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L'ETÀ GIOLITTIANA Nel 1901 il re Vittorio Emanuele III nominò Presidente del Consiglio

Giuseppe Zanardelli e ministro degli Interni Giovanni Giolitti. Zanardelli, ormai vecchio, lascio che
fosse Giolitti a prendere le decisioni più importanti e quando, nel 1903, rassegnò le dimissioni, fece
sì che Giolitti subentrasse come Primo ministro.

Dal 1901 al 1914, Giolitti esercitò un'influenza così autorevole che questo periodo viene
comunemente definito età giolittiana.

L'età giolittiana coincise con il decollo della rivoluzione industriale in Italia.

I progressi più evidenti si registrarono nell'industria siderurgica, nell'industria elettrica e


nell'industria meccanica. Nel settore tessile un notevole sviluppo si verificò nell'industria del cotone.
Queste industrie avevano sede soprattutto nel cosiddetto triangolo industriale, formato da Torino,
Milano e Genova.

L'agricoltura crebbe in particolare nella Pianura padana, dove vennero migliorate le tecniche
produttive.

Lo sviluppo economico e industriale dell'Italia fu favorito da alcune condizioni particolari.

Particolare rilievo ebbero le varie commesse statali. La politica protezionistica, attuata con
l'imposizione di alte tasse sui prodotti esteri, favorì lo sviluppo delle industrie del Nord Italia, mentre
danneggiò il Sud, che vide chiuse le porte dei mercati esteri.

Un contributo notevole allo sviluppo fu esercitato anche dalle grandi banche.

Nacquero le grandi banche miste (Banca Commerciale e Credito Italiano), fondate con l'aiuto di
capitali esteri.

Lo sviluppo industriale portò notevoli miglioramenti nel livello medio di vita degli Italiani.

I segni più evidenti di questo straordinario sviluppo si videro nelle città: l'illuminazione elettrica, i
trasporti urbani e gli altri servizi pubblici mutarono il modo di vivere della gente. L'arrivo dell'acqua
corrente e del gas rappresentò un notevole progresso. Le condizioni igieniche generali migliorarono
e la popolazione si spostò in grande misura dalle campagne alle città. La vita nelle città comportò
nuovi disagi per gli abitanti e soprattutto per quelli delle classi operaie, costretti a vivere in quartieri
generalmente sovraffollati, malsani e degradati. Nelle case, il riscaldamento rimaneva un lusso e i
servizi igienici erano solitamente in comune.

In questo contesto economico e sociale si svolse l'azione politica di Giolitti.

Egli elaborò un suo piano di riforme, coinvolgendo in particolare il Partito Socialista Italiano, nel
quale, come in tutti i partiti socialisti europei, ben presto si erano formate due correnti:

- La prima era quella dei RIFORMISTI, guidati da Filippo Turati, che ritenevano che si dovesse
cambiare la società gradualmente attraverso le riforme.
- La seconda corrente era quella dei MASSIMALISTI, guidati da Costantino lazzari e da Benito
Mussolini, che ritenevano che per cambiare le società fosse necessario ricorrere alla
rivoluzione.

Nel settembre del 1904 venne proclamato il primo sciopero generale, una vittoria dei massimalisti.
Giolitti indusse quindi nuove lezioni nelle quali gli elettori, spaventati dalla “minaccia rossa”
premiarono i liberali. Nel 1912 Mussolini assunse la carica di direttore dell'”Avanti!”, il giornale del
Partito Socialista.
DIVARIO FRA NORD E SUD La politica di Giolitti venne definita del “doppio volto”:
- Un volto aperto e democratico nell'affrontare i problemi del Nord;
- Un volto conservatore e corrotto nello sfruttare i problemi del Sud.

