era vissuto dalla popolazione del Sud come la vigilia di
un'imminente pace (l'euforia ed il desiderio della fine della guerra fecero scaturire rivolte e
rappresaglie, dove gli antifascisti spingono all'azione le popolazioni delle città: a Napoli, nel
settembre 1943 parte una rivolta spontanea per la cacciata dei tedeschi). Gli alleati accolgono bene
il sostegno della popolazione: era indispensabile disporre di una rete locale per assicurarsi la
collaborazione dei civili. Le comunità italo-americane negli Stati Uniti furono di grande aiuto in
questo: l'Fbi e la Cia seguono attentamente le vicende della rete malavitosa radicata nel Sud Italia e
si rivolgono proprio agli uomini della mafia ed i potenti notabili locali per tessere la tela a loro
favore (in questo periodo si rivitalizza il tessuto malavitoso che con il fascismo aveva subito una
grande repressione, ma non era stato estirpato: nel 1926, il prefetto di ferro Cesare Mori venne
inviato in Sicilia con l'esplicito compito di distruggere le reti malavitose). Ben presto, quelle reti di
potere locale si convertono a favore degli angloamericani, dismettendo la camicia nera senza troppi
problemi e rivendicando i valori della patria e dell'antifascismo (non furono pochi i casi in cui si
organizzarono veri e propri Cln locali fasulli, dove i membri della famiglia recitavano i ruoli delle
componenti politiche). La situazione del Sud fa presto a diventare chiara anche alle forze alleate (i
vertici dell'Amgot – Allied military government of occupied territories): nel dicembre 1943, la Fea
- Foreing economic Administration (ente appositamente creato con il compito di elaborare una
politica economica di guerra per i vari paesi) manda esperti e tecnici per sondare il territorio (in
Italia viene inviato Adlai E. Stevenson: il rapporto Stevenson traccia un quadro desolante sulla
capacità delle regioni occupate di essere autosufficienti). L'Amgot, stretta tra le esigenze militari ed
i problemi civili, non riesce a tracciare una linea di intervento precisa: i funzionari della Fea e
dell'Unrra – United nation relief and rehabilitation administration, incidono poco sulla gestione dei
primi aiuti (450 mil di dollari, dal gennaio del 1944 al marzo 1945) e nei territori occupati la
gestione finanziaria risulta complessa, con scarsi risultati (viene creato l'Afa – Allied financial
agency, con il compito di controllare le banche locali e l'emissione della valuta militare alleata, le
amlire). Inoltre, l'indifferenza ed il disinteresse dei contadini e cittadini meridionali verso la
politica, rendeva difficile la penetrazione dell'antifascismo, quasi del tutto assenti nel Mezzogiorno.
L'obiettivo degli antifascisti del Cln, era quello di creare un tessuto civile ex novo, di mobilitare le
masse proletarie (le prime occupazioni delle terre si hanno nell'autunno del 1943: nell'ottobre del
1944, su proposta del ministero dell'Agricoltura, il comunista Fausto Gullo, il governo ciellenico
vara un decreto per la concessione di terre incolte o mal coltivate a gruppi di contadini riuniti in
cooperative); molto più difficile il coinvolgimento dei ceti medi, tendenzialmente anticomunisti e
antisocialisti, estranei anche alle culture del liberalismo e della democrazia (solo una minoranza di
giovani piccolo-borghesi vengono attratti dal partito comunista o socialista). Il ceto medio si era
avvicinato al fascismo perché vi aveva trovato la volontà di conservazione dell'ordine tradizionale
minacciato: era a rischio lo status dell'immobile società meridionale. Quello degli antifascisti è un
messaggio diametralmente opposto per come percepito: trasformazione, rifondazione del Sud,
distruzione dell'antico edificio il cui simbolo è la monarchia. Questo sollevò il malumore della
maggior parte della piccola borghesia, andando ad alimentare le forze dei partiti moderati all'interno
del Cln e delle forze di dx, i monarchici (che si stavano organizzando in movimento: L'Uomo
qualunque, fondato nel dicembre 1944 a Roma – attorno all'omonimo settimanale – dal
commediografo Guglielmo Giannini, formidabile nell'interpretare il malessere della borghesia
meridionale). I governi del Cln si dimostrano incapaci nel risolvere le gravi problematiche che
affliggono il meridione: la loro attenzione si focalizzerà quasi esclusivamente verso i bisogni dei
contadini (terre in cambio di tessere del Pdci e Psi); ciò alimenterà il rancore della borghesia verso
operai e contadini. Rancore che si trasformerà in odio di classe, anticomunismo e antifascismo,
sentimenti ben radicati che ergeranno un alto muro tra Cln e questa parte di società. A rafforzare
queste tendenze interviene anche il processo di epurazione, voluto e portato avanti soprattutto dalle
sinistre: nel luglio 1944, nasce l'Alto commissariato per la punizione dei delitti e degli illeciti del
fascismo (in ogni paese europeo si celebrano i grandi processi contro i personaggi complici e collusi

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

con il nazifascismo: in Italia furono sottoposte a giudizio 34.842 persone, di cui più della metà
vengono prosciolte in istruttoria e solo 16.829 finiscono il processo. L'alto commissariato mostrò
molta moderazione : 7.004 assoluzioni, 2.553 punizioni con la dispensa dal servizio, 7.312 sanzioni
disciplinari; nonostante ciò, le polemiche non cessarono e si dovette provvedere dal dicembre 1945
allo scioglimento dell'Alto commissariato e nel giugno del 1946, con decreto di amnistia del
Guardasigilli Togliatti).

2. Il vento del Nord (espressione coniata da Pietro Nenni: titolo articolo su Avanti! 27 aprili 1945,
nel momento in cui il Cln proclama l'insurrezione generale e le forze della resistenza liberano e
prendono in mano diverse città del Nord Italia contro gli occupanti nazi-fascisti, mentre gli
angloamericani risalgono la penisola).
La liberazione delle regioni del Nord Italia appare assai differente rispetto a quella del Centro-Sud:
l'avanzata delle truppe alleate, partite dalla Sicilia, aveva permesso una relativamente rapida
liberazione di queste zone ed i cittadini avevano avuto un ruolo da spettatori nella cacciata dei
tedeschi. Nelle regioni del Nord invece, l'occupazione tedesca si era protratta nel tempo.
L'insofferenza dei cittadini era al limite ed andava ad ingrossare direttamente le fila dei gruppi
partigiani, protagonisti della resistenza al dominio nazifascista. I partigiani rappresentarono
l'avanguardia armata della lotta di liberazione, quella compiuta anche da tutti i cittadini che si
adoperano nel sostegno a quest'attività nelle retrovie. Il simbolo della vittoria passa necessariamente
da questi gruppi: l'ordine di insurrezione generale, emanato dal Clnai, coincise con l'arrivo degli
angloamericani alle periferie dei grandi centri urbani. I capi dell'antifascismo prendono in mano la
gestione delle regioni liberate, formalmente sotto regime di occupazione generale. A concretizzare
ulteriormente quest'azione e appagare il peso ormai molto rilevante dell'antifascismo, il vento del
Nord investe il governo ciellenico di Bonomi (III) e alla guida della coalizione dei partiti antifascisti
sale l'azionista Ferruccio Parri (dal 21 giugno al 10 dicembre 1945, per un totale di 172gg)*. La
ribalta antifascista fece crescere l'illusione rivoluzionaria tra i militanti rossi e non fu facile per il
Pci imporre disciplina a questi gruppi: per tre mesi, nelle province rosse, partigiani scatenarono
un'ondata di violenza impressionante (giugno 1945, 270 persone giustiziate a Bologna, 117 a
Ferrara, 110 a Reggio Emilia; vengono assaltate le prigioni e fatti fuori i collusi fascisti in attesa di
processo) che scatenò accuse verso la resistenza da parte delle forze di dx e dell'antifascismo
moderato; Parri fu costretto a dare le dimissioni, venne sostituito da De Gasperi (I).

3. Referendum istituzionale ed elezioni per l'Assemblea costituente


La costruzione dell'edificio democratico – come si è visto con la crisi del governo Parri – non
prende corpo su un terreno di rapporti armonioso e senza conflitti tra i grandi partiti di massa
garanti di questo processo. L'impegno comune nel dotare lo Stato di nuove, solide fondamenta, si
concretizza in un faticoso patteggiamento per la stesura della Carta costituzionale. Dopo vent'anni,
il popolo italiano viene richiamato alle urne per eleggere i rappresentanti nelle amministrazioni
locali e nell'Assemblea costituente (votano per la prima volta anche le donne: 13 milioni di elettrici,
44 entreranno nell'Assemblea, il 6,3%). Alle storiche elezioni del 2 giugno del 1946, venne
registrata un'affluenza impressionante con l'89,1% degli aventi diritto (su più di 28 milioni di
italiani). Il risultato elettorale premiò i tre partiti di massa: Dc (35,2%), Psi (20,7%), Pci (18,9%),
Pli (6,8%), il Pda (1,5%), Pri (4,4%), Uq (5,3%), i monarchici (2,8%). Il voto del 1946 genera la
fine degli esecutivi allargati ma non la fine dell'unità antifascista: la forza delle varie componenti
era fondata sul presupposto di un pari peso all'interno dei governi ciellenici, adesso la forza dei
partiti era stata misurata dagli elettori e imponeva un riequilibrio e riassetto delle parti. L'unità
antifascista, reggeva adesso con l'accordo tripartito Dc-Psiup-Pci, con la conferma di De Gasperi
alla presidenza del Consiglio*'. Questa coabitazione essenziale per la necessità indilazionabile del
* L'investitura di Parri sollevò numerose polemiche e fu il risultato della caduta delle precedenti candidature di De
Gasperi e Nenni, anche se raccolse il consenso degli alleati.
*' L'eccezionalità della convenienza tra marxisti e cattolici, va inserita in un contesto più ampio, di respiro
internazionale, in cui quasi tutti i paesi europei registrano il medesimo tipo di coabitazione governativa: nel giugno
del 1946, l'alleanza tra le democrazie occidentali e l'Unione sovietica è ancora operante e durerà fino a luglio,

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

patto sui fondamenti dello Stato, sancì (ancora una volta) la tregua tra i contraenti: c'era la volontà
comune nel porre una fine alle esperienze autoritarie e dotare il nuovo Stato di solide basi
democratiche. Anche il Pci spinse in questa direzione, cercando di garantirsi il più ampio spazio di
libertà d'azione all'interno del sistema. Togliatti, fin dal 1944, si è dedicato alla trasformazione del
partito di avanguardie rivoluzionarie in partito di integrazione di massa, capace di raccogliere un
largo numero di iscritti. Il progetto rivoluzionario comunista doveva passare attraverso la conquista
del consenso e delle istituzioni, per compiere poi il salto rivoluzionario (la politica comunista dei
due tempi: democrazia progressiva e rivoluzione). Nonostante la volontà di collaborazione, non era
semplice per i tre partiti al governo frenare le pulsioni ed i timori provenienti della rispettive basi:
per il Pci ed il Psiup frenare l'impazienza delle masse e dei gruppi partigiani (rifiutati di consegnare
le armi, molti riprendono la strada della montagna); per la Dc rassicurare il ceto medio era priorità
assoluta. Nella Dc la leadership era in mano ai cattolici liberal-democratici alleati con la sx
cristiano-sociale, entrambe anime profondamente antifasciste e decise a portare fino in fondo il
distacco con il passato dittatoriale, quindi abbandonare la monarchia al suo destino, non dando
indicazione di voto al suo tradizionale elettorato per il voto dell'Assemblea costituente (registrando
il dissenso della dx democristiana e del Vaticano). Socialisti, comunisti, azionisti, repubblicani –
schierati contro la corona – non avevano la maggioranza dell'Assemblea (45% ca) mentre
democristiani, qualunquisti, monarchici – tradizionali sostenitori dell'istituto regio – superavano
approssimativamente il 50% se De Gasperi non avesse lasciato libero di scegliere l'elettorato
democristiano e si fosse pronunciato a favore di Casa Savoia e dell'erede al trono Umberto II,
avrebbe vinto la monarchia. L'intento di De Gasperi era quello di guadagnarsi il sostegno di Pio
XII: la Dc non è un partito di cattolici come il Ppi di Sturzo, è l'unico partito autorizzato dalla
Chiesa; una sconfessione del pontefice costerebbe la frantumazione del partito stesso. La
prospettiva della repubblica democratica, alletta gli alleati americani, favorevoli ad una svolta in
questo senso, desiderosi di trovare una sponda sicura all'interno del complesso sistema partitico
italiano: i liberali erano troppo deboli; il Psiup – non escluso in prima battuta dagli americani –
risultò partner inaffidabile, in quanto legato ai comunisti e alla formula della rivoluzione
democratica (la vicenda legata all'appoggio americano alla corrente saragattiana all'interno del
partito, provocò la spaccatura interna del partito Psi – Nenni/Psli, Psdi – Saragat*).

4. La guerra fredda
Le tappe cruciali per la formazione del nuovo assetto dello Stato italiano necessitarono della
convergenza di forze profondamente diverse fra loro. Le tappe che segnarono questo percorso, del
referendum istituzionale, dell'Assemblea costituente e del trattato di pace, furono cruciali per
l'Italia. I timori dei democristiani, dei socialisti e comunisti si fecero sempre più visibili nel
momento in cui si cominciò a discutere del destino del paese, in procinto di sedersi attorno al tavolo
della pace e non da vincitori. Le sanzioni contro l'Italia non sono leggere: privazione di tutte le
colonie africane, dell'Albania, dei territori adriatici (compresa Trieste*'), del Trentino e dell'Alto
Adige (contesi tra l'Italia e l'Austria). Lo scoppio della guerra fredda appesantisce notevolmente il
clima internazionale e rende palese la rottura dell'equilibrio tripartito (primavera 1947). Stalin, non

quando incominceranno le trattative di pace a Parigi.


* Il Partito socialista democratico italiano (Psdi) fu fondato l'11 gennaio del 1947 con la denominazione, in
rievocazione della precedente formazione prefascista, del Partito socialista dei lavoratori italiani, in seguito alla
scissione di Palazzo Barberini della corrente di Giuseppe Saragat. All'interno del Psi c'era una forte corrente di dx
insofferente ai legami con il Pci e desiderosa di entrare nell'area occidentalista, sotto l'ala protettiva americana. Il
sostegno degli americani interessò anche questa corrente, nel tentativo di farla prevalere sulla componente
massimalista. Tuttavia, questa strada ebbe il solo effetto di accelerare la spaccatura tra i due tronchi del socialismo.
L'origine dell'anomalia del sistema politico italiano, difforme dalle esperienze del resto dell'Occidente democratico,
ha origine in questo frangente: l'impossibilità della nascita di un forte partito socialdemocratico che potesse entrare
nel gioco dell'alternanza di governo; il partito comunista viene messo fuori da questo gioco. Con la scissione di
Palazzo Barberini nel 1947, il Psiup cessa di esistere e da esso prende forma il Psli (poi Psdi) ed il Psi di Nenni.
[Wikipedia].
*' La sorte di Trieste restò sospesa: l'intera regione giuliana venne divisa in due parti (A e B) la prima occupata
dall'esercito degli alleati, la seconda dall'esercito di Josip Tito Broz (Jugoslavia).

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

rispettando i patti sottoscritti a Jalta (Conferenza di Jalta 4-11 feb 1945 tra Roosevelt, Churchill,
Stalin:), rimette in discussione gli equilibri nel Mediterraneo: nei paesi sotto l'influenza sovietica, le
libertà si restringono; inizia la penetrazione sovietica in Turchia. Gli Stati Uniti adottano (con Harry
Truman, nel 12 marzo 1947) una strategia di contenimento, dando appoggio a tutti quei paesi che
lottano contro l'aggressione comunista (a cui segue il lancio di una proposta di aiuti concreti, anche
alle nazioni dell'Est, costrette a però a rifiutare). In uno scenario del genere, ci si rende conto di
come l'Italia abbia rappresentato una pedina fondamentale per gli equilibri tra le due opposte
potenze. L'Unione sovietica può contare sull'appoggio del Pci, la cui sudditanza a Mosca è
rinvigorita all'indomani della riedizione della Terza Internazionale (Comintern, 1919) con la
costruzione del Cominform nell'autunno del 1947 (con il compito di coordinare l'attività dei partiti
comunisti in modo conforme alle direttive del Pcus). Come ci si poteva aspettare, le pressioni di
Washington sulla Dc furono forti per la rottura del patto di governo con i comunisti e socialisti; De
Gasperi ne era consapevole – anche se esitò in un primo momento – data la delicata fase della
discussione costituzionale*''. Anche il quadro internazionale rispecchia la medesima dinamica degli
equilibri governativi (primavera 1947): in Francia, in Belgio si rompono le coalizioni comprendenti
i comunisti. Con la rottura dei governi d'unità, la Dc recupera credibilità di fronte ai molti –
prevalentemente al Sud – che non avevano visto di buon occhio lo spostamento a sx, l'antifascismo
predominante: conservatori, nostalgici del fascismo, notabili del Mezzogiorno, sono attirati a dx
dalla presenza dei qualunquisti e monarchici; grande insidia per il voto democristiano *. Le chiavi
del potere nel Mezzogiorno sono ancora legate all'intreccio tra politica e mafia, da rapporti
clientelari e nobiliari con i controllori di queste terre. La Dc entra a pieno in questo complesso
sistema di connivenze: l'alleanza tra i democristiani e le dx – che raccolgono consensi molto alti
nelle diverse zone del meridione – è stata confezionata in questo segno e resterà in vita per più di
dieci anni (con i monarchici e poi neofascisti, una volta scomparso l'Uq di Giannini). Anche a
livello nazionale, il monocolore di De Gasperi – dopo la rottura con Pci e Psi – ha poggiato sulla
disponibilità dei voti della dx; dall'autunno del 1947, De Gasperi decide di cambiare rotta
acquisendo il sostegno dei radicali, dei repubblicani e dei socialdemocratici, la coalizione
quadripartito (formula di maggioranza destinata ad essere riproposta con successo per quindici
anni). Il clima di tensione aumenta con l'avvicinarsi delle elezioni politiche del 1948: lo scontro
nato sulla frattura comunismo-anticomunismo, diventa totalizzante. Il risultato segna una
straordinaria vittoria della Dc, che ottiene il 48,8% dei voti ed ha la maggioranza assoluta dei seggi
in Parlamento (305 su 574 alla Camera, 131 al Senato); il Fronte democratico popolare (Fdp) arriva
solo al 31% (183 seggi alla Camera, 72 al Senato).

5. La politica economica della ricostruzione


In teoria la Dc per valori, cultura, storia, e composizione sociale, non è il rappresentante ideale della
borghesia imprenditoriale e gli interessi del capitale. Nonostante ciò, il partito dei cattolici si era
guadagnato la fiducia degli Stati Uniti e difronte alla prospettiva dei finanziamenti americani questi
settori sociali ed economici concedono sostegno al partito di De Gasperi (in passato, erano stati i
liberali, classe dirigente risorgimentale, i canale politico privilegiato dalla borghesia
imprenditoriale; ma, dopo il compromesso con il fascismo e la perdita di forza, i liberali non
riescono a recuperare le loro vecchie posizioni). La Dc, fino alla sua nascita, aveva mostrato
disponibilità verso gli industriali, appagati dalla guida di alcuni dicasteri economici importanti,
affidati ad esponenti del Pli, come Luigi Einaudi – nominato ministro del Bilancio – nel monocolore
guidato da De Gasperi nel 1947 e prima nella fase dei governi del tripartito; oppure, dall'asse De
Gasperi-Angelo Costa, presidente della Confindustria. Nonostante la distruzione della guerra e la

*'' Discussione sui Patti lateranensi ed il Concordato: i partiti laici e socialisti erano contrari nel recepirli all'interno
della carta costituzionale; i comunisti invece, erano disposti a mediare e garantire il loro sostegno, a patto del
mantenimento degli equilibri di governo. Una volta superato lo stallo, De Gasperi aprì la crisi di governo.
* La Sicilia è la regione più inquieta da questo punto di vista: il diffuso senso di estraneità verso lo Stato, da corpo alle
pulsioni separatiste, tendenze monarchiche, qualunquiste e neofasciste. La Dc tentò di porre argine al dilagare delle
proteste (vi era pure un esercito clandestino di separatisti nell'Isola, l'Evis) con la concessione dell'autonomia
regionale, ma solo la rottura con le sx concretizzò un recupero di fiducia ed il rientro di queste tendenze sovversive.

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

disoccupazione dilagante, il dibattito sulla ricostruzione si aprì con una buona dose di ottimismo.
Durante i lavori della commissione economica della Costituente furono avanzate diverse ricette, ma
a prevalere sui fautori dell'intervento pubblico dello Stato, furono quelle dei sostenitori del libero
mercato: l'ampliamento del ruolo dello Stato in economia viene sostenuto da tutti i settori della sx,
dai marxisti, dai cattolici e dagli azionisti, fortemente osteggiati dai liberali. I comunisti furono i
primi a cedere su questo piano, più preoccupati di ottenere sostegno sul piano del cambiamento
politico del paese (cioè la Repubblica e la Costituente) che sul piano economico su cui esso avrebbe
dovuto poggiare (il cambio della moneta, che mirava ad abbattere l'inflazione e colpire gli affaristi e
speculatori, sostituendo la lira e la amlira; le nazionalizzazioni; le riforme strutturali per un sistema
fiscale equo). Anche all'interno della Dc la presenza di diverse anime - istanze liberiste e riformiste
– non rendeva facile la scelta di una direzione conciliante. A favore dell'indirizzo dei liberisti, giocò
un fattore psicologico diffuso trasversalmente tra tutti gli antifascisti: cioè l'evocazione del passato
fascista che si attua con il far riferimento al controllo dello Stato sull'economia. Dunque,
l'impostazione del discorso economico, in questa fase, segue nei propositi le parole d'ordine:
liberalizzare il commercio estero ed i cambi esportazioni; abolire controlli sui prezzi e sulle attività
finanziarie per dare fiducia ai privati nel rilancio di investimenti e produzione; abbattere le barriere
tariffarie, le sovversioni governative, costringendo le imprese a riadattarsi da sole alle regole della
concorrenza internazionale. Una linea che si prefigura in netto contrasto con le linee storiche dello
sviluppo economico italiano: gli imprenditori – che adesso si scoprono tutti liberisti – in passato,
hanno fatto largo affidamento sulle tariffe protettive e sulle sovvenzioni pubbliche (grazie
all'intervento dello Stato si era potuto dar vita alle infrastrutture necessarie per la crescita, alle
industrie estrattive, metallurgiche e meccaniche, nonché, il sostegno all'intero sistema bancario);
contrasto vi era anche con la tendenza che si registra rispetto alle direttrici seguite dalla politica
economica di Francia, Gran Bretagna, Austria, dove il dibattito sulle pianificazioni è ancora aperto.
Naturalmente, in questo percorso, la posizione degli Stati Uniti è fondamentale per l'economia
italiana: a Washington, dove ci si prepara per il lancio del piano Marshall, si fa affidamento sulla
Dc per il superamento della crisi economico-finanziaria del dopoguerra: Einaudi vara una manovra
deflattiva, che alla fine dell'estate del 1947, ha portato alla stabilità monetaria e dei tassi di cambio
lira-dollaro (requisiti essenziali per accedere agli aiuti Erp – European recovery program*). Con
l'Erp, gli Stati Uniti si erano proposti di far partire una serie di interventi che favorissero l'avvio di
una serie virtuosa di investimenti, dell'occupazione, delle riforme sociali e amministrative che
garantissero le basi per la crescita economica, stabilità politica e riconciliazione sociale. La strada
dello stimolo alla produzione non fu intrapresa dal governo italiano e la produzione industriale – nei
due anni successivi – continuò a ristagnare (sostanzialmente anche con il passaggio di ministero da
Einaudi, eletto alla presidenza della Repubblica, a Giuseppe Pella, la linea economica del governo
non cambiò in questi anni: Einaudi, Pella e Donato Menichella, governatore della Banca d'Italia,
sono convinti della necessità di risanare il deficit pubblico e la bilancia dei pagamenti, così, mentre
produzione ed occupazione rimangono ferme, crescono le riserve internazionali del Tesoro); cosa
che gli Stati Uniti non gradirono molto. Certo, anche gli industriali hanno il loro peso nel percorso
intrapreso: le scarse pressioni sulla Dc e la sostanziale indifferenza dimostrata, segnalano una
volontà reale di non rinunciare all'aiuto dello Stato, in netto contrasto con i propositi liberisti
annunciati in precedenza (Confindustria è la prima a non voler rinunciare all'aiuto statale; i potenti
gruppi industriali come Finsider, Fiat, Edison accettano la deflagrazione solo in cambio di cospicui
appoggi finanziari). Dunque, la linea di De Gasperi si mantiene in continuità con il passato: si punta
alla stabilità finanziaria (questa scelta risulterà positiva – dieci anni dopo, alla luce dell'enorme
sviluppo del paese – ma anche un'occasione mancata ed irripetibile per intervenire sulle distorsioni

* European recovery program o piano Marshall (dal nome del segretario di Stato statunitense George Marshall): un
piano di aiuti economici sostanziato in uno stanziamento di poco più di 17 miliardi di dollari per un periodo di
quattro anni. Con l'obiettivo di favorire una prima integrazione economica del continente, nacque contestualmente al
programma anche al Organization for european economic cooperation (Ooec, in italiano Oece) organismo
sostanzialmente tecnico in cui i programmatori inviati da Washington cercarono di spingere gli europei ad utilizzare
gli aiuti non per fronteggiare le contingenze del momento, quando piuttosto per avviare un processo di
trasformazione strutturale dell'economia dei loro paesi.