Per quanto riguarda il Nord, consentì gli scioperi e fece assumere al governo una posizione di
neutralità di fronte ai conflitti sindacali. Ma non si limitò a consentire gli scioperi, vado nel contempo
alcune riforme Che migliorarono le condizioni di lavoro degli operai:

- L'orario di lavoro venne diminuito; fu stabilito un massimo di 10 ore;


- Venne riorganizzata la Cassa nazionale per l'invalidità e la vecchiaia.
- Vennero presi dei provvedimenti allo scopo di tutelare la maternità delle lavoratrici e il
lavoro dei fanciulli.

La lotta sindacale portò all'aumento dei salari dei lavoratori, di conseguenza nel Nord si andò
diffondendo il benessere economico tipico della società di massa.

Altri interventi riformatori si ebbero con la statalizzazione delle ferrovie e la creazione dell'INA
(Istituto Nazionale Assicurazioni).

Non venne però attuata una riforma tributaria che consentisse di garantire una maggiore giustizia
fiscale e non venne affrontata la questione meridionale.

Nell'età giolittiana, il divario tra Nord e Sud del paese aumentò.

L'azione di governo di Giolitti nei confronti del Sud fu quasi insignificante.

L'azione di governo di Giolitti nei confronti del Sud si concentrò soprattutto sulla costruzione
dell'acquedotto pugliese e su “leggi speciali” per porre rimedio a situazioni particolari.

Gran parte del flusso di denaro che in questo modo arrivo al Sud alimentò clientele e corruzione.

Di fronte agli scioperi del Sud, Giolitti fece intervenire duramente le forze dell'ordine.

Il Sud, per Giolitti, era politicamente un semplice serbatoio di voti da controllare con vari mezzi:

- attraverso i prefetti che per suo ordine impedivano ai comizi degli oppositori del governo;
- per mezzo delle forze dell'ordine che arrestavano i sindacalisti;
- ricorrendo alla corruzione e minacce per far eleggere parlamentari a lui fedeli.

Per tutto questo Giolitti venne definito “ministro della malavita”.


POLITICA COLONIALE Quando Giolitti riprese la politica coloniale cambiò obiettivo: non più
l'Etiopia, ma la Libia, situata di fronte alle coste della Sicilia. Sul piano internazionale, il momento era
favorevole in quanto il governo italiano, accettando il dominio francese in Tunisia e Marocco, aveva
ottenuto in cambio il “diritto di conquista” della Libia. Nel 1911 l'Italia dichiarò guerra alla Turchia
che dominava la Libia. L'esercito occupò subito le principali città, ma dopo i primi successi iniziarono
le difficoltà: la popolazione araba della Libia organizzò una forte resistenza. L'Italia reagì con durezza:
furono inviati in Libia altri militari fino a formare un contingente di 100.000 uomini. Non riuscendo a
piegare la resistenza libica, l'Italia cambio tattica e spostò il campo di battaglia: attaccò direttamente
la Turchia. I Turchi firmarono nel 1912 il Trattato di Losanna, con il quale, di fatto, cedevano all'Italia
il dominio sulla Libia.

La Libia non era quella terra fertile e rigogliosa quale veniva descritta dalla propaganda, non aveva
grandi ricchezze minerarie (Il petrolio venne scoperto solo più tardi, nel 1959, quando la Libia non
era più una colonia italiana.). Si trattava di uno “scatolone di sabbia”. A trarre vantaggi economici
dell'avventura coloniale libica furono soltanto le banche, gli armatori e l'industria militare.

SUFFRAGGIO UNIVERSALE MASCHILE La principale riforma democratica dell'età


giolittiana fu l'approvazione di una legge che introduceva il suffragio universale maschile, cioè la
concezione del diritto di voto a tutti i cittadini maschi.

Con questa legge furono ammessi al voto i cittadini maschi che avessero compiuto il trentesimo
anno d'età. Per accedere al voto all'età di 21 anni, era invece necessario aver adempiuto agli obblighi
del servizio militare o saper leggere e scrivere.

Nel 1913, Giolitti stipulò con l'Unione Elettorale Cattolica, il Patto Gentiloni. I cattolici promettevano
di votare quei candidati liberali che avessero sottoscritto l'impegno di difendere la Chiesa.

Grazie a questo patto, nelle elezioni del 1913, Giolitti riuscì a ottenere nuovamente la maggioranza,
facendo eleggere al Parlamento 304 deputati liberali: di questi 228 grazie all'accordo con i cattolici.

La guerra in Libia aveva indebolito il governo guidato da Giolitti, che decise di dare le dimissioni.

Al re indicò come suo successore Antonio Salandra, un uomo politico conservatore.

Nel 1914 in Romagna e nelle Marche e scoppiarono dei disordini che presero il nome di settimana
rossa. Salandra inviò l'esercito a reprimerli. l'Italia tornava così in quel clima di tensione che aveva
caratterizzato la crisi di fine secolo. Ma, soprattutto, La situazione stava precipitando verso la prima
guerra mondiale. All'intervento dell'Italia Giolitti si oppose, ma inutilmente. L'età giolittiana, era
veramente finita.
La PRIMA GUERRA MONDIALE durò quattro anni, dal 1914 al 1918.

Le cause politiche riguardavano alcuni problemi presenti tra gli Stati europei, precisamente:

- Il desiderio di rivincita dei francesi rispetto alla grave sconfitta subita per mano dei tedeschi
nella guerra del 1870-71, con la conseguente rivendicazione dei territori dell'Alsazia e della
Lorena.
- La rivalità tra Austria e Russia e per il predominio dei Balcani.
- Il malcontento delle varie nazionalità presenti all'interno dell'Impero austro-ungarico, e in
particolare degli Slavi e degli Italiani del Trentino e della Venezia Giulia.
- La crisi dell'impero ottomano.
- La presenza di due schieramenti opposti: la Triplice Alleanza (Germania, Austria e Italia) e la
Triplice Intesa (Gran Bretagna, Francia e Russia).

Le principali cause economiche furono:

- La rivalità economica fra la Gran Bretagna e la Germania (provocata soprattutto dalla rapida
crescita industriale di quest'ultima). CAUSA PRINCIPALE
- La necessità per tutte le potenze industriali di espandere il proprio mercato e di garantirsi il
rifornimento delle materie prime.

Le cause militari sono da ricercarsi nella “corsa agli armamenti” dei paesi europei più industrializzati.

Per quanto riguarda le cause culturali, la scelta dei governi di dichiarare la guerra o di entrare nel
conflitto già in atto fu facilitata:

- dal dilagante nazionalismo; ESALTA IL CONCETTO DI NAZIONE


- dalle tesi razziste;
- dall'applicazione del darwinismo, cioè dalla convinzione che la guerra tra gli Stati fosse
l'equivalente della lotta per la sopravvivenza e natura; GUERRA: BUONA PER LA SELEZIONE
- dal fatto che molti giovani vedessero nella guerra l'unica possibilità di cambiamento della
situazione sociale e politica, l'occasione che avrebbe consentito loro di realizzarsi.

CAUSA OCCASIONALE La scintilla scoccò il 28 giugno 1914, quando un nazionalista serbo,


Gavrilo Princip, uccise a Sarajevo l'erede al trono d'Austria, l'arciduca Francesco Ferdinando, e sua
moglie, che erano in visita alla città (allora appartenente all'impero austroungarico).

L'attentato era stato preparato a Belgrado e il governo serbo, secondo gli austriaci, non aveva fatto
nulla per impedirlo. Il 23 luglio l'Austria inviò alla Serbia un ultimatum che richiedeva entro 48 ore:

- La soppressione delle organizzazioni irredentistiche slave;


- Il divieto di ogni forma di propaganda antiaustriaca;
- L'apertura di un'inchiesta sull'attentato, condotta da una commissione mista
serbo-austriaca.

Erano richieste deliberatamente umilianti. Il governo serbo non poteva che respingerle, perché
accettandole avrebbe di fatto rinunciato alla piena sovranità sul proprio territorio.
Di conseguenza, il 28 luglio l'Austria dichiarò guerra alla Serbia.