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

strutturali e per programmare razionalmente la crescita economica del paese). I costi di questa linea
ricadono in maggior parte sul mondo del lavoro, dilaniato dalla disoccupazione e dai salari bassi: la
stretta creditizia mette in ginocchio la piccola industria; i costi di riconversione, ricostruzione degli
impianti industriali finalizzati alla produzione bellica, finiscono con l'assorbire gran parte delle
sovvenzioni statali e, dove si chiudono impianti e falliscono imprese, c'è una riduzione
impressionante dei posti di lavoro (nel 1947-1948, la Dc non era a caccia del voto operaio, ma di
quello del ceto medio messo in ginocchio dall'inflazione: per rassicurare e convincere questi settori,
c'è bisogno di perseguire stabilità della lira ed il risanamento del bilancio statale). Gli sforzi in
questa direzione dimostrano il loro successo con la vittoria alle elezioni del 1948, dove la sx subisce
una grande sconfitta: la svolta moderata – che vede il matrimonio della Dc con gli industriali – è
inaugurata da una forte stretta su quelle che in passato rappresentavano le conquiste della sx
(consigli di fabbrica, blocco dei licenziamenti, cessano di esistere) accompagnata dalla mano
pesante del ministro dell'Interno Mario Scelba – una vera e propria epurazione politica – sulla classe
operaia, dove ogni intervento aggressivo della polizia viene giustificato con la minaccia della
rivoluzione comunista. Il clima durante tutto il 1948 divenne incandescente e, il 14 luglio del 1948,
quando un giovane neofascista (Antonio Pallante) attentò alla vita di Palmiro Togliatti di fronte a
Montecitorio, la rivoluzione del popolo rosso sembrò molto vicina: i militanti rossi dissotterrano le
armi nascoste, venne dichiarato sciopero generale dalla Cgl (in luglio avviene la rottura dell'unità
sindacale tra cattolici, socialisti e comunisti: le componenti cattoliche rifiutano l'adesione allo
sciopero e alle proteste; l'unità sindacale aveva cominciato a traballare già all'indomani della rottura
del tripartito; la nascita delle Acli – Associazioni cristiane dei lavoratori italiani, va inscritta in
questo senso, a sancire la divisione in atto) le città vennero paralizzate da continue manifestazioni e
blocco delle fabbriche; si aspettava solo il segnale dei vertici del partito per l'avvio dell'insurrezione
(molti episodi di violenza si registrarono nei due giorni successivi all'attentato, es. in Toscana,
sull'Amiata a Badia S. Salvatore, Arezzo, Piombino, Livorno, oppure Genova, Venezia, Bologna,
Milano). Le direttive di Togliatti furono opposte. In accordo con i vertici del Pci, venne ordinata la
smobilitazione dai vertici sindacali: “non perdete la testa” avrebbe detto Togliatti con un filo di voce
mentre veniva portato al Policlinico di Roma. La rivoluzione non era all'ordine del giorno*.

6. L'impegno politico degli intellettuali


L'Italia dell'immediato dopoguerra offriva una panoramica desolante su quella che era la situazione
della sua popolazione: alto è il numero di famiglie con tenore di vita bassissimo e basso (inchiesta
parlamentare sulla miseria, 1953). Determinante fondamentale di questo stato di cose è la
drammatica situazione dell'Italia agraria del Sud, che conserva il primato delle zone più depresse
del paese. La situazione d'emergenza in cui versano queste terre (non solo nel meridione, anche nel
Nord, seppur in modo diverso, era soggetto alle medesime problematiche) attira lo sguardo della
cultura italiana, che comincia ad inserire come soggetto principale delle proprie narrazioni l'Italia
dell'emergenza e del dopoguerra e l'Italia della ricostruzione (Carlo Levi, Curzio Malaparte,
Eduardo De Filippo, Anna Maria Ortese, Vittorio De Sica, Roberto Rossellini, Pier Paolo Pasolini,
Carlo Emilio Gadda, Alberto Moravia, Cesare Pavese, Vasco Pratolini, Elio Vittorini, Elsa Morante,
Ennio Flaiano). In tutti i settori di interesse, dal cinema, al teatro, alla letteratura, all'arte, si
inaugura una stagione ineguagliabile di produzioni e pubblicazioni, tutte all'insegna dell'impegno
civile e politico; una chiara reazione ad un ventennio di disimpegno intellettuale dovuto agli

* Alcune ipotesi hanno evidenziato come la scelta di Togliatti e del partito (gli organi del partito concordarono
all'unanimità) di dissuadere i militanti dall'azione eversiva, fosse motivata dalla profonda consapevolezza di quello
che sarebbe potuto accadere qualora ci fosse stato un attacco ai simboli dell'ordine e della democrazia da parte del
popolo rosso: una dura reazione delle forze dell'ordine ed il probabile scoppio di una guerra civile; la messa fuori
legge dei comunisti e l'espulsione del Pci dal sistema. Il 15 luglio del 1948, il ministro Scelba – durante una seduta
del Consiglio dei ministri – propone di dichiarare lo stato di polizia, che avrebbe permesso ai prefetti di passare le
redini della situazione ai militari; una linea non condivisa da De Gasperi che, dopo aver sentito l'allora leader della
Cgl Giuseppe Di Vittorio, fu rasserenato dai suoi intenti distensivi. Il 15 luglio arriva la notizia della vittoria sulle
Alpi francesi di Gino Bartali, ciò favorì la distensione del clima molto pesante in Italia. Il 17 luglio la vita
ricomincia a scorrere normalmente. Il 19 luglio Togliatti è fuori pericolo.

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

stringenti dettami e alla censura imposti dal regime fascista. Il Pci esercitò una fortissima influenza
tra le élite culturali, conquistate dagli ideali antifascisti: un esempio significativo, Pasolini ed il
filone degli intellettuali neorealisti, inscritti nell'orbita della sx. Casi declassati da molti esponenti
della Dc – il ministro Scelba ed Andreotti – a squallido culturame, asservito a Mosca e impegnati
nella costruzione di un'immagine dell'Italia ripugnante (con una semplificazione viene apparentato
il neorealismo italiano al realismo socialista in auge nell'Urss). La Dc si mostra, in particolare modo
in questa fase, il partito dei notabili, dei padroni, dei borghesi e della Chiesa, in lotta contro la
modernità, della conservazione dell'ordine precostituito delle cose (in riferimento soprattutto alla
società agricola). Nonostante ciò, anche il Pci – riconosciuto da molti come il partito dalla parte dei
poveri e oppressi: associato ala modernità e al progresso – si muove con estrema cautela sul piano
della modernizzazione: l'arretratezza politica, civile, culturale in cui versa il paese è essa stessa
garanzia del forte radicamento delle masse. Insidia per entrambe le dottrine è il potere
secolarizzante dell'american way of life, il riferimento ai valori del capitalismo materialista a
fondamento delle società industriali, esportato dagli americani; risulta particolarmente seducente,
indica la strada del benessere e del progresso sociale (la presa sulla società delle dottrine cattolica e
comunista, si basa su delle ideologie-religioni – garantite da poteri trascendenti, Chiesa e Unione
sovietica – bisognose di un basso livello di secolarizzazione della società).

7. La riforma agraria, Cassa per il Mezzogiorno e grande migrazione interna

Nel 1949-1950 il sottosviluppo, in particolare delle regioni meridionali, stava diventando anche un
problema di ordine pubblico e un fattore compromettente la ripresa economica di tutto il paese.
Inoltre, sul piano politico, la disperazione della popolazione meridionale divenne terreno fertile per
i partiti di dx (filo-monarchici, qualunquisti e neofascisti) nonché della sx (che si stava facendo
carico della politicizzazione delle masse di contadini). Questo apparve particolarmente evidente alle
elezioni amministrative (1951-1952) e alle politiche del 1953. La Dc si stava giocando la propria
egemonia nel paese e rischiava fratture interne (la sx democristiana era insofferente verso la linea di
De Gasperi, Pella e Scelba). Si presenta l'occasione per il varo di una riforma agraria atta a
stimolare la nascita di piccole proprietà contadine; percorso riformatore favorito anche dalla
condivisione dei comunisti. Dc e Pci erano entrambi restii ad un'industrializzazione forzata ed
accelerata del Mezzogiorno: puntare su uno sviluppo senza stravolgimenti sociali che possa elevare
progressivamente il livello di produttività agricola e generare ricchezza, rendendo poi possibile
l'avvio di un percorso di sviluppo industriale anche nel Sud. Le politiche messe in atto in questo
periodo si sostanziano essenzialmente dell'esproprio dei grandi latifondi, la divisione in piccoli lotti
e la distribuzione ai contadini (attuate con le riforme agrarie del 1949 e 1950) nonché la costruzione
di una rete di infrastrutture e opere pubbliche (permessa dall'istituzione della Cassa per il
Mezzogiorno, 1950). Nonostante questo tipo di azione possa essere stata ritenuta rilevante –
soprattutto per lo stanziamento di ingenti risorse – le forze politiche si illusero della possibilità di un
recupero di queste regioni depresse, colmando quel deficit di sviluppo con il resto del paese; come
se si dovesse creare artificiosamente il percorso di sviluppo del capitalismo avuto in cento anni nei
grandi centri urbani del Nord Italia e nelle moderna nazioni dell'Occidente industrializzato. Altro
fattore preponderante per la determinazione di alcuni caratteri dell'evoluzione del meridione, della
sua storia, è certamente l'incertezza dei mezzi di comunicazione di massa (cinema, radio e
televisione, dal 1954) che non rendono più il Sud una realtà così isolata dal resto della penisola:
l'eco della vita urbana delle città come Napoli, Bari, Palermo, Catania, Roma e della modernità
delle grandi capitali del Nord industriale arriva nelle campagne del Mezzogiorno, dove la vita
contadina e soprattutto le prospettive sono rimaste quelle di un tempo. L'eco della vita borghese
delle città, della prospettiva del lavoro in fabbrica, da vita ad un vero e proprio esodo di massa dalle
campagne verso le città e soprattutto dal Sud verso il Nord (tra il 1950 e 1960, il mondo agrario
declina vertiginosamente in termini di prodotto lordo e di addetti nel settore); l'emigrazione di
questo periodo interessa anche mete come Argentina e Australia. L'esodo straordinario verso Nord è
destinato a mutare il volto delle città del settentrione, mentre la trasformazione dei centri del

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

Mezzogiorno è altrettanto radicale (l'assorbimento delle masse contadine all'interno del tessuto
produttivo urbano, interessa quasi esclusivamente il settore dell'edilizia: nel 1949 il governo vara il
piano casa di Amintore Fanfani).

8. Alla ricerca di una stabile maggioranza centrista: la legge Scelba (1953)


La prima stagione di riforme dell'inizio degli anni '50, non ha portato molto successo alla Dc: l'asse
Confindustria imprime sul partito cattolico un marchio borghese particolarmente visibile, mentre a
garantire il successo e l'egemonia democristiana (1948) era l'identità popolare del partito, le
profonde radici nella subcultura bianca, nel mondo contadino (l'associazione dei coltivatori, la
Coldiretti, rimarrà un punto di forza nel collegamento con questo settore) ed i consensi dei ceti
medio-piccoli. La riforma agraria e le politiche a sostegno del meridione puntavano sulla creazione,
anche nel Sud, di una rete di piccola proprietà contadina, ancorata ai valori religiosi, dunque,
orientata a votare democristiano. La riforma risultò efficace, nel breve periodo, per risolvere il
problema dell'ordine pubblico, ma troppo poco incisiva per risolvere i problemi di quelle terre
(grande divario con le regioni produttive del Nord); il che rese soggetto a forti critiche l'operato
della Dc, da un lato da parte del Pci, dall'altro dai grandi latifondisti (se pur ben indennizzati, le
proteste per l'esproprio delle terre furono forti) e parte della borghesia rurale (essa si rivolge alle
forze di dx, monarchici e missini, che guadagnano molto seguito). Alle amministrative del 1951-
1952, gli elettori del meridione non sono riconoscenti verso la Dc, che subisce un crollo sotto la
soglia del 40%, dieci punti percentuali in meno del risultato del 1948; crescono le liste della dx, il
Pnm – Partito nazionale monarchico, il Msi – Movimento sociale italiano. Il voto del 1948 ed il
risultato eccezionale del partito cattolico era dovuto ad una concomitanza di fattori interni ed esterni
che lo favoriscono: la guerra fredda appena incominciata, pone uno scontro ideologico fortemente
esasperato (di lì a poco, scoppierà la guerra tra Nord e Sud Corea, 1950 e stessa cosa sarebbe potuta
accadere tra le due parti della Germania; inoltre, l'armamento atomico delle due super potenze era
stato completato e si poneva come concreta minaccia) la paura del comunismo spinge molti verso la
Dc. Nel 1949, l'Italia entra a far parte dell'Alleanza Atlantica (con non poche proteste interne per ciò
che comportava sul piano militare, ovvero dare asilo alle basi missilistiche, agli aerei, le navi della
Nato – National atlantic treaty organization) il patto sanciva l'ingresso sotto l'ala difensiva degli
Stati Uniti, garantita a tutto l'Occidente europeo dalla minaccia sovietica. Paradossalmente, tra i
blocchi si crea una sorta di equilibrio del terrore, che entrambe le parti si impegnano a garantire; ciò
favorisce se non una distensione del clima, almeno un rasserenamento degli umori e sicuramente
una minore percezione del pericolo incombente, certamente agevolato dalle garanzie del sistema
democratico instaurato in Italia, dal legame internazionale con l'Occidente, ma soprattutto dai
finanziamenti provenienti dagli Stati Uniti. A preoccupare la Dc non è solo il calo dei consensi delle
elezioni del 1953 (che certamente non eguaglia quello del 1948, ma le assicura sempre il primato su
tutti gli altri partiti, non pareggiabile nemmeno con la forza congiunta delle sx) ma soprattutto, il
vistoso cedimento delle forze di governo alleate – Pli, Pri, Psdi – con le quali la Dc scelse di
governare anche nel 1948, pur disponendo della maggioranza assoluta di seggi: la formazione del
partito neocentrista rispondeva alla necessità di assicurare al partito cattolico una posizione centrale,
impostando il sistema politico su tre poli – sx, centro, dx – riservando alla dc il ruolo di asse
portante del grande centro che aveva alla sua sx il Pri ed il Psdi (in grado di mediare ed accreditarsi
il voto della borghesia progressista e della classe operaia) a dx il Pli (rivolto ai settori della
borghesia conservatrice). Questa macchina elettorale non funziona alle amministrative del 1951-
1952: riforma agraria non trova il gradimento dell'elettorato liberale; il ricorso frequente alla mano
dura della polizia contro manifestanti e disoccupati in protesta, non garantisce al Psdi l'apporto di
voti del mondo del lavoro; il Pri non era in grado di intercettare il voto dei ceti medi laici, per le
troppe ingerenze della Chiesa. Nonostante le ali estreme del sistema (a sx i comunisti e socialisti, a
dx i monarchici ed i missini) non fossero in grado di rovesciare l'assetto istituzionale, c'era in gioco
– alle politiche del 1953 – la stabilità degli esecutivi centristi (rischiando di non raggiungere la
maggioranza sufficiente alla Camera) esponendo alle minacce degli estremisti il paese, mettendone
in dubbio lo stesso inserimento nel blocco Occidentale. Per mantenere la palla al centro del gioco

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

politico, il ministro Scelba presentò una riforma della legge elettorale (n. 148, 1953) la così detta
“legge truffa” (Piero Calamandrei, deputato socialdemocratico): una modifica in senso
maggioritario del sistema, con l'introduzione del premio di maggioranza del 65% dei seggi alla
Camera dei deputati, acquisito dalla lista o dal gruppo di liste collegate qualora avesse raggiunto il
50% +1 dei voti validi. Tra le polemiche e la burrascosa seduta della Camera in cui fu discussa la
proposta*, la legge venne poi approvata con i soli voti della maggioranza. Alle elezioni del giugno
1953, per 60 mila voti, le liste apparentate (Dc+Pli+Pri+Psdi) non raggiungono il quoziente
necessario per far scattare il premio.

8 La grande trasformazione (1953-1968)

1. Il progetto della grande destra


Nel 1953, dopo vent'anni di egemonia democratica, viene eletto alla presidenza degli Stati Uniti, il
repubblicano Dwight David Eisenhower (predecessore era stato Harry Truman) della dx americana
guidata dal senatore Joseph Raymond McCarthy. In America aveva inizio l'era maccartista
(caratterizzata da pesanti toni di una politica fortemente anticomunista) la quale eco si sentì
prepotentemente anche in Italia, con l'arrivo della nuova ambasciatrice statunitense Claire Boothe
Luce. I rapporti dell'ambasciatrice, inviati da Roma al Dipartimento di Stato americano, descrivono
un paese sull'orlo della rivoluzione comunista e ciò spinse a stringere le maglie della sorveglianza
sull'Italia (la Cia in collaborazione con i servizi segreti italiani, sviluppò una strategia di politica
parallela atta a contrastare il dilagare della forza rossa). L'Italia, partner della Nato, paese
geograficamente strategico nello scacchiere della guerra fredda, non doveva cedere di un passo alle
insidie dell'Unione sovietica; essa poteva sfruttare la forza elettorale, la capillarità della rete
organizzativa-territoriale, del Pci. Inoltre, i servizi segreti italiani conoscevano i piani della
direzione comunista: l'eventuale passaggio alla clandestinità una volta che la situazione all'interno
del paese fosse precipitata. Da entrambe le parti vengono avanzati progetti e strategie difensive

* Vi furono grandi proteste contro la legge, sia per la procedura di approvazione che per il suo merito.
Il passaggio parlamentare della legge vide un lungo dibattito alla Camera dei deputati, ma una lettura fulminea al
Senato, i cui presidenti Paratore e Gasparotto in sequenza si dimisero quando capirono che la maggioranza aveva
intenzione di forzare la mano per ottenere la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale in tempo per svolgere le elezioni in
primavera con la nuova legge.
Il nuovo Presidente del Senato, Meuccio Ruini, approfittò della sospensione domenicale dei lavori per la domenica
delle Palme del 1953 per riaprire la seduta e votare l'articolo unico della legge: ne scaturì un tumulto d'aula, che
secondo Roberto Lucifero produsse l'uscita dall'aula del segretario generale Domenico Galante alla testa dei
funzionari parlamentari. Il gruppo del Pci contestò la regolarità della seduta, preannunciando che non avrebbe mai
votato a favore del processo verbale di quella seduta: non ve ne fu bisogno, perché il giorno dopo il Presidente della
Repubblica Luigi Einaudi firmò il decreto di scioglimento delle Camere ed il Senato si riconvocò solo nella nuova
legislatura. In ogni caso quel procedimento verbale non fu mai approvato. Quanto al merito, la polemica s'è riaperta
negli ultimi anni. Secondo gli oppositori l'applicazione della riforma elettorale avrebbe introdotto una distorsione
inaccettabile del responso elettorale. I fautori invece vedevano la possibilità di assicurare al paese dei governi stabili
non ritenendo praticabili alleanze più ampie con i partiti di sinistra o con i monarchici e i missini.
Si noti che la legge andava a innovare una materia che, almeno nell'Europa di diritto latino, era tradizionalmente
regolata secondo le elaborazioni di alcuni giuristi, principalmente Hans Kelsen, i quali vedevano in un sistema
elettorale strettamente proporzionale (e con pochi correttivi o aggiustamenti) la corretta rappresentatività politica in
Stati di democrazia. Se anche appare scorretto sostenere che la Costituzione del 1948 recepisse un favore per il
proporzionale, è però vero che già da allora il sistema del premio di maggioranza era considerato assai rudimentale,
per conseguire le esigenze di governabilità delle democrazie moderne, da buona parte della dottrina politologica.
Queste critiche sono riemerse, a cinquant'anni di distanza, nei confronti della legge n. 270 del 2005 (il cosiddetto
porcellum, dall'epiteto denigratorio rivoltole dal suo stesso proponente, l'allora ministro Roberto Calderoli), che
contiene al suo interno un premio di maggioranza nazionale alla Camera e regionale al Senato. [Wikipedia].

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

segrete (i piani Solo* e Gladio*'). I comunisti siedono in Parlamento e sono già alla guida di molti
comuni, ad ogni tornata elettorale aumentano i loro consensi. La paura di un'imminente
sopraffazione comunista gonfia le fila della dx: i monarchici con il 6% dei voti, i missini avanzano
dal 2% del 1948 al 5,8% nel 1953. Il Msi – Movimento sociale italiano*'' nasce nel 1946 e fin da
subito scatena la polemica – portata avanti dalle forze antifasciste e marxiste in primo luogo – sulla
legittimità costituzionale della formazione, in quanto la Costituzione vieta espressamente la
formazione di organizzazioni politiche richiamanti il fascismo (legge 20 luglio 1952 n.645, art.4
Norme di attuazione della XII disposizione transitoria finale della Costituzione). Non sarebbe stato
difficile dichiarare illegittimo il Msi, ma il cambiamento degli equilibri politici (la sx non è al
governo) e del clima d'opinione, rendeva conveniente non inimicarsi le fasce più reazionarie della
società (la rilevanza elettorale delle forze di dx era in crescita ma non poteva rappresentare una
minaccia per la Dc, ben felice di assicurarsi la centralità nel sistema e rappresentare il fulcro delle
istituzioni democratiche: la svolta moderata della democrazia cristiana). La crescita della dx poteva
però rappresentare una minaccia a questo stesso equilibrio sistemico: tra missini e monarchici c'era
l'idea di far nascere una grande dx autoritaria unita. Il clima internazionale sembrava favorevole
visto il cambio alla guida dai democratici ai repubblicani negli Stati Uniti, ma per il Dipartimento di
Stato non era minimamente contemplabile usare il Msi come sponda politica in Italia. All'inizio
degli anni Cinquanta, all'interno del movimento si avvicendavano nelle posizioni di vertice gli
esponenti più moderati (in “doppio petto”) oscurando l'ala più estrema, con la volontà di perseguire
la strada del sostegno al governo e avviare il processo di legittimazione del partito agli occhi di una
più vasta platea di sostenitori. Alle elezioni amministrative e alle politiche del 1953, la Dc arretra
vistosamente ed il centrismo comincia a vacillare (facile bersaglio dei franchi tiratori): l'offerta del
sostegno delle destre alle Camere sembrava necessaria *. Sempre sulla stessa strada, si ritrova la
vicenda legata all'ascesa politica del napoletano Achille Lauro, che si impegna nel tentativo di far
nascere una grande dx italiana guidata dai monarchici. Il terreno dell'attuazione di tale progetto è il
Mezzogiorno: dove il partito monarchico insieme al Msi e alla Dc, possono governare tutti i più
grandi centri (da Napoli a Palermo). Il progetto di Lauro però si blocca sotto Roma, in quanto la Dc
non intende esportare al Nord questo tipo di alleanza. Lauro decide di andare personalmente alla
ricerca dei potenti del Nord per imbastire questa grande alleanza, sodalizio degli industriali del
Nord e degli agrari del Sud: sonda gli umori di Confindustria, degli imprenditori, che però restano
freddi davanti a questo appello. Non tutti sono d'accordo all'interno del partito monarchico, sul
* Il Piano Solo fu un progetto militare di emergenza, volto ad assegnare all'Arma dei carabinieri il potere in Italia, sul
punto di essere attuato nell'estate del 1964, definibile anche come tentativo di colpo di Stato. Questo era un progetto
di enucleazione, con il quale si proponeva di assicurare all'Arma dei Carabinieri (il cui comandante era il generale
De Lorenzo) il controllo militare dello Stato per mezzo dell'occupazione dei centri nevralgici e soprattutto del
prelevamento e del conseguente rapido allontanamento dei personaggi ritenuti politicamente pericolosi: questi
avrebbero dovuto essere custoditi fino a cessazione dell'emergenza, nella sede del Centro addestramenti Guastatori
di Poglina, vinina a Capo Marrangiu, nel territorio di Alghero (base militare segreta per l'addestramento della Gladio
adattata dal Sifar – Servizio di informazione delle forze armate, 1949).
*' Gladio è il nome in codice di una struttura paramilitare segreta di tipo stay-behind (“stare dietro”, “stare al di là
delle linee”) promossa durante la guerra fredda dalla Nato, per contrastare un eventuale attacco delle forze del Patto
di Varsavia ai Paesi dell'Europa occidentale. Il termine Gladio è utilizzato propriamente solo in riferimento alla stay-
behind italiana. Il gladio era il simbolo dell'organizzazione italiana, mentre quello internazionale era la civetta.
Durante la guerra fredda , quasi tutti i paesi dell'Europa occidentale crearono formazioni paramilitari riunite nella
Stay-behind net sotto controllo della Nato. L'esistenza della Gladio, sospettata fin dalle rivelazioni rese nel 1984 dal
membro di Avanguardia nazionale Vincenzo Vinciguerra durante il suo processo, fu riconosciuta ufficialmente dal
presidente del Consiglio Giulio Andreotti, il 24 ottobre 1990, che parlò di una “struttura di informazione, risposta e
salvaguardia”.
*'' I fondatori del Msi provengono dalle fila del fascismo repubblichino (Giorgio Almirante e Pino Rauti). I programmi,
i toni della propaganda, gli ideali, richiamano esplicitamente il fascismo e la dittatura mussoliniana.
* A sostegno di questa strada, intervenne anche il Vaticano. Accanto a Pio XII si era stretto un gruppo di cardinali
reazionari, pronti a inasprire la crociata anticomunista: in occasione delle amministrative di Roma nel 1952, per
paura di una vittoria del blocco delle sx (guidato da Nitti) intervenne direttamente la Chiesa, sostenendo la
presentazione di una lista civica tra cattolici, missini, monarchici (guidati da Sturzo). Il connubio con l'estrema dx
era però rifiutato dalla sx democristiana e dovette intervenire De Gasperi per bloccare l'operazione, persuadendo il
pontefice sull'opportunità di intraprendere questa strada troppo rischiosa per l'unità dei cattolici.