LE PRIME FASI DELLA GUERRA Dal conflitto fra AUSTRIA e SERBIA si passò a una guerra
europea. All'ordine di mobilitazione generale impartito all'esercito il 29 luglio dallo zar di RUSSIA
(Triplice intesa), rispose la GERMANIA (Triplice alleanza) che dichiarò guerra alla Russia (1 agosto) e
alla FRANCIA (3 agosto).

Le truppe tedesche diedero attuazione al “piano Schlieffen” (dal nome del generale che lo aveva
ideato) che prevedeva un attacco massiccio alla Francia aggirandone le difese militari mediante
l'attraversamento di Belgio e Lussemburgo. L'occupazione di questi paesi neutrali determinò
l'immediato intervento della GRAN BRETAGNA, a fianco della Francia e della Russia contro l'Austria e
la Germania. Fra gli aderenti ai due schieramenti (Intesa e Alleanza) solo l'Italia si dichiarò neutra.

Sul fronte occidentale, in Francia, i francesi riuscirono a bloccare i tedeschi sul fiume Marna, lungo le
cui rive, dal 6 al 12 settembre, si scontrarono circa due milioni di uomini. la battaglia causò circa
500.000 vittime, ma nessuno dei contendenti riuscì ad avere la meglio. Sul fronte orientale, tra la
fine di agosto e gli inizi di settembre, i Tedeschi sconfissero i Russi nelle battaglie di Tannenberg
(Germania, 25-30 agosto) e dei Laghi Masuri (Polonia, 4-10 settembre).

Il 31 ottobre entrava in guerra anche la TURCHIA, in appoggio degli imperi centrali (Germania ed
Austria).

Nell'agosto del 1914 il governo presieduto da Antonio Salandra proclamò la neutralità dell'Italia,
appellandosi alle clausole della Triplice Alleanza che prevedevano solo guerre difensive. Accantonata
l'ipotesi di una guerra a fianco dei due imperi centrali, si aprì un animato dibattito sulla possibilità di
un intervento contro l'Austria, che avrebbe consentito di riunire all'Italia Trento e Trieste (TERRE
IRRIDENTI). Si fermarono così due schieramenti contrapposti: i neutralisti, che non volevano entrare in
guerra, gli interventisti, che invece volevano entrare in guerra.

I NEUTRALISTI Giovanni Giolitti voleva ottenere dall'Austria Trento e Trieste offrendo in cambio
proprio la neutralità dell'Italia. Oltre ai liberali che si ispiravano al pensiero di Giolitti, era schierata
contro la guerra la maggioranza dei socialisti, che si preoccupavano che le campagne sarebbero
rimaste incolte. La maggior parte dei cattolici rifiutava la prospettiva della guerra. Benedetto XV
aveva condannato ogni tipo di conflitto e aveva invitato più volte i governi a trovare degli accordi per
mantenere la pace., definendo la guerra “un'inutile strage”.

GLI INTERVENTISTI La posizione favorevole all'intervento in guerra era sostenuta soprattutto


dai nazionalisti e dagli irredentisti. Fra gli intellettuali che davano voce a questa ideologia si
distinsero Gabriele D'Annunzio e Giovanni Papini, che intendeva entrare in guerra per combattere il
sovraffollamento.

Gli interventisti di destra avevano come obiettivo prioritario la liberazione di Trento e Trieste dal
dominio austriaco. Anche gli alti ufficiali dell'esercito e l'ambiente della Corte intorno al re Vittorio
Emanuele III vedevano nella guerra un'occasione per conseguire maggiore prestigio. A loro si
affiancarono sia la piccola borghesia sia i grandi industriali, per i quali la guerra si prospettava come
un'occasione per elevati profitti.

L'interventismo di sinistra era rappresentato da alcuni esponenti democratici, repubblicani e


socialisti, per contribuire a liberare tutte le nazionalità oppresse.

L'organo principale dell'interventismo di sinistra divenne ben presto il quotidiano ”Il popolo d'Italia”,
fondato da Benito Mussolini dopo essere stato espulso dall'”Avanti!” per le sue posizioni
interventiste.
ITALIA IN GUERRA Il 26 Aprile 1915, Il ministro degli Esteri Sonnino sottoscrisse, a nome del
governo, il PATTO DI LONDRA, un trattato segreto stipulato ignorando completamente la volontà
neutralista della maggioranza del Parlamento. Il Patto impegnava l'Italia a entrare in guerra nel giro
di un mese e le garantiva, in caso di vittoria dell'Intesa: Trento e Trieste, il sud Tirolo, l'Istria, e la
possibilità di partecipare all'eventuale spartizione delle colonie tedesche.

Il 3 maggio l'Italia è uscita dalla Triplice Alleanza. Nel frattempo, il governo contribuiva a creare un
clima di tensione, incoraggiando delle tumultuose manifestazioni interventiste nelle quali si
distinsero per attivismo e violenza verbale Benito Mussolini e Gabriele D'Annunzio, che definì quei
giorni di maggio “radiose giornate”. Alla fine, ebbe il sopravvento il volere della piazza e, soprattutto,
della Corte e del Governo. Salandra ottenne dal re i pieni poteri e il 20 maggio il Parlamento, ormai
piegato alla volontà interventista, li approvò. Il 24 maggio 1915 l'ITALIA dichiarò Guerra
all'Austria-Ungheria, e nell'agosto 1916 alla Germania.

LA GRANDE GUERRA Il 24 maggio 1915 l'esercito italiano non era ancora pronto a sostenere
un conflitto impegnativo.

Comandante supremo dell'esercito italiano, fu nominato il generale Luigi Cadorna che si distinse
subito per la sua durissima disciplina imposta ai soldati e ricorse a gravi punizioni per ogni mancanza.
I tentativi di diserzione erano puniti con la fucilazione e agli ufficiali era permesso di estrarre a sorte
tra gli indiziati alcuni militari e pulirli con la pena di morte. Il generale Cadorna, ancora legato a una
visione ottocentesca della strategia militare, decise di portare un attacco frontale alle posizioni
tenute dagli austriaci lungo l'Isonzo e, fra giugno e dicembre 1915, si svolsero le prime quattro
battaglie dell'Isonzo, che provocarono migliaia di vittime, ma non conseguirono alcun successo
rilevante.

Nel giugno del 1916 gli austriaci scatenarono la Strafexpedition, la spedizione punitiva contro
l'ex alleato, ritenuto colpevole di tradimento. Le truppe austriache attaccarono proprio nel punto
debole del Fronte italiano, fino a occupare Asiago, ma ben presto l'offensiva si arrestò per la tenace
resistenza italiana. Cadorna decise allora di sferrare una controffensiva, che portò alla liberazione di
Gorizia e Trieste (9 agosto). Le cosiddette “spallate da autunnali del Carso” segnarono il ritorno alla
guerra di logoramento nelle trincee. Sul fronte orientale, la Russia subì una sconfitta nella seconda
battaglia dei Laghi Masuri (Febbraio 1915), mentre l'entrata in guerra della BULGARIA (5 ottobre
1915) favorì il crollo completo della Serbia.

All'inizio del 1916, i Tedeschi prepararono contro l'esercito francese un'offensiva che sfociò nella
battaglia di Verdun (Francia, 21 Febbraio - 21 luglio 1916) e provocò più di 500.000 vittime.
Gli alleati anglo-francesi risposero con la battaglia della Somme (Fiume Francese, Giugno -
Settembre 1916), che consentì la tenuta del fronte francese ma a sua volta causò la morte di un circa
un milione di uomini. La Gran Bretagna aveva attuato un blocco navale, al fine di impedire che ai
porti tedeschi giungessero materie prime e derrate alimentari. Per spezzare l'accerchiamento la
frotta della Germania affrontò la marina inglese nel Mare del Nord, dove si svolse la battaglia navale
dello Jutland (Penisola Scandinava, 31 maggio 1916). I tedeschi inflissero all'avversario notevoli
perdite, ma non riuscirono a sottrarre agli inglesi il dominio dei mari. Alla fine di agosto gli imperi
centrali riuscirono a impadronirsi della Romania. Nel novembre 1916 morì l'imperatore austriaco
Francesco Giuseppe, al quale successe Carlo I.