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

progetto di unione in unica forza di dx seppur limitata al Sud; anche i missini abbandonano il
progetto. A beneficiare di queste dinamiche, la Dc felice di usufruire del forte appoggio di Lauro
soltanto nel meridione, instaurando un sistema clientelare costruito da una fitta rete di scambi
intrattenuti dallo stesso Lauro (sindaco di Napoli dal 1952 al 1957 e nel 1960).

2. Imprenditori privati e imprenditori pubblici


L'Italia degli anni Cinquanta si stava lasciando dietro la guerra e già molte cose erano cambiate,
anche nel meridione: la società ottocentesca stava scomparendo, alla proprietà terriera era stato
inferto un colpo mortale con la riforma agraria del 1949. Una trasformazione che non va a mutare lo
stato arretrato di queste zone della penisola, ancora le più depresse, dove disoccupazione e illegalità
raggiungono tassi elevati. Il Nord invece, ormai lanciato verso l'omologazione ai paesi dell'Europa
del Nord sviluppata. In pochi anni, nelle regioni settentrionali, era cresciuta una quantità di
iniziative economico-industriali in grado di dare risultati eccezionali: il Pil cresce (tra il 1951 ed il
1958) ad un tasso medio annuo del 5,3%; nel 1959 arriva al 6,6% e nel 1961 all'8,3%. A fare da
traino è l'industria (aumento annuo medio del 10%, contro l'agricoltura con il 3%, superata anche
nel numero di addetti nel settore). Leader industriale è la Fiat, che in 10 anni quadruplica la
produzione e detiene il primato di produzione del 90% delle automobili civili del paese (successo
dovuto alla grande gestione di Vittorio Valletta, dal 1945 alla guida del colosso dopo la morte di
Gianni Agnelli). Aumenta di conseguenza il flusso di manodopera che dalle campagne affolla le
città (in primo luogo Torino). Il miracolo economico italiano è frutto della grande espansione
dell'industria, soprattutto verso i mercati Europei, il rilancio dei consumi interni e un benessere
diffuso anche tra gli operai. Il processo di integrazione europea ha favorito certamente questo
percorso e il piano Marshall aveva spianato la strada a nuovi accordi tra le nazioni europee: nel
1952 con la Ceca – Comunità del carbone e dell'acciaio (Italia, Francia, Germania, Paesi Bassi,
Belgio, Lussemburgo). Nel 1957 viene marcata una tappa decisiva con l'istituzione della Cee –
Comunità economica europea e la Euratom – Comunità europea dell'energia atomica, poi nel 1959
il Mec – Mercato comune. L'abbattimento delle barriere economiche fra gli Stati mette in contatto
mondi del lavoro profondamente diversi (per salario, orario, trattamento assistenziale e
previdenziale, condizioni di vita stesse). Migliaia di italiani emigrano verso i paesi del Nord Europa
e stessa cosa succede per gli italiani delle campagne del Sud, che migrano verso il Nord Italia. Il
modello delle industrie italiane era ben distante da quello vigente in Europa, dove gli operai
cominciano a godere del benessere derivante dal loro lavoro: trattati con rispetto dai padroni di
fabbrica, protetti dai sindacati, con casa, asilo e scuola garantiti (vedi film I Compagni - M.
Monicelli, 1963). In questo panorama, rappresenta un'eccezione l'esperienza di Adriano Olivetti: il
successo dell'industria produttrice delle macchine da scrivere di Ivrea, è frutto di un intreccio tra
tecnica, organizzazione e sperimentalismo aziendale, riuscendo a conciliare l'obiettivo del profitto
con iniziative di rinnovamento sociale (armonizzando pianificazione territoriale, attività produttiva
e le esigenze di vita sociale di chi vi lavora). I successi di Olivetti ottenuti in un campo di durissima
competizione internazionale – scatenano un intenso dibattito tra i sindacati ed i partiti della sx:
servizi sociali, riduzione delle ore e dei sabati lavorativi, dialogo tra dirigenti e rappresentanza
operaia, erano ancora temi sconosciuti. Olivetti riceve accuse dai sindacati: la Cgil lo accusa di
paternalismo nei confronti degli operai, ma nel 1955 incassa una grande vittoria sulla Fiom che
perde le elezioni per la rappresentanza interna (passando dal 64 al 37%) sancendo una rivalsa delle
liste del sindacato cattolico (la Cisl in ascesa, aveva saputo interpretare e sfruttare al meglio l'arrivo
delle grandi masse di operai spoliticizzati dal meridione). I successi della Cisl si traducono in un
rafforzamento dell'area della sx cattolica, del cristianesimo sociale (Vanoni, Pastore, Gronchi,
Dossetti, ed i dossettiani come La Pira, Fanfani e Moro). All'interno della Dc adesso è di maggiore
rilievo il divario tra l'indirizzo economico seguito da De Gasperi (dai suoi ministri liberali e
Confindustria) con l'orientamento della sx cattolica, improntato sul rilancio di un ruolo interventista
dello Stato nei processi economici (lasciati ad i privati) orientandoli verso il perseguimento di
interessi collettivi (alcuni interventi di questo segno: salvataggio dell'Iri, stanziamento di fondi per
il Sud come la cassa per il Mezzogiorno e nel 1953 la nascita dell'Eni – Ente nazionale degli

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

idrocarburi). I fautori di questa linea sono molto forti all'interno della Dc, soprattutto da quando –
dopo la morte di De Gasperi – nel 1954 sale alla segreteria Amintore Fanfani (Iniziativa
democratica) il quale aprirà una fase di intensa programmazione economica e di conflittualità con
la Confindustria (viene presentato a dicembre 1954 da Ezio Vanoni, un piano di sviluppo decennale,
che però si arenerà poco dopo la sua morte nel 1956; nel 1955, nasce il ministero per le
Partecipazioni Statali, lo Stato diventa a tutti gli effetti imprenditore; l'Eni, con le sue società
controllate Agip, Anic e Snam – diventa un pericoloso concorrente delle industrie private, con la
gestione di Enrico Mattei*). Dopo questi contrasti iniziali, i rapporti tra l'imprenditoria pubblica e
quella privata (nazionale e internazionale, che guardava con interesse al mercato italiano) si
distendono, riconoscendo nell'azione della prima gli importanti vantaggi derivati anche per i privati:
gli investitori privati diventano migliori clienti dell'Agip; il petrolio a prezzi più bassi fa gola
all'intero mondo industriale ed è fondamentale per Fiat e Pirelli. Allora lo Stato spinge l'acceleratore
in questa direzione promuovendo interventi massicci anche nei lavori pubblici, proprio in ottica di
sostegno alla crescita economica del paese. L'espansione del settore pubblico mette ben presto in
moto un meccanismo perverso, che vede la compenetrazione dei partiti nello Stato (catoblepismo
dei partiti: compenetrazione tra partiti ed apparato statale; espressione usata da Fabrizio Barca nel
2013; neologismo coniato da Raffaele Mattioli economista per descrivere la commistione tra mondo
dell'industria e sistema creditizio, 1962); l'occupazione dello Stato per i partiti – ma soprattutto per
la Dc – si rivela attività fruttuosa: sulle poltrone degli enti statali vengono piazzati uomini fidati,
impiantando le prime solide radici di un sistema clientelare corrotto. A mettere in luce fin da subito
questa distorsione e a prevedere i danni irreversibili che queste pratiche avrebbero generato in
futuro sono i Radicali (partito nato nel 1955 con la fuoriuscita di una pattuglia dal Pli).

3. Alla ricerca di nuovi equilibri di centrosinistra


I socialisti stanno ricevendo segnali distensivi dalla sx cattolica, nel tentativo di creare un'asse che
potesse battere le resistenze delle dx interna ed esterna al partito: la fragilità degli esecutivi, silurati
dalla dx, era un dato preoccupante per Fanfani (nel 1954 governo Pella, nel 1957 governo Zoli, nel
1959 governo Segni e nel 1960 governo Tambroni, sorretti dal voto delle dx, alla minime
oscillazioni sono caduti). L'urgenza di un allargamento della maggioranza quadripartito diveniva
sempre più impellente (Dc, Pli, Pri, Psdi) ma il coinvolgimento dei socialisti restava una tappa
difficile: il Psi era fortemente legato con il patto d'unità d'azione al Pci, tanto da apparire quasi un
sottoprodotto dell'identità comunista agli occhi dell'opinione pubblica. Intervengono cambiamenti a
livello internazionale che smuovono la situazione, favorendo il dialogo tra i cattolici ed i socialisti:
la morte di Stalin nel marzo del 1953 provoca un immediato mutamento degli equilibri interni
all'Urss e la guerra di successione al Cremlino fa tremare i vertici del Pcus, si sente la necessità di
una tregua tra i due blocchi (era esplosa la guerra di Corea nel 1950 e la situazione avrebbe potuto
precipitare: nel luglio del 1953 viene firmato un armistizio tra Corea del Nord e del Sud). Nel 1954
a Berlino (poi a Ginevra) cominciano gli incontri tra i ministri degli Esteri degli Stati Uniti, Russia,
Inghilterra, Francia e Cina, sui nuovi assetti mondiali. Nel 1955 – anche dopo la firma del patto di
Varsavia (pochi mesi prima) tra i paesi comunisti per la creazione di una “Nato comunista” -

* Enrico Mattei è alla guida dell'Eni fino alla sua morte nel 1962. Si impegna nel diversificare le attività dell'ente,
svincolandosi dai tradizionali canali di approvvigionamento: si instaurano i rapporti economici direttamente con gli
Stati arabi, il petrolio viene comprato dal produttore abbassando i costi, al di sotto di quelli imposti dal cartello delle
sette sorelle (nel 1951 il Primo ministro iraniano Mohammad Mossadeq nazionalizzo l'industria petroliera allora
controllata dagli inglesi della Apoc/Bp. La reazione britannica fu molto dura e fu alla base della Crisi di Abadan che
vide l'embargo totale delle esportazioni iraniane di petrolio. Dopo la deposizione di Mohammad Mossadeq, per far
tornare il petrolio iraniano sui mercati, gli stati Uniti costituirono il Consorzio per l'Iran , composto dalle sette
principali compagnie petrolifere del tempo. Il consorzio acquistava il petrolio dall'ente petrolifero nazionale iraniano
Noic in regime di monopolio e lo rivendeva sui mercati al netto delle spese per il risarcimento della
nazionalizzazione della Bp. Mattei chiese se anche l'Agip potesse partecipare al consorzio, ma la sua richiesta fu
respinta. Le sette sorelle controllavano il ciclo economico dell'oro nero fino ai primi degli anni Settanta: Standard
Oil of New Jersey – successivamente trasformata in Esso e poi Exxon che comunque conserva il marchio nazionale
di Esso; Royal Duch Shell anglo-olandese; Anglo Persian Oil Company; Standard Oil of New York successivamente
trasformata in Mobil; Texaco; Gulf Oil; Standard Oil of California).

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

continua il dialogo tra i paesi seduti al tavolo della Conferenza, che riesce a partorire un trattato di
pace per l'Austria e a dirimere alcune questioni sui confini nazionali (Trieste per l'Italia e la
Jugoslavia) e a far cadere i veti contrari all'ingresso di alcuni paesi dell'Onu (tra cui l'Italia).
Nonostante, Stati Uniti e Urss siano adesso in rapporti di relativo disgelo (vedi visita di Eisenhower
in Urss) l'equilibrio del terrore tra i due blocchi non è ancora terminato (la divisione tra la Germania
dell'Est e dell'Ovest diventa più profonda quando la Repubblica federale tedesca acquista piena
sovranità ed entra nella Nato e la Repubblica democratica aderisce al patto di Varsavia) anche se è
interesse reciproco congelare la situazione in Europa (il “telefono rosso” tra Washington e Mosca).
La secca scelta di campo imposta dalla guerra fredda comporta, anche in Italia, la logica della
divisione tra atlantisti e varsavisti tra i partiti: la Dc, votata al patto atlantico ed il Psi in difesa del
blocco comunista. Questa scelta imposta pesa moltissimo ai socialisti, costretti ad appiattirsi sui
comunisti, accentuando notevolmente la dipendenza da essi in termini di perdita di identità (i
“socialcomunisti” per marcare la difficoltà dell'elettorato nel distinguere socialisti dai comunisti). Il
rilancio di una vera e propria fisionomia del Psi è un passo doveroso e necessario, onde evitare la
fagocitazione da parte dei comunisti: la mano viene tesa dalle correnti cristiano-sociali che aprono a
Nenni lo spazio per prendere le mosse dal partito comunista (nel 1953 i socialisti presentano liste
autonome alle elezioni politiche; nel 1955 i socialisti riconoscono la Nato e l'appartenenza al blocco
occidentale dell'Italia) e questo allarga ulteriormente lo spettro di possibilità di inclusione dei
socialisti nel governo. Altro punto di contatto è dato dall'appoggio dei socialisti e comunisti a
Giovanni Gronchi, candidato al Quirinale. Nonostante la convergenza su numerosi punti, ancora
una volta la Dc di Fanfani si mostra molto cauta alle aperture verso il socialismo: lentezza e cautela
nelle trattative sono elementi imprescindibili nei democristiani, cercando di aggregare consensi
necessari all'interno del composito partito su singoli punti, evitando bruschi slanci e preservando
l'unità dei cattolici e la natura interclassista del partito. A porre veto contrario all'avvicinamento dei
socialisti al governo, è il Vaticano, che vede invece nell'alleanza con le dx, la nascita di un asse
capace di riportare la nazione entro i binari della tradizione, della religione (singolare il caso del
vescovo di Prato, per indicare il timore e la reazione della Chiesa nei confronti del processo di
laicizzazione e secolarizzazione della società italiana*, una Chiesa che non riesce più nella
sottomissione ai doveri di obbedienza cristiana).

4. L'indimenticabile 1956 (cit. Pietro Ingrao)


Palmiro Togliatti consapevole della conventio ad excludendum che pesa sul Pci è inizialmente
favorevole al dialogo tra cattolici e socialisti, foriero di una rimessa in gioco delle opposizioni
isolate da troppo tempo. Certo, Mosca non avrebbe mai consentito al Pci di accettare la Nato e
avvicinarsi all'area di governo con la Dc. Il partito socialista era sicuramente più accreditato come
partner all'interno del sistema, libero da vincoli internazionali. Togliatti però è anche consapevole
del sommovimento degli equilibri al Cremlino: c'era stata la vittoria di Nikita Sergeevic Chruscev
(Kruscev) ma ciò non aveva posto fine alla guerra di successione interna. La strategia del Pci non
poteva essere adottata autonomamente e il Psi fece da apripista in un nuovo terreno anche per il
partito comunista. Tanto più che nel febbraio del 1956 al XX Congresso del Pcus, esplode la
questione della destalinizzazione con la pubblicazione del rapporto segreto sui crimini di Stalin,
che fa scuotere e tremare tutto il mondo comunista ed impone cautele nel posizionamento e nelle
future mosse del Pci. E' l'indimenticabile 1956 (come definito da Pietro Ingrao): uno spartiacque
nella storia del comunismo. Il Pci è impreparato ad un annuncio di tale portata, Togliatti diffonde
con infinita cautela il contenuto del rapporto, tentando di non enfatizzare la denuncia di quello che
in Italia (come in Francia) era diventato il mito di Stalin che ardeva ancora rovente nei cuori dei
comunisti di tutta Europa. Nel 1956, dunque, si cerca di dilazionare il più possibile i tempi
nell'assumere nuove posizioni e strategie, vista la lotta intestina ai vertici del Pcus: l'attacco diretto a
* Due giovani parrocchiani, Mauro Bellandi e Loriana Nunziati, sposati con rito civile, vengono definiti “pubblici
peccatori e concubini” dal vescovo pratese Monsignor Pietro Fiordelli, durante l'omelia domenicale. I Bellandi
denunciano per diffamazione il vescovo che viene condannato in primo grado al pagamento di una multa (40.000
lire) e poi assolto in appello per insindacabilità dell'atto. La reazione del Vaticano fu durissima anche se la maggior
parte dell'opinione pubblica è schierata al fianco dei Bellandi.

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

Stalin e allo stalinismo, serve a Kruscev per imporre con forza e consolidare la sua leadership
(attaccare Stalin significava attaccare coloro che erano più vicini al dittatore defunto, rivali nella
successione allo stesso: Lazar Kaganovich, Lavrentij Berija, Vjaceslav Molotov, Georgij Malenkov,
Anastas Mikojan, Kliment Vorosilov) ma appoggiare il nuovo segretario avrebbe potuto
rappresentare un errore fatale, qualora si fosse rinvigorita una controffensiva vincente degli
avversari di Kruscev. La diffusione del rapporto provoca reazioni forti in Polonia e poi Ungheria, a
Poznam, a Budapest; entrambe represse dalla polizia, dall'esercito e dalle truppe del patto di
Varsavia inviate da Mosca. La denuncia dei crimini e il processo di destalinizzazione, impongono
nel dibattito interno al partito e nella sua area di influenza, tra gli intellettuali, un'interrogazione
sulle prospettive, sul metodo di azione dello stesso Pci: se avesse senso parlare ancora di
rivoluzione, di capitalismo agonizzante, del fare come in Russia. Togliatti si rende ben presto conto
della necessità di imboccare la strada del rinnovamento del partito (vista l'emorragia di molti
intellettuali in dissenso con la linea del partito nei riguardi della vicenda di Budapest: Delio
Cantimori, Furio Diaz, Renzo De Felice, Luciano Cafagna, Pietro Melograni, ecc.). Era necessaria
un'opera di svecchiamento dei vecchi vertici delle avanguardie rivoluzionarie del 1921, vissute
all'ombra del Cremlino, per far salire i nuovi quadri intermedi di giovani (Berlinguer, Napolitano,
Ingrao, ecc.) fautori di un nuovo corso del Pci, la via italiana al comunismo autonoma ma non
conflittuale con l'Unione sovietica . Dal 1957 Togliatti avvia un processo di revisione, teorizzando il
policentrismo (non c'è più la pretesa di uno Stato guida della rivoluzione mondiale, ma ogni partito
deve raggiungere la meta con una strategia e con gli strumenti adeguati alla situazione particolare
del proprio paese) prefigurando per il Pci la strada del comunismo democratico che salvi i principi
ideologici del vecchio Pci, ma lo renda compatibile ad un sistema capitalistico fondato sui valori
liberali e democratici. Tra i socialisti, il rapporto Kruscev, le rivolte a Poznam (Polonia) e Budapest,
danno un'ulteriore spinta alla rottura dell'unità d'azione con il Pci e verso il rafforzamento dei canali
del dialogo con i cattolici e con i socialdemocratici di Saragat (prospettiva che non si realizzerà per
paura di una riunificazione troppo repentina con un partito socialista in cui l'ala sx è ancora troppo
forte e avrebbe potuto imporsi su quella socialdemocratica). Staccarsi da trent'anni di politica
unitaria con i comunisti però è molto difficile. Era come se ormai vi fosse un legame di dipendenza
psicologica del Psi al Pci, ma non solo perché si trattava anche di dipendenza economica: i partiti di
massa degli anni Cinquanta non riescono più a finanziarsi interamente con i contributi dei volontari,
degli iscritti, sono diventati organizzazioni complesse con a carico sedi e funzionari a tempo pieno.
Le sovvenzioni al Pci arrivavano da Mosca e con i fondi provenienti dell'Est Europa, i comunisti
aiutavano i fratelli socialisti (all'interno del Psi infatti vi era una nutrita pattuglia di sostenitori della
continuazione del rapporto stretto con i comunisti e dell'unità di classe). Il Pci anche quando il
patto con i socialisti viene ufficialmente rotto, continua a puntare nel verso dell'unità tra i due
partiti, per paura di un eccessivo isolamento all'opposizione o addirittura uno sgretolamento del
partito con la fuoriuscita dei dissidenti; il dialogo tra socialisti e cattolici non è più gradito a
Botteghe Oscure, all'indomani degli sconvolgimenti del 1956. Il blocco del percorso verso il
centrosinistra (che arriva solo nel 1962) espone il sistema alle conseguenze di maggioranze
estremamente fragili a sostegno di governi messi continuamente in crisi, al limite della paralisi
politica.

5. La società italiana negli anni del miracolo economico-industriale


Il processo di modernizzazione in atto nella società italiana a cavallo tra gli anni Cinquanta e
Sessanta viene capito e interpretato solo da una minoranza del mondo della cultura e della classe
politica. I sindacati (soprattutto la Cgl) faticano a leggere i mutamenti in atto nelle fabbriche. Gli
intellettuali del Pci e del Psi appaiono indifferenti alle suggestioni del pragmatismo e
neopositivismo francese e tedesco. Ci sono naturalmente delle eccezioni: Nomberto Bobbio
intellettuale laico, propone nuove chiavi di lettura, nuovi approcci metodologici per capire la realtà
(analisi del linguaggio, psicologia del comportamento, sociologia sperimentale). Anche i vivai come
il centro di ricerca dell'Iri (Svimez e Censis) come del resto il gruppo editoriale de Il Mulino,
rappresentano ambienti vivaci nel captare il nuovo corso del paese. Nel 1955, nasce L'Espresso

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

(finanziato da Olivetti, di cui massimo azionista è Carlo Caracciolo). Nel 1956, Enrico Mattei fonda
Il Giorno, dimostrando un'inedita capacità della stampa italiana nel proporre elementi innovativi in
questo campo. Nel settore dell'informazione si registra la più importante novità: nel 1954 arrivano
la televisione e le trasmissioni televisive Rai. Negli ambienti dell'alta cultura di sx si registra molta
diffidenza verso il nuovo media: la sx si era mostrata diffidente già con l'arrivo della radio, superata
dalla Dc, impadronitasi del mezzo – eccezion fatta per l'ala della sx cattolica – imprimendovi un
basso profilo culturale, tendenza in linea con il profilo tendenzialmente conservatore, poco
innovativo e impermeabile alle novità di respiro americano (troppo moderne e trasgressive per
sposarsi con il legame stretto con il vecchio mondo contadino e l'idea madre derivante, di cui i
democristiani si facevano interpreti in linea con la Chiesa). Prevale il modello educativo del mezzo,
i programmi di intrattenimento restano pochi e legati ad un profilo, per così dire, nazional-popolare
(nel 1951 al primo festival di Sanremo, Nilla Pizzi con Grazie dei fiori è la vincitrice del festival
della canzone italiana). I dirigenti designati dalla Dc esercitano un controllo sia politico che morale
molto forte sul mezzo televisivo, rispettando le preoccupazioni della Chiesa sulla diffusione dei
costumi immorali. Nonostante l'attenzione ossessiva nel preservare l'immagine della vecchia Italia,
trattenere il nuovo sembrava impossibile, vista l'enorme influenza della cultura e dei costumi
americani. L'esordio del nuovo mezzo, registra una lenta diffusione e tarderà di molto per far
ingresso nella maggior parte delle case italiane; in vent'anni la televisione riuscirà a strappare il
primato di diffusione al cinema. Anche nel campo cinematografico la colonizzazione americana è
importante. L'americanizzazione della società italiana è un processo che investe anche il mondo
musicale (lo sbarco del rock 'n' roll) e interessa prettamente il mondo dei giovani, dove il processo
di emancipazione e trasformazione è più evidente. Il benessere effettivo delle famiglie italiane
comincia a toccare anche quelle degli operai e la prospettiva per un futuro migliore per i propri figli
da slancio vertiginoso alla dilatazione dei consumi. Indicativo di questo processo è la collocazione
al primo posto nella scala di produzione, di motocicli e automobili (la Lambretta, la Vespa, della
Piaggio nel 1956, la 600 e la 500 nel 1955-1957, la Giulietta dell'Alfa Romeo nel 1960). Altro
significativo indice di benessere è la diffusione del rito della villeggiatura, che determina
un'esplosione del mercato del turismo. Nel campo architettonico, dell'edilizia e dell'urbanistica, in
modo speculare si registra un boom commerciale dei settori; ciò ha inciso notevolmente sul
cambiamento del volto stesso dei complessi della grandi città, ma non solo. I mercati dilatati in
questi settori portano fiumi di denaro in parte generati da quel meccanismo corruttivo e speculativo
che riguarda il campo dell'edilizia (nel 1960 ci sono i lavori per le Olimpiadi di Roma e la
costruzione dell'aeroporto di Fiumicino che finisce sotto il vaglio di una commissione parlamentare
d'inchiesta).