Le condizioni di salute, fisica e mentale, peggiorarono: aumentarono singhiozzi, tremori, vomito e,


nei casi più gravi, diserzione, follia o suicidio. La diffusione delle “nevrosi di guerra” fra i
combattimenti di tutti gli eserciti attesta l'ampiezza del fenomeno.
LA TECNOLOGIA AL SERVIZIO DELLA GUERRA Oltre alle armi tradizionali, come
artiglieria pesante, fucili automatici e mitragliatrici, venivano usate le armi chimiche: si trattava di
gas sotto forma di bombole che venivano aperte in direzione del vento e poi di ordigni che venivano
orientati e lanciati verso le trincee avversarie. L'effetto dei gas era la morte per soffocamento o
avvelenamento. Nel caso del gas “mostarda” o iprite, si aggiungevano piaghe e ustioni.

Nel corso della guerra furono costruiti circa 20.000 velivoli militari, utilizzati per l'osservazione
dall'alto dei teatri di battaglia o per bombardamenti sui settori circoscritti.

Il carro armato fu scarsamente utilizzato. Dapprima comparvero le auto blindo, si trattava di


autocarri riparati da piastre di acciaio e dotati di mitragliatrici la cui utilità era limitata perché adatti
solo alla circolazione su strada. Si passò poi a sostituire le ruote con cingoli, come quelli utilizzati sui
mezzi agricoli, che permettevano ai mezzi blindati di muoversi su qualunque terreno.

Nella guerra navale fece la sua comparsa il sottomarino: furono i Tedeschi a utilizzarlo su grande
scala. Tuttavia la guerra sottomarina causò le proteste degli Stati Uniti, che ritenevano minacciati il
principio della libertà di commercio e il loro interesse economico: l'affondamento a opera dei
Tedeschi nel maggio 1915 del transatlantico inglese Lusitania con 140 passeggeri americani a bordo,
ma anche armi destinate all'Inghilterra, provocò tali proteste da parte degli Stati Uniti da indurre i
Tedeschi a sospendere momentaneamente la guerra sottomarina illimitata.

IL GENOCIDIO DEGLI ARMENI il coinvolgimento delle popolazioni civili nelle vicende del
primo conflitto mondiale raggiunse il suo culmine nel genocidio degli Armeni, una vicenda le cui
radici affondano nel nazionalismo e nell'intolleranza religiosa. L'Impero ottomano, abitato in gran
parte da musulmani, dovette concedere l'indipendenza alle minoranze cristiane.
Gli Armeni abitavano un territorio diviso fra Impero ottomano e Impero russo, erano cristiani e
rivendicavano a loro volta la loro autonomia. L'avvento al potere dei “Giovani Turchi”, fortemente
nazionalisti, peggiorò la situazione per gli Armeni che, non essendo Turchi, andavano perseguitati.
Nel 1914, allo scoppio del conflitto, gli Armeni sudditi dell'Impero ottomano, si trovarono a dover
combattere contro i loro fratelli cittadini della Russia. Alcuni disertarono e il governo turco ebbe seri
motivi per dubitare della lealtà degli altri.

Nel febbraio del 1915 fu decisa dal governo turco l'eliminazione sistematica della popolazione
armena. Gli armeni furono deportati verso zone periferiche dell'Impero. Lo smistamento degli
Armeni fu organizzato ad Aleppo, dove furono raggruppati e inseriti in vari convogli. I poliziotti
incaricati della sorveglianza bastonavano le persone senza pietà, impedivano alle donne incinte di
riposarsi e lasciavano che saccheggiatori senza scrupoli attaccassero la carovana. Molti Armeni
sparirono nel deserto della Mesopotamia e della Siria, vittime della fame, del tifo e del colera.