6. La svolta
Il dialogo tra la Dc ed il Psi (a parte per una breve parentesi nel 1960) ma il primo esecutivo di
centrosinistra lo si avrà solo nel 1963. Il processo di modernizzazione, che ha indotto l'aumento del
benessere diffuso e dei consumi, ha inciso su mentalità e comportamenti della popolazione italiana:
crescita della scolarizzazione, avanzato processo di urbanizzazione dei grandi centri; radio e
televisione colmano il gap di alfabetizzazione (le trasmissioni del Maestro Marzi) mettendo in moto
un forte processo di omologazione. Queste linee dello sviluppo italiano, non solo economico, danno
il segno dell'avvio di un percorso di creazione di un senso compiuto di cittadinanza. La Dc, che
ritrova le sue radici subculturali nelle campagne, deve ora puntare alla conquista dei nuovi ceti
urbani, per non rischiare di perdere la sua egemonia, visti gli enormi cambiamenti culturali ed il
nuovo spirito del tempo che segna questi anni: la strada era quella dell'abbattimento delle barriere
che imprigionavano ancora le masse popolari: più giustizia sociale, più eguaglianza ed
egualitarismo, più diritti e maggiori libertà (parole d'ordine che spingono inevitabilmente verso le
istanze poste dalla sx). Anche per il Psi è un'occasione irripetibile, quella di governare lo sviluppo
(tracciare le linee portanti dello sviluppo del paese in ascesa). Nenni si adopera in questo senso, nel
convincere gli incerti e mettere in minoranza le correnti filo-comuniste, contrarie alle prospettive di
governo con i democristiani. Anche all'interno della Dc la battaglia per l'apertura a sx è durissima;

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

lo scontro tra correnti porta al travolgimento della segreteria Fanfani, a cui succede Aldo Moro nel
1959. Gronchi viene eletto al Quirinale e comincia tra il 1956 ed il 1957, lo scongelamento della
Costituzione rimasta inattuata dal 1948. Molte forze si erano mostrate contrarie ad una immediata
attuazione della carta costituzionale, in quanto non ritenevano ancora in grado gli italiani di poter
godere di ampie libertà, vista la recentissima chiusura dell'esperienza ventennale della dittatura.
Adesso però sembrava necessario rompere la continuità ancora troppo forte con le leggi fasciste
(vigenti e protette da un'ampia schiera di magistrati e funzionari già in servizio durante il Ventennio;
per non parlare delle pressioni dei partiti di dx e della Chiesa). Inaspettatamente, è proprio dalla
Chiesa nel 1958, che spingerà decisivamente verso gli equilibri di centrosinistra. Nell'ottobre del
1958 muore Pio XII e dal Conclave esce il nome di Angelo Giuseppe Roncalli (Giovanni XXIII). Il
nuovo pontefice era stato scelto dai vescovi per la sua supposta docilità e malleabilità. Tradendo
questa aspettativa, si rivelò fin da subito un Papa rivoluzionario. Infatti, annunciato nel 1959, parte
nel 1962 il Concilio ecumenico Vaticano II (preceduto da due encicliche dove si enunciavano gli
orientamenti del nuovo pontificato, Mater et magistra e Pacem in terris, rispettivamente 1961 e
1963) rivoluzionando il rapporto tra il clero ed i fedeli, all'insegna dell'abbattimento delle barriere di
separazione e avvicinamento dei credenti, ma anche del vasto mondo non credenti alla vita della
Chiesa. Il segno politico lanciato dal nuovo pontificato è preciso, quasi un nulla osta al progetto del
centrosinistra. Altro acceleratore verso nuovi equilibri politici, è dato dalla presenza degli Stati
Uniti di John Fritzgerald Kennedy (1960) che lega la sua ascesa politica ad una promessa di
democrazia, giustizia, libertà, in modo indelebile (collezionerà consensi anche tra i comunisti, oltre
ad affascinare i socialisti e molti italiani). Anche dal Dipartimento di Stato americano viene lanciato
un segnale di gradimento per i nuovi equilibri di centrosinistra. Certo, senza nulla concedere
all'avversario comunista, oltremodo in un momento delicatissimo dei rapporti internazionali tra i
due blocchi e degli eventi interni: nell'Urss, Kruscev deve affrontare il conflitto contro la Cina*;
negli Stati Uniti, Kennedy è alle prese con la rivoluzione cubana*' e la questione del conflitto in

* Nella sua lotta per il socialismo, il Partito comunista cinese era stato aiutato dall'Urss di Stalin sia per quanto
riguardava la guerra di resistenza anti-giapponese, sia nella guerra civile contro Chiang Kai-shek, sia per quanto
riguardava i termini economici della costruzione del socialismo nella neonata Repubblica popolare cinese. Una
lunga visita di Mao Tse-tong presidente della Rpc a Mosca fra il 1949 ed il 1950 portò alla firma di un patto di
amicizia, suggellando la vicinanza fra i due paesi. A seguito del rapporto segreto di Kruscev su Stalin (XX
Congresso del Pcus) Mao non si oppose apertamente ma durante una visita del vicepremier sovietico Mikoyan a
Pechino gli disse che, a suo parere, i “meriti di Stalin hanno la meglio sui suoi errori”. Inoltre, in un discorso disse
“credo che ci siano due spade: una è Lenin e l'altra è Stalin. Ora i Russi hanno gettato via quella spada che è Stalin...
Una volta aperta questa breccia, sostanzialmente si è gettato via il leninismo”. Mao non ruppe subito i rapporti fra
Pcus e Pcc, sperando in un ravvedimento di Kruscev. Già fra il 1956 ed il 1959 le tensioni si inasprirono: la Cina
non seguì l'Urss nel ristabilire le relazioni diplomatiche con la Jugoslavia di Tito, espulsa dal Cominform nel 1948 e
difese l'Albania quando il suo leader Enver Hoxhand criticò pubblicamente Kruscev a Mosca. Nel 1959 Kruscev
compì scelte fortemente criticate dalla dirigenza cinese: da un lato si incontrò con il presidente statunitense
Eisenhower, dall'altro criticò il grande balzo in avanti giudicandolo non marxista. Inoltre, l'Urss non si oppose alle
incursioni militari dell'India contro la Cina, offendendo il governo cinese. Nel 1960, al Congresso del Partito
comunista rumeno, Kruscev dichiarò che Mao era un avventurista, un deviazionista e un nazionalista, mentre il Pcc
accusò il dirigente sovietico di essere un revisionista e un dittatore. Alla riunione di 81 partiti comunisti tenutasi a
Mosca ci furono altre tensioni, risolte solo con un sofferto compromesso. Infine, nel 1961 al XXII Congresso del
Pcus si rinunciò alla dittatura del proletariato in favore della formula della dittatura del popolo e si propose un
avanzamento riformista verso il socialismo. Zhou Enlai, in rappresentanza del Pcc, lascia Mosca indignato ponendo
provocatoriamente corone di fiori al mausoleo di Lenin e Stalin. Sempre nel 1961 Kruscev ritirò gli specialisti
sovietici dalla Cina e la rottura proseguì. L'Urss e il patto di Varsavia vennero giudicati revisionisti da Mao, mentre
si cominciò a creare la rottura del movimento comunista internazionale. Gran parte dei partiti comunisti occidentali
come il Pci, si schierarono a favore dell'Urss mentre molti partiti comunisti asiatici restarono dalla parte della Cina.
Dalla seconda metà degli anni Sessanta inoltre, Mao lanciò la direttiva per creare “partiti autenticamente marxisti-
leninisti” contro le dirigenze revisioniste dei partiti comunisti storici. Da qui nasceranno i partiti che si ispireranno al
Maoismo. Dopo la caduta di Kruscev nel 1964, Zhou Enlai si recò a Mosca dove ebbe un incontro con i nuovi capi
sovietici, Breznev e Kosygin, ma non trovò fondamentali convergenze con Kruscev e non vi furono tentativi di
riavvicinamento. [Wkipedia].
*' Con la locuzione Rivoluzione cubana si intende il rovesciamento del dittatore cubano Fulgenicio Batista da parte
del Movimento 26 luglio (M 26-7) e l'ascesa al potere di Fidel Castro. Il termine è anche usato per indicare il
processo ancora in atto, che tenta di costruire una società tendenzialmente egualitaria secondo principi marxisti,

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

Vietnam (1960-1975). La vicenda che da la misura della praticabilità popolare del percorso verso il
centrosinistra, è quella legata alla breve vicenda del governo guidato da Fernando Tambroni (1960),
esecutivo appoggiato esternamente da missini e monarchici. Pur registrando malumori in parte della
Dc e negli alleati repubblicani e socialdemocratici, Tambroni accetta il sostegno all'esecutivo della
dx parlamentare: il Msi viene ricompensato per il sostegno alle Camere, con l'autorizzazione a
tenere il congresso del Movimento a Genova, città operaia simbolo della Resistenza. Appare subito
evidente il messaggio provocatorio e la volontà del Msi di legittimarsi al pubblico come partito di
governo. La risposta a tale gesto fu un'ondata di manifestazioni contrarie (Genova, Reggio Emilia,
Parma, Modena, Napoli, Roma, vengono messe a ferro e a fuoco) *''. Il fronte che si mobilita contro
il Msi gamba di governo di centrodestra, è molto ampio: Pci, Psi ma anche Radicali e associazioni
partigiane. La Dc è costretta a dichiarare la sua fedeltà agli ideali dell'antifascismo e della
resistenza, due tratti che venivano inevitabilmente compromessi con l'avvicinamento dei missini. La
Cisl non aderì direttamente allo sciopero indetto dalla Cgil, ma molti cislini vi parteciparono. Molti
intellettuali cattolici firmarono il loro dissenso in un manifesto. Tambroni fu costretto alle
dimissioni, cedendo il posto a Fanfani (Indro Montanelli lo aveva soprannominato “rieccolo”) a
capo di un esecutivo centrista, nato grazie all'astensione dei socialisti. L'anno dopo, la formula del
centrosinistra viene inaugurata nei governi provinciali di Milano, Genova, Firenze. Nel 1962,
ancora Fanfani con un altro governo, appoggiato dall'esterno dal Psi (che entrerà nella compagine
ministeriale nel 1963) ripete la stessa formula di centrosinistra.

7. Welfare
Il dibattito attorno alla svolta governativa del centrosinistra è molto copioso e serrato negli ambienti
intellettuali intorno ai vari partiti (Dc, Psi, Psdi, Pri, Pci): si discute sulle riforme. Il riformismo è un
termine che entra prepotentemente nel vocabolario di tutti i partiti dell'area di centrosinistra
(escludendo il Pci, ancorato all'ideologia e le parole della rivoluzione bolscevica) anche se ognuno
lo declina in modo differente. Nel 1961 a San Pellegrino, l'economista Pasquale Saraceno
(sostenitore intervento statale in economia) e Achille Ardigò (sociologo) tracciano le linee del
riformismo cattolico (ideologia solidaristica, mirante alla realizzazione dello Stato sociale). Sempre
nel 1961 al Teatro Eliseo (Roma), si radunano esponenti della cultura laica e socialista (organizzato
da Il Mondo, L'Espresso, Critica sociale, Mondo Operaio, Nord e Sud, Il Ponte). I vari interventi
tracciano linee molto diverse: Riccardo Lombardi teorizza il riformismo rivoluzionario (effetto
destabilizzante delle riforme sul sistema capitalistico); i socialdemocratici di Critica sociale
pongono come esempio i sistemi del Nord Europa (dove socialismo e capitalismo convivono); il
repubblichino Ugo La Malfa invece, propone strumenti per razionalizzare i meccanismi distorti del
capitalismo (redistribuire e produrre ricchezza). Questa è una fase di grande dibattito soprattutto a
livello europeo, in particolare in casa socialista, dove si giunge alla revisione ideologica del
marxismo (vedi Spd, Congresso di Goldberg del 1959; la vicenda del partito operaio belga). Nel
1962, sempre nell'ambito della discussione tra laici e socialisti ad un convegno Tendenze del
capitalismo italiano promosso dall'Istituto Gramsci, politici e intellettuali comunisti prendono atto
dello stato del capitalismo attuale, tutt'altro che agonizzante, anzi, vivente una nuova fase di
ritrovato vigore. Togliatti indica la strada da percorrere per dargli nuova battaglia (mediando tra le
posizioni di Ingrao, contrario alla svolta del Psi e Amendola convinto nel seguire i socialisti verso il
governo) composta da una doppia strategia: opposizione dura nelle piazze, morbida in Parlamento.
Tale linea consente al Pci di restare in gioco alle Camere dove con il centrosinistra si gioca la partita
delle riforme e la costruzione del welfare state anche in Italia (i lavoratori italiani non potrebbero

messo in atto dal nuovo governo cubano dal 1959. La presente voce enciclopedica si riferisce esclusivamente alla
rivoluzione nei tardi anni Cinquanta. Tutto ebbe inizio con l'assalto alla caserma Moncada avvenuto il 26 luglio del
1953 e finì con la fuga di Batista da Cuba il 1° gennaio del 1959; Santa Clara e Santiago di Cuba furono prese dalla
milizia popolare ( Ejército rebelde) guidato da Fidel Castro ed Ernesto Che Guevara. [Wikipedia].
*'' La componente giovanile dentro i moti di protesta è molto presente, essa si rivelerà bacino essenziale di nuove leve
militanti dell'antifascismo, che balzeranno direttamente in politica, anche nazionale. La leva su cui preme questa
numerosa risposta in adesioni è il rinvigorito antifascismo, destinato a perpetuarsi anche a distanza di anni, con la
costruzione di un vero e proprio mito resistenziale, mito della lotta partigiana.

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

capire una opposizione su queste riforme, che pongono al centro del dibattito alcune parole chiave
proprie anche del vocabolario comunista) senza rinunciare al messaggio agitatorio della lotta di
classe rivoluzionaria nelle piazze della protesta; è una strategia funzionale per mantenere compatto
il partito al suo interno, a mantenerne la forza nel messaggio ed i consensi della propria base. La
lungimiranza di Togliatti risulta proficua tanto da vanificare il progetto di Nenni della realizzazione
del grande partito socialdemocratico che l'Italia non ha mai avuto. Alle elezioni del 1963 il Psi e il
Psdi insieme hanno quasi il 20% dei suffragi (rispettivamente 13,8 e 6,1%) con questa forza
possono imporre concretamente un segno sull'azione di governo insieme alla Dc (il governo di
centrosinistra era nato in base ad un accordo del 1956 su un programma di riforme condivise:
riforma della scuola, interventi di urbanistica, pubblica amministrazione, attuazione regioni,
razionalizzazione imprese elettriche, programmazione economica). Di questi punti solo alcuni,
anche se fondamentali, vedranno la realizzazione compiuta: la riforma della scuola, le
nazionalizzazioni delle imprese elettriche, aumento del 30% per le pensioni di invalidità e la
gratuità dei testi scolastici per le elementari. Sono riforme che riescono a guadagnare il gradimento
del mondo del lavoro. Dal 1963 però il Psi è in lieve arretramento rispetto alla tornata elettorale
precedente, mentre il Pci avanza di molto (dal 22,7 al 25,3%). Inizia un forte trend negativo per i
socialisti (fino al 9,7% del 1976) i comunisti con la tornata elettorale del 1976 balzano al 34,4%,
culmine di un trend ascendente negli anni precedenti. Le motivazioni dell'insuccesso socialista
stanno ancora una volta nella sua subalternità al partito comunista, casa dei lavoratori italiani, degli
operai e contadini, ma anche dei ceti medi che si riconoscono nelle riforme; è una subalternità di
immagine. Inoltre, il Psi e il Psdi stanno attraversando convulse fasi di
scomposizione/ricomposizione e continui scontri interni che non giovano affatto al partito. Altro
ostacolo al progetto socialdemocratico di Nenni è la stessa Dc che, una volta ottenuto il sostegno
dei socialisti al governo (nei quali vedeva il punto di contatto con le masse dei lavoratori) mette i
bastoni fra le ruote o quanto meno frena la loro corsa alle riforme, da cui dipende la stessa
autorevolezza e forza del Psi. Questo per paura di un condizionamento da parte dei socialisti,
evitando lo spostamento della Dc verso dx (il Psi si sarebbe inserito nel centro del sistema tra Pci e
Dc). Non importa se questo indeboliva il Psi e lo rendeva meno utile per la formazione ed il
sostegno del governo, basta che resti subalterno alla Dc; dunque, dopo un anno di governo insieme,
viene bloccata la forza propulsiva dell'esecutivo, lasciando molte riforme sulla carta. Nel 1962, le
correnti di dx all'interno della Dc riprendono vigore (vedi elezione al Quirinale di Antonio Segni,
eletto con i voti del Msi). I liberali, da vent'anni alleati di governo della Dc, rompono il patto; gli
industriali si sentono traditi dall'abbraccio dei socialisti. Le nazionalizzazioni delle imprese
elettriche – con la distruzione del monopolio – vanno a diretto beneficio della collettività (in termini
di investimenti e mantenimento dei costi invariato). Il potenziamento del ruolo dello Stato in
economia si rivela un ottimo affare per l'industria privata, che può giovarsi di opere pubbliche e
nuovi servizi a basso prezzo. Lentamente infatti, la Dc riuscirà a recuperare quel calo subito alle
elezioni del 1963 (il 4% degli industriali “traditi” erano andati verso il Pli, salito al 7% il suo
massimo storico). Questa dinamica però, non si riesce ad innescare nei settori economici meno
dinamici della medio-piccola borghesia, tagliata fuori dallo sviluppo. Si registra un forte malessere
per la svolta socialista, determinando sentimenti autoritari anti-moderni verso il ritorno al passato.
In questi ambienti e con questo clima, maturano le trame golpiste che dal 1964 fino agli anni
Ottanta minano la stabilità democratica delle istituzioni del paese. Il fallimento di Arturo Michelini
nell'inserimento del Msi nella maggioranza governativa, rende esplicita la conventio ad exludendum
restringente i margini di manovra del partito. I giovani intransigenti cominciano ad abbandonare il
partito missino per organizzarsi in gruppi autonomi spostati su posizioni radicali ed eversive
(Ordine nuovo nasce già nel 1956, nei primi anni Sessanta si costituiscono la Giovane Europa, La
gioventù mediterranea, Avanguardia nazionale). Frequenti furono i contatti tra queste frange e gli
ambienti militari, i servizi segreti dei ministeri della Difesa, dell'Interno (ambienti dove si registra
una profonda avversione per il centrosinistra): è il caso del Sifar. Alti ufficiali e burocrati statali
hanno trascorso vent'anni a prepararsi allo scontro con i comunisti, mantenendosi in stretto contatto
con la Cia e la Nato. Il colpo di Stato del 1964 resterà soltanto una minaccia. A questo punto si

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

fanno forti le pressioni dei militari nel persuadere Aldo Moro e il Presidente della Repubblica
Antonio Segni nella continuazione del governo con i socialisti: il generale Giovanni De Lorenzo
(capo di Stato maggiore dell'Arma dei Carabinieri) tenta di mettere in atto il piano di riportare
l'ordine e far tacere le opposizioni ma i vertici della Dc si oppongono a De Lorenzo, affrettandosi
nel coprire la vicenda (le notizie sulla vicenda venero diffuse solo tre anni dopo, nel 1967, grazie ad
un'inchiesta dell'Espresso di Scalfari e Lino Iannuzzi). Il varo del gabinetto di centrosinistra avviene
nel dicembre del 1963, con Nenni vicepresidente del Consiglio ed i socialisti nei ministeri del
Bilancio (Antonio Giolitti), dei Lavori pubblici (Giovanni Pieraccini), della Sanità (Giacomo
Mancini). L'ingresso al governo costa al Psi una scissione lacerante delle correnti di sx, che vanno a
fondare in nuovo partito, il Psiup – Partito socialista di unità proletaria*. L'esecutivo ebbe vita
breve e Aldo Moro rassegnò le dimissioni già all'inizio dell'estate del 1964.

8. Protesta sociale e protesta studentesca


I processi innescati dal boom economico si fanno sempre più tumultuosi. Toccato il culmine tra il
1958-1963, la crescita economica si va via via attestando su livelli più bassi ma pur sempre
notevoli. La congiuntura economica meno favorevole è tra il 1964 e il 1966. Comunque, il reddito
procapite continua a salire (da 507,2 migliaia di lire a 758,0 dal 1961 al 1970); il Pil aumenta in tutti
i settori (+12,5% agricoltura, +38,6% industria, +37,5% terziario, +11,4% amministrazione
pubblica). Questi dati si traducono in un boom delle esportazioni e nella dilatazione straordinaria
dei consumi interni. L'era del consumismo fa esplodere la rivoluzione dei consumi, guidata dai
giovani: i diciottenni delle coorti 1965-68 che hanno trascorso l'infanzia nell'Italia già immersa nel
crescente benessere economico, l'Italia del mercato comune europeo, i figli del baby boom nati nel
dopoguerra. Dato importante del fenomeno è la sua dimensione planetaria: il mercato internazionale
dei consumi e lo sviluppo delle forme e dei mezzi di comunicazione contribuiscono a questa osmosi
e spiegano l'omogeneità e la simultaneità nei comportamenti dei giovani di tutto l'Occidente (global
village – Marshall Mc Luhan). La ribellione dei giovani contro i padri e le autorità è come se
portasse su un piano più concreto la rivolta edipica che ha sempre caratterizzato il passaggio tra
adolescenza e maturità. Questo scontro è generato dal culmine di un processo di trasformazione
esistenziale esplosiva. In Italia, dove in dieci anni si è passati dalla civiltà contadina direttamente al
neocapitalismo, il salto è ancora più brusco, il malessere si diffonde nelle fasce più giovani, sia
borghesi sia proletarie. L'incapacità di correggere, guidare e armonizzare gli effetti dirompenti del
cambiamento mettono sul banco d'accusa i governi di centrosinistra, incapaci di imporre un forte
segno riformista alla loro azione. Lo Statuto dei lavoratori (vedi Giacomo Brondoli) arriva soltanto
nel 1970, quando le tensioni nel mondo operaio sono già esplose. Nel 1962 iniziano le contestazioni
(quando si apre la vertenza per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici) a Torino esplode la
protesta delle maestranze della Fiat. Cgil e Cisl proclamano lo sciopero contro l'accordo siglato
dalla Uil, che però degenera in brutali scontri con la polizia. Le violenze vengono provocate da un
gruppo di operai (fatti condannati anche dalla stessa Cgil, Sergio Goranini). L'episodio mostra
l'impazienza diffusa nella base operaia caratterizzante questa fase, il desiderio di cambiamento dello
stile di vita nelle fabbriche (il boom economico era stato realizzato grazie a paghe basse e ritmi di
lavoro massacranti): più tempo libero, ferie, assistenza, sicurezza e maggiori spazi per l'attività
sindacale in azienda. Con queste richieste pressanti, si fa palese l'incapacità dei sindacalisti nel
comprendere le istanze poste dagli operai, tanto da dimostrare l'insofferenza verso il sindacalismo
stesso “di cui si può fare a meno”. In vent'anni le confederazioni sindacali si sono notevolmente
rafforzate; contano centinaia di migliaia di iscritti e militanti e per la gestione di queste enormi
macchine burocratizzate, le strutture si sono dovute dotare di personale impiegato, ben lontano
ormai dalla vita di fabbrica. Si va ad incrinare il rapporto burocrate sindacale-operaio, che si trova
vincolato ad accordi stipulati da chi non vede l'esperienza quotidiana della fabbrica. Le proteste

* La denominazione di Partito socialista di unità proletaria (Psup) era stata in precedenza assunta dal Psi nel 1943 a
seguito della fusione con il Movimento di unità proletaria per la Repubblica socialista di Lelio Basso e l'Unione
popolare italiana (Upi). Il partito mantenne questa denominazione sino al 1947, quando riacquistò la dicitura Psi per
evitare che se ne appropriasse il nuovo partito fondato da Giuseppe Saragat (Psli). [Wikipedia].

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

operaie pongono la rottura dei vincoli associativi tradizionali; i giovani operai rifiutano in blocco
l'esperienza dei padri. Incomprensibili sono le divisioni tra sindacati, lo spirito unitario è fortissimo
nelle nuove maestranze, che danno vita ai Cub - Comitati unitari di base. Questi segnali forti
vengono recepiti con preoccupazione dai vertici confederali, che cominciano un'opera di
rinnovamento delle strutture per evitare di essere tagliati fuori. Parallelamente a questo processo, si
intensifica il presidio delle lotte di piazza, dove in maggior modo viene posta la sfida dei Cub.
Fondamentale la rottura della cinghia di trasmissione che nel passato poneva i sindacati come cassa
di risonanza dei partiti di riferimento (es. Pci-Cgil) con la subordinazione dell'azione del sindacato a
quella del partito. Adesso, i rapporti sembrano quasi invertiti: ai sindacati vengono attribuiti compiti
e responsabilità fino a ieri prerogativa dei partiti (pansindacalismo: funzione vicaria dei sindacati,
ora sostituenti i partiti in evidente difficoltà e meno disposti a mettersi in discussione). L'azione di
Cgil, Csil e Uil, in questa direzione è decisiva per invertire la rotta e conservare il ruolo di guida
nella rappresentanza del mondo del lavoro. In Italia, come del resto nel mondo occidentale, la
scintilla delle proteste scoppia nelle scuole e università. La legge per la riforma universitaria, in
gestazione dal 1963, è ancora ferma nel 1968. Il ritardo dei governi di centrosinistra nel mettere
mano alla riforma è palese, nonostante nel 1962 fosse stata varata la riforma dell'obbligo scolastico
fino a 14 anni e istituito la scuola media unificata, aprendo di fatto le porte dell'università a molte
fasce della popolazione. Si aggrava la situazione delle strutture universitarie e scolastiche, non
adatte a sopportare l'afflusso di masse di nuovi studenti, generato dal processo di scolarizzazione di
massa. Nel 1966 partono le prime occupazioni nelle facoltà e nel liceo Parini di Milano (dove
scoppia il caso del giornalino scolastico la Zanzara*). Sono gli anni della beat generation, della
trasgressione giovanile, delle nuove mode, dei diversi stili di vita dei giovani che si impongono
sulla tradizione, dell'emancipazione dei comportamenti sessuali (l'eco degli hippies di Washington
Square; l'esperienza milanese di Nuova Barbonia).