Coloro che ordinarono il genocidio furono giudicati da un tribunale militare, furono comminate
quattro condanne a morte in contumacia e altre due a pene detentive.

Secondo fonti turche, dall'agosto del 1915 le vittime armene furono 300.000 ma, secondo altri fonti,
furono più di 800.000 nel solo mese di ottobre del 1916. Una stima seria si attesta attorno al milione
di morti, ossia la metà degli Armeni presenti nel 1914 nell'Impero ottomano.

Perseguitati nella loro terra, gli Armeni emigrarono e si sparsero nel mondo: in Europa, la
maggioranza degli Armeni fu accolta dalla Francia (300.000 persone circa), un consistente numero di
persone fuggì negli Stati Uniti d'America, nel Canada, nell'America meridionale e in Australia.



ANNO 1917 Fin dal mese di febbraio 1917, i tedeschi decisero di intensificare la guerra
sottomarina per bloccare tutti i rifornimenti ai paesi nemici e isolare economicamente la Gran
Bretagna. I sottomarini tedeschi affondavano le navi mercantili e persino quelle per il trasporto dei
passeggeri. L'affondamento del transatlantico Lusitania (7 maggio 1915) aveva causato la morte di
124 cittadini statunitensi. Gli Stati Uniti ritenevano questi affondamenti fossero contrari ai principi
della libertà di commercio. Fu la guerra sottomarina a spingere gli USA a entrare nel conflitto al
fianco dell'Intesa (6 Aprile 1917).

Il 1917 fu un anno decisivo per le sorti del conflitto: a marzo il regime zarista russo fu rovesciato e
sostituito da una Repubblica il cui governo, guidato da Kerenskij, decise di proseguire la guerra, ma i
Tedeschi riuscirono a penetrare nel territorio russo perché i soldati russi abbandonavano il fronte. La
situazione interna divenne sempre più confusa sino alla rivoluzione (Ottobre 1917 - RIVOLUZIONE RUSSA).

Il nuovo governo decise di uscire dalla guerra e avvio con gli imperi centrali le trattative di pace che
si conclusero con l'accordo di Brest-Litovsk (3 Marzo 1918). La Russia fu obbligata a pesanti
concessioni: la Germania ottenne la Polonia e i Paesi Baltici mentre l'Ucraina diventava
indipendente.

DISFATTA DI CAPORETTO In seguito alla crisi della Russia, l'Austria e la Germania poterono
spostare delle truppe sul fronte occidentale su quello italiano. Gli austriaci, con l'appoggio dei
tedeschi, sfondarono le linee italiane a Caporetto (24 ottobre 1917).

La sconfitta ebbe ripercussioni politiche: fu formato un nuovo governo presieduto da Vittorio


Emanuele Orlando (ottobre 1917 – giugno 1919). Il generale Cadorna dovete lasciare il comando
supremo dell'esercito e fu sostituito dal generale Armando Diaz che decise di sistemare una nuova
linea di difesa sul fiume Piave, dove il 12 novembre, fu bloccata l’offensiva austriaca.
Il nuovo comandante impose ai soldati, ormai stanchi e demoralizzati, una disciplina meno rigida e
ne curò meglio l’addestramento.
Le ragioni militari della disfatta di Caporetto sono da ricercarsi in un offensiva ben condotta da parte
degli Austriaci, ma anche in un clima di sfiducia e di disagio tra i soldati, che erano ormai logorati, nel
fisico e nello spirito, dall’interminabile guerra di trincea, dalle stragi effettuate e subite, dalle
angherie dei commandanti, dalla morte sempre incombente.
Il rifiuto della guerra si manifestava soprattutto soprattutto in comportamenti, come la diserzione, la
fuga, la simulazione di malattie e la pratica dell’autolesionismo, consistente nel procurarsi
volontariamente delle mutilazioni tali da giustificare l’esenzione dal servizio al fronte. Vi furono,
inoltre, processi, fucilazioni e decimazioni.