9 Gli anni di piombo (1968-1980)

1. La nuova sinistra
Il termine nuova sinistra deriva dagli Stati Uniti per indicare un movimento politico giovanile,
pacifista, antimilitarista, simpatizzante per il comunismo, nato negli anni Sessanta, la beat
generation. Il segno politico di questo movimento resta sfumato per quanto riguarda il caso
americano, mentre nell'accezione legata ai movimenti giovanili dell'Europa continentale, il tratto
marxista resta ben marcato grazie alla presenza dei grandi partiti di massa del XIX secolo che di
questo tratto avevano fatto vera e propria componente identitaria. Un movimento politico che in
quegli anni lascia un profondo segno nel cambiamento dei costumi e della mentalità di tutta la
società ma tuttavia, dal punto di vista politico-ideologico resta molto più marginale. La rivolta
politica degli studenti si alimentava di sogni, miti e illusioni provenienti dal passato, viveva ancora
del fantasma della rivoluzione comunista del 1917 (da molti viene definito un movimento anti-
moderno). I leader della contestazione giovanile attingono a piene mani nel patrimonio della sx che
stavano attraversando un momento di profondo cambiamento e ridiscussione di se stessa: si avvia
dagli anni Cinquanta il tramonto dell'epoca delle ideologie totalizzanti che avevano segnato e
pervaso la storia politica, sociale, culturale dell'Europa continentale a cavallo tra i due secoli. Il
processo di revisione ideologica investe anche i due principali partiti italiani di matrice marxista
Pci e Psi, smorzandone i caratteri massimalisti, rivoluzionari e mettendo in discussione il loro
posizionamento all'interno del sistema politico (vedi esperienza del centrosinistra) via via che questi
si integrano maggiormente nelle logiche del sistema democratico. Nascono a cavallo degli anni
Sessanta numerose riviste che fanno da incubatrice alle idee e alle parole d'ordine principi nel
Sessantotto italiano (Quaderni rossi di Panzieri, Quaderni piacentini di Bellocchio, La sinistra di
Coletti, Classe operaia di Tronchi): tra il 1956-66 lanciano il tema della lotta di classe, della
centralità della classe operaia soggetto rivoluzionario (proprio in un momento in cui si inizia a

* Un'inchiesta sul comportamento sessuale delle studentesse viene pubblicata sul giornalino la Zanzara e ciò suscitò
scalpore tanto da provocare la sospensione degli studenti responsabili dell'iniziativa.

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

scardinare la vecchia struttura classista della società e Pci e Psi cominciano a guardare con più
interesse allo sviluppo del settore terziario e ai ceti medi urbani produttivi). Sul malessere interno ai
partiti della sx hanno inciso vari episodi (rottura tra Pci e Psi nell'indimenticabile 1956, scissione
del Psiup nel 1964, nel 1966 la nascita del Partito comunista d'Italia che spinge per un ritorno
all'esperienza del '21, nonché con la morte di Togliatti nel 1964 si apre un fronte di dissenso interno
al Pci: il conflitto cino-sovietico va a contrapporre due modelli di comunismo diversi che dividono i
militanti comunisti*'). L'incalzare del movimento giovanile irrompe violentemente nel dibattito ed il
confronto sulle riforme del centrosinistra al governo, ed è proprio il programma riformatore dei
governi a provocare i primi segnali della mobilitazione degli atenei di tutta Italia (nel 1963 nelle
facoltà di architettura si sviluppa un movimento per sostenere la riforma urbanistica) *''. Crescono le
rappresentanze studentesche all'interno delle università che si plasmano a specchio del macrocosmo
politico nazionale, ricalcando regole, rituali, alleanze e scelte politiche dell'agenda nazionale *'''. Le
prime occupazioni risalgono al 1966 a Trento, da parte di un gruppo di intellettuali cattolici; poi a
Roma, dove in occasione delle elezioni studentesche un gruppo neofascista Primula goliardica
danno l'assalto alla facoltà di Lettere e un giovane (Paolo Rossi) rimane ucciso; nel 1967 di nuovo
a Trento, all'Università cattolica di Milano, poi a Torino, Napoli e ancora Roma. Anche nell'area
cattolica le pulsioni movimentiste giovanili sono più che presenti, soprattutto con il pontificato di
Giovanni XXIII che ha avuto l'effetto di aprire le porte della Chiesa ad istanze di libertà, laicità e
democrazia (fioriscono nuove riviste Testimonianze e Questitalia che inaugurano il dibattito al di
fuori delle associazioni tradizionali della Chiesa). Una forte eco sul dibattito tra cattolici è esercitato
anche da avvenimenti e fenomeni di carattere internazionale: dal richiamo alla teologia della
liberazione latino-americana (nel febbraio 1966 il prete Camillo Torres viene ucciso mentre
combatte al fianco dei guerriglieri in Colombia e la sua morte fa scoprire un mondo dove il clero ed
i cattolici sono impegnati insieme alla sx marxista nella lotta contro i regimi autoritari), alle
esperienze di vita cristiana tra i poveri e gli emarginati di padre Foucauld e dell'Abbé Pierre. Per i
giovani europeisti marxisti e cattolici, il mito della rivoluzione oltre Atlantico alimenta un mito ed
un riferimento nuovo molto forte. Nel 1967 muore Che Guevara che insieme a Fidel Castro e a Mao
Tse-tong erano diventati simboli di riferimento della generazione sessantottina. La guerra in
Vietnam alimenta la contestazione sviluppata nei campus americani e diffusa poi in Europa,
simbolo dell'oppressione dei dominatori americani e la Cina di Mao Tse-tong che si erge a baluardo
in difesa del popolo vietkong, diventa la speranza dei movimentisti (il libretto rosso di Mao, in
dotazione all'esercito cinese, diventa il testo sacro). Ci sono anche gruppi che sostengono
l'abbandono delle occupazioni e la fine della fase libertaria per dedicarsi totalmente alla lotta di
classe, come i gruppi di emme-elle (marxisti-leninisti) a Napoli, Roma e a Milano dai gruppi di
studenti guidati da Mario Capanna (inquadramento stalinista). Era complesso mantenere la regia di
queste istanze rivoluzionarie-terzomondiste armonizzandole con il discorso sulla riforma
universitaria portato avanti dalle associazioni studentesche tradizionali, già nel 1967 in crisi (nel
1968 l'Unuri si scioglie paralizzata dai conflitti interni). Il dialogo con i partiti della sx, che si era
interrotto con il Psi, naufraga anche per il Pci illuso di poter assorbire nuova linfa e conquistare il
voto giovanile in vista delle elezioni politiche del 1968 (il nuovo segretario del Pci Luigi Longo*
cerca di smorzare i toni e le stesse critiche che dal partito venivano fatte agli studenti); con questa

*' Lucio Magri, Luigi Pintor, Rossana Rossanda i futuri leader de Il Manifesto (23 giugno del 1969) contestano
l'allineamento all'Urss dei vertici del partito e prendono posizione a favore di Mao Tse-tong.
*'' Solo sul finire degli anni Cinquanta la politica fa irruzione nelle università dove lx dx neofasciste del Fuan –
Federazione unitaria azione nazionale e la Giovane Italia (i giovani del Msi) dominavano fra la maggioranza degli
studenti. Nel 1960, in occasione delle manifestazioni contro il governo Tambroni, i ragazzi con le magliette a strisce
sono la prima generazione di universitari impegnati di sx (dalle fila di associazioni antifasciste Nuova resistenza ,
del Fuci o delle organizzazioni giovanili di partito).
*''' Speculare alla svolta di centrosinistra, la collaborazione tra l'Ugi l'organizzazione degli studenti laici, socialisti e
comunisti, con L'Intesa (a maggioranza cattolica); poco dopo l'Ugi e l'Intesa si fondono nell'Unuri – Unione
nazionale rappresentativa italiana, dove si sviluppa un intenso dibattito sulla riforma universitaria.
* Segretari del Pci: Amadeo Bordiga (1921-1924) Antonio Gramsci (1924-1927) Palmiro Togliatti (1927-1934; 1938-
1964) Ruggero Grieco (1934-1938) Luigi Longo (1964-1972) Enrico Berlinguer (1972-1984) Alessandro Natta
(1984-1988) Achille Occhetto (1988-1991). [Wikipedia].

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

azione una parte del movimento studentesco vota Pci e Psiup, mentre i maoisti, i filo cinesi
scelgono scheda bianca. Importante è individuare il ruolo dei sindacati che, a differenza dei partiti,
sono legati al mito operaista molto diffuso tra le organizzazioni studentesche, tanto da mettere sotto
una luce diversa agli occhi degli studenti le organizzazioni sindacali. Numerosi furono i gruppi di
giovani universitari che andavano ad unirsi ai picchetti operai in sciopero davanti ai cancelli delle
fabbriche. L'obiettivo del movimento degli studenti era far confluire gli studenti arrabbiati delle
università agli operai, con lo scopo di dotarsi di una effettiva base permanente di massa; ed è
proprio su questo terreno che si misurano Cgil, Cisl e Uil. A partire dall'estate del 1968, con la
chiusura delle università per le vacanze, la protesta si sgonfia e perde vigore per poi riprendere
nell'autunno-inverno del 1969 ma qualcosa era cambiato: da un lato, i gruppi politici nati prendono
una fisionomia precisa (Potere operaio, Avanguardia operaia, Lotta continua, Unione dei comunisti
italiani, Movimento studentesco) anche se i settarismi e le differenze non consentiranno mai una
unione e un'azione condivisa; dall'altro, il nemico, i temuti baroni delle università hanno perso gran
parte dell'odioso autoritarismo accademico e non facevano più paura.

2. La strategia della tensione


Si intensificano gli scontri tra gruppi di studenti e polizia, l'escalation di violenza arriva per gradi:
gli episodi violenti sono ancora radi in confronto alle migliaia di persone che scendono nelle piazze
(dicembre 1967 e giugno 1969 è un periodo culminante per il movimento studentesco: lo scontro tra
la polizia ed i manifestanti a Valle Giulia segna il definitivo passaggio dalla fase della
disobbedienza a quella dell'illegalità). Da questo momento si comincia a radicare l'idea di
un'autodifesa militare all'inasprirsi della reazione delle forze dell'ordine, che sarà il preludio alla
formazione dei primi gruppi terroristi. Secondo Adriano Sofri, la violenza comincia nel dicembre
del 1969 con la Strage di piazza Fontana “che priva il movimento della sua innocenza” e fa
prendere concretamente corpo all'idea dell'esistenza di forze che hanno la volontà di colpire le
fragili democrazie dell'Occidente (nel 1964 c'era stato il caso del Sifar e nel 1967 si assiste al colpo
di Stato in Grecia dove i colonnelli appoggiati dalla Cia rovesciano la monarchia costituzionale).
L'Italia, stretta tra Spagna franchista e la Grecia dei militari, appare alla nuova sx come il prossimo
bersaglio di una strategia americana che punta a rafforzare l'influenza degli Stati Uniti
(compromessi nella guerra del Vietnam, in forte calo di popolarità). Ad accreditare questa visione il
risveglio dei movimenti neofascisti che si scontrano con gli studenti di sx. La bomba di piazza
Fontana, esplosa alla Banca dell'Agricoltura di Milano il 12 dicembre 1969, con un bilancio
terribile di vittime (17 morti e 88 feriti) viene ricondotta alla strada della conquista fascista del
potere*. Contemporaneamente, a Roma in via Veneto (piazza Venezia) di fronte alla Banca
nazionale e al Milite Ignoto, vengono fatti esplodere altri ordigni (16 feriti). Comincia così la
strategia della tensione: l'opinione pubblica reagisce all'ondata di contestazione giovanile che mette
in discussione il mondo, dal dissacrante cambiamento dei costumi, degli stili di vita e
comportamento, alla stessa stabilità politica del paese. Quando gli studenti escono dalla protesta
nelle università ed invadono le strade, nessuno può più ignorare il fenomeno, per i medio-piccoli
borghesi è un vero e proprio shock che fa addirittura ritornare il fantasma del comunismo. Infatti, le
bombe di piazza Fontana inizialmente vengono attribuite alla estrema sx e hanno proprio l'obiettivo
di far salire la tensione nel paese esasperando la popolazione. Questo effetto immediato di
angoscioso senso di insicurezza è proprio l'obiettivo della strategia della tensione, atto a spingere i
cittadini a pretendere tutela dalle autorità costituite, a qualunque costo, anche al prezzo di un
governo forte ed autoritario, capace di riportare l'ordine e garantire l'incolumità dei cittadini anche
in cambio delle stessa democrazia. Gli strateghi della tensione si muovono lentamente e
dall'autunno caldo del 1969, la striscia di sangue procede disegnando una curva ascendente della
* La strage di piazza Fontana resta in parte oscura: le indagini della polizia si indirizzano su una pista anarchica.
L'anarchico Giuseppe Pinelli – interrogato al quarto piano della questura milanese dal commissario Luigi Calabresi
– muore precipitando dalla finestra. Con il passare dei mesi l'indagine si complica e andrà avanti per anni. Vengono
coinvolti nell'indagine anche i neofascisti Freda, Ventura, Pozzan, e Giannetti (informatore dei servizi segrete che
coinvolgerà anche alti ufficiali del Sid, il generale Gian Adelio Maletti ed il capitano Antonio La Bruna, arrestati nel
1976).

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

violenza rossa e nera. Nel 1970 nelle stanze del Viminale si consuma un altro tentativo di golpe,
guidato questa volta da Junio Valerio Borghese (ex comandante della X Mas della Repubblica
sociale di Mussolini) che fallisce nell'impresa; l'indagine poi mostrerà evidenti commistioni tra
neofascisti, servizi segreti e alti ufficiali delle forze armate (vedi l'arresto nel 1974 del generale Vito
Miceli). Un altro salto nell'escalation di violenze lo si ha nel 1972 dopo la sconfitta alle elezioni
politiche della nuova sx, che partecipa al voto divisa. Invano il Psiup ed i dissidenti de Il Manifesto
cercano di convogliare le forze dell'estrema sx sotto un unico cartello elettorale a loro guida: la lista
de Il Manifesto+movimento politico dei lavoratori+partito comunista marxista leninista italiano
arriva solo all'1,3% e la stessa sorte la fa il Psiup con l'1,9% e nessun seggio *'. L'insuccesso alle
elezioni mostra il fallimento dell'intera strategia che puntava a riunire sotto la bandiera della
rivoluzione il voto operaio di protesta. La delusione dei gruppi estremisti è cocente e molti
cominciano a smembrarsi e perdere militanti che si riavvicinano alla sx storica: la grande
maggioranza degli operai continua ad avere fiducia nei sindacati e del Pci (riesce a riassorbire il
dissenso a sx come testimonia la risalita alle regionali del 1975 e le politiche del 1976) che ormai
parla linguaggio riformista e sono le riforme ad essere percepite come fondamentali per il paese (la
riforma delle pensioni – 1969, l'abolizione delle gabbie salariali e i minimi salariali uguali in tutta
Italia – 1972, il diritto alla casa, le quaranta ore di lavoro, la parità tra operai ed impiegati nei
trattamenti su infortunio-malattia, lo Statuto dei lavoratori – 1970).

3. Terroristi rossi e terroristi neri


Soprattutto nella sx si diffonde il forte sospetto delle trame nere dietro le azioni delle Brigate rosse
(Br), provocatori neofascisti o agenti dei servizi: la prima azione delle Br fu il sequestro di Idalgo
Macchiarini, dirigente della Siemens e stessa interpretazione venne data alla morte di Gian
Giacomo Feltrinelli (dilaniato da una carica di tritolo alla periferia di Milano, poi rivelatasi un
abbaglio in quanto la morte fu a causa di un ordigno da egli stesso posizionato; Feltrinelli, famoso
editore, faceva parte dell'organizzazione terroristica dei Gap – stessa denominazione dei gruppi
partigiani – che con le armi tentava l'abbattimento dello Stato democratico ormai corroso dal cancro
fascista). Come gli strateghi della tensione, anche i brigatisti hanno un progetto preciso da
perseguire: sovvertire con il terrore lo Stato imperialista asservito alle multinazionali colpendo i
servitori dello Stato; le Br al contrario degli strateghi della tensione, che colpiscono
indiscriminatamente nel mucchio con l'esplosione di bombe, agiscono per interventi mirati andando
a colpire obiettivi precisi (prima vengono sequestrati esponenti della grande industria - Siemens,
Alfa Romeo, Fiat – poi i magistrati, i giornalisti, esponenti delle forze dell'ordine e politici). Al
successo di queste operazioni contribuisce in misura determinante la presenza del sovversivismo
giovanile: è tra i giovani rossi dei cortei che le Br ricercano maggiormente adepti e coperture per le
loro azioni. L'ideologia rossa o nera diventa ormai solo uno strato superficiale del fenomeno che
racchiude dentro di sé solo la violenza per la violenza e il crinale che separa questa violenza politica
dalla criminalità è sottilissimo (vi sono stati tanti episodi di collusione con la delinquenza comune:
espropri proletari, sequestri e rapine per finanziare le azioni d'assalto e lo stesso sostentamento dei
gruppi clandestini – episodi che cominciano nel 1970-71: la sanguinosa rapina in banca a Genova
da parte del gruppo di estrema sx XXII ottobre). A coprire le azioni degli stragisti neri invece
intervengono i servizi segreti deviati, che non sono in realtà un gruppo monolitico ma hanno una
natura estremamente frammentata e ciò consente un ulteriore complicanza nella ricostruzione delle
piste di indagine (nel 1973, l'esplosione della bomba alla questura di Milano, ricondotta
inizialmente all'anarchico Gianfranco Bertoli, risulta legato al gruppo di estrema dx la Rosa dei
venti, legato a sua volta con una struttura parallela del Sid collegata ai servizi speciali della Nato;
sulla stessa pista si incanalano le indagini per la strage della piazza della Loggia a Brescia nel 1974
e dell'attentato sul treno Firenze-Bologna nel 1980; per l'attentato alla stazione di Bologna nel 1980
– 85 morti – verranno accusati giovani neofascisti tra i quali Mambro e Fioravanti, anche se poi

*' Nel 1974, dalle ceneri de Il Manifesto e del Psiup, nascerà il Pdup – Partito di unità proletaria per il comunismo che
alle elezioni del 1976 prenderà l'1,5% riuscendo a conquistare qualche seggio.

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

spunta l'ombra dei servizi segreti ed il coinvolgimento delle loggia massonica P2 di Licio Gelli*).
Nel 1974 le Br cominciano l'attacco anche contro i magistrati (rapimento di Mario Sossi, Giuseppe
Di Gennaro, oppure l'industriale Vittorio Valarino Gancia) e la caccia ai terroristi diventa più
serrata: il generale dei carabinieri Carlo Alberto Della Chiesa avvia l'organizzazione di un nucleo
speciale antiterrorismo, viene istituito l'ispettorato presieduto dal questore Emilio Santillo e nel
1975 la Camera vota la legge Reale sull'ordine pubblico che introduce il fermo giudiziario e amplia
l'uso delle armi ala polizia. E' nel 1974 che le Br cominciano ad accusare le prime battute d'arresto,
ma la curva della violenza è ancora destinata a salire nel 1975-76 con la diffusione della pratica di
gambizzazione usata sia dalle Br sia dagli stragisti (il primo gambizzato fu nel 1975 il capo del
gruppo della Dc del comune di Milano Massimo De Carolis, nel 1977 i giornalisti Vittorio Bruno,
Indro Montanelli, Emilio Rossi, Nino Ferero, Carlo Casalegno).

4. La società democratica
Il lungo elenco di vittime ed il perpetrarsi delle violenze mettono a dura prova la tenuta democratica
del sistema anche se dagli anni Venti la società italiana è maturata in termini di valori democratici e
consapevolezza dei diritti. La democrazia è cresciuta lentamente nell'immediato dopoguerra poi,
con lo sviluppo economico, ha avuto una forte accelerazione. I primi mutamenti che fanno da
propulsore possono essere individuati nel mondo del lavoro: il proletariato antinazionale,
massimalista e rivoluzionario è diventato ceto operaio e contadino integrato nel sistema
repubblicano democratico, omologandosi agli altri strati sociali nei costumi, comportamenti, livello
di istruzione e retribuzione. Anche nelle imprese si percepisce il cambiamento di pelle dei
proprietari padroni verso i lavoratori, più consapevoli dei diritti e della loro dignità. La nuova leva
dei giovani imprenditori che guardano al Mec e prendono a modello la Germania (dove la Spd al
governo porta una rivoluzione tra impresa e sindacato). Nelle università occupate dagli studenti i
docenti dei gradi inferiori, glia assistenti, i ricercatori, si uniscono alla battaglia contro i baroni e ciò
contribuisce notevolmente alla democratizzazione della vita accademica. Stessa cosa avviene nelle
scuole di ogni ordine e nelle libere professioni. I cittadini si cominciano ad organizzare in comitati
democratici che allargano lo spettro delle lotte e delle rivendicazioni ai problemi dell'intera
esistenza civile (insegnati democratici, avvocati democratici). L'urbanizzazione selvaggia dei due
decenni precedenti ha lasciato le città prive dei più elementari servizi ed i cittadini si organizzano in
comitati di quartiere e nei consigli di zona, che successivamente saranno istituzionalizzati nelle
amministrazioni comunali. Anche l'amministrazione pubblica subisce l'onda di democrazia:
magistratura democratica e polizia democratica. A dare il segnale più vistoso di questa svolta è la
rivoluzione femminista, il fenomeno esplode in Italia all'inizio degli anni Settanta: nel 1969 la Corte
Costituzionale stabilisce che concubinato e adulterio non sono più reati e abroga le norme che li
puniscono. Tra il 1966 e il 1969 il movimento femminista italiano, influenzato dal femminismo
americano, prende vigore durante le occupazioni studentesche: al tema dell'uguaglianza, della parità
dei diritti e delle opportunità si unisce anche il problema della diversità. La rivoluzione
anticapitalistica del movimento giovanile, diventa per le donne rivoluzione contro il dominio
maschile (nel matrimonio e nella famiglia ma non solo, basti pensare che il salario delle donne è
inferiore rispetto a quello dell'uomo del 12% e che il 67% delle donne svolge mansioni più basse
dell'uomo e persino lo Statuto dei lavoratori del 1970, che vieta le discriminazioni sul lavoro, non fa
cenno alle discriminazioni basate sul sesso; poi c'è l'esclusione di fatto delle donne nell'ambito della
sfera politico-istituzionale, nonché la legislazione civile e penale sulla patria podestà e sull'aborto).
Anche l'universo del mondo femminista è estremamente frammentato: il gruppo di Rivolta
femminile concentrato sulla questione della sessualità, Lotta femminista che si batte per il salario
alle casalinghe, i collettivi di autocoscienza, La libreria delle donne impegnati in studi di storia,
letteratura femminista, il Movimento di liberazione della donna (Mld), i nuclei intorno alla rivista

* Queste trame cominceranno a venire fuori nel 1981 quando i magistrati Gherardo Colombo e Giuliano Turone,
sequestrano nella casa di Gelli numerosi documenti con cui viene alla luce un progetto eversivo dell'ordine
costituzionale da attuarsi tramite il coinvolgimento e la cooptazione massiccia di esponenti della classe dirigente e
che ha come primo obiettivo la liquidazione delle opposizioni e dei sindacati.

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

Effe. E' proprio su iniziativa del Mld e dei radicali che avviene la raccolta di firme per la
liberalizzazione degli anticoncezionali, nel 1973 la nascita dei consultori ginecologici autogestiti e
nel 1974 la raccolta di firme per il referendum sull'aborto. La rivoluzione sessuale partita con le
rivendicazioni del movimento femminista accende la luce anche sulla sfera omosessuale e la
Chiesa, le istituzioni, i partiti della dx, la Dc ma persino parte delle forze di sx e laiche, aprono un
vero e proprio fuoco di sbarramento. Il moralismo sulla sfera della vita privata era molto forte e
radicato all'interno della società e delle istituzioni, dove una trasgressione alla morale poteva
portare addirittura al licenziamento. Anche all'interno del Pci, dove il conformismo sulla morale
privata è quasi più rigido di quello democristiano, vi sono processi e persecuzioni: il Pci e l'Udi si
trovano in forte difficoltà sotto l'attacco del movimento femminista e dei gruppi extraparlamentari,
in quanto i diritti civili sono temi ancora assenti dalla cultura comunista (Togliatti, fin dall'epoca
della Costituente, aveva cercato di evitare conflitti con la Chiesa: nel 1944 con la scrittura statutaria
del nuovo partito, fu espressamente indicata la libertà religiosa degli iscritti e nel 1947, con i voti
determinanti del Pci, viene recepito nella Costituzione il Concordato). Nel 1969, dalle file del Pli e
del Psi, i deputati Baslini e Fortuna propongono la legge sullo scioglimento dei matrimoni e ciò fa
maturare una forte mobilitazione della società civile a favore della legge. Questo elemento induce il
Pci a schierarsi per la battaglia parlamentare sul divorzio contro Dc, Msi, monarchici e la Chiesa,
che stigmatizza fortemente la decisione del Parlamento, nel quale la legge passa a larga
maggioranza. Viene chiesto il referendum abrogativo che si celebra nel 1974, vinto dai divorzisti
con il 59,3% dei suffragi.

5. La destra tra eversione e ordine


A determinare il risultato del referendum sul divorzio hanno fortemente inciso i fattori della crescita
democratica, civile e il processo di secolarizzazione della società. La Dc ha mostrato di
sottovalutare questi fattori a cui sono da sommare le istanze provenienti dalla vasta area di dissenso
cattolico (nelle Acli il presidente Livio Labor da vita ad una associazione politico-culturale aperta a
socialisti, comunisti e psiuppini nel 1969, preludio alla formazione di un partito Mpl – Movimento
politico dei lavoratori sconfessato nel 1971; anche le comunità di base guidate da alcuni sacerdoti
stanno diventando una spina nel fianco della Chiesa: la comunità benedettina di san Paolo fuori le
mura guidata da Giovanni Franzoni, schierato a favore dell'obiezione di coscienza, dell'abolizione
del Concordato e per il divorzio). La Dc era stata tratta in inganno da questi segnali perché a fronte
di ciò, il voto soprattutto alle elezioni del 1972, mostra una crescita della dx (il Msi passa dal 4,5%
del 1968 all'8,7% del 1972) ed un'ottima tenuta del partito. Il voto del 1972 mostrava certamente
una insofferenza dell'area moderata e conservatrice esasperata da anni di disordini, ma diversa
considerazione ha il voto al referendum del 1974, dove lo scontro appare una sfida tra vecchio e
nuovo, tra reazione e progresso. La sconfitta referendaria contribuisce a bloccare l'avanzata della dx
(nel 1968 il Msi risulta ancora isolato dal sistema a causa degli equilibri del centrosinistra e la
presenza dei gruppi fuori dal partito che determinano una forte emorragia di militanti. Nel 1969 si
punta ad un rilancio che parte dal malessere delle regioni del Sud: nel luglio 1970 a Reggio Calabria
cominciano gli scontri dei manifestanti con la polizia, preludio di una rivolta destinata a durare un
anno intero. A cavalcare politicamente la protesta è il Msi e ciò comporta una forte crescita
elettorale alle regionali del 1970 in tutto il Sud. Il tentativo di rivalsa del Msi avviene anche al Nord
sull'onda della maggioranza silenziosa* ma dopo poco il movimento si sgonfia anche per la
presenza alle manifestazioni dei violenti militanti missini. Giorgio Almirante, salito ai vertici del
partito nel 1969, cerca di impostare una nuova strategia: trasformare il movimento in un grande

*L'esordio del movimento Maggioranza silenziosa avvenne il 7 marzo 1971 a Torino, con una manifestazione in piazza
Castello. I promotori decisero di indire questa manifestazione per difendere “la presenza dell'Italia che lavora, produce,
paga, forma la maggioranza silenziosa degli italiani che vogliono ordine nella libertà e nel progresso sociale, e libertà
nel progresso nell'ordine”: tuttavia ebbe un successo modesto e si concluse con una zuffa. Quattro giorni dopo ci fu una
manifestazione a Milano, con risultati migliori: il corteo partì con 300 partecipanti, che poi aumentarono sempre di più
fino a raccoglierne alcune migliaia. Fu un successo nonostante si svolse, come le successive, con una forte presenza di
reparti di forze dell'ordine (a causa della contestazione da parte dei militanti della sx extraparlamentare). [Wkipedia].

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

partito di dx - una dx “per bene” legittimata pienamente nel sistema – da un lato, accentuandone
fortemente il volto legalitario fondendosi con i monarchici e candidando nelle sue liste grandi
personalità degli ambienti militari, dall'altro, mantenendo viva la forza di eversione nera che ha
nella società civile. Ma ciò inficia fortemente la sua immagine rendendo poco credibile il
movimento agli occhi dell'opinione pubblica e già nel 1976 i risultati elettorali segnano un rientro
della tendenza del 1972, scendendo al 6,1% e nel 1979 al 5,3% - questa tendenza si mostra anche
nell'estrema sx, anch'essa non guadagna voti negli anni di piombo, mentre il Pci alle regionali del
1975 registra un 33,4% e nel 1976 un 34,4%).

6. Una stagione di scandali


Alle fortune elettorali del Pci contribuisce in modo notevole il discredito dei governi di
centrosinistra. Agli occhi dell'opinione pubblica, la maggioranza governativa è l'espressione di un
regime clerico-fascista, vecchio, autoritario e soprattutto corrotto: il Psi perde progressivamente
credibilità e consensi – nel 1968 socialisti e socialdemocratici, fusi nel nuovo partito Psu, subiscono
una forte sconfitta elettorale (nel 1963 divisi Psi e Psdi raggiungevano il 13,8% e 6,1%, mentre alle
elezioni del 1968 uniti il 14,5% dei suffragi) che accelera la crisi interna e una nuova scissione delle
due anime, spaccate dal dilemma strategico governo-opposizione (comincia a prendere corpo nella
sx socialista a guida di Riccardo Lombardi l'ipotesi di un governo con il Pci). La Dc regge bene
l'urto del 1968 (recuperando suffragi rispetto al 1963) riuscendo a mantenere questo vantaggio fino
al 1972, poi con la sconfitta referendaria del 1974 ha un vistoso cedimento (alle regionali del 1975
35,5% con solo due punti in più del Pci). A minare il consenso dei governi di centrosinistra è in gran
parte il prolungato esercizio del potere che fa dilagare la corruzione nel corpo della Dc e negli stessi
gangli dello Stato (i più rilevanti scranni dell'apparato statale sono occupati da personalità della
democrazia cristiana – i boiardi di Stato, come vengono definiti in un libro di Scalfari e Turani). Il
sistema politico italiano, privo di ricambio, ha assicurato al partito cattolico una posizione di
privilegio che diventa tentazione per chi guarda alla propria carriera e al perseguimento di interessi
personali o particolari. L'ingresso del Psi in maggioranza e nei governi con l'esperienza del
centrosinistra, non fa che ingigantire il problema e la macchina della corruzione: la lottizzazione
delle cariche pubbliche, dei ministeri dei sottosegretariati, delle presidenze e vicepresidenze, delle
direzioni degli istituti, ingabbiano l'intero sistema in una rete di affari personali e partitici; vi è la
totale discrezionalità sulla distribuzione delle risorse pubbliche, sul quanto, sul come e a chi erogare
(nel 1974 viene votata la legge sul finanziamento pubblico ai partiti che tutt'altro fa invece di
risolvere il problema della corruzione di forze abituate da anni a servirsi liberamente delle risorse
pubbliche). Le conseguenze sono devastanti: l'obiettivo più ambito è la raccolta di voti, elemento
essenziale per il mantenimento di questi vantaggi e la perpetrazione di questo sistema. Ciò
comporta la prassi del voto di scambio, del voto clientelare (benefici in cambio di suffragi) per
combattere la tendenza del distacco nella società civile in mutamento (nel 1975 viene sancito il voto
ai diciottenni: l'ingresso delle generazioni più giovani nell'età del voto determinava forti mutamenti
nel comportamento di voto in grado di condizionare fortemente il risultato. Il voto di appartenenza
che legava generazione dopo generazione intere famiglie ad un partito, declina con lo sradicamento
progressivo delle subculture territoriali ed il processo di secolarizzazione politica delle ideologie
storiche). La stagione degli scandali si apre nel 1971 e vede la commistione di affari, politica e
soprattutto nel Mezzogiorno, della criminalità organizzata (nel 1971 le aste truccate dell'Anas che
vedono coinvolto il segretario del Psi Giacomo Mancini; il caso Montedison per il versamento di
fondi al centrosinistra; nel 1974 numerosi avvisi di reato investono petrolieri, dirigenti dell'Enel ed
esponenti politici; nel 1976 il caso Lockheed, per la corruzione di esponenti politici volta
all'aggiudicazione di commesse militari). Nel Mezzogiorno la criminalità organizzata ha creato una
sorta di “Stato parallelo” nei territori controllati ed i rapporti con il potere politico si sono fatti
stretti, avendo veri e propri patrimoni da custodire ed immettere nei canali legali. Le organizzazioni
mafiose del Sud puntano ora ai ricchi mercati del Nord e della Comunità europea, determinando una
diffusione anche in altri ambienti, delle banche, della finanza, ecc. I metodi utilizzati dalle
organizzazioni criminali sono violenti e spietati contro chi si oppone o chi conduce indagini

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

pericolose; gli anni Settanta sono segnati da numerosi delitti di mafia (il rapimento e la morte del
giornalista Mauro De Mauro; nel 1971 l'uccisione del procuratore della Repubblica Pietro
Scaglione; nel 1979 vengono assassinati il segretario provinciale della Dc di Palermo, Michele
Reina, il capo della squadra mobile Boris Giuliano, il giudice Cesare Terranova, il presidente della
regione Sicilia Piersanti Mattarella e il segretario Dc di Castelvetrano Vito Lipari; l'uccisione di
Giorgio Ambrosoli, incaricato per liquidare la banca di Michele Sindona arrestato ne 1976,
ricostruisce tutti gli illeciti del mafioso banchiere ed i suoi legami con la politica; nel 1979 viene
assassinato Mino Pecorelli direttore di Op un settimanale scandalistico; il caso di Roberto Calvi, il
presidente del Banco Ambrosiano, trovato morto impiccato a Londra nel 1982, che apre una vicenda
di intrecci politici e lo Ior, la banca vaticana).

7. La crisi economica
La richiesta di cambiamento profondo da parte della società civile e dell'opinione pubblica, dove si
diffonde una forte sfiducia verso i partiti e le istituzioni statali, è forte e determina un desiderio di
pulizia dei palazzi del potere. La democrazia italiana è nata come democrazia dei partiti e il ruolo di
questi risulta dopo trent'anni di repubblica ancora più forte e invasivo. Il partito-Stato dei cattolici,
senza alternanza sempre al potere, alle elezioni amministrative del 1975 subisce una perdita secca
(35,3%) mentre il Pci, escluso da 1947 dagli esecutivi e quindi anche dalla lottizzazione delle
cariche pubbliche, ha un notevole balzo in avanti (33,4%, nel 1946 aveva ottenuto il 18,9% dei
suffragi): i comunisti si presentano come il partito degli onesti e si ripropone come alternativa alla
Dc a governare il paese. Il governo degli onesti ha una forte presa sull'elettorato dei ceti medi oltre
alla tradizionale classe operaia e contadina, ma soprattutto c'è stato un cambiamento di immagine
del Pci, che dopo l'indimenticabile 1956 è stato investito da un processo di socialdemocratizzazione
ed inserimento nel sistema democratico italiano. Il nuovo segretario del Pci Enrico Berlinguer,
salito ai vertici nel 1972, accelera fortemente questo percorso spostando il partito nell'area
europeista, stringendo legami con la socialdemocrazia tedesca e allontanandosi sempre più dalla
sfera di influenza di Mosca (lo strappo ufficiale si ha nel 1968 con l'intervento sovietico a Praga) e
sembra pronto ad accettare anche la Nato. Gli anni Settanta sono anche gli anni delle forti difficoltà
economiche per l'Italia, in cui per la prima volta dalla ricostruzione del paese si assiste ad un
rallentamento della crescita (il tasso medio annuo di aumento della produzione industriale scende al
4,1%). Nel 1973-74, i paesi dell'Opec riducono drasticamente la produzione di petrolio e alzano il
prezzo del barile come rappresaglia verso gli Stati Uniti e gli alleati occidentali che appoggiano
Israele in guerra contro l'Egitto. Una forte tensione inflazionistica si fa sentire in tutti i paesi
industrializzati e soprattutto in Italia che per le forniture di carburante dipende dal mercato arabo (in
pochi mesi si hanno notevoli aumenti del costo della benzina e ciò si riverbera su tutta la
produzione industriale italiana: i dati dell'occupazione delle aziende con più di mille dipendenti cala
drasticamente 9,7% - a fronte di ciò bisogna sottolineare una controtendenza che riguarda la fascia
Est delle regioni italiane, dal Veneto alla Puglia, dove la piccola impresa familiare ha un notevole
sviluppo grazie alla flessibilità e al costo relativamente basso della manodopera rispetto agli operai
della grande industria sindacalizzata). Nel 1974 e nel 1976, sui cittadini si abbatte la stangata
derivante dall'aumento delle tariffe e delle tasse sugli immobili, sulle automobili, sui natanti, sui
contributi alle imprese. Inoltre, vi sono anche l'abolizione di alcune festività e il congelamento di
una parte dell'indennità di contingenza convertita in titoli di Stato. I provvedimenti di austerità non
bastano a far fermare la lira che precipita insieme ai titoli azionari (nel mercoledì nero del settembre
1974, la Borsa valori crolla dell'8,15%, con l'indice Mb dal 48,74 al 37,75 in soli due anni. Nel
1976 viene chiuso per tre giorni il mercato dei cambi: il dollaro vale 720 lire. Si assiste ad un nuovo
fenomeno chiamato stagflazione, un connubio tra stagnazione e inflazione: connubio tra aumento
generale dei prezzi/inflazione e mancanza di crescita economica in termini reali/stagnazione).

8. Il compromesso storico
Alle elezioni amministrative del 1975, in tutte le maggiori città italiane (da Torino a Milano, a
Bologna, a Firenze, a Roma e Napoli) i comunisti vanno al governo insieme ai socialisti e in alcuni

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

centri anche a livello nazionale dove l'alleanza di centrosinistra è a pezzi. L'anno successivo, dopo
le votazioni politiche, il nuovo esecutivo – un monocolore democristiano guidato da Giulio
Andreotti – si regge con l'astensione di tutte le forze politiche (esclusi Msi, Pdup e Pr) anche del
Pci, che nel 1978 entrerà nella maggioranza (ma non nel governo). Questa formula inedita viene
chiamata governo di solidarietà nazionale, giustificato dall'esigenza di normalizzare e pacificare il
paese grazie alla collaborazione delle forze politiche di tutto lo spettro partitico. Il risultato
elettorale del 1976 non prospettava soluzioni governative convincenti: la Dc si era mantenuta sulle
percentuali del 1972 (recuperando i voti persi nel 1975 grazie all'appello della paura del sorpasso
comunista – famoso l'invito di Montanelli a turarsi il naso e votare Dc) mentre i partiti alleati
avevano subito un decisivo ridimensionamento tanto che non fu possibile la costituzione di un
governo su maggioranza centrista; ci sarebbero stati i voti per la riedizione del centrosinistra ma i
socialisti, nel pieno di una crisi interna, non furono disponibili (i colonnelli di Craxi incalzano il
segretario De Martino e il suo gruppo dirigente). Il Pci invece, risulta vincitore assoluto (34,4% nel
1975) e forte del risultato (34,4% nel 1975) verifica a livello nazionale la possibilità di creazione di
uno schieramento alternativo alla Dc, ma nonostante il cambiamento e l'integrazione dei comunisti
all'interno del sistema democratico, vige ancora la conventio ad excludendum da parte di Pli, di
parte del Psi e Psdi. Il Pci è consapevole della persistenza dell'esclusione dal sistema, ma altrettanto
consapevole è Berlinguer della pericolosità della strada governativa, un loro ingresso nella stanza
dei bottoni avrebbe potuto scatenare la dx eversiva e golpista, già giustificata dall'alibi del
terrorismo rosso. Inoltre, il fattore internazionale condiziona fortemente le scelte del Pci: Berlinguer
è consapevole di aver guadagnato terreno a Washington (il nuovo presidente Carter si mostra
benevolo verso il nuovo Pci, spina del fianco dell'Urss) e di essere diventato partito di riferimento
dell'Europa occidentale comunista, esempio per gli altri partiti comunisti di paesi che escono dalle
dittature (portoghese 1974, spagnolo 1975 e greco nel 1976) pernio centrale dell'eurocomunismo
(formula coniata dallo stesso Berlinguer). Nonostante ciò, il Pci resta un partito comunista e
l'atteggiamento del Dipartimento di Stato americano non è mutato in piena guerra fredda. Dunque,
Berlinguer esclude fin dal 1973 la possibilità della costruzione di uno schieramento alternativo alla
Dc, ma prende corpo comunque il progetto di un abbandono dell'opposizione per un lento
avvicinamento all'area di governo. Tappa essenziale di questo percorso fu il compromesso storico:
in teoria la proposta comunista è finalizzata alla soluzione della crisi in corso forzando la
collaborazione tra i due maggiori partiti di fronte all'emergenza terrorismo e stragismo; in pratica,
questa è la strada scelta da Berlinguer per ottenere piena legittimazione del Pci come forza di
governo da parte della Dc. Passo dopo passo il compromesso si sarebbe dovuto realizzare prima con
l'astensione (1976, monocolore Andreotti) poi l'appoggio esterno (1978) ed infine una
partecipazione diretta negli esecutivi democristiani (quest'ultima meta non sarà mai raggiunta
perché la Dc non appena potrà si svincolerà dal letale abbraccio comunista; il compromesso appare
una scelta azzardata ma non del tutto inattesa, la Dc aveva costruito le sue fortune sulla
contrapposizione al comunismo). Già alla fine degli anni Sessanta Pci e Dc avevano stretto un
accordo sotterraneo stabilito tra il governo e l'opposizione comunista che appoggiava gran parte
delle leggi presentate in Parlamento dalla maggioranza (questo carattere consociativo del sistema
era la diretta conseguenza dell'esclusione del Pci dal governo, un partito che rappresentava una
grande ed indispensabile parte del paese, la grande maggioranza di operai e contadini ma anche i
ceti medi progressisti) lo stesso equilibrio di centrosinistra si era retto fino al 1976 anche grazie a
questo tipo di patteggiamento dietro le quinte, che adesso Berlinguer si limita a rendere esplicito – il
Psi, dopo otto anni di consensi intorno al 9%, risulta troppo debole per garantire larga
rappresentanza delle masse all'interno dei governi, diventa il Pci l'anello di congiunzione con i
sindacati e la società civile. Nella Dc i segnali di Berliguer vengono raccolti dalla sx democristiana
di Aldo Moro (da tempo sostenitore del dialogo con il Pci: un paese a democrazia debole, non
governabile con il meccanismo dell'alternanza maggioranza-opposizione, necessita di una
democrazia protetta che passa per un accordo con l'opposizione) e la maggioranza della Dc si fa
convincere, cercando di ottenere il più possibile dal Pci concedendo il meno possibile: in ballo ci
sono le leggi antiterrorismo e le misure di austerità (che solo con l'aiuto dei comunisti e sindacati,

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

sarebbero potute passare senza creare malcontento) ed in cambio la Dc avrebbe concesso una nuova
normativa sull'interruzione di maternità; ma Berlinguer pretendeva di più, consapevole che
l'accordo Pci-Dc sarebbe stato sgradito alla sx comunista interna e delle frange estreme fuori dal
partito (nel 1977, quando la Cgil acconsente alla sterilizzazione della scala mobile, escludendo gli
aumenti di alcuni prodotti nel calcolo di indennità di scala mobile, vi furono forti contestazioni). La
fase dell'appoggio governativo da parte del Pci arriva in circostanze drammatiche il 16 marzo del
1978, quando si apre la discussione alla Camera sulla fiducia all'esecutivo (in quel giorno Aldo
Moro era stato rapito dalle Br); risultò un'occasione di legittimazione politica preziosa per il Pci,
che si attesta su posizioni di difesa dello Stato democratico attaccato al cuore dal terrorismo,
dichiarandosi contrario ad ogni trattativa con i terroristi. Dall'assassinio del leader democristiano ed
il ritrovamento del suo corpo cinquantacinque giorni dopo il suo rapimento, la spirale di violenza
terrorista sale a livelli incredibili anche se adesso i terroristi sono sempre più isolati; le Br perdono
terreno (fino a questo momento una parte consistente di popolazione non si riconosceva nello Stato
e nelle sue istituzioni, nei partiti stessi, ai quali le Br avevano dichiarato guerra – ciò aveva
comportato una notevole indulgenza nei confronti del fenomeno terrorista: nel giugno del 1978 il
numero dei “sì” al referendum abrogativo del finanziamento ai partiti e sulla legge Reale contro il
terrorismo è molto alto, 22,3%; e a sx le Br erano viste come i compagni che sbagliano) persino
nell'area della sx movimentista dove si abbatte la violenta repressione delle forze dell'ordine e con
la legge del 1979 sui pentiti, si scatena una spietata resa dei conti fra gli stessi militanti del
terrorismo. Il capitolo del terrorismo resterà aperto fino a metà degli anni Ottanta, anche se il
fenomeno si considera ormai debellato dallo Stato alla fine dei Settanta e questa prospettiva di
normalizzazione del clima e della tensione nel paese minano al cuore la strategia comunista di
avvicinamento e comprensione nella sfera del potere. La Dc non ha più bisogno dell'appoggio
comunista agli esecutivi (con l'assassinio Moro, sull'onda della solidarietà e l'appello anticomunista,
la Dc recupera voti alle elezioni politiche del 1979 raggiungendo il 38,3% dei voti) ed il ritorno
all'opposizione rimane scelta obbligata (il Pci perde 4 punti percentuali).

10 La crisi di fine secolo (1980-2000)

1. Il riflusso
Dopo più di un decennio di sconvolgimenti negli anni Ottanta la stanchezza, il disorientamento, la
paura - sentimenti diffusi in tutto il paese soprattutto fra i giovani, anche nelle sacche legate al
sovversivismo – predominano facendo perdere forza alle ondate di mobilitazione sovversiva (anche
se la guerra contro il terrorismo rosso non si ferma del tutto) dalla quale emerge il fenomeno del
volontariato: gran parte della gioventù degli anni Settanta e persino alcuni terroristi pentiti scelgono
di dedicare il loro tempo alla collettività. Un fenomeno che assume per la prima volta in Italia una
dimensione rilevante, dove sono da sempre stati i partiti e la Chiesa a farsi promotori e
organizzatori della rete della solidarietà, adesso invece attivata spontaneamente da gruppi laici e
cattolici guidati da sacerdoti. Questa forma di associazionismo inedito, senza strutture solide, si
presenta come un magma fluttuante (anche nei livelli di partecipazione): tanti giovani pragmatici,
non ideologizzati, lontani dalle pratiche violente del 1968, si mobilitano per diversi scopi legati alla
collettività. Sono anche altre le associazioni che si presentano sulla scena, come quelle contro la
criminalità organizzata del Sud, i comitati dei familiari delle vittime delle stragi, i movimenti
referendari (Mario Segni) e quelle legate al movimento ecologista, altro grande protagonista della
scena di questi anni. Il movimento ecologista è espressione di una coscienza ambientalista che ha
cominciato a formarsi lentamente in Italia in ritardo rispetto agli altri paesi occidentali
industrializzati e fa solo indirettamente riferimento ai temi ecologici della sx extraparlamentare. La
loro battaglia aveva iniziato ad attirare l'attenzione nel 1973 quando la crisi petrolifera aveva
costretto gli italiani ad interrogarsi sull'esauribilità delle risorse della terra (nel 1974 nasce il
ministero dei Beni culturali e ambientali, mentre nel 1983 nasce il ministero dell'Ambiente; furono
presi i primi provvedimenti per il risparmio energetico, sempre nel 1974 vi fu il primo blocco della
circolazione della automobili e lo spegnimento anticipato delle vetrine; i costi crescenti del petrolio

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

avevano spinto i governi ad investire sull'energia nucleare). La denuncia dei danni all'ambiente e le
conseguenti mobilitazioni fanno acquisire una dimensione di massa al movimento ecologista,
rivitalizzando vaste aree del declinante associazionismo democratico: la battaglia ecologista appare
a molti un fattore capace di ridare corpo alle mobilitazioni, un nuovo terreno dove è possibile
raccogliere consensi. Di fatto però solo in parte la nuova mobilitazione riaccende la polemica
anticapitalista: l'ecologismo non può rimanere circoscritto nella sfera dell'ideologia marxista
rivoluzionaria ormai decadente. Infatti, è sintomatico che proprio il Pci di dimostri inizialmente
insensibile alla questione ambientalista, preoccupato per gli effetti negativi di una battaglia contro le
grandi industrie ed il processo di industrializzazione, fattore determinante dell'inquinamento.
L'ecologia (come diritto alla salute, alla sicurezza, alla bellezza della natura e dell'arte) diventa fin
da subito bandiera dei radicali, attivissimi all'interno del movimento, che dietro le liste del Sole che
ride*, si presenta alle elezioni per il Parlamento europeo nel 1984 (con il 3,8% dei voti, sulla scia
del successo del partito dei verdi in Europa e soprattutto in Germania dove il gruppo di Petra Kelly
sta mettendo in crisi la Spd). Altra battaglia che ha grande successo è quella legata al referendum
anti-nucleare che si celebrerà nel 1987. A sx, dopo il deludente risultato del 1979, i comunisti
tornano indietro dalla strategia del compromesso storico per attestarsi sulle posizioni di alternativa
democratica: i socialisti, che di questa ipotetica alternativa dovrebbero essere i principali alleati,
scelgono invece di ritornare al governo con la Dc, chiudendo il dialogo con i comunisti ed iniziando
una violenta offensiva contro di essi. Craxi sfrutta a pieno il potere coalittivo del Psi per imporsi sul
partito cattolico e massimizzare il profitto (il leader socialista pretende il 50% del potere) e con
poco più del 9% di suffragi i socialisti diventano la forza determinante per assicurare la
governabilità. La Dc si piega al ricatto socialista, in quanto la maggioranza interna al partito esclude
l'inclusione del Pci negli esecutivi. Emerge ancora una volta la distorsione profonda del sistema
politico italiano generata dalla conventio ad excludendum sia a dx sia a sx: negli anni Ottanta come
nei Sessanta l'area dei partiti legittimati a governare è rimasta sempre la stessa, quella delle
coalizioni del centrosinistra che dal 1981 viene allargata anche al Pli (già facente parte degli
esecutivi degli anni Quaranta e Cinquanta); si passa da una coalizione quadripartito (Dc-Psi-Psdi-
Pri) ad una pentapartito (Dc-Psi-Psdi-Pri-Pli) e naturalmente, il ritorno dei vecchi equilibri di
centrosinistra è reso possibile dallo spegnersi dei fermenti sociali e politici che a partire dal 1968
avevano messo in crisi e fatto capitolare gli esecutivi di centrosinistra.

2. Il secondo miracolo economico


Tutta l'Europa occidentale gode di una nuova fase di crescita, che risulta importante anche in Italia:
tra il 1976 ed il 1991 il reddito pro capite cresce del 45%, il consumo delle famiglie di più del 60%
e il reddito nazionale di quasi il 50% (6 punti in più della media europea). L'Italia strappa
all'Inghilterra il 5° posto nella classifica tra le massime potenze economiche mondiali. Al secondo
miracolo economico concorrono soprattutto la piccola e media impresa, mentre la grande industria
privata non riesce ad invertire la tendenza del suo lento declino già emersa negli anni Settanta
(tendenza testimoniata soprattutto dal dato degli occupati in costante calo: il calo degli addetti è il
frutto di un processo di totale riorganizzazione delle imprese accelerato dalla rivoluzione
informatica che comporta la robotizzazione, trasformazione in atto nelle grandi fabbriche dove si sta
imponendo un nuovo modello delle tecniche di produzione, il modello Toyota che fa dell'uso di
macchinari polivalenti, della considerazione degli interessi ed esigenze particolari del cliente nella
progettazione, un pernio fondante. La sfida interessa soprattutto l'industria automobilistica, la cui
leader del settore è la Fiat). Quanto al mercato interno, negli anni Novanta l'Italia è il paese con il
maggior numero di automobili per abitanti di tutta la Comunità europea, ma i margini di crescita
sono finiti. Non cresce neppure l'area industriale degli elettrodomestici, che è stata punta trainante
del primo miracolo economico. L'industria informatica (leader del settore è la Olivetti) cresce
notevolmente ma la durissima concorrenza internazionale ne ridimensiona lo slancio. Quanto alla
chimica, alla farmaceutica, alla siderurgia e alla cantieristica, la gestione delle imprese pubbliche fa

* Il Sole che ride è un simbolo inventato in Danimarca nel 1975 da un ampio nucleo di attivisti (Anne Lund e Søren
Lisberg) legato al movimento anti-nucleare.