Nella primavera del 1918 l’attacco portato dai Tedeschi sul fronte occidentale si arenò contro la
reazione delle truppe anglo-francesi , che ebbero la meglio nelle battaglie della Marna e di Amiens
(luglio - agosto 1918). Successivamente tutti i fronti degli imperi centrali crollarono. Il 29 settembre
la Bulgaria si arrese all’esercito franco-serbo; l’Ungheria, la Cecoslovacchia e la Iugoslavia si
dichiararono indipendenti dall’Austria, che dovette subire la controffensiva italiana. il 29 ottobre
1918 l’esercito austriaco fu sconfitto nella battaglia di Vittorio Veneto e costretto alla ritirata.
Il 3 novembre, a Villa Giusti, nei pressi di Padova, venne firmato l’armistizio che siglava la vittoria
dell’Italia. l’11 novembre novembre l’imperatore Carlo I abdicò e abbandonò l’Austria, dove venne
proclamata la repubblica. Il 30 ottobre si arrese la Turchia, mentre la Germania si preparava, a sua
volta, alla resa definitiva. Il 9 novembre l’imperatore Guglielmo II la lascio al trono e anche a Berlino
fu proclamata la repubblica. Il nuovo governo, presieduto dal socialdemocratico Ebert, iniziò subito
le trattative che portarono alla firma dell’armistizio di Rethondes (11 novembre).
Terminava così la prima guerra mondiale.

I TRATTATI DI PACE I ministri dei paesi vincitori si riunirono a Versailles il 18 gennaio 1919 in
una Conferenza per la pace; i delegati degli Stati vinti furono convocati, a cose fatte, solo per la firma
finale. I protagonisti delle trattative furono i rappresentanti delle quattro potenze vincitrici:
Clemenceau per la Francia, Lloyd George per la Gran Bretagna, Wilson per gli Stati Uniti e Orlando
per l’Italia. Wilson aveva presentato 14 punti che riassumevano i progetti statunitensi per le future
relazioni internazionali. Wilson richiamava al rispetto dell’autodeterminazione delle nazioni, ovvero
di quei principi democratici in nome dei quali l’intesa si era impegnata nella guerra.

In realtà le potenze europee non affrontarono le trattative di pace guidate da questi alti ideali:
• La Francia puntava indebolire la Germania;
• La Gran Bretagna voleva evitare la rovina della Germania, perché temeva che la Francia
diventasse troppo potente;
• L’Italia pretendeva gli ingrandimenti territoriali che le erano stati promessi da Francia
Francia e Gran Bretagna.

I trattati di pace furono firmati tra il 1919 e il 1920. Le decisioni più significative furono:
• Il riconoscimento dell’indipendenza dell’Ungheria, la Cecoslovacchia, la Iugoslavia, la
Lettonia, la Lituania e l’Estonia;
• l’Austria perse 7/8 dei territori dell’antico impero e si ritrovò ridotta ad appena 85.000 km²;
• la Palestina e l’Iraq furono affidati agli inglesi; la Siria alla Francia;
• la Germania, con il trattato firmato a Versailles, venne riconosciuta come principale
responsabile del conflitto, pertanto fu costretta a pagare i danni di guerra (132 miliardi di
marchi) e a mantenere una flotta e un esercito molto ridotti. Fu privata di tutte le colonie;
l’Alsazia e la Lorena ritornarono alla Francia; alla Polonia venne garantito uno sbocco al mare
mediante una stretta striscia di territorio che separava la Prussia orientale dal resto della
Germania (il corridoio polacco)
• L’Italia ricevette dall’Austria il Trentino, l’Alto Adige, la Venezia Giulia e Trieste;

L’Italia non ebbe i vantaggi sperati.


Erano crollati quattro imperi:
• l’impero austroungarico
• l’impero tedesco
• l’impero russo
• l’impero turco

Erano nate molte nuove nazioni. Il primato dell’Europa si era indebolito. I veri vincitori della guerra
furono gli Stati Uniti.

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