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

da padrone in tutta l'area con il suo moltiplicarsi negli anni: la sfera pubblica copriva nel 1970 il
36,7% del Pil, nel 1980 il 43,6% e nel 1992 il 57,6%. Nel 1989 lo Stato mette le mani anche sulla
Montedison/Enimont, leader nel settore chimico, ma il nuovo assetto non basta a rilanciarla e ciò
tutto a vantaggio lucroso dei partiti: il caso Montedison/Enimont passerà alla storia come la madre
di tutte le tangenti, perché da lì i magistrati milanesi cominceranno a colpire la corruzione
determinata dall'intreccio tra politica e potere economico privato dando inizio alla tempesta
giudiziaria di Tangentopoli. Il caso Montedison/Enimont non è un'eccezione nel panorama delle
imprese che fanno capo all'Eni (Iri, Efim e grandi holding pubbliche) il cui stato di salute è precario
già agli inizi degli anni Ottanta e nel tentativo di risollevarne le sorti vengo chiamati a dirigerle
Romano Prodi all'Iri (vicino alla Dc) e Franco Reviglio all'Eni (vicino al Psi): inizia con loro un
processo di razionalizzazione, preludio delle privatizzazioni degli anni Novanta. L'affanno del
settore pubblico ha conseguenze negative sullo sviluppo economico del Mezzogiorno: i governi
avevano affrontato la questione meridionale con notevoli investimenti nell'industria (petrolchimica
e siderurgica soprattutto) ed erano sorte le grandi cattedrali nel deserto, i poli industriali di Taranto,
Siracusa, Matera, Cagliari, ma la grande crisi mondiale dell'acciaio porterà, a cavallo tra gli anni
Ottanta e Novanta, al declino o addirittura lo smantellamento di questi grandi centri (l'Italsider di
Taranto, gli insediamenti di Bagnoli, Gioia Tauro). Rispetto al passato anche il Sud cresce nella
produzione e nel miglioramento delle condizioni di vita della popolazione: l'omologazione nei
consumi e nei costumi tra cittadini meridionali e settentrionali fu vistosa ma del tutto sproporzionata
rispetto agli indici di produttività, in quanto è la spesa pubblica ha mantenere alto il livello dei
consumi (una spesa che solo in minima parte si traduce in maggiori servizi essendo composta per lo
più da contributi diretti alle famiglie sotto forma di posti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche
locali, pensioni di invalidità, sussidi all'agricoltura). La politica del sussidio non favorisce lo
sviluppo dell'imprenditoria economica sana ed i dati confermano la persistenza di un forte divario
tra Nord e Sud del paese. In alcune aree costiere, invece, è in piena fioritura una fitta rete di piccole
imprese e di distretti industriali che vanno al passo con la crescita del resto d'Italia: fin dagli anni
Settanta questi territori avevano mostrato un forte dinamismo, sulla costa adriatica dall'Abruzzo alla
Puglia, ma anche la Sardegna settentrionale (Nuoro e Sassari) e le province siciliane di Ragusa e
Catania. Anche a livello nazionale risulta questo il settore trainante del secondo miracolo
economico. La terza Italia ha mostrato la capacità straordinaria di innovazione anche tecnologica
delle piccole e medie imprese, la loro flessibilità gli consente di modificare continuamente e
rapidamente i manufatti, migliorandoli ed adattando alle esigenze mutevoli del cliente (il made in
Italy ha un successo su scala mondiale, soprattutto nell'industria della moda trasformata in una vero
holding) aprendosi all'esportazione sui mercati internazionali. Questo settore garantisce lo slancio
dell'economia del paese sopperendo in parte alle carenze degli altri settori, carenze derivanti anche
dalla mancanza di materie prime e di energia, del basso rendimento agricolo che costringono ad
importare; la grande industria non riesce a sfondare nel campo dell'informatica, nelle
telecomunicazioni e nella farmaceutica, inoltre, la debolezza dei servizi (che certo hanno uno
sviluppo ma non in linea con i dati degli altri paesi dove ormai il terziario supera l'industria
nell'incidenza sul Pil) limita la presenza italiana sui mercati globali a sole tre aree: turismo,
ingegneria ed il campo delle costruzioni. Dal confronto con il resto del mondo l'Italia esce perdente
sia in campo finanziario (informatica e telecomunicazioni stanno creando una vasta area legata al
mercato monetario in espansione e il timido sviluppo di queste aree non fa rilanciare i settori
nazionali come quello bancario e dei servizi finanziari, es. settore assicurazioni) sia in quello sociale
(i servizi sociali dopo lo slancio degli anni Settanta subiscono gli effetti negativi dei tagli alla spesa
pubblica, del malfunzionamento, degli sprechi). In questo panorama poco edificante, spicca invece
il settore dell'informazione, del divertimento e del tempo libero, dove l'innovazione tecnologica e
l'informatica hanno dato slancio alle televisioni via cavo e via satellite, dilatando le reti di
telecomunicazione private e statali: l'assenza di regole (la prima legge che riordina il sistema
televisivo è del 1975, poi nel 1990 la legge Mammì) non favorisce l'ordinato sviluppo del sistema
che mostra già le sue distorsioni (già negli anni Settanta sono comparse le prime televisioni private
e Silvio Berlusconi inaugura nel 1974 la prima emittente via cavo Telemilano, tappa dopo tappa la

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

Fininvest si trasforma in un impero con Canale 5, Italia 1 – acquistata da Rusconi nel 1982 e Rete 4
- acquistata da Mondadori nel 1984; alla fine degli anni Ottanta, la concessionaria di Berlusconi –
Publitalia – rastrella il 42% di tutta la pubblicità sui mezzi di comunicazione).

3. Nuovi consumi e nuova società


Con la fine degli anni Cinquanta, l'Italia contadina era ormai scomparsa per lasciare il posto
all'Italia industriale, facendo ingresso nell'era moderna. Sul finire degli anni Settanta, invece, si ha
l'ingresso nell'epoca postmoderna, dove il ruolo centrale lo acquistano i consumi postmaterialisti,
cioè che si inscrivono nella sfera dei desideri e non più dell'utilità. La vita media aumenta
parallelamente al diffondersi della prevenzione medica e soprattutto al moltiplicarsi dei prodigi
della medicina, della chirurgia e della ricerca scientifica. Nel campo dell'istruzione, nonostante il
tasso di scolarità rimanga ancora basso, c'è un vistoso aumento della popolazione con licenza
media, diploma e laurea, anche se in percentuale minore. Questi fattori e ciò che comportano,
contribuiscono – come del resto lo sviluppo della televisione e internet – a rendere la società
globale, dove ogni individuo ha la possibilità di abbattere gli ostacoli culturali e sociali facendosi
soggetto attivo.

4. Il declino del sistema dei partiti


Nel decennio degli anni Ottanta, il sistema politico-partitico italiano sembra essere rimasto
immutato: i partiti al governo e all'opposizione sono rimasti gli stessi, quasi a testimoniare
l'inconsapevolezza del cambiamento della società in atto. Non c'è neppure quella tensione culturale
che aveva caratterizzato e stimolato alla fine degli anni Cinquanta il ricco dibatto politico sul
governo dello sviluppo, del primo miracolo economico, destinato a fare strada ai nuovi equilibri di
centrosinistra. I pochi tentativi di leggere la tendenza al cambiamento si ritrovano solo in alcuni
ambienti intellettuali che, rispetto ad allora, hanno ben poca influenza sui partiti. Attorno al Psi, il
dinamismo di Craxi aveva attirato una larga schiera di intellettuali. La critica al marxismo, il
recupero del liberal-socialismo, le tematiche libertarie e dell'umanesimo socialista, frutto delle
riflessioni in armonia con i mutamenti accelerati della società, del declino delle ideologie, hanno
reso prospero di idee il terreno di tutta la sx, coinvolta ampiamente nel dibattito: anche se il Psi non
riesce a tirare dietro il Pci, che conserva l'egemonia sul popolo rosso. Il nuovo corso viene vissuto
dal Pci come un attacco alle basi di massa del proprio consenso e difatti il Psi lo attacca con un forte
polemica anticomunista che da un lato rinforza l'animo dei comunisti e dall'altro suscita diffidenze e
resistenze: il Pci in veste di partito degli onesti aveva ottenuto il 33,4% nel 1975 e nel 1984, alle
elezioni europee, sembrano arrestare la tendenza al declino con il 33,3% dei consensi, sorpassando
la Dc (a gonfiare le liste del Pci sono proprio gli scandali che colpiscono i partiti della maggioranza
di governo, il Psi diventa il simbolo della corruzione). Nel decennio 1977-1987, ben il 75% degli
italiani si dichiara insoddisfatto del funzionamento del sistema politico italiano: in maggioranza
l'espressione di insoddisfazione deriva dai ceti medi, le componenti più colte e moderne, laiche,
liberali e pluraliste, cioè l'elettorato a cui punta il nuovo Psi (anche nuovo il simbolo che va a
sostituire il libro, la falce ed il martello: il garofano rosso). Di fatti, dal 1979 al 1987, la crescita del
Psi è stata esigua (circa il 5% di elettori) tutti raccolti al Sud dal voto clientelare (dove paga il ruolo
del Psi come forza di governo e soprattutto l'ascesa alla presidenza del Consiglio dello stesso Craxi
nel 1983). Ancora nel meridione vincono i partiti della spesa pubblica: voti in cambio di benefici
che vanno ad accrescere il buco nei conti pubblici, con la totale indifferenza dei partiti (negli anni
Settanta i servizi pubblici hanno raggiunto la massima estensione e negli anni Ottanta, con la
crescita degli anziani e l'onerosità del sistema pensionistico, l'innalzamento del costo delle
tecnologie mediche e della spesa sanitaria, pongono le basi per un massiccio indebitamento: nel
1991 il debito è al 103,9% del Pil). Con molta miopia la classe politica sceglie di non governare
puntando alla conservazione degli equilibri esistenti: la Dc fino al 1979 da prova di una forte tenuta
(avendo governato per venticinque anni con la media del 38,5% dei voti) con il 1981 e la perdita
dello scranno di Palazzo Chigi dopo trentacinque anni (si insedia Giovanni Spadolini - area laico-
liberale, Pli, partito del 3% non ancora toccato dagli scandali - per volere del socialista Sandro

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

Pertini presidente della Repubblica) si ha un primo forte segnale di cedimento della propria
egemonia; stessa cosa accade di nuovo nel 1983 con presidente del Consiglio Craxi. Il calo
elettorale della Dc segna il forte distacco dalla società determinato dal susseguirsi di scandali,
corruzione, mal governo. Ciriaco De Mita, nuovo segretario Dc dell'ala sx cattolica, tenta
un'operazione di rinnovamento del vecchio partito senza riuscirsi: la laicizzazione della società sta
distruggendo la subcultura bianca anche nelle aree tradizionalmente più forti (Veneto) dove
incominciano a crescere nuovi soggetti politici locali come la Liga veneta. All'interno e all'esterno
vi è una forte preoccupazione per il mutare di questi equilibri e nel 1981 viene indetta un'assemblea
degli esterni a cui partecipano molti del mondo intellettuale, culturale, sociale attorno alla
democrazia cristiana (Lega democratica, Movimento popolare, Coldiretti, ecc.) nel tentativo di dare
un nuovo slancio al partito verso il rinnovamento, tentativo che si rivela fin da subito velleitario: la
Dc risulta un'organizzazione troppo vecchia, sempre stata al potere, con consolidate posizioni di
potere al suo interno e con una gestione clientelare del voto a cui è difficile rinunciare. Gli
interventi di rinnovamento dunque non hanno incisività radicale e si punta alla conservazione
dell'esistente. Anche il compromesso tra Craxi, Andreotti e Forlani (il Caf) siglato nel 1987 dopo le
elezioni (che avevano portato la Dc ad un notevole recupero di due punti percentuali rispetto il
1983; il Psi ottenne il 14,3%) era inscritto proprio nell'ottica di trovare un porto sicuro nella stabilità
di un'alleanza redditizia. De Mita e la sx cattolica, invece, sono contrari a questa politica dello
struzzo, cercando di battere Craxi, riconosciuto vero ostacolo al rilancio della Dc (il Psi approfitta
delle debolezze della Dc per far valere a meglio il proprio potere coalitivo e massimizzare la
conquista del potere) e di fatti De Mita trova come alleato il Pci. Una volta che De Mita ha
acquistato maggiore potere interno però, la maggioranza dei feudatari democristiani vi si coalizza
contro abbattendo la corrente demitiana.

5. Il Pci e l'opposizione debole


La paralisi del sistema dei partiti colpisce anche il Pci che, con l'esaurimento della politica di
solidarietà nazionale, non ha più un ricambio interno: il troppo lento processo di revisione
ideologica impedisce ancora l'elaborazione di una strategia vincente (a poco è servito il lento
distacco da Mosca, sancito poi con la vicenda del sindacato polacco Solidarnosc di Lech Walesa*
quando Berlinguer appura che si è esaurita la capacità propulsiva di rinnovamento della società
espressa dalla rivoluzione bolscevica). La storia del partito diventa come una vera e propria palla al
piede per i vertici comunisti che devono fare i conti con la propria base ancora fidelizzata
dall'ideologia e dal mito dell'Urss; questo spiega la permanenza come punto fermo per Berlinguer, il

* Il Niezależny Samorządny Związek Zawodowy Solidarność - Sindacato autonomo dei lavoratori solidarietà è un
sindacato fondato in Polonia nel settembre 1980 in seguito agli scioperi nei cantieri navali di Danzica e guidato
inizialmente da Lech Wałęsa (premio Nobel per la pace nel 1983 e successivamente presidente della repubblica
negli anni 1990-1995). Nel corso degli anni Ottanta Solidarność ha agito inizialmente come organizzazione
sotterranea, ma presto si è imposta come movimento di massa e luogo fondamentale di incontro delle opposizioni di
matrice cattolica e anticomunista al governo centrale. La sua fondazione ha costituito un evento fondamentale nella
storia non solo polacca, ma dell'intero blocco comunista.
Più fattori sono alla base del suo successo iniziale: il supporto di un gruppo di intellettuali dissidenti Comitato di
Difesa degli Operai (Kor - Komitet Obrony Robotników), la scelta della non-violenza e la capacità di far leva
sull'identità cattolica del popolo polacco. Nato sulla base di diversi comitati di sciopero, Solidarność ha nel tempo
aggregato molte altre associazioni venendo a costituire una federazione di sindacati.
Alla fine del 1981contava già nove milioni di iscritti. Attraverso scioperi, contestazioni e altre forme di dissenso
politico e sociale, attuate sempre nel rispetto della scelta non-violenta, Solidarność mirava alla destabilizzazione e
allo smantellamento del monopolio del partito unico di governo. Nel 1989 il movimento cattolico venne
riconosciuto ufficialmente e poté partecipare alle elezioni parlamentari, riscuotendo una schiacciante vittoria
stimolando la nascita di rivoluzioni pacifiche negli altri paesi del blocco comunista. Alla fine dell'agosto 1989 iniziò
a guidare una coalizione di governo e Lech Wałęsa, divenuto capo dello Stato l'anno successivo, si dimise dalla
guida del movimento.
In seguito al crollo del comunismo nel giugno 1989, Solidarność è diventata uno delle oltre 6300 sigle sindacali del
paese. Nel 2013 il numero totale di iscritti ai sindacati in Polonia non superava due milioni e mezzo, una cifra simile
a quella dell'Italia alla vigilia della prima guerra mondiale. [Wikipedia].

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

rinnovamento nella continuità, inadeguato per l'enorme mutamento che la società sta compiendo.
Significativo resta l'episodio degli scioperi delle maestranze Fiat nel settembre del 1980 (quando
Agnelli annuncia la cassa integrazione a zero ore) e il 14 ottobre davanti agli stabilimenti presidiati
dagli operai si forma un corteo di quadri intermedi dell'azienda per chiederne la riapertura. Il Pci
non riesce ad interpretare questo fenomeno inedito dove si percepisce la preoccupazione di un
mondo del lavoro dove l'antagonismo di classe risulta quasi irrilevante, rispetto alle problematiche
connesse alla produzione che adesso coinvolgono maggiormente gli operai: per Berlinguer i
quarantamila sono solo provocatori che tentano di spaccare il fronte di lotta e corre a Torino a
solidarizzare con gli scioperanti. Pochi giorni dopo i sindacati chiuderanno la vertenza accettando la
cassa integrazione. Lo smacco continua nel 1984 con il ricorso al referendum da parte del Pci, per
abrogare la legge sulla riforma della scala mobile. Il Pci va incontro al disastro con il 54,3% di no e
il 47,7% di sì alla consultazione del giugno 1985. La stessa difficoltà a misurarsi con il nuovo pesa
anche sulla Cgil, il mondo del lavoro cambia velocemente: nel 1983 gli addetti ai servizi sono il
46,4% della popolazione attiva, superano la classe operaia scesa al 42,7%, rovesciando
drasticamente gli equilibri sociali dove prima la classe operaia era soggetto protagonista del
processo di trasformazione, mettendo il sindacato in forte difficoltà nell'imporre la propria
egemonia nel mondo del lavoro. La sfida di fronte ai sindacati (Cgil, Cisl e Uil) mette in
discussione gli stessi ideali collettivisti e solidaristici a fondamento delle organizzazioni sindacali,
così che necessaria è la ridefinizione della propria natura – pur scontando una cospicua emorragia di
consensi – per mantenere una posizione di forza nel proporsi come interlocutori privilegiati per i
governi; rispetto al Pci, la Cgil si mostra più vitale nell'adeguarsi lentamente al nuovo, mentre il
partito comunista lascia ancora aperta la porta del passato inseguendo l'illusione del comunismo
democratico. A far da sponda a questo progetto contribuisce l'accelerarsi della crisi in Unione
Sovietica, dove Gorbaciov inaugura la perestrojca e la glasnost per riformare economia e politica
della patria del comunismo, avviando un processo di lenta democratizzazione del sistema
dittatoriale e di un cauto avvicinamento all'Occidente capitalistico. Un progetto destinato al
fallimento ma che contribuisce a dare vigore all'intero mondo comunista: nei paesi dell'Est i
movimenti clandestini in lotta per la libertà prendono forza e anche all'interno del Pci vengono
indebolite le voci che spingono per una forte revisione ideologica e politica, rafforzando la sx
ancorata alla vecchia impostazione. Altro punto debole in questa fase, è dato dal ricambio al vertice
del partito dopo l'improvvisa morte di Berlinguer (Padova, 11 giugno 1984): la mancanza di una
guida autorevole in grado di governare il conflitto interno tra le correnti, ormai molto forti,
determina il tramonto del centralismo democratico. Alessandro Natta, successore di Berlinguer, non
ha la statura, il carisma ed il prestigio del leader prematuramente scomparso e risulta incapace di
elaborare una strategia di rilancio. Ci si limita ad attingere alle formule del passato e all'eredità di
Berlinguer, riproponendo il compromesso storico nel tentativo di andare ad occupare di nuovo
centralità nel sistema politico: vengono stipulati accordi dietro le quinte con la sx cattolica della Dc,
atti a contenere la prepotenza del Psi craxiano (il Pci fa da sponda a De Mita che agita il fantasma di
un accordo di governo con il Pci per minacciare i socialisti arbitri del sistema). Questa strategia
rende meno incisivo il ruolo di opposizione del Pci, che entra nelle logiche di patteggiamenti tra
minoranza e maggioranza, ben disposta a concedere fette di potere agli avversari comunisti in
cambio della stabilità (vedi ad es. nomina di Nilde Jotti alla presidenza della Camera ed egemonia
nella terza rete Rai, le contrattazioni relative all'astensione comunista per salvare qualche
parlamentare dalla richiesta di autorizzazione a procedere, oppure, l'elezione a presidente della
Repubblica nel 1985 del democristiano Francesco Cossiga – dopo Pertini – con i voti dl Pci).
Sembra quasi che il Pci di questa fase si sia rassegnato al ruolo perpetuo di oppositore (alle elezioni
del 1987 ottiene il 26,6%, risultato molto lontano rispetto al 34,4% degli anni Settanta, che riflette
lo scontento dell'elettorato comunista e l'incapacità di diventare nuovo punto di riferimento delle
proteste montanti verso la partitocrazia).

6. Fermenti di protesta
Il disagio crescente resta in una prima fase circoscritto soprattutto ai settori di un ceto medio colto

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

(in gran parte nella generazione del sessantotto e in chi a vissuto la stagione dell'associazionismo
democratico, ha votato a sx negli anni Settanta e ora non si riconosce più nel Psi di Craxi, nel Pci di
Natta e nella Dc di De Mita). Numerose iniziative dirette al rinnovamento della politica prendono
corpo in questa fase: i referendum chiesti dai Radicali (responsabilità civile dei giudici, abolizione
delle centrali nucleari, immunità parlamentare); il movimento referendario di Mario Segni (convinto
che solo una riforma costituzionale a partire da quella elettorale proporzionale, avrebbe
ridimensionato il sistema pervaso dai partiti); anche le mobilitazioni antimafia aggregano molte
persone; la nascita della sinistra dei club che si propone di aggregare i fermenti di protesta in un
nuovo partito democratico (la nascita del Pds – Partito democratico della sinistra dalle ceneri del
Pci alimenterà queste speranze). Contemporaneamente a questi fermenti, nasce il fenomeno delle
leghe ed i movimenti che ne derivano dai qual prenderà forma la Lega Nord (molti hanno sostenuto
che il detonatore allo sviluppo del leghismo fu la riforma fiscale del 1984 richiesta dal ministro
delle Finanze Bruno Visentini, governo Craxi, per far fronte alla voragine dei conti pubblici). Il
leghismo è un fenomeno inedito nella storia repubblicana, ha fatto la sua prima comparsa nel 1979
in alcune zone agricole del Veneto, nel bergamasco e nel varesotto (le aree cosiddette tristi) dove
erano sorte la Liga veneta e una lega autonomista sostenuta da Umberto Bossi: l'appartenenza al
territorio (e l'autonomismo) è il primo fattore di coesione dei militanti leghisti reclutati in tutti gli
strati sociali (inizialmente in maggioranza operai e lavoratori agricoli), nella totale indifferenza
delle forze politiche tradizionali. La protesta a poco a poco sale e le leghe dilagano in pianura e
nelle città reclutando adepti anche nel ceto medio urbano, commercianti, piccoli imprenditori,
lavoratori autonomi, impiegati, attingendo direttamente nella sacca dei consensi tradizionalmente
moderati e d'ordine che nel passato appartenevano ai partiti di governo ed in particolare alla Dc.
Altro tratto distintivo del leghismo è la violenta e volgare polemica contro i meridionali, i terroni,
parassiti, malavitosi mantenuti dalla ricchezza prodotta dal Nord; questa componente razzista della
comunicazione leghista si manifesterà anche contro gli extracomunitari, quando a metà degli anni
Ottanta il flusso di immigrati verso il Nord comincia ad essere più percepibile. L'ostilità verso gli
stranieri è quasi un postulato ideologico delle leghe che prosperano proprio sui sentimenti di
appartenenza alle comunità locali ristrette. Il messaggio autonomista si traduce nelle istanze federali
e la campagna secessionista successivamente, portate avanti dalle leghe che vedono una
accelerazione del processo di aggregazione tra le piccole leghe (Lega lombarda, Liga veneta,
l'Union piemonteisa, Piemont autonomista e altri piccoli movimenti del Friuli, del Trentino e della
Liguria). Alle elezioni del 1987 la percentuale di voti raccolta dalle leghe è ancora esigua ma
significativa (1,8%) perché nel 1989, alle elezioni per il Parlamento europeo, in Lombardia la lega
diventa il quarto partito con 8,1% (il 14,6% in provincia di Bergamo, il 10% nelle province di
Varese, Como, Sondrio). Leader storico, dotato di carisma, Umberto Bossi, accelera il processo di
fusione delle leghe dando vita nel novembre 1989 alla Ln - Lega Nord. Alle elezioni amministrative
del 1990, il nuovo soggetto fa il pieno di voti (quasi un milione e duecento mila voti in Lombardia
con il 18,9%, il 13% a Milano) mettendo in crisi i partiti di governo, incalzati dalla lega proprio in
casa loro sul terreno della denuncia degli scandali, delle corruzione che proprio da Milano nel 1992
metteranno in moto Tangentopoli, destinata a travolgere i partiti del vecchio sistema (i socialisti
sono in crisi a Milano, Bergamo, Cremona, Varese ed i democristiani a Brescia dove la lega
raggiunge alle provinciali il 24,4%). Alessandro Natta è costretto da un infarto a lasciare la guida
del Pci e l'avvicendamento del nuovo segretario traghettatore Achille Occhetto, mette in moto
velocemente il percorso di trasformazione del Pci in un nuovo soggetto politico – La Cosa come
molti comunisti la definiscono – puntando sull'appoggio dei fermenti esterni al partito per
combattere le resistenze interne al cambiamento drastico (infatti, molti militanti delusi lasciano il
partito, nel 1990 il Pci perde 150 mila iscritti, l'11% del totale).

7. La disgregazione del sistema dei partiti


Nel 1990 scoppia la guerra del golfo Persico e due anni dopo i conflitti esplosi in Jugoslavia
(destinati a finire con i bombardamenti della Nato nel 1999) e di fronte a questi eventi l'opinione
pubblica appare disorientata in una fase dove gli equilibri internazionali con la fine della guerra

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

fredda stanno mutando repentinamente e si riverberano sulla politica interna. Per cinquant'anni la
Dc ed i partiti di governo hanno mantenuto un basso profilo di politica estera, nella consapevolezza
dell'influenza ridotta dell'Italia - inscritta nella più ampia alleanza atlantica - dove le direttive
venivano dettate dalle grandi potenze. Con il progredire del processo di unificazione europea, senza
mettere in discussione la fedeltà al patto atlantico, l'Italia acquista sempre più ampi spazi di
manovra, anche se non si registreranno forti iniziative in questo senso. Nella questione del golfo
Persico – dove le tensioni partono dal 1987 per arrivare all'attacco da parte dell'Iraq al Kuwait nel
1990 – l'Italia aveva sottoscritto l'impegno dell'embargo economico, che era riuscita a mantenere,
ma con l'ultimatum dell'Onu e il rifiuto di Saddam Hussein di ritirare le truppe dal Kuwait, la
comunità internazionale comincia a dubitare che l'Italia sia effettivamente disposta ad intervenire
nelle operazioni belliche della forza multinazionale (a bloccare tale strada sono l'incalzare dei
movimenti pacifisti all'interno del paese e la difficoltà di Psi e Dc nel far fronte a tali
manifestazioni; si schierano contro anche Pci e Santa Sede anche al momento dei bombardamenti
Nato contro la Serbia, con evidente difficoltà della Dc, dove l'ala integralista si schiera al fianco del
Papa). Nel 1989, viene liquidato De Mita e Andreotti sale a Palazzo Chigi, mentre Forlani guida il
partito e Craxi continua ad essere alleato di governo con la Dc (i democristiani avevano promesso
un ricambio ai vertici dell'esecutivo quando la poltrona del Quirinale sarebbe stata vacante, ed i
socialisti impazienti ingaggiano una lotta contro la Dc, alleandosi con Cossiga; le lotte interne alla
Dc si ripercuoteranno direttamente sul sistema partitico al momento delle clamorose dimissioni
dello stesso Cossiga dal Quirinale). La protesta antipartitocratica montante alimentata dai
movimenti referendari di Mario Segni, culmina nel 1991 con la straordinaria vittoria dei referendari
di Segni con il 95,6% di sì ed il 62,5% dei votanti. L'impressionante risultato si ripercuote
fortemente sui partiti che cominciano ad aprire gli occhi sul dissenso: Segni è fin da subito pronto a
rincarare la dose con un altro quesito referendario sulla legge per le elezioni dei sindaci e dei
senatori. Segni lancia un patto trasversale tra i candidati alle future elezioni politiche che, a
prescindere dall'appartenenza politica, si devono impegnare a difendere la battaglia referendaria (le
adesioni sono consistenti: 457, di cui circa 200 del Pds e 94 della Dc). Con questa cocente sconfitta
si comincia a paventare anche la crisi di unità del partito dei cattolici, con la defezione di Segni,
l'uscita di Cossiga e i danni recati dall'esperienza di Leoluca Orlando, fondatore di un partito
antagonista alla Dc (Orlando, sindaco democristiano di Palermo, riscuote successo personale alle
elezioni amministrative coagulando molto consenso grazie all'appoggio dei movimenti antimafia e
del Pci: 70 mila preferenze. La bandiera della lotta alla criminalità lo rendono sgradito ai notabili
locali e ai padrini romani della Dc che ne decretano la fine dell'esperienza da sindaco. Orlando però
riesce a fondare un nuovo partito-movimento La Rete, punto di coagulo del dissenso cattolico ma
anche della sx ex comunista). Dal 1978, quando al soglio pontificio è salito Karol Wojtyla, gli affari
interni dell'Italia sono passati in secondo piano di fronte alle sfide che la modernità lancia anche alla
Chiesa, ma i vescovi italiani non possono rimanere indifferenti di fronte alla montante protesta
antipartitocratica e al terremoto che sta colpendo proprio le roccaforti bianche del Veneto, della
Lombardia, dove la Dc sta perdendo colpi. Neppure la Chiesa sembra più in grado di convincere a
votare lo scudo crociato rispetto al passato: il crollo del comunismo ridimensiona fortemente il
ruolo della Dc come braccio politico e avamposto nella società nella lotta al nemico storico.
Naturalmente, la Chiesa non rinuncia ad orientare le scelte politiche dei cattolici, ma adesso lo può
fare attraverso una pluralità di soggetti politici che sembrano meglio aderire al nuovo tessuto
societario (forte investimento del clero nel volontariato). All'interno del Psi, invece, sembra che
viga la calma prima della tempesta, la classe socialista non sembra condividere le ragioni del
malessere diffuso verso i partiti e molti si illudono che il tanto potere acquisito possa soffocare i
malumori e sbarrare la strada ai magistrati che hanno cominciato a scardinare i sistemi corruttivi
consolidati della partitocrazia (questa non ultima ragione del dissolvimento totale del partito al
momento del crollo del sistema, che lascia il vuoto dietro di sé una volta scomparso dalla scena
politica, senza eredi). All'inizio degli anni Ottanta, la lotta alla corruzione coinvolge tutta la nuova
schiera di giovani magistrati, i pretori d'assalto, che cominciano lentamente a scardinare il sistema
sotto il fuoco nemico dei partiti. I magistrati hanno scelto di attaccare la corruzione politica

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

partendo dalle periferie fino ad arrivare al cuore: così inizia l'uragano di Tangentopoli, da
un'indagine in apparenza marginale su un dirigente socialista Mario Chiesa (presidente del Pio
Albergo Trivulzio, un istituto di beneficenza milanese) a dirigere l'indagine il Pm Antonio Di Pietro,
che individua in Mario Chiesa il bandolo di una matassa intricata, tirando in ballo tutta la mappa del
potere milanese. In casa socialista scatta l'allarme e si tenta di perseguire la strada dell'acquisizione
di maggiore potere, nel tentativo di fermare i magistrati: Craxi alla guida del governo e Andreotti
Presidente della Repubblica avrebbero sicuramente piegato il Consiglio Superiore della
Magistratura che continua ad opporsi alla proposta del governo di separare le carriere dei giudici,
attribuendo all'esecutivo il potere di nomina dei Pm. Una occasione di ricambio nelle alte cariche
dello Stato sono le elezioni politiche dell'aprile del 1992: la Dc perde quasi 5 punti percentuali, il
Psi arretra (16,1%) ed il vero vincitore si dimostra la Lega Nord (dall'1,8% del 1987 balza all'8,6%);
il dato allarmante, per tutto il sistema, è il 6,3% di elettori che si è espresso con la scheda bianca o
nulla, sommato al 13,7% di elettori rimasti a casa (20% totale di consensi inespressi) a testimoniare
il distacco dei cittadini dalla politica dei partiti. Da questo momento la dinamica fra i partiti si fa
confusa: il patto del Caf (Craxi-Andreotti-Forlani) non regge, anche perché Cossiga, anticipando di
un mese la propria uscita dal Quirinale, costringe il Parlamento a rinviare la scelta sul Presidente del
Consiglio, mentre si apre subito la battaglia per la successione a Presidente della Repubblica. A
sbarrare la strada ad Andreotti verso il Quirinale incorre Salvo Lima (leader della corrente
andreottiana in Sicilia) sospettato di collusione con la criminalità organizzata, viene ucciso nel
marzo 1992 in un attentato mafioso subito interpretato come un regolamento di conti e Andreotti è
costretto a mettersi da parte. Alla fine si trova l'intesa sulla candidatura a Capo dello Stato di Oscar
Luigi Scalfaro (esponente Dc e ministro dell'Interno con Craxi Presidente del Consiglio nel 1983).
Il neo presidente Scalfaro, invita i due contendenti alla presidenza del Consiglio (Craxi e Forlani) a
fare un passo indietro e viene designato alla guida dell'esecutivo il socialista Giuliano Amato, il
professore sottile (prezioso collaboratore di Craxi rimasto fuori dalle vicende affaristiche della
stretta corte familiare del leader) alla guida di un governo quadripartito (Dc+Psi+Psdi+Pli) che non
basta però a normalizzare la vita politica del paese in fibrillazione date le pesanti vicende
giudiziarie dei partiti. L'eco dei provvedimenti giudiziari si riverbera nei palazzi romani
distruggendo equilibri, pesi e misure del passato, sulle quali si decidevano le compagini ministeriali.
Il 23 maggio 1992 la mafia uccide Giovanni Falcone, il magistrato simbolo della lotta alla
criminalità organizzata. Il clamore per il brutale attentato è un potente acceleratore della crisi dei
partiti. Poi scoppia il caso Montedison/Enimont, una vera cassaforte delle forze di governo, dove
ogni partito attingeva la propria parte (40% Dc e Psi, 10% Psdi e Pri). L'inchiesta madre di tutte le
tangenti, aperta nel gennaio 1993, ha momenti di grande drammaticità con il suicidio in carcere
dell'ex presidente dell'Eni Gabriele Cagliari, seguito da quello di Raul Gardini per sfuggire
all'arresto. Contemporaneamente, piovono sul Parlamento avvisi di garanzia su tutti i segretari dei
partiti di maggioranza e sui massimi dirigenti. Invano Craxi denuncia pubblicamente la
responsabilità collettiva di politici e imprenditori, tutti perfettamente a conoscenza del sistema
illegale di finanziamento dei partiti che ha garantito profitti in maniera unilaterale, tutti colpevoli
dunque tutti innocenti. Ma né la Dc né i partiti minori hanno più la forza per contrastare le
opposizioni e l'incalzare della magistratura, l'ondata di discredito che sale nel paese li sommerge e
tra il 1992 e il 1993, i partiti della maggioranza si dissolvono. Scompare la Dc e dalle sue ceneri, nel
gennaio 1994, la sx cattolica da vita ad un nuovo partito in ricordo del vecchio Ppi di don Luigi
Sturzo, il Partito popolare italiano, mentre i cattolici moderati fondano il Ccd – Centro cristiano
democratico (questi sono solo i primi atti della tormentata vicenda dei postdemocristiani, in preda
alle continue scissioni il mondo cattolico si fraziona in una galassia di piccoli soggetti politici in
lotta perpetua l'uno contro l'altro). Si dissolve anche il Psi ma senza lasciare traccia di sé, così come
Psdi, Pli, e anche Pri.

8. Italia ed Europa
L'Italia nel 1999 si appresta ad entrare dell'Europa della moneta unica, tappa importante per il paese
che, afflitto dalla sclerosi del sistema politico e successivamente dalla disgregazione di esso, trova

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

nel condizionamento di questo vincolo esterno una via alternativa alla soluzione di problemi che
non riuscivamo ad affrontare per le vie ordinarie del governo e del Parlamento (Guido Carli, ex
Governatore della Banca d'Italia, ministro del Tesoro dei governi Andreotti 1989-92). Alla fine degli
anni Ottanta la latitanza dei governi di fronte al problema del deficit e del debito pubblico getta
l'allarme sul futuro dell'Italia all'interno dell'Europa, dove il processo di integrazione si va
accelerando con l'applicazione dell'Atto Unico (1987) mentre si elabora il nuovo trattato dell'Unione
Europea. L'appartenenza all'Europa è un imperativo categorico per le forze economiche nazionali e
nessun partito ha l'intenzione di rinunciare alla prospettiva europeista, anche se rimanere nella Cee
ha un peso non indifferente per la partitocrazia perché tocca direttamente il tasto dolente della
riduzione, razionalizzazione della spesa pubblica sulla quale si reggevano i meccanismi di consenso
dei partiti al governo. Persino i fondi comunitari creano problemi ai partiti del governo, non solo per
la necessità di contribuire con finanziamenti di pari entità (come previsto dagli accordi di Bruxelles
per i fondi regionali e quelli del Pim *) ma soprattutto per i troppi controlli e le troppe regole
imposte dalla Comunità (la lentezza dell'Italia nello spendere quanto riceve dall'Europa chiama in
causa l'inefficienza delle amministrazioni periferiche, ma anche le resistenze dei politici locali – tra
il 1989 e il 1991 viene utilizzato solo il 30% dei fondi disponibili). Nel 1989 il Parlamento italiano
si impegna ad approvare una speciale legge comunitaria che raccoglie tutte le direttive della Cee e
porta a minare l'impianto generante il disordine e l'impreparazione della burocrazia italiana. Le
questioni del taglio alla spesa pubblica ed il riordino dei conti dello Stato, sono problemi assai più
gravi e non più rinviabili quando nel 1990 Andreotti si impegna a portare la lira nella banda ristretta
dello Sme. A molti sembrano ostacoli insormontabili, in quanto il secondo miracolo economico è
finito, il debito supera il prodotto interno lordo e continua così incessantemente a crescere che per
bloccarlo sarebbe necessaria una politica economica di austerità coraggiosa (inasprimento fiscale,
lotta all'evasione, risparmio sull'amministrazione pubblica, riduzione dei consumi) che costa voti ai
partiti e questi non hanno alcun interesse a soffiare sul fuoco della protesta popolare. Però
l'esecutivo va avanti e nel 1990 vengono abolite tutte le restrizioni alla libera circolazione dei
capitali e le banche vengono trasformate da enti di pubblici a enti di diritto privato; vengono
approvate le leggi sull'antitrust e sull'insider trading, mentre la Banca d'Italia è autorizzata a fissare
i tassi di sconto indipendentemente dal Tesoro (sono tutte riforme correttive essenziali in armonia
con l'orientamento neo-liberista sconosciuto in passato). Nei sei mesi di presidenza italiana della
Cee (luglio-dicembre 1990) i rappresentanti italiani spingono sull'acceleratore verso il processo di
unione monetaria, sostenendo con forza l'approvazione del trattato di Maastricht (1992) così che la
lira, svalutata di 7 punti, esce dallo Sme e mettersi in regola con i parametri dell'Europa monetaria
diventa priorità assoluta, necessitante di una manovra finanziaria di enormi dimensioni sulla spesa e
sulle entrate (anche con la pressione fiscale al limite massimo). Quando viene aggredito il cancro
del debito pubblico, con una dolorosa operazione chirurgica, la guida degli esecutivi è passata dalle
mani della nomenclatura partitica a quelle dei tecnici (nel 1992 con le elezioni politiche cominciano
a scomparire i vecchi partiti). Il governo Amato del giugno 1992, si regge ancora sulla vecchia
maggioranza quadripartito (Dc+Psi+Pli+Psdi, il Pri resta fuori) ma ha già l'impronta di un governo
tecnico (col passare dei mesi molti ministri saranno costretti a dimettersi colpiti da avvisi garanzia):
il primo atto è una manovra finanziaria da 30 mila miliardi che prevede l'introduzione di una
patrimoniale sulla casa, su conti correnti e depositi bancari, un aumento dei bolli su patenti e
passaporti, mentre viene avviata la revisione del sistema pensionistico. Inoltre, c'è la prima vera
spallata ai giganti pubblici Iri, Eni, Ina, Enel, con la loro trasformazione da enti pubblici a società
per azioni. Contemporaneamente, il governo Amato apre la concertazione tra le parti sociali e
ottiene da Bruno Trentin (alla guida della Cgil) la firma su un accordo tripartito governo-sindacati-
imprenditori prevedente la rinuncia definitiva alla scala mobile ed un'intesa sul costo del lavoro
(questa rappresenta una vera svolta che rilancerà il ruolo politico dei sindacati e allo stesso tempo
permetterà al governo di presentare una manovra finanziaria pesantissima). La manovra da 93 mila
miliardi viene presentata in autunno (blocco per un anno delle pensioni di anzianità, dei contratti del
pubblico impiego, riduzione della spesa sanitaria, ecc.) ed i risultati si cominciano a vedere già dal

* Si tratta dei programmi pluriennali di finanziamento dei progetti da realizzarsi negli Stati.

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

1993 quando, per la prima volta da dopoguerra, i consumi scendono del 2,5% e il Pil cala dell'1,2%.
Sulla stessa strada si muove anche il successore di Amato, Carlo Azeglio Ciampi (governatore della
Banca d'Italia) che nell'aprile del 1993 forma un governo inequivocabilmente tecnico, sostenuto
dalla stessa maggioranza quadripartito (Dc+Psi+Pli+Psdi) con la sostanziale differenza che anche le
opposizioni (Lega Nord e Pds) danno un'astensione significativa. Non si astengono il Msi e Rc –
Rifondazione comunista, il nuovo partito nato dopo la Bolognina* e la fondazione del Pds, dall'ala
comunista. Successo visto del nuovo presidente del Consiglio è l'accordo sul costo del lavoro
siglato nel luglio, al tavolo governo-Confindustria-Confederazioni sindacati (che si impegnano a
non chiedere aumenti salariali superiori al tasso di inflazione programmato, fondamentale per
abbattere la spirale inflazionistica che comincia a diminuire insieme ai tassi di interesse sul debito
pubblico).

9. Alla ricerca di nuovi equilibri politici


Alla fine del 1993 di Dc, Psi, Psdi e Pli rimangono in piedi solo le rappresentanze parlamentari,
mentre i partiti in quanto tali si sono dissolti; restano i verdi, i radicali e i repubblicani (che saranno
risucchiati anche loro dalle indagini giudiziarie) e i due partiti nati dalle ceneri del Pci, il Pds e Rc.
Il Msi, l'unico partito del vecchio sistema rimasto fuori dalla tempesta di Tangentopoli grazie alla
conventio ad excludendum, ha un seguito esiguo (5,4% elezioni 1992) come del resto la Lega Nord
(nonostante lo straordinario risultato, 8,6% dei voti) per aspirare alla guida dell'esecutivo. Il Pds –
trascorsi due anni dalla Bolognina – risente ancora della scissione dell'ala comunista: elezioni del
1992, Pds 16,1% e Rc 5,6%, indice di una perdita di voti netta rispetto al 26,6% del 1987. Alle
elezioni amministrative del giugno del 1993, il Pds si dimostra duttile nella scelta degli alleati,
presentandosi con i movimenti democratici in alcune città con Rc in altre, col risultato della
conquista di 72 sindaci; ma questa strategia non è traducibile in pieno a livello di nazionale.
Abbiamo poi la discesa in campo di un nuovo attore politico, Silvio Berlusconi, il re delle
televisioni private, che da vita ad un nuovo soggetto politico Fi – Forza Italia (un partito azienda
che ha le sue fondamenta nei colossi Fininvest e Publitalia). Achille Occhetto sembra sottovalutare
la discesa in campo del nuovo avversario, nel vuoto del panorama politico post dissoluzione del
vecchio sistema partitico e con ironica superiorità i dirigenti della sx assistono alle prime
apparizioni dell'imprenditore, così lontano dagli schemi tradizionali del politico di professione. Nel
giro di pochi mesi, alle elezioni del 1994, Berlusconi travolge lo schieramento a guida Pds: la crisi
dei partiti governativi lascia in libertà una quantità enorme di elettori moderati e conservatori che
non si riconoscono nella sx di Occhetto, di Cossutta, di Orlando, ma neppure nell'Alleanza
democratica (Ad), nel patto Segni o nei Radicali e nei verdi, nel Ppi e nel Ccd. Sono elettori
spaventati dalla prospettiva di un governo di sx, spaventati dalla recessione economica e dalle
pesanti manovre, dalle tasse sempre più alte, dalla lotta all'evasione, dalla riduzione dei consumi,
dal blocco degli stipendi e salari, dai tagli alle pensioni e alla sanità. Dunque, come non capire
l'indicibile sollievo che suscitano le promesse di Berlusconi durante la campagna elettorale: il
cavaliere si impegna a ridurre le tasse, a creare un milione di nuovi posti di lavoro (l'eco di questi
annunci arriva anche a Bruxelles dove si stenta a capire la conciliabilità di tali prospettive con il
rispetto delle linee di rigore economico). Ai voti in uscita dalla Dc e dagli altri partiti di governo
guarda anche Gianfranco Fini, leader del Msi, che sta avviando un processo di trasformazione del
movimento in una nuova forza politica, An – Alleanza nazionale, un soggetto di dx pienamente
legittimato all'interno del sistema. Il Msi può rinunciare all'identità fascista originaria ma non senza
andare incontro a resistenze interne: scissione guidata da Pino Rauti da vita al Msft - Movimento
sociale fiamma tricolore. Tuttavia, Fini trova nel patto di alleanza a geografia variabile offerto da
Berlusconi lo strumento che offre la possibilità di legittimazione del nuovo soggetto: An si presenta
alle elezioni politiche in un cartello elettorale con Fi nelle regioni del Centro-Sud, mentre al Nord,

* Con svolta della Bolognina (o semplicemente svolta o, più comunemente, Bolognina) si indica quel processo
politico che dal 12 novembre 1989, giorno dell'annuncio della svolta, a Bologna, al quartiere Navile (ex Bolognina),
porterà il 3 febbraio 1991 allo scioglimento del Pci. [Wikipedia]

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)


lOMoARcPSD|11525687

Fi si presenta insieme alla Ln (uscendo anch'essa dall'isolamento) dove An corre da sola. La


strategia ha un enorme successo: il Polo del buon governo al Sud ed il Polo delle libertà al Nord
(complessivo 45,9% e 302 seggi) Fi raggiunge il 21%, An il 13,5% (il Msi nel 1992 ottenne il
5,4%), la Ln 8,4%. La sx viene battuta (complessivo 32,9% con 164 seggi) il Pds raggiunge il
20,3% e Rc il 6% (la tendenza alla frammentazione dello schieramento democratico è maggiore di
quella delle coalizioni guidate da Berlusconi e ciò non agevola la sx, in quanto il sistema elettorale
modificato nell'agosto del 1993 – un sistema uninominale con una correzione proporzionale del
25% - favorisce le coalizioni forti). La guida del governo passa nelle mani di Berlusconi, ma
l'esecutivo dura meno di un anno a causa del leader della Ln, che si rende conto della capacità di
Berlusconi di soffocare l'alleato proprio nelle regioni settentrionali: Bossi apre il fuoco su due fronti
attaccando il leader di An nel Centro-Nord (garante degli interessi parassitari del meridione) e apre
una dura polemica anche contro Berlusconi (l'amico di Craxi, il losco affarista del Nord). Il lato
debole di Berlusconi viene scoperto anche dalla sx, che si ritrova nel mirino del pool di mani pulite.
Anche i sindacati lo attaccano e nel novembre del 1994 le confederazioni sindacali organizzano una
manifestazione contro il governo che ha una eco ed un seguito senza precedenti (più di 1 mil di
manifestanti). Il colpo di grazia arriva con l'avviso di garanzia recapitato mentre il presidente del
Consiglio presiede il vertice dell'Onu sulla criminalità (l'inchiesta verte su delle presunte tangenti
che la Fininvest avrebbe versato alla guardia di Finanza, la problematica questione del conflitto di
interessi). Nel gennaio 1995 nasce un altro governo tecnico presieduto da Lamberto Dini (ex
dirigente della Banca d'Italia). Ancora una volta i partiti non si mostrano in grado di prendere le
redini della guida del paese ed è la Banca d'Italia a fornire le soluzioni (la classe dirigente) per
mantenere salda la stabilità del paese (con le elezioni del 1994 si registra un vistoso cambio della
rappresentanza che ritrova un precedente solo nel 1946, il 70% ca dei deputati e senatori varca per
la prima volta le soglie del Parlamento). La fase di transizione da vecchio a nuovo sistema politico
dopo la dissoluzione delle vecchie sigle di partito, è vistosa e durerà tutto un decennio,
caratterizzato da una instabilità permanente nonostante il cambio del sistema elettorale forzi verso
le dinamiche bipolari. Ciò è in parte determinato dalla frammentazione dei partiti, primi fra tutti i
postdemocristiani, divisi in una miriade di raggruppamenti (la galassia di piccoli partiti cattolici si
dispone in una posizione di cerniera tra i due schieramenti, l'uno egemonizzato da Fi, l'altro dal Pds,
acquistando un peso determinate: Fi abbandonata da Bossi, ha bisogno del sostegno del Ccd e il Pds
– non riesce a vincere solo con Rc ed i laici democratici – ha bisogno del Ppi). Nel 1996, alla
presidenza del Consiglio sale Romano Prodi (area Dc sx cattolica, ex ministro ed ex presidente
dell'Iri) e la sua candidatura risulta asso vincente dello schieramento di centrosinistra alle elezioni
politiche del 1996: la sx si schiera sotto il segno dell'Ulivo – cartello capeggiato da Prodi che riesce
a riunire popolari, verdi, lista Dini e Pds, ma esclude Rc – che vince di stretta misura con il 42,1%
contro il 40,3% del Polo delle libertà di Berlusconi (Ln arriva al 10,9%). Per la prima volta dal
1947 la sx conquista il governo, il Pds raccoglie il 21,1% mentre Fi il 20,6%, An arriva al 15,7% ed
il Ccd-Ccu schierati con Berlusconi al 5,8%. La vittoria risicata di Prodi e del centrosinistra,
pongono la problematica della stabilità del governo: gli alleati del Pds di Massimo D'Alema (nuovo
segretario) raggiungono in totale solo il 15,7% (lista Dini, verdi, popolari) inferiore a quella degli
alleati di Berlusconi, dunque, Prodi per governare ha necessariamente bisogno del supporto di Rc e
coniugare i termini di una alleanza con i comunisti alla politica di risanamento finanziario
necessaria per entrare nell'Europa della moneta unica, non è facile. Infatti, nel 1998 Bertinotti –
leader di Rc – rifiuta di votare a favore della finanziaria mettendo in crisi l'esecutivo. A consentire
la sopravvivenza del governo è una pattuglia di ex democristiani guidati da Cossiga, che si staccano
dal Polo per passare nello schieramento avversario. A Palazzo Chigi sale Massimo D'Alema (leader
dei Ds – Democratici della sinistra, prima Pds) ed è lui a inaugurare nel 1999 la nascita della nuova
Europa.

Scaricato da Serena Casertano (bornthisway_20@hotmail.it)

Potrebbero piacerti anche